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Resoconto dell'Assemblea

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XVIII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 372 di mercoledì 15 luglio 2020

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE ROBERTO FICO

La seduta comincia alle 9,10.

PRESIDENTE. La seduta è aperta.

Invito la deputata segretaria a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

ANNA RITA TATEO, Segretaria, legge il processo verbale della seduta di ieri.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Benvenuto, Claudio Borghi, Brescia, Businarolo, Cavandoli, Davide Crippa, Delmastro Delle Vedove, Delrio, Ferri, Frassinetti, Frusone, Gallinella, Gallo, Gebhard, Gelmini, Giaccone, Giachetti, Giacomoni, Giorgis, Iovino, Liuni, Lollobrigida, Lorefice, Maggioni, Molinari, Morani, Ravetto, Schullian, Speranza, Tasso, Tomasi, Vignaroli e Zoffili sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.

I deputati in missione sono complessivamente ottantanove, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna).

Comunicazioni del Presidente del Consiglio dei ministri in vista del Consiglio europeo straordinario del 17-18 luglio 2020.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di comunicazioni del Presidente del Consiglio dei ministri in vista del Consiglio europeo straordinario del 17 e 18 luglio 2020.

La ripartizione dei tempi riservati alla discussione è pubblicata nel vigente calendario dei lavori.

(Intervento del Presidente del Consiglio dei ministri)

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il Presidente del Consiglio dei ministri Giuseppe Conte. Prego.

GIUSEPPE CONTE, Presidente del Consiglio dei Ministri. Signor Presidente, gentili deputate, gentili deputati, venerdì 17 e sabato 18 luglio parteciperò al Consiglio europeo straordinario che, per la prima volta dal febbraio scorso, si terrà nuovamente a Bruxelles.

Il Consiglio europeo torna, dunque, a svolgersi in presenza, recuperando quella normalità che il COVID-19 ha stravolto insieme al vivere quotidiano dell'Europa e del mondo intero. Questo Consiglio europeo straordinario scaturisce, in una prospettiva fortemente politica, dalle proposte della Commissione europea del 27 maggio - un fondo per la ripresa, Next Generation EU, di 750 miliardi di euro, di cui 500 miliardi di sovvenzioni, 250 miliardi di prestiti e la definizione di un quadro finanziario pluriennale 2021-2027 - e scaturisce anche dalla proposta franco-tedesca del 18 maggio riguardante un poderoso piano europeo di ripresa. Sia le proposte della Commissione europea che la proposta franco-tedesca sono coerenti con quanto l'Italia, sin dall'inizio della crisi, ha affermato con la massima determinazione in sede comunitaria. Mai come in questa occasione, dobbiamo riconoscere che le istituzioni dell'Unione europea si sono mostrate sensibili agli strumenti con i quali il mio Governo, già nelle fasi iniziali della pandemia, ha cercato di leggere e di interpretare la natura e la portata della sfida che avevamo e abbiamo ancora davanti. Mai come oggi, possiamo affermare che l'Italia ha contribuito in misura decisiva a orientare la prospettiva nella quale collocare le risposte che l'Europa è chiamata ad offrire per essere all'altezza della sua storia, della sua civiltà, del suo destino.

D'altra parte, la crisi da COVID-19 è senza precedenti e richiede, quindi, azioni, misure straordinarie. La crisi determinata dalla pandemia è una crisi simmetrica, l'abbiamo detto più volte, a cui si deve rispondere anche, se necessario, con soluzioni asimmetriche, in un'ottica responsabile e matura di solidarietà e redistribuzione. Non solo unione tra gli Stati membri, ma più unità. Il Consiglio europeo deve mostrarsi all'altezza di questa coraggiosa visione, non può mancare questo obiettivo di portata epocale: rilanciare l'economia europea per disegnare il futuro del nostro continente per i prossimi decenni. Solo uniti riusciremo a rendere l'Europa di nuovo forte, protagonista nel mondo. Risposte nazionali sarebbero anacronistiche, inefficaci: la crisi da COVID-19 dimostra che ai cittadini dobbiamo offrire soluzioni o rimedi, non paure o l'illusione di un anacronistico ritorno a un piccolo mondo antico, dominato da egoismo, chiusure identitarie, un mondo tutt'altro che sicuro, tutt'altro che protetto, anzi, molto più esposto al rischio di un inesorabile declino.

Certamente, dobbiamo essere consapevoli che visioni meramente economicistiche e rigoriste ci darebbero solo l'illusione del concreto, come scriveva Carlo Morandi, uno storico molto sensibile alle prospettive avanzate dall'integrazione europea. La posta in gioco non è solo il funzionamento del mercato unico, la tenuta dell'economia europea, ormai sempre più interdipendenti, la difesa delle catene di valore europee, la convergenza economica e sociale; sono in gioco i pilastri sui quali è stata costruita l'Unione europea, sui quali si è sviluppato, grazie all'intuizione dei grandi europeisti del secondo dopoguerra, quel processo di integrazione che ha contribuito ad assicurare un lungo periodo di pace, di crescita economica, un periodo mai conosciuto dalle precedenti generazioni.

I pilastri su cui è stata costruita l'identità dell'edificio europeo sono oggi messi a rischio dalla crisi da COVID-19, che ha colpito il continente dopo due gravi crisi finanziarie, acuendo ancor di più gli squilibri, le divergenze economiche tra gli Stati membri, e se non vogliamo essere travolti, dobbiamo agire con coraggio, porre in essere misure straordinarie. Non abbiamo alternative.

Le proposte avanzate dalla Commissione presieduta da Ursula von der Leyen muovono in questa direzione.

Peraltro, sono state confermate, sono state confermate nei loro obiettivi di fondo anche dalla proposta di conclusioni che ha presentato il Presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, venerdì 10 luglio scorso, a seguito di varie consultazioni condotte con i 27 Capi di Stato e di Governo degli Stati membri. Bisogna riconoscere che, in uno scenario assolutamente inedito, l'Unione europea, con il contributo di tutte le sue istituzioni, ha già assunto, con una certa rapidità, decisioni fondamentali. Come ha affermato nella giornata di apertura della consultazione nazionale “Progettiamo il rilancio”, il Presidente del Parlamento europeo, David Sassoli, le prime politiche di contrasto all'emergenza messe in campo dalle istituzioni europee, sono state ispirate ad una visione già di ampio respiro protesa al cambiamento. Già in quella fase una politica miope, ispirata a canoni neoliberisti, ad una visione angusta della competitività, della concorrenza, è stata ritenuta non idonea, e quindi bocciata, a gestire la crisi.

Ricordo le decisioni più importanti che abbiamo assunto: la sospensione del Patto di stabilità e crescita attraverso l'applicazione della general escape clause; la flessibilità accordata al regime degli aiuti di Stato; l'avvio da parte della Banca centrale europea del programma cosiddetto PEPP da 750 miliardi di euro, e a giugno ricordo che la BCE ha deciso un incremento del programma per ulteriori 600 miliardi di euro, per un totale di 1.350 miliardi di euro; il ricorso alla flessibilità nell'uso delle risorse della coesione; e poi il piano della Banca europea per gli investimenti per attivare fino a più di 40 miliardi di euro di finanziamenti destinati a piccole e medie imprese. A queste misure si sono aggiunte le tre linee di sicurezza, per i lavoratori, le imprese e per gli Stati, avallate dai Capi di Stato e di Governo dell'Unione europea il 23 aprile scorso sulla base della relazione dell'Eurogruppo del 9 aprile. Si tratta di un pacchetto di 540 miliardi di euro, così articolati: un fondo europeo di sostegno a strumenti nazionali per la lotta alla disoccupazione (SURE) di 100 miliardi di euro; un fondo paneuropeo della BEI in grado di mobilitare fino a 200 miliardi di euro; poi c'è la Pandemic crisis support, nell'ambito della linea di credito precauzionale del Meccanismo di stabilità, di 240 miliardi di euro, alla quale gli Stati membri dell'area euro possono decidere di ricorrere.

Proprio il Consiglio europeo del 23 aprile ha dato un inequivoco segnale politico verso l'istituzione del Recovery Fund, definito espressamente, come richiesto da parte italiana -permettetemi di sottolinearlo -, necessario ed urgente. Possiamo affermare che la decisione è frutto di un percorso negoziale nel quale l'Italia ha svolto un ruolo fondamentale, un ruolo propulsivo. È stata una decisione senza precedenti, perché ha segnato un'apertura inedita ad uno strumento di politica fiscale europea basato su un principio di intervento finanziario comune. Sottolineo che la proposta del Recovery Fund modifica i termini del rapporto tra la Commissione e i Governi nazionali: adesso sono i singoli Stati ad essere chiamati ad una maggiore responsabilità, indicando i propri progetti di rilancio, il proprio percorso di riforme e di investimenti. Tocca ora a noi, Capi di Stato e di Governo dei 27 Stati membri, assumere con rapidità una decisione altrettanto coraggiosa affinché il Next Generation EU e il prossimo quadro finanziario pluriennale possano tradursi in misure ed azioni concrete. La nostra casa comune è in grado di offrire vantaggi per tutti, se però usciamo dall'ottica negoziale del gioco a somma zero ed acquisiamo la consapevolezza di un'altra prospettiva negoziale. Quando sono in pericolo le fondamenta dell'edificio europeo, nessuno Stato può avvantaggiarsi a scapito di altri: dobbiamo essere tutti consapevoli che, se alcuni Paesi europei più in difficoltà dovessero soccombere di fronte alla crisi, i Paesi più ricchi non se ne gioveranno. In questo grave tornante della storia europea, la negoziazione tradizionale è destinata al fallimento: oggi o vinciamo tutti o perdiamo tutti (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle e di deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia Viva). Per questo riteniamo cruciale che la decisione del Consiglio europeo sia assunta entro luglio, e non sia svilita da un compromesso al ribasso: sarebbe inaccettabile non solo sotto il profilo economico, sotto il profilo politico, ma anche, permettetemi di sottolinearlo, dal punto di vista morale. Un simile scenario non sarebbe certamente auspicabile: l'ho già affermato in quest'Aula il 17 giugno scorso. Non lo meritano, peraltro, le decine di migliaia di vittime europee del COVID-19, come anche le famiglie, i giovani, le imprese che stanno affrontando le conseguenze sociali ed economiche della pandemia.

In queste settimane, non vi sarà sfuggito, ho condotto un'intensa attività diplomatica, nell'ultima settimana in particolare con vari incontri e visite, per discutere con i miei omologhi sulla necessità di assumere al più presto una decisione di alto profilo, basata sui principi di responsabilità, di solidarietà ambiziosa e capace di assicurare davvero un sostegno senza precedenti all'economia europea. Il Next Generation EU dovrà essere all'altezza delle sfide presenti e delle sfide future. Lo ha ribadito anche il Parlamento europeo, il cui consenso politico, così come quello dei Parlamenti nazionali, rimane fondamentale per un'immediata attivazione, e dunque per rispondere tempestivamente alle urgenti necessità che nessuno Stato membro può affrontare in solitudine. Con spirito europeo continuerò quindi a lavorare, come sempre nel corso di questa crisi, affinché al tavolo del Consiglio europeo prevalga la logica di una comunità di interessi basata su valori condivisi. È fondamentale che il risultato finale, quanto al volume e alla composizione ad ampia prevalenza di grants, quindi di sovvenzioni, sia coerente con la proposta attualmente sul tavolo e che sia preservato il principio di un finanziamento straordinario a lungo termine tramite debito comune europeo.

Altri aspetti che ritengo prioritari dell'accordo sul Next Generation EU, sui quali pure il Consiglio europeo dovrà trovare un punto di equilibrio senza perdere tempo prezioso in negoziati che snaturino o rallentino l'accordo complessivo, sono i seguenti: i criteri di allocazione di Next Generation EU non devono essere stravolti, perché essi assicurano l'effettivo, efficace sostegno di Paesi, regioni, settori più colpiti dalla crisi da COVID-19; ancora, la governance di Next Generation EU nella proposta sul tavolo garantisce lo stretto collegamento con il semestre europeo, con le raccomandazioni specifiche per Paese della Commissione. Riteniamo inoltre accettabili le regole proposte, legate al rispetto dello Stato di diritto, e quelle collegate agli ambiziosi obiettivi europei in materia di lotta al cambiamento climatico. Ed ancora, è essenziale preservare la centralità degli obiettivi sociali e verdi; mi riferisco, per quanto riguarda il primo profilo, alla coesione sociale, alla lotta alle molteplici diseguaglianze che la crisi ha acuito, a sostegno della parità di genere, alla conciliazione dei tempi di vita e lavoro, alla mitigazione degli effetti della disoccupazione. E quanto al secondo profilo, mi riferisco all'improcrastinabile avvio della ripresa economica europea, che dovrà continuare a considerare centrali lo sviluppo dell'economia verde, la digitalizzazione, le nuove tecnologie, tutti fattori fondamentali nei prossimi decenni per rendere le economie europee competitive, nella prospettiva delineata dall'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile e in vista di una nuova strategia industriale. In questa prospettiva, colgo con favore l'appello lanciato da 50 parlamentari nazionali ed europei, orientato anche ad indirizzare quanto più possibile le risorse del piano in favore delle nuove generazioni attraverso un coraggioso investimento in cultura, istruzione, mobilità sociale, parità di genere.

Riguardo all'accordo sul prossimo quadro finanziario pluriennale, non c'è spazio politico o economico per illudersi di vivere in tempi ordinari. Non ci sono le condizioni per negoziare per settimane, mesi, in Consiglio europeo su singoli aspetti tecnici, semmai attenti solo alle convenienze nazionali, alla conservazione di anacronistici privilegi. Certamente, pur muovendo da un approccio costruttivo teso a favorire un accordo rapido di alto profilo, continueremo a tutelare le nostre priorità, con particolare riguardo alla coesione, alla politica agricola comune. Il nuovo bilancio europeo settennale non dovrà rinunciare al sostegno dei settori delle fasce di popolazione più colpite, e, conseguentemente, la massima centralità dovrà essere riservata ai principi della coesione economica e territoriale, al dialogo sociale, alla trasformazione verso l'economia resiliente, sostenibile, socialmente giusta e competitiva.

Quanto a quelli che ho definito privilegi anacronistici, mi soffermo sui rebates. Ogni nostra anche parziale flessibilità riguardo all'esigenza politica per alcuni Stati membri di mantenerli non può che essere condizionata ad una piena ed effettiva apertura da parte di quei Paesi ad un accordo rapido e di alto profilo su Next Generation EU. E, per quanto riguarda le entrate di bilancio, occorre continuare a perseguire con ambizione alcuni obiettivi anche per quanto concerne le nuove risorse proprie, che sono lo strumento ineludibile - lo riconosce, peraltro, anche la Commissione, la stessa bozza di conclusione del Presidente Michel - se vogliamo favorire politiche europee davvero efficaci e durature e compensare le divergenze sociali ed economiche tra Stati membri e gli attuali squilibri interni al mercato unico.

Tutte le considerazioni sinora svolte riguardano l'obiettivo ad elevata valenza politica di un impegno europeo comune finalmente anche sul piano finanziario per rilanciare le economie e renderle resilienti. Se l'Unione europea sta cercando di rendere la crisi da COVID-19 un'opportunità, questo è tanto più vero per l'Italia. Sono convinto che questa crisi, sia sanitaria che economica e sociale, abbia portato in evidenza numerose criticità che bloccano il sistema economico italiano e che la politica non è riuscita, non ha potuto risolvere in modo efficace e duraturo. L'acuta sofferenza sociale ed economica del nostro Paese può e deve consentire uno sforzo corale da parte di tutte le sue componenti per intraprendere, questa volta fino in fondo, un percorso di rilancio di ampio respiro.

Come ha ricordato la Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, l'Italia, in molti momenti della sua storia, ha sorpreso il mondo. L'Europa ora ha bisogno di questa Italia, di un'Italia più forte. È con questo spirito che il Governo tutto è impegnato a realizzare un credibile e articolato programma di riforme. È un programma fondamentale, che ha una prospettiva di medio e anche di lungo periodo; un orizzonte di legislatura che ha l'ambizione di rendere l'Italia resiliente anche di fronte a eventuali future crisi. Entro questa prospettiva riformatrice siamo contemporaneamente impegnati a definire il piano nazionale di ripresa e resilienza che presenteremo a Bruxelles dopo la pausa estiva. Saremo noi i primi - perché è nel nostro interesse farlo - a monitorare la spedita attuazione delle nostre riforme e degli investimenti che avremo programmato.

Massimo sarà, in queste fasi cruciali per la storia italiana ed europea, il coinvolgimento del Parlamento.

Onorevole Presidente, gentili deputate e deputati, nella dichiarazione passata alla storia con il suo nome Robert Schuman disse, come sappiamo, che l'Europa non potrà farsi in una sola volta, né sarà costruita tutta insieme. Essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto.

