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Resoconto dell'Assemblea

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XVIII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 472 di lunedì 22 marzo 2021

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ANDREA MANDELLI

La seduta comincia alle 10.

PRESIDENTE. La seduta è aperta.

Invito la deputata segretaria a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

FEDERICA DAGA, Segretaria, legge il processo verbale della seduta del 19 marzo 2021.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Amitrano, Ascani, Bergamini, Boschi, Brescia, Brunetta, Carfagna, Casa, Castelli, Cirielli, Colletti, Colucci, Davide Crippa, D'Incà, D'Uva, Dadone, De Micheli, Delmastro Delle Vedove, Delrio, Di Stefano, Durigon, Fassino, Gregorio Fontana, Ilaria Fontana, Franceschini, Frusone, Garavaglia, Gava, Gelmini, Giachetti, Giacomoni, Giorgetti, Grimoldi, Guerini, Invernizzi, Iovino, Liuni, Lollobrigida, Lorefice, Losacco, Macina, Maggioni, Marattin, Molinari, Molteni, Morelli, Mulè, Nardi, Nesci, Occhiuto, Orlando, Paita, Palazzotto, Parolo, Perantoni, Rizzo, Rosato, Rotta, Ruocco, Sasso, Scalfarotto, Serracchiani, Carlo Sibilia, Sisto, Spadoni, Speranza, Tabacci, Vignaroli e Raffaele Volpi sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.

I deputati in missione sono complessivamente 76, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna).

Sostituzione di un componente della delegazione italiana presso l'Assemblea parlamentare della NATO.

PRESIDENTE. Comunico che il Presidente della Camera ha chiamato a far parte della Delegazione italiana presso l'Assemblea parlamentare della NATO il deputato Guglielmo Picchi, in sostituzione del deputato Giancarlo Giorgetti, dimissionario.

Discussione del disegno di legge: S. 2077 - Conversione in legge del decreto-legge 29 gennaio 2021, n. 5, recante misure urgenti in materia di organizzazione e funzionamento del Comitato olimpico nazionale italiano (CONI) (Approvato dal Senato) (A.C. 2934​).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato, n. 2934: Conversione in legge del decreto-legge 29 gennaio 2021, n. 5, recante misure urgenti in materia di organizzazione e funzionamento del Comitato olimpico nazionale italiano (CONI).

(Discussione sulle linee generali – A.C. 2934​)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

I presidenti dei gruppi parlamentari MoVimento 5 Stelle e Partito Democratico ne hanno chiesto l'ampliamento.

La VII Commissione (Cultura) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire il relatore, deputato Alessandro Fusacchia.

ALESSANDRO FUSACCHIA, Relatore. Grazie, Presidente. Anzitutto, prima di svolgere la relazione, volevo fare a lei gli auguri per il nuovo incarico e altrettanto volevo fare con la sottosegretaria Vezzali, visto che credo sia la prima volta che l'abbiamo qui, in Aula.

Per quanto riguarda la relazione sul decreto in esame, il decreto-legge reca misure urgenti in materia di organizzazione e funzionamento del CONI; è già stato approvato dal Senato, senza modificazioni, con votazione di fiducia, il 10 marzo scorso. Il decreto non è stato modificato durante l'esame in sede referente qui, alla Camera, per cui il testo oggi in discussione è lo stesso deliberato dal Consiglio dei Ministri. Il decreto scade, infatti, il 30 marzo; quindi, la settimana prossima. La Commissione ha preso atto che non ci sono i tempi per approfondire le questioni ed eventualmente modificarlo, considerato che la crisi di Governo, intervenuta dopo l'emanazione del decreto, ha provocato un ritardo nell'esame da parte del Senato che si è concluso dodici giorni fa.

In Commissione sono state presentate diverse proposte emendative, la gran parte delle quali sono state dichiarate inammissibili. Tra quelle ammissibili, ce n'erano alcune che, forse, avrebbero meritato di essere discusse, se ce ne fosse stato il tempo. Alcuni emendamenti, come dirò meglio dopo, tendevano a risolvere questioni sollevate anche dalla I Commissione e dal Comitato per la legislazione nei loro pareri.

Per quanto riguarda le ragioni di urgenza dell'emanazione del decreto, occorre una premessa. La Carta olimpica, oltre a dettare i principi del movimento olimpico, fissa i rapporti tra il Comitato olimpico internazionale (CIO) e i singoli comitati olimpici nazionali, tra cui il nostro CONI che, lo ricordo, è un ente con personalità giuridica di diritto pubblico e rappresenta la confederazione delle federazioni sportive nazionali e delle discipline sportive associate. L'articolo 27 della Carta olimpica sancisce il principio dell'indipendenza dei comitati olimpici nazionali, che possono collaborare con enti governativi o non governativi, ma devono preservare la loro autonomia.

Il CIO o, meglio, il suo comitato esecutivo può ritirare o sospendere il riconoscimento del movimento olimpico a un comitato nazionale se - dice la Carta - “la Costituzione, la legislazione, o altri regolamenti in vigore in quel Paese, o qualsiasi atto di un'agenzia governativa o di un'altra entità, ha l'effetto di ostacolare l'attività del Comitato nazionale o la formazione o l'espressione della sua volontà”.

I rapporti tra l'ordinamento sportivo e l'ordinamento dello Stato sono regolati, in Italia, in base al predetto principio di autonomia e, in particolare, la disciplina del CONI è dettata dal decreto legislativo n. 242 del 1999, come modificato dal decreto legislativo n. 15 del 2004 e dalla legge n. 8 del 2018. Attualmente, il CONI è sottoposto alla vigilanza della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Una novità di questo quadro è stata introdotta dalla legge di bilancio 2019, legge n. 145 del 2018, la quale, all'articolo primo, commi dal 629 al 633, ha attribuito a Sport e salute Spa, società per azioni a totale partecipazione pubblica, già CONI Servizi Spa, il compito di finanziare le federazioni sportive nazionali, le discipline sportive associate, gli enti di promozione sportiva, le associazioni benemerite, i gruppi sportivi militari e i corpi civili dello Stato. Si tratta di un compito che, in precedenza, era svolto dal CONI.

La legge n. 145 ha anche modificato l'assetto organizzativo e il meccanismo di finanziamento statale dell'attività sportiva nazionale, tra l'altro stabilendo che, dal 2019, al CONI fossero destinate risorse unicamente per il finanziamento delle spese di funzionamento e delle attività istituzionali nonché per gli oneri finanziari della preparazione olimpica e del supporto della delegazione italiana alle Olimpiadi.

La legge di bilancio 2019 ha anche previsto che la società Sport e salute, i cui vertici sono nominati dal Governo, gestisca il personale in servizio presso il CONI; l'istituto utilizzato in questo caso è quello dell'avvalimento. Con questa riforma, Sport e salute è stata chiamata a istituire una gestione separata per il finanziamento degli organismi sportivi e a provvedere al riparto delle risorse finanziarie sulla base degli indirizzi generali adottati dal CONI, in armonia con i principi dell'ordinamento sportivo internazionale.

In tale contesto normativo, la legge n. 86 del 2019 ha attribuito una delega legislativa al Governo, finalizzata, tra l'altro, al riordino del CONI e della disciplina di settore. Questa delega legislativa sulla governance dello sport non è stata esercitata. Fra i principi e criteri direttivi c'era quello della definizione degli ambiti di attività del CONI, in coerenza con le novità introdotte dalla legge di bilancio 2019 e con il ruolo proprio del CONI quale organo di indirizzo dell'attività sportiva e articolazione del Comitato olimpico internazionale, nonché con la sua funzione di governo dell'attività sportiva nazionale, limitatamente a quella olimpica. Ricordo anche, incidentalmente, che la legge n. 86 disponeva anche altre deleghe, che sono state esercitate. I relativi decreti legislativi sono stati approvati in via definitiva dal Consiglio dei Ministri il 26 febbraio scorso. Sugli schemi dei decreti era prevista l'acquisizione dei pareri delle Commissioni parlamentari competenti, che li hanno esaminati svolgendo un'ampia istruttoria, con numerose audizioni informali. La crisi di Governo, sopraggiunta nel frattempo, ha, però, impedito alle Commissioni, sia alla Camera sia al Senato, di concludere l'esame degli schemi e di esprimere il parere.

Tornando al decreto-legge in esame, la relazione presentata dal Governo al Senato a corredo del disegno di legge di conversione - la relazione si trova nell'atto Senato n. 2077 - chiarisce bene il contesto in cui esso si inserisce, tra cui il fatto che il CIO ha avviato un'attività istruttoria per determinare gli impatti che le norme citate della legge di bilancio 2019 hanno avuto sull'assetto organizzativo del CONI e sulla possibilità per il CONI stesso di operare in ottemperanza ai principi di autonomia e indipendenza sanciti dalla Carta olimpica. In particolare, si legge nella relazione del Governo, il CIO ha eccepito che “il personale del CONI non può essere assunto e controllato da entità esterna riconducibile allo Stato”, in questo caso, Sport e salute Spa, e che il CONI “deve gestire una dotazione organica e una struttura amministrativa poste sotto il proprio controllo”. Il decreto in esame ha l'obiettivo, quindi, di assicurare queste condizioni. Intende assicurare, sotto il profilo formale e sostanziale, la piena operatività del CONI, nonché la sua autonomia e indipendenza, in coerenza con la Carta olimpica, “anche” - si legge nelle premesse del decreto - “al fine di favorire l'ottimale partecipazione della delegazione italiana ai XXXII dei Giochi olimpici di Tokyo”, che, ricordo, inizieranno il 23 luglio 2021. A questo scopo, il decreto ha disposto la ricostituzione della pianta organica del CONI e l'assegnazione allo stesso CONI dei beni strumentali necessari all'assolvimento dei suoi compiti istituzionali, nel rispetto dei princìpi della Carta olimpica e, in particolare, dell'articolo 27, che, come già ricordato, stabilisce l'autonomia e l'indipendenza dei Comitati olimpici nazionali.

Nel dettaglio, l'articolo 1 - ricordo che gli articoli sono quattro in tutto - reca disposizioni sul personale del CONI. Il comma 1 dell'articolo 1 stabilisce che il CONI è munito, per i compiti relativi al funzionamento e alle attività istituzionali, di una propria dotazione organica, stabilita nella misura massima di 165 unità di personale, tra cui 10 dirigenti di livello non generale. I commi da 2 a 5 disciplinano, di conseguenza, il trasferimento di personale da Sport e salute al CONI. In particolare, è trasferito nel ruolo del personale del CONI il personale di Sport e salute che era già dipendente del CONI alla data del 2 giugno 2002 e che alla data di entrata in vigore del decreto-legge (30 gennaio 2021) prestava servizio presso il CONI in regime di avvalimento. Ricordo che il 2002 è l'anno in cui è stato disposto il trasferimento del personale dal CONI alla società CONI Servizi Spa, che è oggi Sport e salute. Il personale interessato ha, comunque, il diritto di optare per restare alle dipendenze di Sport e salute, nei termini stabiliti dal decreto. Si tratta - si apprende dalla relazione tecnica del MEF - di 61 persone. L'opzione deve essere esercitata, a pena di decadenza dal diritto, entro 60 giorni dall'entrata in vigore del decreto-legge, questo vuol dire entro il 30 marzo.

Va detto che il decreto-legge articolo 1, comma 4, prevedeva anche che, entro trenta giorni dalla sua entrata in vigore e quindi entro il 28 febbraio, fosse adottata con DPCM la tabella di corrispondenza del personale di Sport e salute, che ha i requisiti per l'opzione; la tabella, tuttavia, non è stata ancora adottata. Questo, come hanno osservato anche nel loro parere la I Commissione e il Comitato per la legislazione, comporta che il personale interessato all'eventuale esercizio dell'opzione, per quanto abbia garanzia del mantenimento del proprio trattamento economico, non ha piena contezza delle qualifiche di destinazione. La questione è stata oggetto anche di emendamenti presentati in Commissione, tendenti ragionevolmente a far slittare il termine per l'opzione. Sarebbe importante - e mi rivolgo alla sottosegretaria in questo caso - che il Governo riuscisse ad approvare la tabella prima della scadenza del termine per l'opzione e, quindi, nei prossimi giorni, essendo la scadenza del termine fissata dal decreto a martedì della prossima settimana. Tornando al testo del decreto-legge, ho detto che parte della pianta organica del CONI sarà coperta con il personale che già lavora al CONI in avvalimento, per il resto si procederà per concorso pubblico. Il decreto prevede, infatti, che, una volta espletata questa procedura di trasferimento di personale da Sport e salute al CONI, si bandiscano concorsi pubblici per le assunzioni del restante personale occorrente. Il 50 per cento dei posti messi a concorso, suddivisi per qualifiche funzionali dirigenziali e non dirigenziali, sarà riservato al personale dipendente a tempo indeterminato di Sport e salute che al 30 gennaio è in regime di avvalimento presso il CONI, ma che non ha l'altro requisito per il trasferimento, ossia essere dipendente del CONI al 2 giugno 2002. L'articolo 1 prevede, infine, al comma 6, che CONI e Sport e salute possano regolare con contratti di servizio lo svolgimento di specifiche attività o servizi ulteriori a quelli propri del CONI.

L'articolo 2 prevede, al comma 1, una nuova ripartizione delle risorse finanziarie tra il CONI e Sport e salute. La legge di bilancio 2019, articolo 1, comma 630, ha stabilito un ammontare di finanziamento per CONI e Sport e salute e una suddivisione delle risorse. Nel dettaglio, la legge citata ha stabilito che dal 2019 il livello di finanziamento del CONI e di Sport e salute Spa è stabilito nella misura annua del 32 per cento delle entrate effettivamente incassate dallo Stato per le imposte Ires, IVA, IRAP e Irpef, in certi settori di attività sportiva (gestione di impianti sportivi, attività di club sportivi, palestre e altre attività sportive).

Il finanziamento non è, comunque, inferiore a 410 milioni di euro. Il decreto-legge in esame prevede un aumento della quota per il CONI e una corrispondente riduzione della quota per Sport e salute Spa, al punto che la relazione tecnica del MEF parla di compensazione interna. In sostanza, le risorse per il CONI aumentano di 5 milioni, passando da 40 a 45 milioni di euro annui, mentre la quota di Sport e salute Spa si riduce di 5 milioni, passando da 368 a 363 milioni di euro annui. Il comma 2 di questo stesso articolo dispone, poi, l'abrogazione esplicita di alcune disposizioni che il nuovo ordinamento rende superate. In dettaglio, sono abrogati i commi 1, 8 e 11 dell'articolo 8 del decreto-legge n. 138 del 2002, disposizioni in base alle quali: il CONI si avvaleva di Sport e salute Spa, previa stipula di un contratto di servizio (comma 1); i rapporti anche finanziari tra il CONI e la società Sport e Salute erano disciplinati da un contratto di servizio annuale, efficace dopo l'approvazione dell'autorità di Governo competente in materia di sport (comma 8); ed era disposto, nel 2002, il trasferimento del personale dipendente del CONI a quella che oggi è Sport e salute Spa.

Il decreto in esame, all'articolo 2, comma 3, precisa poi che al CONI si applica quanto previsto dall'articolo 4, comma 4, del decreto legislativo n. 165 del 2001, vale a dire la disposizione secondo cui le amministrazioni pubbliche, i cui organi di vertice non siano direttamente o indirettamente espressione di rappresentanza politica, devono adeguare i propri ordinamenti al principio della distinzione tra indirizzo e controllo, da un lato, e attuazione e gestione, dall'altro. Il comma 4, a sua volta, trasferisce al CONI, per il perseguimento delle sue finalità istituzionali, i beni individuati nell'allegato A; si tratta di quattro impianti sportivi: l'impianto Centro di preparazione olimpica di Formia, l'impianto Centro di preparazione olimpica di Tirrenia, l'immobile Villetta del Parco del Foro Italico a Roma e l'impianto Giulio Onesti, sempre a Roma.

Sempre il comma 4 stabilisce che, entro sei mesi dall'entrata in vigore del decreto, devono essere disciplinate, con contratti di servizio tra CONI e Sport e salute, le modalità e le condizioni di utilizzazione in comune degli ulteriori beni individuati nell'allegato B; si tratta del Palazzo H del Parco del Foro Italico, la cui disponibilità, secondo quanto chiarisce l'allegato, va ripartita tra CONI, Sport e salute e università del Foro Italico. Se il termine di sei mesi dovesse scadere inutilmente, si provvederà con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri o dell'autorità di Governo competente in materia di sport, su proposta del Ministro dell'Economia e delle finanze. I successivi articoli 3 e 4, rispettivamente, recano la clausola di neutralità finanziaria e dispongono in merito all'entrata in vigore del decreto. Concludo dicendo che, per quanto riguarda le Commissioni competenti in sede consultiva, la I Commissione ha espresso parere favorevole con una osservazione che ho richiamato in precedenza, la VI Commissione parere favorevole, la XI Commissione parere favorevole, il Comitato per la legislazione parere favorevole con osservazioni richiamate prima, la V Commissione mi risulta che esprimerà il parere direttamente all'Assemblea. Io ho terminato, Presidente, e la ringrazio.

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Fusacchia, anche per gli auguri all'inizio del suo intervento. Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo, Sottosegretaria di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Valentina Vezzali.

MARIA VALENTINA VEZZALI, Sottosegretaria di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Ho preso atto del provvedimento e della relazione, e sicuramente sarà mio compito, in qualità di sottosegretario con delega allo Sport, recepire l'osservazione fatta dal relatore riguardo alla tabella del personale, che dovrà essere redatta entro il 30 marzo, martedì. Quindi, in sostanza, parere conforme al relatore.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Felice Mariani. Ne ha facoltà.

FELICE MARIANI (M5S). Grazie, Presidente. Mi unisco all'augurio che le ha fatto il collega Fusacchia per questo suo nuovo incarico come Vice Presidente. Saluto anche la sottosegretaria Valentina Vezzali, a cui ho fatto in bocca al lupo qualche giorno fa in Commissione, ma uno in più è sempre ben accetto.

Sono sicuro che farai un buon lavoro, se ti impegnerai come hai fatto in tutte le olimpiadi e con tutte le medaglie d'oro che hai vinto. In bocca al lupo di nuovo.

Devo innanzitutto dirvi che, in questo momento, mi trovo veramente in grande difficoltà e imbarazzo. Nella mia vita ho fatto prevalentemente sport, amo questo mondo e in questo momento mi sento veramente impotente. Lo sport è un comparto allo stremo, già prima era in difficoltà, ma ora è noto che molte società sportive sono veramente al limite; sicuramente una buona parte di loro non riuscirà a sopravvivere e a riaprire dopo questa terribile pandemia. Molte persone che lavorano nel mondo dello sport, campioni, amici e persone, che vedono in me un interlocutore, mi fanno domande alle quali, purtroppo, non ho risposte certe da dare.

Oggi siamo qui per parlare dell'autonomia del CONI; credo sia giusto che il CONI debba avere una sua autonomia, una sua pianta organica e logistica, ma, allo stesso tempo, voglio sottolineare un aspetto (come sottolineava qualche collega in Commissione): ci sono diversi sprechi nello sport, quindi auspico che questa autonomia del CONI contribuisca anche ad una ferrea vigilanza proprio sui costi, soprattutto in questo momento di pandemia, dove questo comparto necessita di un sostegno sia politico che economico. Anche il CONI dovrà adoperarsi affinché alcune situazioni anomale, che diverse interrogazioni parlamentari sia alla Camera che al Senato hanno evidenziato, cessino di esistere. Presidente, colgo l'occasione per rendere noto in Aula che almeno tre presidenti di federazione percepiscono stipendi di circa 200 mila euro l'anno, stipendi da capogiro, mentre tutti noi ben sappiamo che, essendo il presidente un ruolo onorevole, può percepire solo un'indennità di 36 mila euro, e colgo qui l'occasione per fare un plauso a quei presidenti, e ce ne sono diversi, che non percepiscono nulla, nel senso che rifiutano anche questa indennità di 36 mila euro.

In merito alla pianta organica del CONI, ritengo giusta, necessaria un'autonomia, ma voglio anche mettervi a conoscenza del fatto che, nel corso degli anni, partecipando ad otto olimpiadi, girando il mondo e interagendo con tecnici e dirigenti diversi comitati olimpici stranieri, ho appreso, con certezza, che diversi Paesi hanno un organico di poche decine di persone, quindi probabilmente avere una pianta organica di 200 unità non è il miglior modo per affrontare una lotta agli sprechi.

Vorrei dedicare due parole anche alla giusta divisione che è stata creata tra il CONI, che si occupa esclusivamente dello sport di vertice, e Sport e salute, un ente che si occupa di sport di base, promozione sportiva, scuola e integrazione.

Colgo l'occasione per ringraziare il presidente Vito Cozzoli di Sport e salute, per il grande lavoro che sta svolgendo in un momento così difficile.

Un comparto che si occupa della salute psicofisica dei nostri ragazzi non deve passare in secondo piano, bisognerebbe destinare più risorse proprio per portare avanti quei progetti che faticano a partire; lo sport è un tema che ha una stretta connessione con la salute fisica, sia fisica che psicologica. Recentemente mi sono documentato sugli effetti che questa pandemia sta avendo sui giovani. Pochi giorni fa, in un colloquio, una mia amica psicoterapeuta mi ha parlato di un recente studio pubblicato dall'Università di Padova legato proprio all'insorgere di disturbi legati alla resistenza mentale allo stress. Sono tempi duri questi per i ragazzi e anche per i loro genitori. Oltre alla pandemia del Coronavirus, ci troviamo, nostro malgrado, in una pandemia da malessere psicologico, una psico-pandemia. è ormai accertato che tutti gli esseri umani, che hanno vissuto per più di un anno l'emergenza del Coronavirus, avvertono un malessere psicologico diffuso e testimoniano di avere sintomi di disagio rilevanti come ansia, depressione, attacchi di panico, insonnia, disturbi dell'alimentazione, autolesionismo. Tutti sintomi diffusi e prolungati nel tempo: difficile se non impossibile da controllare. Lo stress descrive il rapporto che intercorre tra la persona e il contesto; se il livello è elevato e continuo, allora insorgono dei problemi per l'equilibrio psicofisico dell'individuo, che si tratti di un bambino, di un adolescente, di un adulto o di una persona anziana. Nei bambini, in particolare nei ragazzi, dopo un periodo prolungato di obbligo di rimanere in casa, com'è avvenuto durante il lockdown e, in seguito, i lunghi mesi di didattica a distanza, con le scuole chiuse e conseguentemente con la quasi totale assenza di esercizio fisico, riscontriamo un marcato disagio psicologico.

Le statistiche attuali segnano un deterioramento delle abilità emozionali e sociali; i ragazzi sono diventati più scontrosi, irritabili, più depressi e solitari, più impulsivi, disobbedienti; vi sono segnalazioni di un'alimentazione disordinata e compulsiva, con una spiccata tendenza all'obesità e bulimia. Si impone quindi il bisogno urgente di intervenire efficacemente per dare un sostegno valido e rapido, nonché capillare, a questa fascia di età, considerando che non si sa ancora quando terminerà l'emergenza sanitaria.

Noi tutti dobbiamo essere in grado di comprendere che la nostra mente si comporta come un muscolo: in situazioni stressanti è tesa e regge il peso dell'evento stressante con vigore e lucidità, ma se lo stress si prolunga nel tempo, ossia oltre la capacità della mente a mantenere tale tensione, essa cede proprio come il muscolo del braccio che ha esaurito la sua capacità di reggere un tale peso. Dobbiamo essere consapevoli che più che mai ora dobbiamo occuparci della salute mentale delle persone per tutte le fasce di età e ,visto che i bambini e i ragazzi hanno una mente ancora in fase di sviluppo, dobbiamo essere tempestivi nel dare loro un sostegno rapido e adeguato, per aiutarli a recuperare le loro innate risorse psicofisiche messe a dura prova da questa emergenza.

In questo periodo, sono state create anche delle piattaforme online utili per poter mantenere una sana alimentazione e praticare attività fisica, anche in casa, per combattere l'obesità infantile. Lo sport ha una stretta connessione con la scuola e le politiche giovanili; sono stati avviati corsi e seminari dedicati allo sport proprio per combattere il bullismo, l'insicurezza dei bambini e dei ragazzi che sono vittime.

Spero che a breve venga approvato il disegno di legge sull'attività motoria nelle scuole primarie che prevedrà anche l'insegnamento di una disciplina sportiva; questo servirà a permettere ai ragazzi meno abbienti di avvicinarsi allo sport.

C'è una stretta connessione anche con la giustizia, dato che sono stati stipulati protocolli tra il Ministero della giustizia, il CONI e Sport e salute in favore dei detenuti, sia adulti che minori, e, cosa importante, è stata data agli atleti con disabilità la possibilità di accedere ai gruppi sportivi, civili e militari per esercitare l'attività sportiva.

Oggi si discute sulla governance dello sport e sull'autonomia del CONI, stabilendo i parametri per la preparazione olimpica e, grazie ad un nostro provvedimento, siamo riusciti ad evitare che i nostri atleti si preparassero ad affrontare le olimpiadi senza bandiera, cosa impensabile. So bene cosa significa partecipare ad un'olimpiade, l'emozione che si prova ad ascoltare l'inno della Patria avvolto nel tricolore, sfilare alla cerimonia di apertura e di chiusura, l'onore di rappresentare l'Italia. Non dimentichiamo però che lo sport non significa solo l'eccellenza, il vertice, l'alto livello; lo sport deve significare anche benessere, integrazione, socializzazione, crescita e il lavoro. Sono molte le macrotematiche legate ad una singola parola, vanno tutte di pari passo e nessuna può essere considerata più o meno importante dell'altra.

In questi mesi, molte misure sono state prese, incentrate sul sostegno al mondo dello sport con il bonus ai lavoratori sportivi, i contributi a fondo perduto per centri sportivi, associazioni e società sportive. Ma questo non impedirà le chiusure di un settore che soffriva già prima dell'arrivo della pandemia. I contributi non possono andare a salvare dei lavoratori che non erano tutelati nemmeno in precedenza.

I fondi non possono garantire la riapertura delle piccole palestre di periferia, dove ai ragazzi veniva insegnato sia uno sport che il valore di una famiglia per allontanarli da circuiti devianti, come gli investimenti fatti non impediranno che casi come quello accaduto alla professionista Laura Lugli non accadano più, se non c'è una continuità, non solo nei fondi stanziati ma nella volontà di radicale e continuativo cambiamento nella cultura.

Sto concludendo, Presidente. Appellandomi al sottosegretario Valentina Vezzali, io spero, mi auguro che in un prossimo futuro di sport si continui a parlare, come se ne sta parlando in questo momento; in questi giorni se ne sta parlando molto e spero che non sia soltanto qualcosa di propagandistico, se ne deve parlare di più. Capisco che non sia tra le priorità della politica lo sport, ma auspico che la politica si adoperi per creare le condizioni necessarie, tenendo conto che quando si parla di sport si parla di una parte fondamentale del nostro Paese che io, da sportivo, continuerò a tutelare e a combattere per offrire il massimo supporto e le soluzioni necessarie.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Andrea Rossi. Ne ha facoltà.

ANDREA ROSSI (PD). Grazie, Presidente Mandelli, a cui le rivolgo gli auguri di buon lavoro, a fronte di questa recente elezione e, quindi, in questa conduzione d'Aula che, sono sicuro, sarà capace di poter svolgere con quella capacità che le è riconosciuta. Mi sia consentito, Presidente, salutare, ringraziare, nonché fare un grande in bocca al lupo di buon lavoro, perché forse questa è una sfida, anche, per certi versi, molto diversa, ma sicuramente altrettanto intrigante e impegnativa, alla sottosegretaria Valentina Vezzali. Quando si parla di sport, sottosegretaria, lei sa meglio di me che non si parla solo ed esclusivamente dell'importanza di questa materia pubblica per quanto riguarda la salute fisica e mentale delle persone, ma anche la possibilità di fare socialità e comunità. Una materia che spazia dal tema del turismo - come non ricordare i tanti grandi eventi che abbracceranno e abbracciano normalmente il nostro Paese e sono un volano di turismo, di marketing territoriale – a quello dell'educazione, della crescita, della capacità e del rispetto delle persone. Infine, non bisogna dimenticare lo sport come strumento capace di ridurre, in questo Paese, la spesa sanitaria, attraverso l'osservanza di buoni e sani stili di vita e di comportamento. Come dicevo, è una bella sfida, a fronte della quale formulo il mio più grande in bocca al lupo, nonché il nostro supporto, come Partito Democratico. Se c'è una cosa che rappresenta un valore forte per lo sport, è sicuramente quella di non avere bandiere politiche, di tenere unita una comunità politica, come quella del Parlamento, a lavorare insieme nell'interesse dello sport stesso, come diceva giustamente prima il collega Mariani, e ciò dallo sport di base fino a quello di vertice; sport che vede coinvolte tante persone che oggi concorrono a sostenere questo importante movimento.

Noi, oggi, siamo qui per fare un decreto che riguarda, sembra quasi in modo puntuale, quello che è il Comitato olimpico nazionale; si tratta di un intervento specifico, in modo quasi chirurgico, che garantisce al Comitato olimpico nazionale quell'autonomia necessaria che dovrebbe essere riconosciuta secondo l'articolo 27, come ricordava prima il relatore Fusacchia, della Carta olimpica. Noi dobbiamo capire le ragioni del perché siamo qui a discutere, oggi, di questo decreto. Le ragioni nascono dalla legge di bilancio del 2019, con il passaggio tra la CONI Servizi Spa e la Sport salute, con l'introduzione di un nuovo soggetto regolatore delle politiche pubbliche che, poi, rappresenterà, ha rappresentato e sta rappresentando ancora oggi, sicuramente, un soggetto proattivo per tutte le politiche in ambito di sostegno della promozione allo sport; non dimentichiamoci, però, che è anche quel soggetto che oggi ha a disposizione un'importante dote economica: 368 milioni di euro fino a oggi, 363 dopo l'approvazione di questo decreto. Gestione di fondi importanti per il sostegno allo sport, alle federazioni sportive nazionali, agli enti di promozione sportiva e alle discipline sportive associate. Quindi, sicuramente è un ruolo importante. Noi quella legge di bilancio, sottosegretaria, non l'abbiamo sostenuta soprattutto perché ritenevamo che ci fosse un problema di metodo: uno scarso coinvolgimento del mondo portivo, sebbene una riforma della governance era, comunque, necessaria e importante. Inoltre, a nostro avviso, si andava a ledere, come poi ha riconosciuto il CIO, la sfera dell'autonomia, che trova fondamento non solo ed esclusivamente nella Carta olimpica, ma anche nell'ordinamento statale del nostro Paese, nel famoso DL n. 220 del 2003 dove si riconosce l'autonomia dell'ordinamento sportivo rispetto all'ordinamento statuale. Noi, lì, abbiamo registrato - e lo abbiamo denunciato - un'ingerenza: c'era una volontà della politica di assumere un ruolo che non era suo, che non spettava, in quel momento lì, alle componenti politiche proprio al fine di mantenere la necessaria autonomia. Il CIO, attraverso l'istruttoria e, poi, attraverso quella che è stata anche un'iniziativa che solo ed esclusivamente questo decreto ha sospeso, ha aperto e evidenziato questa situazione di anomalia.

Come ha fatto presente prima in modo molto chiaro il collega Fusacchia, il relatore, noi stiamo affrontando un decreto puntuale: pianta organica di 165, 10 dirigenti, quelle che io definisco un po' le modalità d'ingaggio per quanto riguarda la possibilità, dopo quello che era un contratto di servizio con il personale in avvalimento da Sport e salute al CONI; il tema dei beni necessari allo svolgimento dell'attività del CONI come soggetto di organizzazione del vertice delle politiche sportive e come soggetto organizzatore della partecipazione e della preparazione olimpica per quanto riguarda lo sport italiano.

Abbiamo, con questo decreto, modificato la contribuzione, da 40 a 45 milioni, per il CONI, da 368 a 363 milioni per Sport e salute, ma la domanda che noi ci dobbiamo porre secondo me, in quest'Aula, da un punto di vista politico, è se questa iniziativa oggi è sufficiente, al netto, oltretutto, di quello che diceva giustamente prima sempre il relatore, rispetto ad alcuni emendamenti che sono stati avanzati non solo alla Camera, ma anche al Senato, dopo un'importante iniziativa messa in campo su tutto un percorso di audizioni e di ascolto del mondo sportivo, e che non hanno prodotto quelle necessarie modifiche che potevano, comunque, migliorare questo testo. Ciò è comprensibile per la situazione politica che abbiamo vissuto, comprensibile per la crisi Governo e io ritengo che sia stato anche, sottosegretario, rispettoso nei suoi confronti, perché è giusto che chi si assume una responsabilità in una delega importante come la sua, abbia la possibilità di entrare e determinare con le sue azioni - sulle quali dopo, se mi permette, vorrei indicare quelle che possono essere alcune rapide priorità da parte del Partito Democratico - la sua proposta politica in materia di sport. Come dicevo, è sufficiente questo decreto? Sì, è sufficiente se consideriamo, e ovviamente noi l'abbiamo condiviso, l'importanza di far sì che gli atleti - i nostri portacolori, quelli che hanno investito una vita per far parte di quello che, in quel momento lì, è l'olimpo dello sport italiano, le Olimpiadi, l'evento sportivo più importante e che alcuni di voi in quest'Aula conoscono molto bene - abbiano la possibilità di partecipare alla competizione, ai XXXII Giochi olimpici di Tokyo, con l'inno e la bandiera. Certo, è importantissimo, perché è un fatto identità, è un fatto di orgoglio, sicuramente; però, io non penso che questo decreto sia sufficiente per mettere mano, per riordinare, per riorganizzare, per dare risposte al tema della governance dello sport italiano. Non possiamo nascondere - è stato evidenziato anche nelle diverse audizioni - che un problema sulla governance lo sport italiano ce l'ha. Non voglio entrare in logiche di contrapposizione, che a me personalmente disturbano, tra chi è più vicino al CONI, al Comitato olimpico nazionale, e chi è più vicino a Sport e Salute; questo dualismo è qui sempre presente, come se fosse utile per garantire alle società sportive, che stanno vivendo grandi difficoltà, una risposta; è un dualismo che non serve, come non serve un dualismo tra lo sport di vertice e i presidenti delle federazioni: non serve questo dualismo.

