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Resoconto dell'Assemblea

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XVIII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 427 di venerdì 13 novembre 2020

PRESIDENZA DELLA VICEPRESIDENTE MARIA EDERA SPADONI

La seduta comincia alle 9,30.

PRESIDENTE. La seduta è aperta.

Invito la deputata segretaria a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

FEDERICA DAGA, Segretaria, legge il processo verbale della seduta del 10 novembre 2020.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, il deputato Rizzo è in missione a decorrere dalla seduta odierna.

I deputati in missione sono complessivamente settantasei, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza, che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna).

Trasmissione dal Senato di un disegno di legge di conversione e sua assegnazione a Commissione in sede referente.

PRESIDENTE. La Presidente del Senato, con lettera in data 12 novembre 2020, ha trasmesso alla Presidenza il seguente disegno di legge, che è stato assegnato, ai sensi dell'articolo 96-bis, comma 1, del Regolamento, in sede referente, alla XII Commissione (Affari sociali):

S. 1970 – “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 7 ottobre 2020, n. 125, recante misure urgenti connesse con la proroga della dichiarazione dello stato di emergenza epidemiologica da COVID-19 e per la continuità operativa del sistema di allerta COVID, nonché per l'attuazione della direttiva (UE) 2020/739 del 3 giugno 2020” (approvato dal Senato) (2779) - Parere delle Commissioni I, II, IV, V, VI (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per gli aspetti attinenti alla materia tributaria), VII, VIII, IX, XI e XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

Il suddetto disegno di legge, ai fini dell'espressione del parere previsto dal comma 1 del predetto articolo 96-bis, è stato altresì assegnato al Comitato per la legislazione.

Svolgimento di interpellanze urgenti.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di interpellanze urgenti.

(Iniziative di competenza volte a verificare la gestione del patrimonio immobiliare di Inarcassa, con particolare riferimento alle procedure di conferimento al Fondo Inarcassa RE - n. 2-00941)

PRESIDENTE. Passiamo alla prima interpellanza urgente all'ordine del giorno Fiano n. 2-00941 (Vedi l'allegato A).

Chiedo al deputato Emanuele Fiano se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica. Il collega la illustra. Prego.

EMANUELE FIANO (PD). Grazie, Presidente. Signora sottosegretaria Pugliesi, io ho avuto notizia di fatti inerenti la gestione di Inarcassa. Ne ho avuto notizia anche pubblica, perché i fatti sono anche riferiti ad una sentenza del tribunale amministrativo del Lazio.

Inarcassa è la Cassa nazionale di previdenza e assistenza per gli ingegneri e architetti liberi professionisti. Inarcassa ha un patrimonio complessivo pari a 9 miliardi di euro e ha 168 mila iscritti.

Sulla Gazzetta Ufficiale dell'8 marzo 2010 è stato pubblicato un avviso di avvenuta aggiudicazione del bando pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana del 31 luglio 2009, che aveva come oggetto la selezione di una società di gestione del risparmio per l'istituzione, costituzione e gestione di un fondo comune di investimento immobiliare, riservato a investitori qualificati, con il criterio di aggiudicazione dell'offerta economicamente più vantaggiosa, dove risultava aggiudicataria Fabrica immobiliare SGR Spa.

In riferimento a ciò, con atto repertorio - numero e via dicendo, come trovate nel testo -, Inarcassa trasferiva il diritto di proprietà degli immobili costituenti l'apporto in natura, per un valore complessivo, attestato nella relazione, pari a 490 milioni e 600 mila euro e la somma di euro 400 mila, a titolo di apporto in denaro. A fronte di questo apporto di immobili, Inarcassa sottoscriveva un numero - che ovviamente è nel testo - di quote di questo cosiddetto Comparto Due.

Il primo fatto che chiedo al Ministero, che ella rappresenta, di verificare è in ordine all'articolo 3 del decreto legislativo n. 509 del 1994, che trasferisce al Ministero la competenza di verifica e controllo sulle attività di enti come il suddetto. Il primo fatto che ho chiesto di controllare è come mai, nella mozione cosiddetta fiume nei testi dei verbali, contenuta nel verbale del Comitato nazionale dei delegati del 29-30 novembre 2012, questa che sarebbe all'origine della possibilità di conferimento di queste quote, essa aveva per oggetto la gestione del patrimonio immobiliare di Inarcassa, non il conferimento del diritto di proprietà degli immobili.

Ricordo che il principio di controllo, che sottende l'attività di codesto Ministero in ordine a questo ente, è di natura documentale. Indi, il Ministero avrebbe dovuto verificare la presenza documentale di un conferimento del diritto di proprietà degli immobili nei verbali del consiglio di amministrazione di Inarcassa, atto che non esiste, ai sensi anche di quanto ha detto la sentenza del TAR suddetta, che mi pregio riferirle, onorevole sottosegretaria.

La sentenza del TAR viene emessa, perché al tribunale amministrativo si rivolge un architetto, delegato al tempo di Inarcassa Roma, architetto Valle, che, per avere possibilità - che gli era fino allora stata negata - di accesso agli atti, riferisce tutto quanto è oggetto anche della mia interpellanza. Le riferisco una parte del testo della sentenza del TAR. La circostanza che l'argomento sarebbe stato trattato nell'adunanza del 29-30 novembre 2012 dell'Inarcassa risulta smentita dall'ordine del giorno, depositato come documento 3, dal resistente (Inarcassa). Il fatto poi che sia stata votata una mozione, in ordine alla gestione del patrimonio, non appare comunque un elemento satisfattivo dell'interesse ad accedere agli atti da parte del ricorrente, perché la mozione aveva riguardo alla gestione delegata degli immobili e non al conferimento del patrimonio immobiliare ad un fondo immobiliare in gestione diretta.

Ergo, sottosegretaria, noi abbiamo un ente, sottoposto al nostro controllo amministrativo e documentale, che trasferisce la proprietà di circa 500 milioni di immobili - gli stessi ovviamente sono posti a garanzia della natura previdenziale dell'ente - e lo fa, secondo il tribunale amministrativo del Lazio, laddove non è stato opposto ricorso - “in assenza di un atto amministrativo del consiglio d'amministrazione che prevede il conferimento del patrimonio immobiliare”; così sentenzia il TAR. Peraltro, in questo giudizio Inarcassa, ovviamente con riferimento solo al non accesso agli atti, è stata giudicata soccombente e condannata al pagamento delle spese legali.

Di questo medesimo fatto poi questo architetto, Gianluca Valle, delegato Inarcassa architetti Roma, chiedeva al direttore generale per le politiche previdenziali e assicurative, dottoressa Concetta Ferrari, di svolgere la funzione di vigilanza, quella appunto dell'articolo 3 del decreto legislativo n. 509 del 1994, inerentemente al conferimento immobiliare appunto da Inarcassa al Fondo Inarcassa RE, gestito da Fabrica Immobiliare, per verificare la correttezza della procedura. Con nota protocollo 26/DG/2017 del 13 febbraio 2017, a firma del direttore generale Concetta Ferrari, nella trasmissione dei documenti all'architetto Gianluca Valle inerenti questo conferimento, si precisava che non esistono in proposito altri atti e documenti da poter esibire. E non mi pare questa una risposta soddisfacente, per nulla soddisfacente, al nostro dovere e al vostro di ministero, di esercizio delle funzioni di controllo.

Inoltre, vorrei citare anche un altro fatto, signora sottosegretaria, ringraziandola per la risposta che vorrà darmi. C'è anche un altro fatto sul quale intenderei chiederle di rispondere ovvero che, nell'atto di apporto al fondo comune di investimento immobiliare, lo stesso viene ceduto per il valore dell'apporto complessivo, pari ad euro 491 milioni. Ma la perizia da cui deriva la cessione proviene da Real Estate Advisory Group Spa, nella sua qualità di esperto indipendente anche a fronte della valutazione rilasciata dall'intermediario finanziario Banca Akros. La perizia complessiva era di 501 milioni e 380 mila euro. A fronte di questa perizia, la sottoscrizione di 982 quote è fatta per un valore di 491 milioni, laddove si verifica una differenza significativa di valore delle quote. E anche su questo io penso che sia nelle competenze della funzione di controllo del Ministero rispondere sul perché di questa discrepanza. Ascolterò con attenzione la sua risposta.

PRESIDENTE. La sottosegretaria per il Lavoro e le politiche sociali, Francesca Puglisi, ha facoltà di rispondere, prego.

FRANCESCA PUGLISI, Sottosegretaria di Stato per il Lavoro e le politiche sociali. Grazie, Presidente. Ringrazio l'onorevole Fiano per l'interrogazione che richiama l'attenzione sul procedimento di conferimento del patrimonio immobiliare da Inarcassa al fondo Inarcassa RE, gestito da Fabrica Immobiliare SGR Spa. Al riguardo, mi preme innanzitutto evidenziare il perimetro della vigilanza statale sugli enti privati di previdenza di cui ai decreti legislativi nn. 509 del 1994 e 103 del 1996, i quali come Inarcassa assicurano obbligatoriamente gli iscritti agli albi professionali ai fini della tutela dei diritti sociali rientranti nell'ambito della previdenza e dell'assistenza come costituzionalmente garantiti e sono in tal senso enti strumentali all'attuazione delle richiamate tutele costituzionali che godono di un'autonomia gestionale, organizzativa e contabile riconosciuta dalla legge. In questo contesto, il conferimento al fondo Inarcassa RE è espressione di un'attività di investimento posta in essere in autonomia dalla Cassa, secondo le proprie procedure di investimento, peraltro rese note alla Commissione di Vigilanza sui Fondi Pensione tramite la rilevazione prevista nell'ambito della relazione annuale sugli investimenti condotta dalla Covip. È infatti alla Covip che, ai sensi dell'articolo 14 del decreto legislativo n. 98 del 2011, convertito con modificazioni dalla legge n. 111 sempre del 2011, è attribuito il controllo sugli investimenti delle risorse finanziarie e sulla composizione del patrimonio degli enti previdenziali privati che viene esercitato, sempre dalla Covip, anche mediante ispezione presso gli stessi.

In materia di controllo sulle scelte di investimento immobiliare degli enti privati di previdenza obbligatoria, è inoltre prevista dall'articolo 8, comma 15, del decreto-legge n. 78 del 2010, convertito con modificazioni nella legge n. 122 del 2010, la presentazione, unitamente al budget, di un cosiddetto piano triennale, contenente le operazioni di acquisto/vendita di immobili, nonché di conferimento a fondi, subordinato alla verifica del rispetto dei saldi strutturali di finanza pubblica. Questo piano è sottoposto ad autorizzazione che interviene con apposito decreto del Ministro dell'Economia e delle finanze di concerto con il Ministro del Lavoro e delle politiche sociali.

Per quanto concerne il citato intervento di vigilanza richiesto ai Ministeri, va segnalato che, a norma dell'articolo 3 del decreto legislativo n. 509, è attribuito alla vigilanza statale la funzione di approvazione ministeriale delle delibere assunte dagli enti previdenziali privati per la modifica - unicamente in questo - degli statuti e dei regolamenti ovvero in materia di contributi e prestazioni. Alla vigilanza statale sono inoltre sottoposti i bilanci preventivi e i conti consuntivi redatti secondo i principi contabili internazionali, le note di variazione al bilancio di previsione, i criteri di individuazione e di ripartizione del rischio nella scelta degli investimenti, così come sono indicati in ogni bilancio preventivo, e le delibere contenenti i criteri direttivi generali, che possono essere oggetto unicamente di motivati rilievi da parte dei Ministeri, e che diventano comunque esecutivi decorsi i termini previsti dalla legge. Inoltre, l'articolo 2 del medesimo decreto legislativo n. 509 prevede l'intervento dei Ministeri, lavoro ed economia, tramite la nomina di un commissario, limitatamente nel caso in cui ricorrano i presupposti di disavanzo economico-finanziario della gestione, rilevato dai rendiconti annuali e confermato anche dalle risultanze del bilancio tecnico.

Come si evince, la vigilanza ministeriale è di natura documentale e non è coinvolta nelle singole scelte di investimento dell'ente, il quale, nell'ambito dell'autonomia riconosciuta dalla legge, adotta le delibere di impiego dei fondi disponibili tramite il CdA, organo di gestione, secondo i criteri generali dettati dall'organo assembleare e con osservanza dello statuto. L'Inarcassa in particolare si è dotata altresì di una disciplina interna, alla quale fa riferimento anche per la verifica della regolarità della citata operazione di conferimento al Fondo Inarcassa RE.

Riguardo a tale operazione, come presunta e paventata dal delegato Valle, non sono peraltro emerse, andandoli a riesaminare uno per uno, segnalazioni o irregolarità neanche dalla lettura dei verbali sistematicamente trasmessi ai due Ministeri vigilanti dal collegio sindacale, organo che, nell'architettura dei controlli, svolge una funzione immediata di analisi delle procedure e delle iniziative degli organi della Cassa; né d'altro canto sono stati presentati altri esposti sulla regolarità del conferimento in argomento da parte di altri delegati della Cassa, oltre 200, o dei rappresentanti ministeriali in seno al collegio sindacale.

Stante quanto evidenziato, non sono stati ravvisati margini di intervento ministeriale in ordine alla richiesta dell'architetto Valle, che, in qualità di delegato (rieletto nella recente tornata elettorale di aprile 2020), partecipa, nell'ambito dei poteri riconosciuti dallo statuto, alla formazione della volontà dell'ente e che è tenuto a conoscere, tramite lo svolgimento di questa sua funzione, gli ambiti di responsabilità sia dell'organo a cui appartiene, che degli altri organi della Cassa, sia della vigilanza ministeriale.

Aggiungo altresì che la Corte dei conti, nella determinazione n. 86 del 23 luglio 2020 sul risultato del controllo eseguito sulla gestione finanziaria di Inarcassa relativa all'esercizio 2018, dà conto della gestione immobiliare rilevando che la gestione delegata del patrimonio immobiliare è entrata completamente a regime con l'affidamento al Fondo Inarcassa RE Comparto 1 e 2, interamente sottoscritto da Inarcassa. Il primo Fondo Inarcassa RE, partecipato al 100 per cento, aveva avviato la propria operatività in data 19 novembre 2010 e a dicembre dello stesso anno aveva realizzato il primo investimento immobiliare. Nel 2014 è stato ridenominato Fondo multicomparto Inarcassa RE ed in esso sono stati conferiti gli immobili di proprietà in gestione diretta. Tale Fondo risulta attualmente così composto: Inarcassa RE Comparto 1, destinato a proseguire il piano di investimenti mobiliari già avviato nel 2010, Inarcassa RE Comparto 2, destinato alla valorizzazione degli immobili già di proprietà conferiti al Fondo. Nel 2018 è proseguita la gestione delegata del patrimonio immobiliare con il raggiungimento del rendimento gestionale lordo, pari al 2,96 per cento, in linea con il benchmark di riferimento. Anche il valore della quota, dalla data di avvio del Fondo - 19 novembre 2010 - è cresciuto di circa il 30 per cento. La Corte dei conti, nella delibera citata, ha infine evidenziato i risultati economici e patrimoniali dell'attività gestionale di Inarcassa, che presentano, nell'esercizio 2018, una prevalenza di segni positivi. Si assicura comunque che l'azione di vigilanza esercitata dal Ministero del Lavoro continuerà ad essere improntata a garantire che Inarcassa, come le altre casse di previdenza, prosegua i propri scopi istituzionali di tutela previdenziale obbligatoria secondo i dovuti canoni di regolarità amministrativa e contabile, nonché di trasparenza dell'attività posta in essere, e voglio anche assicurare che c'è l'impegno del Ministero del Lavoro a intervenire in maniera più efficace in relazione ai controlli sugli enti previdenziali, intervento che passa anche attraverso le regole di governance, nonché, in termini più generali, su un'eventuale rivisitazione del quadro normativo risalente agli anni Novanta, che rischia di essere parzialmente incompleto.

PRESIDENTE. Il deputato Emanuele Fiano ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.

EMANUELE FIANO (PD). La ringrazio Presidente, intanto ringrazio, ovviamente, la sottosegretaria Puglisi. Non posso dichiararmi soddisfatto.

Primo, non condivido l'interpretazione del decreto legislativo n. 509 del 1994. Lei converrà con me, penso, sottosegretaria - oppure chi ha, per suo conto, redatto la gentile risposta - che il punto 6 dell'articolo 2, sulla gestione degli enti, del decreto legislativo n. 509 del 1994 - lei ha citato il 3, mi pare che lei l'abbia già citato, il fatto – dice: nel caso che gli organi di amministrazione si rendessero responsabili di gravi violazioni. Io domando - poi avremo modo di domandarlo anche con altri strumenti - ma l'assenza di una delibera di conferimento di immobili per mezzo miliardo di euro è una grave violazione o no? Perché questo testo di decreto legislativo assegna a voi verificare questo. La risposta non mi perviene dalla sua gentilissima risposta, anche molto densa di particolari, perché sostanzialmente nella vostra risposta voi sostenete che non è vostra competenza, perché il Covip avrebbe questa competenza, perché la vostra competenza è di natura documentale, lei mi ha detto. E se i documenti di cui voi avete bisogno per verificare la correttezza del comportamento mancano, di chi è la competenza della verifica della mancanza documentale? Io ritengo che sia del Ministero. Penso che un iscritto all'Inarcassa, un architetto iscritto all'Inarcassa, abbia diritto a rivolgersi al Ministero, cui compete la competenza di verifica amministrativa, per sapere come mai gli immobili che diciamo sottendono la garanzia della funzione previdenziale di questo ente sono stati, infine, conferiti ad una stima, ad un valore inferiore alla stima presentata.

Su queste due domande io ovviamente, cercando di esercitare il mio mandato parlamentare, che è quello che mi spinge a fare queste domande, con disciplina e onore, penso che sia il Governo che debba darmi questa risposta. Ovviamente mi riferirò anche al Covip, però mi sembra strano, nella competenza di legge generale che conferisce al Ministero del Lavoro questa verifica; e perché la conferisce? Esattamente per quello che lei giustamente mi ha detto, cioè perché qui c'è una funzione previdenziale demandata a degli enti che sono fuori dall'attività del Governo, ma su cui il Governo mantiene una funzione di controllo. Penso che su queste due domande specifiche, che io avevo compiuto, fosse il Ministero stesso a dovermi dare delle risposte, magari interrogando il Covip. Comunque, ovviamente, la ringrazio della risposta, sottosegretaria.