Ebbene, la crisi da COVID-19 rende la solidarietà, di fatto, un obbligo morale prima ancora che politico e implica un ineludibile ancoraggio dell'interesse nazionale ai valori fondativi del progetto europeo: pace, stabilità, benessere, democrazia, tutela dei diritti fondamentali. Mi appresto dunque a partecipare al Consiglio europeo straordinario del 17 e 18 luglio, determinato a concretizzare il Next Generation EU e il quadro finanziario pluriennale 2021-2027 in piena coerenza con le proposte della Commissione europea, a beneficio di tutti i cittadini europei e soprattutto a beneficio di coloro che più stanno soffrendo le conseguenze sociali ed economiche della crisi.

Spero di poter ricevere da questa Assemblea una convinta adesione all'impegno che stiamo profondendo per l'Italia in Europa (Applausi dei deputati dei gruppi MoVimento 5 Stelle, Partito Democratico, Italia Viva, Liberi e Uguali e di deputati del gruppo Misto-Centro Democratico-Radicali Italiani-+Europa-Centro Democratico).

(Discussione)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle comunicazioni del Presidente del Consiglio dei ministri.

È iscritta a parlare la deputata Galizia. Ne ha facoltà.

FRANCESCA GALIZIA (M5S). Grazie, Presidente. Presidente del Consiglio, il prossimo Consiglio europeo del 17 e 18 luglio rappresenta un passaggio determinante per arrivare auspicabilmente al condiviso obiettivo di un accordo tra Stati membri, dopo una lunga fase negoziale che ha visto protagonista nei tavoli europei il nostro Governo, che fin da marzo ha lavorato senza sosta, riuscendo con successo a vedere accolta la linea politica difesa dall'Italia e condivisa progressivamente dalla Commissione europea e dagli Stati membri. In ballo c'è il futuro non solo del Paese, ma di tutta quanta l'Unione europea. Non dimentichiamoci che soltanto qualche mese fa era impensabile che l'Europa potesse partorire un progetto così ambizioso e coraggioso; da questo punto di vista, stiamo oggi facendo la storia, provando a gettare le basi per una nuova Europa, finalmente più equa e solidale.

Nella crisi sanitaria ed economica dovuta al COVID-19 sono emersi, infatti, tutti i limiti di quell'Europa costruita a Maastricht; quei limiti che, in questi anni, noi per primi abbiamo denunciato, opponendoci con forza alle politiche di austerity, ai vincoli di bilancio. Per questo, ci stiamo battendo oggi per la costruzione di una nuova architettura dell'Unione europea. Viviamo una fase di risveglio dove dobbiamo avere il coraggio di cambiare rotta rispetto al passato in maniera radicale. Siamo stati definiti visionari perché ci abbiamo creduto sin dall'inizio, e indubbiamente la determinazione non rende le cose facili, ma sicuramente le rende possibili. Ebbene, oggi già siamo in una fase avanzata: oggi siamo qui a parlare di sospensione del Patto di stabilità, di riforma della BCE, di strumenti innovativi come SURE, BEI e appunto il Recovery Fund. Grazie a noi e al preziosissimo lavoro del Presidente Conte abbiamo rotto gli schemi che, in questi anni, ci erano stati imposti da Bruxelles.

È giunto il momento di recuperare i valori dell'Europa sognata a Ventotene da Altiero Spinelli, Ernesto Rossi, Eugenio Colorni, Ada Rossi e Ursula Hirschmann; rispolverare lo spirito di quel manifesto che annunciava l'Europa dei popoli e dei diritti. In attesa che si raggiunga l'accordo europeo, il Governo italiano, sotto la sua guida, signor Presidente, sta andando nella direzione giusta, assumendo posizioni tali da riuscire ad essere pronto ad accogliere gli strumenti di finanziamento europeo, e lo sta facendo ascoltando e consultando tutte le forze politiche, produttive, sociali e culturali del Paese, così da elaborare un piano di rilancio da cui potrà essere successivamente ricavato il più specifico Recovery Plan che l'Italia rappresenterà in adesione al programma Next Generation EU.

Vorrei soffermarmi anch'io, come ha fatto più volte lei, signor Presidente, attraverso la sua costante attività informativa e di confronto, sul ruolo centrale svolto dal Parlamento in questo percorso; una centralità che riguarda e ha riguardato non solo la fase del negoziato, ma che sarà essenziale anche successivamente, quando saremo chiamati a rendere finalmente operativo questo pacchetto. Ed è allora che ci troverà ancora una volta pronti ad accogliere proposte e restituire suggerimenti, andando, spero, al di là delle tensioni o delle divisioni politiche.

L'obiettivo nostro deve essere tornare a credere nel senso di unicità, equità e solidarietà, condividendo obiettivi ambiziosi, comuni per il bene dell'Italia e di tutta l'Europa. Dobbiamo, in questo senso - ricalco le sue parole ancora una volta, Presidente - ora più che in altri momenti, avere coraggio e determinazione, non possiamo essere indulgenti con i Paesi cosiddetti frugali e indietreggiare rispetto alla proposta negoziale in discussione. La proposta Next Generation EU deve essere di 750 miliardi di euro, che la Commissione raccoglierà sui mercati e restituirà gli investitori tra il 2028 e il 2050. Di questi 750 miliardi di euro, circa 500 miliardi devono essere distribuiti sotto forma di sovvenzioni, 250 sotto forma di prestiti. Non possiamo accettare mediazioni al ribasso, ne é della sopravvivenza dell'Unione europea (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Qui è in gioco il mercato unico, nei confronti del quale abbiamo il dovere di individuare una risposta europea forte e coordinata. Solo così potremo proteggere e salvaguardare le catene di valore europeo. Ecco perché l'Europa deve reagire unita e forse la sua proposta non è quella che avremmo preferito, ma figura ben bilanciata. E poi, come ha in ultimo dichiarato a Madrid lei, Presidente, occorre in questo momento consapevolezza e realismo ed io aggiungo anche tanta concretezza e praticità. Il Recovery Fund al momento è l'unica strada percorribile per la ripresa dell'economia europea e dobbiamo arrivare ad approvarlo il prima possibile. È giunto il tempo dell'azione, il tempo della responsabilità, dalla quale nessuno può fuggire, ma la responsabilità è sì del Governo, ma anche di tutti noi membri del Parlamento, perché mai, come in questa condizione di assoluta emergenza, siamo chiamati a conformare tutte le nostre azioni verso il bene comune, al quale siamo chiamati a contribuire attraverso il rispetto delle regole, con pazienza, fiducia, responsabilità. Il Governo ha agito con la massima determinazione, con assoluta speditezza, approvando, ben prima di qualunque altro Paese, le misure di massima precauzione. L'Italia - non dimentichiamolo - è stato il primo Paese a vivere la crisi pandemica ed è stato il primo, tra gli Stati membri, ad insistere sulla gravità di una crisi che non sarebbe stata solo sanitaria, ma anche economica, sociale. Il nuovo clima che si va creando tra i Capi di Stato e di Governo e il virus delle solite divisioni sono oggi un pericolo mortale, non solo per l'Unione europea, ma per la stessa possibilità di potersi risollevare e ripartire. A fronte di tanta incertezza su quando e come riusciremo a lasciarci alle spalle il pericolo del COVID-19, vi è una sola certezza: ne possiamo uscire, ma possiamo farlo solo insieme e per questo serve un accordo ed un piano di vera rinascita europea, che non può essere finanziato da strumenti comuni a livello europeo, accessibili a tutti. L'Europa è una. In questo momento alcune istituzioni europee si sono mosse nella giusta direzione, come la BCE e la Commissione. Ora, il Consiglio europeo deve essere all'altezza della sfida. Importanti passi avanti sono stati compiuti e, seppur manchi ancora una univoca posizione, va maturando si il giusto clima, che fa pensare che presto potrà raggiungersi un accordo definitivo sul Recovery Fund, ora rinominato Next Generation EU e che si coniugherà al quadro finanziario pluriennale. Un progetto, dunque, in cui potranno rispecchiarsi tutti, nel quale non ci saranno Paesi, come ha detto lei, vincitori e vinti, ma solo un'unica Europa vincitrice, che avrà confezionato, alla fine del percorso, una risposta forte, coerente, solidale e risolutiva. Il Governo italiano - è giusto riconoscerlo e voglio farlo ancora una volta - ha sin da subito sostenuto la necessità di un piano comune e partecipativo per la ripresa europea, indispensabile per ricostruire e rinnovare il tessuto socioeconomico del continente. Il 23 aprile scorso, i Capi di Stato e di Governo dell'Unione Europea hanno incaricato la Commissione di presentare una proposta di un fondo per la ripresa, che fosse valido, efficace e tempestivo, accogliendo in pieno la linea italiana, mentre lo scorso 19 giugno, i leader degli Stati membri hanno raggiunto un primo accordo su una serie di punti, tra cui la necessità di una risposta europea eccezionale, commisurata all'entità della sfida, da costruire anche ricorrendo ad impegni della Commissione sul mercato finanziario. La manovra è indubbiamente senza precedenti, perché ha segnato un'importante apertura; è uno strumento di politica fiscale europeo, basata su un principio di intervento finanziario comune, frutto di un percorso negoziale, dove l'Italia ha svolto un ruolo fondamentale. L'obiettivo negoziale italiano è sempre stato a favore di una soluzione ambiziosa, equilibrata tra prestiti e sussidi, con un anticipo di una parte delle risorse, con l'obiettivo di tutelare l'impianto complessivo del mercato interno e la sua capacità di reagire ad una crisi di natura simmetrica, con pesanti ripercussioni su tutta la comunità europea.

Occorre un piano di ripresa e rilancio, con un bilancio dell'Unione europea a lungo termine, che abbia l'obiettivo di alimentare un'equa ripresa socioeconomica, riparare e rivitalizzare il mercato unico, garantire condizioni di parità e sostenere investimenti urgenti, in particolare nella transizione verde e digitale, che detengono la chiave della prosperità futura dell'Europa la resilienza. Il negoziato in corso risulta chiaramente tutt'altro che semplice, tuttavia conferma il segnale dell'esigenza di una soluzione comune e condivisa. Uno tsunami come quello che ci ha travolti, può essere affrontato solo facendo ricorso a misure straordinarie e condivise. Nessun Paese, men che meno l'Italia, che è in prima linea, può accettare, nel momento in cui sta facendo uno sforzo poderoso e sacrifici enormi per contrastare il contagio e la diffusione del virus, che altri Paesi non accolgano questa soglia di attenzione e precauzione massima. In questi mesi di emergenza, l'Italia ha promosso con forza, nei confronti delle istituzioni europee e degli Stati membri, un'azione coordinata con lo scopo di ottenere una risposta europea immediata, all'altezza della posta in gioco, di ordine sia sanitario, sia economico e anche sociale. Ad un'emergenza straordinaria è indispensabile rispondere con misurare che ne siano all'altezza. Questo è il segnale forte che lei, Presidente, ha trasmesso, con misure e azioni straordinarie, rassicurando sia i Paesi ed i cittadini europei che i mercati finanziari. L'Europa unita intende fare tutto ciò che è necessario. I bilanci dei Paesi europei dovranno continuare a mobilitare risorse pubbliche nel corso del 2020 e soltanto un'azione politica di sinergia potrà permettere all'Eurozona di tornare su un sentiero di crescita sostenuta. È convinzione ormai - e credo condivisa da tutti - infatti, che ad oggi non vi siano strumenti tradizionalmente disponibili e già collaudati in grado di attuare quella coraggiosa risposta economica alla pandemia, di cui tutti i cittadini avvertono la necessità. Come dimostrano le misure europee sinora adottate, è indispensabile che venga accolto dall'Europa l'appello di questa azione coordinata per il rilancio economico europeo.

Signor Presidente, lei si appresta a partecipare a quello che, come ha giustamente definito anche lei, è con ogni probabilità il vertice europeo più importante dei prossimi quarant'anni, un appuntamento con la storia che non mancheremo, ma a cui prenderemo parte, con lo stesso spirito di impegno che ha animato il lavoro incessante del Governo e del Parlamento negli ultimi mesi. L'impegno che oggi le chiedo, signor Presidente, è quello di promuovere, in sede di Consiglio, un accordo su una risposta europea che vada nella direzione auspicata dall'Italia e che sappia rispondere ai bisogni dei cittadini europei tutti. Per far questo è necessario raggiungere in tempi rapidi un consenso su Next Generation EU e sul bilancio a lungo termine dell'Unione, per far ripartire le nostre economie. La posta in gioco è altissima ed è rappresentata dalla stabilità delle economie europee e dal funzionamento stesso del mercato unico, dalla tenuta sociale dell'Unione. Quindi, signor Presidente - e concludo - il nostro impegno, in questa sede, è quello di continuare a supportarla, con determinazione, nella corsa verso lo sforzo di ottenere presto una risposta chiara, solida, efficace, coordinata e tempestiva dell'Europa e al contempo continueremo, a livello nazionale, a operare per il bene del nostro Paese e di tutti i cittadini italiani, grazie (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. Ha chiesto di intervenire il deputato Brunetta. Ne ha facoltà.

RENATO BRUNETTA (FI). Presidente Conte, l'Italia, prima della pandemia, era ultima in Europa o quasi: ultima per investimenti, crescita, consumi, debito alle stelle, bassa produttività, eravamo il malato d'Europa. Oggi, in uscita - si spera - dalla pandemia, il nostro Paese se possibile si trova messo ancora peggio, più ultimo, se mi consente l'italiano, ancor più malato, quasi senza speranza. La crisi simmetrica - l'ha detto anche lei in parte - ad effetti asimmetrici.

Signor Presidente, non penso che sia colpa sua, almeno non tutta. Le responsabilità vengono da lontano, quantomeno dagli ultimi vent'anni e lei, negli ultimi vent'anni, non c'era, faceva altro, c'eravamo noi.

Vent'anni persi, signor Presidente del Consiglio. Se il signor Presidente della Camera avesse la gentilezza di ascoltarmi forse sarebbe bene anche per lui; se il signor Presidente della Camera avesse il piacere di ascoltarmi, forse sarebbe utile per tutti e due. La ringrazio (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).

PRESIDENTE. Deputato Brunetta…

RENATO BRUNETTA (FI). Vent'anni persi, vent'anni persi, vent'anni persi….

PRESIDENTE. Deputato Brunetta, voglio concludere subito, sto lavorando sulle ammissibilità chiaramente (Commenti del deputato Brunetta). Prego, prego vada avanti.