Noi, quindi, dobbiamo mettere in campo un'iniziativa, e penso che lei ne abbia la competenza e soprattutto ne avrà la responsabilità, per rivedere complessivamente il tema della governance, perché oggi abbiamo tre soggetti che concorrono a determinare le politiche sportive in questo settore; possono essere, sì, soggetti che operano per comparti ben definiti, però stiamo parlando del CONI per quanto riguarda la preparazione olimpica, lo sport di vertice, il coordinamento delle federazioni sportive nazionali, le discipline sportive associate. Poi, stiamo parlando di Sport e Salute, che ha nel suo nome il binomio sport, benessere e salute, certo, e si propone la grande importante iniziativa, grazie al presidente Cozzoli, di sostegno alla promozione sportiva, anche con riferimento al rapporto con il territorio e con gli enti locali. Però, per quanto riguarda Sport e Salute, vi è anche la relazione con le federazioni sportive nazionali e mi riferisco al finanziamento pubblico alle federazioni sportive nazionali. E, poi, c'è il Dipartimento dello sport, che è subentrato all'interno di questa governance nel maggio 2020, che io ritengo anche importante, perché a un certo punto, se la politica deve essere soggetto regolatore sul tema delle politiche sportive, è giusto che la politica se ne assuma la responsabilità attraverso l'autorità di Governo competente, che sia Ministro oppure, come adesso lei, sottosegretario.

Però, penso che, su questo tema, ci debba essere attenzione da parte nostra, come forza di maggioranza, proprio oggi che abbiamo anche una maggioranza eterogenea, che proprio nella sua eterogeneità può veramente portare a compimento un percorso, un processo di riforma sulla governance dello sport, riconoscendo il valore di tutti i soggetti, e ciò non per fare una riforma contro, ma per lo sport italiano; quello che abbiamo sempre contestato in quest'Aula, da questi banchi in questa legislatura, è che, purtroppo, quando si andava a mettere in campo una riforma, si faceva una riforma contro qualcuno, ed è un errore per la responsabilità che noi portiamo ed è un errore soprattutto nei confronti dello sport italiano che oggi richiede risposte. Ci abbiamo anche provato a fare questo passaggio e forse, purtroppo, non siamo stati capaci; forse non siamo arrivati in tempo, forse erano alcune idee ancora dissonanti tra le forze politiche che componevano la precedente maggioranza; tant'è che uno dei sei decreti legislativi, contenuti all'interno della legge delega, lei sa meglio di me che non ha visto la sua attuazione. Però, penso che questa sia una delle sfide a cui, proprio in questa nuova condizione in cui il Parlamento è chiamato ad unità e responsabilità, si possa dare risposta, riordinando il sistema sportivo e la governance del sistema sportivo italiano.

Vado a concludere, Presidente. Poter discutere - lo dicevo prima - in quest'Aula di sport non capita spesso e, visto che non capita spesso, mi sia consentito mettere l'accento su quelle che ritengo essere oggi alcune delle sfide che questa maggioranza, la sottosegretaria ma penso tutto il Parlamento, avrà davanti a sé nelle prossime settimane e nei prossimi mesi e, comunque, nell'arco della legislatura. Io penso che la prima sfida sia quella di dare grande sostegno al mondo dello sport che è stremato, è sfinito; è un mondo dello sport preoccupato; non dimentichiamoci che in questo momento stiamo parlando di 120 mila società, del 90 per cento di volontari, stiamo parlando di qualcosa come di oltre 12 milioni di tesserati a enti di promozione sportiva e CONI; stiamo parlando di un giro di affari di 1,7 punti percentuali del PIL del nostro Paese. Non stiamo parlando di qualcosa che non ha e non deve vedere la giusta attenzione; stiamo parlando di un settore che non si è mai visto riconosciuto, da un punto di vista delle politiche pubbliche, quel giusto grado di sostegno anche economico e non è solo un problema di queste Aule o del Governo del Paese: è un problema che va dall'ente locale alle regioni fino al Governo del Paese. Non c'è mai stata la sufficiente capacità di fare un investimento strutturale, organico ed economicamente riconoscibile sul mondo dello sport e questo ce lo dobbiamo dire.

E, quindi, io penso che, per quanto riguarda le prime risposte fornite, il “decreto Sostegni”, seppure sicuramente rappresenti una risposta importante per il mondo del lavoro sportivo, non è sufficiente, come non è sufficiente immaginare che diamo micro contributi alle società sportive dilettantistiche. Io penso che noi dovremmo continuare come è già stato fatto anche nei precedenti decreti e come viene anche richiesto penso, ad esempio, dal Comitato 4.0 che rappresenta, comunque, uno sport di vertice ma non è l'élite dello sport, perché stiamo parlando del vertice della pallavolo, del basket, di squadre che stanno comunque soffrendo anch'esse.

Io penso che vi sia un tema da riprendere: il famoso credito d'imposta per quanto riguarda le sponsorizzazioni; un tema che ha visto attuazione nel 2020 e che abbiamo sostenuto, ma questo è uno dei temi da riprendere. C'è il tema di come sosteniamo le famiglie con i voucher, come hanno fatto anche alcune regioni. C'è il tema, in prospettiva, in modo strutturale, di come introdurre processi di defiscalizzazione nel mondo sportivo ma, nello stesso momento, di come introdurre anche una detrazione o aumentare l'attuale detrazione che già è presente per i minori di 18 anni per quanto riguarda le famiglie. Sottosegretario, noi a mio avviso dobbiamo dare l'idea che non stiamo immaginando solo ed esclusivamente politiche in questo momento puntuali e legate solo ed esclusivamente al sostegno e all'emergenza, ma politiche che possono diventare strutturali per il mondo dello sport, che possono servire alle società sportive per fare uscire domani le società sportive e per consegnare alle stesse una prospettiva. Io penso che noi dobbiamo mettere in campo questo tipo di iniziativa, a partire dal prossimo “decreto Sostegni” ma anche dai prossimi provvedimenti economici fino a quella che può essere la legge di bilancio, che si andrà a determinare a fine anno. Questa è una delle sfide per dare una risposta - per ripetere - al mondo dello sport, che è una risposta non puntuale ma una risposta di prospettiva, perché noi dobbiamo cercare di dare anche un po' di speranza ai tanti volontari, ai tanti atleti, ai tanti dirigenti, ai tanti tecnici che in questo momento qui sono in evidente difficoltà.

E, rapidamente, dopo discuteremo di Recovery Plan all'interno dell'audizione che faremo in Commissione, ma qui c'è già anche un grande tema (in questi anni è stato investito fortemente sul tema sport e periferie). C'è, poi, una questione che dobbiamo riprendere, e lo ricordava anche il relatore Fusacchia all'inizio, ossia il tema dei decreti legislativi dello sport che sono stati approvati dal Governo ma che non hanno visto il completamento del lavoro delle Commissioni parlamentari dopo anche importanti audizioni, dopo che il mondo dello sport è stato ascoltato e dopo che erano state sollevate problematiche abbastanza evidenti. E, quindi, occorre riprendere quei decreti legislativi, ma non per modificarli, ma per capire come intervenire a supporto delle problematiche evidenziate e sottolineate dai diversi soggetti auditi durante la fase di lavoro delle Commissioni; sappiamo che due sono gli argomenti che sono sicuramente importanti per il mondo dello sport, come il vincolo sportivo e il lavoro sportivo, due argomenti che nascono su principi giusti ma che possono produrre, ad un mondo già in difficoltà, ulteriori difficoltà di natura economica. Quindi, noi ascoltiamo il grido di aiuto che arriva, ma non per mettere in contrapposizione chi il mondo dello sport lo frequenta come lavoratore e chi, invece, lo gestisce come presidente di una società polisportiva, ma, in una sorta di rapporto condiviso per fare in modo che vi sia il rispetto del principio e, nello stesso momento, che questo rispetto del principio non ricada, da un punto di vista economico, esclusivamente sulle spalle delle società che sono già in grandi difficoltà. Quindi, io penso che questa sia una delle sfide che noi abbiamo. Vi è un'altra sfida - ne parlava bene Mariani prima di me, e non ci ritorno. Lo sport è la terza agenzia educativa del Paese.

Dopo la famiglia e dopo la scuola, è la terza agenzia educativa del Paese e, nella fase in cui le agenzie educative, a parte le famiglie, sono chiuse, in lockdown, vi sono danni, che sono stati generati rispetto agli adolescenti, drammatici, e se anche lo sport si mette nelle condizioni di avere un pensiero, di mettere in campo un pensiero, purtroppo rischia di non svolgere fino in fondo la propria funzione.

E poi, da ultimo, c'è una legge, che io penso che lei condivida, perché è stata tra le artefici di un miglioramento della famosa legge della “Buona Scuola”. Parlo del potenziamento dell'attività motoria all'interno della scuola primaria. C'è una legge delega ferma al Senato dopo l'approvazione unanime di quest'Aula parlamentare. Io spero che si possa, nei prossimi mesi, riprenderla in mano, sostenerla da un punto di vista economico, perché capisco che è una legge di spesa, ma occorre dare il segnale che lo sport riparte dal luogo principe dell'educazione e della crescita dei nostri figli, ossia la scuola. Noi dobbiamo ripartire da lì! E, quindi, il potenziamento dell'attività motoria con personale qualificato - personale qualificato e, quindi, con le apposite classi di concorso - penso sia una delle sfide che noi abbiamo davanti in questi prossimi mesi e lei ha questa importante responsabilità.

E, da ultimo – veramente, e poi concludo, Presidente – vi è il tema, come dicevo prima, dei grandi eventi, che sono un motore importante per il turismo, di marketing territoriale. Noi vedremmo già da giugno Euro 2021, per quanto riguarda il calcio, le ATP finals di tennis di Torino, la Ryder Cup, i Giochi del Mediterraneo di Taranto, Milano-Cortina 2026. Come dire, ci sono tanti appuntamenti che dimostrano come lo sport possa veramente essere un volano, da un lato, di marketing territoriale, ma anche di crescita del Paese. E visto che in questo momento qui, dopo una pandemia che ci sta mettendo a dura prova da un punto di vista economico, sociale e sanitario, dobbiamo anche parlare di una ripresa e una ripartenza, come facciamo appunto col Piano di ripresa e resilienza del Paese, anche lo sport può dare il suo contributo.

C'è una storia, che non è uscita sui quotidiani nazionali, che fa un po' da contraltare a quella di Lara Lugli, che penso che rappresenti molto bene il mondo dello sport e dell'associazionismo sportivo. È la storia di una ragazza di Reggio Emilia, della provincia dalla quale provengo, che è Alice Pignagnoli, che fa il portiere del Cesena Calcio. Lei, alla sesta settimana, dopo uno scontro fortuito di gioco, durante una visita, si è accorta che era in maternità, che aspettava un figlio. La società del Cesena le ha prolungato il contratto; come dire che non ci sono solo esclusivamente i casi di Lara Lugli, che abbiamo denunciato, ma che ci sono anche delle buone pratiche, come quella appunto di Alice Pignagnoli del Cesena Calcio, che dimostra come lo sport è un grande volano di valori di vita vera.

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Rossi, anche per le espressioni augurali. È iscritta a parlare l'onorevole De Angelis. Ne ha facoltà.

SARA DE ANGELIS (LEGA). Grazie…

PRESIDENTE. Può cambiare microfono, onorevole, magari funziona un po' meglio. Proviamo a spostarci. Va meglio?

SARA DE ANGELIS (LEGA). Meglio, sì, sì.

PRESIDENTE. Perfetto, a lei la parola, onorevole.

SARA DE ANGELIS (LEGA). Allora, grazie Presidente Mandelli, e, a nome anche del gruppo della Lega, le auguriamo buon lavoro per questo importantissimo ruolo, che saprà sicuramente svolgere al meglio.

Oggi stiamo discutendo il decreto-legge n. 5 del 29 gennaio 2021, un decreto abbastanza semplice, sia nei contenuti sia nella struttura, e per questo ringrazio anche l'onorevole Fusacchia, per la puntuale relazione che ha fatto. Un provvedimento, che, in sintesi, è stato predisposto d'urgenza, per riorganizzare il CONI e per rimediare ai problemi rilevati dal Comitato olimpico internazionale. Ecco, se non avessimo fatto nulla, ci sarebbe stato il più che fondato rischio che l'Italia sarebbe stata esclusa dalle Olimpiadi di Tokyo, Olimpiadi che, come sappiamo tutti, verranno purtroppo svolte senza la presenza del pubblico.

Sui quattro articoli, che compongono il testo all'esame di quest'Aula, non c'è molto da dire. Al contrario, invece, ci sono alcune riflessioni a proposito dello sport, che è opportuno fare e che possono essere, a mio avviso, il punto di partenza per un percorso di più ampia e partecipata modifica, anche legislativa, del mondo dello sport del nostro Paese. Partiamo da un presupposto abbastanza scontato, ma importantissimo: lo sport è qualcosa che, in vario modo e misura, fa parte della vita di tutti. A seconda, infatti, dei nostri interessi e passioni o anche solo di esigenze legate alla propria forma psicofisica, ciascuno si avvicina a qualche disciplina, per seguirla o per praticarla, perché lo sport fa bene al corpo e allo spirito, un'affermazione questa che vale per tutte le età e in tutte le situazioni. Il difficilissimo periodo che stiamo attraversando a causa della pandemia ci ha costretti, nostro malgrado, a rivalutare l'importanza delle nostre vite, di tante cose che prima davamo per scontate. Tra esse c'è sicuramente lo sport, che è servito a molta gente come sfogo e anche come mezzo per mantenersi attivi e non lasciarsi sopraffare dalla situazione. Dunque, lo sport ci ha aiutato e noi dobbiamo assolutamente fare lo stesso con lo sport. Mi riferisco alle tantissime attività, come palestre, piscine e luoghi di allenamento, che sono ancora costrette a restare chiuse, con tutto quello che ne consegue in termini economici e lavorativi, chiuse e senza sufficienti aiuti per sopravvivere. Non possiamo e non dobbiamo dimenticarle.

Non possiamo e non dobbiamo dimenticarle per chi le gestisce e per coloro che ci lavorano, ma anche per i tanti atleti amatoriali che, non avendo la possibilità di allenarsi in strutture adeguate seguiti da professionisti, stanno rinunciando ad un elemento importantissimo delle loro vite. Questo - ci tengo a sottolinearlo - vale per gli appassionati in genere, ma anche e soprattutto per i diversamente abili, che trovano nella pratica sportiva un fondamentale elemento di integrazione, un elemento che consente loro di sentirsi parte di una comunità, che appunto attraverso lo sport fa crescere i suoi componenti, in quanto membri di un gruppo e anche in quanto singoli. Perché lo sport, per tutti coloro che lo praticano, non è solo esercizio fisico: è anche condivisione, educazione a principi e valori, maturazione personale, ed è anche consapevolezza dell'essere parte di un tutto, che, in piccolo, è l'associazione sportiva, in grande, un quartiere, una città, uno Stato. Ecco perché, noi che dello Stato siamo i rappresentanti, abbiamo il dovere di agire per proteggere lo sport, aiutando, come ho detto prima, tutte le realtà di base che rendono possibile praticarlo, ma anche migliorandone la gestione, a livello di società e federazioni, perché questo potrebbe magari facilitarne ed ampliarne la diffusione.

Ci sono poi altri tre elementi in questo contesto, su cui è utile, secondo me, porre l'accento, per capire meglio quanto lo sport è importante per tutti noi e quanto, quindi, è necessario intervenire con leggi ad hoc, che consentano una pronta e rapida ripartenza del settore e anche un cambiamento in positivo della gestione dello sport. Il primo, di cui tutti abbiamo coscienza, è il coinvolgimento che lo sport provoca in chi lo segue da appassionato. Penso, per esempio, al calcio, che sicuramente in Italia è tra le discipline più partecipate, anche emotivamente. Pochi, anzi pochissimi, quelli che, quando gioca la Nazionale azzurra, non sono davanti al televisore a fare il tifo. Ma non solo. Penso, infatti, ai tanti italiani che, pur non interessandosi regolarmente di vela, hanno seguito le recenti imprese di Luna Rossa, che fino all'ultimo ha lottato per la conquista della Coppa America.

In secondo luogo, ritengo sia importante, sia per gli atleti sia per le società sportive, pensare ad una riorganizzazione che coinvolga anche gli sport cosiddetti minori, che poi minori non sono, perché hanno una dignità e un valore educativo altissimo. Mi riferisco a tutte quelle discipline che non hanno notorietà mediatica e, per questo, non attirano sponsor e finanziamenti privati. Dovremmo fare qualcosa anche su questo, per aiutarle a crescere, magari - ma questo è un discorso che vale anche per alcune discipline, per così dire, maggiori - regolamentando i contratti professionisti degli atleti o, ancora, disponendo finanziamenti per progetti di sviluppo, per esempio, in aree prive di strutture o palestre.

Vengo al terzo ed ultimo elemento, che penso sia utile citare in questa sede, e cioè il prestigio internazionale che i successi sportivi, a volte anche in misura maggiore rispetto alla politica, possono portare al nostro Paese. Un prestigio che si basa sulla fatica e sull'impegno di molti che, tra atleti, tecnici e varie professionalità coinvolte, hanno consentito di far sventolare il nostro tricolore sul gradino più alto del podio in diverse competizioni.

Collegandomi a quanto ho appena detto, a conclusione di questo mio intervento, faccio i miei migliori auguri di buon lavoro al nuovo sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega allo sport Valentina Vezzali. La sua eccezionale carriera da atleta è uno splendido biglietto da visita per il ruolo che si appresta a ricoprire e sono sicura che farà di tutto per mettere la sua esperienza al servizio dello sport italiano. Ce n'è davvero un gran bisogno! Grazie e buon lavoro.

PRESIDENTE. Grazie, onorevole De Angelis, e ringrazio anche lei per le espressioni augurali.

È iscritto a parlare l'onorevole Casciello. Ne ha facoltà.

LUIGI CASCIELLO (FI). Grazie, Presidente Mandelli. Mi permetta innanzitutto di farle gli auguri di buon lavoro per il nuovo incarico altamente istituzionale e qualificato che le compete. Saluto i rappresentanti del Governo, l'onorevole Bergamini, la sottosegretaria Vezzali, alla quale auguro, insieme all'onorevole Bergamini, un buon lavoro in questo momento particolarmente difficile e delicato nella vita del Paese anche per il comparto dello sport, per il mondo dello sport. Ma, come è mia abitudine da quando viviamo questi giorni e questi mesi di pandemia, permettetemi di partire da un numero secco, 105 mila morti, che non dobbiamo mai dimenticare, neanche nella giornata di oggi in cui parliamo, apparentemente, di un aspetto meno pressante, cioè quello dello sport. Però lo sport è ciò che muove anche una gran parte dell'economia di questo Paese, e quindi il provvedimento che oggi esaminiamo si è reso necessario soprattutto per rispondere alla richiesta del CONI, del Comitato olimpico internazionale, di assicurare l'indipendenza del CONI, così come sancito dalla Carta olimpica.

L'indipendenza del CONI rispetto alla politica, rispetto ai Governi, è qualcosa che immediatamente non può non rimandare, per esempio, alle Olimpiadi di Mosca, quando l'Italia non fu presente per altri motivi - l'intervento di Mosca, se non ricordo male, nella vicenda della guerra dell'Afghanistan - ma potrebbe venirmi in soccorso il mio vicecapogruppo, l'onorevole Valentino Valentini. Comunque anche questa volta abbiamo rischiato che alle prossime Olimpiadi l'Italia non fosse presente con la propria bandiera, e per questo è nota anche la querelle al centro della quale ci siamo trovati nel rapporto con il CIO. La modifica della governance dello sport italiano, operata con la legge di bilancio del 2019 e proseguita successivamente con la legge delega n. 89 del 2019, ha portato il CIO, quindi, ad avviare un'attività istruttoria per valutare l'impatto delle modifiche legislative sull'assetto organizzativo del CONI e sul rispetto del principio di autonomia e indipendenza di cui, sulla base della Carta olimpica, tutti i comitati olimpici nazionali devono godere. Da qui si è aperta un'interlocuzione tra il CIO e il Ministero dello Sport. Voglio ricordare che, già in sede di approvazione della legge, Forza Italia espresse le proprie perplessità e alla fine, nell'augurarsi che in qualche modo si sarebbe poi arrivati ad una ridefinizione del tutto, arrivammo ad un voto di astensione.

Ma è chiaro che le preoccupazioni che manifestammo in quella sede si sono poi rivelate fondate e quindi è subentrata la necessità di intervenire di nuovo dal punto di vista legislativo. Infatti, come ricordavo prima, siamo arrivati ad un passo dalle sanzioni da parte del CIO; sanzioni che avrebbero potuto comportare la mancata partecipazione della squadra olimpica italiana alle Olimpiadi di Tokyo. Avendo, tra l'altro, oggi una sottosegretaria olimpionica, insomma, sarebbe stato un esordio infelice. L'Italia ha infatti rischiato di vedersi negata la possibilità di partecipare alle competizioni sportive olimpiche come squadra, con l'umiliazione di partecipare senza bandiera e senza l'inno. Avremmo dovuto lasciare soli i nostri atleti, che avrebbero potuto prendere parte alla competizione solo in qualità di singoli e non come rappresentanti della Nazione italiana.

La Carta olimpica, nel sancire l'indipendenza dei comitati olimpici dalla politica, vieta categoricamente che questi possano operare per il tramite del Governo. La riforma operata con la legge n. 145 del 2018, che ha dato vita alla società Sport e Salute Spa, e cioè la legge alla quale facevo riferimento prima, sulla quale avevamo anche rappresentato tutte le nostre perplessità, ha di fatto creato una società emanazione diretta del Governo, in quanto i vertici della società sono nominati dall'Esecutivo. A questo si aggiunge che parte del personale oggi a disposizione del CONI è personale dipendente della società Sport e Salute. In questo modo, di fatto, il Governo avrebbe assunto un ruolo di intervento e condizionamento del Comitato olimpico nazionale, in contrasto con quanto disposto dalla Carta olimpica. Pertanto si è reso necessario un intervento volto ad assicurare l'indipendenza del CONI in materia di personale, nonché di proprietà di impianti sportivi e fabbricati, che vengono trasferiti al CONI per l'esercizio delle sue funzioni.

D'altra parte, si è reso comunque indispensabile un intervento che, oltre a dare compiutezza a quanto disposto con la legge n. 145 del 2018, sopperisse pure ai vuoti lasciati dal mancato esercizio della delega in materia di riordino del CONI, che ci sembra oramai non più rinviabile. Lo sport ha bisogno di sostegno, di riconoscimento, ma anche di una legittimazione di governance. Avremmo preferito poter intervenire sulle criticità, che già in passato abbiamo individuato e rappresentato in tutte le sedi opportune, però quello che serve oggi allo sport italiano è l'equilibrio e il coordinamento tra i soggetti che operano a tutti i livelli nella gestione e diffusione dell'attività sportiva, e quindi più che mai tra CONI e Sport e Salute Spa. Con l'approvazione di questo decreto il CONI vedrà incrementate le risorse a sua disposizione in termini di liquidità; avrà personale a sua disposizione, e quindi si rimuove uno degli ostacoli sollevati dal CIO, e incrementerà il suo patrimonio, così da essere messo in grado di esercitare autonomamente e in maniera indipendente le proprie funzioni.

Contestualmente, sarà disegnata con maggiore precisione la cornice entro la quale si potrà muovere Sport e Salute Spa. Due soggetti che si muovono in contesti affini, ma differenti: il CONI, che si occupa di sport olimpico, di grandi competizioni, e la Sport e Salute SpA, dall'altra parte della bilancia, che rivolge la sua azione verso lo sviluppo dello sport di base, della sua promozione e diffusione, con l'obiettivo di portare le nostre atlete e i nostri atleti verso il limite delle vittorie internazionali olimpiche. E qui si apre anche un ragionamento fondamentale in questo momento di pandemia: un po' di confusione c'è stata sulla possibilità o meno di far svolgere le attività degli sport di contatto. Quali sono ancora possibili da svolgere, quali no, quali a seconda delle aree e dei colori delle singole regioni, perché basta essere iscritti ad una federazione e magari non in altro modo. C'è stata qualche associazione sportiva che ha lamentato questa confusione e questa non legittimazione, così come da molte famiglie viene anche una domanda: se i ragazzi non possono andare a scuola, perché devono andare a fare l'attività di allenamento? Quindi è una necessità di intervento.

Noi, naturalmente, ci auguriamo che tutto riprenda grazie alla ridefinizione del piano vaccini che il Governo sta operando perché tutto torni quanto prima alla normalità, ma sappiamo che da qui a qualche mese bisognerà fare ancora i conti con una situazione che richiede chiarezza anche nella gestione dello sport di base. E quindi ci attendiamo chiarezza e tranquillità anche per le famiglie italiane.

Avremmo preferito, dicevo, poter affrontare un dibattito più franco, più ampio, e più che più franco, perché non ci è mai mancata la chiarezza e la sincerità, su questo come sugli altri argomenti, però capiamo anche che il momento impone scelte e decisioni immediate per salvaguardare, come dicevamo prima, la rappresentanza anche italiana alle prossime Olimpiadi.

Questo provvedimento è nato all'interno di un'altra maggioranza, di una maggioranza più ampia, di una maggioranza “salva Italia”. Quella che oggi qui rappresentiamo è una maggioranza, quindi, straordinaria che intende agire nell'interesse del Paese nel momento difficile che stiamo attraversando. E io, anche personalmente, sento tutta la responsabilità di questo impegno e di questo lavoro.

Oggi è urgente, quindi, approvare il provvedimento per rimediare al corto circuito che si era creato tra CONI e CIO. Molto ci sarà da fare, però, per lo sport nei prossimi mesi perché, come ricordavo, è uno dei settori - insieme a quello dello spettacolo, dello spettacolo dal vivo e insieme a quello della creatività - poiché lo sport in fondo è anche creatività - a pagare più di altri. Immaginiamo le piscine chiuse, i centri sportivi chiusi, le palestre chiuse, le attività di questo genere chiuse che hanno determinato anche una crisi importante di settore. Lo dicevo: sono chiuse le palestre, sono chiuse le piscine, sono sospese tutte le attività sportive, se non quelle a cui facevo riferimento per i tesserati delle federazioni, anche in età giovanile; quindi, qualche confusione c'è stata. Molto ci sarà da fare e molto si dovrà fare. Ci sarà da aiutare tutti gli addetti del settore a ricreare e a potenziare la rete dello sport di base per diffonderla in maniera ancora più capillare.

E colgo l'occasione della presenza del nuovo sottosegretario Vezzali per ricordare che un rapporto fondamentale da riprendere è quello dello sport di base con il mondo della scuola, perché in molte parti del Paese le uniche strutture sportive esistenti, se non quelle delle palestre private, fanno capo agli istituti scolastici, con una serie di responsabilità anche dei dirigenti che comprensibilmente hanno qualche difficoltà spesso a rapportarsi e anche ad assumersi ulteriori responsabilità per cedere, in alcune ore della giornata o della settimana, le strutture della propria scuola ad associazioni sportive e a federazioni.

Ricordo che l'attività sportiva è socialità, è appunto contatto. A me piace molto l'espressione “sport da contatto” perché vuol dire che è ciò che è la quotidianità della nostra vita, quello che stiamo perdendo e abbiamo perso e con cui dobbiamo fare i conti a causa di questa pandemia: il contatto, la socialità. E lo sport è ciò che, poi, alla fine - capita anche a me, ne ho fatto tanto per tanti anni - ti lascia anche tanto dal punto di vista dei rapporti umani, dei rapporti amicali, di ciò che si è stati e di ciò che si può essere, di ciò che si è acquisito facendo dello sport, dei criteri che poi uno, in qualche modo, mette anche in campo nella propria vita; altrimenti dove, se non con un'educazione così, si può acquisire la tenacia, si può acquisire l'idea che non ci si debba mai arrendere, nemmeno se una partita, come quella che stiamo giocando adesso, è drammaticamente complicata?

Ecco perché questa maggioranza - che è nata per risolvere le drammatiche problematiche che la pandemia ha determinato nel nostro Paese - deve porsi anche questo problema, partendo proprio dalla drammaticità del momento. Per questo anche oggi ho ritenuto di dover iniziare il mio intervento ricordando le 105 mila vittime della pandemia perché, avendo superato le 100 mila vittime, ciò significa che vi sono migliaia di imprese che rischiano il collasso e, di conseguenza, migliaia di lavoratori che rischiano il proprio lavoro, anzi rischiano il proprio destino e la propria dignità, anche nel settore dello sport.

In questo momento, però, serve compattezza nelle decisioni e sappiamo che c'è stato un aspro confronto tra CONI e Sport e Salute; ma dal conflitto - quando è costruttivo - si può cogliere solo lo stimolo a migliorare, e soprattutto ad assumere la consapevolezza che questo non è il momento dello scontro. Come la politica ha colto la drammaticità e ha acquisito la consapevolezza del dover fare insieme, tutte le componenti del Paese, anche del mondo dello sport, sono chiamate a far questo.

Ecco perché speriamo che questo sia un punto di partenza per il mondo dello sport, perché impari ad agire facendo sistema. Ammettiamo - lo abbiamo detto in altre occasioni - che il provvedimento è più che perfettibile, ma anche se il provvedimento in esame non rispecchia quindi del tutto le nostre aspettative, le nostre richieste avanzate anche in passato, questo è l'approccio che Forza Italia ha sempre avuto rispetto alla questione del mondo dello sport e all'autonomia del mondo dello sport. D'altra parte, essendo il nostro presidente Silvio Berlusconi il presidente più vincente della storia del calcio, non poteva che essere così. Riteniamo che la responsabilità ci imponga di prendere atto della finalità del provvedimento e, nella modalità che riterremo più opportuna, sosterremo l'intervento per ripristinare l'autorevolezza dell'Italia e dello sport italiano all'interno del contesto internazionale. Poi, ci sarà tempo per una dialettica politica più ampia, per intervenire, per migliorare, per rendere ancora più forte la consapevolezza di cui parlavo prima, perché lo sport è anche la storia di questo Paese (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Casciello. Ringrazio anche lei per le espressioni augurali. È iscritto a parlare l'onorevole Mollicone. Ne ha facoltà.

FEDERICO MOLLICONE (FDI). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, sottosegretarie Vezzali e Bergamini, vedete colleghi questo decreto e il mancato esercizio della delega relativa sono stati una vittoria per l'autonomia dell'ordinamento sportivo portato avanti soprattutto da Fratelli d'Italia che, nella legge delega, vide approvato un proprio emendamento sulla obbligatorietà dell'adeguamento delle norme nazionali a quelle ovviamente della Carta olimpica, in particolare all'articolo 27, colleghi, sull'autonomia sportiva, che sono le parole chiave di questo scenario sullo sport italiano e sulla governance dello sport italiano.

Il “decreto CONI” risolve, quindi, un contenzioso importante, che ha causato anche il rischio di perdere inno e bandiera alle Olimpiadi di Tokyo, con una gaffe mondiale dell'ex Ministro Spadafora e del Governo Conte. E, quindi, sottosegretaria Vezzali, lei che insomma quella bandiera l'ha vista sventolare e quell'inno lo ha sentito e lo ha cantato sicuramente alle Olimpiadi, non può che capire il rischio che ha corso la nostra Nazione.

Vedete, il decreto in esame ha disinnescato il contenzioso con il CIO, che prevede per la Carta olimpica l'autonomia dell'ordinamento sportivo. Ce li ricordiamo ancora alcuni sorrisini da parte di alcuni esponenti dell'allora Governo sugli emendamenti dell'opposizione di Fratelli d'Italia che, in maniera molto precisa, direi affilata, si andavano a inserire e andavano a far approvare esattamente un emendamento che imponeva e avrebbe imposto agli uffici legislativi del Governo italiano, di Sport e Salute, della Presidenza del Consiglio, il confronto con il CONI e con il CIO. Ebbene, quell'emendamento venne sottovalutato, quasi nascosto, tra le pieghe di una riforma che aveva molte ombre e poche luci, come poi vedremo in seguito grazie alle audizioni. Ma quell'emendamento ha portato a questo decreto perché bloccò la delega sull'articolo 1.

Segnalammo appunto queste criticità anche nel percorso del 2019 della legge delega, fin dalla famosa riunione a Palazzo Chigi del Ministro Spadafora con tutti i capigruppo delle Commissioni di Camera e Senato e i responsabili dello sport e lì glielo dicemmo subito: guardate che così create un contenzioso con la Carta olimpica e rischiamo inno e bandiera. Ciò sempre tra i sorrisini del Ministro Spadafora, a cui però tributiamo l'onore delle armi perché, a differenza del pessimo Ministro Azzolina, ha avuto il coraggio di ritornare in Commissione sport, di rimettersi al suo posto, di fare il suo lavoro da deputato, anche dopo essere stato duramente criticato per il suo operato da Fratelli d'Italia e dalle opposizioni, e quindi gli va tributato l'onore delle armi.

