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Resoconto dell'Assemblea

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XVIII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 523 di lunedì 14 giugno 2021

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ANDREA MANDELLI

La seduta comincia alle 11,30.

PRESIDENTE. La seduta è aperta.

Invito il deputato segretario a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

LUCA PASTORINO, Segretario, legge il processo verbale della seduta dell'11 giugno 2021.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Ascani, Battelli, Bergamini, Boschi, Brescia, Brunetta, Cancelleri, Carfagna, Casa, Castelli, Cirielli, Colletti, Colucci, Comaroli, Davide Crippa, D'Incà, D'Uva, Dadone, Daga, Delmastro Delle Vedove, Di Stefano, Durigon, Fassino, Gregorio Fontana, Ilaria Fontana, Franceschini, Frusone, Gallinella, Garavaglia, Gava, Gelmini, Giachetti, Giacomoni, Giorgetti, Grimoldi, Guerini, Invernizzi, Iovino, Liuni, Lollobrigida, Lorefice, Losacco, Macina, Maggioni, Marattin, Molinari, Molteni, Morelli, Mulè, Mura, Nardi, Nesci, Occhiuto, Orlando, Parolo, Perantoni, Rizzo, Rosato, Rotta, Ruocco, Sasso, Scalfarotto, Serracchiani, Carlo Sibilia, Sisto, Spadoni, Speranza, Tabacci, Vignaroli e Zoffili sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.

I deputati in missione sono complessivamente 76, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna).

Sul tragico evento occorso ad Ardea nella giornata di ieri.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare sull'ordine dei lavori l'onorevole Rosa Maria Di Giorgi. Ne ha facoltà.

ROSA MARIA DI GIORGI (PD). Grazie, Presidente. Utilizzerò pochissimo tempo soltanto per ricordare qui la strage di ieri, del parco giochi, dove sono rimasti uccisi due fratellini e un anziano - una tragedia - e per manifestare la vicinanza di tutto il Partito Democratico, ma credo di tutta l'Aula alla disperazione di questa famiglia, per la morte di David e Daniel e del signor Ranieri, che ha tentato di difenderli e che, purtroppo, è stato freddato anche lui sul posto. Quindi, si pone il tema, oggi, in Aula, nel momento in cui, tra poco, discuteremo la mozione che abbiamo voluto presentare, quella a prima firma Lorenzin, concernente iniziative in materia di salute mentale. Mai come oggi è opportuna una discussione in merito: in questa mozione proponiamo all'Aula ciò che riteniamo sarebbe servito in questo frangente drammatico, in questo momento terrificante per queste famiglie, per tutta la comunità e per tutta l'Italia; non si può andare a giocare in un parco e rimanere uccisi da una persona con problemi mentali gravissimi, evidentemente, in possesso di una pistola, di cui si era perso il tracciamento - anche questo è un elemento gravissimo - e comunque di certo non sufficientemente seguita dai servizi territoriali, da una rete che poteva proteggere la stessa e ovviamente gli altri, coloro che le stavano vicino.

Quindi, il tema è quello dell'assistenza diffusa, di un'organizzazione territoriale che riesca a proteggere tutti e a risolvere auspicabilmente le difficoltà delle persone con gravi problemi di salute mentale. Questo è ciò che stato indebolito nel nostro Paese da molto tempo, e questo è ciò su cui dovremmo impegnarci moltissimo anche dopo l'esperienza, anch'essa tragica, della pandemia che abbiamo attraversato e che ha bisogno di nuovi strumenti. Quindi, porgiamo il nostro saluto, il nostro inchino al dolore di questi genitori, della moglie e delle famiglie di queste povere vittime, con l'impegno di tutta l'Aula, ritengo, a porre in essere misure che diano un supporto per fronteggiare situazioni di questo tipo, perché non vengano più a verificarsi.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare sul medesimo argomento l'onorevole Galantino. Ne ha facoltà.

DAVIDE GALANTINO (FDI). Grazie, Presidente, per la parola. Nel condividere le parole della collega Di Giorgi che mi ha preceduto; mai e poi mai sarei voluto intervenire sull'ordine dei lavori per esprimere il dolore per una tragedia come quella che si è verificata ieri mattina ad Ardea. Ancora, Presidente, faccio fatica a capire come sia possibile che un momento di svago per due fratellini e un momento di relax per una persona anziana in bicicletta possa trasformarsi in una giornata di lutto. Penso che a ognuno di noi sia venuta in mente una scena così drammatica, come la perdita di un figlio o la perdita di un genitore, ed è assurdo che un uomo, senza un apparente motivo, abbia aperto il fuoco, uccidendo un povero anziano e due bambini, prima di tornare a casa e togliersi la vita.

Penso, Presidente, che tutti dovremmo farci delle domande e chiederci perché una persona così pericolosa era a piede libero, perché una persona che era stata sottoposta a trattamento sanitario obbligatorio e che era già nota alle Forze dell'ordine per aver minacciato sua mamma con un coltello, era in possesso dell'arma appartenuta a suo padre che aveva fatto la guardia giurata. E, nell'esprimere una preghiera per le vittime di questa tragedia, oltre che la vicinanza del gruppo di Fratelli d'Italia ai familiari e a tutti i cittadini di Ardea, auspico che al più presto si faccia luce su questa faccenda, per accertare eventuali responsabilità (Applausi).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare, sempre sul medesimo argomento, l'onorevole Bella. Ne ha facoltà.

MARCO BELLA (M5S). Grazie, Presidente. Anch'io non sarei mai voluto intervenire su un argomento del genere, è una tragedia immensa. Io, tra l'altro, abito proprio nelle vicinanze e vorrei veramente stringermi alla famiglia ed esprimere tutta la solidarietà, a nome del mio gruppo e a nome anche del sindaco, Mario Savarese, di Ardea. Qui ci troviamo di fronte ad un fatto che veramente non è spiegabile, a dei bambini che giocavano in un parco e che purtroppo hanno perso la vita. La perdita di un figlio per un genitore è devastante, ma sapere che non c'è un motivo logico - perché non può esserci un motivo per questa tragedia immensa - è veramente ancora più devastante. Quindi, vorrei mandare, per suo tramite, un grande abbraccio alla famiglia.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Valentini. Ne ha facoltà.

VALENTINO VALENTINI (FI). Grazie, Presidente. Anche Forza Italia si unisce alle parole di cordoglio che sono state espresse da quest'Aula. Penso che sia un sentimento unanime, che ci unisce, quello di essere vicini alle famiglie, alla cittadinanza tutta, allo sgomento che si prova dinnanzi a una tragedia di questo tipo. Già molte parole sono state dette; semplicemente spetta ora noi, come parlamentari, cercare di individuare - se ve ne sono - cause che possano essere alla base di questa tragedia, per cercare di identificarle ed eventualmente prevenire, fare ciò che è possibile per far sì che tragedie di questo tipo, ahimè, non si ripetano.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole D'Ettore. Ne ha facoltà.

FELICE MAURIZIO D'ETTORE (CI). Grazie, Presidente. Il cordoglio dell'Aula di Montecitorio è un dovere istituzionale necessario, e anche il gruppo di Coraggio Italia si associa al cordoglio di tutta la Camera: a questo punto, parliamo non a nome dei singoli gruppi. È evidente che questa vicenda ha colpito fortemente il Paese perché questa persona aveva il possesso di un'arma, che si presume appartenesse al padre, guardia giurata, morto da poco, e che non era stata ritrovata né riconsegnata alla morte del legittimo portatore. La situazione poteva essere anche peggiore: nessun grado di parentela c'è tra il soggetto che ha determinato questa strage, i piccoli che sono morti e l'anziano che passava in bicicletta. L'intervento sul posto dei Carabinieri di Anzio e di Pomezia, con i militari della Tenenza di Ardea e dell'aliquota ATI - Antiterrorismo di Roma, oltre che del Gruppo di intervento speciale di Livorno, ha impedito che la situazione potesse peggiorare. Poi c'è stato il suicidio. Si tratta di una tragedia che colpisce tutti e che, come diceva anche il collega di Fratelli d'Italia, deve portarci a un'attenzione sempre più alta di fronte a fenomeni di questo tipo, anche in termini di risposta immediata della normativa e di tenuta del sistema sicurezza del Paese.

L'intervento delle Forze dell'ordine che citavo prima è stato assolutamente tempestivo ed è riuscito a limitare ciò che poteva ancora succedere. Ciò vuol dire che sempre di più dobbiamo stringerci con le Forze dell'ordine, dare il più possibile risorse e muovere normative e discipline che sono qui giacenti anche in Parlamento per consentire in questi casi che ci sia un maggiore grado di prevenzione, perché alcuni elementi dimostrano che probabilmente si poteva tentare di evitare tutto questo. Le Forze dell'ordine fanno il massimo di ciò che è possibile, ma tutto il sistema, in questi casi, deve essere avvertito e capace di reagire per tempo, il sistema sicurezza Paese. Resta il cordoglio e la solidarietà nei confronti dei familiari per una vicenda così terribile, che, ripeto, ha scosso l'intero Paese, che, come l'Aula di Montecitorio in questo momento, partecipa a questo cordoglio, che è appunto dell'intero Paese.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Zicchieri. Ne ha facoltà.

FRANCESCO ZICCHIERI (LEGA). Grazie, Presidente. Anche io, a nome della Lega, mi unisco al cordoglio espresso in quest'Aula verso le famiglie colpite da questa tragedia, che non doveva accadere. Purtroppo, due giovani vite spezzate; due bimbi, due figli sono stati tolti alla vita mentre giocavano in un parco, nella spensieratezza più totale, due ragazzini che sognavano una vita. In questo momento, dove lo sport e la Nazionale italiana ci riportano, in questi giorni, a sentire ancora di più il valore dell'essere italiani e a sognare, uno di questi bambini giocava anche a calcio e sognava un giorno di poter indossare quella maglia. Queste vite, insieme alla vita dell'anziano che passeggiava nella spensieratezza più totale, sono state spezzate da un gesto di una persona che aveva gravi problemi psicologici. Mi unisco anch'io a quello che è stato detto dai colleghi in precedenza: noi abbiamo il dovere non solo di fare il cordoglio istituzionale all'interno di quest'Aula, ma abbiamo il dovere di alzare la guardia, abbiamo il dovere di intervenire, dai comuni fino alla massima istituzione che è il Parlamento, affinché le leggi che sono in vigore vengano potenziate, venga fatta rete tra le istituzioni.

Un plauso alle Forze dell'ordine, che hanno evitato anche il peggio, ma questo ci deve far riflettere perché da oggi tre vite non ci sono più, da oggi ci sono delle famiglie che sono state travolte da una tragedia. Questo lo dico da genitore: la perdita di un figlio è qualcosa che ognuno di noi non può comprendere, perché è contro natura, è proprio una cosa che il cuore, la mente, l'essere umano non riesce a tollerare. Alle famiglie va il nostro grande abbraccio, ma alle famiglie dobbiamo anche l'impegno che da oggi non è solamente quello del cordoglio, giusto, legittimo, ma è quello di un impegno più forte affinché tutti, a prescindere dall'appartenenza, facciamo sempre più sintesi e sistema affinché queste tragedie non vengano più vissute.

E, allora, alle famiglie va tutto il nostro caloroso abbraccio e spero che da oggi si apra una pagina diversa e mai più debbano accadere queste tragedie.

PRESIDENTE. La Presidenza si associa alle espressioni di cordoglio, esprimendo alle famiglie le più sentite e partecipate condoglianze.

Discussione del testo unificato delle proposte di legge: Fregolent; Torto ed altri; Melicchio ed altri; Melicchio ed altri; Piccoli Nardelli e Ciampi; Angiola; Frassinetti ed altri: Disposizioni in materia di attività di ricerca e di reclutamento dei ricercatori nelle università e negli enti pubblici di ricerca (A.C. 208​-783​-1382​-1608​-2218​-2294​-2996-A​) (ore 12,45).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del testo unificato delle proposte di legge nn. 208-783-1382-1608-2218-2294-2996-A: Disposizioni in materia di attività di ricerca e di reclutamento dei ricercatori nelle università e negli enti pubblici di ricerca.

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta dell'11 giugno 2021 (Vedi l'allegato A della seduta dell'11 giugno 2021).

(Discussione sulle linee generali – Testo unificato – A.C. 208-A​)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Il presidente del gruppo parlamentare MoVimento 5 Stelle ne ha chiesto l'ampliamento.

La VII Commissione (Cultura) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire il relatore, onorevole Alessandro Melicchio.

ALESSANDRO MELICCHIO, Relatore. Grazie, Presidente. Il provvedimento che la Commissione cultura, scienza e istruzione porta oggi all'attenzione dell'Assemblea nasce da sette proposte di legge di iniziativa parlamentare riconducibili sia alla maggioranza sia all'opposizione. Si tratta, in ordine di presentazione, delle proposte atti Camera n. 208, di iniziativa della collega Fregolent, n. 783, prima firmataria la collega Torto del gruppo MoVimento 5 Stelle, nn. 1382 e 1608, a mia prima firma, n. 2218, prima firmataria la collega Piccoli Nardelli del gruppo del Partito Democratico, n. 2294, primo firmatario il collega Angiola del gruppo Misto, e n. 2996, prima firmataria la collega Frassinetti del gruppo di Fratelli d'Italia. L'esame in Commissione è durato quasi due anni, nel corso dei quali sono state svolte diverse audizioni, tra cui quelle di rappresentanti di associazioni di ricercatori, rappresentanti dell'Anvur, del Consiglio universitario nazionale, della Conferenza dei rettori delle università italiane, di rappresentanze sindacali, di docenti universitari.

Si sono alternati tre diversi Governi, quattro diversi Ministri e, se siamo potuti arrivare a questo punto, all'esame del provvedimento in Assemblea, è stato possibile perché non c'è stata distinzione nel dialogo fra maggioranza e opposizione, e, a mio giudizio, ritengo che sia un provvedimento equilibrato. Per la redazione del testo unificato la Commissione, nella seduta del 25 giugno 2019, ha nominato un comitato ristretto. Il comitato ristretto si è riunito più volte, lavorando su una prima bozza di testo unificato predisposta dal relatore, la quale è stata progressivamente affinata alla luce delle indicazioni dei componenti del comitato, fino a raggiungere un accordo su un testo che ha operato una sintesi delle proposte provenienti dalle diverse forze politiche, mantenendo fermo l'obiettivo, condiviso da tutti, di armonizzare il sistema di reclutamento dei ricercatori, di ridurne il precariato e di introdurre forme di tutela appropriate.

In tutto il lavoro svolto in sede referente è stato molto importante il contributo del Governo. Ringrazio, in particolare, la Ministra Messa, che ha seguito con attenzione le fasi di lavoro del comitato e che è intervenuta anche in seduta plenaria, nel corso dell'esame degli emendamenti. Ringrazio anche le Commissioni che si sono espresse sul testo in sede consultiva, per il loro contributo, che ha consentito un ulteriore miglioramento del testo.

Dunque, il testo unificato delle sette proposte di legge di iniziativa parlamentare, adottato come testo base dalla VII Commissione nella seduta del 27 aprile 2021 e ampiamente modificato nelle sedute del 19, 25 e 26 maggio 2021, reca disposizioni in materia di svolgimento delle attività di ricerca nelle università e negli enti pubblici di ricerca, di modalità di selezione dei soggetti ad esse preposti e di pubblicità delle procedure pubbliche di selezione.

In particolare, il testo unificato disciplina l'attribuzione da parte di università ed enti pubblici di ricerca di borse di ricerca post lauream; interviene sulla disciplina riguardante il dottorato di ricerca; modifica alcuni aspetti della disciplina relativa agli assegni di ricerca; modifica la disciplina relativa ai contratti di ricercatore a tempo determinato, riconducendo a unità le due tipologie di contratto previste a legislazione vigente e innovando il meccanismo del cosiddetto tenure track; introduce poi un meccanismo analogo al cosiddetto tenure track per ricercatori e tecnologi a tempo determinato negli enti pubblici di ricerca, nonché un meccanismo di mobilità, riguardante ricercatori titolari di contratti a tempo determinato fra università ed enti pubblici di ricerca.

Venendo ad una rapida illustrazione degli articoli, l'articolo 1 contiene l'oggetto del provvedimento, le definizioni e l'ambito di applicazione.

L'articolo 2 disciplina l'attribuzione da parte di università ed enti pubblici di ricerca di borse di ricerca post lauream per la formazione e per la collaborazione all'attività di ricerca. In particolare, dispone che le università e gli enti pubblici di ricerca possano conferire le borse di ricerca post lauream a soggetti in possesso di laurea magistrale ovvero specialistica o di laurea conseguita in base all'ordinamento previgente a quello di cui al regolamento emanato con decreto ministeriale n. 509 del 1999 o di titolo equipollente, conseguito in Italia o all'estero, in discipline coerenti con l'attività di ricerca per cui è bandita la borsa. Non possono concorrere alle borse di ricerca i soggetti già in possesso del titolo di dottore di ricerca, i ricercatori a tempo determinato e il personale di ruolo delle università e degli enti pubblici di ricerca.

Le borse sono collegate a uno specifico progetto di ricerca e possono avere una durata compresa fra 6 e 12 mesi, prorogabili fino a 36 mesi laddove richiesto dalla tipologia del progetto di ricerca. La durata complessiva di fruizione delle borse di ricerca, anche se conferite da università o enti pubblici di ricerca diversi, non può superare in ogni caso, per ciascun beneficiario, i 36 mesi. Le procedure per il conferimento delle borse di ricerca sono disciplinate con regolamento dell'università o dell'ente pubblico di ricerca, che deve prevedere una valutazione comparativa, resa pubblica nel portale unico dei concorsi dell'università e della ricerca, e la costituzione di una commissione giudicatrice, composta dal responsabile del progetto di ricerca e da altri due membri designati dall'università ovvero dall'ente pubblico di ricerca. La Commissione, al termine delle procedure di valutazione comparativa, elabora la graduatoria generale di merito in base al punteggio conseguito da ciascun candidato.

Le borse di ricerca non danno luogo ad alcun rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze dell'università o dell'ente pubblico di ricerca, né danno alcun diritto in ordine all'accesso ai ruoli presso gli stessi.

Le borse di ricerca post lauream non possono essere cumulate con altre borse di studio a qualsiasi titolo conferite, tranne che con quelle concesse da istituzioni nazionali o straniere utili a integrare, con soggiorni all'estero, l'attività di formazione e di ricerca dei borsisti. I soggetti che percepiscono le borse non possono essere impegnati in attività didattiche e sono tenuti ad assolvere gli impegni stabiliti nel decreto di concessione della borsa, pena la decadenza della stessa. I dipendenti pubblici possono richiedere il collocamento in congedo straordinario per motivi di studio senza assegni (utile ai fini della progressione di carriera e del trattamento di quiescenza e di previdenza).

Le borse sono esenti dall'imposta locale sui redditi (Ilor) e da quella sul reddito delle persone fisiche (Irpef). A tale proposito, l'articolo 8, che reca norme volte a disciplinare una materia in via transitoria, precisa che le borse di ricerca rientrano fra le borse di studio universitarie post lauream, cui sono destinate le risorse confluite nel Fondo per il finanziamento ordinario delle università statali e nel contributo statale erogato alle università non statali legalmente riconosciute. Quindi, sostituiscono le borse di studio per attività di ricerca in ambito universitario e per gli enti pubblici di ricerca previste dall'attuale normativa.

L'articolo 3 interviene su alcuni aspetti della disciplina riguardante il dottorato di ricerca, in particolare ampliando le finalità formative dei corsi per il conseguimento del dottorato, all'evidente scopo di una maggiore spendibilità del titolo. Nello specifico, dispone che i medesimi corsi forniscano le competenze necessarie per esercitare presso università, enti pubblici o soggetti privati, l'attività di ricerca di alta qualificazione, anche ai fini dell'accesso alle carriere nelle pubbliche amministrazioni, nonché ai fini dell'integrazione di percorsi professionali di elevata innovatività.

Inoltre, novellando l'articolo 4 della legge n. 210 del 1998, l'articolo 3 sopprime la possibilità che i corsi di dottorato di ricerca possano essere attivati da qualificate istituzioni italiane di formazione e ricerca avanzate. Viene, inoltre, stabilito che i corsi di dottorato di ricerca possono ora essere attivati anche dalle istituzioni di alta formazione artistica musicale e coreutica AFAM. Le istituzioni AFAM possono attivare corsi di dottorato a decorrere dall'anno accademico successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore della legge, entro sei mesi dalla medesima data. Il Ministro dell'Università e della ricerca definisce con proprio decreto le modalità di accreditamento delle sedi e dei corsi.

Ancora, l'articolo 3 interviene sull'articolo 35 del decreto legislativo n. 165 del 2001, che disciplina il reclutamento del personale nelle pubbliche amministrazioni, disponendo che le pubbliche amministrazioni possano prevedere, fra i requisiti previsti per specifici profili o livelli di inquadramento, il possesso di un titolo di dottore di ricerca pertinente con il posto messo a concorso; la pertinenza è valutata avendo a riferimento le 14 aree, individuate ai sensi dell'articolo 17 della legge n. 127 del 1999, in cui sono raggruppati i settori scientifico-disciplinari.

Inoltre, sostituendo il comma 3-quater del medesimo articolo 35 del decreto legislativo n. 165 del 2001, l'articolo 3 dispone che, in fase di valutazione dei titoli, al titolo di dottore di ricerca, pertinente rispetto al posto messo a concorso, sia riconosciuto un punteggio aggiuntivo, comunque non inferiore al doppio di quello riconosciuto per i titoli di laurea o laurea magistrale e al triplo di quello riconosciuto per il possesso di master universitari o di altri titoli post lauream di durata annuale.

Segnalo che sulla stessa materia è intervenuto pochi giorni fa, a esame in sede referente già concluso, il decreto-legge 9 giugno 2021, n. 80, il cui disegno di legge di conversione è stato presentato al Senato. Sono felice che una disposizione presente in questa proposta di legge sia stata già accolta all'interno di un decreto-legge con disposizioni urgenti e che sia, dunque, già in vigore. Vi è ora, però, l'esigenza di coordinare le previsioni del provvedimento all'esame della Camera con l'articolo 3, commi da 8 a 10, del citato decreto. A tale fine, mi riservo di sottoporre al Comitato dei nove le opportune modifiche.

L'articolo 4 modifica alcuni aspetti della disciplina relativa agli assegni di ricerca, inerenti, in particolare, ai requisiti per l'attribuzione e alla durata degli stessi. Viene richiesto, quale presupposto obbligatorio per il conferimento degli assegni di ricerca, il possesso del titolo di dottore di ricerca o di titolo equivalente conseguito all'estero ovvero, per i settori interessati, di titoli di specializzazione di area medica. Ritengo, tuttavia, di prevedere, in fase emendativa, una disciplina per l'accesso con riserva al concorso ai dottorandi in via di conseguimento del titolo. Conseguentemente, è escluso dal computo della durata massima complessiva degli assegni il periodo in cui l'assegno è stato fruito in coincidenza con il dottorato di ricerca.

Il divieto di conferire assegni di ricerca viene esteso anche al personale in servizio con contratto a tempo determinato presso le istituzioni che emanano i bandi e, come conseguenza dell'incompatibilità disposta dall'articolo 5, tra titolarità di assegni di ricerca e contratti per ricercatore a tempo determinato, viene soppresso il limite massimo di durata complessiva dei rapporti, intercorsi, anche con atenei o enti pubblici di ricerca diversi, con i titolari degli assegni di ricerca e i titolari dei contratti di ricercatore a tempo determinato. Al riguardo, l'articolo 8 stabilisce che tale ultima disposizione non si applica a chi, alla data di entrata in vigore della legge, ha già instaurato rapporti ai sensi dell'articolo 22 della legge n. 240 del 2010.

Pertanto, a tali soggetti continua ad applicarsi il limite di durata fra assegni di ricerca e contratti di ricercatore a tempo determinato complessivamente non superiore a 12. Anche su questo punto auspico una modifica che escluda dal computo dei 12 anni la durata del contratto di ricercatore universitario, secondo la nuova istituzione, di cui al comma 3, articolo 24, della legge n. 240, per come modificato dalla presente legge. Viene, infine, ridotta a 4 anni la durata massima complessiva dei rapporti instaurati con il titolare degli assegni di ricerca. L'articolo 5 modifica la disciplina per il conferimento di contratti di ricercatore universitario a tempo determinato. In particolare, riconduce a unità le due tipologie di contratto di tipo A e di tipo B previste a legislazione vigente e innova il meccanismo della cosiddetta tenure track, cui fa riferimento anche il Piano nazionale di ripresa e resilienza. In via transitoria, l'articolo 8 dispone, tuttavia, che per i 12 mesi successivi alla data di entrata in vigore della legge le università possono indire procedure per il reclutamento di ricercatori, ai sensi dell'articolo 24 della legge n. 240 del 2010, nel testo vigente il giorno antecedente alla data di entrata in vigore della stessa legge. Si dispone, altresì, che le disposizioni recate dal medesimo articolo 24 nel testo vigente il giorno antecedente alla data di entrata in vigore della stessa legge, continuano ad applicarsi alle procedure di selezione in corso alla medesima data di entrata in vigore della legge. Lo stesso articolo 8 dispone, inoltre, che fino al 31 dicembre del terzo anno successivo alla data di entrata in vigore della legge, possono partecipare alle procedure di selezione per ricercatore a tempo determinato anche i soggetti in possesso di abilitazione scientifica nazionale. Nello specifico, l'articolo 5 stabilisce, anzitutto, che il contratto per ricercatore universitario a tempo determinato - che, come accennato, ora diverrebbe in un'unica tipologia - abbia una durata complessiva di massimo 7 anni e non sia rinnovabile. Ai fini della durata, su richiesta del titolare del contratto, i periodi trascorsi in aspettativa in base alla normativa vigente per maternità, paternità o per motivi di salute, non sono computati. Il conferimento del contratto è incompatibile con qualsiasi altro rapporto di lavoro subordinato presso soggetti pubblici o privati, con la titolarità degli assegni di ricerca, anche presso altre università o enti pubblici di ricerca, con le borse di dottorato e, in generale, con qualsiasi borsa di studio, a qualunque titolo conferita anche da enti terzi. Più in generale, l'articolo 5 dispone che ogni università, nell'ambito della programmazione triennale, vincoli risorse corrispondenti ad almeno un terzo degli importi destinati alla stipulazione dei contratti in favore dei candidati che, per almeno 36 mesi, anche cumulativamente, abbiano frequentato corsi di dottorato di ricerca o svolto attività di ricerca sulla base di formale attribuzione di incarichi, escluse le attività a titolo gratuito, presso atenei o istituti di ricerca, italiani o stranieri, diversi da quello che ha emanato il bando. Per quanto concerne i bandi, l'articolo 5 dispone che negli stessi sia specificato il macrosettore concorsuale. Inoltre, introduce una disciplina per la nomina della commissione giudicatrice nell'ambito delle procedure di selezione. In particolare, dispone che la commissione giudicatrice sia formata da professori di prima o seconda fascia, ovvero da dirigenti di ricerca e da primi ricercatori in servizio presso gli enti pubblici di ricerca e in possesso di abilitazione scientifica nazionale, in numero compreso fra 3 e 5. La maggioranza dei membri della commissione è, in ogni caso, costituita da professori di ruolo presso università, italiane o straniere, diverse da quella che ha bandito la procedura. I membri della commissione sono scelti mediante sorteggio, operato dall'università in modalità automatica tramite il già citato portale unico dei concorsi, dell'università e della ricerca, tra i soggetti iscritti in una banca dati, contenente, per ciascun macrosettore concorsuale, i nominativi dei professori di prima e di seconda fascia che hanno presentato domanda per esservi inclusi, corredata dalla documentazione concernente la propria attività scientifica complessiva, con particolare riferimento all'ultimo quinquennio dei dirigenti di ricerca e dei primi ricercatori in possesso di ASN, che abbiano presentato domanda per esservi inclusi. Sono esclusi i rettori in carica, i professori universitari posti in aspettativa obbligatoria per situazioni di incompatibilità, i professori universitari che hanno optato per il regime a tempo definito, i professori universitari a cui sia stata inflitta una sanzione disciplinare, i professori universitari che si sono dimessi da qualsiasi commissione concorsuale nei 4 anni antecedenti. Lo stesso articolo 5 stabilisce che l'università delibera la chiamata del vincitore al termine dei lavori della commissione giudicatrice e che la stipula del contratto deve avvenire entro 90 giorni dal termine delle procedure di selezione. In caso di mancata stipula del contratto, per i 3 anni successivi l'università non può bandire procedure di selezione per il medesimo macrosettore concorsuale. Dispone, poi, che il ricercatore universitario che ha conseguito la ASN in un settore concorsuale diverso da quello di riferimento del contratto, può richiedere di modificare, nell'ambito del proprio contratto, il settore concorsuale di riferimento, purché rientrante nello stesso macrosettore. Su tale richiesta, l'università si esprime motivatamente entro 3 mesi dalla richiesta. Quanto al trattamento economico del ricercatore a tempo determinato, si conferma quello che è attualmente previsto per il ricercatore di tipo B, ossia che esso è pari al trattamento iniziale spettante al ricercatore confermato a tempo indeterminato a tempo pieno, elevato fino a un massimo del 30 per cento. Con riferimento al meccanismo della cosiddetta tenure track, lo stesso articolo 5 dispone che la valutazione del titolare del contratto, ai fini della chiamata in ruolo di professore associato, che avviene anche sulla base di una prova didattica, è possibile a partire dal terzo anno di titolarità del contratto e in ciascuno dei successivi anni, sempre nell'ambito delle risorse disponibili per la programmazione. L'inquadramento come professore associato avviene sempre all'esito positivo della valutazione, ma non più necessariamente alla scadenza del contratto. In caso di valutazione negativa, l'università deve fornire adeguata motivazione sulla base del curriculum e della produzione scientifica del titolare e può procedere nuovamente alla valutazione per ciascuno dei successivi anni di titolarità. Infine, ancora l'articolo 5 dispone che l'attività didattica e scientifica svolta dai ricercatori a tempo determinato, concorre alla valutazione delle politiche di reclutamento svolta dall'ANVUR ai fini dell'accesso alla quota di finanziamento premiale a valere sull'FFO. Presidente, deposito il resto della relazione per ragioni di tempo.

PRESIDENTE. Bene, ne ha facoltà, può depositare sicuramente. Ha facoltà di intervenire la rappresentante del Governo, sottosegretario Bini, che si riserva di farlo successivamente. È iscritto a parlare l'onorevole Zicchieri. Ne ha facoltà.

FRANCESCO ZICCHIERI (LEGA). Grazie Presidente, in Italia il dottorato di ricerca rappresenta il terzo livello di studi, massimo grado di istruzione universitaria. I dottori di ricerca costituiscono una risorsa fondamentale, anche e soprattutto al di fuori dell'università, per lo sviluppo e l'innovazione del nostro Paese. Durante il percorso per diventare dottori di ricerca, si sviluppano in modo scientifico e rigoroso le ricerche che permettono un avanzamento scientifico in una determinata materia. Questo consente ai dottori di ricerca di apprendere un metodo che soddisfi conoscenze e competenze complesse e interdisciplinari. Le competenze acquisite, se adeguatamente valorizzate, possono promuovere la competitività delle imprese italiane, l'efficienza della pubblica amministrazione e una scuola propositrice di cultura. I dottori di ricerca, in virtù della loro attività di ricerca di alto profilo, rappresentano un vettore di innovazione in grado di contribuire alla trasformazione e al miglioramento dei processi in molti ambiti. La riforma del sistema di regolamento dei dottorati e dei docenti universitari mira, infatti, a valorizzare questo potenziale e a restituire ai nostri giovani l'ambizione di essere risorse fondamentali del tessuto socioeconomico e produttivo del Paese. Il progressivo impoverimento quantitativo e, soprattutto, qualitativo del personale docente negli ultimi decenni, trova uno dei suoi principali motivi nella difficoltà di accesso al mondo accademico. Del resto, la legge 30 dicembre 2010, n. 240, di riforma del sistema universitario, ha contribuito ad alimentare la precarietà di molte figure presenti nel mondo accademico e nel comparto della ricerca in Italia.

Si tratta, in primo luogo, di contratti di lavoro parasubordinato che lasciano tutele limitate ai lavoratori, soprattutto nei periodi di disoccupazione, e alimentano, al tempo stesso, la presenza prolungata di precari all'interno dello stesso ateneo, senza che tali figure vengano poi stabilizzate concretamente. Diritti dei lavoratori e crescita professionale sono quindi fortemente penalizzati dall'attuale quadro normativo. Parimenti, questa situazione influisce nei rapporti con le università europee che vedono l'Italia ancora distante dal raggiungimento di standard minimi di affidabilità e occupabilità dei giovani ricercatori.

