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Resoconto dell'Assemblea

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XVIII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 456 di lunedì 25 gennaio 2021

PRESIDENZA DELLA VICEPRESIDENTE MARIA ROSARIA CARFAGNA

La seduta comincia alle 12.

SERGIO BATTELLI , Segretario f.f., legge il processo verbale della seduta del 22 gennaio 2021.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Amitrano, Ascani, Azzolina, Bergamini, Boccia, Bonafede, Boschi, Brescia, Buffagni, Casa, Cassinelli, Castelli, Cirielli, Colucci, Davide Crippa, D'Incà, D'Uva, Dadone, De Carlo, De Micheli, Del Re, Delmastro Delle Vedove, Delrio, Di Stefano, Fassino, Ferraresi, Gregorio Fontana, Fraccaro, Franceschini, Frusone, Gallinella, Gelmini, Giachetti, Giacomoni, Giorgis, Grimoldi, Gualtieri, Guerini, Invernizzi, L'Abbate, Liuni, Liuzzi, Lollobrigida, Lorefice, Losacco, Maggioni, Marattin, Mauri, Molinari, Morani, Morassut, Nardi, Orrico, Paita, Parolo, Perantoni, Ribolla, Rosato, Rotta, Ruocco, Sarli, Serracchiani, Carlo Sibilia, Sisto, Spadafora, Spadoni, Speranza, Tateo, Tofalo, Traversi, Valbusa, Vignaroli, Villarosa, Raffaele Volpi e Zoffili sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.

I deputati in missione sono complessivamente ottanta, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza, che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna).

Annunzio della nomina di un sottosegretario.

PRESIDENTE. Comunico che, in data 22 gennaio 2021, il Presidente del Consiglio dei Ministri ha inviato al Presidente della Camera la seguente lettera: “Gentile Presidente, informo la S.V. che il Presidente della Repubblica, con proprio decreto in data odierna, adottato su mia proposta, sentito il Consiglio dei Ministri, ha nominato sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri l'ambasciatore Pietro Benassi.

Con viva cordialità, firmato: Giuseppe Conte”.

Discussione congiunta del disegno di legge e del documento: S. 1721 - Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l'attuazione di altri atti dell'Unione europea - Legge di delegazione europea 2019-2020 (Approvato dal Senato) (A.C. 2757); Relazione consuntiva sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea (Anno 2019) (Doc. LXXXVII, n. 3).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione congiunta del disegno di legge, già approvato dal Senato, n. 2757: Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l'attuazione di altri atti dell'Unione europea - Legge di delegazione europea 2019-2020; e della Relazione consuntiva sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea (Anno 2019) (Doc. LXXXVII, n. 3).

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta del 22 gennaio 2021 (Vedi l'allegato A della seduta del 22 gennaio 2021).

(Discussione congiunta sulle linee generali – A.C. 2757 e Doc. LXXXVII, n. 3)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione congiunta sulle linee generali.

Il presidente del gruppo parlamentare MoVimento 5 Stelle ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.

La XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire il relatore sul disegno di legge di delegazione europea 2019-2020, onorevole Piero De Luca.

PIERO DE LUCA, Relatore sul disegno di legge n. 2757. Signor Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, a nome della XIV Commissione politiche dell'Unione europea, nella seduta odierna sono chiamato a riferire sul disegno di legge di delegazione europea che, come è noto, rappresenta, insieme al disegno di legge europea, uno gli strumenti legislativi che assicurano il periodico adeguamento all'ordinamento dell'Unione europea, in base alle disposizioni di cui alla legge n. 234 del 2012 sulla partecipazione dell'Italia alla formazione e all'attuazione della normativa e delle politiche dell'Unione.

Prima di procedere all'illustrazione dei contenuti del disegno di legge in esame, ricordo che lo stesso è stato approvato dal Senato il 29 ottobre 2020, dopo un approfondito dibattito che ne ha ampliato e arricchito sensibilmente il contenuto sulla base di un confronto che ha visto un coinvolgimento preliminare anche dei gruppi di maggioranza della Camera dei deputati.

In particolare, ricordo che, nel corso dell'esame in prima lettura, è stato modificato il titolo del disegno di legge in legge di delegazione europea 2019-2020, al fine di inserirvi il riferimento anche all'annualità 2020. Sono stati inoltre inseriti 9 nuovi articoli ed altri sono stati modificati, mentre nell'allegato A sono state inserite sei nuove direttive oggetto di recepimento.

Il successivo iter del disegno di legge presso questo ramo del Parlamento è stato spedito e tempestivo. L'esame è iniziato presso la XIV Commissione nella seduta dell'11 novembre scorso e si è concluso, una volta acquisite le relazioni favorevoli di tutte le Commissioni di merito, nonché i pareri del Comitato della legislazione e della Commissione parlamentare per le questioni regionali, nella seduta del 17 dicembre 2020, nel corso della quale il testo è stato licenziato senza apportarvi alcuna modificazione. La ragione di tale esito è rinvenibile essenzialmente nell'esigenza di una tempestiva approvazione del disegno di legge, onde scongiurare il rischio di incorrere nell'apertura di procedure di precontenzioso o d'infrazione per il ritardo nell'adeguamento all'ordinamento dell'Unione europea.

Per queste ragioni, in via preliminare, prima di passare all'illustrazione del disegno di legge, formulo l'auspicio che esso possa essere celermente approvato anche da questa Assemblea. Passando al contenuto del testo in esame, ricordo che esso consta ora di 29 articoli, che recano disposizioni di delega riguardanti il recepimento di ben 38 direttive europee inserite nell'Allegato A, nonché l'adeguamento della normativa nazionale a 17 regolamenti europei. L'articolato contiene inoltre principi e criteri direttivi specifici per l'esercizio della delega relativa a 18 direttive. Rinviando, per motivi di sintesi, alla documentazione predisposta dagli uffici ai fini della disamina dettagliata del testo, mi limito a ricordare che l'articolo 1 reca, come di consueto, la delega generale al Governo per dare attuazione alle direttive contenute nel citato Allegato A. La formulazione della norma risulta, in questa occasione, integrata con il riferimento anche al rispetto dei criteri specifici di delega e con l'estensione della delega anche all'attuazione di altri atti europei, come i regolamenti indicati nell'articolato. Rammento inoltre, per la rilevanza sistematica, che tra i principi e criteri direttivi generali di delega elencati nell'articolo 32, figurano tra gli altri la semplificazione dei procedimenti, il divieto di gold plating, ossia i livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive, nonché la previsione di sanzioni penali solo per la tutela di interessi costituzionalmente protetti. Novità particolarmente degna di attenzione è la cosiddetta clausola COVID-19, inserita al comma 1 dell'articolo nel corso dell'esame al Senato, secondo la quale, nell'adozione dei decreti legislativi, il Governo dovrà tenere altresì conto delle eccezionali conseguenze economiche e sociali derivanti dalla pandemia da COVID-19. L'articolo 2 prevede poi la consueta delega legislativa per l'adozione di disposizioni recanti sanzioni penali o amministrative per le violazioni di obblighi discendenti da precetti europei non trasfusi in leggi nazionali. L'articolo 3 reca principi e criteri direttivi per l'attuazione della direttiva 2018/08 sui servizi di media audiovisivi, da realizzare mediante modifiche al Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici (decreto legislativo n. 177 del 2005). Ricordo che tale direttiva apre la strada a un contesto normativo più equo per il settore in causa, compresi i servizi on demand e le piattaforme di condivisione video, rafforzando - ed è molto importante in questa fase storica - la tutela dei minori e la lotta contro l'incitamento all'odio, promuovendo le produzioni europee e garantendo l'indipendenza dell'autorità di regolamentazione del settore. Al riguardo, ricordo altresì che la norma è stata modificata nel corso dell'esame al Senato, nell'ottica di una maggiore tutela dei minori da contenuti potenzialmente nocivi presenti sulla rete Internet, contro l'utilizzo dei media per la diffusione di fake news, per contenere il livello sonoro delle comunicazioni commerciali e per adeguare le disposizioni sanzionatorie. L'articolo 4 contiene principi e criteri direttivi per l'attuazione della direttiva 2018/1972, che istituisce il codice europeo delle comunicazioni elettroniche. Il codice rifonde in un unico testo le quattro preesistenti direttive in materia di telecomunicazioni e stabilisce un quadro aggiornato della disciplina delle reti e dei servizi e i compiti delle autorità nazionali di regolamentazione, in vista dello sviluppo delle nuove reti 5G ad alta velocità. L'articolo 5 reca poi principi e criteri direttivi per l'attuazione della direttiva 2018/2001, la cosiddetta RED II, sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili. I principali principi e criteri direttivi riguardano una disciplina per l'individuazione delle aree idonee e non idonee all'installazione di impianti a fonti rinnovabili, la semplificazione delle procedure autorizzative, la disciplina dell'autoconsumo e dei sistemi di accumulo, l'aggiornamento e il potenziamento dei meccanismi di sostegno alla produzione di energia da fonti rinnovabili e dei meccanismi di sostegno ai combustibili alternativi nei trasporti, la promozione della mobilità sostenibile e dell'utilizzo dell'idrogeno verde nell'industria siderurgica e chimica. Le stesse tematiche sono trattate anche dagli articoli 12 e 19, relativi rispettivamente alla disciplina del mercato interno dell'energia elettrica e alla preparazione ai rischi nel settore dell'energia. In questo ambito ricordiamo però che, tra gli specifici criteri di delega, è da segnalare quello che prevede l'esclusione, a partire dal 1° gennaio 2023, dagli obblighi di miscelazione al combustibile diesel olio di palma o di soia, disposizione queste introdotta nel corso dell'esame al Senato e sulla quale potrebbe risultare opportuno un ulteriore approfondimento, anche attraverso la discussione di un apposito ordine del giorno.

L'articolo 6 detta principi e i criteri direttivi, poi, per l'attuazione della direttiva (UE) 2019/1 in materia di mercato interno, che conferisce alle Autorità garanti della concorrenza degli Stati membri poteri di applicazione più efficaci, garantendo alle medesime Autorità l'indipendenza, le risorse e i poteri di esecuzione e le sanzioni necessari per affrontare efficacemente gli accordi e le pratiche delle società che limitano la concorrenza all'interno della propria giurisdizione.

L'articolo 7 si occupa, poi, dell'attuazione della direttiva (UE) 2019/633 in materia di pratiche commerciali sleali nei rapporti tra imprese della filiera agricola e alimentare, che introduce elementi di maggiore trasparenza a beneficio della stessa filiera e dei consumatori finali. Tra i principi e i criteri direttivi, evidenzio in particolare quelli inerenti all'Autorità di vigilanza; in dettaglio, in particolare, la designazione dell'Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agroalimentari quale autorità nazionale di contrasto, deputata alla vigilanza sulle disposizioni che disciplinano le relazioni commerciali in materia di prodotti agricoli, sull'applicazione della disposizione in esame e sull'applicazione delle relative sanzioni.

L'articolo 8 reca principi e i criteri direttivi per l'attuazione della direttiva (UE) 2019/789, che stabilisce norme sull'esercizio del diritto d'autore e diritti connessi volti a promuovere la fornitura transfrontaliera di servizi online accessoria a determinati tipi di programmi radiotelevisivi, nonché l'agevolazione della ritrasmissione di determinati programmi televisivi e radiofonici provenienti da altri Stati membri effettuata da soggetti diversi rispetto all'organismo di diffusione che ha emesso la trasmissione iniziale.

L'articolo 9 contiene principi e i criteri direttivi per l'attuazione della direttiva (UE) 2019/790, a tutela del diritto d'autore e diritti connessi nel mercato unico digitale, tra i quali segnalo i seguenti: l'obbligo di disciplinare le eccezioni o le limitazioni ai fini dell'estrazione di testo e dati, garantendo adeguati livelli di sicurezza delle reti e delle banche dati, nonché definire l'accesso legale ed i requisiti dei soggetti coinvolti; prevedere che nel caso di utilizzo online delle pubblicazioni di carattere giornalistico da parte del prestatore di servizio della società di informazione trovino adeguata tutela i diritti degli editori, tenendo altresì in debita considerazione i diritti degli autori di tali pubblicazioni; stabilire, poi, modalità e criteri, anche variabili in base ai diversi settori e al genere di opera, per l'esercizio da parte di un autore o di un artista del diritto di revoca totale o parziale della concessione in licenza o del trasferimento in esclusiva dei propri diritti per un'opera o altri materiali protetti; definire, poi, un profilo di responsabilità in capo ai prestatori di servizio di condivisione online di contenuti, con particolare riferimento al livello di diligenza richiesto al fine di ritenere integrato il criterio dei massimi sforzi. Al riguardo, rilevo che la traduzione in italiano di questa locuzione è differente rispetto a quella che riscontriamo in altre versioni linguistiche, quali quella francese e inglese; sarà necessario prevedere un'uniformizzazione, un'armonizzazione di questa locuzione per disciplinare gli standard di diligenza professionale di settore volti a ottenere un'autorizzazione, per assicurare che siano disponibili opere e altri materiali specifici per i quali abbiano ricevuto le informazioni pertinenti e necessarie dai titolari dei diritti d'autore.

L'articolo 10 reca principi e criteri direttivi specifici per l'attuazione alla direttiva (UE) 2019/878 e per l'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2019/876. Il primo atto integra e modifica la direttiva (UE) 2013/36 e il secondo è il regolamento (UE) 575/2013 che, insieme, definiscono un sistema armonizzato di requisiti minimi riferiti al capitale e ad altri strumenti che una banca deve detenere affinché si possa ritenere che sia in grado di operare in condizioni di sicurezza e di far fronte autonomamente alle perdite operative.

L'articolo 11 detta princìpi e criteri direttivi per l'attuazione della direttiva (UE) 2019/879 che modifica la direttiva (UE) 2014/59, in materia di capacità di assorbimento di perdite e di ricapitalizzazione degli enti creditizi e delle imprese di investimento, nonché per l'adeguamento della normativa nazionale al regolamento (UE) 806/2014, che fissa norme e una procedura uniformi per la risoluzione degli enti creditizi e di talune imprese di investimento nel quadro del meccanismo di risoluzione.

L'articolo 12 detta principi e criteri direttivi per l'attuazione della direttiva (UE) 2019/944, relativa a norme comuni per il mercato interno dell'energia elettrica, in coordinamento, come ricordavamo, con quelle per la promozione delle fonti rinnovabili. L'articolo 13 indica principi e criteri direttivi per l'attuazione della direttiva (UE) 2019/1160 e per l'adeguamento al regolamento (UE) 2019/1156, volti ad apportare modifiche al Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, al fine di facilitare la vendita e la gestione transfrontaliera di fondi di investimento e favorire la creazione del mercato unico dei fondi di investimento.

L'articolo 14 delega il Governo all'adeguamento della normativa nazionale al regolamento (UE) 2016/429, in materia di malattie animali trasmissibili; il Regolamento fornisce un quadro giuridico generale rivedendo e abrogando la precedente normativa europea composta da circa 50 atti normativi.

L'articolo 15 fornisce, poi, la delega per l'adeguamento dell'ordinamento nazionale al regolamento (UE) 2017/745, concernente i dispositivi medici, e al regolamento (UE) 2017/746, concernente i dispositivi medici diagnostici in vitro. La normativa è finalizzata a rendere disponibili dispositivi sicuri, efficaci e innovativi, in grado di apportare benefici alla salute dei cittadini.

L'articolo 16 fornisce la delega per l'adeguamento dell'ordinamento nazionale al regolamento (UE) 2017/1991, relativo ai fondi europei per il venture capital e per l'imprenditoria sociale, al fine di rafforzare l'accesso al credito da parte delle piccole e medie imprese.

L'articolo 17 fornisce, poi, la delega per l'adeguamento al regolamento (UE) 2019/518, relativo alle commissioni applicate sui pagamenti transfrontalieri nell'Unione e sulle conversioni valutarie. In particolare, si prevede la definizione delle sanzioni per le violazioni degli obblighi informativi sulle commissioni valutarie, limitandone l'applicabilità ai casi a carattere vincolante, secondo criteri definiti dalla Banca d'Italia.

L'articolo 18 fornisce la delega per l'adeguamento al regolamento (UE) 2019/881, relativo all'Agenzia dell'Unione per la cybersicurezza e l'articolo 19 prevede la delega per l'adeguamento dell'ordinamento nazionale al regolamento (UE) 2019/943 sul mercato interno dell'elettricità e al regolamento (UE) 2019/941 sulla preparazione ai rischi nel settore dell'energia elettrica.

L'articolo 20 fornisce la delega per l'adeguamento al regolamento (UE) 2019/1238, relativo al prodotto pensionistico individuale paneuropeo, ossia un prodotto pensionistico individuale di previdenza complementare ad adesione volontaria, con caratteristiche armonizzate su base europea.

L'articolo 21 reca principi e criteri direttivi per l'attuazione della direttiva (UE) 2019/1153 che reca disposizioni per agevolare l'uso di informazioni finanziarie a fini di prevenzione, accertamento, indagine o perseguimento di determinati reati, abrogando la decisione 2000/642/GAI del Consiglio.

L'articolo 22 reca principi e criteri direttivi per l'attuazione della direttiva (UE) 2019/904 sulla riduzione dell'incidenza di determinati prodotti di plastica sull'ambiente. L'articolo 23 introdotto al Senato reca, invece, principi e criteri direttivi per l'attuazione della direttiva (UE) 2019/1937, riguardante la protezione delle persone che segnalano violazioni del diritto dell'Unione, al fine di valorizzare e dare uniformità alle normative nazionali sul tema, attualmente assai eterogenee o frammentarie.

L'articolo 24 si occupa, poi, dell'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2019/2088, relativo all'informativa sulla sostenibilità nel settore dei servizi finanziari.

L'articolo 25 reca principi e criteri direttivi per l'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2017/2402, che stabilisce un quadro generale per la cartolarizzazione e instaura un quadro specifico per cartolarizzazioni semplici, trasparenti e standardizzate.

L'articolo 26 - siamo quasi in conclusione - reca principi e criteri direttivi per l'attuazione della direttiva (UE) 2019/2162, relativa alle emissioni di obbligazioni garantite e alla vigilanza pubblica delle obbligazioni garantite e per l'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2019/2160 per quanto riguarda le esposizioni sotto forma di obbligazioni garantite.

L'articolo 27 reca principi e criteri direttivi per l'attuazione della direttiva (UE) 2019/2034, relativa alla vigilanza prudenziale sulle imprese di investimento e per l'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) 2019/2033, relativo proprio ai requisiti prudenziali delle imprese di investimento.

L'articolo 28 reca principi e criteri direttivi per l'attuazione della direttiva (UE) 2019/1159, concernente i requisiti minimi di formazione per la gente di mare, che abroga la direttiva (UE) 2005/45, riguardante il reciproco riconoscimento dei certificati rilasciati dagli Stati membri alla gente di mare.

Infine, l'articolo 29 reca principi e criteri direttivi per l'attuazione della direttiva (UE) 2019/1151, relativa all'uso di strumenti e processi digitali nel diritto societario. Tra i principi e i criteri direttivi segnalo l'impegno a consentire la forma telematica per la costituzione di società a responsabilità limitata e società a responsabilità limitata semplificata, aventi sede in Italia e capitale versato mediante conferimenti in denaro.

In conclusione, nel rivolgere un sentito ringraziamento a tutti i colleghi, al presidente della XIV Commissione, alla sottosegretaria Agea e al Ministro Amendola, per il lavoro svolto sia nella XIV Commissione, in confronto col Governo, sia presso le Commissioni di settore, rinnovo l'auspicio di una tempestiva approvazione del disegno di legge, che potrà, peraltro, essere corredato dall'approvazione o dall'accoglimento da parte del Governo di ordini del giorno, volti a perfezionare o integrare talune questioni oggetto del disegno di legge stesso.

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire la relatrice sulla Relazione consuntiva sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea, onorevole Ianaro.

ANGELA IANARO, Relatrice sul Doc. LXXXVII, n. 3. Grazie, Presidente. A nome della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea), nella seduta odierna sono chiamata a riferire sulla Relazione consuntiva sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea relativa all'anno 2019, che è stata presentata dal Governo in adempimento degli obblighi fissati dalla legge 24 dicembre 2012, n. 234. Ricordo, infatti, che il Governo è tenuto a trasmettere al Parlamento, ogni anno, un documento che fornisca tutti gli elementi conoscitivi necessari per valutare la partecipazione dell'Italia all'Unione europea nell'anno precedente. Si tratta, pertanto, del principale strumento per una verifica ex post dell'attività svolta dal Governo e della condotta assunta nelle sedi decisionali europee nel quadro di una costante interlocuzione e di un raccordo con il Parlamento su tali temi.

La Relazione consuntiva relativa al 2019 è stata trasmessa al Parlamento il 18 maggio 2020, a quasi tre mesi dalla scadenza del termine del 28 febbraio, previsto, ai fini della presentazione, dalla legge n. 234 del 2012. A questo proposito, segnalo l'importanza del rispetto della tempistica per la presentazione del documento, che, oltre a rendere più efficace la valutazione dell'azione svolta dal Governo a livello europeo nell'anno di riferimento, è strumentale ad una corretta articolazione temporale della fase programmatica e dell'attuazione degli orientamenti nel quadro delle procedure definite dalla legge n. 234.

L'esame della Relazione per il 2019 avviene oggi in un contesto profondamente stravolto e segnato dalla pandemia da COVID-19, che ha reso necessaria l'adozione di misure eccezionali ed inedite a livello europeo, che hanno interessato la maggior parte delle politiche per fronteggiare le pesanti conseguenze economiche e sociali. La pandemia ha, inoltre, influito sulle iniziative in attuazione degli orientamenti di carattere strategico e sull'andamento del negoziato sul nuovo quadro finanziario pluriennale 2021-2027, a cui la Relazione fa riferimento in più parti. Il nuovo bilancio, che sarà integrato dall'associato programma Next Generation EU per contrastare gli effetti economici e sociali della pandemia da COVID-19 e per promuovere la ripresa dell'Europa sulla base della trasformazione verde e digitale dell'economia, avrà un impatto trasversale sulle politiche.

La Relazione consuntiva per il 2019, che, analogamente alle precedenti è articolata in quattro parti e cinque allegati, presenta una struttura complessivamente coerente con le previsioni legislative relativamente agli strumenti di partecipazione dell'Italia all'Unione europea. La prima parte della Relazione è, dunque, dedicata agli sviluppi del processo di integrazione europea e alle questioni istituzionali, caratterizzate, in primo luogo, dal rinnovo delle principali istituzioni europee in connessione con l'avvio del nuovo ciclo 2019-2024 e dall'entrata in operatività della nuova ripartizione dei seggi del Parlamento europeo a seguito dell'uscita del Regno Unito dall'Unione europea, che comporta per l'Italia un aumento dei seggi da 73 a 76. Il documento dà conto, inoltre, della posizione del Governo italiano in favore dello svolgimento della Conferenza sul futuro dell'Europa, posizione che è stata successivamente esplicitata nel non-paper approvato dal Comitato interministeriale affari europei il 14 febbraio 2020.

La seconda parte, che rappresenta la parte più consistente della Relazione, è invece dedicata alle politiche orizzontali e settoriali.

La parte terza, che riguarda l'attuazione delle politiche di coesione economica, sociale e territoriale, evidenzia l'avanzamento finanziario misurato in termini di rapporto percentuale tra spesa certificata al 31 dicembre 2019 e risorse programmate nell'ambito degli obiettivi tematici.

La parte quarta si occupa delle questioni riguardanti il coordinamento nazionale delle politiche europee.

Di particolare interesse sono i dati relativi ai flussi di atti e documenti trasmessi dal Governo alle Camere, ai sensi dell'articolo 6 della legge n. 234 del 2012, nell'ambito del cosiddetto meccanismo di informazione qualificata. Su oltre 6.874 atti e documenti dell'Unione europea presi in esame dal Dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei Ministri, 36 progetti di atti legislativi e 271 atti di natura non legislativa sono stati segnalati dal Governo alle Camere in ragione della loro particolare rilevanza e del potenziale interesse per il Parlamento. La Relazione fornisce altresì elementi di informazione sul contenzioso. Al 31 dicembre 2019, risultavano aperte a carico dell'Italia 77 procedure di infrazione: 66 per violazione del diritto dell'Unione e 11 per mancato recepimento di direttive. Rispetto al 31 dicembre 2018, le procedure a carico dell'Italia sono aumentate di sette unità, confermando il trend in crescita dal 2017 in avanti. Particolare preoccupazione destano le procedure su cui la Corte ha già pronunciato la sentenza di condanna ai sensi dell'articolo 260 del Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea, con conseguenze finanziarie.

Al 31 dicembre 2019, l'Italia aveva già pagato sanzioni pecuniarie di circa 655 milioni di euro per cinque procedure di infrazione. Occorre, pertanto, proseguire e incrementare gli sforzi per la definizione e la risoluzione delle procedure di infrazione a carico dell'Italia, ai fini della conclusione delle procedure attualmente pendenti ai sensi dell'articolo 258 e 260 del Trattato.

Il documento, infine, dà conto dei seguiti ai documenti finali approvati nel 2019 dalle competenti Commissioni della Camera e del Senato in esito all'esame di atti europei. La Relazione non prende in considerazione gli atti di indirizzo approvati dal Parlamento in occasione dello svolgimento delle comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri rese in vista dei Consigli europei, che pure contribuiscono alla definizione degli orientamenti su specifiche questioni in corso di negoziazione. Appare, pertanto, opportuno tener conto di tali atti, al fine di rafforzare ed agevolare ulteriormente la capacità di verifica della coerenza dell'azione del Governo nelle sedi europee con gli orientamenti dettati dal Parlamento.

In conclusione, Presidente, rivolgo un sentito ringraziamento a tutti i colleghi per il lavoro svolto sia nella XIV Commissione sia presso le Commissioni di settore, che hanno esaminato il documento, esprimendo un parere favorevole.

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire la rappresentante del Governo. Prego, sottosegretaria Agea.

LAURA AGEA, Sottosegretaria di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Grazie, Presidente. Onorevoli deputate e deputati, il momento che ci apprestiamo a vivere con la fase di approvazione della legge di delegazione europea è estremamente importante perché si inserisce in un momento cruciale che rappresenta non solo l'appartenenza dell'Italia all'Unione europea in una fase estremamente complessa di questo momento, ma, soprattutto, perché ha riportato il Paese, l'Italia, al centro dei tavoli europei, con una partecipazione efficace, con una presenza costante e con una autorevolezza che mai, prima d'oggi, negli ultimi anni, si era vissuta. Vorrei ringraziare, prima di tutto, i relatori - l'onorevole Piero De Luca per quanto riguarda la legge di delegazione e l'onorevole Ianaro per quanto riguarda la Relazione sull'appartenenza dell'Italia all'Unione europea - per l'ottimo lavoro di collaborazione, per gli intensi momenti anche di confronto e di dialogo che hanno visto la fase preparatoria nelle Commissioni competenti, per il lavoro svolto e per la grande collaborazione, così come rivolgo un ringraziamento a tutti gli onorevoli deputati che hanno partecipato a questo lavoro.

La legge di delegazione europea rappresenta, insieme al disegno di legge europea, uno dei momenti fondamentali e degli strumenti fondamentali di adeguamento all'ordinamento dell'Unione europea, introdotti con la legge n. 234. Questo testo si compone attualmente di 29 articoli e di un allegato A, nel quale sono indicate 38 direttive europee oggetto di recepimento. Il testo contiene, inoltre, disposizioni di adeguamento alla normativa nazionale a 17 regolamenti europei.

Dato che i relatori hanno esplicitato in maniera sufficientemente chiara, vorrei utilizzare il tempo che mi è consentito e mi è concesso per focalizzare il mio intervento su alcuni punti fondamentali che stanno alla base di questo atto che verrà licenziato dal Parlamento. In particolare, vorrei dedicare attenzione all'articolo 3 che reca principi e criteri direttivi nell'attuazione della direttiva sui servizi media audiovisivi.

La norma è stata modificata nel corso dell'esame al Senato, nell'ottica di una maggiore tutela dei minori dai contenuti potenzialmente nocivi presenti sulla rete Internet, contro l'utilizzo dei media per la diffusione di fake news, per contenere il livello sonoro delle comunicazioni commerciali e per adeguare le disposizioni sanzionatorie. Oggi più che mai ritengo che l'approvazione di questa direttiva sia estremamente importante, alla luce anche dei tanti fatti di cronaca che hanno visto veramente la necessità - e vedono ancor di più la necessità - di operare in questo settore.

Inoltre l'articolo 5, che reca princìpi e criteri direttivi per l'attuazione della direttiva sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili. L'articolo contiene 25 criteri di delega, i principali princìpi e criteri direttivi riguardano la disciplina per l'individuazione delle aree idonee e non idonee per l'installazione di impianti a fonti rinnovabili, la semplificazione delle procedure autorizzative, la disciplina dell'autoconsumo e dei sistemi di accumulo, l'aggiornamento e il potenziamento dei meccanismi di sostegno alla produzione di energia da fonti rinnovabili e dei meccanismi di sostegno ai combustibili alternativi nei trasporti; inoltre, la promozione della mobilità sostenibile e dell'utilizzo dell'idrogeno verde nell'industria siderurgica e chimica. Credo che, anche in previsione dell'utilizzo delle risorse del Next Generation EU, che ha proprio nella svolta verde e nella sostenibilità ambientale una delle sue principali direttrici, l'approvazione di questo atto renderà veramente ancora più efficaci questi obiettivi che l'Italia si prefigge di raggiungere.

Inoltre, l'articolo 7, che reca princìpi e criteri direttivi per l'attuazione della direttiva in materia di pratiche commerciali sleali nei rapporti tra imprese della filiera agricola e alimentare, che introduce elementi di maggiore trasparenza a beneficio della stessa filiera e dei consumatori finali. Vorrei ringraziare anche per il raggiungimento di questo ambizioso obiettivo tutti quelli che vi hanno contribuito, tutte le Commissioni, perché tutelare il made in e la nostra filiera agroalimentare diventa oggi più che mai un obiettivo non solo ambizioso, ma indispensabile e necessario.

Inoltre, l'articolo 9 contiene princìpi e criteri direttivi per l'attuazione della direttiva a tutela del diritto d'autore e i diritti connessi nel mercato unico digitale, tra i quali disciplinare le eccezioni o le limitazioni ai fini dell'estrazione di testo e dati, garantendo livelli di sicurezza delle reti, prevedere che nel caso di utilizzo online delle pubblicazioni di carattere giornalistico da parte dei prestatori di servizio delle società di informazione trovino adeguata tutela i diritti degli editori, ma che si vengano a tenere in debita considerazione anche i diritti degli autori di tali pubblicazioni, definire un profilo di responsabilità in capo ai prestatori di servizio, stabilire le modalità e i criteri, anche variabili in base ai diversi settori e al genere di opera, per l'esercizio da parte di un autore o di un artista del diritto di revoca, totale o parziale, della concessione di licenza o del trasferimento in esclusiva dei propri diritti, per un'opera o per altri materiali protetti, nell'ipotesi di mancato sfruttamento dell'opera o di altri materiali protetti. Anche qui mi preme ringraziare le Commissioni, il lavoro svolto al Senato, perché l'attuazione della direttiva porterà l'Italia a raggiungere un obiettivo ambizioso in quella che è una riforma necessaria come quella del copyright.

Inoltre, riveste particolare importanza l'articolo 12, che detta i princìpi e i criteri direttivi per l'attuazione della direttiva relativa a norme comuni per il mercato interno dell'energia elettrica, in coordinamento con quelle per la promozione delle fonti rinnovabili. In particolare, questa direttiva ha l'obiettivo di promuovere l'accesso ai mercati dell'energia elettrica, lo sviluppo dell'autoconsumo e la diffusione dei sistemi di accumulo, tra cui quelli di ricarica dei veicoli elettrici.

Mi preme, inoltre, soffermarmi sull'articolo 23, che reca princìpi e criteri direttivi per l'attuazione della direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio del 23 ottobre 2019, riguardante la protezione delle persone che segnalano violazioni del diritto dell'Unione (whistleblowing), al fine di valorizzare e dare uniformità a normative nazionali sul tema attualmente assai eterogenee e frammentarie. A tal proposito, voglio sottolineare che in questo ambito l'azione dell'Italia si era già portata molto in avanti con addirittura maggiore ambizione rispetto ai criteri indicati dalla direttiva stessa e quindi, per certi aspetti, ovviamente eravamo più ambiziosi grazie proprio a una proposta di legge votata da questo Parlamento, una legge a prima firma Francesca Businarolo, e che soprattutto ha visto in Europa, in seno al Consiglio, l'attività e l'azione forte del Ministro Bonafede, che ha veramente chiesto ambizione e che ovviamente è stato ascoltato, e oggi questa direttiva, che vedrà rafforzare l'ordinamento nazionale, già ambizioso, ci permetterà veramente di proteggere e tutelare tutti quei soggetti che rilevano e denunciano gravi violazioni all'interno soprattutto della pubblica amministrazione.

Mi soffermo brevemente su quella che è la Relazione consuntiva sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea, ringraziando la relatrice Ianaro per il lavoro svolto, per l'ottima collaborazione. Ovviamente l'approvazione di questa relazione si inserisce anch'essa nell'ottica di uno scenario europeo profondamente cambiato e sconvolto dalla pandemia, i cui effetti a tutti i livelli si manifestano costantemente e richiedono anche che l'Europa e l'Italia adeguino quelli che sono i loro standard e tutte le azioni fatte fino a prima della pandemia, per poter contenere e gestire gli effetti, ma soprattutto per dare una prospettiva di rilancio all'intero continente. L'appartenenza all'Unione europea oggi più che mai significa una condivisione di valori. Se i punti che erano stati inseriti nella relazione consuntiva erano già di per sé ambiziosi e rappresentavano quella che era la volontà dell'Italia di essere incisiva a livello europeo, tutta l'azione, che è conseguita alla pandemia, dell'Italia in seno all'Europa ha dimostrato credibilità e ha dimostrato anche che certi paradigmi si possono cambiare.

Gli interventi che l'Italia ha chiesto a livello europeo per la gestione della pandemia oggi sono una realtà, una realtà che richiede un continuum e un'azione costante e continua proprio per vederli realizzati. Mi riferisco in particolare allo strumento di Next Generation EU, che sarà ovviamente affiancato a quello che è il Quadro finanziario pluriennale e che darà ovviamente una liquidità ingente all'Italia, per poter non solo contenere gli effetti della pandemia, ma anche per permettere al Paese di programmare e progettare un nuovo volto del nostro Paese. Noi dobbiamo non solo affrontare l'emergenza, ma progettare il futuro. Lo dobbiamo proprio perché Next Generation EU è un programma che si riferisce ai giovani. Non dimentichiamo mai che il fine ultimo del nostro agire deve essere l'attenzione ai giovani e ogni sforzo deve iniziare proprio con il mettere al centro i giovani, le generazioni future. Ritengo che l'operato dell'Italia in seno all'Europa in questo sia stato non solo ambizioso, ma anche efficace. Non dimentichiamo che questo strumento oggi è uno strumento reale grazie all'operato di questo Governo, grazie all'operato del Presidente Conte e noi dobbiamo, perché ne abbiamo assolutamente il dovere, approvare quanto prima questo provvedimento, perché ci inserisce in maniera ambiziosa all'interno del dibattito europeo.

Nel ringraziare quindi i relatori, le Commissioni competenti e tutte le onorevoli deputate e tutti gli onorevoli deputati, io veramente sollecito, proprio anche in virtù di quello che ricordava la relatrice Ianaro, l'approvazione di questo documento. Non dobbiamo perdere di vista quello che la relatrice sottolineava in maniera estremamente corretta: non possiamo permetterci ritardi, perché tali ritardi portano l'Italia all'apertura di nuove procedure di infrazione, e già quelle che sono aperte pesano sul bilancio dell'Italia, sul bilancio dei cittadini. Quindi, noi dobbiamo veramente con urgenza approvare questo documento, in maniera tale da poter fornire al Governo le deleghe per la messa a terra dei decreti attuativi. Ringrazio il Presidente e gli onorevoli deputati.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Papiro. Ne ha facoltà.

ANTONELLA PAPIRO (M5S). Grazie, Presidente. Colleghe e colleghi, vorrei subito ricordare che il provvedimento oggi in discussione in quest'Aula rappresenta, insieme al disegno di legge europea, un passaggio importante per il nostro Paese, in quanto è uno degli strumenti legislativi che assicurano il periodico adeguamento all'ordinamento dell'Unione europea; un'Europa che, grazie al contributo di questo Governo, ha cambiato marcia rispetto al passato e che ora si muove nella giusta direzione. Un provvedimento significativo, soprattutto in fase di crisi pandemica, che ci ricorda come gli Stati membri della UE debbano adeguare la propria legislazione nazionale a quella comunitaria attraverso un processo che deve essere costante nel tempo. La continuità nell'utilizzo di questi strumenti negli anni ci ha dimostrato come abbiamo migliorato, in parte, lo stato del contenzioso verso l'Italia: da marzo 2013 le procedure d'infrazione mosse dalla UE nel tempo hanno avuto una consistente diminuzione, e questo è un dato importante da evidenziare.

Tra i 29 articoli che compongono la legge di delegazione europea vorrei, però, concentrarmi sull'articolo 22, introdotto dal Senato, che riguarda la riduzione dell'incidenza di determinati prodotti di plastica sull'ambiente. Tengo a specificare che il MoVimento 5 Stelle è sempre stato dalla parte dell'ambiente, al punto che questa tematica rappresenta una delle sue stelle, e siamo stati sempre coerenti nello schierarci contro la plastica monouso e tutti i prodotti inquinanti. Inoltre, ci siamo sempre fatti promotori dell'educazione al consumo responsabile: solo educando i cittadini al rispetto della bellezza della natura e della responsabilità che consegue nel doverla tutelare si possono raggiungere risultati reali e concreti. I nostri mari, la nostra terra, le nostre foreste, la flora e la fauna sono un bene troppo prezioso per non averne cura; per noi è sempre stata chiara la necessità di una conversione green del sistema produttivo e di un'applicazione virtuosa dell'economia circolare. Vogliamo regalare alle future generazioni un'Italia plastic free che rispetti l'ambiente, lotti contro i cambiamenti climatici e contribuisca a salvare il nostro pianeta. In tal senso, ricordiamo che l'approvazione da parte del Consiglio UE della direttiva del 2018, che vieta proprio da quest'anno i prodotti di plastica monouso, ha segnato una prima grande vittoria per tutti i cittadini, oltre che per l'ambiente.

Secondo i dati della Commissione europea, lo stop eviterà danni ambientali per un costo equivalente a 22 miliardi di euro entro il 2030 e i consumatori risparmieranno fino a 6,5 miliardi. Posso già dire in premessa, con grande soddisfazione, che l'articolo 22 della legge di delegazione europea, oggetto di questa discussione, e che riguarda principalmente la limitazione dell'utilizzo di materiale inquinante, come la plastica, è stato inserito nel 2019 grazie ad un nostro emendamento che è stato concordato da tutti i membri della Commissione ambiente del MoVimento 5 Stelle. Si tratta di una norma da noi fortemente voluta, che rappresenta un passo avanti verso la sostenibilità ambientale e che ha l'obiettivo di prevenire e ridurre l'impatto sull'ambiente di determinate tipologie di plastica. In pratica, si va a sostituire la plastica monouso con la bioplastica per tutti quei contenitori che non possono essere riutilizzati; ciò impatterà positivamente sull'ambiente, in quanto si andranno a ridurre tutti questi prodotti di plastica usa e getta, come cannucce, palloncini, piatti, bicchieri, agitatori per bevande, e permetterà la conversione delle aziende.

E' una svolta epocale che ha inciso e inciderà in maniera sostanziale sull'inquinamento dei nostri mari, tutelando le specie che lo abitano. A proposito dei palloncini, va ricordato lo studio della University of Tasmania che li mette al terzo posto tra i rifiuti più pericolosi per foche, tartarughe e uccelli marini. Un dato che rende bene l'idea di questi oggetti, di quanto questi oggetti, per molti innocui, siano invece tra i più inquinanti e letali per il pianeta. Inoltre, tra i principi e criteri direttivi specifici segnalo quelli riguardanti la transizione verso un'economia circolare. Il nostro Paese si appresta a mettere in campo un'importante strategia sulla gestione dei rifiuti che ci proietterà, da qui ai prossimi anni, grazie appunto all'economia circolare, a mettere definitivamente alla porta non solo gli inceneritori, ma qualsiasi altro sistema che non prevede il recupero di materie prime. L'impulso dell'uso di prodotti sostenibili e riutilizzabili, anche attraverso la loro messa a disposizione a favore del consumatore finale, previa opportuna definizione delle loro caratteristiche tecniche; la previsione di una disciplina sanzionatoria, con devoluzione dei proventi al potenziamento delle attività di controllo: queste misure sono in perfetta continuità con il Green Deal europeo, la nuova strategia di crescita adottata dalla Commissione UE volta a far sì che l'Europa diventi il primo continente a impatto climatico zero entro il 2050. Il Green Deal contribuirà, in questo senso, a trasformare l'Unione Europea in un'economia moderna, efficiente sotto il profilo delle risorse, competitiva, e in cui nel 2050 non siano più generate emissioni nette di gas a effetto serra. Poi vanno ricordati i circa 70 miliardi del Piano di ripresa e resilienza, il grande cantiere della messa in sicurezza del Paese contro il dissesto idrogeologico, le tante infrastrutture di prossimità già finanziate e la nuova frontiera energetica fatta di efficienza, rinnovabili e idrogeno.

Il piano del Recovery, che a breve sarà discusso e migliorato qui in Aula, è composto da varie missioni; la numero 2 è proprio la rivoluzione verde e la transizione ecologica. Uno spettro ampio che, scorrendo il documento, riguarda i grandi temi dell'agricoltura sostenibile, dell'economia circolare, della transizione energetica, della mobilità sostenibile, dell'efficienza energetica degli edifici, delle risorse idriche e dell'inquinamento. Sull'agricoltura sostenibile e l'economia circolare è previsto un investimento complessivo di 6,3 miliardi, per il settore energia rinnovabile, idrogeno e mobilità sostenibile gli investimenti salgono a 18,2 miliardi, mentre sono di 29,35 miliardi per l'efficienza energetica e riqualificazione degli edifici, con la grande opportunità del superbonus 110 per cento a fare da volano dell'economia. Infine, 15 miliardi vanno alla tutela del territorio e della risorsa idrica.

Concludo, ricordando che, grazie al grande lavoro del nostro Ministro Costa, abbiamo lavorato per estendere questa sensibilità ai luoghi di lavoro, alla vita quotidiana delle famiglie, invitando a fare a meno della plastica monouso e, in generale, ad adottare nel vivere quotidiano comportamenti ambientalmente più sostenibili. Lo abbiamo fatto con campagne mirate sulle spiagge, con il supporto della Guardia costiera e dei carabinieri del CUFA, ma anche promuovendo l'educazione ambientale nelle scuole, consapevoli della necessità e dell'urgenza di investire sulle nuove generazioni. Ad oggi possiamo ritenerci soddisfatti di un lavoro già avviato, che abbiamo intenzione di proseguire, per rendere questo Paese più green e sostenibile sotto tutti gli aspetti, così come il MoVimento 5 Stelle ha sempre preteso e voluto (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Giglio Vigna. Ne ha facoltà.

ALESSANDRO GIGLIO VIGNA (LEGA). Grazie, Presidente. Come sempre, la Lega cerca di procedere verso il miglioramento di questi provvedimenti che passano attraverso i rami del Parlamento. Noi oggi, purtroppo, abbiamo già sentito il relatore vantarsi della celerità con la quale questo provvedimento è passato all'esame delle Camere ma lasciateci dire che, dal nostro punto di vista, questa celerità, Presidente, gentile rappresentante del Governo qui presente, onorevoli colleghi, è forse un qualcosa di anomalo per quella che è la democrazia parlamentare.

Infatti, ancora una volta abbiamo visto intanto solo un ramo del Parlamento lavorare su questo provvedimento, lavorare con una effettiva possibilità di migliorare questi due atti, e l'altro ramo dover, per così dire, prenderne atto. E quindi è per questo che, chiaramente, non possiamo che non iniziare con un atto di biasimo verso le parole di soddisfazione verso la celerità dell'atto, del passaggio in questo ramo del Parlamento. Questa è una democrazia parlamentare su base bicamerale e, come democrazia parlamentare su base bicamerale, gli atti dovrebbero essere analizzati appunto sul principio del bicameralismo perfetto.

Iniziamo dai temi ambientali. Noi, come dicevo, abbiamo provato a migliorare questo provvedimento, sia al Senato e, pur sapendo che il provvedimento arrivava blindato, come abbiamo detto, qui alla Camera dei deputati, abbiamo cercato comunque di migliorarlo; abbiamo prodotto dei documenti, degli emendamenti e degli ordini del giorno, per sensibilizzare l'Aula, per sensibilizzare il Governo su alcuni temi.

La Relazione sulla partecipazione italiana all'Unione europea del 2019, caro Governo e gentile Presidente, arriva oggettivamente un po' in ritardo, nel senso che, dalla fine del 2019 ad oggi, lo possiamo dire, è cambiato il mondo e, quindi, ci soffermeremo poco sulla partecipazione consultiva dell'Italia all'Unione europea. Sottolineiamo appunto che abbiamo cercato di migliorare questo provvedimento, abbiamo cercato di migliorarlo e abbiamo portato alcuni nostri apporti.

Iniziamo, come dicevo, colleghi, dall'aspetto ambientale. C'è un emendamento, che noi riteniamo importante, prodotto dalla Lega. Questo emendamento chiede di posticipare l'Accordo di programma per l'adozione coordinata e congiunta di misure per il miglioramento della qualità dell'aria nel bacino padano; stiamo parlando, quindi, dei valori di qualità dell'aria. È un accordo che le regioni dell'area nord del Paese, del settentrione del Paese, hanno fatto con lo Stato centrale e con gli enti locali. È un accordo che prevede che, tra le altre cose, vi sia un blocco di tutte quelle auto che non sono Euro 6, un blocco di tutte quelle auto su città e comuni con un certo numero di abitanti, sopra i 15 mila abitanti; quindi stiamo parlando, di fatto, di tutta la maggior parte del territorio interessato.

Ecco, noi pensiamo che questo accordo di programma, che nei fatti può essere anche considerato giusto, può essere anche considerato un accordo valido, oggi non trovi un riscontro in quello che è il mondo reale, perché oggi siamo nel mezzo di una pandemia. Essere nel mezzo di una pandemia, oltre a parlare con la mascherina in Aula, vuol dire anche alcune cose che tutti sappiamo: intanto c'è una profondissima crisi economica in atto, forse la peggiore crisi economica, anzi la peggiore crisi economica dal dopoguerra ad oggi, dalla fine della Seconda guerra mondiale. Quindi, questo accordo prevede inevitabilmente due cose: uno, che i cittadini debbano prendere i mezzi pubblici; e due, che i cittadini che non possono, per motivi di lavoro, prendere i mezzi pubblici, i cittadini, o le aziende e le imprese, debbano inevitabilmente cambiare la propria vettura, cambiare la propria macchina. Siamo nel mezzo di una crisi economica, molti cittadini non possono permetterselo e, forse, ancora di più, molte imprese oggi non possono, banalmente, permettersi un prezzo di questo tipo, un costo di questo tipo.