(Elementi e iniziative in ordine alla dotazione economica del Fondo, istituito dalla legge n. 68 del 1999, volto a incentivare le assunzioni di lavoratori con disabilità - n. 2-01003)

PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Lupi e Schullian n. 2-01003 (Vedi l'allegato A).

Chiedo al deputato Maurizio Lupi se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica. La illustra, collega? Prego.

MAURIZIO LUPI (M-NI-USEI-C!-AC). Sì, illustro, anche per una ragione molto importante, secondo me e secondo il collega Schullian e i deputati che hanno sottoscritto questa interpellanza. Io credo che in questo luogo, che è il Parlamento, debba sempre avere voce una categoria di cittadini, di italiani, di persone, che, purtroppo, rischiano di essere esclusi, classificati in una categoria, che è quella degli invisibili, che è quella di coloro che non hanno voce e sono talmente deboli che non possono avere questa voce. Ne parliamo tanto, ci dimentichiamo tanto di loro. Chi sono questi invisibili? Sono 800 mila disabili, oltre 800 mila disabili, iscritti alle liste di collocamento speciali previste dalla legge. Sono vent'anni che c'è una legge, sottosegretario - conosco la sua sensibilità, e sa bene di che cosa stiamo parlando -, è la legge n. 68 del 1999, una buona legge, una legge che capiva, vent'anni fa, che questi invisibili hanno la dignità di essere persone, di essere lavoratori come tutti gli altri; non chiedono un reddito, non chiedono un assistenzialismo, chiedono, allo stesso modo di tutti gli altri, di avere il diritto ad un lavoro, cioè di avere il diritto di essere e di avere una dignità della persona. Perché, indipendentemente da quello che possiamo pensare, dalle politiche che possiamo mettere in atto, come Governo di centrodestra e di centrosinistra, tutti noi sappiamo che la dignità di una persona passa attraverso il lavoro, perché il lavoro non è il reddito, il lavoro è la possibilità per una persona di realizzare sé, di sentirsi utile, di sentirsi e di partecipare alla costruzione di qualcosa, sia esso il lavoro più semplice, pulire una sedia, sia quello più complicato, più oggi ammirato, il digital.

Ecco, l'interpellanza vuole riportare all'attenzione del Parlamento, e mi auguro anche della prossima sessione di bilancio… c'è qui il collega Marattin, che era relatore del decreto-legge Rilancio, insieme ad altri colleghi, e già in quell'occasione abbiamo discusso e parlato proprio di questa impostazione, mi ricordo, e cioè della possibilità di non dimenticarci di chi, tanti, tutti, stiamo soffrendo in questa pandemia; tutti ci stiamo rimettendo in gioco, ma in tutti questi c'è chi ancora di più soffre: non perché dobbiamo fare la categoria di chi soffre più degli altri, ma perché può essere ancora più escluso degli esclusi. Lo abbiamo discusso nella scuola, la didattica a distanza, pensate ai nostri ragazzi, ai ragazzi disabili, che hanno bisogno - altra novità introdotta intelligentemente da una legge - dell'insegnante di sostegno, cioè della possibilità di vivere insieme ad altri e di non sentire la propria personalità, le proprie caratteristiche come un impedimento ad essere se stessi, perché ognuno di noi è sé stesso.

Allora, non l'ho fatta lunga, perché la situazione è drammatica, semmai non ne siamo coscienti. Dovevamo festeggiarli, questi venti anni di questa legge.

Che cosa abbiamo fatto? Mi auguro che il Governo risponda in maniera dettagliata e individuiamo insieme una strada per individuare politiche attive del lavoro, non redditi di cittadinanza, tanto per dare un sussidio, ma possibilità reale che uno possa diventare protagonista insieme ad altri, nella costruzione e nel cambiamento di sé e del lavoro. Ci sono 800.000 iscritti: sapete, sappiamo, anche per chi ci ascolta, quanti di questi 800.000 trovano lavoro in Italia? Il 30 per cento, abbiamo la media più bassa d'Europa, eppure abbiamo messo in essere appunto la legge del 1999, l'intelligente modifica fatta dal Jobs Act con il decreto legislativo del 2015, dove abbiamo individuato che il problema non è solo l'imposizione alle aziende. La legge del 1999, per chi non la conosce, prevede che le aziende che superano un certo numero di dipendenti debbano inserire, all'interno del proprio organico, dei lavoratori - ci sono degli incentivi -, ma è evidente che bisogna lavorare insieme, mondo del lavoro e lavoratori, insieme per includerli, per favorirli e infatti il decreto legislativo del 2015 prevede la possibilità di implementare un fondo, di costituire un fondo che dia risorse oggettive. Dicevo: il Parlamento, per capire di cosa stiamo parlando, non dispone neanche dei dati ufficiali per poter valutare l'efficacia dell'attività di questa componente non marginale del nostro sistema di welfare ed eventualmente migliorarla. Come sempre, nelle leggi si dice: “Dovete presentare al Parlamento una relazione per aggiornarlo”, ma il problema è ovviamente che non c'è la pena se non la presenti e tutto passa nel disinteresse: l'hai presentata, non l'hai presentata, che se ne è fatto di quel fondo? Il disinteresse generale, perché sono invisibili, perché non sono poteri forti. Infatti, da quello che a noi risulta, nella sezione relativa ai documenti parlamentari, sul sito della Camera dei deputati (Relazione sullo stato di attuazione della legge recante norme per il diritto al lavoro dei disabili) non sono presenti documenti: un atto ministeriale dovuto, ai sensi dell'articolo 21 della legge n. 68 del 1999, che rimane lettera morta, al punto che gli ultimi dati di cui dispone il Parlamento, peraltro lacunosi, risalgono al 2015. A questo proposito, abbiamo tutti la sensibilità, tutti vogliamo partecipare, tutti diciamo che dobbiamo fare qualcosa, ma sono cinque anni in cui non sappiamo che cosa sta succedendo su uno dei temi più qualificanti per una società, per la nostra cultura, per la nostra idea di persona. In questo quadro scoraggiante, fra i pochi istituti previsti, vi è certamente appunto - come dicevo - il fondo istituito dall'articolo 13, comma 4, della legge n. 68 del 1999 presso il Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, attraverso il quale l'INPS - discuteremo poi nella replica - corrisponde incentivi ai datori di lavoro che effettuano assunzioni di lavoratori con disabilità. Particolarmente significativa - sto leggendo il testo della nostra interpellanza, mia e del collega Schullian - è la previsione normativa che dispone un incentivo pari al 70 per cento della retribuzione mensile lorda imponibile ai fini previdenziali, della durata di 60 mesi, per i lavoratori con disabilità intellettiva e psichica, che comporti una riduzione della capacità lavorativa superiore al 45 per cento. Questa categoria di disabili, insieme a quella delle persone affette da malattia rara, vanno a formare oggi l'area della disabilità maggiormente penalizzata sul terreno dell'inclusione lavorativa , come abbiamo citato prima e peraltro già discusso con l'ordine del giorno presentato l'8 luglio scorso, in sede di conversione del decreto-legge Rilancio e tra l'altro accolto dal Governo. Il suddetto fondo è stato alimentato da ultimo dal decreto interministeriale del 3 luglio 2019, per una cifra di 19.195.353 euro. Qual è il punto? Solo la certezza. Crediamo in questo strumento? Crediamo nelle politiche attive? Crediamo che questo sia un segnale di dignità, di civiltà di un Paese come il nostro? Allora, se crediamo in quello strumento è evidente che l'unico modo per farlo funzionare è che questo Fondo effettivamente funzioni, che le imprese abbiano effettivamente la certezza di ricevere quelle risorse e che non arriviamo al paradosso come accade… ma se accade per le biciclette e i monopattini ce ne freghiamo, il Fondo si esaurisce, uno si è comprato la bicicletta - non è una polemica, è solo per dire come funzionano questi fondi -, si è comprato il monopattino, se lo tiene, si arrabbia con chi gli ha detto che gli avrebbe dato il contributo e non avrà il suo contributo. Qui la situazione è diversa: se il Fondo si esaurisce e se non viene corrisposto alle imprese, le imprese non assumono; e non c'è un monopattino o una bicicletta che non viene rimborsata al 50 per cento, ma c'è una persona che ha la dignità di un lavoro che non può avere questo lavoro. Non me la sto prendendo con il Governo, me la prendo con noi stessi, perché questa è la questione che dovrebbe vederci tutti uniti, nell'idea di fondo però: basta sussidi, assistenzialismo, carità pelosa. E ve lo dice uno che viene da quel mondo, che ha questa cultura. È la dignità di una persona! Vi invito ad andare nelle cooperative sociali che danno lavoro alle persone disabili a vedere con i vostri occhi e con i miei occhi come avvitare un bullone rende felice una persona, la possibilità di dire “l'ho fatto io quel bullone, l'ho stretto io”. È un bullone, è una materia di ferro, è stretto da un ragazzo down, da una persona disabile intellettiva, da una persona che lì si sente realizzata ed accolta, questa è la sfida che abbiamo davanti.

Allora la domanda, e concludo, è sapere, primo, quale è lo stato di capienza del Fondo di cui in premessa; quante siano state per l'anno 2019, dati del 2019 che si riferiscono al 2015. Sono passati cinque anni: state voi cinque anni senza lavoro, sto io cinque anni senza lavoro! Quindi quante siano state per l'anno 2019 le domande pervenute all'INPS dalle imprese e quante di queste siano state evase; quali siano gli andamenti per l'anno in corso e in che data si prevede di emanare il decreto interministeriale per l'anno 2020, al fine di garantire che la capienza del Fondo sia tale da assicurare che tutte le imprese che adempiono ai requisiti richiesti dalla legge possano ricevere l'incentivo su cui hanno fatto affidamento.

Perché questa puntualità della richiesta? Perché è solo guardando la realtà e accorgendosi, al di là dell'enfasi, della polemica, eccetera, che ci accorgiamo di cosa possiamo fare, quali miglioramenti possiamo mettere, come nella prossima sessione di bilancio per esempio… questa è una considerazione politica: 110 miliardi di euro, 110 miliardi di euro abbiamo destinato in sei mesi tutti a debito pubblico per la risposta alla pandemia. Tutti a debito pubblico, sulla pelle dei nostri figli e dei nostri nipoti. Quanti ne abbiamo dedicati a questo tipo di soggetti, a questa politica attiva del lavoro? Questa mi sembra che sia la questione e il valore dell'interpellanza che presentiamo e mi auguro di potermi dichiarare soddisfatto semplicemente perché vuol dire che stiamo facendo un passo avanti insieme.

PRESIDENTE. La sottosegretaria di Stato per il Lavoro e le politiche sociali, Francesca Puglisi, ha facoltà di rispondere.

FRANCESCA PUGLISI, Sottosegretaria di Stato per il Lavoro e le politiche sociali. Grazie, Presidente. Ringrazio l'onorevole Lupi per questa interpellanza e condivido con lui la passione e la sensibilità per un tema così grande e importante per la dignità delle persone. Innanzitutto voglio rappresentare che, con riferimento alla nona relazione al Parlamento sullo stato di attuazione della legge n. 68 del 1999, la redazione della medesima, predisposta su base triennale, dunque 2016-2017-2018, è in fase di finalizzazione, e dunque presto sarà presentata.

Con riferimento specifico al Fondo, voglio preliminarmente segnalare che, con decreto del Ministro del Lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministero dell'Economia e delle finanze, del 4 marzo 2020 è stata data attuazione ad un nuovo comma dell'articolo 13 della legge n. 68 del 1999, più volte citata dall'onorevole Lupi, inserito dal DL n. 101 del 2019, relativamente alla possibilità per i privati di effettuare versamenti liberali allo Stato per alimentare il Fondo per il diritto al lavoro delle persone con disabilità.

Quanto alla capienza del Fondo, di cui all'articolo 13, evidenzio che, fino al 2019, il trasferimento delle risorse del Fondo all'INPS è avvenuto mediante un decreto del Ministro del Lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'Economia e delle finanze, aggiornato annualmente in base alle previsioni della legge di bilancio e al fine di integrare il Fondo con le risorse che derivano dal versamento dei contributi esonerativi. Da fine 2019 si procede in ragione delle competenze in materia di disabilità attribuite alla Presidenza del Consiglio dei Ministri mediante DPCM, su proposta del Ministro del Lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'Economia e delle finanze.

Nel corso del 2019, successivamente all'adozione del decreto interministeriale del 3 luglio 2019, è stato emanato anche il DPCM del 21 novembre 2019, con cui sono state trasferite all'Istituto le risorse versate al Fondo nel primo, secondo e terzo bimestre dai datori di lavoro per contributi esonerativi, ai sensi dell'articolo 5, comma 3-bis, della legge n. 68 del 1999, per complessivi 3.789.575 euro, nonché, a decorrere dall'anno finanziario 2020, le ulteriori risorse, pari a 1.915.742 euro annui, assegnati al capitolo 3892 “Fondo per il diritto al lavoro dei disabili”.

Per il 2020, è stato già emanato il DPCM datato 6 luglio 2020, recante attribuzione di ulteriori risorse all'Istituto nazionale della previdenza sociale per il Fondo per il diritto al lavoro delle persone con disabilità, pubblicato in Gazzetta Ufficiale del 26 agosto 2020, che integra lo l'originario stanziamento di 20 milioni e un primo decreto di attribuzione, per l'anno 2020, di circa 2 milioni, con ulteriori 52,5 milioni per l'anno 2020. Nel dettaglio, sono state trasferite all'INPS: per l'annualità 2020, le risorse, per complessivi 2.499.771 euro, versate nel 4° e 5° bimestre 2019 dai datori di lavoro al Fondo per il diritto al lavoro delle persone con disabilità per contributi esonerativi, ai sensi dell'articolo 5, comma 3-bis, della legge n. 68 del 1999 e altri 50 milioni a valere sul Fondo per il diritto al lavoro delle persone con disabilità, di cui all'articolo 13, comma 4, della legge n. 68 del 1999, annualità 2020.

In forza dei suddetti ulteriori trasferimenti di risorse, come da ultimi dati di monitoraggio trasmessi dall'INPS in data 6 novembre - quindi, recentissimi -, risultano pervenute e accolte, per l'annualità 2020, 1.231 richieste di ammissione all'incentivo per l'assunzione di persone con disabilità. Di queste 1.231 domande accolte, 316 fanno riferimento a persone affette da disabilità intellettiva e psichica.

Allo stato attuale, inoltre, per le assunzioni effettuate nel corso del corrente anno, risultano ancora disponibili - dunque, ci sono le risorse sul Fondo - risorse per un ammontare pari a 9.921.834,25 euro.

Per quanto, invece, riguarda l'annualità 2019, sono state accolte 1.141 richieste di ammissione all'incentivo in oggetto; di queste 1.141 domande, 259 si riferiscono a persone affette da disabilità intellettiva e psichica.

PRESIDENTE. Il deputato Maurizio Lupi ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.

MAURIZIO LUPI (M-NI-USEI-C!-AC). Grazie, Presidente. Credo che il quadro che ci è stato presentato con molta correttezza e trasparenza da parte del sottosegretario si commenti da solo, nel senso che abbiamo un minimo di contesto e di dati davanti e se pensavamo, all'inizio, che il problema fosse quello delle risorse disponibili il problema è ancora più drammatico. Secondo il quadro che abbiamo a disposizione, e che è evidente a tutti, ci sono 800 mila disabili iscritti alle liste di collocamento: 800 mila; una legge che abbiamo fatto per cercare di andare verso le politiche attive ha avuto il risultato, come appena detto dal sottosegretario, in un anno, di 1.231 domande avanzate dalle imprese per questi finanziamenti; eppure, per capirci, i finanziamenti messi a disposizione dalla legge non sono, onestamente, finanziamenti indifferenti, agevolazioni indifferenti, nel senso che il Fondo prevede che il 70 per cento della retribuzione mensile lorda, per la durata di 36 mesi, sia coperto direttamente dallo Stato e addirittura il 70 per cento della retribuzione mensile lorda imponibile ai fini previdenziali della durata di 60 mesi per i lavoratori con disabilità intellettiva e psichica superiori al 45 per cento. Sessanta mesi vuol dire che, per cinque anni, l'impresa, se assume e integra all'interno del proprio organico un lavoratore con queste caratteristiche, riceve il 70 per cento di contributi da parte dello Stato, ossia quella persona gli costa solo il 30 per cento; è, quindi, un incentivo importante, giustamente anche paragonato al criterio della produttività, nel senso che ha una sua logica, ma noi sappiamo che la produttività sul lavoro non può essere solo una mera produttività quantitativa; sappiamo benissimo che, ormai, gli standard del lavoro si misurano sul fatto che c'è più quantità prodotta o più capacità di stare sul mercato più la qualità del lavoro è incentivata, come nei modelli americani che vediamo nei film, in cui, dove si va a lavorare, c'è la palestra, c'è il jogging, c'è la musica, ci sono tutte queste cose; e tutto ciò cosa vuol dire? Vuol dire che il lavoro non è solo il mero gesto ripetitivo, ma è la comunità o il luogo, l'ambiente dove uno si sente integrato e realizzato. Ed è questa la ragione dell'urlo disperato e della forza di una legge che dice: integrali, mettili, portali in una comunità dove non si sentano esclusi.