RENATO BRUNETTA (FI). La ringrazio, signor Presidente. Vent'anni persi: i vent'anni dell'euro, il dividendo dell'euro. Vent'anni con una moneta forte, senza la droga effimera per noi delle svalutazioni competitive: recuperi di competitività sì, ma a caro prezzo, soprattutto per la distribuzione interna dei redditi e della ricchezza. Vent'anni soprattutto, signor Presidente del Consiglio, senza riforme perché noi dovevamo compensare l'effimera droga della svalutazione competitiva con le riforme che ci venivano consentite da una moneta forte e da bassi tassi di interesse: questo era lo scambio straordinario per sfruttare i bassi tassi di interesse che l'euro ci donava e ci dona ancora. In questi vent'anni, aver perso questi vent'anni non è stato indifferente perché questi vent'anni persi hanno prodotto l'Italia della cattiva rendita contro i buoni profitti, contro le piccole imprese, contro il merito, contro la crescita, contro la produttività, contro gli ascensori sociali, signor Presidente del Consiglio. Cattiva rendita che produce cattiva distribuzione del reddito e cattiva distribuzione del reddito vuol dire iniquità, vuol dire ingiustizia. Ascensori sociali è un termine un po' strano ma che significa l'essenza della democrazia: che chi nasce figlio di un venditore ambulante può essere in quest'Aula. Insomma si afferma in questi vent'anni per colpa nostra quella che Ricolfi ha chiamato la società signorile di massa, una società della rendita, una società con cattivo welfare (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente e di deputati del gruppo Partito Democratico) con cattive pensioni, con numero di non attivi superiori agli attivi, con più pensioni che occupati. E con la cattiva rendita, signor Presidente del Consiglio, stagnazione, bassa produttività, bassa competitività, altissimo debito, alto deficit. Stagnazione: l'Italia ferma da vent'anni, che ha sprecato il dividendo dell'euro e che l'ha distribuito male. L'ha sprecato virtuosamente cioè non l'ha collocato in luoghi virtuosi, negli investimenti, e l'ha collocato nella cattiva rendita come ai tempi di David Ricardo. Le consiglio di leggersi il blocco continentale di Napoleone, l'editto di Berlino e quello che produsse agli inizi dell'Ottocento quello stato di guerra: la cattiva rendita ad uccidere i buoni profitti della iniziale industrializzazione del mondo. Ecco, Presidente Conte, perché le ho fatto questa premessa? Perché l'Italia ora ha una grande occasione, grandissima occasione di fare le riforme, di rimediare a vent'anni di spreco, a vent'anni di ingiustizia: riforma della giustizia tutta, civile, amministrativa, penale, Green Deal, l'ambiente, digitalizzazione, mercato del lavoro vero, dignitoso, efficiente, serio, welfare sostenibile, lotta alla povertà, investimenti, riforma della pubblica amministrazione. Vede, mi faccia dire una cosa, Presidente: la semplificazione doveva essere il primo dei suoi decreti, non l'ultimo. Anzi, aspettiamo sempre che venga in Aula, mi pare che sia ancora “salvo intese” (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente). Riforma della pubblica amministrazione, insomma la modernizzazione del nostro Paese. Un'altra piccola digressione: vada in un comune, signor Presidente del Consiglio, chieda un cambio di residenza, chieda una licenza edilizia, non troverà nessuno a rispondere, non troverà nessuno a risponderle. Lo smart working è una bella parola, ma non esiste (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente). Lo Smart working è una cosa seria, ma non esiste. Vede, signor Presidente del Consiglio, davanti abbiamo la grande occasione della modernizzazione del nostro Paese, quello che non abbiamo fatto noi: noi tutti, non l'ha fatto la destra e non l'ha fatto la sinistra negli ultimi vent'anni. Spero ne sia consapevole, signor Presidente del Consiglio, che lei in mano ha in questo momento il recupero di vent'anni di cattiva politica e di cattiva politica economica, di spreco del dividendo dell'euro. Action Plan: parliamo di venerdì e sabato. Action Plan previsto dal Recovery, ma con tutti gli assi fondamentali su cui si basa la strategia europea. Ecco abbiamo la grande occasione finanziata dall'Europa, condizionata dall'Europa: evviva la condizionalità, se è una condizionalità strategica (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente), se è una condizionalità per fare meglio. Evviva la condizionalità. Vede non apprezzo e considero banalmente retoriche le affermazioni che dicono: non vogliamo condizionalità. La condizionalità è l'essenza del nostro rapporto con l'Europa, ciò che una volta si chiamava vincolo esterno. Signor Presidente del Consiglio, questo è il salto culturale che deve fare il nostro Paese: è la grande occasione per realizzare tutto questo. Vede qui le dico una cosa buona e una cosa apparentemente difficile. Io la considero in grado di trattare; è stato bravo a trattare finora per uno senza esperienza di Governo, si è mosso bene, ha trattato bene, sta trattando bene e io sono con lei da questo punto di vista. Però, dopo aver portato a casa - glielo auguro - i risultati per il suo Paese e per tutti noi, sarà anche in grado di pensare, volere, realizzare con queste risorse la modernizzazione del Paese? Questa è la domanda. Non ho una risposta, signor Presidente del Consiglio. Lei prima ha detto: saremo i primi a presentare l'Action Plan. Leggo cronache diverse che qualcuno pensa di chiedere alla McKinsey di scrivere l'Action Plan.

Vede, signor Presidente del Consiglio, questo passaggio storico va oltre la sua persona, va oltre il centrodestra e il centrosinistra, va oltre anche questo Governo pro tempore con questa maggioranza strana. Questo momento storico è un momento fondante il futuro del nostro Paese, sarà bene che tutte le forze presenti in questo Parlamento ne tengano conto, ne tengano conto i cosiddetti sovranisti. Non mi piace tanto questa parola, perché siamo tutti sovranisti, perché siamo tutti espressione della rappresentanza del popolo sovrano, quindi siamo tutti espressione del popolo sovrano, ma quelli che vengono chiamati sovranisti, che chiedono l'oro alla Patria come soluzione dei nostri problemi di finanziamento delle nostre strategie, vedo delle grandi contraddizioni in questo (Applausi di deputati del gruppo Partito Democratico). Un articolo fondamentale di lunedì scorso di Ferruccio de Bortoli spiegava che l'oro alla Patria non è poi così tanto generoso, se facciamo riferimento al BTP Italia o Futura, pagati a caro prezzo e che pagheranno i nostri figli (Applausi di deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia Viva)! Ma faccio riferimento anche alle forze liberali, che hanno avuto l'occasione di cambiare questo Paese e non ci sono riuscite. Parlo agli amici del PD, LeU, Italia Viva, che pure questi vent'anni di spreco li hanno governati più di noi e che non hanno portato a casa riforme (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente). Parlo anche agli amici del MoVimento 5 stelle, con le loro pulsioni giovanilistiche, ma che stanno sprecando un enorme patrimonio di consenso popolare. Ecco, io dico a tutte queste forze: uniamoci per cogliere questo momento. È stato chiamato, con un po' di retorica, “momento Hamilton”, da Alexander Hamilton, straordinario Segretario del Tesoro americano che unì, mutualizzò i debiti degli Stati americani dopo la guerra di indipendenza dall'Inghilterra e costruì quel collante che tuttora dura di solidarietà tra Stati. Alexander Hamilton è nel biglietto da 10 dollari. È stato chiamato anche il “momento Merkel”, perché Angela Merkel ha un ruolo fondamentale in questa fase storica. Ha cambiato la sua posizione in pochi mesi, lei l'ha ricordato. L'Europa ha cambiato paradigma, può essere l'Europa del futuro, ed è stata Angela Merkel a fare questo. È il momento della consapevolezza, signor Presidente del Consiglio, e della responsabilità, che non si risolve, signor Presidente del Consiglio - mi consenta di tornare alla stretta attualità - con un'indicazione estemporanea passeggiando per le calli della mia Venezia circa la riproposizione dello stato di emergenza. Non funziona così in una democrazia, signor Presidente del Consiglio. Non funziona così. Lei doveva, per prima cosa, lei dovrà per prima cosa fare il bilancio del passato stato di emergenza (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente): quello che è stato fatto, quello che non è stato fatto, gli errori tutti! Gli errori Paese, gli errori sistema, gli errori istituzionali, il rapporto Stato-regioni, e poi, sulla base delle sue informazioni, che dovrà dare al Parlamento, decidere assieme al Parlamento se sia necessario un altro stato di emergenza e perché.

Lo stato di emergenza implica un pericolo attuale. C'è un pericolo attuale, signor Presidente del Consiglio? Se sì, se lei ha le informazioni, ce le deve dire, le deve dire in quest'Aula, questa è l'Italia, questo è il Paese. Se invece lo stato di emergenza serve solo per velocizzare la costruzione di questo o quell'ospedale, mi sembra un cannone utilizzato per ammazzare un moscerino. Quindi, non parliamo d'altro, signor Presidente del Consiglio, mettiamo in piedi piuttosto la macchina per costruire l'Action Plan. Lei dice che lo presenterà per primo, la sfido. La sfido di costruirlo in Parlamento, di costruirlo col suo Governo, certo, di costruirlo in Parlamento, di costruirlo con tutte le forze vitali di questo Paese, perché l'Action Plan è un programma di Governo, è il nuovo programma di Governo. Beh, noi dobbiamo la costruzione dell'Action Plan per l'Europa; noi lo dobbiamo realizzare nel miglior modo possibile perché dobbiamo recuperare vent'anni di sprechi. Questa è la sfida, sfida che dobbiamo ai nostri padri, ma che dobbiamo soprattutto ai nostri figli. Grazie signor Presidente del Consiglio (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Fusacchia. Ne ha facoltà.

ALESSANDRO FUSACCHIA (MISTO-CD-RI-+E). Grazie, Presidente. Signor Presidente del Consiglio, i prossimi giorni sono cruciali per l'Italia e per l'Europa, ed è indispensabile non solo raggiungere un accordo ma raggiungere un buon accordo. Da un lato c'è chi, come Orbán and friends, vuole che siano messe a disposizione meno risorse, senza riuscire ad argomentare molto di più; dall'altro c'è chi rivendica con forza, come Angela Merkel, che nessuno Stato europeo basta più a se stesso. Io non ho dubbi su da che parte stare, e so che anche lei, Presidente, non ne ha. Mi pare che anche il collega Brunetta, avendolo ascoltato, non ne abbia; questa geografia politica che sta diventando interessante dentro quest'Aula. Può sembrare poco intuitivo, Presidente, ma non c'è mai stato negli ultimi anni un momento buono come questo per spingere nella direzione di un'Europa federale, come hanno negli ultimi mesi ricordato anche l'Intergruppo parlamentare sull'Europa, il Movimento federalista europeo e la Gioventù federalista europea. Europa federale non significa solo riforme istituzionali o risorse economiche e finanziarie in comune, anche proprie, significa anche, Presidente, qualità della spesa e degli investimenti. Ho molto apprezzato per questo che abbia richiamato e fatto suo l'appello che con 50 parlamentari italiani ed europei abbiamo fatto nei giorni scorsi, quarant'anni dopo la fondazione del Club del coccodrillo di Altiero Spinelli, per chiedere che le risorse del Recovery Fund vadano anzitutto a bambine e bambini, a scuole, università, ricerca, mobilità sociale, parità di genere, in generale a sostenere e a rafforzare la cittadinanza, e a investimenti in nuove tecnologie per lo sviluppo sostenibile. Con molti dei firmatari, Presidente, non vogliamo limitarci ad un appello, e dopo l'estate proveremo a costruire una rete, un intergruppo parlamentare paneuropeo che mette insieme parlamentari del Parlamento europeo, di Camera e Senato e degli altri Parlamenti nazionali, per raccogliere istanze della società civile e dei cittadini europei e spingere tutti, a partire dai Governi nazionali, ad avere più coraggio. Buon lavoro.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Claudio Borghi. Ne ha facoltà.

CLAUDIO BORGHI (LEGA). Presidente, era l'11 dicembre quando abbiamo per l'ultima volta fatto una votazione di indirizzo sui temi europei. Nel di mentre il nostro Presidente e nostro Ministro ha portato avanti una trattativa - bene, male, non lo so, ognuno di voi si sarà fatto un'idea - ma di base sostanzialmente ignorando qualsiasi tipo di indirizzo che possa essere venuto dalle Camere.

Undici dicembre: siamo a luglio, nel di mezzo ne sono successe di cose, e il nostro Presidente si è trovato nella posizione in cui si trova più a suo agio, vale a dire fare quello che vuole, fregandosene di quello che diciamo noi; e questo, purtroppo, è un tratto del Presidente che io ricordo benissimo di quando eravamo in maggioranza diversa con gli amici del MoVimento 5 Stelle. Io mi ricordo le serate a presentare risoluzioni e mi ricordo i giorni successivi ai Consigli europei con la delusione di dire: ma perché non ha detto quello che gli avevamo detto di dire? Ma perché non si è attenuto alle nostre indicazioni? Semplice, perché seguiva una sua agenda: quale sarà, chi lo suggerisce, chi lo spinge, non ne ho idea, però di sicuro, fra Borghi, Di Maio, Salvini, Fraccaro, persone di questo tipo, che dovevano essere la rappresentanza della volontà popolare, e Merkel lì vicina, che gli diceva che cosa fare, probabilmente, ha scelto subito chi poteva essere più utile alle sue future carriere, o non so che cosa (Applausi dei deputati dei gruppi Lega-Salvini Premier e Fratelli d'Italia).

Quindi non mi faccio grandi illusioni su questo dibattito, che in effetti non sta dicendo nulla, quello che ha riferito è il nulla, il nulla! Così come oggi, in attesa di una votazione su un tema che ha diviso la politica italiana per molto tempo e che continua a dividerla e quindi si dovrebbe risolvere con una votazione, che se andasse in direzione opposta rispetto a quello che penso io andrebbe bene lo stesso, perché io ho questo vizio di amare la democrazia. Se ci fosse qua una votazione a favore del MES, io ne prenderei atto e direi: oh, finalmente il Parlamento ha deciso! Però anche oggi non si voterà sul MES. Gliela faccio io, guardi, gliela faccio sulla base dei gruppi parlamentari, così almeno, sinteticamente, quando va a parlare con la sua amica Angela, sa quale dovrebbe essere l'indirizzo del Parlamento, che sono i rappresentanti, noi, qua, quelli eletti dal popolo. E allora glielo dico subito, i gruppi parlamentari sono così: il MoVimento 5 Stelle sono 201, la Lega sono 125, Fratelli d'Italia sono 35, ce ne sarà qualcuno di LeU e qualcuno del Misto ma ve ne faccio omaggio, in totale sono 361 contro il MES, su una maggioranza di 315 di questa Camera: la Camera respinge (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier e di deputati del gruppo Fratelli d'Italia). Ecco, questa è la posizione attuale sul MES, quindi lei deve partire da questo punto di vista perché i gruppi sono così: tanto la votazione non si fa, la facciamo qua in modo sintetico.

Poi, abbiamo sentito tutti i miliardi che arrivano dall'Europa. Bene, glielo dico io quanti sono i miliardi che sono arrivati fino adesso dall'Europa in Italia: siamo a meno 200, perché al MES, che prima era EFSF e così via, ne abbiamo messi 58, fra fondi salva Stati vari; SURE, garanzie per BEI e cose di questo tipo, siamo a meno 8; Recovery Fund, che è basato sul bilancio europeo, fino adesso nel bilancio europeo noi, a sbilancio, ne abbiamo messi 130; quindi in totale noi ne abbiamo messi 200 e dall'Europa abbiamo ricevuto zero (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier), perché questi sono sbilanci. Altro che “o vinciamo tutti, o perdiamo tutti”, in Europa c'è qualcuno che vince sempre e qualcuno che perde sempre, e noi siamo dal lato che perde sempre. Il Next Generation EU è un aumento del bilancio europeo e questo, scusate, ai miei colleghi della Commissione bilancio che fino adesso sono stati a diventare matti per cercare di trovare 5 milioni per un qualcosa che avrebbe bisogno di miliardi, 4 milioni di aiuto per qualcosa che avrebbe bisogno di centinaia di milioni: beh, sappiate che un più grande bilancio europeo è un più piccolo bilancio italiano (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier). La prossima volta ne avrete di meno! La prossima volta che ci riuniremo per cercare di fare del bene, quei soldi saranno ancora di meno perché in realtà ce ne saranno di più, gestiti da un'Unione europea che ci dirà quello che piace a lei di fare; e non necessariamente quello che piace a lei di fare è una cosa che va bene per noi.

Ah beh, però, c'è il debito comune dell'Unione europea… beh, scusate, però, io questa la vorrei proprio capire: fino adesso ci hanno sempre detto che il debito è il fardello per le prossime generazioni; ma il debito comune dell'Unione europea è il fardello delle generazioni di chi? Cioè, non ho capito, il nostro debito è brutto, mentre se lo fa l'Unione europea diventa bellissimo? Ragazzi, ma veniamo forse a un punto di sincerità: l'Unione europea non è che è stato il dividendo dell'euro, il vantaggio e cose di questo tipo. Da quando siamo entrati nell'euro e nell'Unione europea, il nostro bilancio in termini di crescita è negativo. Noi siamo pesantemente in negativo, perché eravamo a circa più 2 prima di entrare nella crisi, metteteci il meno 11 e vedete dove siamo andati a finire.

E alla fine, se mi posso permettere, giacché ho questa abitudine - e mi rivolgo soprattutto ai miei colleghi perché prima o poi, non lo so, spero prima o poi, si voterà sul MES - io ancora nei dibattiti di ieri e così via ho sentito delle cose largamente imprecise: il MES innanzitutto non sono soldi da distribuire, sono soldi a prestito ed è un credito privilegiato. Il fatto che sia un credito privilegiato fa capire - e mi rivolgo veramente ai colleghi che forse ancora non l'hanno capito - che si segmenta il debito: c'è una parte privilegiata… e ci credo che ci danno un interesse più basso, ha l'ipoteca! Significa che praticamente, prima di avere una perdita, i signori del MES dovranno azzerare tutti i BTP e CCT, il nostro debito pubblico: quindi quei soldi sono garantiti in modo assoluto. Certo che gli interessi sono più bassi, ma quando si segmenta un debito, gli altri che non sono privilegiati vogliono saltare dal lato del privilegio anche loro, e quello è l'inizio della fine! A fronte di questo rischio - e io vi posso assicurare che è un rischio preciso e presente - cos'è il guadagno, il risparmio, la cosa tale per cui c'è questa ondata: dobbiamo andare a rivolgerci al MES? Beh, vedete, il risparmio sugli interessi… ma il risparmio sugli interessi, anche a concedere che ci sono, che si usa la stessa scadenza e così via, che non si possono usare i BOT, ci sono state delle aste ieri a tassi negativi, bene, ma anche a concedere tutto, signori, sono 300 milioni all'anno; io vi dico che sono di meno, perché la Banca centrale li compra e restituisce gli interessi, ma va bene, immaginiamo tutto, immaginiamo che sono 300 milioni di risparmi all'anno: ora, a tutti quelli che ne fanno una questione politica, io vi dico che ci sono dei rischi, dei rischi enormi, dei rischi di condizionalità, dei rischi di segmentazione del debito. E concludo: a fronte di questi enormi rischi, se il vantaggio sono 300 milioni di euro, vale la pena fare delle spaccature politiche tali per cui questo Parlamento sembra che non riesca a reggere una cosa del genere e se non si prende il MES si muore? Ma 300 milioni di euro… ma scusate, noi facciamo 100 miliardi di deficit quest'anno: 100 miliardi di deficit significa che stiamo parlando del 3 per mille del deficit! A fronte di rischi così enormi, il vantaggio possibile, e vi dico che non è quello, che non c'è, è il 3 per mille, e noi dovremmo andare a spaccarci per questo? Faccio un appello a voi: lui non ci ascolta, ma almeno noi siamo uniti su questa cosa, arriviamo a un voto, chiudiamo il rischio del MES, perché quello sarà un rischio veramente gravissimo per le future generazioni (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Muroni. Ne ha facoltà.