E poi vi è un altro grande e importante argomento, parlando del blocco del traffico riferito agli Euro 4, in questo accordo di programma fra enti locali, regioni e Governo, e questo altro grande argomento riguarda, ovviamente, gli assembramenti e, quindi, riguarda il trasporto pubblico locale. Sì, perché molti cittadini che non possono, non potranno più entrare dentro le città - e non stiamo solo parlando delle metropoli, ma stiamo parlando anche delle piccole cittadine dell'area settentrionale del Paese - inevitabilmente dovranno usare i mezzi pubblici. In questa fase di pandemia, molti cittadini, oggi, a nostro parere con coscienza di causa di quello che sta succedendo nel Paese e nel mondo, hanno già scelto di optare momentaneamente, fino alla fine della situazione emergenziale, di muoversi con mezzi privati. Ecco, qui c'è di nuovo un problema: il problema degli assembramenti. L'obiettivo, oggi, qual è? L'obiettivo, oggi, è quello di andare a svuotare il più possibile tutti quei luoghi che, inevitabilmente, attraggono persone, andare a creare più spazi. Ed è evidente che, se lo Stato decide, nel rispetto di questo accordo legittimo e con obiettivo futuribile anche buono, ma se lo Stato decide oggi di bloccare gli Euro 6 e di far partire immediatamente questo accordo, che cosa succede? Succede che si creano più assembramenti sui mezzi pubblici. Cerchiamo di mettere buon senso, cerchiamo di creare più spazi e non occupare più spazi possibili. C'è già stata una vittoria delle regioni, delle opposizioni, qui in Parlamento, e degli enti locali, perché c'è già stata una proroga di questo accordo, c'è già stata la proroga della realizzazione di questo accordo. Ecco, questo emendamento, l'emendamento a prima firma del collega Belotti, chiede di posticipare alla fine dello stato di emergenza l'accordo di programma per l'adozione coordinata di misure per il miglioramento della qualità dell'aria nel bacino dell'area padana.

E quindi passiamo ad un altro maxi-argomento, che vogliamo sottoporre all'Aula oggi. È una notizia di due giorni fa e noi abbiamo cercato, abbiamo provato a produrre, in questo poco tempo, del materiale su questa notizia. In realtà, è una indiscrezione, abbiamo cercato di far entrare questo argomento all'interno dell'analisi di questo atto, anche per cercare di aggiornare e portare un attimo, come dire, il dibattito più sull'immediato, il dibattito su quello che sta succedendo in questi giorni. È una indiscrezione, quindi non è neanche una notizia che arriva dal Governo italiano. È un'indiscrezione che non arriva da Roma, arriva da Bruxelles. Ecco, pensate come i parlamentari devono apprendere le notizie: non direttamente dal Governo, ma da indiscrezioni che arrivano dalle sedi europee. E allora, l'Italia - dice questa indiscrezione - intende gestire i 13,5 miliardi stanziati dalla UE per il 2021 e 2022, per lo strumento del REACT-EU, a livello centrale, cioè escludendo i programmi operativi regionali. Lo hanno confermato fonti europee vicine al dossier.

E questa è un'ANSA del 23 di gennaio. Secondo queste fonti, sarebbe la prima volta in 25 anni che verrebbe fatta una scelta di questo genere da parte di Roma, da parte del Governo italiano. E secondo la stessa fonte, che non è ancora stata smentita dal Governo italiano, l'approccio va ovviamente controcorrente rispetto a quanto sono orientati a fare gli altri grandi Paesi europei, come Parigi, Madrid, e naturalmente la federalista Germania, Berlino, dove i Governi nazionali hanno comunicato di voler assegnare una porzione significativa dei fondi ai programmi regionali. E poi subito dopo, pochi minuti dopo, le stesse fonti di Bruxelles battono un'altra agenzia: quest'altra agenzia dice che anche per il Recovery si avrebbe la stessa intenzione.

Ecco, forse oggi se vogliamo parlare e svecchiare un po' questa discussione, dobbiamo chiedere, attraverso gli strumenti che ci sono permessi (emendamenti e ordini del giorno), qual è l'intenzione del Governo in merito a questa situazione e qual è l'atteggiamento del Governo su queste indiscrezioni. Perché è ovviamente inutile ribadire quanto gli enti locali, le regioni, i comuni, grandi e piccoli, hanno fatto in questo ultimo anno, quanto i nostri sindaci, i nostri governatori si siano impegnati nella lotta contro la pandemia e quanto sia auspicabile e quanto sia moderno un Paese che va nella direzione dell'autonomia regionale, dell'autonomia dei comuni, degli enti locali. Perché? Ma semplicemente perché si sa: dal piccolo si riesce a governare meglio. E quindi queste indiscrezioni, questa linea sarebbe decisamente a nostro parere irrispettosa verso gli enti locali che molto hanno fatto, come dicevo, in questa fase; sarebbe irrispettosa verso le regioni che tantissimo hanno fatto in questa fase.

Questa è una fase di discussione generale: non bisognerebbe alzare i toni, Presidente, e non intendo neanch'io alzare i toni in questa fase, una fase più forse di riflessione rispetto a quella delle dichiarazioni di voto. Però è chiaro che mi sento di parlare a nome del mio partito, ma a nome dei tanti sindaci e dei tanti rappresentanti dei territori, anche a livello regionale, che ho sentito in questi giorni. È chiaro che i territori, le regioni e noi come Lega non siamo disposti ad aspettare, e non siamo disposti ad accettare un cosiffatto rigurgito di centralismo statale, come mai, mai nella storia di questo Paese è stato fatto. E quindi noi lo annuncio, lo diciamo: metteremo le barricate su questa questione, metteremo le barricate su questo accentramento incredibile da parte dello Stato centrale; sempre che lo Stato centrale lo voglia in un qualche modo confermare, oppure cadrà dall'alto, quando queste indiscrezioni diventeranno poi realtà.

Passo ad un ultimo argomento, un ordine del giorno a cui teniamo molto: un ordine del giorno che va ad analizzare la situazione, questa legge che stiamo approvando in quest'Aula. Questa legge parla anche di situazioni mediche, di situazioni inerenti l'aspetto sanitario. Ecco, noi abbiamo preparato un ordine del giorno impegnativo su cui abbiamo lavorato molto anche dal punto di vista tecnico. Abbiamo prima di tutto osservato molto la situazione della vaccinazione nei Paesi occidentali, in realtà in tutto il mondo, ma a noi preme in quest'Aula oggi sottolineare l'aspetto del mondo occidentale. Noi non possiamo fare a meno di rilevare due particolari. Il primo è che, nelle ultime due settimane, le ditte farmaceutiche hanno operato una riduzione delle consegne agli Stati nazionali. Secondo noi l'Italia ha fatto troppo poco, l'Italia ma anche l'Unione europea: sia a livello di Unione, di Commissione europea, sia a livello di Governo italiano si doveva fare di più. Permettetemi di dire che forse la reazione dell'Italia è stata un po' troppo lenta. Forse, il fatto che la riduzione delle dosi che stanno arrivando nel nostro Paese sia coincisa temporalmente con la pseudo-crisi di Governo delle ultime due settimane ha distratto un po' il Governo italiano da questa situazione.

Sottosegretario, mi rivolgo a lei attraverso la Presidenza, e onorevoli colleghi: quando le ditte farmaceutiche dicono “riduciamo di una certa percentuale” - e questa percentuale è importante - il numero di dosi di vaccino che arrivano nel nostro Paese, noi non vorremmo vedere funzionari del Ministero o sottosegretari o, con tutto il rispetto, il Ministro della salute o il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale muoversi in direzione delle case farmaceutiche: noi vorremmo vedere tutto il Governo e il Primo Ministro muoversi, andare fisicamente presso le singole case farmaceutiche, chiedere che gli accordi vengano rispettati, e questo è un fatto. Forse, siete stati più impegnati a cercare senatori che a cercare dosi per vaccinare gli italiani (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier).

Il mondo occidentale, tutto il mondo occidentale, è davanti a noi: la tanto vituperata Gran Bretagna. Avete cercato in ogni modo di non far passare la notizia che il Regno Unito…Insomma, è chiaro che, in questo momento del “dopo Brexit”, a molti non è andato giù il fatto che il Regno Unito sia partito ben un mese prima dell'Unione europea. Il Regno Unito è partito un mese prima di noi; Israele ha vaccinato un quarto della popolazione; è partito il Canada; gli Stati Uniti hanno già un paio di vaccini in distribuzione; poi subito dopo la Federazione Russa. E l'Europa? L'Europa è lenta. L'Europa è lenta: lo dicono i media internazionali, lo dice il resto del mondo; l'Europa si è incartata sulla propria burocrazia. E anche l'EMA (l'ente che, sappiamo, deve andare ad approvare i vaccini) si è incartata sulla propria burocrazia.

Allora, con forza, nel tentativo di svecchiare, di dare un tono a questo provvedimento che sta passando in Aula quest'oggi, noi chiediamo al Governo di attivare tutti gli strumenti in proprio possesso presso la Commissione europea al fine di fare in modo che l'EMA concentri tutte le proprie risorse, e in particolare ovviamente il Comitato per i medicinali per uso umano dell'EMA, per completare in modo celere, in modo veloce, per completare con la stessa velocità con cui gli altri enti del mondo occidentale, FDA in primis e l'ente di riferimento della Gran Bretagna, stanno facendo, quindi per completare le valutazioni che stabiliscono, per consenso, che vi sono dati sufficienti riguardo alla qualità, alla sicurezza e all'efficacia dei vaccini e che le sperimentazioni sono state, quindi, concluse. Ci raccomandiamo - ci raccomandiamo - di andare nella direzione e fare pressioni sull'EMA e sull'Unione europea, perché ovviamente, come sappiamo, finché non - permettetemi di dirlo - finirà la campagna vaccinale inevitabilmente non potremo ritornare alla vita di tutti i giorni, non potremo tornare alla vita normale. Quindi, che l'Europa si dia una mossa su questo tema e che l'Europa, se vuole essere centrale nell'ambito del dibattito mondiale e se vuole ripartire insieme agli altri partner occidentali, sia celere, perché gli Stati europei ne hanno bisogno, gli Stati europei hanno bisogno di un ente veloce che permetta delle vaccinazioni rapide.

E a questo punto grazie a tutto il personale sanitario, medici, infermieri, OSS, e a tutto quel personale, sanitario, appunto, e parasanitario, che si occuperà di questa grande campagna di vaccinazione. (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Emanuela Rossini. Ne ha facoltà.

EMANUELA ROSSINI (MISTO-MIN.LING.). Grazie, Presidente. Innanzitutto, desidero riportare l'attenzione sul merito del provvedimento oggetto di questa discussione e che porteremo domani all'approvazione dell'Aula. È un provvedimento tra i più importanti oggi, perché va a costruire quell'intelaiatura normativa fatta di principi attuativi a sostegno di molti di quelli che saranno i programmi e gli investimenti che metteremo in campo con i fondi del Recovery Fund, proprio perché questo provvedimento tocca i processi che regolano la semplificazione e la revisione di procedure legate a molte materie al centro del futuro piano di ripartenza e di sviluppo sostenibile che ci stiamo dando, come Paese, all'interno di un quadro e di un piano di sviluppo europeo. Se noi, infatti, ci addentriamo nei 29 articoli, già ampiamente illustrati dai relatori, troviamo materie eterogenee, in tanti casi di importanza politica, economica e sociale, e immediatamente comprendiamo quanto questo provvedimento sia oggi atteso nel Paese dalle imprese della filiera agricola e alimentare, dal mercato elettrico e delle energie rinnovabili, da chi si occupa di fornitura di materiali audiovisivi, dal settore bancario e finanziario, dalle aree transfrontaliere, dai servizi sanitari, dai cittadini interessati a una previdenza europea complementare, da chi lavora nell'ambito della cybersicurezza, dal mondo dei media, dell'educazione e della cultura. Tutti questi settori attendono questo voto per sapere se saranno recepiti cambiamenti, scadenze, nuovi regolamenti, nuovi obblighi e semplificazioni, e per questo ci chiedono anche stabilità politica, certezza, cioè, che le cose che andremo a cambiare e a recepire velocemente entreranno di fatto nella normativa nazionale. Questo è concretamente il senso di responsabilità che ci viene chiesto dal Paese: dare certezza che ciò che noi mettiamo in atto in termini di regole e procedure in modo coerente venga attuato attraverso l'esercizio della delega che con questo provvedimento noi ci assumiamo, in primo luogo come Parlamento (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Battilocchio. Ne ha facoltà.

ALESSANDRO BATTILOCCHIO (FI). Grazie, Presidente. Quello di oggi, è stato ricordato, è un dibattito importante nella cornice della legge n. 234 del 2012. Peccato, però, perché rischiamo, anche questa volta, di assistere a una sorta di rituale stanco e dovuto, un rituale burocratico-normativo più che una reale occasione di confronto e di approfondimento. Perché? Perché permane un'importante questione di metodo e procedurale, che in altre sedi abbiamo sollevato e che qui è utile ribadire: la bocciatura, ancora non avvenuta in Aula (ma temiamo di essere facili profeti), di tutti gli emendamenti in seconda lettura, che è divenuta ormai una prassi costante. Da un lato, infatti, c'è questo rischio di queste estenuanti navette legate al sistema del bicameralismo perfetto paritario. Tutti i provvedimenti di adeguamento all'ordinamento europeo si esaminano, infatti, con regole ormai obsolete, mentre i meccanismi richiesti per far superare o prevenire le procedure d'infrazione e le relative sanzioni economiche richiedono tempistiche notevolmente inferiori a quelle sempre più lunghe impresse da un iter parlamentare con procedimento legislativo ordinario. Non c'è dubbio che i tempi di esame di tali strumenti legislativi rischiano di prolungarsi oltre il dovuto e spesso anche senza che ricorrano gravi motivi, come quello accaduto nell'anno in corso per la pandemia. Le leggi europee e di delegazione europea sono rimaste tra i pochi provvedimenti per i quali non sia prevista una qualche forma di contingentamento per gli emendamenti o restrizione nei tempi di esame in sede referente. Con riferimento al Regolamento della Camera, le regole per l'esame dei provvedimenti europei nella fase discendente andrebbero aggiornate per istituire la tanto agognata apposita sessione parlamentare per l'esame degli atti europei, per rendere meno farraginosa la fase referente dei provvedimenti europei e, soprattutto, per rivedere competenze e ruolo della XIV Commissione, ad oggi relegata a una mera funzione di semaforo, non potendo esercitare un ruolo pienamente referente a causa di norme regolamentari che ci si ripromette di modificare a ogni legislatura, con aspettative puntualmente deluse. Anche la proposta di modificazione del Regolamento presentata nella presente legislatura, a prima firma del presidente Battelli e sottoscritta da tutti i componenti della XIV Commissione, è stata depositata il 12 marzo 2019 e non è stata ancora calendarizzata. Io vi chiedo, su questo, uno sforzo sinergico, perché permane questo doppio passaggio con le Commissioni di merito, che, ovviamente, valutano gli emendamenti con estrema fretta, emendamenti bocciati talvolta senza una valutazione di merito soprattutto in seconda lettura, in quanto si blinda a prescindere il testo approvato in prima lettura. Occorrerebbe togliere qualche passaggio ridondante e inutile e, al contempo, rafforzare l'esame in sede referente per avere un percorso approfondito e il più possibile condiviso, anche con un ruolo di maggiore possibile intervento della XIV Commissione. Quindi, torno a ribadire l'esigenza di un'urgente modifica regolamentare. È rischioso adottare procedure in via di prassi, come se agissimo in un monocameralismo di fatto.

Non si può svilire l'esame in seconda lettura da parte di un ramo del Parlamento - in particolare su materie dove si rischia di produrre una cattiva qualità della legislazione, essa stessa causa di ulteriori possibili procedure di infrazione - solo perché si vuole scongiurare un ulteriore passaggio per non allungare i tempi di approvazione. Quindi, è assolutamente necessario semplificare e migliorare soprattutto l'iter in sede referente, riformando i Regolamenti e non comprimendo le prerogative parlamentari in un quadro costituzionale vigente, che magari si vorrebbe cambiare, ma è comunque il quadro tuttora vigente. Io credo che su questo dovremmo fare uno sforzo ulteriore, perché sulle proposte di modifica abbiamo trovato una sintesi condivisa tra tutti i gruppi parlamentari, e quindi io spero che per l'anno in corso - l'anno scorso è stato un anno ovviamente particolare - riusciremo a lavorare con efficacia in questa direzione.

Tornando al disegno di legge di delegazione europea, anche quest'anno è una sorta di provvedimento omnibus e ne sono stati ricordati i punti salienti. Io ho presentato alcuni emendamenti, in particolare sull'articolo 4, in relazione alla direttiva (UE) 2018/1972 del Parlamento europeo e del Consiglio, per portare l'attenzione su questo aspetto specifico. Infatti, secondo la relazione al Parlamento sulla politica dell'informazione per la sicurezza 2019, l'arma cibernetica si è confermata lo strumento privilegiato per la conduzione di manovre ostili, in danno di target sia pubblici che privati di rilevanza strategica per il nostro Paese. Quindi, noi riteniamo che un obbligo generalizzato, con criteri di gradualità e proporzionalità, per i fornitori di reti pubbliche o servizi di comunicazione elettronica, di utilizzare la crittografia potrebbe far guadagnare all'Italia un vantaggio competitivo in questo campo e permetterebbe al Paese di raggiungere obiettivi più elevati in termini di sicurezza informatica. Uno strumento più prudente come la raccomandazione, infatti, avrebbe un impatto inferiore sul sistema, diminuendo, ma non minimizzando - come richiesto dalla direttiva UE -, gli incidenti. Su questo ho presentato un ordine del giorno, che spero verrà valutato con attenzione dal Governo. Noi, come gruppo di Forza Italia, ripresenteremo in Aula tutti gli emendamenti bocciati nelle Commissioni di merito, volti a correggere ed a migliorare talune previsioni, soprattutto laddove risultano inutilmente vessatorie per alcuni comparti produttivi già in sofferenza, con particolare riferimento agli articoli 4, 5, 7, 15 e 22.

Passando all'altro atto, la Relazione consuntiva sul 2019, è chiaro anche qui che l'iter di questo provvedimento è stato ovviamente fortemente influenzato dalla situazione straordinaria dell'anno 2020. C'è il rischio, anche in questo caso, che si tradisca un po' lo spirito che sta alla base dell'articolo 13 della legge n. 234, perché? Perché la Relazione consuntiva relativa al 2019 è stata trasmessa il 18 maggio 2020, quasi tre mesi dalla scadenza del termine del 28 febbraio. Si rischia di vanificare lo spirito dell'articolo 13 della legge n. 234, che prevede questa efficace valutazione dell'azione del Governo a livello europeo nell'anno di riferimento, in modo da poter influire con un proprio indirizzo per correggere o potenziare la rotta intrapresa dall'Esecutivo.

Ebbene, tale Relazione ovviamente è stata elaborata in un periodo precedente al COVID e quindi non poteva ovviamente considerare i nuovi scenari, anche alcune delle indicazioni - è chiaro - risultano non essere allineate con le azioni politiche adottate poi successivamente, sia dal Governo che dalla Commissione europea. È chiaro che sono tutte impostazioni che sono state delineate nella fase precedente rispetto alla pandemia.

L'anno 2019, che è stato per l'Unione europea e le istituzioni comunitarie un anno particolarmente importante - basti pensare al rinnovo di tutti i vertici delle istituzioni, all'avvio della Presidenza von der Leyen, quindi un avvio che sicuramente ha visto un approccio proattivo, dinamico, positivo su tutta una serie di tematiche - è stato un anno importante - viene ricordato nella Relazione - perché abbiamo dovuto comunque affrontare il dossier, il negoziato complesso e delicato sulla Brexit, che ha portato comunque ad una uscita sostanzialmente ordinata del Regno Unito.

La Relazione consuntiva per il 2019 è articolata in quattro parti e in cinque allegati e contiene poi tutta una serie di informazioni relative allo stato del contenzioso. Su questo dobbiamo dire che la situazione non sta migliorando; ad oggi, risultano pendenti circa 93 procedure di infrazione. In generale, nonostante alcuni elementi positivi, risulta ancora troppo debole la ripresa di un ruolo decisivo del nostro Paese nelle sedi negoziali europee. Il nostro Paese, che è uno dei Paesi fondatori dell'Unione europea, dovrebbe avere una capacità diversa, sicuramente maggiore, di incidere nella fase ascendente, su dossier determinanti anche per i nostri interessi strategici. Noi dobbiamo fare di tutto per imprimere una maggiore incisività all'azione del Governo circa la partecipazione del nostro Paese all'Unione europea, e questo lo dico, tramite il Presidente, alla sottosegretaria. Sarebbe importante anche un ripensamento, secondo noi ormai ineludibile, dell'attuale organizzazione dell'Esecutivo, volta a rafforzare il ruolo del Ministero per gli Affari europei, nelle sue deleghe e nelle sue competenze; secondo noi è importante e basilare - come avviene in diversi altri Paesi europei - rafforzare il ruolo del Ministero per gli Affari europei.

Noi abbiamo presentato – anzi, presenteremo nelle prossime ore - una nostra risoluzione, in cui chiediamo degli impegni puntuali al Governo in quattro ambiti, con riferimento alle questioni istituzionali e a una nuova governance. In particolare, chiediamo un impegno per chiedere di ridurre il contributo dell'Italia al bilancio UE, in quanto Stato membro tra i più colpiti dalle conseguenze sociali ed economiche del COVID-19, a sostenere l'urgenza di introdurre nuove tasse comuni europee per i giganti del web o per chi esporta prodotti di industrie inquinanti nell'Unione europea, al fine di alimentare il bilancio europeo con risorse proprie, scongiurando il rischio che il bilancio comune europeo possa gravare sulle sole spalle dei cittadini contribuenti, cittadini e imprese di ogni Paese membro.

Il secondo ambito d'azione fa riferimento alle politiche orizzontali e settoriali, e anche qui chiediamo una serie di impegni al Governo.

Il terzo settore fa riferimento al coordinamento delle politiche europee e alla gestione delle risorse e dei fondi europei.

Il quarto, importante e ultimo ambito, fa riferimento alla politica estera e di sicurezza comune dell'Unione. Noi chiediamo, in particolare, in questo contesto, una maggiore determinazione, per esempio, nel seguire tutta la vicenda legata all'integrazione europea dei Balcani occidentali, aree alle quali siamo storicamente molto legati come Paese, consolidare le relazioni transatlantiche, ed operare un deciso spostamento dell'asse prioritario di attenzione dell'Unione europea verso l'area del Mediterraneo, anche nel rapporto ovviamente con la Libia. Noi chiediamo che, nel Mare Nostrum, l'Italia recuperi il ruolo che la storia e anche la geografia le hanno assegnato. Riguardo ai rapporti con la Cina, è necessario che l'Italia riassuma un ruolo centrale da protagonista anche a livello comunitario, perché siamo stati fatti fuori da alcune dinamiche. All'interno del quadro finanziario pluriennale 2021-2027 dobbiamo avere un'adeguata destinazione del nuovo strumento per il vicinato, lo sviluppo e la cooperazione. Sulla difesa europea, dobbiamo pretendere il rispetto degli impegni e chiedere di intraprendere iniziative per rafforzare la difesa europea. Si è parlato per tanto tempo di questa difesa comune europea entro il 2024; attualmente mi sembra che siamo molto in ritardo e che ciò rappresenti una chimera, irrealizzabile sicuramente nella tempistica precedentemente indicata e ribadita anche nelle sedi ufficiali.

Chiediamo che il Governo si attivi per migliorare il coordinamento a livello europeo nella lotta al terrorismo e chiediamo un ulteriore coordinamento tra gli Stati membri, a livello di Unione europea, in consultazione con la NATO, per ridurre la minaccia proveniente dalle attività di intelligence ostili.

Infine last, ma di certo not least, chiediamo al Governo di attivarsi nelle competenti sedi europee, affinché la ricerca della verità e la richiesta di giustizia per la morte di Giulio Regeni sia condivisa anche a livello europeo, concordando tutte le iniziative utili, atte ad assicurare che i responsabili siano chiamati a rispondere, ribadendo la centralità della difesa dei diritti umani, quale valore fondante dell'Unione europea. Ci associamo alle parole odierne del Presidente Mattarella, che ha lanciato un appello, perché sia data una piena ed adeguata risposta da parte delle autorità egiziane.

Quindi, questi sono i punti cardine della nostra risoluzione, che sottoponiamo al Parlamento. Ci attendiamo attenzione da parte del Governo e auspichiamo una larga convergenza (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Sensi. Ne ha facoltà.

FILIPPO SENSI (PD). Grazie, Presidente. Sottosegretario, onorevoli deputate e deputati, non è un tempo facile per intervenire in quest'Aula sulla legge di delegazione europea. Opportuno certo, giusto forse, ma non facile. Mi permetta, Presidente, prima di procedere nell'illustrazione, di ricollegarmi a quanto ha detto l'onorevole Battilocchio: una parola, anzi no, un silenzio, per Giulio Regeni. Risuoni qui oggi il suo nome, il dolore, la pietà, la giustizia.

Un tempo non facile, come dicevo, Presidente. Intendiamoci, non intendo caricare di un significato altro un disegno di legge che, per sua natura, si limita ad assicurare il periodico adeguamento del nostro ordinamento mediante il recepimento di direttive e regolamenti europei. Il più classico degli omnibus, insomma, come una rapida scorsa all'indice dei 29 articoli di cui si compone è sufficiente a render chiaro a ciascuno di noi, passando dall'energia alla concorrenza, dal commercio sleale al diritto d'autore, dai dispositivi medici al cosiddetto PEEP e, ancora, dalla cybersicurezza all'ambiente e dal settore finanziario alla protezione dei whistleblower. Materie delicate assai, misure i cui effetti hanno un impatto notevole sulla vita dei cittadini, quella professionale, scendendo tuttavia anche nella grana minuta del nostro quotidiano. Basterebbe soltanto pensare, ad esempio, agli effetti liberati dalla normativa sul copyright, al centro di un confronto fondamentale a livello internazionale tra libertà, diritti, tutela e interessi, di cui non sempre ci accorgiamo, quando passiamo i polpastrelli su uno schermo, per scegliere un prodotto, vedere un video, leggere una notizia o ascoltare una canzone.

Ma, una volta denunciata la sensibilità dei provvedimenti armonizzati in questo disegno di legge, dopo un percorso legislativo che è stato già richiamato in tutta la sua complessità, una volta sottolineate le infinite sfere di attenzione e il rispetto che ognuno di essi richiama e articola e arpeggia, una volta infine preso atto della maliziosa ordinarietà con la quale il legislatore acconcia in un sarchiapone normativo tali e tante misure, resta, Presidente, l'interrogativo sul momento nel quale questo testo atterra qui a Montecitorio. Su questo momento.

Non un tempo facile, si diceva in esordio, e non dobbiamo neanche dirci perché. In Italia, per quello che si agita in quest'Aula, nei corridoi che la circondano, nei palazzi viciniori, sulla superficie di una bolla che forse scoppierà, forse no. Come quella delle nostre case, delle nostre vite, un po' recluse e un po' no. Esposte, sospese, come usa dire, interrotte. Mai così qui e mai tanto altrove, come abbiamo imparato in quest'anno, solo il primo, forse, di questa vita nuova, l'avremmo immaginata diversa. Siamo così intenti a sperare un domani, a sospirarcelo, che sembriamo dimenticarci di oggi. Anzi, vogliamo dimenticarcelo, rimuoverlo, come un trapassato, come una distanza faticosa, vana, che ci separa da ciò che veramente desideriamo. Già e non ancora, si dice in teologia.

Questo tempo gettato, Presidente, è il tempo al quale ci richiama l'Europa, con le sue istituzioni, con i suoi provvedimenti, come quelli che discutiamo oggi in quest'Aula. Come fossimo passati dal vincolo esterno a un legame ancora più forte e stringente, interiore e intimo, in questo disperato affidamento che oggi facciamo sull'Europa, qualcosa di diverso da un investimento che differisce e semina. Con una urgenza che non riguarda più soltanto chi nell'Europa ha sempre creduto, chi come noi l'ha sempre abitata fenomenologicamente come il proprio spazio vitale. Ma anche i più diffidenti e ostili, oggi si chiamano i sovranisti mi pare, quelli che prima di qua e prima di là, che “io, io, io” e che nell'Europa - in quell'altrove - vedevano un insopportabile alibi “ma chi ti conosce, come ti permetti!”. E adesso, invece, sono tutti lì, siamo tutti qui, a invocare la cura e la salvezza come una pioggia, a spartirci l'eredità, a portare ricottine sotto forma di fondi, di strumenti e schemi, che ci consentiranno - consentiranno loro - di poter ancora zufolare il loro inganno, prima di qua e prima di là.

No, non è indifferente questo tempo, il tempo nel quale discutiamo questo provvedimento. E non perché arrivi alla vigilia dell'ennesimo voto vitale - punto interrogativo - per l'esistenza stessa del Governo: mi sembra un film già visto la settimana scorsa. No. E neanche perché comprando tempo, guadagnandolo, temporeggiando, come si dice, con altri provvedimenti cuscinetto, svuotatasche, per allontanare la notte più in là, il Parlamento possa davvero sperare di salvare la pelle. Non è per un atto di autotutela che oggi legiferiamo, fossero anche state queste le nostre intenzioni, perché questo disegno di legge, lo abbiamo detto, è rilevante e ne va - nei suoi effetti più che nelle sue intenzioni - delle vite di ognuno di noi, mi si perdoni l'enfasi. Non meno di un rendiconto sull'anno giudiziario. Non meno. Ciò che intendo dire è che la crisi che stiamo attraversando, questa cruna, questa ferita, si mostra già oggi qui, su questo provvedimento, Presidente, nella chiarezza dei suoi contorni. Perché arriva adesso in questo tempo non facile. Perché riguarda l'Europa e il rapporto tra noi e l'Europa, se si potesse ancora mettere un diaframma tra noi e l'Europa. E questo tempo di crisi riguarda esattamente questo rapporto e la nostra stessa capacità di interpretarlo e di renderlo utile, per noi e per l'Europa, se vogliamo continuare a mettere questo diaframma in mezzo tra noi e l'Europa. Perché, Presidente, questo stesso provvedimento, questo omnibus, nella sua flessibilità, nel suo carattere giustapposto, combinatorio, compilatorio, forse, qui e ora ci sta indicando un metodo, un sentiero possibile, una via sottintesa per attraversare questa crisi e, forse, chissà, per uscirne vivi. Sappiamo - l'ho detto - quanto del nostro futuro, nella sua imminenza, si giochi in queste ore, nelle prossime. Nel pieno di una crisi pandemica che uccide ancora, e ancora, e ancora. E della difficoltà di vedere chiaro in questo imbrunire, di essere freddi abbastanza da indovinare la sequenza giusta, quella che ci consentirà di agganciare l'aiuto che ci viene dall'Europa, e il monito in esso contenuto, che è quello di invitarci a superare noi stessi, il nostro carattere nazionale, le nostre debolezze storiche, la nostra fragilità strutturale per diventare finalmente noi stessi.

Cioè quello che vorremmo e dovremmo essere: un po' più prevedibili, un po' meno indolenti, ma non meno creativi, un po' più avveduti, ecco, avveduti; e ancora una volta è una questione di tempo, che scorre che rischiamo, di non avere, di non disporne, il tempo come risorsa finita, come l'acqua, l'aria. Questa crisi è anche una crisi di tempo, Presidente ed è per questo che mi auguro che per superarla - come se si potesse davvero mai superare una crisi - si possa provare a prendere in prestito da questo provvedimento, che discutiamo qui ora, la sua forma elastica, l'artigianato che cuce insieme stoffe diverse, l'energia, la finanza, la sanità, il diritto d'autore, come rattoppi, rammendi dicono quelli che parlano bene, come un sugo fatto di avanzi, la sua - posso dirlo? - umiltà, la sua modestia, in una stagione politica inebriata invece di ambizione, di misure visionarie, di riforme storiche, di occasioni che non passano più. Io credo invece, Presidente, e mi avvio a concludere, che più che di sogno e di sguardo per uscire dalla crisi e artigliare l'aiuto europeo, ci sia bisogno, presto certo, rapidamente, intanto di non vendere ciò che non abbiamo, di non millantare credito di competenze e fatica, di virtù mediane, anzi piccole, come diceva il Roberti, feriali. Si sente spesso dire: ma dov'è l'anima di queste misure? Manca un disegno complessivo, il respiro. Io le dico no, Presidente; ai piani che dovremmo sottoporre all'Europa, più che la magniloquenza, non dovrebbe mai mancare la consapevolezza del limite, non lo slancio, ma la pedante misura di ciò che va fatto, non l'urgenza, ma la premura, non l'eroismo, ma il contegno, non la retorica, ma la matematica, la sua onestà, quella che provvedimenti cadetti, come quello di oggi, provano a preservare, senza dirsi altro da sé, senza darsi un tono di cui non abbiamo bisogno, perché non abbiamo tempo. “Il poeta dorme. Questa è l'ora del giardiniere” ha scritto di recente in un suo addio Cees Nooteboom. Il giardiniere, con il suo mestiere, con la grazia dell'attesa, i gesti misurati, la volontà di proteggere e di farsi spazio tra i rovesci del tempo e le malerbe, con la sua sana risolutezza di fronte alla caparbietà delle stagioni, con l'esperienza diaria e la sua disadorna morigeratezza, l'esercizio di sé e la consapevolezza del confine, la discrezione, Presidente, che è qualità di discernere cosa giovi e cosa no. Questo ci insegna oggi la legge di delegazione, in questo momento non facile, un provvedimento goffo e incompiuto, come l'Europa che siamo, ci insegna la nostra finitezza, i nostri limiti, la nostra temperanza, la premura di ricomporre, di mettere assieme, only connect, che siamo chiamati ad avere; non la passione oggi, ma la pazienza. E sfidando la sua di pazienza, Presidente, mi permetta di concludere con qualche passo - i passi, sì - di Margaret Atwood, come viatico per questo provvedimento che discutiamo e questo cammino, breve o lungo che sia, che tutti noi oggi abbiamo davanti: “Considerando gli animali in sparizione, il proliferare di fogne e di paure, l'addensarsi del mare, l'aria prossima a estinguersi, dovremmo essere gentili, dovremmo sentire l'allarme, dovremmo perdonarci. Invece siamo contro, ci tocchiamo come chi aggredisce, i doni che portiamo persino in buona fede forse nelle nostre mani si deformano in dispositivi, in stratagemmi. Qui non ci sono eserciti, qui non c'è denaro, fa freddo e più freddo diventa, a ognuno serve il respiro degli altri, il calore. Sopravvivere è la sola guerra che ci si può permettere”. La ringrazio (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. Grazie a lei. È iscritto a parlare l'onorevole Mollicone. Ne ha facoltà.

FEDERICO MOLLICONE (FDI). Grazie Presidente, onorevoli colleghi, signor rappresentante del Governo, il provvedimento che oggi inizia il proprio percorso in Aula, dopo le poetiche riflessioni del collega Sensi, è molto ampio, come lui stesso ha fatto notare, è un vero e proprio intervento, un provvedimento omnibus, che tratta di più questioni. Fa comunque pensare - e devo essere sincero, riconosco l'onestà intellettuale del collega Sensi - fa comunque pensare che oggi, 25 gennaio 2021, stiamo approvando qualcosa che reca 2019 in calce, nel proprio titolo. Prenderò in considerazione, del provvedimento, alcuni aspetti, data appunto l'eterogeneità delle norme che la legge di delegazione prevede e in particolare, colleghi, gli aspetti legati alla regolamentazione del digitale e dell'innovazione, temi talmente cruciali che persino il Recovery Fund ha diciamo questo indirizzo generale per tutti gli ambiti affrontati e inclusi.

Mi riferisco in particolare al riordino della disciplina della fornitura dei servizi di media audiovisivi, di cui all'articolo 3, e al diritto di autore, di cui agli articoli 8 e 9, all'istituzione del codice europeo delle comunicazioni elettroniche, articolo 4, e alla cybersicurezza, di cui all'articolo 18. L'innovazione, vedete, ha bisogno di essere governata, perché sia fonte di sviluppo. L'emergere della nuova economia, basata su piattaforme digitali, algoritmi e intelligenza artificiale, ha reso inadeguato il sistema vigente di regole e regolatori. Di fatto siamo di ancora nel Novecento a livello europeo e questo è un timido accenno, insieme a al Digital Services Act e al Digital Market Act, per recuperare circa venti anni di ritardo, mentre altri continenti, altre potenze geopolitiche ben maggiori, comprese quelle digitali ovviamente, perché di questo parliamo oggi, cioè di geopolitica digitale, ma altre potenze come la Cina, diciamo hanno avuto mani libere ad accelerare nell'innovazione, magari sperimentandola sugli Uiguri, sul popolo dell'Uiguristan, e a scapito dei diritti umani. Di tutte le nuove sfide che il legislatore deve affrontare al giorno d'oggi, comprendere e definire la nuova rivoluzione tecnologica è sicuramente la più complessa, poiché comporta una vera e propria trasformazione per l'umanità. L'impatto della tecnologia digitale ha ridefinito i rapporti di forza tra i poteri globali, come le piattaforme digitali - Facebook, Google, Amazon e tante altre - e gli Stati nazione, quelli fisici, quelli che hanno i confini, quelli per cui si è combattuto e magari ognuno di noi ha nel proprio albo di famiglia un bisnonno, un nonno, qualcuno che eroicamente ci ha lasciato la vita per difendere quei confini. Questo ha inevitabili conseguenze anche nell'ambito dei diritti: privacy, libera circolazione delle persone, giusto processo giudiziario, procedimenti amministrativi, manifestazione del pensiero, libertà di stampa.

Collega Sensi, queste sono tutte vicende e tutti argomenti che so che sicuramente stanno a cuore anche a lei, ma che purtroppo sono stati trattati in un provvedimento troppo omnibus per essere valorizzate come meritano. Come scrive il professor Maurizio Mensi, docente alla Luiss Guido Carli, i titolari delle piattaforme diventano più potenti degli Stati, in grado di incidere sugli stessi meccanismi democratici. La sovranità degli Stati viene fortemente messa in discussione dai poteri globali nati da Internet e dalle tecnologie, non solo attraverso un uso arbitrario dei meccanismi di circolazione dei contenuti, ma anche attraverso nuovi fenomeni digitali come la creazione delle criptovalute o del progetto Libra di Facebook, la moneta elettronica. Non a caso, fu lo stesso Zuckerberg a definire la sua società più come uno Stato.

PRESIDENTE. Colleghi!

FEDERICO MOLLICONE (FDI). Grazie, sì Presidente, perché io capisco la passione dei colleghi magari per il mio intervento, però magari se permettessero… Le piattaforme digitali hanno assunto una funzione regolatrice della vita dei privati e degli Stati, rendono servizi indispensabili e per questo condizionano la qualità dell'attività privata e pubblica. Vedete, i recenti fatti di cronaca che hanno visto la cancellazione arbitraria di account e contenuti per opinioni politiche, da Libero a Trump a molti account di Fratelli d'Italia all'account del giornalista Giustino di Radio Radicale, corrispondente da Ankara con un account italiano, che si è visto oscurare la pagina perché esprimeva posizioni contrarie al Governo turco e, solo dopo l'intervento del Parlamento, Facebook si è scusata e lo ha ripristinato. Questo è il livello della democrazia di queste Nazioni digitali. Tutto questo ha mostrato ancora una volta la necessità e l'urgenza, colleghi, di regolamentare le piattaforme digitali e garantire la tutela dei diritti fondamentali di manifestazione del pensiero nello spazio digitale. Non avremmo mai pensato di dover esprimere un concetto così elementare dentro quest'Aula, nel 2020-21, in questo biennio, ma invece di questo si tratta. Lo stesso concetto di sovranità, vedete, va ripensato.

Il concetto westfaliano, espressosi tradizionalmente nel potere di tracciare linee nette su una carta geografica, svanisce nella rete, si dematerializza, dove lo Stato non è più l'unico attore sulla scena, ma, anzi, si trova addirittura sfidato dalle big tech. Per dirla con Carl Schmitt che, certo, non conosceva le potenze digitali, siamo nel Großraum, un grande spazio indefinito, e, riprendendo l'efficace simbologia dell'opera schmittiana Terra e mare, i cosiddetti over the top sono come i pirati nel mare aperto. Per questa ragione, Fratelli d'Italia promuove da sempre - ed è stata la prima forza politica a farlo in questo Parlamento e in questa legislatura, prima anche delle linee di indirizzo europee - il concetto di sovranità digitale e lo farà anche nel prossimo futuro, con Giorgia Meloni, promuovendo un manifesto e una specifica proposta di legge.

L'Unione europea pare, insomma, consapevole della necessità di dotarsi con urgenza di strumenti normativi adeguati e aggiornati per promuovere l'innovazione e rispondere alle sue sfide, anche di carattere sociale e culturale. L'articolo 3, in particolare, del disegno di legge prevede che nell'esercizio della delega il Governo dovrà riordinare le disposizioni del Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici, il TUSMAR, adeguando le disposizioni e definizioni, comprese quelle relative ai servizi di media audiovisivi e ai servizi di piattaforma per la condivisione di video, alla luce dell'evoluzione tecnologica e di mercato, e finalmente, ci sarebbe da aggiungere. Chiediamo che il Governo, nella redazione dei decreti delegati che, poi, sono il vero strumento operativo, voglia dedicare particolare attenzione alle piattaforme web, oggi meno regolamentate e, quindi, agli over the top, rendendo omogeneo il trattamento legislativo e regolatorio della fornitura di contenuti, a prescindere dalla piattaforma impiegata per la diffusione; ne va sia della sicurezza dei minori, dato che ormai è sulla rete che si trovano i contenuti più pericolosi, che della concorrenza fra operatori tradizionali e piattaforme digitali. In particolare, colleghi, va segnalata la ridefinizione del cosiddetto level playing field, di cui alla lettera e), che uniforma editori radiotelevisivi e OTT sul mercato della pubblicità, e già questo fa sorridere, visti i volumi economici differenti.

L'articolo 8 reca i principi e i criteri direttivi per l'attuazione della cosiddetta direttiva SAT-CAB che stabilisce norme sull'esercizio del diritto d'autore e dei diritti connessi, volte a promuovere la fornitura transfrontaliera di trasmissione online e la ritrasmissione di programmi televisivi o radiofonici, effettuata da soggetti diversi dall'emittente iniziale, mentre l'articolo 9 contiene i principi e criteri direttivi per il recepimento della “direttiva Copyright”, la famosa “direttiva Copyright”, collega Sensi, quella su cui trasversalmente ci siamo mobilitati, sul diritto d'autore e sui diritti connessi nel mercato unico digitale, in cui si introduce anche un profilo di responsabilità in capo ai prestatori di servizi di condivisione online di contenuti, in poche parole le stesse piattaforme digitali.

Il combinato disposto degli articoli 8 e 9, con riferimento in particolare a quest'ultimo, contiene una misura di rilevanza strategica per il settore editoriale che interviene a sanare l'enorme squilibrio rilevato dall'Agcom sin dal 2014, nel rapporto sui servizi di Internet e la pubblicità online, tra il valore che la produzione di contenuti editoriali genera per il sistema di Internet e i ricavi percepiti dai produttori degli stessi, uno squilibrio che provoca danni incalcolabili al finanziamento dell'intero sistema dell'informazione e rischia di comprometterne il funzionamento. La diffusione sistematica e non remunerata di opere protette dal diritto d'autore è un fenomeno che desta grave allarme in quanto pregiudica la sostenibilità dell'industria editoriale, svaluta l'apporto di competenze e professionalità qualificate e, non da ultimo, colleghi, influisce sulla libertà e il pluralismo dell'informazione, incidendo sulla quantità e la qualità dell'offerta editoriale. In generale, la “direttiva Copyright” rappresenta, per la creatività italiana, l'uscita dal Medioevo, come è stato detto, anche se per noi il Medioevo, poi, non è che fosse un periodo, un'epoca così oscura, e l'avvento di un rinascimento del diritto d'autore, dove le grandi OTT, e non solo, saranno finalmente obbligate a condividere gli enormi incassi che maturano con la diffusione planetaria delle opere. Nello specifico per il settore dell'informazione vogliamo citare dei casi di studio: alla fine del 2019, la stampa francese aveva accusato Google di infrangere i diritti connessi, cioè diritti simili a quello d'autore, previsti dalla direttiva europea che dovrebbero portare a una migliore condivisione delle entrate digitali a vantaggio degli editori di giornali e di agenzie di stampa. Sulla base dell'entrata in vigore della normativa in Francia, Google aveva deciso, unilateralmente, di indicizzare non pienamente i giornali che si erano rifiutati di consentire gratuitamente la pubblicazione dei loro contenuti, titoli, estratti di articoli e miniature, nei risultati di ricerca di Google. La stampa francese si è poi rivolta all'Autorità garante della concorrenza e del mercato che, nell'aprile 2020, ha ordinato a Google di negoziare “in buona fede”, questa è la dicitura, con gli editori, decisione confermata successivamente. Venerdì scorso, quindi, notizia recentissima, dopo mesi di trattative, l'APIG, l'associazione di categoria degli editori francesi, ha finalmente trovato un accordo quadro con Google che, comunque, ad oggi, non copre le agenzie di stampa. L'intesa rappresenta solo il perimetro da cui andranno negoziati accordi individuali fra Google e ciascun editore di testata giornalistica. La remunerazione prevista nei contratti di licenza tra ciascun editore e Google si baserà su criteri quali, ad esempio, il contributo all'informazione politica generale, il volume giornaliero di pubblicazione o l'audience Internet mensile rilevata da Audiweb. Gli editori, secondo le Monde, recupereranno ogni anno circa 25 milioni di euro. Al di fuori del perimetro comunitario, il Governo australiano ha, invece, incaricato l'Autorità antitrust di redigere un codice di condotta obbligatorio, entro luglio 2020, per poi approvarlo ufficialmente entro il prossimo novembre 2020.

È, quindi, necessaria, colleghi, l'obbligatorietà della negoziazione tra OTT e operatori del mercato. Auspichiamo, quindi, che il decreto legislativo di recepimento della “direttiva Copyright” voglia specificare che gli editori debbano essere tutelati, prevedendo un meccanismo di negoziazione obbligatoria tra le parti interessate, OTT da un lato ed editori dall'altro, anche attraverso le associazioni di categoria maggiormente rappresentative, che individui una quota adeguata di proventi che gli editori devono percepire e che, in caso di mancato accordo di un termine prestabilito tra gli editori, anche attraverso le associazioni di categoria maggiormente rappresentative e gli OTT, intervenga l'Autorità di settore a definire le condizioni, anche economiche, dell'utilizzazione dei contenuti da parte delle piattaforme digitali.

Inoltre, si ritiene che i decreti, nell'individuare la nozione di “breve estratto” - che è stata un altro punto di battaglia a livello europeo - dovranno garantire un'adeguata qualità delle informazioni veicolate attraverso i motori di ricerca e fissare un limite quantitativo al di là del quale devono essere assicurati i diritti di cui al comma 1 della direttiva. Abbiamo presentato emendamenti in questo senso e presenteremo anche un ordine del giorno, rappresentante del Governo, nella speranza, appunto, che questo contributo da parte dell'opposizione, qualificato e propositivo, possa essere accolto, ne va della riduzione del divario di valore e della difesa della sovranità digitale, questo perlomeno è il significato che Fratelli d'Italia dà a questa battaglia: in un quadro europeo, difendere l'editoria nazionale di fronte a un'offensiva geopolitica digitale delle grandi nazioni digitali che hanno esclusivamente interessi economici a scapito delle realtà storiche e tradizionali.

Passiamo all'articolo 3, colleghi; il codice delle comunicazioni elettroniche aggiorna il quadro regolamentare comunitario per il settore delle comunicazioni elettroniche per il futuro, in poche parole per garantire norme di regolamentazione delle tecnologie 5G e per il raggiungimento della gigabit society. Asstel, l'associazione della filiera delle TLC, stima che per l'adeguamento delle reti fisse e mobili agli obiettivi di connettività per il 2025 siano necessari, nei prossimi anni, dai 55 ai 70 miliardi di euro di investimenti. Sappiamo che l'Italia è fanalino di coda nell'indice DESI, venticinquesima in Europa, collocandosi in una posizione migliore solo di Romania, Grecia e Bulgaria.

