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Resoconto dell'Assemblea

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XVIII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 380 di lunedì 27 luglio 2020

PRESIDENZA DELLA VICEPRESIDENTE MARIA EDERA SPADONI

La seduta comincia alle 14.

PRESIDENTE. La seduta è aperta.

Invito il deputato segretario a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

FRANCESCO SCOMA, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 13 luglio 2020.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Amitrano, Ascani, Azzolina, Battelli, Benvenuto, Boccia, Bonafede, Claudio Borghi, Boschi, Brescia, Buffagni, Businarolo, Cancelleri, Carfagna, Castelli, Cirielli, Colletti, Colucci, Davide Crippa, D'Incà, D'Uva, De Maria, De Micheli, Del Re, Delmastro Delle Vedove, Delrio, Di Stefano, Ferraresi, Gregorio Fontana, Fraccaro, Franceschini, Frusone, Gallo, Gelmini, Giaccone, Giachetti, Giacomoni, Giorgis, Grande, Grimoldi, Gualtieri, Guerini, Invernizzi, L'Abbate, Liuzzi, Lollobrigida, Lorefice, Losacco, Maggioni, Mauri, Molinari, Morani, Morassut, Morelli, Orrico, Parolo, Rampelli, Rizzo, Ruocco, Saltamartini, Scalfarotto, Carlo Sibilia, Sisto, Spadafora, Tofalo, Tomasi, Trano, Traversi, Vignaroli, Villarosa, Raffaele Volpi e Zoffili sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.

I deputati in missione sono complessivamente settantotto, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna).

Discussione della proposta di legge costituzionale: D'iniziativa popolare: Norme per l'attuazione della separazione delle carriere giudicante e requirente della magistratura (A.C. 14).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge costituzionale n. 14: Norme per l'attuazione della separazione delle carriere giudicante e requirente della magistratura.

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi per la discussione generale è pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta del 23 luglio 2020 (Vedi l'allegato A della seduta del 23 luglio 2020).

(Discussione sulle linee generali – A.C. 14)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari MoVimento 5 Stelle e Partito Democratico ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.

Do la parola al presidente della Commissione Affari costituzionali, Giuseppe Brescia, per riferire sui lavori svolti dalla Commissione.

GIUSEPPE BRESCIA, Presidente della I Commissione. Grazie, Presidente. In qualità di presidente della Commissione, desidero illustrare l'andamento dell'iter in sede referente della proposta di legge costituzionale n. 14, d'iniziativa popolare, recante norme per l'attuazione della separazione delle carriere giudicante e requirente della magistratura. Il provvedimento è stato inserito all'ordine del giorno della Commissione su richiesta del gruppo Forza Italia; pertanto, ho ritenuto di attribuire il ruolo di relatore al rappresentante in Commissione del medesimo gruppo, Sisto. La Commissione ne ha avviato l'esame in sede referente il 20 febbraio 2019.

Nella riunione del 13 marzo 2019, l'ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi della Commissione, ha convenuto, all'unanimità, sull'opportunità di procedere a un ciclo di audizioni informali. Tale ciclo di audizioni si è svolto dal 10 aprile 2019 al 4 luglio 2019. Sono stati auditi, in ordine cronologico, i seguenti soggetti: l'avvocato Migliucci, presidente del Comitato promotore della proposta di legge, Andrea Mascherin, presidente del Consiglio nazionale forense, Cesare Pinelli, Alessandro Bernasconi, Vincenzo Maiello, Giorgio Spangher, Tommaso Edoardo Frosini, Elisabetta Rampelli, Luciano Violante, Francesca Biondi, Patrizia Pederzoli, Gian Domenico Caiazza, Raffaella Bordogna, Oreste Dominioni e Marilena Colamussi. Dopo tale ampia istruttoria legislativa sul provvedimento, sono stati presentati 17 emendamenti, la maggior parte dei quali presentati da gruppi di maggioranza, di natura soppressiva di tutte le parti del testo. È, dunque, apparso chiaro come avviare le votazioni sulle proposte emendative senza un previo ulteriore approfondimento politico sulla tematica avrebbe comportato la soppressione dell'intero testo e il conseguente conferimento di un mandato a riferire in senso contrario sul provvedimento all'Assemblea. Al fine di evitare tale esito, che tutte le forze politiche intendevano scongiurare, su richiesta dei gruppi di maggioranza è stato convenuto di procedere a una fase di ulteriore valutazione politica sulla materia, che risulta, ovviamente, particolarmente delicata e complessa.

In tale contesto, l'ufficio di presidenza della Commissione, con l'unanime consenso di tutti i gruppi, compreso il gruppo di Forza Italia, ha deciso di chiedere, con lettera a mia firma del 17 giugno 2020, uno slittamento dell'avvio della discussione in Assemblea sul provvedimento, inizialmente previsto per il 6 luglio scorso, stante la necessità di approfondire adeguatamente le importanti e delicate tematiche affrontate dalla proposta di legge. L'esame del provvedimento è ulteriormente proseguito nella seduta del 25 giugno, senza tuttavia giungere a un definitivo chiarimento delle posizioni politiche che consentisse di avviare l'esame delle proposte emendative. In tale quadro, da ultimo nella riunione dell'ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, della Commissione del 22 luglio scorso, ho sottoposto ai rappresentanti dei gruppi la necessità inderogabile di stabilire le modalità con le quali consentire la conclusione dell'iter in tempo utile per l'avvio dell'esame in Assemblea oggi, 27 luglio, anche in considerazione della sua calendarizzazione nell'ambito delle quote garantite alle opposizioni, nonché del fatto che si tratta di una proposta di legge di iniziativa popolare.

In quell'occasione, atteso che non si era ancora giunti a un sufficiente grado di approfondimento politico da parte dei gruppi sul provvedimento, ho proposto di concludere l'esame in sede referente non procedendo né alla votazione degli emendamenti né alla votazione sul conferimento del mandato al relatore. In tal caso, nella discussione generale in Assemblea, mi sarei limitato, come presidente, a dare conto dell'andamento dell'esame in sede referente, senza alcuna valutazione di merito, cosa che sto facendo in questo momento. Su tale proposta hanno convenuto tutti i gruppi, nonché il relatore sul provvedimento, Sisto.

Nella successiva seduta in sede referente del 23 luglio ho informato della decisione assunta in seno all'ufficio di presidenza la Commissione, che ne ha preso atto. In quella sede ho anche segnalato l'opportunità che nel corso della discussione in Assemblea si proponga di rinviare il provvedimento in Commissione per giungere a un esame più compiuto del testo.

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo, che si riserva di farlo in una fase successiva.

È iscritto a parlare il deputato Stefano Ceccanti. Ne ha facoltà.

STEFANO CECCANTI (PD). Grazie, Presidente. Il Parlamento è un luogo in cui, anzitutto, si parla, prima che votare. Questa premessa, logica, serve anzitutto a chiarire due punti: il primo è che quando arriva in Parlamento un testo di iniziativa di legge popolare questo deve essere preso con particolare serietà, a prescindere dal Comitato promotore, a prescindere da chi raccolga le firme, per rispetto alla volontà di una parte del corpo elettorale che si è manifestata in forma così solenne, in questo caso addirittura su una proposta costituzionale. Addirittura, all'inizio, nei primi anni dopo l'approvazione della Costituzione, alcuni avevano il dubbio che l'iniziativa legislativa popolare potesse arrivare fino a proporre revisioni costituzionali; poi, si è preferita, giustamente, perché coerente col senso di apertura della Costituzione repubblicana, l'ammissibilità anche di iniziative di questo tipo, che vanno a toccare il cuore anche della stessa Costituzione.

Noi abbiamo discusso molto nella prima parte della legislatura di una riforma costituzionale che tendeva ulteriormente a valorizzare l'iniziativa legislativa popolare e i referendum, collegandoli tra di loro, con opinioni diverse e così via, però, al fondo, al di là delle diversità di soluzioni del rapporto tra iniziativa legislativa popolare e referendum, c'era in tutti noi la preoccupazione di dare a questo strumento, all'iniziativa dei cittadini, un rilievo importante, perché noi sappiamo che le Assemblee parlamentari sono comunque una riduzione della complessità. Non tutti possono essere rappresentati. Se noi vogliamo evitare che una parte della popolazione si senta esclusa, per esempio una parte delle forze non parlamentarizzate, è giusto che arrivino in Parlamento con proposte di policy; ed è quindi giusto che il testo arrivi in Aula, a prescindere poi dal seguito dei voti, possa essere discusso nel testo voluto dai promotori dell'iniziativa legislativa popolare, ossia che non vi sia una scissione per cui il testo voluto dai promotori sia discusso solo in Commissione e arrivi in Aula un testo già modificato, senza che nell'Aula non si possa sentire effettivamente il senso originario voluto dai promotori.

Il secondo motivo, in coerenza con questa visione per cui il Parlamento è un luogo in cui anzitutto si parla e non si va affrettatamente a votare, è che, sulla base del nostro Regolamento, le forze che si trovano momentaneamente all'opposizione hanno il diritto ad una quota dei tempi. Anche in questo caso, è bene che chiunque si trovi all'opposizione possa avere la possibilità di esporre il testo così come lo vuole l'opposizione; poi, evidentemente, esistono dei rapporti di forza; quando si passerà al voto molto frequentemente accadrà che, se non si trovano dei punti di compromesso, l'opposizione soccomberà, ma, per lo meno, il testo iniziale è spiegato dall'opposizione come vorrebbe lei che fosse, perché, altrimenti, abbiamo un Parlamento in cui l'opposizione può solo rispondere a iniziative del Governo e della maggioranza e questo limita molto lo spazio di dibattito e di contraddittorio.

Quindi, queste sono le due ragioni per cui, con i colleghi dei gruppi di maggioranza, ma spero inaugurando uno stile che vada avanti anche nelle legislature successive a parti anche potenzialmente invertite, si accetta di dare questo statuto particolare alle proposte di legge d'iniziativa popolare e alla quota riservata all'opposizione in questo senso garantistico di poter arrivare in Aula con il testo voluto da chi propone un'iniziativa popolare e con il testo voluto dall'opposizione. Ora, detto questo in termini metodologici, al di là delle posizioni di merito, su cui poi per il Partito Democratico interverrà il collega Bazoli, noi dobbiamo sempre ricordare che, su questo tema, fa fede anzitutto la sentenza della Corte costituzionale con cui venne ammesso il referendum radicale sulla separazione dei poteri. La sentenza n. 3 del 2000, al punto 5 del considerato in diritto, dice testualmente questo: non può dirsi che il quesito investa disposizioni il cui contenuto normativo essenziale sia costituzionalmente vincolato così da violare sostanzialmente il divieto di sottoporre a referendum abrogativo norme della Costituzione o di altre leggi costituzionali. La Costituzione, infatti, pur considerando la magistratura come un unico ordine soggetto ai poteri dell'unico Consiglio superiore, non contiene alcun principio che imponga o, al contrario, precluda la configurazione di una carriera unica o di carriere separate. È materia disponibile al legislatore ordinario. Quindi, in realtà, buona parte di queste norme, direi tendenzialmente tutte, tranne la separazione in due del Consiglio superiore della magistratura, sarebbero norme da discutere come proposte ordinarie alla Commissione giustizia.

L'unico articolo che meriterebbe di essere discusso nel merito in Commissione affari costituzionali è quello sulla eventuale divisione in due del Consiglio superiore della magistratura, l'unico punto che la Corte costituzionale ci indica come punto costituzionalmente vincolato; e questo, evidentemente, in connessione con il dibattito che la Commissione giustizia fa su questi temi. Quindi, scontata la parte metodologica che ho detto prima, noi abbiamo questa riserva di dire che tutte queste cose o quasi tutte si possono fare con legislazione ordinaria in Commissione giustizia; è lì che si deve svolgere il dibattito. Per questo anche poi nel merito parlerà il collega Bazoli. Ciò detto - quindi rinvio a lui per il dettaglio - su questo tema di oggi, ma più in generale sulle iniziative del Governo, della maggioranza e dei gruppi di opposizione, noi dobbiamo sempre tener presente, in materia di giustizia, la grande lezione che una Costituzione, un ordinamento deve evitare squilibrio di poteri, sia quando questo squilibrio si determina a favore del potere politico sia quando questo pericolo si possa manifestare a favore del potere giudiziario. Tutte e due sono patologie del nostro ordinamento; si sono spesso verificate in fasi diverse della nostra storia repubblicana e discutiamo di tali proposte, tenendo conto che questo è da evitare: lo squilibrio.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Battilocchio. Ne ha facoltà.