La proposta di legge che valutiamo si propone dunque di risolvere questi annosi problemi e consegnare al Paese un sistema di reclutamento più efficiente, in cui la progressione di carriera sia nota e sicuramente bisogna che abbia tempi certi. Siamo soddisfatti che durante i lavori in Commissione siano state recepite le nostre proposte emendative che puntavano a massimizzare la funzionalità delle commissioni esaminatrici, pure garantendo la massima indipendenza dei componenti, e a tutelare le giovani donne e madri la cui carriera non poteva arrestarsi a fronte dell'impossibilità di trasferimento in un'altra città per compiere un periodo di ricerca.

Inoltre, il testo appare linea con le conclusioni sulle strategie per sviluppare l'attrattiva delle carriere nel settore delle ricerche in Europa, adottate dal Consiglio europeo del 28 maggio 2021, che segnano un ulteriore avanzamento verso l'obiettivo di incrementare l'attrattiva delle carriere e della ricerca e la circolazione dei cervelli all'interno dello spazio europeo della ricerca.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Frassinetti. Ne ha facoltà.

PAOLA FRASSINETTI (FDI). Grazie, Presidente. Abbiamo oggi, all'esame dell'Aula, una proposta di legge che riguarda l'università. È importante parlare di università e il mondo accademico merita sicuramente una revisione del sistema di reclutamento. Sappiamo che il progressivo impoverimento quantitativo ma anche qualitativo del personale docente trova uno dei suoi principali motivi nella difficoltà di accesso al mondo accademico. I giovani più brillanti e meritevoli per trovare la loro piena soddisfazione professionale sono spesso costretti a emigrare all'estero, dove trova riconoscimento la loro preparazione che deriva da studi universitari fatti in Italia, studi di grande qualità. È di pochi giorni fa un rapporto preoccupante della Corte dei conti dal quale si evince che sono aumentati del 41 per cento i laureati che hanno lasciato l'Italia negli ultimi otto anni. Tantissimi giovani se ne vanno perché non vedono una speranza di lavoro in patria. È noto, oltretutto, che i progetti ERC vengono finanziati per un quinquennio con cospicui finanziamenti, si parla di 400 mila euro annui. Queste risorse vanno all'estero perché sono pochi gli italiani che, vincendo, scelgono poi di rimanere in Italia. Pensate che gli italiani in testa sono 47 e soltanto 17 hanno scelto di rimanere in Italia. Significa che i giovani italiani preferiscono emigrare in Paesi che forniscono un miglior supporto organizzativo ed economico, portandosi dietro anche questa dote.

L'iter di questa legge è stato lungo - lo diceva il relatore, onorevole Melicchio – e accidentato. Secondo Fratelli d'Italia, ne è derivato è un compromesso tra partiti della maggioranza, con un intervento risolutivo del Ministro Messa, ma non c'è stata una visione organica di questo provvedimento. Devo dare atto, al di là di tutto, che il relatore, l'onorevole Melicchio, è stato sempre disponibile, ha profuso un grande impegno e ha avuto una grande pazienza e per questo, comunque, gli va riconosciuto grande rispetto.

Riteniamo questa proposta sul reclutamento confusa in alcuni passaggi e anche contraddittoria. Mi rendo conto che c'è l'esigenza di superare la Legge Gelmini, legge di cui mi onoro di essere stata relatrice, quando è stata all'esame di quest'Aula, e che ha avuto tantissimi aspetti positivi, uno su tutti l'introduzione dell'abilitazione scientifica nazionale. È ovvio che, dopo dieci anni, una revisione va fatta perché si sono evidenziati dei limiti. Uno dei più importanti è proprio la difficoltà di reclutamento, che è l'oggetto di questa proposta di legge. C'è difficoltà ad arginare questa decadenza strutturale del mondo accademico. Il problema è che questa legge non risolve però la questione, come dicevo, perché è stata frutto di troppi compromessi e, alla fine, prevede percorsi diversi che determinano un quadro poco chiaro.

Intanto, resta sullo sfondo la precarizzazione dei giovani ricercatori, che ha innescato un meccanismo di disincentivazione a perseguire con abnegazione la trafila lunga e faticosa dell'accesso al ruolo di professore universitario. Lo scoglio, anzi uno degli scogli su cui questa legge si è incagliata, è stato quello della mobilità obbligatoria, che doveva essere un presupposto fondante dell'impianto normativo del provvedimento. Fratelli d'Italia da subito ha sostenuto l'assurdità di questa proposta; e non solo noi, visto che un istituto autorevole come il CUN l'ha definita una prescrizione, peraltro, di dubbia legittimità. Ovviamente, concordiamo sul fatto che la mobilità sia una risorsa, che sia importante ma, per aumentarla, ci vogliono incentivi, non obblighi. Il testo che ora è al nostro esame ha subito, quindi, significativi mutamenti che lo hanno snaturato, rendendolo un po' troppo contraddittorio.

Passando ad analizzare i punti significativi degli articoli, avremo modo di spiegare, anche in maniera succinta, la motivazione dei nostri emendamenti e, nella fattispecie, di spiegare perché chiediamo l'abrogazione dell'articolo 2. Noi pensiamo che le borse di ricerca, così come vengono presentate in questo articolo, siano un doppione degli assegni di ricerca. Non comprendiamo la necessità di questo nuovo strumento di precarizzazione dei giovani laureati; non abbiamo bisogno di uno sdoppiamento ma, casomai, della necessità di facilitare l'assunzione dei giovani più meritevoli, nel contesto di un percorso di formazione che porti alla laurea e all'ingresso nel mondo accademico.

L'articolo 3 tra tratta invece dei dottori di ricerca. Siamo d'accordo nel dare importanza al titolo di ricerca come titolo di studio, sicuramente, ma a maggior ragione riteniamo che il titolo di dottore di ricerca, qualificando il laureato alla dirigenza della ricerca stessa, sia un requisito essenziale all'ingresso nel mondo accademico: dovrebbe essere proprio un corso di dottorato di ricerca il momento in cui gli studenti dimostrano, a se stessi e ai docenti, di possedere le qualità necessarie per una futura crescita nell'ambito accademico. Attualmente, invece, il corso rappresenta, troppe volte, un parcheggio temporaneo per gli studenti che restano in attesa di una futura stabilizzazione e questo ne svilisce l'importanza. L'esiguità degli importi delle borse di studio previste per i dottorandi ne è la testimonianza. Per questo, se si ritiene che il dottorato di ricerca debba essere valorizzato e debba diventare un requisito essenziale bisogna che ci sia, proprio in questa legge, un'apertura, un rafforzamento. Si propone anche che il titolo di dottore di ricerca sia un titolo preferenziale nelle valutazioni comparative per l'accesso ai ruoli della docenza universitaria.

Un'attenzione particolare merita, secondo Fratelli d'Italia, un problema che riguarda i dottorandi dell'area medica. Dato che, spesso, l'attività di ricerca è strettamente correlata all'attività assistenziale all'interno dei policlinici (la ricerca clinica, per esempio), se questi dottori di ricerca hanno già una specializzazione medica dovrebbero poter esercitare l'attività assistenziale, nel periodo del dottorato, essendo equiparati ai dirigenti medici.

Occorre considerare che l'esperienza clinica, per i medici ricercatori, fa parte integrante dell'attività di ricerca e che, per alcune materie, è essenziale anche per la maturazione scientifica del dottorando. Rispetto alla normativa vigente, pertanto, si propone una maggiore possibilità di operare all'interno dei policlinici da parte dei dottorandi medici. D'altronde, i policlinici sono luoghi in cui la ricerca, la didattica e la parte medica dovrebbero convivere, dovrebbero essere un tutt'uno organico, sono delle eccellenze, e non si possono sicuramente trascurare la parte didattica e la ricerca.

Le medesime considerazioni in merito alla necessità di svolgere le attività essenziali nei policlinici valgono per i titolari degli assegni di ricerca.

Per quanto riguarda l'articolo 4, torniamo a quanto detto relativamente all'articolo 2 sull'assegno di ricerca e ribadiamo che per noi è uno strumento già ampiamente utilizzato per assumere a tempo determinato i giovani più meritevoli, in attesa di una difficile stabilizzazione accademica. Per semplificare, sarebbe sufficiente mantenere questo strumento sia per il periodo post lauream sia per quello post specializzazione: non serve cambiare il nome alle cose se il concetto è sempre quello. Concordiamo sulle altre migliorie proposte in termini di diritto del lavoro, ma ribadiamo anche qui che per gli assegni di area medica dovrebbe essere attivato quanto riportato dall'articolo precedente.

Arriviamo ora all'articolo 5, cuore del provvedimento, quello che nell'iter ha subito maggiori trasformazioni. Già abbiamo manifestato la nostra contrarietà alle proposte che impedivano agli studenti che avevano frequentato un ateneo di partecipare a concorsi di assunzione in quello stesso ateneo.

Troviamo che questa soluzione, se attuata, sarebbe stata discriminante perché avrebbe vietato a priori un diritto a studenti meritevoli, solo per la discutibile presunzione che essi sarebbero stati favoriti e raccomandati. Se l'ossessione che ha ispirato alcuni passaggi di questa legge è quella di evitare concorsi truccati, riteniamo più opportuno prevedere possibili inasprimenti delle pene per condotte illecite o meccanismi di penalizzazione del Dipartimento che ha deliberato la chiamata. È, comunque, già in vigore il meccanismo di premialità dipartimentale, basato sulla qualità della ricerca, che obbliga i dipartimenti a chiamare solo nuovi reclutati virtuosi, pena la perdita del budget e dei punti organici.

L'accesso alle carriere universitarie è oggi regolamentato correttamente da un'oggettiva valutazione della qualità e delle attitudini scientifiche dei soggetti aspiranti mediante la definizione di valori-soglia qualitativi riconosciuti dalla comunità scientifica globale. Questo è indubbiamente un merito della “legge Gelmini”.

Fatta questa premessa, ribadiamo che per noi la soluzione ottimale per la riforma del reclutamento è basata sul ripristino della figura del ricercatore a tempo indeterminato. Fratelli d'Italia ha presentato una proposta di legge in cui chiediamo l'istituzione di questa figura, lo chiediamo convintamente. Questa figura, dopo un periodo di valutazione triennale, se confermato, e in possesso dell'abilitazione scientifica nazionale per la qualifica di ricercatore, accederà al ruolo a tempo indeterminato, tuttavia, a differenza di quanto previsto dalla “legge Gelmini”, egli, al termine del triennio, non diventerà un professore associato, ma un professore di terza fascia.

Ci troviamo dinnanzi alla necessità di stabilizzare quanti più giovani precari possibili che, al contrario, dopo anni di laurea, dottorato e assegni di ricerca, si trovano, magari, costretti ad abbandonare i sogni di una carriera accademica per la difficoltà di accesso al ruolo. Il corpus accademico va ricostruito sulla sua base, ovvero dal ruolo di ricercatore, che va reso a tempo indeterminato per invogliare i giovani più meritevoli di investire il proprio futuro sull'università. Una volta reclutati, i giovani ricercatori saranno valutati obiettivamente in base a parametri oggettivi sulla produzione scientifica e sull'impegno didattico. Se saranno ritenuti meritevoli, il Dipartimento esprimerà il giudizio sull'immissione in ruolo a tempo indeterminato del ricercatore, che, a quel punto, assumerà il ruolo di professore di terza fascia.

La nostra proposta di stabilizzare il ricercatore a tempo determinato è condivisa nel mondo accademico e questo è avvalorato anche dalla decisione del Ministro Messa di prevedere, all'articolo 6, la stabilizzazione a tempo indeterminato con la figura di primo ricercatore. Ecco, questa è stata una modifica che è arrivata verso la fine dell'iter della legge e che, in un certo senso, va a collocarsi nella previsione che Fratelli d'Italia ha fatto nella sua proposta di legge.

All'attuale articolo 5 abbiamo, poi, proposto alcune significative modifiche, tra cui quella molto opportuna di prevedere che almeno un membro della commissione giudicatrice sia scelto tra i docenti dell'ateneo che ha bandito il concorso. Ci sembra assurdo che là dove l'ateneo, poi, dovrà accogliere, assumere il ricercatore non ci sia neanche la possibilità di avere un membro interno. Non bisogna spaventarsi di questa cosa, ma è entrata nelle ovvietà.

L'articolo 6, come dicevo prima, è un articolo importante fortemente voluto dal Ministro, dal Governo. Va subito rilevato che il ricercatore o tecnologo - che, dal terzo anno di titolarità del contratto, può essere inquadrato a tempo indeterminato con la qualifica di primo ricercatore o primo tecnologo - si avvicina molto, come dicevo prima, alla figura del ricercatore a tempo indeterminato. L'articolo 6, però, al terzo comma, introduce una nuova fattispecie, prevedendo la chiamata diretta. Quindi, ci chiediamo se e quale sia la metodologia: quella del concorso o quella della chiamata diretta? Non si possono attivare meccanismi diversi per il reclutamento. Questo ci lascia molto perplessi. Quindi chi, in definitiva, deciderà quale metodologia tra il concorso e la chiamata diretta non è dato sapere. Questa misura potrebbe creare delle disparità - in una legge che, paradossalmente, è stata concepita, e ne do atto, per cercare di eliminare le disparità - tra chi viene stabilizzato secondo un percorso che prevede un concorso e chi viene stabilizzato per chiamata diretta.

Dopo questo excursus, non resta che ribadire che questo provvedimento poteva essere sicuramente più utile e incisivo; abbiamo cercato, con gli emendamenti, di correggere il tiro, speriamo che l'Aula ci dia l'opportunità di inserire emendamenti migliorativi di questo testo.

Oltre all'accoglimento degli emendamenti, ci auguriamo anche un'attenzione particolare: i nostri emendamenti sono stati presentati con un assoluto spirito costruttivo ed un giusto atteggiamento. Stiamo parlando di università, stiamo parlando del futuro dei nostri studenti: non ci deve essere un' ideologia che prevale sull'altra, non ci deve essere un clima di scontro, ma ci deve essere un unico obiettivo, quello, finalmente, di frenare l'emorragia degli studenti universitari verso altri Paesi e la creazione di un reclutamento che possa veramente convincere i ragazzi a rimanere nell'università per contribuire a fare grande il nostro Paese.

Quindi, siamo convinti che si poteva fare meglio, ma ci candidiamo fin da ora a risolvere questi problemi quando, finalmente, il popolo ci darà la possibilità di governare (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Di Giorgi. Ne ha facoltà.

ROSA MARIA DI GIORGI (PD). Grazie, Presidente. È un provvedimento importante questo, una legge necessaria - la riteniamo così, noi del PD - frutto di un intenso lavoro in Commissione, cui il nostro partito ha collaborato con grande impegno. E, in questo senso, qui voglio ricordare - lo ricordo all'Aula e ai colleghi, perché so quanto lo stimassero - il professor Modica, che ci ha dato tanto aiuto e che ha tanto lavorato accanto a noi per questo provvedimento, che, purtroppo, ci ha lasciato recentemente (Applausi).

Sono sei proposte di legge, presentate da diverse forze politiche - da qui l'idea di quanto la ritenessimo necessaria in tutto l'arco parlamentare -, quasi un paio d'anni di attività, direi un paio d'anni di attività intensa, con tutto ciò che diceva prima il collega Melicchio, Governi e Ministri che sono cambiati, per sviluppare un dialogo ampio in Commissione e un ascolto che definirei capillare di tutti coloro che hanno voluto esprimersi su questa legge di iniziativa parlamentare. E dico “legge di iniziativa parlamentare”, perché, francamente, che il Parlamento possa avere un suo ruolo su materie così importanti è davvero qualcosa che ci dà soddisfazione. Noi non avevamo fretta, non volevamo chiuderlo senza confrontarsi con il resto del mondo, con questi mondi di riferimento che sono molto importanti, soprattutto, in questo settore e, quindi, davvero abbiamo sentito tutti, abbiamo cercato di sentire tutti, prima di licenziare questo provvedimento. In accordo con il Ministro, che ringrazio anch'io qui, la Ministra Cristina Messa, abbiamo fatto un lavoro complesso, ricco di interlocuzioni e la fase emendativa ha raccolto le proposte dei tanti mondi di riferimento, che hanno esaminato le varie versioni del testo e hanno voluto porre questioni e rilievi, molti dei quali sono stati accolti. Per questo ringrazio il relatore per la pazienza e, naturalmente, i colleghi dei gruppi che hanno dato il proprio contributo, anche del gruppo di opposizione in questo momento, che è soltanto Fratelli d'Italia, ma tutti i colleghi dei vari partiti.

Che dire, è quasi inutile ribadire che non siamo in linea, come università e il sistema dell'alta formazione, con i Paesi più evoluti, che hanno un sistema dell'alta formazione in grado di rispondere meglio alle nuove esigenze dello sviluppo in un momento così complicato della nostra storia. Noi dobbiamo adeguarlo questo nostro sistema: dieci anni fa la “legge Gelmini”, adesso nuove sollecitazioni, nuove proposte. Quindi, dobbiamo mettere a disposizione soprattutto le necessarie risorse, perché sappiamo bene che nessuna norma, nessun provvedimento di questo tipo che va sull'ordinamento, poi, può avere gambe, se non ci sono le risorse necessarie. E, in questo momento, le abbiamo le risorse, quindi questo è un pezzo del puzzle necessario per partire con il Piano nazionale di ripresa e resilienza.

Dobbiamo creare, quindi, un contesto - e questa è l'importanza di questa legge - che rinforzi il nostro sistema dell'Alta formazione e che consenta carriere certe e la fine della precarizzazione dei rapporti di lavoro, senza, però, dire che non serva una fase anche di flessibilità iniziale. Quindi, le borse, gli assegni: sono quelle fasi in cui i giovani ancora devono comprendere se la ricerca o l'insegnamento universitario possono essere il loro futuro, quindi c'è bisogno di tempo da dare nella fase iniziale. Quindi, noi l'abbiamo abbreviato questo tempo, ma sicuramente l'abbiamo mantenuto.

Quindi, la disciplina sulle attività cosiddette “pre-ruolo” nell'università e negli enti richiedeva davvero questa messa a punto. Quindi, è un passo avanti a favore delle persone, di tutte quelle donne e di quegli uomini impegnati nel sistema pubblico della conoscenza. Questa espressione la riprendo dal testo del patto per l'innovazione firmato dal Governo con i sindacati per l'avvio delle procedure per il rinnovo del contratto delle pubbliche amministrazioni.

Onorevoli colleghi, Presidente, questa legge si colloca in coerenza con lo sforzo che Governo e Parlamento sono impegnati a fare per creare le condizioni che consentano al Paese di uscire da questa fase critica. Le riforme sono una parte fondamentale e il Parlamento, appunto, deve farla questa sua parte e deve farla con convinzione.

Le modifiche introdotte si collocano pienamente nelle linee strategiche individuate nelle conclusioni del Consiglio europeo del 28 maggio scorso sullo Spazio europeo della ricerca e testimoniano l'impegno del nostro Paese nell'Unione europea. Nel merito - lo avete già sentito, ma lo voglio dire anch'io qui - si tratta di un intervento mirato: poche modifiche, ma di forte impatto; meno precariato, carriere prevedibili, allargamento delle competenze nella formazione e nel dottorato e migliori prospettive occupazionali dentro e fuori l'università e gli enti di ricerca. Il concomitante impegno finanziario per la ricostruzione post pandemia prospetta maggiori opportunità, sia per coloro che hanno conseguito il dottorato sia per chi inizia il suo percorso con il dottorato di ricerca. In generale, questo provvedimento si colloca fra le misure da assumere con urgenza per favorire il successo degli interventi previsti nel Piano nazionale di ripresa e resilienza.

Vengo ai tratti principali della proposta e ne cito soltanto alcuni, quelli che mi sembrano i più importanti. Innanzitutto, si riduce il tempo di permanenza. Chi si impegna per la carriera di ricercatore una volta acquisito il dottorato di ricerca potrà aspirare a diventare professore associato nell'università o primo ricercatore in un ente pubblico di ricerca in un tempo che può variare da un minimo di 3 a un massimo di 11 anni. Le università o l'ente, nell'ambito delle risorse disponibili per la programmazione, valutano, a partire dal terzo anno, il titolare del contratto (vedete quanto è importante questo).

Il secondo punto è che si semplifica il percorso per accedere alla carriera. Le borse di ricerca possono essere fruite dopo la laurea per un periodo massimo di 12 mesi, prorogabile fino a 36, in relazione al progetto. Dopo il dottorato è possibile accedere ad assegni di ricerca per un periodo massimo di 4 anni, oppure vincere un contratto da ricercatore a tempo determinato in tenure track della durata di 7 anni, con valutazione annuale dal terzo anno, che consente l'immissione in ruolo, e qui rispondo anche alla collega Frassinetti, che prima poneva un tema, ma mi pare che ci sia una logica e, quindi, in questo senso c'è questo tipo di valutazione dal terzo anno che consente l'immissione in ruolo. Restano ferme le altre possibilità di accesso ai ruoli di professore associato, professore ordinario e ricercatore di ruolo in un ente di ricerca.

Il terzo aspetto: un percorso di tenure track per l'università e gli enti di ricerca. Per l'università il disegno di legge unifica le attuali figure di ricercatore di tipo A e di tipo B - sapete quanto fosse richiesto questo - laddove, peraltro, per concorrere a un posto di tipo B era necessario aver avuto un contratto di tipo A con un periodo di permanenza fino a 8 anni. Per gli enti di ricerca, invece, si introduce un percorso sostanzialmente simmetrico, e questo è importante: finalmente i due ambiti, l'università e il sistema degli enti pubblici, hanno regole comuni e, quindi, abbiamo per gli enti di ricerca un percorso simmetrico, che comprende ricercatori e tecnologi. Inoltre, è disciplinata la possibilità di assunzione di un ricercatore a tempo determinato, con contratto in tenure track dell'università, da parte di un ente di ricerca e viceversa, rendendo flessibile il percorso. Quindi, la famosa migrazione possibile fra enti e università, che fino adesso non era ancora possibile in questa forma, finalmente qui viene introdotta.

Il quarto punto: ringiovanisce e premia il merito. Nell'ambito delle risorse disponibili per la programmazione, a partire dal terzo anno di contratto il ricercatore viene valutato annualmente e, se la valutazione è positiva e il ricercatore ha conseguito l'abilitazione scientifica nazionale, può diventare, già dal quarto anno, associato di ruolo, è questo. Quindi, c'è una modalità che è una modalità più agile e che, secondo me, è sicuramente più appropriata (io la condivido molto).

In quinto luogo, si favorisce la mobilità con questo provvedimento. Per l'accesso al contratto da ricercatore a tempo determinato nell'università c'è questa riserva, che ha creato anche discussione, sia fra noi che col mondo esterno, una riserva del 30 per cento di posti destinata a coloro che abbiano svolto dottorati o attività di ricerca per almeno 36 mesi all'estero o presso atenei diversi da quello che bandisce il posto da ricercatore in tenure.

Sesto punto: si favorisce la trasparenza e la partecipazione. Quando introduciamo questo portale unico dei concorsi dell'università e della ricerca, che sembra poco rilevante, ma non lo è - vorrei che si si ponesse attenzione a questo - si assicura una diffusione sistematica delle opportunità nel sistema universitario e della ricerca, garantendo, in questo modo, trasparenza e circolazione nelle 97 istituzioni universitarie e nei 20 enti pubblici di ricerca a cui si applica la legge. Quindi, tutti sapranno tutto: si saprà dove sono i concorsi e i giovani avranno opportunità proprio anche di conoscenza, perché molto spesso, come sapete, non si sanno alcune cose perché non è così facile che l'informazione circoli.

Per quanto riguarda le borse di ricerca, voglio dire qualcosa. Il testo unificato introduce una disciplina organica delle borse di ricerca applicabile sia agli enti sia alle università. Le borse di ricerca possono essere assegnate dopo la laurea per un periodo da 6 a 12 mesi - ce l'ha ricordato il collega Melicchio -, prorogabile fino a 36 per esigenze collegate al progetto. Sulla durata vediamo che non rilevano i periodi di astensione o congedo per maternità, paternità o per gravi motivi di salute. Qui ci sembra tutto normale e logico; guardate che non lo era. Quindi, è bene aver citato queste questioni legate, appunto, alla protezione delle persone che lavorano all'interno di questo sistema, perché non era tutto così garantito. Le borse di ricerca non possono essere assegnate - e lo sappiamo - a chi ha conseguito il titolo di dottorato. Tali figure potranno eventualmente accedere ad assegni di ricerca con i nuovi limiti temporali oppure al contratto da ricercatore. Quindi, abbiamo cercato di vedere un po' tutte le situazioni e di dare risposta a tutte le varie figure che nel mondo dell'università esistono e che hanno bisogno di sentirsi in qualche modo collocate.

Per quanto riguarda il dottorato di ricerca, abbiamo l'articolo 3. Questo è un punto significativo, su cui anch'io mi soffermo, perché abbiamo valorizzato il dottorato di ricerca. Finalmente, voglio dire, lo abbiamo valorizzato per quello che dovrebbe essere, sulla scia di quanto già era a livello europeo. Infatti, il testo unificato delle proposte di legge amplia le finalità formative dei corsi di dottorato, volti non solo all'acquisizione delle competenze necessarie per esercitare, presso università, enti pubblici o soggetti privati, attività di ricerca di alta qualificazione, ma anche - ma anche - per l'accesso alle carriere nelle amministrazioni pubbliche o per l'integrazione di percorsi professionali di elevata innovatività. Questa è una sfida: è una sfida per le università, che devono mettere in campo i dottorati; è una sfida per i giovani, che devono scegliere i propri percorsi; è una sfida complessivamente anche per il mondo dell'impresa e per il mondo della pubblica amministrazione, che comunque deve andare a cercarle queste competenze e deve dare opportunità a questi giovani su cui investiamo e che vogliamo formare, perché siano questi i soggetti che poi servono per l'innovazione e per la competenza all'interno della pubblica amministrazione.

Quindi, questa è davvero un'innovazione importante. Attribuisce al sistema universitario il compito di formare la classe dirigente dell'amministrazione pubblica, che uscirà, auspicabilmente, già rafforzata e modernizzata, con le misure del Piano di ripresa e resilienza. Inoltre, la nuova disciplina avrà l'effetto di favorire una maggiore spendibilità del titolo per le prospettive di occupazione per coloro che non possono essere assorbiti dall'università, perché - diciamocelo - non tutti possono rimanere all'università, anche se - e qui lo dico, perché ci credo moltissimo - essendoci molto bisogno di risorse c'è anche molto bisogno di ampliare il numero dei nostri docenti, di ampliare il personale all'interno delle università, perché noi, come sapete, siamo ancora tra i Paesi che hanno il maggior numero di studenti per professore. Quindi, anche questo è un gap che dobbiamo sicuramente colmare in qualche modo e, quindi, ce n'è bisogno; non tutti coloro che hanno il dottorato, comunque, potranno essere assorbiti dall'università.

A questo fine, abbiamo introdotto un riconoscimento al titolo medesimo di un punteggio aggiuntivo (questa è la formula) nei concorsi pubblici, per cui al titolo di dottore di ricerca viene riconosciuto un punteggio comunque non inferiore al doppio di quello riconosciuto per il possesso di ulteriori titoli di laurea o laurea magistrale, ovvero non inferiore al triplo di quello riconosciuto per il possesso di master universitari o altri titoli che durano un anno; quindi, il dottorato dura tre, per cui questo titolo verrà considerato, nel punteggio, tre volte. Questo significa aver valorizzato veramente il dottorato di ricerca.

C'è poi l'altra questione relativa all'AFAM: finalmente, ai sensi del comma 2, articolo 3, tra i soggetti che possono attivare i corsi di dottorato e di ricerca, vi sono anche le istituzioni di Alta formazione artistica musicale e coreutica, ossia le AFAM. Anche questa è un'importante innovazione che sana un antico squilibrio.

Per quanto riguarda gli assegni di ricerca, con l'articolo 4 vi è la revisione delle norme sugli assegni di ricerca con riguardo ai requisiti per l'attribuzione e la durata degli stessi; anche in questo caso, la disciplina è applicabile sia alle università sia agli enti, quindi possono essere conferiti a coloro che abbiano conseguito il titolo di dottorato e con un limite massimo di quattro anni. Questo è ciò che vogliamo fare per evitare il cosiddetto precariato. Gli articoli 5 e 6 (ne avete parlato) prevedono un percorso tenure track ossia un contratto da ricercatore identico tra università ed enti che consenta di entrare in ruolo senza fare un nuovo concorso, acquisita la valutazione positiva e l'abilitazione nazionale, in un periodo minimo di 3 anni dal dottorato e massimo di 7, a seguito di valutazioni e titoli che attestano la qualità: mi sembra legittimo, giusto. Sono persone che sono già in quel mondo, che hanno già dimostrato molto, moltissimo, e, quindi, è giusto che vengano valorizzati.

Altro punto che sottolineo e a cui tengo molto è la possibilità di valorizzare i giovani, i ricercatori in tenure track nelle università e negli enti di ricerca con l'immissione in ruolo incrociata: un ente può assumere in ruolo un ricercatore in tenure nell'università e viceversa, rendendo flessibili le scelte. È un nuovo approccio al sistema della ricerca pubblica che mi sembra molto importante. Vi è una quantità di innovazioni che favoriscono un contesto di equilibrio e che riescono a dare una visione che comunque c'è in questo provvedimento. Ci siamo arrivati, questo lo voglio dire: c'è stata la pazienza del relatore, c'è stata l'interlocuzione con tante persone e tante associazioni: tutti coloro, che hanno voluto dire qualcosa, hanno parlato con noi o con i rappresentanti dei gruppi.

Credo che, alla fine, ci sia un equilibrio in questo provvedimento che, naturalmente, è sempre pronto ad essere rivisto - siamo disponibili -, però, certamente, mi pare un buon punto di partenza per il futuro del nostro Paese nell'alta formazione e nella ricerca scientifica (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Bella. Ne ha facoltà.

MARCO BELLA (M5S). Grazie Presidente, siamo arrivati finalmente a portare questo provvedimento in Aula, un provvedimento che - come è stato ricordato - è passato attraverso quattro Ministri dell'Università, tre Governi e che ha richiesto tantissimo tempo, perché stiamo intervenendo su una materia veramente delicata e importante: quella del reclutamento nelle università.

Questo lungo percorso è servito per ascoltare la sensibilità di tutti. Abbiamo ascoltato, sia in via formale, con le audizioni in Commissione, sia in via informale, chiunque abbia voluto dirci qualcosa su questo provvedimento, anche attraverso i social oppure e-mail. Abbiamo cercato di rispondere a tutti, perché, Presidente, quando si parla di reclutamento universitario, è veramente difficile trovare un punto di caduta e penso che, invece, si sia trovato.

In Commissione abbiamo scelto un testo base - che comunque aveva ancora dei punti da chiarire - sul quale è stato possibile trovare soluzioni e gli ultimi aggiustamenti. Oggi posso dire che ciò che abbiamo trovato è qualcosa che risponde veramente alle esigenze di tutti, rispettando le sensibilità di coloro che hanno avuto qualche cosa da suggerirci in termini migliorativi.

Molti dei nostri giovani sicuramente hanno un sogno - è anche il mio -, quello di diventare un docente universitario. E' bellissimo che i giovani abbiano sogni, però, in questa pandemia, abbiamo anche visto quanto sia importante dire la verità ai cittadini, alle persone. Dobbiamo dire la verità, ossia che questa è una carriera estremamente complessa, estremamente difficile, estremamente selettiva, quindi non potremo realizzare i sogni di tutti, ma possiamo dare a molte persone una formazione di qualità. E' necessario quindi regolamentare l'accesso all'università, perché, se non potremo a dare a tutti la possibilità di realizzare il proprio sogno, potremo dare a tutti le stesse possibilità di arrivare alla fine del percorso.

Sicuramente, i docenti universitari sono fondamentali per il Paese: l'università è il suo motore, soprattutto in questo momento, nel quale la pandemia ci ha colpito, e ci aiuterà a risollevare la nostra Nazione. Noi siamo intervenuti non con una riforma del sistema universitario - il sistema universitario ha visto tante riforme, non tutte hanno portato elementi migliorativi, alcune direi di no, nonostante le buone intenzioni -, ma con interventi chirurgici. Vi erano criticità e punti da sistemare e siamo intervenuti sugli stessi.

Quali sono le categorie su cui siamo intervenuti? I dottorandi, gli assegnisti di ricerca o i postdoc e infine i ricercatori e lo abbiamo fatto, cercando di diminuire il tempo di precariato, aumentare la trasparenza della selezione e, soprattutto, rendere la competizione il più leale possibile.