Al di là degli evidenti problemi di sicurezza cibernetica, delle reti e del ruolo che hanno operatori con connessioni con Stati extraeuropei come la Cina, in vista soprattutto della costituzione della rete unica, è necessario garantire un regime autorizzativo per scavi e permessi che possa superare l'attuale burocrazia - soprattutto nelle aree, colleghi, dove sono presenti sovrintendenze - e che i presidenti di Regione siano nominati come Commissari alla connettività, così da raggiungere anche le aree cosiddette bianche e definite le aree bianchissime. Su questo, si collega all'articolo 18 sulla cybersicurezza, che stabilisce il Ministero dello Sviluppo economico come autorità competente. Proponemmo già, in un ordine del giorno approvato dal Governo, la riproposizione in Italia di modelli già di successo, come negli Stati Uniti o in Germania, di interazione tra attori pubblici e privati per finalità di ricerca e sviluppo in materia di protezione e sicurezza dei dati, con risvolti economici e industriali al fine di salvaguardare la sicurezza nazionale, migliorare i livelli di sicurezza cibernetica e garantire, infine, appunto, la sovranità digitale italiana. Durante l'emergenza sanitaria, la minaccia cibernetica è aumentata in quantità e in qualità; in Italia avviene un attacco ogni cinque ore e in cinque anni c'è stato un aumento del 90 per cento. Molti esponenti politici in questo Parlamento hanno subito l'hackeraggio del proprio profilo social, quindi sappiamo anche quali siano i rischi anche minori, ma, comunque, importanti di questo fenomeno. Bisogna investire in ricerca e innovazione, costituire un ecosistema delle imprese e della pubblica amministrazione in cui gli investimenti risultino adeguati alla minaccia, e responsabilizzare maggiormente i cittadini.

Colleghi, è essenziale per i legislatori cambiare passo, adattarsi alla strategia mutevole e adattiva dei soggetti da regolare. I ricavi nel 2020 di Amazon - perché vi sia chiaro - sono stati 280 miliardi di dollari: hanno superato solo due volte il PIL del Kuwait e dieci quello dell'Estonia. Facebook, 70 miliardi di dollari: più del Lussemburgo, Panama, Uruguay, Costa Rica, Croazia e Libano insieme. Già oggi deleghiamo moltissime scelte all'intelligenza artificiale e agli algoritmi: quando ci rivolgiamo a “Siri” o a “Alexa” non ci rivolgiamo, di fatto, ad un algoritmo? E se, domani, l'algoritmo si sostituisse anche nelle nostre decisioni politiche ed etiche? Per dirla con padre Paolo Benanti, abbiamo bisogno di una nuova etica per evitare le forme distopiche dell'algocrazia, perché di questo si tratta.

Come possono, allora, i vecchi Stati affrontare questa sfida? Come inquadrare normativamente la nuova realtà? Come gestire e controllare, con i tradizionali strumenti, il mondo virtuale? Ne va della nostra sovranità digitale, ne va dei nostri diritti digitali, ne va della nostra libertà (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Berti. Ne ha facoltà.

FRANCESCO BERTI (M5S). Grazie, Presidente. Il disegno di legge in esame relativo alla legge di delegazione europea è uno dei due strumenti principali, assieme alla legge europea, per adeguare il nostro diritto interno al diritto comunitario. Il testo si compone di 29 articoli e introduce nel nostro ordinamento il contenuto di 38 direttive e 17 regolamenti. Nel mio intervento voglio concentrarmi principalmente su due articoli e una riflessione generale.

L'articolo 21 indica i principi e i criteri direttivi per l'attuazione della direttiva (UE) 2019/1153. La direttiva in questione agevola l'accesso dell'Unità di informazione finanziaria alle informazioni in materia di contrasto per la prevenzione e il contrasto del riciclaggio, dei reati associati, del finanziamento del terrorismo, nonché di misure per favorire la cooperazione delle Forze di polizia.

La direttiva succitata prevede che gli Stati membri provvedano affinché le autorità nazionali competenti siano abilitate ad accedere alle informazioni sui conti bancari e consultarle direttamente e immediatamente quando ciò risulti necessario per svolgere i loro compiti, ai fini di prevenzione e indagine per il perseguimento di un reato grave o sostenere un indagine penale. L'accesso alle informazioni sui conti bancari e le consultazioni delle stesse, ai sensi dell'articolo 4, sono eseguiti, caso per caso, unicamente da personale di ciascuna autorità competente. Il Governo è chiamato a individuare le autorità abilitate ad accedere al suo registro nazionale centralizzato dei conti bancari e quelle che possono richiedere di ricevere informazioni finanziarie o analisi finanziarie delle UIF. La direttiva intende, inoltre, agevolare la cooperazione tra le Forze di polizia e tratta dello scambio di informazioni con Europol, nello specifico, le comunicazioni delle informazioni sui conti bancari.

L'articolo 23 prevede la direttiva (UE) 2019/1937 riguardante la protezione delle persone che segnalano le violazioni del diritto dell'Unione. Una normativa di questo tipo è già presente nel nell'ordinamento italiano grazie al MoVimento 5 Stelle, che nel 2017 ha proposto questa legge e l'ha portata ad attuazione. Il whistleblower è la prima persona che spesso viene a conoscenza di minacce o pregiudizio del pubblico interesse. Nel segnalare queste violazioni del diritto unionale che lede il pubblico interesse, gli informatori svolgono un ruolo decisivo nella denuncia e nella prevenzione di tali violazioni e nella salvaguardia del benessere della società. Secondo l'inchiesta “Grand Theft Europe”, ogni anno, sulla base di stime della Commissione, vengono sottratti 50 miliardi di euro di IVA sfruttando le falle del mercato unico europeo. Il principio è far circolare i beni in Europa tramite le triangolazioni senza versare l'IVA, ma chiedendone i rimborsi; per non parlare delle truffe per assicurarsi i fondi europei. È quindi prioritario avere una disciplina unica, una disciplina di 27 Stati europei per tutelare chi segnala potenziali violazioni del diritto. Spesso i potenziali informatori non segnalano perché rischiano ritorsioni. Per questi motivi, nella direttiva, si fa riferimento all'obbligo di istituire canali di segnalazione esterni all'organizzazione, che permettano di tutelare anche l'obbligo di riservatezza per impedire che queste misure si avvalgano contro il segnalante e impedire che questo venga demansionato, che non gli venga rinnovato il contratto o che questo venga sottoposto addirittura ad accertamenti medici; sono previste, altresì, misure di sostegno al segnalante, tra cui il patrocinio a spese dello Stato e l'assistenza finanziaria e psicologica.

Concludo, con una riflessione generale sull'Allegato II, molto importante, di questa Relazione consuntiva sulla partecipazione dell'Italia all'Ue. Spesso viene utilizzato come argomento il tema: noi diamo all'Europa X e riceviamo Y, e Y è meno di quello che noi diamo all'Europa. Senza dubbio, questo argomento è utilizzato dai sovranisti e dai nazionalisti per attaccare l'Europa e dire che l'Europa ci dà meno di quello che noi diamo.

Questo ragionamento ha anche un effetto pratico, poi, nel sistema dei rebate, i rimborsi, che, sulla base dei saldi netti, vengono, poi assicurati a ogni Stato, tra cui la Germania, l'Olanda, l'Austria, nonché il famoso rebate sul rebate che spettava al Regno Unito prima che uscisse dall'Unione europea. Questo è un tema molto pratico, che riguarda gli interessi finanziari degli Stati e, spesso, è un vero e proprio blocco alla fase negoziale; lo abbiamo visto sia in sede di Multiannual Financial Framework qualche mese fa, ma anche in sede di Recovery Fund. Questo approccio, che possiamo vedere a pagina 205, all'Allegato II, è un approccio che la letteratura ci suggerisce di superare, perché non fa emergere il vero valore delle policy europee, i cosiddetti beni pubblici europei. Pensate, appunto, a quello che adesso è la costruzione europea, seppur con tutti i limiti da rivedere - assolutamente, specialmente dal punto di vista della regolazione e dal punto di vista monetario -, però il valore dei beni pubblici europei, che non emerge spesso nelle relazioni, che noi speriamo che venga sempre di più valorizzato in sede di partecipazione dell'Italia all'Unione europea, non tiene conto della ricerca e dello sviluppo e dell'innovazione; non tiene conto spesso della gestione delle frontiere esterne, che sarebbe un bene pubblico che, specialmente per il nostro Paese, sarebbe di estremo valore; non tiene conto del tema della privacy, come è stato detto; non tiene conto della tutela dei diritti umani e, come Italia, noi abbiamo un grandissimo interesse in tal senso e siamo i primi a volere la verità su quello che è accaduto a Giulio Regeni, perché Giulio Regeni era un cittadino europeo e non solo un cittadino italiano. Quindi, quando si parla di valori e di saldi finanziari, dobbiamo tenere conto che, spesso, alcuni beni pubblici europei, come quelli che ho elencato, non sono conteggiati in questo razionale e freddo conto. Quindi, dobbiamo concentrare e concentreremo la nostra attenzione su quei benefici che l'Unione europea porta a tutta l'Unione europea in sé e non Stato per Stato (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Maggioni. Ne ha facoltà.

MARCO MAGGIONI (LEGA). Grazie, Presidente. Governo, cari colleghi, intanto credo che questa sarà, indubbiamente, l'ultima legge di delegazione europea del Conte-bis. Noi siamo qui, in Aula, come se niente fosse, ma non abbiamo la garanzia, la certezza politica di poter concludere questo atto in quest'Aula domani, perché, dalle agenzie che si susseguono, le dimissioni del Presidente del Consiglio potrebbero essere imminenti, quindi credo che una riflessione politica vada fatta, quantomeno, sul possibile proseguo dei lavori. Poi, permettetemi anche una battuta. Io non mi sono mai scandalizzato nel vedere, il lunedì pomeriggio, l'Aula scarsamente partecipata (diciamo così).

Si sa, la discussione generale serve ad introdurre il tema o i temi che si verranno poi a discutere e a votare durante il prosieguo dei lavori settimanali, per cui vedere che tra i banchi del Movimento 5 Stelle non c'è quella partecipazione che aveva portato il Movimento 5 Stelle a denunciare, con le foto fatte volutamente lunedì pomeriggio, denunciare un'Aula che non lavora, non fa nulla, ecco, credo che sia una prova, l'ennesima prova, di coerenza o di incoerenza, come la vogliate leggere.

Entrando nello specifico di questa legge di delegazione, intanto penso che sconti il fatto che è stata partorita nel 2019, poi si è agganciata sul 2020, ma è una legge di delegazione che nasce in un periodo storico completamente differente rispetto a quello che stiamo vivendo oggi e che verosimilmente sarà quello su cui questa legge di delegazione dovrà vedere scaricati a terra i propri effetti. Quindi penso che un aggiornamento di questa legge di delegazione e di quelli che poi saranno gli effetti che produrrà sulle imprese, sarebbe stato opportuno anche andarlo ad introdurre. Purtroppo questo non è stato fatto al Senato, ci auguriamo che qui alla Camera si ponga una correzione in questi termini e in questo senso abbiamo presentato come Lega un emendamento proprio per andare a rivedere l'articolo 1, affinché prenda cognizione di quello che è capitato nel Paese durante il 2020 e di quella che sarà la realtà che andremo a vivere nel 2021 e negli anni seguenti. Io penso - e spero - che non si verifichi quella che ormai è una moda nel Parlamento italiano per cui, come già diceva prima il collega Giglio Vigna, lavora un ramo del Parlamento e l'altro ramo del Parlamento deve certificare quanto ha fatto, nel nostro caso il Senato, perché - si dice, ormai è diventato di moda dirlo - il provvedimento è “blindato”. Questo è uno sminuire la democrazia, è uno sminuire nel nostro caso il ruolo della Camera dei deputati, ma di converso potremmo dire anche del Senato, se ricordiamo quanto è accaduto soltanto poche settimane fa rispetto alla legge di bilancio che di fatto, a tempo record, è stata approvata al Senato senza nemmeno il tempo non solo di valutarla, ma nemmeno di leggerla.

Quindi purtroppo la legge di delegazione europea arriva in questo clima, arriva in quest'Aula, con questo metodo che cozza con quella che è la natura della nostra Costituzione, che prevede un bicameralismo perfetto, quindi pari dignità a livello legislativo della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE FABIO RAMPELLI (ore 14,13)

MARCO MAGGIONI (LEGA). Purtroppo questa legge di delegazione nasce, cresce e viene approvata al Senato con un vizio di forma, legato al fatto che ci si è dimenticati, nella maggioranza, nel Governo, di valutare quelli che sono gli impatti sull'occupazione delle norme che vengono introdotte con questa legge. Io l'ho ribadito anche qualche mese fa in Commissione XIV: noi non possiamo più approvare - ammesso che fosse corretto farlo prima - ma non possiamo più approvare norme senza chiederci quale sarà l'impatto in termini occupazionali che quelle norme avranno nel nostro Paese (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier). E non lo possiamo più fare perché i dati sono chiari, noi abbiamo il prodotto interno lordo che nel 2020 segnerà circa un meno 9 per cento e abbiamo un prodotto interno lordo che a livello previsionale parla di un più 3,5 nel 2021, sempre che la campagna vaccinale andrà a buon fine e sempre che si riesca a recuperare in termini di consumi e di fiducia nel futuro in questo Paese. Quindi capite che i dati economici sono gravi al punto che noi non possiamo introdurre norme e non possiamo recepire direttive senza collegarle a quelle che sono le necessità delle nostre imprese, senza quelle che sono le previsioni economiche e occupazionali dell'Italia. Ricordo in quest'Aula che il blocco dei licenziamenti ha sostanzialmente nascosto, come si dice, la polvere sotto al tappeto nel corso del 2020, ma se lo sblocco avverrà, come più volte il Governo ha già annunciato, ad aprile 2021, ad aprile prossimo, è chiaro che lì vedremo purtroppo gli effetti reali di quella che è la crisi economica e occupazionale che il COVID-19 , o “China virus”, chiamatelo come volete, hanno prodotto nel nostro Paese e in Europa. Quindi è necessario fare uno sforzo in più, è necessario chiederci, per ogni singolo articolo di questa legge, quale è l'effetto e capire se la maggioranza ha ragionato con gli operatori dei vari settori che vengono toccati da questa legge prima di andare a scrivere le norme. A leggere questa legge di delegazione parrebbe di no, ma questo credo che sia un po' diventato il vostro marchio di fabbrica. Se vediamo come è stato impostato il piano che dovreste presentare in sede europea entro il 30 di aprile, il piano con cui andrete a spendere i fondi derivanti dal Next Generation EU, fate pari e patta con questo metodo, vale a dire l'incapacità di ascoltare, di dialogare con le forze produttive del Paese e portare all'interno del corpo normativo queste necessità e queste esigenze.

Una legge di delegazione che nasce in un contesto dove il nostro Paese si vede chiamato in causa per ben 93 procedure di infrazione, che sono appunto, come dicevo, a carico dell'Italia. Procedure di infrazione che, quando la Lega è al Governo, vengono tacciate come sinonimo di antieuropeismo, poi, magicamente, quando al Governo ci sono le forze che a slogan si definiscono “europeiste”, magicamente non vengono più considerate. Io penso invece che una legge di delegazione doveva essere più coraggiosa, per andare a recuperare maggiormente quelle che sono le direttive che non sono state ancora recepite oppure, se non si intende recepire una direttiva, evidentemente andare a motivare anche quella che è la ragione politica che sta alla base di quella decisione. Si tratta di avere una strategia su quello che si vuole fare. Purtroppo questa strategia è evidente come, per quanto riguarda la legge di delegazione, manchi su tutto il provvedimento.

Entrando un po' più nel dettaglio, noi abbiamo l'articolo 3 che reca il recepimento della direttiva 2018/1808 riguardante disposizioni concernenti la fornitura di servizi di media audiovisivi. Io penso che qui il Governo e la maggioranza potevano e dovevano essere più coraggiosi. Era il luogo adatto per andare ad inserire un richiamo agli operatori del settore per una maggior tutela nei confronti dei giovani, dei minori che utilizzano sempre in modo più massiccio la rete. Purtroppo la cronaca di questi giorni ci dà la prova come una attenzione in questi termini sia davvero doverosa.

Purtroppo, in questi mesi abbiamo assistito a come questi operatori, in particolare legati al mondo di Internet, siano molto solerti a cancellare tutto ciò che viene definito “politicamente scorretto”, ma al tempo stesso non sono così solerti a togliere dalla rete ciò che potrebbe essere un'incitazione alla violenza, che porta poi dei danni, anche a volte purtroppo irreparabili, ai minori stessi (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier). Quindi, due pesi e due misure che questa legge di delegazione, purtroppo, non va ad affrontare; potevate e dovevate essere più coraggiosi. Sempre sull'articolo 3, già al Senato, la Lega si è battuta e credo lo faremo anche noi qui, in Aula, per una maggiore attenzione a tutto quello che è il settore dell'agroalimentare. Noi crediamo che, nella direttiva che andate a recepire con l'articolo 3, non vadano applicati i “considerando” 28 e 58 semplicemente perché crediamo che, applicando la direttiva senza escludere questi “considerando”, si rischia di andare a cagionare un danno al settore agroalimentare, andando a tacciare come rischiosi, in termini di salute, alcuni nostri prodotti tipici.

Purtroppo, siamo relegati, a livello di Paese, in una situazione dove i nostri prodotti tipici, che sono sinonimo della nostra cultura, delle nostre tradizioni locali, rischiano di essere tacciati negativamente, di essere bollati negativamente proprio perché hanno un alto contenuto di grassi, di sali. Questa direttiva andava, a nostro modo di vedere, recepita, ma stando attenti ad evitare che un settore come quello agroalimentare, da sempre perla per il nostro Paese, potesse trovarne delle forme di critica, delle forme di proposizione a livello mediatico che possono portare danni al settore stesso. Sull'articolo 5 l'ennesima prova di quanto dicevo prima, la mancanza di dialogo con i settori produttivi. Siamo tutti legati ai temi di tutela ambientale, però un conto è farlo ragionando in termini occupazionali, ragionando in termini produttivi, e un conto è farlo come se il green fosse la nuova religione mondiale.

Sono due approcci completamente differenti. Voi, in questa legge di delegazione, fate emergere in modo chiaro, netto, come non ci sia un collegamento con la realtà. Basta citare un dato: noi arriviamo da un periodo di lockdown e un po' tutte le agenzie regionali ci stanno dicendo che, nonostante ci sia stato un forte calo di automobili in circolazione nei centri urbani, di fatto la quantità di inquinanti non si è ridotta di pari passo; quindi, è evidente che, dai dati, sono i riscaldamenti, gli impianti di riscaldamento delle grandi città ad avere un grave impatto in termini di inquinamento e non le automobili che circolano. Però, nonostante questo, ci si sta votando all'auto elettrica come se fosse la soluzione ad ogni male ambientale.

Vi invito, visto che il Governo è presente in Aula, a fare come è stato fatto, per esempio, in Germania, e mi riferisco ad uno studio sugli impatti, in termini di occupazione, nel settore dell'automotive, applicando, come vorreste applicare voi, la logica di introduzione in massa dell'auto elettrica. Questo studio tedesco, fatto dal Governo tedesco, dice che, nei prossimi dieci anni, l'automotive, a livello di produzione di auto, farà segnare meno 640 mila posti di lavoro e si passerà da 180 mila impiegati attuali nel settore di tutto ciò che è assistenza, post vendita, riparazioni, sempre legati all'automotive, a 110 mila nel 2040. Quindi, quando si applicano le norme, bisognerebbe fare un'analisi sugli impatti che determinano e capire come verranno riutilizzate queste persone, che perderanno il lavoro, come potranno trovare lavoro in settori alternativi, se questa manodopera in uscita dal settore automotive può essere riassorbita da altri settori. Voi questo non ce lo dite e, probabilmente, perché non lo sapete; non vi siete mai chiesti quali possono essere le soluzioni ai drastici cali occupazionali che vi saranno in Europa, legati al fatto che verranno introdotte le auto elettriche in massa. Penso che questa sia una riflessione, uno studio che qualunque Governo, che voglia avere una visione del futuro, debba porsi. Per quanto riguarda gli articoli 10 e 11, che, all'interno della legge di delegazione, sono un po' il pacchetto bancario, un brivido lungo la schiena corre nel vedere le componenti di questa maggioranza affrontare i temi bancari; basti pensare al bail-in, introdotto come se fosse la cosa più normale e semplice di questo mondo, e poi avete visto - con riferimento alle banche nazionali sicuramente non vicine alla mia parte politica, ma più vicine a partiti politici che siedono in maggioranza - come sia stato difficile e complicato andare a dire ai risparmiatori che dovevano salvare le banche dai danni compiuti da chi le ha gestite in modo disastroso.

E allo stesso tempo, quando, in sede europea, è stato inserito il famigerato calendar provisioning, non ci si è andati a chiedere quelli che potevano essere i dati legati alla necessità di ricapitalizzare le banche per il fatto di dover progressivamente ridurre i valori dei bilanci per gli NPL, i non performing loans. Poi scopriamo che addirittura il Ministro Gualtieri aveva salutato come positiva l'introduzione di questo metodo, di questo sistema, salvo poi leggere le dichiarazioni di Nagel, amministratore delegato di Mediobanca, che ha definito il calendar provisioning come una potenziale bomba atomica sul sistema bancario nazionale.

Noi qui abbiamo presentato alcuni emendamenti: vedremo se l'esito sarà come quello ottenuto in Senato oppure se la maggioranza avrà il coraggio di recepire questi emendamenti, che vanno a difesa non solo della solidità generale del sistema bancario nazionale, poiché intendono consentire a tutta una serie di istituti, minori per dimensione, ma che hanno un forte collegamento con le necessità del territorio e quelle imprenditoriali locali, di poter continuare a esistere, di poter continuare a fare banca e, in una fase così difficile per la nostra economia, di continuare a erogare credito proprio in una dimensione che, spesso, gli istituti, che hanno dimensioni ben maggiori, o addirittura internazionali, faticano a volte a cogliere.

Sull'articolo 22, prima ho sentito toni trionfalistici legati all'uso, alla riduzione, alla modifica, alla rimodulazione dell'uso di materie plastiche: noi avremmo voluto sentire e vedere scritto in questa legge di delegazione, invece, qualcosa di più chiaro riguardo alla plastic tax, che sarà comunque in vigore dal 1° luglio 2021 e che tutti gli operatori economici del settore ci stanno confermando come sia una tassa che rischia di mettere in ginocchio le nostre imprese. Prima sentivo la collega Papiro salutare, in modo trionfalistico, l'introduzione di questo articolo 22 perché le imprese potranno modificare la loro produzione. Sommessamente, faccio notare che il rischio è che non ci siano più le imprese stesse, e quindi questa è una domanda che rivolgo alla maggioranza, sperando che abbiano trovato almeno qualche risposta. Chiudo, Presidente, intervenendo sulla Relazione concernente la partecipazione dell'Italia all'Unione europea nel 2019: ecco, ormai è storia; più che una relazione, è un libro di storia.

Noi, nel 2019, abbiamo visto delle elezioni europee dove tutti i partiti, specialmente in Italia, promettevano di andare in Europa per riformare l'Unione europea. Una volta che sono stati eletti parlamentari, di riforme non si è più parlato. E questo è un tema che andrebbe sollevato.

Un altro tema che andrebbe sollevato riguardo alla partecipazione del nostro Paese all'Unione europea è quello di denunciare l'assenza totale di una politica estera europea degna di questo nome. Se è vero che esiste un Alto rappresentante per la politica estera, bene, questo Alto rappresentante batta un colpo. Noi siamo nella condizione di avere ventisette Paesi aderenti all'Unione europea e di avere ventisette strategie diverse nell'Unione europea in materia di politica estera. è chiaro che così non può continuare, perché gli interessi dei Paesi che compongono l'Unione europea sono spesso divergenti, ma starebbe proprio all'Alto rappresentante la capacità di trovare un punto di sintesi, un punto di caduta, su temi fondamentali come sono quelli che vengono trattati in materia di politica estera. Purtroppo, questo non avviene, non avveniva con l'Alto rappresentante Ashton, non è accaduto e si è fatto peggio ancora, ammesso che fosse possibile, con l'Alto rappresentante Mogherini e sta accadendo tutt'oggi con l'Alto rappresentante attuale. Ecco, io penso che questo Paese, il nostro Paese, abbia il dovere di sollecitare le istituzioni europee, affinché su partite importanti, come può essere la partita del Nordafrica, piuttosto che altre partite come quella mediorientale, l'Unione europea sappia prendere quelle posizioni a tutela e a difesa degli stessi Paesi membri e non vada…

PRESIDENTE. Concluda.

MARCO MAGGIONI (LEGA). Concludo, Presidente. …su questi teatri senza sapere dove vuole andare l'Unione europea e cosa si aspetta dal futuro (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Francesca Galizia. Ne ha facoltà.

FRANCESCA GALIZIA (M5S). Grazie, Presidente. Oggi, come hanno presentato i nostri relatori e come hanno anche illustrato i miei colleghi onorevoli, si va a discutere quella che è la Relazione sul disegno di delegazione europea e, congiuntamente, andremo anche a parlare della Relazione consultiva circa l'attività svolta dall'Italia e la sua partecipazione all'Unione europea nell'anno 2019. Oggi, la legge di delegazione europea che andremo a recepire è sicuramente un tema importante, un atto importante per questo Governo, perché l'Italia recepisce nel proprio ordinamento interno quelle che sono le norme giuridiche che ci vengono dall'Europa e questo, diciamo così, dovrebbe essere un evento che si ripete ogni anno, tanto con la legge di delegazione europea, quanto con la legge europea. Quest'anno, a causa della pandemia, ovviamente, ci sono stati diversi ritardi ed è per questo che al Senato si è intervenuto per migliorare questo testo di legge delegazione europea - che è, appunto, la legge di delegazione europea 2019-2020 - aggiungendo anche diversi articoli molto importanti.

Questo disegno di legge prevede 29 articoli, che vanno a recepire ben 39 direttive, 17 regolamenti europei e continua ad avere tanti contenuti diversi: ci sono tematiche che toccano il provvedimento, come lo sviluppo delle fonti rinnovabili, l'energia elettrica, le pratiche commerciali sleali nella filiera agricola alimentare, il codice europeo delle comunicazioni elettroniche in vista dello sviluppo delle nuove tecnologie come la rete 5G, la tutela del diritto d'autore nel mercato digitale, l'Agenzia per la cybersicurezza.

Come MoVimento 5 Stelle, uno dei temi a noi cari è quello delle energie rinnovabili, in cui siamo intervenuti sull'articolo 5, di cui ha parlato prima il collega della Lega. In realtà, secondo me, si è operato bene su questo articolo e si è anche operato affinché fosse migliorato. L'articolo 5 della legge di delegazione europea disciplina l'individuazione delle superfici e delle aree idonee e non idonee per l'installazione di impianti e fonti rinnovabili. Vengono innanzitutto definiti i criteri per l'individuazione delle aree idonee all'installazione di impianti FER aventi una potenza complessiva almeno pari a quella individuata come necessaria dal Piano nazionale energia e clima per il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo delle fonti rinnovabili. Quello che si vuole fare - e la visione di insieme c'è - è ridurre sempre di più quelli che sono gli incentivi al fossile e migliorare l'efficienza di quella che è la nostra energia rinnovabile, perché dobbiamo saper guardare al futuro e, probabilmente, ci sarà un momento di difficoltà in cui effettivamente alcuni settori soffriranno di una mancanza di occupazione, ma dobbiamo pensare alle generazioni future, e sicuramente l'Europa lo sta facendo. Non a caso il piano che va a guardare al futuro, quello del Recovery Plan, si chiama in realtà Next Generation EU, perché veramente si vogliono fare investimenti per il futuro delle prossime generazioni e investire nelle energie rinnovabili è sicuramente un passo importante, a cui non ci possiamo sottrarre.

Ci sono tanti altri elementi tecnici, legati sempre alla questione degli aspetti energetici, in quanto il provvedimento della delegazione europea individua anche misure che vanno ad incentivare la promozione delle comunità di energia rinnovabile. Anche questo è un intervento importante. E sempre nell'articolo 5 osserviamo la promozione dell'utilizzo dell'energia elettrica rinnovabile per la ricarica dei veicoli elettrici, sempre per ridurre quella che è la questione legata all'inquinamento dell'area e procediamo anche a quelli che sono gli obiettivi di decarbonizzazione nel settore dei trasporti.

In tema di energia elettrica, l'articolo 12 della legge di delegazione europea prevede princìpi e criteri specifici per il mercato dell'energia elettrica, L'articolo prevede, inoltre, misure specifiche per l'autoconsumo e le comunità energetiche.

Nel disegno di legge di delegazione europea ci sono, poi, misure importanti per la tutela dell'ambiente. Anche questo è un tema a noi molto caro, come quello che ha illustrato la collega Papiro, sulla questione dell'utilizzo delle plastiche biodegradabili e compostabili al posto della plastica e dei contenitori monouso, allargando la questione anche ai bicchieri monouso e a tutte quelle plastiche che entrano in contatto con gli alimenti: è una misura ambientale importante che dà un ulteriore contributo alla lotta contro l'utilizzo delle plastiche monouso e fornisce, al contempo, maggiori certezze alle numerosissime imprese del settore, perché anche questo dobbiamo farlo, dobbiamo incentivare queste aziende che giustamente convertono la loro produzione.

Vorrei, inoltre, sottolineare che in questa legge di delegazione europea è presente anche un importante articolo, l'articolo 7, che reca principi e criteri direttivi specifici che il Governo dovrà osservare nell'esercizio della direttiva dell'Unione europea in materia di pratiche commerciali sleali nei rapporti tra imprese nella filiera agricola e alimentare. Su questo tema la Commissione europea si è molto impegnata per diversi anni in azioni dirette a rendere la filiera alimentare più equa ed equilibrata, e a difendere gli agricoltori e i piccoli produttori che non dispongono di un potere contrattuale sufficiente a contrastare le prassi scorrette. E finalmente, dopo un lungo lavoro, il 17 aprile del 2019, questa direttiva vede la luce, in materia di pratiche commerciali sleali nel rapporto tra imprese nella filiera agricola e alimentare, introducendo così nuove norme a tutela dei fornitori e dei produttori agricoli e alimentari, basate su elementi di maggiore trasparenza, a beneficio della stessa filiera e dei consumatori finali. Si tratta di norme che, una volta recepite nei singoli Stati membri, dovranno coordinarsi con la disciplina nazionale già esistente in materia ed in particolare, per quanto attiene all'Italia, con la disciplina prevista dall'articolo 62 del decreto-legge 24 n. 1 del 2012. Ovviamente, quello che per noi fondamentalmente è importante, è che una filiera come quella dell'agricoltura, che riguarda appunto il made in Italy, è il motivo per cui va tutelata, e l'Italia veramente è stata capofila di questa battaglia per l'approvazione di questa messa al bando delle pratiche abusive. I danni provocati dalle pratiche commerciali sleali si ripercuotono sulle imprese agroalimentari, a partire da quelle di dimensioni medio-piccole, con effetti a cascata sino ai produttori agricoli di più grandi dimensioni.

Con l'articolo 7, si vieta la vendita dei prodotti agricoli e alimentari attraverso il ricorso a gare e aste elettroniche a doppio ribasso, o la vendita di prodotti agricoli e alimentari realizzata con un livello tale che si determinino condizioni contrattuali eccessivamente gravose, compresa quella di vendere a prezzi al di sotto dei costi di produzione, definendo in modo puntuale condizioni e ambiti di applicazione. Voglio ricordare ai colleghi che in questa Camera si era già portata avanti, con la Commissione agricoltura, una proposta di legge per il divieto delle aste a doppio ribasso e la limitazione del sottocosto. La proposta - la n. 1549 - attualmente è ferma al Senato, ma grazie all'approvazione della legge di delegazione europea questa proposta vedrà finalmente la luce, ed è una risposta importante, dunque, per i nostri produttori, che spesso non vedono riconosciuto il giusto prezzo al proprio lavoro.

Un altro punto importante, sempre inerente a questo articolo 7: è garantito l'anonimato di colui che denuncia le pratiche sleali.

Inoltre, a vigilare sull'applicazione delle norme e dei divieti stabiliti dalla direttiva dell'Unione europea sarà l'Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agroalimentari (ICQRF), che è presente in maniera capillare sul territorio e che ha già mostrato da tempo la sua capacità di operare sul territorio e di realizzare quelli che sono la prevenzione e il contrasto dei reati nel settore agroalimentare, e che avrà però la possibilità di avvalersi anche del supporto del Comando per la tutela agroalimentare dell'Arma dei carabinieri e della Guardia di finanza. Questa importante modifica è stata introdotta al Senato grazie al lavoro svolto con la maggioranza, che ringrazio tutta per aver sostenuto questo emendamento, che è stato presentato a prima firma della collega Lorefice.

Per quanto riguarda invece la Relazione consuntiva sull'attività svolta dall'Italia e sulla sua partecipazione all'Unione europea nell'anno 2019, essa figura indubbiamente come il principale strumento per l'analisi post dell'attività svolta dal Governo su vari temi e in vari ambiti, e su come esso si sia posto nelle sedi decisionali europee. Voglio ricordare che poco tempo fa in quest'Aula avevamo dibattuto, invece, su quella che è la Relazione programmatica, su cui abbiamo svolto un grande lavoro nella XIV Commissione, e che è stata arricchita di tantissimi spunti, anche legati alle questioni della pandemia. Alcune questioni riguardo invece la Relazione consuntiva sono state inevitabilmente superate per far spazio a misure urgenti da adottare nell'immediata gestione dei numerosi disagi provocati dal COVID-19, innescando una revisione di quelli che sono gli orientamenti di carattere strategico, incidendo sull'andamento dei principali negoziati in corso, primo fra tutti, ovviamente, quello sul Quadro finanziario pluriennale 2021-2027. Nel mese di luglio dell'anno scorso l'accordo raggiunto nel Consiglio europeo definisce gli orientamenti del nuovo bilancio, che sarà impiegato dall'associato programma Next Generation EU per contrastare gli effetti economici e sociali della pandemia da COVID-19 e per promuovere la ripresa dell'Europa sulla base della trasformazione verde e digitale dell'economia.

Sui contenuti, ovviamente, è la mia collega che ha provveduto alla Relazione; si è fatta una importante disquisizione e io mi faccio forte di quello che lei ha illustrato, tuttavia vorrei svolgere un passaggio importante su quanto è legato alla Conferenza sul futuro dell'Europa. Ovviamente, la posizione favorevole a realizzare la Conferenza del futuro dell'Europa da parte del Governo italiano è stata esplicitata, poi, successivamente rispetto alla Relazione consuntiva nel non-paper che è stato approvato a febbraio scorso, nel quale si indica che la discussione sul futuro dell'Europa dovrà prevedere un forte coinvolgimento della società civile e dei Parlamenti nazionali. È un appuntamento importantissimo, non ce lo dobbiamo dimenticare: a 10 anni dall'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, 70 dalla dichiarazione di Schuman e nel contesto della pandemia di COVID-19, che indica che i tempi sono ormai maturi per ripensare l'Unione europea.

Questo momento di crisi che l'Unione sta attraversando dimostra la necessità di riforme istituzionali e politiche in molteplici settori della governance. La Conferenza sul futuro dell'Europa sarà organizzata dal Parlamento, dal Consiglio e dalla Commissione e dovrà durare due anni. Il Parlamento europeo vuole che i cittadini di ogni estrazione, i rappresentanti della società civile e le parti interessate a livello europeo, nazionale, regionale e locale siano tutti coinvolti nella definizione delle priorità dell'Unione europea, in linea con le preoccupazioni dei cittadini, in un approccio dal basso verso l'alto, trasparente, inclusivo, partecipativo ed equilibrato. Io credo che oggi l'Europa abbia fatto già dei grossi passi avanti, però questo appuntamento della Conferenza sul futuro dell'Europa è sicuramente importantissimo per ridarle una nuova veste.

Infine, la seconda parte della Relazione consuntiva, che è la parte un po' più consistente, è dedicata a tutte quelle che sono le politiche: orizzontali, settoriali, la migrazione, il mercato interno, la fiscalità, l'unione doganale, le politiche industriali, la concorrenza, la ricerca, lo sviluppo tecnologico, l'ambiente e l'energia, i trasporti, l'agricoltura, la pesca, la politica estera, insomma, tutti temi ovviamente di grande attualità. Faccio presente che la maggior parte delle politiche è stata interessata ovviamente dall'adozione non solo di misure eccezionali per fronteggiare le conseguenze provocate dalla pandemia, ma anche da iniziative in attuazione dei nuovi orientamenti strategici della Commissione europea.

La crisi pandemica ha inoltre comportato una revisione degli orientamenti di carattere strategico ed ha influito sull'andamento dei principali negoziati in corso, primo fra tutti, ovviamente, quello del Quadro finanziario pluriennale. Il nuovo bilancio, che sarà integrato dall'associato programma Next Generation EU per contrastare gli effetti economici e sociali da COVID-19 e per promuovere la ripresa dell'Europa sulla base della trasformazione verde e digitale dell'economia, avrà un impatto trasversale su tutte le politiche.

Completano il documento altre due parti che riguardano l'attuazione delle politiche di coesione economica, sociale e territoriale, e dunque l'avanzamento finanziario; ed inoltre le questioni riguardanti il coordinamento nazionale delle politiche europee, tra cui l'attività svolta dal Comitato interministeriale per gli affari dell'Unione europea, che sta svolgendo un ruolo di regia nel negoziato sul Quadro finanziario pluriennale e nella definizione del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Io, Presidente, vorrei cogliere l'occasione per ringraziare qui entrambi i relatori, sia il collega De Luca per quanto riguarda la legge di delegazione europea, sia la collega Ianaro per quel che riguarda la Relazione consuntiva. Voglio anche ringraziare tutti i colleghi della mia Commissione, che tanto stanno lavorando su questi temi, in questo momento tanto fondamentali per il nostro Paese (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Lucrezia Mantovani. Ne ha facoltà.

LUCREZIA MARIA BENEDETTA MANTOVANI (FDI). Presidente, oggi ci troviamo a discutere della legge di delegazione europea, un provvedimento che, come sua consuetudine, andrà ad incidere in modo poliedrico sull'ordinamento nazionale e di riflesso sugli operatori economici e sui cittadini. Un provvedimento il cui iter è durato quasi un anno, presentato in Senato già nel febbraio scorso, e che oggi giunge alla Camera, con l'Italia che, al pari dell'Europa, si trova ad affrontare un contesto totalmente stravolto dalla pandemia.

La legge di delegazione europea è uno strumento fondamentale, il cui fine è quello di rispondere a un processo di armonizzazione e avvicinamento degli ordinamenti dei singoli Stati membri rispetto al quadro europeo. Due fini che ritornano spesso sui carteggi dei Trattati, nei regolamenti, nella retorica europeista, ma che, nei fatti, è spesso e volentieri un mero esercizio di stile, una definizione manualistica, che non può essere affrontata senza la dovuta attenzione.

Il provvedimento intende consentire l'adeguamento dell'ordinamento nazionale nei confronti di circa 33 direttive europee e 14 regolamenti, risultando, a dispetto della scarsa attenzione mediatica su tale legge, decisamente incisivo per l'Italia e per il suo tessuto produttivo, toccando altresì un notevole quantitativo di interessi soggettivi. Vi è un insieme di questioni trattate le cui ricadute dirette e indirette possono attivare degli stravolgimenti, frutto di conseguenze che, è bene dirlo, sono sistemiche, come in tutti i casi in cui si opera su tematiche che coinvolgono una pluralità di individui e di interessi. L'incertezza è nemica dell'economia e l'incertezza normativa è un fattore non trascurabile, che rientra tra gli elementi di valutazione per ogni impresa che intenda operare nell'ambiente economico, soprattutto nel nostro Paese, dove vige una vera e propria giungla normativa.

Gli articoli della legge in questione coinvolgono materie fondamentali: si normano argomenti quali la fornitura dei servizi di media audiovisivi, il diritto d'autore, i servizi digitali, il benessere animale, il mercato dell'energia e le fonti rinnovabili. Un insieme di temi di grande rilevanza, che riguardano in concreto anche il nostro Paese, soprattutto quando si parla di pratiche commerciali sleali che mirano a frodare il mercato alimentare, una vera e propria eccellenza da difendere, da sostenere, da promuovere. Temi sui quali l'Europa è, sì, sensibile, ma sui quali dobbiamo vigilare, coinvolgendo i consorzi, gli operatori del settore e le associazioni che li rappresentano, al fine di offrire un quadro normativo utile a scongiurare la diffusione di prodotti finiti e materie prime dalla dubbia provenienza. Pertanto, la legge di delegazione è, sì, molto importante per scongiurare il peso delle procedure di infrazione, ma è altresì l'occasione per alzare la guardia di fronte al rischio che una frettolosa ricezione delle norme europee possa creare grossi pregiudizi al sistema Italia.

Insomma, non cadiamo nell'errore di danneggiare i nostri interessi, e quindi i nostri operatori economici, per il solo fine di ricevere una pacca sulla spalla da Bruxelles. Lo abbiamo visto, Presidente, anzi, lo stiamo vedendo con questa crisi di Governo: l'europeismo fine a se stesso, come quello emerso da alcuni interventi su questo provvedimento provenienti dalla maggioranza, altro non è che un inno alla demagogia, molto lontano dai veri interessi del nostro Paese. La svolta verde, la transizione ecologica saranno la costante del nostro presente e del nostro futuro prossimo, ne siamo consapevoli.

Fratelli d'Italia non nega l'importanza d'intervenire per rendere meno impattanti alcune attività economiche, nel rispetto delle varie agende e, non da ultimo, quella ONU orientata al 2030. Sappiamo bene che ecosostenibile significa anche efficienza energetica e, nei processi, significa un miglior utilizzo delle risorse materiali e umane al fine di garantire una maggiore consapevolezza delle responsabilità che le scelte economiche comportano. Non neghiamo l'urgenza di intervenire per salvare l'ambiente e il pianeta, ma mai abbiamo avuto intenzione di pronarci di fronte all'intransigenza che porta a normare, in modo frettoloso e senza valutare i danni collaterali, su interi comparti e sull'occupazione. Si chiama “rivoluzione verde”. Io preferirei chiamarla “evoluzione sostenibile” e, proprio in quanto evoluzione, non deve comportare la desertificazione industriale, perché riconvertire non significa distruggere.

Nell'insieme di articoli abbiamo avuto modo di incontrare anche argomenti legati ai biocarburanti, come nel caso dell'articolo 5, dove al tema della riconversione energetica è di vitale importanza sommare l'attenzione nei confronti degli operatori economici. Il contesto macroeconomico globale deve condurci ad una seria riflessione sul da farsi, sulle scelte da compiere, che devono essere coraggiose e mai scontate. La tensione morale in un provvedimento di questo tipo sta tutta qui, nella consapevolezza che non si sta eseguendo un mero adempimento ma un'importante azione normativa che deve essere precisa e puntuale nella tutela degli interessi nazionali. La pandemia ha messo alla prova tutti i Paesi e, in particolar modo, l'Italia. La narrazione del modello Italia non ha retto granché, nemmeno in termini di aiuto all'economia, e proprio per questo serve consapevolezza. Dobbiamo tornare ad essere interpreti di un ruolo centrale in Europa, ma, per farlo, dobbiamo essere certi di ciò che rappresentiamo qui e di ciò che vogliamo venga fatto nelle sedi europee per portare avanti una politica vera, attenta ai territori, allo sviluppo e alle persone. Dobbiamo guardare all'Europa senza dimenticarci dell'Italia, della patria degli uomini e delle donne che vivono in questa Nazione e che rappresentano il suo cuore pulsante. L'Italia è le sue aziende e la laboriosità dei suoi imprenditori, ma è anche la sua terra dalla quale riusciamo a produrre prodotti eccezionali, materie prime di pregio e prodotti lavorati che fanno parte di una tradizione ricercata in tutto il mondo: il made in Italy.

L'Europa, Presidente, deve essere al servizio della democrazia, completandola e fornendo gli strumenti utili a realizzare ciò che il mandato popolare richiede. Nel rispetto di questo spirito costruttivo, abbiamo lavorato sugli emendamenti presentati a questo provvedimento. Non lo facciamo solo per un mero esercizio di stile, ma con l'obiettivo di contribuire al bene della nostra Nazione e del ruolo che ricopre nel quadro europeo. La nostra Europa è un insieme di popoli e nazioni e, in questo solco, noi intendiamo lavorare per migliorarla. L'intervento normativo che ci viene richiesto è preciso. Le deleghe che il Parlamento darà al Governo sono impegnative e per questo abbiamo preteso la massima attenzione all'interesse dei nostri comparti economici. La sofferenza del nostro Paese, Presidente, è sotto gli occhi di tutti. Basta guardarsi attorno per verificare che non c'è settore che non abbia sofferto di un impoverimento nell'ultimo anno. L'Italia non riesce a stare al passo degli altri Stati membri e il Governo non riesce a star dietro alle proprie promesse. Manca un indirizzo, mancano le idee, se non quelle di rinviare le decisioni e vivere di compromessi. Un quadro desolante, irrispettoso del nostro Paese, del quale ormai sembrano farsi beffe tutti. Abbiamo chiesto di tenere alta la bandiera dell'Italia, ma qui davvero sembra che ci si preoccupi più di tenere in piedi quelle di partito piuttosto che utilizzare le proprie energie per riaccendere il motore della nostra Nazione.

E mi avvio a concludere, Presidente. Il lavoro che abbiamo svolto mira proprio a questo, a essere, come direbbe qualcuno dall'altra parte dell'emiciclo, portavoce degli italiani, delle realtà economiche che rendono questa Nazione ancora grande. La dignità del Parlamento italiano sta nell'essere motore di idee e fautore di progresso. Le procedure di infrazione sono un problema, rappresentano un pesante esborso di denaro che è facilmente inseribile nella colonna degli sprechi. Attenzione, però, a non abbassare la guardia, a compilare questa pratica in modo leggero e autocelebrativo. Non siamo qui per eseguire solo le indicazioni che provengono da Bruxelles ma per rendere servizio all'Italia e non c'è modo migliore di farlo se non pensando agli italiani (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione congiunta sulle linee generali.

(Repliche - A.C. 2757 e Doc. LXXXVII, n. 3)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore Piero De Luca, che mi pare non sia presente, così come la deputata Angela Ianaro.

Quindi, ha facoltà di replicare, se lo ritiene, la rappresentante del Governo: rinuncia e si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.

(Annunzio di risoluzioni)

PRESIDENTE. Avverto che sono state presentate e sono in distribuzione le risoluzioni Rossello ed altri n. 6-00171 e Galizia, De Luca, Emanuela Rossini e De Lorenzo n. 6-00172, riferite alla Relazione consuntiva sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea (Anno 2019) (Vedi l'allegato A).

Il seguito del dibattito è rinviato alla seduta di domani.

Discussione della mozione Trizzino ed altri n. 1-00397 concernente iniziative in materia di cure palliative, nel contesto dell'emergenza pandemica da COVID-19 (ore 14,57).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Trizzino ed altri n. 1-00397 concernente iniziative in materia di cure palliative, nel contesto dell'emergenza pandemica da COVID-19 (Vedi l'allegato A).

La ripartizione dei tempi riservati alla discussione è pubblicata nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta del 22 gennaio 2021 (Vedi l'allegato A della seduta del 22 gennaio 2021).

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali della mozione.

È iscritto a parlare il deputato Paolo Siani. Ne ha facoltà.

PAOLO SIANI (PD). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, sottosegretaria, grazie molte. Abbiamo parlato altre volte in quest'Aula di cure palliative e anche in XII Commissione abbiamo parlato di questo tema; abbiamo svolto anche, in epoca pre-COVID, un'indagine conoscitiva molto dettagliata sul tema complesso delle cure palliative. Purtroppo, come è stato evidenziato anche nell'indagine conoscitiva, è un tema marginale nel nostro Paese, benché il nostro Paese abbia una legge molto avanzata sulle cure palliative, e ci sono - e questo è evidente ed era evidente già prima del COVID - molte e troppe differenze, differenze insopportabili tra le varie regioni del nostro Paese. Il COVID, evidentemente, ha evidenziato tutte le criticità anche su questo tema. Sono cresciuti un disagio e una difficoltà particolarmente sgradevoli, perché gli ospedali, nella necessità di garantire e gestire l'emergenza, si sono trovati costretti a dover dimettere il maggior numero di ammalati, anche gli ammalati inguaribili, per cui è necessariamente aumentata l'assistenza domiciliare per questi ammalati inguaribili con tutte le sue criticità, perché, lì dove c'è un sistema funzionante, i malati sono stati assistiti ugualmente bene a casa ma, dove questo non c'è, sono stati abbandonati a se stessi e ai loro familiari. Ecco, assistenza domiciliare è una parola chiave in questo momento nel nostro Paese - non solo le cure palliative - perché è qui che si svolgerà e che cambierà il nostro sistema di assistenza sanitaria sul territorio.