ALESSANDRO BATTILOCCHIO (FI). Presidente, onorevoli colleghi, nell'avviare la discussione di questa proposta di legge costituzionale sulla separazione delle carriere mi sembra doveroso, a beneficio di quest'Aula e delle valutazioni che essa è chiamata ad operare, dare lettura integrale della missiva inviataci dall'Unione delle camere penali italiane. L'Unione delle camere penali italiane in questi anni, e ancor più in questi mesi, non ha mai rinunciato, nemmeno nei momenti in cui più forte era il vento giustizialista e populista soffiato dalla peggior parte della politica, degli organi di informazione e, spiace dirlo, da una parte della magistratura stessa, al proprio ruolo di vigile sentinella dello Stato di diritto. Fra molte, possiamo ricordare la maratona oratoria contro la riforma della prescrizione, cui molti di noi hanno partecipato, o le prese di posizione contro l'introduzione del processo telematico; battaglie che sempre, devo dirlo, ci hanno visto insieme, allineati per tutelare la Costituzione, il garantismo e quell'orizzonte di principi e valori che riteniamo irrinunciabili.

Oggi, grazie a Forza Italia, arriva in Aula un testo depositato con le firme raccolte dall'Unione delle camere penali che ha dunque creato i presupposti affinché questa importante proposta giungesse all'esame del Parlamento (Applausi del deputato Baldelli).

Riporto, dunque, il contenuto della lettera che illustra le ragioni della proposta.

Procedo alla lettura: “Con la riforma del codice di procedura penale del 1988 il nostro Paese ha abbandonato il modello inquisitorio e autoritario del codice Rocco del 1930 in favore di quello a tendenza accusatoria di matrice liberale e democratica. A rafforzare l'opzione effettuata con l'introduzione del codice di rito del 1988, il legislatore costituzionale nel 1999 ha scolpito nell'articolo 111 della Costituzione i principi del giusto ed equo processo, in sintonia anche con quanto previsto nella Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo. L'articolo 111, tra l'altro, prevede che ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti ad un giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata. La semplice lettura della norma costituzionale autorizza a ritenere che l'espressione giudice terzo e imparziale non possa essere ritenuta una semplice endiadi, perché l'imparzialità consiste nella semplice indifferenza del giudice all'oggetto del processo ed al suo ruolo nello stesso, mentre l'attributo della terzietà implica necessariamente l'estraneità ordinamentale del giudice alle due parti processuali e la sua posizione fuori dal processo.

La terzietà del giudice mira, dunque, a garantire l'effettiva attuazione del principio del contraddittorio, della parità delle parti e ad assicurare l'imparzialità della decisione, perché, a logica e senza la necessità di grandi approfondimenti, si comprende che qualora il giudice non sia strutturalmente distinto rispetto a chi accusa e a chi difende, difficilmente potrà essere ed apparire garante della legalità del processo e la sua decisione perderà di autorevolezza. Né può essere ignorato il tema dei rapporti tra controllore (il giudice) e controllato (il pubblico ministero). Per rendere effettivo, proficuo e credibile il controllo, giudicante ed inquirente non devono essere sottoposti al potere disciplinare di un unico organo che, tra l'altro, decide promiscuamente anche degli avanzamenti in carriera di giudici e pubblici ministeri, condizionando altresì le reciproche rappresentative.

Il potenziamento del ruolo del giudicante, d'altro canto, non indebolirebbe ruolo e funzione del pubblico ministero, che nella proposta in esame conserva chiaramente la propria autonomia ed indipendenza dal potere politico. Rafforzando la figura del giudice si limiterebbe lo squilibrio che ha conferito ai capi delle procure un potere incontrollato ed incontrollabile. Un giudice effettivamente terzo e percepito come tale dalla comunità conferirebbe autorevolezza alle decisioni e riaffermerebbe il principio della presunzione di innocenza, attribuendo finalmente valore preminente alle sentenze rispetto alle indagini. Contrariamente a quanto si ritiene, molti magistrati convengono sulla necessità di pervenire alla riforma ordinamentale contemplata nella proposta di legge in esame alla Camera.

Così, ad esempio, Giovanni Falcone, anche in una intervista del 1991 ebbe ad affermare: “un sistema accusatorio parte dal presupposto di un pubblico ministero che raccoglie e coordina gli elementi della prova da raggiungersi nel corso del dibattimento dove egli rappresenta una parte in causa. Gli occorrono, dunque, esperienze, competenze, capacità, preparazione anche tecnica, per perseguire l'obiettivo. E nel dibattimento non deve avere nessun tipo di parentela con il giudice e non essere, come invece oggi è, una specie di para-giudice. Il giudice, in questo quadro, si staglia come figura neutrale, non coinvolta, al di sopra delle parti. Contraddice tutto ciò il fatto che, avendo formazione e carriere unificate, con destinazioni e ruoli intercambiabili, giudici e PM siano, in realtà, indistinguibili gli uni dagli altri. Chi come me - continua Falcone - richiede che siano, invece, due figure strutturalmente differenziate nelle competenze e nella carriera, viene bollato come nemico dell'indipendenza del magistrato, un nostalgico della discrezionalità dell'azione penale, desideroso di porre il PM sotto il controllo dell'Esecutivo.” Tali concetti, peraltro, vennero espressi da Falcone in una monografia a margine di un convegno del 1988. Settantamila mila persone - continua l'Unione delle Camere penali italiane - hanno sottoscritto la nostra proposta per avere un giudice terzo che sia e appaia tale, garante dei diritti e delle libertà di tutti, e che non confonda mai il processo penale con uno strumento di lotta a questo o a quel fenomeno criminale. Quasi la totalità dei Paesi che hanno adottato il sistema accusatorio ha attuato la separazione delle carriere e ciò vale per Germania, Svezia, Spagna, Portogallo, Inghilterra, Stati Uniti, Australia, Canada, Nuova Zelanda, Giappone. D'altronde, il valore liberale di questa riforma è confermato, se ancora ve ne fosse bisogno, dalle ragioni per le quali il regime fascista sostenne con forza, nella Relazione alla legge sull'ordinamento giudiziario, firmata da Dino Grandi, l'unitarietà delle carriere tra magistrati inquirenti e giudicanti. Siamo certi, dunque, che il dibattito parlamentare che finalmente si celebrerà sul tema, grazie all'iniziativa popolare promossa dalle Camere penali italiane, saprà onorare l'importanza della questione, memore del fatto che oltre 70 mila persone abbiano sottoscritto la nostra proposta e che nel 2000 - lo ricordava anche il collega Ceccanti - oltre 9 milioni di cittadini ebbero a votare “sì” al referendum proposto dai Radicali per la separazione delle carriere. Queste le parole dell'Unione delle Camere penali italiane. Io spero che questo messaggio non cada nel vuoto e possa essere lo stimolo per una riflessione non pregiudicata da visioni di parte, consapevole che, quando si parla di Costituzione, di Stato di diritto e di materia penale, si stanno definendo regole del gioco che non appartengono a nessuno, ma sono di tutti (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Federico Fornaro. Ne ha facoltà.

FEDERICO FORNARO (LEU). Grazie, signora Presidente. Il presidente Brescia e il collega Ceccanti hanno correttamente delineato quali sono i confini entro i quali oggi ci approcciamo al testo della proposta di legge costituzionale. Noi condividiamo la scelta che è stata compiuta, perché certamente questo è un tema importante ed è una questione che vede un confronto aperto - come è stato già ricordato - da molto tempo. Crediamo, quindi, che questa occasione, l'occasione del confronto in Aula prima di un possibile ritorno in Commissione, possa essere un'occasione da non sprecare. Quindi, da questo punto di vista, al di là delle questioni di metodo - che, ripeto, mi trovano e ci trovano concordi - vorremmo provare a fare qualche ragionamento nel merito, non dopo aver apprezzato la scelta del collega Battilocchio di leggere in questa sede il documento dell'Unione delle camere penali, perché mi pare che da questo punto di vista questo possa arricchire il dibattito e far comprendere al meglio le ragioni che sono state all'origine della raccolta delle firme e, quindi, del testo della proposta di legge costituzionale in esame.

Per entrare nel merito parto dal fondo, cioè parto dall'articolo 10 del testo che ci viene proposto, perché è quello su cui, peraltro, noi avevamo già presentato in Commissione un emendamento totalmente soppressivo. Nel testo proposto si prevede la modifica dell'articolo 112 della Costituzione, aggiungendo al testo originario, cioè “il pubblico ministero ha l'obbligo di esercitare l'azione penale”, le seguenti parole: “nei casi e nei modi previsti dalla legge”. È del tutto evidente che con questa proposta di modifica costituzionale, nei fatti si cancella l'obbligatorietà dell'azione penale; una cancellazione che, peraltro - da questo punto di vista riconosco la coerenza -, sta dentro l'architettura dell'intera proposta. A nostro giudizio, però, la questione che viene ripresa e riportata dai promotori, cioè della terzietà del giudice, non la si risolve con questa modifica perché, da questo punto di vista, è del tutto evidente che lo scenario che si aprirebbe con l'abbandono dell'obbligatorietà dell'azione penale è quello di aumentare, a nostro giudizio, e non diminuire i rischi di avere di fronte un giudice terzo; infatti, a questo punto aumenterebbe la discrezionalità del pubblico ministero e potrebbero crescere indicazioni e pressioni da parte dell'Esecutivo e della maggioranza del momento.

Noi crediamo che, da questo punto di vista, l'indipendenza della magistratura sia, e rimanga, un caposaldo dell'architettura costituzionale, così come il - già ricordato dal collega Ceccanti - equilibro tra i poteri, e che l'abbandono dell'obbligatorietà dell'azione penale, la divisione così netta tra magistratura giudicante e l'attività del pubblico ministero porterebbe, nei fatti, a un'alterazione di questo equilibrio, finendo per essere, da questo punto di vista, un rimedio peggiore del male. Dico questo perché è ovvio che le distorsioni del sistema e le necessità di intervento rispetto alla situazione attuale della magistratura sono sotto gli occhi di tutti e sono assolutamente condivisibili, cioè la necessità di una riforma che passa, evidentemente, da una riforma anche dei testi del diritto penale e del diritto civile, ma fondamentalmente, tornando su questo aspetto, la soppressione di fatto dell'obbligatorietà dell'esercizio dell'azione penale, come dicevo prima, non è, a nostro giudizio, la soluzione.

Così come ci trova molto dubbiosi la divisione proposta, in due CSM, in questo andando contro, diciamo, all'architettura costituzionale. Forse sarebbe da riprendere, invece, il lavoro che era stato fatto in passato in sede di Bicamerali sulle riforme attorno alla possibilità di avere, invece, due sezioni del CSM. Quindi, fermo restando il dettato costituzionale con un unico CSM - lo ricordo - presieduto dal Presidente della Repubblica, avere, invece, due sezioni, quindi per evidenziare oggettivamente una differenza tra magistratura giudicante e magistratura inquirente. Crediamo, quindi, che questa possa essere anche una sollecitazione. È in discussione e lo sarà presto nelle Aule parlamentari la riforma del CSM, all'interno di una più generale riflessione sullo stato della magistratura in Italia. Quindi, da questo punto di vista, crediamo che ci possano essere stimoli anche in questo testo per apportare delle modifiche che però, come ha ricordato anche qui il collega Ceccanti, possono tranquillamente stare nella legislazione ordinaria e non abbisognano, invece, di un intervento sul livello costituzionale.