Diverso è il Ministro Azzolina, che invece è fuggita dalla commissione scuola dopo aver devastato l'ambito che doveva rappresentare. Ma torniamo all'approvazione, da parte del Consiglio dei Ministri, degli schemi di decreti legislativi attuativi della delega della riforma dello sport, avvenuta senza l'acquisizione del parere delle Commissioni parlamentari. È stato, questo, sottosegretario Vezzali, un vulnus delle regole democratiche, in quanto è stato scavalcato il Parlamento. Non ha di certo lei la responsabilità, ma la responsabilità è del Presidente Draghi, che si è presentato a questo Parlamento, con questo sedicente nuovo Governo, che poi, in realtà, somiglia più a un Draghi-ter che a un nuovo Governo Draghi, con una riforma integrale dello sport bocciata dalla quasi totalità delle federazioni e associazioni sportive, nonché della Lega Calcio. Malgrado tutte le audizioni che sono state fatte - quasi tutto il mondo lo sport è stato audito, questa riforma è passata senza il parere delle Commissioni sport che ci avevano lavorato in maniera così approfondita. Quindi, un biglietto da visita non facile da rappresentare, per lei, sottosegretaria Vezzali. Vede, è stato citato - e ho apprezzato - l'intervento del collega Casciello, il quale, pur facendo parte ora della maggioranza, giustamente sta rivendicando le stesse cose che rivendica l'opposizione, perché, da opposizione, le ha sostenute, nel mondo dello sport, e questa è una delle principali. Qual è la credibilità di un Governo, come quello Draghi, che si presenta al Parlamento facendo approvare una riforma così importante, in un momento così critico, senza acquisire il parere delle Commissioni competenti? Quindi, è una bocciatura, da questo punto di vista, della prassi. Confidiamo nella sottosegretaria Vezzali, una volta che si sarà insediata e avrà preso contezza del suo ruolo (ma sappiamo che viene già da un'esperienza parlamentare, quindi non è esattamente una tecnica, è una politica che, da tecnica, è tornata a ricoprire un incarico politico), quindi siamo fiduciosi che ci sarà un confronto proficuo. La riforma del settore dello sport, infatti, sottosegretaria Vezzali, è stata caratterizzata proprio dall'acceso contrasto tra il CONI e la società Sport e Salute. Non ci iscriviamo al partito - e, anche qui, sorrisini, battutine, malizie - di chi pensa che difendiamo il CONI perché difendiamo una persona o una carica: noi difendiamo il CONI perché il CONI rappresenta lo sport italiano e si autogoverna, anche nelle sue rappresentanze. Quindi, colleghi, su questo, non passeranno le critiche o le malizie, perché il mondo dello sport si autorappresenta, ma la politica ha - o aveva - il compito di garantire, come prevede il CIO, l'autonomia del mondo dello sport. È stata fatta, invece, una riforma che pone direttamente sotto il controllo politico – politico, sottolineo, politico! - tutto il mondo dello sport, con una società che risponde direttamente alla Presidenza del Consiglio: ma dove siamo, in Cina, in Vietnam? In quale Nazione siamo, dove appunto la politica determina i contributi e quindi la linfa vitale del mondo dello sport, soprattutto in un contesto come questo? E chi garantirà la trasparenza, il controllo, l'autonomia vera del mondo dello sport, se è la politica…. Non parlo di questo Governo, parlo di qualsiasi Governo, parlo di questa forma di governo che è stata scelta, del mondo dello sport. Per questo, abbiamo chiesto che il Presidente di Sport e Salute sia quanto prima audito, nuovamente, dalla Commissione sport, per sentire da lui, in spirito di collaborazione ma anche di vigilanza, quali soluzioni sappia prospettare alle criticità che ancora non sono state risolte e l'entità delle misure di ristoro gestite dalla società.

Vedete, colleghi, vede, sottosegretario Vezzali, esiste un intero mondo di società sportive e associazioni sportive dilettantistiche, scuole di danza, palestre, che stanno morendo, che sono chiuse da più di un anno. Da un anno lo sport, ormai, non si fa più nelle scuole e qui, soprattutto nel Piano nazionale di ripresa e resilienza, porremo il tema dell'adeguamento delle palestre e del valore educativo dello sport, e su questo penso che troveremo una sicura convergenza. Nelle università non è più un valore e le eccellenze sono rarità, ed è affidato al singolo ateneo quello di avere cattedre relative o sviluppare i propri percorsi formativi relativi. L'intero sistema sportivo non esiste nell'agenda di alcun Governo, né lo è stato nei Governi Conte, con una riforma - come dicevamo - con tante ombre e qualche luce. Penso alle norme del vincolo sportivo, su cui le associazioni di categoria hanno fatto le barricate, mostrando tutte la propria criticità nel contesto della riforma sportiva.

Vedete, avremmo votato anche favorevolmente a questo decreto-legge, proprio perché rappresentava la bandiera, come il tricolore, che grazie a questo decreto e grazie a Fratelli d'Italia potrà sventolare ancora alle Olimpiadi, e grazie, aggiungo, ovviamente, alla pervicacia e alla resistenza del CONI, che ha difeso la propria autonomia. Questo DL è una bandiera, una bandiera che ha sconfessato tutta la politica sullo sport del precedente Governo, tanto da portare al cambio del Ministro dello Sport, così come a quello della scuola. Avremmo votato favorevolmente a questo DL, ma ce lo avete reso impossibile, e vi spieghiamo perché. Ci asterremo: un'astensione critica, proprio per esprimere la completa, totale, assoluta, rabbiosa solidarietà ai gestori di impianti sportivi, alle palestre e alle scuole di danza; a tutte le attività degli sport di contatto, a chi fa spada, fioretto; a chi rappresenta la parte più bella della Nazione, quella che fa volontariato sportivo, quella che dedica i propri pomeriggi a organizzare i vivai sportivi, a far giocare i ragazzi, magari in zone difficili come il judo di Maddaloni, o come le tante palestre nelle aree critiche della nostra Nazione, nei quartieri che tutti i Governi, nazionali, regionali, o gli enti locali non riescono a risanare. Lì c'è una palestra che toglie i ragazzi dalle strade, che toglie i ragazzi dalla droga, che toglie i ragazzi dal degrado e dalla devianza! Ebbene, noi cosa facciamo, noi inteso come Nazione, come Governo, ma noi ci prendiamo le distanze da questa responsabilità? In quella che è una feroce guerra a questo virus maledetto, che noi non abbiamo mai negato, di cui non abbiamo mai negato la violenza, abbiamo ricordato le 105 mila vittime da poco. Ha fatto ciò anche il collega Casciello e ci uniamo a questo cordoglio; siamo stati tra i primi a chiedere la Giornata nazionale per le vittime del COVID, però abbiamo una impostazione diversa. Con Giorgia Meloni lo abbiamo denunciato e chiesto più volte, con i nostri parlamentari, con i nostri capigruppo. Abbiamo detto che è una guerra: combattiamola insieme! Siamo a disposizione, siamo un'opposizione patriottica, ma non fermiamo l'economia! L'economia non si è mai fermata neanche sotto le bombe, sotto le guerre sia la Prima che la Seconda Guerra mondiale. Il rischio, la paura della morte, fa parte della filosofia orientale e occidentale. Non possiamo cancellarla, dobbiamo sfidarla con coraggio, dobbiamo assicurarci di fare meno vittime possibili, ma non chiudendo tutto, perché chiudendo tutto noi stiamo creando le condizioni per la povertà, la fame e la rabbia sociale.

Vedete, sono stato in piazza con alcuni colleghi, con la collega Montaruli e con altri colleghi, a manifestazioni che ormai nascono spontanee, neanche più organizzate, da parte di associazioni e di palestre. Ho visto operatori sportivi piangere: ragazzi di trent'anni che avevano investito tutti i propri sogni e i propri soldi nell'apertura di una palestra, in un programma di training. Li ho visti piangere di rabbia ed essere rabbiosi contro tutti, contro tutta la politica, giustamente. Non si capisce perché continuiamo a mantenere le palestre chiuse, dopo avere loro chiesto l'adeguamento alle linee guida dei sedicenti comitati tecnico-scientifici, che giustamente sono stati cacciati dal Governo Draghi; purtroppo, anche in quelli nuovi pare esserci un deficit di competenza, ma lo staremo a vedere. Ma, soprattutto, noi siamo il Governo e il Parlamento italiano, c'è l'Istituto superiore di sanità: ma a cosa serve un Comitato tecnico-scientifico quando abbiamo le Commissioni di vigilanza dell'Istituto superiore di sanità, quando abbiamo un Governo nelle sue funzioni, quando abbiamo un Parlamento che controlla, quando abbiamo la Commissione affari sociali, che si occupa anche di sanità.

A cosa serve un Comitato tecnico-scientifico? Non lo capivamo, poi lo abbiamo capito: serve al Ministro Speranza per scaricare le proprie responsabilità, quando le cose vanno male, e prendersi i propri meriti, quando le cose vanno bene. Ma siccome le cose vanno sempre peggio, colleghi del Governo e del Parlamento, noi siamo qui, oggi, a rinnovare un appello per la riapertura immediata di tutte le strutture sportive, per immediati ristori. Andate a chiedere quanto ha preso l'operatore sportivo medio, anche nell'ultimo decreto-legge Sostegni: sono elemosine! Ci sono operatori, gestori di palestre, con tutti i costi fissi ancora attivi, che sono chiusi da un anno: non potete dare loro 3-4 mila euro o al lavoratore sportivo 600-800 euro ogni tanto, perché quello non è un ristoro; andate a vedere in Germania o in Francia quanto viene dato loro.

La chiusura, ormai da un anno, degli impianti, colleghi, sta anche causando danni ai giovani e a chi necessita di sport come prevenzione primaria: i dati sull'obesità e sul disagio psicologico dei giovani sono inquietanti. Lo sport è anche, certamente, uno strumento di contrasto all'emarginazione sociale. Gianfranco Beltrami, vice presidente nazionale della Federazione medico sportiva italiana, ha dichiarato in un'intervista che un'intera generazione, quella dei giovanissimi, è condannata a un futuro di gravi danni per la sedentarietà forzata e per l'assenza di relazioni che erano anche rinforzate dall'attività degli sport di squadra.

E ancora, questa chiusura provocherà dei danni, che non esiterei a definire gravi, non solamente agli atleti agonisti ma anche alle persone normali che, sicuramente, sono le più penalizzate da quello che si sta verificando. E poi, la prima emergenza è psicologica, perché l'impatto a questo livello si riflette con sindromi di ansia e di depressione in tante persone che, non avendo più le endorfine dell'esercizio fisico, rischiano di cadere in queste situazioni e in queste sindromi.

Colleghi, lo sport deve ripartire. Lanciamo un appello ultimativo affinché nel decreto-legge Sostegni, che già prevede misure esigue per i lavoratori sportivi, possano trovare spazio misure per le associazioni sportive dilettantistiche, per le società sportive dilettantistiche, per gli impianti sportivi, le scuole di danza e per l'oltre un milione di operatori che si occupano di sport, per i 15 milioni di italiani che fanno sport. Ne va dei posti di lavoro, del prestigio nazionale e di un'ampia fetta del nostro PIL.

Esiste, poi, anche un nodo relativo agli stadi e alle grandi strutture, che abbiamo affrontato anche nella riforma, che porremo anche nel PNRR, sottosegretario Vezzali. I progetti di molte società sono impantanati, da Roma a Firenze, mentre all'estero si è provveduto a migliorare gli impianti integrandoli con il tessuto urbano, così come si è fatto in Gran Bretagna quando è stato costruito il nuovo stadio. In Commissione ci siamo astenuti, quindi, in solidarietà con lo sport allo stremo. Rinnoviamo questo appello, sottosegretario Vezzali, affinché si faccia carico, lei che è una sportiva olimpica, lei che ha cantato l'inno italiano e che ha avuto l'onore e l'orgoglio di vedere sventolare quel tricolore, di rappresentare al Presidente Draghi e ai componenti del Comitato tecnico-scientifico, sedicente, la necessità di far riaprire il prima possibile le strutture sportive in grado di operare in sicurezza, in salute pubblica, di tracciare, magari di fare anche i vaccini, nelle più grandi strutture attrezzate, in collaborazione con la Croce rossa, con le associazioni infermieristiche e con il volontariato.

Colleghi, lo sport deve ripartire e questa è una battaglia comune perché, parafrasando la denominazione di una società che fa capo alla Presidenza del Consiglio, che non si capisce perché non abbia voluto assorbire il bello della tradizione ultrasecolare dello sport italiano che è stata rappresentata dal nome, lo sport è salute, colleghi.

E, vedete, noi stiamo dimostrando, penso, di essere un'opposizione che c'è, c'è tutti i giorni, in tutte le Commissioni. In quest'Aula siamo poche decine ma rappresentiamo la maggioranza degli italiani e siamo qui, vigilanti, ma anche partecipanti di quello che è il destino della Nazione, perché ci crediamo, perché pensiamo che l'opposizione abbia un ruolo fondamentale nelle repubbliche democratiche, perché deve vigilare, sì, ma in emergenza nazionale è pronta a fare la propria parte. Ma datecene la possibilità. Condividiamo la responsabilità, perché è la politica che deve dare gli indirizzi e la visione e i tecnici devono eseguire questa visione e questi indirizzi, non il contrario.

Sottosegretaria Vezzali, ci avrà al suo fianco se riaprirà le strutture in sicurezza, se farà un piano straordinario con la Croce rossa per tracciare, vigilare ma aprire le strutture sportive, se rivedrà insieme a noi, insieme alla Commissione, insieme al Parlamento - l'abbiamo chiamata subito, e ci perdoni, in audizione in Commissione sport e la ringraziamo per aver accettato; l'opposizione serve anche a questo -, il PNRR, perché ne va del destino della nostra Nazione. Lo sport e gli sportivi, chi lo pratica, chi lo insegna, chi lo vive, sono la parte più bella della nostra Nazione e, quindi, noi siamo obbligati, come rappresentanti del popolo, a dar loro una risposta immediata e non soltanto qualche elemosina (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tuzi. Ne ha facoltà.

MANUEL TUZI (M5S). Grazie, Presidente. Colleghi, colleghe, saluto le sottosegretarie Vezzali e Ascani, rinnovo a loro il mio in bocca al lupo per questo nuovo incarico e a lei, Vicepresidente Mandelli, per questo nuovo incarico, anche per lei, per l'Assemblea di Montecitorio.

Io voglio iniziare parlando di quello che è stato un po' il percorso che ci ha accompagnato nel mondo dello sport in questo ultimo anno e mezzo, un anno e mezzo non semplice, un anno e mezzo di pandemia, un anno e mezzo in cui abbiamo lavorato a testa bassa, insieme ai colleghi della precedente maggioranza, per cercare di sviluppare la migliore riforma dello sport che si potesse portare a casa. E di questo ringrazio l'ex Ministro Vincenzo Spadafora, perché ha permesso a tutte le forze politiche di partecipare e di costruire assieme questa riforma. Oggi ci troviamo ad approvare il “decreto CONI”, che fa parte di quella che era la riforma dello sport e di quei cinque decreti legislativi che sono stati, poi, approvati.

Noi ci troviamo oggi a discutere di questo decreto, all'interno del quale avevamo la necessità di fare chiarezza sul mondo dello sport e su quello che è il mondo che gestisce lo sport, in particolar modo il CONI e quello che era CONI Servizi, che, poi, è diventato successivamente Sport e salute Spa. Il CONI che ritorna al suo ruolo primario, cioè quello della supervisione, della gestione, del coordinamento, ma anche della promozione dell'attività sportiva nazionale e olimpica. Sport e salute, invece, riprenderà a promuovere lo sport di base ma, soprattutto, andrà ad aiutare le federazioni nella gestione di quello che è il fondo di cui sentivo prima parlare nei precedenti interventi.

Ci tengo a ribadire che questa riforma ha rischiato di saltare, e questo è evidente, in piena pandemia, per colpa di dell'interesse di qualcuno, degli interessi di pochi, che avevano, probabilmente, altre mire. Abbiamo rischiato di far saltare una riforma dello sport, abbiamo rischiato di far saltare un “decreto CONI”, che è stato uno degli ultimi atti del Conte 2, che ha permesso, però, di salvaguardare un valore e un presidio importante, un simbolo come la nostra bandiera, che ha rischiato di non esser portata dai nostri atleti alle prossime olimpiadi. Sentivo prima le parole del collega Mariani sull'importanza della bandiera e dell'ascoltare l'inno nel momento in cui si celebra, magari, una medaglia per la nostra Nazione.

Da questo punto di vista, però, voglio ribadire che siamo arrivati a questa situazione, probabilmente, in cui c'è stata un'eccessiva discussione da parte di svariate forze politiche, da parte di molte persone, molti soggetti istituzionali, che fino all'ultimo hanno tentato di sabotare questa riforma. Quindi, in questo momento lei si trova, sottosegretaria, con un testo che va sicuramente implementato, che va migliorato, va sicuramente costruito assieme a tutte le forze di maggioranza, come è stato fatto nel precedente Governo, in maniera partecipata. E questo è l'augurio che le voglio rivolgere.

Dobbiamo, però, cercare di contestualizzare questo “decreto CONI”. Questo decreto nasce all'interno di una riforma che aveva l'obiettivo di dare diritti e tutele a persone che per quarant'anni non ne hanno mai avute. Si parla di contributi, che è una parola sconosciuta al mondo dei dilettanti. Noi oggi abbiamo dato diritti, tutele e contributi non solo al professionismo sportivo, ma anche al dilettantismo; e questo è un successo del precedente Governo. Oggi parliamo di professionismo femminile, che è una battaglia nell'ambito della parità di genere e della disparità esistente oggi, purtroppo, anche nel mondo italiano, su cui mi auguro che lei voglia continuare a vigilare e voglia cercare di dare un imprinting anche più forte rispetto anche a questo testo.

Per quanto riguarda la disabilità, l'accesso al mondo sportivo, abbiamo dato diritti e tutele anche a quello. Ecco, vede, noi ci troviamo a discutere di un testo che va a ripartire le risorse, va a ripartire i patrimoni immobiliari, va a suddividere tutto questo. Però, poi, il mondo che sta fuori parla di altro, parla di diritti, di tutele del lavoro, parla di riconoscimento: nella riforma dello sport abbiamo riconosciuto il laureato in scienze motorie, che era una figura esistente ma che tutti ignoravano; oggi abbiamo il chinesiologo di base, il chinesiologo sportivo, il manager dello sport, abbiamo il chinesiologo dell'attività fisica e adattata, che vengono finalmente riconosciuti, gli viene dato anche un ruolo, gli viene dato anche un luogo fisico dove poter operare. E questa è una parte della riforma dello sport su cui io maggiormente mi sono soffermato, ovvero sulla istituzione e la regolamentazione di quelli che sono i percorsi e i parchi della salute, dove il laureato in scienze motorie, il chinesiologo potrà operare in totale autonomia; fino ad arrivare alle palestre della salute, palestre della salute che rappresentano degli organi di secondo livello, praticamente, potremmo definirli così, dove il professionista sportivo opera assieme al professionista sanitario, dove medici, ortopedici, dietologi, fisioterapisti, professionisti sanitari possono operare assieme al laureato in scienze motorie per costruire un futuro diverso. Perché, e le parlo da medico in questo contesto, io mi sono trovato tante volte a imbattermi in situazioni dove l'apporto di un laureato in scienze motorie, dove una figura professionale, sportiva e sanitaria, se avesse operato nell'ambito sanitario di persone e di anziani che ne avevano bisogno, quelle persone avrebbero recuperato molto più velocemente e magari avrebbero comportato un costo minore per lo Stato. Ecco, noi dobbiamo andare in quella direzione, la riforma va in quella direzione. Noi, con questo testo e con l'istituzione delle palestre della salute, che erano già presenti in qualche regione ma in maniera diversificata, andiamo a regolamentarle a livello nazionale, con una norma primaria, ma nello stesso tempo diamo loro un diritto e una dignità differente, al punto tale che, anche all'interno del Next Generation EU, del Piano nazionale di ripresa e resilienza, abbiamo l'intenzione di promuoverle ulteriormente, favorendone lo sviluppo sul territorio. Quelli devono essere i punti di partenza per quanto riguarda questo connubio tra sport e salute. Insieme ai miei colleghi ci siamo trovati spesso a discuterne per cercare di capire come i due mondi potessero parlarsi. In questi quarant'anni, di fatto, si è sempre parlato di attività motoria, di attività fisica come qualcosa che permette di raggiungere lo sviluppo del benessere psicofisico dell'individuo: oggi, con questo testo, di fatto, gli riconosciamo il ruolo di farmaco naturale; un farmaco che è più potente di tutti i farmaci che vengono diffusi a livello internazionale e che oggi ha un ruolo diverso, un ruolo di prevenzione sanitaria. È di questo che stiamo parlando, nulla di più, nulla di meno, però per la prima volta gratuitamente le persone potranno fare attività fisica e potranno anche prevenire patologie, quindi gli stiamo riconoscendo un ruolo diverso. Io, nel chiudere questo intervento, le voglio rivolgere un appello: ho sentito tanti altri colleghi che, ovviamente, ne hanno discusso e parlato, noi ci troviamo nella situazione in cui stiamo approvando il cuore della riforma, con il decreto CONI, insieme a tutte quelle che sono state le tutele del mondo sportivo, però non ci dobbiamo dimenticare della gente che sta fuori, le varie attività. Con il “decreto Ristori”, con il “decreto Sostegni” di venerdì, sì, è vero, ci sono 350 milioni per i collaboratori sportivi, 700 milioni per la montagna, ma non sono solo per quel mondo, quindi il mondo sportivo, ma per tutte le attività direttamente collegate alla montagna: è quasi un miliardo, è una cifra importante, sicuramente, ma non è sufficiente. E questo è il compito che lei avrà: il compito di far ritornare alla normalità questo Paese e far ritornare alla normalità queste strutture sportive e queste palestre. Noi abbiamo la necessità, oggi, di dare loro un segnale importante. Dove si può riaprire - e io lo dico da medico, in questo momento -, si deve riaprire: con dei protocolli serrati, con maggior controllo, maggior monitoraggio, tutto quello che vogliamo, ma nelle zone “bianche” e nelle zone “gialle” si deve riaprire. È inaccettabile vedere ancora tutte le strutture chiuse, questo mondo è chiuso da un anno, con aperture e chiusure alterne, non se ne può più. Noi ci troviamo in pandemia, in una guerra sanitaria, si muore per il COVID e la gente fuori ormai ha incominciato ad accettarlo, abbiamo oltre 100 mila morti, ma non si può morire per motivi economici, non lo possiamo permettere. Noi come Stato, noi come Nazione, ma soprattutto voi come Governo: non lo possiamo permettere. Le strutture sportive e le palestre devono riaprire, in qualche modo, il prima possibile (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - A.C. 2934​)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore, Alessandro Fusacchia, che rinuncia.

Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo, sottosegretaria di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Valentina Vezzali, che rinuncia.

Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione delle mozioni Ianaro ed altri n. 1-00423 e Rossello ed altri n. 1-00428 concernenti iniziative volte a implementare la produzione e la distribuzione di vaccini anti COVID-19, anche attraverso l'autorizzazione temporanea della concessione di licenze obbligatorie (ore 11,48).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Ianaro ed altri n. 1-00423 e Rossello ed altri n. 1-00428 concernenti iniziative volte a implementare la produzione e la distribuzione di vaccini anti COVID-19, anche attraverso l'autorizzazione temporanea della concessione di licenze obbligatorie (Vedi l'allegato A).

La nuova organizzazione dei tempi è pubblicata nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta del 19 marzo 2021 (Vedi l'allegato A della seduta del 19 marzo 2021).

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

È iscritta a parlare la deputata Angela Ianaro, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00423. Ne ha facoltà.

ANGELA IANARO (M5S). Grazie, Presidente. Mi unisco anche io al coro degli auguri per questo suo prestigioso incarico istituzionale di grande responsabilità e sono certa che lo svolgerà al meglio: veramente sentiti auguri, Presidente.

Oggi ci troviamo qui a discutere di una mozione su tutte quelle misure, le strategie che il Governo deve mettere in atto per risolvere un problema enorme che vive il nostro Paese, ma non solo il nostro Paese, l'Europa, ma non solo l'Europa, tutto il mondo, ovvero l'implemento della produzione e della distribuzione dei vaccini.

La scienza, quella senza confini, quella buona della condivisione del sapere tra i ricercatori di tutto il mondo, la scienza che mette a fattor comune le conoscenze, ha dato vita ad una straordinaria ed inedita competizione virtuosa che in tempi rapidissimi ha permesso la costruzione di evidenze sempre più solide e la conoscenza di un virus, il SARS-CoV-2 che, fino a poco più di un anno fa, era per noi ignoto. Il vaccino oggi rappresenta l'arma indispensabile di cui disponiamo per porre fine alla pandemia da COVID-19, ma il trionfo della comunità scientifica richiede un grande sforzo da parte nostra, uno sforzo che deve fare in modo che tutto ciò che abbiamo guadagnato in celerità e rapidità, grazie alle competenze scientifiche, non venga reso vano. Alla rapidità della scienza, infatti, fanno da contraltare le difficoltà riscontrate nella produzione di massa dei sieri, con evidenti gravi ripercussioni sull'andamento della campagna vaccinale e sui tempi, quindi, necessari per poter risolvere in maniera definitiva la pandemia. La scarsa capacità produttiva e asseriti ritardi nelle consegne rischiano di dissolvere l'immane sforzo compiuto dagli scienziati. Eppure ingenti investimenti sono stati compiuti in favore delle società biotecnologiche, che avevano i candidati vaccini più promettenti. Ci siamo impegnati, come Europa, ad acquistare miliardi di dosi di vaccini prima ancora che si conoscesse la loro efficacia e la loro sicurezza, prima ancora di sapere se le sperimentazioni sarebbero andate a buon fine e se quei vaccini sarebbero mai esistiti, affidandoci all'eccezionale potere della scienza e confidando tutte le nostre speranze nella ricerca scientifica.

L'Unione europea, forte dell'approccio comune ai 27 Stati membri, ha firmato contratti di opzione per 2 miliardi di vaccini, di dosi di vaccino, per garantire proprio la disponibilità di vaccini sicuri ed efficaci e costruire, quindi, un portafoglio diversificato. Attualmente abbiamo quattro vaccini approvati: Pfizer e Moderna, che sono frutto di un approccio scientifico particolarmente complesso, basato sull'applicazione di una tecnologia basata sull'RNA messaggero, destinata a stravolgere completamente l'approccio vaccinale del futuro, e non solo; AstraZeneca e, da ultimo, l'ultimo arrivato, il vaccino Janssen, ma ci sono altri promettenti vaccini. Quindi, questo a dimostrazione di quanto la scienza stia compiendo e continui a compiere sforzi enormi, sforzi che, però, non sono evidentemente sufficienti per garantire la giusta distribuzione e l'adeguato numero di vaccini che, come detto, ci consentirebbe di uscire da questa emergenza, che non è soltanto un'emergenza di salute, ma è anche un'emergenza economica e sociale.

Allo scopo, appunto, di aumentare la disponibilità di vaccini, anche la Commissione europea prosegue i suoi sforzi per collaborare con l'industria, ma questi sforzi non bastano, non sono sufficienti. Ad oggi, la capacità produttiva dei vaccini risulta essere troppo modesta di fronte all'improrogabile necessità di vaccinare in tutto il mondo, con evidenti ritardi nelle dosi e conseguentemente, dei tempi stabiliti per la realizzazione della campagna vaccinale attualmente in corso. Non possiamo più ammettere ritardi, non possiamo più accettare che le case farmaceutiche produttrici dei vaccini non tengano fede agli impegni presi nello stipulare i contratti che regolano, appunto, la produzione e la distribuzione dei vaccini stessi, come viene ripetuto continuamente e del resto dalla Presidente Von der Leyen.

Le case farmaceutiche sostengono che i tagli siano dovuti a problemi legati prevalentemente alla produzione e, di conseguenza, non riescono a tenere fede agli accordi che esse stesse hanno siglato. Sono ormai ben noti i ripetuti tagli alle forniture da parte di AstraZeneca, che ha ridotto, solo nel primo trimestre 2021, la fornitura di circa 30 milioni di dosi per il nostro Paese, e ciò equivale ad un taglio di circa 900 mila dosi rispetto a quanto atteso. Le difficoltà nella produzione sembrano anche derivare da un comportamento dell'azienda riguardo all'impianto olandese di Leiden, che figura come uno degli impianti preposti alla produzione europea del vaccino. L'impianto olandese, tuttavia, è gestito da una subappaltante, la Halix, che non avrebbe ancora ottenuto le autorizzazioni necessarie alla produzione da parte dell'EMA, quindi bloccando la propria capacità produttiva, che si aggirerebbe ad almeno 5 milioni di dosi al mese. Quindi, appare già evidente, da questo esempio, che non sempre la cessione in conto terzi alle società subappaltanti sia la strada migliore, anche per i meccanismi che si instaurano in queste situazioni, così come appare altrettanto evidente che i ritardi nella produzione e le omissioni delle case farmaceutiche non possano essere ammessi mentre è in corso una pandemia. Una minaccia collettiva richiede una risposta collettiva: è quanto chiede, a gran voce, l'iniziativa dei cittadini europei ‘Right to Cure' - No profit on pandemic - , l'importante strumento di democrazia partecipativa all'interno dell'Unione europea previsto dal Trattato sull'Unione europea; è quanto è stato chiesto lo scorso ottobre e, ancora, recentemente dai Governi di India e Sudafrica, all'Organizzazione mondiale del commercio, con una proposta congiunta, per domandare una deroga ai brevetti e agli altri diritti di proprietà intellettuale in relazione a farmaci, vaccini dispositivi di protezione personale e altre tecnologie medicali per tutta la durata della pandemia. è quanto chiediamo noi al Governo con questa mozione; chiediamo di impegnarsi in sede europea per consentire la temporanea sospensione dei brevetti come previsto, del resto, dall'accordo TRIPs nel caso di emergenza di sanità pubblica, corrispondendo, ovviamente, un adeguato meccanismo di compensazione per le case farmaceutiche detentrici dei brevetti e permettendo così ai Paesi di produrli autonomamente. In situazioni di emergenza sanitaria, infatti, i Governi possono ricorrere alla licenza obbligatoria per permettere anche ad aziende non detentrici del brevetto di produrre versioni generiche equivalenti dei farmaci, pagando una royalty all'azienda titolare, e la deroga è prevista in base all'articolo 9, commi 3 e 4, dell'Accordo di Marrakech, istitutivo dell'Organizzazione mondiale del commercio. Consentirebbe, quindi, una sospensione temporanea di tutti gli obblighi contenuti nella sezione 1, parte 2, dell'Accordo TRIPs, a condizione che vi sia giustificazione fondata su circostanze eccezionali, e credo proprio, onorevoli colleghi, Presidente, che ci troviamo in una situazione eccezionale, in una circostanza eccezionale.

Pur rappresentando, la tutela brevettuale, un incentivo fondamentale agli investimenti delle imprese in ricerca e sviluppo e nella produzione di nuovi medicinali e dispositivi medici, l'effetto preclusivo dei brevetti può comportare, come sottolineato dal Parlamento europeo, nella Risoluzione del 17 settembre 2020 sulla penuria dei medicinali, una limitazione nell'approvvigionamento sul mercato e una riduzione nell'accesso a medicinali e prodotti farmaceutici. Ancora, in data 2 dicembre 2020, è stata approvata in Assemblea alla Camera, la Risoluzione di maggioranza n. 6-00158, che ha impegnato il Governo, tra gli altri compiti, ad adoperarsi, in seno all'Unione europea, affinché l'Organizzazione mondiale del commercio deroghi, per i vaccini anti COVID-19, al regime ordinario dell'accordo TRIPs, che abbiamo già menzionato.

Come sottolineato ancora dalla Commissione europea, la protezione e l'applicazione dei brevetti dovrebbero tenere in debita considerazione gli interessi della società: in particolare, la tutela dei diritti umani e le priorità di sanità pubblica; allo stesso modo, la protezione dei brevetti, non dovrebbe interferire con il diritto alla salute, né contribuire ad accrescere il divario tra cittadini più ricchi e i cittadini più poveri in termini di accesso ai medicinali, in termini di difesa della salute.

Non risolveremo la questione della scarsità di vaccini disponibili, accettando passivamente i tempi delle multinazionali del farmaco; serve una politica industriale lungimirante a livello europeo ed italiano, per rafforzare le filiere, per garantire l'autosufficienza e la leadership nel settore farmaceutico e serve una politica forte, che sappia mettere al centro gli esseri umani e il loro diritto alle cure salvavita, convincendo le aziende a condividere questi obiettivi. È importante soprattutto per il nostro Paese che, così, avrebbe la possibilità di colmare le proprie lacune nell'apparato industriale farmaceutico, pur essendo tra i primi in Europa nell'ambito della produzione dei farmaci. È ancora questo chiediamo nella nostra mozione, e cioè di avviare, tramite il Ministero della Salute, coadiuvato da AIFA e d'intesa con le regioni, una ricerca di stabilimenti produttivi per la produzione di vaccini anti COVID sul territorio italiano. Si dice che non ci siano aziende in grado di farlo, eppure c'è una continua richiesta, come leggiamo sui giornali tutti i giorni, di aziende italiane, o presenti sul nostro territorio, che si dichiarano disposte e pronte a produrre i vaccini.