La risposta di un Paese ad un evento catastrofico come la pandemia che stiamo vivendo da SARS-COVID-19 dovrebbe essere orientata in due modi: da un lato, ovviamente, salvare quante più vite umane è possibile; ma, dall'altro, anche minimizzare la sofferenza di coloro che potrebbero non sopravvivere.

E, quindi, andrebbe valorizzato, proprio in questi momenti di crisi, il ruolo che svolgono le cure palliative. Ma così è stato? Così questo Paese ha affrontato questa epidemia, anche pensando agli ammalati inguaribili? Purtroppo devo dire di no, non nel modo che avremmo voluto, anche se devo dirvi che, se da un lato il COVID ha messo in evidenza tutte le criticità del nostro sistema, dall'altro, ha anche sviluppato nuove forme di assistenza, dovute più alla buona volontà degli operatori, che a un sistema integrato. Per esempio, sono stati abilitati degli smartphone aziendali da affidare alla famiglia per effettuare una videochiamata dal letto del paziente, sono stati utilizzati gli spazi esterni per permettere meglio di comunicare con gli operatori, è stato attivato, anche se in pochi casi - andrebbe fatto di più -, un sostegno psicologico per i familiari e si è dedicato più tempo anche all'ascolto e alla relazione. Ma va fatto di più, va fatto meglio, va fatto in modo uniforme in tutto il Paese, ma soprattutto in modo strutturato. È terminato, per esempio, il ruolo del volontariato, che ha smesso di fare la sua funzione lì dove era impegnato, anche negli ospedali, per cui quello che il COVID ha manifestato è che andrebbe recuperata questa deficienza, questa mancanza e bisognerebbe inserire la figura del medico delle cure palliative nelle unità di crisi regionali: costa poco ed è una figura, secondo noi, importante. L'Italia ha una legge – l'ho detto all'inizio del mio intervento -, la n. 38 del 2010, molto avanzata sulle cure palliative, una delle migliori leggi in Europa, però la nostra indagine conoscitiva ha mostrato deficienze nella sua applicazione, in vari strati, in vari gradi e in varie complessità, e sono criticità che sono emerse tutte, proprio tutte, durante l'epidemia. Ma voglio ora dirvi, in questi pochi minuti che mi rimangono, che c'è una criticità particolare nell'ambito delle cure palliative, che è quella dei pazienti pediatrici con bisogni speciali. Guardate che i bambini che hanno bisogno di cure palliative nel loro ultimo anno di vita si stima che siano, in Italia, 1.600, ma i bambini in cure palliative, che hanno bisogno cioè di assistenza palliativa sono circa 35 mila, e va detto che le cure palliative pediatriche non debbono essere interpretate esclusivamente come cure di fine vita, ma anche come cure da somministrare a un malato che sia inguaribile e complesso - ne abbiamo discusso poco tempo fa in quest'Aula per la SLA - e la complessità della cura è presente anche nei bambini, specie in quelli non oncologici, che hanno lungo tempo di vita davanti a loro, e dovrebbe essere assicurata nel modo migliore. Ma spesso l'assistenza pediatrica a questi bambini viene ritenuta un settore minimale e viene affidata a un piccolo spazio nell'ambito delle cure per gli adulti. Invece, non è così: il bambino ha una sua specificità e quindi è necessario che abbia personale specializzato e formato in modo adeguato, e non medici dell'adulto che si occupano anche e un po' di bambini. Ora, esiste un'esperienza italiana molto significativa, che è l'Hospice di Padova, che la professoressa Benini, che dirige con grande maestria, grande ardore e grande impegno - definisce un ospedale liquido, che segue ogni giorno 160 bambini gravemente ammalati presso il loro domicilio. Il centro coordina, supporta e supervisiona la rete dei servizi territoriali, cioè il pediatra di famiglia e il distretto, quando prendono in carico un bambino con malattia inguaribile - prendono in carico il bambino e la sua famiglia -, si occupa dell'assistenza globale per questi bambini ammalati, e non soltanto della terapia per farli stare meglio e l'équipe multiprofessionale del centro valuta e assiste i sintomi fisici, i bisogni psicologici, i bisogni sociali del bambino, sia a domicilio che quando è nell'hospice, in ospedale o fuori dalla sua regione. Esiste, quindi, un'esperienza in Italia significativa e funzionante; non bisogna inventarsi altre cose, basta guardare quello che c'è di buono nel nostro Paese. È necessaria però - e nella mozione è fatto chiaramente riferimento a questo - una formazione specifica, che sia dedicata alla preparazione di chi si occupa di questi bambini e che ci sia - questo è stato fatto nella legge di bilancio scorsa - una introduzione nelle scuole di specialità pediatriche di temi specifici per le cure palliative. È necessario che ci sia una telemedicina con strumenti adatti all'età pediatrica, c'è bisogno di avere più risorse economiche, più formazione, più personale, più supporto psicologico, più supporto tradizionale, più telemedicina.

Una ricerca realizzata in questi ultimi mesi da associazioni pediatriche e da famiglie, con 1.200 interviste a famiglie con bambini fragili, perché dipendenti da una fonte di supporto del nostro Sistema sanitario nazionale, ha evidenziato che nel 76 per cento delle risposte veniva segnalato, in questi mesi, un forte aumento dello stress familiare. È evidente questo perché è evidente che chi era già seguito a domicilio per COVID non ha cambiato molto nella sua vita, ma dove il sistema domiciliare è poco attrezzato e poco funzionante c'è una paura in più, e cioè che si possa ammalare qualcuno che in questa organizzazione ha un ruolo nella cura e nell'assistenza per il proprio bambino, cioè c'è la paura della morte, non solo la morte del paziente inguaribile o difficilmente curabile, ma dalla morte di chi si occupa di quel paziente. “Chi si prenderà cura del mio bambino? Chi lo cullerà?”; si sono chiesti queste mamme e questi papà in questi mesi, ed è la stessa paura dei ragazzi dipendenti dalle macchine, dove c'è una dipendenza assoluta dal genitore o dal caregiver, c'è il timore drammatico - e ho concluso - di perdere chi lo gestisce, di perdere chi lo fa vivere, per cui, accanto alla paura della propria morte, si è aggiunta pure la paura della morte di chi lo deve assistere. Ma un altro timore di queste famiglie è quello di pensare che siano proprio i loro ragazzi le persone per le quali non vale la pena di combattere o di allocare risorse; è la paura più grande, quella di non contare molto, di non contare a sufficienza, di avere meno diritti e meno possibilità di aiuto e di vita. Noi vogliamo dire loro, in quest'Aula, che i loro diritti saranno sempre rispettati e garantiti e che offrire e attuare cure palliative per alleviare la sofferenza anche ai malati di COVID, nonostante la complessità, è una buona pratica clinica, un dovere etico, deontologico e giuridico (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Massimiliano Panizzut. Ne ha facoltà.

MASSIMILIANO PANIZZUT (LEGA). Grazie, Presidente, colleghi, Governo. Innanzitutto, mi sia permesso di ringraziare il collega Trizzino, quale promotore, per darci l'opportunità di discutere e mettere in risalto una tematica che, come altre purtroppo, nell'ambito di questa emergenza, rischia di essere trascurata. È un'occasione per rendere partecipi tutti i deputati – e, non lo nego, principalmente me stesso - di questo ambito delicato, che può ovviamente prima o poi toccare noi o i nostri familiari ed amici. Spero che anche con questi atti parlamentari come le mozioni – allorquando la questione viene condivisa in modo totale e trasversale dai gruppi - si riesca davvero a sensibilizzare il Governo affinché poi vengano messe in pratica misure concrete.

Stiamo parlando di cure palliative e della loro relazione con la pandemia. Le cure palliative sono quell'insieme di cure, non solo farmacologiche, volte a migliorare il più possibile la qualità della vita, sia del malato in fase terminale sia dalla sua famiglia. Per fase terminale si intende una condizione irreversibile in cui la malattia non risponde più alle terapie che hanno come scopo la guarigione, ed è caratterizzata da una progressiva perdita di autonomia della persona e dal manifestarsi di disturbi, di sintomi sia fisici – come, ad esempio, il dolore -, sia psichici. In queste condizioni, il controllo del dolore e degli altri disturbi, dei problemi psicologici, sociali e spirituali assume importanza primaria. Lo scopo delle cure palliative non è quello di accelerare, né di ritardare la morte, ma di preservare la miglior qualità della vita possibile fino alla fine. Le cure palliative sono state definite dall'Organizzazione mondiale della sanità come un approccio che migliora la qualità della vita dei malati e delle loro famiglie, che si trovano ad affrontare problematiche associate a malattie inguaribili, attraverso la prevenzione e il sollievo della sofferenza per mezzo di una identificazione precoce e di un ottimale trattamento del dolore e di altre problematiche di natura fisica e sociale. Esse, quindi, affermano la vita e considerano la morte come un evento naturale, non accelerano né ritardano la morte, nulla hanno a che vedere con qualsiasi forma di accanimento terapeutico o di eutanasia, ma provvedono al dolore e al suo sollievo, e agli altri disturbi.

Integrano gli aspetti sanitari, gli aspetti psicologici e sociali e l'assistenza e offrono un sistema di supporto alla famiglia.

Le cure palliative non possono prescindere da una terapia del dolore, che spesso si associa alla cura della persona che sta affrontando l'ultimo periodo della sua vita. Vengono, quindi, utilizzati sia metodi farmacologici contro il dolore, sia metodi non farmacologici di supporto, ad esempio, psicologici, cognitivi, comportamentali, fisioterapia, terapia occupazionale, meditazione, terapie artistiche. Il dolore è, infatti, fra tutti i disturbi, quello che più mina l'integrità fisica e psichica del malato e che più angoscia e preoccupa i familiari, con un notevole impatto sulla loro qualità della vita. In effetti, c'è da rilevare che, durante le epidemie e in altre emergenze, la sofferenza delle vittime e gli sforzi per alleviarla vengono trascurati, certamente non per mancanza di sensibilità o volontà, ma chiaramente - detto terra, terra - perché la fretta è quella di salvare le vite. Non ci vuole molto, poi, a capire che il regime di ristrettezza e le misure di isolamento hanno aumentato esponenzialmente il senso di separazione pazienti-familiari. Certo, i progressi tecnologici hanno consentito per lo meno la comunicazione in videochiamata e a distanza, ma chiaramente non tutti i pazienti sono in grado di utilizzarle in autonomia. Quindi, ancora oggi più che mai, molte di queste morti avvengono in assoluta solitudine e l'isolamento umano delle persone più fragili, dovuto all'impossibilità dei contatti con i familiari, ha ricadute psicologiche che portano all'aggravamento della malattia.

La pandemia ha chiaramente modificato il lavoro delle reti di cure palliative, penalizzando le visite domiciliari, fatte con dispositivi di protezione individuale e distanziamento, se non addirittura sostituite da sistemi telefonici. Anche negli hospice - che sono luoghi di accoglienza e ricovero, finalizzati ad offrire migliori cure palliative, ove non possono essere effettuate a domicilio, dove operano équipe mediche, infermieristiche e di assistenza volontari, a cui va sempre un nostro grazie - sono intervenuti divieti e limitazioni dell'ingresso dei familiari che, come da decreti del Presidente del Consiglio, sono autorizzati solo in casi indicati dalla direzione sanitaria della struttura, con le drammatiche conseguenze sopra citate.

Non da ultima, specie nei contesti difficili, come quelli che compongono la rete di cure palliative, c'è la necessità di ripristinare gradualmente le attività di supporto insostituibile delle organizzazioni di volontariato, in grado di garantire vicinanza ai malati e alle famiglie nei momenti più difficili e delicati della malattia. Come ha rilevato la Federazione cure palliative, il volontariato è una risorsa preziosa per le cure palliative: ne è parte fondante e contribuisce alla loro sostenibilità, oltre ad essere espressione di solidarietà civile delle nostre comunità. Una ricerca dell'Istituto superiore di sanità conferma che il benessere di anziani, persone con diversa abilità, persone fragili, è fortemente collegato alla sfera emotiva. Oggi che ci si sta avviando ad una - anche se lenta - ripresa, dopo gli sforzi per evitare i contagi, resta necessario avviare un percorso di normalità.

Con tutto questo - e premesso -, si chiede l'impegno serio del Governo ad adottare delle iniziative finalizzate: a promuovere, d'intesa con le regioni, un processo di potenziamento della rete nazionale per le cure palliative e per la terapia del dolore, incrementando le risorse; a ridefinire i bisogni dei pazienti in carico; garantire l'integrazione delle cure palliative nei servizi sanitari offerti; riordinare le circolari ministeriali e le indicazioni diramate dall'Istituto superiore di sanità per la prevenzione delle infezioni SARS presso gli hospice, le strutture sanitarie e socio-assistenziali, attivando tavoli di raccordo con le strutture medesime, in modo che i protocolli in vigore possano essere migliorati, monitorati e applicati in maniera uniforme sul territorio nazionale; a adottare protocolli di prevenzione delle infezioni da virus, che assicurino nell'ambito ospedaliero e residenziale, il mantenimento delle comunicazioni tra pazienti, operatori sanitari e familiari, tutelando il diritto di questi ultimi a ricevere aggiornamenti periodici sullo stato di salute del loro caro, la presenza di personale appositamente designato al mantenimento delle comunicazioni stesse, anche a beneficio dei pazienti impossibilitati a utilizzare autonomamente gli strumenti di comunicazione, lo svolgimento delle visite dei familiari nel rispetto delle regole prestabilite e preventivamente consultabili dagli stessi; ad adottare iniziative per garantire, dopo la brusca interruzione determinata dalle prime fasi della pandemia, la ripartenza piena ed effettiva del volontariato, considerato il contributo insostituibile che viene garantito dalle organizzazioni in questione; a sostenere anche gli enti del Terzo settore che svolgono attività di volontariato presso le reti medesime; ad adottare iniziative per rafforzare i servizi di assistenza domiciliare per i soggetti bisognosi di cure, promovendo la presa in carico precoce dei pazienti; ad adottare i provvedimenti attuativi dalle disposizioni del decreto-legge Rilancio che prevedono l'istituzione del corso di cure palliative pediatriche e della scuola di specializzazione in medicina e cure palliative; ad incentivare la programmazione di interventi formativi in cure palliative rivolte al personale sanitario che opera in ambito ospedaliero, residenziale e territoriale, al fine di assicurare, anche per tal via, l'implementazione dei tempestivi interventi palliativi di base; ad incrementare in maniera costante il numero dei posti di specializzazione in area medica sanitaria, al duplice fine di assorbire l'imbuto formativo e sopperire alla carenza conclamata dei medici specialisti, che inevitabilmente si registra anche presso le reti di cure palliative; ad adottare iniziative per garantire, nell'ambito della rete assistenziale ospedaliera e territoriale, la presenza di personale dedicato all'assistenza psicologica sociale e spirituale, con la preparazione idonea a gestire anche le esigenze dei pazienti COVID in condizione di maggior rischio e dei relativi familiari (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Massimo Enrico Baroni. Ne ha facoltà.

MASSIMO ENRICO BARONI (M5S). Grazie, Presidente. Nell'ambito di questa mozione, a mio avviso estremamente importante e che diventa anche una chiave di lettura imprescindibile all'interno dell'emergenza da Coronavirus, che tutta l'Europa sta affrontando, che tutto il mondo occidentale sta affrontando, ci sono alcune parole chiave, che è bene subito sottolineare, per capire qual è il colore su cui tutti noi ci muoviamo, nel momento in cui entriamo in contatto con i malati, i nostri cari e nell'ambito, soprattutto, di tutte le conseguenze con cui, chi in maniera maggiormente diretta, chi in maniera sicuramente molto più diffusa a livello indiretto, deve avere a che fare.

Le parole sono solitudine, sono la possibilità di riuscire a dare un nome e un'intensità al dolore. E poi, ancora, sempre, la parola solitudine rientra anche nella mozione di maggioranza che abbiamo citato. Ovviamente, non è un esercizio di filosofia della scienza, non è un esercizio di tipo spirituale, perché questa mozione entra in maniera estremamente ambiziosa e estremamente specifica sulla questione dell'implementazione della rete in Italia delle cure palliative e della terapia del dolore.

Il tutto nasce da una carente attuazione, già presente in era pre-COVID, che riguarda gli oltre 500 mila morti che abbiamo in Italia in media - nel 2019 abbiamo dei numeri più alti, vedremo anche i numeri del 2020 - e un'importante legge, che è stata approvata nel 2010, la legge n. 38 del 2010, proprio per implementare e istituire la rete di cure palliative in Italia.

Questa rete sancisce il diritto alla terapia del dolore e si scinde in due reti: la rete delle cure palliative e la rete della terapia del dolore. Al suo interno deve essere prevista la stessa rete per quanto riguarda le cure pediatriche. Questo aspetto, già sottolineato dal mio collega Siani, è un aspetto che sicuramente non deve arrivare per ultimo. Dobbiamo sottolineare che i Governi sono stati comunque attenti all'inserimento nei LEA delle cure palliative, sia a livello domiciliare sia in regime di ricovero. Ma, come spesso noi sappiamo e sempre più la popolazione sa, l'eterogeneità delle attuazioni da parte delle Regioni è uno dei grandissimi problemi rispetto a questo tema, assieme alla consapevolezza nella popolazione.

È una consapevolezza che arriva, purtroppo, molto spesso, in maniera violenta, nel momento in cui abbiamo un caro che si deve ammalare o ci ammaliamo noi stessi, proprio per quelle parole che abbiamo sottolineato prima, ovvero, la parola solitudine, la parola dolore e la possibilità di riuscire a gestire in maniera attiva all'interno di un'équipe multidisciplinare, l'intensità del dolore che i momenti come quelli della fine vita o di una fase comunque sfavorevole, di un'evoluzione sfavorevole di una malattia prevede. Infatti, è importante ricordare proprio delle indicazioni, delle linee guida pubblicate poco più di un mese fa da parte della Società scientifica che si occupa proprio delle cure palliative, la SICP, che è importante ricordare e che probabilmente non è stata sufficientemente sostenuta nella propria attività di promozione. La Società scientifica di cure palliative, fondata nel 1987, è una delle rare società scientifiche di tipo multidisciplinare, perché, come dicevamo, questo è un aspetto che riguarda una metafora della vita, la metafora del piano inclinato. Infatti, le cure palliative forniscono cure e assistenza a persone, adulti e minori, affetti da cronicità complesse ad evoluzione sfavorevole, la cui salute si deteriora a causa, in emergenza COVID-19, di restrizioni e di isolamento. I temi cardine, quindi, sono le aspettative e i valori della persona assistita - ebbene sì, sono proprio questi -, la pianificazione condivisa delle cure, la gestione dei sintomi e il supporto alle famiglie del malato. Assieme a questa metafora del piano inclinato, che riguarda la forza, la capacità, la possibilità di riuscire ad accompagnare il paziente e la propria famiglia in questo scivolo, in questo percorso, che dovrà portare ovviamente alla fine della propria esistenza, c'è un'altra metafora che noi possiamo affrontare in maniera molto meno complessa dal punto di vista della consapevolezza che ognuno di noi si porta al proprio interno, che è la metafora del muro a protezione di possibili contagi che l'emergenza da Coronavirus (da COVID-19) ci ha praticamente costretti ad avere davanti, ad avere di fronte. Ebbene, la rete delle cure palliative costituisce proprio la possibilità di costruire porte e finestre a questi muri, che necessariamente sono stati istituiti a protezione proprio dei pazienti fragili, dei pazienti con malattie degenerative di tipo sfavorevole. Entriamo ora nello specifico di questo: in Inghilterra, in Germania, in Francia, dobbiamo comunque affermare che la rete di questa disciplina è in uno stato di attuazione maggiormente avanzato. L'onorevole Bindi, alla fine degli anni Novanta, aveva previsto esattamente uno stanziamento importante in strutture, che si è trasformato nell'istituzione di tantissimi hospice - parliamo di oltre 200 - all'interno del territorio di italiano, però è mancato proprio quello su cui adesso noi possiamo intervenire; immagino anche, per esempio, attraverso l'utilizzazione dello strumento della pubblicità progresso in un momento come questo. È mancata la base culturale, la base culturale per riuscire a promuovere la cultura della dignità e della spiritualità, in un momento come quello che ho precedentemente descritto. Rispetto a quanto da me illustrato fino a questo momento, dobbiamo entrare nello specifico perché comunque il Governo è stato molto attento e molto pronto a formalizzare l'istituzione dell'accreditamento della rete di cure palliative all'interno della Conferenza Stato-Regioni. È stata comunque una fatica enorme, lo dobbiamo dire, e questo permette proprio di avvicinare un pochino la lontananza che la morte dei familiari, prevista in un'emergenza sanitaria ospedaliera come quella che abbiamo davanti, prevede.

Non credo che sia utile fare altri riferimenti, ma vediamo una breve checklist di quello che la mozione prevede di implementare e potenziare. Abbiamo detto dell'ulteriore passaggio, con un ulteriore impulso e un'ulteriore implementazione della rete di accreditamento, anche attraverso la creazione della relativa tariffa funzionale di presa in carico per questo tipo di disciplina; abbiamo parlato prima della rete dei volontari, che ovviamente è sparita all'interno dell'emergenza COVID-19 e all'interno degli ospedali, ed è molto difficile riuscire a dare continuità per quanto riguarda la rete dell'assistenza domiciliare integrata (quindi quella dovrà essere ricostituita in maniera resiliente). In tema di formazione, poi, il Governo è stato molto bravo a recepire tutte le sollecitazioni da parte di questo ramo del Parlamento, istituendo una apposita scuola di specializzazione in ben sei università, prevedendo quindi il fatto che tra pochi anni avremo 60 specialisti proprio in cure palliative e terapia del dolore; ovviamente, questi non sono sufficienti, perché insieme a questo abbiamo bisogno di una formazione all'interno dell'ospedale specifica. Devono quindi essere programmati interventi, deve essere monitorata l'esistenza di équipe multidisciplinari, con adeguate strumentazioni tecnologiche, cliniche e di telecomunicazioni, proprio perché mettiamo al centro, nei punti cardine, la famiglia e il sostegno alla famiglia. Stiamo parlando di umanizzazione delle cure e, nel momento in cui parliamo di COVID-19, dell'emergenza pandemica, ricordiamo che le aree dedicate, anche in questo tipo di attività, per quanto riguarda tutti i pazienti non assistibili a domicilio, nelle strutture ospedaliere e negli hospice, devono essere previste aree dedicate COVID-19 e non COVID-19; non si può prescindere da questo aspetto.

L'assistenza domiciliare integrata è risultata, come è facile immaginare, fortemente depauperata degli strumenti principali di assistenza al malato, ovvero la visita domiciliare da parte del professionista, che si è spesso tramutata in una sostegno telefonico da remoto e che quindi dovrà essere ripensata, secondo anche le linee guida e le indicazioni per la prevenzione e il controllo delle infezioni da SARS-CoV-2 negli hospice, come prevista dalla società scientifica medesima. Abbiamo parlato dell'importanza dell'assistenza psicologica, in particolare per questi pazienti; venerdì era stata fatta un'interpellanza sull'importanza anche di numeri telefonici per assistenza da remoto alla cittadinanza tutta; quindi, nello specifico, i malati dovranno essere sostenuti psicologicamente, così come il diritto all'accesso dei familiari all'interno di queste strutture. Dovrà essere previsto un protocollo per le visite dei familiari e per il sostegno dei contatti, delle relazioni e dei familiari da remoto, proprio attraverso questo protocollo di comunicazione per le comunicazioni con la famiglia (scusate il bisticcio di parole). Inoltre, segnalo il monitoraggio del servizio e l'adeguato finanziamento, come già è stato detto dal collega Panizzut.

E, soprattutto, dobbiamo rivedere l'apporto specifico all'interno delle IRCCS e gli elevati standard che possono essere mutuati all'interno di queste situazioni, anche per quanto riguarda la medicina ambulatoriale e territoriale; il setting assistenziale, alcune ultime parole che vorrei lasciare a quanti avranno l'attenzione per ascoltare questo intervento, tra tutti gli addetti ai lavori, immagino, al Ministero il relativo direttore generale e, soprattutto, la rete dei responsabili sanitari dei ventuno diversi sistemi sanitari regionali.

Abbiamo parlato non solo di formazione e di sostegno continuo, quindi, formazione on the job, ma prevediamo e richiediamo anche la possibilità di consulenze, esterne, perché nessuno potrà mai immaginare che possa esserci una minima strumentalizzazione dello strumento della consulenza in questo campo e ciò risulta uno degli aspetti su cui sicuramente si potrà attivare quella famosa resilienza e quella famosa attività di recovery che, in inglese, significa proprio “sostegno”, “cura”.

Io terminerei qui, Presidente, perché ritengo che abbiamo portato avanti quasi tutto e abbiamo specificato come effettivamente la questione sia estremamente importante. Concludo con un piccolo inciso dell'Organizzazione mondiale della sanità che aveva già previsto come la sofferenza delle vittime e gli sforzi per alleviarla, in situazione di epidemia causata da infezioni, spesso vengono trascurati dalla fretta di salvare delle vite. Ancora, non posso esimermi dal citare Paolo D'Ancona, ricercatore dell'Istituto superiore di sanità e coordinatore del gruppo di lavoro multidisciplinare, che ha specificato che la possibilità di poter incontrare i propri cari e alimentare la loro vita relazionale non è ininfluente sul loro stato di salute. Per ultimo, ma non per importanza, ricordo la collega Emilia De Biasi, recentemente scomparsa, il 6 gennaio, presidente nella scorsa legislatura della Commissione sanità, che è stata veramente il tessuto connettivo e una rete nella rete, proprio per questo tipo di sensibilizzazione culturale, per l'ampliamento di questo tipo di sensibilità all'interno di tutti gli operatori sanitari e all'interno del mondo della politica e della governance sanitaria. Grazie, Presidente (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Matteo Dall'Osso. Ne ha facoltà.

MATTEO DALL'OSSO (FI). Presidente, un po' mi viene da sorridere perché domani è passato un anno da quando, in quest'Aula, con la mascherina io feci l'intervento, non so se ricorda: “Presidente, se voi foste persone intelligenti usereste la mascherina per proteggere me e non io, persona fragile, per difendere voi”. Detto questo, ringraziando chi mi ha preceduto, da paziente, da ingegnere e da deputato, vorrei farle capire che cosa significa questo tipo di terapia. Presidente, la pandemia, che oramai da un anno ha colpito il nostro Paese e tutta la comunità internazionale, ha sconvolto la vita di tutti noi e ha messo il nostro Sistema sanitario nazionale di fronte a tutte le sue fragilità e inefficienze, imponendo, in tempi rapidi, un suo riadattamento per rispondere al meglio alle nuove esigenze dettate dall'emergenza sanitaria in atto: aumento di posti letto ospedalieri, pazienti COVID, tentativi per allentare la pressione fortissima sulle terapie intensive, dare una risposta all'inevitabile forte aumento di pazienti complessi che hanno bisogno di essere assistiti a domicilio e che ha portato alla nascita delle Unità speciali di continuità assistenziale per affiancare la medicina generale e l'assistenza domiciliare integrata. Questa emergenza ha imposto una rapida riorganizzazione funzionale dei vari sistemi socio sanitari delle regioni, a cominciare dal potenziamento dell'offerta di cure domiciliari e questo è stato possibile anche cercando di utilizzare tutte le potenzialità assistenziali che sono offerte nel territorio dalle reti locali di cure palliative.

L'emergenza COVID ha aumentato la richiesta di cure palliative e ha cambiato il contesto in cui i professionisti palliativi si sono trovati ad operare. Le cure palliative rivestono, oramai, un ruolo importante in questa lunga fase di emergenza che ha visto crescere i contagi e la diffusione del virus negli ambienti ospedalieri, residenziali e domiciliari. Una gran parte dei soggetti colpiti è rappresentata da malati fragili, anziani e persone sole; molte di queste persone sono morte senza entrare in terapia intensiva oppure isolate dai propri familiari.

Di fronte a questa situazione, un importante compito deve essere svolto dalle cure palliative, quello di stare vicino e supportare e migliorare il modo di vita dei malati a fine vita. Il sistema sanitario, oltre ai malati adulti e bambini già in carico tradizionalmente alle cure palliative, in quest'anno di emergenza COVID si è trovato nella condizione di dover fornire palliazione a molte di quelle persone che, prima della pandemia, erano fortemente dipendenti da trattamenti intensivi e a persone affette da patologie croniche, la cui salute è peggiorata spesso e a causa delle misure di restrizione che hanno comportato la riduzione degli accessi ospedalieri o ambulatoriali per visite ed esami di controllo, l'allungamento delle liste d'attesa, eccetera.

Voglio ricordare che la legge n. 38 del 2010 è nata per garantire l'accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore a favore di malati inguaribili in stadio avanzato o affetti da patologia cronica dolorosa, con l'obiettivo di assicurare il rispetto della dignità della persona umana e la qualità delle cure, riguardo alle specifiche esigenze del malato. La legge chiedeva di strutturare una rete di cure palliative su tutto il territorio nazionale per poterle garantire all'interno di ospedali, negli hospice e a livello domiciliare, ma così non è; questo non è avvenuto in maniera uguale in tutte le regioni, perché ce ne sono molte che sono riuscite a implementare in maniera importante questo modello e altre, invece, che sono rimaste indietro. La realtà è che la legge n. 38 del 2010 è una legge importante che continua ad essere applicata poco e male e le stesse relazioni al Parlamento, che vengono presentate annualmente dal Ministro della Salute, ci parlano di diverse criticità, a cominciare dai percorsi assistenziali di presa in carico del paziente e del mancato potenziamento delle reti di cura, all'insoddisfacente sviluppo delle unità domiciliari, così come riguarda la diffusione delle reti di cure palliative pediatriche, fortemente carenti in quasi tutto il territorio nazionale.

Purtroppo, ad oggi, seppure con forti disomogeneità territoriali, la percentuale di pazienti che non riceve cure né dall'assistenza domiciliare né dalle strutture hospice resta ancora troppo alta. A queste difficoltà di ordine strutturale si vanno adesso ad aggiungere quelle determinate dalla diffusione della pandemia da COVID-19. La gestione della pandemia ha assegnato nuovi compiti per la medicina palliativa e un ruolo centrale nella gestione dell'emergenza sanitaria; mai come in questa emergenza sanitaria il ruolo delle cure palliative ha assunto un'importanza centrale per sostenere, assistere e curare migliaia di cittadini, in quanto queste cure riguardano da vicino la sofferenza fisica, psico-emotiva e anche spirituale.

Le competenze dei professionisti in cure palliative sono un'importante risorsa anche per garantire gli aspetti comunicativi, non solo tra sanitari e pazienti, ma anche tra il malato e i familiari, impossibilitati a stare al loro fianco. Se l'impostazione delle cure palliative è volta a seguire, soprattutto con cure di fine vita, persone con malattie croniche e degenerative, questa emergenza pandemica ha fatto sì che troppe persone morte di COVID-19 spessissimo sono morte soffrendo in solitudine. Tutto ciò ha inevitabilmente visto coinvolto il ruolo e esteso il perimetro d'azione degli stessi palliativisti.

La pandemia ha messo ancora più in evidenza l'importanza delle cure palliative nel supporto psicologico ai pazienti e ai loro familiari, nel controllo della sofferenza e nel sostegno alla comunicazione con malati e familiari. E in questo ambito del supporto psicologico, Presidente, domani verrà pubblicata una mia interpellanza, appunto, sull'aiuto psicologico sia delle persone malate di COVID, ma anche delle persone vicine ai pazienti malati di COVID. La società e gli istituti che rappresentano i professionisti palliativi hanno, nei mesi scorsi, fatto pervenire al Ministero della Salute, agli enti territoriali e ai soggetti istituzionali interessati un documento sul ruolo delle cure palliative nelle emergenze pandemiche, chiedendo espressamente che le cure palliative vengano ufficialmente inserite nei diversi piani pandemici e nei percorsi di cura affetti da COVID-19. Il documento sottolinea l'importanza delle cure palliative in corso di pandemia da COVID-19, dato il deterioramento rapido delle condizioni di salute, la pressione cui sono sottoposte tutte le strutture sanitarie, la necessità dell'isolamento dei pazienti, la limitazione della presenza dei loro familiari e, infine, il supporto psicosociale necessario per tutti coloro che ne sono coinvolti (l'interpellanza di cui le parlavo prima).

Un primo passo importante è stato certamente ottenuto con il decreto-legge n. 34 del 2020, che ha istituito la Scuola di specialità in medicina e cura palliative per i laureati in medicina e chirurgia, introducendo anche il corso di cure palliative pediatriche nell'ambito dei corsi obbligatori della scuola di specializzazione in pediatria. Ora, però, è necessario dare attuazione a questa previsione di legge, emanando quanto prima i decreti attuativi. Accanto a questo, però, rimane indispensabile ridurre ulteriormente il cosiddetto imbuto formativo, aumentando gli ingressi dei laureati nelle scuole di specializzazione.

La mozione che abbiamo presentato come centrodestra chiede un impegno preciso al Governo per potenziare decisamente la rete di cure palliative, con particolare riguardo ai servizi di assistenza domiciliare per i soggetti bisognosi, nonché di valorizzare il ruolo centrale che viene svolto dai professionisti palliativi. È evidente che queste esigenze sono fortemente acuite da questa tragica, lunga fase di emergenza pandemica. Accanto a questo, non va dimenticato il ruolo decisivo che può essere svolto dagli enti del terzo settore, che svolgono attività di volontariato nell'ambito delle reti di cure palliative e di terapia del dolore, considerato il contributo insostituibile che viene garantito proprio dalle organizzazioni di volontariato.

Presidente, le cure palliative sono importanti, è importante non discriminare una persona diversa, è importante non farla sentire inadeguata in una condizione di diversità, è importante prendersi cura l'uno dell'altro, è importante studiare argomenti che non sono di proprio interesse per aumentare la capacità formativa, è importante che i ragazzi oggi all'università studino argomenti di cui a loro non interessa nulla, perché, nel corso della vita, Presidente, tutti gli argomenti studiati torneranno utili. Tornerà utile non discriminare il diverso: sarebbe stato utile l'anno scorso che qualcuno mi avesse ascoltato. E con questo, Presidente, mi auguro veramente che le mozioni su tutte le cure palliative possano avere successo e che ci si possa prendere cura di chi è diverso noi (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Bellucci. Ne ha facoltà.

MARIA TERESA BELLUCCI (FDI). Grazie, Presidente. Ci troviamo, in questa fase di discussione generale, ad affrontare una materia particolarmente delicata, sensibile. Si tratta di affrontare quelle che sono le cure destinate a coloro i quali si trovano nell'ultima fase della loro vita, chi non è più guaribile, chi non ha più la possibilità di sperare di continuare a vivere per altri, magari, molti anni. Le cure palliative sono questo: gli operatori sanitari, sociosanitari, i volontari che si prendono cura di queste persone affrontano una delle cose più difficili nella vita, che è accompagnare l'altro nell'ultima fase della propria esistenza, per poi lasciare questa terra, per chi crede, e avere poi un'altra vita nell'aldilà. E ci vuole davvero tanto coraggio, tanta forza, tanta sensibilità ad accompagnare queste persone e ad accompagnare i loro familiari. In realtà vivono in un dolore continuo, perché continuamente vivono una perdita e, facendo uno di quei mestieri che ha il più alto valore morale ed etico, scegliendo di farlo, inevitabilmente, si legano a quegli uomini e a quelle donne, a cui danno, ma da cui ricevono molto. Perché sa, sottosegretario, nell'ultima parte della propria vita si tirano fuori aspetti bellissimi di sé, c'è quella consapevolezza, magari nata anche dal distacco di ciò che è terreno e minimo, che ti fa scavare dentro l'essenza dell'esistenza. Ed è proprio in quei momenti che si può toccare il senso della vita, la verità, il motivo per cui noi siamo al mondo. E, allora, quegli operatori danno molto, ma possono ricevere anche tanto, ricevono tanto.

Rispetto a questa relazione, a questo clima così spirituale, essenziale, valoriale, io mi sono chiesta spesso le istituzioni cosa fanno per proteggerlo, per tutelarlo, per prendersene cura, perché, certamente, lì abbiamo una fragilità, abbiamo la fragilità di perdere tutte le proprie sicurezze, a volte di perdere la propria autonomia, la propria capacità di andare avanti. Le istituzioni, da una parte, hanno fatto una legge bellissima: la legge n. 38 del 2010, dieci anni sono trascorsi. Una legge bellissima come di leggi bellissime è piena la nostra Italia, perché sa, Presidente, noi non siamo manchevoli di leggi nella maggior parte dei casi: il nostro ordinamento è ricco di leggi che arrivano al riconoscimento dei valori essenziali dell'esistenza dei cittadini italiani. La nostra manchevolezza, a livello italiano, è l'attuazione di quelle leggi: i decreti attuativi che le fanno diventare vita reale tra le persone. E la legge n. 38 del 2010 sulle cure palliative rientra tra l'elenco di quelle leggi che non sono state ancora tutte attuate e che, in alcuni aspetti specifici, come quello delle cure palliative in pediatria, cioè per i bambini più piccoli, sono lontanamente attuate.

Allora, con questa mozione si vuole riportare all'ordine dell'attenzione del Parlamento questa materia così sensibile. Sì, si vuole, e lo si fa, fra l'altro, in un periodo di pandemia e di crisi che ha palesato i mali della sanità e che quindi, in questo caso, inevitabilmente, ha palesato anche le difficoltà delle cure palliative.

Oltre 80 mila morti, è questa la situazione in cui ci troviamo a causa del Coronavirus, una pandemia che ha stroncato l'esistenza della nostra Italia da un punto di vista sanitario, economico e sociale, che ha piegato i nostri cittadini e ha piegato le famiglie, e che certamente purtroppo ha lasciato soli, proprio nell'ultima parte della propria vita, coloro i quali hanno perso la cosa più cara, un proprio parente, e quindi la vita di quel parente. Perché questo è accaduto? Perché l'assistenza delle cure palliative non è assolutamente capillare e quindi l'assistenza domiciliare è manchevole, perché gli hospice non sono in ogni parte d'Italia, in ogni regione, per come dovevano essere, e perché la difficoltà di attuare subito degli interventi di potenziamento ha visto invece le nostre strutture sole, a dover magari rispettare delle ordinanze e delle circolari che imponevano cosa si doveva fare, ma senza dare tutti gli strumenti necessari per poter rendere, anche nella fase di pandemia, questo possibile. E quindi, anche in questo caso, è stata scaricata la responsabilità di tentare di fare il meglio su medici, infermieri, operatori sociosanitari, associazioni di volontariato, tutti coloro i quali in quelle strutture ci lavorano e ci vivono. E allora abbiamo assistito a situazioni terribili, perché il COVID ha fatto sì che già quel momento doloroso, come l'ultima fase della propria vita, fosse caratterizzato dall'isolamento. Non c'è niente che dà più conforto, nelle ultime ore, di poter incontrare gli occhi e la mano della persona che ami, il conforto della sua vicinanza, delle sue parole, il conforto delle ultime parole che tu potrai dire e che quindi faranno sì che tu ti possa accomiatare, non lasciando nulla di incompiuto.

Il Coronavirus è stato veramente - ed è - una malattia infame, perché la malattia è vero che fa parte della vita - e chi l'ha incontrata lo sa, entra nella tua esistenza, entra nelle famiglie -, ma non c'è malattia più infame di quella che ti toglie la vicinanza di chi ami, che ti priva del conforto di chi si può prendere cura di te. È per questo che il Coronavirus è un virus infame, non soltanto perché ti toglie la vita, ma perché ti toglie la possibilità di salutare questa vita, vivendola nella relazione con l'altro, con la tua famiglia, con la comunità, e quindi spezza quello che è per noi un bisogno primario, il bisogno di abbracciarci, di toccarci, di stringerci, e, nell'abbraccio, trovare consolazione. Queste persone non sono soltanto morte di un virus, sono morte di solitudine, di depressione, perché si sono sentite abbandonate, si sono lasciate anche, a volte, morire. Abbiamo racconti degli operatori che ci dicono che hanno iniziato a non voler mangiare più, perché la relazione è il pane della nostra vita, l'essenza della nostra vita. Noi, ancor prima che di mangiare, come bisogno primario, abbiamo bisogno dell'altro, di stare in relazione con l'altro. Io sono una psicologa e una psicoterapeuta e questo l'ho imparato dalle prime pagine dei libri che ho letto. Ci sono degli esperimenti bellissimi di Spitz sulle scimmie “rhesus” che adesso non vorrei annoiarla e raccontarle, ma che evidenziano come un essere vivente, un mammifero si lascia morire se non ha l'abbraccio di una figura di accudimento. Si lascia morire per questo. Gli può essere dato del cibo, ma non gli basta se non ha la relazione con un altro da sé con cui incontrarsi e rinnovare la gioia della propria esistenza. Ed è per questo che è un vero peccato che questa legge sulle cure palliative sia ancora così poco attuata ed è davvero una disgrazia che non sia stata pronta a poter accompagnare, in una fase di pandemia come questa, gli italiani in questi mesi. Una disgrazia che noi certamente, come Fratelli d'Italia, come centrodestra, ci auguriamo che possa essere sanata.

Certo, in questi mesi l'abbiamo detto spesso quanto era necessario essere tempestivi, intervenire, aumentare l'assistenza domiciliare, immaginare che quella percentuale già così bassa in Italia, che la pone al 2,9 per cento dell'assistenza domiciliare a fronte del 6 per cento che è la media europea, trovasse una risposta proprio durante la pandemia, stanziando fondi, facendo bandi, intervenendo subito, e non di certo guardando quel bando sul potenziamento delle strutture sanitarie che, con i fondi a disposizione a maggio, ha aspettato fino al 12 ottobre per trovare luce. Certo, noi immaginavamo altro, ma ci siamo resi conto continuamente che non poteva essere il commissario Arcuri, non può essere il commissario Arcuri, a dare tutto questo. Troppi gli sbagli, troppa anche l'arroganza, poca l'umiltà, e soprattutto troppi conflitti di una maggioranza rabberciata che anche in questi giorni, in queste ore, ci sta facendo vedere la sua incapacità perché è troppo legata alla voglia di sopravvivere a se stessa, all'atto di coerenza. E, allora, come può occuparsi della vita e della sopravvivenza degli italiani e di accompagnare le persone nel migliore dei modi nell'ultimo tratto della loro vita terrena? Come può?

E proprio per questo ci approcciamo a questa mozione presentata dal MoVimento 5 Stelle un po' scettici, un po' scettici, perché è una forza di Governo, una delle forze di Governo più presenti in questo Parlamento, che, se avesse voluto dare spazio, potenziamento, attuazione, vita reale alla legge n. 39 del 2010 sulle cure palliative e quindi al potenziamento di essa, avrebbe avuto l'occasione di farlo. E di certo non sono i fondi, perché ci sono stati poteri speciali e fondi straordinari, 150 miliardi. Quindi, questa mozione un po' ci sembra un libro dei sogni, un libro dei sogni scritto e proposto, un po', sì, nel tentativo di scuotere magari un Governo, di far prendere un impegno a questo Governo, però anche la constatazione e la dichiarazione che non si è stati in grado di farlo, come forza di Governo, fino ad oggi. E dato che è presentata in questi giorni, in questo momento storico in cui il Governo rosso-giallo sta temendo così tanto - le sue ultime ore - noi non possiamo che credere che in realtà questo libro dei sogni rimarrà tale. Non possiamo che credere questo. Daremo, come sempre, il nostro contributo, ci saremo, presenteremo anche noi una mozione per unirci alla richiesta di piena attuazione di questa legge. Noi, come Fratelli d'Italia, come centrodestra, ci saremo, perché in queste situazioni non manchiamo mai, l'abbiamo dimostrato in tutti questi mesi e quindi anche in questa occasione ci sarà il nostro contributo, la nostra proposta, da confrontare con le altre proposte, perché questo è un bene prezioso, prioritario, che deve vederci tutti uniti (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. Non essendovi altri iscritti a parlare, dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

Il Governo intende intervenire? Si riserva di farlo.

Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.

Discussione della mozione Lattanzio ed altri n. 1-00405 concernente iniziative in materia di definizione del Piano nazionale per l'infanzia e l'adolescenza e ulteriori misure in campo educativo ed economico a favore dei minori (ore 16).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Lattanzio ed altri n. 1-00405 (Nuova formulazione) concernente iniziative in materia di definizione del Piano nazionale per l'infanzia e l'adolescenza e ulteriori misure in campo educativo ed economico a favore dei minori (Vedi l'allegato A).

La ripartizione dei tempi riservati alla discussione è pubblicata nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta del 22 gennaio 2021 (Vedi l'allegato A della seduta del 22 gennaio 2021).

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

È iscritto a parlare il deputato Lattanzio, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00405. Ne ha facoltà.

PAOLO LATTANZIO (PD). Presidente, colleghi e colleghe, sottosegretario, la mozione che mi accingo ad illustrare ha delle motivazioni politiche molto forti, sia per una questione di metodo, sia per i contenuti che tratta. Il metodo credo sia uno dei valori aggiunti del lavoro che abbiamo fatto; e infatti il lavoro sull'infanzia e sull'adolescenza, sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza, nasce già nella prima fase pandemica, quando una serie di colleghi deputati e deputate - anche senatori e senatrici - hanno iniziato a lavorare insieme per chiedere sostanzialmente con forza al Governo che appoggiavano cosa intendesse fare riguardo agli spazi di azione - quindi le scuole, la famiglia -, agli spazi affettivi dei bambini e delle bambine, in una fase in cui non erano particolarmente presenti all'interno del dibattito pubblico, politico e amministrativo. L'unione dei parlamentari di maggioranza all'interno di questo tavolo di lavoro è continuata nei mesi e ha dato vita a diversi posizionamenti, a diverse proposte che abbiamo portato al Governo, e, da ultimo, a questa mozione che vi sottoponiamo.

Ma è importante anche perché, in una fase in cui ci sono sempre delle alte priorità o delle altre priorità, parlare di infanzia ed adolescenza, o meglio ancora di diritti dell'infanzia e dell'adolescenza, è un tema che non è più prorogabile. È un tema centrale perché i bambini e le bambine rappresentano la vera sfida, che sono stati a lungo le vittime principali delle restrizioni, ma al tempo stesso del COVID stesso per tutto ciò che ha riguardato la sfera educativa, economica, materiale, relazionale e scolastica. Il professor Patrizio Bianchi - purtroppo inascoltato coordinatore della task force del Ministero dell'Istruzione -, che è una figura di riferimento per quanto riguarda le analisi delle politiche educative, ci dice, ci racconta una cosa molto semplice, ossia che investire sulle persone e ancor di più sull'infanzia significa fare politica economica. Investire sull'infanzia - non sfugge a nessuno e non è una casualità che il piano sul quale tutti stiamo lavorando si chiami Next Generation EU - è una scelta politica, programmatica ed economica per il futuro. Questo perché, di pari passo - ce lo dicono gli ultimi dati Ipsos per Save the children -, dall'altra parte abbiamo una finestra, un bacino molto ampio di disagio sociale che mette insieme tre variabili interdipendenti fra di loro: competenze dei bambini e delle bambine, abbandono scolastico, situazioni di disagio familiare; all'aumentare di quest'ultima, ovviamente, calano le competenze ed aumenta l'abbandono scolastico.