Vediamo i singoli punti. Per i dottorandi, l'articolo 3 prevede finalmente la valorizzazione del titolo di dottore di ricerca nei concorsi pubblici. Il dottorato di ricerca è il titolo più alto che possiamo avere nel nostro ordinamento; tuttavia, non c'era questa valorizzazione e siamo particolarmente contenti che il 9 giugno il Governo stesso abbia recepito, con il “decreto Reclutamento”, in particolare con i commi da 8 a 10 dell'articolo 3, la valorizzazione del dottorato di ricerca. In effetti, questa cosa era da fare il prima possibile e l'abbiamo vista non come una sovrapposizione dell'iniziativa parlamentare alla nostra legge, ma come una spinta in avanti sicuramente positiva. Dobbiamo valorizzare i nostri dottorati e dottorandi e dargli il massimo. Tra l'altro, ricordo che, anche nel Piano nazionale di ripresa e resilienza, sono destinati ben 432 milioni per finanziare borse per i dottori di ricerca, che sono diverse migliaia. Il nostro Paese, purtroppo, soffre la mancanza di dottorati: solo un cittadino su mille, ogni anno, consegue il titolo di dottore di ricerca. Se pensiamo che, in altri Paesi, ci avviciniamo a 1,5 o a 2 cittadini, che, ogni anno, conseguono tale titolo, capiamo che abbiamo un ritardo e, per colmare tale ritardo, potremmo sia usare i fondi del PNRR sia incentivare le persone a fare un dottorato di ricerca. Anche questo è importante.

Per quanto riguarda, invece, gli assegnisti, dopo il dottorato di ricerca c'è un periodo che viene definito post-dottorato. L'assegnista di ricerca è la persona che, più di tutte, è in un limbo perché non è più uno studente in formazione, come i dottorandi - anche se, comunque, i dottorandi sono persone molto qualificate - ma è qualcuno che è seguito da un tutor accademico e che deve acquisire sempre più la capacità di fare ricerca in maniera indipendente.

Purtroppo, nel passato, gli assegnisti e gli assegni di ricerca sono durati molti, molti, molti anni.

Ci sono persone che si sono trovate in questo limbo, anche per la mancanza di concorsi, non è stata certo colpa loro. Quindi, abbiamo deciso di ridurre il più possibile la durata degli assegni di ricerca a quattro anni. Questo, Presidente, vuole essere un qualcosa a favore dei ricercatori precari, perché - io lo dico da docente universitario - è molto bello poter collaborare con i giovani, con il loro entusiasmo e con la loro incredibile voglia di fare, ma a un certo momento va messo un punto, va detto: “o riesci a partire con una tua carriera indipendente e diventi ricercatore, oppure forse è meglio cambiare strada” e bisogna lasciarsi, insomma, senza rimpianti. Tenere i giovani magari con contratti precari li danneggia e io, nella mia esperienza di docente universitario, mi sono sempre rifiutato di avere persone che lavorassero per me senza un contratto, nonostante loro volessero continuare la loro ricerca; io ho detto loro che, per il loro bene, preferivo che andassero per la loro strada, e di questo sicuramente non mi pento. A questo punto, è bene ricordare che tutti gli assegni di ricerca antecedenti a questo provvedimento non concorrono al limite dei quattro anni, perché ovviamente non possiamo cambiare le regole in corsa, ci sono delle norme transitorie, questo è ovvio.

Arriviamo ai ricercatori. La “legge Gelmini” aveva introdotto due figure di ricercatori: gli RTDA e gli RTDB. Gli RTDA e gli RTDB, i ricercatori a tempo determinato di tipo A e i ricercatori a tempo determinato di tipo B, di fatto, avevano gli stessi compiti; entrambi avevano un carico didattico, entrambi facevano ricerca, entrambi facevano un servizio di tutoraggio agli studenti, entrambi dagli studenti erano riconosciuti pienamente come docenti, ma, mentre per gli RTDA, al termine del contratto, non c'era una prospettiva di fatto, per gli RTDB c'era l'immissione in ruolo, qualora ovviamente avessero preso l'abilitazione scientifica nazionale. Quindi, queste differenze, tutto sommato, non avevano senso di esistere e abbiamo pensato di unificare in un'unica figura gli RTDA e gli RTDB, con un ricercatore che è stato definito come tenure track ed è un ricercatore unico che unisce i due diritti. Quindi, a questo punto, con questa figura, diamo più diritti a chi svolge di fatto lo stesso lo stesso lavoro e ovviamente questo è un contratto particolarmente ambito. Noi sappiamo - e purtroppo anche sulla stampa molto spesso sono apparsi - degli scandali, veri o presunti, di concorsi cosiddetti pilotati: potremmo discutere, in quest'Aula, sull'opportunità di abolire i concorsi universitari e di istituire una chiamata diretta pura, come esiste, d'altronde, in altri Paesi, però, finché ci sono i concorsi in Italia, questi devono essere più trasparenti possibili. Per questo, abbiamo pensato di introdurre delle norme che possano garantire le persone che partecipano a questi concorsi; in particolare si prevede che la Commissione sia totalmente sorteggiata. C'è un'altra norma, che è stata - come è stato ricordato - particolarmente dibattuta in Commissione perché è molto innovativa e cambia molto rispetto all'università, e riguarda l'incentivo alla mobilità. Mi spiego meglio, Presidente: nei concorsi da ricercatore è molto, ma molto frequente che i vincitori siano dei candidati cosiddetti interni; in un certo senso, questo è anche comprensibile perché, se c'è un giovane che lavora nella stessa università per dieci anni, fa un servizio agli studenti ed è parte di una comunità, del dipartimento, è ovvio che, da parte del dipartimento, ci sia tutta la voglia di stabilizzarlo, però questo crea anche una problematica forte, relativa al fatto che il concorso deve essere aperto a più persone possibile e un candidato esterno ha scarse possibilità di vincere un concorso in un'università nella quale non è conosciuto. Questo è un fenomeno che, per esempio, causa la cosiddetta fuga dei cervelli, perché chi lascia l'università e lascia quel dipartimento sa benissimo che le sue possibilità di ritornare si abbassano notevolmente. È un fenomeno che alimenta anche molto il precariato: “aspetto il mio turno finché non arriva il concorso”, questo è il ragionamento che viene fatto da molti.

Con questo provvedimento, riserviamo un terzo dei posti a ricercatori che hanno svolto almeno 36 mesi presso un'altra università, un altro centro di ricerca o, meglio ancora, all'estero, quindi noi, in certo senso, favoriamo il rientro dei cervelli, favoriamo il rientro delle persone che hanno fatto un'esperienza formativa all'estero. Guardi, Presidente, un'esperienza all'estero, in un prestigioso gruppo di ricerca, permette una formazione migliore, permette una crescita professionale, ma soprattutto permette una crescita umana, perché è lì, confrontandosi con diverse esperienze, con diversi Paesi e con diverse culture che si cresce davvero. E poi, Presidente, i ricercatori del 2050 non possiamo immaginare che siano delle persone che abbiano visto soltanto la propria città, il proprio dipartimento e il proprio il gruppo di ricerca, senza mai fare un'esperienza fuori. È fondamentale: noi abbiamo introdotto la riserva di un terzo dei posti, ma speriamo che l'esperienza all'estero, l'esperienza in un'altra realtà diventi di fatto la norma, come, d'altronde, lo è in tanti altri Paesi europei; non c'è bisogno di una legge che la imponga. Comunque, sicuramente noi pensiamo che questa norma possa migliorare molto il sistema universitario. Inoltre, Presidente - come è stato anche ricordato in quest'Aula - l'Italia partecipa ai bandi dell'European Research Council e i ricercatori italiani hanno delle ottime performance nel bandi dell'ERC, perché, grosso modo, ne prendiamo tanti, ne prendiamo un numero congruo in proporzione alla popolazione, tuttavia ogni anno noi dobbiamo vedere che metà delle persone che vincono un bando dell'ERC - parliamo di finanziamenti al singolo ricercatore che vanno da 1 a 2 milioni - sono persone che lavorano all'estero. Questo perché? Perché, nella competizione per l'ERC la mobilità è un requisito assolutamente fondamentale e, essendo poco presente nell' università italiana, noi diventiamo poco competitivi in quel senso. Noi ogni anno regaliamo circa 30 milioni alla ricerca degli altri Paesi europei e non possiamo continuare a fare questo. Pur apprezzando che sicuramente i progetti dell'ERC siano sicuramente buoni e di ottima qualità, io vorrei vedere che anche il nostro Paese arriva ad essere competitivo, nei termini di vincitori. Quindi, io penso che abbiamo affrontato una proposta con i punti che sono stati espressi: il relatore ha espresso in maniera analitica ciascun punto, al pari della collega Di Giorgi. Sono arrivate anche delle critiche, anche propositive, sulla nostra proposta, che sono state essenzialmente due. La prima è stata: per cambiare davvero l'università servirebbero 2 miliardi per le assunzioni; la seconda è stata: servirebbe stabilizzare almeno 30.000 precari. Magari si potesse fare: è un qualcosa che io auspico, però questi interventi non sono possibili in una proposta di iniziativa parlamentare. Sicuramente è importante trovare risorse: ricordo che nei Governi a guida del MoVimento 5 Stelle, negli ultimi 3 anni, il Fondo di finanziamento ordinario è passato da 7 miliardi 300 milioni a 8 miliardi 240 milioni, con un incremento quasi di un miliardo. È tanto? È tanto se lo paragoniamo agli anni scorsi. È poco? È poco se lo confrontiamo ai 20 miliardi dell'analogo fondo della Germania.

Ma questo sicuramente rappresenta una notevole inversione di tendenza e sono veramente felice che tutte le forze politiche abbiano capito quanto sia importante investire nell'università, perché se non si investe nell'università è tutto il Paese che cala. Quindi, Presidente, come tutte le forze politiche si sono sedute a un tavolo, hanno cercato di dare ciascuna il proprio contributo per migliorare questa proposta di legge, per migliorare non tanto questa proposta di legge, ma la nostra università, era quello l'obiettivo vero, così spero che il mondo accademico accetti e apprezzi questo sforzo, perché questa proposta forse non cambierà il mondo, però sta facendo un passo giusto nella direzione corretta. Quindi ringrazio del suo tempo, ringrazio le forze politiche e spero che la nostra accademia possa sempre essere più competitiva (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Iovino. Ne ha facoltà.

LUIGI IOVINO (M5S). Grazie, Presidente. Finalmente si ritorna a parlare di merito nelle università italiane. Pochi giorni fa, Presidente, la Corte dei conti ha fatto una fotografia drammatica del nostro sistema universitario e di ricerca italiano: poche prospettive di lavoro e paghe inadeguate. Negli ultimi otto anni quasi il 42 per cento in più dei laureati italiani ha lasciato il Paese per andare a lavorare all'estero. L'emorragia delle nostre menti migliori, in primis dei nostri ricercatori, non solo prosegue, ma peggiora sempre di più. Stiamo lasciando andar via i più meritevoli, e lasciando andar via ciascuno di loro l'intero Paese perde ogni volta una ricchezza immensa. Riconoscere a parole il valore della ricerca, dire di stare dalla parte dei ricercatori precari è abbastanza semplice, Presidente, ma questo non basta a modificare lo stato delle cose, a scardinare logiche, meccanismi sbagliati che abitano il nostro sistema universitario, a cui tuttavia il nostro Paese sembra più di una volta essere assuefatto. La proposta di legge che stiamo discutendo oggi risale a circa due anni fa ed è una proposta di legge che il MoVimento 5 Stelle ha voluto sin da subito, e ringrazio per questo i deputati Torto e Melicchio, dimostrando davvero di voler migliorare la condizione dei nostri ricercatori universitari. Finalmente oggi questa proposta di legge approda nell'Aula di Montecitorio e mi auguro che, sebbene negativi, i recenti dati della Corte dei conti siano da stimolo per questo Parlamento per un'approvazione più veloce possibile. Questo testo è improntato, Presidente, su due principi sacrosanti: merito e trasparenza per il reclutamento dei ricercatori nelle università e negli enti di ricerca. Il rispetto di questi due principi è terreno essenziale per lo sviluppo della ricerca e per far sentire apprezzati e valorizzati qui, nel nostro Paese, i nostri giovani ricercatori. Tra le importanti novità di questa proposta di legge c'è quella fondamentale che introduce meccanismi di reclutamento più trasparenti, con commissioni esaminatrici dei candidati composte in maggioranza da esterni e sorteggiati a livello nazionale. Chi fa ricerca presta un servizio importante per tutto il Paese e bisogna selezionare i migliori, non gli amici degli amici o i conoscenti di qualcuno, come è avvenuto per troppo tempo in alcune università italiane. Inoltre, valorizziamo la mobilità: chi ha svolto un'attività di ricerca presso altri atenei, in Italia o all'estero, per almeno tre anni si vedrà riconoscere un terzo dei posti messi a bando sul triennio dall'università. Finalmente, poi andiamo a ridurre il periodo di precariato per tanti giovani ricercatori che hanno visto davanti a sé quando hanno deciso di intraprendere la carriera accademica, e bisogna valorizzare il titolo di dottorato di ricerca in tutti i concorsi nella pubblica amministrazione e riqualificare la figura di assegnista di ricerca. Queste sono le principali iniziative messe all'interno di questa proposta di legge. Sicuramente questo testo rappresenta un passo avanti, frutto di un'attività di mediazione intensa, anche se sono convinto, come lo è tutto il MoVimento 5 Stelle, che si possa fare molto di più per realizzare norme innovative che mettano al centro la competenza dei nostri giovani e che riducano al minimo quelle cattive abitudini che spesso hanno riempito le pagine delle nostre cronache sui concorsi che sono stati, diciamo, Presidente, poco trasparenti. Dobbiamo impegnarci assolutamente di più per correggere queste storture e difendere il prestigio delle nostre università, in cui la stragrande maggioranza dei docenti e dei ricercatori italiani compiono un lavoro enorme e di qualità, di cui beneficia tutta la nostra Nazione. È arrivato il momento, Presidente, di trasformare in fatti le parole che sono state dette sulla ricerca in questi anni. Facciamolo con questa ricerca coraggiosa.

PRESIDENTE. Sospendo, a questo punto, la seduta che riprenderà alle ore 14,40 con l'intervento dell'onorevole Ungaro. La seduta è sospesa.

La seduta, sospesa alle 14,05, è ripresa alle 14,40.

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, il deputato Migliore è in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta.

I deputati in missione sono complessivamente 77, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Si riprende la discussione del testo unificato n. 208-A.

(Ripresa della discussione sulle linee generali – Testo unificato - A.C. 208-A​)

PRESIDENTE. Riprendiamo il seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge nn. 208-783-1382-1608-2218-2294-2996-A.

È iscritto a parlare il deputato Massimo Ungaro. Ne ha facoltà.

MASSIMO UNGARO (IV). Grazie, Presidente. Questo provvedimento, finalmente d'iniziativa parlamentare, punta a rivalorizzare il dottorato di ricerca, punta a riordinare il processo di reclutamento dei ricercatori universitari, a contrastare il precariato dentro le nostre università, riducendo i tempi del pre-ruolo, e, quindi, a ringiovanire l'accesso alla docenza nei nostri atenei.

Io voglio ricordare ai colleghi che il personale che fa didattica e ricerca nelle università italiane è diminuito del 25 per cento negli ultimi 15 anni, mentre nel 2019 oltre il 70 per cento - ripeto: il 70 per cento! - di tutti i professori associati e ordinari in Italia aveva più di cinquant'anni. Insomma, per chi inizia a collaborare con un ateneo, la cattedra arriva sempre più raramente e sempre più tardi. È giusto quindi riformare il pre-ruolo, per rendere le carriere accademiche attraenti per le nostre giovani menti, valorizzandole e dando loro certezze.

Questo provvedimento fonde insieme sei diverse proposte di legge, tra cui quella della collega Silvia Fregolent, che mette mano all'ultima riforma, quella del 2010, che va a disboscare tutte le varie figure della pre-docenza, del percorso che dal dottorato di ricerca porta fino all'immissione in ruolo a tempo indeterminato.

I colleghi hanno già ripetuto il contenuto, ma vado a menzionare soltanto quei punti più importanti, secondo me, che vanno ricordati di questa legge, che andrà a rimettere ordine, a semplificare e, quindi, a rendere più facile l'accesso alla carriera, a rivalorizzare la carriera accademica nel nostro Paese.

Le borse di ricerca post lauream diventano esentasse e potranno avere una durata dai 6 ai 12 mesi, fino a un totale di 36 mesi, e potranno essere sospese per maternità, per paternità o per motivi di salute. Per beneficiare degli assegni di ricerca sarà necessario avere il dottorato o la specializzazione medica e potranno durare al massimo 4 anni, non più 6 anni. Quindi, anche qui c'è una riduzione dei tempi di quella che è una lunghissima fase per troppi, tantissimi, precari delle università italiane.

Ma soprattutto il provvedimento va a promuovere il dottorato di ricerca, in primis aumentando la sua spendibilità per l'accesso alla pubblica amministrazione. Sappiamo che, grazie a questa riforma, il dottorato conterà il doppio dei punti di chi possiede una laurea e il triplo dei punti di chi possiede un master annuale. Ma, soprattutto, lo si rende più spendibile per chi vuole intraprendere le carriere innovative e, tra l'altro, questo è un tema che viene ripreso nel PNRR con l'accensione di dottorati industriali, per permettere una migliore coniugazione tra il mondo delle imprese e il mondo dell'accademia.

Soprattutto il provvedimento interviene sul sistema di reclutamento dei ricercatori universitari. Andiamo a rimuovere la distinzione tra ricercatori di tipo “A” e di tipo “B”. Non mi ripeto - l'hanno già detto i colleghi che hanno parlato prima di me - ma viene introdotto soprattutto un tetto implicito, massimo di 11 anni, a tutto il percorso della pre-docenza. Di fatto, ci sarà un unico tipo di ricercatore, fino a un massimo di 7 anni e, a partire dal quarto anno, si potrà fare domanda per diventare professore associato. Quindi, questo è il punto centrale di questa riforma.

Fino adesso - ne parlavo con il collega Melicchio - in media per i ricercatori, prima di accedere al ruolo, passano diciassette anni; diciassette anni in questa terra di limbo tra la fine del dottorato e l'inizio della docenza, che non ha pari a livello europeo e non ha pari tra i Paesi membri dell'OCSE. Invece, con questa riforma, si introduce un tetto implicito, al massimo 11 anni, cercando appunto di ridurre la precarietà e, quindi, assicurare di professionalizzare il percorso del ricercatore universitario.

Ad ogni modo, l'accesso al tenure track nel reclutamento dei ricercatori deve avvenire entro 6 anni dalla fine del dottorato di ricerca. Insomma, come dicevo prima, come assegnista e poi come ricercatore, tutto il percorso che va dal dottorato alla docenza sarà al massimo di 11 anni.

Viene creato un portale unico per raccogliere tutte le informazioni sui concorsi a livello nazionale. Questa è anche una ottima misura a favore della trasparenza, per evitare che soltanto gli amici degli amici vengano a conoscenza dei concorsi, e affinché ci sia piena trasparenza sui concorsi in atto. Viene anche introdotta una importante misura a favore della mobilità accademica. Come diceva prima il collega Bella, questo è qualcosa di molto importante. Viene stabilito che un minimo del 30 per cento di tutte le risorse per i nuovi bandi deve essere riservato a chi fa domanda provenendo da atenei diversi da quello che ha emesso il bando; quindi, persone che non provengono dall'ateneo che ha emanato il bando, ma da atenei esterni, che siano in Italia o all'estero. Questa è una misura assolutamente positiva a favore della mobilità accademica, perché noi pensiamo che soltanto con la contaminazione di elementi e con l'incrocio delle diverse esperienze si possa creare quell'ecosistema, che sia propedeutico alla buona ricerca.

Noi sappiamo che, in termini di internazionalizzazione e di mobilità, l'Italia purtroppo è indietro. Quindi, ben venga questa misura. Alcuni Paesi, addirittura, riservano il 100 per cento delle loro risorse e dei posti messi a bando esclusivamente a ricercatori che provengono da atenei diversi da quello che emette il bando. Questo è un primo passo: riservare almeno un terzo delle risorse e dei posti. Sicuramente, quindi, ciò va in una buona direzione. Ovviamente sarà fondamentale che questa riforma non vada a danneggiare chi ha appena conseguito il dottorato e, quindi, ci sono delle norme transitorie: queste nuove regole non varranno per chi ha conseguito il dottorato tra il 2008 e il 2020.

Io, come Italia Viva, mi sento di esprimere un giudizio positivo. Ci sono molti punti meritori di questa proposta di legge. Noi saremo sempre dalla parte del merito e saremo sempre a favore del sostegno all'autonomia giovanile e alla professionalizzazione dei percorsi e, quindi, salutiamo con favore questa opera di semplificazione e di riduzione delle gerarchie nei nostri atenei, che a volte sono tacciati, a torto o a ragione, di essere luoghi in cui l'anzianità, il nepotismo e le cordate con i baroni giusti hanno la meglio sul merito, sulla curiosità o sull'impegno del ricercatore. Noi, invece, sappiamo che ci sono grandi eccellenze nel mondo accademico italiano; sappiamo che la formazione, la ricerca accademica, in Italia è solida e che noi dobbiamo sostenerla e metterla in grado di competere sempre di più a livello internazionale.

Quindi, ben vengano le riforme che intendono valorizzare il dottorato, ridurre il precariato, semplificare le carriere e soprattutto favorire il ricambio generazionale, perché è assolutamente inconcepibile che, tra la fine del dottorato e l'inizio della docenza, in questo Paese, oggi, bisogna aspettare in media 17 anni. Ripeto: 17 anni di precariato.

Noi ovviamente, come Italia Viva, abbracciamo la scienza, ma soprattutto il metodo scientifico, al contrario di altri gruppi presenti in quest'Aula, e riteniamo che sia fondamentale per una ricerca di qualità non avere troppi vincoli e paletti, ma lasciare la maggiore libertà possibile ai nostri atenei e centri di ricerca di organizzarsi, per conseguire al meglio i propri obiettivi di ricerca.

Ma mi permetta, in conclusione, di toccare altri due o tre punti, Presidente, che sono importanti sul tema della ricerca universitaria. Oltre al reclutamento dei ricercatori, sarà importante agire su altri fronti per sostenere la qualità della ricerca italiana, espandendo, per esempio, la possibilità di nomina diretta dei rettori, dei ricercatori e dei docenti italiani che sono all'estero e che vogliono ritornare in Italia. Soprattutto, per esempio, occorrerà espandere anche gli sgravi fiscali della cosiddetta legge “Controesodo” del 2010 - mi riferisco all'articolo 44 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 - anche a quei ricercatori e docenti che sono tornati in Italia prima del 2020, come propongo in un emendamento che ho presentato pochi giorni fa al “decreto Sostegni-bis” concordato con il MEF e il MUR.

Ma più in generale sul fronte dell'internazionalizzazione - e qui faccio un passo indietro - occorre accelerare le procedure di riconoscimento dei titoli di studio, un collo di bottiglia che in Italia oggi impedisce la piena circolarità delle esperienze che gli italiani fanno all'estero e di cui il Paese potrebbe beneficiare; ma, purtroppo, per questi problemi burocratici, non riescono a ritornare e a mettere a frutto la propria esperienza e a metterla a servizio del Paese. Qui non possiamo stupirci se, per esempio, nella PA italiana, su cento impiegati della pubblica amministrazione italiana, solo tre hanno meno di 30 anni, contro una media OCSE di 18. Quindi, se noi vogliamo veramente parlare di valorizzazione, competenze nella PA e ringiovanimento della PA, è da queste misure che dobbiamo cominciare.

Infine, il punto più importante, lo sfondo, Presidente è che i nostri ricercatori operano in un contesto di estrema difficoltà della ricerca italiana, che è vincolata da troppo tempo da fondi troppo esigui. I fondi per la ricerca in Italia sono troppo bassi, sia in chiave storica che in chiave comparativa con tutti gli altri maggiori Paesi europei. Peggio di noi in Europa fa soltanto l'Ungheria, che consacra in termini di PIL all'istruzione e ricerca nemmeno l'8 per cento del PIL. Noi siamo il penultimo Paese d'Europa, in termini di fondi per istruzione e ricerca. In termini di ricerca, l'Italia si attesta più o meno intorno all'1,5 per cento di punti di PIL all'anno, contro il 2 per cento della Francia o il 3 per cento della Germania. Ora, per arrivare al livello della Francia, dobbiamo investire altri 5 miliardi all'anno: per arrivare soltanto al livello della Francia. Ma questo è il punto chiaro: chi non investe in ricerca poi non cresce. È molto chiaro: ricerca equivale a crescita futura. Quindi, se non investiamo in ricerca, non possiamo sorprenderci che poi non cresciamo da trent'anni. Insomma, le due cose vanno insieme.

Ma questo è il punto positivo, Presidente, che almeno, con il PNRR, approvato e proposto sotto il Governo e la guida di Mario Draghi, avremo una vera inversione di tendenza.

Nella sua ultima versione, infatti, sono stati aumentati i fondi per la formazione, istruzione e ricerca, portando a 11 miliardi di euro il totale per la ricerca fino al 2026 in aggiunta al Piano nazionale di ricerca e ai progetti di ricerca di rilevante interesse nazionale, il PRIN, per oltre 5 mila progetti. Con il PNRR verranno finanziati oltre 2 mila progetti di giovani ricercatori e lanciati 15 grandi partenariati tra ricerca e università, puntando su campioni nazionali di ricerca e sviluppo, su varie tecnologie strategiche, dal quantum computing alle tecnologie per la transizione digitale e industriale, il biofarm, il fintech, l'agritech, la mobilità sostenibile, e anche su campioni territoriali, che, tramite l'offerta di dottorati industriali, agiranno da supporto alle imprese del territorio, alle imprese esistenti e alle nuove imprese del territorio, per agevolare il trasferimento tecnologico, puntando su collaborazione sempre più forte tra università, enti di ricerca e imprese.

Insomma, Presidente, io spero che, con le riforme che noi stiamo facendo, con questa legge di iniziativa parlamentare, all'accesso al mondo accademico, alle carriere del mondo accademico, e con i fondi del PNRR, noi riusciremo nei prossimi anni a rilanciare la ricerca italiana e a superare quello che è un paradosso, oggi. Oggi l'Italia - lo diceva un collega, non ricordo chi, prima - è nel paradosso per cui, da una parte, contribuisce con più soldi di quanti soldi riesce a vincere dai fondi di ricerca europei, ma, dall'altra, sappiamo che in molti Paesi europei, chi vince, penso al Regno Unito, penso alla Germania, molti dei ricercatori e degli scienziati che sono in quei Paesi e che vincono i fondi di ricerca europei, sono italiani, sono cittadini italiani, sono docenti italiani, sono ricercatori italiani. Io spero che con queste due riforme noi riusciremo a superare questo paradosso (Applausi dei deputati del gruppo Italia Viva).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole D'Ettore. Ne ha facoltà.

FELICE MAURIZIO D'ETTORE (CI). Grazie, Presidente. Sottosegretario, se ci può seguire, grazie, visto che è in Aula a rappresentare il Governo. Premetto che il provvedimento avrà il voto favorevole di Coraggio Italia, ma che proporrò alcuni rilievi critici, che non possono non essere proposti. Innanzitutto, mi permetto di evidenziare che un provvedimento di questo tipo avrebbe dovuto vedere in Aula la presenza del Ministro dell'Università e della ricerca, con tutto il rispetto per lei, sottosegretario. Ho visto che era presa anche da altre questioni, finora. L'università e la ricerca - e questo è uno dei primi provvedimenti che tratta di questa materia, anche se è di iniziativa parlamentare - è uno dei temi fondamentali anche nel PNRR. Se nessuno lo ricorda, lo farò io. Il collega Ungaro lo ha appena accennato. Prima, nel gruppo di Forza Italia a cui appartenevo, più volte l'ho fatto presente anche nei lavori di Commissione, l'ha fatto presente anche il gruppo di Forza Italia. E quindi lo dico, lo riconosco, anche perché è un lavoro che ho fatto anch'io. È un tema centrale, la ricerca; è un tema fondamentale, quello del reclutamento; è un tema decisivo, quello del rapporto con il Governo; è un tema ineludibile, la presenza del Ministro in queste situazioni. Perché il Parlamento lavora, si avvale dei supporti tecnici, ma lo fa in una relazione diretta con il Governo, così come facciamo con tutti i Ministri del Governo Draghi. E lo facciamo in maniera costruttiva. Per cui mi permetto, sottosegretario, tramite lei, di esortare il Ministro ad essere presente anche durante le discussioni generali che riguardano provvedimenti di questa portata, come questo, che reca “Disposizioni in materia di attività di ricerca e di reclutamento dei ricercatori nelle università e negli enti pubblici di ricerca”.

Perché mi permetto di dire questo, con tutto il rispetto per lei, sottosegretaria, qui presente, e per il Ministro? Perché questo tema non si affronta solo sul piano tecnico, non si affronta solo lontano dalle Camere, ma dentro le Camere, e deve essere affrontato con il dovere dell'attenzione alla ricerca che il Governo, insieme al Parlamento, deve avere, giorno per giorno. Infatti, le finalità del PNRR devono essere realizzate, e la sobrietà, lo stile, l'indirizzo che il Presidente Draghi ha dato in questo senso, penso che debbano essere da tutti seguiti, nella relazione con le Aule parlamentari, anche nella discussione generale, anche di lunedì, anche di domenica, se necessario, perché si sta trattando, come reca il provvedimento, di questioni molto rilevanti, che tutti i colleghi, sia di maggioranza che di opposizione, hanno ben evidenziato. E quindi auspico la presenza del Ministro a breve, durante la trattazione in Aula del provvedimento.

Ho sentito dire che il provvedimento non ha una visione organica, mi permetto di osservarlo anch'io: non c'è una visione organica. L'iniziativa parlamentare, per quanto apprezzabile, non ha affrontato tutti i temi che sono propri delle difficoltà in cui si trovano la ricerca e l'università italiana. Lo dico non da tecnico, da persona proveniente dall'università, e lo potrei fare, qualche volta parlo male di me stesso, e lo potrei fare tranquillamente, ma non lo faccio perché qui si svolge un lavoro di indirizzo politico, ma chiaramente ci vuole un approfondimento tecnico. I pareri che sono stati dati dalle Commissioni, e non solo, hanno evidenziato carenze del provvedimento, che sono state poi corrette. Ma una visione organica prevede che la ricerca e l'università siano affrontate complessivamente, non con ritocchi, non con elementi, non introducendo - come dicevano prima anche i colleghi di Fratelli d'Italia - le borse di ricerca, sovrapponendole ad altre entità e istituti di ricerca. La visione organica significa una capacità sistematica di affrontare le questioni, anche con riguardo al reclutamento dei ricercatori.

Ho sentito parlare della precarietà tutta determinata dalla “legge Gelmini”: non è vero, non è assolutamente vero. Ricordo che l'abilitazione scientifica nazionale è stata inserita dalla “legge Gelmini”, ricordo che le università hanno funzionato per anni con quella normativa, sulla base di correttivi che poi non hanno stravolto quella disciplina, che l'hanno mantenuta, anche nelle autonomie organizzative dei vari atenei. L'autonomia degli atenei - l'autonomia! - che è un tema che non va mai dimenticato quando si trattano questioni come queste, quando si parla di mobilità, dicendo: eh no, perché sennò, se ci sono i candidati interni, meglio la mobilità; partendo dal sospetto che tutto quello che viene fatto, sia fatto chissà per quale ragione. Ovunque ci sono distorsioni, ma attenzione a partire da un preconcetto sull'attività universitaria, a dire che tutti i migliori se ne vanno e che l'università… Ma chi li ha formati questi migliori? Chi li ha formati? L'università li ha formati. Attenzione quando si parla dell'università. La nostra università è fra le migliori università del mondo. Le nostre università lo sono. Le nostre università formano, poi c'è la necessità di comprendere che c'è un sistema produttivo ed economico che non risponde alle esigenze che nascono dalla capacità formativa dell'università, e non riescono a collocare coloro che escono dalle università. Ma non è vero che l'università crea solo precari! Non è vero che l'università crea solo persone non capaci! Non è un modo di parlare dentro le Aule parlamentari, di fronte a migliaia, milioni di laureati nel nostro Paese, che si sacrificano giorno per giorno e che hanno difficoltà nel lavoro, ma non per colpa dell'università, ma per altre carenze del sistema produttivo ed economico. Attenzione ai pregiudizi! Attenzione ai preconcetti! E, soprattutto, studiare - visto che parliamo di università -, studiare il tema dell'università prima di parlare e di esprimere giudizi.

Ho sentito anche dire da qualche collega: qualcuno lavorava per me con gli assegni di ricerca. Non lavora per te! Non lavora per te, lavora per l'università chi fa gli assegni di ricerca, chi si impegna nei dottorati, chi si impegna, nella sua vita, a fare il ricercatore, a fare l'attività di ricerca, a produrre, a essere valutato, più volte, in più momenti. E quindi facciamo attenzione a quello che diciamo quando parliamo, a coloro che si specializzano, a coloro che, con il dottorato di ricerca e l'attività post-dottorato, si propongono ai concorsi universitari, e lo fanno con coscienza, con dignità, con preparazione, con formazione. Ogni norma viene commentata: facciamo questo perché prima c'era una situazione, perché prima facevano delle cose sconce. Non è vero!