Allora, è evidente che dovremmo essere tutti disperati per l'insuccesso che ha questo strumento e per l'inefficacia di queste politiche attive che abbiamo messo in essere. Primo punto, non possiamo stare fermi; quindi, l'esame dei dati - lo dico all'INPS, lo dico a tutti - non è un problema; guardare la realtà, osservarla, capire che cosa ha funzionato in vent'anni di una legge e che cosa non ha funzionato non è un mero esercizio statistico, epidemiologico, ma è la possibilità, responsabilità di chi governa e di chi rappresenta il Paese e le istituzioni, di capire se l'obiettivo lo riteniamo fondamentale per una politica di governo del lavoro per l'Italia, di capire che cosa non è andato, cosa dobbiamo cambiare, quali nuove politiche mettere in essere per rinnovare un grande patto evidente tra mondo del lavoro e mondo delle persone che rappresentano, ovviamente, queste persone.

Pongo una domanda: c'è qualcuno nel Governo, tra i funzionari, che hanno scritto questa risposta, che - avendo visto questa statistica che lei ci ha letto oggi, questi dati che lei ci ha letto oggi - ha alzato il telefono, ha chiamato le associazioni che rappresentano le persone disabili, quelle iscritte appunto al collocamento, la categoria dei disabili intellettivi e psichici e ha chiesto perché non funziona, cosa ci suggerite, quale strada dobbiamo intraprendere?

L'ha mai fatto qualcuno, al Ministero? L'INPS si preoccupa semplicemente di erogare o si preoccupa anche di andare a fare un tema qualitativo riguardo al problema che ci stiamo ponendo? La risposta, purtroppo, la sappiamo tutti qual è. Quel modello che abbiamo individuato nel 1999, che abbiamo rafforzato nel 2015, è un modello che può essere migliorato e cambiato? Come si fa a cambiarlo e a migliorarlo? Solo incontrando il bisogno, cioè chiamando chi quel bisogno rappresenta e chiamando chi a quel bisogno può dare una risposta, ma non in un conflitto, quanto in un'alleanza. Non c'è il padrone e lo schiavo: ci sono protagonisti della società che possono ridare dignità e sviluppo a questa società; dobbiamo chiamarli alla responsabilità. Qualcuno, in quel Ministero, piuttosto - e qui mi permetto una battuta politica - che occuparsi di navigator - eh, quanti ne abbiamo assunti di ‘sti navigator? Che cosa stanno facendo? Quanto stiamo spendendo? Glielo posso dire io: sono 3 mila, ad oggi, 3 mila e rotti, e ci costano circa 400/500 milioni -, ha pensato di dire: prendiamo queste dieci persone, chiamiamo, facciamo tanti tavoli, chiamiamo al Ministero del Lavoro l'associazione Confindustria, gli artigiani, per esempio, perché pensiamo alle grandi imprese, ma proviamo a pensare che magari ci sono ambiti di lavoro o tipologie di lavoro che meglio si possono adattare a dare risposta, a integrare, a fare? Mi piacerebbe sapere se è mai stato fatto questo.

Perché una legge prevede una verifica? Per quale motivo la prevede? Per mettere delle scartoffie? O la prevede proprio perché una legge ha una buona intenzione - chiunque la fa - ma deve essere verificata e migliorata? In questa legislatura c'è stato un Governo che ha addirittura individuato, all'inizio del suo insediamento - penso al primo Governo Conte - un Ministero per le Disabilità e, come lei ha sottolineato, in questa legislatura - tutti lo dicono - c'è un'attenzione particolare, appunto, alle persone disabili - oggi presso la Presidenza del Consiglio – e, in questo caso, all'integrazione nel lavoro. In un anno e mezzo di Governo, è mai stato preso in esame questo, è mai stato fatto qualcosa?

Allora, non sono domande retoriche, non sono assolutamente domande retoriche; sono domande reali - ed è lo scopo dell'interpellanza - e sono convinto che la sensibilità è trasversale. Non è il problema di opposizione e maggioranza: qui c'è un'alleanza trasversale che possiamo fare, come Parlamento, perché nei prossimi mesi, se il Governo dà la disponibilità, con gli strumenti che abbiamo a disposizione, si può fare un passo avanti.

Concludendo, le indico e mi permetto di mettere, ovviamente, in rilievo semplicemente queste cose. Questo perché non è che sono l'esperto di questa materia; ho semplicemente chiacchierato con queste associazioni. La politica è questo, il Parlamento è questo: non è solo un votificio; è la rappresentanza. Il parlamentare non è estratto a sorte: rappresenta qualcuno, se è capace di stare in un ambito e di rappresentare qualcuno, basta portare poi questa voce. E non è inutile - siamo in sei -, non è inutile quello che stiamo facendo. Questa è la forza della democrazia, questa è la forza di un'istituzione come il Parlamento, la più grande istituzione che abbiamo, in una democrazia come la nostra.

Allora, velocissimamente, otto sono i punti che mi dicono le associazioni che non fanno funzionare e su cui mi dicono di intervenire, e concludo. Appunto, il tasso - l'ho già detto - di occupazione più basso (30 per cento); distribuzione sul territorio - poi fornirò questi dati al Ministro, al Governo - diseguale, pensate che nel Mezzogiorno il tasso del 30 per cento di occupazione scende al 18 per cento; diseguale distribuzione tra i sessi; alto livello di instabilità lavorativa; età media dei disabili occupati molto alta - questa è un'altra osservazione -, 59 anni; titolo di studio, alto, dei disabili occupati. È un rapporto che va studiato, rapporto tra titolo di studio e occupazione. Ecco, questo e molto altro.

Siamo a disposizione e mi auguro - ci sono anche alcuni colleghi in Aula - che la prossima sessione di bilancio, che vedrà la Camera dei deputati protagonista, possa, non polemicamente, ma fattivamente, vedere una collaborazione in tal senso. Le garantisco, sottosegretario - e lo ribadisco, di cui conosco la sensibilità e la storia, - che troverà un alleato nel Parlamento, anche nei confronti del Ministro dell'Economia, che deve imparare a venire in Parlamento e a portarci il prima possibile la legge di bilancio. Perché funziona così in Italia. In Europa l'avrebbero già presa in un altro modo; qui siamo solo dei signori: la stiamo ancora aspettando, la legge di stabilità.

(Chiarimenti e iniziative di competenza in ordine all'esigenza di una integrazione e revisione dei dati in base ai quali vengono elaborati gli indici di rischio sanitario, nonché in ordine ad un'adeguata pubblicità degli stessi - n. 2-00985)

PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Marattin ed altri n. 2-00985 (Vedi l'allegato A).

Chiedo al deputato Luigi Marattin se intende illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica. La illustra, collega Marattin?

LUIGI MARATTIN (IV). Sì, grazie, signora Presidente. Buongiorno, signora sottosegretaria, mi consenta innanzitutto di esprimere, a nome mio - e del mio gruppo, che ha firmato questa interpellanza urgente, assieme, a dire il vero, a vari colleghi di altri gruppi -, un apprezzamento, per il modo in cui il Ministero della Salute ha gestito quella che probabilmente è la sfida più impegnativa che un Ministero della Salute possa pensare mai di affrontare, per la serietà del vostro approccio, per la compostezza del vostro modo di porvi pubblicamente - non era facile -, per il fatto di aver basato le decisioni sull'utilizzo dei dati; perché è importante essere molto chiari su questa vicenda, e per avere - appunto tramite il fatto di essersi basati sull'utilizzo dei dati - reso palese quanto siano totalmente infondati non solo l'approccio cosiddetto negazionista, che non è degno neanche di essere nominato in quest'Aula, ma anche alcune posizioni politiche che sono state prese, anche in quest'Aula, quando è venuto il Ministro Speranza, in cui si lasciava intendere che decisioni di qualche sorta, in merito alla classificazione del grado di rischio delle regioni, potessero essere state prese per altro, se non sui dati.

Fatta questa necessaria premessa e questo necessario apprezzamento, questa interpellanza serve a chiedere e a verificare se possiamo, tutti insieme, fare un passo in più. Perché? Perché, in fasi come queste, - ancora più di quanto non lo sia normalmente in questi strani tempi, in cui il rapporto fra rappresentati e rappresentanti è così distorto, così inquinato e così confuso - è cruciale non solo la trasparenza, che c'è - nessuno ha negato la trasparenza, da parte vostra e da parte del Governo e di questa maggioranza - ma la piena accessibilità ad ogni tipo di informazione quantitativa, la piena accessibilità ad ogni tipo di dato che viene usato per le valutazioni politiche, in forma grezza. Questo è il punto fondamentale.

Serve intanto, innanzitutto, a sgombrare il campo, una volta per tutte, da bufale, bugie e polemiche, perché la piena accessibilità ad ogni cittadino rende palese quanto strumentale e quanto falsa sia qualsiasi posizione che voglia o addirittura negare il problema o accusare il Governo e il decisore politico di prendere decisioni così cruciali sulla base di cose diverse, se non la semplice realtà dei fatti. Serve ai policy maker, serve a noi, serve al decisore politico, e parlamentare e governativo, perché ancora una volta conoscere per deliberare, come diceva Luigi Einaudi sessant'anni fa, è un motto ancora più cruciale in tempi come questi. Serve ai cittadini la piena accessibilità al dato grezzo, perché ci si fida di più di uno Stato che mette tutto in piazza: la casa di vetro che tanti abbiamo sognato riguardo a questioni del genere. Serve alla comunità scientifica, perché là fuori c'è una comunità scientifica ormai globale, che può lavorare sui dati grezzi, può vedere qualcosa che noi non vediamo, pur senza - ripeto - mai togliere nulla ai tanti esperti, ai tanti professionisti, alle tante eccellenze, che hanno lavorato e stanno lavorando per il Ministero della Salute e per il Governo in questi difficili mesi. Ma la piena accessibilità dei dati serve per mettere a disposizione gli input a un processo di ricerca, al quale tutti possano accedere, ricercatori, professori, tutti, senza fare però preventivi accordi privati, tutti, liberamente.

Anche i bambini di cinque anni, ecco, sono possono farlo. Un Paese che rende accessibili i dati grezzi non ha paura di nulla e non ha bisogno di aver paura di nulla. Quindi, in particolare noi chiediamo che il passo in più possa sostanziarsi in due piccole - se vogliamo - cose, ma secondo noi cruciali. Uno, noi non abbiamo mai trovato - poi probabilmente lei mi dirà che esiste, ma non l'abbiamo trovato - un dato che riteniamo cruciale: noi vediamo ogni giorno la variazione del saldo dei ricoverati, e nei reparti ordinari e in terapia intensiva; non vediamo il flusso di accesso. Quando noi vediamo che ci sono 50 ricoverati in più in terapia intensiva rispetto a ieri, può voler dire o che ne sono entrati 50 e ne sono usciti zero o che ne sono entrati mille e ne sono usciti 950. E c'è una certa differenza, perché in un caso sono entrate 50 persone in terapia intensiva che ieri non c'erano, nell'altro ne sono entrate mille, e da parte di chi vede il dato sembra la stessa cosa. Quindi chiediamo di integrare il database o di mettere a disposizione semplicemente ogni sera, aggiornato, chiaro, disponibile, regione per regione, reparto per reparto - vedremo le forme, vedrete le forme - il dato del flusso in ingresso dei reparti ospedalieri, ordinari e di terapia intensiva, per misurare veramente la “febbre” da questo punto di vista.

Secondo punto. Su questo forse non lo so, non c'è stata chiarezza o non siamo stati chiari neanche noi, ma è bene farlo in questo momento: sono ovviamente pubblici i criteri di monitoraggio del rischio sanitario e lo sono dalla prima ondata, perché i 21 criteri non sono nuovi, ma appunto furono stabiliti ad aprile o maggio, durante la prima ondata; sono ovviamente pubblici i risultanti indici di rischio, che assieme all'Rt - ci ha spiegato bene il Ministro Speranza settimana scorsa - concorrono a determinare il grado di colore, come ormai tutti sappiamo, delle regioni. Quindi l'indice di rischio che deriva dai 21 dati è ovviamente pubblico - e ci mancherebbe altro. Quello che noi chiediamo è che sia anche reso pubblico il database dei 21 indicatori e possibilmente l'algoritmo che trasforma quegli indicatori nel numeretto dell'indice di rischio. Un database chiaro, trasparente, accessibile a tutti, aggiornato periodicamente, magari in maniera elettronica; qualcuno ci dice che molte regioni mandano cartacei questi dati. Il database dei 21 indicatori, divisi per regione, con la serie storica, pubblico, accessibile, chiaro, con un click, che accompagni, ripeto, le informazioni che già esistono. E da questo punto di vista, sottosegretaria, appunto queste sono le due cose che chiediamo, solo queste.

Lei ha fatto delle dichiarazioni nei giorni scorsi, a seguito della posizione presa dall'Accademia dei Lincei, sul fatto che questi dati possano essere concessi, diciamo - se non ho capito male - sotto richiesta privata da parte di singoli scienziati; mi dirà se ritiene nella sua risposta. Ecco, io non ritengo quello il modo giusto di procedere, perché non funziona così la scienza. La scienza è fatta di replicabilità dei risultati, di verificabilità dei risultati. Non è che se uno le scrive e fa un accordo per avere quei dati e pubblica un'analisi, poi io non posso verificare la correttezza del metodo di analisi. Quindi anche la stessa messa a disposizione della comunità scientifica non significa dire: “Se volete, chiedete. Facciamo un accordo e ve li do”. Significa pubblicare il database chiaro, accessibile, in modo che tutti lo possano utilizzare.

Concludo, signora sottosegretaria, ribadendo tutto quello che ho detto in premessa che vorrei non fosse mai dimenticato, perché finirà pure il tempo in questo Paese in cui bisogna districarsi fra gli opposti estremismi, fra gli opposti slogan; cioè quando entri in un dibattito devi solo preoccuparti di non essere assimilato a uno dei due slogan estremi. Arriverà il tempo in cui tornerà di moda quello che vogliamo dire e in cui le posizioni caricaturali estremiste verranno marginalizzate. Fra le tante cose che possiamo imparare da questa maledetta malattia, questo maledetto virus, probabilmente ce ne sono due in particolare: uno, le decisioni pubbliche si prendono sempre e soltanto sulla base dell'approccio scientifico. Può essere assurdo ricordarlo, ma quando questa legislatura è iniziata c'erano altre opinioni, in parte forse ci sono ancora. La seconda: l'importanza cruciale, specialmente in tempi in cui la formazione del consenso e il rapporto fra rappresentanti e rappresentati sono così distorti e così inquinati, di una comunicazione modello “casa di vetro”, perché uno Stato che espone tutto non ha paura di nulla e sa giustificare sempre le proprie decisioni, e magari aiuta anche a disinquinare, bonificare il dibattito pubblico, che purtroppo da diverso tempo da questo punto di vista fa molta fatica.

PRESIDENTE. La sottosegretaria di Stato per la Salute, Sandra Zampa, ha facoltà di rispondere.

SANDRA ZAMPA, Sottosegretaria di Stato per la Salute. Signora Presidente, molte grazie davvero, e al di là delle parole di retorica, a lei, onorevole Marattin, naturalmente per le parole che ha espresso, a nome mio personale, ma anche del Ministero, del Ministro, sono certa di interpretarne i sentimenti, e del Governo. Grazie, per aver saputo così correttamente inquadrare il contesto in cui stiamo lavorando, e anche l'orientamento che guida le nostre decisioni.

Il tema che lei tocca oggi è, come lei sa e come ha giustamente sottolineato, un tema di estrema attualità, è al centro di una discussione anche tra di noi al Ministero, e comporterà, credo, ulteriori approfondimenti. Ecco ad oggi lo stato dell'arte, che la risposta che io mi accingo a darle riassume, e fa il punto su cosa è stato fatto e cosa eventualmente potrà essere intrapreso di nuovo.

Fin dall'inizio della fase pandemica il Ministero infatti ha adottato, in accordo in questo con le regioni e con tutti gli attori istituzionali, tempestive misure per la protezione della salute della popolazione, come lei ha molto correttamente richiamato. Lo ha fatto sempre sulla base di indicazioni che sono arrivate dalla scienza, che a loro volta hanno certamente scontato il prezzo di un fenomeno largamente non conosciuto, e ancora oggi largamente non conosciuto, e quindi drammaticamente difficile da contrastare e da combattere. Perché molti aspetti di questa pandemia e del funzionamento di questo virus, della vita di questo virus, della sua attività, sono ancora adesso assolutamente non conosciuti.

Voglio ricordare che il 30 aprile 2020, con questo spirito di dare la voce alla scienza e quindi di mettere le indicazioni della scienza al primo posto, il Ministero della Salute ha diramato la circolare n. 15279, così come suggerito dagli organismi internazionali, e anche questo è un altro punto che vorrei sottolineare con forza: noi abbiamo sempre avuto un rapporto intenso, e in particolare il Ministro Speranza ha sempre messo la relazione con gli organismi internazionali al centro di un'importante attività, e anche questo ha guidato le scelte. Cioè, ci siamo mossi sull'ambito di indicazione della scienza, in un contesto di relazioni internazionali molto intense; che credo possiamo dire anche di avere in parte saputo guidare, come è stato per esempio nella ricerca del vaccino e nell'iniziativa di un consorzio europeo per il vaccino. Dicevo, come suggerito dagli organismi internazionali, la circolare presuppone l'implementazione e il rafforzamento di un solido sistema di accertamento diagnostico, di monitoraggio e di sorveglianza della circolazione di SARS-COV-2, dei casi confermati e dei loro contatti, al fine di intercettare tempestivamente eventuali focolai di trasmissione del virus.