La situazione che noi ci troviamo davanti, che affrontiamo per quanto riguarda l'infanzia e l'adolescenza, non era rosea già prima della crisi; a maggior ragione abbiamo bisogno di interventi ancora più vigorosi e coraggiosi, e alcuni sono previsti e sono esplicitati in questa mozione. Alcuni numeri: un milione e 137 mila minori in povertà assoluta; solo il 13,2 per cento della fascia 0-2 che frequenta un asilo nido; circa il 13,5 per cento di abbandono scolastico prematuro; il 12,3 per cento di adolescenti in case senza dispositivi digitali; il 10,7 di NEET, ragazzi e ragazze che non studiano e non lavorano; ancora, nell'anno precedente - parliamo quindi di dati pre-crisi - il 48 per cento dei minorenni fra i 6 e i 17 anni non aveva mai letto un libro, mentre due su tre, più del 65 per cento, non era mai andato a teatro.

Tutto questo significa che gli adolescenti e i bambini e le bambine in Italia hanno un tasso di esposizione al rischio di essere vittime di povertà del 30,6 per cento, rispetto al 23,4 per cento della media europea (dati Unicef). Alla luce di tutto questo, dall'Europa, tanto vituperata, sin dal 2015 in realtà ci arrivano delle indicazioni molto chiare, ossia delle indicazioni di provvedere a programmi che potessero garantire ai minorenni una tutela riguardo ai rischi di povertà e di esclusione sociale (quella che poi è diventata la Child Guarantee), l'accesso a un'assistenza sanitaria e a un'istruzione gratuita e di qualità, un alloggio dignitoso e un'alimentazione adeguata, secondo il documento cardine in tutto il mondo per tutelare i diritti dell'infanzia e dell'adolescenza che è la Convenzione ONU sui diritti dell'infanzia.

Di conseguenza, alla domanda in ordine a quando intervenire su questi temi, la risposta è, o meglio dovrebbe essere, qui e ora, senza aspettare un solo minuto. Anche perché - questo è importante - noi lavoriamo e abbiamo il compito di prevedere politiche e linee di intervento che guardino a tutti i bambini e le bambine, quindi anche ai bambini con forme di disabilità, ai bimbi vittime di violenza, assistita o subìta, ai bambini che si trovano nelle carceri con i genitori, ai minori stranieri non accompagnati e agli adolescenti perduti.

Quello che proponiamo e che abbiamo proposto anche al Presidente del Consiglio è un approccio, al tempo stesso, universalistico e progressivo. Come succede a livello europeo, questa mozione l'abbiamo costruita lavorando su quelli che dovrebbero essere sempre i nostri obiettivi, ossia obiettivi estrapolati dall'Agenda 2030. Ne cito alcuni: il primo, sconfiggere la povertà; il secondo, sconfiggere la fame; il terzo, salute e benessere; il quarto, istruzione di qualità; il quinto, parità di genere; il decimo, riduzione delle disuguaglianze.

Non sfugge a nessuno che una mozione sull'infanzia e l'adolescenza ad oggi è un impegno politico che si suggerisce, che si propone al Governo, proprio sul contrasto alle disuguaglianze in senso ampio. Prima non stavamo molto bene, adesso non stiamo molto bene: dobbiamo affrontare, anticipando, i rischi per cui staremo ancora peggio in futuro, quindi è indispensabile agire con ulteriore coraggio, decisione e tempismo su queste politiche.

La crisi ha degli effetti in particolare sulla salute dei bambini, sul benessere mentale e sull'istruzione, anche se la narrazione, molte volte, li ha visti come protagonisti di racconti che li vedevano come figli o nipoti, o come untori. I bambini e le bambine in Italia sono altro, rappresentano una ricchezza, non del futuro ma del presente, molto elevata ed è da qui che dobbiamo iniziare a lavorare, dando anche la possibilità, o meglio unendo gli sforzi per contrastare un fenomeno che parallelamente aggrava la situazione di crisi, ossia la desertificazione delle nostre città, con le chiusure, i lockdown e le chiusure parziali. L'arretramento di tutto un sistema di comunità educante ha lasciato molto più spazio sia alla povertà materiale e alla povertà educativa, sia, al tempo stesso, anche ai rischi di avvicinamento da parte della criminalità organizzata. Abbiamo la necessità di andare a tutelare proprio quei bambini e quelle bambine che maggiormente rischiano. In questo, un ruolo indispensabile non può che averlo il Terzo settore italiano, che, ancora una volta, nei momenti più difficili, nei momenti più complessi, ha dato dimostrazione di resilienza vera, di propositività, di coraggio, di innovazione, essendo riuscito, soprattutto nei momenti più complessi, a raggiungere quel bambino marginale, quell'ultimo bambino sul quale lo Stato, per ragioni evidenti, ha difficoltà a compiere l'ultimo miglio. Quindi, credo - la mozione lo esplicita in maniera chiara - che la valorizzazione, il riconoscimento e la gratitudine verso il Terzo settore italiano siano assolutamente centrali nelle prossime politiche che adotteremo.

Come lo facciamo? Lo strumento del Next Generation EU è sicuramente importante e qui c'è poco da eccepire - credo -, perché è indispensabile passare dal 3,9 per cento di spesa sui servizi educativi a tutto tondo che l'Italia mette in campo ad un 5 per cento (fra l'altro, spunto che credo tutti i partiti di questo Parlamento abbiano portato nei propri programmi della campagna elettorale conclusasi nel 2018). Alla luce di tutto ciò, noi ci troviamo di fronte ad una crisi che mina la possibilità di continuare a vivere come avevamo sempre vissuto, ma, al tempo stesso, ci dà la possibilità di cogliere delle grandi opportunità. È uno scenario in cui abbiamo delle grandi biforcazioni ed è lì che dobbiamo scegliere in maniera adeguata, partecipativa e inclusiva per andare nella direzione di un nuovo modello di Paese che sia più giusto e aperto, come ci suggerisce il professor Giovannini ormai da tempo.

Partiamo dalle cose fatte: sicuramente abbiamo accolto, come gruppo di lavoro informale e poi come Intergruppo, con grande soddisfazione, due interventi nel Piano nazionale di ripresa e di resilienza, nel PNRR.

Il primo riguarda l'intenzione di aumentare gli asili nido di circa 622 mila posti, andando ben oltre il 33 per cento, e l'altro riguarda l'aumento, la costruzione e la realizzazione di spazi per le sezioni primavera, andando, anche in questo caso, in direzione di un aumento sostanzioso, costituendo i poli per l'infanzia, come del resto già previsto dal decreto legislativo n. 65 del 2017.

Per quanto riguarda le proposte, noi ne portiamo di ulteriori (poi ci vorrà un'analisi nel dettaglio al Governo): sono delle proposte costruite con circa 50 associazioni del settore, associazioni, enti di ricerca che si occupano di infanzia e di adolescenza. Primo: rilasciare il Piano nazionale sull'infanzia e l'adolescenza, al quale la Ministra Bonetti, con il suo team, stava lavorando e che è praticamente pronto. Secondo: valorizzare e investire sulla Child Guarantee, che è un programma sperimentale che si svilupperà in sette Paesi europei, fra i quali l'Italia, il quale prevede l'utilizzo di approcci innovativi per rendere i bambini una delle priorità nei bilanci nazionali e nei processi di pianificazione, cioè non un emendamento sull'infanzia da inserire in legge di bilancio per cortesia, ma un intervento strutturato sull'infanzia e sull'adolescenza e sul benessere dei bambini. Ancora: una modifica del reddito di cittadinanza; i minori in stato di povertà assoluta sono l'11 per cento della popolazione in Italia; tagliando con l'accetta i beneficiari del reddito di cittadinanza, inteso come famiglie con minori, che sono il 7 per cento, è evidente anche ad un non matematico come me che ci sia un gap. Abbiamo bisogno di prevedere percorsi aggiuntivi specifici per i minori, perché crescere dei bambini e delle bambine costa, richiede degli investimenti non solo affettivi, anche economici, e dobbiamo riconoscere questa priorità, questa specificità.

Presidente, chiudo. Ancora, da ultimo, un Piano straordinario: siamo in una situazione di grande emergenza, abbiamo bisogno di un Piano straordinario per l'infanzia e per l'adolescenza, che sia in grado di affrontarla. È stato approvato un ordine del giorno alla legge di bilancio proprio su questo e credo che, proprio in questa fase politica, dare il segnale di una accettazione ampia, ragionata, convinta, di istanze così forti che arrivano direttamente dal Parlamento…

PRESIDENTE. Chiuda.

PAOLO LATTANZIO (PD). Chiudo. …e da un lavoro partecipato con la società civile e la cittadinanza attiva sia un segnale di grande speranza e positività (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Maria Spena. Ne ha facoltà.

MARIA SPENA (FI). Grazie, Presidente. Oggi siamo qui in discussione generale su una mozione riguardante la predisposizione del Piano nazionale per l'infanzia e l'adolescenza. Peccato che, però, sui banchi di questo Governo non vedo seduta la Ministra della Famiglia, la Ministra per le Pari opportunità, che sarebbe stato il nostro diretto interlocutore: un posto vacante, un Ministero vacante, quindi un vulnus, un vuoto, proprio in quelle che sono le politiche per il sostegno alla genitorialità e, soprattutto, per una crescita dei nostri figli e dei nostri minori. L'unica prospettiva, Presidente, che oggi abbiamo davanti, in questo scenario vuoto e deludente, è proprio il Recovery Plan, quindi non si tratterà più di bonus che sono stati emanati fino ad oggi, ma potremo davvero pensare ad un sostegno alla genitorialità, alla natalità, ai servizi per l'infanzia, ad una vera istruzione per i nostri figli. Parte di questi fondi noi li prenderemo proprio a prestito dai nostri minori, da nostri figli, dai nostri nipoti, oggi piccoli, ma che domani saranno adulti. E proprio per questo, Presidente, abbiamo la responsabilità politica, ancor di più, quella vera responsabilità di agire per il loro bene, per il loro presente, per il loro futuro, che rappresenta il futuro del nostro Paese. Questa pandemia, questa tragedia ha investito, sappiamo, il mondo dell'infanzia e dell'adolescenza, quel mondo indifeso e fragile. Penso soprattutto a quelle aree di disagio sociale, a quelle famiglie già devastate da una crisi economica decennale e che oggi, ancor di più, hanno subito e stanno subendo un malessere e uno svantaggio sociale, dovuto anche alle tante attività commerciali, alle tante attività a rischio di chiusura e a tanti posti di lavoro oggi in bilico. Sono, infatti, aumentati gli abusi sui minori, i maltrattamenti, le violenze domestiche, fenomeni di violenza tra i minori e gli adolescenti. Vediamo tutti gli ultimi fatti di cronaca, dalle baby-gang alle risse organizzate con appuntamenti su Instagram, che hanno visto le nostre piazze e le nostre città. L'obiettivo era solo quello di postare tutto in rete, tutto sui social, fino all'ultima tragedia di Antonella, la bambina di 10 anni morta a Palermo per una sfida su TikTok: il suo cellulare ha ripreso una prova estrema, quella stessa prova che sarebbe poi finita sui social.

A proposito di mozioni rimaste nel cassetto, Presidente, colleghi, ci sono molte mozioni che sono pervenute anche dai banchi del centrodestra, in particolare vorrei ricordare quella presentata dal mio gruppo parlamentare per promuovere tutte iniziative tese alla prevenzione e al contrasto della violenza sui minori tra le mura domestiche. E quella, per esempio, Presidente, sarebbe stata una mozione sulla quale avremmo potuto lavorare nel frattempo, perché nel frattempo tanti bambini ancora hanno lasciato la loro vita senza potersi difendere, senza un'assistenza dei servizi sociali.

In tale contesto, la Commissione per l'infanzia e l'adolescenza sta svolgendo un ruolo fondamentale a difesa dei minori; un lavoro anche testimoniato, peraltro, da molti documenti conclusivi, che nel frattempo si sono succeduti: penso a quello del bullismo, del cyberbullismo, quello sulla violenza tra i minori, che rappresentano una guida fondamentale, un documento fondamentale, a disposizione delle scuole e delle istituzioni scolastiche, ma anche dei genitori. Quindi, il Governo avrebbe avuto materiale su cui lavorare, ma mi sa che siete rimasti un po' indietro.

Sempre con riferimento agli ultimi fatti di cronaca, Presidente, gli ultimi attimi di vita, della nostra vita, ricordiamo tutti i tentativi di suicidio purtroppo andati anche a buon fine, di autolesionismo tra gli adolescenti, tutti atti che sono in grave aumento. In tale contesto, i servizi sociali, la rete territoriale potrebbero fare la loro parte. E quindi noi chiediamo, anche attraverso una nostra richiesta pervenuta dal nostro gruppo alla Commissione per l'infanzia e l'adolescenza, un'indagine conoscitiva in merito alla gestione dei servizi sociali, perché è opportuno accendere - oggi ancor di più, in tempo di pandemia, in tempo di lockdown - e approfondire tutte le problematiche registrate, in modo particolare durante questi mesi a scuole chiuse, riguardo alla rete territoriale, che avrebbe dovuto assistere le famiglie, i bambini, gli adolescenti, anche con disabilità.

È ormai acclarato, Presidente, che la chiusura delle scuole e la didattica a distanza hanno determinato degli effetti devastanti sulla vita dei nostri bambini e dei nostri adolescenti. È ormai noto anche che la didattica digitale non ha mai raggiunto un numero considerevole di nostri studenti, soprattutto quelli che vivevano in situazioni di maggiore disagio. Ed è stato proprio per questo, proprio per tutelare il diritto di tutti allo studio, che abbiamo presentato alla legge di bilancio il cosiddetto “kit digitale”, proprio per arginare la dispersione scolastica.

Nel corso dell'estate 2020, sappiamo che il Governo ha investito ingenti somme per iniziare l'anno scolastico, che poi in effetti non è mai iniziato, ma ormai sappiamo dell'annosa questione dei banchi a rotelle, che il Ministro Azzolina ha ritenuto rimanga come patrimonio delle scuole, eppure le scuole secondarie sono state chiuse. Solo oggi abbiamo visto il ritorno nelle scuole secondarie di secondo grado di una parte, quasi un milione, di studenti: una scuola aperta solo al 50 per cento. Ma avevamo chiesto anche da subito, come sapete, il coinvolgimento delle scuole paritarie, che avevano messo a disposizione degli ulteriori spazi per aprire in sicurezza le attività scolastiche.

Avevamo chiesto da subito l'implementazione del trasporto pubblico, con il coinvolgimento del trasporto privato, in particolar modo dei bus turistici, che ormai avevano visto abbattere il turismo nelle proprie città, e penso, Presidente, che ad oggi non è più procrastinabile un piano vaccinale, sempre se ci riusciremo, per il personale scolastico.

Sono state poi sospese tutte le attività sportive, Presidente, tutte le attività ricreative, sine die, e sappiamo quanto siano fondamentali, importanti per una sana crescita psicofisica le attività sportive e tutte quante le attività ricreative per i nostri bambini e per i nostri ragazzi.

Ed è per questo, Presidente, che questo Piano 2020 deve essere tutto concentrato sulla rinascita dei nostri minori e dei nostri adolescenti, a partire dal potenziamento dell'attività dei servizi sociali, d'intesa con gli enti locali, il coinvolgimento del Terzo settore, per dare vita anche a quei presidi di prossimità, quei presidi educativi e sociali al fine di assicurare all'infanzia l'istituzione presso gli istituti scolastici degli sportelli psicologici di ascolto, a sostegno dei bambini, degli studenti, dei lavoratori e anche dello stesso personale educativo. A promuovere, oltretutto, un servizio di assistenza alle donne in gravidanza, o a quelle che si accingono a mettere al mondo dei figli, presso le unità organizzative di ginecologia, ostetricia e le aziende sanitarie ospedaliere, e anche uno sportello unico per le famiglie presso le UO dell'età evolutiva 0-18 anni. Anche, ad adottare tutte le iniziative al fine di consentire ai comuni di trasformare in asili nido le strutture e gli edifici di loro proprietà che non sono utilizzati, soprattutto quelli che si trovano in prossimità delle aree verdi; e questo era un mio ordine del giorno, che avevo presentato nella scorsa legge di bilancio, che ho visto è stato inserito anche nel programma del Recovery Plan di questa maggioranza. A dare seguito, oltretutto, alla nostra mozione per arginare e contrastare il fenomeno della violenza sui minori tra le mura domestiche. Avevamo chiesto già in altre mozioni, sempre di centrodestra, di istituire una banca dati dei minori allontanati dal proprio nucleo familiare. Pensiamo, Presidente, che tra gennaio 2018 e 2019 sono stati allontanati dalle famiglie ben 12.338 minori, 23 minori ogni giorno. Ad adottare, Presidente, e questo punto sarà presente anche nella nostra mozione, tutte le iniziative di carattere normativo per prevedere un monitoraggio, un controllo sull'utilizzo dei social network da parte dei minori; quindi per potenziare l'attività svolta dalla Polizia postale, che esercita un'importante funzione di controllo, finalizzata sempre alla prevenzione di un utilizzo distorto dei social da parte dei minori.

Presidente, abbiamo quindi anche un'altra richiesta, che sarà scritta negli impegni del dispositivo della nostra mozione: è quella di inviare una relazione al Parlamento sull'attività svolta dall'Osservatorio per l'infanzia e l'adolescenza che si era insediato l'8 aprile 2020. Presidente, da quel momento di tempo ne è passato, ma di provvedimenti a tutela dei minori ne ho visti zero (Applausi dei deputati dei gruppi Forza Italia-Berlusconi Presidente e Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Massimiliano Panizzut. Ne ha facoltà.

MASSIMILIANO PANIZZUT (LEGA). Grazie, Presidente. Ringrazio anche qui i colleghi per aver posto in questione una tematica importante e delicata come la precedente, che rischia di venire messa in secondo piano, visto che l'urgenza primaria era, ed è oggi in parte, il contenimento dei contagi da virus.

Diciamo che siamo d'accordo sul merito e sulla finalità della mozione dei colleghi, ma non siamo assolutamente d'accordo su alcune premesse e su alcune argomentazioni, ed infatti presenteremo un nostro testo. Per parte nostra, infatti, non è totalmente vero che il Governo abbia messo in atto forme di supporto alle diverse categorie; ma questo non lo dico per fare una polemica fine a se stessa, non lo dice solo la Lega: lo fanno rilevare gli stessi cittadini, che sono ancora tantissime le categorie di attività che sono state chiuse e non ancora ristorate, e sappiamo bene che lo status sociale è direttamente collegato alla condizione economica.

Io credo che la gente abbia voglia di lavorare, di riprendere le attività in sicurezza e rispettando i limiti del contingentamento; e, di conseguenza, anche guadagnare meno, ma vogliono lavorare, per continuare ad avere le risorse anche per i bisogni dei figli. Soprattutto i nostri bambini e ragazzi, poi, hanno la voglia di tornare a scuola in presenza, ma in sicurezza.

Nella mozione voi dite che bisogna aumentare il campo d'azione del reddito di cittadinanza: certo voluto anche da noi al tempo, ma quando si verifica che, alla fine, non ha portato il risultato sperato, si può ammettere che non abbia funzionato; soprattutto per quanto concerne la parte di aiuto nell'attesa di trovare occupazione, che mi pare abbia totalmente fallito e sia ormai una forma totale di assistenzialismo.

Tornando alla tematica diretta della mozione, è chiaro che siamo d'accordo che ci siano problematiche legate indirettamente alla pandemia e a tutte le limitazioni, soprattutto sull'equilibrio dei bambini e adolescenti, odierno, che si ripercuoterà inevitabilmente sul futuro. I bambini saranno gli uomini del domani, e il nostro compito e dovere è formarli e proteggerli.

Per mesi i nostri figli hanno perso il contatto fisico con i compagni di scuola e gli amici. La didattica a distanza è di certo servita a tamponare e ad evitare la totale dispersione educativa; però chiaramente anche qui si sono riscontrate lacune, dovute anche alla realtà sociale delle famiglie, mancanza di personal computer per tutti i figli, difficoltà nell'accesso alla rete, e soprattutto mancanza di disponibilità economica di alcune famiglie per acquistare, al bisogno, i sistemi informatici. Anche qui ci chiediamo perché i fondi, anziché per i triti e ritriti banchi a rotelle, acquistati per le scuole al tempo chiuse e oggi messi nei sottoscala o sul tetto di alcune scuole, come abbiamo visto, non siano stati usati per venire incontro alle difficoltà informatiche. Tutto ciò porterà al rischio che molti, adolescenti soprattutto, poi non riprenderanno l'attività scolastica.

Il fatto che i bambini, ma soprattutto gli adolescenti, siano rimasti a volte chiusi in casa per settimane, se non mesi, magari con i genitori via per lavoro, ha aumentato la loro dipendenza dalla rete dei social, isolandoli totalmente. Come già evidenziato dalla collega, io e tutti voi dovremmo restare sgomenti dal dramma che è accaduto qualche giorno fa, di una bambina di 10 anni morta per un gioco sui social (Applausi della deputata Spena). Mio figlio ha 11 anni: io non riesco a capire come… Anche altre cose simili, iniziative aberranti come le organizzazioni di pestaggi… Incredibile! Anche qui la responsabilità, però, è di tutti; della famiglia, della scuola e della società: non possiamo giustificarci dietro il fatto che l'evoluzione tecnologica possa portare ad alcune lacune. Dobbiamo arrivare alla censura di certi supporti? O recuperiamo certi valori e riprendiamo il controllo? Certo sono ben lontani i tempi in cui, quando avevo io 10 anni, si giocava per la strada col pallone fatto con la carta e lo scotch: i ragazzi di oggi hanno la fortuna che questi sistemi possono facilitare il supporto educativo; però fondamentale dev'essere il controllo da parte di tutti gli attori preposti alla formazione dei bambini e adolescenti.

Concordo che mancano e devono essere potenziate le proposte legate al benessere psicofisico ed emotivo dei bambini e adolescenti: le restrizioni imposte hanno creato disturbi somatici, di comportamento del sonno e instabilità emotiva, che si ripercuoteranno sul carattere degli uomini del domani; perciò serve una rapida inversione di rotta nel favorire i rientri a scuola in sicurezza e la ripresa delle attività, anche sportive. Anche qui, non comprendo come mai sia possibile che, se il Governo asserisce che bisogna chiudere per mancanza di sicurezza, quando poi lo fanno i presidenti delle regioni si inneschino l'accusa e il dualismo, sempre nel contesto costante che tutti debbono collaborare, e, invece di risolvere le eventuali criticità, si litiga: peggio dei bambini, visto il tema. Non comprendiamo come sport da svolgere all'aperto possano essere un problema, o l'attività in palestra con restrizione e contingentamento.

Da non dimenticare sono i bambini con disabilità fisica, intellettiva e sensoriale, che hanno vissuto momenti di isolamento gravi e gravissimi dovuti alla loro condizione, e il Governo non è stato in grado di mettere immediatamente misure di supporto per loro e le loro famiglie. Carenze di sostegno nel quotidiano che si sono moltiplicate esponenzialmente in periodo di emergenza pandemica. Il Governo dovrà definire le misure emergenziali ed usare le risorse provenienti dal Next Generation EU tenendo presente l'impatto sul futuro della società, e quindi affrontare gli aspetti discriminanti per l'infanzia e l'adolescenza. Politiche in grado di garantire miglioramenti duraturi; anche qui non capiamo perché in questo contesto non si vogliano coinvolgere le regioni, quali collegamenti diretti poi con gli enti locali. Servono sistemi e finanziamenti che riducano la disuguaglianza sociale, che portino vantaggi in termini di sviluppo nelle situazioni familiari più fragili e sfavorevoli.

Restrizioni comportamentali ed economiche portano anche alla denatalità. Fa sicuramente piacere che si sia condivisa la materia dell'assegno unico ai figli; peccato che la sua attuazione sia slittata da gennaio a luglio per mancanza di fondi. Auspichiamo davvero che la programmazione futura comporti investimenti concreti per le misure sull'edilizia scolastica, spazi, norme sanitarie e che, nel contempo, non siano tralasciate le questioni emotive e sociali e di crescita dei bambini e delle bambine.

A fronte di quanto sopra esposto, si inviterà il Governo ad adottare iniziative per la realizzazione e la gestione degli asili nido su tutto il territorio, a destinare quanto prima le risorse per garantire da subito l'assegno unico, ad operare concretamente con le regioni, senza cercare sempre capri espiatori, per il programma di riapertura in sicurezza di tutte le scuole e, soprattutto, delle attività sportive, sia per il benessere motorio fisico, sia per il benessere psicologico legato alla socialità dei bambini e adolescenti; a riaprire sin da subito, con norme di contingentamento, i musei, i teatri e i cinema come spazi culturali e di socialità dei nostri figli, a incrementare le attività extrascolastiche sostenendo tutti gli attori che hanno un ruolo attivo e responsabile nell'educazione quali, ad esempio, le associazioni del Terzo settore; ad adottare iniziative di sostegno degli interventi sulla sfera emotiva e psicologica sia degli studenti che delle famiglie. Auspichiamo anche noi che tutti i Ministeri competenti in materia definiscano le misure destinate al prossimo piano nazionale per l'infanzia, il tutto consapevoli che l'attenzione e gli investimenti sulle giovani generazioni servono a creare una società migliore e la speranza di un'attenzione sociale ai più bisognosi.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Veronica Giannone. Ne ha facoltà.

VERONICA GIANNONE (FI). Grazie, Presidente. Ci troviamo finalmente a discutere di un piano nazionale per l'infanzia e l'adolescenza. Penso che oramai non ci siano più scuse: occorre agire immediatamente per tutelare i nostri figli. Solo pochi giorni fa, dall'ospedale Bambino Gesù di Roma, sono arrivati dei dati da brivido. Da ottobre a oggi, con la seconda ondata COVID, i tentativi di suicidio e autolesionismo fra gli adolescenti sono aumentati del 30 per cento: un tentato suicidio al giorno. Abbiamo il dovere di comprendere cosa negli anni abbia portato molti minori a sentirsi così soli, distaccati da una società che continua a non tutelarli come dovrebbe, una società culturalmente interessata forse più agli interessi degli adulti che dei minori, che nel tempo stanno dimostrando insofferenza, sempre meno interesse al loro futuro, che hanno sempre meno stimoli, se non quelli che li distaccano dalla realtà. Tra parentesi, la soluzione prospettata dal sottosegretario Zampa, di vietare gli smartphone ai bambini, potrebbe essere una soluzione? Ha detto che serve subito un tavolo guidato dalla Presidenza del Consiglio perché bisogna decidere a che età possedere un cellulare. Mi pare una risposta offensiva, questa, nei confronti delle famiglie che ogni santo giorno combattono, loro malgrado, con le problematiche conseguenti all'isolamento, fra tutte la dipendenza dagli schermi e da Internet. Queste, comunque, sono solo alcune delle gravi ripercussioni che stanno schiacciando i bambini, le bambine, i ragazzi e le ragazze, a causa di politiche poco attente ai loro bisogni. La pandemia ha solo acuito una situazione dolorosa già in atto e in evoluzione da tempo. In un primo momento, ha richiesto l'adozione di misure volte al contenimento della diffusione dei contagi: chiusura delle attività economiche, delle scuole di ogni ordine e grado, dei luoghi di cultura, spettacolo, sport, con un primo grande trauma per l'economia, soprattutto per le famiglie e le piccole imprese. Poi, cosa è successo? È successo che, invece di sostenere il crescente disagio sociale, si è pensato a tutt'altro.

Ho ricercato varie informazioni, Presidente, per tentare di ricostruire l'origine dei disagi presentati poc'anzi. Già nel 2017, l'Istat riportava dati drammatici sul numero di persone che in Italia vivono in condizioni di povertà assoluta. La povertà assoluta colpisce maggiormente le famiglie con figli minori e, tra queste, cresce con l'aumentare del numero di figli non maggiorenni. È necessario considerare che i minori, bambini e adolescenti, sono in assoluto i soggetti più vulnerabili e a oggi circa un milione 200 mila bambini e adolescenti vivono in condizioni di povertà. Per fare un esempio concreto e anche collegandoci all'allarme lanciato dai medici del Bambino Gesù, molte famiglie italiane, a causa delle difficoltà economiche, sono state costrette a tagliare alcune spese del bilancio familiare; tra queste c'erano proprio quelle destinate alle attività sportive dei figli, bambini e ragazzi in isolamento, senza attività fisica per mesi e mesi; ecco da dove vengono ansia, attacchi di panico, depressione. Il Governo, poi, pare non si sia accorto che in questo periodo d'emergenza sanitaria sono aumentati anche gli abusi sui minori: maltrattamenti, violenze domestiche, donne e minori.

L'emergenza ha messo in luce diverse fragilità dei servizi di assistenza territoriali, su tutti i servizi sociali, che si sono dimostrati non in grado di fronteggiare al meglio le aumentate necessità delle famiglie, esposte a un crescente impoverimento economico, offrendo servizi insufficienti sia su un piano quantitativo che qualitativo, soprattutto ai minori. Sia le politiche di contrasto alla povertà, sia quelle per sostenere le famiglie e i minori messe in campo da questo Governo, tendono a concentrarsi sugli adulti e a considerare i bambini e i ragazzi solo marginalmente. Forse si ignora che esistono delle importanti raccomandazioni del Comitato ONU sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza all'Italia, dalle quali emerge l'importanza fondamentale che ha per lo sviluppo psicofisico del minore crescere nella propria famiglia di origine, anche se in stato di indigenza; famiglia che dev'essere sostenuta dallo Stato con interventi concreti e mirati affinché l'allontanamento e il collocamento eterofamiliare del minore sia disposto solo nei casi di estrema e reale gravità. Nel febbraio 2019 il Comitato ONU ha, infatti, reso le sue osservazioni sull'attuazione della Convenzione internazionale sui diritti dell'infanzia. Il Comitato ha dovuto segnalare l'esistenza, nel nostro Paese, di molteplici disfunzioni e lacune nel sistema di assistenza ai minori; tra queste spiccano la carenza di risorse economiche destinate all'infanzia e il permanere di importanti livelli di povertà minorile.

Il Comitato ha poi evidenziato diversi ambiti di sistema di accoglienza dei minori fuori dalla famiglia che andrebbero modificati, spronando l'Italia a ripensare le proprie misure di accoglienza, a migliorare il sistema sull'affidamento e del servizio sociale, raccomandando altresì la necessità di diminuire la soluzione istituzionale a favore di interventi preventivi sulle singole famiglie, realizzando procedure uniformi nel Paese e garantendo che l'allontanamento dei minori dalla famiglia, compresi quelli con disabilità, sia consentito solo dopo un'attenta valutazione del superiore interesse riferito al caso individuale e monitorato in modo efficace. Occorre potenziare, quindi, i servizi sociali attraverso il sostegno della genitorialità e questo non può non prevedere l'adozione di misure politiche territoriali volte a rafforzare la partnership tra pubblico e privato del Terzo settore, a partire dalla rete degli asili nido, oggi del tutto insufficiente, alle strutture per l'infanzia e per i ragazzi, che sono tra i soggetti maggiormente esposti al rischio di esclusione sociale e che vedono messo a repentaglio il loro futuro in termini di reddito, di servizi e di formazione.

Particolare attenzione dev'essere rivolta ai bambini e ai ragazzi portatori di handicap, che sono i più deboli tra i deboli nella fascia della scolarizzazione ma anche per quanto riguarda l'inserimento lavorativo. A tal proposito mi domando, Presidente, che fine ha fatto la legge n. 33 del 2017, “Delega recante norme relative al contrasto della povertà, al riordino delle prestazioni e al sistema degli interventi e dei servizi sociali”. La legge delega chiedeva al Governo di adottare entro sei mesi dal 25 marzo 2017 uno o più decreti legislativi recanti sia il riordino delle prestazioni di natura assistenziale finalizzate al contrasto della povertà, sia il rafforzamento del coordinamento degli interventi in materia di servizi sociali, al fine di garantire su tutto il territorio nazionale i livelli essenziali delle prestazioni nell'ambito dei principi di cui alla legge n. 328 del 2000. Quanti anni sono passati? Ci sono delle novità in materia? Che io sappia, non è stato fatto alcun decreto attuativo. Questa legge doveva favorire una maggiore omogeneità territoriale nell'erogazione delle prestazioni. È stato previsto anche un organismo di coordinamento con il Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, però, purtroppo, ad oggi non abbiamo nulla di questo monitoraggio che era stato previsto con questa organizzazione.

Poi, vi è anche il decreto legislativo n. 147 del 15 settembre 2017, che prevedeva l'istituzione del Sistema informativo unitario dei servizi sociali, detto “SIUSS”. Esso aveva lo scopo di assicurare una compiuta conoscenza dei bisogni sociali, prestazioni erogate dal sistema integrato degli interventi dei servizi sociali, della programmazione, della gestione, monitoraggio, valutazione delle politiche sociali, livelli essenziali delle prestazioni e a rafforzare i controlli, ma, anche qui, non abbiamo alcuna notizia di questo ulteriore provvedimento che era stato approvato nel 2017. Quindi, siamo ancora in attesa di un'adozione della disciplina attuativa del SIUSS e, quindi, i servizi sociali vengono appunto gestiti dagli enti locali. Quanti anni ancora dovremo aspettare perché quelle parole scritte diventino azioni concrete, Presidente?

Tutto questo si traduce in un'assenza di una banca dati completa e aggiornata, che garantirebbe anche un controllo effettivo sulle prestazioni indebitamente percepite ed erogate. Non ci dimentichiamo che durante il periodo di emergenza, più precisamente dal mese di marzo ad agosto 2020, sono stati sospesi anche tutti gli incontri tra genitori e figli all'interno delle strutture residenziali, perché è stata dichiarata la difficoltà delle stesse a rendere gli incontri sicuri; erano previste delle videochiamate, ma in molti casi non sono state effettuate. In quel caso, personalmente informai il Presidente Conte, tramite diverse PEC e delle lettere anche sottoscritte da oltre 250 persone facenti parte di associazioni, rappresentanti sindacali, persone che lavorano nell'ambito, proprio per trovare delle soluzioni.

E noi ne avevamo proposte di soluzioni, ma oltre che parlare al telefono, purtroppo non abbiamo risolto nulla. Potrei continuare a riportare gli impegni presi sino ad ora e mai mantenuti: 12 novembre 2019, in quella seduta, votammo altre importanti mozioni, il tema principale riguardava le iniziative di competenza in materia di affidamento dei minori, anche alla luce delle vicende che avevano coinvolto la rete dei servizi sociali di Val d'Enza, ma non è solo la Val d'Enza, tutta l'Italia è così. Vorrei ricordare a tutti solo alcuni di questi impegni presi dal Governo, approvati dal Governo, evito quelli con la clausola “a prevedere l'opportunità di” o “a valutare l'opportunità di”, tanto sappiamo che quegli impegni non si possono considerare tali. Il Governo, ad esempio, si era impegnato a garantire concretamente l'assenza di conflitti di interesse tra diverse professionalità di servizi sociali, disciplinando altresì regimi di incompatibilità per i giudici onorari o gli stretti congiunti, così come era previsto dalla delibera del Consiglio superiore della magistratura dell'11 luglio; nulla è cambiato, eppure di tempo ne è passato da allora. Si è impegnato a continuare ad assicurare, nel caso di famiglie con problemi economici, la piena applicazione della legge n. 184 del 1983, ad assumere iniziative normative per istituire il difensore del minore in ogni fase del procedimento di affido familiare, ad assumere iniziative normative per rafforzare l'azione di controllo e di ispezione nelle strutture di accoglienza, ad assumere iniziative di competenza per garantire l'ascolto della persona minorenne, sia in fase istruttoria, che a seguito dell'emissione di un provvedimento a sua tutela, informandola adeguatamente circa le decisioni che la riguardavano e assicurando la sua partecipazione alla definizione del progetto educativo. Abbiamo approvato mesi fa anche l'istituzione di una Commissione d'inchiesta sugli allontanamenti dei minori dalle famiglie e sugli affidamenti in comunità, ma ad oggi non è stata ancora avviata.

Poi apriamo il discorso della scuola, altro capitolo pessimo: nel corso dell'estate 2020 il Governo ha investito ingenti somme finanziarie ed umane per predisporre l'inizio del nuovo anno scolastico, a cominciare dall'ormai famosa questione dei banchi con le ruote, per l'individuazione di spazi esterni nelle istituzioni scolastiche, affinché le lezioni potessero svolgersi nel rispetto del distanziamento e del contenimento dei rischi di contagio, eppure, nel corso dell'autunno, le scuole secondarie sono nuovamente chiuse, con l'adozione della didattica a distanza o della didattica integrata digitale. Non sembra essere stato valutato il costo sociale ed individuale che questi mesi di chiusura e il contenimento delle giovani generazioni comporteranno e si è inoltre sottovalutata la perdita del ruolo protettivo della scuola rispetto a maltrattamenti e abusi in famiglia, che peraltro - come dicevo prima - risultano aumentati. L'aumento di irritabilità derivante dalla perdita del lavoro da parte di un genitore, la crescita delle difficoltà economiche della famiglia, la convivenza forzata per lunghi periodi in locali non sempre sufficientemente adeguati e lo svolgimento della DAD da parte di più figli in contesti inidonei ha creato tutti i disagi che oggi stiamo vedendo. Non dimentichiamo che la Convenzione sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza indica, all'articolo 3, la necessità che tutte le decisioni relative ai bambini e adolescenti debbano considerare preminente l'interesse di detti soggetti e l'articolo 28 prevede che gli Stati devono promuovere la regolarità della frequenza scolastica e la diminuzione del tasso di abbandono. Il 17 ottobre 2020 il CTS ha risposto al Ministro della Salute, dichiarando l'estrema rilevanza della scuola nel percorso di crescita dell'individuo, sostenendo la necessità di salvaguardarla, in considerazione anche del fatto che la circolazione del virus risultava limitata nel contesto scolastico e, solo pochi giorni dopo, ha dichiarato che le scuole non erano tra i principali contesti di trasmissione in Italia sulla base delle analisi condotte dall'Istituto superiore di sanità. Il DPCM del 3 novembre però ha diviso l'Italia in tre fasce, sulla base di più parametri di riferimento, ma le scuole superiori sono rimaste chiuse in tutta Italia e nelle zone rosse sono rimaste a casa le classi seconde e terze delle scuole secondarie di primo grado. Perché? Che senso ha questa suddivisione? Anche l'organizzazione degli orari delle scuole è stata subordinata prioritariamente all'uso dei trasporti da parte di soggetti non studenti, evidenziando l'idea che l'attività scolastica è la prima sacrificabile e l'ultima a necessitare di salvaguardia. Il tempo per pensare è finito: non si può più navigare a vista continuando a rimandare interventi sostanziali, volti ad adottare delle soluzioni concrete e reali. Senza voler andare neanche troppo lontano, sarebbe possibile almeno attivare degli strumenti che già esistono per programmare e realizzare interventi seri per l'infanzia? Perché l'ultimo Piano nazionale dell'infanzia è datato novembre 2016, l'Osservatorio da allora non ha più riportato alcun tipo di valutazione o dato che possa esserci d'aiuto per migliorare la situazione dei nostri figli e della loro crescita. Si continua, Presidente, quindi - e concludo - a raccontare una realtà inesistente, sponsorizzando addirittura proposte di legge che dovrebbero risolvere certi aspetti legati alla tutela dei minori, senza però trovarne reali tracce, un po' come le fake news giornalistiche, quelle che spesso ritroviamo sui social, gli slogan “acchiappa like”, più che le soluzioni che ci si aspetta da parlamentari che hanno il potere di legiferare.

Quindi le chiedo la cortesia di fermare questa assurdità…

PRESIDENTE. Concluda.

VERONICA GIANNONE (FI). … perché si possa ripartire. Con questa mozione ci si augura che questi impegni, che sono proposte risolutive, possano essere presi seriamente e trasformati in azioni concrete e risolutive, altrimenti sarà l'ennesima perdita di tempo.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Luca Rizzo Nervo. Ne ha facoltà.

LUCA RIZZO NERVO (PD). Grazie, Presidente, sottosegretari, colleghi. Quando il COVID, da una brutta notizia lontana proveniente dalla Cina, è divenuto una crisi pandemica globale, molti osservatori, quasi sempre economisti, come capita in queste occasioni, si sono affrettati a parlare di crisi, di “shock simmetrico”, cioè del fatto che - a differenza delle crisi del 2008, o di altre crisi economiche che avevamo avuto in passato e che avevano avuto effetti diversi a seconda della solidità dei Paesi - questa crisi, per la sua comune origine sanitaria, colpiva tutti alla stessa maniera, tutti i Paesi, quasi fosse una scoria di quella globalizzazione delle opportunità, che aveva dominato per un ventennio la narrazione incontrastata del nostro tempo. Una crisi simmetrica, che ci rende tutti uguali. Ma - a ben guardare -, sotto la coltre spessa delle semplificazioni, in questo caso assai semplicistiche, esattamente come per le altre crisi, anche questa crisi, che da sanitaria si è fatta rapidamente economica, sociale e, per certi versi, esistenziale, non ha colpito affatto in modo simmetrico all'interno delle società che stanno affrontando con ogni mezzo la sua virulenza. Vi sono - come ogni volta - dei target privilegiati di sofferenza, di deprivazione, di sacrificio e non è difficile argomentare come, fra i soggetti più esposti alle conseguenze indirette di questa tragedia globale, che è la pandemia da Coronavirus, vi siano le bambine e i bambini, la cui quotidianità è stata travolta senza chiedere permesso, senza tante spiegazioni, da un giorno all'altro, sia dal virus, sia dalle misure, che, pur giuste, razionali e inevitabili, nella maggior parte dei casi si sono abbattute, sconvolgendo abitudini, socialità, diritti dell'infanzia. Non si tratta solo della drammatica rinuncia per vari mesi alla pienezza del diritto all'istruzione - nelle sue modalità ordinarie, in cui la didattica si fa un tutt'uno con la relazione fra pari, con una socialità specialissima e irripetibile che si realizza nell'età scolare e che, ahinoi, permane dimezzata per tante ragazze e ragazzi delle scuole superiori - ma il virus e le regole necessitate per attenuarne gli effetti, a tutela della sostenibilità del Servizio sanitario nazionale, hanno travolto anche i diritti naturali delle bambine e dei bambini: il diritto a vivere momenti di tempo non programmato dagli adulti, il diritto al gioco con gli amici, il diritto all'affetto dei nonni, il diritto a vivere in una varia e stimolante comunità educante. Le diseguaglianze - che già lambiscono e troppo spesso attraversano l'infanzia di tante bambine e bambini - hanno avuto una recrudescenza in questa crisi. Con la pandemia in pochi mesi l'emergenza sanitaria, dicevo, si è trasformata in emergenza sociale: si è avuto un aumento significativo della povertà che ha accentuato le diseguaglianze già drammaticamente evidenti fra le diverse regioni del nostro Paese e nelle periferie delle grandi città. Nel 2019, la povertà assoluta in Italia, che interessava oltre un milione di minori ed era più frequente nelle famiglie numerose del Mezzogiorno, è notevolmente aumentata e, secondo una recente indagine di Save the Children, è raddoppiata alla fine del 2020. E la povertà non è solo un problema in sé, ma è il moltiplicatore di molte altre mancanze, privazioni, povertà: i bambini poveri sono quelli che si ammalano più frequentemente e che sviluppano più spesso malattie croniche e disturbi dello sviluppo comportamentale con conseguenze che possono protrarsi fino all'età adulta. Diseguaglianze nuove, giustapposte in un crescendo a diseguaglianze antiche, rese drammatiche da un ascensore sociale che, nel nostro Paese, è fermo e in ulteriore decrescita. L'OCSE, già nel 2018, ci ammoniva su una mobilità sociale immobile: in Italia sono - diceva - necessarie cinque generazioni perché un bambino nato in una famiglia a basso reddito raggiunga il reddito medio nazionale, cinque generazioni.

E la scuola purtroppo non opera più come potente attivatore di mobilità sociale: se infatti l'istruzione - come mostrano tutti i dati dei Paesi avanzati - è il veicolo principale grazie al quale si può ambire ad una condizione economica e sociale migliore, anche se un'ampia letteratura internazionale mostra che l'accesso ai servizi educativi e di istruzione di qualità, fin dai primi anni della vita, e di sostegno ai genitori comporta ricadute positive sul benessere e le competenze dei bambini, con effetti di lungo periodo su tutto il percorso di crescita personale, sul benessere delle loro famiglie, favorendo sia scelte di fecondità per chi lavora sia la partecipazione lavorativa per chi ha figli, con ricadute positive di contenimento della povertà infantile e, più in generale, sulla coesione e lo sviluppo economico delle opportunità.

Anche se tutto ciò risulta evidente e manifesto da anni, risulta altresì evidente la correlazione fra la nostra immobilità sociale e una spesa per l'istruzione, che vede l'Italia fra i Paesi europei buon'ultima, con un livello di spesa in rapporto al PIL del 3,6, laddove la media europea è del 4,7 e quella OCSE del 4,8.

Una scuola chiusa da mesi acuisce questa diseguaglianza di opportunità, questa diseguaglianza di relazioni e socialità, questa diseguaglianza di vita. Se penso a questi mesi difficili che abbiamo alle spalle, ma che non sono ancora conclusi, non posso non pensare alla sofferenza che è derivata dal confinamento, soprattutto per i bambini con disabilità, circa il 3 per cento della popolazione scolastica, i quali hanno subito con le loro famiglie, più degli altri, le difficoltà di questo terribile periodo, perché la gran parte ha sospeso anche gli interventi di sostegno e di riabilitazione.

In questo quadro realistico e preoccupante vi è, Presidente, la necessità di scelte che sappiano invertire questa prospettiva, che non si arrendono all'evidenza di tante e tali diseguaglianze. Il Governo è chiamato a dotarsi e a dotare il Paese di una visione strategica, composta di politiche che siano in grado di garantire miglioramenti concreti del benessere delle bambine e dei bambini, che non rappresentino, come veniva detto, un'eccezione momentanea, ma siano duraturi e generalizzati. Significa non solo mettere risorse. Significa progettare politiche che fissino l'infanzia, l'adolescenza, le aspettative e i diritti di bambine e bambini nelle priorità dell'agenda politica del nostro Paese, attraverso un piano straordinario, che riconosca la straordinarietà del momento e la straordinarietà dell'impegno che questo richiede.

Per farlo è necessario innanzitutto un cambio di paradigma culturale, con cui si guarda all'infanzia: i bambini e le bambine, come soggetti di politiche a loro dirette, che accolgono aspettative, bisogni e diritti a loro rivolti, come soggetti di quei diritti, e non solo come soggetti passivi incidentali, di politiche e diritti altrui (le politiche di conciliazione dei tempi di vita e lavoro dei genitori, le politiche familiari, le politiche scolastiche, le politiche sportive). Considerare i bambini soggetti attivi nelle politiche a loro rivolte significa avere la capacità di ascoltarli, di renderli protagonisti delle scelte. Non sembri questo paradossale: è e può essere - ho avuto la fortuna di sperimentarlo negli anni in cui ho avuto il privilegio di fare l'assessore al welfare nella mia città, Bologna - una pratica comunitaria, in grado di mettere al centro i bambini e le bambine nella pianificazione di tutte le decisioni pubbliche, assumendo la trasversalità di punti di vista come condizione necessaria, che poi si fa un'unità di progetto per l'infanzia. Perché, se è vero come è vero, che una città a misura di bambino è una città in cui si vive meglio tutti, è altresì vero che un Paese a misura di bambino è un Paese migliore per tutti.