Per tutte queste ragioni, noi crediamo che possa essere utile e necessario un rinvio del provvedimento in Commissione, affinché si possano approfondire tutte le questioni legittimamente aperte da questa proposta di legge d'iniziativa popolare, anche in rapporto ad altre proposte di legge di iniziativa parlamentare, nonché le annunciate iniziative legislative del Governo che meritano, a nostro giudizio, uguale attenzione e un approfondito lavoro legislativo. Quindi, crediamo che ci possa essere un ritorno in Commissione, che, da questo punto di vista, possa essere arricchente - ripeto - nel rispetto non solo dei promotori, ma anche delle tesi che sono esposte in questa proposta di legge e, soprattutto, con grande rispetto per il tema fondamentale, che è una magistratura strumento di giustizia, equa, che è, diciamo, all'origine della divisione dei poteri ed è, come ricordavo durante il mio intervento, uno dei caposaldi della nostra Costituzione.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Ylenja Lucaselli. Ne ha facoltà.

YLENJA LUCASELLI (FDI). Grazie, Presidente. Credo che la discussione che iniziamo quest'oggi e l'avvio dell'esame di questa proposta di legge d'iniziativa popolare ci riportino a temi che sono veramente importanti in questo momento. E lo fa soprattutto quando le nostre cronache sono, ancora oggi, piene di una serie di problematiche istituzionali serie, che minano non soltanto la credibilità della giustizia, ma che minano la credibilità di un Paese, perché è proprio attraverso la giustizia - e lo dicono i dati - che c'è una delle prime percezioni che hanno i cittadini, anche coloro i quali vivono al di fuori dei confini italiani: è proprio la giustizia, come viene gestita la giustizia nel nostro Paese, i tempi, la validità e le procedure che vengono seguite. E questo ha a che fare non soltanto con un tema sociale; ha che fare anche con un tema economico, perché quando gli investitori decidono di venire in Italia lo fanno anche guardando a quello che succede alla giustizia. E, allora, credo che portare in Aula finalmente la discussione e il dibattito di un provvedimento come questo sia davvero fondamentale, fondamentale per ribadire un concetto che è già sancito all'interno della nostra Costituzione, all'articolo 111, ma che, evidentemente, non ha ritrovato poi un'applicazione concreta nella nostra legislazione e, quindi, poi nelle procedure che vengono attivate.

È davvero importante che il percorso, iniziato proprio attraverso l'articolo 111 della Costituzione, trovi finalmente una evoluzione dello Stato di diritto, che in Italia, invece, pare essersi bloccato. Il fatto che magistratura giudicante e inquirente, infatti, appartengano a un unico percorso di carriera rappresenta un punto residuo, anche se, come Fratelli d'Italia dice dall'inizio di questa legislatura, il tema della giustizia, purtroppo, non può essere affrontato a spezzoni, non può essere affrontato un problema alla volta, ma avremmo la necessità di avere una riforma strutturale e completa, che si occupi di tutti i problemi della giustizia.

E, allora, se vogliamo davvero riportare un po' il dibattito su quelli che sono i criteri delle democrazie liberali e se vogliamo riportare un po' il dibattito su quello che realmente accade all'interno dei nostri tribunali, non possiamo non evidenziare come la commistione di carriere fra la magistratura inquirente e quella giudicante toglie una garanzia fondamentale, che è quella della terzietà del giudice. Terzietà del giudice non vuol dire essere assolutamente sordo alle richieste delle parti: vuol dire avere la possibilità, per tutti i cittadini, di affidare la propria sorte giudiziaria a un magistrato che, in maniera assolutamente imparziale, sia capace di ascoltare accusa e difesa, senza il pregiudizio che invece oggi, purtroppo, pervade i nostri tribunali.

Qualche anno fa fu scritto un libro da un collega, questo libro si intitola I diritti della difesa nel processo penale e la riforma della giustizia ed è un volume che riporta una serie di dati che sono veramente interessanti, perché ci fanno capire qual è la percezione di chi opera all'interno dei tribunali di questa mancata divisione delle carriere. A parlare sono avvocati penalisti e, secondo il 72,9 per cento degli intervistati, in tribunale il giudice accoglie le richieste dei PM con una frequenza compresa tra il sempre e il quasi sempre; e, secondo il 58 per cento degli intervistati, il giudice è più sensibile alle sollecitazioni del PM rispetto a quelle del difensore nei processi ordinari, percentuale che sale al 71 per cento nei processi rilevanti.

E, allora, se vogliamo calare nel concreto questa percezione del processo, questa prassi che c'è all'interno del processo penale, capiamo quanto tutto questo abbia delle conseguenze importantissime sull'ammissione delle prove, dei testimoni, sull'ascolto dei testimoni ma, soprattutto, sulla terzietà del magistrato, che deve oggi necessariamente approcciarsi a tutte le prove dibattimentali con uno spirito sereno, ma soprattutto distaccato, fra le parti processuali che devono essere poste sullo stesso piano: nessuno può prevalere sull'altro. E lo vediamo, l'abbiamo visto dalla cronaca di questi giorni, l'abbiamo letto dal caso Palamara, quanto oggi ci sia un'interrelazione, tra l'altro, così tanto forte fra magistratura e politica, quanto sia divenuto oggi un unicum per cui, anche in magistratura, l'assegnazione dei ruoli di procuratore della Repubblica o la dislocazione nelle piante organiche dei ministeri dipenda da una visione unitaria che, di fatto, unisce la magistratura inquirente e la magistratura giudicante, e questo non dà la sensazione di democrazia reale, non dà la sensazione di democrazia concreta. La mancata separazione delle carriere si avviluppa attorno a tutto questo sistema e ci pone degli interrogativi che non possiamo non considerare circa il rischio che l'esercizio o il non esercizio dell'azione penale possa rispondere a dinamiche che sono del tutto estranee rispetto alla mera applicazione del diritto. Quando ascoltiamo, quando leggiamo, così come abbiamo fatto in questi mesi, una “questione magistratura”, capendo assolutamente che le persone sono persone, che le categorie non sono fatte di persone tutte assolutamente identiche, ci ritroviamo di fronte ad un tema sostanziale e abbiamo la necessità, oggi più che mai, che vi sia la riappropriazione del ruolo legislativo per chi ha questo ruolo e, ovviamente, che vi sia una distinzione di poteri sempre più definita. All'interno di questa definizione rientra, nella logica complessiva, ovviamente, anche quella della separazione delle carriere, perché dobbiamo assolutamente evitare che vi siano delle nuove distorsioni. Questa è un'urgenza, non è soltanto un tema che oggi affrontiamo; è una emergenza di questa nazione, è un'emergenza sentita tra gli italiani, e il fatto che quello che esaminiamo oggi è un progetto di legge di iniziativa popolare ci deve indurre proprio a raccogliere il testimone in una richiesta e tradurla in norma dello Stato. Sono i cittadini italiani che ci chiedono questa riforma, quindi evidentemente diventa un tema fondamentale nel rapporto fra giustizia percepita e giustizia applicata. Negli altri Paesi dove il PM è un funzionario del Governo (Francia, Spagna, Belgio) ed esiste un giudice istruttore indipendente che garantisce l'autonomia delle indagini, in questi Stati (mi vengono in mente anche la Gran Bretagna o gli Stati Uniti, dove l'investigazione penale è affidata alla polizia), viene in mente ovviamente la figura del pubblico ministero che noi abbiamo in Italia, ma il modo di operare delle procure distrettuali nel resto di Europa, e anche fuori dall'Europa, è un metodo completamente diverso da quello che invece viene ancora utilizzato in Italia. Noi siamo di fatto l'anomalia, in un sistema in cui si è già capito che i due ruoli devono essere separati, devono rimanere separati e devono essere assolutamente indipendenti l'uno dall'altro, perché è l'unico modo per garantire la giustizia e l'esercizio dell'azione penale, così come il raggiungimento di una sentenza definitiva che sia ovviamente imparziale rispetto agli atti che vengono presentati. Da 28 anni a questa parte c'è un nodo irrisolto, che è quello, come dicevo, dell'equilibrio dei poteri, che rende il nostro Paese una stortura nella tutela delle garanzie delle libertà individuali; allora dobbiamo proprio ripartire dal pieno compimento dell'articolo 111 della Costituzione, perché questo è il primo passo da effettuare per avviare un percorso che sia volto a porre rimedio a queste storture. Siamo nel 2020 e non possiamo più permetterci di avere una giustizia malata, non possiamo più permetterci di avere una giustizia che non funziona, non possiamo più permetterci di entrare nei nostri tribunali - lo dico, prima ancora che da parlamentare, da avvocato penalista che frequenta le aule quotidianamente - e di cercare il colloquio con i pubblici ministeri, sentendoci sempre una deminutio. Noi abbiamo la necessità che venga garantita la difesa e la garanzia della difesa di ogni cittadino, che non è colpevole fino a prova contraria, passa anche attraverso la separazione delle carriere, perché troppo spesso vediamo anche magistrati che dall'una funzione passano all'altra, che è un altro tema che andrebbe affrontato, così come la sostanziale impossibilità - questa è un'altra proposta di Fratelli d'Italia - per i magistrati che abbiano intrapreso, ad esempio, una carriera politica di ritornarci. Ecco, questi sono tutti temi che oggi nel 2020 devono necessariamente rientrare nel nostro dibattito, perché, se non siamo in grado di garantire una giustizia giusta, noi diamo il destro ai cittadini italiani e ovviamente a tutti coloro i quali vengono anche da fuori dei nostri confini di perdere la convinzione che siamo un Paese democratico e che siamo in grado di applicare i principi della democrazia nel nostro vivere quotidiano. La giustizia entra nelle nostre vite più di quanto possiamo immaginare, lo sanno tutti coloro i quali un processo l'hanno subito, lo sanno tutti coloro i quali vivono, come faccio io, come fanno tutti i colleghi avvocati quotidianamente, le tragedie di famiglie che magari per anni, soltanto per un pregiudizio, sono sottoposti ad un processo che poi magari finisce in assoluzione. Noi non possiamo più permettercelo. Siamo la nuova classe dirigente, così ci chiamano, e dobbiamo preoccuparci di formare ancora le classi dirigenti che verranno. Dobbiamo dare al Paese, ai cittadini, ai nostri giovani la speranza che ci sia ancora la capacità di attuare i principi di diritto e di democrazia nel nostro Stato. È per questo ovviamente che parteciperemo, come Fratelli d'Italia, a questo dibattito con passione ma soprattutto con l'assoluta convinzione che la giustizia debba essere giusta (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Riccardo Magi. Ne ha facoltà.

RICCARDO MAGI (MISTO-CD-RI-+E). Presidente, onorevoli colleghi, arriva oggi in Aula la proposta di legge costituzionale di iniziativa popolare sulla separazione delle carriere e dai primi due interventi di questa discussione generale, quello del presidente Brescia e quello del collega Ceccanti, abbiamo avuto con chiarezza la percezione di quali siano i limiti di questa discussione e di quanto ridotte siano, purtroppo, le aspettative che l'iter di discussione di questa proposta possa realmente andare avanti. Se questa proposta è arrivata in Aula, lo dobbiamo alla pervicacia, all'ostinazione e alla capacità, in particolare di un gruppo di opposizione, in particolare del collega Sisto, che voglio ringraziare per questo, ma ciò mi spinge intanto a fare una considerazione. Vi sono diverse proposte di legge d'iniziativa popolare attualmente giacenti che pongono, come questa, delle questioni di necessità di riforme urgenti nel nostro Paese, ne cito solo alcune.