In considerazione di questo e della necessità di classificare tempestivamente il livello di rischio, in modo da poter valutare eventuali modulazioni nelle attività di risposta all'epidemia, sono stati disegnati alcuni indicatori con valori di soglia e di allerta, che dovranno essere monitorati attraverso sistemi di sorveglianza coordinati a livello nazionale, al fine di ottenere dati aggregati nazionali, regionali e locali. Questi indicatori non sono finalizzati a una valutazione di efficienza ed efficacia dei servizi, ma ad una raccolta del dato e ad una migliore comprensione della qualità dello stesso, al fine di potere realizzare, nel modo più corretto possibile, una classificazione rapida del rischio, di concerto con l'Istituto superiore di sanità e con le regioni e le province autonome. Alcuni indicatori, definiti opzionali, sono relativi a flussi di sorveglianza non attualmente attivi, che potranno essere istituiti a livello di regioni o di province autonome in base alla fattibilità e alla opportunità. Questi indicatori verranno considerati nella classificazione del rischio solo qualora la regione o provincia autonoma raccolga il dato a seguito dell'attivazione del relativo flusso informativo. Il monitoraggio comprenderà i seguenti indicatori: indicatori di processo sulla capacità di monitoraggio; indicatori di processo sulla capacità di accertamento diagnostico, di indagine e gestione dei contatti; indicatori di risultato relativi alla stabilità di trasmissione e alla tenuta dei servizi sanitari. Vi sono inoltre gli indicatori di processo sulla capacità di accertamento diagnostico, indagine e gestione dei contatti e gli indicatori di risultato relativi a stabilità di trasmissione e tenuta dei servizi sanitari. Le soglie definite negli indicatori proposti sono volte a monitorare il mantenimento di questi criteri. Sono inoltre identificati i valori di allerta che devono portare a una valutazione del rischio congiuntamente nazionale e del territorio, cioè della regione o delle province autonome interessate, per decidere se le condizioni siano tali da richiedere una revisione delle misure adottate o da adottare ed eventualmente anche della fase di gestione dell'epidemia. Valori soglia sono definiti in modo puntuale per alcuni indicatori, mentre una valutazione comparativa sarà effettuata con i dati dei sette giorni precedenti, raccolti nell'ambito della sorveglianza integrata nazionale, il cui storico costituirà il valore di riferimento epidemiologico. Una prima valutazione della qualità delle informazioni raccolte si effettuerà, valutando la compliance della qualità minima di sistemi informativi utilizzati per la raccolta, attraverso indicatori di processo. Una volta accertata la qualità del dato, si procederà a una valutazione del rischio, definito come la combinazione della probabilità e dell'impatto di una minaccia sanitaria. È possibile analizzare separatamente queste due condizioni per poi valutare il rischio complessivamente. Una classificazione di rischio - moderato, alto, molto alto - porterà a una rivalutazione e validazione congiunta con la regione, o la provincia ovviamente interessata, che consentirà di integrare le informazioni, da considerare con eventuali ulteriori valutazioni svolte insieme a regioni e province autonome, sulla base di indicatori di processo e risultato, calcolati per i propri servizi territoriali. Una classificazione aggiornata del rischio per ciascuna regione e provincia autonoma deve avvenire almeno settimanalmente. Il Ministero della Salute, tramite una nota e apposita cabina di regia, coinvolgerà le regioni e le province e l'Istituto superiore di sanità, raccogliendo le informazioni necessarie per la classificazione del rischio e realizza una classificazione settimanale del livello del rischio di una trasmissione non controllata e non gestibile di Sars-CoV nelle regioni. Nel merito della questione posta, per quanto riguarda le fonti di informazione relative ai dati dell'epidemia, sono attualmente rappresentate da: Sistema informativo Ministero della Salute/Protezione Civile (dati aggregati) e Piattaforma nazionale di sorveglianza COVID-19 dell'Istituto superiore di sanità (dati individuali).

Le due fonti analizzano i dati sui casi di COVID-19 diagnosticati dai laboratori di riferimento regionali.

La fonte Ministero della Salute/Protezione civile raccoglie quotidianamente i dati aggregati dalle regioni su nuove diagnosi confermate di COVID-19, il numero di morti associate a COVID-19 e il numero totale di persone ricoverate in ospedale con COVID-19 (senza distinzione tra nuovi ingressi o persone già ricoverate), distinte per ricoveri in aree mediche e terapia intensiva. Questo flusso è tempestivo e permette una valutazione giornaliera dell'andamento.

Questi dati sono visibili sul sito della Protezione civile e sono aggiornati quotidianamente.

Pertanto, per avere una maggiore consapevolezza dei predetti dati, suggeriamo di consultare il sito Internet della Protezione civile, che viene aggiornato a cadenza giornaliera.

Quanto alla seconda fonte, l'Istituto superiore di sanità prevede che le regioni forniscano dettagli individuali su tutti i casi, compresi i dati demografici, lo stato clinico e le comorbilità.

In particolare, vengono raccolti i dati individuali sulle nuove diagnosi di COVID-19 con alcune caratteristiche demografiche (età e sesso) e geografiche (area di residenza) ed è valutato l'eventuale ingresso in ospedale (in aree mediche e/o terapia intensiva). Questo flusso, proprio per il maggior dettaglio di informazioni richieste, richiede tempi più lunghi, che vanno da 15 a 30 giorni, per il consolidamento delle informazioni e, in particolare, per quelle relative al ricovero e al decesso. Pertanto, i dati richiesti in termini di nuovi ingressi sono disponibili, ma non tempestivi e, per questo motivo, non adatti ad essere inclusi nei report giornalieri.

PRESIDENTE. Il deputato Luigi Marattin ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.

LUIGI MARATTIN (IV). Ringrazio la sottosegretaria per la cortese risposta. Sulle due questioni che ho posto, quella sul flusso, mi riesce sul momento un po' difficile capire come facciano le regioni a comunicare giornalmente il saldo, ma non le due componenti che fanno quel saldo; come è possibile che il saldo venga comunicato giornalmente, ma i due addendi di quel saldo vengano comunicati con tempi più lunghi. Quindi, rifletterò su questo concetto. Sul secondo punto, ossia la messa a disposizione nel database, non ho sentito particolari parole da parte della sottosegretaria, mi limito a reiterare la richiesta per tutte le ragioni esposte prima. La ringrazio.

(Iniziative volte ad assicurare ai pazienti ricoverati presso i cosiddetti hospice la possibilità di essere assistiti dai propri familiari, anche tramite opportune misure di prevenzione in rapporto all'attuale contesto sanitario - n. 2-00988)

PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Lapia ed altri n. 2-00988 (Vedi l'allegato A).

Chiedo alla deputata Mara Lapia se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

MARA LAPIA (M5S). Grazie Presidente, grazie sottosegretaria Zampa. L'interpellanza di oggi vuole sottolineare le difficoltà riscontrate dai malati, ricoverati presso gli hospice in carico alla rete delle cure palliative, nell'avere vicini i loro familiari nel corso di questa pandemia da Coronavirus. L'hospice è una struttura sociosanitaria residenziale per malati terminali, luogo d'accoglienza o ricovero temporaneo dove il paziente, per il quale non è più possibile svolgere un'adeguata assistenza a domicilio, viene accompagnato nelle ultime fasi della sua vita.

Ciò avviene con un appropriato sostegno medico e l'hospice è il luogo in cui la presenza di familiari è da considerarsi parte integrante del processo di cura, e dove l'accompagnamento del proprio caro in caso di fine vita assume un'importanza fondamentale. A questo riguardo, voglio ricordare quanto mi è stato raccontato dal dottor Salvatore Salis, direttore dell'hospice di Nuoro, in riferimento alla lezione che il professor Vittorio Ventafridda, padre delle cure palliative dell'Istituto tumori di Milano, impartiva ai suoi allievi, ovvero che le cure palliative sono fatte, per metà da medicina, e per metà da altro. Ebbene, mi ha spiegato il dottor Salis che è proprio questo altro che la pandemia ha completamente cancellato, mi ha insegnato che le cure palliative si sono svuotate completamente del loro significato, che non può essere assolto il cardine fondamentale di quel tipo di assistenza, che è l'accompagnamento, messo in opera da uno sforzo comune degli operatori sanitari e dei parenti, che consente al paziente di congedarsi; parole e gesti che rappresentano di fatto un importante testamento morale, che sarà oggetto di sollievo nel ricordo dei congiunti. Le restrizioni hanno cancellato questi percorsi e il paziente, già profondamente provato dalla malattia, abbandona questo mondo in solitudine, ed è quello che sta accadendo oggi, sottosegretaria.

È, quindi, necessario trovare delle soluzioni che riconsegnino valore e significato a questo tipo di assistenza. Un documento dell'ottobre del 2020 della Federazione italiana Cure Palliative descrive, alla luce della pandemia, come vengono complicati alcuni elementi che identificano e definiscono i bisogni delle cure palliative della popolazione colpita, a partire dall'individuazione dei pazienti vulnerabili a rischio di morte. La pandemia da Coronavirus ha inevitabilmente modificato il lavoro delle reti delle cure palliative; in particolare, le attività di ricovero presso gli hospice hanno dovuto subire processi di triage complessi, divieti e drastiche limitazioni all'ingresso dei congiunti. Nel nostro DPCM del 24 ottobre 2020 si prevede che l'accesso dei parenti e dei visitatori a strutture di ospitalità e lungodegenza, residenze sanitarie assistite, le cosiddette RSA, hospice, strutture riabilitative e strutture residenziali per anziani, autosufficienti e non, è limitata ai soli casi indicati dalla direzione sanitaria della struttura, che è tenuta ad adottare le misure necessarie e a prevenire possibili trasmissioni del virus.

Alla luce della pandemia da Coronavirus, la necessità di riorganizzazione delle unità ospedaliere di cure palliative è quanto mai urgente. In assenza di linee-guida ufficiali, il settore è costretto a puntare sulle proprie capacità di autogestione, con strategie diverse, tarate ciascuna sulla propria realtà, e questo succede nei territori e nelle regioni. Le politiche di accesso dei familiari e dei caregiver sono state eterogenee: in alcuni casi, l'accesso è stato consentito a un parente per volta, in alcuni casi è stato addirittura negato a tutti i pazienti, lasciando le persone morire completamente sole, in altri casi ancora, addirittura, è stato consentito a una sola persona, costretta a rimanere a fianco al paziente per giorno e notte, senza mai uscire dalla struttura, anche questa una violenza inaudita.

Si chiede al Ministro se, con il persistere della pandemia da COVID-19, non ritenga di adottare linee-guida nazionali, specifiche per le attività degli hospice, per permettere al paziente nelle ultime fasi della propria esistenza di essere accompagnato dai suoi parenti verso il fine vita.

Si chiede, inoltre, se non intenda predisporre delle misure affinché, presso gli hospice, accreditati o convenzionati presso il Servizio sanitario, siano assicurati regolarmente tamponi di riscontro del COVID-19 per i familiari dei pazienti nel fine vita, al fine di regolamentare la presenza dei parenti all'interno delle strutture, così da permettere che gli hospice di tutta Italia, da Trento a Trapani, fino alla mia Sardegna, abbiano le stesse modalità organizzative e di cura per i malati e di accoglienza per i parenti.

PRESIDENTE. La sottosegretaria di Stato per la Salute Sandra Zampa, ha facoltà di rispondere.

SANDRA ZAMPA, Sottosegretaria di Stato per la Salute. Grazie, Presidente. Molte grazie, onorevole Lapia, grazie della sua interpellanza, che tocca un tema di estrema delicatezza. Come ricordato nella sua interpellanza, l'articolo 1, comma 9, lettera bb), del DPCM 24 ottobre 2020 dispone che l'accesso di parenti e di visitatori nelle strutture di ospitalità e di lungodegenza, nelle residenze sanitarie assistite, negli hospice, nelle strutture riabilitative e residenziali per anziani, autosufficienti o meno, venga limitato ai soli casi indicati dalla direzione sanitaria delle stesse strutture, la quale è tenuta ad adottare le misure idonee e necessarie per prevenire possibili trasmissioni dell'infezione virale da COVID-19.

Segnalo che questa tematica riveste significativa rilevanza per il Ministero della Salute. Proprio per fronteggiare i rischi presso le RSA, fin dall'inizio della pandemia, direttamente o mediante l'Istituto superiore di sanità, sono state adottate specifiche iniziative. L'Istituto superiore di sanità, in particolare, ha predisposto, ed è stato diffuso, il documento “Indicazioni ad interim per la prevenzione e il controllo delle infezioni da SARS-CoV-2 in strutture residenziali sociosanitarie”. Questo documento, contenuto nel Rapporto dell'Istituto superiore, è stato trasmesso, come ho appena detto, alle regioni e alle province autonome con una circolare ministeriale. Si tratta della circolare n. 13468 del 18 aprile 2020. Le indicazioni delineate nel documento riguardano, in particolare, gli aspetti della prevenzione e gli ambiti di preparazione a cui sono tenute le strutture in questione per poter affrontare la gestione di eventuali casi sospetti/probabili/confermati di infezione da COVID-19. Le misure contemplate prevedono il rafforzamento dei programmi in atto per la prevenzione e il controllo delle infezioni correlate all'assistenza, con precipuo riguardo all'adeguata formazione degli operatori coinvolti.

Il documento contiene una sezione dedicata alla sensibilizzazione e alla formazione di parenti e visitatori autorizzati, e, tra gli allegati, è incluso un esempio di scheda di valutazione per l'ingresso dei visitatori. Vengono sottolineate le fondamentali misure di prevenzione, che vanno, come è noto, dall'evitare le strette di mano, i baci e gli abbracci, alla necessità di osservare la distanza di almeno un metro, utilizzare la mascherina, curare l'igiene delle mani, tenere comportamenti corretti, quali tossire coprendosi il naso e la bocca e non condividere oggetti.

A questo documento ha fatto seguito, il 24 agosto scorso, un ulteriore documento dell'Istituto superiore titolato “Indicazioni ad interim per la prevenzione e il controllo dell'infezione da SARS-CoV-2 in strutture residenziali sociosanitarie e socioassistenziali”, anch'esso redatto, come la precedente versione, dal Gruppo di lavoro ISS prevenzione e controllo delle infezioni. Con particolare riguardo all'attuale situazione epidemiologica, l'Istituto superiore di sanità ha ricordato che il DPCM 24 ottobre 2020 include gli hospice negli ambiti delle strutture incluse nell'articolo 1, comma 9, lettera bb). In considerazione di ciò, l'Istituto precisa che si può ritenere che l'accesso dei parenti possa essere regolamentato secondo quanto previsto dal Rapporto Istituto superiore di sanità COVID-19, n. 4/2020. Il Rapporto redatto nella recente versione, quella appunto del 24 agosto, fornisce indicazioni per prevenire l'ingresso di casi sospetti/probabili/confermati di COVID-19 nelle strutture residenziali. Le indicazioni vengono suddivise in tre paragrafi (preparazione della struttura, prima della visita, al momento della visita), con espresso riferimento agli accessi dei familiari, dei visitatori e di altre persone che non fanno parte dello staff sanitario.

In particolare, il rapporto prevede che, nel caso di un focolaio nella stessa area geografica, per tutta la durata dell'emergenza occorre disporre il divieto di accedere alla struttura da parte di familiari e conoscenti; la visita può essere autorizzata in casi eccezionali (come, per esempio, la situazione di fine vita) dalla direzione della struttura con una appropriata valutazione dei rischi-benefici. Le persone autorizzate dovranno comunque essere in numero limitato e osservare tutte le precauzioni raccomandate per la prevenzione della trasmissione dell'infezione da SARS-CoV-2. Nelle situazioni di fine vita, su richiesta del morente o dei familiari, si consideri anche di autorizzare l'assistenza spirituale, ove non sia possibile attraverso modalità telematiche, con tutte le precauzioni raccomandate per la prevenzione della trasmissione dell'infezione da SARS-CoV-2.

Quanto ai tamponi, l'Istituto superiore di sanità precisa che, in base a quanto riportato, la direzione della struttura, nella valutazione dei rischi-benefici specifici per ogni caso, nelle situazioni di fine vita, può prevedere, in accordo alle indicazioni regionali, l'esecuzione del tampone ai familiari. Ciò al fine di permettere, dove le condizioni sanitarie lo rendano possibile, la presenza dei familiari dei pazienti in fine vita all'interno degli hospice.

PRESIDENTE. La deputata Lapia ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatta per la risposta alla sua interpellanza.

MARA LAPIA (M5S). Grazie, sottosegretaria Zampa, ringrazio il Ministro e ringrazio lei per la sua grande sensibilità e attenzione che oggi ha dimostrato verso il mondo degli hospice e delle cure palliative. Sono molto soddisfatta della risposta ricevuta, perché sono convinta che questo Governo, alla luce della pandemia in corso, è impegnato ad uniformare nei diversi territori le politiche sanitarie per le cure palliative e i modelli della presa in carico dei pazienti.

La sua risposta, sottosegretaria, ribadisce quanto sia necessario integrare tutte le competenze del percorso di cura, comprese quelle carenti rispetto ai bisogni manifestati dalle persone e dalle famiglie. Probabilmente siamo ancora all'inizio per quanto riguarda questo percorso. I bisogni dei familiari che vivono un'esperienza di malattia grave di un proprio congiunto sono dei diritti che noi dobbiamo impegnarci a difendere con grande forza. In particolare, dovrebbero poter esprimere le esperienze che si stanno vivendo; capire qual è il miglior comportamento da adottare, nei modi migliori di grande difficoltà delle famiglie; essere ascoltati e supportati nell'affrontare il senso di colpa che potrebbe essere vissuto durante l'assistenza; riuscire a dare un senso alla situazione di malattia inguaribile o della morte; rimanere in contatto con il mondo e con la realtà fuori di casa o fuori dalle strutture; rivisitare i ruoli e i legami affettivi all'interno della coppia e della famiglia.

Gli hospice sono le unità di cura ospedaliere, in definitiva, che hanno operato uno sforzo enorme, riadattando il loro lavoro in una situazione di grande emergenza, anzitutto, perché sono diventate strutture sanitarie di prima linea, in concomitanza con il COVID. Continuare ad avere un rapporto con i familiari è per i pazienti essenziale, anche in questa situazione difficile, tuttavia le misure di isolamento e le limitazioni per i visitatori hanno fatto vivere un forte senso di separazione tra i pazienti e le loro famiglie, lo abbiamo detto. Questo aspetto deve essere notevolmente migliorato: si potrebbe valutare alla luce dei progressi tecnologici che hanno reso maggiormente diffuse le forme di comunicazione a distanza, come le videochiamate, che dovrebbero essere adottate per alleviare il senso di isolamento.