E i settori della ricerca e dell'università si affrontano con rispetto, considerazione e conoscenza dell'università e della ricerca nel nostro Paese. Lo abbiamo dimostrato anche in questo periodo di pandemia. Abbiamo qui il Presidente che è un farmacista, che ha contatti continui - mi permetto, Presidente - con il mondo universitario e della ricerca nel campo farmaceutico, conosce il valore della ricerca italiana in materia e sa benissimo di che cosa sto parlando. Quindi, prima ancora di entrare nel merito, partiamo dal presupposto di considerare e rispettare il lavoro dell'università e della ricerca italiana, che è fra le prime nel mondo in più settori, prima di dire che tutto va male e che tutto è sbagliato, compresa la riforma Gelmini. Attenzione quando ne parliamo, attenzione perché per tante questioni ha avuto ottimi risultati e ha consentito all'Università di fare molto, a partire dall'abilitazione scientifica nazionale.

È chiaro che se si parla del reclutamento, in particolare dei ricercatori, può essere una ragionevole soluzione - si dice ragionevole, in questo caso, perché non c'era l'ingiusto prima e il giusto, ora, e ho usato apposta questo termine - prevedere una unificazione dei rapporti rispetto a quelli di tipo A e di tipo B; può essere ragionevole. Tuttavia, in caso di unificazione, deve essere anche considerato, nel processo che porta i soggetti che partecipano ai concorsi da ricercatore a diventare ricercatori, ciò che poi determina la carriera di questi soggetti, vale a dire le valutazioni interne che sono acquisite sulla base dell'abilitazione scientifica nazionale, sulle quali bisogna sicuramente determinare un approccio diverso. Così come sicuramente vanno elevati la capacità formativa e il profilo formativo del dottorato di ricerca e lo sbocco come titolo, affinché siano privilegiati e preferiti i dottori di ricerca all'interno delle pubbliche amministrazioni. Tuttavia, tutto questo va fatto con un complesso di norme che riguardino anche gli associati e gli ordinari e che riguardino anche gli istituti di ricerca e gli enti di ricerca, così come accennato nella disciplina. Ciò si fa con un provvedimento sistematico e organico, per cui il Governo e il Ministro, sollecitati da questo provvedimento, dovrebbero a breve, in un dialogo con le Commissioni competenti e con il Parlamento, proporre una riforma complessiva adeguata anche alle istanze del PNRR. Ce lo aspettiamo dal Governo e ce lo aspettiamo dal Ministro competente perché questo lavoro deve essere fatto insieme, comunemente tra il Parlamento e il Governo perché questo è un tema centrale per la ripresa del Paese. Sì, la ricerca e l'università sono temi centrali, non solo per l'identità italiana, ma per la capacità e la forza di prospettiva che al rilancio economico e alla ripresa del Paese può dare la ricerca italiana, tra le prime nel mondo in tanti settori, ricordiamocelo sempre.

L'università è fondamentale in questo meccanismo formativo che passa non solo dalle figure o figurine; non è quello il tema. Il tema è come affrontare le istanze, le richieste del mondo della ricerca attraverso un'organizzazione universitaria che, anche nel reclutamento e nella formazione, sia adeguata e capace di rispondere alle sfide di questo secolo e alle sfide del post pandemia. Questo è un tema decisivo, di prospettiva, di politica, di indirizzo politico. Il Presidente Draghi spesso ce lo ricorda, ma i singoli Ministri devono attuare questo indirizzo, nella sinergia con l'attività, in materia, di matrice europea perché dobbiamo adeguarci molto alle richieste e alle esigenze del sistema europeo della ricerca.

È vero, come diceva anche il collega Ungaro, che vengono comunque mantenute norme transitorie che consentono, non di smaltire, perché il termine è sbagliato, ma una adeguata partecipazione di soggetti che già si sono formati rispetto alle nuove regole. Diciamo, una norma transitoria dovuta o, meglio, un regime transitorio - che poi tanto transitorio non è perché è abbastanza lungo - che consente anche di far fronte alle immediate richieste ed istanze di giovani ricercatori che vedono nello sbocco universitario l'esito di anni di studio, ai quali non si possono non dare delle risposte.

Ma il sistema che è stato messo in piedi è efficace? Io ho fatto i concorsi universitari, li ho fatti tutti, partendo dal dottorato, al post-dottorato, fino all'attività di ricercatore, di professore associato e ordinario; li ho fatti tutti i concorsi, perché si facevano tutti, quindi so bene. Poi li ho fatti, io, come membro di Commissione e so la delicatezza e l'importanza dello svolgimento di quell'attività, le attese, le prospettive e anche i sogni di tanti ricercatori. L'Italia è piena di persone preparate, capaci e già formate. Questo è un sistema efficace? Questo è un sistema che consente di avere i migliori? Si parla sempre dei migliori e abbiamo visto, in tanti casi, come sono migliori. I migliori, certo, i migliori e il merito. Siamo così convinti di questo sistema di reclutamento? Della mobilità senza incentivi, come diceva la collega di Fratelli d'Italia, o il sistema delle borse di ricerca? Gli anni di attesa prima di potere eventualmente accedere, se facciamo il conto, si prolungano e non si accorciano; sì, se facciamo il conto si prolunga l'attesa perché non c'è una necessità immediata e si può aspettare mentre prima non si poteva aspettare. Allora, questo sistema di reclutamento dei ricercatori non sono così convinto che sia il migliore possibile. Come ho detto prima, l'appartenenza convinta a questa maggioranza mi porta a votare questo provvedimento e questo non è in discussione. Tenteremo di modificarlo e siamo pronti, sottosegretario, nel dialogo con il Governo, a trovare ulteriori, non solo correttivi, ma norme di sistema che aiutino al favorire il reclutamento dei migliori, ad aumentare il livello della ricerca e della qualità della ricerca nel nostro Paese, già alta.

Sentiamo sempre parlare di fuga dei cervelli, di questa fuga dei cervelli, ma tanti cervelli sono rimasti Italia; sì, c'è stata una fuga, ma qualcuno è rientrato. A un certo punto, quando ero nel mio dipartimento, avevo un cervello che usciva e un cervello che entrava e diventava una cosa complicata. Credo che un efficace sistema di reclutamento debba essere rimesso a valutazioni periodiche, indipendenti e terze, lì è il punto, esterne rispetto alla carriera propria, senza imporre mobilità straordinarie, se una persona riesce. Io non l'ho mai fatto, io la mia carriera l'ho fatta girando tutta Italia. Ma se qualcuno è capace di farla facendo i concorsi presso una sede universitaria, ciò vuol dire che non sia preparato? Ciò vuol dire che bisogna far venire qualcun altro da fuori perché è meglio? Facciamo lo scambio dei posti e delle zone? Attenzione a questi sistemi, attenzione a come sono congegnati perché poi possono creare effetti diversi da quelli attesi. Un sistema che funzioni in maniera corretta è un sistema che consente la formazione iniziale attraverso il dottorato di ricerca e le borse, anche se secondo me sono un doppione, e altre attività di ricerca. Non criminalizziamo gli assegni di ricerca.

Vi potrei fare tanti esempi di assegnisti di ricerca che hanno poi fatto splendide carriere universitarie nella ricerca, persone di primissima qualità. Quindi, non criminalizziamo gli istituti esistenti, che hanno consentito la formazione. Certo, un limite temporale per gli assegni di ricerca, ma il tema è come affrontare la fase formativa con soggetti che già hanno delle attitudini, perché non è che si diventa bravi nella ricerca, si diventa bravissimi, per esempio, in fisica o in un altro settore solo se si fa una bella formazione, ci sono delle attitudini. Pensiamo alle attitudini di ognuno, alle capacità personali - il merito è questo -, a cui si unisce la formazione continua, l'alta formazione, che può servire per l'università, per la ricerca, ma può essere anche un dono alle altre amministrazioni, alle altre pubbliche amministrazioni, che si servono dell'alta formazione e dell'università, che si possono servire in prospettiva. Quindi, formare persone che hanno già, per le loro attitudini, per le proprie capacità, sicuramente una forte prospettiva di carriera, ma aiutarle anche a costruire un profilo che può essere utilizzato nell'università, nella ricerca, ma anche in altri settori della pubblica amministrazione, in una continua sinergia. Perché la ricerca, l'università sono questo: formazione, ma anche costruzione di profili che possono essere, ho usato la parola, “donate”, ma secondo lo spirito del dono, che è qualcosa di diverso dalla semplice gratuità. Non vi è gratuità nell'attività dello Stato, ma vi è solidarietà e capacità di sviluppo e di formazione dei singoli, individualmente e nelle formazioni sociali, come dice la nostra Carta costituzionale, da cui possiamo trarre spunto anche sulla ricerca: le norme sono chiare, è una delle poche Costituzioni che ha immediatamente individuato questo tema e lo ha trattato.

Poniamoci in questo clima, che esiste, collaborando con l'opposizione. Ho sentito dagli interventi Fratelli d'Italia spunti sicuramente interessanti e, allora, perché insieme non possiamo, con il Governo, con il Ministro competente, pensare a questo momento della ricerca, che è il momento fondamentale, quello formativo, in vista della prospettiva universitaria e, quindi, dell'ulteriore ricerca, della formazione ancora più alta, ma anche del sostegno della pubblica amministrazione, del mondo dell'impresa attraverso il lavoro così importante che fa già l'università? Questa è la mentalità da cui partire, questo è il modo di pensare che noi dobbiamo avere, che a me viene dalla mia esperienza universitaria, dove ho visto tantissimi giovani, anche con modelli di reclutamento non del tutto perfetti, comunque riuscire ad affermarsi, in Italia e all'estero; giovani di grandissima qualità e capacità che, anche oggi, stanno dimostrando la loro capacità in tutti i settori in cui sono chiamati a rispondere per lo Stato e per l'Italia, in Italia e all'estero.

Allora, se noi riusciamo a entrare in questo spirito, in questa connotazione dell'università e della ricerca, a voler bene, ad amare l'università e la ricerca come luogo che costruisce, come luogo che dona allo Stato e che crea prospettiva, valori, allora noi riusciamo a creare un sistema organico che non deve solo produrre, ma deve creare, sviluppare, aiutare le intelligenze, in quell'equilibrio, in quell'uguaglianza sostanziale che la nostra Costituzione ci ricorda sempre, consentendo a tutti parità di condizioni di accesso e capacità di poter realizzare le proprie aspettative, attitudini, sogni in un ambiente sano e costruito per la formazione, per l'alta formazione, per la ricerca, per l'approfondimento tipico della ricerca e per la pazienza che la ricerca richiede nel fare questo. Tutto ciò non lo possiamo fare solo come parlamentari. Io apprezzo il lavoro che tanti colleghi hanno fatto: io non ho partecipato a questo lavoro perché, prima, ero in Commissione bilancio e, poi, in Commissione affari costituzionali però, in Commissione affari costituzionali, sui pareri sono intervenuto e, quindi, apprezzo il lavoro che la Commissione competente ha fatto.

Ho posto delle critiche, ma anche di sistema, di ratio complessiva, perché io non credo ai provvedimenti limitati, settoriali, tipizzati su alcune esigenze. L'università e la ricerca - lo ripeto ancora - hanno bisogno di provvedimenti di ampio respiro, non di mediazioni tra i vari progetti di legge, con tutto il rispetto per chi l'ha presentati e per il lavoro fatto, che è comunque un punto di partenza. L'università ha bisogno di sistema, di capacità di prospettiva, è un tema serio, centrale per il nostro Paese e, quindi, il Ministro competente, ancor più di qualsiasi altro Governo degli ultimi anni, ha un ruolo decisivo di impulso, che non è limitato all'organizzazione universitaria e all'attività, ma che parte dall'esigenza di un Paese che deve riprendersi, ripartire e che ha bisogno della ricerca e dell'università per avere questo ruolo in Europa e nel mondo sempre più importante, sempre più qualificato, perché la sfida, oggi, è quella dell'innovazione tecnologica, della ricerca, delle intelligenze. E chi, se non l'università e la ricerca, deve garantire questo? E il Governo deve prendersene carico insieme alle Aule parlamentari, perché il corpo elettorale lo rappresentiamo noi.

Presidente, come sempre ci ha insegnato anche il Presidente che è stato mio collega del gruppo di Forza Italia, nelle Aule parlamentari non si media solo il consenso, ma si realizzano gli interessi nazionali e si realizzano provvedimento per provvedimento, atto per atto. Questo provvedimento, in quest'Aula, sicuramente alcuni obiettivi li consegue. Dobbiamo fare altro e mi scusi, sottosegretario, se mi sono rivolto più volte a lei esortando la presenza del Ministro, ma penso che abbia compreso quale è lo scopo del mio intervento e dell'intervento del gruppo di Coraggio Italia: quello di stimolare questa attività di relazione con le Aule parlamentari, in un progetto sistematico, organico, complessivo, immediato, che risponde immediatamente alle esigenze del Piano nazionale in materia, che non è solo riferito alla parte economica, ma è riferito anche alle parti proprie dell'università e della ricerca, per consentire al Paese di avere una strumentazione e una serie di persone e di risorse umane capaci di affrontare le sfide che avremo da qui fino ai prossimi anni, per almeno i prossimi dieci anni, perché questo è l'orizzonte temporale a cui dobbiamo riferirci.

E per fare questo non bastano i provvedimenti singoli, quelli che spesso io chiamo le monadi provvedimentali o le leggi che rischiano di diventare leggi provvedimento o che confinano con la legge provvedimento, ma leggi di respiro sistematico, che danno finalmente ai giovani ricercatori il segno che lo Stato, il Governo, il Parlamento, la compagine statuale nel suo complesso risponde con prontezza e con fiducia, nelle capacità dei nostri giovani e nel loro impegno quotidiano, ovunque ciò venga posto in essere, soprattutto, nelle aule universitarie, negli istituti di ricerca, ovunque i nostri giovani si impegnino con questa prospettiva. Diamogli una risposta, diamogli questa risposta, ma lo deve fare il Governo insieme a noi. Coraggio Italia è pronta e disposta a fare la sua parte. Il nostro voto sarà favorevole, in dichiarazione di voto sarà ribadito, ma ciò non ci esime dal fare delle critiche sulla ratio, sul modo con cui è costruito il provvedimento, perché vogliamo dare il nostro contributo costruttivo alla migliore risposta del Paese nel tema dell'università e della ricerca e, soprattutto, alla migliore risposta del Parlamento, la cui centralità non può essere messa in dubbio da nessuno, anche su questo tema (Applausi dei deputati del gruppo Coraggio Italia).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche – Testo unificato - A.C. 208-A​)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore onorevole Melicchio.

ALESSANDRO MELICCHIO, Relatore. Grazie, Presidente. Intervengo solo brevemente, per ringraziare i colleghi che sono intervenuti. Questo è un tema complesso, molto tecnico, però la VII Commissione ha avuto il coraggio di affrontarlo con delle iniziative parlamentari. Su questo provvedimento il Parlamento torna a essere veramente centrale, e di questo vado orgoglioso, come membro della VII Commissione. Ringrazio anche la Ministra, che ha partecipato non solo alle riunioni della Commissione in seduta plenaria, ma anche ad alcune riunioni del comitato ristretto. Quindi, l'attenzione è stata veramente alta e c'è stato un clima di collaborazione. È un progetto organico, secondo me; stabilisce una progressione di carriera all'interno delle università e armonizza la selva contrattuale che attualmente è in vigore.

Quindi, volevo replicare brevemente ad alcuni interventi solo per dire che le borse di ricerca sostituiscono uno strumento che già esiste oggi, che sono le borse di studio per attività di ricerca, che sono sostanzialmente deregolamentate. Quindi, non è un vero e proprio nuovo strumento, ma è uno strumento che sostituisce un altro e lo va a regolamentare in maniera più definita.

Sulla chiamata diretta, questione che poneva la collega di Fratelli d'Italia, la quale chiedeva un chiarimento fra concorso e chiamata diretta, faccio presente che la chiamata diretta è subordinata al superamento di un concorso da ricercatore e l'assunzione in ruolo è vincolata a un'ulteriore valutazione.

Sulla norma della mobilità abbiamo trovato un equilibrio. Siamo partiti da una norma più rigida e abbiamo trovato questo equilibrio che consente a tutti di partecipare a tutti i concorsi e pone tutti nelle condizioni di fare mobilità oppure, se non la si vuole fare, si ha comunque la possibilità di fare carriera universitaria.

Si stabilisce, poi, uno standard di formazione delle commissioni concorsuali. Avremo delle commissioni concorsuali al di sopra di ogni sospetto e lo andiamo a fare con una normativa nazionale. L'Anac, nel novembre 2017 - e concludo, Presidente -, fece una delibera in cui lamentava la carenza di normativa nazionale sul tema dei concorsi universitari. Con questo provvedimento, noi andiamo a rispondere anche a quelle criticità. Cambiamo le regole. Serve anche il finanziamento, per ridurre il precariato, però non ce ne dimentichiamo, perché il PNRR richiama continuamente misure che andiamo a introdurre con questo provvedimento. Poi, un Piano straordinario di assunzione: l'abbiamo cominciato nel 2018 e abbiamo intenzione di proseguirlo.

PRESIDENTE. Prendo atto che la rappresentante del Governo rinunzia alla replica.

Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione della proposta di legge: S. 728 - D'iniziativa dei senatori: Vallardi ed altri: Norme per la valorizzazione delle piccole produzioni agroalimentari di origine locale (Approvata dal Senato) (A.C. 2115-A​) (ore 15,25).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge, già approvata dal Senato, n. 2115-A: Norme per la valorizzazione delle piccole produzioni agroalimentari di origine locale.

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta dell'11 giugno 2021 (Vedi l'allegato A della seduta dell'11 giugno 2021).

(Discussione sulle linee generali – A.C. 2115-A​)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Il presidente del gruppo parlamentare MoVimento 5 Stelle ne ha chiesto l'ampliamento.

La XIII Commissione (Agricoltura) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire, in sostituzione del relatore, il deputato Gallinella, presidente della Commissione.

FILIPPO GALLINELLA, Presidente della XIII Commissione. Grazie, Presidente. Ho l'onore di sostituire un collega che ha avuto problemi personali, ma è una tematica che noi, come Commissione, conosciamo bene e abbiamo seguito, perché il tema della valorizzazione dei prodotti è sempre un mainstream tutti i giorni, di tutte le forze politiche. Io lo voglio ricordare: noi, in Europa, abbiamo il regolamento (UE) n. 1151/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, che disciplina i regimi di qualità dei prodotti alimentari. Ovviamente, sappiamo benissimo che parliamo delle denominazioni di origine, delle DOP, delle IGP e anche delle STG, che sono meno conosciute. Infatti, rispetto alle centinaia di DOP e di IGP, abbiamo solo 3 STG. A questi - lo voglio ricordare - si collega un'altra categoria di prodotti, che sono i PAT, le produzioni agricole tradizionali. Troviamo un elenco, nel sito del MiPAAF, di questi prodotti, che tutti gli anni viene comunque aggiornato. Poi abbiamo introdotto - lo voglio ricordare - già nella passata legislatura un'indicazione, che è il prodotto di montagna. Questo nasce anche da uno spirito europeo di valorizzare quei prodotti fatti ad una certa quota, dove ovviamente è tutto più difficile e tutto più complicato.

Lo voglio ricordare: nel passato è stata fatta anche una modifica al testo unico degli enti locali introducendo le Deco, le famose denominazioni comunali, dove con la deregolamentazione i comuni possono nel loro territorio riconoscere taluni prodotti quantomeno per valorizzare le promozioni turistiche e questi spaziano anche oltre i prodotti agroalimentari. Tra l'altro, quest'Aula ha licenziato - oramai un po' di tempo fa; è al vaglio del Senato - una proposta, che sintetizzo, per quanto riguarda il chilometro zero e la filiera corta, introducendo anch'essa un logo. Tutto questo spirito è per far dire al consumatore che, nella grande possibilità di scelta rispetto all'acquisto di prodotti agroalimentari - al di là dell'esistenza delle dominazioni di origine, che sono la punta di diamante anche per l'export -, in questo caso esiste qualcosa, fatto nell'intorno, fatto di piccole produzioni, fatto da artigiani, che si vuole far riconoscere, al di là del prodotto di massa. La proposta che andiamo a discutere oggi, ovvero piccole produzioni locali, che nasce da uno spirito che ha avuto sia la regione Veneto sia la regione Toscana, vuole fare qualcosa del genere. Le piccole produzioni locali sono quelle produzioni fatte in determinate situazioni, in determinati contesti, in piccole produzioni. Infatti, nell'articolo 1 le andiamo a disciplinare. Io voglio ricordare solo il comma 2, lo leggo per completezza: piccole produzioni locali, ossia quei “prodotti agricoli di origine animale o vegetale (…) destinati all'alimentazione umana, ottenuti presso un'azienda agricola o ittica, destinati, in limitate quantità (…) al consumo immediato e alla vendita diretta al consumatore finale nell'ambito della provincia in cui si trova la sede di produzione (…)” o in quella contigua. Viene anche definito dalla proposta di legge il limite entro il quale questi prodotti possono essere commercializzati. Ovviamente, il soggetto è l'imprenditore agricolo o ittico, questo lo troviamo all'articolo 2. Questo, come ho detto, è un provvedimento che proviene dal Senato e la Commissione agricoltura è voluta intervenire - lo voglio ricordare - all'articolo 4, dove praticamente si sostituisce la tematica del marchio con il logo solo per essere in linea con le scelte che il legislatore ha già fatto nel passato, e mi riferisco all'indicazione del prodotto di montagna o al chilometro zero o alla filiera corta, perché chiaramente la gestione di un logo è molto più facile rispetto alla questione di un marchio, che prevede iter autorizzativi un po' diversi e prevede anche una spesa. In questo articolo 4, inoltre, il proponente vuole coinvolgere le scuole con un concorso di idee. Quindi, sicuramente è un percorso che vuole, in qualche modo, coinvolgere anche i giovani.

Poi abbiamo una serie di articoli, che sono il 6 e il 7, chiaramente che richiamano un'affinità in proposte di legge che questa Camera ha già licenziato, le ho ricordate prima: quella sul chilometro 0 ma anche quella sull'agricoltura contadina. Certo è che per talune condizioni, per talune produzioni e per talune caratteristiche ambientali forse bisogna rivedere qualche normativa un po' troppo stringente, perché altrimenti, alla fine, avremo solo prodotti omogenei. Per questo, senza abbassare i controlli e nel rispetto di tutte le normative, si delegano le regioni a provvedere - e eventualmente a indicare - quali sono quelle semplificazioni atte a talune situazioni.

Poi è importante l'articolo 9, che riguarda la formazione. Si introduce il concetto di fare un paniere di questi prodotti che possa essere pubblicizzato, in similitudine rispetto alle produzioni agroalimentari tradizionali, sul sito del Ministero. C'è tutto un capitolo relativo - agli articoli 10 e 11 - ai controlli e poi ci sono le sanzioni. Ovviamente, questo provvedimento non prevede oneri significativi. Crediamo che l'iter in Aula sarà abbastanza semplice e facile, anche perché in Commissione sono state pochissime le modifiche, proprio di ritocco formale, a un testo che vede, in linea con quanto ho accennato, una valorizzazione di talune produzioni che solitamente il consumatore ha sempre in mente di acquistare, anche per raccontare una storia del territorio, e noi gli vorremmo dare quelle condizioni per acquistare un prodotto che dietro ha una storia. Questo è un po' lo spirito che porta avanti questa proposta di legge, come in tutti quegli interventi, che questo Parlamento ha fatto sempre all'unanimità, come ho visto, sulla valorizzazione dei nostri prodotti.

L'Italia ha tanti colori e anche tanti difetti, perché, quando ci sono tante produzioni che non si riescono a gestire e a valorizzare, al di là delle nostre punte di diamante che sono sempre le denominazioni di origine, ci sono anche questi produttori che raccontano la storia di un territorio, magari piccolo e conosciuto, legato al turismo e alla ripresa anche di questo percorso, che ci auguriamo l'Italia possa portare avanti, ricordandosi di queste realtà che si inseriscono in questa proposta di legge.

PRESIDENTE. La rappresentante del Governo si riserva di intervenire successivamente.

È iscritta a parlare l'onorevole Ciaburro. Ne ha facoltà.

MONICA CIABURRO (FDI). Grazie Presidente, membro del Governo, colleghi, ci troviamo davanti ad un provvedimento, approdato all'esame del Parlamento nel 2018 quasi ad inizio legislatura, che è riuscito a superare, non con poca fatica, quelle forche caudine della navetta parlamentare, arrivando all'esame dell'Aula in cui ci esprimeremo con un voto nella giornata di domani. Il testo che ci troviamo di fronte recupera l'esperienza virtuosa di alcune regioni - come ha già anticipato, precedentemente, il presidente della XIII Commissione, Gallinella -, la cui legislazione territoriale permette la vendita di piccole quantità di prodotti provenienti da produzioni locali e territoriali.

Il provvedimento è articolato e sufficientemente chiaro ai fini della sua applicazione sin dal suo articolo 1 che spiega l'ambito applicativo delle piccole produzioni locali o, come ci siamo trovati a chiamare, PPL - che sarà il richiamo anche nel logo - e cita testualmente: “Si definiscono i prodotti agricoli, di origine animale o vegetale, primari o ottenuti dalla trasformazione di materie prime derivanti da coltivazione o allevamento svolti esclusivamente sui terreni di pertinenza dell'azienda, destinati all'alimentazione umana, ottenuti presso un'azienda agricola o ittica, destinati, in limitate quantità in termini assoluti, al consumo immediato e alla vendita diretta al consumatore finale nell'ambito della provincia in cui si trova la sede di produzione e delle province contermini”.

Specificare bene l'ambito di applicazione di questa proposta di legge è certamente l'occasione per tutte quelle aree più marginali, montane, più isolate che però hanno una ricchezza di produzioni, magari molto piccole, e che rappresentano tradizione, cultura e identità di quei territori. Quindi, come Fratelli d'Italia, da subito ci siamo trovati in accordo e abbiamo collaborato al testo approvato unanimemente al Senato, proprio perché cerca di recuperare queste terre e mai come oggi sappiamo quanto lo spopolamento di quelle aree vada a determinare, al di là dei costi aggiuntivi anche per i cittadini di tutta Italia, l'abbandono di quel territorio, quindi il controllo di quel territorio. Questo strumento rappresenta, quindi, l'occasione per promuovere la coltura di queste terre, l'allevamento sulle stesse, il ripopolamento di queste aree nonché il mantenimento di quelle aziende agricole che già duramente provano a viverci.

Però non ci dobbiamo nascondere, nel senso che questo è uno strumento: può rappresentare certamente uno strumento virtuoso per queste terre, ma non dobbiamo dimenticare tutto quello che ci sta intorno. Quindi, vado a definire la ragione per cui svolgo questo ragionamento che nasce dal fatto che abbiamo problemi sotto gli occhi di tutti, denunciati da tutte le associazioni di categoria, dagli agricoltori e dagli allevatori, ma rispetto ai quali sembra che il Governo, le varie Commissioni e quindi l'Aula non approdino mai a definire il problema, riconducibile alla gestione di quel fenomeno, per cui la fauna selvatica determina l'impossibilità di portare avanti le produzioni di queste aziende agricole.

Per fare un esempio concreto, con riferimento a tutti quegli allevatori che insistono sulle alte terre con i loro alpeggi e si ritrovano, durante l'estate, attaccati dai lupi che continuano a riprodursi facilmente, sarebbe il caso di trovare una soluzione per gestire questo fenomeno che crea tantissimi problemi al territorio, ma soprattutto all'uomo che quel territorio vuole continuare a viverlo con attività che sono assolutamente riconducibili ai nostri antenati. Credo che la legge n. 157 del 1992 abbia bisogno di una modifica, tant'è che, in Commissione, anche noi, come Fratelli d'Italia, abbiamo presentato una proposta a prima firma dell'onorevole Caretta e ci auguriamo che non si chiudano gli occhi, ma si prendano provvedimenti per aiutare, oltre che con provvedimenti di legge, tipo quello che stiamo discutendo oggi, anche con la serietà, la concretezza, la pragmaticità rispetto ai bisogni degli allevatori e degli agricoltori. Faccio un esempio che è sotto gli occhi di tutti (lo possiamo riscontrare anche a Roma ormai), quello dei cinghiali. Laddove ci sono queste piccole produzioni, è bello andare a dire che vorremmo recuperarle, che vogliamo stimolarle, incentivarle e promuoverle con una legge apposta per loro, ma, se poi arrivano questi cinghiali, chiaramente, mangiano tutto ciò che di erba possono trovare. Questo crea l'impossibilità del recupero, ma soprattutto la perdita di colture che sono assolutamente storiche, di tradizione e che magari adesso sono gestite a livello familiare. Chiedo a quest'Aula, a lei Presidente, e soprattutto al rappresentante del Governo di farsi portavoce rispetto ad un'attenzione ai veri problemi che avvertono i cittadini in tutta la nostra Italia; questi strumenti ovviamente ci vedono tutti uniti, vicini e concordi rispetto a quella che potrà essere sicuramente e certamente un'occasione, ma quell'occasione potrebbe poi risultare persa, se, a livello legislativo, non prestiamo attenzione ai problemi che colpiscono tutte queste terre. In questa proposta di legge si disciplinano tutte le finalità: i principi della salubrità, della localizzazione e della limitatezza. Chiaramente stiamo parlando di colture, di allevamenti e di aziende agricole in produzioni limitate, produzioni che magari sono state accantonate in virtù e in ragione del fatto che sono limitate; invece, qui, diventano un valore aggiunto, quel valore che va a determinare un prodotto raccolto, trasformato e poi reso fruibile al consumatore, un consumatore diretto sul campo, molto legato anche al turismo locale, di tradizione, dei nostri borghi. Sono quei prodotti che non si ritrovano altrove, ma che si devono consumare sul posto. Questo è un valore aggiunto, un legame molto bello che si crea con il turismo dei nostri borghi, delle nostre aree montane, di quelle aree che, magari, nessuno conosce, ma che, attraverso paesaggi straordinari, territori meravigliosi e le sensazioni del gusto, del palato, della vista, vanno a creare quell'emozione che a sua volta crea il ricordo nel turista, come, di fatto, ha detto poc'anzi anche il presidente Gallinella.

Quindi, credo che un grande spazio sarà lasciato anche alla normativa ministeriale che dovrà necessariamente dare attuazione a tutto questo. Me ne rendo conto: è un provvedimento molto ricco e impegnativo, soprattutto per delineare le ricadute puntuali senza creare corti circuiti.

Con riferimento all'articolo 12 relativo alle sanzioni, i controllori dovranno avere un certo approccio non nei confronti delle aziende, ma nei confronti delle produzioni che sono familiari e tradizionali per quanto riguarda l'elaborazione e la trasformazione di questi prodotti finali. Occorrerà vigilare che i disciplinari di sicurezza alimentare vengano fatti rispettare, sia per gli immobili dove saranno conservati gli alimenti, che nelle parti relative ai corsi di formazione, cercando, ove possibile e necessario, armonia e dialogo con quelle regioni che hanno già legiferato in materia di produzioni locali.

Su questo forse sarà utile ed opportuno rifarsi alle esperienze di due regioni, che tra tutte hanno una disciplina alquanto già dettagliata in materia, ad esempio il Veneto e il Friuli-Venezia Giulia. Fratelli d'Italia - lo abbiamo ribadito - sta facendo un'opposizione responsabile e patriottica, appoggiando tutto ciò che può essere utile alla nostra Italia e ai nostri italiani e tutti quegli atti che sono giusti e possono essere un'occasione virtuosa sul territorio, contrastando invece quelli che non fanno gli interessi dei cittadini. Però non basta che la maggioranza proponga o voti a favore di questo genere di provvedimenti, che poi ci vedono tutti concordi nell'approvarli, vogliamo però garanzie che il comparto agroalimentare italiano venga difeso dai continui assalti d'oltrefrontiera, che mirano a degradare la qualità dei nostri prodotti.

Ben vengano queste leggi, dunque, ma ci serve una chiara ed inequivocabile difesa del made in Italy, dei nostri prodotti dalle etichettature francesi - per cui il cibo sintetico o in scatola è più salutare di un hamburger di fassona - oppure dei nostri vini - da quelle bevande che vorrebbero chiamare tali, ma che di vino non hanno assolutamente nulla, annacquate e dealcolizzate, che propongono a Bruxelles - oppure della nostra dieta mediterranea, che è da difendere da quelle che sono le nuove diete new age a base di insetti.