Chiediamo, ancora, nella nostra mozione, di rafforzare la capacità produttiva e tecnologica delle aziende presenti sul territorio italiano, nell'ottica di garantire, nel più breve tempo possibile, la produzione di vaccini, nonché di medicinali e dei dispositivi medici ritenuti essenziali da parte dell'AIFA, anche attraverso un adeguamento degli impianti esistenti. Questa, ovviamente, non è una soluzione a breve termine, lo sappiamo bene, scontiamo anni di mancato investimento, ci vogliono almeno sei o sette mesi per adeguare gli stabilimenti italiani, ma è una politica necessaria, indispensabile nel medio e lungo periodo, dove, quello farmaceutico, resterà un settore chiave e dove l'Europa deve raggiungere, nell'arco di massimo 24 mesi, la propria autosufficienza, perché questo problema diventerà endemico, perché dovremo prepararci ad affrontare nuove pandemie, non solo virali, ma anche batteriche. È necessario che ci siano investimenti in ricerca e sviluppo, soprattutto da parte delle aziende biotecnologiche, che provvederanno a implementare, come dicevo, non soltanto nel breve periodo, ma soprattutto in una visione futura strategica, per prevenire, ancora meglio che per risolvere, le prossime pandemie.

In Italia abbiamo le potenzialità e gli stabilimenti che possono farlo, siamo il primo Paese in Europa per produzione ed esportazione di farmaci, con oltre 34 miliardi di fatturato, abbiamo innovazioni di processo e siamo i migliori infialatori al mondo, ma di prodotti generici o di attività per conto terzi; non investiamo abbastanza sul fronte di prodotti altamente tecnologici, mentre sarebbe indispensabile che ci munissimo anche di una struttura in grado di produrre questo genere di farmaci e vaccini utili in caso di prossime emergenze sanitarie.

La pandemia ha mostrato tutte le nostre debolezze europee, ma ha anche messo in evidenza i nostri punti di forza: sono europei gli scienziati che hanno messo a punto i vaccini in soli nove mesi, quando normalmente, come sappiamo, ci vogliono dai cinque ai dieci anni, ed è europea la ricerca che ha portato alla tecnica dell'RNA messaggero, siamo leader nella scienza, ma ora dobbiamo riconquistare la nostra leadership anche nella produzione industriale, garantendo la salute non solo dei nostri cittadini, ma anche dei cittadini di quei Paesi che non hanno i mezzi per poter comprare e produrre i vaccini.

La pandemia continua a diffondersi a causa delle varianti; viviamo, proprio in questi giorni, nel nostro Paese, un'emergenza sanitaria legata alla variante cosiddetta inglese della SARS-CoV-2. Il mondo scientifico ammonisce che fin quando il virus non sarà controllato ovunque e continuerà a circolare, fin quando non si vaccinerà la popolazione a livello globale, sarà impossibile eradicare la malattia, ogni nazione sarà a rischio di ulteriori forme epidemiche e nessuna economia potrà riprendersi completamente. Nessuno può essere lasciato indietro; attualmente, nove persone su dieci, in quasi 70 Paesi a basso reddito, rischiano di non avere accesso alla campagna di vaccinazione nel 2021.

Emerge, quindi, un primo punto strettamente etico, ovvero se sia giusto mantenere privato il brevetto di un farmaco che, in questo momento, potrebbe risolvere la più grande pandemia dell'ultimo secolo. Quando, due giorni fa, il Presidente Draghi ammoniva che, se non si riuscirà a trovare una soluzione comune al problema della mancanza dei vaccini, dovremo provvedere da soli, forse aveva in mente anche le soluzioni di cui stiamo discutendo ora.

L'altro punto, più tecnico, è legato agli investimenti in ricerca e sviluppo di questi vaccini, che sono stati sostenuti con enormi finanziamenti pubblici, sia tramite fondi di ricerca, sia tramite accordi di acquisto fatti includendo il rischio imprenditoriale, quando ancora i vaccini non erano disponibili. Del resto, i numeri sono facilmente reperibili sul sito della Commissione; leggiamo che la BEI, la Banca europea per gli investimenti, ha erogato alla sola Pfizer 100 milioni di euro per la ricerca, mentre la Commissione ha acquistato, a sperimentazione ancora in corso, quindi assumendosi tutti i rischi di investimento, 200 milioni di dosi dalla Pfizer, 80 milioni di dosi da Moderna ed ha investito 336 milioni di euro per ricerca e sviluppo e rifornimento di dosi, sempre a scatola chiusa, da parte di AstraZeneca. Se, quindi, il rischio del finanziamento di questi vaccini è stato, in effetti, distribuito su tutti quanti i cittadini europei, utilizzando appunto i soldi dei contribuenti europei, perché, ci chiediamo, in un tema così delicato di salute pubblica, il profitto deve rimanere esclusivamente privato? Ci sono Paesi, in Europa e in ogni altro continente, che hanno le conoscenze, la competenza e le capacità tecnologiche per produrre localmente i vaccini anti COVID in modo sicuro, scientificamente controllabile e, quindi, per aumentarne la produzione globale, aspettano solo le licenze per poterlo fare, come efficacemente è avvenuto a fronte di precedenti gravi pandemie.

Vorrei ricordare, Presidente, che lo scorso 22 febbraio, Roberto Ridolfi, presidente di Link2007, un'associazione di coordinamento tra tredici importanti ONG del nostro Paese, ha inviato una lettera al Governo in cui chiede di unirsi alla richiesta di più di cento Paesi, perché sia adottata una temporanea deroga ai diritti di proprietà intellettuale per i vaccini anti COVID. Di fronte ad una situazione globale che conta, ad oggi, 123 milioni di contagi, un bilancio di oltre 2,7 milioni di morti, la diffusione di nuove e minacciose varianti del COVID-19, i leader dei Paesi del G20, a partire dall'Italia, che ne ha la presidenza, hanno l'obbligo morale e politico di adottare e promuovere ogni misura che possa porre fine alla pandemia; è anche nel loro interesse.

Concludo, ricordando le parole del Presidente Draghi: “La salute deve essere intesa come un bene pubblico, globale, e per questo l'Italia chiede che l'accesso equo, universale e di massa ai vaccini sia un imperativo non negoziabile”. Bisognerebbe forse avere più coraggio e cogliere il grande messaggio che il 12 dicembre del 1997 ci ha lasciato Nelson Mandela, quando il Sud dell'Africa era devastato dall'AIDS, con centinaia di migliaia di morti; Mandela, coraggiosamente, pose in atto il Medical Act e sospese la tutela della proprietà intellettuale sui farmaci antiretrovirali, consentendone così la produzione domestica.

“La salute è un bene pubblico” disse Mandela. Un'affermazione storica che, mai come oggi, è attualissima (Applausi dei deputati dei gruppi MoVimento 5 Stelle, Partito Democratico e Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Ianaro, e grazie anche per le sue espressioni augurali.

È iscritta a parlare la deputata Cristina Rossello, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00428. Ne ha facoltà.

CRISTINA ROSSELLO (FI). Presidente, in primo luogo congratulazioni e complimenti per questo importante incarico, che rappresenterà, come al solito, al meglio in quella lunga carriera istituzionale che lei ha avviato lavorando sempre per il bene del Paese, e di cui Forza Italia è particolarmente orgogliosa, perché lei ci ha sempre seguito, anche quando noi abbiamo iniziato la nostra carriera politica, dando anche indicazioni e passando la sua grande esperienza a disposizione di tutti i colleghi, con grande generosità.

Mentre si implementano i piani vaccinali, Presidente, gli approvvigionamenti e le distribuzioni, il Consiglio europeo ha concordato la necessità di un green pass digitale europeo e si è interrogato sull'utilizzo di questo strumento. In particolare, il 10 e il 17 marzo hanno proseguito, i lavori, in forma di videoconferenza, con l'intenzione di implementare la strategia europea sulla campagna di vaccinazione, che ha prodotto per ora scarsi risultati tenendo conto che meno del 5 per cento degli europei è stato vaccinato e che, nell'ambito delle quote redistribuite, una dose del vaccino su tre non è ancora stata utilizzata. E questo è un tema europeo che si estende, diciamo, dall'Italia a tutta l'Europa, come ha riscontrato il Commissario per il mercato interno, Thierry Breton, che guida la task force per aumentare la capacità produttiva dei vaccini nell'ambito dell'Unione europea. Quindi, occorre superare questa posizione timida sia della Commissione sia degli Stati membri verso le grandi aziende produttrici, e questo cercando di incrementare anche quella produzione auspicata in Europa, esportando fuori dall'Unione europea, ritardando le consegne già contrattualizzate con la Commissione e tutte le tematiche che conosciamo.

Ma, al di là di questo, è anche giusto interessarsi ad altri dibattiti a latere, al di là, appunto, della tematica tecnica, perché giuridicamente si innestano delle questioni che non devono trovarci impreparati, perché la competizione e la ripresa di ogni singolo Paese dipende anche dalla pianificazione giuridica e amministrativa che gli Stati membri porranno in essere. Ed è per questo che noi abbiamo presentato - firmata, appunto, dai massimi esponenti del nostro gruppo - una mozione nella quale sollecitiamo proprio il Governo a impegnarsi riguardo alla rinnovata, necessaria strategia vaccinale, tenendo conto dell'approccio e del piano comune europeo che si sta delineando con il green pass digitale. Questa tematica è stata avviata con la previsione di trattare nei prossimi Consigli europei l'aspetto, in modo che durante l'estate ci possa già essere una mobilità. A questo riguardo, noi siamo molto preoccupati e vorremmo poter condividere e parlare della nostra esperienza, perché l'Italia ha una tradizione al riguardo e una cultura che potrebbe mettere a disposizione, unitamente agli interventi fatti dal Vicepresidente dell'Esecutivo comunitario, Margaritis Schoinas, che al termine della videoconferenza ha chiarito subito, parlando a nome di tutti i Ministri della Salute, che il digital green pass avrebbe fornito semplicemente una prova della vaccinazione per la persona in possesso del documento, con i risultati dei test effettuati da coloro che non si sono potuti sottoporre al vaccino ed eventuali informazioni sulla eventuale guarigione dal Coronavirus, avendo cura di sottolineare “senza comportare discriminazioni tra chi ha effettuato la vaccinazione e chi no”, perché, ovviamente, ci sono poi tutti dei dibattiti interni che si pongono per le disparità di trattamento che necessariamente si porranno per le fasce di età, le categorie, e così via.

Ebbene, questo dibattito è così importante che la stessa Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, lo ha sottolineato con un documento, dove ha precisato che la nuova proposta rispetterà la protezione dei dati, la sicurezza, la privacy e faciliterà la vita degli europei con uno scopo, uno scopo duplice: quello di garantire i cittadini di muoversi in sicurezza, nell'Unione europea o all'estero, sia per lavoro che per turismo.

La finalità ci consente, quindi, di esaminare questa proposta anche con la tradizione italiana. Noi dobbiamo ricordare che il passaporto vaccinale - poi la questione nominalistica di come tradurlo, passaporto, pass, certificato, è una questione che avrà delle conseguenze in base all'impostazione che si darà giuridicamente alla cosa - ha precedenti importanti nella storia, perché nella storia del nostro Paese c'è stato un impiego secolare. Basti pensare, infatti, alle fedi di sanità o alle fedi di salute marittima, che certificavano la provenienza di persone, animali, merci, ed erano dei modelli antesignani che hanno fatto la storia del nostro Paese e che sono partiti dal Quattrocento. Al riguardo, quindi, vorremmo anche precisare come conoscere la storia non sia soltanto ricordare, ma soprattutto, come debba essere prendere coscienza del tempo presente, gettando un ponte con il passato e, in particolare, scoprendo sempre i misteriosi legami fra la storia e le epoche che si susseguono, e questo perché le fedi di sanità sono state la risposta alle epoche delle pestilenze. Addirittura, noi sappiamo che in Italia venne creato, nel 1364, il primo costume medico, che aveva addirittura un bastone che distanziava, per alzare le vesti del malato, di novanta centimetri o un metro dal paziente il medico, e si usava una maschera, fatta a forma di becco, che addirittura aveva delle erbe che filtravano e disinfettavano, per così dire, l'aria che arrivava al medico che accudiva il malato. Ebbene, queste modalità poi non sono così diverse da quelle che i tempi ci consegnano oggi. Questo cosa vuol dire? Che l'Italia, come Stato membro, potrebbe avere una predilezione anche per le tematiche giuridiche che affronta e per le soluzioni che ha dato sia in tema di privacy, per la quale è molto avanzata, sia in tema di mobilità, di problematiche giuridiche da opporre alla mobilità. Quindi, la questione dell'introduzione del passaporto vaccinale potrebbe essere una risposta importante che il nostro Stato potrebbe offrire all'Europa, soprattutto innestandosi nel dibattito che riguarda anche la scelta mondiale, perché noi sappiamo che non possiamo subire decisioni assunte altrove, sappiamo che i grandi colossi digitali stanno già adottando delle modalità di certificazione digitale e l'Italia rischierebbe di essere Stato membro ancora più arretrato a livello di soluzioni europee.

Per questo noi sappiamo che ci sarà il summit sulla salute a maggio e vorremmo essere presenti chiedendo anche al Governo di creare una mini-commissione o creare degli esperti e radunarli su queste tematiche. D'altra parte, la mozione che abbiamo presentato è molto dettagliata e rinvia a una serie di criteri, signor Presidente, che sono stati raccolti con un'indagine, molto approfondita, di tutti i Paesi europei. A questo riguardo, abbiamo anche fatto un confronto della nostra mozione e delle proposte che pone rispetto alle scelte anglosassoni. Queste scelte del mondo anglosassone tengono conto di alcune soluzioni, con una griglia di valutazione e di soluzione dei dati da poter fornire in questo pass, e sono stati vagliati, diciamo, sia i dati della scelta inglese rispetto a quella di una scelta più europea, che, quindi, deve trovare sempre una composizione con un sistema giuridico diverso.

Le attitudini ad una risposta di passaporto vaccinale internazionale, che noi abbiamo proposto in dieci categorie, dovrebbero avere una serie di caratteristiche: soddisfare i parametri di riferimento per l'immunità; rispettare le differenze fra i vaccini nella loro efficacia e i cambiamenti nell'efficacia del vaccino contro le varianti emergenti; essere conformi agli standard internazionali (questo è molto più semplice di quello che sembra, perché ovviamente i rapporti per le soluzioni tecniche date dalla ricerca si sono molto avvicinati); avere credenziali verificabili (su questa tematica, ovviamente, ci sarà poi la risposta, digitale o meno, più dettagliata); avere usi definiti (essere utilizzato questo documento ad uno scopo); essere basato su una piattaforma di tecnologie interoperabili (l'interconnessione è fondamentale, soprattutto per gli scali aerei); essere sicuri dei dati personali (questo soprattutto per il discorso delle frodi e delle truffe che ci sono); essere portatile (ovviamente, perché deve accompagnare il viaggiatore) e accessibile a individui e Governi (quindi per i controlli necessari); rispettare gli standard legali (in questo abbiamo fatto un piccolo cenno ad alcune normative di riferimento, che peraltro sono molto chiare alla Commissione europea, che le ha condivise e declinate); rispettare gli standard etici (su questo si innesta tutta la tematica di coloro che non sono vaccinati e delle categorie meno abbienti); avere condizioni di utilizzo comprese e accettate dai titolari del passaporto.

Queste dieci categorie farebbero sì che, rispettando questi dati, si possa usare un passaporto vaccinale, che alla fine troverebbe delle soluzioni proprio alla luce di quello che era l'impiego a suo tempo svolto in risposta alle famose quarantene e alle epidemie pestilenziali conseguenti. Ci sono dei documenti storici, che noi abbiamo in tutte le nostre biblioteche delle nostre città; ci sono a livello italiano in tutte le principali città, ma ci sono a livello europeo nei principali centri e nelle capitali dei Paesi. Ebbene, la storia in questo momento potrebbe essere molto utile e la cultura italiana in particolare, soprattutto se si pensa ai controlli che venivano fatti per i trasporti, dal 1300 ad oggi, e dell'uso temporaneo che questi documenti avevano.

Anche l'utilizzo di periodo è un suggerimento che ci permettiamo di fare al Governo, sottolineando la necessità di un suo impegno al riguardo, perché in realtà questi certificati, queste fedi di sanità, questi passaporti, devono avere un utilizzo a tempo, proprio perché non siano fatti con altra finalità e studi, che invece riguardano la creazione di un passaporto ad hoc, che è un tema, invece, sul quale l'Europa si sta interrogando ma che vede una grande divisione dei singoli Stati membri, perché le culture giuridiche e le tematiche che si devono affrontare sono molto complesse. Se non si trova una soluzione pragmatica, molto semplice, anche basica, se vogliamo, con queste minime caratteristiche, si perde una grande occasione.

Quindi, tra l'altro, sotto l'egida di questo Presidente, che ha l'esperienza più giusta per appoggiare la richiesta nelle sedi istituzionali, chiediamo al Governo di impegnarsi ad uno studio rapido su questo e vogliamo sottolineare la tradizione e la preparazione del nostro gruppo, sia per la tematica giuridica e internazionale, con la presenza europea dei nostri massimi vertici, sia per l'esperienza sul campo.

PRESIDENTE. Grazie onorevole Rossello, ringrazio anche lei per le espressioni augurali.

È iscritta a parlare la deputata Augusta Montaruli. Ne ha facoltà.

AUGUSTA MONTARULI (FDI). Grazie, Presidente. Oggi siamo qui in discussione generale rispetto a due mozioni, entrambe presentate da forze di questa maggioranza. La mozione, si sa, è un atto di indirizzo, un atto di indirizzo politico e, per carità, ben venga in quest'Aula, che è un'Aula parlamentare di confronto tra le varie forze.

Ma, certo, è strano che, ad un anno - un anno! - dall'inizio della pandemia, ancora noi si stia parlando di atti di indirizzo e non si sia passati, in realtà, ai fatti. Abbiamo visto, per la verità, degli annunci, un cambio, rispetto al commissario Arcuri, con un nuovo soggetto sicuramente più qualificato; ma abbiamo assistito, appunto, a degli annunci e, ancora, non abbiamo invece potuto constatare una concretizzazione di quegli annunci. Al tempo stesso, però, l'unica azione che abbiamo visto, paradossalmente, è quella che coinvolge un esponente di questa maggioranza - parlo del senatore Morra -, che dovrà essere poi verificata e ovviamente chiarita, spero, anche da esponenti di questo Governo.

Ciò detto, parlare di queste due mozioni diventa allorquando particolare, perché è un dato di fatto che esiste un modo per affrontare la crisi del piano vaccinale. Pochi mesi fa era stato presentato in quest'Aula un piano vaccinale strategico, che vedeva come maggiore fonte di utilizzo di dosi quelle del vaccino AstraZeneca e, in via subordinata, altri tipi di vaccino. Un piano strategico che viene ricordato per le “primule”; un piano strategico che, allorquando attuato, ha visto ammassamenti di anziani all'interno degli ospedali, in attesa di prendere il proprio numero e passare il proprio turno per fare questo benedetto vaccino; un piano strategico che ha visto poi, in realtà, dei ritardi enormi proprio sull'approvvigionamento delle dosi e, quindi, poi successivamente una carenza; un piano strategico che ha visto, da ultimo, il blocco di un lotto di un vaccino e un'assenza totale di chiarimenti immediati, che potessero tranquillizzare anche la popolazione italiana. Avevamo chiesto che il Ministro Speranza si presentasse in quest'Aula e ciò non è avvenuto.

Ora, questi sono i problemi che noi dobbiamo affrontare in questo momento e serve una risposta immediata. Serve una risposta immediata per dare fiducia agli italiani nel piano vaccinale, una fiducia che non può essere conquistata a suon di obblighi ma che può essere raggiunta, invece, attraverso un'opera di persuasione, chiarezza e trasparenza, che è necessaria oltre che doverosa, da parte delle istituzioni verso chiunque; un'opera che pertanto non può sicuramente passare da pass, che potrebbero risultare ad un certo punto discriminatori nei confronti di chi magari il vaccino non lo può fare.

Noi riteniamo che invece, per raggiungere un piano vaccinale concretamente attuabile, sia necessario procedere il più possibile a garantire agli italiani la libertà, anche nella libertà di scelta del tipo di vaccino da utilizzare, e fare quest'opera di trasparenza totale rispetto ai vaccini disponibili e al loro utilizzo.

Al tempo stesso, leggendo la mozione del MoVimento 5 Stelle, vien da dire: dove eravate fino ad oggi?

Infatti, è evidente come ci sia una testa, un problema d'origine, che ha comportato le lacune che ho fin qui descritto e, cioè, il totale fallimento della Unione europea nella trattativa con le case farmaceutiche. Un doppio fallimento; in primis perché non ci sono state, e l'Italia non ha preteso in nessun modo che vi fossero, delle cause così stringenti nei contratti da obbligare le case farmaceutiche e i produttori di vaccini alle loro responsabilità, non solo nei confronti dell'Unione europea in quanto organo, ma nei confronti della popolazione di tutti gli Stati membri, Italia compresa; e, in secondo luogo, perché la trattativa, proprio nel merito, ha evidentemente portato ad una situazione di carenza e di quantificazione di dosi non sufficiente, peraltro assistendo, invece, a fughe in avanti, che sono partite ancor prima dell'evidenza di tale problema, da parte della Germania, facendo una scorrettezza nei confronti degli altri Paesi europei, Italia compresa.

Spiace che non ci sia la collega Ianaro, che ha illustrato la mozione, ma volevo ricordarle che l'Italia già ora, già con le leggi attuali, senza aspettare ulteriori provvedimenti, e peraltro forse anche senza aspettare questa mozione, e sicuramente senza aspettare l'Unione europea, può – può - chiedere un proprio approvvigionamento di vaccini, e quindi discostarsi dalla contrattazione europea per un periodo limitato, a fronte dell'emergenza attuale e della carenza conclamata delle dosi. Già può farlo. Perché questo Governo, che è il vostro Governo, ancora non lo ha fatto? L'Italia può già farlo, la legge già lo consente: perché non lo avete ancora fatto? Perché? Di cosa stiamo parlando?

Voi, giustamente, membri della maggioranza, colleghi della maggioranza, denunciate un problema che c'è, l'assenza di dosi, e poi però puntate il dito verso l'Unione europea, quando l'Italia, e quindi il vostro Governo di riferimento, potrebbe già approvvigionarsi al di fuori della trattativa europea, andando così a superare gli obblighi transnazionali, i controlli transnazionali e sicuramente snellendo il processo burocratico, che porta a dei rallentamenti che sono deleteri, perché noi abbiamo intere categorie che sono vittime non tanto del COVID, ma delle restrizioni che voi avete posto in nome del COVID. E quelle categorie che ancora adesso, dopo un anno di chiusura, sono costrette a chiudere e non lavorare, e, anzi, vivono con la perenne ansia di un nuovo lockdown totale e della prospettiva di non sapere quando riapriranno - perché non lo sanno, perché non è vero che con il DPCM del 6 marzo si sa quando si riapre, perché non è così, -, quelle categorie, che aspettano ormai da troppo tempo di essere salvate intanto nel loro diritto di poter ricominciare a lavorare, sono vittime di questa attesa, di cui voi siete la causa.

E allora noi chiediamo che il piano vaccinale abbia un'efficacia concreta, che passa, l'ho già detto, da un'operazione trasparenza, per garantire ai cittadini la libertà di scelta anche del tipo di vaccino a cui ricorrere, ma passa anche da altro. Intanto, dal non fare i vaccini all'interno degli ospedali: abbiamo passato un anno a dire agli italiani di andare in ospedale il meno possibile, perché è il luogo dove si può contrarre il COVID, e invece assistiamo davanti agli ospedali all'ammassamento di anziani, purtroppo, in attesa della propria dose. Non ci arrivate che magari, senza passare dalle “primule”, si possono utilizzare i tanti stabili vuoti e in poco tempo riadibirli per garantire la vaccinazione? Avete parlato di sorte di drive-in riabilitati al vaccino: va bene, fatelo però, fatelo.

Dobbiamo ricorrere ad una digitalizzazione direi spinta. Questo ancora non è avvenuto, nonostante molto si sia detto sulla digitalizzazione come grande novità di questo Governo; siamo ancora in attesa di sapere come potete snellire le procedure. E poi, soprattutto, allargare, allargare la platea di persone che possono vaccinare, permettendo ad altre categorie, oltre a quella attuale, penso ai farmacisti, di vaccinare. In realtà, grazie a un emendamento di Fratelli d'Italia, sulla carta, per esempio, le farmacie, quindi un'ulteriore categoria, sarebbe già autorizzata alla vaccinazione; peccato che non avete dato attuazione a questa norma, e di conseguenza sono ancora in attesa. E questa attesa si tramuta, ancora una volta, in ritardi che non ci possiamo permettere. E perché non ce li possiamo permettere? È solo una questione economica? No, non solo: è innanzitutto una questione sociale, ma è anche una questione strategica. Non possiamo accumulare ritardi, perché andrebbero a sovrapporsi ad ulteriori ritardi. È evidente, ce lo dice la comunità scientifica, tanto da voi amata, che il vaccino ha una protezione limitata nel tempo e che, di conseguenza, la vaccinazione dovrà essere ripetuta pressoché annualmente. Dico una banalità, in realtà, però non ci possiamo permettere ritardi rispetto a un qualcosa che dovrebbe ottenere un'immunità già in tempi brevi, perché altrimenti ulteriori fasi vaccinali dovrebbero subentrare senza ottenere risultati rispetto a quella precedente.

Insomma, le due mozioni non vedono la nostra soddisfazione, non vedono la soddisfazione di Fratelli d'Italia. Per carità, noi siamo l'unica forza all'opposizione, forse questo neanche stupisce, ma Fratelli d'Italia è anche un'opposizione responsabile, e di conseguenza ha delle proposte da fare a questo Governo e le formulerà in maniera puntuale, attraverso un atto preciso.

Ci auguriamo, pertanto, che, nell'ottica di quel paventato richiamo ad unire le nostre energie, queste proposte vengano ascoltate e soprattutto vengano attualizzate e concretizzate in tempi brevi, perché l'Italia non vi può più aspettare (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole De Angelis. Ne ha facoltà.

SARA DE ANGELIS (LEGA). Grazie, Presidente. Di certo sulla questione vaccini nell'ultimo mese si è visto un cambio di passo; è chiaro che nessuno ha la bacchetta magica e non si può, da un giorno all'altro, far fronte alle evidenti mancanze della gestione precedente. L'accelerazione e il potenziamento della campagna di vaccinazione rappresentano obiettivi fondamentali, che devono essere perseguiti con determinazione per favorire l'auspicato ritorno alla normalità e superare la pandemia che ormai da oltre un anno ci affligge, con conseguenze pesantissime sul piano sanitario, economico e sociale. Ad oggi, la strategia dell'Unione europea sul fronte vaccini non può assolutamente ritenersi soddisfacente, collocandosi ampiamente al di sotto delle attese: tagli alle forniture, mancate consegne, lunghi processi decisionali.

Sono alcune delle criticità che, negli scorsi mesi, hanno rallentato il piano di immunizzazione, alimentando ritardi che impattano gravemente sulla salute dei cittadini e sulla ripartenza economica.

In questa delicata fase, il ritmo delle immunizzazioni è frenato principalmente dalle scarse quantità di dosi disponibili che limitano il margine di manovra delle regioni, che, vaccini alla mano, sarebbero in grado di incrementare notevolmente il numero delle somministrazioni, avendo preparato appositi hub. Lo scenario e le complicazioni registrate in questi primi mesi della campagna vaccinale rendono evidente la necessità di un approccio più risoluto e pragmatico da parte dell'Unione europea, soprattutto dal punto di vista del rispetto degli accordi presi con le aziende farmaceutiche e delle limitazioni all'export dei vaccini, in linea con le richieste avanzate dal Presidente del Consiglio dei Ministri in occasione del vertice straordinario del Consiglio europeo.

Accanto a queste azioni di breve periodo, peraltro, occorre programmare attività politiche di più ampio respiro, che sappiano valorizzare eccellenze, competenze e poli industriali del nostro Paese, in modo che questo possa contare su un motore produttivo proprio di farmaci e vaccini e raggiungere un livello di indipendenza in questo ambito.

Com'è noto, l'Italia è uno dei Paesi leader in Europa nel settore della produzione conto terzi in ambito farmaceutico, generata da aziende affermate a livello mondiale nella produzione di prodotti dall'elevato valore tecnologico.

E' necessario sostenere e creare le condizioni affinché questa eccellenza produttiva sia valorizzata e messa al servizio del nostro Paese con riflessi positivi sia da un punto di vista sanitario, nelle azioni di contenimento della pandemia, sia da un punto di vista dello sviluppo economico considerata l'elevata domanda mondiale di farmaci e vaccini, che chiaramente dovrà essere soddisfatta nel prossimo futuro. In questa prospettiva, può rappresentare un innesco per la ricrescita del nostro Paese e dare anche l'impulso allo sviluppo di aree tecnologicamente strategiche per le nuove generazioni.

L'esigenza di procedere in questa direzione è stata immediatamente colta dal neo Ministro dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, che, a pochi giorni dal suo insediamento, ha subito programmato la strategia da seguire istituendo un tavolo finalizzato alla produzione del vaccino anti COVID in Italia e alla creazione di un polo nazionale di alta specializzazione pubblico-privato per realizzare, nel medio-lungo periodo, un contributo italiano in questo ambito.

Nel corso dell'ultima riunione del tavolo, svoltasi in data 11 marzo, il Ministro ha ribadito la forte determinazione del Governo, verificando la disponibilità a produrre il principio attivo e gli altri componenti del vaccino da parte di alcune aziende che già dispongono o comunque potranno disporre, in un arco temporale ristretto, dei necessari bioreattori e fermentatori. La fase di produzione potrebbe partire a conclusione dell'iter autorizzativo da parte delle autorità competenti, in un tempo stimato tra i 4 e i 6 mesi.

Con riferimento, poi, alla successiva fase dell'infialamento e della finitura dei vaccini, è stata appurata la disponibilità di molte aziende italiane anche immediatamente, in quanto già in possesso degli stabilimenti, delle competenze e delle dotazioni necessarie.

L'iniziativa del Ministro dello Sviluppo economico ha ricevuto l'appoggio del commissario europeo Breton, alla guida della task force per aumentare la capacità produttiva di vaccini nell'ambito dell'Unione europea, il quale ha sottolineato il ruolo centrale dell'Italia in questo ambito anche in occasione della conferenza tenuta con lo stesso Ministro in data 4 marzo.

L'avvio del progetto in esame rappresenta indubbiamente un cambio di passo rispetto al passato, che, si auspica, potrà consentire di rimediare ai ritardi fin qui accumulati e rivelarsi strategico, non solo nell'attuale fase emergenziale ma anche per le future esigenze, tanto in campo vaccinale quanto della ricerca e dello sviluppo.

Da valutare con favore anche l'annunciato stanziamento di specifiche risorse destinate ad accompagnare l'iniziativa in oggetto, che potranno favorire i necessari processi di potenziamento e riconversione degli stabilimenti produttivi.

A fronte di questo, si chiede al Governo di adottare ogni iniziativa utile al fine di sostenere la produzione di vaccini anti COVID in Italia, anche attraverso la creazione di un polo nazionale pubblico-privato di alta specializzazione; adottare iniziative per affermare e consolidare il ruolo dell'Italia nell'ambito della strategia di rafforzamento della produzione industriale di vaccini avviata a livello europeo; conferire al progetto avviato dal Ministro dello Sviluppo economico una visione prospettica di medio e lungo termine, al fine di garantire all'Italia un apparato produttivo in grado di rispondere efficacemente anche a ulteriori esigenze che potrebbero presentarsi in futuro, tanto in campo vaccinale quanto negli ambiti della ricerca e dello sviluppo farmaceutico; proseguire l'attività di individuazione di stabilimenti e aziende in grado di produrre, in un ristretto arco temporale, vaccini; adottare iniziative per assicurare la rapida erogazione delle risorse allo scopo di potenziare la ricerca e favorire la riconversione industriale del settore biofarmaceutico; attivarsi affinché le competenti sedi europee promuovano il trasferimento tecnologico da parte delle aziende titolari dei vaccini per consentire l'avvio della produzione italiana.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Rizzo Nervo. Ne ha facoltà.

LUCA RIZZO NERVO (PD). Grazie Presidente e, anche da parte mia e da parte nostra, i migliori auguri di buon lavoro. Io ringrazio la collega Ianaro e le altre colleghe che hanno presentato queste mozioni parlamentari perché ci consentono, in maniera opportuna, di affrontare una discussione importante. E' una questione che attraversa varie questioni decisive sia in ambito sanitario - come l'accesso globale ai farmaci salvavita e l'interdipendenza globale ai farmaci, sanitaria, che esclude forme di egoismi nazionali che non pagano in questo campo -, sia in ambito produttivo e strategico per il nostro Paese, intorno alla capacità, che dobbiamo ulteriormente rafforzare, di essere in prima fila nella ricerca applicata e nella produzione dei farmaci.

E' una discussione, una questione, che riguarda sia la contingenza, sia la prospettiva. La contingenza perché - è stato già detto ed è evidente - noi siamo di fronte alla necessità di una accelerazione consistente della campagna vaccinale, da cui dipende la capacità di una più rapida ripresa per il nostro Paese.