Allora, se questo è vero e se sono necessarie scelte nell'oggi, con lo sguardo fisso sul futuro, bisogna compiere scelte chiare, visibili, misurabili, scelte impegnative. Tra i progetti finanziabili con il fondo Next Generation EU deve essere presente un forte investimento sui diritti dell'infanzia, al fine di rafforzare le competenze e le conoscenze delle giovani generazioni e ridurre le diseguaglianze e contrastare la povertà educativa, favorendo anche la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro di tutto il contesto familiare. Un progetto che poi trovi una governance competente a garantirne l'effettività, come potrebbe essere, in modo anche straordinariamente simbolico, una unità di missione per l'infanzia e l'adolescenza presso la Presidenza del Consiglio. Una governance non solitaria, che sappia al contrario includere la voce e le ragioni dei molti soggetti, dagli enti locali alle associazioni, ai soggetti del no-profit, che ritengono fondamentale trovare risposta alle criticità inerenti i diritti dell'infanzia, degli adolescenti e delle loro famiglie, sia coadiuvando la politica nelle scelte, perché operi le riforme e le iniziative necessarie, sia sostenendo le comunità locali, perché costruiscano ambienti più favorevoli ai bambini, ai ragazzi e ai loro genitori. Una proposta capace di sviluppare politiche pubbliche adeguate a promuovere, come è avvenuto in molti Paesi occidentali, l'educazione allo sviluppo umano a partire dalla primissima infanzia, in coerenza sia con il benessere relazionale ed economico delle famiglie, sia con la prospettiva di una crescita solida e di qualità del Paese.

Perché ogni bambino - e chiudo, Presidente - ha il diritto di crescere in modo ottimale, di essere curato nel migliore dei modi quando si ammala, di essere adeguatamente educato al fine di sviluppare tutte le potenziali risorse intellettuali e conoscitive. La pandemia, che ha messo in luce molte criticità già presenti da decenni, ci mette di fronte alla possibilità e alla necessità, ci mette di fronte all'occasione, con i fondi previsti dal Next Generation EU, per correggere alcune gravi carenze nell'organizzazione sanitaria, educativa e sociale rivolta all'infanzia.

PRESIDENTE. Concluda.

LUCA RIZZO NERVO (PD). Sapendo - e chiudo davvero - che l'investimento nell'infanzia è il più efficace e duraturo, è il miglior contributo alla ripresa economica e allo sviluppo di una società, che investire sull'infanzia e sull'adolescenza vuol dire prendersi cura del futuro a partire dal presente. Questa mozione, frutto di un lavoro collettivo, è un primo - non certo l'ultimo - atto, segno di una forte determinazione politica ad andare in questa direzione (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare la deputata Bellucci. Ne ha facoltà.

MARIA TERESA BELLUCCI (FDI). Grazie, Presidente. Siamo giunti alla discussione generale di questa mozione, che si occupa della tutela e della promozione dell'infanzia e dell'adolescenza, però ho ascoltato fino ad oggi, anzi, scusatemi, fino adesso, gli interventi di tutti. Alla mente mi è venuta una cosa tra tutte. Io ho concluso la fine dello scorso anno con un intervento di fine seduta, in cui chiedevo alla Presidenza - in quel caso era presente il Presidente Fico - di poter dare attuazione ad una legge, che è stata approvata a luglio, la legge di istituzione della Commissione d'inchiesta sugli affidi illeciti e le case famiglia. Una legge che ha avuto un suo iter, che nel mese di febbraio dello scorso anno aveva visto i lavori finiti in Commissione, che era arrivata in Aula tardivamente, perché da febbraio è arrivata in Aula a luglio, a causa della pandemia, perché dovevamo affrontare il Coronavirus e non c'era tempo di calendarizzare in Aula l'approvazione di una legge che sembrava condivisa da tutti. Finalmente, a fine di luglio, si è arrivati all'approvazione di questa legge e poi si attendevano gli avvii dei lavori, come è consueto che sia. A settembre, il Presidente Fico invia una lettera a tutti i gruppi, in cui chiede la designazione dei membri della Commissione, per far sì che la Commissione d'inchiesta possa avere avvio. E lì si attende. Si attendono settimane, si attendono mesi e si arriva alla fine dell'anno, in cui la Commissione d'inchiesta per gli affidi illeciti non ha avuto avvio e intanto, ai fatti di Bibbiano, si aggiungono quelli di Massa Carrara, in cui c'è stata un'inchiesta che ha visto l'arresto dei presidente della provincia, del sindaco, di un giudice onorario, di un membro del consiglio comunale e di responsabili dei servizi sociali. Ma la legge che era stata approvata in Parlamento ancora attendeva la sua attuazione. Ebbene, quella legge era stata approvata in Parlamento da tutti, da tutti i gruppi, perché si pensava e tutti pensavamo -l'abbiamo approvata - che fosse utile a fare luce sul dramma della mancanza di tutela e di protezione dei minori. Segnatamente, minori particolarmente fragili, perché allontanati dalle famiglie, affidati ai servizi sociali, con sospensione della responsabilità genitoriale, e collocati in casa famiglia. Una moltitudine di invisibili, di cui l'Italia non sa neanche bene perfettamente il numero. Se ne sanciscono 40 mila, ma in realtà le associazioni non hanno contezza. Ma la cosa assurda è che le istituzioni - lo Stato - non sanno bene quanti siano, perché c'è un monitoraggio manchevole, assente e precario. La nostra Italia non sa questi bambini quanti sono, come si chiamano, nome e cognome, da quanto tempo sono stati allontanati dalle loro famiglie, per quanto tempo saranno allontanati, quando rientreranno nella propria famiglia, oppure troveranno delle giuste cure stabili.

Avevo pregato il Presidente Fico e, in questa occasione, Presidente Rampelli, mi riferisco anche a lei e chiedo anche a lei di poter intervenire, di poter non indugiare oltre, di dare tempestivamente avvio a quella Commissione d'inchiesta, non in quanto la sola capace di dare risposta e quindi l'unica, ma come uno strumento che questo Parlamento aveva immaginato utile, perché approvato all'unanimità, per intervenire su quella che è una questione di mancanza di tutela, sancita anche dalla Bicamerale infanzia e adolescenza e da un'indagine conoscitiva che era stata fatta e che era durata tre anni, dal 2015 al 2018. Quindi, non era solo Fratelli d'Italia a dirlo, non era un'idea peregrina di Fratelli d'Italia, ma era quanto veniva stabilito dalla Bicamerale infanzia e adolescenza e veniva sottolineato in quella indagine conoscitiva che era stata svolta e evidentemente anche condiviso successivamente, attraverso l'approvazione di una legge per una Commissione d'inchiesta, che si riteneva atto utile - utile - a fare luce e a dare piena tutela. Chiedevo al Presidente Fico di poter quindi avviare tempestivamente questi lavori e lo pregavo di farlo o entro la fine dell'anno dello scorso anno 2020 o, al più tardi, entro i primi 15 giorni di gennaio del 2021. Beh, siamo qui, il 15 gennaio è passato e l'avvio di quella Commissione noi non l'abbiamo ancora visto. Mi si dice che quella Commissione non prende avvio perché non tutti i gruppi parlamentari hanno partecipato alla designazione dei loro membri. Ovviamente, Fratelli d'Italia ha designato il proprio membro, i propri membri presenti nella Commissione d'inchiesta. Allora, io adesso chiedo di potersi fare un esame di coscienza. Io non so se dal mio ultimo intervento ad oggi tutti i membri hanno designato, anzi tutti i gruppi parlamentari hanno designato i propri membri, non lo so. Ciò di cui sono certa è che la Commissione d'inchiesta sugli affari illeciti delle case famiglia non ha avuto avvio. E allora, per pietà, per carità cristiana, quando presentate queste mozioni riflettete non su quello che dovremmo fare, ma su quello che oggi dobbiamo fare, in forza e in luogo di provvedimenti e di leggi che abbiamo approvato ed emanato, perché la responsabilità non è di qualcun altro, la responsabilità è di ciascuno di noi, che deve guardarsi in faccia e dire: “Ma io, a partire da me stesso, che cosa ho fatto per far sì che l'infanzia e l'adolescenza potessero ricevere la piena tutela e protezione?”. Perché, sapete, io ci ho provato, non solo ho fatto quell'intervento, ho scritto anche una lettera formale al Presidente Fico e a tutti i capogruppo di quest'Aula della Camera, tutti, nessuno escluso. Ho richiamato l'attenzione su questa vicenda, se qualcuno magari si fosse distratto a causa della pandemia, che sì che è un grave problema, ma non si può pensare che sia il solo problema, ma che deve essere, unitamente trattato, insieme ad altre priorità. E, allora, io rimango basita, perché non si può pensare oggi di parlare di una mozione di protezione della tutela dell'infanzia, facendo finta di nulla. Che cosa vi potrei dire sulla tutela dell'infanzia e la situazione dell'infanzia oggi? Una moltitudine di cose, certamente legate alle scuole chiuse, perché poi nella mozione parlate del fatto che in Nuova Zelanda le scuole sono rimaste aperte e di quanto sia importante che le scuole siano aperte anche durante lockdown, l'avete scritto voi, uno rimane basito, perché siete voi che avete fatto sì che l'Italia fosse il primo Paese a chiudere le scuole e l'ultimo a riaprirle, cioè io mi chiedo: ma chi le scrive queste mozioni? Chi? Perché sembra che siano fatte da persone diverse. E gli interventi che si potevano fare per tenere le scuole aperte, non in maniera bislacca, ma come hanno fatto nella maggior parte delle nazioni in Europa e anche nel mondo, erano quelli di fare cose di senso, ma a voi vi prende l'ideologia, per cui magari immaginare di aprire degli accordi di collaborazione con le scuole pubbliche e con le scuole pubbliche e private, quindi tra le scuole statali pubbliche, scusatemi, e le scuole invece private ma riconosciute e quindi in questo pubbliche, beh, è una cosa che si poteva fare. Come aprire accordi di collaborazione con il settore del trasporto privato, gli NCC, gli autobus del settore turistico. No, non si poteva fare, perché per voi sembrano esistere le fazioni e le parti, quindi anche in quel caso sono state delle scelte che si sono compiute e che poi hanno portato i nostri ragazzi a non stare a scuola e oggi Save the children ci dice, come avete voi sottolineato bene, che 34 mila studenti sono a rischio di dispersione scolastica, non torneranno a scuola. Durante la pandemia è aumentato tutto in termini di disagio, perché in questo periodo sembra che ha dettato le regole la legge della giungla, quella del più forte; chi riesce, chi sopravvive, avanza, gli altri li lascio dietro di me, non li prendo per mano, non li prendo in braccio se camminano, per farli andare avanti, e io magari corro più piano, ma salvo tutti. E in quella legge del più forte, quindi, certo che i minori sono quelli che hanno pagato di più le conseguenze: sì, il 30 per cento in più di atti di autolesionismo e di tentati suicidi, sì, ma anche il 110 per cento in più di sfruttamento sessuale online, ovviamente a danno dei minori, perché stiamo parlando sempre dei minori, 110 per cento. Aumento dell'utilizzo delle droghe: l'Italia è al primo posto in Europa per l'utilizzo di cannabinoidi e al terzo posto per l'utilizzo di cocaina - utilizzo di cannabinoidi tra i giovani, 15-16 anni. Tutto questo viaggia nel web, nel dark web, nel deep web, nella rete, quella rete nera in cui i nostri ragazzi affogano. L'Italia è l'ultimo Paese in Europa che non ha un servizio di psicologia scolastica. L'Italia è uno di quei Paesi in cui manca nei curriculum, totalmente, delle scuole, l'educazione all'intelligenza emotiva, ma in realtà l'intelligenza emotiva spesso manca pure in questo Parlamento, perché se uno si presenta con una mozione sulla tutela dell'infanzia e dell'adolescenza e sa che è manchevole di non aver istituito l'indagine, la Commissione d'inchiesta sugli affidi illeciti e le case famiglia, beh, permettetemi che manca di intelligenza, perché è meglio non farlo, perché è scontato, doveroso e di buon senso che vi venga chiesto di conto. E non dite che c'è sempre la solita scusa e quindi che è per la pandemia, per il Coronavirus, che abbiamo altre priorità: sembra che questo serva a qualsiasi cosa, a non andare alle elezioni, a non far cadere un Governo inutile, inconcludente e conflittuale, a qualsiasi cosa serve come motivazione, e non regge più, non regge più. E, allora, abbiate un atto di dignità. Noi questa mozione ne presenteremo una, perché saremo anche in questo uniti a voi, ma abbiate un atto di dignità: fate sì - oggi, non domani - che la Commissione d'inchiesta sugli affidi illeciti e le case famiglia avvii i propri lavori. È questo uno dei modi in cui si tutelano i minori e lo potete fare. Sta nelle vostre mani.

Noi, ovviamente, ci saremo come sempre, come Fratelli d'Italia e come centrodestra (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Paolo Siani. Ne ha facoltà.

PAOLO SIANI (PD). Presidente, sottosegretaria, colleghi, questa è una mozione che va letta attentamente, che contiene molti spunti e non può limitarsi a un fatto specifico e particolare. Questa è un po' più di una mozione; quello che abbiamo scritto è un progetto politico, è una visione di politica, è uno sguardo verso il futuro. Questo è un appello a una politica che vuole dare speranze. In questa mozione stiamo provando a chiedere di inserire dentro il programma, che qui vedete, di resilienza e di ripresa, una sezione che riguardi l'infanzia; non altre tabelle, non altre spese, ma un programma unico che tenga al centro l'infanzia, con un obiettivo specifico, quello di ridurre le disuguaglianze del nostro Paese che sono intollerabili se riguardano l'infanzia.

Noi vi proponiamo, in questa mozione, una cosa molto più alta, cioè un nuovo modello di sviluppo sociale, economico e culturale; questo sta scritto in questa mozione, fatta con intelligenza. Noi vi chiediamo di modificare un approccio al tema infanzia, passando da un atteggiamento che a volte sembra caritatevole - e, comunque, marginale - , a un'azione organica e di lungo periodo. Noi pensiamo che non servano soltanto progetti o bonus, ma politiche di sviluppo, che devono iniziare molto presto, cioè già durante la gravidanza di una mamma, per organizzare, attorno a quella mamma, a quel nucleo familiare, a quel bambino che nascerà, una rete di sostegno che serva a capire se c'è un bisogno; un sostegno e un intervento che siano fatti in modo proporzionale al bisogno, e dobbiamo farlo, allora, prima che nasca il bambino o appena vediamo che ce n'è bisogno.

Ci sono nel nostro Paese modelli di questo tipo che funzionano, ma bisogna renderli stabili, universali e diffusi. Perché bisogna intervenire presto? Di questo vogliamo parlare, perché adesso sappiamo che nei primi mille giorni di vita accadono nel cervello dei bambini delle cose straordinarie, che alcuni anni fa non pensavamo accadessero. I bambini hanno molti neuroni e devono sviluppare sinapsi; in quel periodo della vita, in quella finestra di vita si sviluppano molteplici sinapsi se il bambino viene stimolato. Se il bambino vive in un ambiente tossico, in un ambiente dove non c'è stimolazione, se il bambino vede maltrattamenti o vede violenza, quelle sinapsi non vengono attivate. Ma abbiamo scoperto di più, cioè che a tre anni il cervello fa una “potatura” e tutte le sinapsi che non sono state attivate le cancella, cioè taglia quei neuroni, perché ritiene che non siano utili; certo, potrà recuperarle in seguito, potrà farne altre, di sinapsi, ma quella è una fascia di età molto importante. Se noi interveniamo in quella fascia di età vedremo i risultati a distanza, ma non di una legislatura, non di un breve periodo, bensì di 10 o 15 anni. In questa mozione chiediamo esattamente questo, cioè di fare oggi un investimento, perché fra dieci anni avremo un mondo migliore. Molti economisti hanno già misurato gli interventi sull'infanzia e hanno dimostrato che se si investe un dollaro alla nascita di un bambino, quel dollaro ne rende circa 11 quando il bambino avrà 18 anni: sapete come? In termini di più scuola, più salute, più opportunità e, quindi, ciò vuol dire meno malattie, meno dispersione scolastica, meno disoccupazione, meno maltrattamenti, meno devianza, meno criminalità. Nel 2020, adesso, a Napoli, in Campania, sono stati quasi 5 mila i ragazzi fra i 12 e i 18 anni fermati e condotti in carcere.

Nessun ragazzo, se può scegliere, se lo Stato gli offre un'opportunità, sceglierà mai la strada della criminalità, perché lo sa bene lui e lo sa la sua mamma che è una strada senza uscita, che porta alla morte e sa che vivrà meno anni di un suo coetaneo. È stato misurato che i programmi di sostegno ai genitori e le visite domiciliari prevengono il maltrattamento - lo ripeto, prevengono il maltrattamento - ed è questo l'obiettivo di questa mozione. Questo genera significativi risparmi economici: 17 euro risparmiati per ciascun euro investito nell'educazione genitoriale e in quella prescolare. Un bambino maltrattato sarà un adulto maltrattante: di questo parliamo in questa mozione; abbiamo uno sguardo molto più lungo, molto più avanti, molto più verso il futuro.

A Napoli, alcuni anni fa, è stato realizzato un progetto che chiamammo “Adozione Sociale”. Volevamo far capire che lo Stato e la comunità, come ha detto l'onorevole Rizzo Nervo, si sarebbero presi cura di tutti i bambini, in particolare di quei bambini che erano in difficoltà. Tutto nacque con l'osservazione di un pediatra acuto e intelligente, Beppe Cirillo, il quale cominciò a studiare un fenomeno particolarmente strano che lo inquietava e cioè i bambini ripetenti in ospedale, così com'erano ripetenti a scuola; erano bambini che si ricoverano più volte in un anno in ospedale per patologie banali; erano poco ammalati di malattie a noi note, ma avevano una malattia molto grave, che era la povertà, una malattia che i pediatri non sapevano curare. Per questo, mettemmo su un progetto che coinvolgeva l'ospedale, il punto nascita e il territorio per segnalare la nascita di un bambino ed eventuali target di rischio per quel bambino e quella famiglia. Cominciammo a mandare a casa personale sanitario, sociale e sociosanitario per capire le esigenze di quella famiglia, per provare a indirizzare una traiettoria di vita verso il benessere e non verso il male. Cominciammo a scoprire una marea di interventi che potevano essere fatti, a costi molto bassi, e vedevamo che questi interventi avevano un'efficacia straordinaria su questi bambini. Bastava leggere storie ai bambini, già a sei mesi di vita, per creare uno sviluppo in quel cervello e lo stupore delle mamme, che vedevano i loro figli già così piccoli interagire con un libro, era il segnale chiaro ed evidente che stavamo andando sulla strada giusta.

Ecco, questa mozione parla di questo: parla di creare un sistema che serva a garantire ai nostri bambini, tra 10, 15 o 18 anni, una vita migliore. È evidente e chiaro a tutta la letteratura scientifica che esiste in questo momento che evitare che si instauri il disagio è molto più efficiente ed efficace che non inseguirlo. È molto più semplice individuare il bambino che andrà male a scuola e aiutarlo prima che questo accada ed è molto più semplice orientare la sua crescita e il suo sviluppo per evitare che scelga la strada della marginalità e dell'illegalità. Un bambino che nasce in un quartiere a rischio, a Napoli, come a Milano, come a Torino, come a Palermo, non avrà molte chance nella sua vita, se nessuno interviene e gli dà un'opportunità. Noi chiediamo oggi al Governo di dare delle opportunità a questi bambini, con interventi semplici, precoci, misurati e misurabili, che saranno un investimento economico straordinario per il Paese. In questo momento, avere a disposizione il fondo che ci dà l'Europa è la più grande opportunità che abbiamo per fare adesso questa scelta intelligente.

Chiudo, Presidente. Noi stiamo chiedendo, con questa mozione, molto di più di una Commissione d'inchiesta, molto di più di un bonus o di un progetto: vi stiamo chiedendo di finanziare un vero “piano infanzia”, che inizi già durante la gravidanza e continui nel corso della vita. Pensiamo che questo sia il migliore investimento sociale ed economico che il nostro Paese possa fare (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Non essendovi altri iscritti a parlare, dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.

Prendo atto che il Governo non intende intervenire e si riserva di farlo. Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.

Discussione della mozione Molinari ed altri n. 1-00414 in materia di individuazione del deposito nazionale per il combustibile nucleare irraggiato e i rifiuti radioattivi.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Molinari ed altri n. 1-00414 (Nuova formulazione) in materia di individuazione del deposito nazionale per il combustibile nucleare irraggiato e i rifiuti radioattivi (Vedi l'allegato A).

La ripartizione dei tempi riservati alla discussione è pubblicata nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta del 22 gennaio 2021 (Vedi l'allegato A della seduta del 22 gennaio 2021).

Avverto che sono state presentate le mozioni Fregolent ed altri n. 1-00417 e Gelmini ed altri n. 1-00418 che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente. I relativi testi sono in distribuzione (Vedi l'allegato A).

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

È iscritto a parlare il deputato Durigon, che illustrerà anche la mozione Molinari ed altri n. 1-00414 (Nuova formulazione), di cui è cofirmatario.

CLAUDIO DURIGON (LEGA). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, in seguito all'emanazione del decreto interministeriale del Ministero dello Sviluppo economico e del Ministero dell'Ambiente e della tutela del territorio e del mare del 30 dicembre 2020, la Sogin, la società statale incaricata dello smaltimento degli impianti nucleari italiani e della gestione e messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi, ha provveduto alla pubblicazione della Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee (CNAPI), ai fini della realizzazione del deposito nazionale per il combustibile irraggiato e i rifiuti radioattivi. Con la pubblicazione della CNAPI si è aperta la fase che porterà all'individuazione del sito definitivo che ospiterà il deposito nazionale e il parco tecnologico tra le aree considerate idonee.

Nonostante la realizzazione della CNAPI sia stata prevista già da dieci anni e i criteri tecnici siano stati ben stabiliti da ISPRA nel 2014, il modo adottato dal Governo per la presentazione di una questione di massima delicatezza, come quella della realizzazione di un deposito nucleare, ha creato tensioni sociali e divisioni conflittuali della popolazione e rivolte da parte della cittadinanza e dei comuni coinvolti. Solo il 5 gennaio 2021 è apparso un comunicato stampa sul sito del Ministero dell'Ambiente e della tutela del territorio e del mare che ha annunciato ufficialmente la notizia della pubblicazione della CNAPI da parte di Sogin e dell'avvio della consultazione pubblica, riportando il nulla osta del MISE e i riferimenti per tutte le informazioni sul sito appositamente indicato da Sogin: www.depositonazionale.it.

Tale comportamento dell'Esecutivo su un tema delicato e fortemente divisivo, come quello dei rifiuti nucleari, è stato giudicato dalla stampa pericoloso, arrogante e irresponsabile da parte di molti esponenti della classe politica, volto a creare ulteriori e inaccettabili conflitti nella società, tra i territori e le comunità locali e ad accrescere l'ansia sociale e la paura. Inoltre, in piena pandemia sanitaria da COVID-19, ove le amministrazioni locali cercano con grande fatica di corrispondere agli impegni in corso tra le assenze di personale per malattia e lo smart working, un periodo di soli 60 giorni per esprimere osservazioni sulla mole di documentazione tecnica e complessa pubblicata da Sogin sul sito www.depositonazionale.it.si presenta estremamente ridotto ed insufficiente e diventa impraticabile lo svolgimento del seminario nazionale in presenza.

Il territorio della Tuscia viene individuato nella CNAPI come il territorio con più zone idonee: per esattezza, 22 su un totale di 67 individuate sul totale del territorio nazionale. Tali siti saranno utilizzati anche per l'immagazzinamento a titolo provvisorio di lunga durata dei rifiuti ad alta attività e del combustibile irraggiato provenienti dalla pregressa gestione di impianti nucleari.

In raccordo con quanto riportato nella relazione illustrativa della guida tecnica n. 29, un sito ritenuto idoneo per la collocazione di un impianto di smaltimento superficiale di rifiuti radioattivi a bassa e media attività, sulla base dell'applicazione di criteri di selezione delle caratteristiche chimico-fisiche, naturali e antropiche nei territori quali quelli individuati nella guida tecnica, può ritenersi idoneo, fatte salve le suddette verifiche, anche per la localizzazione di un deposito di stoccaggio a lungo termine.

Sulla relazione tecnica di Sogin risultano cinque siti classificati in categoria A1 per la provincia di Viterbo, ossia il massimo grado di priorità; eppure le amministrazioni comunali non sono state informate preventivamente delle prerogative del territorio. I cittadini del Lazio e della provincia di Viterbo non accetteranno a nessuna condizione che la Tuscia diventi una pattumiera di rifiuti nucleari, che arrechi ulteriori danni alla propria economia e alla salute dei cittadini. Vi è quindi l'impegno a far valere la totale contrarietà all'individuazione in una delle ventidue aree indicate nella CNAPI del sito di deposito nazionale per i rifiuti radioattivi e parco tecnologico, alla luce della vocazione dei territori sui quali dette aree dovrebbero emergere e dei danni che tale deposito arrecherebbe all'ambiente, alla salubrità e all'economia agricola e turistica di tutta la provincia di Viterbo.

Le scorie ad alto contenuto di radioattività richiedono tempi di isolamento, che oscillano, indicativamente, dai 300 anni a un milione di anni per raggiungere i livelli di radioattività comparabili a quelli ambientali. Ne deriva che il gravame nucleare sarebbe permanente e graverebbe anche sulle generazioni future per centinaia di anni.

Il Lazio e, soprattutto, la provincia di Viterbo, ha dato molto in fatto di strutture energetiche: ettari ed ettari di pannelli fotovoltaici, centrali termoelettriche, pale eoliche, senza contare che questa provincia ha incentrato la maggioranza della sua economia nel settore agricolo, con produzioni di eccellenze enogastronomiche e prodotti agricoli di qualità e, nel settore turistico, con un indirizzo sempre più green, grazie alle numerose riserve e alle caratteristiche uniche del territorio e del paesaggio. Nel territorio della Tuscia viterbese risultano presenti sorgenti e falde termali di importanza naturalistica e produttiva elevata, tali da scongiurarne in ogni modo la compromissione, anche nel rispetto del principio di conservazione per le generazioni future. Altri comuni elencati come possibilmente idonei ad ospitare il deposito hanno subito, nel corso degli anni, eventi sismici di grande rilievo.

Siamo profondamente contrariati che tali aree siano state individuate senza alcun confronto con le istituzioni locali dei comuni interessati e che, solo oggi, sindaci e cittadini abbiano appreso quelli che sono i piani del Governo per la provincia di Viterbo (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier). Il Governo e la regione dovrebbero tutelare la vocazione del territorio e della provincia viterbese, terra di eccellenze agroalimentari ed in cui sorgono numerose riserve naturali, parchi ed aree protette.

È necessario, dunque, adottare tutte le opportune iniziative, nell'ambito della leale collaborazione tra enti istituzionali, per porre rimedio alle carenze di informazione ufficiale intervenute e alla mancanza di una preventiva informazione delle regioni e degli enti locali in merito alle caratteristiche tecniche del proprio territorio, che lo hanno reso idoneo ad ospitare il deposito nazionale per il combustibile irraggiato e i rifiuti radioattivi e ad inserirsi nella Carta nazionale per le aree potenzialmente idonee.

Allo scopo di evitare tensioni sociali nell'ambito della consultazione pubblica, in un accordo con gli amministratori locali, è necessario adottare maggiore attenzione nel coinvolgimento della popolazione per l'individuazione definitiva della CNAPI, dei siti in territori ad alta densità abitativa o particolarmente con vocazione agricola; informare gli enti territoriali sulle effettive e congrue compensazioni economiche e di riequilibrio ambientale e territoriale che dovranno essere assegnate ai territori che ospiteranno il deposito nucleare per tutto il periodo di giacenza dei rifiuti nucleari, in aggiunta alle compensazioni ambientali che verranno previste nell'ambito della procedura di valutazione di impatto ambientale (VIA).

Presidente, noi chiediamo che quando si applicano alcune norme, alcune decisioni di notte, senza il coinvolgimento degli enti locali, questo Governo manca di rispetto alle istituzioni (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier) - vado a concludere - e manca di rispetto a quei cittadini e a quei territori, quindi chiediamo al Governo di tornare indietro e fare la giusta consultazione degli enti locali (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Giuseppina Occhionero, che illustrerà anche la mozione Fregolent ed altri n. 1-00417 , di cui è cofirmataria.

GIUSEPPINA OCCHIONERO (IV). Grazie, Presidente. Ministro, colleghe e colleghi, con il decreto legislativo n. 31 del 2010, da dieci anni dettiamo la disciplina per l'individuazione del sito unico per la realizzazione del deposito nazionale dei rifiuti radioattivi e dell'annesso parco tecnologico.

Da quella data, si sono susseguite negli anni una serie di disposizioni di integrazione e modifica del decreto legislativo di rango primario, fino ad arrivare a quelle regolamentari emanate dai Ministeri competenti - il Ministero dell'Ambiente, quello dello Sviluppo economico, anche quello della Difesa, per quanto riguarda la materia relativa ai rifiuti prodotti da questa amministrazione - e, poi, dagli organi tecnici preposti, a partire da quelli internazionali fino a quelli nazionali, prima fra tutte l'allora ISPRA, oggi ISIN, e infine la Sogin, che è la società pubblica responsabile del decommissioning degli impianti nucleari italiani e della gestione dei rifiuti radioattivi e che poi è anche la società che sarà chiamata a realizzare il deposito e a gestirlo fino al mantenimento in sicurezza.

Ci consenta però di dire, Presidente - per suo tramite anche al Ministro -, che il risultato di questo percorso non ci soddisfa pienamente, sia per i tempi biblici che hanno caratterizzato il percorso, sia per quanto riguarda l'elenco dei siti individuati dalla Sogin e validati con il nulla osta contenuto nel decreto interministeriale, sia per la procedura di consultazione pubblica che dovrebbe portare all'individuazione del sito definitivo. La Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee, la CNAPI, è solo il primo passo per realizzare il sito di stoccaggio in sicurezza delle scorie nucleari e dei rifiuti radioattivi, come richiesto dalla direttiva 2011/70 Euratom del Consiglio europeo. Quest'ultima, infatti, stabilisce che ogni Paese adotti un programma nazionale per la gestione dei rifiuti radioattivi. La scadenza era l'agosto del 2015 e Italia, Austria e Croazia, non avendo rispettato i tempi, sono state sottoposte ad una formale procedura di infrazione.

Un'altra data da tenere a mente è quella del 2025, quando ritorneranno indietro i rifiuti e le scorie nucleari che per anni l'Italia ha indirizzato in Francia e in Gran Bretagna, dove sono state sottoposte a un riprocessamento. Per allora dunque l'Italia dovrà dotarsi di un deposito nazionale adatto ad ospitare tutto il materiale radioattivo. La tempistica stimata per realizzarlo varia dai 7 ai 10 anni e, anche per le caratteristiche di tale deposito, sarà praticamente impossibile osservare la scadenza indicata del 2025.

È proprio partendo da questi dati che dobbiamo cercare di fare un ragionamento più articolato, che parte da alcune considerazioni che riguardano anche il metodo. Ebbene, in relazione al metodo ci sono esempi in Europa molto più virtuosi a cui dovremmo ispirarci, perché sono più partecipativi e più condivisi e che avremmo dovuto, a nostro giudizio, avere come linea direttrice anche per il percorso seguito dal nostro Paese. Penso ad esempio alla Spagna, che ha ritenuto di separare i depositi, dividendoli tra quello adibito ai rifiuti ad alta e media attività e quello che deve ospitare i rifiuti a bassa attività. Riguardo a quest'ultimo, è stato già individuato un sito, mentre per la realizzazione di quello per i rifiuti a media e alta attività si è seguito un percorso estremamente più convincente, secondo noi, e diametralmente opposto a quello adottato da noi, e cioè sono state invitate le municipalità ad esprimere il loro interesse ad ospitare il deposito, sono stati garantiti vantaggi economici e, tra le municipalità che ne avevano fatto richiesta, si è scelto un sito stabilito che per i prossimi sessant'anni ospiterà i rifiuti, fino poi alla realizzazione del deposito di profondità, per cui la Spagna ha già avviato molto in anticipo la ricerca del sito. Dunque un procedimento che parte dal basso. Il nostro deposito unico, invece, ad oggi prevede lo stoccaggio nel medesimo sito di rifiuti radioattivi, oggi stoccati all'interno di decine di depositi temporanei presenti nel nostro Paese, prodotti dall'esercizio e dallo smaltimento degli impianti nucleari che non sono certo a bassa intensità, ma anche di quelli derivanti dalle quotidiane attività di medicina nucleare, di ricerca, di industria, che hanno un'altra caratteristica: sono molto più facili nella gestione degli stessi. Dunque il risultato sarà un “mostro” di 150 ettari, che comprenderà il deposito nazionale, le aree di rispetto, gli impianti per la produzione delle celle e dei moduli, l'impianto per il confezionamento dei moduli, gli edifici per il controllo della qualità, analisi radiochimiche per i servizi a supporto dell'attività, oltre al parco tecnologico, il tutto ricoperto da una collina artificiale impermeabile.

Al di là delle valutazioni tecniche sull'impianto, su cui non voglio entrare, certo vale la pena ricordare però che le opere da realizzare relative ai rifiuti ad alta e media attività saranno comunque transitorie, in quanto tali rifiuti solo in via provvisoria verranno stoccati presso il sito unico e poi successivamente dovranno essere trasferiti in un deposito geologico idoneo alla sistemazione definitiva, sulla cui localizzazione - e anche sulle caratteristiche - siamo come dire ancora in alto mare. Ebbene, dopo dieci anni di attività istruttoria, dopo che sono stati definiti e individuati i criteri che i siti candidati avrebbero dovuto avere, dopo che un elenco risulta essere stato presentato da Sogin dal 2015 e secretato dal Ministero, si decide - e lascio all'Aula le più ampie a valutazioni - di concedere il nulla osta durante la vigilia di San Silvestro, in piena emergenza pandemica. Come si possa pensare poi di avviare la consultazione pubblica, che ha tempi predefiniti, criteri fissati, che prevede anche la possibilità di fare sopralluoghi e rilievi, di acquisire documenti e cartografie in scala, con in atto le restrizioni dovute al contenimento della diffusione del virus da COVID-19, francamente non riesco a capire. In una fase difficilissima in cui si trovano tutti i soggetti che dovrebbero e potrebbero proporre osservazioni all'elenco pubblicato da Sogin, in un momento in cui i comuni, gli enti, le Regioni, hanno il personale che lavora in smart working, in un momento in cui sono vietati o comunque sconsigliati gli spostamenti a tutti i soggetti istituzionali e associazionistici che sono impegnati nella battaglia contro il virus, avviare la consultazione di un elenco, che tra l'altro, al di là del metodo con il quale si è arrivati a redigerlo, presenta anche criticità importanti, diventa veramente complicato, anche se si tiene conto che nei prossimi quattro mesi è stato previsto un seminario in presenza che dovrebbe coinvolgere tutti i soggetti interessati.

A quanto fin qui esposto si aggiunga che risulta anche poco chiaro il processo che, a partire dall'elenco del 2015, ha portato al nulla osta e alla relativa successiva pubblicazione. Il risultato è un documento diviso in livelli di preferenza, che prevede 67 aree, su molte delle quali davvero non si comprende come i 25 criteri contenuti nella guida tecnica redatta dall'allora ISPRA siano stati recepiti e interpretati. E dico questo perché, se da un lato risulta che sono idonee alcune aree che di fatto in realtà compaiono ad esempio tra le categorie ad alto pregio agricolo, come la Carmagnola, o ad elevata pericolosità sismica, come l'Alessandrino, o addirittura aree adiacenti ai siti UNESCO, come Pienza e Val d'Orcia, dall'altro lato ci sono comunità locali che hanno dato la disponibilità alla candidatura che non risultano presenti nella carta e sono state escluse. E poi si pensi pure che ci sono addirittura, tra i siti individuati dalla CNAPI, alcuni definiti “patrimonio dell'umanità”. Faccio per esempio riferimento al sito dei Sassi e Parco delle Chiese rupestri di Matera, città capitale della cultura nel 2019, sul cui territorio sono stati anche fatti degli ingenti investimenti in termini di restauro di beni culturali, di infrastrutture, di riqualificazione del territorio, che verrebbero ovviamente vanificati qualora il sito unico dovesse incidere su tale territorio. E poi ci sono province italiane, come ad esempio Alessandria, in cui si condensano ben sei siti, quasi tutti in fascia A 1, o quella del viterbese, come è stato anche già detto, nel Lazio, con Montalto di Castro, Ischia di Castro, Tuscania, Tarquinia, Corchiano, Vignanello e Soriano nel Cimino. Strana appare anche la scelta di ubicare i siti nelle isole della Sardegna e della Sicilia, anche perché la scelta sembra contrastare con il criterio dell'efficacia delle vie di comunicazione primarie e delle infrastrutture di trasporto; non è chiaro se i siti sardi e siciliani fossero già nell'elenco della CNAPI del 2015 o siano stati integrati successivamente - e non si capisce quali sono state le procedure di integrazione. Poi ci sono altri criteri disattesi, ad esempio le distanze dei siti dalle autostrade e dalle Ferrovie; non è ben chiaro quale sia la distanza adeguata che si è presa a parametro dei centri abitati più vicini. In tutto ciò vengono di contro totalmente ignorate le richieste di diverse comunità territoriali - comuni, enti locali - che avrebbero avanzato la candidatura, come dicevamo prima, per la realizzazione proprio del sito unico e che, senza motivo, sono state escluse. Ora, come si è ricordato, la CNAPI proviene da un percorso istruttorio molto complesso; siamo davvero certi che per tutti i motivi finora detti i 67 siti siano davvero gli unici ad avere queste caratteristiche e che magari non ce ne possano essere altri ancora migliori di quelli individuati? Ebbene noi, con la nostra mozione, vorremmo proprio avere delle risposte certe in merito a questi interrogativi che ci stiamo ponendo e che abbiamo avanzato già in diverse occasioni. È fondamentale dunque in primo luogo, secondo noi, rallentare anche il processo di consultazione pubblica sulla CNAPI. Non possiamo infatti tollerare in alcun modo che proprio coloro che vengono coinvolti direttamente e quindi i territori, oltre a tanti cittadini e quindi tutte le istituzioni, non siano messi nelle giuste condizioni di dialogare rispetto a temi così importanti e fondamentali e che si vedano compressi i tempi appunto della discussione proprio perché siamo anche in piena emergenza pandemica.

In ragione di ciò è indispensabile quindi prorogare i tempi della consultazione e parallelamente avviare un percorso normativo che consenta anche di rivedere la CNAPI, individuando dei criteri che partano dal basso attraverso le candidature delle comunità locali, in modo tale da poter coniugare le aspirazioni dei territori e le criticità di alcuni di essi anche tenendo conto delle limitazioni imposte dalla pandemia che ci sta comunque assalendo. Le decisioni vanno prese, dunque, in maniera condivisa e collegiale: basta con questi rigurgiti centralistici dei processi; è necessario invertire la rotta. Noi riteniamo che, fino ad ora, gli atti ad oggi compiuti non vadano proprio in questa direzione e non possiamo non ascoltare l'allarme che lanciano territori e associazioni; l'urlo e l'indignazione delle istituzioni, dei cittadini, tutti i dubbi sulla Carta, sui criteri adottati, sulla loro interpretazione, e sulle candidature, invece, di quelle comunità che vorrebbero ospitare il deposito e che quindi meritano il dovuto ascolto.

Siamo già, per altri motivi noti, in un momento molto difficile e particolare. Affrontiamo tutti i giorni le sfide del virus e, pertanto, credo che dobbiamo evitare ulteriori momenti di tensione e di conflittualità. Dunque, si è messo in piedi un processo che parte da un censimento di siti idonei, o presunti tali, redatti in una maniera centralistica, attraverso un'applicazione quantomeno discutibile di criteri non aggiornati. Dobbiamo quindi necessariamente cambiare passo: lo dobbiamo ai territori interessati dalla Carta attuale e a quelli che vorrebbero esserne parte, lo dobbiamo ai nostri figli, ai figli dei nostri figli e ancora ai loro figli, perché questo deposito avrà certamente una convivenza con noi e con i territori per almeno tre secoli.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Carlo Giacometto, che illustrerà anche la mozione Gelmini ed altri n. 1-00418 , di cui è cofirmatario.

CARLO GIACOMETTO (FI). Grazie, Presidente Rampelli. Intanto, sottosegretario Morassut, una premessa: noi rivendichiamo, come Forza Italia, il percorso che è stato individuato con il decreto legislativo 15 febbraio 2010, n. 31. A undici anni di distanza sappiamo che quella è una modalità che ci consente di risolvere una vicenda che per troppi anni i Governi che nel frattempo si sono succeduti hanno portato avanti. Il Governo Renzi nel 2015 non ha pubblicato la Carta, che peraltro scopriamo da un'interrogazione parlamentare era stata affidata ai Ministeri competenti dello Sviluppo economico e dell'Ambiente il 20 luglio di quell'anno, cioè del 2015; i Governi successivi, Gentiloni e Conte 1, non hanno ritenuto di dover dare corso a questa procedura. Lo rivendichiamo perché questa decisione di identificare un deposito unico nazionale risolve, risolveva - mi verrebbe da dire, avrebbe dovuto risolvere, anzi - una questione che riguarda, per esempio, 19 depositi temporanei che sono presenti nel nostro Paese da tanti anni, almeno dal 1987, cioè da quando l'Italia ha abbandonato la scelta nucleare per quanto riguarda le fonti di approvvigionamento energetico. Queste 19 aree temporanee, cosiddette, si trovano lungo tutto il nostro Stivale; molte si trovano nella mia regione, in Piemonte, e, al momento, detengono circa - se non ricordo male - 30 mila metri cubi, in termini volumetrici, di materiale radioattivo o derivante dal decomissioning da parte delle centrali nucleari che avevamo in Italia (le quattro centrali). In realtà, però, il fatto di misurare in termini di metri cubi il rifiuto nucleare è una modalità che non è così corretta, perché sappiamo che a livello internazionale è l'indice di radioattività, invece, che misura la pericolosità di un materiale o meno. In questo caso si parla di gigabecquerel, che in Italia sono circa 3,1 milioni, dei quali - lo dico da piemontese - 2,3 milioni in Piemonte in questo momento; di questi 2,3 milioni di gigabecquerel, cioè l'indice di radioattività del materiale rifiuto nucleare, 2 milioni e 260 mila si trovano in un solo sito in Piemonte, cioè il sito EUREX di Saluggia, in provincia di Vercelli. Allora, come piemontese, il fatto che oggi, finalmente, sottolineando le inadempienze dei Governi che si sono succeduti, ci sia l'inizio di una procedura che identifichi un deposito unico nazionale, da piemontese, è un fatto positivo in sé, perché è noto a quelli che conoscono la geografia della mia regione, che quella localizzazione, ancorché temporanea da troppi anni, è una localizzazione del tutto insicura dal punto di vista, per esempio, alluvionale. Si trova, infatti, nei pressi del fiume Dora Baltea, in un'area esondabile, che nel 2000, peraltro, ricevette un'esondazione da parte della Dora; nei pressi di quello stabilimento EUREX di Saluggia si trovano le falde che alimentano i pozzi dell'acquedotto del Monferrato, che è un acquedotto che serve circa 110 comuni del Piemonte, che sono circa il 10 per cento del complessivo dei comuni piemontesi (principalmente della provincia di Asti e Alessandria, ma anche della provincia di Torino). Pertanto, il fatto che quella localizzazione, appunto temporanea, sia stata mantenuta per troppi anni in quel territorio deve trovare evidentemente una soluzione.

Noi, quindi, in Piemonte, tra le 67 aree che sono state identificate dalla CNAPI, ne abbiamo otto; di queste, due nella città metropolitana di Torino e sei in provincia di Alessandria; le altre si trovano tra Lazio e Toscana (24 se non ricordo male); poi ci sono Basilicata e Puglia (18), mentre altre 18 sono tra Sicilia e Sardegna. Tra l'altro - anche questo assunto è stato sottolineato da chi mi ha preceduto - non si capisce come Sicilia e Sardegna possano essere state introdotte all'interno di questa CNAPI, viste anche le difficoltà dal punto di vista dei trasporti che eventualmente dovremmo affrontare, o dovreste affrontare, nell'ambito di un trasferimento di materiale presso quei siti. Quindi, la prima domanda che ci poniamo oggi è se, dal 2015, cioè da quando il 20 luglio venne comunicato ai Ministeri allora competenti - e oggi anche competenti - dell'Ambiente e dello Sviluppo economico, sia cambiato qualcosa in Italia. In questi sei anni - quasi - evidentemente molti dei territori che sono stati individuati nell'attuale Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee hanno avuto delle evoluzioni. Molti di quei territori - parlo per esempio di quelli che conosco più direttamente - hanno fatto, attraverso i loro enti locali, grandi politiche di marketing territoriale, e anche questo è stato citato (Carmagnola); si potrebbe parlare delle terre dell'Erbaluce del Calusiese, del Canavese; si potrebbe parlare degli investimenti che sono stati fatti nella zona dell'Alessandrino, ai margini con il Monferrato e le Langhe.

Quindi, questi investimenti, che sono stati fatti dal 2015 a oggi, ma anche precedentemente, con grande difficoltà da enti locali, che spesso sono senza risorse, devono evidentemente entrare in una valutazione complessiva per identificare e arrivare al termine di questo processo. La seconda domanda, che poi è anche uno degli impegni che noi abbiamo voluto introdurre nella mozione che tra l'altro cercherò poi di illustrare - la n. 1-00418, se non ricordo male - è se, attraverso questo lavoro che a quanto sappiamo si è svolto dal 2010 al 2015, sia stata fatta anche una valutazione delle aree militari dismesse o di quelle in via di dismissione, oppure se sia stata fatta una valutazione delle aree industriali che - molte sono ormai dismesse - che quindi potrebbero eventualmente rientrare nella procedura.

Questo, evidentemente, lo chiediamo non per accelerare i termini ma, anzi, affinché all'interno della procedura identificata con il percorso iniziato il 5 gennaio ci sia anche una valutazione successiva e ulteriore rispetto ad alcune aree che potrebbero tornare in gioco.

Noi riteniamo che questa verifica debba essere fatta, senza che ciò corrisponda ad uno stop alla procedura iniziata.

Per quanto riguarda la nostra mozione, noi ci muoviamo attraverso alcuni obiettivi di fondo. Il primo è quello della trasparenza e della pubblicità. Ci piacerebbe che tutti i documenti che sono stati pubblicati sul sito e che sono disponibili, siano diffusi in maniera precisa sul sito e corrispondano esattamente a quello che c'è a disposizione di chi dovrà iniziare il percorso di consultazione di questo dibattito pubblico che parte attraverso la procedura dei 60 giorni; ciò perché ci siamo resi conto, dal giorno 5 di gennaio, che qualcosa è cambiato, sono stati via via implementati e, quindi, riteniamo che quella sezione dedicata del sito ‘deposito nazionale' debba essere aggiornata e implementata con tutto il materiale che, per esempio, è presente nelle sedi Sogin.

Riteniamo, poi, che sia necessario tenere costantemente aggiornate le Commissioni parlamentari competenti sulla procedura in atto. Si tratta, poi, sempre in termini di conoscenza dei criteri che sono stati alla base della identificazione delle aree, di chiarire esattamente cosa significhi una distanza “adeguata” dai centri abitati, perché nel criterio 12, se non ricordo male, viene citato questo aggettivo per definire quale sia la distanza minima, per esempio, dai centri abitati, ma “adeguata” è una dicitura che noi vorremmo in qualche modo specificare con un numero - 1 chilometro, 3 chilometri - perché, evidentemente, se noi mettessimo questa distanza, per esempio, a 2 chilometri, molte delle aree identificate, per esempio, in Piemonte potrebbero essere escluse.

Per quanto riguarda, poi, il coinvolgimento delle amministrazioni locali, è stato detto anche qui, la procedura è partita con la pubblicazione il 5 gennaio, in piena pandemia, in pieno periodo festivo; evidentemente è necessario avviare fin da subito tutte le iniziative che siano utili a rendere alle amministrazioni locali e alle amministrazioni territoriali, come alle regioni, tutte le informazioni utili rispetto a questa scelta, anche perché ciò servirebbe anche a togliere temi, dal punto di vista demagogico, che evidentemente non ci appartengono.