Questa riguarda quello che a mio avviso sarebbe un pilastro di una reale ed efficace riforma della giustizia, ve ne è una che riguarda una riforma del testo unico sugli stupefacenti, una che riguarda le materie del fine vita, questioni sulle quali addirittura la Corte costituzionale ha chiesto al Parlamento e al legislatore di intervenire, eppure, nonostante, come ci ha ricordato il collega Ceccanti, l'articolo 71 della Costituzione preveda l'iniziativa legislativa popolare, restano nei cassetti della Camera dei deputati, benché tutti noi ricordiamo il discorso solenne di insediamento del Presidente Fico, nel quale veniva posta al centro dell'attenzione di tutti noi e anche del Paese la necessità di recupero della centralità del Parlamento anche proprio attraverso la discussione delle leggi di iniziativa popolare. Dico questo perché noi abbiamo vissuto una prima fase della Legislatura in corso nella quale addirittura si è parlato di iniziativa popolare rafforzata o di referendum propositivo, arrivando a promuovere e a far approvare in un ramo del Parlamento una riforma costituzionale quanto meno avventata e, a mio avviso, del tutto da respingere e oggi ci ritroviamo invece ancora una volta con le leggi di iniziativa popolare che non vengono discusse o che, qualora vengano discusse per l'impegno, per l'ostinazione di un gruppo di opposizione dei più consistenti, poi tornano di nuovo in Commissione. Basterebbe una semplice riforma del Regolamento che allinei il Regolamento della Camera a quello del Senato e che preveda il rispetto effettivo della iniziativa legislativa popolare con tempi certi per l'assegnazione alla Commissione da quando avviene il deposito, certi per i tempi di lavoro in Commissione, l'esame della Commissione e una iscrizione d'ufficio nel calendario dei lavori dell'Aula. Devo quindi invece constatare che quella parte cospicua dell'attuale maggioranza che aveva così a cuore l'iniziativa popolare ad oggi evidentemente ritenga che questa non sia più un'urgenza.

Passo rapidamente alle questioni di merito, auspicando anche io che nel ritorno in Commissione poi si possano approfondire compiutamente. Ritengo, a differenza del collega Fornaro, che esattamente questa impostazione, data dall'Unione delle camere penali proponendo la riforma costituzionale in esame, consentirebbe l'attuazione reale dell'articolo 111 della Costituzione, cioè esattamente la terzietà del giudice, mettendo al centro l'esigenza del cittadino di avere un processo più equo, di avere cioè un giudice che sia l'ultimo controllore dell'azione penale promossa dai pubblici ministeri, motivo per cui l'ultimo controllore non può avere…

PRESIDENTE. La invito a concludere.

RICCARDO MAGI (MISTO-CD-RI-+E). … non può appartenere - concludo, Presidente - allo stesso ordine del pubblico ministero, non può eleggere la propria classe dirigente con gli stessi meccanismi, non può avere gli stessi organi disciplinari. Quindi concludo con un po' di amarezza rispetto all'iter lampo della proposta di legge ma ponendo ancora una volta la necessità che in Commissione effettivamente l'iter riprenda e si riesca ad avere un confronto di merito con le forze politiche che in questo momento non ritengono debba proseguire in Aula (Applausi del deputato Sisto).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Calabria. Ne ha facoltà. Dove vuole, collega.

ANNAGRAZIA CALABRIA (FI). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, la discussione di oggi segna un momento importante, uno snodo fondamentale e, prima di entrare nel merito del provvedimento, intendo rivolgere un ringraziamento ai soggetti promotori di tale proposta di legge: l'Unione delle camere penali nonché il movimento popolare che ha sorretto tale iniziativa perseguendo con efficacia un obiettivo giuridico rilevante. Infatti oggi si può fare un approfondimento, si può parlare finalmente di un tema così importante grazie a loro, grazie soprattutto alla serietà con cui hanno condotto questa campagna. Un obiettivo che il gruppo di Forza Italia - l'ha ricordato testé l'onorevole Magi - nella azione pervicace del presidente Sisto, ha condotto e ha condiviso sin da subito, chiedendo la calendarizzazione del provvedimento, proprio perché riteniamo doveroso che in quest'Aula si giunga finalmente ad un confronto sulle ragioni della separazione delle carriere tra magistratura inquirente e giudicante, un intervento ormai improcrastinabile per restituire al sistema la serietà e la credibilità che è stata tanto duramente minata.

In troppe occasioni, nel corso di questa Legislatura, il Parlamento si è trovato infatti coinvolto nelle operazioni di smantellamento scientifico delle garanzie costituzionali dello Stato di diritto proposte o anzi, meglio, imposte dalla maggioranza, dal Ministro Bonafede e dalla ideologia che li ispira. Troppo spesso siamo stati ridotti ad assistere, grazie all'uso larghissimo del combinato disposto fra decretazione d'urgenza e questione di fiducia, alla creazione di strumenti e armi da mettere a disposizione del giustizialismo militante. Mi riferisco alla rottura del doppio binario con l'equiparazione dei reati contro la pubblica amministrazione a quelli mafiosi; all'invasione dei trojan nella pesca a strascico delle intercettazioni con lo Stato che si insinua nei computer e nei telefonini di ognuno di noi; all'abolizione della prescrizione e alla creazione della sinistra figura dell'ergastolo processuale in barba alle centinaia di casi di ingiusta detenzione che si verificano ogni anno; all'introduzione della confisca allargata ai reati fiscali e alle manette per gli evasori e al tentativo, poi sventato proprio grazie a noi di Forza Italia, di introdurre il processo da remoto. Un vero e proprio libro nero delle ferite inferte alla giustizia accompagnate - questo è senz'altro il dato più grave e allarmante - da una deriva culturale pericolosissima segnata dal panpenalismo, da una concezione orwelliana e angosciante del rapporto fra autorità e libertà, dall'uso del diritto penale come strumento etico di palingenesi morale o, meglio, moralista propugnata da una cerchia più volte distintasi per la sua falsa coscienza. Ebbene, al contrario di quanto è stato detto finora in tema di giustizia, la riforma che oggi discutiamo a mio avviso è davvero centrale nell'ottica, per noi irrinunciabile, di ripristinare lo Stato di diritto e le garanzie costituzionali non solo rispetto alle più spiacevoli incrostazioni normative portate avanti da una maggioranza che in materia è a forte e inequivoca trazione grillina - spiace dirlo - nel silenzio complice delle altre sinistre, ma anche di porre rimedio ad un vizio, ad una anomalia tutta italiana che da quasi venticinque anni affligge il nostro Paese, cioè l'uso politico della giustizia, cui spesso si è accompagnato quello che voglio qui definire l'uso protagonistico della giustizia; problemi che hanno radici complesse - mi rendo conto - ma che la mancanza di una nitida distinzione tra carriera requirente e quella giudicante contribuisce senz'altro ad alimentare, incrinando la percezione che i giudici hanno del proprio ruolo e i cittadini del ruolo dei giudici. Tale distinzione non per caso è accolta in tutti i principali ordinamenti occidentali e quindi è ormai indifferibile. Vorrei ricordare che il principio della separazione tra magistratura giudicante e requirente è già insito nella nostra Carta costituzionale, alla luce dei principi del giusto processo sanciti dall'articolo 111 della Costituzione, così come modificato nel 1999, che riconosce infatti la parità delle parti nel processo davanti a un giudice terzo e imparziale. La proposta che stiamo discutendo dunque si pone un obiettivo fondamentale: riconoscere formalmente una differenza di posizione tra giudice e pubblico ministero già esistente nella consapevolezza che la separazione delle carriere non debba essere un fine quanto uno strumento rivolto a conseguire un dibattimento giusto ed equo.

A questo punto mi piace ricordare - presiedevo la Commissione Affari Costituzionali durante le audizioni di questo provvedimento - e in Commissione Affari Costituzionali abbiamo audito Beniamino Migliucci, già presidente dell'Unione camere penali, e l'abbiamo audito in qualità di presidente del comitato promotore. Beniamino Migliucci ha introdotto la sua relazione con un richiamo impegnativo: un'intervista di Giovanni Falcone del 1991 a la Repubblica. Sinceramente non era la prima volta che Falcone si spendeva in favore della separazione delle carriere: già lo aveva fatto in un altro scritto meno conosciuto, La lotta alla criminalità organizzata e il nuovo modello processuale. Per lui il modello accusatorio era contraddetto dal fatto - cito testualmente - che, avendo formazione e carriera unificate, con destinazioni e ruoli intercambiabili, giudici e pubblici ministeri fossero in realtà indistinguibili gli uni dagli altri, fino all'amara conclusione: “chi come me ritiene che siano invece due figure strutturalmente differenziate nelle competenze e nella carriera viene bollato come nemico dell'indipendenza del magistrato, nostalgico della discrezionalità dell'azione penale e desideroso di porre il pubblico ministero sotto il controllo dell'Esecutivo”.

Il fenomeno dell'uso politico e protagonistico della giustizia, seppure circoscritto a cerchie più o meno ristretto di magistrati rispetto a una larghissima maggioranza silenziosa che ogni giorno adempie alla sua nobile funzione in posizione terza e imparziale e con encomiabile impegno e dedizione, ha assunto, specie nel lasso di tempo intercorso dagli anni Novanta a oggi, una dimensione sistemica, organizzata e pervasiva. Le sue ramificazioni si sono sviluppate, secondo una preoccupante catena, sia in senso verticale, dalle procure al CSM, sia in senso orizzontale, coinvolgendo movimenti politici, media e poteri economici. In questo contesto, torna alla mente un celebre aforisma di Piero Calamandrei: “Quando per la porta della magistratura entra la politica, la giustizia esce dalla finestra”. Tale considerazione epigrammatica condensa una serie di principi davvero coessenziali allo Stato di diritto e alla cultura costituzionalistica: la funzione giurisdizionale si distingue da quella spettante tradizionalmente al potere legislativo e al potere esecutivo, tra l'altro, per l'assenza di ogni partecipazione alla determinazione dell'indirizzo politico dello Stato e, a maggior ragione, per l'assenza di qualsivoglia indirizzo politico proprio, espressione di opzioni e preferenze di parte o corporative. L'essenza della funzione giurisdizionale risiede nell'applicazione della legge, intesa ampiamente come complesso delle norme che compongono l'ordinamento, e solo alla legge, in questa medesima accezione, la magistratura è soggetta, secondo l'articolo 101 della Costituzione, aspetto che vale ad assicurarne l'indipendenza non solo rispetto a interferenze esterne, ma anche contro forme di condizionamento interno.

Ebbene, già qui si può cogliere una prima verità del pensiero di Calamandrei, potendosi concludere che, là dove vi sia politica, intesa come indirizzo di parte o pretesa di disporre dell'interesse generale frutto di condizionamenti eteronomi o di moti autonomi, non vi è più giustizia, perché, a ben vedere, non vi è più giurisdizione, perché, come essa, deve essere intesa. Il compito di assicurare l'applicazione della legge in posizione di terzietà e imparzialità rispetto agli organi che concorrono a produrla è, a sua volta, espressivo di due altri capisaldi del costituzionalismo: ci si riferisce, innanzitutto, al principio di legalità, che impone che ogni potere sia esercitato sulla base di una previa norma giuridica, con una netta distinzione, e non solo dal punto di vista logico e cronologico, ma anche dal punto di vista degli organi preposti ai diversi segmenti procedurali, fra l'astratto disporre e il concreto provvedere. Si allude, poi, al principio di separazione dei poteri, il quale prescrive che le funzioni non siano concentrate in un unico soggetto istituzionale, poiché la concentrazione del potere è il primo e principale veicolo di instaurazione dell'assolutismo e della tirannide, più o meno occulta.

Il secondo risvolto dell'aforisma di Calamandrei è, dunque, la comprensibile conclusione che, laddove la magistratura esorbiti dal suo alveo per debordare nel perimetro di competenza di altri poteri dello Stato, cessa ogni istanza di giustizia legale. Viene soprattutto dall'insegnamento del liberalismo l'idea che rifiuta ogni figura del giudice-legislatore o del giudice-amministratore che, forte della toga, si faccia carico di creare e applicare la sua personale giustizia in terra; come è pure di matrice liberale l'idea che il processo deve restare il luogo dell'accertamento dei fatti e delle responsabilità individuali, non divenire il mezzo o il palcoscenico attraverso cui lo Stato regola i conflitti sociali, governa i flussi di consenso o veicola disegni di moralizzazione pubblica, e neppure il luogo in cui i magistrati perseguono disegni di ribalta politica o di procacciamento di consensi.