E, dall'altro lato, vi è la prospettiva, ossia una necessità - è stato anche qui già detto - che non si esaurirà con la prima campagna vaccinale, ma che si protrarrà anche nel prossimo futuro, perché il COVID chiederà richiami, chiederà una capacità di corrispondere, anche nel futuro, alla domanda di vaccinazione. Mi riferivo prima alla capacità di costruire una autosufficienza in ambito europeo, a cui tutti i Paesi dovranno contribuire ma a cui l'Italia, con la sua grande industria farmaceutica, può e deve contribuire. L'andamento della curva epidemiologica, Presidente, relativa alla trasmissione del COVID, ha mostrato la sua stretta correlazione con l'economia. Le prospettive attuali rimangono strettamente dipendenti sia dall'evoluzione della pandemia, sia dalle misure adottate per contrastare i contagi. La diffusione e la somministrazione di vaccini anti COVID può influenzare in modo determinante la ripresa di una nuova normalità e, secondo il Fondo monetario internazionale – il Fondo monetario internazionale - può influire, di conseguenza, positivamente sull'andamento economico. Finanche, appunto, il Fondo monetario internazionale ci dice che è necessario agire rapidamente per un ampio accesso ai vaccini e ai medicinali contro il COVID, per correggere le profonde diseguaglianze che esistono in questo momento. Lo ha detto il Capo economista del Fondo monetario internazionale, Gita Gopinath, sottolineando che la pandemia non è finita fino a quando non è finita ovunque. Attualmente - lo possiamo dire, credo, senza tema di smentita - aziende farmaceutiche con sede negli Stati Uniti, in Gran Bretagna, e che sono tra i maggiori produttori dei vaccini anti COVID, sono più orientati a privilegiare il mercato interno e, di conseguenza, a ridurre la fornitura degli altri mercati. Ed è evidente come gli altri mercati, fra cui quello europeo, sono stati riforniti in modo oggettivamente esiguo rispetto alle esigenze ma, cosa ancor più grave, rispetto ai contratti sottoscritti. Io credo che - ma non è questo il tempo - andranno indagati i perché, andrà indagato cos'è successo; andrà indagata la capacità contrattazione in sede europea e andrà indagato il dubbio che il vantaggio competitivo di un committente come l'Europa, che ha acquistato più di un miliardo di dosi dei diversi vaccini, sia stata forse giocata più sul piano dell'abbassamento del prezzo e non tanto e soprattutto sulla puntualità e sulla priorità della fornitura vaccinale. Questo, se così fosse, sarebbe un errore strategico, anche diseconomico, in quanto ricordo che i costi dell'assistenza per contrastare gli effetti del COVID sono enormemente maggiori del risparmio che si sia potuto produrre. Aggiungo, Presidente, che dai dati che abbiamo sulla fornitura dei vaccini su scala globale, emerge che vi è l'elevato rischio che milioni di persone non abbiano la possibilità di essere sottoposte a vaccinazione, che continuino a rappresentare, dunque, un veicolo di trasmissione del virus SARS-CoV-2, non solo per il proprio paese di appartenenza, ma anche per tutti gli altri paesi mondiali. L'emergenza pandemica in corso è tale per cui l'accesso alla vaccinazione del maggior numero possibile di persone non risponde solo ai principi etici di universalità, equità e di uguaglianza, ma anche ad una precisa strategia di prevenzione. In questo quadro, il tema dei brevetti sui vaccini è un tema fondamentale e bisogna affrontarlo sia - è stato detto - con equilibrio, tutelando il giusto diritto alla proprietà intellettuale, al volano che rappresentano per la ricerca e l'innovazione (noi, in ambito farmaceutico, parliamo di una ricerca sostanzialmente molto privata), ma anche determinando, tuttavia, dei limiti nell'accesso alle cure. Quindi, questo è un problema da affrontare, lo dicevano prima i colleghi che mi hanno preceduto, anche e soprattutto a fronte di ingenti investimenti pubblici che hanno accompagnato la ricerca e la produzione dei vaccini dentro questa pandemia.

È stato ricordato - lo ricordo anch'io - come vi siano degli strumenti già in essere che riguardano il commercio internazionale. L'articolo 31 del Trade Related aspects of Intellectual Property rights (TRIPs) prevede il diritto, per gli Stati membri dell'Organizzazione mondiale della sanità di disporre per legge, in condizioni di emergenza, l'uso del brevetto senza autorizzazione del titolare, pagando una congrua royalty all'azienda farmaceutica. L'attivazione di tale procedura permetterebbe di produrre un maggior numero di vaccini e anche di esportarli in Paesi che non hanno le strutture per fabbricarli in proprio. Le condizioni di emergenza in questa pandemia evidentemente ci sono e l'obbligatorietà della licenza sarebbe circoscritta necessariamente alla durata della pandemia stessa. Non si tratta di imporre antistoriche azioni anticapitalistiche o di produrre espropri rispetto ad uno straordinario lavoro - ribadisco - di ricerca e di innovazione che l'industria farmaceutica fa, piuttosto, la possibilità di rafforzare la capacità negoziale dei paesi dell'Europa, nel nostro caso, rispetto a imprese e aziende che non venissero incontro alle esigenze di salute globale di una Nazione, di un continente, obbligandole a cedere la licenza di produzione del farmaco in cambio, ripeto, di una compensazione economica; ciò, a maggior ragione, lo ribadisco, per un profitto realizzato attualmente anche a fronte di ingenti finanziamenti pubblici.

Oltre a questo, è stata sollevata, nel corso di un lungo dibattito su questi temi che ovviamente la emergenza pandemica ha suscitato, vi sono state altre strade potenzialmente percorribili, come quelle invocate dall'India e dal Sudafrica, poi sostenute da oltre cento Paesi, che hanno chiesto, lo scorso ottobre, all'Organizzazione mondiale del commercio una moratoria sui brevetti legati ai farmaci e vaccini SARS-CoV-2, in virtù della grave emergenza pandemica, una richiesta che non ha trovato, a oggi, ancora un accoglimento ma per la quale continua una discussione in seno al consiglio del WTO.

Oltre a questo, vi è un'ulteriore strada percorribile, che è quella di spingere le aziende a consorziarsi con altre aziende che hanno strutture adeguate e le necessarie specializzazioni per implementare la produzione dei vaccini anti COVID-19, per fronteggiare in tal modo la difficoltà di produrre i quantitativi richiesti. La collaborazione produttiva è una possibilità concreta, sin da oggi, da favorire e che, ripeto, incontra una grande capacità delle nostre industrie farmaceutiche. Su questo tema - è stato già ricordato e lo ribadisco - si sono mossi anche i cittadini dell'Unione europea, che hanno - lo ricordo - il diritto di rivolgersi direttamente alla Commissione, con un'iniziativa per proporre a un atto legislativo concreto; è nata una petizione - Nessun profitto sulla pandemia - che chiede all'Europa di appoggiare la moratoria sui brevetti e di introdurre norme che garantiscono il controllo pubblico dei vaccini, nonché terapie sviluppate con soldi pubblici e invita gli Stati dell'Unione a utilizzare le licenze obbligatorie previste dall'articolo 31 del TRIPs che richiamavo prima. Rispetto a questo, rispetto alla strategia europea, ricordo anche che il 1° dicembre 2020 è cominciato ufficialmente l'anno di Presidenza italiana del G20. Nel corso dell'anno si terranno numerosi incontri ministeriali ed eventi speciali. L'Italia, come detentrice della Presidenza del G20, ha la possibilità di farsi portavoce di un progetto che permetta, in deroga alle ferree regole della proprietà intellettuale, di ampliare e aumentare la partnership fra Stati, al fine di aumentare la produzione di vaccini COVID-19, e garantire che gli stessi possano essere somministrati a tutti i cittadini del mondo, indipendentemente dal livello di reddito del proprio Paese di appartenenza, nel rispetto delle norme vigenti e dei trattati, delle autorità sanitarie competenti. L'Italia, anche dentro questo ruolo, deve appoggiare e rafforzare la strategia europea per la ricerca e la produzione dei farmaci. La Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha affermato pubblicamente la volontà di dare all'Europa un ruolo più importante nel campo della salute, con l'intenzione di creare una nuova Agenzia per la ricerca biomedica in fase avanzata, sul modello di un'Agenzia statunitense analoga.

Un'organizzazione di ricerca e sviluppo su nuovi farmaci, dispositivi e tecnologie innovative in campo biomedico che raccolga i migliori ricercatori e coordini il lavoro dei più avanzati laboratori d'Europa. La creazione di tale ente consentirebbe di catalizzare risorse pubbliche e private e di promuovere, attraverso finanziamenti adeguati, la realizzazione di ricerche, di soluzioni diagnostiche e terapeutiche, con l'obiettivo di arrivare preparati alla gestione di emergenze epidemiche e pandemiche come quella che stiamo vivendo. E la ricerca, anche la ricerca pubblica, Presidente, è un tema che credo abbia molto a che fare con la discussione di oggi. Noi, negli anni, abbiamo fatto dei passi avanti necessari, quello del riconoscimento dei ricercatori in ambito clinico che, per moltissimi anni, sono rimasti fantasmi nel nostro sistema della ricerca e dell'organizzazione del Sistema sanitario nazionale. Dobbiamo ancora di più, fuori dalla retorica, sostenere la ricerca, sostenere la ricerca transnazionale, far sì che le eccellenze italiane sulla ricerca possano contribuire a questa strategia europea che richiamavo fino a un attimo fa.

E, quindi - e concludo, Presidente -, abbiamo davvero la necessità di proseguire la richiesta, che è stata avanzata anche dai colleghi che mi hanno preceduto, di scrivere il regime di licenze obbligatorie all'interno di un'azione più ampia dell'Unione europea per affrontare la questione dell'accesso ai medicinali con un approccio comune e una strategia globale nella lotta al COVID-19. Credo che l'Italia possa accompagnare con equilibrio e con la forza, ripeto, della propria testimonianza, la testimonianza della sua ricerca, la testimonianza della sua industria farmaceutica, questo processo di modernizzazione e di integrazione. È un ulteriore passaggio del nostro processo di integrazione europea, che credo, più che mai, dopo una vicenda tragica come quella che abbiamo vissuto, debba riguardare anche e molto la salute di tutti i cittadini europei.

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Rizzo Nervo, la ringrazio per le sue cortesi parole.

Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.

Il Governo intende intervenire o si riserva di farlo successivamente? Bene, grazie.

Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.

Discussione della mozione Polidori ed altri n. 1-00433 concernente iniziative a sostegno e tutela delle donne.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Polidori ed altri n. 1-00433 concernente iniziative a sostegno e tutela delle donne (Vedi l'allegato A).

La nuova organizzazione dei tempi è pubblicata nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta del 19 marzo 2021 (Vedi l'allegato A della seduta del 19 marzo 2021).

Avverto che è stata presentata la mozione Elisa Tripodi ed altri n. 1-00434, che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verrà svolta congiuntamente (Vedi l'allegato A). Il relativo testo è in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.

È iscritta a parlare l'onorevole Giannone che illustrerà anche la mozione n. 1-00433, di cui è cofirmataria. Ne ha facoltà.

VERONICA GIANNONE (FI). Grazie, Presidente. Ci troviamo oggi a discutere un'importante mozione concernente iniziative a sostegno e tutela delle donne, un tema che, a quasi un anno dalla comparsa della pandemia legata al COVID-19, ha evidenziato che le differenze di genere hanno avuto un impatto, purtroppo, negativo per le donne, sia in ambito sociale, che economico, che sanitario. Mi soffermerò principalmente sulle questioni legate alla violenza di genere, alle gravi situazioni e vicende riportate dai media nell'ultimo anno e non solo, alla mancanza di sostegno e di ascolto in ambito giuridico, mentre le mie colleghe che discuteranno la mozione dopo di me esporranno tutte le altre questioni riportate all'interno di questa importante mozione.

Solo pochi giorni fa abbiamo appreso con enorme rammarico e preoccupazione che la Turchia ha abbandonato la Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne. Ci siamo tutti scandalizzati e abbiamo espresso il nostro sostegno a tutte quelle donne che sono scese in piazza per manifestare contro questa decisione che riporta la Turchia indietro di dieci anni. Ci indigniamo per quello che succede fuori dal nostro Paese senza, però, riflettere sul nostro, Presidente, perché è vero che da noi, in Italia, esistono leggi, sulla carta, che tutelano le donne vittime di violenza, ma, nei fatti, ignoriamo o facciamo finta di non vedere in quali condizioni di costante violenza vivono migliaia e migliaia di donne in questo Paese. Quante volte ci siamo ritrovati in quest'Aula per presentare mozioni, ordini del giorno per provare a modificare leggi desuete e dannose: con quali risultati? Piccolissimi direi, se non nulli. Solo un paio di mesi fa, il Consiglio d'Europa ha ripreso l'Italia, perché preoccupata per l'alto numero di procedure per violenza domestica archiviate.

Troppo spesso, le indagini preliminari su questo tipo di reati si chiudono con un'archiviazione o con procedimenti che non vengono neanche attivati, perché le donne che denunciano non vengono credute, almeno fino al momento in cui il maltrattante non compie il gesto estremo. Cerchiamo di fermarci a riflettere sul fatto che un buon 90 per cento delle donne vittime di femminicidio aveva già denunciato il proprio partner.

Strasburgo chiede anche che il nostro Paese, entro il 31 marzo 2021, fornisca al Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa informazioni sulle misure adottate o previste per garantire un'adeguata ed efficace valutazione e gestione del rischio. In particolare, chiede all'Italia di creare rapidamente un sistema completo di raccolta dati sugli ordini di protezione e fornire i dati statistici sul numero di denunce ricevute, i tempi medi di risposta delle autorità, il numero di ordini di protezione attuati. Questo per garantire che le autorità competenti gestiscano adeguatamente i rischi legati al ripetersi e aggravarsi degli atti di violenza domestica e, quindi, dei bisogni di protezione delle vittime. Per il Comitato dei Ministri, il sistema italiano ostacola ancora l'accesso alla giustizia delle donne sopravvissute alla violenza domestica, come dimostra l'alto numero di archiviazioni processuali delle denunce. Il Governo italiano è in grado di dare le risposte che le donne tutte attendono tra poco più di una settimana? Io spero di sì, ma penso che sarà difficile.

Cosa è stato fatto in questi anni per cercare di venire incontro a ciò che ci ha chiesto l'Europa? Abbiamo approvato la legge n. 69 del 2019, conosciuta come “Codice rosso”. Questa legge avrebbe dovuto tutelare maggiormente le vittime di violenza, ma, stando ai dati, purtroppo, poco è cambiato. Gli ultimi dati Istat, infatti, rilevano come il 31,5 per cento delle donne dai 16 ai 70 anni ha subito, nel corso della propria vita, una qualche forma di violenza fisica o sessuale: il 20,2 per cento ha subito violenza fisica, il 21 per cento violenza sessuale e il 5,4 per cento le forme più gravi della violenza sessuale, come stupro e tentato stupro. E ciò che è emerso nel periodo del lockdown rende ancora di più l'idea di quella che è l'ininfluenza, forse, di queste procedure. Parliamo delle telefonate al “1522”: le richieste di aiuto durante il periodo del lockdown sono passate da 6.956 a 15.280 rispetto allo stesso trimestre del 2019, un aumento del 119,6 per cento. Possiamo dire, quindi, che è uno strumento utile, ma di difficile gestione e poco risolutivo, perché rischia di non riuscire a far emergere ed estrapolare i casi più gravi, anche perché tutti quanti i casi, per legge, devono essere trattati con urgenza. Quindi accade che, spesso, gli operatori, che sono tenuti a raccogliere le tantissime denunce, confondano la violenza con banali litigi tra coniugi; addirittura si legge, in alcuni casi, che gli operatori cercano di sminuire, di convincere le donne, che con gran fatica tirano fuori il coraggio di denunciare, a ripensarci. Ma la legge n. 69 del 2019 ha fatto anche quello che, a mio parere, può definirsi un danno: aggiunge un ulteriore comma all'articolo 165 del codice penale in materia di sospensione condizionale della pena, prevedendo che, con riguardo ai reati di violenza domestica e di genere, la sospensione condizionale della pena è subordinata alla partecipazione a specifici percorsi di recupero presso enti e associazioni che si occupano di prevenzione, assistenza psicologica e recupero di soggetti condannati per i medesimi reati. È un po', a mio parere, come offrire una scappatoia a coloro che dovrebbero, invece, andare direttamente in carcere.

E, infatti, ci risulta che, da quando è in vigore la legge del “Codice rosso”, sono aumentate le richieste da parte dei legali difensori degli autori dei predetti reati per accedere al Centro per uomini maltrattanti, detto CAM, e questo non credo che accada molto per morale o senso di colpa da parte degli uomini, visti i dati che abbiamo prima elencato, ma perché, probabilmente, il “Codice rosso” ha permesso a coloro che hanno un procedimento penale, una sentenza, un processo in corso, di ottenere agevolazioni, come sconti della pena, sospensione della condizionale - quindi, evitare il carcere -, se decidono di intraprendere un percorso di recupero. Invece di offrire benefici a coloro che si macchiano di tali reati, si potrebbero potenziare le misure di prevenzione dei reati di genere, magari rafforzando il sistema dei braccialetti elettronici. Insomma, chi commette tali reati deve sapere che ci sarà una pena certa, che non potrà farla franca tra percorsi psicologici e sconti di pena, altrimenti non avremo risolto nulla (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).

Un altro aspetto da considerarsi strettamente correlato alla violenza domestica e di genere è l'occupazione, il lavoro, l'indipendenza economica delle donne e, purtroppo, il lockdown e la pandemia hanno inferto un durissimo colpo all'occupazione femminile.

La conseguenza è stata un aumento spropositato dei casi di violenza domestica. Sappiamo, infatti, dagli ultimi dati Censis del 2019, che le donne che lavoravano erano poco meno di 10 milioni e rappresentavano il 42 per cento degli occupati complessivi. Invece, l'aggiornamento dei dati Istat della situazione occupazionale del nostro Paese durante il lockdown, purtroppo, ci ha dato un risultato ancora peggiore e, quindi, possiamo dire che i posti di lavoro persi all'interno di questa emergenza sanitaria sono per il 60 per cento femminili. Dunque, senza lavoro le donne restano anche chiuse in casa con i propri aguzzini ed è proprio questo il problema. Non avendo un lavoro che garantisca indipendenza e libertà, come possono fare queste donne a denunciare le violenze? Non è un dettaglio, è un punto sostanziale sul quale bisogna intervenire con strumenti concreti e facilmente ottenibili. Per questo ho pensato di prevedere un fondo per l'assistenza legale gratuita alle donne vittime di violenza e maltrattamenti, già approvato con un ordine del giorno alla legge di bilancio e supportato e sottoscritto da tutto il gruppo di Forza Italia; un fondo di non meno di 3 milioni di euro, che coprirebbe a trecentosessanta gradi le vittime di violenza, garantendo loro l'assistenza legale, non soltanto per la fase giudiziaria del processo penale, ma anche nella fase delle indagini preliminari e, soprattutto, in ambito civile, sia in fase di giudizio sia in fase di consulenza preliminare. I CTU, cioè i consulenti tecnici d'ufficio nominati dal giudice, per esempio, hanno costi spropositati, che non tengono conto della capacità economica della singola vittima e potrebbero essere, anche questi, coperti dal fondo. Anche le cause civili per il risarcimento del danno subito dalle vittime di violenza sarebbero coperte da questo fondo, visto che, nonostante l'esenzione dal requisito reddituale dispensata dalla Suprema Corte, ad oggi questa causa civile resta scoperta dal gratuito patrocinio. Coprirebbe anche tutti quei casi in cui il giudice decide di revocare il gratuito patrocinio in sentenza. L'assistenza legale gratuita verrebbe offerta da avvocati esperti e formati appositamente e costantemente in queste materie delicate, che non dovranno affrontare i tempi biblici dei pagamenti del gratuito patrocinio (in media tre anni). In Piemonte e nel Lazio questi strumenti sono stati attivati a livello regionale e i riscontri sono più che positivi.

Ultimo tema, e concludo: è da tenere in considerazione che molte donne che denunciano violenza in ambito familiare si ritrovano, poi, davanti a un giudice ad essere valutate per la loro capacità genitoriale, anziché concentrarsi a comprendere che cosa le abbia portate a denunciare l'ex partner. Così, passano da vittime a coloro dalle quali vengono addirittura allontanati i figli, semplicemente con un'accusa di un costrutto ascientifico, e non riconosciuto né dalla giurisprudenza né dalla sanità, come malattia. E questa è la alienazione parentale: un'altra violenza nei riguardi delle donne.

Insomma, per concludere, Presidente, i dati forniti ogni anno dall'Organizzazione mondiale della sanità ci dicono che la violenza di genere costituisce una questione strutturale, un fenomeno di dimensioni globali, un flagello che rappresenta la prima causa di morte delle donne, una malattia sociale, trasversale a tutte le latitudini geografiche, alle appartenenze etniche, ai ceti sociali, alle religioni ed alle età.

Questa mozione, Presidente, proposta dalla collega Polidori, è di grande importanza e ha la necessità di essere non solo approvata ma anche velocemente attuata in tutti i suoi impegni (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Valentina Barzotti, che illustrerà anche la mozione n. 1-00434, di cui è cofirmataria.

VALENTINA BARZOTTI (M5S). Grazie, Presidente. Colleghi, a meno di un mese dalla Giornata internazionale per i diritti della donna, ci troviamo qui a discutere queste mozioni. Queste mozioni sono estremamente importanti, perché tendono a impegnare il Governo sul fronte della cultura di genere, per dare concreto impulso al rilancio del nostro Paese. L'eguaglianza tra donne e uomini è una condizione di normalità in una società giusta e moderna: una percezione che è ovvia per molti ma che, purtroppo, si scontra con la realtà in cui viviamo, che è intrisa di disuguaglianze.

La mozione del MoVimento 5 Stelle si muove su quattro pilastri. Il primo pilastro parte dal motore dell'emancipazione femminile, che è il lavoro, autonomo e dipendente. Si propone, poi, un modello culturale nuovo, basato sulla sostenibilità, sull'innovazione, sull'etica e sull'eguaglianza, con le donne che sono protagoniste e principali interpreti di questo cambiamento.

La mozione, poi, si concentra sulle infrastrutture sociali e sui servizi di cura, necessari per supportare le famiglie nella loro quotidianità. Si punta, poi, a un'azione forte e a una battaglia efficace contro la violenza di genere, sulla scia del solco tracciato dal Codice rosso, sollecitando l'aggiornamento del quadro normativo in materia di mobbing e straining.

La mozione ha al centro l'uguaglianza sostanziale e le pari opportunità, perché le donne possano avere condizioni effettive non solo per accedere al lavoro ma per mantenerlo, nel corso di tutte le vicende della loro vita, nonché per poter competere nella carriera nel modo più paritario possibile nei confronti dei loro colleghi uomini. Così non è attualmente e lo dicono i numeri: nel 2020, 37 mila sono le donne che hanno dato le loro dimissioni nel primo anno di vita del figlio; secondo l'Istat, nel dicembre del 2020, dei 101 mila posti di lavoro persi, 99 mila sono delle donne. Io questo dato non smetterò mai di ripeterlo, perché grida la drammaticità della situazione.

Abbiamo poi tutta una serie di gap: un gap tra occupazione femminile e maschile di circa il 17 per cento, nel 2019 l'occupazione femminile si attestava al 42 per cento; un gap nel tasso di occupazione fra donne tra i 25 e i 49 anni, con figli in età prescolare, e donne senza figli; un gap occupazionale a livello territoriale, che vede l'occupazione femminile al sud pari al 44,8 per cento, rispetto al 67,9 per cento del nord; il gap è anche retributivo e un esempio su tutti è quello che interessa le partite IVA e le lavoratrici autonome, che guadagnano in media il 52 per cento in meno rispetto ai loro colleghi uomini. Occupazione femminile e superamento degli stereotipi di genere sono due facce della stessa medaglia. Come si spiega questo divario se non con una ragione di tipo socioculturale? Per raggiungere la parità di genere, le donne devono poter svolgere tanti ruoli diversi e accrescere la loro presenza nei settori della matematica, della tecnologia, dell'ingegneria, nelle lauree STEM e nei percorsi STEM, dove si registrano ancora forti divari di genere. Nel 2019, il 24,6 per cento dei laureati ha una laurea nelle discipline STEM, ma il 37,3 per cento sono uomini mentre il 16,2 per cento sono donne; le quote si invertono con le discipline umanistiche, dove invece il 30 per cento è donna e il 15,6 per cento è uomo. I campi STEM rappresentano i lavori del futuro e quelli con maggiore possibilità di carriera e di ritorno economico, per cui la carriera delle donne in questi percorsi deve essere incentivata e in questa direzione impegniamo il Governo con la nostra mozione.

Si deve, poi, intervenire sulla formazione e parallelamente attenzionare il mercato del lavoro: se 37 mila donne hanno lasciato il lavoro entro il primo anno di vita del figlio, bisogna chiedersi perché e, quindi, proporre soluzioni realistiche per sostenere l'occupazione. L'Ipsos ci dice che il 74 per cento delle donne ha sulle spalle la gestione della casa senza aiuti da parte del partner. Come si fa a sopportare la pressione dei ritmi sempre più incalzanti di lavoro, unita alla gestione di una casa e dei carichi di cura? La conciliazione tra vita lavorativa e privata è complicata e il reddito medio delle famiglie non è adeguato per domandare servizi privati di cura. Come tenere insieme i pezzi, allora, se a questo si aggiunge per le dipendenti il lavoro agile, che però non è più agile perché ci ritroviamo fisse davanti al PC in casa e perennemente connesse? E quindi la nostra mozione punta anche a questo: punta a valorizzare il flex-work, aggiornare la normativa sul lavoro agile, istituire il diritto personale alla disconnessione.

Chiediamo anche incentivi e adeguati strumenti di tutela per le lavoratrici autonome, per le libere professioniste e per l'imprenditoria femminile. Questo percorso è iniziato già con la legge di bilancio 2021 del Governo Conte 2, con un ricco pacchetto di misure, dal fondo per il venture capital per i progetti ad elevata innovazione tecnologica al fondo per l'impresa femminile. Ma il Piano di ripresa e resilienza è un'occasione da non sprecare.

Ancora, nel sostegno all'occupazione si deve tenere in considerazione che la domanda di assistenza e cura in Italia è in costante crescita: il primo rapporto sul lavoro domestico attesta che questo settore ha generato oltre 2 milioni di posti di lavoro per colf, badanti, babysitter, assunti direttamente da circa un milione e mezzo di famiglie. Si stima che un investimento strutturato in questo settore, non solo costituirebbe un valido supporto per le famiglie ma potrebbe generare 1,4 milioni di posti di lavoro entro il 2030.

Inoltre, ritengo fondamentale che vi sia più attenzione al concetto di privacy sul lavoro, sia in fase preassuntiva, che in corso di rapporto di lavoro. Bisogna valutare il problema di quelle domande che, in fase di colloquio, sono domande strettamente personali, che sono comunque vietate, ma che comunque ci segnalano che vengono fatte, e quindi è giusto affrontare il problema. In conclusione, investire in modo deciso su occupazione femminile non può che essere una priorità in questo momento di crisi economico sanitaria. Noi non possiamo competere se solo la nostra è una strada ad ostacoli. Grazie (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Lucaselli. Ne ha facoltà.

YLENJA LUCASELLI (FDI). Sì grazie, Presidente. Io credo che questo sia un tema importantissimo e lo è, non soltanto per quello che i colleghi hanno detto sino a questo momento, ma perché quello che abbiamo vissuto, cioè il periodo SARS, COVID-19, Coronavirus, indipendentemente da come lo si voglia chiamare, indubbiamente ha messo in evidenza in tutto il mondo un problema: il problema è che le donne sono esposte su molteplici fronti a delle discriminazioni che non sono soltanto quelle che immaginiamo - quindi, quelle di genere, quelle di violenza - ma è una discriminazione nei fatti, una discriminazione nel modo di percepire, sentire se stesse, e questo viene purtroppo amplificato quando leggiamo i report.

Io ho letto recentemente lo schema che è stato riportato nel testo delle Nazioni Unite che hanno pubblicato questo report: The impact of COVID-19 on women, e da questo emerge chiaramente come il tema del Gender Equality è al numero 5 dei 17 obiettivi di sviluppo sostenibile. La pandemia ha indubbiamente amplificato le disparità esistenti, ha portato indietro i progressi che erano stati fatti negli ultimi anni, quindi, togliamoci subito un dubbio, perché, sempre stando ai dati che leggiamo nel Global Gender Gap Report del 2020, nessuno di noi vedrà la parità di genere in ambito lavorativo nella propria vita: ci vogliono altri 108 anni perché la parità possa essere raggiunta.

Allora, se tutto questo è vero - e indubbiamente lo è perché viene riportato in dati ufficiali - dobbiamo preoccuparci di capire come poter ingenerare la cultura della parità, perché la parità non è soltanto qualcosa che si ottiene nelle cabine elettorali o che si può pretendere attraverso degli atti di indirizzo politico. La parità è qualcosa che va coltivata nella cultura delle giovani donne, delle giovani vite, affinché abbiano una consapevolezza di se stesse diversa da quella che probabilmente, sino a questo momento, abbiamo diffuso. Credo che il femminismo abbia un po' ingenerato una errata convinzione, cioè quella che le donne debbano essere come gli uomini, che debbano sviluppare se stesse ad immagine e somiglianza degli uomini. Non è così ed è proprio contro questa cultura che noi dovremmo invece combattere, per dare alle donne la consapevolezza di sé stesse e che si può essere pari, si può essere anche meglio e non c'è bisogno per questo di barriere femministe.

Ma, tornando ai fatti, i numeri dell'Istat, che portano e hanno portato poi a discutere oggi di questi temi, ci raccontano di un calo impressionante nel mondo del lavoro. Un gap, quello del mondo del lavoro, che ha fatto sì che venissero persi soltanto in questo anno 249 mila posti di lavoro, a fronte invece dell'1,5 per cento perso tra gli uomini. Questo definisce, indubbiamente, una criticità evidente, un peso sociale che a maggior ragione è stato amplificato nel periodo COVID. Basti pensare, ad esempio, a tutti i contraccolpi dello stravolgimento della quotidianità, dovuti alla diversa organizzazione del lavoro, della vita familiare, circostanze che spesso si sono difficilmente ben combinate.

Basti pensare anche alle difficoltà nell'affrontare la DAD, che io vivo quotidianamente: per poter essere qui in Aula questa mattina io ho lasciato a casa due bimbi, di 8 e 5 anni, di fronte ad un computer, seguiti da una babysitter. Ecco, questo vi dà la percezione di quanto sia, in questo momento, complesso e difficile essere donna che lavora e, contemporaneamente, non rinunciare anche al proprio diritto di essere madre.

Allora, cosa intendiamo noi per pari opportunità? Le pari opportunità sono quelle che vengono date alla base. Ci vuole la capacità di sviluppare un sistema attraverso il quale ci siano uguali possibilità per tutti, all'interno delle quali, poi, ognuno possa sviluppare se stesso e possa competere. Questo lo si fa attraverso un sistema che deve necessariamente rendersi conto della diversità di quello che vuol dire essere donna nella società moderna e, soprattutto, che dia la possibilità alle donne di non dover fare necessariamente una scelta fra lavoro e famiglia, fra carriera e figli, e continuare, ovviamente, nelle proprie ambizioni personali, come lavoratrice ma anche nelle proprie ambizioni personali come donna, come madre e come caposaldo della famiglia italiana. Noi non possiamo dimenticare che la nostra cultura gira ancora attorno alle donne ed è per questo che è ancora più importante oggi dare la dimostrazione che la sensibilità nei confronti dell'essere donna, dell'essere femminile debba e possa essere ancora sviluppata. Dobbiamo indubbiamente sviluppare la promozione di politiche sociali, economiche, culturali anche nell'ambito della formazione. È un nodo ormai indifferibile, se si vuole avviare un percorso per una società in cui ognuno possa trovare il suo ambito di sviluppo individuale. È un aspetto da cui non può sottrarsi nemmeno la politica educativa e universitaria. Per comprendere questo, basta leggersi uno studio di Almalaurea riferito all'anno accademico 2018 2019: per quanto riguarda le aree accademiche STEM, ossia del comparto tecnico-scientifico, tecnologico e della matematica, soltanto il 18 per cento viene scelto dalle ragazze. Queste aree garantiscono una maggiore occupabilità, eppure continuiamo ad avere una differenza di cultura perché - e tengo veramente a ribadirlo - il concetto principale è che diventa assolutamente necessario sviluppare, a partire dalle giovanissime generazioni, la cultura della parità, non soltanto la cultura della crescita o del dover ottenere delle cose perché si è donne. Ci vuole cultura della parità e bisogna creare nelle giovani generazioni la consapevolezza che si è alla pari. Fino a quando questo non verrà fatto, ci ritroveremo di fronte ai dati allarmanti sulla violenza delle donne, donne che non avendo indipendenza economica troppo spesso restano anche attaccate ai propri aguzzini, proprio per quella esigenza economica.

Veniamo a un altro punto fondamentale: la differenza che c'è nella considerazione salariale. I dati, anche in questo caso, sono veramente molto, molto allarmanti. L'Italia, su 153 Paesi analizzati dalle Nazioni Unite, è al settantesimo posto nell'opportunità lavorativa e salariale. Se poi andiamo ad analizzare, invece, il posizionamento dell'Italia all'interno dei Paesi dell'Unione europea, siamo agli ultimi posti.

Questo ovviamente rappresenta, in maniera chiara, quanto in Italia, ancor di più che rispetto alle altre Nazioni, sia necessario un cambio di passo e, ovviamente, un cambio culturale. Noi abbiamo la necessità di ricordare che la figura della donna nella società ha una connotazione complessa e il contenuto di questa mozione, indubbiamente, coglie questa connotazione, dalla necessità di protezione fisica per chi è vittima di violenze alla possibilità di conciliazione del ruolo di mamma e quello di lavoratrice, obiettivo che presuppone il miglioramento dei servizi. In una fase di ripartenza come quella che ci auguriamo si verificherà tra breve per il nostro Paese, un punto di incontro tra merito e solidarietà per ridurre le disuguaglianze è l'unica strada possibile.

Indubbiamente, questa mozione va in questo senso, ma io mi auguro e auspico che le parole che abbiamo sentito quest'oggi in quest'Aula non restino semplicemente lettera morta all'interno di un atto e un provvedimento di questo Parlamento, ma che vengano tradotte in realtà attraverso lo sviluppo della cultura della parità e la possibilità concreta di incidere sulle politiche del lavoro per le donne.