ROSSELLA MURONI (LEU). Grazie, Presidente. Signor Presidente del Consiglio, convergenza, resilienza e trasformazione: questi sono i capisaldi per costruire un Recovery Plan davvero efficace; un Recovery Plan che, però, va costruito anche su una constatazione: la normalità a cui molti vorrebbero farci tornare era il vero problema, una normalità basata sullo sfruttamento illimitato delle risorse naturali, per esempio, sulle diseguaglianze sociali, su una divisione della società in cui c'è chi ha molto, pochissimi, e chi ha pochissimo, la maggior parte.

È stato detto dai miei colleghi, questo è davvero un appuntamento con la storia europea, Presidente. Si è aperto uno spiraglio, uno spiraglio inimmaginabile nell'epoca pre-COVID, un'occasione imperdibile: se non vogliamo che il COVID, con il suo portato terribile di morti e crisi economica e sociale, sia passato invano, noi dobbiamo cogliere uno spiraglio che è anche frutto del suo lavoro, Presidente. Uno spiraglio geopolitico che, per la prima volta, vede una rottura di un asse tradizionale, un protagonismo dei Paesi del Mediterraneo, e noi lì dobbiamo stare, dobbiamo insistere per prenderci quel protagonismo che spesso all'Italia è mancato in Europa. Uno spiraglio che, per la prima volta, mette in discussione rigorismo, sovranismo, egoismo: tre elementi che da sempre, in questi anni, in questi ultimi anni di crisi economica, hanno minato alla base le fondamenta della nostra casa comune europea.

Certo, Presidente, ci sarebbe piaciuto arrivare alla messa in discussione del rigorismo, del sovranismo e dell'egoismo non perché è arrivato il COVID, ma ci troviamo a questo punto della storia, un punto della storia in cui l'Europa decide di sprigionare per la prima volta 1.850 miliardi di investimenti che debbono affrontare, sono d'accordo con lei, in maniera necessaria e urgente le sfide che abbiamo di fronte, sfide che riguardano una ripresa economica green, sostenibile, che si basi sulla ricerca e l'innovazione, Presidente, lo ripeto, sulla ricerca e sull'innovazione, una ripresa che si basi sulla sfida della neutralità climatica che è al centro di questa nuova Europa, con obiettivi di efficienza e di riduzione delle emissioni, con il rispetto degli accordi di Parigi. Lo ricordo qui dentro, perché è bene che noi sappiamo dove l'Europa vuole portare quei miliardi e dove anche a noi conviene che l'Europa porti quei miliardi. È una sfida che riguarda la parità di genere e le giovani generazioni; guardi, Presidente, investire sulle donne vuol dire riconoscere che le donne e le difficoltà che esse hanno nell'affermazione e nella società sono anche il bio-indicatore più forte di quanto una società possa essere ingiusta e diseguale. E, poi, le giovani generazioni, perché questi soldi, come l'ambiente, li stiamo prendendo in prestito dalle future generazioni e, quindi, è necessario un investimento importante proprio su di loro e un coinvolgimento, glielo chiedono anche le giovani e i giovani dei Fridays for Future che hanno invaso le piazze negli anni e nei mesi scorsi, a livello anche europeo. Per la prima volta, l'Unione europea propone di destinare il 30 per cento dei finanziamenti a progetti legati al clima nel bilancio europeo e nel Next Generation EU e anche qui, Presidente, è questo che ci deve guidare: la transizione climatica deve essere la nostra priorità assoluta e la nostra ripresa deve concentrarsi sulla trasformazione in questo senso della nostra economia. Certo, Presidente, una transizione equa, attenta e responsabile, ma decisa e coraggiosa; una trasformazione che abbia una visione, una visione dell'Europa e una visione, Presidente, del nostro futuro. Che tipo di Paese vogliamo essere? Vogliamo essere un Paese che difende l'economia del passato, quella basata sui fossili, sullo sfruttamento indiscriminato delle risorse o un Paese che scommette su se stesso e sull'economia del futuro? Su un'economia che crei lavoro, lavoro giusto, equo, pulito, sicuro, un'economia che si basi sulle rinnovabili, sull'efficienza, sul recupero dei materiali - pensi quanto è importante per un Paese povero di materie prime come il nostro - e sulla mobilità sostenibile, tutte cose, Presidente, che vogliono dire creazione di nuove filiere industriali. Ecco, su questo noi dobbiamo stare attenti, la nuova economia va accompagnata e deve generare nuove filiere industriali; non è una battaglia solo degli ecologisti, deve essere una battaglia che tiene insieme le forze produttive, le economie, le imprese, i cittadini e la pubblica amministrazione e per fare questo, però, ci vogliono coraggio e coerenza. Dobbiamo smettere di fare provvedimenti di eutanasia, come quelli che abbiamo fatto sul diesel e, invece, guardare ai temi del futuro che al centro, per me, hanno il tema delle città, sul fronte della mobilità e dei rifiuti. Noi siamo dipendenti dall'Europa nella gestione dei nostri rifiuti, Presidente, e questo è un problema; quello che per noi è un problema, i rifiuti, in altri Paesi d'Europa, caricati su camion, diventano risorse, risorse economiche, ma, perché? Perché noi non riusciamo a fare delle nostre capacità, delle nostre potenzialità un bagaglio economico e di sviluppo del Paese? C'è la messa in sicurezza del territorio e, a proposito di Europa ingiusta nel passato, l'Europa si è sempre rifiutata di riconoscere questa nostra specificità. Noi, adesso, abbiamo l'occasione straordinaria di mettere al centro la messa in sicurezza di un territorio bello, straordinario, ma fragile come il nostro e lo possiamo fare per la prima volta con i fondi europei. Ancora, ricordo la rivoluzione energetica, quella che passa per il protagonismo dei cittadini, e la nostra agricoltura, Presidente, che si basa sulla qualità, sul territorio e sul riconoscimento delle nostre caratteristiche. Un nostro piano per la ripresa e per la resilienza che veda nei 17 obiettivi per lo sviluppo sostenibile il nostro asse centrale. Lei si è presentato per chiedere la fiducia a queste Camere, col suo secondo Governo, proprio parlando di questi temi, e parliamo di una ripresa che riconosca, Presidente, i nostri talenti e le nostre potenzialità. Guardi, spesso, chi si oppone alla transizione ecologica, alla trasformazione dello sviluppo sostenibile, non sa, non riconosce quanto le nostre imprese, quanto i nostri cittadini siano pronti a compiere questo salto, quanto l'Italia possa competere a livello internazionale in termini di brevetti, di ricerca, di soluzioni, brevetti, ricerca e soluzioni che spesso hanno cittadinanza all'estero, ma che il nostro Paese non riesce a realizzare, qui, sul nostro territorio. È nostro il brevetto del solare a concentrazione, Presidente, eppure noi abbiamo perso 300 milioni di investimenti, perché non si è riuscito a fare un singolo impianto. Nel nostro Paese per fare un campo eolico ci vogliono cinque anni, vuol dire che quella pala che avevi pensato di piantare cinque anni fa, ormai, è vecchia. È questo il processo di semplificazione che noi dobbiamo avere: credere in noi stessi e sapere cosa si deve fare per trasformare gli slogan, il Green New Deal, in azioni economiche e ambientali davvero sostenibili e che guardino al futuro. Ecco, noi dobbiamo innanzitutto riconoscere che la questione ambientale non è un problema, non è un limite, è la chiave di volta e che il nostro Green New Deal passa per gli investimenti pubblici, per le semplificazioni, per la formazione e la ricerca, ma anche, lo diceva la Mazzucato, per uno Stato che si fa imprenditore. Ebbene, le imprese che sono partecipate dallo Stato devono essere in prima linea; lo ha fatto l'ENEL che su questo si sta sviluppando progetti importanti; bisogna essere rigorosi su questo e dare un indirizzo nell'interesse collettivo alle imprese che rappresentano il nostro Paese. Presidente, noi dobbiamo sapere dove andare, perché è vero che dobbiamo essere veloci, ma la velocità è vana se non si sa l'indirizzo. Io le auguro buon lavoro, buona fortuna, per questo importante appuntamento, e le ricordo le parole di Spinelli che diceva: “La via da percorrere non è facile, né sicura. Ma deve essere percorsa, e lo sarà!”. Buon lavoro, Presidente (Applausi dei deputati dei gruppi Liberi e Uguali e Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Montaruli. Ne ha facoltà.

AUGUSTA MONTARULI (FDI). Grazie, Presidente. Presidente Conte, io non sarò brava come la collega Galizia che, leggendo un intervento presumibilmente scritto ieri, riportava in virgolettato le sue parole di oggi, cosa che peraltro in quest'Aula era già avvenuta, tanto perché gli interventi del MoVimento 5 Stelle e del Premier non sono concordati; sarò molto più terra terra, richiamando le sue parole sulla storia. Il 28 marzo, lei ha annunciato che c'era un appuntamento con la storia, il 3 aprile ha detto, a margine di un incontro: è un appuntamento con la storia; e il 17 giugno ha detto: l'Europa non ha mancato l'appuntamento con la storia. Ora, sono passati un po' di giorni e forse si è reso conto che la storia le ha dato buca, perché due giorni fa ha detto: l'Europa non rinvii l'appuntamento con la storia (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia). Oggi, leggo addirittura sui quotidiani che lei sarebbe seduto dalla parte giusta della storia. Mi chiedo: ma la storia lo sa? Perché a noi sembra, invece, che l'Europa le stia dando un due di picche, che non sia rimasto nient'altro che lo speed date con Angela Merkel, voi due, faccia a faccia, intorno ad un tavolo. Solo che, dopo i cinque minuti d'obbligo, Angela torna a fare la Cancelliera tedesca e la lascia solo, lascia sola l'Italia in seno al Consiglio europeo, perché quella che lei ci ha illustrato, cioè un'Europa solidale nei confronti dell'Italia e che trova semplicemente un ostacolo solo nei quattro Stati definiti “frugali”, è drammaticamente una bugia.

Noi non stiamo cercando di convincere i Paesi frugali. Presidente Conte, qui, dai Paesi frugali ad Angela Merkel tutti stanno convincendo lei, tutti stanno cercando di convincere lei a cadere nella trappola della condizionalità, cioè nella trappola di quegli strumenti che rischiano di aprire le porte all'influenza straniera, all'influenza degli altri Stati europei sulla nostra discrezionalità e capacità di decidere sulla nostra politica interna, sulla nostra politica economica e sulle nostre riforme. Insomma, stanno cercando di trovare il modo di mettere mano, ancora una volta, sulla sovranità dell'Italia (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

Senza andare troppo lontano, non devo ricordarle come, alla vigilia del semestre tedesco europeo, la Cancelliera Merkel abbia rilasciato un'intervista in cui esortava ad utilizzare tutti gli strumenti messi a disposizione dall'Unione europea, e non devo dimenticare, non devo ricordarle io come, quello stesso giorno, la Lagarde, invece, annunciava e chiariva come i fondi del già Recovery Fund si sarebbero potuti attivare soltanto nel 2021.

Oggi noi abbiamo un'Italia che si presta, che i affaccia a un momento così importante, come è il Consiglio europeo, con un compromesso, che lei ha definito un buon punto di partenza ma di cui, francamente, di buono non abbiamo capito cosa ci sia.

Io voglio riassumere quello che non ho appreso dalle sue parole, ma che ho appreso dalle parole del Presidente belga: ci sarebbe una proposta, per cui l'Italia potrebbe attingere ai fondi del Next Generation EU, però sottoposta a rigorosa condizionalità; per rendere ancor più rigorosa questa condizionalità, le tranche verrebbero liquidate in tempi diversi, ma il controllo non avverrebbe più nel 2024 ma si accorcerebbe di un anno, nel 2023; ciò nonostante, la decisione sulla bontà delle eventuali riforme italiane sarebbe decisa non più dalla Commissione, ma addirittura dal Consiglio; infine, forse il Consiglio non deciderebbe più a maggioranza qualificata, ma dovrebbe decidere all'unanimità.

In tutto questo, noi, non contenti, non diremmo una parola né sul dumping fiscale ma, anzi, cederemmo a quei Paesi che oggi ci mettono i bastoni tra le ruote addirittura gli sconti sui contributi al bilancio europeo, che si era detto, invece, si sarebbero finalmente tolti. In che cosa, di grazia, l'Italia sta vincendo la partita degli strumenti europei, Presidente Conte?

L'Italia è tra i primi contributori in Europa; è un Paese fondatore e, dopo la Brexit, l'Europa non si può permettere di perdere anche la nostra nazione. Non abbiamo mai ricevuto sconti sui contributi, a differenza di Germania e dei cosiddetti altri Paesi frugali. Abbiamo addirittura delle trattative in corso che coinvolgono investitori stranieri, tra cui quelli tedeschi. Basti pensare alla partita di Autostrade, dove il coinvolgimento di Allianz richiederebbe il suo battito di ciglia per la revoca delle concessioni e per far andare a gambe all'aria un importante investitore, invece, tedesco. In tutto questo quadro, in cui sembrerebbe che l'Italia potrebbe avere elementi di forza su cui svolgere una trattativa a proprio favore, no! Noi parliamo di Next Generation, che è molto, ma molto distante dai toni trionfalistici, con cui lei l'aveva presentato e l'aveva presentato agli italiani, tra una diretta con Casalino e una comparsata su Facebook.

E, ancor prima di vagliare la proposta belga, che è di qualche giorno fa, sentiamo dal Ministro Gualtieri che è già pronta una sorta di spending review dove non è dato sapere - perché anche lei oggi questo argomento si è visto bene dal trattarlo - quali sacrifici dovranno fare gli italiani per avere il signorsì da parte delle autorità straniere degli altri Paesi Stati membri.

L'Italia in questo momento paga, purtroppo, un peccato originario. Il peccato originario è che questo Governo, quando c'è stata la crisi di un anno fa, è nato a Biarritz e non nelle urne e nelle mani del popolo sovrano. Noi oggi paghiamo questo scotto e, purtroppo, ci rendiamo conto che, nonostante l'Italia possa essere astrattamente in una posizione di forza, in realtà, a causa di questo Governo e del modo in cui è nato questo Governo, è in una posizione di estrema debolezza.

Il dramma è che il compromesso belga, che lei definisce e ha definito un punto di partenza - lo ripeto -, si rivela un compromesso a estremo ribasso nei confronti dell'Italia. Ma, soprattutto, che si chiami MES o che la condizionalità rientri dalla finestra, attraverso un piano come il Next Generation EU, il rischio reale per l'Italia è di perdere il controllo sui propri asset strategici e il controllo sulla propria politica interna ed economica.

A conclusione le dico che non è un caso che la conferenza stampa dell'altro giorno si sia conclusa con Angela Merkel che, proprio nel passaggio rispetto ad Autostrade e al Consiglio dei ministri che da lì a poco sarebbe dovuto avvenire, tra una risata e l'altra, abbia detto che era curiosa di sapere che cosa lei avrebbe fatto. Lei ha gli occhi di Berlino addosso, ma, Presidente Conte, mi guardi: lei ha gli occhi anche degli italiani e della sua opposizione addosso, e vale molto, molto di più.

Concludendo, io mi siedo dalla parte del torto, perché tutti i posti li avete occupati, ma, per parlare da storia, prima o poi la storia si paleserà (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Marattin. Ne ha facoltà.

LUIGI MARATTIN (IV). Presidente, conosce la frase di Quintino Sella, uno dei primi ministri dell'Italia repubblicana? La sua scrivania penso sia ancora a Via 20 Settembre, scrivania nella quale era seduto Piercarlo - che è qui dietro - e dove è seduto ora Roberto Gualtieri. È una delle mie frasi preferite: il bilancio dello Stato riflette vizi e virtù di un popolo. È vero, lo sappiamo e tutti coloro che hanno messo mano nella formazione di un bilancio pubblico e nell'allocazione delle risorse pubbliche sanno che è così e dopo ci tornerò più velocemente.