Quindi, gli hospice dovrebbero essere messi in grado, come sostiene la sua risposta, che ho veramente apprezzato tantissimo, di dotarsi di smartphone, tablet, laptop, connessioni a Internet da mettere a disposizione dei pazienti. Alcuni malati potrebbero non essere capaci di utilizzare videochiamate a causa delle loro condizioni cliniche: allora, gli operatori sanitari, sociali, gli assistenti spirituali dovrebbero, quindi, essere capaci di fornire un supporto per favorire, comunque, la comunicazione tra i pazienti e i loro familiari, talora essi stessi in isolamento obbligatorio. Allo stesso modo, bisogna che venga consentita la possibilità di visita da parte dei membri della famiglia, con l'uso dei dispositivi di protezione individuale necessari, laddove il contesto di cura lo permetta. Da ultimo, è necessario considerare che l'effetto della separazione non termina con la morte del paziente, ma anticipa la necessità di sostenere i membri della famiglia attraverso le forme di supporto del lutto che iniziano a essere elaborate all'interno degli hospice; questo è l'hospice. Infine, tenendo conto di quanto detto da lei, qui, è importante assicurare costantemente i tamponi di riscontro del COVID per i familiari dei pazienti, per permettere di regolamentare la presenza dei parenti all'interno degli hospice; tutto questo, naturalmente, senza abbassare la guardia verso le norme di sicurezza e di protezione dal contagio da COVID-19.

Grazie, sottosegretaria Zampa; oggi, abbiamo dato un grande segno di civiltà e un grande segno di apertura e di inizio per quello che rappresenta il percorso delle cure palliative, grazie veramente.

(Iniziative volte a consentire un facile e rapido accesso ai test diagnostici, nonché a ottimizzare i tempi di risposta dei test effettuati in relazione alla gestione di casi e focolai di COVID-19 nelle scuole e nei servizi educativi dell'infanzia - n. 2-00998)

PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Nappi ed altri n. 2-00998 (Vedi l'allegato A).

Chiedo alla deputata Silvana Nappi se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica. La illustra, collega?

SILVANA NAPPI (M5S). Sì, grazie, Presidente. Sottosegretaria Zampa, dalla circolare n. 17167 del 21 agosto 2020, recante: “Indicazioni operative per la gestione di casi e focolai di SARS-CoV-2 nelle scuole e nei servizi educativi dell'infanzia”, successivamente approvata dalla Conferenza unificata del 28 agosto 2020, richiamata poi dal DPCM del settembre 2020, si forniscono chiarimenti in merito agli attestati di guarigione da COVID-19 o da patologie diverse da COVID-19 per gli alunni e il personale sanitario. Anche in una successiva circolare, quella del 24 settembre 2020, sono stati forniti ulteriori chiarimenti in merito agli attestati di guarigione da COVID-19 o da patologia diversa per gli alunni e per il personale scolastico.

In dette circolari sono rappresentati gli scenari più frequenti rispetto al verificarsi di casi o anche di focolai da COVID-19 nella scuola e le conseguenti indicazioni, sia per il contenimento della pandemia e dell'epidemia, che per garantire la continuità in sicurezza delle attività didattiche ed educative. In particolare, le indicazioni riguardano quattro scenari che concorrono a evidenziare il caso sospetto, anche sulla base del medico di medicina generale e del pediatra di libera scelta. I casi previsti riguardano sia gli alunni che il personale scolastico: per quanto riguarda gli alunni, quando si presenta la temperatura o la sintomatologia è compatibile con il COVID in ambiente scolastico o al proprio domicilio e la stessa cosa per l'operatore scolastico che presenta un aumento della temperatura al di sopra dei 37,5 e, quindi, una sintomatologia compatibile con il COVID-19 in ambito scolastico o al proprio domicilio. Quindi, questi sono le quattro ipotesi e i quattro scenari che vengono presi in considerazione.

In presenza di sintomatologia sospetta, il pediatra di libera scelta o il medico di medicina generale richiedono tempestivamente il test diagnostico e lo comunicano al dipartimento di prevenzione o al servizio preposto sulla base dell'organizzazione regionale. Il dipartimento di prevenzione o il servizio preposto provvedono all'esecuzione del test diagnostico. Se il caso viene confermato il dipartimento di prevenzione si attiva per l'approfondimento dell'indagine epidemiologica e le procedure conseguenti.

Voglio sottolineare che gli operatori scolastici e gli alunni hanno una priorità sull'esecuzione dei test diagnostici. Le indicazioni previste, dunque, che concorrono a definire un caso sospetto, anche sulla base della valutazione del medico curante, determinano l'efficacia del procedimento.

In presenza, invece, di sintomatologia dubbia, il pediatra di libera scelta o il medico di medicina generale richiedono lo stesso tempestivamente il test diagnostico, comunicandolo al servizio preposto sulla base dell'organizzazione regionale. Lo studente e il lavoratore saranno quindi obbligati a rimanere fino a guarigione clinica, seguendo l'indicazione dei loro medici che, poi, alla fine, redigeranno una certificazione per autorizzarli al rientro, attestando l'esecuzione del percorso diagnostico-terapeutico e di prevenzione per il COVID-19, come disposto dai documenti nazionali e regionali. Allo stato attuale, dunque, studenti e lavoratori, pure per una patologia che non è da COVID-19, quindi una patologia da raffreddamento, saranno costretti a restare in casa dai sette ai dieci giorni ovvero fino a guarigione completa e non prima dell'esito negativo del test diagnostico, che è di difficile esecuzione, viste le lunghe liste d'attesa.

Questa interpellanza è proprio per sapere se il Ministro interrogato sia a conoscenza della suindicata situazione e quali misure intenda adottare per implementare i tempi di risposta dei test attuati presso le ASL e strutture private, consentire un facile e rapido accesso ai test diagnostici e, di questi, specificarne la sensibilità e l'attendibilità; identificare, implementare e approvvigionare i soggetti autorizzati dei test rapidi affidabili da utilizzare anche presso gli studi medici, ai fini della certificazione che i pediatri di libera scelta o i medici di medicina generale devono redigere per il rientro a scuola.

PRESIDENTE. La sottosegretaria di Stato per la Salute, Sandra Zampa, ha facoltà di rispondere.

SANDRA ZAMPA, Sottosegretaria di Stato per la Salute. Grazie, Presidente. Onorevole Nappi, la ringrazio della sua interpellanza che mi dà modo di fornire informazioni molto utili. Nell'ambito delle strategie di prevenzione e di controllo, ricordo che, con il DPCM del 4 marzo 2020, in considerazione dell'evolversi della situazione epidemiologica, l'attività didattica nelle scuole di ogni ordine e grado e nelle università è stata sospesa, ovviamente per ragioni prudenziali, ma l'attenzione posta sul tema della riapertura delle scuole è stata sempre massima, con inizio del mese di settembre 2020. In particolare, in vista della riapertura, il 21 agosto 2020 il Ministero della Salute ha diramato, dopo un lavoro molto intenso nei mesi precedenti, indicazioni operative per la gestione dei casi e dei focolai di SARS-CoV-2 nelle scuole e nei servizi educativi dell'infanzia. Queste indicazioni sono state elaborate da un gruppo di lavoro di cui fanno parte l'Istituto superiore di sanità, il Ministero, l'INAIL, la Fondazione Bruno Kessler, le regioni Emilia-Romagna e Veneto e sono state successivamente approvate con parere reso dalla Conferenza unificata Stato-Regioni nella seduta del 28 agosto. Successivamente, sono state integralmente allegate nel DPCM e, quindi, diramate nel DPCM del 7 settembre 2020. Il documento illustra gli scenari più frequenti rispetto al verificarsi di casi e/o focolai da COVID-19 nelle scuole e formula le conseguenti indicazioni sia per il contenimento dell'epidemia sia per garantire la continuità in sicurezza delle attività didattiche ed educative. Queste misure possono ridurre il rischio di trasmissione in ambito scolastico ma, ovviamente, non hanno il potere di azzerarlo. Pertanto, è stata sviluppata una strategia nazionale di risposta, correlata alla situazione epidemiologica e ad eventuali casi sospetti confermati, che possano avvenire in ambito scolastico, o che abbiano ripercussioni su di esso. Le attuali strategie di contenimento sono basate sulle conoscenze scientifiche disponibili. Nel documento sono rappresentati, in particolare, quattro scenari che concorrono a definire un caso sospetto, anche sulla base della valutazione del medico curante, il pediatra di libera scelta o il medico di medicina generale. Il primo scenario: caso in cui un alunno presenti un aumento della temperatura corporea al di sopra di 37 gradi e mezzo (37,5) o sintomatologia compatibile con COVID-19. Il secondo è il caso in cui un alunno presenti un aumento della temperatura corporea al di sopra di 37,5 o sintomatologia compatibile, presso il proprio domicilio. Il terzo è il caso in cui un operatore scolastico presenti un aumento della temperatura al di sopra di 37,5 o sintomatologia compatibile, in ambito scolastico. Ovviamente, in questi casi, in presenza di entrambe le situazioni. Infine, il caso in cui un operatore scolastico presenti un aumento della temperatura corporea al di sopra di 37,5 gradi e sintomatologia compatibile con COVID-19, al proprio domicilio.

Va precisato che questi scenari si basano su un presupposto fondamentale, che è la valutazione clinica della sintomatologia da parte del medico. In questo contesto, il ruolo del pediatra o del medico di base è evidentemente prezioso e imprescindibile, anche alla luce della conoscenza della storia dell'assistito, quindi, di una storia che tiene conto dell'anamnesi dell'assistito. Il pediatra di libera scelta o il medico, in base alla valutazione clinica e alla presenza di eventuali possibili cause alternative al COVID-19, come possono essere uno stato allergico, una recente vaccinazione o una patologia cronica, giudicherà opportuno o meno porre l'indicazione al test diagnostico, indicando quale test prescrivere. Qualora il pediatra o il medico ritenga opportuno richiedere il test diagnostico, si provvederà alla sua esecuzione, secondo le disposizioni e l'organizzazione regionale inevitabilmente.

Con la circolare del Ministero della Salute n. 30847 del 24 settembre 2020, che riguarda la riapertura delle scuole, sono state fornite indicazioni, riguardo alla modalità di riammissione a scuola per assenza dovuta a motivazione sanitaria.

In caso di diagnosi di patologia diversa da COVID - quindi, con un test diagnostico non effettuato - la riammissione a scuola dovrà essere effettuata con certificazione medica o giustificazione della famiglia, sulla base del numero di giorni di assenza, nel rispetto delle disposizioni regionali, che sono diverse da regione a regione. Il soggetto rimarrà a casa fino alla guarigione clinica, seguendo le indicazioni del pediatra o del medico di base, il quale redigerà l'attestazione che l'alunno può rientrare a scuola, poiché è stato seguito il percorso diagnostico-terapeutico e di prevenzione per COVID-19, come disposto da documenti nazionali o regionali, anche a suo giudizio clinico. Se il test diagnostico è positivo, il dipartimento di prevenzione si attiva per l'approfondimento dell'indagine epidemiologica e le procedure conseguenti. Per il rientro in comunità bisognerà attendere la guarigione clinica, cioè la totale assenza di sintomi.

La conferma di avvenuta guarigione prevede l'effettuazione di un test diagnostico molecolare, da effettuarsi al termine del periodo di isolamento di almeno dieci giorni dalla comparsa dei sintomi e di cui almeno tre in assenza completa di sintomatologia. Se il tampone risulterà negativo, la persona potrà definirsi guarita, altrimenti proseguirà l'isolamento. Per la riammissione a scuola del caso positivo, il pediatra di libera scelta o il medico di base redigerà un'attestazione che l'alunno può rientrare a scuola, poiché è stato seguito il percorso diagnostico-terapeutico e di prevenzione per COVID-19. Per la riammissione a scuola dei compagni di classe e degli insegnanti posti in quarantena, il pediatra o il medico di base redigerà un'attestazione che il bambino, lo studente, l'insegnante può rientrare a scuola, poiché è stato seguito il percorso diagnostico-terapeutico e di prevenzione per COVID-19. Se il test diagnostico è negativo, il soggetto deve comunque restare a casa fino a guarigione clinica e a conferma negativa del secondo test.

Per la riammissione a scuola il pediatra di libera scelta o il medico di base redigerà un'attestazione per il bambino/studente per il rientro a scuola, poiché è stato seguito il percorso diagnostico-terapeutico e di prevenzione per COVID-19. La riammissione a scuola per assenza dovuta ad altre motivazioni, non sanitarie, potrà essere effettuata, indipendentemente dal numero di giorni, senza certificazione, qualora sia stata preventivamente comunicata alla scuola dalla famiglia, salvo diverse disposizioni regionali. Sarebbe auspicabile, in questo contesto, l'utilizzo del test antigenico rapido, per assicurare una diagnosi accelerata di casi di COVID-19, facilitando la decisione di applicare o meno misure di quarantena in tempi brevi, evitando un eccessivo sovraccarico dei laboratori di riferimento. Infatti, alunni e operatori scolastici hanno priorità nell'esecuzione dei test diagnostici.

A questo fine, la circolare del Ministero della Salute n. 31400 del 29 settembre scorso fornisce informazioni in ordine alla natura e all'efficacia dei test attualmente disponibili per rilevare l'infezione da SARS-CoV-2, nonché evidenzia l'utilità dei test antigenici rapidi, come strumento di prevenzione nell'ambito del sistema scolastico. È certamente lecito assumere, infatti, che la frequenza di episodi febbrili nella popolazione scolastica nel periodo autunnale e invernale sia particolarmente elevata e che sia necessario ricorrere spesso alla pratica del tampone per escludere in tempi rapidi la possibilità che si tratti di COVID-19, nonché per individuare prontamente i casi per isolarli e per rintracciarne i contatti, facilitando la decisione di applicare o meno misure quarantenarie in tempi brevi e con un risparmio notevole di risorse, evitando un eccessivo sovraccarico dei laboratori di riferimento. In caso di sospetto diagnostico, ovvero in caso di esposizione al rischio del personale scolastico o degli alunni, ove sussistano i presupposti sopra indicati, si può pertanto ricorrere anche al test antigenico rapido. Ad oggi, non vi sono ancora sufficienti studi scientifici pubblicati che, a fronte di contesti specifici e di un'ampia casistica, forniscano indicazioni sulla sensibilità e specificità dei test antigenici rapidi. Allo stato attuale, i parametri disponibili sono quelli dichiarati dal produttore: 70-86 per cento per la sensibilità e 95-97 per cento per la specificità.

Alla luce delle evidenze di cui disponiamo attualmente, della situazione epidemiologica e delle difficoltà a fornire i risultati dei test in tempi compatibili con le esigenze di salute pubblica, risulta fondamentale la scelta appropriata tra i test disponibili, secondo un utilizzo razionale delle risorse diagnostiche a disposizione. Rimane essenziale la rapidità di diagnosi dei soggetti con sospetto clinico e/o con i sintomi e dei contatti per controllare il focolaio, limitando la diffusione del virus, avvalendosi di quarantena e isolamento. Appaiono, quindi, importanti per la valutazione della scelta del test da utilizzare diversi parametri, come, per esempio: i tempi di esecuzione del test (alcune ore per i test molecolari, contro i 15-30 minuti di un test antigenico rapido); la necessità di personale specializzato e di strumentazione dedicata disponibile solo in laboratorio, rispetto alle piccole strumentazioni portatili da poter utilizzare ovunque; i costi da affrontare per una politica basata sulla ripetizione dei test; il trasporto dei campioni rispetto alle esecuzioni in loco; l'accettabilità del test da parte dei soggetti sotto l'aspetto dell'invasività del test; la facilità di raccolta del campione; l'addestramento necessario a raccogliere e a processare i campioni; la disponibilità dei reagenti; la stabilità dei campioni.

In caso di necessità, ad esempio per l'accumularsi di campioni da analizzare con ritardi nella risposta, con carenza di reagenti, nell'impossibilità di stoccaggio dei campioni in modo sicuro o sovraccarico lavorativo del personale di laboratorio, è raccomandata l'applicazione, nell'effettuazione dei test diagnostici, dei criteri di priorità riportati nelle circolari del Ministero n. 11715 del 3 aprile scorso e n. 17167 del 21 agosto scorso.

Recentemente sono stati proposti sul mercato test che utilizzano la saliva come campione da analizzare. Questi test, che sono meno invasivi e ovviamente sono di esecuzione più semplice rispetto a quelli che prevedono l'utilizzo del tampone naso-faringeo, soprattutto ovviamente sui bambini, potrebbero risultare utili per lo screening di un elevato numero di persone. Anche in questo caso esistono test di tipo molecolare, che rilevano cioè la presenza nel campione dell'RNA del virus, e di tipo antigenico, che rilevano nel campione le proteine virali. Attualmente sono ancora in una fase di validazione per identificare esattamente il loro contesto di utilizzo. È prevedibile ed è auspicabile che i nuovi sviluppi tecnologici basati sull'evidenza scientifica permettano di realizzare test diagnostici rapidi e con migliore sensibilità. La disponibilità di questi test, dopo l'opportuna valutazione, potrà rappresentare effettivamente un contributo importante nel controllo della trasmissione di SARS-CoV-2.

La grave situazione emergenziale che stiamo affrontando e lo scenario epidemico che si sta prospettando, e che in realtà è già sotto i nostri occhi per il periodo autunno-inverno, caratterizzato da una trasmissibilità sostenuta e diffusa di SARS-CoV-2, rende quanto mai necessario assicurare che la risposta dell'assistenza territoriale sia realizzata in tutte le sue potenzialità. A questo si aggiunge l'esigenza di rafforzare le attività di indagine epidemiologica, di tracciamento dei contatti, di accertamento diagnostico, al fine di identificare rapidamente i focolai, di isolare i casi, di applicare misure di quarantena dei contatti, contribuendo a mantenere la trasmissione del virus sotto controllo.

In considerazione della necessità di intervenire con assoluta urgenza, l'articolo 18 del decreto-legge 28 ottobre 2020, per sostenere il sistema diagnostico attraverso l'esecuzione di tamponi antigenici rapidi da parte dei medici di medicina generale e dei pediatri di libera scelta, secondo specifiche modalità affidate agli accordi collettivi nazionali di settore, ha autorizzato per l'anno 2020 la spesa di 30 milioni di euro. Si aggiunge che sono in corso valutazioni per disporre ulteriori finanziamenti anche per coprire l'inizio del 2021.