Mi permetta, Presidente, prima di concludere, semplicemente, di farle un grandissimo in bocca al lupo e, ovviamente, non l'ho fatto all'inizio, mi perdoni, ero presa dalla discussione, mi unisco a tutti i colleghi che le fanno le congratulazioni per il ruolo (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. Onorevole Lucaselli, grazie per la sua cortesia.

È iscritta a parlare l'onorevole Ravetto. Ne ha facoltà.

LAURA RAVETTO (LEGA). Cambio microfono, Presidente, mi scusi.

PRESIDENTE. Va bene, onorevole.

LAURA RAVETTO (LEGA). Presidente, congratulazioni anche da me e dal mio gruppo; mi associo alle congratulazioni dei colleghi. Allora, abbiamo il 48 per cento di occupazione in Italia, a fronte del 62 per cento della media europea, di questo 48 per cento: 44 per cento al Sud, 62 per cento al Nord, quindi è un divario importantissimo. Il 3 per cento dei CEO, degli amministratori delegati in Italia, è donna, il 20 per cento soltanto di dirigenti di azienda, il 20 per cento di giornaliste che firmano i propri articoli. Se vi chiedessi il nome di un direttore di giornale o direttore di banca donna, avreste difficoltà a rispondermi, direttore, direttrice, non mi interessa il lessico, mi interessa la sostanza. I numeri sono gravissimi e si sono aggravati ancor di più durante la pandemia: il 99 per cento di coloro che hanno perso il lavoro durante la fase pandemica in Italia è donna; su 101 mila posti di lavoro, 99 mila sono stati persi dalle donne; soltanto il 12 per cento degli aventi diritto, è stato acclarato, ha avuto accesso agli asili. Allora, questi sono numeri che conosciamo tutti e tutte, li conosciamo in quest'Aula, fuori da quest'Aula, nei ministeri; conosciamo anche le soluzioni, perché non ci dobbiamo inventare niente. La prima soluzione, l'hanno detto già altre colleghe, è la parità salariale; è un obiettivo particolarmente ambizioso, perché se guardiamo anche agli altri Paesi europei la parità salariale non è raggiunta neanche a livello europeo, ma è un obiettivo su cui ci dobbiamo focalizzare; poi, la parità di accesso, abbiamo ascoltato il Presidente Draghi, che ha detto che non dobbiamo fare riferimento, non abbiamo bisogno di fare riferimento alle quote, abbiamo bisogno di garantire la parità di accesso. Sono assolutamente d'accordo, non mi annovero tra le quotiste, il gruppo a cui appartengo si batte per la parità di accesso e non per le quote, poi, certo, sono sempre un po' incuriosita dal fatto che in quest'Aula abbiamo votato delle quote nell'ambito delle società private, dove, bene o male, anche se c'è una differenza importante, l'abbiamo visto, tra i dirigenti d'azienda e tra i membri dei consigli di amministrazione, però bene o male parliamo sempre del privato, dove in qualche modo l'accesso è maggiormente meritocratico, però, nel pubblico, nulla è stato fatto; quindi, la politica, in qualche modo, è brava a dare delle indicazioni fuori, ma al suo interno non è così brava a rinnovarsi.

Non sono qui certamente ad auspicare quote nelle partecipate o nel pubblico, faccio però presente che nei prossimi mesi ci saranno circa 150 nomine da fare in questo ambito e mi aspetto, quindi, dal Presidente Draghi, dai Ministri e da tutti coloro che decidono che, se si vuole veramente cambiare questo approccio culturale, si tenga anche conto che, forse, queste nomine non dovrebbero essere tutte e soltanto maschili, come, purtroppo, spesso, storicamente, vediamo.

Poi, accesso alla casa; l'accesso alla casa è un altro punto fondamentale. Siamo stati con un intergruppo di recente al Ministero dell'Economia, ci hanno assicurato che su questo tema sono molto attenti, quindi, speriamo anche che ci sia una caduta reale, perché, spesso, come è già stato detto anche altrove, la vittima della violenza lo è perché non ha una condizione di libertà economica, ma non ha neanche l'accesso a una struttura abitativa dove potersi rifugiare, dove poter andare, dove potersi liberare, spesso, da aguzzini che si trovano nell'ambito familiare, dove poter portare i propri figli. Quindi, benissimo, storicamente sono sempre stati dati dei fondi a tutte quelle associazioni che si occupano di questo, però, io sono a dire - e il MEF appunto si è impegnato, credo, in questo senso - che si debba garantire l'accesso abitativo anche con altre formule, penso per esempio all'housing sociale, penso a quando si fanno le categorie per l'accesso alle case popolari; si dovrebbe, secondo me, tenere conto, da questo punto di vista, anche della situazione delle donne.

Naturalmente, lotta alla violenza anche in termini legislativi, in termini culturali. Su questo non sono d'accordo con la collega di Forza Italia che mi ha preceduto sul “codice rosso”, perché, per carità, tutto è migliorabile, però ricordiamoci che il “codice rosso”, fortemente voluto dall'ex Ministra Giulia Bongiorno, ha inasprito le sanzioni nell'ambito delle violenze verso le donne, ha introdotto dei reati che non esistevano, penso al reato dello sfregio al volto, che purtroppo è stato conosciuto tramite i fatti di cronaca, ha accelerato, reso più semplici le procedure, dando priorità alle donne che fanno denuncia nell'ambito delle violenze. Naturalmente, lo ripeto, tutto è migliorabile, anche perché noi oggi registriamo, non soltanto un numero eclatante di casi di violenza, ma il 90 per cento di questi casi è realizzato per mano di un uomo e l'80 per cento nell'ambito familiare.

Poi, naturalmente, nell'ambito del sostegno alla maternità, molte cose già sono state fatte e probabilmente devono essere migliorate e devono essere fatte. Penso, per esempio, all'assegno unico, penso a tutti i bonus babysitter. Ormai è chiaro a tutti che in questo Paese una donna deve ancora scegliere tra maternità e lavoro. Questo deve essere ovviato. Allora, benissimo i bonus, benissimo gli assegni unici, peccato che però spesso, poi, si sono scontrati con la farraginosità della burocrazia, perché spesso non c'è la caduta a terra, spesso, poi, non c'è l'accesso reale a questi fondi. Allora, da una parte, semplificazione - penso assolutamente all'assegno unico -, dall'altra parte, la Ministra Bonetti ha da poco annunciato, e io l'ho condiviso, che faranno dei bonus babysitter per coloro che sono in prima linea nella lotta al COVID, quindi per i medici, per le Forze dell'ordine, però, poi, questi sistemi devono diventare dei sistemi universali, l'accesso deve essere consentito a tutti, a tutte le donne di qualunque categoria. Comprendo che quando i fondi sono limitati bisogna dare priorità alle situazioni di disagio e a chi si trova in prima linea, però il Recovery Plan dovrebbe essere proprio un momento anche per un intervento strutturale; questi accessi si danno a tutti, anzi, si passa dalla logica del bonus al servizio pagato dallo Stato. L'obiettivo nostro è un modello francese, per cui, addirittura, la babysitter e la puericultrice vanno a casa della donna, indistintamente, indipendentemente dalle categorie sociali e di reddito, salvo che, poi, dopo, dopo che si ha l'accesso universale al sistema, si fa una progressione nella tassazione. È chiaro, è di tutta evidenza che poi la tassazione viene diversificata, è chiaro e di tutta evidenza che il servizio deve essere diversificato dal punto di vista della tassazione rispetto a chi ha poco o rispetto a chi ha molto, ma deve essere un concetto universale e culturale per tutti, un accesso indeterminato a tutti.

Altra questione a me abbastanza cara è quella dei congedi parentali; io credo che si dovrebbe arrivare a un modello, penso al modello spagnolo, in cui, di fatto, le mensilità dei congedi sono identiche tra padre e madre, questo perché, guardate, i padri lo rivendicano anche, perché qui non è una questione di lotta uomini contro donne, assolutamente no, qui è questione di migliorare la società per tutti, quindi, anche un padre avrà il diritto a rimanere con i figli.

In Spagna, quando è stato attuato questo sistema di assoluta parità di distribuzione del tempo, si è visto che c'è stata anche meno resistenza da parte dei datori di lavoro, che purtroppo culturalmente c'è ancora, nelle assunzioni, perché è di tutta evidenza che quando tu assumi una donna se devi pensare che solo lei è destinataria di certi esoneri per accudire i figli, allora, magari, a qualcuno può venire la tentazione di assumere di più un uomo. Quindi, è chiaro che anche su questo dobbiamo intervenire.

Dobbiamo intervenire - e qui c'è la sottosegretaria Bergamini, e le chiedo di farsi portavoce presso la sottosegretaria Vezzali che ha appena ricevuto la delega, Presidente, per suo tramite - contro le ignobili clausole anti-maternità. Io non lo so, ho presentato un'interrogazione parlamentare su questo e va verificato il caso della pallavolista Lugli; però, se fosse vero che, anche nell'ambito sportivo, sussistono delle clausole per cui le atlete sono allontanate dalla loro attività o, comunque, viene posto fine al rapporto per loro, per le sponsorizzazioni, perché diventano madri, è inaccettabile. Ripeto, non conosco il caso specifico, ho presentato un'interrogazione e spero che il Ministro o la Vezzali mi vengano a rispondere, però anche su questo bisogna assolutamente fare chiarezza.

Allora, il Recovery, come dicevo, è un'opportunità. È un'opportunità, da una parte, storica e, dall'altra, doverosa. Doverosa perché - l'ho detto prima - le donne sono quelle che di più hanno perso il lavoro a causa di questa pandemia e perché di più hanno subito gli effetti anche della gestione familiare. È stata calcolata una media di 62 ore settimanali in tempo COVID dedicata dalle donne alla cura dei figli. È un'occasione determinante per la Lega. Matteo Salvini, appena mi ha nominato responsabile delle pari opportunità mi ha detto: bisogna che ti occupi di PNRR. Allora, occasione storica per far due cose - e concludo, Presidente -, che però dobbiamo e possiamo fare subito. Mi rivolgo a lei, a tutti i Ministri.

Il PNRR deve essere un'occasione, per cui, da una parte, i fondi vengano utilizzati anche in maniera premiale, certo mai condizionale. Ma perché non pensare a una premialità? In questo Paese non si usa mai la premialità! Però, a maggior ragione, veicolare quei fondi, prima di tutto nei settori dove le donne di più erano impiegate e hanno perso il lavoro. Penso a tutto il commercio al dettaglio, penso al catering, penso ai settori in cui c'è una prevalenza femminile. Poi, occorre investire in quei settori e in quelle aziende che dimostrano che hanno intenzione e volontà di eliminare o diminuire il gap tra uomo e donna in termini di assunzioni nelle loro aziende. Poi, investire in quei settori dove c'è necessità di aumentare il numero delle donne, investendo anche nella formazione. Infatti, ho sentito parlare tutte di STEM ed è tanto vero. Diciamo poi anche cos'è: la minore formazione che viene scelta, da parte della donna, in campo matematico, scientifico o in ambito ecologico. Che cosa può succedere, se noi non investiamo in questa formazione, dando la possibilità alle donne di accedervi e anche di trovare lavoro? Che visto che, ad esempio, il Recovery Plan è molto, molto dedicato nelle linee guida alla parte sull'ecologia e alla parte sulla tecnologia, c'è il rischio poi che investiamo tutto questo, tutti questi fondi, giustissimo investirli, ma in settori, dove il placement, cioè le persone impiegate, sono per l'80 per cento uomini e il 20 per cento donne. Ecco perché, ragionando di questi provvedimenti, bisogna prima, a priori, fare dei ragionamenti, per evitare che si accentui questo gap, per andare incontro alle esigenze femminili, che poi sono le esigenze di tutta la nostra società.

Concludo, Presidente, dicendo: benissimo le mozioni, benissimo le nostre interrogazioni, benissimo le nostre iniziative. Da quindici anni sono in questo Parlamento, ho visto moltissime mozioni, le ho votate tutte, le voterò tutte e il mio gruppo si impegna anche in Aula su questi temi. Però, poi, bisogna essere concreti e bisogna darsi degli obiettivi. Diamoci degli obiettivi: arriveremo all'assegno unico generalizzato “entro il”, alla parità salariale “entro il”, alla defiscalizzazione per le libere professioniste delle babysitter “entro il”. Magari, potremmo dare l'esempio anche sull'asilo in questa Camera. Io mi ricordo, ne parlai con l'attuale Ministro D'Incà, allora questore: ritengo abbastanza inaccettabile che parliamo della creazione di asili e, poi, un istituto come la Camera dei deputati non ne abbia uno. Lo ritengo inaccettabile e l'ho fatto notare e non tanto e soltanto per le deputate, ma anche per tutte le professioniste che lavorano in questo stabile, però anche per le deputate. Come diceva la collega Ylenja, noi abbiamo la fortuna di poterci pagare delle babysitter, per carità, questo è anche un privilegio, ma non tutte quelle che lavorano qui hanno questa possibilità. E comunque, in ogni caso, non è bello necessariamente dover lasciare i propri figli. Perché non possiamo pensare a un asilo in questa struttura? Perché non iniziamo a dare un esempio concreto? Ecco, io credo che, oltre alle bellissime mozioni, che, ripeto, voteremo convintamente, dovremmo anche iniziare a fare qualcosa di concreto e di serio, partendo da questo magnifico edificio (Applausi).

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Ravetto, ringrazio anche lei per le cortesi espressioni augurali.

Sospendo, a questo punto la seduta, che riprenderà alle 14.

La seduta, sospesa alle 13,45, è ripresa alle 14.

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Deidda e Zoffili sono in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta.

I deputati in missione sono complessivamente 78, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Si riprende la discussione.

(Ripresa discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Riprendiamo la discussione sulle linee generali delle mozioni Polidori ed altri n. 1-00433 e Elisa Tripodi ed altri n. 1-00434 concernenti iniziative a sostegno e tutela delle donne.

È iscritto a parlare l'onorevole Rizzo Nervo. Ne ha facoltà.

LUCA RIZZO NERVO (PD). Grazie, Presidente. Sono voluto intervenire in questa discussione, che ritengo molto importante, e lo faccio, Presidente, da uomo, da padre, da cittadino, perché credo che questa discussione mi riguardi. Non posso non notare, Presidente, come non vi siano altri colleghi uomini che oggi intervengono in quest'Aula su questo tema, quasi questa fosse una discussione fra donne, per le sole donne; una discussione a cui regalare al massimo l'attenzione di un applauso, di un sì con la testa, di quelli che nulla cambiano davvero rispetto alla comfort zone fatta di privilegi, diseguaglianze, ingiustizie di genere dentro cui, spesso, nella più profonda ipocrisia viviamo e che troppo spesso assecondiamo, così ribadendole come fossero normalità ineluttabili; abitudini che non abbiamo l'onestà e il coraggio di mettere in discussione per davvero, fino in fondo. Invece credo che sia importante, come uomo, padre, marito, cittadino, prendere parte e lo farò per sostenere il lavoro di colleghi e di tante donne che su questi argomenti, da tempo, dentro e fuori dal Parlamento, nei consigli comunali, nella rete associativa femminile, con grande autorevolezza fanno sentire le loro voci.

Lo farò perché le diseguaglianze di genere sono un peso insopportabile non solo per milioni di donne, ma per il nostro Paese tutto. Sono profondamente persuaso che temi come l'accesso al mercato del lavoro delle donne, l'equilibrio delle opportunità nei ruoli apicali, la parità salariale, il rafforzamento di strumenti di condivisione nella responsabilità genitoriale e di cura (non di mera conciliazione per le donne), il potenziamento della rete educativa dei nidi e delle scuole d'infanzia a supporto della missione educativa delle famiglie siano grandi questioni di modernità, di competitività, di civiltà per il nostro Paese. Per questo, credo sia necessario fare parte di questa discussione, di una battaglia che non è solo battaglia di autodeterminazione delle donne ma che deve essere una battaglia per una maggiore consapevolezza collettiva, che manca nei più e che è necessario poi tradurre nei fatti concreti; una grande battaglia di emancipazione del Paese tutto per dispiegare in pieno uno straordinario potenziale inespresso, o espresso fra troppe, assurde e arcaiche fatiche.

Si è parlato spesso in questi mesi, in riferimento alla pandemia, di una crisi simmetrica, cioè una crisi che, a differenza di altre, colpisce tutti allo stesso modo - tutto il mondo deve farci i conti -, ma a ben guardare, Presidente, la pandemia è stata ed è tutt'altro che simmetrica. I dati su questo tragico 2020 ci dicono in modo netto, inequivocabile, definitivo, che la crisi colpisce certamente tutti ma mostra il suo volto più feroce sulle donne, sulle giovani donne, sulle giovani donne madri. L'Istat ci ha detto che il 60 per cento dei posti andati perduti nel 2020 erano precedentemente occupati dalle donne. L'Ispettorato del lavoro ci dice che nella quasi totalità dei casi nei primi tre anni di vita dei figli a dimettersi dal posto di lavoro pagato sono madri; discuterei volentieri del fatto se, come dice il linguaggio dei nostri atti pubblici, siano davvero dimissioni volontarie. Le statistiche europee ci dicono di essere diventati ultimi in Europa per indice di occupazione delle giovani donne tra i 24 e i 29 anni. In Italia l'indice di occupazione femminile di qualità è inferiore di 20 punti - 20 punti! - rispetto a quello maschile.

Possiamo davvero chiamarci fuori da tutto questo? Sento che questo è il tempo per assumersi definitivamente la responsabilità di dire che questi sono temi di un Paese che si vuole ancora definire civile, ricco, all'avanguardia. Per farlo è urgente, Presidente, che a partire da questa discussione, dalle mozioni che voteremo, possiamo insieme definire un'agenda politica e parlamentare condivisa, certa nei tempi e che si dia obiettivi impegnativi su questo tema. La prova dei fatti, insomma, fuori da unanimismi di maniera. Un'agenda politica e parlamentare che includa politiche attive per incentivare un'occupazione femminile stabile, piena, giustamente retribuita, perché, Presidente, l'occupazione femminile è un'enorme emergenza nazionale, perché da un lavoro di qualità dipende il fatto che le donne siano libere di scegliere contro ogni rischio di violenza economica, quella che costringe tante donne a stare in situazioni di disagio quando non addirittura di sopruso e di violenza perché prive di un'indipendenza economica. Il livello della partecipazione femminile al mercato del lavoro, cari colleghi, non dipende dalla propensione individuale e collettiva delle donne nei confronti del lavoro, ma anche e soprattutto dalla propensione della società nei confronti del lavoro delle donne. Per raggiungere quel 60 per cento di occupazione femminile, obiettivo di Lisbona, e uscire dalla crisi si stima servano almeno un milione 550 mila nuove occupate nei prossimi anni. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza è l'occasione per includere pienamente le donne nella vita sociale ed economica del Paese. Serve, insomma, lavoro femminile e serve giustizia ed equità salariale, perché nel 2021 una donna italiana può guadagnare fino al 20 per cento in meno di un collega uomo. È necessario stabilire una nuova normativa di rispetto della parità dei salari fra uomini e donne a parità di mansioni, una normativa che coniughi incentivi e sanzioni. C'è una proposta di legge votata all'unanimità dalla Commissione Lavoro che deve andare avanti nei tempi più rapidi possibili. Ancora, serve estendere anche ai papà il congedo parentale obbligatorio, ma non di soli dieci giorni, come è adesso, bensì di quattro mesi. Spesso, oggi, se sei donna ti chiedono se vuoi avere figli e prendersi il congedo di maternità oggi è discriminante; se lo si estende invece anche ai papà, allora entrambi i genitori sono messi sullo stesso comune piano, il piano della condivisione della responsabilità genitoriale.

Accanto alla responsabilità educativa dei genitori c'è bisogno di una più robusta e diffusa rete educativa per la prima infanzia. La prima legge in Italia che si è occupata di asili nido comunali è del 1971. Lo so bene: la prima firmataria si chiama Adriana Lodi. Due anni prima di entrare in Parlamento, nel 1969, inaugurava, da assessore comunale, il primo asilo comunale d'Italia, l'asilo “Patini” a Bologna, la mia città, ancora oggi in funzione. È accettabile che, a cinquant'anni da quella legge, oggi appena 12,5 bambini su 100 possano accedere a un'esperienza educativa pubblica? Possiamo davvero dire che sia una questione delle sole donne? Non basta dire che vogliamo raggiungere l'obiettivo di copertura dell'80 per cento degli asili, come chiede giustamente l'Alleanza per l'Infanzia, se continuiamo a mettere risorse appena sufficienti ad arrivare - e non certo in tutta Italia - alla soglia europea del 33 per cento. Non basta scrivere sulla carta: servono risorse certe e un impegno straordinario in questa direzione.

Vi è, infine, un tema enorme, che confido presto troveremo il modo di affrontare, cioè il fatto che il lavoro di cura domiciliare non può più essere considerato una questione intima e privata. Nella pandemia il nostro bisogno di cura, di salute, di scuola, di relazioni, mostra in modo evidente come tutto il monte di lavoro non pagato, a oggi quasi esclusivamente sulle spalle delle donne, debba essere affrontato come una grande questione pubblica e politica. Oggi una donna su tre si prende cura dei propri familiari senza ricevere aiuto e solo una su quattro è agevolata dal punto di vista lavorativo. Serve una legge che riconosca e sostenga lo straordinario lavoro dei caregiver e serve un welfare riformato adattabile alle forme diverse e nuove dell'organizzazione del lavoro, un welfare che non discrimini fra diversi lavoratori. In questo senso ne approfitto per dire che va corretto l'errore di non aver previsto nell'ultimo “decreto Congedi” l'accesso ai bonus babysitter anche ai lavoratori in smart working.

Una cosa voglio dirla anche sulla violenza. La crisi ci ha spiegato ulteriormente che in Italia muoiono più donne per mano della violenza di genere, cioè per mano degli uomini, che per mafia. È tempo di applicare le leggi che già ci sono e lavorare su proposte che sostengano l'autonomia delle donne nell'uscita dalla violenza. Rimando a tutte le proposte già contenute nella relazione della Commissione femminicidio, che il Presidente Draghi ha già affermato di voler fare proprie nel suo discorso qui in Aula. Dico solo che sulla casa, sul lavoro e anche sulla tutela degli orfani di femminicidio dobbiamo essere maggiormente impegnati.

Questo è ciò che non c'è e poi c'è ciò che è ancora troppo sulla carta. Non mi basta, Presidente, il tempo di un intervento - e concludo - in Aula per dire delle numerose leggi che hanno come prima firmataria una donna e che hanno cambiato in meglio il volto di questo Paese.

Mi limito a citare la legge n. 328, la n. 286, la legge n. 53 per il sostegno alla maternità e alla paternità, la “legge Golfo-Mosca”: dobbiamo applicare fino in fondo queste leggi, facendo tutto ciò che è necessario, come direbbe il nostro Presidente del Consiglio. Insomma, Presidente -, e chiudo davvero - l'anno terribile che abbiamo alle spalle ci dice che non c'è più tempo da perdere per sanare diseguaglianze di genere così sfacciate, così limitanti, così ingiuste. La ripresa ha bisogno di strumenti concreti per l'inclusione e le pari opportunità, strumenti che esistono, serve essere interpreti coerenti - tutti insieme - del nostro tempo, serve una governance istituzionale forte, capace di produrre un impatto reale sulla vita di milioni di donne, per vivere conseguentemente in un Paese più giusto, più equo, migliore per tutti (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Elisa Tripodi. Ne ha facoltà.

ELISA TRIPODI (M5S). Grazie, Presidente. La pandemia ha assunto e continua ad assumere connotati devastanti: a più di un anno dal primo lockdown, le conseguenze sul tessuto economico, sociale e culturale sono drammatiche. È indubbio quindi che queste ricadute negative possano minacciare i progressi fatti finora e possano avere ripercussioni a lungo termine sull'uguaglianza di genere, un pericolo concreto in Italia e in tutto il mondo, visto che si stima una ricaduta sotto la soglia di povertà per altre 47 milioni di donne e di ragazze. La strada da percorrere per la parità di genere è ancora lunga e purtroppo molto spesso anche sottovalutata. Secondo l'EIGE, l'Istituto europeo per l'uguaglianza di genere, ci vogliono ancora sessant'anni affinché in tutta l'Unione europea si possa raggiungere concretamente la parità di genere. La pandemia non ha fatto altro che rimarcare tutti i problemi che da sempre riguardano le donne, dalla forte dimensione discriminatoria che pervade l'ambito dei percorsi STEM e della formazione scientifica per potere accedere a ruoli manageriali più remunerativi alla conseguente maggior sacrificabilità quando è in gioco la cura della famiglia. È vero, sono stati numerosi negli anni gli interventi in quest'Aula dove si sottolineava l'importanza di andare nella direzione di una vera parità di genere, ovunque e in ogni ambiente, e sono molti gli impegni che i vari Governi nel corso degli anni hanno preso, non con le deputate e con i deputati, ma con le cittadine e i cittadini, perché questa non è una questione circoscritta alle sole donne, ma riguarda tutta la comunità, riguarda tutte le istituzioni ad ogni livello, è una necessità collettiva di giustizia sociale che va nella direzione della costruzione di una società civile e davvero paritaria. Le rivendicazioni fatte non sono delle donne, non devono essere esclusivamente delle donne perché riguardano tutti, riguardano le basi di una società democratica ed inclusiva, che combatte e pretende di eliminare ogni sorta di discriminazione e di violenza sia verbale che fisica.

La mozione presentata dal MoVimento 5 Stelle è un lavoro condiviso e fatto da tutto il gruppo del MoVimento; sono lavori portati avanti anche all'interno delle Commissioni parlamentari permanenti, perché - Presidente, sottosegretaria - il raggiungimento di una società più giusta passa dalla condivisione del lavoro che si fa, anche e soprattutto in ogni Commissione parlamentare, declinandolo su ogni aspetto. Gli effetti della pandemia hanno evidenziato quanto sia importante agire subito e farlo tutti assieme, mettendo a disposizione tutte le conoscenze, da un lato, per non vanificare gli obiettivi raggiunti in questi anni e, dall'altro, perché si è ancora molto lontani dal raggiungere obiettivi di parità, obiettivi che ogni anno vengono riproposti proprio perché ci deve essere un impegno serio sull'attuazione di politiche inclusive di tutela e di rimozione di ogni sorta di discriminazione. Bisogna cambiare il paradigma e servono politiche efficaci, serve la volontà di fare e non solo di enunciare, e non bisogna più rallentare, proprio perché gli effetti delle politiche rimaste lettera morta vanno a sovrapporsi a quelle da realizzare per affrontare gli effetti economici sociali e culturali provocati dalla pandemia. Secondo il World Economic Forum 2020, le donne, che in Italia svolgono una quota sproporzionatamente ampia di lavoro non retribuito, sono ben il 62 per cento, gli uomini sono il 30 per cento. In questo momento, le richieste dei carichi di cura aumentano e sono le donne ad assumersi la maggior parte delle responsabilità, pagandone il prezzo anche in ambito lavorativo e a questo proposito l'Ipsos certifica che il 74 per cento delle donne ha sulle spalle la gestione della casa, senza aiuti da parte del partner. Questa non è una parità di genere, perché non c'è parità in una società dove persiste la convinzione che debbano essere le donne quelle che possono sacrificare parte del loro tempo libero e del loro lavoro alla cura della famiglia. Non c'è libertà di ripensare alla condivisione di tutti gli aspetti nella conduzione della propria vita, se continuiamo a dipendere da stereotipi di genere che costringono e comprimono le donne in ruoli prestabiliti. Il 9 aprile 2020, il Segretario generale delle Nazioni Unite ha presentato un policy brief relativo all'impatto del COVID-19 sulle donne: in questo documento sono individuati i diversi ambiti in cui la pandemia produrrà un impatto specifico sulle donne ed esso evidenzia come gli effetti della pandemia stessa aggraveranno le disuguaglianze di genere preesistenti, generando nuovi problemi. Nel documento viene evidenziato l'impatto del COVID-19 sulle donne, con riferimento proprio all'ambito economico, alla salute, al lavoro di cura non retribuito, alla violenza di genere e a particolari contesti di fragilità, conflitti e altre emergenze. La qualificazione di situazioni di disagio, di esclusione sociale, di mancato godimento di diritti fondamentali e le discriminazioni per ragioni di genere sono problemi strutturali a livello globale. Bisogna agire subito perché l'impatto del COVID-19 sui diritti sociali ed economici e sul loro godimento aggraverà ancora di più la situazione di tutte queste categorie di soggetti, che già prima dell'emergenza sperimentavano situazioni di vulnerabilità. La mozione all'esame di quest'Aula rappresenta un impegno, non solo verso le donne dunque - come detto prima -, ma verso tutta la società. Si pongono delle questioni specifiche, impegnando il Governo ad azioni precise, come l'attuazione del Fondo per il sostegno della parità salariale di genere, istituito dall'ultima legge di bilancio, la previsione di strumenti di tutela delle lavoratrici autonome e delle libere professioniste, la promozione del lavoro flessibile, il riconoscimento e la tutela della figura del caregiver familiare, il potenziamento della rete pubblica dei servizi per l'infanzia e degli asili nido su tutto il territorio nazionale. Quindi, pensare a strumenti di gestione dell'emergenza attuale e rimediare ai problemi endemici per aumentare la capacità di resistenza e di reazione delle donne ad eventi che minacciano la loro salute, il loro benessere socio-economico e i loro diritti fondamentali. Nel pomeriggio di ieri si è tenuto un importante appuntamento dal titolo: “Obiettivo 62 % - L'occupazione femminile come rilancio nazionale, le donne come priorità trasversale”. A questo appuntamento hanno partecipato diversi Ministri, diverse Ministre e sono state discusse diverse tematiche: dall'incentivazione dell'occupazione femminile in settori come le infrastrutture, al gender pay gap, dalla presenza delle donne nei percorsi STEM, fino anche alla necessità di aumentare le infrastrutture sociali, come appunto gli asili nido, tutti temi su cui i Ministri hanno ben risposto e che sono presenti e proposti all'interno di questa mozione. Quindi partiamo da queste proposte, da questi impegni, che sono la direzione che si deve perseguire e rappresentano traguardi che anche ieri, durante questi eventi, i rappresentanti del Governo hanno dichiarato di voler raggiungere (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Labriola. Ne ha facoltà.

VINCENZA LABRIOLA (FI). Grazie, Presidente, onorevoli colleghi. Questo anno di pandemia ha evidenziato ancora di più i dati drammatici sull'occupazione delle donne, così come sui femminicidi. Riguardo ai femminicidi, c'era già una pandemia prima del COVID (una donna al giorno nel mondo moriva); certo che il COVID ha acuito e reso più evidente la violenza sulle donne nel corso di questo anno in cui tutti siamo stati costretti, bene o male, a rimanere in casa e lo smart working ha messo le donne in gabbia. Come i dati sull'occupazione, che già non erano edificanti prima dell'emergenza sanitaria: se pensiamo che la media dell'occupazione delle donne era 19 punti in meno di quella maschile, che solo il 32 per cento delle donne ricopre ruoli dirigenziali, contro il 68 per cento degli uomini, e che, a parità di ruolo, le donne vengono pagate fino al 25 per cento in meno degli uomini, così come il 33 per cento delle donne lavorano in part time contro l'8 per cento degli uomini.

Con 402 mila posti di lavori persi durante la pandemia, il calo dell'occupazione femminile è stato il doppio di quello europeo, dato che non ha permesso di raggiungere i target previsti dalla Strategia Europa 2020, che prevedeva un innalzamento del lavoro femminile al 67 per cento. Dati importanti, che devono far scattare la molla per rimettere al centro la parità di genere e salariale, sforzo che deve vedere tutte le forze politiche orientate a voltare pagina. Il tema della parità di genere non è solo una questione delle donne, bensì è una questione che investe l'intera società. Si tratta di una questione di democrazia sostanziale, sancita dall'articolo 3 della Costituzione; un principio che oggi riguarda le donne, ma che un domani potrebbe riguardare qualsiasi categoria e chiunque.

Le mozioni che oggi stiamo discutendo evidenziano le molteplici e rilevanti problematiche che coinvolgono le donne, impegnando il Governo a mettere in campo una serie di azioni concrete che di certo sono un primo passo importante, ma non risolutivo. I dati sono di sicuro allarmanti e questo mio intervento vuole offrire uno spunto per un approccio strategico alle politiche di genere, anche alla luce dell'oggettivo aggravamento della condizione occupazionale delle donne in concomitanza con l'emergenza epidemiologica da SARS-CoV-2. Particolare rilievo assume il dato relativo all'occupazione femminile in termini di accesso al mercato del lavoro, delle posizioni lavorative ricoperte, il gap retributivo e conseguentemente quello pensionistico; se pensiamo, ad esempio, a come è iniqua e ingiusta la pensione di reversibilità o la proposta del Presidente Berlusconi di dare la pensione alle donne che hanno scelto di essere casalinghe per scelta personale o perché il mondo del lavoro non le aveva accolte. Un ragionamento sulle pensioni sia di reversibilità, che è un'ingiustizia, o prevedere le pensioni alle donne è un ragionamento che bisognerebbe fare. A livello mondiale, come riportato da un recentissimo studio globale di Women Deliver and Focus 2030, alle donne viene dedicata poca attenzione nei piani di risposte e recupero della crisi globale generata dal COVID-19. Per questo è necessario invertire la tendenza, per non lasciare indietro nessuno.