Occorre, poi, considerare il peculiare canale di legittimazione del potere giudiziario. In un sistema edificato sul principio di sovranità popolare, la giurisdizione costituisce un unicum: pur munita di rilevanti poteri che incidono al cuore i diritti e le libertà fondamentali degli individui, essa è estranea al circuito democratico. Tale anomalia, solo apparente, è in realtà un consapevole congegno volto ad assicurare ogni estraneità di chi è chiamato ad applicare le norme dall'agone politico, dalle contese di parte, dalla necessità, al tempo stesso, della possibilità di procacciarsi il consenso. Il protagonismo giudiziario danneggia, in primo luogo, la magistratura stessa e prevenire sia l'uso politico della toga sia l'uso giurisdizionale della carica politica è uno sforzo che deve prendere le mosse dalla magistratura stessa, perché tali patologie la delegittimano agli occhi dei cittadini, che non accetteranno decisioni provenienti da soggetti privi di ogni certezza ed imparzialità.

Concludo, Presidente. Quando Montesquieu, in De l'esprit des lois, allude al potere giudiziario così terribile fra i cittadini come potere che ha da essere invisibile e neutro affinché sia temuta la magistratura, non i magistrati, intende evocare, fra l'altro, proprio questo: i rilevanti poteri di cui la magistratura dispone, sganciati dal controllo democratico, debbono basarsi, infatti, su un naturale self-restraint.

Concludendo, onorevoli colleghi, vorrei qui richiamarvi - chiudo davvero, Presidente - all'importanza delle valutazioni che siamo oggi chiamati ad operare: siamo chiamati a inserire un tassello fondamentale nel complesso sistema dello Stato di diritto, a operare una riforma che può davvero cambiare qualcosa in positivo, per noi e per il nostro Paese (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Bazoli. Ne ha facoltà.

ALFREDO BAZOLI (PD). Grazie, Presidente. Qualche considerazione anche da parte mia, che pure non faccio parte della Commissione affari costituzionali, che ha istruito questa proposta di legge che, però, si occupa di temi che, ovviamente, riguardano l'assetto della giurisdizione e, quindi, in qualche modo, incrociano certamente anche le tematiche di competenza della Commissione giustizia, della quale faccio parte in qualità di capogruppo del Partito Democratico. Non per caso, noi, anche all'inizio dell'iter istruttorio di questa proposta di legge, ci eravamo fatti carico di chiedere al Presidente di poter esaminare, in congiunta tra I e II Commissione, questa proposta di legge, perché ritenevamo che sarebbe stato utile per una istruttoria più adeguata, e questo può essere anche uno degli argomenti, delle ragioni che può consigliare un ritorno in Commissione.

Io penso che l'argomento è certamente un argomento delicatissimo, quello della rivoluzione degli assetti della magistratura per come sono stati disegnati dai nostri Padri costituenti. È un argomento delicatissimo, perché, come ricordava prima il collega Ceccanti, è un argomento che riguarda l'equilibrio tra i poteri dello Stato, l'equilibrio tra giurisdizione e politica, un equilibrio complicato e difficile, che venne trovato dai Padri costituenti nell'attuale assetto costituzionale che questa proposta di legge si propone di modificare. Io ricordo che - è stato ricordato prima Calamandrei - fu proprio Calamandrei il giurista che, in sede di Assemblea costituente, immaginò un'architettura del nostro assetto giurisdizionale come quello che ci ha portato fino a qui. E lo immaginò proprio come equilibrio e via di uscita, di soluzione tra proposte e concezioni che erano diametralmente opposte, che venivano dai maggiori gruppi, diciamo, popolari dell'Assemblea costituente di allora: da una parte, il Partito Comunista, che propugnava e voleva l'elezione diretta dei pubblici ministeri, in quanto riteneva che la giustizia dovesse essere amministrata in nome del popolo e, quindi, coerentemente con questa visione, riteneva che anche la politica giudiziaria dovesse essere figlia di una scelta del corpo elettorale, quindi, pubblici ministeri eletti, direttamente dai cittadini; dall'altra parte, c'era, invece, la Democrazia Cristiana che, attraverso gli interventi di Giovanni Leone, riteneva che i pubblici ministeri dovessero essere sottoposti all'Esecutivo, cioè pubblici ministeri come espressione del potere esecutivo e, quindi, controllati e sottoposti al controllo e alla direzione del Ministro della Giustizia. In mezzo a queste due concezioni della giurisdizione che, in qualche modo, si elisero a vicenda, si innestò la proposta e l'ipotesi di Calamandrei, che era quella di una giurisdizione unica, quindi di una magistratura unica, quindi un corpo dei magistrati unitario, quindi requirenti e giudicanti uniti dentro lo stesso ordine e dentro la stessa carriera, con un unico CSM, e con un CSM che doveva diventare, che sarebbe dovuto diventare il raccordo tra la politica e la giustizia.

Non sfuggiva neanche a Calamandrei che il grande problema di un assetto giurisdizionale in cui si garantiva e si dava grande autonomia e indipendenza alla magistratura era quello di rischiare un eccesso di autonomia e indipendenza rispetto alle scelte democratiche, che son figlie, invece, della politica, del corpo elettorale e quindi che sono passibili di valutazioni e di giudizi da parte del corpo elettorale. Quindi, per consentire un raccordo tra la giurisdizione e l'autonomia dei magistrati con le scelte della politica, si immaginò il CSM, cioè un organo di autogoverno nel quale dovevano essere presenti non solo rappresentanti della giurisdizione, ma anche rappresentanti eletti dal Parlamento italiano, quindi eletti dai rappresentanti del popolo. Questa, lo dico per inciso, è una delle ragioni per le quali io ritengo che anche nella diciamo modifica del CSM e dell'ordinamento giudiziario, che sarà oggetto di discussione nei prossimi mesi in Parlamento, in esito alle scelte del Governo, io penso che noi dovremmo ben guardarci dall'ipotesi, che pure è stata ventilata, di considerare non eleggibili al CSM parlamentari o esponenti politici, pur qualificati dalla professione forense o di professore universitario, perché noi perderemmo, in questo caso, esattamente una delle caratteristiche fondamentali del CSM, che è esattamente quella di essere un raccordo tra giurisdizione e scelte di politica giudiziaria, che venne appunto voluta dal legislatore costituente e che costituisce l'architettura, il delicato equilibrio dell'architettura giurisdizionale del nostro Paese.

Questa proposta di legge si propone di modificare ed innovare profondamente questo equilibrio sulla scorta di un'esigenza, che è un'esigenza io credo legittima e comprensibile, cioè quella di garantire, anche alla luce del nuovo processo accusatorio - nuovo si fa per dire, perché ormai risale a oltre trent'anni fa, ma insomma, dell'introduzione del processo accusatorio - nel nostro ordinamento, che prevede e vuole che ci sia un giudice terzo e imparziale che decide e giudica dentro un procedimento, nel quale ci sono due parti che si confrontano tra di loro (il pubblico ministero e l'avvocato difensore della parte dell'imputato). Dentro questo quadro, la proposta di legge si propone appunto di completare e di garantire che questa imparzialità e terzietà del giudice venga effettivamente raggiunta attraverso una modifica ordinamentale che passa anche attraverso una modifica della Costituzione, attraverso appunto la separazione delle carriere tra magistrati requirenti e magistrati giudicanti.

Io penso che questa sia una proposta che debba essere valutata in maniera laica - lo diceva prima anche il nostro collega Ceccanti -, cioè penso che noi dobbiamo avere la capacità, anche nella discussione politica, anche nella discussione tra di noi, anche nel dibattito pubblico, di uscire dai giudizi spesso unilaterali e superficiali con i quali si bollano le posizioni altrui quando si parla di questi argomenti. Io penso che non sia un tabù parlare di separazione delle carriere, che chi propone la separazione delle carriere per garantire maggiore terzietà del giudice non lo faccia, come viene rinfacciato a volte, con l'idea e lo scopo di eliminare, di ridurre l'autonomia e l'indipendenza dei magistrati; io non penso che ci sia dietro questo retropensiero. D'altro canto, io non penso che chi si oppone alla separazione delle carriere lo faccia per mero senso corporativo di difesa di uno status quo e di difesa di uno squilibrio, se effettivamente esistente, tra le parti all'interno del processo. In altre parole, penso che ci siano argomenti fondati, dei quali è giusto discutere, che militano a favore della scelta della separazione di carriere, così come argomenti fondati che possono giustificare una strada di marcia diversa rispetto alla separazione delle carriere, fermo restando che io penso - noi pensiamo - che il problema della terzietà del giudice all'interno del processo accusatorio è un problema che si pone e che non può essere eluso. Tuttavia, la domanda che ci facciamo - ce la facciamo come gruppo del Partito Democratico - è se la strada individuata dalla proposta di iniziativa popolare oggi in discussione sia la strada migliore per raggiungere il risultato, alla luce di alcune considerazioni, la prima delle quali riguarda il fatto che io ritengo, noi riteniamo, che le grandi riforme di sistema, tutte le grandi riforme di sistema - in particolare quelle che riguardano la giurisdizione - debbono tentare di essere accompagnate da un consenso largo anche dagli stessi protagonisti della giurisdizione. Ora, noi sappiamo che sulla separazione delle carriere c'è un consenso molto largo e molto forte dell'avvocatura e, d'altro canto, c'è un dissenso pressoché unanime della magistratura, che è peraltro il destinatario di questa riforma. Ora, noi ci chiediamo: vale la pena di innescare una rottura così clamorosa tra le posizioni degli attori della giurisdizione per raggiungere risultati che forse, in parte o magari anche meglio, possono essere raggiunti in maniera diversa che non attraverso la separazione delle carriere? Cioè, ha senso innescare una diciamo reazione, anche di natura istituzionale, molto forte da parte della magistratura, che sappiamo è compattamente contraria a questa riforma, per raggiungere risultati che forse possono essere aggiunti in modo diverso? Questo è il primo grande dubbio che ci poniamo.

Il secondo dubbio è se sia la separazione delle carriere esattamente lo strumento che può garantire meglio quegli obiettivi e quei risultati che ci si propongono, o se invece quel veicolo, quello strumento, non si presti a rischi che forse è meglio evitare, quei rischi che ha denunciato, tra gli altri, in termini secondo me ragionevoli ed equilibrati, il presidente emerito della Corte costituzionale, Cesare Mirabelli, pochi giorni fa, quando ci ha avvertito di stare attenti perché, attraverso la separazione delle carriere, noi corriamo il rischio di aumentare ancor di più il potere che già oggi è nelle mani dei pubblici ministeri e, in qualche modo, di creare una categoria di servitori, di amministratori pubblici, di servitori dello Stato, dotata di un potere talmente smisurato e talmente elevato che poi potrebbe addirittura rendersi consigliabile o necessaria una limitazione di questo potere, attraverso una forma di controllo che potrebbe subentrare da parte del potere esecutivo. Questo è il rischio che viene paventato da alcuni giuristi in caso di una scelta che andasse in quella direzione. Allora, se questo è, io penso che, se questi sono i rischi, se noi dobbiamo guardarci dall'idea di fare riforme che riguardano riforme di sistema così importanti dell'assetto della nostra giurisdizione, senza avere un consenso largo anche di chi appunto oggi gestisce la giurisdizione, quindi non solo degli avvocati, ma anche dei magistrati, io penso che occorre verificare e provare a capire se non ci sono altre strade e altre vie, magari attraverso la legislazione ordinaria, senza passare attraverso uno scardinamento di un assetto della giurisdizione che, quantomeno, ha garantito certamente l'autonomia e l'indipendenza della magistratura fino a oggi, cioè se non ci siano altri strumenti.