Ma io ho sempre pensato, in realtà, che anche il nostro rapporto con l'Europa rifletta le nostre virtù e i nostri vizi, e lo abbia sempre fatto. Le nostre virtù: è fin troppo facile ricordarlo, perché il sogno dell'integrazione europea nasce dall'Italia, non solo dal pensiero di Altiero Spinelli, quando la guerra non era ancora finita, ma anche nel Trattato di Roma, firmato qui a Roma ed entrato in vigore nel 1958. Quelle sono le virtù, che hanno caratterizzato il nostro rapporto con l'Europa.

Poi ci sono anche alcuni vizi, che emergono quando parliamo di Europa.

Specialmente negli ultimi dieci anni, noi non abbiamo visto l'Europa come un'avventura comune, con dei difetti, dei pregi e con delle correzioni da fare, ma abbiamo visto l'Europa, quando andava bene, come un giudice cattivo dei nostri comportamenti e, quando andava male, come un bancomat da utilizzare in ogni occasione. Abbiamo totalmente perso quel senso di prospettiva di cui noi, all'indomani della Seconda guerra mondiale, eravamo promotori.

Vede, Presidente, c'è una rappresentazione che io non ho mai condiviso fino in fondo e in parte l'ha fatta anche lei prima. La base è quella della distinzione fra tecnica e politica. Fin dai primi passi del mio impegno in politica, ormai un po' di tempo fa, non ho mai condiviso quella rappresentazione secondo cui la politica ha il compito di parlare e di dare grandi scenari, che spesso si tramutano soltanto in slogan, e ogni volta che si devono mettere le mani nelle cose concrete da fare viene derubricata cosa tecnica. È un vizio che abbiamo. Io, invece, credo che la differenza fra tecnica e politica sia molto semplice: il tecnico non decide e il politico sì, ma in capo alla politica deve stare l'onore e l'onere della competenza tecnica di sapere quello che si fa.

Allora, anche lei prima diceva - magari, come dire, senza dolo - un ritornello che spesso sento dire, cioè tutte le volte che l'Europa fa qualcosa che non ci conviene noi rifuggiamo in una distinzione che è simile a quella fra tecnica e politica che ho detto prima, cioè: quella è una scelta economicistica e poi, invece, c'è la politica. Io non sono convinto che sia questa la chiave di lettura, così come non sono convinto che tutte le volte che la Ragioneria generale dello Stato ci boccia un emendamento, perché non ci sono le coperture, non sono convinto, dicevo, che la reazione che parte di noi anche ancestralmente ha, cioè, “…ma decide la politica”, sia quella giusta, perché mette in contrapposizione due cose che non sono in contrapposizione. La politica non è l'assenza dei vincoli: la politica è avere il coraggio delle scelte (Applausi dei deputati del gruppo Italia Viva) e ogni scelta implica, per definizione, l'abbandono delle altre alternative. Questa era una frase che trovai in un libro da ragazzino: si chiamava La variante di Lüneburg ed era un libro sugli scacchi. Lessi quel libro e rimasi sconvolto da questa frase (ci fecero anche una maglietta sopra): “Ogni scelta implica l'abbandono di tutte le altre alternative”. La politica è saper fare quelle scelte, non appellarsi al fatto che non debbano esserci vincoli. La politica è anche il coraggio di guardarci allo specchio per vederci vizi e virtù (anche qui torniamo a Quintino Sella).

Allora, un vizio nostro, Presidente, del nostro popolo, è il modo in cui abbiamo sempre guardato alle risorse pubbliche. In questo Paese la spesa pubblica sono soldi di nessuno, non di tutti. Una delle frasi più brutte che ho sentito nella mia vita è quando nell'amministrazione della cosa pubblica un collega assessore mi disse: “Ma che te ne frega; non sono mica soldi tuoi!”. Il fatto che chi abbia manovrato la spesa pubblica in questo Paese abbia sempre considerato la risorsa pubblica come di nessuno anziché di tutti è la causa della maggior parte dei nostri problemi. Quindi, quando ci lamentiamo per presunte condizionalità, Presidente, ricordiamoci che non sempre qui dentro e non sempre i nostri predecessori hanno manovrato le risorse pubbliche nell'esclusivo interesse della nazione. Una mattina di novembre del 1973 in quest'Aula all'unanimità tutte le forze politiche decisero che si poteva andare in pensione dopo 14 anni, sei mesi e un giorno di contributi, mandando in pensione persone che avevano 37, 38, 39 anni di età o anche meno. All'unanimità! Su quella scelta, su quella manovra di risorse pubbliche io avrei desiderato condizionalità europee per evitare quello scempio che stiamo continuando a pagare anche adesso. Spesso l'utilizzo delle risorse pubbliche - e lo vediamo anche nei nostri lavori di Commissione - non riesce ad emanciparsi dal fatto che, comunque, i metodi di formazione del consenso in questa Repubblica sono quelli e hanno bisogno di essere oliati con la spesa pubblica. Assistiamo all'arrendevolezza più grande della politica. Invece di cambiare quei metodi di formazione del consenso ci adagiamo passivamente a essi e così tutti quelli che continuano a immaginare una prospettiva diversa ricevono una pacca sulla spalla dicendo: “Capirai un giorno che la politica non funziona così”.

Presidente, l'altro vizio che abbiamo, collegato al discorso che stiamo facendo - e ne parlava anche il professor Brunetta prima; non ero pienamente d'accordo con lui su questo punto per ragioni che poi un giorno vi spiegherò - è la nostra incapacità di fare le riforme, perché tutte le volte che in questo Paese abbiamo voluto fare le riforme le abbiamo fatte solo sulla base del vincolo esterno, solo perché costretti. Le riforme pensionistiche, sia quella di Dini del 1995 che la Fornero nel 2011, le abbiamo fatte solo sulla minaccia di un forte vincolo esterno. Ma non è forse la morte della politica fare le riforme con coraggio e avere il coraggio delle scelte solo quando si è costretto da qualcuno e non perché sei tu che le vuoi fare? Se l'orizzonte, Presidente, è il sondaggio del lunedì, questo Paese le riforme non le farà mai, perché per definizione le riforme hanno costi nel breve periodo e benefici nel lungo periodo (Applausi dei deputati del gruppo Italia Viva) e se noi non ci diamo in primis un assetto istituzionale e in secundis se non cambiamo l'atteggiamento della gestione della cosa pubblica, guardando oltre il sondaggio del lunedì e dandoci un sistema istituzionale che consente a chi arriva a Palazzo Chigi di avere l'aspettativa di rimanerci cinque anni, in questo Paese le riforme non si faranno mai ed è razionale che non si facciano perché se l'orizzonte della politica è così breve per definizione nessuna riforma può essere anche fatta.

Presidente, con il Recovery Fund, che per qualche oscura ragione si continua a chiamare “Recovery Found”- si capisce il perché, ma è solo una delle imprecisioni. Anche prima lo avete sentito: “Recovery Found”. Si chiama Recovery Fund -, si sta per realizzare uno step decisivo dell'integrazione europea. Per quello io ho dichiarato che anche se fosse stato di un euro sarei stato contento, perché si afferma il principio della condivisione dei rischi, si afferma il principio della possibilità di caricare il bilancio europeo di una capacità di debito ripagata collettivamente ed è qui che sbagliano i cosiddetti “Paesi frugali”, perché rifiutano questo principio. Non sbagliano quando dicono: “Guardate che sono fondi ripagati anche con le nostre tasse”. Quindi, integrazione europea significa cessione di sovranità a un livello europeo e capacità di identificare una politica fiscale a livello europeo. È questa la vera sfida che noi sbagliamo a non cogliere, ma sbagliano quando rifiutano ogni progetto di condivisione dei rischi.

Ma lo fanno, Presidente, perché manca la fiducia nei nostri confronti e non ci stanno insieme i livelli di governo quando manca la fiducia. Lei avrà avuto modo di vedere, in questa esperienza di Governo, che non è molto diverso da quello che succede con i nostri governi sub-nazionali, regioni e comuni, e spesso le dinamiche sono le stesse. Regioni e comuni non si fidano dello Stato centrale e lo Stato centrale non sempre si fida di regioni e comuni. È da lì che si inceppa il meccanismo e la stessa cosa avviene a livello europeo con gli Stati nazionali. Ma non si costruisce una cittadinanza europea senza fiducia, Presidente. Ma la fiducia, che manca nei nostri confronti da parte dei Paesi europei o parte di essi, è spesso la stessa fiducia che parte dei nostri connazionali non ha nei confronti della classe politica. È lo stesso tipo di fiducia! Ecco perché quello che sta andando in onda in questi mesi non è una partita di calcio tra la nazionale italiana e un gruppo di nazionali europee, ma è una partita in cui ci giochiamo un gran pezzo di credibilità della politica e la politica per definizione, dando una prospettiva e prendendo impegni futuri, senza credibilità non è nulla.

Quando si parla di credibilità, Presidente, si dovrebbe anche avere il coraggio di ricordare che quando si dice che il MES è un problema perché è debito senior, cioè vuol dire che se lo Stato fallisce dev'essere ripagato per primo quel creditore e non gli altri, onestà intellettuale vorrebbe che si ricordasse a quest'Aula e ai cittadini che questa mattina - è notizia di pochi istanti fa - lo stock del nostro debito pubblico è arrivato a 2.507,6 miliardi in termini assoluti e 36 miliardi di MES, se prendessimo tutti i 36 miliardi o se questo Parlamento deciderà di farlo, rappresentano l'1,43 per cento del nostro debito (Applausi dei deputati del gruppo Italia Viva e del deputato Brunetta). Quindi, vuol dire che questa cosa è un problema solo se lo Stato fallisce e riesce a ripagare solo l'1,43 per cento dei propri creditori, perché vorrebbe dire che prima devi ripagare il MES e poi la vecchietta col BTP. Ma tutti gli Stati che sono falliti - non ho capito, poi, perché dobbiamo pensare di fallire, ma diciamo che falliamo -, dall'Argentina alla Grecia eccetera, anche considerando gli haircut e anche usando tutto, hanno ripagato il 60, il 70, l'80 per cento del proprio debito. Quindi, quella della seniority, come riconosciuto dal collega al Senato, il professor Bagnai, è nient'altro che una sciocchezza.

Signor Presidente, concludo. Centosettanta anni dopo un altro spettro si aggira per l'Europa (quello precedente ci è voluto un po' a combatterlo, per questo spero ci vorrà un po' di meno): è lo spettro del populismo. Lo abbiamo visto anche in Polonia, anche se abbiamo visto che è un po' meno forte, un po' più debole di prima. Presidente, scegliere la strada delle riforme, dello studio, della pazienza, della competenza e di sacrificare un tweet per un discorso un po' più lungo forse le porterà un po' di solitudine, come diceva Federico Caffè qualche tempo fa e rispetto ad allora ancora di più, ma è l'unico modo, l'unico modo per assolvere al compito della politica.

È l'unico modo per assolvere a quella parte di impegno e di responsabilità che noi tutti, ingaggiandoci nella cosa pubblica, abbiamo deciso di sostenere (Applausi dei deputati del gruppo Italia Viva e di deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Colucci. Ne ha facoltà.

ALESSANDRO COLUCCI (M-NI-USEI-C!-AC). Grazie, Presidente. Presidente Conte, da sempre crediamo che il Presidente del Consiglio, soprattutto in sede europea, debba rappresentare tutto il Paese. Per essere più forte in quella sede è fondamentale avere un mandato sostenuto in modo unitario da tutto il Parlamento e, per fare questo, è necessario condividere. Per condividere reputiamo che al Consiglio europeo straordinario del 17 e del 18 luglio si deve decidere, non ci devono essere rinvii. Sappiamo che purtroppo l'atteggiamento di questo Governo - è un dato oggettivo – in tante occasioni è stato quello di rinviare, ma in questa occasione sia l'Italia a essere decisa e a spingere perché si facciano delle scelte e si esca dall'eterna indecisione. Le risorse europee, che arrivino dal Recovery Fund, che arrivino dallo SURE o dal MES, ovviamente in nessuna di queste occasioni con condizionamenti, qualsiasi sia lo strumento per recuperare risorse, si utilizzino nel 2020! La crisi è troppo potente per non intervenire subito a sostegno delle imprese, che sono il vero pilastro della nostra economia, sino ad oggi purtroppo lasciate troppo sole. Noi crediamo che la risposta non sia l'assistenzialismo, non sia la nazionalizzazione - anche le notizie di ieri su Autostrade ci preoccupano per la forte presenza dello Stato -, ma sappiamo che il Paese chiede di essere sostenuto, in questa fase che è la fase più dura che sta vivendo l'Italia dal dopoguerra. Vada al Consiglio europeo, Presidente, ricordando che la dignità la dà il lavoro! In questo caso noi saremo a fianco del Presidente Conte e del Governo, ma se la risposta che il Governo ha in mente è quella dell'assistenzialismo o dello statalismo, noi saremo sempre e coerentemente oppositori di questo Governo anche in sede europea. Rifletta e vada a rappresentare tutti noi, rappresentando tutta l'Italia sui criteri su cui noi puntiamo e che abbiamo inserito all'interno della risoluzione. Crediamo che in questo modo sarà così autorevole da far decidere l'Europa nell'interesse, non dell'Italia, ma della permanenza forte di un'Istituzione in cui noi ancora crediamo.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Berlinghieri. Ne ha facoltà.