Poi abbiamo un obiettivo di salvaguardia delle aree oggi compromesse, lo dicevo all'inizio del mio intervento, in particolare il sito Saluggia, ma ce ne sono anche altri. Quindi, noi chiediamo nella nostra mozione che siano definiti in maniera puntuale le modalità, i tempi e le risorse, che siano certe, per la chiusura definitiva di questi siti temporanei, questi 19 siti di cui parlavo in precedenza, perché troppi anni sono passati rispetto alla loro entrata in esercizio e, quindi, c'è la necessità, nell'ipotesi di percorrere la strada che ci porterà ad identificare il deposito unico nazionale, di dare una risposta a quelle comunità locali, che, per troppi anni, hanno avuto sui loro territori questo tipo di rifiuti.

E poi un obiettivo di equità sul tema più generale delle compensazioni, che sono definite, come sappiamo, dal decreto-legge n. 314 del 2003. Oggi quelle compensazioni economiche vengono erogate sulla base di un criterio di confine amministrativo e questo, evidentemente, favorisce molto alcuni e sfavorisce altri. Probabilmente, sarebbe il caso di introdurre anche sulle compensazioni del passato, e su quelle del futuro evidentemente a maggior ragione, una dicitura diversa, cioè lavorare sul concetto di distanza chilometrica, rispetto a quello di confine amministrativo, perché questo ci consentirebbe di essere, appunto, più equi nella suddivisione delle risorse economiche compensative che vanno spesso ad enti locali che sono di piccole dimensioni e che, quindi, hanno delle grosse difficoltà di bilancio.

E sempre sul tema delle compensazioni, riteniamo che sia utile sottolineare una maggiore celerità nell'erogazione di quelle maturate nel passato. Sappiamo che recentemente il CIPE ha erogato quelle del 2018 e 2019, ma sappiamo anche che queste risorse sono state ridotte al 30 per cento e vi è una procedura amministrativa in atto che sta vedendo lo Stato soccombente e che, quindi, dovrà, probabilmente, integrare rispetto al totale delle somme che lo Stato deve a questi enti locali.

Sempre sul tema delle risorse, è necessaria, anche per definire l'esito positivo di questa procedura, una quantificazione immediata delle risorse e dei benefici economici per gli enti locali e le comunità residenti nel territorio che ospiterà il deposito nazionale.

Infine, un obiettivo di metodo che è adeguato nell'approcciare questo dossier con i territori: la nostra non è la volontà di mettere in discussione un percorso, ma è evidente che aver fatto partire i sessanta giorni, che dovranno poi servire a consultare stakeholder locali, istituzioni, sindacati, il mondo dell'impresa, associazioni ambientaliste, associazioni di cittadini interessati, questi sessanta giorni, avendo come decorrenza il 5 di gennaio in pieno periodo pandemico, evidentemente dovranno trovare un loro ampliamento. E allora noi, all'interno di questa nostra mozione, ma anche con gli emendamenti che presenteremo al decreto di proroga termini, chiediamo che i sessanta giorni, e quindi l'inizio della procedura, decorrano dal giorno in cui finisce lo stato pandemico. Il Governo recentemente, credo il 15 gennaio, ha ampliato i termini dello stato di emergenza fino al 30 di aprile: noi chiediamo che i sessanta giorni decorrano dal giorno successivo. A quel punto, dopo i sessanta giorni in cui si potranno fare le consultazioni, se lo stato di emergenza, evidentemente, dovesse venire eliminato, a quel punto ci saranno tutti i tempi e i modi per fare quelle consultazioni che servono, per arrivare poi ai quattro mesi successivi, che dovranno terminare col seminario nazionale, e quindi la scelta definitiva per i quattro anni successivi, che sono quelli previsti per la costruzione del deposito, il quale, ricordo, è un deposito fatto per ospitare 78 mila metri cubi di volume di rifiuti nucleari, 90, celle se non ricordo male, 150 ettari, è stato detto, di cui 110 dedicati al deposito e 40 per il parco tecnologico, che dovrebbe, così c'è scritto, garantire per gli anni successivi un migliaio di posti di lavoro, diretti e indiretti, per il territorio che lo ospita e che, quindi, avrà anche un impatto importante dal punto di vista anche visivo. Noi non siamo evidentemente mai stati, né lo siamo oggi, colti dalla sindrome del not in my back yard, la cosiddetta sindrome NIMBY, e quindi non crediamo che le nostre richieste, che sono puntualmente identificate all'interno della nostra mozione, abbiano un atteggiamento dilatorio; anzi, noi riteniamo che si debba evidenziare quali possano essere le migliorie in un percorso che oggi, nel 2021, evidentemente, sconta una situazione generale diversa rispetto a quella del 2010. Se nel 2010 aveva senso immaginare un percorso lineare in una situazione “normale”, oggi, anno 2021, in piena pandemia, è chiaro che tutti quei tempi debbano essere quantomeno ripensati per coinvolgere direttamente i cittadini e non dare ai cittadini la sensazione che questa scelta sia stata effettuata in un periodo di distrazione, in modo da evitare le eventuali proteste. Non siamo neanche quelli che demonizzano questo tipo di impianti, perché riteniamo che demonizzarli significherebbe, evidentemente, far fallire il percorso che Forza Italia, attraverso, per esempio, il Ministro Prestigiacomo, nel 2010, fu tra quelli a voler introdurre nel nostro ordinamento con il decreto legislativo n. 31. Pertanto, il nostro obiettivo, sottosegretario e Governo, è quello di organizzare un percorso ordinato, che ci consenta di raggiungere l'obiettivo, per le cose che ho detto prima, perché ci sono regioni come la mia, il Piemonte, che da troppi anni il deposito unico nazionale di fatto ce l'hanno già: il 75 per cento, secondo l'indice di radioattività, come dicevo poc'anzi, è in Piemonte da troppi anni.

E quindi riteniamo che questo percorso debba arrivare ad una conclusione, certamente per evitare la procedura di infrazione a livello europeo, che poi credo che sia il motivo per cui vi sia stata questa accelerazione improvvisa, ma certamente per rendere al nostro Paese un deposito nazionale idoneo sicuro sia dal punto di vista ambientale, sia dal punto di vista della sicurezza nazionale (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Giovanni Vianello. Ne ha facoltà.

GIOVANNI VIANELLO (M5S). Presidente, onorevoli colleghi, sottosegretario Morassut, il tema del nucleare ha sempre destato attenzione e preoccupazione sia nelle istituzioni che nella popolazione. In questa sede occorre ricordare che in Italia la produzione di energia elettrica da fonte nucleare risale ai primi anni Sessanta, e nel 1966 il nostro Paese figurava come il terzo produttore al mondo dopo gli Stati Uniti d'America e l'Inghilterra. In definitiva le centrali elettronucleari, che sono state tutte quante monoreattore, completate ed entrate in funzione in Italia furono quelle di Borgo Sabotino a Latina, Sessa Aurunca a Garigliano, nel Casertano, Trino nel Vercellese e Caorso nel Piacentino.

La sicurezza degli impianti nucleari divenne una preoccupazione crescente già alla fine degli anni Settanta, sulla scia dell'incidente nucleare del 1979 a Three Mile Island, in Pennsylvania: tanto che l'inizio dell'esercizio commerciale dell'impianto di Caorso, nel Piacentino, fu posticipato al fine di provvedere ad alcuni aggiornamenti ai sistemi di sicurezza. Nel 1982 l'impianto di Sessa Aurunca nel Casertano venne fermato per un guasto e, a seguito di valutazioni sull'antieconomicità delle riparazioni, venne spento. Il 6 gennaio 1982 ad Avetrana si svolse la prima grande manifestazione contro il nucleare. In quegli anni, infatti, il Piano energetico nazionale aveva previsto la costruzione in Puglia di due fonti energetiche: a Brindisi la megacentrale a carbone e nel Tarantino, a Manduria ma più vicino ad Avetrana, una centrale nucleare. Contro tale ipotesi si schierarono subito tutte le forze politiche di Avetrana e i movimenti ambientalisti della provincia; i politici manduriani però si presentarono divisi e con molti dubbi rispetto alla scelta del nucleare. Ma se a livello locale la politica si divise, a livello regionale e nazionale, seppur con sfumature diverse, i partiti esprimevano giudizi generalmente positivi sul nucleare. I sindacalisti, allora favorevoli al nucleare, ignorarono i rischi ambientali, rivendicando esclusivamente posti di lavoro nelle centrali solo per i cittadini locali; rivendicare lavoro dove non c'è sicurezza né tutela ambientale è un terribile leitmotiv che sembra sussistere ancora oggi, ma in altre vertenze. Grazie a quella, e non solo a quella mobilitazione, la centrale non venne mai costruita.

Il disastroso incidente di Chernobyl del 1986 svegliò ulteriormente le coscienze degli italiani e portò a indire l'anno successivo tre referendum nazionali sul settore elettronucleare. In tale consultazione popolare circa l'80 per cento dei votanti si espresse a favore delle istanze portate avanti dai promotori, che, seppur non prevedessero espressamente la chiusura delle centrali nucleari, sono state comunque un segnale politico forte e chiaro della volontà del popolo italiano contro questo tipo di produzione di energia, altamente rischiosa e insostenibile. A seguito di questo referendum, il Governo italiano decise di fermare l'impianto di Latina e, nel 1990, venne presa anche la decisione definitiva di disattivare gli impianti di Trino e Caorso.

È stata una vittoria ambientalista su tutti i fronti, che ha fatto esprimere un sospiro di sollievo agli italiani; ma la partita del nucleare non si concluse allora. Infatti l'incubo nucleare ritornò circa vent'anni dopo, con il Governo Berlusconi IV che emanò norme per favorire la produzione di energia elettrica nucleare in Italia, e per questo l'allora Ministro dello Sviluppo economico Claudio Scajola dichiarò in tal senso di voler costruire 10 nuovi reattori per coprire il 25 per cento del fabbisogno nazionale. L'allora AD di ENEL Fulvio Conti dichiarò inoltre che, per poter rassicurare gli investitori che avrebbero anticipato i capitali necessari, sarebbe stata necessaria una soglia minima garantita nelle tariffe di vendita dell'energia elettrica analoga ai prezzi incentivanti, i cosiddetti CIP 6 pagati nelle bollette.

Il 9 aprile 2010 il partito politico Italia dei Valori ha presentato una proposta di referendum sul nuovo programma italiano. Da ricordare che i sostenitori del nucleare non erano soltanto al Governo: infatti il 27 luglio 2010 nacque il Forum nucleare italiano, favorevole alla ripresa del dibattito pubblico sullo sviluppo dell'energia nucleare in Italia; il primo presidente è stato Chicco Testa, oggi assiduo sostenitore degli inceneritori. I 19 soci fondatori erano diverse aziende e associazioni di impresa, sindacati e società di consulenza, i cui campi di attività e ricerca riguardavano lo sviluppo dell'energia nucleare per uso pacifico: Alstom Power, Ansaldo Nucleare, Areva, Confindustria, E.ON Italia, EDF, Edison, ENEL, Federprogetti, FLAEI-CISL, GDF Suez, Sogin, Terna, UILCEM e Westinghouse. Il budget del Forum nucleare italiano per il secondo semestre 2010 è stato di 7 milioni di euro, e la sua prima campagna pubblicitaria è stata giudicata una comunicazione commerciale ingannevole ai sensi del codice dell'autodisciplina della comunicazione commerciale. Di contro, una grandissima mobilitazione popolare, la quale si aggiunse, come coro di indignazione e protesta civile contro il nucleare, anche a quella sui referendum promossi dal Forum italiano dei movimenti per l'acqua contro le norme privatizzatrici del servizio idrico integrato.

L'11 marzo 2011 in Giappone, a seguito di un'importante terremoto e del conseguente tsunami, un nuovo spaventoso incidente nucleare scoppiò a Fukushima, classificato a livello 7 della scala Ines, scala internazionale degli eventi nucleari e radiologici, ossia come catastrofico, esattamente come Chernobyl. Di fronte a tale nuovo disastro il Governo Berlusconi provò, con una serie di modifiche legislative, a rimandare la legalizzazione delle centrali nucleari in Italia in vista di nuove evidenze scientifiche sulla sicurezza del nucleare. Taluni commentatori dichiararono che quello fu un maldestro tentativo da parte del Governo di centrodestra per disinnescare il referendum; tuttavia la Corte di cassazione il 1° giugno 2011 decise di confermare ugualmente la consultazione referendaria, formulando però il quesito sulla nuova proposta normativa. L'11 giugno 2011, con un quorum di circa il 54 per cento dei votanti e una maggioranza di oltre il 94 per cento, le norme inerenti il ritorno al nucleare in Italia vennero abrogate, determinando quindi la chiusura definitiva del nuovo programma nucleare per il nostro Paese: risultato di cui vado particolarmente orgoglioso, essendomi speso in prima persona per arrivare anche a questo successo referendario.

Chiuso con un grande sospiro di sollievo il capitolo delle centrali da costruire, rimane tuttora irrisolto il problema del decommissioning, ossia lo smantellamento delle vecchie centrali nucleari e lo smaltimento dei relativi rifiuti radioattivi in esse contenuti, le scorie prodotte fino ad oltre trent'anni fa dalle stesse centrali. Questo perché a quei rifiuti radioattivi occorrono centinaia, migliaia di anni per ridurre e perdere la loro pericolosità. Fate attenzione: lo smaltimento delle scorie nucleari è stato sempre uno degli argomenti che i favorevoli al nucleare hanno evitato di affrontare, perché è proprio su questo punto che il nucleare si rivela antieconomico e decisamente pericoloso. Un'eredità frutto di scelte sbagliate del passato, che ora dobbiamo affrontare in modo determinato e condiviso con i territori, con l'obiettivo non solo di un corretto stoccaggio in sicurezza dei rifiuti, ma anche di mettere in sicurezza i numerosi siti che attualmente ospitano i rifiuti radioattivi.

Grazie allo stop che i cittadini italiani hanno decretato per ben due volte alla scelta di continuare a utilizzare le centrali nucleari, l'Italia ha avuto una produzione di scorie notevolmente inferiore rispetto ai Paesi che invece hanno scelto di continuare a impiegare l'energia nucleare. Ad esempio, in Francia il deposito di superficie di La Manche è stato riempito, raggiungendo così la fase di chiusura nel 1994, dopo decine d'anni di operatività, con circa 500 mila metri cubi di rifiuti a bassa attività. L'attiguo deposito ospita i rifiuti a molto bassa attività in apposite tranche, e dal 1992 si è aggiunto il deposito di L'Aube, progettato per ospitare 1 milione di metri cubi di rifiuti della stessa categoria.

Oltre alle scorie delle centrali nucleari, occorre stoccare in maniera definitiva anche quelle che vengono prodotte dalla medicina nucleare, nelle applicazioni diagnostiche, nelle applicazioni terapeutiche e dalle attività di ricerca in medicina nucleare; ma anche quelle utilizzate in campo industriale, nella gammagrafia industriale, nell'irraggiamento e nella radiometria, dove l'impiego della radioattività avviene principalmente attraverso le sorgenti sigillate. Lo stoccaggio dei rifiuti a bassa e media attività, nonché la gestione di quelli ad alta radioattività, non crea problemi solo dal punto di vista ambientale, ma è causa anche di ingenti costi che attualmente vengono scaricati nelle bollette elettriche che pagano i cittadini italiani, attraverso la voce “oneri di sistema”, in cui è prevista anche una compensazione economica per i territori che ospitano i vari siti temporanei: che, ribadisco, non sono adatti a uno stoccaggio definitivo. Per questo dal 2012 al 2016 sono stati erogati ben 1,7 miliardi di euro alla Sogin provenienti dalle bollette dei cittadini italiani; la Sogin ha appunto il compito di eseguire il decommissioning, ma ovviamente fino a quando i rifiuti radioattivi rimarranno nei vari siti sparsi in Italia non potrà mai essere conclusa questa importante e delicata fase.

Né i depositi temporanei né i siti che li ospitano sono idonei alla sistemazione definitiva dei rifiuti radioattivi: infatti i depositi temporanei presenti nelle installazioni nucleari italiane attualmente in fase di smantellamento sono strutture con una vita di progetto di circa cinquant'anni. In Italia i centri che producono e/o detengono rifiuti radioattivi sono circa 19.

Per volume e livello di radioattività dei rifiuti prodotti, i principali centri sono i siti nucleari in fase di smantellamento, sono le ex quattro centrali nucleari, quella di Trino, Caorso, Latina e Garigliano, l'impianto di fabbricazioni nucleari di Bosco Marengo, ad Alessandra, e i tre impianti di ricerca sul ciclo del combustibile di Saluggia, sempre nel Vercellese, Casaccia, a Roma, e a Rotondella (Matera). Queste installazioni, insieme al reattore Ispra-1 situato nel complesso del Centro comune di ricerca (CCR) della Commissione europea di Ispra (Varese), sono state affidata a Sogin, che ne cura il decommissioning e gestisce, quindi, circa 15 mila metri cubi di rifiuti radioattivi a bassa e media attività. Sette centri di ricerca nucleare (ENEA Casaccia, CCR Ispra, Deposito Avogadro, LivaNova, CeSNEF-Centro energia e studi nucleari Enrico Fermi, Università di Pavia, Università di Palermo), tre centri del servizio integrato in esercizio (Nucleco, Campoverde e Protex), un centro del servizio integrato non più attivo, l'ex Cemerad a Statte in provincia di Taranto, che ospita ancora fusti radioattivi e non radioattivi che attendono di essere trasferiti dalla Sogin. In particolare, secondo l'Inventario nazionale dei rifiuti radioattivi dell'ISIN, al 2018 in termini di attività, in Piemonte è stoccata la maggiore quantità di rifiuti radioattivi a livello nazionale, circa il 73,53 per cento; in Campania il 12,3 per cento; in Basilicata l'8,86 per cento; in Lombardia il 3,3 per cento; nel Lazio l'1,89 per cento; infine, in Puglia lo 0,001 per cento. In termini, invece, di attività di combustibile nucleare irraggiato, il Piemonte ne detiene sempre l'83,78 per cento, la Lombardia l'11,87, la Basilicata il 4,23 e il Lazio lo 0,12 per cento.

Significativi, per la loro numerosità sul territorio nazionale, sono i centri di medicina nucleare, fra cui gli ospedali. Queste strutture trattengono la maggior parte dei rifiuti radioattivi che producono fino al loro completo decadimento, per poi smaltirli come rifiuti convenzionali. La restante parte viene conferita agli operatori del servizio integrato, il sistema di raccolta e gestione dei rifiuti radioattivi sanitari e industriali, che provvedono al loro stoccaggio nei propri depositi temporanei in attesa, previo trattamento e condizionamento, del conferimento al deposito nazionale. Mantenere i rifiuti radioattivi in queste strutture non solo determina un costo spropositato scaricato sulle bollette elettriche dei cittadini, ma rappresenta anche un rischio ambientale soggetto a eventi meteoclimatici e sismici. Ad esempio, in occasione dell'alluvione del Po del 2000, che causò anche l'esondazione della Dora Baltea, un affluente del Po, l'acqua straripante dal fiume arrivò ad allagare i siti nucleari nel Vercellese. Il Nobel per la fisica Carlo Rubbia, all'epoca presidente dell'ENEA, parlò di catastrofe planetaria sfiorata. Nel 1994 fu la centrale di Trino a essere danneggiata da un'altra alluvione. Desta preoccupazione nella popolazione l'accertamento dell'inquinamento di sostanze cancerogene delle falde a Rotondella, dove è presente l'ITREC, per la quale diverse conferenze dei servizi stanno cercando di individuare la sorgente di questa contaminazione. Per tutti questi motivi occorre trovare il prima possibile una soluzione definitiva ai rifiuti radioattivi.

Non è la prima volta che l'Italia sta affrontando il problema del deposito dei rifiuti radioattivi. Ci aveva provato nel 2003 il Governo di centrodestra, localizzando con il decreto-legge n. 314 del 2003, che imponeva, senza alcuna consultazione con gli enti locali e con la popolazione, il placet al deposito geologico per le scorie nucleari nel comune costiero di Scanzano Jonico, in provincia di Matera. Il decreto-legge n. 314 del 2003 viene alla luce durante una riunione del Consiglio dei Ministri nella notte tra il 12 e il 13 novembre. La sua è una concezione che evidentemente dovrebbe essere immacolata, dato che non esiste traccia neanche nell'ordine del giorno. In quanto decreto-legge, la paternità ufficiale dovrebbe essere attribuita al Presidente della Repubblica, allora il Presidente Ciampi, ma, dato che egli al momento si trovava all'estero per affari di Stato, è il Presidente del Senato, Marcello Pera, a farne le veci, controfirmando il documento. Mentre il Consiglio dei Ministri lavora sul decreto, il popolo italiano vive il lutto di 19 carabinieri morti, purtroppo, nell'attacco in Iraq a Nassiriya. Oltre alla mancata consultazione e partecipazione popolare, la scelta del sito di Scanzano Jonico si è macchiata anche di mancanza di trasparenza, in quanto non sono mai stati rilevati i criteri con cui il Governo Berlusconi 3 ha scelto Scanzano Jonico, con la possibilità di imporre il sito, tra l'altro, al territorio con l'uso dell'esercito. Le pratiche di resistenza a questa scelta del Governo e messa in atto operarono su due livelli: sia attraverso le reazioni istituzionali dei politici locali e degli enti non governativi, sia, più vistosamente, attraverso una vasta mobilitazione a livello popolare. Nei 15 giorni della protesta, accompagnata dalla diffusa solidarietà e partecipazione degli abitanti delle regioni limitrofe, migliaia e migliaia di persone parteciparono ai blocchi stradali, alle manifestazioni, ai comizi, occupando il sito prescelto e la stazione ferroviaria, raggiungendo l'apice con la storica marcia dei 100 mila del 23 novembre 2003. La protesta viene ampiamente riconosciuta per la sua grande compostezza e civicness anche da coloro che sostenevano la posizione del Governo. Si costituisce un movimento esteso, che attraversa tutti gli assi di differenza: genere, generazione, appartenenza politica, ceto, località. Il popolo, in sintonia con le istituzioni locali, riesce a organizzarsi, agire e far valere le proprie istanze. Partita come un'azione difensiva del territorio, la rivolta di Scanzano si rivela fortemente caratterizzata dalle rivendicazioni del diritto alla partecipazione ai processi decisionali che riguardano il territorio. Grazie a queste azioni, il Governo di centrodestra è stato costretto a tornare indietro sui suoi passi. Scanzano ha vinto, hanno vinto i cittadini, gli amministratori locali, le forze ambientaliste. Il plateale fallimento del Governo Berlusconi 3 ha messo in evidenza l'arroganza del potere che pensa di poter imporre decisioni senza alcuna partecipazione e spiegazione. E, tuttavia, questo modo di fare ha lasciato ancora irrisolto il problema dello stoccaggio definitivo dei rifiuti radioattivi.

Com'è noto, l'Unione europea prevede, con l'articolo 4 della “direttiva Euratom”, la n. 2011/70, che la sistemazione definitiva dei rifiuti radioattivi avvenga nello Stato membro in cui sono stati generati. La maggior parte dei Paesi europei si è dotata o si sta dotando di depositi per mettere in sicurezza i propri rifiuti a molto bassa e bassa attività. Per sistemare definitivamente i rifiuti a media e alta attività, alcuni Paesi europei, tra cui l'Italia, hanno la possibilità di studiare la localizzazione di un deposito profondo (geologico) comune in tutta Europa, allo scopo di fruire dei potenziali vantaggi di una soluzione ottimizzata in termini di quantità di rifiuti, costi e tempi di realizzazione, così come prospettato dalla “direttiva Euratom” n. 2011/70. A tale riguardo, segnalo che nel primo semestre del 2018 la Corte di giustizia europea ha avviato la procedura di infrazione n. 2018/2021 sulla non corretta trasposizione della “direttiva Euratom” del 2011. Tutti i Paesi dell'UE hanno l'obbligo di elaborare e attuare programmi nazionali per la gestione di tutto il combustibile nucleare esaurito e dei rifiuti radioattivi generati sul loro territorio, dalla generazione allo smaltimento. Gli Stati membri erano tenuti a recepire la direttiva entro il 23 agosto 2013 e a notificare i loro programmi nazionali per la prima volta alla Commissione entro il 23 agosto 2015. Tale direttiva è stata recepita in Italia solo con il decreto legislativo 4 marzo 2014, n. 45. In attuazione degli articoli 6 e 7, ovviamente, del decreto legislativo n. 45, il Ministero dello Sviluppo economico e il Ministero dell'Ambiente e della tutela del territorio e del mare hanno congiuntamente predisposto un programma nazionale che contiene una panoramica programmatica della politica italiana di gestione dei rifiuti radioattivi e del combustibile nucleare esaurito. Il procedimento è stato assoggettato a valutazione ambientale strategica, conclusasi il 18 dicembre 2018, ed è consultabile sul portale del Ministero dell'Ambiente e della tutela del territorio e del mare. Tuttavia, entro l'estate 2019 era previsto venissero ultimate le modifiche necessarie al programma nazionale, in vista, appunto, dell'udienza di fronte alla Corte (la causa è la C-434/2018). Ma il giorno 11 luglio 2019 la Corte di giustizia dell'UE ha pronunciato la sentenza, evidenziando come l'Italia sia venuta meno agli obblighi e, pertanto, sia stata condannata alle spese. Il Mise ha informato che il programma nazionale è stato formalizzato in data 30 ottobre 2019 e trasmesso alla rappresentanza permanente d'Italia presso l'UE in data 21 novembre e il relativo DPCM è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il giorno 11 dicembre 2019. La Commissione europea, con decisione del 12 febbraio 2020, ha archiviato la relativa procedura d'infrazione.

A conclusione del procedimento amministrativo di cui all'articolo 7, come dicevamo prima, il Programma nazionale per la gestione del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi è stato approvato con DPCM, sentiti, ovviamente, il Ministero della Salute, la Conferenza unificata e l'Ispettorato per la sicurezza nazionale e la radioprotezione (Isin).

Il deposito nazionale, previsto, appunto, da una norma, l'articolo 27, nella fattispecie, del decreto legislativo n. 31 del 2010, è necessario per stoccare definitivamente i rifiuti radioattivi a molto bassa e bassa attività, attualmente - ribadisco - stoccati in depositi temporanei presenti nei siti degli impianti nucleari disattivati, dove Sogin sta portando avanti le attività di mantenimento in sicurezza e decommissioning. Al deposito nazionale confluiranno, quindi, anche i rifiuti stoccati in depositi temporanei non gestiti da Sogin che provengono da fonte non energetica, ossia quelli derivanti dalla ricerca, dall'industria e dalla medicina nucleare, che continuano inevitabilmente a essere prodotti anche in Italia. Inoltre, è previsto lo stoccaggio, ma solo temporaneo, di quelli ad alta attività.

Oggi, al contrario di quanto accade all'estero, non esiste ancora in Italia una struttura centralizzata in cui sistemare in modo definitivo i rifiuti radioattivi. La sua disponibilità permetterà di smaltire definitivamente tutti i rifiuti radioattivi italiani e di completare il decommissioning degli impianti nucleari, così da poter restituire i siti che li ospitano privi di vincoli radiologici. La realizzazione del Deposito nazionale non solo consentirà all'Italia di allinearsi a quei Paesi che, da tempo, hanno in esercizio sul proprio territorio depositi analoghi o che li stanno costruendo, rispettando così gli impegni etico-politici nei confronti dell'Unione europea, ma anche di valorizzare a livello internazionale il know-how acquisito. Il progetto, infatti, comprende anche la realizzazione di un Parco tecnologico, le cui attività, tra le altre cose, stimoleranno la ricerca e l'innovazione nei settori dello smantellamento degli impianti nucleari e nella gestione dei rifiuti radioattivi, creando nuove opportunità per professionalità di eccellenza. Nel Deposito verranno stoccati circa 95 mila metri cubi di rifiuti radioattivi, il 60 per cento di origine energetica, circa 17 mila metri cubi ad alta attività - che saranno sempre in maniera temporanea - e avrà un'estensione di circa 150 ettari, con un costo stimato di 900 milioni di euro. Per la costruzione saranno impiegati circa 4 mila lavoratori all'anno, mentre per l'esercizio i posti di lavoro saranno circa mille.

Il Deposito viene localizzato da una articolata procedura attraverso la CNAPI, la Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee, anche questa normata sempre dallo stesso decreto legislativo del 2010. La CNAPI si basa su criteri elaborati dall'ente di controllo ISPRA, oggi ISIN nella Guida tecnica n. 29, in linea con gli standard della IAEA (International Atomic Energy Agency), con osservazioni da parte di Enea, IGV e CNR. Quindi, i criteri non sono stati stabiliti dalla politica, ma da criteri tecnici riconosciuti a livello internazionale e vagliati anche dai nostri enti di ricerca, a differenza di quanto è avvenuto a Scanzano Jonico. È importante sottolineare che i criteri sono stati stabiliti in maniera trasparente e con scelte tecniche riconosciute a livello internazionale, quindi non con parametri di carattere politico. Essi rappresentano, quindi, un insieme di requisiti fondamentali e di elementi di valutazione per arrivare, con un livello di dettaglio progressivo, all'individuazione delle aree potenzialmente idonee a ospitare il Deposito nazionale. I criteri sono stati formulati per individuare aree dove sia garantita l'integrità e la sicurezza nel tempo del Deposito. I criteri elaborati dall'ente di controllo sono suddivisi in 15 criteri di esclusione e 13 criteri di approfondimento; quelli di esclusione sono quelli che, appunto, sono stati analizzati per escludere tutte quelle aree che non sono ritenute idonee, mentre dei 13 criteri di approfondimento si potrà discutere di qui in avanti per poter valutare le aree individuate a seguito dell'applicazione dei criteri di esclusione; la loro applicazione può condurre all'esclusione di ulteriori porzioni di territorio all'interno delle aree potenzialmente idonee e individuare siti di interesse.

L'applicazione dei criteri di esclusione è stata effettuata attraverso verifiche basate su normative, dati e conoscenze tecniche disponibili per l'intero territorio nazionale, anche mediante l'utilizzo di GIS (sistemi informativi grafici) e, in alcuni casi, di banche dati gestite da enti pubblici. L'applicazione dei criteri di approfondimento è effettuata, quindi, attraverso indagini e valutazioni specifiche sulle aree risultate non escluse. La procedura prevede che, a seguito della validazione della parte dell'ente di controllo ISIN e del successivo nulla osta del Ministero dello Sviluppo economico e del Ministero dell'Ambiente, Sogin pubblichi la proposta di CNAPI, la carta nazionale, appunto, delle aree potenzialmente idonee, insieme al progetto preliminare del Deposito nazionale, del Parco tecnologico e alla relativa documentazione.

La CNAPI è stata elaborata già dal 2015, ma è rimasta segreta per tutti questi anni, fino alla desecretazione, richiesta a gran voce dalle associazioni ambientaliste, con nulla osta che, con grande coraggio e per trasparenza, è stato finalmente rilasciato dai Ministri dello Sviluppo economico e dell'Ambiente, Patuanelli e Costa, il 30 dicembre 2020, e pubblicato sul sito della Sogin il 5 gennaio 2021. La CNAPI comprende 67 aree con idoneità differenti, dislocate nelle diverse regioni: 8 zone in Piemonte, 24 zone in Toscana e Lazio, 17 zone in Basilicata e Puglia, 14 zone in Sardegna, 4 zone in Sicilia. Di queste, risultano 12 aree in classe A1 (cioè classificate molto buone come idoneità), 11 aree in classe A2 (buone), 15 aree in classe B (insulari) e 29 aree in classe C (zona sismica 2).

Le aree in classe A1, ossia con la massima idoneità, sono ubicate: 5 in provincia di Alessandria, 5 in provincia di Viterbo e 2 in provincia di Torino. La proposta di CNAPI, con l'ordine di idoneità delle aree identificate sulla base delle caratteristiche tecniche e socio-ambientali, il progetto preliminare e la relativa documentazione è sottoposto a consultazione pubblica. Quindi, ci sarà partecipazione, ed è già iniziata la partecipazione. Nei sessanta giorni successivi alla pubblicazione delle regioni, gli enti locali e i soggetti portatori di interessi qualificati possono formulare osservazioni e proposte tecniche in forma scritta e non anonima. Entro centoventi giorni dall'avvio della consultazione pubblica Sogin promuove il seminario nazionale, al quale sono invitati a partecipare i portatori di interessi qualificati per approfondire tutti gli aspetti tecnici relativi al Deposito nazionale e Parco tecnologico, e la rispondenza delle aree individuate e i requisiti della Guida tecnica n. 29 emessa dall'ente di controllo ISPRA (oggi ISIN). Saranno inoltre approfonditi gli aspetti connessi alla sicurezza dei lavoratori, della popolazione e dell'ambiente e i possibili benefici economici e di sviluppo territoriale connessi alla realizzazione dell'opera. Dopo il seminario nazionale, Sogin raccoglierà le ulteriori osservazioni trasmesse formalmente e redigerà la proposta di CNAI (Carta nazionale delle aree idonee), che viene nuovamente sottoposti ai pareri del Mise, del MATTM, dell'ente di controllo ISIN e del Ministero dei Trasporti. In base a questi pareri, il Ministero dello Sviluppo economico convalida la versione definitiva della CNAI, che è quindi il risultato dell'integrazione della CNAPI, dei contributi emersi e concordati nelle diverse fasi della consultazione pubblica.

Anche se il metodo è profondamente diverso da quello adottato a Scanzano Jonico - e lo voglio sottolineare -, a prevedere trasparenza e partecipazione in questa sede, occorre rilevare che i tempi, sia per le osservazioni, sia per il seminario e anche per le successive osservazioni al seminario - che ricordiamo sono stati stabiliti dal decreto legislativo n. 31 del 2010, cioè del Governo Berlusconi, quindi, del centrodestra, e nelle successive modifiche - appaiono troppo stretti vista la complessità della documentazione e degli studi da affrontare. Sebbene la tecnologia possa favorire il confronto anche in via telematica, rilevo comunque l'insufficienza per permettere agli enti locali di approfondire il tema in maniera adeguata.

Inoltre, un'altra criticità è destata dalla partecipazione alle osservazioni, che appare ridotta, relegandola nella fase di consultazione preliminare e soltanto ai soggetti con un legittimo interesse, oltre che agli enti locali e alle regioni e, nella fase post-seminario, soltanto agli enti locali - regioni e università - lasciando esclusi tutti gli altri.

Ravviso, inoltre, che il legislatore non ha pensato, nel 2010, al tempo, di informare il Parlamento sugli aggiornamenti della procedura e non ha previsto misure specifiche, oltre a quelle ordinarie, per verificare il puntuale rispetto delle prescrizioni che verranno impartite in sede di VIA, ad esempio con la realizzazione di un osservatorio.

Inoltre, è assente la previsione di possibili ricadute in ambito sanitario con una valutazione di impatto sanitario apposita. In ultimo, appare molto importante coinvolgere maggiormente le università e gli enti di ricerca pubblici, che sono tra i pochi soggetti che hanno le conoscenze e gli strumenti per poter effettuare un approfondimento che non lasci spazio ad alcun dubbio concreto sulla localizzazione finale del sito, dove verrà costruito il Deposito nazionale di rifiuti radioattivi.

Come MoVimento 5 Stelle ci impegneremo, attraverso il Parlamento sovrano, a migliorare l'attuale normativa, che ricordo risale, fin dai tempi del Governo di centrodestra, al 2010 e modificata successivamente con i Governi successivi. Di fronte a questo tema legato ai rifiuti radioattivi, auspico nella massima collaborazione da parte di tutte le forze politiche e senza alcuna distinzione e, soprattutto, in nessuna speculazione politica basata su false notizie, come purtroppo ne abbiamo sentite in questi giorni.

Il MoVimento 5 Stelle vuole migliorare la normativa esistente anche in questo settore e, per questo, presenteremo alcune nostre proposte con la mozione che oggi iniziamo a discutere (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare la deputata Braga. Ne ha facoltà.

CHIARA BRAGA (PD). Grazie, signor Presidente. Onorevoli colleghi, la discussione di questa mozione, presentata da vari gruppi politici, a cui seguirà anche una mozione del Partito Democratico e di maggioranza, ci consente di discutere, come abbiamo fatto in queste ore che abbiamo alle nostre spalle, di una questione molto rilevante, cioè quella della realizzazione del Deposito nazionale dei rifiuti radioattivi e del Parco tecnologico, che consentiranno appunto di dare sistemazione definitiva ai rifiuti radioattivi italiani.

La prima domanda a cui dobbiamo rispondere è perché si arriva a questa decisione. Io credo che sia doveroso sottolineare che questo passaggio rappresenta un passaggio di grande importanza, una scelta con cui si chiude definitivamente il passato del nucleare nel nostro Paese, conseguente ad alcune altre scelte, di cui i colleghi hanno ampiamente dato conto nei loro interventi e su cui non ritorno.

Ma, soprattutto, si dà una soluzione definitiva a una condizione che interessa diversi territori del nostro Paese, ancora oggi caratterizzati, interessati dalla presenza di situazioni precarie di deposito di rifiuti nucleari e, in qualche caso, anche potenzialmente pericolose.

Ho ascoltato con attenzione gli interventi dei colleghi che mi hanno preceduto, proverò a sottolineare solo alcuni aspetti, da un lato, per sottolineare alcune inesattezze che ho sentito e per precisare ulteriormente qual è il percorso che ci ha portato fin qui e quello che abbiamo davanti, ma anche per aggiungere qualche elemento di conoscenza che forse casualmente è sfuggito agli interventi di alcuni colleghi. La Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee è stata pubblicata dalla Sogin, l'ente preposto alla realizzazione del deposito del parco tecnologico, dopo il via libera, il nulla osta emanato il 30 dicembre scorso dal Ministero dello Sviluppo economico e dal Ministero dell'Ambiente. È una procedura che risale agli anni passati, come è stato correttamente detto; il decreto legislativo del 2010 che norma l'iter di localizzazione e anche tutti i passaggi per la costruzione e l'esercizio del deposito del parco scientifico sono espressione di un Governo di un altro segno politico, il Governo Berlusconi; nel 2014, il Governo Renzi ha recepito la direttiva comunitaria che prevede, appunto, che i rifiuti radioattivi siano smaltiti nel Paese in cui sono prodotti, con una serie di decreti legislativi che hanno dettagliato, a partire appunto dal 2014, l'iter che ha portato la Sogin, come dire, a elaborare la Carta, la Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee, sulla base di criteri tecnici definiti dall'ISPRA nelle linee guida, criteri che sono il frutto di un'elaborazione in qualche modo derivata anche dai requisiti indicati dalle linee guida dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica e che sono stati validati, nel corso di questi anni, dall'autorità per la sicurezza nucleare, oggi, appunto denominata Isin. Lo sottolineo perché in questi anni, dal 2010 a oggi, con i vari passaggi che hanno riguardato anche i Governi di questi ultimi anni, di centrosinistra, nessuno ha messo in discussione il percorso con cui arriviamo qui, probabilmente non poteva che essere così, siamo in recepimento di direttive comunitarie, e sono state anche dettagliate e definite le procedure specifiche che, oggi, portano alla pubblicazione della Carta, all'individuazione delle aree potenzialmente idonee e, poi, successivamente, ai passaggi per la localizzazione e la realizzazione di questo sito.

Voglio sottolineare un punto che non mi pare di avere colto anche negli interventi più polemici di alcuni colleghi, che riguarda le modalità con cui è stata data pubblicazione alla Carta. La CNAPI è soggetta ed è stata sottoposta a classifica di segretezza a livello riservato nel dicembre del 2014 sulla base della normativa di riferimento per un motivo molto preciso: questa apposizione, diciamo così, di vincolo è finalizzata a impedire che l'eventuale divulgazione non autorizzata di informazioni possa causare un danno alla sicurezza della Repubblica. Non c'è stata, voglio sottolinearlo, alcuna volontà, da parte di questo Governo, di non trasmettere informazioni dovute; appena è stato emanato il nulla osta, la Carta è stata pubblicata, ne è stata data corretta informazione sia sui siti digitali che anche con la pubblicazione sui quotidiani, come prevede appunto la normativa vigente e, anzi, voglio dire che la decisione del Governo è stata certamente dettata da una maturazione delle condizioni per potere procedere attraverso l'avvallo e la validazione avvenuta in via definitiva dall'Isin, ma anche dalla necessità di non sottoporre il nostro Paese ad una procedura di infrazione a causa delle mancate scelte dei Governi che abbiamo avuto fin qui, mancate scelte che hanno certamente rallentato la chiusura e la scrittura, appunto, della parola conclusiva della vicenda nucleare del nostro Paese. La procedura che è stata adottata dalla Sogin prevede, come già i colleghi hanno ricordato, l'applicazione di quindici criteri di esclusione che consentono di scartare le aree che non soddisfano determinati requisiti di sicurezza per la tutela dell'uomo e dell'ambiente e di tredici criteri di approfondimento che tengono invece conto delle caratteristiche fisiche, chimiche, naturalistiche e antropiche dei territori. Ho sentito, da parte di alcuni colleghi, alcune, diciamo così, dichiarazioni o insinuazioni sulla non validità di questi criteri; onestamente io non ho le conoscenze che probabilmente evidentemente altri colleghi hanno della materia, ma certamente ritengo che questi criteri di approfondimento e di esclusione, dal momento che fanno riferimento ad alcune caratteristiche, direi così, abbastanza stabili dei territori, come la presenza, ad esempio, di manifestazioni vulcaniche, l'esposizione al rischio geomorfologico e idraulico o, addirittura, la scelta di tutelare alcune di queste aree attraverso la realizzazione di parchi naturali e aree protette, i parametri chimici del terreno e delle acque di falda, certamente non sono criteri o elementi che possano subire delle modificazioni nel corso di un anno o qualche anno o essere oggetto di contestazione politica.

Sarebbe opportuno, in qualche modo, che anche la discussione che noi facciamo in quest'Aula rispetto a una scelta così impegnativa si fondasse sul riconoscimento della validità dei criteri scientifici e tecnici che le agenzie preposte, l'ISPRA, in maniera particolare, e l'Isin, hanno realizzato e messo in campo per arrivare appunto a questo passaggio. Come dicevamo, la CNAPI è una Carta che identifica le aree potenzialmente idonee e se l'italiano ha un senso, e io credo di sì, questa parola, questa sottolineatura “potenzialmente”, rimanda esattamente all'iter successivo che ne dovrà seguire e che è stato previsto e disciplinato proprio dalla normativa vigente. Sappiamo che la pubblicazione è un primo atto preliminare, che apre una procedura di consultazione pubblica, nei primi sessanta giorni, durante la quale tutti i soggetti portatori di interessi qualificati - e qui stiamo parlando di cittadini, imprese, associazioni, istituzioni locali - potranno rappresentare le loro osservazioni e proposte tecniche. Nei centoventi giorni successivi alla pubblicazione della Carta verrà avviato, Sogin avrà il compito di promuoverlo, il seminario nazionale a cui sono invitati a partecipare tutti i portatori d'interesse qualificati, ancora una volta stabiliti per legge, non solo gli enti locali, ma anche le rappresentanze degli interessi economici, le rappresentanze sindacali, le università, gli enti di ricerca espressione del territorio, che potranno appunto approfondire, in questo seminario, gli aspetti tecnici relativi al deposito nazionale e al parco tecnologico, la rispondenza delle aree potenzialmente identificate, oggi, sappiamo che sono sessantasette in sette regioni, e anche una serie di aspetti che sono connessi alla sicurezza dei lavoratori, della popolazione e dell'ambiente e le potenzialità di sviluppo del territorio. Nei trenta giorni successivi al seminario, Sogin e il Ministero dello Sviluppo economico dovranno raccogliere le eventuali ulteriori osservazioni e, successivamente, nei sessanta giorni ulteriori, appunto, redigere la Carta nazionale delle aree idonee. Questa Carta non prevedrà ancora una scelta definitiva, ma certamente andrà a identificare e a escludere alcune delle aree potenzialmente previste, rispetto alla quale le regioni e gli enti locali potranno esprimere manifestazioni di interesse, volontarie e non vincolanti, per procedere con l'iter di localizzazione.

È bene ricordare che la procedura vigente prevede che anche qualora ci fossero manifestazioni di interesse queste possano essere riviste dai promotori e, in caso di assenza, nessuna decisione verrà imposta sul territorio, ma è previsto un iter molto articolato e garantito di confronti, di trattative territoriali e di trattative tra i vari livelli istituzionali per giungere a una soluzione condivisa.

Signor Presidente, ho speso alcuni minuti del mio intervento per descrivere in maniera un po' più lineare e puntuale l'iter che porterà all'individuazione di questo sito per un motivo: non è così scontato e non è la norma, non è la prassi che nel nostro Paese la realizzazione delle opere pubbliche, specie quando hanno una rilevanza di questa natura, avvenga attraverso una procedura di questo tipo, una procedura trasparente, aperta, di vero e proprio dibattito pubblico, che rappresenta, io credo, anche una sfida impegnativa e appassionante per il nostro Paese. Mi hanno stupito alcune sottolineature, alcune critiche ingenerose rispetto a questa procedura, non solo perché non raccolgono quale è lo stato dell'arte, ma anche perché vengono da alcuni esponenti politici che, nel passato o anche nel recente passato, hanno, in qualche modo, auspicato la rapida realizzazione delle opere, anche sacrificando i passaggi di condivisione e di concertazione territoriale. Questo, invece, è un elemento qualificante e decisivo, che permetterà di arrivare, come è successo in molti altri Paesi europei, addirittura, probabilmente, alla competizione tra territori per poter attrarre un investimento che ha anche una serie di benefici non indifferenti, se pensiamo che, soprattutto, la realizzazione del parco tecnologico porterà l'opportunità di sviluppo territoriale e di interventi di promozione e anche occupazionali. Questo, ovviamente, è un elemento da non sottovalutare.

La realizzazione di questo progetto, di questo deposito credo che risponda in maniera molto precisa anche a un interesse nazionale, lo dico sulla base anche di alcune conoscenze che personalmente, ma anche altri colleghi hanno acquisito in questi anni, anche di lavoro parlamentare. È capitato, ad esempio, alla Commissione parlamentare d'inchiesta sulle ecomafie di incrociare, durante la propria attività, delle situazioni che definirei, almeno, precarie rispetto alla presenza di depositi di rifiuti radioattivi, che sono rifiuti che derivano da un passato del nostro Paese, ma anche da un'attività che, dobbiamo dircelo, continua ad esserci ed è giusto così che ci sia, soprattutto, nel campo della medicina nucleare, dell'industria, della ricerca applicata, appunto, a queste destinazioni e che, in alcune aree - penso al deposito a Statte, al deposito Cemerad -, rappresentano un problema per il territorio.

Il deposito consente di creare un'area sicura, tecnologicamente avanzata per dare sistemazione definitiva a un quantitativo preesistente, ma anche prossimo, di prossima realizzazione, di rifiuti radioattivi a bassa e media attività e di stoccare temporaneamente rifiuti ad alta attività, che, poi, saranno collocati definitivamente in un deposito geologicamente sicuro, la cui realizzazione, probabilmente, come è giusto che sia, avverrà a livello europeo. Questa è la discussione che è in corso e a cui il nostro Paese, attraverso i Ministeri competenti, sta partecipando. Credo che sia una soluzione di grande responsabilità nei confronti dei territori che oggi vivono delle situazioni non di totale sicurezza o razionalità nella gestione di questi rifiuti. È anche un'opportunità di chiudere e dare una soluzione definitiva, che ci fa acquisire anche, certamente, una maggiore credibilità a livello europeo. Non dimentichiamoci che, oltre al fatto di essere stati sottoposti ad un rischio di procedura di infrazione, oggi dipendiamo ancora da altri Paesi europei, che ospitano, ovviamente, non a titolo gratuito, ma dietro un pagamento significativo di costi di stoccaggio a carico della fiscalità generale, una parte dei nostri rifiuti nucleari. Ho provato molto sinteticamente, signor Presidente, e concludo, a sottolineare alcuni aspetti che io e il nostro gruppo riteniamo fondamentali nel sostenere convintamente la scelta del Governo. Crediamo che sia stata una doverosa assunzione di responsabilità nei confronti del Paese e anche una applicazione reale di quell'approccio di Governo che credo ci debba caratterizzare. Non si nascondono e non si risolvono i problemi non affrontandoli, li si risolvono provando ad accompagnare i processi, che sono anche complessi. Per questo motivo, credo che anche dalla discussione di oggi, comunque, emergano degli elementi importanti: ad esempio, la possibilità di presentare, come noi faremo, un emendamento al “decreto Milleproroghe” per prevedere un allungamento dei termini per le osservazioni e anche di accompagnare i prossimi passaggi per la realizzazione di questo importante investimento (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Giglio Vigna. Ne ha facoltà.