Noi pensiamo che qualche strada ci sia e, peraltro non lo diciamo noi, non lo dice il Partito Democratico, ma ciò lo hanno detto anche nel recente passato autorevolissimi giuristi. Io ho partecipato poco alle attività della istruttoria della Commissione, la I Commissione, su questo disegno di legge, ma ricordo, però, di aver partecipato a una seduta di audizioni in cui venne audito il professor Spangher, il quale disse che, per quanto lui fosse favorevole a un'ipotesi di separazione delle carriere, secondo lui un risultato analogo si poteva raggiungere attraverso quegli strumenti che già vennero proposti da un autorevolissimo giurista come Giovanni Canzio, che fu presidente della Corte di cassazione, i quali, appunto, hanno parlato di uno strumento migliore per garantire maggiore terzietà al giudice nella fase più delicata nella quale questa terzietà deve manifestarsi, cioè nella fase delle indagini preliminari, cioè in quella fase in cui effettivamente il potere che ha il pubblico ministero è un potere soverchiante, che molto spesso non garantisce adeguatamente la parità rispetto ai difensori e alla parte privata.

Lo strumento migliore è, quindi, introdurre in quella fase finestre di giurisdizione, cioè garantire che vi sia un maggior controllo, un miglior controllo del giudice sull'attività del pubblico ministero; in quella fase nella quale l'attività di pubblico ministero si manifesta con più vigore, in quanto è la fase che è tutta nelle mani del pubblico ministero. Quello potrebbe essere quindi uno strumento; è dentro la riforma del processo che adesso è stata appena incardinata in Commissione, e che quindi spero finalmente arriverà in discussione anche nella fase istruttoria. Qualche ipotesi che segue quella direzione di marcia è stata introdotta: ricordo per esempio il controllo del giudice per le indagini preliminari sulla data di iscrizione della notizia di reato nel registro degli indagati, perché questa è una forma di controllo che può garantire meglio di quanto non accada oggi il rispetto rigoroso dei tempi di attuazione delle indagini preliminari, che oggi spesso invece non vengono rispettati. Quella è una strada sulla quale incamminarsi. Così come un'altra strada sulla quale incamminarsi, senza per questo arrivare necessariamente alla separazione delle carriere, attraverso anche una rimodellazione dell'architettura costituzionale del nostro sistema, è quella di una maggiore, una migliore separazione delle funzioni, che peraltro già oggi c'è. La separazione di funzioni già oggi in parte è evidente: se noi pensiamo, per esempio, a come è articolata, organizzata la superprocura antimafia, ci rendiamo conto di quale sia ormai l'assetto organizzativo separato dei pubblici ministeri, rispetto all'assetto della magistratura giudicante. Ma si può fare ancora di più anche in quella direzione: per esempio, riducendo le possibilità di passaggio da una funzione all'altra, in modo da garantire anche una maggiore specializzazione dei giudici e del pubblico ministero ed è questa una delle ipotesi su cui si sta lavorando anche nella riforma dell'ordinamento giudiziario e del CSM.

Io penso che questo sia il lavoro sul quale è meglio incamminarsi; e penso che accanto a ciò - e su questo dissento in parte dalle parole che ho sentito prima dal collega Fornaro -, un altro tema, del quale non ci si può non occupare quando si parla di maggiore trasparenza e maggiore (come si dice con un termine inglese) accountability, quindi responsabilizzazione dell'attività del pubblico ministero, sia il lavoro su alcuni adeguati filtri della obbligatorietà dell'azione penale, che penso debba essere fatto, e che si possa fare anch'esso a Costituzione invariata, ossia senza cambiare, come pretende questa proposta di legge, l'articolo che prevede l'obbligatorietà dell'azione penale; credo si possa lavorare affinché sia possibile garantire una maggiore trasparenza nelle scelte delle attività e delle azioni giudiziarie, nelle scelte delle procure, maggiore trasparenza nelle loro scelte, aspetto che oggi non è adeguatamente garantito, perché maggiore trasparenza garantisce anche maggiore responsabilità poi nelle scelte che vengono operate. Io penso che su questo, in questa direzione si possa lavorare, e quindi il ritorno in Commissione può aiutare forse a sciogliere alcuni dei nodi che abbiamo indicato. Fermo restando che io credo che, già nei progetti di legge sia di riforma dell'ordinamento giudiziario e del CSM, sia del processo penale, vi siano alcune delle ipotesi e delle soluzioni che possono garantire anche alcuni degli obiettivi che si sono dati i proponenti di questa proposta di legge, e sulle quali io mi auguro che ci sia una discussione aperta e franca, che possa aiutare a trovare soluzioni più condivise possibili nell'interesse della giurisdizione e del funzionamento della nostra giustizia (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Francesco Paolo Sisto. Ne ha facoltà.

FRANCESCO PAOLO SISTO (FI). Presidente, è come avessi uno spartito che certamente non è scritto per un solista, scritto da 70 mila firme, da 9 milioni di cittadini che, all'epoca, votarono per la separazione delle carriere; per cui non posso negare, a fronte dell'ipocrisia che abbiamo ascoltato in quest'Aula fino a questo momento, tranne che per alcuni interventi, di essere emozionato nel rappresentare in questo momento l'approdo in Aula della possibilità di applicare l'articolo 111 della Costituzione. L'Aula ascolta il grido che in qualche modo tende semplicemente ad applicare la Costituzione; e lo dico subito, la sentenza, citata come sempre autorevolmente, ma non me ne vorrà, dal collega Ceccanti, manca di un numero, il 111. È una sentenza che non affronta minimamente il tema dell'articolo 111, introdotto nel 1999, ma che in quel punto cinque non ha asilo. Noi chiediamo l'attuazione dell'articolo 111 della Costituzione: “La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge”.

Perché se qui noi non partiamo dall'articolo 111, non capiamo. Possiamo dire tutto quello che vogliamo, ma il ragionamento è semplice: un giudice terzo ed imparziale non può essere lo stesso che accusa. Difficile? Difficile. Direbbe Conan Doyle: “Elementare, Watson”. Elementare, cari colleghi; elementare, democrazia; elementare, Parlamento; elementare, cittadini: elementare per chi abbia un minimo di decenza culturale!

“Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice - parole meravigliose - terzo e imparziale”. Io mi chiedo, perché poi sono innamorato dell'interpretazione: diceva il mio maestro che la prima interpretazione è quella letterale, poi c'è quella evolutiva, tutto quello che vogliamo, analogica. Ma un giudice terzo rispetto a che? Cioè, terzo rispetto a che? Accusa e difesa. Può mai essere il giudice terzo uguale all'accusa, avere la stessa maglia dell'accusa? Non sarebbe terzo. Ma scusate, è proprio facile, è facile! Come fate a bizantineggiare su una cosa così semplice? E a proporre, illustre Presidente, in Commissione emendamenti abrogativi dell'articolo 111 della Costituzione? Non della proposta di iniziativa popolare che le camere penali hanno portato fino in fondo, non abrogativi delle firme della gente. Quella stessa gente che avrebbe dovuto, secondo coloro che oggi non sono intervenuti… Del MoVimento 5 Stelle non ce ne è uno che è intervenuto, tranne il presidente Brescia in funzione istituzionale, non ce n'è uno. Quelle stesse firme che dovevano portare, secondo l'articolo 71 della Costituzione made in Fraccaro, a obbligare il Parlamento ad approvare quelle proposte, e se le avesse modificate c'era un referendum: una roba da pazzi! Una roba da pazzi! Da nascondersi sotto i banchi di Montecitorio e non avere più il coraggio di entrare! Una proposta di iniziativa popolare che vede emendamenti abrogativi e l'assenza oggi in Aula di un rappresentante del MoVimento 5 Stelle.

Ma questa è la vostra democrazia? C'è una norma costituzionale di cui noi chiediamo l'applicazione semplice, scritta nel 1999; e non è soltanto nel 1999. Qui il professor Ceccanti mi controllerà come se io fossi un suo allievo, e sarei onorato di esserlo: ma è vero o non è vero che nei lavori preparatori della Costituzione c'era chi ha propugnato la separazione delle carriere? Non è una novità, non è una novità! È nel cuore della giurisdizione. Ma è vero o non è vero che, in gran parte dei Paesi d'Europa, la separazione delle carriere è una realtà, è vero o non è vero? E noi ci sottraiamo.