MARINA BERLINGHIERI (PD). Presidente, onorevoli colleghi, la crisi sanitaria generata dalla pandemia globale, oltre ad avere evidenziato le criticità dei sistemi sanitari europei, sta manifestando i suoi effetti economici nella sua interezza. Di fronte a un'emergenza e a una crisi di tale portata, la risposta delle istituzioni europee non si è fatta attendere: i Capi di Stato e di Governo dell'Unione europea hanno incaricato la Commissione di presentare una proposta di un Fondo per la ripresa, necessario ed urgente, all'altezza delle sfide che stiamo affrontando. La proposta presentata dalla Commissione europea per un Piano di ripresa e rilancio si pone l'obiettivo di alimentare un'equa ripresa socio-economica, riparare, rivitalizzare il mercato unico, garantire condizioni di parità e sostenere gli investimenti urgenti, in particolare nelle transizioni verde e digitale, che detengono la chiave della prosperità futura dell'Europa. Si propone dunque di intervenire nel breve periodo per evitare effetti asimmetrici di una crisi simmetrica e contemporaneamente sostenere gli investimenti in progetti di lungo periodo, riconoscendo che conseguenze economiche asimmetriche degli Stati membri rischiano di compromettere gli sforzi di convergenza compiuti dall'Unione europea e di provocare distorsioni del mercato unico. La proposta segna una svolta europea importante, che prevede che la Commissione vada sui mercati per reperire risorse comuni, finalizzate a progetti di investimenti e crescita. Molto positivo che sull'intero pacchetto ci siano punti di convergenza sostanziali; ci sono però anche alcuni nodi sui quali bisognerà lavorare a creare il necessario consenso: penso in particolare alla questione del volume della composizione del Fondo Recovery ed ai criteri di allocazione delle risorse. La decisione in ogni caso è senza precedenti perché ha segnato un'importante apertura a uno strumento di politica fiscale europea basato su un principio di intervento finanziario comune. La proposta della Commissione europea è il frutto di un percorso negoziale dove l'Italia ha svolto un ruolo fondamentale; siamo stati il primo Paese a vivere la crisi pandemica e siamo stati i primi tra gli Stati membri ad insistere sulla gravità di una crisi, che non sarebbe stata solo sanitaria, ma anche economica. Molto positivo il lavoro fatto dal nostro Paese per chiedere fin da subito misure più ambiziose per creare uno strumento di debito comune, di dimensioni sufficienti e a lunga scadenza per garantire la disponibilità di risorse raccolte sui mercati. È una soluzione ambiziosa, equilibrata tra prestiti e sussidi, con un anticipo di una parte delle risorse, con l'obiettivo di tutelare l'impianto complessivo del mercato interno e la sua capacità di reagire a una crisi con pesanti ripercussioni su tutta la Comunità europea. È bene ricordare che, solo a marzo scorso, l'ipotesi di un fondo comune non esisteva e, attraverso un'azione determinata del nostro Paese, insieme ad altri Stati membri e alle istituzioni europee, si è arrivati a coagulare una proposta concreta ed equilibrata che va incontro agli interessi di tutti gli Stati membri, superando le retoriche contrapposizioni tra Nord, Sud, Est e Ovest. C'è in tutti noi la consapevolezza che il percorso però è ancora accidentato; è dunque molto importante continuare a lavorare, di concerto con le istituzioni europee, affinché il Piano europeo per la ripresa rafforzi la resilienza delle singole economie europee, attraverso la messa in comune di investimenti strategici a sostegno delle piccole e medie imprese, aumenti le opportunità di lavoro e le competenze per mitigare l'impatto della crisi sui lavoratori, sui consumatori e sulle famiglie, partendo dai già ambiziosi programmi del Green New Deal, che dovrà condurre l'Unione Europea verso la neutralità climatica, e dell'Agenda digitale. Non deve essere tralasciato l'aspetto sociale del Piano di ripresa: tutti gli sforzi per la ripresa devono essere caratterizzati da una forte dimensione sociale e siano allineati agli obiettivi del pilastro europeo dei diritti sociali, agli obiettivi di sviluppo sostenibile dell'ONU e all'obiettivo di uguaglianza di genere, in modo da garantire che la ripresa rafforzi la coesione territoriale e la competitività, affronti le disuguaglianze sociali ed economiche e risponda alle esigenze di quanti sono stati maggiormente colpiti dalla crisi, come le donne, i giovani, le minoranze e coloro che si trovano sulla soglia di povertà o al di sotto di essa. Così come il rispetto dello Stato di diritto, dei diritti umani e dei valori di solidarietà devono essere al centro delle politiche di ripresa dell'Unione. La necessaria e urgente risposta che dobbiamo dare alle cittadine e ai cittadini europei così colpiti dalla pandemia deve essere per noi un'occasione propizia per poter aggregare consenso attorno a decisioni che da tempo vengono rimandate perché i tempi non erano ancora maturi. È per esempio necessaria e urgente una decisione sulle risorse proprie dell'Unione: per aumentare le risorse proprie dell'Unione, che finanzino le sue politiche strategiche senza gravare sui bilanci degli Stati membri, bisogna adottare a livello europeo misure fiscali, in particolare nei settori finanziario e ambientale e dell'economia digitale; occorre prevedere la possibilità per l'Unione europea di poter deliberare su alcune questioni fiscali a maggioranza qualificata, superando l'attuale assetto che prevede invece il vincolo dell'unanimità. Lo tsunami sanitario che ci ha travolti ha fatto rapidamente maturare i tempi, bisogna con urgenza assumere decisioni che portino velocemente a una maggiore armonizzazione dei sistemi fiscali e conferire all'Unione una maggiore potestà impositiva, perlomeno in alcuni ambiti. In questo contesto bisogna negoziare per ampliare le capacità di bilancio dell'Unione, per far fronte a nuove priorità, quali sanità, ambiente, migrazioni, difesa e sicurezza e anche ad obiettivi strategici per la competitività, come ricerca, innovazione, infrastrutture, spazio, digitale, eccetera, liberando i bilanci dagli Stati nazionali, senza ridimensionare le politiche tradizionali. Per far questo bisogna introdurre in modo deciso nuove risorse proprie, quali ad esempio la tassa sulla plastica, sulle transizioni finanziarie e la web tax. Non possiamo però nasconderci che ostacolo a tutto questo e possibile causa dell'arenarsi delle decisioni che la Commissione ha preso e proposto agli Stati membri è il voto all'unanimità: su questo fronte bisogna costruire consenso e creare alleanze perché si possa arrivare a deliberare a maggioranza qualificata. Così come andrebbero rafforzate le istituzioni europee come luogo delle decisioni; mi preoccupa in tal senso la proposta di mettere in capo al Consiglio l'approvazione dei piani: andare in questa direzione significa indebolire le istituzioni europee, a fronte di un meccanismo intergovernativo che, tradotto, significa arretrare nel percorso di rafforzamento dell'Unione europea e di una sovranità europea di cui ha tanto bisogno il mondo oggi nella sua interezza. La pandemia ci consegna la necessità e l'urgenza del coraggio, il bisogno di fare scelte che rafforzino i valori di fondo attorno a cui costruire una società migliore. Sullo sfondo, molto lontano, per me rimangono sempre come meta gli Stati Uniti d'Europa, un'Europa testimone nel mondo di un modello di società radicata nello Stato di diritto, nei valori della pace, della democrazia, del rispetto dell'ambiente.

Dobbiamo essere consapevoli di essere a un bivio della storia e le scelte di oggi faranno la differenza (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Rospi. Ne ha facoltà.

GIANLUCA ROSPI (MISTO-PP-AP). Signor Presidente, Presidente del Consiglio, nel Palacio Nacional di Città del Messico, sede del Governo messicano, un murale di Diego Rivera raffigura un uomo su una macchina che manovra tutto, dall'universo alle molecole, dalla natura agli animali. Questa rappresentazione è la visione che ha dominato gli ultimi due secoli: l'uomo al centro dell'universo che cerca disperatamente di controllare ogni cosa. Oggi, però, un nemico invisibile ha messo in crisi questo modello: occorre, quindi, Presidente, cambiare il nostro punto di vista e il rapporto con il nostro universo, sapendo che siamo solo parte del tutto. Oggi la crisi sanitaria che stiamo vivendo ci impone una riflessione, che invito a tutti: l'uomo al centro di tutto è stato un sogno di sviluppo che si è trasformato in un incubo. Dovremmo riposizionarci, non più al centro, ma all'interno di un ecosistema di cui facciamo parte, composto, per l'85 per cento, dal mondo vegetale, per il 3 per cento, dagli esseri umani e, per il resto, dal mondo animale. A partire da questa visione, Presidente, dobbiamo costruire senza distruggere, costruire per il bene comune, far crescere l'umanità nella conoscenza e lavorare per un progresso sociale e una nuova politica più vicina ai popoli.

Signor Presidente, le decisioni che verranno prese nel prossimo Consiglio europeo dovranno rappresentare una risposta adeguata alla peggior crisi che l'Europa si trova ad affrontare dal secondo dopoguerra. Da queste scelte dipenderà il futuro - lo ha detto lei - della nostra casa comune europea. Per questo servirà una risposta concreta e ambiziosa, servirà una risposta solidale e in tempi celeri. Occorre superare i preconcetti ideologici e le barriere culturali. Il Governo deve impegnarsi per trovare sempre un compromesso al rialzo, deve valutare tutti gli strumenti europei che possono consentire liquidità immediata e senza gravare sul bilancio nazionale, per non caricare altro debito sulle generazioni future. Allora - e mi avvio alla conclusione - se questo è lo spirito con cui si va in Europa, noi, Presidente, siamo con lei.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Berti. Ne ha facoltà.

FRANCESCO BERTI (M5S). Grazie, Presidente. Presidente Conte, lei è chiamato a rappresentare gli italiani in uno dei Consigli europei più complessi della nostra storia. Gli Stati dell'Unione saranno dinanzi a una scelta chiarissima: comportarsi come una comunità oppure, senza neanche rendersene conto, venire travolti dall'attuale corso degli eventi. Nel 2020, un anno ferito dal Coronavirus, cosa significa essere una comunità? Non dobbiamo inventare grandi cose, basta guardarci indietro e ripercorrere la nostra storia. Nel 1951, Italia, Francia, Germania, Lussemburgo, Paesi Bassi e Belgio fondarono la CECA, mettendo insieme le risorse più strategiche e più importanti per la loro difesa: carbone e acciaio. Con quel gesto nacquero le premesse per il mercato comune, una piattaforma che ha creato benessere, pace, lavoro, prosperità per tante generazioni e ha reso l'Europa competitiva nel mondo.

Oggi dobbiamo riaccendere lo spirito di quegli anni e lei lo ha fatto: il 25 marzo, insieme ai leader di Belgio, Francia, Grecia, Irlanda, Lussemburgo, Portogallo, Slovenia e Spagna, ha scritto una lettera, che è stata il primo passo di un cammino comune europeo per uscire dalla crisi da Coronavirus. Questa sfida è stata raccolta dalla Commissione, dal Consiglio europeo e dalla Germania e, ad oggi, abbiamo sul tavolo uno strumento finora mai immaginato, il Recovery Fund, un fondo di pronto soccorso da 750 miliardi, di cui ben 170 per l'Italia.

È essenziale che questi fondi giungano a destinazione il prima possibile per le imprese e i cittadini e noi supporteremo lei e l'Italia in questa sfida. Allo stesso tempo, cogliamo questo momento di grave crisi per mettere nero su bianco i punti fermi della nuova Europa: tutela dell'ambiente, transizione ecologica e digitale, una lotta al cambiamento climatico, una tassazione giusta delle multinazionali e delle grandi imprese digitali, affermazione della dignità di ogni individuo tramite la piena occupazione, il contrasto alla disoccupazione e il supporto al reddito. Per evitare gli errori del passato non dobbiamo avere paura di dire che dieci anni fa l'Europa ha fallito: l'inadeguata gestione della crisi dei mutui subprime statunitensi ha avuto pesanti ripercussioni nel nostro continente, dimostrando la fragilità del sistema economico e finanziario europeo. Gli Stati dell'Unione reagirono con una soluzione intergovernativa, con la logica dell'“ognuno per sé”, creando gli ostacoli che, ancora oggi, frenano crescita e creazione di posti di lavoro in Europa. A differenza di ieri, oggi abbiamo capito che percorsi fissati di aggiustamento macroeconomico, le cosiddette condizionalità, non devono essere uno strumento per ingabbiare la politica economica degli Stati né, tanto meno, possono essere strumenti per favorire la crescita economica.

Dieci anni fa, con l'Europa, fallì anche l'Italia. La fuga del centrodestra dalle responsabilità di governo in piena crisi finanziaria e speculativa ci condusse ad una stagione di austerità pesantissima e questo dovrebbe essere un monito, una lezione, anche per chi oggi chiede le elezioni, un giorno sì e l'altro pure, anche in tempi di emergenza. Le domande che i leader europei si dovrebbero porre sono le seguenti: il meno 13 per cento previsto per l'economia italiana dovuto esclusivamente all'impatto devastante del Coronavirus è un problema italiano o è un problema europeo? La disoccupazione giovanile vicina al 50 per cento nelle regioni del Sud Italia o nelle regioni dell'Andalusia o dell'Extremadura in Spagna, nel sud della Grecia, è un problema italiano, spagnolo, greco o europeo? La tassazione pari a 0 per le multinazionali in Stati come il Lussemburgo o l'Olanda è un problema olandese, lussemburghese o europeo?

Presidente, per il negoziato del 17 e 18 luglio, la vera differenza sul campo la faranno i nostri valori, i nostri interessi comuni e anche il modo di comporre le nostre diverse visioni nazionali, ma niente uscirà di buono da quel negoziato, se noi immagineremo l'Europa come una mera somma degli egoismi nazionali. La crisi del Coronavirus ha svelato, ancora una volta, l'ipocrisia dell'Internazionale sovranista, l'alleanza antisociale, tale per cui si accusano gli altri Stati dell'Unione europea di non fare abbastanza per il proprio Stato, mentre si evita accuratamente di dare il proprio contributo agli Stati in difficoltà e al progetto europeo. Lo dico, Presidente, perché le parole sono pietre, specialmente nel panorama internazionale e, soprattutto, in questi periodi così delicati. Resterà nella storia, purtroppo in negativo, il gesto dell'olandese Geert Wilders, che, mentre lei e il Presidente dei Paesi Bassi stavate negoziando la risposta comune europea, seppur nella diversità di visioni, manifestò fuori dal Palazzo, con un cartello con scritto: “Geen cent naar Italië”, non un centesimo all'Italia. Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei: amici di Salvini, nemici dell'Italia (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Noi non vogliamo assolutamente un euro dall'Olanda, non l'abbiamo mai chiesto e questo tipo di propaganda, basata su pregiudizi e illazioni, è il peggio che il nostro continente possa offrire politicamente.

Pesano come pietre, Presidente, le gesta e le dichiarazioni del gruppo di Visegrad, tra cui l'Ungheria di Orban, che ha ribadito, una settimana fa, la contrarietà al ricollocamento obbligatorio dei migranti all'interno dell'Ue, penalizzando i Paesi di frontiera, come il nostro. Amici della Meloni, ancora una volta, nemici dell'Italia (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Purtroppo, l'opposizione italiana ha totalmente perso la bussola: al posto di confrontarsi con lei, Presidente, e con il Governo agli Stati generali, per parlare di lavoro e di futuro, ha preferito andare in piazza agli Stati del generale Pappalardo, a braccetto con i complottisti tutta Italia (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

Noi siamo diversi, lei rappresenterà in Europa, prima di tutto, una tradizione, quella italiana; lei rappresenterà l'Italia del Manifesto di Ventotene, l'Italia che, già nel 1941, aveva capito che la potenza degli Stati europei risiedeva nell'unità politica, non solo nel mercato unico. Oggi la buona politica, come quella del MoVimento 5 Stelle, ha il dovere di accendere un faro sulle contraddizioni insite nell'Europa che abbiamo conosciuto nell'ultimo ventennio. La lotta alle disuguaglianze è incompatibile con l'austerità, come l'esclusiva tutela della stabilità dei prezzi è incompatibile con la piena occupazione, come incompatibili sono, con un'idea di concorrenza leale tra imprese, quei paradisi fiscali che sottraggono 6,5 miliardi ogni anno solo al nostro Paese. Il negoziato dei prossimi giorni sarà durissimo, ma il Paese è con lei. Buon lavoro, Presidente (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Giglio Vigna. Ne ha facoltà.

ALESSANDRO GIGLIO VIGNA (LEGA). Grazie, Presidente. Presidente del Consiglio, onorevoli colleghi, parlo dal mio posto, con la mascherina, come faccio sempre da quando c'è l'obbligo, per lasciare una testimonianza a noi stessi e a chi verrà dopo di noi di questo momento storico. Se solo aveste seguito il consiglio di Matteo Salvini e aveste chiuso gli arrivi dalla Cina, ma chiuso veramente, le triangolazioni, forse il Paese non sarebbe in questa situazione (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier). Chiediamo con forza la riforma di Dublino, oggi più che mai, oggi che gli sbarchi sono legati al tema COVID-19. Oggi il tema è la ridistribuzione.

Ma veniamo all'Europa. Più di tre mesi di discussione, risposte forse fra sei mesi, un totale scollamento della realtà: il Paese e questo continente hanno bisogno di risposte subito, ora, nel mondo reale non stanno riaprendo le saracinesche! Sarò molto chiaro, onorevoli colleghi: non esiste MES senza condizioni, questo è il nostro pensiero (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier). Voi volete, signor Presidente, svendere il Paese alla troika e alle multinazionali straniere, mentre il tema del dumping fiscale non viene trattato! È facile essere Paesi frugali e contemporaneamente paradisi fiscali, è facile parlare di transizione verde per i tedeschi quando l'Europa finanzia la loro transizione verde, il carbone, e vuole tassare la plastica prodotta in Italia: due pesi, due misure (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier)! La BCE deve agire da banca centrale dei Paesi dell'area euro, deve agire come se fosse la nostra Banca centrale, comprare molti più titoli di Stato dei Paesi, soprattutto dei Paesi colpiti dalla pandemia. La BCE deve, apriamo il dibattito, cancellare il debito verso i Paesi dell'Unione europea, il debito dei Paesi dell'Unione europea verso la BCE deve essere cancellato, signor Presidente.

Onorevoli colleghi, l'Europa è a un bivio, siamo a un bivio: o l'Europa dà risposte o saranno altre Brexit; o mette al centro del discorso il cittadino, come chiediamo noi, o questa Unione europea muore. E sia chiaro, signor Presidente: noi siamo quelli che vogliono l'Europa dei cittadini, l'Europa delle identità, che ancora oggi voi avete disprezzato nel vostro discorso. Noi siamo quelli dell'Europa dei Padri fondatori, voi siete quelli che stanno, con il vostro atteggiamento e con le vostre non risposte, ammazzando questa Unione europea (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier)!

Signor Presidente, saremo ancora molto chiari: la linea tedesca, la linea del Governo tedesco di Angela Merkel di neutralità fra gli Stati Uniti d'America e la Repubblica Popolare Cinese non ci piace, non ci piace che la Germania voglia dare all'intera Unione europea questa linea, non ci piace la vostra sottomissione a Pechino. L'Unione europea - mi rivolgo a lei, Presidente, a lei e all'Eurogruppo - si ricordi che con Washington ci si siede al tavolo, con Pechino si è la pietanza su quel tavolo (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier).

In questo momento, nel momento più duro degli ultimi settant'anni della nostra storia, noi ci aggrappiamo ai nostri valori, ci aggrappiamo ai valori di Legnano, 1176, ci aggrappiamo ai valori di Pontida, 1167! E signor Presidente, noi promettiamo al nostro popolo, ai nostri cittadini che, come San Michele con il diavolo, l'Alberto da Giussano della Lega vincerà sul dragone cinese, vincerà la vostra Unione europea, il vostro Governo di sottomessi (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier)!

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Bazzaro. Ne ha facoltà.