Ecco, ben vengano dunque queste leggi, ma ben vengano anche delle risposte da questo Governo che deve ergersi a difesa del nostro Paese in tutte le sue articolazioni. Quindi, questa è chiaramente una proposta che ci vede molto favorevoli, proprio per l'occasione che va a determinare in quei territori, anche in considerazione di tutto quello che potrebbe essere uno sviluppo, ma se non ragioniamo anche su tutto quello che serve, a 360°, per difendere il made in Italy, per difendere le nostre terre e soprattutto i nostri agricoltori ed allevatori, chiaramente questo non può bastare (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Occhionero. Ne ha facoltà.

GIUSEPPINA OCCHIONERO (IV). Grazie, Presidente. Innanzitutto, vorrei iniziare facendo una considerazione su una questione di metodo, che ha visto l'esame e la discussione di questo provvedimento al Senato, dove è stato approvato in prima lettura in un clima di grande collaborazione, sia in Commissione sia in Aula, questo proprio a testimonianza del fatto che il tema che stiamo trattando - quindi quello delle piccole produzioni locali - è di interesse trasversale e dell'importanza quindi che l'agroalimentare ha nel nostro Paese, nella nostra Italia. Dunque, la presente proposta di legge, che istituisce - come è stato anche già detto - il marchio delle piccole produzioni locali rappresenta un'importante operazione che riguarda, da una parte, la qualificazione delle piccole produzioni, quindi dei piccoli imprenditori agricoli e, dall'altra, l'introduzione di alcune facilitazioni burocratiche per le piccole aziende. Quindi, si tratta di produzioni locali che saranno commercializzate nella provincia di produzione e in quelle immediatamente adiacenti. In fondo - lo sappiamo -, l'occasione è buona per ricordare quanto l'economia rurale rivesta nel nostro Paese un'importanza strategica proprio perché incide su diverse problematiche: innanzitutto, costituisce un valido argine, un freno, al problema dello spopolamento delle aree interne, che riguarda ahimè anche la mia regione, così come favorisce ed incoraggia il rilancio delle micro filiere territoriali e non solo, anche la manutenzione del territorio, che è la principale arma di contrasto al dissesto idrogeologico.

Dunque, il settore agroalimentare locale e tipico rappresenta uno dei pilastri decisivi e fondamentali per il rilancio del mondo rurale e una grandissima conseguenza e opportunità di sviluppo economico da non perdere. Le imprese agricole e agroalimentari, soprattutto quelle di dimensioni minori, che sono ubicate nelle zone più svantaggiate, quelle marginali, come per esempio quelle montane, vedono proprio nel prodotto tipico locale la possibilità di ritagliarsi uno spazio importante, una fetta di mercato che spesso verrebbe aggredita troppo facilmente anche dalla concorrenza spietata delle aziende agricole di più grandi dimensioni.

Dunque, il nostro Paese si caratterizza moltissimo per la presenza di numerose e straordinarie piccole produzioni alimentari tipiche di grande qualità, che rappresentano certamente un elemento di attrazione anche di turisti e visitatori. Da qui quindi l'importanza di valorizzare i prodotti locali e tipici, provenienti da quella filiera produttiva corta o cortissima e dalle piccole produzioni locali.

Questa proposta di legge rappresenta un buon punto di compromesso, anche grazie al lavoro svolto in Commissione al Senato. Si è lavorato moltissimo affinché ci fosse un giusto equilibrio perché si andasse dunque al cuore delle criticità, per avere una prospettiva di sviluppo anche per i territori più svantaggiati, come ho già detto. L'intento dovrebbe essere quello di rivolgersi prevalentemente alle aree interne, o a quelle comunque più fragili e più deboli del nostro territorio Paese. Dare un quadro normativo organico a questo settore economico alimentare vuol dire sicuramente investire in termini di sicurezza e di promozione turistica. Si parla spesso, anche in quest'Aula, di economia circolare e di superamento degli attuali cliché in materia di sviluppo economico, ecco questa è un'occasione per farlo. Le nostre piccole produzioni locali valgono moltissimo per rilanciare questo settore; non è quindi da considerarsi certamente un fenomeno di nicchia, o peggio ancora un segmento economico e produttivo in fase di declino, ma avere un'economia territoriale tipica e quindi di piccole produzioni può aiutare sicuramente a far uscire dalla marginalità alcune aree interne, soprattutto nel Mezzogiorno d'Italia.

Sono previste un'etichettatura e la promozione dei prodotti locali attraverso un paniere garantito da un marchio, che sarà portato avanti dal Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali e dal Ministero del Turismo. Tutto questo avverrà certamente in un contesto di assoluta compatibilità con la protezione delle denominazioni d'origine con le indicazioni geografiche protette e con le specialità tradizionali garantite, nonché con regolamenti comunitari che sovraintendono la materia. Sono garantiti da apposite linee guida, che verranno varate da un decreto, i requisiti strutturali, le garanzie di sicurezza del prodotto e l'attività di prevenzione e di formazione. È previsto un sistema di controllo e di sanzioni. Negli ultimi anni - lo sappiamo - l'enogastronomia è diventata centrale nella nostra economia anche nelle aspettative e nelle motivazioni stesse dei turisti, dei viaggiatori - e, soprattutto in questo momento, è necessario incoraggiare queste forme di turismo - ed è diventata una vera attrazione, capace di muovere per davvero un'ampia categoria di interessati e di persone. In questo modo, la piccola produzione locale è diventata certamente un punto d'incontro fondamentale tra il turista-visitatore, sempre più, come dire, desideroso di poter assaggiare prodotti tipici genuini, ed il territorio e le sue specificità. Ecco, valorizzare questa forma di incontro è uno degli obiettivi di questa proposta. E diventa certamente ancora più importante la proposta di legge di cui oggi discutiamo in un mondo globalizzato, come il nostro, nel quale è sempre più complesso e articolato garantire la filiera e la sua tracciabilità. Quella che ci apprestiamo a votare è dunque una proposta che mira a garantire - come abbiamo già detto - e a valorizzare, anche nella fase della commercializzazione, le piccole produzioni agricole, quindi è un obiettivo importante per l'Italia, che ha tanti prodotti piccoli, una vastissima gamma di biodiversità, che dobbiamo necessariamente tutelare, garantendone lo sviluppo e quindi anche il futuro. Pertanto, valorizzazione e promozione della produzione, oltre che nella trasformazione e nella vendita da parte degli imprenditori agricoli e ittici dei loro prodotti, anche - anzi, soprattutto - di quelle in quantità limitata, perché i prodotti che andiamo a tutelare sono ottenuti quindi - come è stato detto - da produzioni aziendali piccole, tutte riconoscibili attraverso una specificità indicata in etichetta - l'abbiamo anche già sentito dire dalla collega che mi ha preceduto -, tutto ciò, sempre attraverso il rispetto di principi che sono quelli della salubrità, della localizzazione, della limitata quantità e della specificità.

La legge poi disciplina - ripeto solo brevemente quanto è stato già detto - l'attività della vendita diretta, consentendo anche la commercializzazione di prodotti appartenenti ad uno o più comparti agronomici diversi da quelli dei prodotti dalla propria azienda, fermo restando che resta imperativo che essi siano stati direttamente prodotti dalla propria azienda o da altri imprenditori agricoli e che il fatturato derivante dalla vendita dei prodotti provenienti dalle proprie aziende sia sempre prevalente rispetto al fatturato totale dei prodotti acquistati da altri imprenditori agricoli.

Un importante passo in avanti è senz'altro, come abbiamo già avuto modo di sottolineare, la definizione di PPL, piccole produzioni locali, che vede la luce con questa legge e che tutela le filiere e le piccole produzioni autoctone, ovvero fornisce garanzie al consumatore finale. Queste produzioni avranno ampi, grandi spazi e canali appositi di vendita, e le regioni, attraverso il MiPAAF, garantiranno tutte le informazioni utili alla loro valorizzazione. E poi è stato previsto un decreto emanato dal Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali, di concerto con il Ministero della Salute e previa intesa con la Conferenza Stato-regioni, suffragato dal parere delle Commissioni parlamentari competenti per materia; un regolamento contenente criteri e linee guida sulla base dei quali le regioni elencheranno territori e prodotti e un articolato sistema di controlli, corredati, come abbiamo già detto, da sanzioni che scongiurano truffe o mancanza dei requisiti dei prodotti all'interno dei canali di vendita dedicati.

Una proposta, dunque, che tecnicamente ci lascia molto soddisfatti, importante, anche opportuna, soprattutto in questo momento per il nostro Paese. Resta però - lo dico con tanta sincerità -, un piccolo dubbio, e cioè questa proposta di legge ha il difetto di non essere in alcun modo finanziata. Quindi, è evidente e palese che la definizione delle piccole produzioni locali rappresenta certamente un primo passo fondamentale, ineludibile per garantire il sostegno ai prodotti autoctoni, alle piccole produzioni locali in quantità limitata, appunto piccole, però di per sé non è certamente sufficiente a sostenere e garantire settori così limitati. Dunque, auspico, e ne sono certamente convinta, che il lavoro di quest'Aula porterà avanti la proposta di legge, completandola, e quindi arricchendola di quella che è sicuramente una gamba importante, quella finanziaria, anche attraverso processi di politiche fiscali adeguate e di vantaggio, e finanziamenti che potranno garantire canali di commercializzazione non solo dedicati, ma sicuramente anche adeguati.

E quindi si partirà certamente dalle regole tecniche che noi oggi, in questa discussione, abbiamo sottolineato, e che vengono fuori dall'articolato così come è stato proposto, e certamente le sosterremo; però è necessario completare il percorso attraverso l'identificazione di una quota di denaro che possa certamente garantire, quindi, finanziariamente l'attuazione di questa proposta di legge. Dunque, una legge che senz'altro troverà il nostro appoggio e il nostro sostegno, ribadisco, con l'impegno però e la certezza che quest'Aula completerà il proseguimento della stessa attraverso un lavoro che ci porterà davvero ad un grande risultato per il nostro Paese.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tarantino. Ne ha facoltà.

LEONARDO TARANTINO (LEGA). Grazie, Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi. Introducendo la discussione e il mio intervento su questa norma sulle piccole produzioni locali vale la pena ricordare la ricchezza di biodiversità del nostro Paese. L'Italia rappresenta lo 0,5 per cento della superficie emersa del mondo, eppure è la prima al mondo per ricchezza di specie vegetali mangiabili, 7 mila. Ogni regione d'Italia ha più specie vegetali edibili di qualsiasi Stato europeo. Nel nostro Paese ci sono 58 mila specie animali, 42 mila di terra, 10 mila di fauna marina e 6 mila di acqua dolce: anche in questo siamo primi al mondo. In Italia ci sono 1.200 vitigni autoctoni; il secondo Paese al mondo, la Francia, ne ha solo 222. Ci sono oltre 500 cultivar diverse di olivo; il secondo Paese che ci segue in questa classifica è la Spagna, con sette cultivar. Abbiamo 140 varietà di grano duro; il primo produttore al mondo - gli Stati Uniti - ne ha solo sei. Quindi, è un esempio unico di biodiversità e di biodiversità alimentare. Il nostro è un Paese bellissimo, con bellissimi comuni, province e regioni, bellissimi paesaggi, coste, mari, valli e montagne. Deve essere, dunque, una missione, la nostra, quella di valorizzare tutto ciò. L'Italia è il Paese delle migliaia di prodotti agroalimentari: come ricordava il presidente Gallinella, abbiamo tantissime DOP e IGP; solo queste sono 800, con le loro declinazioni secondarie. Eppure, recentemente Coldiretti ha annunciato che abbiamo perso circa il 70 per cento della biodiversità alimentare proposta sui banchi dei nostri negozi e dei supermercati.

Quindi, questo provvedimento deve essere dedicato a questa miriade di prodotti. Lasciatemene citare alcuni che non siamo più abituati a vedere nella gran parte dei nostri negozi, ma che, invece, esistono e sono peculiarità alimentari: le puntarelle di Galatina, la lattuga ubriacona, il cavolo broccolo spigarello, oppure il cavolo verza d'Asti, l'aglio rosso di Sulmona, la cipolla borettana, il cetriolo carosello di Manduria, il radicchio di Castelfranco. Ce ne sarebbero tantissime centinaia, sicuramente ho fatto torto a molti territori e ai loro prodotti. Quindi, dicevo, questa ricchezza non può essere dispersa e questo provvedimento è dedicato a questi prodotti e alle piccole produzioni locali; un provvedimento che, lo ricordo, nasce a prima firma di un esponente del gruppo Lega, il senatore Vallardi, e che si affianca, come ha ricordato ancora il presidente Gallinella, ad altri già approvati in questa legislatura, come quello relativo al chilometro zero o all'agricoltura contadina. Quindi, si tratta di provvedimenti che cercano di andare incontro a tutta una serie di produzioni che vanno valorizzate nelle difficoltà che hanno a inserirsi sul mercato. Questo, probabilmente, è quello tra tutti che ha la maggior portata; questo anche per i risultati positivi che si è toccati con mano e già raggiunti, si diceva, nelle regioni Veneto e Friuli-Venezia Giulia, che hanno una normativa simile, pur declinata a livello solo regionale, da diversi anni. Appunto, prevede questa dicitura delle piccole produzioni locali, che potrà essere utilizzata, la provenienza certa solo dai terreni aziendali, questo logo per individuare i punti vendita, comprese le piattaforme informatiche, spazi riservati nei mercati locali, la vendita diretta in azienda o in altri luoghi limitatamente alla provincia e alle province contermini. E poi quantitativi definiti e limitati, a garanzia del consumatore.

Inoltre, probabilmente l'elemento più importante, la semplificazione delle modalità di vendita da parte delle aziende produttrici e anche i requisiti dei locali che dovranno avere sia per la vendita che per la produzione. Quindi, la territorialità, anche il vincolo limitato alla provincia e alle province contermini lo caratterizza come un provvedimento che vuole recuperare la territorialità; vuole portare il consumatore lontano dalle filiere standardizzate e magari stravolte dalle esigenze commerciali delle catene distributive. Un provvedimento che vuole stimolare il consumatore a vivere veramente i sapori dei territori, spingendolo a vedere, quindi a recarsi all'acquisto nei territori dove vengono prodotti questi generi alimentari. Quindi, a vedere la collina dove si produce un vino, il pascolo dove nasce il foraggio per il latte e per un buon formaggio o l'ombra di un frutteto che dà ottimi frutti e composte. E ancora le aziende e le persone che danno vita a questi buoni prodotti e le acque limpide di un mare pescoso. Contemporaneamente, così, scoprire le tradizioni di un territorio; un passo avanti verso la qualità di ciò che mangia e un passo indietro verso la storia di ciò che mangia.

Finisco questo intervento con questa considerazione: proprio in questi giorni, in cui si parla tanto di PNRR, e quindi di grandi investimenti per lo sviluppo economico e il rilancio del Paese che arriveranno all'Italia, trovo sia molto bello e significativo che lo sviluppo del Paese possa passare anche da una norma come questa, una norma che, tutto sommato, non ha bisogno di risorse o di poche risorse per la sua attuazione, ma che, ancora una volta, va nello spirito che contraddistingue, tra l'altro, molte delle proposte del nostro gruppo, del gruppo Lega, e cioè quello di cercare di mettere in condizioni di lavorare chi lo sa fare. Quindi, vogliamo mettere, con questa norma, nelle mani dei contadini e delle piccole aziende agricole gli strumenti per operare al meglio, con regole efficaci e più semplici; e poi vogliamo mettere sempre più sulle nostre tavole prodotti e sapori genuini, creati con passione. Questa legge ne sarà sicuramente un buon strumento.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Dall'Osso. Ne ha facoltà.

MATTEO DALL'OSSO (CI). Grazie, Presidente. Presidente, il progetto di legge in discussione mette in evidenza, ancora una volta, come l'Italia sia l'indiscussa protagonista non solo per custodire la maggior parte del patrimonio UNESCO presente nel pianeta, ma anche per un mosaico di culture e di produzioni agroalimentari di nicchia, dalla gastronomia all'enogastronomia, regalando gusti diversi, non solo da comune a comune, ma anche da frazione a frazione e, persino, da famiglia a famiglia, a seconda della tradizione imparata dai nonni.

Le differenze sostanziali di presenza animale, vegetale o ittica da territorio a territorio sono tali da caratterizzare quelle che sono definite le piccole produzioni agroalimentari di origine locale o l'imo del mondo dell'enogastronomia italiana. Finalmente le varianti dei prodotti caseari di nicchia e di quelli legati all'agricoltura e alle produzioni animali e ittiche, dal mirtillo al fico, dalla trota affumicata alle erbe legate all'arte culinaria, dalla polenta alle sue diverse sfaccettature, che raggruppano tutte le regioni della Penisola, dalla mela alle confetture, ai salumi, dal pesce al miele - la tutela delle api e l'eventuale inasprimento delle pene per il danneggiamento delle arnie dovrebbero essere posti in tempi rapidi in discussione in questa prestigiosa Aula - e, per concludere, tra i leader agroalimentari, i distillati con gli aromi derivati da erbe e frutti propri, dei campi, sono solo una piccola porzione di un puzzle, che vede o, meglio, fa intravedere l'enorme ricchezza presente sul territorio.

Il progetto di legge, come presentato, vede nell'ambito di applicazione un elenco ben definito di soggetti e, tra questi, purché dotati dei necessari requisiti, gli istituti tecnici e professionali a indirizzo agrario o alberghiero-ristorativo, che, nello svolgimento della propria attività didattica, producano o trasformino piccole quantità di prodotti primari e trasformati, i cui introiti derivanti dalle eventuali attività di vendita diretta debbono essere destinati esclusivamente al finanziamento delle spese didattiche e funzionali degli istituti. Credo sia incentivo di non poco conto il coinvolgimento degli studenti degli istituti sopracitati, eccellenza del nostro Paese riconosciuta anche all'estero nella produzione e vendita dei prodotti, finalizzata all'autofinanziamento. Sono esempi da valorizzare, e forse è da ipotizzare anche il rilascio di crediti formativi per coloro i quali ideino e creino nuove produzioni con le materie prime disponibili, ovvero riescano a rimettere in essere ricette antiche, a volte dimenticate, patrimonio della tradizione locale.

Inoltre, visto che gli imprenditori agricoli che svolgono attività di agriturismo, oltre a somministrare pasti e spuntini, vendono i prodotti delle proprie aziende agricole, è utile che possano avvalersi di prodotti della piccola produzione locale anche in altre aziende agricole, che abbiano la propria sede nell'ambito della stessa provincia o delle province contermini. Forse, sarebbe il caso di prevedere anche per coloro i quali non producono, ma esercitano solamente attività ricettive agrituristiche, che gli stessi possano avvalersi della somministrazione dei piccoli produttori locali, incentivando così e incrementando il network delle conoscenze dei piccoli produttori locali, considerando anche il coinvolgimento degli enti locali, che vedono un ruolo fondamentale dei comuni, che, nel caso di apertura dei mercati alimentari locali di vendita diretta in aree pubbliche, ai sensi del decreto del Ministro delle Politiche agricole alimentari e forestali 20 novembre 2007, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 29 dicembre 2007, n. 301, possano riservare agli imprenditori agricoli o ittici, esercenti la vendita diretta dei prodotti della piccola produzione locale, spazi adeguati nell'area destinata al mercato. Qualora disponibili, gli stessi dovrebbero pubblicizzare anche sul sito istituzionale, nella parte dedicata al turismo, la presenza di una produzione di prodotti locali e, nel riservare alcuni spazi fisici per la fruizione dei medesimi prodotti, dovrebbe ipotizzarsi il coinvolgimento di Autostrade per l'Italia, oltre agli enti di gestione di alcuni tratti autostradali, delle società di gestione aeroportuale e portuale, oltre a Ferrovie dello Stato, affinché, nei luoghi dedicati alla vendita ed alla somministrazione di bevande, sia offerta l'adeguata visibilità della piccola produzione locale.

Visto, inoltre, che, nell'ambito del sito Internet istituzionale del Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali è istituita un'apposita sezione per la raccolta di tutte le informazioni utili al fine della valorizzazione dei prodotti della piccola produzione locale, la stessa dovrebbe tener conto della scrittura nella dicitura degli stessi, spesso in lingua minoritaria riconosciuta o anche in dialetto. Inoltre, visto che, al fine di valorizzare ancora tali produzioni, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano possono istituire corsi di formazione per il personale addetto alla lavorazione, alla preparazione, alla trasformazione, al confezionamento, al trasporto e alla vendita dei prodotti delle piccole produzioni locali, i corsi dovrebbero garantire altresì il rilascio dei crediti formativi da poter utilizzare nel corso degli studi scolastici.

Presidente, un progetto di legge di questa natura è decisamente di un'utilità indiscutibile. In un momento di sete e di ripresa dell'economia, ogni idea concretizzabile di valorizzazione delle peculiarità territoriali, delle nicchie di ogni comune e del lavoro instancabile degli operatori del settore agroalimentare e vitivinicolo e di tutti coloro che si adoperano per offrire nuovi spunti, è fonte di guadagno per il Paese, che deve essere valorizzato e divulgato a 360 gradi. Grazie, Presidente, e coraggio Italia (Applausi dei deputati del gruppo Coraggio Italia)!

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - A.C. 2115-A​)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare, in sostituzione del relatore, l'onorevole Gallinella, presidente della Commissione, che rinuncia. Ha facoltà di replicare il sottosegretario Bini, che si riserva, anch'ella, di intervenire.

Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione della mozione Lorenzin ed altri n. 1-00472, concernente iniziative in materia di salute mentale (ore 16,10).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Lorenzin ed altri n. 1-00472, concernente iniziative in materia di salute mentale (Vedi l'allegato A).

La ripartizione dei tempi riservati alla discussione della mozione è pubblicata nel vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (Vedi calendario).

Avverto che è stata presentata la mozione Panizzut ed altri n. 1-00495, che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verrà svolta congiuntamente (Vedi l'allegato A).

Il relativo testo è in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.

È iscritta a parlare la deputata Giuditta Pini, che illustrerà anche la mozione n. 1-00472, di cui è cofirmataria.

GIUDITTA PINI (PD). Grazie, Presidente. Oggi discutiamo in quest'Aula un tema, che, insieme alla Commissione Affari sociali, in realtà abbiamo discusso e trattato dall'inizio di questa legislatura e che ha sempre visto tutte le forze parlamentari, a prescindere dalla maggioranza e dalla minoranza in quel momento sostenuta, convergere nel cercare di trovare delle soluzioni.

Quando parliamo di salute mentale, la prima cosa da fare è capire come ne parliamo. Quello che è successo in queste ore, in questi giorni, anche i tragici fatti che sono successi proprio ieri, con la morte dei due bambini e dell'anziano ad Ardea, a Roma, ci fanno capire come ne parliamo. Di solito si parla di salute mentale solo in relazione a fatti violenti o a fatti tragici, spesso a sproposito, quindi dicendo: “follia della gelosia”, “uccide”; “raptus”, e così dicendo, quindi, utilizzando termini che non sono corretti o, come in questo caso, inserendo il tema della salute mentale in contesti che però non ci fanno capire quello che c'era dietro.

E quindi, quando parliamo, è facile, molto facile e anche comprensibile a volte, se non si siede in quest'Aula e in casi come quello che è successo anche ieri, tirare fuori il forcone; ma è più difficile quello che dobbiamo fare noi e che siamo sempre riusciti a fare anche in Commissione: cercare di capire cosa è successo, perché e come ne parliamo e come la viviamo. Le persone e le famiglie vivono ancora, spesso e volentieri, i problemi di salute mentale come uno stigma, le famiglie spesso sono lasciate sole, si sentono sole. Nonostante la “legge Basaglia” sia stata una legge fondamentale, che ha da poco compiuto 40 anni, 43 anni quest'anno, è rimasta in larga parte incompiuta per tutto ciò che riguarda, appunto, l'assistenza territoriale e l'assistenza alle famiglie. Se noi poi pensiamo - e all'interno della premessa di questa mozione ci sono tutti i dati - alle differenze regionali enormi che ci sono all'interno del nostro Paese per l'accesso ai dipartimenti della salute mentale, ai centri per la salute mentale, capiamo che noi abbiamo un enorme problema di gestione e di accesso alle cure e di diritto alla salute, non solo per chi soffre di problemi di salute mentale, ma anche per le famiglie. I centri di salute mentale chiudono il venerdì, riaprono il lunedì, quando ci sono. Negli ultimi anni - e anche qui ci sono numerosissimi dati molto impietosi - a causa della razionalizzazione, come viene chiamata, sono state tagliate decine di professionalità e decine di punti nevralgici di ascolto, così come tutto il settore dei servizi è veramente sotto fortissimo stress. Se noi pensiamo ai Sert o ai centri per la salute mentale, in ogni territorio in cui noi andremo a chiedere, sapremo che ci sono gravissime carenze di personale, ci sono gravissime carenze di strutture, mancano i fondi. E questo è un bel problema. Perché? Perché a un certo punto ci accorgiamo della salute mentale e sempre in un modo traumatico, e rischiamo quindi anche di non parlarne in modo corretto, perché vediamo solo e purtroppo la punta dell'iceberg di quello che succede. In questa mozione, quindi, riuniamo tutta una serie di cose e aggiungiamo un pezzo, che è quello che ci è capitato negli ultimi due anni, quindi una pandemia globale che ha interessato tutti e che, in particolare, è andata a toccare tutte quelle fragilità che già esistevano. Questa pandemia non ha fatto altro che accelerare una serie di dinamiche che già c'erano: pensiamo alla solitudine, per esempio, degli anziani; alla solitudine dei giovani, la fascia di età tra i 25 e i 39 anni, che spesso abitano da soli o lontani da casa, che non hanno avuto all'inizio accesso neanche ai sussidi per l'affitto, che si sono trovati a perdere il lavoro perché non hanno contratti a tempo indeterminato, che si sono trovati con regolamenti che, per esempio, consentivano di andare a trovare familiari ma non amici, con situazioni, a volte, in cui i familiari vivono in altre regioni e magari l'amico abita di fianco, insomma si sono trovati in questa situazione; in più, ovviamente, tutti i bambini e i ragazzi che si sono trovati in una situazione di chiusura, sia delle scuole, che dei luoghi di aggregazione, dei centri sportivi, dei parchetti, della possibilità di giocare con gli amici, ed hanno subito ancora di più gli effetti della pandemia. Unitamente a questo, c'è tutto il capitolo dei pazienti che hanno avuto problemi di long-COVID: sappiamo che il Coronavirus, il COVID crea e può creare una serie di spiacevoli effetti che durano nel tempo, anche sulla memoria sia a breve che a lungo termine, e si chiede, appunto, di studiare meglio questi episodi, di capire meglio che cosa sta succedendo e di assistere questi pazienti, anche dando loro supporto psicologico e psichiatrico.

Sono 31 punti, non li andrò ad elencare uno per uno, perché vorrei utilizzare questo tempo per parlare di una questione che ho detto in premessa. Da quando è iniziata questa legislatura, la Commissione affari sociali si è occupata del tema molto seriamente. Abbiamo fatto decine di audizioni, abbiamo audito esperti, abbiamo acquisito moltissimi documenti e abbiamo fatto anche ciò che ci è consentito fare dal Regolamento, quindi risoluzioni, interrogazioni e adesso mozioni. Credo sia un onore e un onere enorme quello di sedere in quest'Aula; per me è una delle cose più belle del mondo, però a volte rischia di essere molto frustrante. Pensiamo, ad esempio, alla risoluzione di cui io ero prima firmataria: il dibattito iniziò nel 2018, all'epoca del Governo “Conte 1”, e noi eravamo all'opposizione; venne approvata nel novembre 2019, con il Governo “Conte 2”, noi in maggioranza, e comunque venne approvata all'unanimità. C'erano 13 punti, che erano vincolanti, teoricamente, per il Governo; si tratta di uno degli strumenti che noi abbiamo, si va in Commissione e si fa la risoluzione. Di questi 13 punti, purtroppo, il Governo ha dato seguito a pochissimi, tant'è vero che siamo stati costretti a reinserire buona parte di questi all'interno della mozione. È vero, in mezzo c'è stata la pandemia; per la prima volta, infatti, dopo tantissimi anni si è avuta la possibilità di investire massicciamente sia nel dipartimento salute, estesamente inteso, ma anche di fare il piano, il famoso Recovery Plan, il PNRR. E anche lì, la Commissione affari sociali è intervenuta ed ha chiesto di inserire dei punti - all'interno dei pareri, che sono stati poi votati dall'Aula e dalla Commissione, con un lavoro di dialogo tra maggioranza e opposizione -, chiedendo al Governo di impegnarsi sulla salute mentale, di impegnare i soldi del Recovery proprio perché sappiamo la situazione. Anche lì, ci è stato detto dal Governo: assolutamente sì. Benissimo. E poi quando è stato pubblicato il Recovery non ce n'era traccia. Se voi cercate nel PDF “salute mentale”, vedrete che viene citata una sola volta e si tratta di una nota a margine. È un onore e un privilegio per me essere qui, in quest'Aula, a parlare di questi temi e cercare di illustrare il grande lavoro che è stato fatto dal Partito Democratico, dall'onorevole Lorenzin, da tutto il gruppo della Commissione affari sociali e non solo, per cercare di predisporre una mozione che potesse essere poi accolta da più parti, che tenesse conto di tutte le sfumature, che sono tantissime su questo tema. Detto ciò, però chiedo anche al Governo un atto di sincerità e collaborazione leale reciproca. Avrei preferito, anche in passato, che mi si dicesse: no, questa cosa non si può fare, piuttosto che dire “sì” e poi non vederla attuata. Avrei preferito che mi si dicesse: questa cosa non può essere inserita nel Recovery, piuttosto che dire di “sì” e poi non inserirla. Si tratta di 31 punti molto specifici, curati, insieme alle associazioni, curati insieme a chi lavora all'interno dei dipartimenti, all'interno degli ospedali. Si parla, per esempio, dei posti mancanti per le acuzie in neuropsichiatria infantile. Il nostro Paese ha più di 60 milioni di abitanti e solo 92 posti, in tutto il territorio nazionale, per i ricoveri di bambini con acuzie e problemi di neuropsichiatria infantile. Ci sono, ripeto, punti molto specifici, che vengono da un lavoro molto puntuale fatto in Commissione e anche in Aula. L'impegno che chiediamo al Governo con la mozione, con l'ultimo strumento che ci rimane, è quello di impegnarsi ufficialmente davanti all'Aula, davanti a tutti su questi temi, che per noi sono dirimenti.

Infatti, quello che ci ha insegnato il COVID e che spero, quindi, possa anche far cambiare l'approccio del dibattito e il dialogo in quest'Aula e anche il rapporto tra Governo e Parlamento, è proprio questo. La salute mentale non è un affare che ogni tanto capita, non è una cosa da tenere nascosta o che riguardi qualcuno che abbia avuto la disgrazia di avere in famiglia questo accidente, come viene spesso definito. È una questione di accesso alla salute, è una questione di rispetto della Costituzione, è una questione che riguarda tutte le fasce di età, è una questione di cui non ci si deve assolutamente vergognare di parlare ma bisogna imparare a parlarne in maniera corretta per evitare di creare lo stigma che, poi, è il primo punto della mozione, cioè creare, insieme al Governo, un percorso per far sì che si superi lo stigma e l'emarginazione di chi soffre di problemi di salute mentale.

La prima cosa, ovviamente, è come se ne parla. Si fa insieme perché è una cosa che riguarda tutti e quello che abbiamo imparato in questi due anni è che le malattie sono strettamente connesse tra di loro, che quando si ammala una persona si può ammalare una comunità e con lei si può ammalare una famiglia e con la famiglia si può ammalare una città, non solo in senso, come abbiamo visto, letterale ma anche in senso figurato. Questo è quello che accade tutti i giorni e noi abbiamo gli strumenti, perché sono stati scritti da noi e da chi c'era prima di noi, per creare anche a livello territoriale un sistema che possa garantire a tutti l'accesso a queste cure, che non devono essere solo a vantaggio di chi può permettersele - perché purtroppo, ad oggi, è così - ma che devono essere un servizio accessibile a tutti e a cui tutti devono avere la consapevolezza di poter accedere, senza per questo essere giudicati né sentirsi in imbarazzo. Una cosa che esiste, che c'è, che lo Stato dà e che deve essere però garantita su tutto il territorio nazionale. Non è possibile che se una famiglia si trova in difficoltà a Modena abbia diritti differenti da una famiglia che si trovi in difficoltà a Cosenza. Questa cosa purtroppo accade, non solo sulla salute mentale ma su molte cose. Questa mozione, in particolare, cerca di trattare in modo molto puntuale tutti i temi e cerca anche di trovare delle soluzioni. Quello che speriamo e spero che possa emergere attraverso il dibattito di oggi e dei prossimi giorni, in Aula, è non solo la possibilità di integrazione o di presentazione di altre mozioni che rafforzino questi punti, che, ripeto, spesso e volentieri sono frutto di un lavoro di mesi nella Commissione, ma anche che da parte del Governo ci sia la stessa franchezza e la stessa volontà di cercare di migliorare che ci abbiamo messo tutti quanti noi del Partito Democratico e anche tutti quanti gruppi, in questi mesi, per cercare di dare delle risposte. Siamo qui proprio per questo e speriamo di dare un contributo che possa essere importante e fondamentale perché nessuno rimanga indietro e perché tutti quanti riusciamo insieme a parlare, affrontare e risolvere un problema, quello della carenza di assistenza e di possibilità di accesso alle cure per la salute mentale che, purtroppo, in questo Paese affligge moltissime persone (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Panizzut, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00495. Ne ha facoltà.