Dopo l'approvazione dell'articolo 18, il comitato che ho appena richiamato, il comitato di settore della sanità, ha ritenuto di integrare gli indirizzi per il rinnovo degli accordi collettivi nazionali della medicina generale e della pediatria di libera scelta, per pervenire alla sottoscrizione di uno specifico accordo che disciplina, tra l'altro, le modalità di coinvolgimento dei medici di medicina generale e dei pediatri di libera scelta nell'esecuzione di tamponi antigenici rapidi, per evitare che il rafforzamento di queste attività gravi esclusivamente sui dipartimenti di sanità pubblica.

In conformità agli indirizzi impartiti dal comitato che ho appena citato e al fine di evitare che l'attività di indagine epidemiologica con il tracciamento dei contatti, l'accertamento diagnostico per l'identificazione rapida dei focolai, l'isolamento dei casi e l'applicazione delle misure di quarantena gravino esclusivamente sui Dipartimenti di prevenzione, con l'accordo collettivo nazionale del 27 ottobre 2020 è stato disposto il coinvolgimento dei medici e dei pediatri di libera scelta per il rafforzamento del servizio, esclusivamente per l'effettuazione dei tamponi antigenici rapidi, prevedendo l'accesso su prenotazione e previo triage telefonico.

PRESIDENTE. La deputata Silvana Nappi ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatta per la risposta alla sua interpellanza.

SILVANA NAPPI (M5S). Grazie sottosegretaria Zampa per le risposte che ci ha fornito. Sono soddisfatta della sua relazione, perché questa ondata dell'epidemia ha accelerato il numero dei casi affetti da COVID-19, un numero talmente alto di contagiati in tempi ristrettissimi, che ha messo a dura prova la sanità, quindi un picco epidemico molto preoccupante. Attualmente, le vie di accesso per eseguire i tamponi sono le stesse sia per l'ottenimento della diagnosi sia per effettuare tamponi per la verifica della guarigione. Siamo consapevoli dell'impegno del Governo e dell'importanza degli studi epidemiologici che vengono settimanalmente trasmessi, ma ciò non può farci perdere di vista la priorità e la priorità resta l'assistenza del malato, che attende con angoscia la possibilità di effettuare un tampone, che il più delle volte tarda ad arrivare, sia per avere la diagnosi certa che per ottenere la possibilità di ritorno ad una vita normale, dopo un isolamento fiduciario o preventivo precauzionale. Si verifica anche che, di fronte ad uno stato di preoccupazione ed indipendentemente dal consulto medico, a seguito di un contatto con COVID-19 positivo, senza aspettare i tempi necessari per un'eventuale positivizzazione, l'utenza ricorra a laboratori privati, effettuando test a pagamento e troppo in anticipo, determinando anche nel privato liste d'attesa e compromettendo l'individuazione della malattia. Questo anche perché le linee guida non sono univoche su tutto il territorio nazionale, come afferma anche la Ministra Azzolina, per cui non è possibile capire in che misura la scuola sia causa di diffusione del COVID-19, perché le linee sono incerte sia sui tempi che sulle tipologie di esecuzione di questi test. L'impegno del Governo e l'abbiamo visto anche nell'articolo 18 del “decreto Ristori”, che ha previsto l'intervento della medicina di base, rifornendo i medici di medicina generale di tamponi per supportare, con l'esecuzione dei test e la velocizzazione quindi delle risposte, le ASL, che sono notoriamente in affanno su tutto il territorio nazionale. Sarebbe opportuno però fornire presso gli studi medici la possibilità anche di test rapidi, come lei diceva, che devono essere attendibili, soprattutto per fare anche una diagnosi differenziale da una sintomatologia simil-influenzale. Questo porterebbe ad uno snellimento delle procedure, non convogliando tutte le richieste inutili di tamponi molecolari presso le strutture pubbliche. È necessario quindi che tutti i test diagnostici rapidi specifichino anche la sensibilità e l'attendibilità, anche per fare sì che il medico di medicina generale che redige il certificato alla fine della malattia abbia e dia la garanzia almeno di una certificazione, ai fini di una sicurezza medico legale. Noi, come medici di medicina di base, aspettiamo molto il test salivare, perché decisamente meno invasivo e quindi più facile da utilizzare in pochi minuti e speriamo che la ricerca vada avanti e che possa essere effettuato e portato nei laboratori nostri di medicina.

(Iniziative di competenza, in particolare di carattere normativo, volte a velocizzare i contenziosi in materia di usi civici - n. 2-01001)

PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Alberto Manca n. 2-01001 (Vedi l'allegato A).

Chiedo al deputato Alberto Manca se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica.

ALBERTO MANCA (M5S). Grazie Presidente e grazie sottosegretario, l'interpellanza riguarda la nomina del commissario per la liquidazione degli usi civici, nomina che oggi compete al Consiglio superiore della magistratura sulla base della presentazione spontanea della domanda per l'esercizio di tale funzione. È una figura che svolge la propria attività in aggiunta ai ruoli detenuti dal magistrato ordinario del tribunale o della corte d'appello, per la quale, dal punto di vista della retribuzione, non è previsto alcun emolumento aggiuntivo, sebbene sia gravata di un compito assai più arduo del solito in quanto spesso si trova di fronte a questioni di enorme complessità e di difficile soluzione. Occorre poi segnalare che, qualora non siano state presentate domande spontaneamente dai magistrati dotati dei requisiti per tale funzione, il Consiglio superiore della magistratura non può procedere alla nomina e pertanto, in tali circostanze, l'onere di nominare il commissario ricade sul presidente della corte d'appello competente, che, in casi simili, non potendo lasciare scoperta tale funzione, cosa che invece accade molto spesso, assegna d'ufficio ad uno dei tanti magistrati aventi i requisiti lo svolgimento di tale incarico; situazione, questa, che accade soventemente, generando enormi ritardi nella risoluzione delle controversie, come ad esempio è accaduto in Sardegna dove tale criticità si è palesata frequentemente, atteso l'elevato numero di contenziosi aperti a causa delle gravissime problematiche sorte tra la regione e i comuni destinatari degli accertamenti previsti dall'articolo 5 della legge regionale n. 12 del 1994.

In circostanze simili a quella sopradescritta, vengano alla luce notevoli criticità legate al processo di individuazione dei commissari per la liquidazione degli usi civici: ciò, in primo luogo, per il ristretto numero di magistrati aventi requisiti e, in secondo luogo, perché tra i pochi magistrati nessuno spontaneamente si propone a causa della gravosità del ruolo, che, tra l'altro, come ho già detto, non prevede alcuna remunerazione aggiuntiva.

In base a quanto finora descritto, emerge un'ulteriore criticità legata, inoltre, alla durata semestrale dell'incarico temporaneo del commissario per la liquidazione degli usi civici e ai tempi biblici per la nomina dei sostituti. Tra l'altro, la complessità della materia, talvolta accompagnata anche dalla difficoltà di recuperare e di interpretare documenti molto antichi, rende particolarmente ardua l'impresa del commissario di concludere la fase istruttoria e, quindi, di giungere ad una decisione entro la scadenza del proprio incarico, con la conseguenza che i giudizi pendenti restano bloccati per mesi prima di essere riassegnati; senza tralasciare l'aspetto non meno rilevante che il commissario subentrante sarà chiamato a riesaminare in pochissimo tempo tutta la copiosa documentazione prodotta in ogni singolo giudizio cui è chiamato a pronunciarsi, oppure laddove, attraverso lo strumento del ricorso, siano incardinati o introdotti nuovi giudizi e il ricorrente deve attendere mesi prima di vedere valutata la fondatezza o meno del proprio ricorso e ricevere la comunicazione dell'esito di tale preventiva istruttoria, al fine di ordinare la notifica del ricorso ai soggetti direttamente chiamati in giudizio o, in caso di esito negativo dell'istruttoria iniziale, archiviarne il caso.

Sul punto, attesa l'importanza della tutela degli usi civici e la particolare attenzione ad essa rivolta anche dai giudici costituzionali, quindi, chiediamo se il Ministero sia a conoscenza e quali iniziative normative il Ministero interpellato intenda intraprendere per risolvere le criticità rappresentate in premessa, al fine di velocizzare l'iter processuale dei giudizi che abbiano per oggetto gli usi civici; e se siano previste iniziative, per quanto di competenza, volte ad incentivare la disponibilità dei magistrati ad assumere l'incarico di commissario per la liquidazione degli usi civici.

PRESIDENTE. La Sottosegretaria di Stato, Sandra Zampa, ha facoltà di rispondere.

SANDRA ZAMPA, Sottosegretaria di Stato per la Salute. Grazie, Presidente. Grazie, onorevole Manca. Con l'atto parlamentare che lei ha appena illustrato, viene evidenziata la difficoltà di reperire magistrati interessati allo svolgimento della funzione di commissario per la liquidazione degli usi civici, la peculiare gravosità di questo incarico e l'assenza di una specifica remunerazione, auspicando l'assunzione di opportune iniziative volte a “velocizzare l'iter processuale dei giudizi che abbiano per oggetto gli usi civici” e “ad incentivare la disponibilità dei magistrati ad assumere l'incarico di commissario per la liquidazione degli” stessi.

L'articolo 27, comma 2, della legge 16 giugno 1927, n. 1766, disponeva che: “i commissari saranno nominati con decreto reale su proposta del Ministro per l'economia nazionale, con consenso del Ministro per la giustizia e gli affari di culto e scelti fra magistrati di grado non inferiore a quello di consigliere di Corte di appello e prenderanno il nome di Commissari per la liquidazione degli usi civici.”

Con sentenza della Corte costituzionale del 13 luglio 1989, n. 398, questa norma è stata dichiarata costituzionalmente illegittima “…nella parte in cui in luogo della disciplina ivi prevista non rimette alla competenza del Consiglio superiore della magistratura, a norma dell'articolo 105 della Costituzione, le assegnazioni a magistrati ordinari dell'ufficio di commissario agli usi civici”. La Corte ha precisato che la nomina del commissario regionale per la liquidazione agli usi civici da parte dell'autorità amministrativa era originariamente legittima, in ragione dei poteri anche amministrativi attribuiti a questo organo dalla legge n. 1766 del 1927, la quale aveva riunito nell'unica figura del commissario i compiti di amministrazione e giurisdizione di primo grado. Successivamente, con decreto del Presidente della Repubblica del 15 gennaio 1972, n. 11, articolo 1, ultimo comma, e con decreto del Presidente della Repubblica del 24 luglio 1977 n. 616, articoli 66 e 71, sono state trasferite alle regioni a statuto ordinario le funzioni amministrative in materia di usi civici, mentre i commissari hanno mantenuto funzioni prevalentemente giurisdizionali. Nel sistema di ripartizione delle attribuzioni così delineato i giudici della Consulta hanno ritenuto disarmonico il potere di proposta di nomina in capo al Ministro dell'Agricoltura, rispetto ai generali poteri deliberativi attribuiti al Consiglio superiore della magistratura dall'articolo 10 della legge 24 marzo 1958 n. 195. Con la circolare n. 3692 dell'8 marzo 1990, emanata all'indomani della pronuncia di incostituzionalità appena menzionata, il CSM ha dettato i criteri generali per la copertura dei posti di commissario e commissario aggiunto agli usi civici, prevedendo in particolare la pubblicazione sul Bollettino ufficiale del Ministero della Giustizia dei posti vacanti, previamente indicati dal Ministero dell'Agricoltura, e la nomina, tra coloro che hanno presentato domanda per ottenere l'attribuzione di tali funzioni. È stato inoltre chiarito nella stessa sede che la pubblicazione sul Bollettino ufficiale, che può essere evitata nei casi di particolare urgenza segnalati dal Ministero dell'Agricoltura, deve specificare se l'assegnazione implichi l'esercizio esclusivo delle funzioni nel posto di destinazione, circostanza che impedisce che il designato svolga altre attività. A seguito dell'abrogazione del Ministero dell'Agricoltura e delle foreste e in attesa del riordino generale della materia, le funzioni in materia di usi civici sono state attribuite al Ministero della Giustizia dalla legge 4 dicembre 1993, n. 491, articolo 5. Nella risoluzione del 9 marzo 1994, il CSM ha esaminato in maniera più approfondita la posizione dei magistrati addetti ai commissariati agli usi civici, qualificandoli come giudici ordinari e non speciali, che esercitano la giurisdizione civile su una materia disciplinata da specifiche disposizioni e che svolgono nel contempo alcune funzioni amministrative, secondo i principi tipici della volontaria giurisdizione. Tale inquadramento ha escluso il collocamento dei commissari fuori dal ruolo organico della magistratura e ha stabilito che l'affidamento dell'incarico, se non esclusivo, comporta il mantenimento delle precedenti funzioni giurisdizionali svolte. In assenza di un organico dei commissari, stabilito con disposizione di legge, l'organo di autogoverno della magistratura ha poi ritenuto necessario: individuare il numero complessivo degli incarichi a tempo pieno o a tempo parziale da conferire sulla base di flussi di lavoro registrati nelle singole sedi e su quelli prevedibili; stabilire la percentuale dell'attività del magistrato da destinare all'assolvimento degli incarichi a tempo parziale; destinare ad ogni commissariato almeno un magistrato, fatta salva la possibilità di designare, ove necessario, uno o più commissari aggiunti, come previsto dall'articolo 1 della legge del 10 luglio 1930, n. 1078. La risoluzione in esame ha affrontato anche le questioni del carico di lavoro affidato al singolo commissario, precisando che “degli incarichi di commissario a tempo parziale deve tenersi conto in sede di formazione delle tabelle dell'ufficio cui essi sono incardinati, al fine di dimensionare opportunamente il carico di lavoro ordinario ad essi assegnato. A tal fine il Consiglio superiore della magistratura deve comunicare all'ufficio cui spetta la predisposizione delle tabelle quale percentuale del lavoro giudiziario del magistrato è destinato, nel caso concreto, all'assolvimento dell'incarico di commissario”. Ha infine escluso l'equiparabilità delle funzioni svolte dal magistrato addetto al commissariato per gli usi civici alle funzioni direttive previste dall'ordinamento giudiziario, precisando che tale attività, ritenuta di tipo dirigenziale, debba essere comunque valutata come attestazione di capacità professionale “…ad ogni possibile fine, a cominciare dai casi in cui esso concorra per un trasferimento, per una promozione, per un'assegnazione di uffici direttivi in senso stretto…”.

La circolare 13778, adottata dalla terza commissione del CSM con delibera del 24 luglio 2014, ha fissato la durata dell'incarico in quattro anni, con possibilità di rinnovo per un ulteriore quadriennio su richiesta dell'interessato (articolo 128, comma 1). La medesima circolare ha altresì stabilito che “il CSM, sentito il consiglio giudiziario competente, può escludere dal concorso quei candidati che svolgono funzioni giudiziarie che comportino un impegno di lavoro non compatibile con l'attività dei commissari o che, per la distanza o le difficoltà di collegamento con la sede di servizio, non possono assicurare l'esercizio, senza inconvenienti, di entrambe le funzioni”.

L'ultima circolare emanata dal CSM sulla formazione delle tabelle di organizzazione degli uffici giudicanti, relativa al triennio 2020-2022 e approvata con delibera del 23 luglio 2020, prevede inoltre che le proposte tabellari dei singoli uffici devono indicare i commissari agli usi civici e gli eventuali commissari aggiunti (articolo 217) e che “i commissari agli usi civici possono essere parzialmente esonerati dall'attività giudiziaria, in misura non superiore al 20 per cento, in considerazione del concreto impegno che l'incarico comporta in relazione al carico di lavoro dell'ufficio. Il provvedimento di esonero, da emanarsi anche in assenza di specifica richiesta e con variazione tabellare, indica le modalità relative alla concreta applicazione della riduzione delle assegnazioni ed è riprodotto tra i criteri di assegnazione della sezione ove risulti assegnato il magistrato” (articolo 218, commi 1 e 2).

Il conferimento degli incarichi di commissario e di commissario aggiunto agli usi civici compete dunque in via esclusiva al Consiglio superiore della magistratura; le vacanze dei posti afferenti le predette figure sono pubblicate sul Bollettino ufficiale del Ministero della Giustizia a richiesta del CSM. Nella richiesta di pubblicazione della vacanza di posti è specificato, in particolare, se l'assegnazione dell'incarico di commissario o di commissario aggiunto implichi o meno l'esercizio esclusivo delle funzioni nel posto di destinazione, ai sensi dell'articolo 28, ultimo comma, della legge 16 giugno 1927, n. 17661. Qualora l'assegnazione del posto non determini l'esercizio esclusivo delle funzioni di commissario, al concorso possono partecipare solo i magistrati del distretto della corte di appello in cui si trova la sede del commissariato e quelli delle province limitrofe.

Qualora l'assegnazione del posto sia correlata all'esercizio di funzioni non esclusive di commissario o di commissario aggiunto, il Consiglio superiore della magistratura, sentito il consiglio giudiziario competente, può escludere dal concorso quei candidati che svolgono funzioni giudiziarie che comportino un impegno di lavoro non compatibile con l'attività del commissario o che, per la distanza o le difficoltà di collegamento con la sede di servizio, non possono assicurare l'esercizio di entrambe le funzioni (giurisdizionale ordinaria e commissariale).