Io mi sono chiesto - perché poi sono curioso - perché in questo Paese vi è la difficoltà di applicare l'articolo 111 della Costituzione, con tanta veemente ipocrisia. Questi due termini non vanno in rotta di collisione: l'ipocrisia, quando è forte, è capace anche di essere veemente. Ma è semplice: perché qualcuno pensa di poter utilizzare la magistratura per compiti che non sono della magistratura; si illude sempre che ci sia qualcuno che sia dalla sua parte, più che dall'altra parte, che possa essere legato a certe situazioni più che ad altre. Altrimenti non avrebbe nessun senso, se noi avessimo la certezza della terzietà e di rivolgerci al giudice come a qualcuno che protegge i non colpevoli - non è un'espressione che utilizzo casualmente, perché la presunzione si chiama di “non colpevolezza” e non di “innocenza” e non è una differenza di poco conto -, se noi non avessimo questa idea deviata e deviante della magistratura, che invece è una nobile funzione. D'altronde, quando la Costituzione scrive che essa è soggetta soltanto alla legge, questa è una affermazione straordinaria, “soltanto alla legge”: è quest'Aula che può rendere la magistratura come un soggetto che deve eseguire gli ordini legislativi del Parlamento, una separazione di poteri chiara, netta, precisa, profonda, che noi rifiutiamo di estendere a chi accusa, rispetto a chi giudica. Ma, Presidente, neanche siamo stati spaventati da quello che è accaduto recentemente: il fenomeno di crisi endogena del sistema della magistratura non ci deve scandalizzare - è inutile lanciare strali -, ma ci deve aiutare a rimediare. Noi non dobbiamo essere feroci critici del passato, ma attenti scrittori del futuro. Nella scienza medica l'anamnesi a che cosa serve? A formulare la diagnosi per la prognosi e per la terapia. A me non interessa quello che è successo, ma voglio che non si ripeta più. Scusate, ricordo male o recentemente, proprio durante le elezioni del CSM, c'era stato qualcuno che era entrato nei ranghi dei pubblici ministeri per poter fare per un certo periodo il pubblico ministero ed essere poi eletto con certezza al CSM? Questo non ci ha insegnato niente? Passare dalla funzione giudicante a quella requirente per andare al CSM a voi sembra una cosa normale? E noi facciamo finta di niente! Dice il collega Bazoli che sappiamo che c'è poca trasparenza, che c'è la necessità di intervenire. Ma come? Che cosa volete fare? Voi in qualche modo, con il MoVimento 5 Stelle, ci andate a braccetto pur di non perdere il Governo e mi meraviglia che, anche su questa materia, non abbiate la forza di dire che è necessario intervenire per mettere ordine costituzionale, se esiste ancora la parola “costituzionale”. Io ho l'impressione che qualcuno la usi a corrente alternata, che ci sia una Costituzione che, quando serve, si rispetta, quando non serve, si ignora. Presidente, il processo penale è cambiato: è cambiato nel 1988-1989 con la “riforma Vassalli-Pisapia”, diventando un processo accusatorio, in cui cioè sostanzialmente la formazione della prova - l'articolo 111 lo ha sancito - non è più un affare delle camere oscure delle procure; la prova si forma nel contraddittorio e nel dibattimento. Allora, immaginiamo per un attimo - la Costituzione protesta, si muove anche su questo tavolo e io allora la consegno alla collega Calabria, perché riesca a farla stare un po' ferma; capisco che la Costituzione soffra in questo momento, quando ascolta gli interventi di chi cerca di ignorarla e di mortificarla -, se la prova si forma nel contraddittorio e c'è un giudice che stabilisce che cos'è il contraddittorio, come può essere che una delle parti sia parente di colui che deve giudicare nel contraddittorio delle parti? Come è possibile immaginare soltanto per un attimo che questo possa perpetrarsi? Allora, riguardo alla nostra proposta - io dico “nostra” perché l'abbiamo condotta insieme ai colleghi della Commissione con grande attenzione, con grande veemenza, questa volta spinti dalla certezza che fosse giusto occuparsene -, abbiamo assistito, questo sì, ad una scelta “coerente”, quella di cercare di abrogare questa proposta, o peggio di non discuterla, di rifiutare la discussione sulla separazione delle carriere - che non è da sola: c'è il doppio CSM e c'è il problema della obbligatorietà dell'azione penale -, su temi clou, temi fulcro, temi centrali perché il processo penale possa tornare ad avere quella sua funzione nomofilattica, di custodia della corretta applicazione delle regole e delle norme. Non è importante il risultato, è importante il metodo: tu devi essere assolto o devi essere condannato secondo un metodo corretto; quanto al risultato, poi hai tre gradi di giudizio per essere rivalutato, ma l'importante è che le regole siano corrette. Questo è il compito del processo: non assolvere o condannare, ma giungere ad una sentenza giusta, secondo regole precostituite, che vedono il giudice terzo, indipendente da qualsivoglia tipo di condizionamento. Ma in Commissione c'è stato un gesto di grande “coerenza” (tra virgolette). A cosa abbiamo assistito? Lo ha detto bene la collega Calabria, in un brillante intervento che io sottoscrivo integralmente. Che cosa è successo? Perché non si discutono questi principi? Perché il MoVimento 5 Stelle, con il Partito Democratico, che nulla ha fatto per prendere neanche un centimetro di distanza da questo, neanche un centimetro, e oggi ne abbiamo avuto una qualificata conferma, abroga questa legge? Che cosa ci dice la giustizia del MoVimento 5 Stelle-Partito Democratico, correo in questo, neanche tanto silente, per certi versi? Altro che il Ministro Orlando: noi pensavamo che lui fosse il massimo del giustizialismo, ma non avevamo visto il Ministro Bonafede; eravamo convinti che Orlando fosse il top della sinergia con le procure, ma per carità: non c'è mai limite al peggio. Siamo di fronte ad un Governo che anche in Commissione diventa coerente con la politica di maglio della giustizia, di ghigliottinamento costante dei diritti, di ricerca assoluta del principio della presunzione di colpevolezza, dal punto di vista processuale e sostanziale. Nulla di nuovo, tutto quello che è diritto deve essere soffocato e - come dice qualcuno - soffocato quando è giovane, perché questo è un provvedimento che si è cercato di uccidere da giovane. Noi l'abbiamo portato in Aula e sono fiero di averlo portato in Aula, perché l'Aula possa ascoltare e possa rimanere agli atti della Camera quello che è accaduto e quello che qualcuno vuole che non accada, ma accadrà, io sono convinto che accadrà, perché poi dico sempre che la Costituzione è una creatura straordinaria, che al momento opportuno - vedi i referendum di qualche tempo fa, quando tutti pensavano che il referendum fosse nelle mani di chi governava e sgovernava in questo Paese, il 70 per cento degli italiani ha detto “no” - la Costituzione si vendica. Questi abusi non passeranno, la separazione delle carriere arriverà, perché ci sarà un Parlamento che finalmente si sveglierà e vorrà applicare l'articolo 111, vorrà dire: “La Costituzione prima di tutto”. In Commissione quindi abbiamo assistito ad una sorta di continuità fra la politica del Governo e le scelte governative. Ma che cosa hanno detto gli auditi? Noi dalle audizioni non traiamo soltanto un'occasione di maquillage parlamentare, con illustri giuristi che vengono a raccontare la propria vita e i deputati che qualche volta ascoltano e qualche volta prendono appunti, ma raramente traggono le conseguenze da quelle audizioni. Durante le audizioni non ce n'è stato uno che ha detto che non era sostanzialmente d'accordo, anche i più feroci sono stati comunque perplessi, cioè il massimo dell'atteggiamento è stato: “ ma sì, forse, si potrebbe”; io ho sentito Maiello e Spangher, cioè abbiamo ascoltato i migliori processualisti e sostanzialisti del nostro Paese. Scusate, ne posso citare uno, su cui nessuno può dire mezza parola, che purtroppo non è potuto venire per ovvie ragioni? Giovanni Conso. Io ero presente quando Giovanni Conso, in un memorabile convegno delle camere penali - era già anziano - salì sul palco e disse: “Scusate, ho cambiato idea: il 111 comporta la separazione delle carriere”. Io non ricordo mai un applauso così scrosciante e liberatorio perché il guru, il vate del processo penale, l'indiscusso leader del pensiero sul processo penale aveva detto che la separazione delle carriere era indispensabile. E noi che cosa facciamo in quest'Aula?

Ignoriamo, non pensiamo, facciamo della ragion politica la ragione culturale e costituzionale, ci sottoponiamo all'occasionalità del risultato, per ignorare principi fondamentali a cui ciascun cittadino ha diritto. Vedete, il processo penale ha una caratteristica: bisogna trovarsi dentro il processo penale per capire che cos'è; bisogna stare nel processo penale. Io ho un'esperienza, ahimè, da medico e non da paziente - da medico con 44 anni di esperienza - e vi assicuro che la terzietà è un valore fondamentale e se noi lo seminassimo oggi, raccoglieremmo fra cinque, sei, sette, otto o nove anni, allorquando alla scelta ordinamentale deve fare eco la scelta culturale. Qualcuno dice: ma il pubblico ministero potrebbe diventare dipendente! Vi assicuro che questa è una fake da questo punto di vista: ma chi ci pensa mai a rendere il pubblico ministero dipendente dall'esecutivo! Ma questa è veramente una balla spaziale, direbbe Mel Brooks. Siamo di fronte ad una scelta incredibilmente falsa: l'indipendenza del pubblico ministero e del giudice è indiscutibile e indiscussa, e deve rimanere indiscutibile ed indiscussa.

Allora, se un pubblico ministero che oggi accusa senza pietà e un giudice che deve giudicare, avendo “pietà” - perché c'è anche un articolo 133, c'è anche una umanità che nel processo rivendica il suo spazio e non soltanto quoad poenam, ma anche sotto il profilo dell'elemento psicologico, delle esimenti eccetera - qual è la difficoltà di dare a ciascuno il suo ruolo e di camminare su percorsi paralleli? Due CSM: ma perché? Quando è stata scritta quella proposta non era ancora accaduto nulla, illustre professor Ceccanti, e la ringrazio per essersi fermato qui ad ascoltare. Quando noi abbiamo scritto questa proposta era successo qualcosa al CSM? No, non era successo proprio nulla. Ma oggi che noi abbiamo l'idea plastica - perché forse quella filosofia un po' ce l'avevamo - di quello che può accadere, tenere, separare, dividere, controllare meglio, avere la chiarezza fra chi accusa e chi giudica è proprio sbagliato? Non è una necessità, non è una terapia indispensabile, perché la magistratura abbia lo smalto che deve avere? Deve brillare la magistratura: io voglio una magistratura brillante, vera, fulgida, chiara, netta, precisa, che dia lustro al Paese! Questo non è un provvedimento che può restituire tutto quello che purtroppo alcuni hanno opacizzato? Non me ne vorrà, Presidente, ma quando le responsabilità personali diventano responsabilità diffuse, probabilmente bisogna cambiare le regole. Cioè, quando le responsabilità si estendono a macchia d'olio e si capisce che c'è un sistema che non riesce più a distinguere perché è un po', come posso dire, ampio il range delle responsabilità, allora è il sistema che va cambiato.

Io penso che noi siamo in queste condizioni: c'è la necessità di cambiare un sistema e non soltanto il criterio di elezione, perché poi, come accade, la duttilità delle prospettazioni patologiche si adegua ai cambiamenti numerici e di struttura. Se c'è patologia, come posso dire, la mollezza, la capacità di adeguamento della patologia fa sì che non siano i numeri a fare la differenza; bisogna cambiare la testa, il pensiero, la cultura, differenziare, aumentare il numero dei laici, come noi suggeriamo; neanche questa è una mia idea perché è un'idea che nasce dai lavori della Costituente. Ricorderà il professor Ceccanti quanti si sono battuti perché nel CSM ci fosse un pari numero di laici e di togati, con soltanto il presidente che potesse fare la differenza.

Quindi, nulla di nuovo rispetto a quanto è già nei lavori preparatori della Costituzione: la obbligatorietà dell'azione penale. Ma, scusate, oggi è obbligatoria l'azione penale? Ma perché, per chi ha un minimo di esperienza con i marciapiedi dei processi, il potere di archiviazione o di non iscrizione fa sì che l'azione penale sia obbligatoria? Renderla discrezionale o obbligatoria secondo legge vuol dire la “circolare Maddalena“ di Torino, cioè dare priorità a quei processi che hanno la necessità di essere celebrati prima di altri, per ragioni oggettive, per ragioni ostensibili e non più lasciate alla discrezionalità del pubblico ministero che sceglie di perseguire Tizio anziché Caio o che accelera nei confronti di Tizio. Naturalmente, qui non si discute dell'elemento psicologico del pubblico ministero, si discute di una discrezionalità di fatto che è protetta, invece, da un principio di falsa obbligatorietà. Allora, invece, renderli chiari questi criteri, secondo voi è meglio o è peggio? Bisogna dare al pubblico ministero dei principi - A, B, C, D, anziché dirgli B, C, o forse A, F o Z - e lasciare a lui questa scelta. Ecco il motivo della modifica, e non è neanche questa un'idea di Forza Italia e mia, ma è un'idea storica che nasce dalla dottrina processual-penalistica in tempi addirittura non sospetti.

Allora, Presidente, io credo che, davvero, questo sforzo di provare a offrire all'Aula un'occasione di riflessione non sia uno sforzo secondario. Noi torneremo in Commissione, non tanto per ridiscutere ma col senso di peso che gli interventi in quest'Aula debbono muovere in ciascuno di noi: per senso di responsabilità. Bisogna sapere che tornare in Commissione per uccidere il 111 sarà un omicidio costituzionale gravissimo; significherà vendere la propria coscienza di parlamentari fedeli alla Costituzione all'occasion politica, alla necessità di non turbare un andamento di un Ministero che credo debba essere cancellato quanto prima possibile, per la scarsa qualità dei provvedimenti, per le scelte assolutamente non conformi, per uno spirito inquisitorio insopportabile. Noi non siamo un Paese da inquisizione, noi siamo un Paese di giuristi e di giudici; un Paese che ha fatto del pensiero giuridico l'orgoglio europeo, e forse non soltanto europeo. Ci siamo ridotti - lo ripeto, ci siamo ridotti - a essere un Paese in cui vince chi dà più pene, chi è più severo, chi è più cattivo, chi è più capace di fare delle indagini preliminari una morte anticipata, di dire che i magistrati che condannano sono gli unici che fanno carriera. Siamo arrivati a questa follia, laddove il sistema giudiziario langue in una specie di limbo insopportabile in cui non si capisce più che cosa è giusto, che cosa è ingiusto, dove si decide diversamente indipendentemente dalle stesse situazioni; dove c'è una parola che a me non piace, Presidente, cioè la “imprevedibilità” del risultato. Ciò è terribile: terribile! Un risultato imprevedibile non perché vi sia l'alea della sentenza, ma perché può accadere di tutto, come accade di tutto in questo Parlamento.