MASSIMILIANO PANIZZUT (LEGA). Grazie, Presidente. Colleghi, sottosegretario, innanzitutto ci tengo a dire che concordo pienamente con la collega quando dice che, spesso, riproduciamo più volte atti sul medesimo tema. Però, purtroppo rileviamo anche noi che spesso e volentieri non hanno corso e, certamente, su certi argomenti non bisognerebbe tentennare a lungo, soprattutto appunto sui disturbi mentali. Prendiamo atto che i disturbi mentali, appunto, sono in costante aumento negli ultimi anni e costituiscono una questione di sanità pubblica di primaria rilevanza, la cui gestione risulta imprescindibile per assicurare il benessere collettivo e lo sviluppo sociale ed economico della comunità. Secondo le stime dell'Organizzazione mondiale della sanità, i disturbi mentali affliggono oltre un miliardo di persone a livello globale e, nei casi più gravi, oltre a incidere negativamente sulla qualità della vita, determinano la morte dei pazienti con un anticipo di circa dieci o vent'anni rispetto alla media della popolazione generale. Nel contesto europeo, i disturbi mentali colpiscono circa 80 milioni di persone, producendo un impatto economico enorme in termini di perdita di produttività, costi indiretti, e spesa sanitaria, costi diretti, per un ammontare complessivo dell'ordine di 600 miliardi di euro annui.

È probabile, peraltro, che i numeri sopra citati siano sottostimati. Infatti, per capire l'effettivo problema manca l'inclusione di talune patologie e gruppi di pazienti nell'ambito delle revisioni che vengono normalmente condotte. Anche a livello nazionale i rapporti sulla salute mentale confermano la medesima tendenza, con oltre 600 mila accessi alle strutture di pronto soccorso per patologie psichiatriche e una spesa convenzionata per antidepressivi di quasi 370 milioni di euro, con un aumento di 22 milioni di euro in un anno. Tra i disturbi che registrano la maggiore diffusione vi è certamente la depressione che, nelle sue varie forme, colpisce circa 3 milioni di persone. Il quadro sopra delineato, già di per sé preoccupante, è stato chiaramente aggravato nell'ultimo anno dall'insorgenza della pandemia di COVID. L'applicazione delle misure di contenimento, il prolungato isolamento, la paura del contagio, l'interruzione dei rapporti interpersonali, la sospensione delle attività scolastiche, sportive e ricreative ma anche la crisi economica e occupazionale hanno agito alla stregua di moltiplicatori del malessere psichico, provocando un insieme di problemi di salute di proporzioni senza precedenti le cui conseguenze si ripercuoteranno inevitabilmente sulla popolazione nei prossimi anni. Sebbene le cause dei disturbi mentali non siano ancora ben conosciute, è risaputo che la maggior parte di essi derivi dall'interazione di più elementi che comprendono, oltre alla vulnerabilità biologica e alla genetica, anche fattori ambientali e sociali, su cui la pandemia ha inciso profondamente. Si stiamo così che saranno almeno 150 mila i nuovi casi di depressione dovuti, ad esempio, alla crisi economica generata. Analoghe rilevazioni riguardano purtroppo i disturbi dell'alimentazione e della nutrizione, come l'anoressia e la bulimia nervosa, la cui incidenza è cresciuta, in un anno, del 30 per cento.

Sono allarmanti anche gli effetti che la pandemia da COVID e le correlate misure di contenimento hanno avuto e potranno avere, a lungo termine, sulla salute fisica e mentale dei bambini e degli adolescenti. Il rapporto dell'Istituto superiore di sanità sulla promozione della salute mentale infantile in tempo di COVID ha confermato l'esistenza di un rischio per le fasce più giovani della società, le cui manifestazioni possono comprendere rabbia, aggressività ma anche un aggravamento del fenomeno delle dipendenze, insorgenza di disturbi psichiatrici, suicidi ed altri disturbi del pensiero.

Nel quadro sopra delineato è evidente che, di qui ai prossimi anni, assisteremo a un ulteriore aumento della pressione sulla rete nazionale dei servizi di salute mentale articolata nei vari dipartimenti. Negli ultimi rapporti disponibili, peraltro, dimostrò che i predetti servizi si trovano in una situazione di grave sofferenza a causa dei tagli della spesa sanitaria che ci son stati negli ultimi anni, in maniera lineare e generalizzata. In occasione della giornata mondiale per la salute mentale, in particolare, è stato evidenziato come l'Italia risulti fanalino di coda della UE per i posti letto dedicati alle cure psichiatriche, con appena 9 posti letto per 100 mila abitanti, a fronte di una media europea otto volte superiore. La crisi del comparto è evidente anche dal punto di vista del personale in servizio presso le unità operative psichiatriche pubbliche, il cui numero è decresciuto di oltre 2000 unità rispetto a quello dell'anno precedente. La situazione di difficoltà interessa nello stesso modo i servizi di neuropsichiatria infantile e dell'adolescenza, come dimostrato dagli appelli che vengono lanciati periodicamente dagli esperti. Allo stato attuale, il Paese dispone solamente di due posti letto dedicati ai minori con psicopatologie acute, la cui saturazione comporta frequentemente il ricovero improprio di tali pazienti in altri reparti di pediatria se non, addirittura, in strutture dedicate agli adulti. Le cause di questa situazione emergenziale vanno rintracciate negli errori di programmazione che sono stati commessi negli ultimi anni a livello nazionale, nella quantificazione insufficiente dei fabbisogni del personale, nel mancato potenziamento della rete territoriale e nel processo di riorganizzazione della rete ospedaliera, che è stata destrutturata più che organizzata, come ha riconosciuto del resto il Ministro della Salute durante la risposta a un'interrogazione presentata proprio dalla Lega. È chiara, peraltro, la necessità di porre fine alla stagione dei tagli e dell'austerità che hanno contraddistinto le politiche sanitarie degli ultimi anni e di adottare urgentemente iniziative strutturali in grado di adeguare l'offerta del Servizio sanitario nazionale agli aumentati fabbisogni assistenziali, anche con riferimento alla rete dei servizi per la salute mentale. Non andrei a elencare tutti gli impegni che chiediamo al Governo - sono un po' meno di 32 - però siamo disposti nel ragionamento e anche nel dibattito in Aula a chiedere un'unione di intenti per arrivare davvero a risoluzioni concrete per il bene di tutti i cittadini e perché, come detto in precedenza da alcuni colleghi, non accadano più delle tragedie come quella di ieri.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Bagnasco. Ne ha facoltà.

ROBERTO BAGNASCO (FI). Grazie, Presidente. Signor sottosegretario, ho ascoltato con interesse gli interventi precedenti anche perché, come rilevato da alcuni dei relatori, è un tema sul quale la Commissione, nella quale ho l'onore di operare, sta lavorando da moltissimo tempo con grande impegno e in totale sintonia, sicuramente al di sopra delle divisioni di parte, e questo penso sia un fatto estremamente importante.

I fatti a cui si è riferito, a conclusione dell'intervento, il mio collega della Lega sono chiaramente estremi, sono fatti limite, ma di una tale gravità che non possono non far pensare che in Italia ci sia bisogno di un intervento di ampio respiro, importante, significativo da parte di tutti per cercare, non di eliminare tutte le situazioni, poiché - non dobbiamo nasconderlo - probabilmente alcune sono anche ineliminabili, ma tante, tantissime altre, non limite come questa, sicuramente estremamente gravi, possono essere affrontate, curate, seguite. Questo, a vantaggio delle persone che, purtroppo, subiscono queste problematiche di tipo mentale, ma anche dei loro familiari che, almeno quanto loro, subiscono conseguenze importanti.

Le categorie di persone che, in questi ultimi diciotto mesi di pandemia, hanno avuto contraccolpi maggiori dal punto di vista psicologico sono state sicuramente quelle degli anziani e dei più giovani e la salute mentale soprattutto di questi ultimi - parliamo dei giovani - ne ha profondamente risentito. In una informativa del 13 maggio 2020, quindi abbastanza recente, le Nazioni Unite invitavano gli Stati ad intervenire in maniera importante. Il disagio giovanile è enormemente aumentato in questi lunghi mesi di emergenza sanitaria: è stato rilevato da moltissimi e, soprattutto, nel mondo della scuola è già emerso questo disagio giovanile che è aumentato in maniera esponenziale in questi mesi di chiusura delle scuole stesse, almeno per quanto riguarda la partecipazione attiva e diretta e, come conseguenza dello scenario emergenziale SARS-CoV-2, milioni di giovani hanno cambiato profondamente la loro vita. Per oltre un anno, i ragazzi sono stati privati di esperienze di vita, emozioni, della libertà normale di spostamento e di incontro; si è registrato un incremento preoccupante di fenomeni di autolesionismo, aggressività, disturbi alimentari, ansia, depressione.

In questo ultimo anno, ci sono stati numerosi studi che hanno, purtroppo, fotografato l'impatto prodotto sulle persone dalla pandemia. È su questa che mi sto focalizzando, perché chiaramente il problema non è solamente la pandemia, magari fosse solamente la pandemia la motivazione di questi disturbi mentali, ma mi sembrava importante significare all'Aula quanto la pandemia, purtroppo, abbia costituito, anche in questo campo, un fatto assolutamente drammatico ed importantissimo. Alla pandemia da COVID e all'isolamento sociale, si aggiunge - ad aggravare il tutto - il fatto che, soprattutto durante la prima ondata pandemica, l'emergenza COVID ha ridotto l'attività dei servizi della salute mentale in Italia: molti sono addirittura stati chiusi completamente, altri hanno lavorato in maniera assai limitata rispetto alle già limitate attività che svolgevano precedentemente.

Le visite psichiatriche programmate sono state garantite solo per i pazienti più gravi ed in molti casi sostituite da colloqui a distanza che sono sicuramente un'altra cosa rispetto al rapporto diretto tra paziente e operatore sanitario. Tutte le attività hanno avuto una significativa diminuzione: i consultori psichiatrici ospedalieri hanno avuto una riduzione del 30 per cento, sono dati importanti e significativi; le psicoterapie individuali del 60 per cento, mentre quelle di gruppo e gli interventi psicosociali di oltre il 90 per cento, cioè, praticamente, sono stati quasi eliminati totalmente; e, ancora, il numero dei posti letto nei servizi psichiatrici è sceso del 12 per cento, ed erano, ve l'assicuro, già molto, molto bassi: alcuni interventi hanno rilevato quanto in questo settore l'Italia sia particolarmente indietro rispetto non solamente alle Nazioni più evolute, ma anche quelle che non sono in testa alla corsa per quanto riguarda la struttura sanitaria.

Molte persone con disturbi mentali o psicologicamente fragili non hanno ricevuto un trattamento tempestivo né adeguato in questo periodo a causa di lunghe liste di attesa o della carenza dei servizi territoriali. Tutto questo in Europa e in Italia; in particolare, è emersa l'assoluta esigenza di potenziare il nostro servizio sociosanitario territoriale, non solamente per quanto riguarda le carenze riscontrate, ma per poter far ripartire servizi efficaci, adeguati ed omogenei su tutto il nostro territorio nazionale. Un altro fatto emerso in maniera molto chiara è quanto questi servizi, già limitati, non siano omogenei su tutto il territorio nazionale: in alcune regioni funzionano abbastanza, sufficientemente bene, in altre sono quasi inesistenti e questo è un altro fatto estremamente importante.

Un ruolo centrale viene svolto dai centri di salute mentale che rappresentano il primo punto di riferimento per i cittadini con disagio psichico. Nonostante la loro importanza, si assiste ad una crescente difficoltà di molti cittadini a trovare una risposta nei Dipartimenti di salute mentale e questo per la nota carenza di investimenti in questo settore. Tutta la sanità - e questo è emerso, ovviamente, anche da questo dibattito, non poteva non emergere - ha avuto in questi anni una carenza di investimenti drammatica ed è chiaro che anche la salute mentale non poteva esimersi dal pagarne pesantemente le conseguenze. A fronte di questa situazione, la rete dei servizi di salute mentale ha offerto una risposta ai problemi psicologici da pandemia: sono aumentati gli accessi ai pronto soccorso, accessi molto spesso assolutamente inadeguati, con diagnosi principalmente di natura psichiatrica, che avrebbero dovuto essere curati in maniera totalmente diversa. Accanto a questa situazione, si registra un aumento della vendita di confezioni di antidepressivi e di antipsicotici, un aumento molto importante e significativo (i numeri sono stati dati dal collega precedentemente). In pratica, quindi, meno personale e servizi, più psicofarmaci e accesso ai pronto soccorso: questo è quello che è successo nella realtà delle cose.

Questa, quindi, è la fotografia della situazione. Adesso però c'è un'occasione storica per tanti settori, ma soprattutto per questo che è delicatissimo: quella di utilizzare al meglio le nuove risorse europee del Recovery Plan per quanto riguarda la salute mentale.

Investire in risorse umane, quindi. Ripeto: investire in risorse umane e in servizi territoriali. Il PNRR, che abbiamo presentato in Europa, prevede uno stanziamento complessivo di 7 miliardi di euro - ed è una cifra sicuramente significativa - per lo sviluppo della telemedicina, delle reti di prossimità e per l'assistenza sanitaria territoriale. Non deve andare sprecato nemmeno 1 euro (qui, chiaramente, un invito abbastanza banale, ma credo che sia assolutamente essenziale). Il PNRR fa esplicito riferimento alla necessità di allineare i servizi sociosanitari ai bisogni dei pazienti e siamo ancora, purtroppo, molto, ma molto lontani. Occorre potenziare i consultori familiari, i dipartimenti di salute mentale, le strutture di prossimità, i posti letto dei reparti di neuropsichiatria e, in particolare, di neuropsichiatria infantile, che molto spesso sono assolutamente inesistenti sul territorio. Poi, gli squilibri fra le regioni. Oggi il nostro Paese ha meno, come diceva prima il collega, di 10 posti su 100.000 abitanti (lui diceva 9 posti su 100.000 abitanti; io dico 10). Credo che questi siano, purtroppo, numeri drammatici e importanti che ci mettono in fondo alla coda dei Paesi sviluppati. Un triste primato che dobbiamo perdere al più presto (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Bellucci. Ne ha facoltà.

MARIA TERESA BELLUCCI (FDI). Grazie, Presidente. Affrontiamo oggi questa mozione sulla salute mentale, sulla protezione psicologica delle persone, degli italiani, e l'affrontiamo all'indomani di un giorno terribile, tragico. Infatti, non possiamo non parlare e non ricordare Daniel, David e Salvatore, che hanno perso la vita per mano di una persona che era conosciuta dai servizi sanitari e che, purtroppo, aveva delle problematiche di carattere psichico, psicologico. Allora, oggi diventa più difficile affrontare questa tematica, perché inevitabilmente quelle morti ci devono interrogare. È vero, come hanno detto precedentemente i colleghi, che si tratta di un fatto estremo, eccezionale, ma apre a una discussione e a un interrogativo che noi tutti ci dobbiamo porre, su quanto oggi il Servizio sanitario nazionale e le istituzioni tutte siano in grado di dare risposte non soltanto alla cura e al trattamento delle difficoltà di carattere psicologico e psichiatrico, ma anche se sia in grado e quanto, il nostro Servizio sanitario nazionale, di attuare interventi di prevenzione, perché le questioni di carattere psicologico e i disturbi psichiatrici sono certamente fanalino di coda, nella nostra Italia, in termini di attenzione, la cosiddetta “Cenerentola”. Chiunque sia andato a visitare i centri di salute mentale, i dipartimenti di salute mentale e, in questo, anche i SerD, cioè i servizi per le dipendenze patologiche, che insieme cercano di fronteggiare il mare magnum dei disturbi psicologici, sa che sono quelli più distanti, nei luoghi più ameni, più nascosti, spesso trascurati, spesso lasciati soli a fronteggiare problematiche che sono assolutamente cogenti, nella nostra Italia. Sono quei servizi che hanno un numero di personale infinitamente più basso rispetto a tutti gli altri, che non ricevono adeguata protezione né adeguato supporto. Questo fa pensare, perché, in realtà, in Italia gli studi, gli esperti e la ricerca hanno eccellenze incredibili per quanto riguarda la materia della psicologia e per quanto riguarda gli interventi di psicoterapia e anche di psichiatria.

Noi siamo dotati di professionisti che fanno invidia ad altre Nazioni europee e del mondo, ma nello stesso tempo non li riconosciamo dovutamente e non li sosteniamo nel modo giusto. In questo i numeri ci aiutano: rispetto allo stanziamento di risorse economiche che viene fatto per la protezione della salute mentale e del benessere psicologico, anche qui noi, rispetto all'Europa, siamo fanalino di coda. Infatti, viene riversato il 3,5 per cento della spesa sanitaria nazionale, a fronte di una media europea e dei Paesi che fanno parte del G7 che è in una forbice tra l'8 e il 15 per cento. Per esempio, il numero degli psicologi nella nostra Italia ha un rapporto medio, per numero di abitanti, di 1 psicologo ogni 12.000 abitanti; nel resto d'Europa il rapporto è di 1 ogni 2.500 abitanti. I nostri consultori familiari, 2 su 3, da una ricerca fatta, sono privi di psicologi. Noi non abbiamo, a differenza delle altre Nazioni europee, uno psicologo scolastico, cioè un servizio di psicologia scolastica presente in ciascun istituto di ogni ordine e grado. La psicoterapia per noi, in Italia, è un miraggio. Se hai disponibilità economiche e te la puoi permettere allora vi accedi; se sei in una situazione economica indigente o, comunque, hai difficoltà a portare avanti il tuo bilancio familiare nel mare magnum delle spese, allora la psicoterapia diventa un sogno irraggiungibile. In questo non parliamo soltanto dei disturbi psichiatrici più gravi, quindi non parliamo soltanto di disturbi come la schizofrenia. Quando ci avviciniamo alla questione del benessere psicologico parliamo di questioni che riguardano tutti, molti: parliamo di disturbi d'ansia, parliamo di disturbi del sonno, parliamo della depressione, parliamo degli attacchi di panico, parliamo delle fobie, questioni con cui tutti noi abbiamo a che fare o abbiamo qualcuno che conosciamo che ha avuto a che fare, magari in una parte della sua vita o, altre volte, per molta parte della sua vita. Rispetto a tutto questo, in Italia non c'è un Sistema sanitario che sia in grado di raggiungere queste persone e di aiutarle, prendendole per mano. Infatti, da quella meravigliosa “legge Basaglia”, la n. 180 del 1978, sono trascorsi più di 40 anni, ma quella legge è rimasta in buona parte inattuata. Quella legge chiudeva gli ospedali psichiatrici, sì, e restituiva dignità alle persone, restituiva dignità all'essere umano e metteva al centro della cura la persona, ma prevedeva anche degli accertamenti sanitari obbligatori, prevedeva anche dei trattamenti sanitari obbligatori, prevedeva anche un sistema di servizi extraospedalieri territoriali che fossero vicini alle persone. In tutto questo possiamo di certo dire che il pensiero basagliano è stato tradito e certamente non è stato attuato. La pandemia non ha fatto altro che aprire gli occhi ancora di più rispetto alla difficoltà delle istituzioni italiane di poter riconoscere dignità oltre che al corpo anche alla psiche e alla mente.

Abbiamo sistemi di prevenzione, sì, che riguardano le malattie che passano per il nostro corpo. Su queste ci siamo avvicinati, le abbiamo promosse, abbiamo cercato di finanziarle, ma per quanto riguarda i sistemi di prevenzione che riguardano la psiche, la mente, siamo drammaticamente indietro. E nel momento in cui le Nazioni Unite ci raccomandano di non perdere tempo, di promuovere la salute mentale e, soprattutto, di promuovere un sistema di servizi capillari, noi che facciamo? Nel Piano nazionale di ripresa e resilienza che dovrebbe essere lo strumento utilizzato dal Parlamento, dal Governo per dare risposte ai bisogni cogenti degli italiani, non riserviamo una sola parola e, soprattutto, non riserviamo alcun paragrafo, alcun capitolo. Eppure, sappiamo bene quanto le problematiche saranno ancora più forti, d'altronde, già sono così: durante il periodo di pandemia, il Bambino Gesù ci dice che sono aumentati del 30 per cento i ricoveri nei reparti di neuropsichiatria infantile per tentati suicidi e atti di autolesionismo in età evolutiva. Il Gaslini di Genova ci dice che c'è stato un aumento - oltre il 60 per cento - di problematiche in età evolutiva sempre legate a disturbi del comportamento e disturbi d'ansia, a depressioni, sempre in età evolutiva. Il 50 per cento della popolazione generale in Italia ha sviluppato uno stress a fronte della pandemia, che ormai possiamo dire certamente è sindemia. Da questo, quindi, sono aumentati di nuovo disturbi d'ansia, depressione, attacchi di panico, disturbi del sonno.

Rispetto a questo allarme, che non può non essere ascoltato, che non può non essere raccolto, il Governo e il Parlamento tutto dovrebbero comprendere che questa è la priorità. Investire sul capitale umano è la priorità. Se non si investe sul capitale umano, non può ripartire una Nazione, perché una Nazione riparte attraverso le persone che la compongono, attraverso le menti, le braccia, le gambe, i cuori delle persone che la compongono. E allora? Che si fa se non ci si prende cura delle persone, del loro benessere psicologico, della loro capacità di affrontare lo stress, di gestire le emozioni, di gestire il rapporto con gli altri, di gestire la conflittualità? Perché si può fare; quando Basaglia intervenne era perché si diceva che le persone con problematiche mentali e psicologiche erano irrecuperabili, e da qui lo stigma. Ancora questo pensiero è come un fiume carsico che avvelena i nostri atti, le nostre attenzioni parlamentari: non è così. Una persona può imparare a gestire le proprie emozioni, può imparare a gestire la relazione con gli altri, può imparare a gestire i conflitti, dipende se noi intendiamo puntare su questo tipo di aiuto. E c'è bisogno proprio di una riforma. Fratelli d'Italia certo presenterà una propria mozione, come abbiamo presentato proposte di legge per l'istituzione dello psicologo scolastico o proposte di legge per rendere la psicoterapia convenzionabile o proposte per l'inserimento dello psicologo di base insieme al medico di base. Continueremo a farlo, proponendo una nostra mozione, ma chiediamo a voi, al Governo, di poter raccogliere le richieste di Fratelli d'Italia e anche di tutto il Parlamento, perché investire sul capitale umano deve essere la priorità di uno Stato giusto (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ungaro. Ne ha facoltà.

MASSIMO UNGARO (IV). Grazie, Presidente. Anch'io mi unisco al cordoglio, ai familiari dei piccoli David e Daniele. ma anche di Salvatore, che hanno perso la vita, ieri, per mano di uno squilibrato: chiaramente, non conosciamo ancora bene la vicenda, ma è un sintomo del grave problema di salute mentale che stiamo attraversando, soprattutto a seguito della pandemia. La mozione in discussione affronta un tema molto importante che attiene alla necessità di assicurare alle persone con disagi inerenti all'area della salute mentale la piena garanzia del diritto di cui all'articolo 32 della nostra Costituzione.

Il tema della salute mentale, oggi più che mai, anche a seguito, come stavo dicendo, dell'impatto della pandemia sulle vite di tutti noi, è di estrema importanza e richiede interventi appropriati e tempestivi. Gli esperti hanno evidenziato come il COVID-19 abbia squarciato il velo sulla difficile tenuta dei servizi di salute mentale nel nostro Paese, già fortemente sollecitati e messi a dura prova anche prima del diffondersi del virus. Le ricerche e gli studi di settore evidenziano l'allarmante mancanza di personale, la carenza di posti letto e di strutture semiresidenziali terapeutiche, che si fa drammatica con riferimento ai servizi di neuropsichiatria infantile e dell'adolescenza e, non di rado, l'impossibilità di fornire risposte con adeguata intensità assistenziale. Da quasi vent'anni, l'investimento per la salute mentale, in Italia, non si sposta da una percentuale pari a soli 3,6 punti, a fronte di un sommerso stimato di ben 4,5 milioni di italiani con disturbi psichici che non vengono neppure intercettati dai servizi e, dunque, neppure diagnosticati. Inoltre, si registrano differenze preoccupanti e intollerabili sul territorio tra regione e regione. La pandemia si è, dunque, innestata su questo scenario, determinando nella popolazione il significativo aumento dei sintomi depressivi e, più in generale, dei disturbi psichiatrici, con un incremento pari ad almeno il 30 per cento a causa di isolamento, solitudine, distanziamento sociale e assenza di contatti e scambi, paure del contagio, lutti e conseguenze economiche, quali la diminuzione del reddito o perdita del lavoro. Un quadro che rischia di peggiorare, lo diceva la collega Bellucci, prima di me. Diversi studi hanno, infatti, prospettato come il rischio di abbassamento del reddito e l'aumento della disoccupazione potrebbero determinare un rischio di due, tre volte maggiore di ammalarsi, con un aumento dai 150 ai 200 mila casi di depressione: uno scenario in cui il numero di depressi raggiungerà in Italia quello dei diabetici, con un maggiore impatto della depressione sia sulla qualità della vita sia a livello economico (sono dati che abbiamo tratto dalla Fondazione Onda). Si è parlato, a questo proposito, di sindemia data dalla sommatoria e interazione di plurimi disagi e fattori clinici relazionali ed economico-sociali.

I disturbi psichiatrici producono un pesante impatto sulla qualità della vita e sul tessuto economico, determinando costi diretti e indiretti, sociali e previdenziali, così che la prevenzione e la precoce presa in carico degli utenti è di fondamentale importanza, sia per il benessere e la salute psichica individuale sia per l'intera collettività. In questo contesto, tra le categorie che hanno sofferto maggiormente l'impatto della pandemia sulla salute mentale vi sono bambini e adolescenti. Infatti, le restrizioni legate al contenimento del contagio hanno causato il significativo aumento di disturbi psichici tra la popolazione in età evolutiva: ansia, stress, disturbi del sonno, aggressività, isolamento, instabilità emotiva e cambiamenti del tono dell'umore, depressione e regressione, disordini patologici che hanno richiesto, non di rado, anche interventi significativi a livello ambulatoriale e ricoveri, tra cui fenomeni di autolesionismo e tentativi di suicidio: c'è un pericolosissimo aumento - e questo lo vorrei sottolineare ai colleghi in Aula - tra i giovani di età compresa tra gli 11 e i 17 anni, come riportano i dati dei pronto soccorso, c'è chiaramente in atto uno un problema vero di salute mentale dei nostri giovani.

In questo quadro, la mozione si prefigge importanti obiettivi. La mozione indica, quindi, misure concrete e imprescindibili per ricucire il tessuto sociosanitario dei servizi afferenti alla salute mentale, in un'ottica di medicina, di comunità e di prossimità radicata nel territorio, nonché di partecipazione delle persone, ponendo sempre al centro i loro bisogni. Il punto di partenza deve necessariamente essere la presa in carico continuativa non soltanto del paziente, ma altresì di tutto il nucleo familiare. In questa chiave, di grande importanza in particolare troviamo iniziative volte a garantire la prevenzione e percorsi di cura individualizzati e partecipati; gli impegni per l'adeguato rifinanziamento dei servizi; gli interventi volti alla realizzazione di un efficace progetto di vita, con particolare attenzione all'abitare e all'inclusione lavorativa, mediante la valorizzazione del cosiddetto budget di salute, su cui peraltro è in corso l'esame di un provvedimento in XII Commissione; l'impegno per assicurare l'accesso a servizi gratuiti da parte dei più giovani posti al centro di ogni politica sociosanitaria, anche mediante la connessione con i servizi scolastici. Su questo punto, chiaramente, è in esame, in questo ramo del Parlamento, il “decreto Sostegni-bis” che include un piano straordinario di assunzioni di psicologi e psichiatri a livello nazionale; sono stati stanziati fondi, noi pensiamo che si potrebbe fare di più, e non è la prima volta che il Parlamento si esprime su questo tema. Con la collega Di Lauro commentavamo che sono tre anni ormai che il Parlamento ha agito con risoluzioni in Commissione, con l'istituzione di un tavolo, ma adesso, con la pandemia, questo problema sta arrivando a un livello estremamente, estremamente grave. Altri Paesi sono più avanti; penso, per esempio, al Governo francese che, sotto la guida Presidente Macron, ha introdotto un grande Piano nazionale per la salute mentale giovanile. L'Italia si sta avvicinando, ma chiaramente il “Sostegni-bis” è soltanto un primo passo: non può sicuramente essere la parola fine su questo argomento.

Infine, altre due tematiche molto importanti che ritroviamo in questa mozione su questo tema. In primo luogo, troviamo iniziative per la diffusione di reti di ascolto, nonché di strumenti di telepsichiatria e telepsicologia e, infine, l'istituzione di due osservatori, sulla salute mentale e sul fenomeno suicidiario e sulla tutela della salute mentale nelle carceri.

Ribadiamo dunque il nostro sostegno alla mozione in esame perché è necessario adottare con urgenza misure volte a far fronte ai grandi cambiamenti sociali, economici ed epidemiologici di questi anni, rinnovando profondamente i servizi di salute mentale, investendo sulla medicina di prossimità e di comunità, ridefinendo la quota di spesa destinata alla salute psichica, superando le disomogeneità tra i territori e contrastando stigma e isolamento, con particolare riferimento a bambini e adolescenti in condizioni di maggiore fragilità. Investire nella loro salute mentale significa investire nel futuro delle giovani generazioni e, dunque, dell'intero Paese.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Federico. Ne ha facoltà.

ANTONIO FEDERICO (M5S). Grazie, Presidente, grazie al Governo per la presenza e l'attenzione. Questa mozione sulla salute mentale credo sia un atto che interviene in un momento molto particolare e, se è vero, come è vero, che può aiutare ad alimentare un dibattito parlamentare su un tema così importante, ma allo stesso tempo così sconosciuto ai più, alimentando quindi continuamente questo stigma di cui ha parlato anche la collega Pini prima, deve determinare un dibattito che sia consequenziale, cioè che produca, dopo, degli atti da parte del Governo consequenziali rispetto all'importanza del tema e alle indicazioni che il Parlamento, con questo dibattito e poi, con la votazione delle mozioni, vorrà dare nei prossimi giorni. È importante perché si è fatto riferimento all'episodio drammatico che è accaduto ieri ad Ardea e che rischia, nella sua drammaticità, di far vedere ancora una volta questo tema tutto bianco o tutto nero, quando, in realtà, è un discorso molto più ampio e più complesso da affrontare, che probabilmente non si potrà esaurire in questo dibattito parlamentare di oggi e dei prossimi giorni, ma che vede studiosi, medici ed operatori - che da anni vivono e convivono nel lavorare su questi temi - cercare di capire cosa significa “normalità”, cosa significa stare bene e qual è il confine tra lo stare bene e lo stare male. Non sono temi che si possono affrontare in maniera secca, tranchant, ma hanno bisogno di una complessità di analisi che questa mozione, secondo me, per molti aspetti, riesce a declinare bene. Riesce a declinare bene questa analisi, partendo da un quadro generale che è molto critico - così come è stato detto dai colleghi precedentemente -: vi è infatti la difficoltà dei dipartimenti di salute mentale, dei centri di salute mentale sui territori, che sono distribuiti in maniera disomogenea e non sono in grado di dare risposte tutti i giorni, h24, la risposta e la velocità di risposta alla presa in carico di situazioni di difficoltà sono insufficienti, soprattutto in determinate zone del Paese. In questo quadro di difficoltà, di disagio e di arretratezza, anche rispetto agli standard degli altri Paesi europei, è arrivata la pandemia che, oltre ad aver messo in difficoltà le famiglie da un punto di vista sanitario e anche economico, ha impattato sull'aspetto sociale che riguarda sia i minori sia gli adulti che hanno dovuto cambiare completamente il loro stile di vita e l'approccio alla loro quotidianità. Se questa cosa ha creato dei problemi a chi, prima della pandemia, non era cosciente, non era consapevole di avere delle difficoltà o di avere latente qualche disagio, che poi è emerso con forza con episodi di ansia, depressione, ma a volte anche con violenze domestiche, che possono sfociare in situazioni più drammatiche, possiamo immaginare solo quello che è successo a chi aveva già difficoltà e viveva già il disagio di problemi psichiatrici importanti. Faccio riferimento a chi, per esempio, viveva già all'interno di strutture residenziali e si confrontava ogni giorno con disagio mentale forte e importante come la schizofrenia o altre malattie più importanti, che hanno bisogno di un percorso differente. Tutto quello che veniva vissuto da queste persone, che era anche terapeutico e quindi si affiancava a una terapia farmacologica, legata anche alla presa in carico del dipartimento di salute mentale dei vari territori, che era anche la socialità, l'integrazione, anzi io la chiamerei “interazione”, cioè il fare le cose insieme alle comunità, l'aprire le porte di queste strutture, che era un po' anche la logica di Basaglia, più volte richiamata all'interno di questo dibattito, è un tema che si è fermato.