I magistrati che non abbiano maturato un biennio di permanenza nell'ufficio che occupano non possono concorrere all'assegnazione di un posto di commissario agli usi civici che implichi l'esercizio esclusivo delle relative funzioni. Quanto ai criteri adottati per la copertura dei posti di commissario e commissario aggiunto agli usi civici va rimarcato, infine, che la graduatoria degli aspiranti viene formata attraverso una valutazione comparativa tra i candidati. Con delibera adottata in data 8 marzo 2017, il CSM ha, infine, confermato la possibilità di ricorrere all'istituto dell'applicazione di un magistrato con funzioni giudicanti per svolgere le funzioni di commissario per la liquidazione degli usi civici, in attesa della copertura del posto vacante, precisando che: “La natura giurisdizionale dell'organo e il suo inserimento nel sistema tabellare portano a ritenere la possibilità di ricorrere all'istituto dell'applicazione, come peraltro già previsto in passato da questo Consiglio”. L'applicazione non richiede il consenso del magistrato designato se ha durata non superiore ai sei mesi; in particolare, rinvio alla circolare adottata dal plenum del CSM del 20 giugno 2018 contenente “Disposizioni in materia di supplenze, assegnazioni, applicazioni e magistrati distrettuali per assicurare il regolare svolgimento della funzione giurisdizionale in presenza di difficoltà organizzative”. La previsione del parziale esonero rappresenta un incentivo allo svolgimento dell'incarico. La situazione verrà monitorata alla luce dell'ultima circolare emanata dal CSM il 23 luglio 2020, al fine di verificare se le criticità evidenziate dagli interpellanti permarranno e di valutare eventuali iniziative normative.

PRESIDENTE. Il deputato Alberto Manca ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.

ALBERTO MANCA (M5S). Grazie, Presidente. Grazie sottosegretaria, mi ritengo soddisfatto della risposta articolata, nonché per la celerità con la quale il Governo ha preso in mano questa criticità e si impegna di verificarla e risolverla. Chiaramente, la problematica degli usi civici e dell'assegnazione dei commissari non è una problematica nata ieri. Ma se, prima, i demani collettivi, la fruizione del diritto di uso civico era un beneficio datato, antico, diciamo, oggi, assume, via via, importanza maggiore.

Infatti, si passa, da un punto di vista normativo, dal Ventennio, con la legge citata da lei, sottosegretaria, la n. 1766 del 1927. Tale normativa mirava a fornire gli strumenti utili per rintracciare e classificare gli usi civici nei catasti comunali attraverso delle prove - quindi, documenti, evidenze documentali -, per dimostrare la persistenza della promiscuità dopo il 1800. In tale modo, e in quel caso le terre sarebbero state riconosciute legalmente protette da interessi privati e non ricadenti su tutta la comunità, quali usucapione o altre illegalità. Ricordiamoci che le terre gravate da usi civici si caratterizzano per la loro destinazione ad uso agro-silvo-pastorale da parte delle collettività che ne sono titolari. Inoltre, i diritti delle popolazioni sulle terre collettive si caratterizzano come diritti soggettivi pieni, coperti pertanto da tutte le garanzie delle libertà costituzionali. Quindi se, da un lato, la legge n. 1766 del 1927 rappresenta, a tutti gli effetti, una normativa liquidatoria, dall'altro, per la prima volta, ha offerto una classificazione dettagliata delle promiscuità secondo le finalità d'uso: pascolatico, legnatico, ghiandatico, seminatico. Successivamente, si è avuta una riaffermazione degli usi civici dopo tanti anni e delle proprietà collettive con le leggi sulla montagna: la n. 991 del 1952 e le successive, cioè la n. 1102 del 1971 e la n. 97 del 1994. Qua si riconobbe la loro utilità nella salvaguardia ambientale, soprattutto nei territori montani maggiormente interessati dagli assetti fondiari collettivi. Questi, infatti, offrono un modello di sviluppo ecosostenibile, che ha come fine la fertilità e la salute dell'ambiente. Ciò è stato ribadito dalla “legge Galasso” (la n. 431 del 1985), che li annovera tra i vincoli ambientali e paesaggistici e dal “codice Urbani” o codice dei beni culturali, cioè il decreto legislativo n. 42 del 2004. Infine, il 20 novembre 2017 è stata promulgata la legge n. 168 sulla gestione e sulla tutela del demanio civico italiano. La novità consistente del testo legislativo è il richiamo all'articolo 2 della Costituzione in riferimento agli assetti fondiari collettivi, poiché questi, riconosciuti come ordinamenti primari delle nostre comunità, sono stati posti sotto la tutela della Repubblica italiana. Anche le regioni hanno tentato di intervenire in questa delicata materia, in particolare sullo sclassamento, cioè lo spostamento o l'eliminazione del diritto di uso civico. Da lì deriva un corposo intervento da parte della Corte costituzionale, la quale è intervenuta ripetutamente a far valere i nuovi princìpi della disciplina in confronto con provvedimenti legislativi delle regioni che la Corte ha ritenuto contrastanti con la funzione ambientale attribuita ai demani civici e la loro natura di beni oggetto di diritti soggettivi delle collettività. In particolare, con la sentenza n. 210 del 2014 la Corte ha dichiarato costituzionalmente illegittima la norma. In sostanza, la regione Sardegna, pur in presenza di ampie competenze in materia di usi civici, previste dal suo Statuto speciale, non può emanare discipline per la sclassificazione di aree gravate da usi civici in difformità al codice del paesaggio, considerato quale grande riforma economica-sociale non derogabile dalle norme regionali. Ancora, la sentenza n. 103 del 2017 ha dichiarato l'incostituzionalità, fra gli altri, dell'articolo 4 della legge regionale della Sardegna n. 5 del 2016 e ha confermato i principi della precedente sentenza del 2014. Abbiamo, poi, la sentenza n. 113 del 2018, in cui non è mancato, fra l'altro, un riferimento alla novità legislativa della legge n. 168 del 2017 che - dice la Corte - ha rafforzato il regime di indisponibilità, imprescrittibilità e inusucapibilità dei beni civici e confermato la funzione del vincolo paesaggistico di garantire “l'interesse della collettività generale alla conservazione degli usi civici per contribuire alla salvaguardia dell'ambiente e del paesaggio”. Come è noto, infatti, i terreni a uso civico e i demani civici costituiscono un patrimonio di grandissimo rilievo per le collettività locali, sia sotto il profilo economico-sociale che per gli aspetti di salvaguardia ambientale.

Nella mia terra, la Sardegna, abbiamo la presenza di demani civici su oltre il 90 per cento dei comuni, con una superficie complessiva di oltre 300 mila ettari; sono comunque presenti in tutta l'Italia. Le terre interessate, allocate prevalentemente nelle zone interne della regione, sono paragonabili più a una risorsa naturale originaria che a un vero capitale fondiario. La regione Sardegna si è dotata della legge regionale n. 12 del 1994 con la quale, considerati i tanti contenziosi e l'assenza del commissario, è stata introdotta la possibilità di attuare dei piani di valorizzazione nelle aree ad uso civico. Si dovrebbe ancora di più incentivare l'adozione del regolamento comunale di gestione degli usi civici e spingere per l'applicazione dei piani di valorizzazione e recupero delle terre civiche. Questo perché credo che la valorizzazione di queste terre sarebbe un'ulteriore possibilità per le popolazioni locali di sfruttamento delle risorse locali, in questo caso in chiave ambientale naturalistica, e per ostacolare, limitare ed evitare lo spopolamento di questi territori. Chiaramente, i demani collettivi hanno necessità di poter essere spostati in particolari condizioni; questo, non per favorire interessi personali o imprenditoriali, bensì per dar modo ai fruitori, la collettività, di poter beneficiare al massimo dei benefici che il diritto di uso civico fornisce. Proprio per questo motivo abbiamo presentato la proposta di legge n. 2248, finalizzata a superare l'attuale paralisi di qualsiasi operazione di razionalizzazione dei demani civici determinata dalla giurisprudenza costituzionale sul tema. Infatti, la sentenza già citata, n. 178 del 2018, ha dichiarato illegittimi gli articoli 37 e 39 della legge regionale Sardegna n. 11 del 2017 che aveva il pregio - caso unico in Italia - di legare qualsiasi eventuali ipotesi di sdemanializzazione di terreni ad uso civico irreversibilmente trasformati, seppure illegittimamente, a trasferimenti del diritto di uso civico su altri terreni pubblici di pregevole interesse ambientale e sempre previa e vincolante procedura di co-pianificazione Stato-regione. Attualmente, le operazioni di riordino dei demani civici attraverso trasferimenti di diritti di uso civico e permute sono rese estremamente difficoltose. Potrebbero avvenire, di fatto, solo in via giurisdizionale davanti al commissario per gli usi civici mediante quelle soluzioni conciliative proprie del procedimento (articolo 29 della legge n. 1766 del 1927). La proposta di legge ha come obiettivo di consentire “i trasferimenti di diritti di uso civico e le permute (…) avendo ad oggetto terreni di superficie e valore ambientale analoghi o superiori che appartengono al patrimonio disponibile dei comuni, delle regioni e delle province autonome di Trento e Bolzano.

Nei procedimenti di trasferimento di diritti di uso civico e di permuta (…) il Ministro per i Beni e le attività culturali, sentito il Ministro dell'Ambiente e della tutela del territorio e del mare, emette un provvedimento motivato, obbligatorio e vincolante sul cambio di destinazione d'uso, nonché sulla congruità della sdemanializzazione dei terreni (…) e sulla rilevanza paesaggistica dei beni sui quali si propone il trasferimento dei diritti di uso civico”.

Si tratta di una proposta di legge, Presidente, che auspico possa servire anche ad aprire un dibattito parlamentare per ottenere una soluzione in tempi brevi, ma, probabilmente, anche una riforma complessiva di tutto il sistema di gestione dei commissari di uso civico, poiché si ha necessità di celerità nella nomina e di una costanza proprio in queste nomine per risolvere queste numerosissime controversie.

(Iniziative volte alla rapida costruzione ed apertura del nuovo carcere di Savona e chiarimenti in merito agli stanziamenti destinati agli istituti penitenziari della Liguria - n. 2-01002)

PRESIDENTE. Passiamo all'interpellanza urgente Foscolo ed altri n. 2-01002 (Vedi l'allegato A).

Chiedo alla deputata Sara Foscolo se intenda illustrare la sua interpellanza o se si riservi di intervenire in sede di replica. La illustra, collega? Prego.

SARA FOSCOLO (LEGA). Grazie, Presidente. Sottosegretario Zampa, ho voluto nuovamente portare all'attenzione del Governo un tema che, in Liguria, è di estrema urgenza e di estrema gravità, ossia quello della situazione carceraria. In particolar modo, il grande problema della Liguria è l'assenza di un istituto penitenziario in provincia di Savona, la mia provincia. Come già scritto in un'interrogazione che avevo presentato e depositato il 2 dicembre 2019, interrogazione che è rimasta lettera morta, il carcere di Sant'Agostino di Savona è stato chiuso con un decreto del 28 dicembre 2015 dell'allora Ministro della Giustizia Andrea Orlando e fu poi completamente dismesso il 3 giugno 2016. La motivazione era una grave inadeguatezza dell'immobile sotto il profilo strutturale e della sicurezza. Il Ministro dichiarò che si trattava di un penitenziario indegno per i diritti umani e su questo mi trova completamente d'accordo in quanto anch'io ho avuto modo, quando ricoprivo il ruolo di assessore provinciale, di visitarlo e di vedere con i miei occhi lo stato in cui versava la struttura. Il 30 maggio 2016 proprio dal comune di Savona il Ministro dichiarava: “Stiamo portando avanti un progetto dell'istituto penitenziario che superi la vecchia struttura fatiscente e che dia una nuova risposta che il comprensorio attende da tempo”. Bene! Peccato che mancava completamente un piano alternativo concreto e peccato che, da allora, dopo anni, non è stato fatto nessun passo avanti. Ad oggi non risulta avviato alcun progetto di costruzione di un nuovo istituto penitenziario nel savonese, anche se alcuni comuni della provincia, tra cui Cengio e Cairo Montenotte, hanno dato piena disponibilità ad ospitare il carcere nei loro territori. I detenuti da Savona sono stati smistati nelle case circondariali di Sanremo, Imperia, alcuni in Toscana e nel carcere di Marassi a Genova, che è un istituto già di per sé problematico e in costante emergenza per il sovraffollamento. Anche il personale di polizia penitenziaria fu destinato ad altre sedi, dove tuttora permane in attesa di conoscere la definitiva assegnazione. Mi preme anche evidenziare che vi sono ancora degli agenti di polizia penitenziaria assegnati al carcere di Savona: di fatto, dopo quasi cinque anni, sono in forza a un istituto fantasma. Savona è l'unico circondario del tribunale privo di un carcere e inevitabilmente questo crea un disagio alle Forze dell'ordine, alla procura, agli avvocati ma anche ai familiari dei detenuti. Inoltre, non viene garantito il principio della territorialità della pena, ossia l'opportunità per un detenuto di scontare il suo debito il più possibile vicino al proprio ambiente di origine.

La chiusura del carcere di Savona ha inevitabilmente creato problemi e disagi agli altri istituti penitenziari della Liguria, che già avevano problemi di sovraffollamento. In questi mesi ho visitato alcune carceri (Pontedecimo, Sanremo) per raccogliere le testimonianze dirette di chi ogni giorno presta servizio nelle strutture e verificare di persona le questioni urgenti che devono essere affrontate quanto prima: il sovraffollamento, con un'alta percentuale di detenuti psichiatrici, una situazione resa ancora più difficile dalla preoccupante carenza del personale, pari, circa, al 40 per cento, e dalla necessità di urgenti opere di manutenzione, anche se, ad esempio, il carcere di Pontedecimo è una struttura relativamente recente. L'effetto diretto della chiusura del carcere di Savona è che oggi gli istituti di pena liguri, da Sanremo a La Spezia, stanno scoppiando. Già a marzo, un articolo su Il Secolo XIX denunciava 400 detenuti in più nelle carceri liguri. Per darle un'idea, il carcere di Imperia è stato progettato per 60 posti e ospita 98 detenuti; il carcere di Sanremo su 240 posti ne ospita 262; a La Spezia ci sono 180 detenuti su una capienza di 150 e a Marassi è stata superata la soglia dei 700 detenuti, su una capienza di 511 posti.

Poi c'è il problema della violenza, delle numerose aggressioni, che hanno spesso portato i nostri penitenziari sulle cronache nazionali. Sono dati allarmanti, le faccio alcuni numeri. Gli eventi critici prodotti nel 2019 dai detenuti, solo a Marassi, fronteggiati dalla polizia penitenziaria sono stati: 187 atti di autolesionismo, 2 suicidi, 22 tentati suicidi, 173 colluttazioni con 58 ferimenti, 3 evasioni da permessi premio.

Altrettanti dati mi arrivano dai primi mesi del 2020. Pontedecimo: 24 casi di autolesionismo, 9 danneggiamenti a celle, 3 aggressioni alla polizia penitenziaria, 11 colluttazioni. Marassi: 7 aggressione alla polizia penitenziaria, 60 danneggiamenti a celle, 85 casi di autolesionismo. La Spezia: 3 aggressioni tra i detenuti, 2 incendi alle celle, 2 aggressioni al personale e contiamo che il 70 per cento della popolazione detenuta a La Spezia fa uso di psicofarmaci. Sanremo: 10 aggressioni al personale.

E non voglio soffermarmi sui singoli episodi, che comunque nell'interpellanza ho citato, di risse, celle date alle fiamme, agenti intossicati, agenti feriti, picchiati con sgabelli, morsicati, aggrediti con delle lamette, perché la lista, purtroppo, sarebbe molto lunga.

Gli episodi di violenza possono avere molteplici radici, ma sicuramente il sovraffollamento penitenziario incide fortemente. Gli ingressi degli arrestati in provincia di Savona, solo nel 2020, superano già le 400 unità, un carico ripartito sulle carceri di Genova, Imperia e Sanremo. Quest'anno, poi, c'è stata anche la pandemia, che ha colpito l'Italia e il mondo intero e questo ha contribuito ad aggravare una situazione già compromessa.

A causa del contrasto alla diffusione del Coronavirus e del cronico sovraffollamento, tutti gli arrestati dalla provincia di Savona vengono associati nel carcere di Marassi e nel piccolo carcere di Imperia - che deve farsi già carico degli arrestati da Sanremo a Finale Ligure - e gli arrestati da Ventimiglia sino a Sanremo vengono collocati presso il carcere di Valle Armea, tutti, come ho già detto, sovraffollati e senza posti.

Inoltre, l'attuale situazione di emergenza dovuta al Coronavirus maggiormente richiama ad una prudente gestione delle carceri. L'assenza di un carcere a Savona induce ad un maggior spostamento dei detenuti tra l'istituto e la procura o tra diversi istituti, con impiego di personale per questi servizi, sia agenti di polizia penitenziaria ma anche di altre Forze dell'ordine.

A settembre avevo letto che, nella bozza del progetto del Ministero, da finanziare con fondi europei, ci sono circa 600 milioni per l'edilizia carceraria. Di questi, in particolare, la voce 300 milioni di euro per riqualificazione del patrimonio immobiliare penitenziario, mediante interventi di miglioramento della performance funzionale, in termini di aumento della capacità ricettiva dei complessi penitenziari, di lotta al sovraffollamento e di realizzazione di nuove strutture edilizie, sempre più vicine alle ordinarie strutture urbane, finalizzate all'obiettivo della rieducazione e del reinserimento sociale.

Ebbene, alla luce di tutto ciò, a me preme sapere quali saranno le iniziative del Ministro per risolvere queste problematiche e, soprattutto, i modi e i tempi di costruzione e apertura di un nuovo carcere in provincia di Savona e come intende agire il Ministro per tutelare il personale di polizia penitenziaria in Liguria. Vorrei inoltre sapere quali saranno gli stanziamenti economici destinati alle strutture penitenziarie della Liguria e, in particolar modo, della provincia di Savona.

PRESIDENTE. La sottosegretaria di Stato, Sandra Zampa, ha facoltà di rispondere.

SANDRA ZAMPA, Sottosegretaria di Stato per la Salute. Grazie, Presidente. Grazie, onorevole Foscolo, in ordine ai quesiti che la sua interpellanza rivolge al Governo, ricordo che la casa circondariale di Savona che, come lei ha richiamato, ha sede nell'antico convento di Sant'Agostino, è stata soppressa il 28 dicembre 2015, perché inadeguata alle esigenze sia funzionali che istituzionali, ma anche perché antieconomica, visto che la capacità ricettiva era di 49 posti, compresa la sezione per i semiliberi.