Come evidenziato dalla ricerca della Banca Mondiale e delle Nazioni Unite, le donne sono state eccessivamente colpite dalla pandemia. I numeri parlano chiaro: circa 47 milioni sono le donne che da quest'anno in tutto il mondo cadranno in condizioni di povertà estrema perché sovra-rappresentate nei settori più colpiti dalla crisi. Nonostante oggi le donne siano più istruite degli uomini, hanno maggiore difficoltà all'accesso al mondo del lavoro, percepiscono retribuzioni inferiori e sono scarsamente rappresentate nei ruoli apicali. Non a caso abbiamo bisogno di leggi che garantiscono loro misure di sostegno a livello occupazionale. Penso alla legge “Golfo-Mosca”, che garantisce la presenza delle donne nei consigli di amministrazione delle società; al cosiddetto “codice delle pari opportunità”, che impone alle aziende con più di 100 dipendenti di redigere un rapporto biennale sul personale maschile e femminile e sui vari aspetti che riguardano le pari opportunità, inclusa la retribuzione.

Gli strumenti di supporto normativo sono certamente utili e, direi, in questo momento storico senza precedenti, indispensabili per favorire una presenza femminile più equa in diversi ambiti lavorativi; presenza che evidentemente, in modo spontaneo, ancora non si avrebbe. Molte iniziative sono all'esame della Commissione lavoro: mi preme ricordare quella di Forza Italia recante misure a sostegno della partecipazione delle donne al mercato del lavoro e per la conciliazione delle esigenze di vita e di lavoro. Credo, tuttavia, che sia fuorviante affidarsi fideisticamente soltanto a prescrizioni di dettaglio per ritenere risolta la questione femminile nell'occupazione. È infatti evidente che risultino decisivi il modello di società, la diffusione dell'istruzione, la filosofia dei costumi, il welfare e la stessa parità di genere.

In relazione ai modelli sociali nel nostro Paese si può agevolmente constatare che la condivisione dei carichi familiari è nettamente asimmetrica e sbilanciata verso le donne, che si trovano a dover gestire contemporaneamente l'ambito lavorativo e quello familiare. Come afferma Medaille, ci si aspetta che le donne lavorino come se non avessero figli e allevino figli come se non lavorassero; e se lo dice un docente di economia, dobbiamo crederci. Questo ancora oggi si verifica e ancora oggi, purtroppo, la donna è costretta a scegliere tra il diritto al lavoro e il diritto alla maternità, e questo non è più accettabile. È evidente che le madri che non possono confidare in un sostegno familiare, sostenere il costo di servizi di asilo nido privato e di babysitter non hanno altra scelta che rinunciare, in tutto o in parte, al proprio lavoro o rinunciare anche alla maternità e al desiderio di creare una famiglia. Infatti, i dati sulle nascite sono drammatici; bisogna intervenire e intervenire in fretta. Inoltre le disparità reddituali purtroppo ancora esistenti nel nostro Paese, specie nelle aree del Mezzogiorno, rendono la donna il soggetto lavorativamente più sacrificabile nell'ambito della coppia, e questo deve essere evitato. La donna lavoratrice è meritevole e deve, al pari dell'uomo, poter accedere e permanere nel mondo del lavoro, avendo identiche chance di progressione, di carriera e uguale retribuzione. Bisogna agire su due fronti: il cambiamento culturale, ossia una diversa percezione del ruolo della donna nella società, e c'è bisogno di un robusto supporto normativo e finanziario, sul quale si può e si deve operare con più incisività. Secondo il Global Gender Gap Report 2020 è necessario intervenire nel breve periodo per garantire la parità salariale, intervento che consentirebbe un incremento di PIL mondiale di circa 5,3 mila miliardi di dollari: un dato che, su scala nazionale, si potrebbe tradurre in un aumento di PIL dell'8 per cento. La pandemia ha sovraccaricato le donne di responsabilità, lo smart working si è rivelato una gabbia e troppe imprenditrici hanno dovuto chiudere.

Per questo nel “decreto Sostegni” c'è un pacchetto di congedi parentali per i genitori che hanno i figli in quarantena oppure in DAD, visto che le nuove varianti colpiscono maggiormente i ragazzi in età scolare. È necessario attuare un cambio di tendenza sul tema della partecipazione delle donne al mondo del lavoro, in attesa di un più incisivo intervento, con l'utilizzazione delle ingenti risorse a disposizione del Piano nazionale di resilienza. Nell'ultima stesura del Piano, nell'ambito della missione inclusione e coesione, non è specificato, però, come si intenda procedere per promuovere il ruolo della donna nel mercato del lavoro, nonostante la crisi pandemica abbia reso le donne le principali protagoniste negli ospedali, nella ricerca, nel volontariato e nella famiglia, ma, al contempo, anche le principali vittime. Parliamo di una perdita di 344 mila posti di lavoro tra il terzo trimestre 2019 e il terzo trimestre 2020, oltre 99 mila registrati nel solo mese di dicembre 2020. Questa situazione è importante per decidere oggi quale ruolo dovrà avere la donna nella ricostruzione del Paese.

Auspicabile sarebbe prevedere una valutazione di impatto di genere permanente, ex ante, in itinere ed ex post, della questione sulla gestione delle risorse del PNRR, oltre che destinare più risorse per le donne che hanno visto tornare indietro l'orologio di decine di anni, vanificando i difficili traguardi raggiunti. Credo che uno sforzo notevole, ma decisivo, al fine di garantire la parità occupazionale, potrebbe essere un incisivo investimento in infrastrutture sociali, in servizi per la conciliazione, servizi sociali, istruzione. Questa scelta porterebbe con sé un doppio effetto: di permettere ai genitori che lavorano di usufruire di servizi di cura indispensabili e di produrre occupazione in settori dove la presenza femminile supera il 70 per cento. Con un'adeguata dotazione di servizi una quota consistente delle 2,9 milioni di donne attualmente disoccupate potrebbero trovare un ingresso nel mercato del lavoro, così implementando reddito e consumi e contribuendo alla ripresa del Paese. Se consideriamo che le donne, nonostante abbiano lavori meno pagati e più precari, versano, per esempio, imposte per redditi di persona fisica per 53,8 miliardi di euro contro i 110,4 versati dagli uomini, se riuscissimo a investire le risorse del PNRR nella giusta direzione per le donne ne beneficerebbe anche lo Stato.

Concludo, Presidente, dicendo che non ci può essere quindi maggior crescita sociale ed economica senza offrire nuove opportunità a chi fino ad oggi ne è stato escluso. In questo senso, dare opportunità alle donne di ogni età, giovani e adulte, attraverso scelte politiche e investimenti adeguati, offre possibilità di sviluppo importanti, alle quali non possiamo più assolutamente rinunciare (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Spadoni. Ne ha facoltà.

MARIA EDERA SPADONI (M5S). Grazie, Presidente. Gli ultimi decenni sono stati caratterizzati da mutamenti ambientali in gran parte determinati dalla crescente pressione esercitata dalle attività umane sugli ecosistemi naturali: l'effetto serra, il buco nell'ozono, l'inquinamento di suolo, aria e acqua, la perdita delle biodiversità, l'assottigliamento delle risorse naturali, la deforestazione e, ultimo, ma non per importanza, i cambiamenti climatici. Per queste ragioni, dagli anni Novanta assistiamo ad una sempre maggiore attenzione di Governi e istituzioni verso modelli di sviluppo sostenibile da un punto di vista ambientale, con una progressiva definizione di politiche finalizzate a rallentare il degrado ambientale connesso a stili di produzione e consumo non compatibili con i bisogni delle generazioni future.

Oggi la pandemia ha acuito, soprattutto per quanto riguarda gli squilibri ambientali, la consapevolezza che non c'è più un prima a cui tornare, ma solo un dopo da inventare, da creare.

Gli studi di genere dimostrano che le donne che si impegnano in comportamenti ecologici che riguardano, in particolare, la sfera privata e domestica hanno una maggiore attenzione all'ambiente fisico e sociale di ogni giorno con un'inclinazione al comportamento pro-ambientale, mentre gli uomini risulterebbero più attivi in comportamenti ecologici che riguardano la sfera pubblica.

La persistenza degli stereotipi occupazionali con distinzione tra lavori maschili e femminili e la conseguente bassa quota di occupazione femminile nei settori economici connessi ad attività di tipo ambientale, specialmente quelli energetici, espongono le donne al rischio di esclusione o bassa partecipazione alla cosiddetta green economy. Per tali ragioni, è invece necessario che il Parlamento italiano stimoli il ruolo delle donne nei progetti di sostenibilità ambientale.

Sicuramente, come ho più volte ricordato, occorre agire sull'istruzione per favorire l'inserimento femminile nei campi occupazionali della green economy e sulla formazione per promuovere una cultura ambientale nel quadro delle pari opportunità, definendo azioni mirate a promuovere comportamenti e scelte consapevoli.

Nella formazione scolastica è necessario incentivare le ragazze a scegliere percorsi di studi anche nelle cosiddette materie STEM, acronimo che indica scienza, tecnologia, ingegneria e matematica; percorsi sempre più legati alla sostenibilità ambientale, all'economia circolare, alla transizione energetica ed ecologica.

Un'ampia fetta dell'impegno femminile nella transizione ecologica riguarda le imprese agricole. In Italia, infatti, circa un'impresa agricola su tre è a conduzione femminile, con una percentuale più alta nelle aziende cosiddette multifunzionali, quelle cioè che praticano agriturismo, mercati contadini, fattorie didattiche o fattorie sociali. In occasione dell'International day of rural women - Giornata Internazionale delle donne rurali - il WWF ha sottolineato come la transizione ecologica del sistema agricolo è donna: un dato importante, che per l'Italia assume sempre più valore.

Tali obiettivi interconnessi tra loro sono divenuti di priorità strategica mondiale. Con la sottoscrizione dell'Agenda 2030, la sicurezza alimentare, l'uguaglianza di genere, l'emancipazione femminile, la produzione agricola sostenibile e la lotta alla povertà sono imperativi trasversali nei 17 obiettivi di sviluppo sostenibile. L'agricoltura, infatti, è il principale imputato per la perdita di biodiversità in Europa e in Italia il modello della multifunzionalità per il WWF è un riferimento per lo sviluppo socio-economico nei Paesi che vivono gravi crisi, la via maestra da percorrere per una transizione ecologica dell'agricoltura.

Le donne sono un potente vettore di cambiamento nelle aree rurali del mondo. Purtroppo, le diseguaglianze tra i sessi ancora presenti impediscono loro di esprimere pienamente il proprio potenziale.

Quindi, tornando alla situazione italiana, le imprese femminili sono quelle che hanno pagato il conto più salato della crisi sanitaria ed economica innescata dalla pandemia da COVID-19. Dopo anni in cui ogni trimestre le imprese femminili segnavano crescite superiori alle imprese maschili, dal secondo trimestre 2020 ad oggi, questa velocità si è praticamente annullata, soprattutto per effetto di un sostanziale blocco nella nascita di nuove imprese femminili.

Al centro dell'agenda di questo Governo è stata posta la sostenibilità e tutto ciò che riguarda la tutela dell'ambiente. Fino ad oggi le donne hanno svolto un ruolo fondamentale nella formazione di una coscienza ecologica, per questo è necessario continuare a dare alle donne gli strumenti necessari per partecipare attivamente alle sfide del futuro.

La legge di bilancio 2020 ha disposto l'istituzione del cosiddetto fondo Green New Deal con una dotazione iniziale di 470 milioni di euro per l'anno 2020, di 930 milioni di euro per l'anno 2021 e di un miliardo e 420 milioni di euro per gli anni 2022 e 2023, per sviluppare progetti economicamente sostenibili con precise finalità, tra cui l'imprenditorialità giovanile e femminile.

E' per tali ragioni che nella mozione in esame, la Elisa Tripodi ed altri n. 1-00434, ho fortemente voluto, tra gli impegni, l'adozione di tutte le iniziative necessarie al raggiungimento dell'obiettivo n. 5 dell'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, ossia raggiungere l'uguaglianza di genere ed emancipare tutte le donne e le ragazze facilitando l'accesso e l'informazione sulle risorse a disposizione dell'imprenditoria femminile, con particolare attenzione ai progetti rivolti alla sostenibilità ambientale, anche attraverso apposite campagne comunicative e pubblicitarie.

In conclusione, c'è ancora molto da fare per permettere alle donne di raggiungere la piena emancipazione e indipendenza economica.

Quello che possiamo fare come legislatori è trasformare questo momento difficile in un'opportunità di inclusione e partecipazione per tutte le donne che hanno diritto ad essere protagoniste della trasformazione del sistema produttivo verso un modello sostenibile, che renda la produzione di energia industriale meno dannosa per l'ambiente e, ancora più importante, migliori lo stile di vita delle persone.

Io la ringrazio per l'ascolto, Presidente, e le auguro, a nome del Movimento 5 Stelle, un buon lavoro per il nuovo incarico (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. Grazie, Presidente Spadoni, della sua cortesia. È iscritta a parlare l'onorevole Serracchiani. Ne ha facoltà.

DEBORA SERRACCHIANI (PD). Grazie, Presidente, mi unisco ovviamente all'augurio di buon lavoro per il suo prestigioso incarico.

Il 2020 era stato pensato come l'anno nel quale dare grande forza e impulso alla parità di genere, essendo il venticinquesimo anniversario della quarta Conferenza mondiale delle donne delle Nazioni Unite, durante la quale la comunità internazionale adottò la Piattaforma d'azione di Pechino. In quella dichiarazione ci si impegnava all'eliminazione di tutte le discriminazioni nei confronti delle donne. Purtroppo, il 2020 non è stato quest'anno della parità di genere: è stato, purtroppo, l'anno in cui la questione femminile è entrata, in modo molto forte e brutale, direi, al centro della nostra attenzione, anche a causa della pandemia da COVID-19.

La questione femminile è, quindi, centrale per quale motivo, Presidente? E' centrale, purtroppo, perché sono le donne nel nostro Paese che perdono il posto di lavoro, è centrale perché sono le donne le più contagiate dal punto di vista professionale. In questo senso, i dati INAIL sono assolutamente impietosi: su 100 contagiati professionali, 70 sono donne; e sono donne perché sono donne la maggior parte degli operatori sanitari, sono donne la maggior parte delle cassiere dei supermercati, sono donne la maggior parte delle persone e delle operatrici che si impiegano nell'assistenza alla cura delle persone. E, quindi, sono le donne che si contagiano di più in questa pandemia e sono le donne che risentono maggiormente della riorganizzazione del lavoro a cui stiamo assistendo. Mi riferisco, in particolare, al cosiddetto smart working, sebbene credo che sia ormai chiaro a tutti che non siamo in una ipotesi di smart working, almeno nella gran parte dei casi, ma stiamo facendo un cosiddetto lavoro da casa, con tutto quello che questo comporta, soprattutto sulle spalle delle donne, che in questo momento lavorano, sono al computer, devono preparare il pranzo e devono seguire anche i figli che fanno la didattica a distanza.

Quindi, davvero la questione femminile è al centro del nostro Paese, è al centro purtroppo per una questione drammatica come quella della pandemia. E non che non fosse anche prima un problema per così dire strutturale del Paese, anche perché i dati anche in questo senso sono dei dati impietosi: l'occupazione femminile nell'Unione europea è in media del 63 per cento, in Italia del 49 per cento; di questo 49 per cento, il 33 per cento delle donne lavora part time e solo il 6 per cento lavora in professioni scientifiche; e, comunque, queste donne che lavorano prendono in media il 18 per cento in meno, pur facendo le stesse mansioni degli uomini. Quindi, che fosse un problema, quello della questione femminile, ci era noto; che si sia aggravato durante la pandemia credo, purtroppo, che sia sotto gli occhi di tutti.

Cosa fare, quindi, anche approfittando - utilizzo questo termine senza voler essere fraintesa - della situazione drammatica e della fotografia drammatica che, in qualche modo, ci dà la pandemia; cosa fare, come intervenire? Noi dobbiamo mettere in campo delle politiche che liberino il tempo delle donne. Ecco, questa è la prima premessa che mi sento di fare, Presidente, rispetto a queste mozioni, molte, tutte condivisibili, che puntano e mettono al centro non solo la questione femminile ma anche i tanti temi che, intorno alla questione femminile, devono essere risolti e fanno parte di un problema più generale.

Come fare, quindi, politiche che liberino il tempo delle donne e che diano alle donne quello spazio e quei diritti che in questo momento vengono negati. Alcuni sono stati ricordati, lo ha fatto anche il collega Rizzo Nervo prima. C'è il tema della parità salariale, lo ricordavo anche io prima: una media del 18 per cento in meno a parità di mansioni. Bene, su questo, la Commissione lavoro della Camera ha lavorato, c'è una proposta di legge che è stata, tra l'altro, approvata all'unanimità in Commissione, che porteremo avanti e che mi auguro entrerà in quest'Aula quanto prima, perché sarà un segnale importante rispetto alla parità salariale.

Accennavo prima allo smart working: noi, in questo momento, stiamo facendo appunto il lavoro da casa, il che significa che bisognerà regolamentare lo smart working, che bisognerà regolamentare la nuova organizzazione del lavoro, che è rappresentata, appunto, dallo smart working, cioè dal lavoro agile, il cui peso non può cadere tutto sulle spalle delle donne. E, quindi, come intervenire anche rispetto a questa organizzazione? Possiamo farlo concertando, insieme alle parti sociali e all'interno della contrattazione collettiva, gli strumenti di una riorganizzazione che metta in gioco due punti fondamentali con cui noi finora abbiamo misurato il lavoro e, cioè, il tempo e il luogo. Non sono più questi i riferimenti, lo saranno, nella nuova riorganizzazione, ripensati nuovi, e dobbiamo intervenire affinché questa riorganizzazione lavorativa non sia un peso soltanto per le donne. Quello che sta accadendo in questo periodo storico è che molte donne perdono il lavoro. Le donne che perdono il lavoro sono spesso le donne assunte con contratti di precarietà e che hanno molto spesso, purtroppo, una bassa scolarizzazione. Quindi, qual è l'intervento a cui dobbiamo fare assolutamente riferimento, anche utilizzando quelli che saranno i fondi del PNRR? Dobbiamo assolutamente intervenire sulla formazione, che, nel caso delle donne, deve essere una formazione specifica, che dia garanzie di accesso al lavoro e di accesso al lavoro di qualità.

C'è un tema, poi, più generale legato al sostegno alla genitorialità. Parlavo prima di politiche che liberino il tempo delle donne. In tal senso, passi avanti sono stati fatti: l'assegno unico, che entrerà in vigore dal luglio di quest'anno, e poi anche il piano per gli asili nido, che è estremamente importante e sul quale c'è un impegno di tutte le forze politiche e un investimento puntuale all'interno del PNRR. Pongo poi l'attenzione, Presidente, su una questione dei nostri giorni: i congedi di paternità. Noi abbiamo avuto, rispetto ai congedi di paternità, la possibilità di un loro aumento nella manovra di bilancio - siamo arrivati fino a dieci giorni -, ma ricordiamoci che siamo il Paese in Europa che li ha più brevi. E, quindi, la proposta che è stata fatta - ce ne sono diverse, c'è il Women New Deal, ad esempio, che è stato proposto anche dal Partito Democratico - di arrivare almeno a tre mesi credo debba essere un punto di riferimento anche per questo Parlamento. C'è anche una contingenza: noi stiamo esaminando, proprio in queste ore, in Commissione lavoro, il decreto-legge n. 30, che riguarda i cosiddetti congedi straordinari e bonus babysitter. Purtroppo quella norma, in qualche modo - mi permetta questa definizione -, è nata vecchia, nel senso che era una norma nata per coprire le assenze per quarantene, invece tale norma è subentrata nel momento in cui le scuole sono state chiuse. Quella norma, quindi, è insufficiente, ci sono delle correzioni che andranno fatte. Decideremo in Parlamento e con il Governo con quali modalità, ma ci sono delle modifiche che vanno fatte, anche perché ci sono delle profonde iniquità. Non si può immaginare, ad esempio, che i lavoratori e le lavoratrici in smart working siano lavoratori di serie B a cui non dare il bonus babysitter e i congedi. Vanno, invece, estesi anche a loro, così come va aumentata la quota di retribuzione riconosciuta nel caso dei congedi - oggi del 50 per cento, dobbiamo aspirare ad arrivare almeno al 70-75 per cento -, così come dobbiamo anche allargare questa protezione sociale, che abbiamo con i congedi e con i bonus, anche a quelle famiglie che hanno maggiori difficoltà, con figli disabili o con figli che hanno bisogni educativi speciali certificati, rispetto alle quali deve essere fatto un intervento più puntuale che in questo momento manca.

Vorrei anche annunciare, Presidente, che la Commissione lavoro della Camera, che presiedo, avvierà un'indagine conoscitiva molto importante, sulle disuguaglianze che sono emerse nel periodo del COVID nel mondo del lavoro. Disuguaglianze che già sappiamo colpiranno alcune categorie particolari; tra queste, le donne, l'occupazione femminile e, purtroppo, si ravvisa anche un'iniquità territoriale tra Nord e Sud. Questa mappatura che verrà fatta nell'indagine conoscitiva sarà molto importante, perché ci permetterà di fotografare il nostro Paese e le disuguaglianze determinate nel mondo del lavoro dalla pandemia in modo da capire come poter intervenire con gli strumenti migliori, più efficaci e più puntuali, perché, purtroppo, non siamo riusciti sempre a dare una risposta. Come hanno già detto le colleghe e i colleghi, c'è un tema legato, poi, alle infrastrutture sociali su cui il PNRR deve intervenire in modo molto puntuale, anche utilizzando gli investimenti in tecnologie digitali, e cercando, in qualche modo, di liberare, come ho ripetuto più volte, il tempo delle donne. Un'altra importante considerazione riguarda un tema su cui molte volte ci siamo confrontati, annunciato proprio ieri dal Ministro Orlando, che non può non trovare d'accordo questo Parlamento: noi dobbiamo avere la possibilità di valutare, dal punto di vista dell'impatto di genere, le riforme che vengono fatte. Quello che ieri si è assunto il Ministro, vale a dire di imporre questa valutazione di impatto di genere sulle riforme, credo sia un impegno importante che vada nella direzione giusta, nella direzione di individuare tutte le soluzioni che ci permettano oggi di dire che quello delle donne non è un problema, ma una tematica sulla quale stiamo lavorando per trovare delle soluzioni concrete. Concludo, quindi, Presidente, con un paio di considerazioni generali. Noi abbiamo l'opportunità, attraverso il PNRR, di modernizzare il Paese, di cambiare il volto di questo Paese e non possiamo farlo, se non prendiamo seriamente in considerazione quella enorme opportunità che è il lavoro femminile. Il lavoro femminile sono punti di PIL, il lavoro femminile significa far muovere un'economia importante che sta intorno al lavoro della donna.

È importante anche, però, che si considerino, da parte del Governo e dell'Unione europea, le specificità del nostro territorio, del nostro Paese, sulle quali va riposta una certa attenzione; mi riferisco, in particolare, al nostro Sud. Noi abbiamo fatto un grande investimento: gli sgravi contributivi per l'occupazione femminile, ad esempio, nel Mezzogiorno, abbiamo fatto un grande investimento anche nella formazione. Dobbiamo insistere affinché il Sud, anche dal punto di vista dell'occupazione femminile, diventi sempre più quel Nord che ci avvicina all'Europa. Anche nel Nord del Paese, però, il tema dell'occupazione femminile non va assolutamente sottovalutato nella necessità di essere implementato, anche perché - lo ricordavo prima - alle donne spesso vengono riconosciuti contratti precari e condizioni di assoluta difficoltà in termini di accesso al mercato del lavoro. L'impegno che dobbiamo assumerci tutti non è soltanto quello di una regolamentazione più chiara, più efficace - penso, ad esempio, ad una semplificazione delle forme contrattuali -, ma anche, una volta per tutte, pensare all'enorme investimento che dobbiamo fare sulle donne e sull'occupazione femminile. La questione femminile, per quanto mi riguarda, non è stata così centrale da tanto tempo; dobbiamo, a questo punto, sfruttare anche le risorse che abbiamo per un grande patto sociale che permetta a questo Paese di modernizzarsi, di crescere, di affrontare, anche culturalmente, questa discriminazione, ancora molto forte, ancora molto presente, che dobbiamo metterci alle spalle, soprattutto al fine di sfruttare l'opportunità di un grande piano straordinario di occupazione femminile che questo Paese, finalmente, deve fare proprio (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Serracchiani, grazie anche per le sue cortesi espressioni augurali. È iscritta a parlare l'onorevole Marrocco. Ne ha facoltà.

PATRIZIA MARROCCO (FI). Grazie, Presidente. Innanzitutto, è un piacere per me rinnovarle i nostri migliori auguri per il suo prestigioso incarico, le facciamo un grande in bocca al lupo. Passiamo alla mozione. Non è passato molto tempo da quando, meno di un anno fa, la Camera ha approvato varie mozioni a sostegno delle donne, volte a contrastare i fenomeni di violenza, le disparità salariali, il sostanziale peggioramento, nel nostro Paese, del divario di genere, eppure, ancora oggi, mancano i necessari interventi volti a dare una concreta attuazione agli impegni assunti. Le problematiche messe in luce dalle mozioni in discussione sono molte e molto gravi, soprattutto in considerazione dell'esplosione dell'emergenza epidemiologica da COVID-19. L'emergenza sanitaria è diventata un'emergenza socioeconomica, che ha colpito maggiormente i soggetti più vulnerabili, le donne, appunto.

Ora più che mai è necessario insistere con l'adozione di misure strutturali volte a favorire la creazione di un quadro certo, su cui le donne possono fare affidamento per la costruzione del loro progetto di vita. In una simile prospettiva, due sono le criticità sulle quali è davvero doveroso operare in maniera strutturale e di lungo periodo: il problema dei carichi familiari e la scarsa copertura dei servizi di asili nido e di scuole per l'infanzia, attuando politiche della famiglia indirizzate alla piena possibilità di poter armonizzare la vita familiare con la vita sociale, lavorativa e relazionale, affinché l'indispensabile sostegno al contrasto della denatalità possa svilupparsi anche attraverso l'implementazione di politiche di conciliazione dei tempi di lavoro con quelli della famiglia. Fra l'altro, una pronta ed efficace soluzione a tali problematiche avrebbe positive ricadute sull'altra fondamentale questione della presenza femminile nel mondo del lavoro. Le donne si trovano da anni a dover gestire la doppia presenza nell'ambito lavorativo e in quello familiare di cura dei figli, per non parlare poi dell'assistenza ai parenti anziani che si risolve in triplice impegno. Se già in precedenza la conciliazione dei tempi vita-lavoro per le donne richiedeva sacrifici assai costosi, l'epidemia ha spezzato i precari equilibri faticosamente raggiunti in molte famiglie italiane, con il risultato che tante donne si sono trovate a lavorare da casa, dovendo operare anche nell'istruzione dei figli, della loro salute, dei pasti e delle incombenze domestiche. Improvvisamente sono ricaduti sulle donne tutti quei lavori che avevano affidato alla scuola o ad altre figure parentali e non, come i nonni, le babysitter e le colf, con conseguenze nefaste sulla loro vita lavorativa. Le donne sono quelle che maggiormente soffrono nel settore occupazionale, con lavori più precari, salari a parità di mansioni inferiori rispetto agli uomini e la maggiore probabilità di essere licenziate. È una minaccia non solo ai progressi faticosamente raggiunti finora, ma anche un concreto pericolo per altre 47 milioni di donne e ragazze in tutto il mondo di ricadere sotto la soglia della povertà. In tal senso, i servizi per la prima infanzia costituiscono il pilastro delle politiche per l'occupazione femminile. In inglese si dice work-life balance e in Europa è diventato uno dei pilastri della strategia di parità di genere. Si tratta della conciliazione vita personale e lavoro che parte dall'esigenza di sollevare le donne dal lavoro di cura non pagato, di cui si fanno carico in modo nettamente sproporzionato rispetto agli uomini. L'Italia, come l'Europa, è dentro un progresso di trasformazione del mercato del lavoro e anche della definizione della cura. Di questa trasformazione stiamo seguendo ancora il corso e la crisi COVID-19 ha intaccato questo corso, seppure lento e non sempre lineare. Dal 2006 al 2020 l'occupazione femminile in Italia è cresciuta soltanto di 0,8 punti percentuali, passando dal 49,3 al 52,1, ma alla fine del 2020, a causa della pandemia, era di nuovo precipitata al 48,6 per cento. Secondo i dati Istat 2020, nel dicembre 2020 si sono persi 101 mila posti di lavoro, di cui 99 mila erano occupati da donne. In quasi la metà degli Stati membri europei, le donne trascorrono almeno il doppio del tempo a prendersi cura dei propri figli e della casa rispetto agli uomini. A fronte dello standard fissato a Barcellona, che prevedeva il raggiungimento del 33 per cento dei bambini e delle bambine di età inferiore a tre anni, iscritti a un servizio di cura dell'infanzia formale, e il 90 per cento per i bambini e le bambine tra i tre e sei anni, che doveva essere raggiunto entro il 2010, i servizi di cura per l'infanzia non sono allo stesso livello in tutta l'Unione europea: solo tredici Stati membri l'hanno raggiunto.

In Danimarca, la maggior parte dei bambini al di sotto dei tre anni è iscritta a un servizio di cura per l'infanzia a tempo pieno, seguita dal Portogallo e dalla Slovenia: in Italia siamo al 20 per cento, mentre Slovenia, Romania e Repubblica Ceca si distinguono per avere le percentuali più basse, rispettivamente l'1, il 2 e il 3 per cento. Durante la pandemia, uomini e donne non si sono assentati dal lavoro per la stessa quantità di tempo. In nessuno Stato membro, eccetto Cipro, si è registrata un'equivalenza e sempre a discapito delle donne. Le politiche di coesione hanno il ruolo e la responsabilità di intaccare questa situazione, che possiamo definire di recessione al femminile. Di fronte a tale fenomeno è urgente intervenire con un grande piano per le infrastrutture sociali, investendo ed assumendo nei servizi per l'assistenza e per l'educazione della prima infanzia, il tempo pieno e l'insegnamento di sostegno specializzato, individuando il fabbisogno delle stesse professionalità necessarie. Un simile intervento potrebbe agire da moltiplicatore, riducendo il sovraccarico di lavoro e di cura delle donne; si aumenterebbero così le loro probabilità di ingresso e permanenza nel mondo del lavoro. Al contempo, mi pare necessario agire su una maggiore condivisione del lavoro familiare fra uomini e donne, implementando il numero dei giorni dei congedi di paternità e la copertura dei congedi parentali. Per quanto concerne i servizi per l'infanzia, in Italia l'attuale dato, assolutamente degno di nota, è quello che riguarda la copertura territoriale dei servizi di asili nido e di scuole per l'infanzia, e le relazioni che intercorrono fra questo aspetto e l'occupazione femminile. La copertura dei servizi di asili nido e di scuole per l'infanzia del nostro Paese è scarsa; la media nazionale dei bambini che ne usufruiscono è del 20 per cento, con riduzioni drastiche se scendiamo giù al meridione, pari al 7 per cento circa dei bambini, a fronte di una media europea pari al 40 per cento. Devo evidenziare che qualche passo avanti lo si è fatto sul fronte dell'accesso ai servizi scolastici educativi, ma siamo ancora indietro rispetto agli altri Paesi del Nord Europa, non così indietro rispetto al mondo. In cima alla classifica delle parità ci sono paesi come Islanda, Norvegia, Finlandia e Svezia, e molto prima di noi ci sono Spagna, Irlanda, Nicaragua e Ruanda: è evidente che ci sia ancora molto da lavorare. In Italia fa ancora molta differenza - e può sembrare paradossale - essere uomo o donna in termini di lavoro, possibilità economiche e di carriera politica o dirigenziale. Questa non è soltanto una questione di giustizia sociale, ma di competitività di un Paese. L'assenza delle donne costituisce un'occasione sprecata, sia in termini sociali che di competitività del sistema Paese. Molteplici interventi legislativi hanno inciso sulla parità di genere nell'ambito lavorativo ed istituzionale, ma gli stessi interventi debbono essere garantiti anche sui tempi del lavoro, della cura della famiglia, sui servizi della famiglia e dell'infanzia, in virtù della stretta connessione della quale ho sin qui parlato, cioè fra detta situazione e una reale, paritaria, possibilità di accesso per le donne al lavoro. Dunque, dobbiamo ragionare in termini di innovazione, dei tempi e dei modi per includere le donne e non per escluderle. I temi che si connettono al protagonismo delle donne affondano le loro radici anche in ragioni di natura culturale: ritardo, sessismo, una forma mentis che, purtroppo, stentano ad essere scardinate. C'è ancora un profondo lavoro da svolgere sulle questioni di genere e i risultati raggiunti in questi anni sono tutt'altro che soddisfacenti. Abbiamo troppi segnali di un pensiero, di un modo di trattare la donna e di una modalità di approccio che sottende a una ben precisa cultura discriminatoria. Intervenire sulle radici culturali non è certamente un lavoro agevole, né tanto meno rapido; dobbiamo scardinare gli stereotipi e riformulare una cultura delle parità, riconoscendo le specificità ed il bagaglio valoriale del quale le donne sono portatrici. Restiamo uomini, restiamo donne: vogliamo essere uguali senza esserlo e senza che questo sia motivo di disparità (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Marrocco, ringrazio anche lei per le sue gentili espressioni augurali. È iscritta a parlare l'onorevole Scutellà. Ne ha facoltà.