Quindi, per certi versi, si è tirato il freno a mano rispetto a questi passaggi importanti, che servono per far superare quello stigma sulla salute mentale, di cui ha tantissima necessità il nostro Paese, e ne ha necessità ancor di più alla luce della pandemia e di questa fase - speriamo - di lenta fuoriuscita dall'emergenza COVID, per avere gli strumenti per riconoscere queste situazioni di disagio e di difficoltà, perché questi strumenti sono stati a volte messi un po' in disparte anche dai livelli territoriali.

Quindi, una integrazione sociosanitaria non ha funzionato appieno e i tagli che ci sono stati in questi anni sicuramente non hanno aiutato i territori, sia in termini di organizzazione che in termini di formazione del personale e in termini proprio culturali, di crescita delle varie comunità da questo punto di vista. Quindi, è importante accogliere alcune delle indicazioni di questa mozione e affiancarle a quelle che sono le iniziative presenti all'interno del PNRR sulla sanità territoriale, però cercando di dare una spinta e un imprinting importante sul tema della salute mentale, perché - ripeto - far finta che questo non sia un problema di cui ci si debba occupare significa solo, facendo un ragionamento un po' brutale, aumentare notevolmente la spesa per la sanità pubblica e per la gestione dei servizi sociali nel nostro Paese e significa sicuramente mettere ancora più in difficoltà un sistema che aveva già delle forti criticità.

Aggiungo poi, come riflessione, il fatto che, a fianco della salute mentale, non dobbiamo dimenticare di ragionare anche sul mondo della disabilità, perché poi alcune volte sembra che si vogliano tenere distante e distinto il tema della salute e quindi della psichiatria dal tema della disabilità. Ma queste sono due questioni che vanno comunque affrontate in maniera contestuale. Faccio solo degli esempi: persone, ragazzi con disabilità, che, nella loro quotidianità, partecipavano alle attività dei centri diurni, si sono fermati per mesi, se non per un anno, durante questa pandemia e tantissime abilità che erano state raggiunte si sono perse in questo periodo, anche semplicemente l'abilità di stare con l'altro, di essere in grado di ascoltare, di capire e codificare semplicissime istruzioni di manualità, come un laboratorio di scrittura o di lettura o un laboratorio musicale. Queste sono abilità che vanno recuperate e, per recuperarle, c'è bisogno di personale e di risorse, perché quelle strutture che prima potevano funzionare con 5 operatori e 30 utenti ora hanno bisogno del doppio, se non del triplo degli operatori, proprio perché le difficoltà e la regressione che si sono determinate in certe situazioni sono state molto forti e molto importanti.

Io, nel mio percorso di vita, ho avuto la fortuna di lavorare per parecchi anni in una struttura residenziale con pazienti psichiatrici, quindi tutta l'attività di interazione con l'esterno della struttura residenziale era qualcosa che portava sollievo dalla difficoltà, dal disagio e dai problemi quotidiani che queste persone - io li chiamavo “i ragazzi” – avevano, stando chiusi all'interno della struttura. Recuperare questi passaggi, questa socialità sarà un'altra delle sfide importanti per chi lavora e vive in queste strutture e ci sarà bisogno sicuramente di un supporto importante, ci sarà bisogno di iniziative, come questa mozione, ma anche di iniziative governative importanti affinché risorse e attenzione su questo tema non vengano mai a mancare.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Di Lauro. Ne ha facoltà.

CARMEN DI LAURO (M5S). Grazie, Presidente. Se, con un enorme sforzo, proviamo a cercare qualche piccolo lato positivo nel mare delle tragedie che questa pandemia ci ha portato, io penso che uno di questi lati positivi forse sia proprio l'aver riacceso i fari sul tema della salute mentale, e lo dimostra anche il fatto che oggi stiamo discutendo di questa mozione. Io credo che quello della salute mentale sia stato un tema molto trascurato dalla politica. È stato citato più volte in quest'Aula: dopo la grande opera rivoluzionaria di Franco Basaglia, purtroppo c'è stato il nulla, il deserto; una grande opera che purtroppo è rimasta anche inapplicata in molti casi.

Forse questo accade perché, quando si parla di salute mentale, si ha a che fare con qualcosa di intangibile, e per il fatto che noi viviamo in una società assolutamente materialista forse quello che non è materia fa fatica a trovare spazio, forse fa fatica addirittura ad essere riconosciuto, perché in realtà le ferite dell'anima, i nostri mostri interiori hanno un impatto, possono avere un impatto devastante sulla vita delle persone in tutti gli ambiti, da quello lavorativo a quello relazionale. In realtà le ferite della psiche sono molto più potenti di quanto non si possa credere e riguardo a questo c'è ancora poca consapevolezza, se ne parla ancora troppo poco. Ci viene insegnato fin da piccoli a concentrarci sul mondo esterno, su quello che ci circonda; e invece il primo passo per stare bene con noi stessi e con gli altri, per costruire anche un mondo migliore, è proprio quello di guardarsi dentro. Questa profonda carenza nel trattare la salute mentale ha provocato anche dei costi economici ingenti sia per il nostro Paese sia a livello europeo. A livello europeo spendiamo 600 miliardi di euro all'anno per le conseguenze delle problematiche legate alla salute mentale; 600 miliardi di euro sono una cifra abnorme e questa cifra deve far riflettere, anche in vista di una programmazione del fabbisogno statale a medio e lungo termine, perché un maggiore e più accurato investimento oggi ci può garantire già nel breve e brevissimo periodo una diminuzione della spesa futura. Ecco, parlo di cifre e di numeri non perché voglia in qualche modo dare un prezzo alla salute mentale - la salute mentale sicuramente non può essere quantificata sotto questo aspetto in alcun modo -, ma lo faccio perché molto spesso, troppo spesso, la politica tende a dare maggiore importanza agli aspetti economici. Forse considerare anche i danni economici di questa mancanza sulla salute mentale e sulla prevenzione potrebbe dare quella spinta che fino ad oggi è mancata. E lo dobbiamo dire perché non è la prima volta che questo Parlamento dà dei segnali molto chiari al Governo, e stiamo ancora aspettando che vi sia una risposta forte e concreta. A livello europeo l'Italia è tra gli ultimi Paesi nelle statistiche che riguardano il sistema di cura e trattazione della salute mentale. Abbiamo un bassissimo numero di strutture, incluse quelle private, e il trend è anche in peggioramento per quanto riguarda sia le strutture sia il personale. A tutto questo invece si accompagna, paradossalmente, un aumento vertiginoso del bacino di utenza e la conseguente impossibilità poi di garantire la giusta attenzione ai pazienti. Come se ciò non bastasse, si registrano anche grandi differenze a livello regionale nella distribuzione, nell'applicazione e nell'uso delle risorse, e questo va ad accentuare un altro dei grandi problemi del nostro Paese, che sono le differenze socioeconomiche territoriali. Ho cercato di seguire e sensibilizzare fin dall'inizio di questa legislatura su questo tema con l'istituzione del tavolo della salute mentale al Ministero, con l'allora Ministro Grillo. In questi mesi particolarmente duri di lockdown, una delle domande che più mi sono posta è stata: ma come stanno vivendo gli italiani, anche da un punto di vista psicologico, le restrizioni, l'incertezza verso il futuro, la paura del contagio e della morte? Qualche giorno fa ho ricevuto in regalo un libro che, per quanto dal titolo possa sembrare particolarmente scherzoso e ironico, si intitola Diario di una zitella in quarantena, tra le sue pagine ho trovato diversi passaggi molto significativi e profondi. Ne vorrei riportare qui un paio: Giorno di quarantena numero 20: viviamo come se la malattia e la morte non ci dovessero mai raggiungere, ci illudiamo e desideriamo di sfuggirle come se la nostra vita potesse essere immune dal dolore, ma questa è una menzogna. Il lockdown mi ha mostrato tutto questo, e non solo perché sono circondata dalla morte e dalla malattia che ogni giorno i giornali e la televisione mi mostrano per alimentare le mie paure, ma anche e soprattutto, in maniera più concreta, perché la mia vita è morta. La mia quotidianità non esiste più, non esiste più il mio lavoro, e i luoghi che frequentavo e i miei amici sono un'immagine lontana dietro uno schermo. E anche se mi ripeto che tutto tornerà come prima, la verità è che non so quando questo accadrà. Eppure, se accadesse, ho la sensazione che la fragilità continuerà ad avvolgere ciò che prima pareva immutabile, granitico, mio. Giorno 39: la chat della fondazione antiusura per cui lavoro continua a fare bip, così, ancora intontita, comincio a leggere. Uno dei nostri operatori che lavora da casa ha appena scritto questo: alle dieci di questa mattina rispondo al telefono, dall'altra parte c'è una voce molto anziana, ansimante, che piange. Mi dice che ha più di 80 anni e sono quaranta giorni che è chiusa in casa da sola. Non ha bisogno di nulla di materiale, ha solo bisogno di parlare con qualcuno perché non ce la fa più. Non ha figli ed è vedova, ha una nipote sullo stesso pianerottolo, ma non le fa visita per paura di contagiarla. Qualcosa mi prende allo stomaco e la mia solitudine si mescola con quella di questa donna di cui non so niente. E improvvisamente mi si fa chiaro un pensiero che mi accompagna come sottofondo da quando è iniziata la quarantena: ma qualcuno si è chiesto l'effetto che avrà tutta questa paura e solitudine sulle nostre vite? Qualcuno ci ha pensato al costo psicologico che tutto questo avrà? Ecco, a questo costo ci ho pensato e ci penso continuamente, ed è per questo che nella scorsa legge di bilancio avevo proposto un bonus psicologia per aiutare le persone ad accedere alle cure, ed è una proposta che continuerò a portare avanti. Ed è sempre per questo che nel prossimo “decreto Sostegni-bis”, dove si prevede l'impiego di circa 600 psicologi per fronteggiare l'emergenza, ho chiesto che questa soglia venga alzata, che ci siano almeno mille psicologi, perché 600 sono ancora troppo pochi. E sono pochi perché le persone che soffrono di disturbi psichici in Italia sono 17 milioni e accanto a loro dobbiamo considerare anche le famiglie, i parenti, persone che sono molto provate, persone che si ritrovano a gestire risvegli nel cuore della notte, attacchi di panico, attacchi di rabbia, tristezze. Ecco, i parenti di queste persone, i figli, sono chiaramente esposti e possono a loro volta ammalarsi; c'è questo rischio e posso sicuramente testimoniarlo. Rimanendo proprio sul discorso dei figli, un dato allarmante riguarda infatti i giovani: i numeri sui ragazzi in preda ad ansia, depressione, problemi alimentari, sociali, sono davvero inquietanti, sono stati lanciati tantissimi allarmi in questi giorni da più professionisti, dal mondo della psichiatria, della psicologia. Se noi non garantiamo un aiuto immediato a questi giovani, credo che ci saranno delle conseguenze disastrose per tutta la nostra società. È necessario indirizzarsi verso una salute mentale di comunità, attraverso servizi di prossimità, investire nella sanità territoriale e mettere sempre al centro il paziente per poter dare una risposta rapida, soprattutto efficace, alla complessità dei problemi che riguardano i disagi psichici. Gli oltre trenta impegni di questa mozione che stiamo discutendo vanno proprio in questa direzione; ora però deve essere il Governo a dimostrarci che tiene davvero a questo argomento, deve essere il Governo a darci una risposta forte. Concludo, Presidente: penso che si dovrà lavorare, in maniera anche importante, anche sugli aspetti culturali, perché è giunta l'ora che in questo Paese emerga una verità fondamentale, ossia che andare dallo psicologo non significa essere pazzi. Significa, invece, affrontare un profondo viaggio dentro di sé, un viaggio certo faticoso il più delle volte, che però poi ci riporta ad avere e ci restituisce magari un equilibrio e una forza che in tanti non credevamo di avere. Affrontare questo viaggio significa prendersi cura di sé, ma anche degli altri, e questo è un dovere e un diritto per ogni cittadino; però noi, come legislatori, invece abbiamo il dovere di donare tutti gli strumenti necessari affinché ogni cittadino, nel momento del bisogno, possa sentire di avere accanto a sé uno Stato disponibile e accogliente. Presidente, ripeto, andare dallo psicologo, fare un percorso di psicoterapia non vuol dire essere pazzi, ma vuol dire essere coraggiosi (Applausi).

PRESIDENTE. Non essendovi altri iscritti a parlare dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali. Il Governo intende intervenire o si riserva di farlo successivamente? Si riserva. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione della mozione Cabras ed altri n. 1-00456, concernente iniziative in relazione al caso di Julian Assange.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Cabras ed altri n. 1-00456, concernente iniziative in relazione al caso di Julian Assange (Vedi l'allegato A).

La ripartizione dei tempi riservati alla discussione è pubblicata nel vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (Vedi calendario).

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali della mozione.

È iscritto a parlare il deputato Pino Cabras, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00456.

PINO CABRAS (MISTO-L'A.C'È). Grazie, Presidente. La prigionia e la libertà di Julian Assange costituiscono una questione cruciale del moderno Occidente. Quando Ernesto Balducci parlò dell'incontro dell'Europa con le popolazioni delle Americhe, che c'erano prima di Colombo, disse che l'uomo incontrò se stesso e non si riconobbe. Nacque, cinque secoli fa, una strana alienazione e doppiezza dell'Occidente, vero propulsore di meravigliose Carte dei diritti umani e capace nel contempo di perpetrare orribili genocidi. Anche oggi, con Assange, le libertà politiche occidentali incontrano se stesse e non si riconoscono; il giornalismo occidentale incontra se stesso e non si riconosce; la giustizia democratica incontra se stessa e non si riconosce. Invece, riconoscere libertà politica e di parola, riconoscere la giustizia è ancora possibile.

Julian Assange da 11 anni è al centro di un caso diplomatico e giuridico. Nel 2006 aveva fondato il sito WikiLeaks con l'obiettivo di offrire uno spazio libero ai whistleblower disposti a pubblicare i documenti sensibili e compromettenti, in forma anonima e senza la possibilità di essere rintracciati. Il sito ha fatto da palestra per il più efficace giornalismo investigativo degli ultimi anni, rivelando segreti e scandali, relativi, tra gli altri, a guerre, loschi affari commerciali, episodi di corruzione e di evasione fiscale.

L'uomo che oggi langue da troppo tempo in una prigione britannica ha contribuito ad aumentare la consapevolezza di larghi strati della pubblica opinione mondiale, rispetto a Governi, uomini di potere, grandi lobby, reti di relazioni ed eventi, ben oltre la narrazione ufficiale. La sua WikiLeaks ha consentito alla democrazia contemporanea di superare e mostrare i limiti del giornalismo tradizionale. Lasciare che Assange sia soggetto alle sue dure condizioni carcerarie è l'attentato definitivo, oltre che alla sua persona, al giornalismo investigativo, in un mondo che vede le leve dell'informazione in sempre meno mani. Avere invece un'informazione coraggiosa aiuta i Parlamenti nel correggere i comportamenti opachi di vari Governi.

Parliamo di un dissidente che ha segnato a livello planetario un'epoca nuova nella tensione fra lo scrutinio democratico delle decisioni dei poteri di Governo e la ragion di Stato. La sua cattività pone un problema drammatico alla coscienza politica di tutto l'Occidente. Assange ha dato coraggio alla pratica del whistleblowing e dell'obiezione di coscienza, fino a farla riconoscere nelle leggi e nei codici etici a tutti i livelli. Niente retorica vuota sulla democrazia dal basso, Assange ha fatto una cosa pratica: un sistema che valorizzava il controllo dal basso e la democratizzazione dell'informazione, nell'ambito di una rivoluzione tecnologica con un grande potenziale di liberazione per individui e popoli. La storia coraggiosissima di Julian Assange esige che sia riconosciuto il valore e il rango politico del suo attivismo, da sempre minacciato con ogni mezzo, che sia salvaguardata la sua incolumità, che non ci siano forzature politiche nelle procedure a cui sarà sottoposto.

Si è fatto molti nemici, certo, anche fra i giornalisti. Ce ne sono che si proclamano perfino difensori dei diritti umani, ma, siccome una parte di loro li viola tutte le sere, privando la gente di una informazione decente, ovviamente non ama i disturbatori della quiete del potere. C'è quello che condanna Assange, dicendo che gli Stati hanno bisogno delle loro zone d'ombra; c'è chi lo condanna perché ha rivelato segreti di Stato; c'è chi lo qualifica come agente di potenze nemiche, chi afferma che è un personaggio ambiguo. Assange non piace, insomma, a quella parte di giornalisti che non fanno tanto i giornalisti, quanto gli addetti alle pubbliche relazioni del potere; figuriamoci se possono assolverlo! Insomma, in troppi stanno zitti e lasciano che la minaccia colpisca tutti coloro che vorranno dire la verità. È normale che Governi e i potenti abbiano qualcosa da nascondere, che ci vuoi fare? Ma il compito dell'informazione ineludibile è quello di andare a scoprire i loro nascondigli e di rivelarli al pubblico e ai popoli; se non lo fa, l'informazione cessa di essere tale.

Non è il momento di stare allineati e coperti. In oltre quindici anni, WikiLeaks ha diffuso più di 10 milioni di documenti classificati. Possiamo dire che ci sono dieci rivelazioni di Assange che hanno cambiato il modo di vedere il potere.

Le voglio elencare, per inquadrare l'esatta dimensione di questa opera: gli archivi di Guantanamo; le notizie segrete sulle guerre e le torture dell'Afghanistan e dell'Iraq; i dispacci diplomatici dello scandalo Cablegate; i video sui civili bersagliati a Baghdad; i documenti dell'agenzia Stratfor sulla sorveglianza totale; le rivelazioni sui negoziati dei grandi accordi commerciali, che diminuivano il peso delle democrazie a favore delle multinazionali; le magagne di tante fortissime corporation dominanti; l'uso dello spionaggio globale come strumento geopolitico, che ha diminuito la forza delle cancellerie europee; la messa a nudo del potere del clan Clinton e delle sue connessioni saudite; l'analisi spietata, dati alla mano, dello strapotere del big tech nel determinare la morte della privacy per miliardi di individui.

La mozione ricorda lo stato attuale delle condizioni di Assange. È una persecuzione contro una persona, è una ritorsione contro il progetto WikiLeaks, ma rappresenta anche un brutto precedente per attivisti, giornalisti e whistleblower ovunque nel mondo. La sua detenzione, i cui presupposti erano già stati respinti nel 2015 dal gruppo di lavoro dell'ONU sulla detenzione arbitraria e rivelatasi anche accadere in condizioni gravosamente severe, nonché l'eventualità di estradizione e persecuzione a vita negli Stati Uniti rappresentano uno scandalo denunciato dalle organizzazioni per i diritti umani. Nel novembre 2019 il relatore ONU sulla tortura ha dichiarato che Assange avrebbe dovuto essere rilasciato e la sua estradizione negata. Il Consiglio d'Europa ha fatto propria la dichiarazione. Nel dicembre 2020, lo stesso relatore ONU sulla tortura, oltre a rinnovare l'appello per l'immediata liberazione di Assange, ha chiesto senza esito che questi venisse almeno trasferito dal carcere a un contesto di arresti domiciliari. Il 5 gennaio la giustizia britannica ha negato l'estradizione di Assange agli Stati Uniti per motivi di natura medica. Nonostante tutto, Assange è ancora detenuto in durissime condizioni nella prigione di Belmarsh.

La mozione è semplice: impegna il Governo a fare di tutto, in aderenza alle convenzioni, per garantire la protezione e l'incolumità di Julian Assange da parte delle autorità britanniche e a scongiurarne l'estradizione. Questo significa, di fatto, riconoscergli lo status di rifugiato politico e la protezione internazionale, in virtù delle riconosciute e accettate disposizioni internazionali sul diritto d'asilo. Sarà un contributo alla libertà in grado di trovare le giuste vie diplomatiche, senza morire di troppa prudenza. Viva la libertà, viva Julian Assange!

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Valentini. Ne ha facoltà.

VALENTINO VALENTINI (FI). Grazie, Presidente. Julian Assange, per qualcuno, rappresenta il protagonista della più grande battaglia del nostro secolo, contro le distorsioni del segreto di Stato e tutto quanto di nefasto esso celi. Per altri, si tratta di un “terrorista high-tech, come l'ha definito l'allora vicepresidente Biden, o più correttamente un mitomane che ha finito per diventare un utile idiota nelle mani di potenze avverse.

A dieci anni delle prime rivelazioni di WikiLeaks possiamo comunque avviare alcune valutazioni di prospettiva, rispetto al furore pruriginoso con cui allora le rivelazioni sono state accolte ed usate dai media per scopi di politica contingente e dei successivi sviluppi di questa vicenda.

Per alcuni, Assange è un eroe che si batte per la trasparenza dell'azione dei Governi. Per altri, nei quali mi riconosco, la pubblicazione in blocco di 250 mila telegrammi diplomatici, senza cancellare le fonti, non rappresenta un atto di denuncia, ma di che cosa? Del modus operandi della diplomazia stessa? Si tratta di un vero e proprio atto di sabotaggio sistemico. È come avere attivata una gigantesca operazione di intercettazioni a strascico, incurante dei danni collaterali umani e personali, ma forse quello è ciò che più piace.

Non intendo entrare nella diatriba se l'eventuale processo per la violazione della legge sullo spionaggio, che lo attende negli Stati Uniti, possa avere conseguenze per la libertà di stampa che, nel frattempo, è già stata superata di gran lunga dalla rete. La pubblicazione del materiale - è vero - ha denunciato azioni criminali da parte del Governo statunitense in Afghanistan e in Iraq. Ma qui il punto è sapere fino a che punto sia lecito mettere a repentaglio la vita del personale e di informatori che agiscono nelle zone di guerra o la riservatezza delle comunicazioni diplomatiche o di quelle militari. Ecco perché per il whistleblowing, cioè la segnalazione di violazioni e di illeciti, esistono procedure e prassi consolidate che possono anche essere ritenute inefficaci, ma che non poco tempo fa hanno portato all'impeachment del Presidente Trump.

Quindi, fino a che punto si può giustificare l'hackeraggio? Chi stabilisce se tutto il materiale sottratto possa e debba essere pubblicato? Allora anche pubblicare il materiale sottratto dagli hacker russi al server del Partito Democratico durante la campagna presidenziale, come ha fatto Assange, è un atto di libertà di stampa o di interferenza politica? Oltre che la violazione penalmente perseguibile della segretezza delle comunicazioni personali? E pensare che tale pubblicazione sia una grave interferenza al fine di ottenere una archiviazione da parte di una amministrazione entrante - che però è stata inchiodata dalla relazione Mueller - è pensare bene o è pensare male?

Per ora le corti inglesi, come abbiamo sentito, si sono rifiutate di estradare Assange negli Stati Uniti e il verdetto finale sulla vicenda rimane lungi dal venire; la serie di appelli e contro appelli garantiranno la sua permanenza in Gran Bretagna fintanto che le carte non arriveranno sulla scrivania del Ministro degli Interni e poi, eventualmente, alla CEDU di Strasburgo.

Quindi, non vi era urgenza, ciò che è realmente urgente è il tentativo di qualcuno di battere un colpo per affermare una qualsivoglia identità politica in questo Parlamento, cercando un'ispirazione ideale dalle fonti “nobili” del proto-grillismo, cercando di indirizzare un cono di luce su un uomo che ha nutrito il proprio culto della personalità con la luce dei riflettori mediatici. La luce dei riflettori, le luci della ribalta, sono la chiave unificante tra l'UR-vaffa del Grillo delle origini, a cui vuol fare eco questa mozione, vale a dire il tentativo pseudoanarcoide di sabotaggio sistemico del funzionamento della diplomazia tramite la pubblicazione anonima dell'intero archivio di messaggi riservati; Assange voleva far saltare il sistema relazionale tra gli Stati, Grillo e Casaleggio pensavano di far saltare il meccanismo della democrazia rappresentativa. Qui troviamo il nesso che unisce coloro che ritengono che dietro il riserbo degli affari di Stato si nascondano le peggiori nefandezze e coloro che asserivano, un tempo, che la mediazione politica fosse la fonte delle peggio ruberie, una visione figlia della retorica distorta di Mani Pulite. Un tempo c'era un movimento che voleva aprire le istituzioni come una scatoletta di tonno, peccato che poi ha gettato l'apriscatole per timore che qualcuno lo adoperasse contro chi ora vi si è comodamente insediato. Avevamo una cultura primigenia, che voleva esporre alla luce dello streaming i giochi di palazzo ed è finita per trasformare tutto in spettacolo, demagogia e populismo. Il Parlamento è così passato dalla sede della rappresentanza a quella della rappresentazione e la forma si è fatta sostanza. Ma quando le dirette streaming sono state spente per lasciare spazio alle dirette Facebook senza contraddittorio per tenere sotto controllo la narrazione e quando la forma - scontrini, auto blu, voli di Stato, rimborsi - si è fatta un imbarazzante ricordo, quando la rottamazione della casta è stata abbandonata da chi si è fatto nuova casta, allora gli elementi antisistema, che altro che non sono che coloro che sono rimasti esclusi dal riparto delle poltrone, si rifugiano nelle fonti originarie antisistemiche, perché le forme che avevano agitato come clava politica per abbattere gli avversari sono state contraddette. Anche il totem dei totem sta per essere abbattuto, la prova assoluta della diversità: il limite dei due mandati. Quel mandato in più al quale la parte ribelle sa di non poter aspirare e allora cerca di imbarazzare gli ex compagni di viaggio con una mozione che è un grido di dolore per le angherie del San Sebastiano del cyber anarchismo ed è un lamento per il tradimento della democrazia diretta digitale. Per definire questo fenomeno potrei citare “Arbeitskreis RealPolitk” di Joshka Fisher sulla lotta tra i “Realos” e i “Fundis” all'interno del movimento dei Verdi tedeschi o potrei andare a pescare Eliot Higgins, il fondatore di Bellingcat, sul passaggio dall'età dell'informazione a quella della disinformazione, sul pericolo di radicalizzazione quando la gente si stacca dalla realtà, sull'estremismo slegato dai fatti e della disinformazione di Stato; ma per intendere ciò che sta accadendo potrei restare più vicino a casa nostra, citando l'ultimo libro di Enrico Letta, che col titolo ci è andato vicino: non direi tanto “Anima e cacciavite”, ma piuttosto “sedia e bullone”… per non andare a prendere i Måneskin, ma questo lo faremo un'altra volta.

Spero, quindi, sia evidente perché non soltanto Forza Italia non voterà la mozione, ma non ha ritenuto opportuno presentare alcun testo. Questa battaglia domestica non ci appartiene. Il signor Assange non è il giornalista di cui si parla e i WikiLeaks non sono i Pentagon Papers del ventesimo secolo, di cui adesso ricorrono i 50 anni, e lui non è neppure un emulo di Daniel Ellsberg. Quando quest'ultimo si consegnò alle autorità, affermò testualmente: “l'ho fatto perché non potevo più nascondere i fatti all'opinione pubblica, l'ho fatto a mio rischio e pericolo e sono pronto a rispondere delle conseguenze della mia decisione”… sicuramente Assange non è disposto a rispondere delle sue. Lasciamo che la giustizia faccia il suo corso. Lasciamo ad Assange quello che lui ha negato ad altri e che più di ogni altra cosa teme: il diritto all'oblio.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Galantino. Ne ha facoltà.

DAVIDE GALANTINO (FDI). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, sottosegretario Costa, buon pomeriggio. Ringrazio il collega Cabras per aver illustrato questa mozione, che porta in quest'Aula un caso emblematico, che va avanti da ben 11 lunghi anni e riguarda l'attivista australiano Julian Assange.

Voi parlate di una persecuzione contro la persona che è Assange, parlate di una ritorsione contro il progetto WikiLeaks, ma, di fatto, il senso di questa mozione è impedire l'estradizione e salvare Assange dai processi che lo riguardano. Qui parliamo di un conflitto irrisolto ed irrisolvibile tra libertà e sicurezza. Spesso in opposizione tra loro, questi due valori, fondamentali e irrinunciabili, rendono impossibile una scelta definitiva tra i due. E credo nell'impossibilità di compiere questa scelta. Come decisori politici, abbiamo il dovere non soltanto di riaffermare il principio irrinunciabile della libertà di parola e di stampa, ma di quali siano, e se ci siano, i limiti alla stessa. Penso che questi limiti siano utili, in questo caso, a tutelare le istituzioni non come meri apparati burocratici, ma come apparati garanti del benestare della comunità politica e sociale di un Paese.

Ogni giorno, chi si trova a governare le sorti di un Paese è chiamato a compiere scelte difficili, che sono fatte in nome della collettività e che ricadranno sulla stessa; e dunque la premessa per farle è che queste siano compiute sempre nell'interesse comune. Rinunciare a questa premessa significa arrendersi all'ingeneroso giudizio che condanna le istituzioni e la politica come pratiche fallite e corrotte, e che non consente di vederle più per quello che sono, o dovrebbero essere, ovvero realtà custodi di questo bene, il bene massimo, il bene comune.

Ed è vero, come in tanti fatti umani, le istituzioni e la politica non sono certo immuni da difetti e, se hanno commesso degli sbagli, quelli denunciati da Assange, è giusto che debbano rispondere nei luoghi competenti, così come è giusto che lui debba sottoporsi al giudizio della magistratura. E, nel trattare il caso, mi trovo a concordare con le parole della giudice londinese, Vanessa Baraitser, che sul caso ha affermato che la libertà non è pubblicazione senza regole. Ogni professione ha il suo codice deontologico e questo è utile per qualsiasi gesto compiuto che abbia delle conseguenze. È dovere della magistratura pesare le azioni di Assange e capire se i suoi gesti siano stati positivi o deleteri. Certamente relegare la professione giornalistica alla blanda pubblicazione di carte e trincerarsi dietro il ritornello della libertà di parola, significa non prendersi la responsabilità dei propri gesti e negare il lavoro di selezione, di interpretazione, di decodificazione e contestualizzazione delle carte stesse, che rendono il giornalismo essenziale alla società.

Io penso che, al netto delle condizioni di detenzione, che devono essere comunque sempre dignitose, vada comunque garantito il principio della riservatezza delle informazioni per ragioni di sicurezza nazionale, e se lui le ha violate deve sottoporsi alla giustizia ordinaria. Infatti, la mozione non tiene conto delle conseguenze che i gesti di Assange avrebbero potuto avere su quelle operazioni militari. La mozione tende a rimettere al giudizio del singolo individuo la decisione della pubblicazione delle carte e permette ai cittadini di fare un processo pubblico alle istituzioni senza che queste abbiano la possibilità di giustificarsi. La mozione pretende che il gesto della pubblicazione non venga posto sotto il giudizio delle magistrature competenti. E ora, Presidente, siamo tutti per la trasparenza. Anche recentemente, come partito, abbiamo fatto una battaglia per pubblicare i documenti della task force sul COVID, ma questa decisione è passata per le mani del TAR, non dalle mani di un singolo individuo che ha deciso di operare autonomamente.

Per tali ragioni, come gruppo di Fratelli d'Italia, riteniamo che la mozione, così come è posta, sia assolutamente sbilanciata, direi anche populistica. Quindi, cerchiamo di tornare tutti sui nostri passi, per ricominciare a fare politica in maniera seria, in maniera rispettosa delle istituzioni coinvolte.

Di conseguenza, faremo le opportune valutazioni prima di esprimere un parere di merito in sede di dichiarazione di voto (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Di Stasio. Ne ha facoltà.