I detenuti che erano presenti al momento della soppressione sono stati distribuiti in altre sedi, quindi, in realtà, presso la casa circondariale di Genova “Marassi”, la casa di reclusione di Sanremo e la casa circondariale de La Spezia.

Quanto alla costruzione di un nuovo complesso sostitutivo, in realtà sussisteva un progetto già dal 2003, non andato a buon fine. Successivamente, nel 2015, l'intervento di realizzazione del nuovo complesso venne inserito nella proposta di variazione del piano carceri, con un finanziamento per un importo di 25 milioni di euro. Nel marzo del 2016, gli uffici tecnici del DAP hanno evidenziato l'esigenza di un nuovo progetto, in linea con le moderne indicazioni sull'edilizia penitenziaria, conformata ai nuovi modelli trattamentali, progetto non andato a buon fine, tanto che nel luglio del 2016 il comitato paritetico deliberava di procedere alla valutazione di idonee alternative, ancora oggi, tuttavia, senza concreto esito positivo, rispetto alle ricerche di aree con adeguate caratteristiche presso i comuni di Savona, Cengio, Cairo Montenotte, Albenga e Albisola.

L'amministrazione penitenziaria, nell'ambito della specifica competenza attribuita dal comma 2 dell'articolo 7 del decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135, anche in materia di individuazione di siti per la realizzazione di nuovi istituti penitenziari, sta continuando l'attività di ricerca di cespiti demaniali riconvertibili in istituto penitenziario. Tale attività di verifica, tuttavia, non è risultata agevole relativamente al circondario di Savona, soprattutto a causa della particolare conformazione orografica e stradale del territorio provinciale. Per completezza, si riferisce che l'Ufficio Tecnico del DAP ha elaborato uno studio di prefattibilità per la realizzazione di un complesso penitenziario per 140 posti detentivi regolamentari nell'area libera, di circa 1,8 ettari, compresa tra il Palazzo di Giustizia e il torrente Letimbro. Tale soluzione, qualora fosse approvata, potrebbe essere proposta agli organi competenti in maniera materia urbanistica di tutela paesaggistica-ambientale. Questa l'analitica ricostruzione degli eventi.

Quanto alla riferita condizione di affollamento degli istituti penitenziari liguri, alla data del 12 novembre, presso il carcere di Sanremo risulta la presenza di 276 detenuti, rispetto alla capienza regolamentare di 240 posti, quindi con un indice percentuale di affollamento pari al 115 per cento. Presso il carcere di Genova “Marassi” risulta la presenza di 710 detenuti, rispetto a una capienza regolamentare di 521 posti, con un indice percentuale di affollamento pari al 136,28 per cento; maggior indice di affollamento pari al 170,83 per cento presso la casa circondariale di Genova “Pontedecimo”, vista la presenza di 164 detenuti rispetto ai 96 previsti. La casa circondariale di Imperia registra un indice di affollamento del 142,55 per cento, in ragione della presenza di 76 detenuti rispetto ai 60 previsti, di cui 13 non disponibili a vario titolo. Infine, presso la casa circondariale de La Spezia, risultano presenti 175 detenuti rispetto ai 151 posti disponibili, così registrando un indice di affollamento pari al 115,89 per cento.

Trattando degli eventi critici occorsi nelle carceri liguri, si riferisce che per quanto attiene all'Istituto di Genova “Marassi” risultano, rispettivamente, per le annualità 2019-2020: 187 e 78 atti di autolesionismo; 2 ed 1 suicidio; 15 ed 11 tentativi di suicidio; 76 e 47 colluttazioni; 21 e 10 ferimenti; 3 e 0 evasioni da permessi premio; 9 e 6 aggressioni ad appartenenti alla Polizia penitenziaria, e infine 105 e 49 atti di danneggiamento di beni dell'amministrazione. Nel corso del 2020 nel carcere di Genova “Pontedecimo” risultano 22 casi di autolesionismo, un'aggressione a un appartenente alla Polizia penitenziaria, 6 colluttazioni tra detenuti, 8 condotte di danneggiamento, nonché un incendio occorso il 20 agosto scorso. Presso il carcere de La Spezia risultano 6 atti di aggressione tra detenuti, nessuno in danno ad appartenenti alla Polizia penitenziaria e 2 incendi. Infine, presso il carcere di Sanremo 2 aggressioni ed appartenenti alla Polizia penitenziaria.

Quanto agli eventi riportati nell'interpellanza, risulta che nella casa circondariale de La Spezia si sono verificati nel mese di giugno scorso 2 episodi di aggressione in danno al personale dell'amministrazione. Anche presso la casa di reclusione di Sanremo risultano, nel mese di giugno, una rissa tra 6 detenuti e, nel mese di luglio, un'aggressione a un appartenente alla Polizia penitenziaria coinvolto nella colluttazione tra due detenuti. Quanto al riferito incendio del 14 settembre, non risulta segnalato; per contro, risulta un caso di aggressione al personale interno. Per completezza si rappresenta che risultano invece alcuni episodi di incendi dolosi occorsi nel carcere di Sanremo, ma avvenuti nei mesi di gennaio e agosto 2020. Presso la casa circondariale Genova “Marassi” risulta un'aggressione fisica in danno di tre appartenenti alla Polizia penitenziaria, il 14 agosto 2020.

Come più volte ribadito, è indubbio che l'opera della Polizia penitenziaria sia di primaria importanza per la sicurezza interna così come per quella esterna, di cui costituisce il primo baluardo, ma altresì per l'alto contributo che fornisce nell'attività di rieducazione e reinserimento dei condannati nel consorzio sociale. Il Ministero, pertanto, pone forte attenzione all'esigenza di garantire un'efficace turnover del personale, risultando indubbie le criticità evidenziate e ricollegabili altresì a organici ridotti o comunque fortemente limitati.

Sul piano generale, voglio evidenziare come, al fine di determinare un concreto ridimensionamento, anche numerico, degli eventi critici che si verificano all'interno degli istituti penitenziari, è stata diramata la circolare 22 luglio 2020, a firma congiunta del capo e del vicecapo del DAP, recante “Aggressioni al personale - Linee di intervento”. Nello specifico, si è stabilito che nei casi di aggressioni consumate ai danni del personale, valutati tutti gli elementi, la direzione dell'istituto penitenziario procederà tempestivamente a trasmettere richiesta di trasferimento al provveditorato competente per motivi di sicurezza, ai sensi dell'articolo 42, dei detenuti coinvolti.

Inoltre, nei casi da considerarsi di particolare rilevanza, le direzioni degli istituti valuteranno di avanzare proposta di attivazione della procedura volta all'applicazione del regime di sorveglianza particolare ex articolo 14, strumento che consente una ferma e decisa risposta dell'amministrazione a comportamenti connotati dalla compromissione della sicurezza o dalla turbativa dell'ordine degli istituti, nonché dall'inclinazione alla violenza e alla sopraffazione nella vita penitenziaria. Con una nota del 16 ottobre 2020, n. 365549, il capo del DAP ha nuovamente ribadito a tutti i provveditori regionali, ai direttori penitenziari e ai comandanti di reparto, di assumere ogni iniziativa necessaria a tutelare l'ordine e la sicurezza all'interno degli istituti di pena, sensibilizzandoli ulteriormente a una scrupolosa e doverosa osservanza delle disposizioni contenute nella circolare che ho citato.

Passando alla problematica della carenza di personale di Polizia penitenziaria, voglio ricordare che la dotazione organica complessiva riferita a tutti i ruoli del corpo, come da ultimo rimodulata dal decreto legislativo del 27 dicembre 2019, n. 172, è così riassumibile: a fronte di una dotazione organica complessiva a 41.667 unità, ne risultano effettivamente presenti 37.654, con scopertura pari al 9,63 per cento. Con specifico riguardo all'organico della casa di reclusione di Sanremo, di recente incrementato di 4 unità, allo stato risulta un contingente di 181 unità di forza amministrata a fronte delle 201 previste, con presenza in concreto di 162 operatori, tenuto conto del personale distaccato in entrata e in uscita. La carenza maggiore si riferisce a ruoli apicali e intermedi, peraltro comune alla generalità degli istituti presenti sul territorio nazionale per via della riduzione dell'organico occorsa nel tempo. Voglio segnalare che recentemente si sono concluse le procedure per il concorso interno a complessivi 2.851 posti per la nomina alla qualifica iniziale di vice sovrintendente, i cui corsi di formazione tecnico-professionale sono già stati avviati. Relativamente alla carenza nel ruolo degli ispettori, invece, segnalo che è stato indetto un concorso interno per titoli per 691 posti. È in via di conclusione il concorso pubblico per il reclutamento di 754 posti di allievi agente del Corpo di polizia penitenziaria e che le assunzioni avverranno entro il mese di dicembre 2020. Merita rammentare che, ai sensi dell'articolo 259-bis del decreto-legge del 19 maggio 2020, n. 34, convertito con modificazioni dalla legge 17 luglio 2020, n. 67, è stata altresì prevista l'assunzione di 650 allievi agenti del Corpo di polizia penitenziaria in via prioritaria, mediante scorrimento della graduatoria degli idonei del concorso pubblico a 302 posti, elevati a 376, di allievo agente del Corpo di polizia penitenziaria. Risulta in fase di definizione il bando del concorso pubblico per circa 970 allievi agenti riservato, ai sensi dell'articolo 703, comma 1, lettera d), del codice dell'ordinamento militare, di cui al decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, a valere sulle cessazioni, anno 2019 e sulle assunzioni straordinarie autorizzate ai sensi dell'articolo 1, comma 236, lettera c), della legge n. 205 del 2017 e dell'articolo 1, comma 381, lettera b), della legge 145 del 2018. Inoltre, l'articolo 259 del decreto-legge del 19 maggio 2020, n. 34, introduce una serie di misure in materia di procedure concorsuali per la funzionalità delle Forze armate e di Polizia, con la possibilità di disporre, anche in deroga alla normativa di settore, modalità semplificate di svolgimento delle procedure, in considerazione della situazione di emergenza epidemiologica. La stessa norma autorizza inoltre il rinvio delle assunzioni previste per l'anno 2020 entro il 31 dicembre 2021.

Infine, quanto alle risorse finanziarie destinate agli interventi di edilizia penitenziaria, queste sono considerevolmente aumentate a decorrere dall'anno 2018, grazie in particolare alla ripartizione dei fondi previsti dalle ultime leggi di bilancio, finalizzati allo sviluppo infrastrutturale delle pubbliche amministrazioni, ad altre specifiche leggi di spesa, nonché attraverso la destinazione di quota parte delle risorse del Fondo unico giustizia. Complessivamente, anche alla luce dell'ammontare delle risorse in via di assegnazione, in attuazione della legge 160 del 2019 e della prossima legge di bilancio 2021, l'ammontare degli stanziamenti aggiuntivi di bilancio destinati ad interventi di edilizia penitenziaria saranno pari, su base pluriennale, a 671 milioni 981 mila 033 euro. Il quadro che ho appena rappresentato non tiene conto delle ulteriori risorse che saranno rese disponibili in attuazione del Recovery Fund, del piano di realizzazione del Recovery Fund, che chiaramente non possono essere precisate nel loro esatto ammontare.

PRESIDENTE. La deputata Sara Foscolo la facoltà di dichiarare se sia soddisfatta per la risposta alla sua interpellanza.

SARA FOSCOLO (LEGA). Grazie Presidente. Grazie, sottosegretario Zampa. No, non posso essere soddisfatta, perché fondamentalmente non ha risposto ai quesiti che io avevo posto nell'interpellanza, nel discorso. Io la ringrazio per essere venuta qua, non è neanche la sua competenza, quindi grazie per la disponibilità, però nella risposta ha ribadito i numeri che avevo già scritto io nella mia interpellanza; in alcuni casi ho sbagliato per difetto, quindi lei ha aumentato anche i casi di autolesionismo e di aggressione. Mi fa piacere che anche voi riconosciate il grande lavoro della Polizia penitenziaria, lo definite - ha scritto - il primo baluardo, però bisogna anche dare i mezzi alla polizia penitenziaria per affrontare e per svolgere anche questo ruolo, che lei ha detto, di rieducazione e che devono avere all'interno degli istituti penitenziari. Non ce l'hanno. Lei stessa, nella risposta che ha dato, ha ammesso la grave carenza di agenti di Polizia penitenziaria. E, visto che lei è sottosegretario alla Salute, io le farei anche presente che, questo non l'ho scritto nell'interpellanza, però tanti agenti di Polizia penitenziaria hanno sviluppato stati ansiosi-depressivi, dovuti allo stress collegato alla loro attività lavorativa. Questa cosa è anche di competenza del Ministro della Salute.

Risposte non ne sono state date. Ha parlato di fondi, adesso non mi ricordo dove l'ho scritto, comunque di parecchi miliardi che sarebbero stati stanziati per l'edilizia carceraria, ma non mi ha detto quanto effettivamente verrà stanziato per la Liguria. Per quanto riguarda la Liguria, lei ha parlato ancora di uno studio di fattibilità, di ricerca di luoghi dove costruire un nuovo penitenziario, quindi di fatto non abbiamo niente. Non abbiamo niente, purtroppo. Però, prima o poi, il Ministro Bonafede dovrà prendersi carico anche della situazione in Liguria, perché non è più rinviabile ed è una risposta che non deve dare a me o alla Lega, che si è sempre battuta su questo caso, su questa questione, ma è una risposta che deve dare al territorio, che deve dare ai cittadini, che deve dare agli agenti di polizia penitenziaria, che deve dare alla procura, agli avvocati, che deve dare agli stessi detenuti e alle famiglie dei detenuti.

Quindi, mi spiace prendermela con lei, perché fondamentalmente lei ha letto una risposta che le è arrivata probabilmente dal Ministero della Giustizia, però non posso ritenermi soddisfatta.

PRESIDENTE. È così esaurito lo svolgimento delle interpellanze urgenti all'ordine del giorno.

Interventi di fine seduta.

PRESIDENTE. Passiamo agli interventi di fine seduta. Ha chiesto di intervenire il deputato Simone Baldelli. Prego, ne a facoltà.

SIMONE BALDELLI (FI). La ringrazio, Presidente Spadoni. È con lo spirito più collaborativo possibile, data la circostanza, spirito al quale ci richiamava in questi giorni proprio lo stesso presidente Berlusconi, che preannuncio un atto di sindacato ispettivo su un tema che, di qui a qualche settimana, il Governo sarà in condizioni e sarà costretto, in qualche misura, ad affrontare: quello dell'approvvigionamento, della distribuzione e della somministrazione, insomma della gestione dei vaccini anti-COVID, con la premessa che io, personalmente, ho una propensione ad essere più fiducioso nei progressi delle cure, che non nel valore salvifico dei vaccini. Pur tuttavia, questo sarà - lo dico anche alla sottosegretaria Zampa, che è qui presente in Aula e che ringrazio per essersi fermata - e rappresenterà un tema importante. Una delle questioni su cui dovrete tranquillizzare l'opinione pubblica sarà quella della gestione, appunto, del trasporto dei vaccini, dello stoccaggio, del trasporto, della distribuzione, anche in termini di mantenimento della temperatura; pare ci siano questi contenitori in grado di mantenere, col ghiaccio a secco, le temperature al di sotto addirittura degli 80 gradi centigradi. Questo sarà uno dei temi per cui, in qualche misura, c'è preoccupazione nell'opinione pubblica, ma c'è la necessità di organizzare la distribuzione di questi vaccini.

Tutti i Paesi del mondo si stanno organizzando attraverso le piattaforme logistiche e noi vogliamo sapere se e come il Governo stia facendo passi avanti in questo settore, perché bisogna coinvolgere per tempo gli operatori, in maniera tale da non trovarsi impreparati proprio nel momento in cui questo vaccino sarà disponibile e sarà possibile distribuirlo tra la popolazione. Quindi, preannunzio un atto di sindacato ispettivo che - mi auguro - possiamo discutere presto con il Governo, preparato su questo tema.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Filippo Sensi. Ne ha facoltà.

FILIPPO SENSI (PD). Grazie, Presidente. Vorrei, in questo minuto, graziosamente concessomi, far arrivare da quest'Aula, da questo Parlamento, un segno di vicinanza a chi, a Hong Kong e in Bielorussia, sta combattendo adesso per la libertà, la democrazia e la dignità. In Bielorussia il brutale omicidio di un artista trentunenne, Raman Bandarenka, ucciso l'altra notte dagli sgherri del regime di Lukashenko, segna un punto di svolta nella crescente mobilitazione delle piazze di un popolo sfinito dalla violenza, ma non domo. A Hong Kong l'espulsione dal Paese di quattro deputati, di quattro colleghi, in forza della famigerata legge sulla sicurezza nazionale, ha portato all'Aventino dell'opposizione parlamentare e all'allarme di tutta la comunità internazionale per la stretta che si rinserra. Non è un vestito da Arlecchino, Presidente, ma un filo tenace, quello della democrazia, che tiro oggi in quest'Aula, chiedendo per il suo tramite l'impegno e la voce del Governo su questi fronti. Spero di essere ascoltato e non sia considerato un accostamento inappropriato, a cinque anni esatti da quella notte parigina, nella quale fu strappato il fiore dell'esistenza di Valeria Solesin e di centinaia di persone, da chi odia la vita, la democrazia appunto, le nostre libertà, che teniamo care come l'ossigeno a Hong Kong, in Bielorussia, a Parigi, come in Italia.

Organizzazione dei tempi di discussione del Doc. IV, n. 9-A

PRESIDENTE. Avverto che nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta odierna sarà pubblicata l'organizzazione dei tempi per la discussione della Relazione della Giunta per le autorizzazioni sulla domanda di autorizzazione all'acquisizione di tabulati di comunicazioni nei confronti del deputato Stefano Zicchieri (Doc. IV, n. 9-A) (Vedi l'Allegato A).

Ordine del giorno della prossima seduta.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.

Martedì 17 novembre 2020 - Ore 11:

1. Svolgimento di interpellanze e interrogazioni.

La seduta termina alle 12,30.