ALEX BAZZARO (LEGA). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, Presidente del Consiglio Conte, siamo lieti di rivederla finalmente in quest'Aula, non per delle mere informative ma per delle comunicazioni su cui il Parlamento potrà tornare ad esercitare le proprie funzioni, e cioè votare e darle le indicazioni rispetto alle sue partecipazioni ai summit europei. Vede, Presidente, nei giorni in cui, con rammarico, leggiamo di proroga dello stato di emergenza fino a date che definirei oltremodo imbarazzanti, che le darebbero poteri che non le spettano e che ci vedrebbero come un unicum rispetto ad altri Paesi europei, siamo qui, come Lega, a ricordarle che la sua funzione deve tornare a essere indissolubilmente legata al ruolo sovrano che i due rami del Parlamento svolgono (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier).

Non c'è nessun motivo, e francamente faticavamo pure a vederlo nei mesi precedenti, perché lei prenda decisioni per il futuro dell'Italia in sede europea senza i voti degli eletti dal popolo. Le dico questo per suo tramite, Presidente, perché come durante il lockdown assistiamo ad un pre-summit in cui questa raffazzonata maggioranza punta a mettere la polvere sotto il tappeto per non affrontare il fatto che al suo interno vi siano posizioni che decreterebbero una netta divisione su uno dei temi principali degli aiuti europei, e cioè il MES, il convitato di pietra delle nostre Aule parlamentari di questi ultimi mesi; e fatemelo dire chiaramente, è indecente che a luglio 2020, dopo oltre quattro mesi di discussioni, non vi sia stato ancora in quest'Aula un voto che abbia dichiarato chiaramente quali sono le intenzioni dei partiti che sostengono questa maggioranza.

Ancora più grave, signor Presidente, è stato l'atteggiamento assunto dal Presidente Conte e dal Ministro Gualtieri, che in barba alle decisioni prese dal Parlamento hanno assunto posizioni per conto dell'Italia non in linea con quanto votato dagli europartiti di maggioranza del Governo giallo-verde, rischiando di far cadere dall'alto sulla testa degli italiani clausole capestro che non andrebbero a minare solamente la sovranità di questo Esecutivo, ma anche di quelli futuri.

Abbiamo sentito, su radio, TV e sulle sue troppe dirette Facebook, il Presidente del Consiglio raccontarci per mesi che l'Europa tutta era pronta ad aiutare il nostro Paese senza se e senza ma, con uno stuolo di giornalisti e commentatori TV compiacenti che ci narravano di miliardi di euro provenienti da tutte le capitali europee verso Roma. Un idilliaco racconto di fantasia, che a quanto pare esisteva solamente nella testa del Presidente del Consiglio Conte: di fatto proprio in questi giorni, proprio il Presidente del Consiglio ci ha spiegato che l'accordo è tuttora difficilissimo, il Premier olandese Rutte ha negato, in maniera forte e decisa, aiuti a pioggia verso il nostro Paese. Quindi, cari colleghi, i dubbi della Lega e di Matteo Salvini tanto criticati si stanno in realtà rivelando delle solide certezze.

Oggi e ora, giusto per rispondere alle solite pretestuose polemiche della maggioranza sugli alleati della Lega in Europa: noi non ci meravigliamo, pur non giustificandoli, se altri Paesi, anche egoisticamente, difendono a spada tratta i diritti e i privilegi dei loro concittadini, ma ci chiediamo invece perché chi ci rappresenta in questo Governo in Europa non sappia fare evidentemente altrettanto (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier). Una comunità che non riesce ad essere solidale al suo interno non può chiedere ad ogni egoismo ulteriori sacrifici, a chi già contribuisce più di altri, ma deve sedersi e riscrivere totalmente le regole, o finirà per disegregarsi inesorabilmente. È un concetto semplice, eppure abbiamo un Premier olandese che smentisce platealmente il Presidente del Consiglio Conte sull'inesistente solidarietà europea, e non si sa bene con quale autorità ci spiega quali riforme dovremmo andare ad effettuare nel nostro Paese.

Intendiamoci: questo Esecutivo e la sua politica assistenzialista meritano molte strigliate. Le scelte errate nei capitolati di spesa post sforamento di bilancio, gli errori che i partner europei faticano a comprendere, la nostra inconsistenza in politica estera, con gli altri Paesi che ci escludono sul piano turistico ed economico, sono sotto gli occhi di tutti, e il nostro asservimento sempre più palese a Pechino, che ci porta lontani dalla retta via dell'Alleanza atlantica, pure. Ma noi, da vero partito sovranista, abbiamo sempre un unico interesse: quello di difendere l'Italia e gli italiani in Europa. Per questo, viste le ultime, pessime performance dei summit europei, ci permettiamo di ricordare al Presidente del Consiglio che il nostro Paese è e rimane un contributore netto dell'Unione, e magari di ribadire al Premier olandese Rutte l'annosa questione dei famosi paradisi fiscali di vicinato.

Nella sola Olanda ogni anno, approfittando, come in Lussemburgo e in Irlanda, di una tassazione estremamente bassa, le aziende fanno ricomparire circa 55 miliardi di euro; il tutto a discapito dei Paesi dove quei profitti vengono effettivamente generati, ma che hanno, come Germania, Francia e ovviamente Italia, una tassazione più alta. Si faccia portavoce di queste notizie, Presidente, confermate dalla stessa Commissione europea, che parla di 70 miliardi di tasse ogni anno sottratte ai Paesi dell'Unione e di mancati ricavi, sempre in termini di tassazione per il nostro Paese, pari a circa 7 miliardi. Presidente Conte, siamo di fronte alla più grande crisi economica del dopoguerra, con partner europei egoisti e che non si fidano di lei, del nostro Paese e del nostro Governo, e che, a ridosso di una drammatica assenza di lavoro e di risorse, parlano di ritorno a vincoli demenziali. Il tutto gestito da una maggioranza che francamente non capiamo più se per inadeguatezza o malafede fugge dalle Aule parlamentari e teme di fare ciò che i vostri capi a Bruxelles vi stanno ordinando da mesi.

Il problema è che temete che queste vostre scelte rischierebbero di farvi perdere le vostre tante adorate poltrone. In questo clima, signor Presidente, augurarvi buon lavoro da parte del gruppo Lega sarebbe riporre la nostra fiducia in governanti di cui gli italiani già ora non si fidano più. Perciò la nostra unica richiesta rimangono le vostre immediate dimissioni, per permetterci di fare quello che voi in Europa non riuscite o non volete fare: difendere l'Italia e gli italiani (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Rossini. Ne ha facoltà.

EMANUELA ROSSINI (MISTO-MIN.LING.). Presidente, nelle scorse settimane, come Commissione politiche europee, abbiamo svolto 35 ore di audizioni con i massimi esperti in ambito economico, commissari europei e anche ministri. Abbiamo colto la posta in gioco in queste negoziazioni, ma anche nella prospettiva futura. Una posta in gioco molto alta, e lei fa molto bene a tenere alto il livello di lavoro rispetto a una prospettiva che è una grande sfida per il nostro Paese. Abbiamo anche colto due importanti elementi di prospettiva. Uno è il ruolo nuovo, più attivo, che dovrà avere il nostro Stato come soggetto investitore, e anche un programma di Governo molto preciso, che dovrà nascere da questa negoziazione. Un programma di Governo che dovrà vedere necessariamente due o tre priorità per settore molto importanti per trasformare proprio anche la macchina dello Stato. Ecco quindi che la posta in gioco è molto importante; noi ci siamo, ma anche i cittadini europei ci sono. Gli ultimi dati lo dicono: la fiducia nell'Europa è alta, ma i cittadini europei, due terzi dei cittadini europei chiedono più solidarietà, più Europa unita. Con questo voto di oggi e con il sostegno dei nostri cittadini le auguriamo un buon lavoro a Bruxelles.

PRESIDENTE. È così conclusa la discussione generale.

(Annunzio di risoluzioni)

PRESIDENTE. Avverto che sono state presentate le risoluzioni Delrio, Davide Crippa, Boschi, Fornaro, Fusacchia e Rospi n. 6-00113, Magi n. 6-00114 e Molinari, Gelmini, Lollobrigida e Lupi n. 6-00115 (Vedi l'allegato A). I relativi testi sono in distribuzione.

(Parere del Governo)

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il Ministro per gli affari europei, Vincenzo Amendola, per l'espressione del parere sulle risoluzioni presentate.

VINCENZO AMENDOLA, Ministro per gli Affari europei. Grazie, Presidente. Parere favorevole sulla risoluzione Delrio, Davide Crippa, Boschi, Fornaro, Fusacchia e Rospi n. 6-00113 e parere contrario sulle risoluzioni Magi n. 6-00114 e Molinari, Gelmini, Lollobrigida e Lupi n. 6-00115.

Preavviso di votazioni elettroniche (ore 11,25).

PRESIDENTE. Poiché nel corso della seduta potranno aver luogo votazioni mediante procedimento elettronico, decorrono da questo momento i termini di preavviso di cinque e venti minuti previsti dall'articolo 49, comma 5, del Regolamento.

Si riprende la discussione.

(Dichiarazioni di voto)

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Magi. Ne ha facoltà.

RICCARDO MAGI (MISTO-CD-RI-+E). Grazie, Presidente. Presidente Conte, vorrei rivolgerle un consiglio in vista delle impegnative prossime giornate, che saranno impegnative per lei e per il Governo, e saranno decisive per il futuro del Paese. Vorrei consigliarle di rileggere che cosa diceva nel 1948 Luigi Einaudi rispetto alle condizioni che accompagnavano lo European Recovery Program, il Piano Marshall. Fatte le dovute differenze, lei coglierà il punto politico. Einaudi diceva: se non ci fossero queste condizioni, gli italiani dovrebbero metterle da soli.

Ora, altro che trappola, altro che “chi ci vuole rubare la sovranità”, come abbiamo ancora sentito questa mattina. Ho colto nel suo intervento di questa mattina un passaggio, un riferimento, alle raccomandazioni annuali della Commissione; non era del tutto esplicito, ma spero di aver capito bene. Però c'è un altro punto, nel pochissimo tempo che ho devo essere davvero telegrafico, ed è il punto su cui ho provato a porre l'attenzione dell'Aula e su cui appena adesso il Ministro Amendola ha espresso il parere negativo del Governo. Credo, Presidente, che la situazione del nostro Paese vi spingerà, molto probabilmente, a breve a chiedere una proroga dello stato di emergenza, con la necessità di interventi urgenti di adeguamento della sanità territoriale, delle strutture di cura e di prevenzione, con la necessità di interventi di adeguamento dell'edilizia pubblica, in particolare dell'edilizia scolastica, e mentre voi vi apprestate tra qualche giorno a chiedere un ulteriore scostamento di bilancio, in questa situazione, sia da irresponsabili per il nostro Governo non chiedere subito l'accesso alla linea di credito specifica attivata nell'ambito del MES. Credo che invece far ciò rafforzerebbe la posizione dell'Italia sia sul tavolo della trattativa per il Next Generation e sia sui mercati. Questo è un momento di assunzione di responsabilità politica, il primo che c'è per una violazione, che fin qui c'è stata, della legge Moavero, sul coinvolgimento del Parlamento nelle decisioni di politica comunitaria. Finalmente questo momento c'è e oggi si assumono le responsabilità davanti al Paese.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Tasso. Ne ha facoltà.

ANTONIO TASSO (MISTO-MAIE). Grazie, Presidente. Presidente Conte buongiorno, buongiorno agli esponenti del Governo. Lo ha detto poco fa: o vinciamo tutti o perdiamo tutti. Sono queste le sue parole ed è questa la convinzione che dovrebbe guidare il prossimo Consiglio europeo straordinario del 17 e 18 luglio, così come convergenza, resilienza, trasformazione sono sostanzialmente gli obiettivi della nostra ripresa, cioè riparare i danni di questa disastrosa pandemia, il cui perimetro di azione non è ancora definito, come chiaramente è stato evidenziato ieri dal Ministro Speranza, riformare le nostre economie e rimodellare le nostre società.

Mi rendo perfettamente conto che mettere d'accordo ventisette capi di Stato e di Governo sui numeri e sulle modalità del piano di ripresa è un'impresa a dir poco ardua; prova ne sia che se, da una parte, il Parlamento europeo ha sempre sostenuto un quadro finanziario pluriennale 2021-2027 ambizioso, con una dotazione di risorse consistenti, dall'altra il presidente Charles Michel deve contemperare le forti opposizioni dei cosiddetti Paesi frugali al pacchetto presentato il 27 maggio dalla Presidente dell'Esecutivo, Ursula von der Leyen, contrari ad aumentare i contributi nazionali al bilancio europeo e le sovvenzioni al fondo perduto, con la necessità di rispondere con forza alla crisi dettata dal COVID, e quindi dare seguito agli impegni dell'Unione sul fronte del clima e della transizione digitale. Mi piacerebbe entrare nel merito dei sei punti individuati dal Presidente Michel per un possibile accordo, ma il tempo purtroppo non me lo consente. Tuttavia un riferimento alle risorse sui progetti collegati ai cambiamenti climatici desidero farlo, auspicando intanto il raggiungimento del target della neutralità climatica del 2050, perché non ci sfuggirà che lo scatenarsi di pandemie cruente è direttamente collegato all'aggressione ambientale che causa il cambiamento del clima, che assume contorni sempre più devastanti. In conclusione, abbiamo un'occasione per sorprendere, parafrasando ancora la signora von der Leyen, il mondo e addirittura sorprendere noi stessi, utilizzando le risorse che saranno disponibili, la cui qualità non deve essere legata, a mio parere, a convincimenti ideologici o preclusioni semantiche, per cominciare un percorso di sanificazione. Uso questo termine consueto di questi tempi: sanificazione di settori nevralgici del nostro Paese, come la sanità, come la scuola e l'economia in genere. Noi del gruppo MAIE, sia alla Camera che al Senato, abbiamo sempre avuto fiducia nel suo operato, Presidente Conte, e continueremo ad averla; lo dimostreremo anche con il voto favorevole di oggi.

Grazie e buon lavoro.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Rospi, prego.

GIANLUCA ROSPI (MISTO-PP-AP). Grazie Presidente, sarò brevissimo. Lei, Presidente Conte, ha detto che bisogna evitare lo scontro e costruire insieme, allora condivido questa cosa che ha detto e penso che dobbiamo impegnarci tutti per trovare quell'intesa comune, che possa completare quel processo federativo europeo iniziato oltre sessant'anni fa da De Gasperi, Schuman e Adenauer. Le decisioni che verranno prese nel prossimo Consiglio europeo, quello del 17 e 18 luglio prossimi, possono essere decisive per costruire e completare quel processo federale di Europa vicina ai popoli. È la prima volta, in Europa - lo diceva anche qualche collega - che si parla di stanziamento a fondo perduto, di condivisione del debito, di condivisione del rischio, qualcuno ha detto. È la prima volta, anche se con ritardo, che gli Stati europei cercano di dare una risposta unitaria a una crisi di portata planetaria. Per questo, Presidente, occorre mantenere le previsioni di stanziamento del Recovery Fund e occorre evitare soprattutto di inserire condizionalità che possano rallentare o annullare gli sforzi fatti fino ad oggi. Lo scorso - e concludo - 17 giugno, durante la sua informativa, Presidente, nel mio breve intervento, l'ho esortata a suggerire agli altri leader europei di guardare con occhio più attento alle politiche del Mediterraneo, le ho suggerito di far ritornare il Mediterraneo al centro dell'agenda europea, a guardare il Mediterraneo con una nuova visione politica. Dal Mediterraneo, a mio avviso, può ripartire lo sviluppo economico e sociale dell'Europa. Le chiedo quindi, Presidente, di accogliere questo suggerimento e di portarlo ai tavoli europei. Per questo motivo, ma anche per altre cose che condividevamo insieme, ho sottoscritto, insieme alle altre forze di maggioranza, una risoluzione che mi auguro possa essere linea guida per il prossimo Consiglio europeo. Concludo, lei ha detto: insieme si superano le difficoltà, il coinvolgimento del Parlamento è importante, però, Presidente, in questa crisi dobbiamo anche dire che questo non è sempre successo. Mi auguro che da oggi si cambi marcia e che ci sia sempre più un confronto più intenso con il Parlamento, organo rappresentativo del popolo italiano.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare la deputata Gebhard, prego.