IOLANDA DI STASIO (M5S). Grazie, Presidente. Le vicende giudiziarie che hanno travolto Julian Assange, nato nel 1971 in Australia, sono strettamente legate a WikiLeaks, il portale che il giornalista e programmatore fondò nel 2006 con l'obiettivo di pubblicare documenti segreti ricevuti da fonti coperte dall'anonimato e dal whistleblower allo scopo di smascherare corruzione e soprusi. Il sito giunse all'attenzione internazionale nel 2010, quando pubblicò una serie di notizie sulla guerra in Afghanistan, i diari di guerra in Iraq e centinaia di documenti diplomatici statunitensi, molti dei quali confidenziali o riservati. I guai giudiziari iniziano il 18 novembre 2010, quando in Svezia fu spiccato un mandato d'arresto per molestie e stupro. Il 7 dicembre di quell'anno si consegnò spontaneamente negli uffici di Scotland Yard e restò in carcere nove giorni, per poi uscire su cauzione. Nel 2012 la Gran Bretagna ha dato il via libera all'estradizione in Svezia ma, subito dopo, Assange si è rifugiato nell'ambasciata dell'Ecuador a Londra, dove è rimasto per quasi sette anni. Durante le elezioni primarie del Partito Democratico statunitense nel 2016, WikiLeaks pubblicò delle e-mail inviate da Hillary Clinton, materiale che condizionò le elezioni presidenziali. Nel 2017 la Svezia fece cadere le accuse di stupro e nell'aprile 2019 l'Ecuador revocò l'asilo politico ad Assange che, nell'aprile del 2019, venne arrestato dopo un blitz della polizia del Regno Unito all'interno dell'ambasciata ecuadoriana. Nel maggio 2019, a distanza di un mese dall'arresto, Assange è stato condannato ad una pena detentiva di 50 settimane per la violazione della libertà su cauzione. In parallelo alla detenzione per violazione della libertà su cauzione, le autorità statunitensi avevano avviato una richiesta di estradizione di Assange dal Regno Unito, dapprima in esito ad un rinvio a giudizio per un suo presunto ruolo nelle intrusioni informatiche dei cosiddetti WikiLeaks e, successivamente, in relazione ad una più grave accusa di spionaggio e cessione di informazioni classificate, in base ad una legge del 1917, secondo la quale, qualora i reati commessi fossero appurati, rischierebbe fino a 175 anni in un carcere di massima sicurezza. L'eventualità di estradizione negli USA ha suscitato proteste e appelli per il suo rilascio da parte di numerose organizzazioni per i diritti umani. Nel novembre del 2019 il relatore speciale ONU sulla tortura e altri trattamenti o pene crudeli, inumani o degradanti ha dichiarato che Assange avrebbe dovuto essere rilasciato e la sua estradizione negata. Si tratta di una dichiarazione alla quale si è successivamente richiamata anche la Commissione per i diritti umani del Consiglio d'Europa che, a febbraio 2020, ha concluso che Assange non dovrebbe essere estradato. Nel dicembre 2020, lo stesso relatore speciale ONU sulla tortura, oltre a rinnovare l'appello per l'immediata liberazione di Assange, ha chiesto senza esito che questi venisse almeno trasferito dal carcere ad un contesto di arresti domiciliari. Fino ad oggi, l'estradizione non è stata concessa per motivi di salute. Il 4 gennaio 2021, la giustizia britannica ha respinto infatti la richiesta di estradizione negli Stati Uniti sulla base della precaria salute psicofisica di Assange, ritenuta incompatibile con il regime di carcerazione preventiva in attesa di processo, prospettato dalle autorità statunitensi. Assange tuttavia resta in prigione su ordine del giudice responsabile per il procedimento di estradizione verso gli Stati Uniti, come misura cautelare in relazione ad un ravvisato rischio di fuga. Il collegio difensivo di Assange, da parte sua, pone l'attenzione sulla questione della natura politica delle accuse e, dunque, sull'ingiustizia delle stesse, richiamando le norme britanniche che esplicitamente contemplano la possibilità, per i tribunali britannici, di non dar corso a richieste di estradizione in esito a considerazioni estranee, quali intenti persecutori o opinioni politiche. Il caso Assange è una prova per la giustizia britannica e per l'Europa intera che dovrà dimostrarsi capace di bilanciare e soprattutto tutelare i molteplici interessi in ballo: da un lato, il destino di un uomo che rischia una condanna infinita, la necessità di garantire il giornalismo investigativo, il diritto ad essere informati su quel che ci circonda e in modo veritiero e, dall'altro, la necessità di mantenere stabili gli equilibri internazionali e che reati, se accertati, non restino impuniti.

Per tali ragioni, riteniamo sia fondamentale che il Governo valuti la possibilità di sostenere qualsiasi tipo di iniziativa, in accordo con i partner europei e in linea con le convenzioni internazionali sui diritti dell'uomo, in particolare, con l'articolo 2 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, sul diritto alla vita e l'articolo 6 sul diritto ad un equo processo, finalizzate a garantire che siano tutelati i diritti umani e le libertà fondamentali di Julian Assange, nel rispetto dell'autonomia e delle prerogative della magistratura britannica.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole La Marca: non la vedo in Aula, quindi si intende abbia rinunciato. Se è fuori dall'Aula… ha già parlato l'onorevole Ungaro, onorevole Verini. A questo punto, si intende abbia rinunciato.

Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

Il rappresentante del Governo intende intervenire? Si riserva di farlo successivamente.

Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.

Interventi di fine seduta.

PRESIDENTE. Passiamo agli interventi di fine seduta.

Ha chiesto di parlare l'onorevole Sensi. Ne ha facoltà.

FILIPPO SENSI (PD). Grazie, Presidente. È mancato in queste ore, a neanche 45 anni, uno degli intellettuali più rilevanti di questa nostra stagione, Andrea Paggiaro, più noto ai suoi lettori come Tuono Pettinato, un nome da capo indiano, mutuato, in realtà, dalla Babele di Borges.

Fumettista coltivato nel segno e nella scelta del suo racconto, formazione al Dams, uomo di musica e di scienza, biografo - nel senso tecnico delle vite disegnate - di Galileo e Turing, di Kurt Cobain, di Freddie Mercury e Garibaldi, Tuono era timido, ma giocava in squadra, capace di osservare se stesso, “il magnifico lavativo”, e noialtri, le strisce dei “mediocri” su Internazionale, con la stessa levità senza compromessi (vi prego leggete, se potete, il suo Corpicino sulla cronacaccia e la TV del dolore, quindi su oggi, qui), la stessa ricerca dell'essenziale per la quale togliere, come nelle incisioni, è un modo di tracciare, sottrarre di dire, mancare, appunto, di fare.

Nella sua morte giovane, come quella dei suoi eroi e dei nostri, che continuiamo - ci perdoni Brecht - ad averne bisogno, il segno di una ingiustizia, di una afflizione, di una rabbia che prende e che, Presidente, ci tenevo a condividere in quest'Aula, assieme al riguardo per Tuono e per il suo lampo, per il fumetto e per il fuoco, quello della vita, dal quale origina l'arte e il suo pensiero (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Verini. Ne ha facoltà.

WALTER VERINI (PD). Grazie, Presidente. Avevamo già denunciato qualche tempo fa la gravità di quello che si sta ripetendo. A Todi si è organizzata una manifestazione che, dietro lo schermo di “Città del libro” di qualche intellettuale di destra, è, in realtà, una pessima iniziativa, addirittura patrocinata da regione e comune, con la presenza delle - virgolette - “penne più autorevoli della cultura sovranista”, come annunciava Primato nazionale. Questa è una rivista vicina ai fascisti del Terzo millennio, come si definiscono quelli di CasaPound che ospita spesso interventi di tipi che, nei loro social, assestano manganellate mediatiche ai giornalisti d'inchiesta.

Ma la vicenda si è ancora aggravata, Presidente. Tante associazioni - in prima fila l'ANPI - hanno promosso una manifestazione antifascista a Todi in difesa della Costituzione. A questa gli organizzatori hanno risposto con affermazioni gravissime. Un comunicato definisce la Costituzione “fantomatica”, che esiste solo - cito tra virgolette - “nella testa degli antifascisti” e si equipara l'antifascismo ai problemi di ordine pubblico.

Presidente, concludo. Noi denunciamo la gravità di questa vicenda e lo vogliamo fare ancora in quest'Aula: noi non siamo contro i libri, siamo semmai contro gli amici di chi i libri li bruciava, gli intellettuali li mandava al confino o in galera o di chi, da troppe parti, impedisce ai giornalisti di fare il proprio lavoro. Sarebbe doveroso da parte della regione, da parte del comune di Todi chiedere scusa, ammettere l'errore. Dubito che lo faranno, ma almeno chiediamo che ritirino il patrocinio da questa manifestazione (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

Ordine del giorno della prossima seduta.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.

Martedì 15 giugno 2021 - Ore 11:

1. Svolgimento di interrogazioni .

(ore 15)

2. Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge:

L'ABBATE e PARENTELA; D'ALESSANDRO ed altri; VIVIANI ed altri: Interventi per il settore ittico e in materia di politiche sociali nel settore della pesca professionale. Delega al Governo per il riordino e la semplificazione normativa nel medesimo settore. (C. 1008​-1009​-1636-A​)

Relatori: GALLINELLA e VIVIANI.

3. Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge:

FREGOLENT; TORTO ed altri; MELICCHIO ed altri; MELICCHIO ed altri; PICCOLI NARDELLI e CIAMPI; ANGIOLA; FRASSINETTI ed altri: Disposizioni in materia di attività di ricerca e di reclutamento dei ricercatori nelle università e negli enti pubblici di ricerca. (C. 208​-783​-1382​-1608​-2218​-2294​-2996-A​)

Relatore: MELICCHIO.

4. Seguito della discussione della proposta di legge:

S. 728 - D'INIZIATIVA DEI SENATORI: VALLARDI ed altri: Norme per la valorizzazione delle piccole produzioni agroalimentari di origine locale (Approvata dal Senato). (C. 2115-A​)

Relatore: CASSESE.

5. Seguito della discussione delle mozioni Lorenzin ed altri n. 1-00472 e Panizzut ed altri n. 1-00495 concernenti iniziative in materia di salute mentale .

6. Seguito della discussione della mozione Cabras ed altri n. 1-00456 concernente iniziative in relazione al caso di Julian Assange .

7. Seguito della discussione della mozione Fitzgerald Nissoli, Invidia, Formentini, Pezzopane, Mollicone, Ungaro ed altri n. 1-00359 concernente iniziative di carattere diplomatico volte a salvaguardare l'eredità culturale italiana negli Stati Uniti, con particolare riferimento alla figura di Cristoforo Colombo .

La seduta termina alle 17,50.

TESTI DEGLI INTERVENTI DI CUI È STATA AUTORIZZATA LA PUBBLICAZIONE IN CALCE AL RESOCONTO STENOGRAFICO DELLA SEDUTA ODIERNA: ALESSANDRO MELICCHIO (A.C. 208-A​)

ALESSANDRO MELICCHIO, Relatore. (Relazione – A.C. 208-A​). Grazie Presidente, il provvedimento che la Commissione cultura, scienza e istruzione porta oggi all'attenzione dell'Assemblea nasce da sette proposte di legge d'iniziativa parlamentare riconducibili sia alla maggioranza, sia all'opposizione. Si tratta – in ordine di presentazione – delle proposte n. 208 (d'iniziativa della collega Fregolent), n. 783 (prima firmataria la collega Torto, del gruppo del Movimento 5 Stelle), n. 1382 e 1608 (a mia prima firma), n. 2218 (prima firmataria la collega Piccoli Nardelli del gruppo del Partito democratico), n. 2294 (primo firmatario il collega Angiola del gruppo misto) e n. 2996 (prima firmataria la collega Frassinetti del gruppo di Fratelli d'Italia).

L'esame in Commissione è durato quasi due anni, nel corso dei quali sono state svolte diverse audizioni tra cui quelle di rappresentanti di associazioni di ricercatori, rappresentanti dell'ANVUR, del Consiglio universitario nazionale, della Conferenza dei Rettori delle università italiane, di rappresentanti sindacali, di docenti universitari. In questo tempo si sono alternati 3 diversi governi e 4 diversi ministri, se si è riusciti a discutere questo provvedimento in Assemblea è avvenuto perché il dialogo è stato aperto senza distinzione fra forze di maggioranza e di opposizione; complessivamente ritengo che questo sia un testo equilibrato.

Per la redazione del testo unificato la Commissione, nella seduta del 25 giugno 2019, ha nominato un comitato ristretto. Il comitato ristretto si è riunito più volte, lavorando su una prima bozza di testo unificato predisposta dal relatore, la quale è stata progressivamente affinata alla luce delle indicazioni dei componenti del comitato, fino a raggiungere un accordo su un testo che ha operato una sintesi delle proposte provenienti dalle diverse forze politiche, mantenendo fermo l'obiettivo condiviso da tutti di armonizzare il sistema di reclutamento dei ricercatori, di ridurne il precariato e di introdurre forme di tutela appropriate.

In tutto il lavoro svolto in sede referente è stato molto importante il contributo del Governo. Ringrazio, in particolare, la Ministra Messa, che ha seguito con attenzione sia le fasi di lavoro del comitato e che è intervenuta anche in seduta plenaria nel corso dell'esame degli emendamenti.

Ringrazio anche le Commissioni che si sono espresse sul testo in sede consultiva per il loro contributo che ha consentito un ulteriore miglioramento del testo.

Dunque, il testo unificato delle sette proposte di legge di iniziativa parlamentare, adottato come testo base dalla VII Commissione nella seduta del 27 aprile 2021 e ampiamente modificato nelle sedute del 19, 25 e 26 maggio 2021, reca disposizioni in materia di svolgimento delle attività di ricerca nelle università e negli enti pubblici di ricerca, di modalità di selezione dei soggetti ad esse preposti e di pubblicità delle procedure pubbliche di selezione. In particolare il testo unificato disciplina l'attribuzione da parte di università ed enti pubblici di ricerca di borse di ricerca post lauream; interviene sulla disciplina riguardante il dottorato di ricerca; modifica alcuni aspetti della disciplina relativa agli assegni di ricerca; modifica la disciplina relativa ai contratti di ricercatore universitario a tempo determinato, riconducendo a unità le due tipologie di contratto previste a legislazione vigente e innovando il meccanismo del c.d. tenure track; introduce poi un meccanismo analogo al c.d. tenure track per ricercatori e tecnologi a tempo determinato degli enti pubblici di ricerca, nonché un meccanismo di mobilità, riguardante ricercatori titolari di contratti a tempo determinato, fra università ed enti pubblici di ricerca.

Venendo a una rapida illustrazione degli articoli, l'articolo 1 contiene l'oggetto del provvedimento, le definizioni e l'ambito di applicazione.

L'articolo 2 disciplina l'attribuzione da parte di università ed enti pubblici di ricerca di borse di ricerca post lauream per la formazione e per la collaborazione ad attività di ricerca.

In particolare, dispone che le università e gli enti pubblici di ricerca possano conferire le borse di ricerca post lauream a soggetti in possesso di laurea magistrale, ovvero specialistica, o di laurea conseguita in base all'ordinamento previgente a quello di cui al regolamento emanato con il decreto ministeriale n. 509 del 1999, o di titolo equipollente conseguito in Italia o all'estero, in discipline coerenti con l'attività di ricerca per cui è bandita la borsa.

Non possono concorrere alle borse di ricerca i soggetti già in possesso del titolo di dottore di ricerca, i ricercatori a tempo determinato e il personale di ruolo delle università e degli enti pubblici di ricerca.

Le borse sono collegate a uno specifico progetto di ricerca e possono avere una durata compresa tra 6 e 12 mesi, prorogabili fino a 36 mesi laddove richiesto dalla tipologia del progetto di ricerca. La durata complessiva di fruizione delle borse di ricerca – anche se conferite da università o enti pubblici di ricerca diversi – non può superare in ogni caso, per ciascun beneficiario, i 36 mesi.

Le procedure per il conferimento delle borse di ricerca sono disciplinate con regolamento dell'università o dell'ente pubblico di ricerca, che deve prevedere una valutazione comparativa, resa pubblica nel portale unico dei concorsi dell'università e della ricerca, e la costituzione di una Commissione giudicatrice, composta dal responsabile del progetto di ricerca e da altri due membri designati dall'università, ovvero dall'ente pubblico di ricerca. La Commissione, al termine della procedura di valutazione comparativa, elabora la graduatoria generale di merito in base al punteggio conseguito da ciascun candidato.

Le borse di ricerca non danno luogo ad alcun rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze dell'università o dell'ente pubblico di ricerca, né danno alcun diritto in ordine all'accesso ai ruoli presso gli stessi.

Le borse di ricerca post lauream non possono essere cumulate con altre borse di studio a qualsiasi titolo conferite, tranne che con quelle concesse da istituzioni nazionali o straniere utili a integrare, con soggiorni all'estero, l'attività di formazione o di ricerca dei borsisti.

I soggetti che percepiscono le borse non possono essere impegnati in attività didattiche e sono tenuti ad assolvere gli impegni stabiliti nel decreto di concessione della borsa, pena la decadenza della stessa. I dipendenti pubblici possono richiedere il collocamento in congedo straordinario per motivi di studio senza assegni (utile ai fini della progressione di carriera e del trattamento di quiescenza e di previdenza); le borse sono esenti dall'imposta locale sui redditi (ILOR) e da quella sul reddito delle persone fisiche (IRPEF).

A tale proposito l'articolo 8 – che reca norme volte a disciplinare la materia in via transitoria - precisa che le borse di ricerca rientrano tra le borse di studio universitarie post lauream cui sono destinate le risorse confluite del fondo per il finanziamento ordinario delle università statali e nel contributo statale erogato alle università non statali legalmente riconosciute. Quindi le borse di ricerca sostituiscono le borse di studio per attività di ricerca in ambito universitario degli enti pubblici di ricerca previste dall'attuale normativa.

L'articolo 3 interviene su alcuni aspetti della disciplina riguardante il dottorato di ricerca, in particolare ampliando le finalità formative dei corsi per il conseguimento del dottorato, all'evidente scopo di una maggiore spendibilità del titolo. Nello specifico dispone che i medesimi corsi forniscano le competenze necessarie per esercitare, presso università, enti pubblici o soggetti privati, attività di ricerca di alta qualificazione anche ai fini dell'accesso alle carriere nelle pubbliche amministrazioni, nonché ai fini dell'integrazione di percorsi professionali di elevata innovatività.

Inoltre, novellando l'articolo 4 della legge n. 210 del 1998, l'articolo 3 sopprime la possibilità che i corsi di dottorato di ricerca possano essere attivati da qualificate istituzioni italiane di formazione e ricerca avanzate.

Viene inoltre stabilito che i corsi di dottorato di ricerca possano ora essere attivati anche dalle istituzioni di alta formazione artistica, musicale e coreutica (AFAM).

Le istituzioni AFAM possono attivare corsi di dottorato a decorrere dall'anno accademico successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore della legge. Entro 6 mesi dalla medesima data, il Ministro dell'università e della ricerca definisce, con proprio decreto, le modalità di accreditamento delle sedi e dei corsi.

Ancora, l'articolo 3 interviene sull'articolo 35 del decreto legislativo n. 165 del 2001, che disciplina il reclutamento del personale nelle pubbliche amministrazioni, disponendo che le pubbliche amministrazioni possano prevedere tra i requisiti previsti per specifici profili o livelli di inquadramento il possesso di un titolo di dottore di ricerca pertinente con il posto messo a concorso. La pertinenza è valutata avendo a riferimento le 14 Aree, individuate ai sensi dell'articolo 17 della legge n. 127 del 1999, in cui sono raggruppati i settori scientifico-disciplinari.

Inoltre, sostituendo il comma 3-quater del medesimo articolo 35 del decreto legislativo n. 165 del 2001, l'articolo 3 dispone che, in fase di valutazione dei titoli, al titolo di dottore di ricerca pertinente rispetto al posto messo a concorso sia riconosciuto un punteggio aggiuntivo, comunque non inferiore al doppio di quello riconosciuto per i titoli di laurea o laurea magistrale e al triplo di quello riconosciuto per il possesso di master universitari o di altri titoli post lauream di durata annuale.

Segnalo che sulla stessa materia è intervenuto, pochi giorni fa a esame in sede referente già concluso, il decreto-legge 9 giugno 2021, n. 80, il cui disegno di legge di conversione è stato presentato al Senato. Sono felice che vi sia una disposizione in questa proposta di legge, all'interno di un decreto-legge, come disposizione urgente e dunque già in vigore. Vi è ora però l'esigenza di coordinare le previsioni del provvedimento all'esame della Camera con l'articolo 3, commi da 8 a 10 del citato decreto. A tale fine mi riservo di sottoporre al comitato dei 9 le opportune modifiche.

L'articolo 4 modifica alcuni aspetti della disciplina relativa agli assegni di ricerca, inerenti, in particolare, ai requisiti per l'attribuzione e alla durata degli stessi.

Viene richiesto, quale presupposto obbligatorio per il conferimento degli assegni di ricerca, il possesso del titolo di dottore di ricerca o di titolo equivalente conseguito all'estero, ovvero, per i settori interessati, di titolo di specializzazione di area medica. Conseguentemente, è escluso dal computo della durata massima complessiva degli assegni il periodo in cui l'assegno è stato fruito in coincidenza con il dottorato di ricerca. Ritengo tuttavia di prevedere, in fase emendativa, una disciplina per l'accesso con riserva al concorso ai dottorandi in via di conseguimento del titolo.

Il divieto di conferire assegni di ricerca viene esteso anche al personale in servizio con contratto a tempo determinato presso le istituzioni che emanano i bandi e come conseguenza dell'incompatibilità, disposta dall'articolo 5, tra titolarità di assegni di ricerca e contratti per ricercatore a tempo determinato, viene soppresso il limite massimo di durata complessiva dei rapporti, intercorsi, anche con atenei o enti pubblici di ricerca diversi, con i titolari degli assegni di ricerca e i titolari dei contratti di ricercatore a tempo determinato. Al riguardo, l'articolo 8 stabilisce che tale ultima disposizione non si applichi a chi, alla data di entrata in vigore della legge, ha già instaurato rapporti ai sensi dell'articolo 22 della legge n. 240 del 2010. Pertanto, a tali soggetti, continua ad applicarsi il limite di durata (fra assegni di ricerca e contratti di ricercatore a tempo determinato) complessivamente non superiore a 12 anni. Anche in questo caso auspico una modifica che escluda dal computo dei 12 anni la durata del contratto di ricercatore universitario di nuova istituzione di cui al co. 3, art. 24 della legge 240 del 2010 per come modificato dalla presente disposizione.

Viene infine ridotta a 4 anni la durata massima complessiva dei rapporti instaurati con i titolari degli assegni di ricerca.

L'articolo 5 modifica la disciplina per il conferimento di contratti di ricercatore universitario a tempo determinato.

In particolare, riconduce a unità le due tipologie di contratto (tipo A e tipo B) previste a legislazione vigente e innova il meccanismo c.d. di tenure track cui fa riferimento anche il PNRR.

In via transitoria, l'articolo 8 dispone, tuttavia, che, per i 12 mesi successivi alla data di entrata in vigore della legge, le università possono indire procedure per il reclutamento di ricercatori ai sensi dell'articolo 24 della legge n. 24 del 2010, nel testo vigente il giorno antecedente la data di entrata in vigore della stessa legge.

Si dispone, altresì, che le disposizioni recate dal medesimo articolo 24, nel testo vigente il giorno antecedente la data di entrata in vigore della stessa legge, continuano ad applicarsi alle procedure di selezione in corso alla medesima data di entrata in vigore della legge.

Lo stesso articolo 8 dispone, inoltre, che, fino al 31 dicembre del terzo anno successivo alla data di entrata in vigore della legge, possono partecipare alle procedure di selezione per ricercatore a tempo determinato anche i soggetti in possesso dell'ASN.

Nello specifico, l'articolo 5 stabilisce, anzitutto, che il contratto per ricercatore universitario a tempo determinato – che, come già accennato, ora diverrebbe di un'unica tipologia – abbia una durata complessiva di 7 anni e non sia rinnovabile. Ai fini della durata, su richiesta del titolare del contratto, i periodi trascorsi in aspettativa, in base alla normativa vigente, per maternità, paternità o per motivi di salute, non sono computati.

Il conferimento del contratto è incompatibile:

- con qualsiasi altro rapporto di lavoro subordinato presso soggetti pubblici o privati;

- con la titolarità degli assegni di ricerca, anche presso altre università o enti pubblici di ricerca;

- con le borse di dottorato e, in generale, con qualsiasi borsa di studio a qualunque titolo conferita, anche da enti terzi.

Più in generale, l'articolo 5 dispone che ogni università, nell'ambito della programmazione triennale, vincoli risorse corrispondenti ad almeno un terzo degli importi destinati alla stipulazione dei contratti in favore di candidati che, per almeno 36 mesi, anche cumulativamente, abbiano frequentato corsi di dottorato di ricerca o svolto attività di ricerca sulla base di formale attribuzione di incarichi, escluse le attività a titolo gratuito, presso atenei o istituti di ricerca, italiani o stranieri, diversi da quello che ha emanato il bando.

Per quanto concerne i bandi, l'articolo 5 dispone che negli stessi sia specificato il macro-settore concorsuale.

Inoltre, introduce una disciplina per la nomina della commissione giudicatrice nell'ambito delle procedure di selezione.

In particolare, dispone che la commissione giudicatrice sia formata da professori di prima o seconda fascia, ovvero da dirigenti di ricerca e da primi ricercatori in servizio presso gli enti pubblici di ricerca e in possesso di ASN, in numero compreso fra 3 e 5. La maggioranza dei membri della commissione è in ogni caso costituita da professori di ruolo presso università, italiane o straniere, diverse da quella che ha bandito la procedura.

I membri della commissione sono scelti mediante sorteggio operato dall'università, in modalità automatica, tramite il già citato portale unico dei concorsi dell'università e della ricerca, tra i soggetti iscritti in una banca dati contenente, per ciascun macro-settore concorsuale, i nominativi dei professori di prima o di seconda fascia che hanno presentato domanda per esservi inclusi, corredata della documentazione concernente la propria attività scientifica complessiva, con particolare riferimento all'ultimo quinquennio; dei dirigenti di ricerca e dei primi ricercatori in possesso di ASN, che abbiano presentato domanda per esservi inclusi.

Sono esclusi i rettori in carica; i professori universitari posti in aspettativa obbligatoria per situazioni di incompatibilità; i professori universitari che hanno optato per il regime a tempo definito; i professori universitari cui sia stata inflitta una sanzione disciplinare; i professori universitari che si sono dimessi da qualsiasi commissione concorsuale nei quattro anni antecedenti.

Lo stesso articolo 5 stabilisce che l'università delibera la chiamata del vincitore al termine dei lavori della commissione giudicatrice e che la stipula del contratto deve avvenire entro 90 giorni dal termine delle procedure di selezione. In caso di mancata stipula del contratto, per i 3 anni successivi l'università non può bandire nuove procedure di selezione per il medesimo macro-settore.

Dispone, poi, che il ricercatore universitario che ha conseguito l'ASN in un settore concorsuale diverso da quello di riferimento del contratto può richiedere di modificare, nell'ambito del proprio contratto, il settore concorsuale di riferimento, purché rientrante nello stesso macro-settore concorsuale.

Su tale richiesta, l'università si esprime motivatamente entro 3 mesi dalla ricezione.

Quanto al trattamento economico del ricercatore a tempo determinato, si conferma quello che è attualmente previsto per il ricercatore di tipo B, ossia che esso è pari al trattamento iniziale spettante al ricercatore confermato a tempo indeterminato a tempo pieno elevato fino a un massimo del 30 per cento.

Con riferimento al meccanismo del c.d. tenure track, lo stesso articolo 5 dispone che la valutazione del titolare del contratto che abbia conseguito l'ASN ai fini della chiamata nel ruolo di professore associato – che avviene anche sulla base di una prova didattica – è possibile a partire dal terzo anno di titolarità del contratto e in ciascuno dei successivi anni, sempre nell'ambito delle risorse disponibili per la programmazione. L'inquadramento come professore associato avviene sempre all'esito positivo della valutazione, ma non più (necessariamente) alla scadenza del contratto.

In caso di valutazione negativa, l'università deve fornire adeguata motivazione sulla base del curriculum e della produzione scientifica del titolare del contratto e può procedere nuovamente alla valutazione per ciascuno dei successivi anni di titolarità del contratto.

Infine, ancora, l'articolo 5 dispone che l'attività didattica e scientifica svolta dai ricercatori a tempo determinato concorra alla valutazione delle politiche di reclutamento, svolta dall'ANVUR, ai fini dell'accesso alla quota di finanziamento premiale a valere sul FFO.

L'articolo 6 introduce una nuova disciplina per la trasformazione di contratti per ricercatore o tecnologo a tempo determinato attivati dagli enti pubblici di ricerca in rapporti di lavoro a tempo indeterminato.

In particolare, la nuova disciplina è raffrontabile con il meccanismo del c.d. tenure track già previsto per il passaggio dei ricercatori universitari di tipo B nel ruolo dei professori associati.

Anzitutto, il comma 1 del nuovo articolo 12-ter del decreto legislativo n. 218 del 2016 stabilisce che, ferme restando le vigenti disposizioni normative e contrattuali per le assunzioni a tempo determinato, gli enti possono indire – con le medesime modalità previste per l'accesso all'impiego a tempo indeterminato – procedure concorsuali, alle quali è dedicata un'apposita sezione del piano di fabbisogno di personale, finalizzate alla stipula di contratti per ricercatore o tecnologo a tempo determinato con durata di 7 anni, non rinnovabili.

Possono partecipare alle procedure concorsuali i soggetti in possesso del titolo di dottore di ricerca attinente all'attività richiesta dal bando, ovvero che hanno svolto per un triennio attività di ricerca:

- presso università o qualificati enti, organismi o centri di ricerca pubblici o privati;

- nell'àmbito di un contratto a tempo determinato per specifici progetti di ricerca, attivato con chiamata diretta per la durata del progetto e, comunque, non superiore a 5 anni, rivolto a ricercatori o tecnologi italiani o stranieri, con documentata produzione scientifica di eccellenza, o documentata attività di ricerca in enti di ricerca o imprese private o in atenei stranieri o in istituzioni di ricerca internazionali;

- nell'ambito di assegni di ricerca banditi dall'ente.

Si tratta dei medesimi requisiti previsti per l'accesso a tempo indeterminato nel livello iniziale di ricercatore o tecnologo presso il Consiglio nazionale delle ricerche.

A partire dal terzo anno di titolarità del contratto, e per ciascuno degli anni successivi, l'ente valuta il ricercatore o tecnologo a tempo determinato, ai fini dell'inquadramento a tempo indeterminato con la qualifica di primo ricercatore o primo tecnologo.

La valutazione deve svolgersi in conformità agli standard qualitativi internazionali individuati con decreto del Ministro dell'università e della ricerca, sentiti la Consulta dei presidenti degli enti pubblici di ricerca e l'ANVUR.

Viene inoltre introdotto un meccanismo di mobilità, in base al quale:

- gli enti pubblici di ricerca, nell'ambito del piano di fabbisogno e in coerenza con le esigenze derivanti dal piano triennale di attività, possono assumere mediante chiamata diretta, con la qualifica di primo ricercatore, previa valutazione (che deve svolgersi secondo quanto indicato al comma 1 del nuovo articolo 12-ter), i ricercatori universitari a tempo determinato, purché in servizio con tale qualifica presso le università da almeno 3 anni;

- le università possono assumere mediante chiamata diretta, ai fini dell'inquadramento nel ruolo di professore associato, i ricercatori a tempo determinato assunti con le procedure ora introdotte, in servizio da almeno 3 anni presso gli enti pubblici di ricerca, che siano in possesso dell'ASN.

Rilevo che misure di questo genere sono previste nel PNRR.

Infine, l'articolo 7 prevede che le università e gli enti pubblici di ricerca pubblichino nel portale unico dei concorsi dell'università e della ricerca - da attivare, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, nell'ambito del sito del MUR - a pena di invalidità della procedura, entro un ragionevole termine, comunque non inferiore al ventesimo giorno antecedente la scadenza dei termini di presentazione delle domande, le procedure di selezione relative alle borse di ricerca di cui all'articolo 2, ai dottorati di ricerca, agli assegni di ricerca, ai contratti per ricercatore a tempo determinato, e ai ruoli di professore di prima o seconda fascia. La pubblicazione deve avvenire nel rispetto dei principi di trasparenza e celerità, nonché della normativa vigente in materia di protezione dei dati personali.

Sempre a pena di invalidità della procedura, le università e gli enti pubblici di ricerca devono pubblicare nel portale anche le informazioni e le comunicazioni relative alle procedure di valutazione in corso o scadute, ai fini dell'osservanza dei princìpi di pubblicità e trasparenza e nel rispetto della normativa vigente in materia di protezione dei dati personali.

Il portale è indicizzato in base alla procedura di selezione, al settore scientifico di riferimento e all'istituzione di appartenenza. Nell'ambito del portale è prevista una sezione nella quale è pubblicato l'elenco dei componenti delle commissioni giudicatrici per il conferimento di contratti di ricercatore universitario a tempo determinato. Secondo quanto previsto inoltre dal terzo periodo della lett. d), co. 1 dell'art. 5 della presente disposizione prevede che il portale unico dei concorsi universitari consenta, in modalità automatica, il sorteggio delle commissioni di concorso per ricercatore universitario.

Le modalità di funzionamento del portale, nonché la tipologia e le modalità di pubblicazione dei dati ante indicati devono essere stabilite con decreto del Ministro dell'università e della ricerca, da adottare entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della legge.