ELISA SCUTELLA' (M5S). Grazie, Presidente. Oggi è il 22 marzo e proprio pochi giorni fa celebravano la festa della donna, l'8 marzo. Vi era un'unità di intenti nel celebrare la donna, nel rendere giustizia alla donna, però io mi chiedo come si sposa la data dell'8 marzo con i femminicidi che avvengono quotidianamente e a cui siamo costretti ad assistere? Come si sposa la data dell'8 marzo con una differenza salariale che ancora sussiste tra uomo e donna? Come si sposa l'8 marzo con le richieste di risarcimento avanzate da una società nei confronti di un'atleta che pare aver nascosto le proprie intenzioni di voler diventare madre? E come si sposa l'8 marzo con quelli che sono gli insulti, gli odiatori seriali che sono sempre di più e che, soprattutto sui social, si manifestano sempre di più? Dovete sapere che degli insulti che sono avvenuti nell'ultimo anno sui social, più della metà è rivolto alle donne. Che cosa viene detto alle donne? Viene detto: tornatene a casa, vai a fare la casalinga, come se poi fare la casalinga fosse qualcosa di negativo, come se dovesse assumere un'accezione negativa per forza, quando invece il lavoro della casalinga - perché, sì, è un lavoro! - è quello più importante, a cui noi dobbiamo come legislatori riconoscere un giusto ruolo. Tutti questi insulti, purtroppo, si accompagnano ad un altro dato inquietante e negativo, che coincide con il tempo, cioè il periodo della pandemia.

Nella pandemia e nel lockdown appena trascorso, nel primo lockdown, si è verificato un numero di femminicidi molto più elevato; si parla del 77 per cento in più. Questo significa che alcuni uomini - se così possono anche essere definiti - decidono di manifestare il proprio disagio psicologico dovuto al lockdown, scaturendo una violenza nei confronti delle proprie donne. Questi sono dati inquietanti e mentre il mondo va avanti, la società va sempre più avanti, la figura della donna rimane inchiodata ad alcuni retaggi culturali. Pensiamo, ad esempio, che la donna, ad oggi, ancora quando riceve un incarico prestigioso deve a volte giustificarsi. Ad oggi, è inutile nasconderci dietro un dito e bisogna esser sinceri, la donna quando decide di mettere al mondo un figlio - se e quando mettere al mondo un figlio - deve pensare: questo come può conciliarsi con l'attività lavorativa? La donna pensa e ripensa al fatto che mettere al mondo un figlio potrebbe comportarle la perdita del lavoro, e questo accade perché nonostante vi siano delle aziende virtuose che promuovono la donna in stato interessante, purtroppo sono delle mosche bianche. La maggior parte delle donne che ha dovuto dare delle dimissioni in bianco, secondo alcuni dati, ha dovuto interrompere il rapporto di lavoro nel periodo di gravidanza non per propria volontà ma per costrizione.

Se poi uniamo a tutto ciò il fatto che nel nell'ultimo anno su 101 mila posti di lavoro persi nel territorio nazionale, 90 mila sono - erano - occupati da donne, tutto ciò ci deve far riflettere. L'aspetto cruciale di questo, della violenza di genere della, della violenza fisica, psicologica, un aspetto cruciale, un nodo fondamentale è l'indipendenza economica. Molte donne pensano di non avere un'alternativa: o rimango in questa prigione con una persona, col mio aguzzino, con una persona che mi fa della violenza psicologica e fisica, oppure non so dove andare, non ho soldi per crearmi un'alternativa, non posso garantire un futuro ai miei figli. Quindi, una delle tante cose che bisogna fare per risolvere il problema è gettare delle basi concrete per superare questa dipendenza economica a cui sono soggette molte donne.

Però qualcosa è stato fatto. L'approvazione del “Codice rosso” - ricordo che il Movimento 5 Stelle ha fortemente voluto il “Codice rosso” e io, che sono stata impegnata in prima linea su questo provvedimento, ne sono fiera e orgogliosa - ha ricevuto molti apprezzamenti sia a livello nazionale che a livello internazionale. Soprattutto, ci sono dei dati specifici che testimoniano la forza e la concretezza del “Codice rosso”, perché il primo presidente della Corte di cassazione, durante l'inaugurazione dell'anno giudiziario, ha affermato che vi sono stati molti procedimenti definiti in Corte d'appello, riguardo ovviamente la materia di violenza di genere, proprio grazie al “Codice rosso”. Ricordo, che con il “Codice rosso”, uno delle tante cose, uno dei tanti obiettivi è stato quello di dare priorità ai reati che hanno come oggetto la violenza di genere, quindi si sono potuti definire tanti procedimenti, a differenza del, della situazione precedente all'introduzione del “Codice rosso”.

Oggi, con questa mozione, con la mozione del Movimento 5 Stelle, noi abbiamo richiesto diversi impegni e uno di questi impegni è che vengano dettate delle disposizioni concrete, dirette, affinché i condannati dei reati di violenza di genere, per poter accedere alla condizione della sospensione condizionale, debbano frequentare dei corsi a fini rieducativi, affinché si possa evitare, si debba evitare, ovviamente, una recidiva. Quindi, questo è un punto è un impegno che noi chiediamo attraverso la mozione del Movimento 5 Stelle. Un secondo impegno che chiediamo è quello concernente le case rifugio e i centri antiviolenza.

Innanzitutto serve un incremento di queste strutture perché, soprattutto nelle regioni meridionali centri antiviolenza e case rifugio sono veramente, rappresentano una cifra irrisoria; eppure sono delle strutture fondamentali per le vittime di violenza perché le vittime di violenza si recano lì e hanno bisogno di aiuto, di strumenti. Nonostante la presenza, poi, dobbiamo anche dotare, quando ci sono - perché denunciavo prima la bassa presenza - questi centri antiviolenza e queste case rifugio di strumenti idonei. Io stessa, quando sono andato a far visita in alcuni centri antiviolenza, mi è stato riferito che non si hanno gli strumenti idonei per poter aiutare le vittime che si rivolgono agli stessi centri antiviolenza o case rifugio. Basti pensare che su 30 milioni che sono stati finanziati a livello nazionale, solamente cinque regioni sono riuscite ad erogare i fondi.

Allora, attraverso questi impegni, quello che noi chiediamo con la mozione è che gli impegni debbano essere tutti concentrati sulla vera volontà di rendere giustizia alla donna, per arrivare un giorno, finalmente, a non dover fare una mozione per chiedere cose semplicissime, cose normali, bensì arrivare alla consapevolezza che la donna non è un soggetto fragile.

Quindi, sia sotto l'aspetto di politiche economiche, politiche sociali e culturali, questi tre aspetti devono essere il faro per questa mozione e gli impegni che abbiamo preso. Grazie mille (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. Grazie onorevole Scutellà. È iscritta a parlare l'onorevole Fregolent. Ne ha facoltà.

SILVIA FREGOLENT (IV). Grazie signor Presidente, anche a nome di Italia Viva auguri di buon lavoro; ci fa piacere vederla lì e so che opererà bene, con equilibrio, come in questi anni ha operato bene con equilibrio come parlamentare, quindi buon lavoro. Cercheremo di renderle facile il lavoro; siamo sanguigni, ma siamo anche educati, quindi riusciremo a farcela. Per quanto riguarda questa mozione, che sembra, come dire, discussa in tempi non puntuali visto che l'8 marzo è già passato, invece penso che mai come oggi sia puntuale discutere della questione femminile. Soprattutto, un pensiero va alle donne turche (Applausi) che stanno manifestando in questi giorni contro il loro Governo perché ha deciso di stralciare e buttare nel cestino la Convenzione di Istanbul; sembra quasi una follia visto che quella convenzione è stata proprio firmata in quel in quel Paese ed è stata il faro nella passata legislatura delle donne e di tutti gli schieramenti per fare una cosa unitaria, perché poi quando le donne si mettono insieme spesso superano le diversità politiche e riescono ad essere concrete. L'adesione dell'Italia alla Convenzione di Istanbul fu fatta nella passata legislatura per la volontà unanime delle donne di questo Parlamento, quindi un pensiero va a quelle donne che stanno lottando per la loro libertà, perché non venga deciso sui propri corpi, senza la loro volontà, che cosa fare in caso di violenza e anzi venga, vengano quasi impedite le denunce (perché poi quello è la finalità per uscire dalla Convenzione di Istanbul).

Questo è un Paese che ha avuto delle grandi donne, madri costituenti che hanno reso questo Paese, con orgoglio, un Paese anche per donne. Molti parlavano dei Paesi del Nord Europa, ma i paesi del Nord Europa hanno quei numeri perché hanno imposto delle leggi in tempi non sospetti. Nessun uomo, che sia tedesco, svedese, italiano e spagnolo, vuole cedere il posto a una donna e nessuna donna deve pretendere che un uomo lo ceda, ma deve pretenderlo per le sue capacità e devono esserci delle norme che stabiliscono, nero su bianco, il raggiungimento di determinati obiettivi.

Questa pandemia in quest'anno ha determinato ancora più sacrifici per le donne. E' stato ricordato da qualche collega prima: sono le donne maggiormente colpite nei posti di lavoro, sono le donne che hanno dovuto lasciare molto di più i posti di lavoro per occuparsi della famiglia, della cura dei propri cari, dell'educazione dei figli con la chiusura delle scuole. Le scuole in Italia sono rimaste troppo chiuse e, anche nei Paesi europei, dove la pandemia in questo momento è maggiormente avanzata, le scuole non si chiudono.

Questo perché chiudere le scuole - lo dico alla Ministra che so che ha condotto con noi questa battaglia quando facevamo parte del Governo giallo-rosso, ahimè, poco ascoltati, ma continueremo la battaglia - e tenere aperti i negozi è un segnale drammatico perché vuol dire, ai ragazzi, dare il segnale che loro valgono meno di una scatoletta di tonno, il che è una cosa assurda, perché la loro educazione, la capacità di stare a scuola, anche in un momento così drammatico, è un elemento educativo importante. Noi stiamo perdendo un'intera generazione di alunni, di studenti. È un mondo globale, dove il lavoro sarà sempre più globale, dove la formazione è globale e noi abbiamo fatto perdere ai nostri ragazzi molti più giorni di scuola degli altri Paesi.

Il nostro è un Paese buffo, strano, dove le donne laureate sono molto più numerose degli uomini, con delle cifre importanti, il 22,4 per cento contro il 16 per cento, però a questo aumento di istruzione non corrisponde un aumento di lavoro, perché le donne che lavorano a tempo indeterminato, in questo Paese, sono molte di meno degli uomini, perché le donne occupate sono il 42 per cento contro il 75 per cento degli uomini, e le donne occupate a tempo indeterminato sono il 31,3 contro la media europea del 41,5 per cento. Anche nella classifica internazionale dove si valuta il livello dell'essere una società a favore del gap gender, del gap dedicato alle donne, nel 2018 eravamo settantesimi su 153 Paesi e nel 2019 siamo scivolati al settantaseiesimo posto e per quanto riguarda la disparità di trattamento salariale siamo al centoventicinquesimo posto.

Fare una famiglia in questo Paese è molto complicato, perché mancano delle infrastrutture, l'ha detto prima la mia collega Serracchiani, ma sicuramente anche altre colleghe: mancano gli asili, le scuole per l'infanzia, mancano quei sostegni tipo la possibilità di avere delle babysitter per chi lavora e in questo caso il PNRR sarà una grande sfida, perché la parità di genere rappresenta una delle tre priorità trasversali di tutte le riflessioni e di tutte le missioni del PNRR. L'intero Piano dovrà essere valutato in un'ottica di gender mainstreaming e di un superamento delle disuguaglianze di genere che passa attraverso l'introduzione forte nel mercato del lavoro di quelle politiche che sono a sostegno della famiglia.

Ovviamente, noi siamo soddisfatti di quello che è stato fatto nella legge di bilancio del 2021 e ringrazio in particolare per questa sua opera la ministra Bonetti: l'introduzione del fondo per finanziare l'assegno universale per i figli, la decontribuzione totale per le nuove assunzioni di donne per due anni, l'aumento di congedo di paternità a dieci giorni, l'implementazione del Fondo per le politiche della famiglia per misure organizzative che favoriscano le madri che rientrano al lavoro dopo il parto, l'assegnazione di risorse aggiuntive al Fondo di sostegno al venture capital pari a 3 miliardi di euro per l'anno 2021 per sostenere investimenti nel capitale per progetti di imprenditoria femminile a elevata innovazione, l'incremento di un milione di euro del Fondo per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio volto a finanziare il reddito di libertà per favorire percorsi di autonomia e di emancipazione delle donne vittime di violenza in condizioni di povertà, l'istituzione del Fondo a sostegno dell'impresa femminile con dotazione di 20 miliardi di euro per ciascuno degli anni 2021-2022, destinato a promuovere e a sostenere l'imprenditoria femminile e il Fondo asili nido, scuole dell'infanzia e centri polifunzionali.

Queste sono alcune misure che danno la cifra di un cambiamento di attenzione e di questo, ovviamente, dobbiamo essere orgogliosi, noi come Parlamento, avendolo sostenuto e avendo lavorato tutti insieme perché questo si realizzasse. È ovvio che questo misure devono diventare strutturali, non possono essere uno spot una tantum, un bonus una tantum; abbiamo avuto, appunto, il bonus babysitter e la collega Serracchiani ricordava quanto fosse importante estenderlo anche alle lavoratrici dello smart working e questa è una di quelle cose che faremo sicuramente con i prossimi fondi, ma, come dicevo, i fondi provenienti dal PNRR sono fondamentali per dare definitivamente una direzione a questo Paese che sia più favorevole alla condizione della donna che vuole lavorare, che vuole creare una famiglia e che vuole emanciparsi.

Ancora oggi, in fondo, a quelle donne che decidono di lavorare si chiede la scelta tra il lavoro e la famiglia, cosa che non è più sostenibile, anche perché la denatalità, in questo Paese, sta raggiungendo dei livelli drammatici che determineranno poi, in fondo, una difficoltà per il welfare del futuro, se non implementato attraverso l'immigrazione, ma non si può pensare che un Paese sia così segnato dalla denatalità come l'Italia e sia segnato dalla denatalità perché non si hanno delle infrastrutture strutturali che consentono a ogni donna e a ogni famiglia di poter scegliere tranquillamente il proprio futuro.

Penso che questa mozione debba avere degli impegni certi; non bisogna valutare l'opportunità di fare, ma bisogna che ci siano degli obiettivi, dei raggiungimenti certi ed efficaci, uno su tutti la parità salariale. Il raggiungimento di questo obiettivo non è impossibile, non è utopico e probabilmente è il raggiungimento di un obiettivo che sta nei fatti. Durante la pandemia erano moltissime le donne in prima linea per la cura e per il sostegno dei nostri cari, dalle infermiere, ai medici, alle ricercatrici, le stesse che hanno individuato per prime il virus del COVID, donne italiane, e a loro deve essere data una risposta che non è soltanto: “siete degli eroi e vi siamo grati”, per poi dimenticarci il giorno dopo della fatica che hanno fatto in questi mesi nel conciliare un lavoro così delicato e anche pericoloso con la vita quotidiana della propria famiglia.

Allora, se una cosa ci ha insegnato questa pandemia è che nulla è definitivo, ma che bisogna dare a un Paese come il nostro, fantastico e stupendo come l'Italia, gli strumenti necessari per risorgere e per migliorare e spero che questa mozione abbia la complicità e la firma di tutti i gruppi, senza che ci sia bisogno di farne una per gruppo, perché, lo ripeto, le donne quando sono unite sono molto più convincenti degli uomini.

Quindi, mi auguro che tutte le forze politiche si raggruppino in un'unica mozione per dire, in maniera chiara e forte, alle donne che stanno fuori da quest'Aula e che chiedono una voce forte e univoca a noi parlamentari, che ci siamo, saremo vicini a loro e abbiamo capito la grande lezione che hanno dato al Paese in questi giorni, con la serietà e la tenacia nel curare i nostri cari e nel farlo con dignità e anche con un sorriso sulle labbra per dare l'ultima parola di conforto a cari che, altrimenti, vedevano la propria fine senza l'abbraccio dei parenti e l'ultimo sguardo che hanno visto era di quelle donne coraggiose che li hanno saputi confortare fino alla fine (Applausi).

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Fregolent, grazie anche a lei per gli auguri che mi ha rivolto.

È iscritta a parlare l'onorevole Azzolina. Ne ha facoltà.

LUCIA AZZOLINA (M5S). Presidente, deputate e deputati, la discussione della mozione di oggi recante iniziative a sostegno e a tutela delle donne rappresenta un'occasione importante. Sia chiaro, però, sbaglia chi pensa o chi leggerà questa mozione come un momento di ritualità che torna di tanto in tanto, perché di tanto in tanto è importante parlare di priorità delle donne, di parità di genere o dell'importanza del ruolo delle donne; attenzione, questi sono principi irrinunciabili e dovrebbero essere ribaditi giorno per giorno, ma di certo non basta questo e non basta solo questo in quest'Aula. In un articolo che ho letto recentemente su The Economist emerge uno spaccato della condizione femminile in riferimento, in particolare, all'emergenza sanitaria e sociale che stiamo vivendo, ma se lo leggiamo attentamente ci rendiamo conto che questa ha radici molto più profonde, ha radici nel passato, un passato per cui, nei secoli, le donne, di fatto, sono state soffocate nelle loro aspirazioni personali e professionali e nella loro crescita culturale. Di questo stiamo parlando ancora oggi, dell'allarme per una condizione che, di fatto, non è cambiata così tanto nel tempo, ma che anzi, oggi ancora di più, rischia di provocare degli arretramenti pericolosi a causa di forme di disuguaglianza che la pandemia ha creato, un passo indietro che rischia di essere drammatico per le aspirazioni professionali e personali delle donne.

Le donne hanno dovuto lottare per raggiungere e per ottenere determinati obiettivi. In passato, sono state spesso oggetto: oggetto del proprio padre, oggetto del proprio marito. Hanno dovuto lottare per il diritto di voto - in fondo, se pensiamo all'Italia, il 1946 è l'altro ieri, storicamente parlando -, hanno lottato per l'autodeterminazione del proprio corpo e per raggiungere livelli alti di professionalità; anche nella politica hanno dovuto lottare tanto.

A tal proposito, consentitemi una brevissima parentesi sulla notizia di questi giorni: la Turchia ha deciso di ritirarsi dalla Convenzione di Istanbul, un Trattato del 2011 che è stato voluto dagli Stati membri del Consiglio d'Europa per prevenire e combattere la violenza contro le donne, perché contro la violenza ancora oggi è necessario combattere. Quella decisione è stata gravida di conseguenze negative.

E come si combatte la violenza contro le donne? Come si educano i bambini, sin da piccoli, a combattere tutto ciò? Lo si fa grazie all'istruzione. In ogni Paese deve esser fatto così e questa è la strada che va percorsa. Pensiamo, per esempio, all'Italia cinquant'anni fa. L'Italia cinquanta anni fa vedeva soltanto il 49 per cento delle ragazze andare a scuola, a fronte del 71 per cento dei ragazzi. Oggi la quota, per fortuna, è molto più alta. L'Istat ci ha dato un rapporto prezioso, nel luglio 2020, riferendosi ovviamente ai dati del 2019, in cui ci dice che il livello di istruzione femminile nel Paese Italia è molto cresciuto. Le ragazze si diplomano molto di più rispetto ai ragazzi (64,5 per cento per le ragazze e 59,8 per cento per gli uomini); ma anche per quanto riguarda le lauree le ragazze si laureano di più dei ragazzi. Però, a fronte di tutto ciò, a fronte di un passo in avanti enorme che è stato fatto dal punto di vista dell'istruzione, dal punto di vista lavorativo la situazione è drammatica, perché il tasso di occupazione femminile è più basso rispetto a quello maschile, malgrado il livello di istruzione delle donne sia più elevato. Quindi, c'è un divario di genere e questo divario di genere è diventato ancora più grande a causa della pandemia: a dicembre abbiamo perso 101 mila posti di lavoro, di cui 99 mila erano di donne. Non se ne è parlato tanto e se ne deve parlare invece. Penso che se ne debba parlare tutti i giorni, perché il rischio che viviamo è un rischio profondo, attenzione, ed è un rischio anche insopportabile, che le madri, in particolar modo, ma anche le studentesse siano colpite dalla pandemia. Viviamo un rischio concreto di regressione e la regressione può portare a maggiore povertà. La regressione non può essere combattuta soltanto dalle donne per le donne, la regressione va combattuta da tutti quanti. Serve uno slancio di tutti; uomini e donne, senza distinzione, sono chiamati ad una grande responsabilità. Qual è questa responsabilità? La responsabilità è quella di porre in essere tutte le iniziative per far sì che certe pagine di storia non si ripetano più e che le donne possano essere veramente libere di studiare, libere di apprendere, libere di formarsi, libere di fare carriera, libere di essere ambiziose senza che debbano sentirsi in colpa, come spesso avviene, libere di essere occupate e libere di essere anche in gravidanza, perché oggi non si può accettare che essere in gravidanza ed avere una condizione di lavoro siano due termini antitetici. Infatti, una delle domande che ci si sente spesso ripetere quando si fa un colloquio di lavoro è: ma lei intende avere figli? Ecco, questa domanda una donna non dovrebbe più sentirsela dire (Applausi del deputato Dall'Osso).

E allora, per questo servono infrastrutture sociali. Allora, vediamo anche quella che può essere la pars construens di questo discorso. Abbiamo i soldi del Recovery Fund. Le infrastrutture sociali, asili e mense scolastiche, non sono un costo, come è stato sempre percepito - ahimè - in questo Paese, ma rappresentano un investimento, un investimento che ci permetterà di mettere da parte questo senso di ineluttabilità, questo senso per cui la situazione delle donne è talmente incancrenita che le cose non possono cambiare. Investimenti in mense scolastiche e investimenti in asili significa dare un moltiplicatore di crescita e di sviluppo immenso per il Paese, perché significherà, magari, più capacità occupazionale e più natalità. Allora, incentiviamo le donne a partecipare al mondo del lavoro. Questo incentivo imprimerà una forza dirompente all'economia del nostro Paese. Questa sarà la vera leva per garantire una sana democrazia egualitaria perché, come qualcuno giustamente ha detto, costruire cento asili in più, forse, potrà valere più di cento start-up in più. Allora, la Banca d'Italia ce l'ha detto chiaramente: avremmo un più 7 per cento del PIL, se avessimo il 60 per cento delle donne impiegate e non il 48,4 per cento, come oggi. Liberare il potenziale delle donne, avere più lavoro rosa significherà dare slancio all'economia del Paese, mettere il turbo al PIL. Allora, questa mozione rappresenta un impegno forte, che non può essere, però, soltanto a parole. Deve essere un impegno serio e concreto, da parte di tutti, a sostenere le donne in tutti gli ambiti, che sia nell'imprenditorialità, che sia nella parità retributiva, che sia nel rafforzare le forme di contrasto alla violenza e alla libertà di scelta e di autodeterminazione. Questo è un impegno che si realizza, mi sia consentito dirlo, valorizzando la scuola perché la scuola è, e resta, il luogo principe per l'eliminazione di ogni disparità, per l'eliminazione di ogni disuguaglianza nel Paese. Malala Yousafzai diceva: prendiamo in mano i libri e le nostre penne. Sono le nostre armi più potenti. Diamoli a tutti e permettiamo alle donne di questo Paese, alle donne italiane e non solo italiane, di essere considerate al pari di tutti gli altri, perché a giovarne non sarà la singola donna, o singole donne, ma sarà tutto il Paese (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. Non essendovi altri iscritti a parlare, dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

Il Governo intende intervenire o si riserva di farlo successivamente?

DEBORAH BERGAMINI, Sottosegretaria di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Grazie, Presidente, mi riservo di farlo successivamente.

PRESIDENTE. Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.

Interventi di fine seduta.

PRESIDENTE. Passiamo agli interventi di fine seduta. Ha chiesto di parlare l'onorevole Dall'Osso. Ne ha facoltà.

MATTEO DALL'OSSO (FI). Grazie, Presidente, e ancora in bocca al lupo per il suo nuovo incarico. Presidente, ho avuto questa idea e vorrei coinvolgere il Parlamento in questa idea, che è fattibile, e vorrei anche coinvolgere i ministeri interessati. Siccome sono diversi, vorrei spiegarle l'idea e qual è la proposta. Vede, Presidente, tutte le sere, alle 8 di sera, ci sono i telegiornali, con la conta delle morti e anche la conta dei contagiati di COVID. Ovviamente è giusto che le persone abbiano paura ma, oggi, possiamo anche utilizzare i vaccini, al fine appunto di prevenire la futura infezione da COVID. Ora l'idea che ho avuto - semplice e abbastanza ingegneristica - è di misurare quante sono le persone vaccinate. Quindi, vorrei interessare il Ministro competente, il Ministro per gli Affari regionali, Mariastella Gelmini, alla quale poi riferirò questo mio discorso, per fare in modo che tutte le sere, alle 18, tutte le ASL di tutte le città comunichino al presidente della propria regione quante sono state le persone vaccinate nella giornata corrente – quindi, dalle 18 del giorno precedente alle 18 del giorno corrente - affinché questo dato venga riportato al Ministro per gli Affari regionali, con l'appoggio del Ministero della Salute, al fine di sapere qual è la somma dei vaccinati nelle venti regioni, al fine di dire ai telegiornali quante sono le persone vaccinate nella giornata e al fine di mettere in correlazione quanti sono i nuovi contagiati e quanti sono i nuovi vaccinati. Poi, le polemiche stanno a zero su chi fa il vaccino: tutte le persone dovrebbero fare il vaccino. Ovviamente, c'è una polemica su chi deve fare prioritariamente i vaccini ma le polemiche stanno a zero: qui i vaccini si devono fare, punto. E si deve avere evidenza, le persone devono avere evidenza per non averne paura. Grazie, Presidente, e ancora in bocca al lupo per il lavoro.

PRESIDENTE. Grazie degli auguri. Era presente il sottosegretario Bergamini, che sicuramente riferirà al Governo.

Ha chiesto di parlare l'onorevole Lucaselli. Ne ha facoltà.

YLENJA LUCASELLI (FDI). Grazie, Presidente. Io vorrei portare all'attenzione di quest'Aula e alla sua, affinché possa, per suo tramite, arrivare al Presidente Fico, quanto è accaduto nelle ultime ore presso una centrale operativa territoriale di Cosenza dove vengono effettuati dei vaccini. Sappiamo, dalle testate giornalistiche, che c'è stata una sorta di incursione, non a favore di tutti i cittadini, ma soltanto per accertarsi che due persone anziane, vicine, diciamo, alla persona che è andata presso questo istituto, venissero vaccinate, tra l'altro con l'utilizzo della propria funzione istituzionale e con l'utilizzo di uomini delle istituzioni, che sono gli uomini della scorta, per prendere nota e per mettere a verbale i nomi e i cognomi di medici e operatori sanitari che da giorni, da almeno un anno, hanno dedicato tutta la loro vita al benessere comune dei cittadini italiani.

Noi crediamo che questi siano fatti gravissimi, che le istituzioni non possano utilizzare il proprio ruolo e soprattutto non possano utilizzare gli uomini della scorta per ottenere o per richiedere favori personali e, soprattutto, riteniamo che un rappresentante delle istituzioni non possa, in alcun modo, recarsi presso il centro, così come è stato fatto a Cosenza, insultando gli operatori sanitari. Io prego la signoria vostra di comunicare al Presidente Fico che il gruppo di Fratelli d'Italia intende intraprendere una serie di azioni affinché fatti come questi vengano fortemente condannati.

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Lucaselli. Sarà mia premura riferire al Presidente Fico le sue parole.

Ha chiesto di parlare l'onorevole Trano. Ne ha facoltà.

RAFFAELE TRANO (MISTO-L'A.C'È). Grazie, Presidente. Anch'io mi associo ai colleghi per augurarle buon inizio di incarico in questa prestigiosa veste.

Dunque, io intervengo a latere della discussione generale sulla mozione a sostegno della tutela delle donne per ricordare a quest'Aula che, il 15 gennaio scorso, nei pressi di San Francisco, è stata barbaramente uccisa una nostra connazionale, la trentaquattrenne Veronica De Nitto, originaria di Latina. La giovane si era trasferita negli USA dove lavorava e dove vive ancora la sorella. È stata uccisa in casa sua e l'autore dell'omicidio ha anche cercato di dare fuoco all'appartamento per cancellare le tracce. La polizia americana ha messo una taglia sull'ex fidanzato della vittima, di cui non c'è traccia e che gli inquirenti sospettano si sia rifugiato in Messico. Ai familiari della vittima non è giunta alcuna informazione dalle autorità statunitensi e, quel che è ancora più grave a mio avviso, nessun messaggio è pervenuto dalla Farnesina ai familiari, tant'è che al padre della trentaquattrenne, Luigi De Nitto, è stato impedito di recarsi in California per il funerale e gli è stato spedito un ciondolo con le ceneri della figlia. Addirittura dagli Stati Uniti non è stata fatta alcuna comunicazione ufficiale, tanto che al comune di Latina Veronica De Nitto risulta ancora viva. La famiglia De Nitto, una famiglia italiana, ha diritto a verità e giustizia. Un femminicidio di una nostra connazionale non può diventare un femminicidio di serie B solo perché è avvenuto all'estero.

È per tutte queste ragioni che chiedo al Ministro Luigi Di Maio di venire a riferire in quest'Aula sulla vicenda, invitandolo sin da ora a dare tutto il necessario sostegno ai familiari della vittima e ad attivarsi affinché un omicidio del genere non resti impunito. La Farnesina, quindi, batta un colpo perché siamo in fiduciosa attesa e, se non dovesse farlo, passeremo ad azioni più incisive.

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Trano, e grazie anche a lei per le sue cortesi espressioni.

Ordine del giorno della prossima seduta.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.

Martedì 23 marzo 2021 - Ore 11:

1. Esame e votazione della questione pregiudiziale riferita al disegno di legge:

Conversione in legge del decreto-legge 13 marzo 2021, n. 30, recante misure urgenti per fronteggiare la diffusione del COVID-19 e interventi di sostegno per lavoratori con figli minori in didattica a distanza o in quarantena.

(C. 2945​)

2. Seguito della discussione del disegno di legge:

S. 2077 - Conversione in legge del decreto-legge 29 gennaio 2021, n. 5, recante misure urgenti in materia di organizzazione e funzionamento del Comitato olimpico nazionale italiano (CONI) (Approvato dal Senato).

(C. 2934​)

Relatore: FUSACCHIA.

3. Seguito della discussione dei disegni di legge:

S. 1142 - Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica Italiana ed il Governo della Repubblica Kirghisa sulla cooperazione culturale, scientifica e tecnologica, fatto a Bishkek il 14 febbraio 2013 (Approvato dal Senato). (C. 2231​)

Relatrice: QUARTAPELLE PROCOPIO.

S. 1143 - Ratifica ed esecuzione della Carta istitutiva del Forum internazionale dell'Energia (IEF), con Allegato, fatta a Riad il 22 febbraio 2011 (Approvato dal Senato). (C. 2232​)

Relatrice: DI STASIO.

Ratifica ed esecuzione dell'Accordo sui servizi aerei tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica di Corea, con Allegato, fatto a Roma il 17 ottobre 2018. (C. 2415​)

Relatrice: DI STASIO.

S. 1239 - Ratifica ed esecuzione dei seguenti Protocolli: a) Protocollo addizionale alla Convenzione sul trasferimento delle persone condannate, fatto a Strasburgo il 18 dicembre 1997; b) Protocollo di emendamento al Protocollo addizionale alla Convenzione sul trasferimento delle persone condannate, fatto a Strasburgo il 22 novembre 2017 (Approvato dal Senato). (C. 2522​)

Relatore: FASSINO.

Ratifica ed esecuzione dell'Accordo di coproduzione cinematografica tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo degli Stati uniti messicani, con Allegato, fatto a Roma il 17 ottobre 2017. (C. 1768-A​)

Relatrice: QUARTAPELLE PROCOPIO.

S. 1085 - Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica di Corea sulla cooperazione nel settore della difesa, fatto a Roma il 17 ottobre 2018 (Approvato dal Senato). (C. 2524​)

Relatrice: QUARTAPELLE PROCOPIO.

4. Discussione della Relazione della Giunta per le autorizzazioni sulla domanda di autorizzazione all'acquisizione di tabulati di comunicazioni nei confronti del deputato Zicchieri. (Doc. IV, n. 9-A)

Relatore: DI SARNO.

5. Discussione della Relazione della Giunta per le autorizzazioni sulla richiesta di deliberazione in materia di insindacabilità, ai sensi dell'articolo 68, primo comma, della Costituzione, nell'ambito di un procedimento penale nei confronti di Stefano Esposito (deputato all'epoca dei fatti). (Doc. IV-ter, n. 11-A)

Relatore: PITTALIS.

6. Seguito della discussione del disegno di legge e del documento:

S. 1721 - Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l'attuazione di altri atti dell'Unione europea - Legge di delegazione europea 2019-2020 (Approvato dal Senato) (C. 2757​)

Relatore: DE LUCA.

Relazione consuntiva sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea (Anno 2019). (Doc. LXXXVII, n. 3)

Relatrice: IANARO.

7. Seguito della discussione delle mozioni Ianaro ed altri n. 1-00423, Rossello ed altri n. 1-00428 e Panizzut ed altri n.1-00435 concernenti iniziative volte a implementare la produzione e la distribuzione di vaccini anti Covid-19, anche attraverso l'autorizzazione temporanea della concessione di licenze obbligatorie .

8. Seguito della discussione delle mozioni Polidori ed altri n. 1-00433 e ElisaTripodi ed altri n. 1-00434 concernenti iniziative a sostegno e tutela delle donne .

9. Seguito della discussione delle mozioni Molinari ed altri n. 1-00414, Fregolent ed altri n. 1-00417, Prestigiacomo ed altri n. 1-00418 e Fornaro ed altri n. 1-00429 in materia di individuazione del deposito nazionale per il combustibile nucleare irraggiato e i rifiuti radioattivi .

La seduta termina alle 15,40.