ALESSANDRO GIGLIO VIGNA (LEGA). Grazie, Presidente. Grazie, Governo, grazie onorevoli colleghi, la Sogin Spa, tenendo conto dei criteri previsti nella giunta tecnica n. 29 dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), lavorati sulla base degli standard dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica (AIEA), ha definito la proposta di Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee a ospitare il Deposito nazionale e il parco tecnologico. La proposta è stata valutata dall'ISIN, l'Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e, successivamente, dai Ministeri dello Sviluppo economico e dell'Ambiente. Io direi che parto da questo punto, perché nella discussione odierna, nella discussione di oggi pomeriggio su questo importantissimo tema è stato sottolineato da alcuni colleghi della maggioranza come, poi, in fondo, questa decisione sia una decisione di tipo politico, come la decisione dell'allocazione del Deposito sarà una decisione di tipo tecnico e non una decisione di tipo politico. Ecco, noi iniziamo questo intervento, io inizio questo intervento, dicendo: no, la decisione è assolutamente politica, ogni decisione che viene presa è una decisione di tipo politico. Dividerò il mio intervento in diversi punti. Iniziamo dal momento: siamo nel mezzo di una pandemia. Essere nel mezzo di una pandemia vuol dire, di sicuro - come gli è scritto e come ha scritto il mio collega, l'illustre collega Riccardo Molinari nella mozione che porta la sua prima firma e, poi, la firma di tanti parlamentari della Lega -, tensioni sociali, vuol dire tensioni economiche, vuol dire un momento sbagliato per decidere o anche solo per aprire il dibattito. Ora, io faccio un passaggio in più. Sì, è vero, un momento sbagliato per le tensioni sociali, di sicuro un momento sbagliato per le tensioni di tipo economico - diversi colleghi hanno parlato dell'insicurezza che può creare un dibattito di questo tipo sui territori, insicurezza anche economica che poi, dopo, andremo ad affrontare -, ma di sicuro c'è un altro elemento, un elemento che, in realtà, dovrebbe essere caro a chi fa politica, a chi si occupa della cosa pubblica ed è l'elemento primario, l'elemento principale del dibattito. Perché noi oggi, grazie alla mozione Molinari, che è la prima che è stata depositata e, poi, a tutte, ovviamente, le altre mozioni che si sono aggiunte, di maggioranza e di opposizione, stiamo discutendo di questo tema nelle sedi istituzionali. Vedete, io sono un deputato piemontese, una delle regioni con un alto numero di aree selezionate in questo elenco e questa discussione sta avvenendo a tutti i livelli istituzionali. Siamo qui, ne parliamo oggi, nell'Aula alla Camera dei deputati, domani vi sarà il consiglio regionale di Regione Piemonte, per esempio, per quel che riguarda la mia realtà - un consiglio regionale di sicuro aperto -, di sicuro ne stanno parlando i sindaci, ne stanno parlando le amministrazioni, ma manca un passaggio, manca un tassello, ovvero il dibattito fra i cittadini, perché, in questa fase, è impossibile aprire il dibattito in modo vero, in modo costruttivo, in modo fisico, quindi uscendo da quella che è la logica dei social network, delle riunioni sulle varie piattaforme che abbiamo imparato a conoscere in quest'anno di pandemia. I cittadini non possono confrontarsi in modo reale, in modo fisico, nelle comunità, nei loro auditorium; i sindaci non possono convocare o invitare le popolazioni, le associazioni. Anche noi, ovviamente, rappresentanti del territorio, abbiamo delle limitazioni nell'andare a parlare con i sindaci, gli amministratori, i cittadini e le associazioni.

Quindi, è sbagliato, sbagliato aprire il dibattito in questa fase, sbagliato perché il dibattito in questa fase su un tema del genere non può essere trattato su Internet, non può essere trattato se non con un contatto reale fra quelli che sono i vari attori del territorio, i vari attori dei territori. E in questo momento non si può fare e quindi è sbagliato.

E poi è sbagliato anche perché non sono state - con la scusa della secretazione, poi della desecretazione - non sono state coinvolte le Regioni. Però le Regioni vanno coinvolte prima - mi rivolgo al Governo attraverso la Presidenza dell'Aula, come è consuetudine e come si fa in questa alta sede istituzionale -: le Regioni vanno coinvolte prima, gli enti locali vanno coinvolti prima. Non si può, nella notte fra il 5 e 6 gennaio, buttare sulla rete, seppur su siti istituzionali, buttare un elenco di possibili siti e poi, dopo, quando, nonostante la pandemia, nonostante l'impossibilità di incontrarsi, nonostante l'impossibilità di fare rete fisica, vi è una rivolta da parte dei territori, quando il Governo capisce di essere stato poi messo nell'angolo dai vari territori - da chi più o meno alza delle tesi, chi di tipo fisico, del terreno, chi di tipo geofisico, per quel che riguarda l'aspetto appunto dei terremoti, l'aspetto sismico, chi per l'aspetto dell'insularità, chi solleva anche dubbi di tipo economico, perché ci sono pure quelli, ovviamente - e quindi il Governo non può, il Ministro Costa non può, dopo, quando capisce di essere all'angolo, non può dopo dire: “Beh sì, però adesso è ora di aprire il dibattito”. Eh no, il dibattito non va aperto dopo, il dibattito va aperto prima. Ecco, noi non ci stiamo - questo è un primo punto, che io voglio sottolineare in modo fermo e in modo serrato -, noi non ci stiamo al fatto che le Regioni e gli enti locali vengano scavalcati in questo modo. Noi non ci stiamo. Questa è una sede, la discussione generale, dove si devono condividere le idee, dove bisogna discutere se vogliamo in modo forse più pacato della dichiarazione di voto, quindi non voglio ovviamente qui, in questa sede, alzare i toni, però questo Governo ha dimostrato con questa decisione, con questa pubblicazione - permettetemi - un rigurgito di centralismo come non se ne avevano in questo Paese da perlomeno settant'anni. È un qualche cosa di intollerabile per chi, come noi, per chi, come il gruppo della Lega, crede nei valori dell'autonomia e nei valori dell'autogoverno dei territori. Quindi sbagliato, perché le Regioni sono state calpestate, perché i comuni sono stati calpestati.

E poi vi è ovviamente tutta una parte su quella che è l'inopportunità di alcune tesi perché, scorrendo i vari siti, la carta comprende 67 aree, con priorità differenti, dislocate nelle varie Regioni italiane: 8 zone sono in Toscana, 24 zone sono nel Lazio, Basilicata, poi vi è la Puglia, vi è la Sardegna con 14 aree, vi è la Sicilia con 4 aree, vi è, come dicevo, la mia Regione, con ben 7 aree, di cui 2 in provincia di Torino e 5 in provincia di Alessandria, poi vi è il Lazio, ovviamente, che è già stato citato prima dal collega Durigon, con 5 possibili siti in provincia di Viterbo. Ecco, diverse di queste aree sono collocate in territori che incredibilmente stonano con questo discorso e noi non possiamo fare a meno di sottolinearlo, perché non si può parlare di deposito nucleare in alcuni territori italiani con una certa propensione economica, con una certa propensione verso tutta una serie di economie. Quindi, vi sono dei territori che risultano palesemente inadeguati. Territori che risultano inadeguati perché sono densamente popolati, territori che risultano palesemente inadeguati perché sono limitrofi appunto ad attività economiche, territori che sono di tipo agricolo, territori di tipo enogastronomico, territori considerati di assoluto pregio a livello nazionale e territori che sono fiori all'occhiello del nostro patrimonio nazionale, territori che si sono impegnati per creare un'economia di questo tipo.

La mozione Molinari è molto pragmatica, la mozione Molinari chiede che, in particolare, alcuni territori vengano esclusi e, senza fare nomi e cognomi di quei territori, si cercano e si trovano quelli che possono essere dei motivi di esclusione. E quindi abbiamo pensato a territori considerati di pregio, a livello nazionale e internazionale, abbiamo pensato all'economia basata sul vino o, in generale, sull'agricoltura. Avete inserito, in particolare, dei territori di siti UNESCO, come le Langhe, nel Monferrato e nel Roero; avete inserito dei territori che nel tempo sono riusciti a creare, negli ultimi quarant'anni, un'economia che si basa su un turismo più slow. Ecco, veniamo alle tesi di tipo economico: già parlare di rifiuti - questo è quello che è il governo, Presidente, questo è quello che ci arriva dai sindaci del territorio e da imprenditori del territorio, dai cittadini del territorio -, già parlare di deposito nucleare, in certe zone del Paese, crea un danno di tipo economico. Io non sto dicendo che realizzare il deposito nucleare su quei territori crea un danno di tipo economico; io sto dicendo che questa fase, io sto dicendo che la pubblicazione di quell'elenco, io sto dicendo che ahimè il dibattito stesso - ma purtroppo dobbiamo farlo per evitare che certi territori vengano coinvolti -, io sto dicendo che questa stessa fase sta creando problemi di questo tipo, perché poi le notizie ovviamente si rincorrono, perché poi il cittadino medio, l'investitore medio o chi guarda ad un territorio con un certo interesse di investimento, chiaramente non può analizzare la questione come la stiamo analizzando noi.

Guardate, io prendo l'elenco della Regione Piemonte, quella che gli enti competenti chiamano l'area Torino 10 e l'area di Caluso, di Mazzè e di Rondissone; viene prodotto un vino chiamato “Terra dell'Erbaluce di Caluso”, e ovviamente non solo. C'è la famosa area agricola di Carmagnola, dove una settimana fa circa 250, pur con le restrizioni di questo momento, 250 agricoltori, senza scendere dai loro trattori, quindi senza fare assembramento, hanno protestato contro l'idea del sito in quel territorio. Poi c'è tutta la zona del Monferrato, c'è Alessandria, c'è Castelletto Monferrato, c'è Quargnento, c'è Fubine, c'è Oviglio, c'è Frugarolo, c'è Novi Ligure, c'è Sezzadio, territori piemontesi che nel tempo, negli ultimi quarant'anni, hanno creato una economia su quello che è il turismo slow.

Quindi vedete come già solo parlare di questa questione crea dei problemi su questi territori, crea dei problemi e crea inevitabilmente dei danni. E noi non riusciamo a capire la ratio, non riusciamo a capire come mai il Governo abbia voluto, in questa fase, decidere di pubblicare questo elenco così, dal giorno alla notte, durante quelle che propriamente sono definite le vacanze ancora di inizio anno, le vacanze natalizie, e durante un momento di pandemia. Guardate, qui con me ho un documento che ho voluto portare in quest'Aula oggi e mi sembra importante parlarne: questa è la delibera dell'assemblea consiliare congiunta dei comuni di Caluso, di Mazzè e di Rondissone.

Vi è scritto più o meno quello che vi ho espresso in questa mia disamina dell'argomento, e quindi si parla del perché; per esempio, porto questo territorio perché lo conosco particolarmente, ma allo stesso modo potrei parlare del territorio del Monferrato, forse addirittura più famoso di questo territorio. Qui vi è tutto un elenco di ragioni del perché no su quel territorio: e allora si parla di un sito di interesse comunitario, non vi cito il nome del sito; si parla di un'area dell'80 per cento ricompresa nel sito UNESCO Collina del Po. Mi rivolgo ai rappresentanti del Governo: sapete l'impegno che ci mette un territorio, delle amministrazioni, le associazioni e gli imprenditori a far sì che il proprio pezzo di mondo - permettetemi queste due parole, forse un po' troppo evocative -, faccia parte dei territori UNESCO? Lo sapete l'impegno, gli anni che ci vogliono da parte delle istituzioni locali per dialogare con UNESCO Italia, che dà una mano, ovviamente, ai territori, ma soprattutto per dialogare con UNESCO centrale, a Parigi? Su quel territorio - continuo a leggere la delibera di questi tre comuni del mio pezzo di mondo, del mio Canavese - è presente l'enoteca regionale dei vini della provincia di Torino, nata nel 2005. Caluso, in particolare, è la capitale dell'Erbaluce, una delle prime DOC italiane, dal 1967.

I comuni di Caluso e Mazzè detengono il marchio DOC Carema e Canavese; poi c'è un altro DOCG che si chiama di nuovo Erbaluce di Caluso. E quindi poi la delibera continua a parlare di aziende vitivinicole; poi c'è la Nocciola IGP del Piemonte, quel pezzo di mondo fa parte di questo consorzio. E poi c'è ovviamente il tema delle distanze, che è già stato citato da qualche collega in precedenza: la distanza deve essere di un chilometro dai centri abitati. Questo chilometro non riusciamo a capire come sia uscito da questi calcoli, perché, fossero due, tre, quattro o cinque chilometri, molti di questi siti non sarebbero neanche ricompresi. Quindi, stiamo parlando di una ricaduta di immagine: vi ho fatto l'esempio del mio territorio, ma posso parlare di altri territori, posso parlare dei territori della Toscana, posso parlare di sicuro, come ho detto, dei territori del Monferrato. Un danno di immagine fortissimo già oggi, già adesso, già in questo momento. Ma, visto che da parte dei colleghi della maggioranza vi sono stati molti spunti e molti interventi - “sì, va fatto, ma non nel mio giardino” - io voglio portare, però, anche la voce, oggi, di quei territori, di quei comuni, che, invece, vorrebbero farlo, perché in Italia, e in particolare di nuovo nel mio Piemonte, vi sono dei comuni e vi sono dei territori che hanno chiesto di essere inseriti dentro l'elenco governativo, ma che, per una ragione o per l'altra, non sono stati inseriti, per ragioni di sicuro tecniche. Questi territori, però, chiedono, come minimo, l'apertura di un tavolo con il Governo, perché con molta probabilità queste ragioni tecniche si possono superare. Si possono superare come? Molto semplicemente con dei miglioramenti tecnici. E quindi c'è un'Italia che il deposito lo vuole e, in particolare, io sono, come dicevo un deputato piemontese, c'è un Piemonte che questo deposito lo vuole. Stiamo parlando dei due comuni di Trino e di Saluggia, che sono in provincia di Vercelli, perché nessuno nega che possa esistere in altri territori, non con le caratteristiche dei territori descritti prima, in altri territori, possa nascere una economia sul nucleare. Quindi, vedete, il Piemonte non dice “non nel mio giardino”, al massimo potremmo dire “magari non sempre nel nostro giardino”, ma c'è una parte della mia regione e dei territori della mia regione che, invece, questo deposito lo vorrebbero. Però, certo che, quando parliamo di questi comuni, c'è la necessità di fare delle migliorie di tipo tecnico, dei miglioramenti, delle implementazioni, delle modernizzazioni, perché i depositi che sono presenti in quei comuni, molto semplicemente, sono stati inseriti in quei comuni, in quei territori, in un periodo oramai in là nel tempo.

E quindi, noi lo sappiamo che esiste un indotto del nucleare, si parla appunto del Parco, sindaci parlano di Accademia del nucleare, altri parlano di opere accessorie, opere accessorie ovviamente importantissime per implementare il livello di sicurezza delle popolazioni. Trino è un territorio che, per quel che riguarda l'acquedotto, è l'inizio del grande acquedotto del Monferrato e, inevitabilmente, se le popolazioni vedessero una implementazione, una modernizzazione, un miglioramento dei depositi già esistenti, sarebbero soddisfatte. Saluggia, stesso discorso: miglioramento, implementazione, modernizzazioni, opere accessorie, parliamo dell'argine torinese del fiume Dora Baltea. Quindi, vedete, non è vero che nessuno le vuole, semplicemente l'appello che facciamo al Governo è quello di, forse, forse, ascoltare un po' più i territori, forse ascoltare tutto quel tema regione, tutti quei temi che possono e che devono arrivare dal confronto con gli enti locali.

E poi c'è tutto il discorso, ovviamente, delle isole. A me preme fare un passaggio sulla Sicilia, ma, in particolare, se vogliamo, sulla Sardegna. È bizzarro l'inserimento di siti sardi, perché la Sardegna è distante dal continente, perché la Sardegna ha problemi di trasporto, perché c'è il mare di mezzo, perché la Sardegna, all'unisono di altre realtà, ha un problema anche di immagine, perché è una delle regioni d'Italia con la vocazione turistica maggiore. Quindi, esiste un problema logistico, non solo il trasporto per arrivarci, è un problema logistico interno, all'interno della Sardegna.

Ora, io lo so che questo Governo sulle espressioni popolari non ci sente molto, e mi riferisco ai vari referendum che vengono tenuti di tanto in tanto nelle varie regioni. I referendum sono la volontà del popolo: quando una regione si esprime, quando un ente regione tiene un referendum chiede ai suoi cittadini di esprimersi; non è che un referendum regionale ha meno valore di un referendum statale. In Sardegna, in particolare, c'è stato un referendum che ha chiesto di non portare il deposito sull'isola. Se una popolazione oggettivamente si esprime, se un ente si esprime, non solo attraverso il suo consiglio regionale, i sindaci e le amministrazioni ma anche con un referendum, se poi quella regione ha una caratteristica particolare di insularità e un tema di lontananza come quello della Sardegna, è chiaro che serve anche, forse, l'appello del Presidente emerito Cossiga. Il popolo lì si è espresso, mentre dalle altre parti c'è dibattito, lì il popolo si è espresso.

Allora, noi, per andare alla conclusione di questa mia lunga disamina dell'argomento, che cosa chiediamo? Noi chiediamo che vi sia veramente il coinvolgimento di regioni, territori, enti locali, sindaci, cittadini e di tutte quelle forze sociali che sono la parte integrante del dibattito e che compongono, con noi che siamo rappresentanti delle istituzioni, un tessuto istituzionale e sociale che è quel tessuto del dibattito del Paese; perché senza quel tessuto del dibattito del Paese queste decisioni non possono essere prese, altrimenti sono calate dall'alto; altrimenti poi non vi lamentate se vi diamo dei centralisti, se vi diamo degli statalisti e se diciamo che calpestate i diritti degli enti locali, i diritti delle regioni.

Allora, a questo punto, torniamo, per concludere, alla mozione firmata dal collega, dal mio presidente di gruppo, Riccardo Molinari, presidente di gruppo della Lega qui a Montecitorio; torniamo alla mozione e andiamo a vedere che cosa chiede questa mozione. La mozione chiede che si aspetti: si aspetti cosa? Molto semplicemente, che si aspetti la fine di questa emergenza pandemica. Questa è la condizione sine qua non, è la sine qua non per riaprire il dibattito: aspettare la fine della pandemia, aspettare la fine perlomeno dello stato di emergenza; non diciamo la fine della pandemia, che verrà decretata, si spera, il più presto possibile dall'Organizzazione mondiale della sanità, ma perlomeno la fine dello stato di emergenza. Questa è la sine qua non: la fine dello stato di emergenza.

Allora, la mozione Molinari ed altri n. 1-00414 (Nuova formulazione) chiede che questi territori, di cui abbiamo parlato prima, vengano espunti dalla lista, che venga riaperto un dibattito con quei territori che invece vogliono essere in lista, che vogliono far parte dell'economia e dell'indotto economico del nucleare, ma soprattutto la mozione Molinari ed altri n. 1-00414 (Nuova formulazione)

PRESIDENTE. La invito a concludere.

ALESSANDRO GIGLIO VIGNA (LEGA). Vado a concludere, Presidente. La mozione Molinari ed altri n. 1-00414 (Nuova formulazione) chiede che questa discussione venga posticipata a dopo la pandemia. Noi abbiamo trovato come punto di caduta, come elemento tecnico conclusivo e come punto di caduta 180 giorni dopo la fine dello stato di emergenza. Quello sarà il momento per aprire un vero dibattito a livello nazionale, con regioni, enti locali, sindaci, associazioni, cittadini (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.

(Intervento del Governo)

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mare, Roberto Morassut.

ROBERTO MORASSUT, Sottosegretario di Stato per l'Ambiente e la tutela del territorio e del mare. Grazie, Presidente, pochi minuti. Penso sia doveroso da parte del Governo fornire in Aula direttamente alcune spiegazioni e informazioni, anche se il dibattito è stato talmente ampio e approfondito che penso abbia fatto emergere con sufficiente chiarezza tutti gli elementi della discussione in campo. Anzi, ringrazio i colleghi che hanno partecipato al dibattito perché questa è una di quelle questioni dove presumibilmente si dovrebbe lavorare, si dovrebbe discutere un po' cercando di rifuggire dalla tentazione facile, soprattutto su un argomento come questo, di usare quella quota di strumentalità politica, che peraltro è anche fisiologica e nessuno la nega nel dibattito politico, e c'è anche questo. Tuttavia, poiché si parla di una questione veramente di grandissima importanza per le popolazioni e per il Paese, bisognerebbe sempre cercare di stare al merito delle discussioni e degli elementi reali. Ora, qui, in alcuni interventi sono stati richiamati efficacemente molti aspetti. Quello che voglio dire io qui, a nome del Governo, è questo: intanto questa decisione arriva dopo sei anni e non è stata un colpo di fulmine; diciamo che non è stata una cosa inaspettata. Qui è stata ampiamente ricostruita tutta la procedura, che è una procedura che si è sviluppata da quasi sei anni, da circa sei anni, attraverso poi l'azione e le decisioni che sono state promosse da Governi di diverso segno politico. Mi stupisce sentire dei colleghi che appartengono a schieramenti e a forze politiche che hanno fatto parte di Governi che hanno iniziato questo percorso, che lo hanno proceduralizzato, proprio ed esattamente nelle forme con le quali adesso si rende pubblico, e, soprattutto, di Governi che, magari, ancora prima del 2010, sul tema del deposito delle scorie radioattive hanno operato assolutamente senza nessun coinvolgimento delle popolazioni, avendo operato attraverso procedure di decretazione diretta, sollevando - in quel caso sì - manifestazioni e allarme che hanno scosso intere regioni.

Ora, qui si è soltanto applicata una procedura consolidata e molto chiara. Non è che non c'è stato un coinvolgimento: il coinvolgimento c'è adesso. È adesso che finalmente i comuni, le popolazioni, le regioni possono prendere consapevolezza delle carte e dei documenti, studiarli, approfondirli, discuterli con i cittadini e presentare le loro osservazioni, le loro integrazioni, le loro richieste di modifica, le loro proteste. Noi abbiamo desecretato qualche cosa che era chiuso in cassaforte, che non poteva essere reso pubblico - la procedura l'avete chiara, cari colleghi che avete contestato questo punto - perché altrimenti ricadiamo nel comma 22, dicendoci “non avete coinvolto”. No! Stiamo coinvolgendo adesso, cosa che non era possibile fare prima, perché, a meno che non ci si inviti a commettere un reato, noi non potevamo dire tutto ciò prima, ovvero il coinvolgimento delle popolazioni su un documento secretato. Io penso che chi ha particolarmente a cuore gli aspetti della sicurezza, che tanto parla di sicurezza, dovrebbe almeno conoscere questo aspetto, questo elemento essenziale della discussione.

Poi, voglio dire una cosa. Questo allarme: è vero che nei primi giorni c'è stato nel sito di Sogin un grande afflusso di contatti, per capire, ed è naturale perché parliamo di una materia sensibile. Tuttavia, se già adesso - prego anche di verificarlo direttamente con Sogin - si va a vedere l'evolversi della situazione nei prossimi giorni, si vede chiaramente che l'approccio della popolazione, delle persone, delle istituzioni, dei portatori d'interessi, sta diventando sempre più concreto; si sta abbassando un po' la polvere dell'allarme perché cominciano a essere chiari i profili della questione e si cerca di capire meglio, anche con un abbassamento della quantità del numero dei contatti. Ciò vuol dire che se noi conduciamo questa discussione nel merito, fuori da ogni allarme e da ogni agitazione, siamo in grado di far emergere i veri problemi. I veri problemi quali sono? Intanto, che il Paese, dal 1987, da quando noi siamo andati in decommissioning per le centrali nucleari, ha un problema di gestione di questi depositi, che sono collocati in aree non idonee: sono sicuri, ma sono collocati in aree non idonee. Soprattutto, si ha il problema di gestire non solo il passato ma di gestire il futuro, perché parliamo del deposito dei materiali radioattivi, dei rifiuti radioattivi che derivano dalle lavorazioni medico-ospedaliero. Qui si è richiamata la pandemia.

Per quanto riguarda il settore sanitario, sappiamo che viene prodotta una quantità di materiali radioattivi che vanno depositati in situazioni sicure, cosa che gli altri Paesi europei hanno fatto e che non abbiamo fatto noi, e da sei anni giriamo intorno a questo problema.

Quindi, noi ci siamo come Governo e abbiamo deciso di fare un'operazione di trasparenza per coinvolgere i cittadini ed evitare di continuare a spendere i soldi senza mai decidere e di subire anche procedure di infrazione da parte dell'Unione europea. Se vogliamo, possiamo anche ricordare quali sono i dati dell'esposizione finanziaria del nostro Paese, dei Governi, dello Stato italiano, nei confronti di quei Paesi, ai quali abbiamo rilasciato i depositi ad alta intensità, per processarli, e che devono tornare in Italia e che, nel frattempo, noi stiamo pagando per evitare che ci rientrino dentro casa. Quant'è la massa di risorse che noi stiamo perdendo per non prendere una decisione? Perché si fatica, si rimanda, non si ha il coraggio di decidere, si fanno le procedure, si fanno i decreti, ma poi, al momento di decidere, di metterci la faccia e il cuore nelle decisioni, si allontanano i problemi. Siamo in grado tutti insieme - questa è la domanda - di prendere questa decisione in una discussione libera, Governo e Parlamento, senza steccati politici, senza agitazioni? Poi ognuno dirà la sua.

È chiaro che l'Italia è tutta bella. L'Italia è tutta straordinariamente bella. Io non trovo una regione dove ci sia un luogo desolato. In ogni regione c'è una particolarità archeologica, una particolarità paesaggistica, una coltivazione speciale. Siamo questo Paese qui, siamo la penisola più importante dal punto di vista del capitale naturale e della ricchezza delle specie viventi, sia animali che vegetali. È chiaro che le decisioni sono più faticose, ma noi partiamo da una selezione di situazioni, che è stata scientificamente tarata da organismi internazionali e, poi, mediata dal lavoro di ISPRA nel 2014. L'AIEA ha dato i criteri, l'ISPRA li ha applicati e adesso, da questi 67 possibili siti, potenziali siti, in una procedura scadenzata molto attenta e molto articolata, si dovrà arrivare ad una decisione, che magari sarà una decisione che nasce da una candidatura di qualcuno, che ha interesse ad ospitare questa infrastruttura così importante, che comporta anche un investimento e anche, se vogliamo, dei vantaggi per la comunità che la ospiterà. Infatti, saranno convogliati lì, per esempio, le risorse che oggi vengono date ai comuni per le compensazioni. I comuni che ospitano i depositi temporanei vengono oggi compensati attraverso un decreto. Tra l'altro, si parla di coinvolgimento dei comuni e voglio ricordare che noi abbiamo sbloccato due annualità di compensazioni ai comuni, che erano ferme, e stiamo finalmente chiudendo il contenzioso con i comuni che reclamavano giustamente di essere ristorati di queste risorse. Stiamo chiudendo anche con le comunità locali questo problema.

Non solo. Abbiamo chiesto alla Francia di far partecipare le nostre popolazioni alla decisione, che stanno prendendo in Francia, di prolungare l'attività delle centrali di più di quarant'anni. Sulla base delle convenzioni di Espoo, che prevedono la partecipazione transfrontaliera, abbiamo richiamato la Francia alla necessità di far partecipare anche le popolazioni italiane, perché crediamo che questo sia un tema dove la partecipazione non può essere messa tra parentesi, ma va esercitata.

L'ultima cosa che voglio dire è questa: cerchiamo di sviluppare questa discussione e di darci tempi giusti. Quindi, il Governo ha già dichiarato, noi abbiamo già dichiarato, fin dall'inizio, di essere disponibili ad allungare una procedura, che è stata fissata da un decreto e, quindi, per essere modificata ha bisogno di un passaggio parlamentare. Il Parlamento deciderà qual è lo strumento migliore. Ci sono degli emendamenti previsti anche nel “Milleproroghe” e ci sono possibilità anche con questa risoluzione di indicare delle strade. Il Governo è disponibile a allungare i tempi, a prendere tempi più estesi, però alla condizione che questi tempi non diventino ancora una volta la scusa per non decidere, per buttare i problemi da una parte e non affrontare una questione, che deve servire a liberare otto regioni dalla presenza di depositi temporanei in luoghi sbagliati e concentrarli, invece, in un unico posto, che abbia scientificamente delle caratteristiche, selezionate sul piano tecnico, indiscutibili sul piano scientifico.

Per quanto riguarda le autocandidature che ci sono state: benissimo se ci sono e, se ce ne saranno altre, le discuteremo. Ma, attenzione, però, perché non è che questa è una discussione che si fa sulla scelta politica di chi vuole o chi non vuole. I luoghi che qui sono stati richiamati, sono luoghi a fortissimo rischio idrogeologico e, forse, probabilmente per questo non si trovano in quella lista. E' una discussione in cui la politica e la tecnica devono andare insieme e devono saper camminare insieme per il migliore esito ai fini degli interessi dei cittadini. Io mi auguro e ci auguriamo che questa discussione si possa fare in questo modo, in maniera molto aperta, ma senza cedere alla tentazione di usare la facile leva della propaganda per una decisione importante che il Paese attende e che è uno degli ultimi nell'Unione europea a dover assumere (Applausi).

PRESIDENTE. Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.

Discussione del disegno di legge: Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra la Repubblica italiana e la Repubblica ellenica sulla delimitazione delle rispettive zone marittime, fatto ad Atene il 9 giugno 2020 (A.C. 2786).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge n. 2786: Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra la Repubblica italiana e la Repubblica ellenica sulla delimitazione delle rispettive zone marittime, fatto ad Atene il 9 giugno 2020.

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta del 22 gennaio 2021 (Vedi l'allegato A della seduta del 22 gennaio 2021).

(Discussione sulle linee generali – A.C. 2786)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Avverto che la III Commissione (Affari esteri) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire la relatrice, deputata Iolanda Di Stasio.

IOLANDA DI STASIO, Relatrice. Presidente, rappresentante del Governo, colleghi, l'Accordo del 9 giugno scorso sulla delimitazione delle zone marittime tra l'Italia e la Repubblica ellenica si ricollega a un'intesa bilaterale ancora vigente in materia di delimitazione dei rispettivi spazi marittimi, risalente al 1977 e resa esecutiva dall'Italia con la legge n. 290 del 1980, con la quale i due Stati hanno delimitato la piattaforma continentale nel Mar Ionio. Nessuno dei due Stati ha finora proclamato aree di giurisdizione funzionale (zona di pesca riservata, zona di protezione ecologica o zona economica esclusiva) sulla colonna d'acqua nel Mar Ionio. Il contenuto globale del presente Accordo chiude, pertanto, ogni aspetto attinente alla delimitazione delle zone marine tra l'Italia e la Grecia. Esso potrà, altresì, valere quale utile riferimento nella negoziazione di futuri accordi di delimitazione degli spazi marini tra l'Italia e altri Paesi vicini.

L'Accordo consiste, in realtà, di tre separati documenti: il trattato di delimitazione vero e proprio, l'accordo sulla pesca ed una comunicazione congiunta alla Commissione europea sempre in materia di pesca. La sottoscrizione contestuale dei tre testi in una logica di pacchetto ha consentito di concludere un negoziato pluriennale, tutelando i diritti storici della marineria italiana nelle acque greche.

Come accennato, il trattato di delimitazione tra la Grecia e l'Italia estende alle acque sovrastanti il confine già concordato dai due Stati per la delimitazione della piattaforma continentale nel 1977. In particolare, l'accordo del 9 giugno 2020 prevede che tale confine sarà utilizzato per delimitare i diritti sovrani e la giurisdizione esercitabili da ciascuno Stato. Inoltre, vi è una clausola che anticipa la possibilità di continuare la linea di confine verso nord e verso sud, quando saranno delimitati i confini con gli altri Stati vicini. Il trattato prevede, altresì, l'obbligo di notifica all'altro Stato dell'estensione delle proprie zone marine fino al confine concordato, facendo salvi i diritti di pesca in conformità alla normativa dell'Unione europea, nonché i diritti degli Stati terzi, ai sensi dell'articolo 58 della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, la cosiddetta UNCLOS. La soluzione di eventuali controversie, in assenza di accordo diverso tra le parti, è attribuita alla giurisdizione del Tribunale internazionale del diritto del mare.

Merita segnalare che la soluzione adottata in merito al confine marino tra i due Stati, vale a dire l'estensione del confine già concordato per la piattaforma continentale alla delimitazione della colonna d'acqua sovrastante, è in linea con la preponderante prassi internazionale. L'aspetto che probabilmente presenta maggiore interesse nell'Accordo è il fatto che nessuno dei due Stati ha finora proclamato una zona economica esclusiva; a differenza infatti della piattaforma continentale, che esiste ipso iure e ab initio, senza la necessità di alcun atto formale, la zona economica esclusiva deve essere proclamata dallo Stato che intende crearla. Come è noto la questione è oggetto di una proposta di legge a mia prima firma, l'Atto Camera n. 2313, approvata dalla Camera il 5 novembre scorso e attualmente all'esame dell'altro ramo del Parlamento. Entrambi gli Stati hanno, quindi, delimitato una zona futura. Pur essendo insolito, tale modo di procedere non costituisce assoluta novità in ambito internazionale, essendoci stati altri casi anche in passato.

Esso è da ritenersi legittimo nella misura in cui il confine delimita aree marine che ricadrebbero sotto la giurisdizione dei due Stati se questi estendessero la propria giurisdizione oltre il mare territoriale. Questo è indubbiamente il caso della zona del Mar Ionio interessata dal Trattato. Anzi, dal punto di vista della prevenzione delle controversie, appare preferibile concordare il confine con i propri vicini preliminarmente alla dichiarazione della zona economica esclusiva, al fine di evitare possibili contestazioni dopo la sua creazione e situazioni di incertezza per altri Stati costieri e gli Stati terzi circa la titolarità di diritti in determinate acque.

Con riferimento all'iter in Commissione, mi preme qui segnalare il parere favorevole espresso dalla Commissione ambiente, che ha, tuttavia, osservato l'opportunità, evidentemente pro futuro, che siano adottati i criteri di pubblicità e di trasparenza in occasione di negoziati riguardanti accordi analoghi a quello in esame.

In conclusione, l'Accordo costituisce sicuramente un importante passo in avanti per l'Italia nella definizione di tutti i suoi confini marini. Il suo valore anche nei confronti di futuri negoziati sullo stesso tema, in particolare con gli Stati dell'Unione europea, risiede soprattutto nella considerazione che dedica, in una prospettiva di insieme, agli interessi economici del settore della pesca e in prospettiva agli altri interessi nazionali nelle zone delimitate dall'Accordo, tra cui lo sfruttamento delle risorse energetiche in aree off-shore, di reciproco interesse prospicienti il Salento.

PRESIDENTE. Deve concludere.

IOLANDA DI STASIO, Relatrice. Per concludere, e poi lascio agli atti il resto della relazione, in tale prospettiva, il nostro Paese potrebbe anche svolgere un ruolo di mediazione, lanciando, per esempio, una conferenza o un forum dedicato ad una soluzione negoziale delle questioni controverse delle zone economiche esclusive nel Mediterraneo.

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire la rappresentante del Governo, se lo ritiene. Si riserva di farlo.

È iscritto a parlare il deputato Galantino. Ne ha facoltà.

DAVIDE GALANTINO (FDI). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, sottosegretario, la proposta di legge che siamo chiamati ad esaminare prevede la ratifica dell'Accordo fatto ad Atene il 9 giugno 2020 tra l'Italia e la Grecia sulla delimitazione delle rispettive zone marittime. Questo accordo nasce su una proposta presentata dal Governo di Atene nel 2013, anche perché l'unico accordo in essere tra Italia e Grecia in materia di delimitazione degli spazi, come diceva la collega Di Stasio, è del 1977 e con il quale i due Stati hanno delimitato la piattaforma continentale nel Mar Ionio.

Ora, nessuno dei due Stati ha finora proclamato aree di giurisdizione funzionale, come una zona di pesca riservata, una zona di protezione ecologica o una zona economica esclusiva. Ricordiamo che l'istituto della ZEE, previsto dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, sia tipico dei grandi spazi oceanici, ma poco adatto, poco funzionale al mare Mediterraneo, se consideriamo le limitate dimensioni e l'intenso traffico di navi mercantili e militari.

Con questo Accordo chiudiamo ogni aspetto attinente alla delimitazione delle zone marine tra l'Italia e la Grecia, che sarà utile riferimento nella negoziazione di futuri accordi di delimitazione degli spazi marini tra Italia e altri Paesi a noi vicini. Norma fondamentale dell'Accordo è l'articolo 1, che definisce la frontiera marittima sulla colonna d'acqua tra Italia e Grecia, specificandone anche le coordinate secondo il metodo WGS-84, che è quello attualmente utilizzato nella cartografia.

Altre disposizioni rilevanti sono quella relativa all'informativa preventiva in caso di proclamazione di una zona di giurisdizione funzionale ad opera di una delle parti, nonché quella che esclude ogni pregiudizio in conseguenza dell'Accordo sulle attività di pesca legittimamente esercitate in conformità al diritto dell'Unione europea. Ai fini dell'applicazione dell'Accordo non ci risultano aspetti che possano implicare oneri finanziari a carico del bilancio dello Stato.

Quindi, prendiamo atto della rilevanza della proposta di legge che è in esame e, ovviamente, come gruppo di Fratelli d'Italia, siamo favorevoli affinché la delimitazione delle rispettive zone marittime possa costituire un importante strumento funzionale per la tutela dell'ambiente marino e per la sicurezza delle nostre coste. E va riconosciuta la Grecia come partner europeo che ha interesse strategico, esattamente come ce l'abbiamo noi, immaginando il Mediterraneo come mare di collaborazione e mai più di conflitti (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - A.C. 2786)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare la relatrice, deputata Di Stasio, che si riserva di farlo.

Ha facoltà di replicare la rappresentante del Governo, che rinuncia.

Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Ordine del giorno della prossima seduta.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.

Martedì 26 gennaio 2021 - Ore 11:

1. Svolgimento di una interpellanza e interrogazioni .

(ore 16)

2. Seguito della discussione del disegno di legge e del documento:

S. 1721 - Delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l'attuazione di altri atti dell'Unione europea - Legge di delegazione europea 2019-2020 (Approvato dal Senato) (C. 2757)

Relatore: DE LUCA.

Relazione consuntiva sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea (Anno 2019). (Doc. LXXXVII, n. 3)

Relatrice: IANARO.

3. Seguito della discussione della mozione Gelmini, Panizzut, Lollobrigida ed altri n. 1-00404 concernente iniziative per un ampio programma di investimenti e misure nel settore sanitario in relazione all'emergenza da COVID-19 .

4. Seguito della discussione delle mozioni Meloni, Centemero, Giacomoni ed altri n. 1-00382 e Zanichelli, Fragomeli, Mor, Pastorino ed altri n. 1-00409 concernenti il ruolo del Ministero dell'economia e delle finanze nell'ambito del processo di vendita della società Borsa Italiana .

5. Discussione della Relazione della Giunta per le autorizzazioni sulla domanda di autorizzazione all'acquisizione di tabulati di comunicazioni nei confronti del deputato Zicchieri. (Doc. IV, n. 9-A)

Relatore: DI SARNO.

6. Discussione della Relazione della Giunta per le autorizzazioni sulla richiesta di deliberazione in materia di insindacabilità, ai sensi dell'articolo 68, primo comma, della Costituzione, nell'ambito di un procedimento penale nei confronti di Stefano Esposito (deputato all'epoca dei fatti). (Doc. IV-ter, n. 11-A)

Relatore: PITTALIS.

7. Seguito della discussione della mozione Trizzino ed altri n. 1-00397 concernente iniziative in materia di cure palliative, nel contesto dell'emergenza pandemica da COVID-19 .

8. Seguito della discussione della mozione Lattanzio ed altri n. 1-00405 concernente iniziative in materia di definizione del Piano nazionale per l'infanzia e l'adolescenza e ulteriori misure in campo educativo ed economico a favore dei minori .

9. Seguito della discussione delle mozioni Molinari ed altri n. 1-00414, Fregolent ed altri n. 1-00417 e Gelmini ed altri n. 1-00418 in materia di individuazione del deposito nazionale per il combustibile nucleare irraggiato e i rifiuti radioattivi .

10. Seguito della discussione del disegno di legge:

Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra la Repubblica italiana e la Repubblica ellenica sulla delimitazione delle rispettive zone marittime, fatto ad Atene il 9 giugno 2020. (C. 2786)

Relatrice: DI STASIO.

La seduta termina alle 19,35.

TESTI DEGLI INTERVENTI DI CUI È STATA AUTORIZZATA LA PUBBLICAZIONE IN CALCE AL RESOCONTO STENOGRAFICO DELLA SEDUTA ODIERNA: IOLANDA DI STASIO (A.C. 2786)

IOLANDA DI STASIO, Relatrice. (Relazione – A.C. 2786). Illustre Presidente, colleghi deputati, rappresentante del Governo, l'Accordo del 9 giugno scorso sulla delimitazione delle zone marittime tra l'Italia e la Repubblica ellenica si ricollega ad un'intesa bilaterale, ancora vigente, in materia di delimitazione dei rispettivi spazi marittimi risalente 1977, resa esecutiva dall'Italia con la legge n. 290 del 1980, con la quale i due Stati hanno delimitato la piattaforma continentale nel mare Ionio.

Nessuno dei due Stati ha finora proclamato aree di giurisdizione funzionale - zona di pesca riservata, zona di protezione ecologica o zona economica esclusiva - sulla colonna d'acqua nel mare Ionio.

Il contenuto globale del presente Accordo chiude pertanto ogni aspetto attinente alla delimitazione delle zone marine tra l'Italia e la Grecia.

Esso potrà altresì valere quale utile riferimento nella negoziazione di futuri accordi di delimitazione degli spazi marini tra l'Italia e altri Paesi vicini.

L'Accordo consiste in realtà di tre separati documenti: il Trattato di delimitazione vero e proprio, l'Accordo sulla pesca e una Comunicazione congiunta alla Commissione europea sempre in materia di pesca.

La sottoscrizione contestuale dei tre testi, in una logica di pacchetto, ha consentito di concludere un negoziato pluriennale tutelando i diritti storici della marineria italiana nelle acque greche.

Come accennato, il Trattato di delimitazione tra Grecia e Italia estende alle acque sovrastanti il confine già concordato dai due Stati per la delimitazione della piattaforma continentale nel 1977: in particolare, l'Accordo del 9 giugno 2020 prevede che tale confine sarà utilizzato per delimitare “i diritti sovrani e la giurisdizione” esercitabili da ciascuno Stato. Inoltre, vi è una clausola che anticipa la possibilità di continuare la linea di confine verso nord e verso sud, quando saranno delimitati i confini con gli altri Stati vicini.

Il Trattato prevede, altresì, l'obbligo di notifica all'altro Stato dell'estensione delle proprie zone marine fino al confine concordato, facendo salvi i diritti di pesca in conformità alla normativa dell'Unione Europea, nonché i diritti degli Stati terzi ai sensi dell'art. 58 della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS).

La soluzione di eventuali controversie, in assenza di accordo diverso tra le Parti, è attribuita alla giurisdizione del Tribunale internazionale del diritto del mare.

Merita segnalare che la soluzione adottata in merito al confine marino tra i due Stati – vale a dire l'estensione del confine già concordato per la piattaforma continentale alla delimitazione della colonna d'acqua sovrastante – è in linea con la preponderante prassi internazionale.

L'aspetto che probabilmente presenta maggiore interesse nell'accordo è il fatto che nessuno dei due Stati ha ancora proclamato una zona economica esclusiva.

A differenza infatti della piattaforma continentale, che esiste ipso iure e ab initio, senza la necessità di alcun atto formale, la zona economica esclusiva deve essere proclamata dalla Stato che intende crearla: com'è noto, la questione è oggetto di un progetto di legge a mia prima firma, l'atto Camera C. 2313, approvato dalla Camera il 5 novembre scorso e attualmente all'esame dell'altro ramo del Parlamento.

Entrambi gli Stati hanno quindi delimitato una zona futura. Pur essendo insolito, tale modo di procedere non costituisce assoluta novità in ambito internazionale, essendoci stati altri casi in passato. Esso è da ritenersi legittimo, nella misura in cui il confine delimita aree marine che ricadrebbero sotto la giurisdizione dei due Stati, se questi estendessero la propria giurisdizione oltre il mare territoriale.

Questo è indubbiamente il caso della zona del mare Ionio interessata dal Trattato. Anzi, dal punto di vista della prevenzione delle controversie, appare preferibile concordare il confine con i propri vicini preliminarmente alla dichiarazione della zona economica esclusiva, al fine di evitare possibili contestazione dopo la sua creazione e situazioni di incertezza, per gli Stati costieri e gli Stati terzi, circa la titolarità di diritti in determinate acque.

Con riferimento all'iter in Commissione, mi preme qui segnalare il parere favorevole espresso dalla Commissione Ambiente che ha tuttavia osservato l'opportunità, evidentemente pro futuro, che siano adottati criteri di pubblicità e di trasparenza in occasione di negoziati riguardanti accordi analoghi a quello in esame. La stessa Commissione ha anche segnalato l'opportunità di apportare modifiche all'articolato del disegno di legge inserendo riferimenti a tematiche concernenti la tutela dell'ambiente (protezione dell'habitat marino, zone protette marine internazionali, limitazioni allo sfruttamento delle risorse, verifica della possibilità di esercizio delle valutazioni di impatto ambientale nelle ZEE) , la riduzione dell'inquinamento e la sovranità energetica da fonti rinnovabili che richiederebbero una riapertura del negoziato tra i due Paesi e che pertanto esulano dal contenuto dell'Accordo sulla cui ratifica siamo chiamati a deliberare.

In conclusione, l'accordo costituisce sicuramente un importante passo in avanti per l'Italia nella definizione di tutti i suoi confini marini: il suo valore, anche nei confronti di futuri negoziati sullo stesso tema in particolare con altri Stati dell'Unione europea, risiede soprattutto nella considerazione che dedica, in una prospettiva di insieme, agli interessi economici del settore della pesca e in prospettiva agli altri interessi nazionali nelle zone delimitate dall'accordo, tra cui lo sfruttamento delle risorse energetiche in aree offshore di reciproco interesse prospicienti il Salento.

Sotto il profilo più prettamente politico, l'adozione definitiva del citato progetto di legge sulla Zona economica esclusiva, unitamente all'approvazione di questo provvedimento consentirà al nostro Paese di avvalersi dei più idonei strumenti giuridico-internazionali per adottare una postura assertiva e coerente in relazione al dossier Zee nel bacino del Mediterraneo, sia istituendole nel proprio ordinamento sia validando per la colonna d'acqua i confini della piattaforma continentale già stabiliti con Spagna, Tunisia, Albania e Croazia, definendo altresì le questioni di pesca pendenti con Tunisi (per la spartizione della zona riservata di pesca) e con Zagabria (per l'accesso alle acque territoriali dell'Isola di Pelagosa).

In tale prospettiva, il nostro Paese potrebbe anche svolgere un ruolo di mediazione lanciando una conferenza o un forum dedicato ad una soluzione negoziale delle questioni controverse delle Zee nel Mediterraneo.