Allora, il tentativo che noi abbiamo cercato di porre in essere è quello di un ridimensionamento di tutto questo. Parlava il collega Fornaro - che io ascolto sempre con grande attenzione, anche se si è allontanato ma non gliene voglio, perché capisco che per un garantista quale è il collega Fornaro sostenere che questo non sia un provvedimento corretto è molto difficile - di “equilibrio dei poteri”. Ma, scusate, chiedo - lo chiedo veramente con un quesito proprio ontologico, di sostanza - se è equilibrato un potere che vede dallo stesso lato del fiume, sulla stessa sponda, coloro che devono emettere un giudizio nel contraddittorio e coloro che invece accusano. Ma, fatemi capire: qual è l'equilibrio dei poteri, qual è il disequilibrio che si creerebbe restituendo a ciascuno la maglia del derby - giusta - senza la possibilità di mistioni? Noi abbiamo provato a sostenere queste ragioni, Presidente, e abbiamo provato a sostenere queste ragioni in sinergia con le Camere penali. Il collega Battilocchio ha, giustamente, testimoniato lo sforzo delle Camere penali di essere presenti ed è giusto che siano presenti, essendo state le promotrici di questa iniziativa in quest'Aula e nei lavori del Parlamento. Io voglio prendere un passaggio di questa lettera perché mi sembra particolarmente rilevante ricordare la differenza fra imparzialità e terzietà, laddove la terzietà è il valore principale che garantisce l'effettiva attuazione dei principi del contraddittorio, della parità delle parti e assicura l'imparzialità della decisione, perché se io sono diverso, da accusa e difesa, posso essere imparziale nella decisione!

Se io non sono diverso, ma sono uguale, posso cambiare. Qui non è un problema di rapporti personali, anche su questo eliminiamo il tema dei rapporti personali, il caffè… non è questo, è un problema ordinamentale e istituzionale. E questa esistenza di una mistione fra controllore e controllato mi sembra che costituisca uno dei passaggi più rilevanti di questa proposta. Ho detto che altri Paesi hanno la separazione delle carriere, e li citerò perché voglio che rimanga agli atti quali sono questi Paesi: Germania, Svezia, Spagna, Portogallo, Inghilterra, Stati Uniti, Australia, Canada, Nuova Zelanda, Giappone. È un principio che non ha cultura, non ha diversità di luoghi: è un principio, scusate se lo dico, di diritto naturale, è dentro di noi che chi accusa non può giudicare, che chi giudica non può accusare, è dentro di noi! Affidereste mai una vostra lite a chi è stato vostro avversario dieci minuti prima?

Allora, credo di dovere necessariamente, ma con dispiacere, avviare il mio intervento alla conclusione, perché voglio aggiungere un altro step al mio dire. La separazione delle carriere non è un fine, ma è un mezzo; vorrei che questo fosse chiaro: non è un fine, è uno strumento, è un mezzo. E, se è vero che è un mezzo e non è un fine, chi si affanna per trovare nella separazione delle carriere un fine, come posso dire, vendicativo nei confronti di chicchessia, sbaglia, profondamente; e, anzi, il nostro fine è quello di mettere pace all'interno del sistema processuale, di restituire a ciascuno il giusto ruolo. E quando le parole ci aiutano in questo, il dato è sicuramente rilevante. Chiedo - e ne vedo qualcuno - a colleghi che hanno esperienze di giurisdizione e di impegno nelle aule giudiziarie: il giudice è il giudice, come si chiamano l'accusa e la difesa, come si chiamano? Si chiamano parti. Giudice, parti. Mi spiegate come è possibile colmare il ghep o il gap, a seconda di come lo si vuole dire, fra chi è in cima e chi è alla base e contribuisce con la sua proposta a dare al giudice la possibilità di una sentenza? La parte accusa, il giudice, parti accusa e difesa, giudice. A parti invertite - scusate il bisticcio - se il giudice fosse vicino alla difesa anziché all'accusa sarebbe una decisione imparziale? Vedete come la geometria non è un'opinione, la geometria non è un'opinione! E noi insistiamo, callidamente, ipocritamente, a difendere un sistema indifendibile.

Presidente, non devo citare - è stato già fatto - quello che noi cerchiamo di rappresentare come Forza Italia. Noi siamo un partito di garantisti, laddove il garantismo non è un'opinione, ma è una realtà, è una scelta. Noi siamo un partito che fa della difesa di ciascun cittadino - lo dimostriamo in Aula costantemente - un must. Noi non facciamo differenze quando c'è da difendere i diritti di ciascuno, in qualsiasi frangente; siamo i cultori della norma processuale e costituzionale in modo assolutamente corretto, facciamo della difesa dei cittadini nel processo e dal processo un mantra. Ecco, in questo caso, mi creda, non è difficile rappresentare un partito; è molto più difficile capire perché questo Parlamento non vuole fare il suo dovere (Applausi).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - A.C. 14)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo, che rinuncia.

Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Interventi di fine seduta.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Galantino. Ne ha facoltà.

DAVIDE GALANTINO (FDI). Presidente, vorrei portare all'attenzione di quest'Aula una storia che deve fare riflettere tutti, perché qui si parla tanto di futuro, si parla di innovazione, soprattutto si parla di umanità; poi ci sono storie che, invece, ti fanno rendere conto di quanto siamo indietro come Paese. C'è un ragazzo di 33 anni, di Bisceglie, mio concittadino, si chiama Donato Ventura, e mi ha scritto una lunga lettera in cui mi racconta di essere affetto da distrofia muscolare di Duchenne; una malattia genetica progressiva, che lo costringe da sempre in carrozzina, attaccato ad un ventilatore polmonare 24 ore su 24. Ebbene, questo ragazzo, il cui papà è disoccupato, non può spostarsi per le visite mediche o semplicemente per vivere la vita come qualsiasi altro ragazzo della sua età, perché l'auto di famiglia non è più adatta alle dimensioni della carrozzina, che, per forza di cose e con il passare del tempo, si riadatta alle esigenze del ragazzo. Così Donato ha deciso di lanciare una raccolta fondi privata attraverso i canali social, a cui hanno aderito cittadini di tutta Italia, organizzando vere e proprie gare di solidarietà per poter acquistare quella che lui chiama la “macchina dei sogni”. Per questo oggi, in quest'Aula, mi chiedo in che cosa abbiamo sbagliato noi tutti perché Donato si sia dovuto mettere in moto da solo per poter avere un'auto che gli consenta di andare a curarsi; dov'è quell'assistenza, quella dignità che dobbiamo garantire a tutti i cittadini. Sarò grato a chi vorrà rispondere a questa mia domanda e mi appello al Governo per questo perché, mentre ogni settimana qui si applaude ai risultati di qualcuno o qualcosa, i cittadini che vivono di riflesso le decisioni prese da quest'Aula ci dicono che stiamo sbagliando qualcosa; e per questo mi auguro che anche i cittadini un giorno possano applaudire ad un risultato raggiunto, perché tutti i cittadini fuori da questi palazzi possano finalmente tornare ad avere quella fiducia nella politica che si è persa da tempo perché Donato e tutti coloro che vivono nelle sue condizioni possano tornare ad essere tutelati da uno Stato finalmente presente.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Sensi. Ne ha facoltà.

FILIPPO SENSI (PD). Grazie, Presidente. Altri 45 giorni, lo abbiamo appreso pochi istanti fa, che si assommano ai 170 di detenzione che Patrick Zaki ha già scontato in un carcere egiziano. Ogni volta ci illudiamo, proviamo a scrutare segni e silenzi nella speranza che lo studente di Bologna possa finalmente tornare libero, e ogni volta, almeno finora, un altro rinvio, un'altra proroga, un altro schiaffo ai diritti di questo ragazzo e a un senso pur minimo di giustizia. Per questo, Presidente, per il suo tramite, le chiedo di attivarsi, con urgenza, perché il Governo italiano, nelle forme e nei modi che possano però veramente risultare più efficaci, faccia sentire all'Egitto la sua voce, la voce dell'Italia e dell'Europa, e con la sua quella di tutti coloro che chiedono libertà per Zaki nelle forme e nei modi più efficaci, Presidente, lo ripeto e concludo, per portarlo a casa e portare con lui a casa un senso di decenza e di dignità che oggi, ancora una volta, è stato calpestato, umiliato, negato. Non resteremo in silenzio, Presidente, finché Zaki non potrà tornare libero ai suoi studi in Italia (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico e del deputato Magi).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Baldelli. Ne ha facoltà.

SIMONE BALDELLI (FI). La ringrazio, Presidente Spadoni. Tra meno di due mesi si celebrerà il referendum costituzionale sulla riduzione del numero dei parlamentari. Credo che si debba andare a Chi l'ha visto per capire se ci sia una qualche trasmissione televisiva che possa occuparsi di questo tema, perché, Presidente, nessuno sa che ci sarà un referendum, nessuno, drammaticamente, ne parla. La Commissione di vigilanza ha già adottato la deliberazione che prevede, però, per il mese di agosto l'avvio delle tribune; non so chi ci sarà a guardare le tribune in un periodo dove normalmente le persone stanno il giorno in spiaggia e magari la sera all'aperto. Per cui credo che noi avremo un problema drammatico di informazione: il principio del conoscere per deliberare sarà violato in maniera sistematica, e forse era proprio quella, drammaticamente, l'intenzione di coloro che hanno preferito fare quella che qualcuno avrebbe definito “la porcata” di accorpare il referendum costituzionale con le elezioni amministrative e con le regionali del 20 e 21 settembre.

Ma siccome a questo non ci rassegniamo, voglio che rimanga agli atti, anche di questa seduta, il fatto che l'informazione in questo Paese non è un diritto garantito ai cittadini. Dico ciò perché intanto avere notizia che vi sarà un referendum e, in secundis, ascoltare le posizioni di chi è a favore e di chi è contro quell'obbrobrio di riforma, votata da questo Parlamento su iniziativa del MoVimento 5 Stelle, io credo sia un diritto sacrosanto dei cittadini, a cui abbiamo lasciato - per fortuna - il potere di decidere in ultima istanza su questo tema così importante. E' la nostra Costituzione; nessuno si degna di dare l'informazione necessaria a far sì che gli italiani possano esprimere un voto consapevole e, onestamente, Presidente Spadoni, io lo trovo indecente.

Mi riservo di chiedere un incontro al Presidente della Camera - se vuole essere così cortese da preannunciarglielo - e magari anche alla Presidenza del Senato, perché crediamo che tutto questo sia indecente. La Commissione di vigilanza RAI, che è un organo parlamentare, ha già svolto parte del proprio compito, ma credo vi sia un problema di informazione, anzi di disinformazione grosso come una casa (Applausi).

Ordine del giorno della prossima seduta.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.

Martedì 28 luglio 2020 - Ore 10:

1. Svolgimento di una interpellanza e interrogazioni .

(ore 12)

2. Informativa urgente del Governo sulle iniziative di competenza per l'apertura dell'anno scolastico in relazione alla situazione epidemiologica da Covid-19.

(ore 16)

3. Seguito della discussione delle mozioni Caon ed altri n. 1-00270, Luca De Carlo ed altri n. 1-00367, Bitonci ed altri n. 1-00368 e Pellicani, Maniero, Moretto, Muroni ed altri n. 1-00369 concernenti iniziative volte al completamento dell'idrovia Padova-Venezia .

4. Seguito della discussione della proposta di legge:

GALLINELLA ed altri: Misure di sostegno al settore agricolo e disposizioni di semplificazione in materia di agricoltura. (C. 982-A)

e delle abbinate proposte di legge: PAROLO ed altri; PAOLO RUSSO ed altri; CONSIGLIO REGIONALE DELLE MARCHE. (C. 673-1073-1362)

Relatore: CADEDDU.

5. Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge:

FIANO ed altri; BOSCHI ed altri; MOLLICONE e FRASSINETTI; LATTANZIO ed altri: Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulla diffusione massiva di informazioni false. (C. 1056-2103-2187-2213-A)

Relatori: CIAMPI (per la VII Commissione) e PAITA (per la IX Commissione), per la maggioranza; MOLLICONE (per la VII Commisisone), di minoranza.

6. Seguito della discussione delle mozioni Lupi, Molinari, Gelmini, Lollobrigida ed altri n. 1-00362 e Quartapelle Procopio, Cabras, Migliore, Palazzotto ed altri n. 1-00366 concernenti iniziative, in ambito internazionale ed europeo, in ordine al rispetto degli accordi internazionali relativi all'autonomia di Hong Kong e alla tutela dei diritti umani in tale territorio .

7. Seguito della discussione della proposta di legge costituzionale:

D'INIZIATIVA POPOLARE: Norme per l'attuazione della separazione delle carriere giudicante e requirente della magistratura. (C. 14)

La seduta termina alle 16.