RENATE GEBHARD (MISTO-MIN.LING.). Grazie Presidente, il negoziato in sede europea richiede parole chiare e comportamenti che sempre meno appartengono al singolo Stato. Non vi possono essere veti nazionali da parte di alcuni e nemmeno possono esservi tatticismi che, se riproposti nel tempo, determinerebbero un'insostenibile esasperazione nei rapporti fra Paesi membri. Se gli Stati membri non possono contare l'uno sull'altro per aiutarsi nella lotta contro un virus, che cosa resterebbe dall'Europa come soggetto geopolitico? In questo contesto, riteniamo che il Governo sia chiamato ad un'assunzione di responsabilità in merito agli strumenti e risorse poste a disposizione dalle istituzioni europee, un impegno che è straordinario e che apre in Europa una prospettiva senza precedenti. Il Piano nazionale di riforme è la base di un ruolo attivo e propositivo del Governo, che condividiamo. Ribadiamo ciò che più volte abbiamo affermato: il ricorso a SURE e MES è indispensabile, anche in previsione di un accordo sul Recovery Fund. Sostenere che il ricorso al MES e al Recovery Fund siano scelte alternative, espone l'Italia a maggiori rischi nel confronto europeo, proprio mentre sarebbe opportuno rafforzare una posizione europea condivisa e solidale nella risposta alla crisi globale indotta dalla pandemia. È possibile che il prossimo Consiglio europeo non sia risolutivo, ma occorre rafforzare le basi che già oggi sono sostenute da un ampio consenso fra i Paesi membri. Signor Presidente del Consiglio, auguriamo successo a lei, all'Italia e all'Europa, perché, come ha detto bene prima, o vinciamo tutti o perdiamo tutti.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Lupi, prego.

MAURIZIO LUPI (M-NI-USEI-C!-AC). Grazie Presidente. Signor Presidente del Consiglio, intanto le dico subito e in maniera molto diretta che troverà noi, ma credo tutto il Paese, l'Italia, al suo fianco nella battaglia per il Recovery Fund. Insieme con Germania, Francia e Spagna, ricordi con forza che non ci si salva da soli, ma ricordi anche ai cosiddetti “Paesi frugali” - Svezia, Austria e Danimarca - che hanno semplicemente il prodotto interno lordo pari a quello della sola regione Lombardia e che quindi l'Europa è il luogo dove non ci si salva da soli e l'Europa è il luogo dove l'unità si costruisce insieme. Ma mi permetto, a questo punto, di farle due osservazioni che spero possano esserle utili. La prima: per come sono impostati i fondi del Next Generation EU, se saranno quelli annunciati, c'è una parola su cui noi dobbiamo fare una ennesima forte battaglia, la parola è: “subito”. Infatti, questi fondi, a quanto sappiamo saranno disponibili dal 2021 al 2026 e nel prossimo anno, cioè nel 2021 verrà erogato solo il 5,9 per cento delle risorse. Insomma, fanno 44 miliardi, tra l'altro la metà dello scostamento che questo Parlamento ha autorizzato. Mi sembra ovviamente un po' poco e mi sembra che noi dobbiamo fare la battaglia, perché il fattore tempo per l'Italia e per l'Europa deve essere la sfida essenziale e quindi che i fondi effettivamente nel 2021 siano erogati il più possibile. La seconda osservazione e qui è un'osservazione anche un po' critica: continuiamo a dire tutti “senza condizioni”. Sì, senza condizioni, ma dobbiamo essere molto chiari: noi non vogliamo condizioni politiche e nessun controllo su politiche sulle quali la sovranità di un Paese, l'Italia, è intangibile, ma la parola “condizioni” non è un tabù impronunciabile. Mi scusi, ma se uno ti presta dei soldi, se uno decide di condividere con te il debito e il rischio, quando mai uno ti regala 172 miliardi senza condizioni? Forse le condizioni che noi dobbiamo porci, l'Italia deve porci, è quello della responsabilità nei confronti degli italiani, sono i progetti che presenteremo, la credibilità dei nostri progetti, la concretezza e la fattibilità dei progetti che presentiamo. È allora qui che c'è la vera sfida del nostro Paese. Le voglio fare degli esempi, velocemente: ho letto con molta attenzione il Piano nazionale delle riforme che lei ha mandato l'8 luglio scorso al Consiglio europeo. Il primo annuncio: saranno messe in campo misure finalizzate a rendere più facilmente attraente l'investimento dei giovani nel loro capitale umano; l'istruzione ha bisogno di essere migliorata, migliorando l'inclusione formativa e riducendo il mancato disallineamento. I fatti: investiamo così tanto nei giovani, che siamo l'unico Paese in Europa che ha lasciato a casa per quattro mesi i suoi studenti. Il 10 per cento degli studenti italiani, 900 mila studenti, per quattro mesi non hanno fatto scuola, non hanno preso un libro in mano, sono stati abbandonati. Il secondo: modernizziamo il Paese; anzitutto, vuol dire disporre di una pubblica amministrazione efficiente. I fatti: stiamo parlando di quella stessa pubblica amministrazione i cui dipendenti, al 93 per cento, non vogliono tornare in ufficio dopo il lockdown? Terzo: la riconversione ecologica può e deve rappresentare anche un terreno di nuova continuità, competitività, pur nel contesto di una società a forte vocazione industriale (è quel piccolo mondo antico di cui lei ha parlato nella sua relazione). Ma veniamo ai fatti: ma la forte vocazione industriale del nostro Paese, la si garantisce per le piccole e medie imprese oggi, quando il 40 per cento di queste piccole e medie imprese che hanno fatto richiesta di liquidità non hanno ancora avuto un euro dalle banche? La vocazione industriale dell'Italia è quella della nazionalizzazione di Alitalia, degli espropri statalisti di Atlantia, dell'assistenzialismo à gogo e di distribuzione a pioggia dei 55 miliardi dispersi nei 226 rivoli dell'articolato del “decreto Rilancio”? Lei ha detto una frase che secondo me è infelice, perché non la pensa: “Non possiamo più regalare i soldi pubblici, né tantomeno ai privati”. Mi scusi, i privati sono una risorsa nel nostro Paese.

Non possiamo sprecare i soldi pubblici, non possiamo sprecarli con l'inefficienza dello Stato e dobbiamo fare diventare la risorsa pubblica il moltiplicatore dell'investimento privato. Non ci piace il conflitto di classe; non torniamo indietro di anni; non siamo in un Paese comunista, neanche i comunisti pensano più questo (Applausi dei deputati dei gruppi Misto-Noi con l'Italia-USEI-Cambiamo!-Alleanza di Centro e Forza Italia-Berlusconi Presidente). Infine concludo e la ringrazio, Presidente, c'è un'ultima battuta che lei ha fatto: l'amministrazione della giustizia verrà resa più moderna ed efficiente. Si ricordi di dire con forza e faccia questa battaglia, perché lei ci crede, più giusta con una magistratura indipendente dalle lobby e dalle correnti che pretendono la guida, pur essendo una minoranza. Ecco, lei conosce come me la figura di Quinto Fabio Massimo, il temporeggiatore, la cui tattica di sopravvivenza ebbe come conseguenza la devastazione dei territori di alleati e dei sudditi. Ogni tanto conoscere la storia ci può essere utile. Non è un destino che ci piace; non è un destino che le auguriamo per la stima alla sua persona; non è un destino che auguriamo alla nostra Italia. Facciamo la battaglia insieme per un'Italia più grande in Italia e in Europa (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Noi con l'Italia-USEI-Cambiamo!-Alleanza di Centro).

PRESIDENTE. Ha chiesto di intervenire il deputato Palazzotto. Ne ha facoltà.

ERASMO PALAZZOTTO (LEU). Grazie, Presidente. Presidente, Colleghi noi non abbiamo scelto dove nascere né il tempo in cui nascere ma, grazie alla visione dei padri costituenti dell'Europa, chi ha avuto la fortuna di nascere negli ultimi settanta anni da questa parte del mondo ha potuto godere di pace, stabilità, democrazia e libertà. Ha potuto scegliere dove vivere e soprattutto come farlo. A noi, Presidente, è toccato nascere in un periodo molto difficile, un periodo che era difficile già prima della pandemia, un periodo in cui ci troviamo a vivere uno dei cosiddetti tornanti della storia. La finanziarizzazione estrema dell'economia unita ad una deregolamentazione dei mercati e all'impotenza degli Stati nazionali davanti ai fenomeni determinati dalla globalizzazione hanno determinato un'enorme accumulazione di ricchezza nelle mani di pochi, invertendo violentemente il corso della storia. Dopo quasi cinquant'anni di crescita e sviluppo dei sistemi di welfare, oggi la crescita delle disuguaglianze sta minando il processo di integrazione europea. Il fantasma del nazionalismo si ripresenta sul palcoscenico della storia a minacciare la pace e la stabilità esattamente come settant'anni fa. La sua generazione, Presidente, è cresciuta nella consapevolezza che avrebbe avuto condizioni di vita migliori di quella dei propri padri. La mia è cresciuta senza alcuna certezza nel futuro ed è questo che sta determinando una perdita di fiducia soprattutto tra le nuove generazioni nelle istituzioni in generale e in particolar modo nelle istituzioni europee.

La pandemia, signor Presidente, ha accelerato questo processo, ha messo a nudo le contraddizioni del modello economico dentro cui vivevamo e anche del modello istituzionale europeo, il fatto che buona parte delle decisioni che poi impattavano sulla vita delle persone venivano decise in luoghi che non avevano direttamente una rappresentanza popolare. Non è il Parlamento europeo il luogo in cui si decidono le sorti dell'Europa; non è il luogo eletto, nonostante i progressi che sono stati fatti, ad avere una scelta, un potere di decisione, ma sono 27 nazioni, sono 27 Governi. L'Europa è stata gestita da 27 Governi spesso di segno opposto, talvolta con una maggioranza ben definita e nessuna di quelle maggioranze che si è determinata dentro quell'assise ha prodotto un passaggio ulteriore negli ultimi vent'anni. Siamo rimasti inchiodati a un'Europa che era l'unione dei mercati, era il mercato unico, a un'Europa che è stata l'integrazione dei sistemi finanziari, ad un'Europa che ha stabilito vincoli precisi di bilancio legati alle esigenze dei mercati e non siamo riusciti a fare un solo passo in avanti rispetto invece a quelli che sono 27 sistemi di welfare differenti, 27 sistemi fiscali differenti ed è lì il nodo della crisi che stiamo attraversando: nelle due velocità che hanno guidato un processo di integrazione economica, da una parte, e un non processo di integrazione politica e sociale. Abbiamo 27 politiche estere differenti in Europa, anche nel Mediterraneo, e questa è la sfida che ci troviamo davanti.

Le dicevo che era così anche prima della pandemia. La pandemia ha accelerato tale processo e oggi, davanti a noi, le grandi sfide che guardavamo a distanza si sono avvicinate. La prima, la più grande con cui ci stiamo confrontando, è la sfida dei sistemi di welfare. Nonostante tutto, nonostante vent'anni di tagli ai sistemi di welfare, di erosione di risorse dai sistemi di welfare verso i mercati finanziari che sono avvenuti in Europa, i sistemi di welfare europei e, in particolar modo, il sistema di welfare italiano di cui fa parte il Sistema sanitario nazionale, hanno retto meglio di altri l'urto di una pandemia che oggi sta segnando milioni di morti in quei Paesi che non hanno un sistema di welfare e una sanità pubblica ma hanno privatizzato la sanità e si sono legati alle assicurazioni. Questo è il primo passaggio, ossia invertire la tendenza: la sanità deve essere il principale investimento per affrontare le sfide del futuro.

Grande sfida ecologica su cui si determina nella transizione ecologica non solo il futuro del pianeta dal punto di vista della sostenibilità appunto ambientale, ma anche della sostenibilità economica. Austerità, vede Presidente, è una parola che ha risvolti significativi: li ha in negativo, quando è diventato il modo con cui si strangolavano le economie per prelevare fondi dai sistemi di welfare e trasportarli verso il sistema finanziario; li ha invece in positivo quando diventa un'idea che cambia modelli di vita, di consumi e di stili di vita che stanno determinando oggi un'insostenibilità dell'attuale modello di sviluppo e anche una insostenibilità dal punto di vista del modello sociale e quindi la grande sfida ecologica, il Green New Deal, è un'occasione non solo per migliorare la qualità di vita delle persone, la salute dei cittadini ma è anche una grande occasione per rilanciare la nostra economia su un modello che fa della sostenibilità un'idea più generale che guarda anche alla sostenibilità umana dei tempi di vita delle persone e della qualità della vita delle persone, non solo al tema economico. C'è il grande tema dei diritti, c'è il grande tema della lotta alle disuguaglianze. Riconosco a lei, Presidente, di aver lottato, di aver combattuto per una visione di un'Europa più solidale, di un'Europa dei popoli, di un'Europa che affrontasse la pandemia seguendo il principio della solidarietà e quindi dell'unità perché uniti forse si riesce ad affrontare non solo questa, ma le grandi sfide che abbiamo davanti. Le riconosco anche di aver ottenuto degli importanti risultati: imponenti sono le risorse messe a disposizione per fronteggiare la crisi determinata dalla pandemia e dal lockdown necessario che abbiamo dovuto affrontare. Ma, come dicevo prima, il problema resta il paradigma su cui si fondano queste risposte e credo che la crisi che stiamo affrontando adesso sia una grande occasione per la nostra democrazia e per la democrazia europea ed è una grande occasione se, al di là della risposta emergenziale che oggi mettiamo in campo, siamo in grado di cambiare paradigma, siamo in grado per esempio di utilizzare la crisi per ridare un nuovo ruolo alla Banca centrale europea riguardo alla quale - voglio dirlo rispetto a cose che ho sentito in quest'Aula - il tema non è il fatto di essere il bancomat degli Stati europei, per cui adesso il punto è rivendicare che la Banca centrale europea debba cancellare il debito di tutti e basta. Il tema è immaginare che la Banca centrale europea diventi una banca centrale di una nuova nazione europea e che forse, a partire da questo tipo di riforme, si possa immaginare di realizzare il sogno degli Stati Uniti d'Europa che in quest'Aula pochi hanno avuto il coraggio di ricordare, citando Altiero Spinelli, ma che rimane e deve rimanere un orizzonte politico delle forze progressiste di questo Paese e dell'Europa.

E, vede Presidente, in ciò il tema non è lo scontro con i Paesi frugali, lo scontro, il match, il grande derby Italia-Germania e fa specie, guardi Presidente, sentire in quest'Aula, da parte di forze politiche che per vent'anni hanno detto che non bisognava investire nel Sud Italia perché lì sprecavano le risorse, fare la rivendicazione nei confronti della Germania o di un altro Paese che oggi chiede all'Italia garanzie rispetto a come verranno investiti quei fondi. Fa molta specie perché ci vuole anche una parte di coerenza rispetto alle battaglie che si fanno e io penso che il tema non sia neanche di chiedere le condizioni all'Italia.

Io penso che il tema sia quello di determinare assieme, dentro una visione di progetto europeo, quali tipi di investimenti vanno fatti, in Italia come in Germania, per recuperare anche i gap che ci sono dal punto di vista tecnologico, dal punto di vista della sostenibilità ambientale, perché è innegabile che su molte cose noi abbiamo un ritardo rispetto ad altri Paesi europei, come è innegabile che dall'altra parte abbiamo modelli che possiamo esportare, per esempio quello che abbiamo dimostrato di saper fare sulla sanità.

Allora, noi oggi dovremmo andare in Europa a rivendicare l'esportazione del modello italiano rispetto, per esempio, ai sistemi di welfare fondati sulla visione della nostra Costituzione, e allo stesso tempo a dire che faremo passi in avanti sul processo di digitalizzazione, di mobilità urbana sostenibile, di investimenti sul Green New Deal, su cui siamo e continuiamo a essere in ritardo. Questa è la sfida che abbiamo davanti a noi, Presidente, e io sono sicuro che lei continuerà, come ha fatto finora, a rivendicare questo ruolo per l'Italia, però, appunto nel darle il mio sostegno, il sostegno del gruppo di Liberi e Uguali, le diamo anche - speriamo - l'indicazione di potere andare in Europa a difendere questa visione, la visione di un'Europa dei popoli, di un'Europa solidale, di un'Europa che sappia uscire dalla crisi più forte, più unita, più coesa e anche legata ai propri valori e principi costituenti (Applausi dei deputati del gruppo Liberi e Uguali).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Colaninno. Ne ha facoltà.

MATTEO COLANINNO (IV). Onorevole Presidente, signor Presidente del Consiglio, Ministro Amendola, sottosegretaria Agea, il Consiglio europeo del 17 e 18 luglio viene accompagnato da un'enfasi e anche - l'abbiamo sentito in quest'Aula - da una retorica che potremmo definire eccessive, se non giungesse in un momento affatto eccezionale. Ad uno scenario del tutto straordinario, che impone di fare i conti con le pesanti conseguenze economiche e sociali dei lockdown, ha fatto da contraltare un'accelerazione, direi un cambio di passo sul piano politico, una discontinuità, figlia della consapevolezza maturata nei Governi dei Paesi guida dell'Europa che la sfida posta dal COVID-19 avrebbe potuto mettere definitivamente a rischio la tenuta dell'Unione. Un clima nuovo, dunque, si sta delineando. Sono state assunte decisioni liberatorie e prese misure liberatorie: stiamo parlando di oltre il 4 per cento del PIL in spese discrezionali, oltre il 25 per cento del prodotto per spese in garanzia di liquidità. Stiamo parlando quindi di ordini di grandezza straordinari pari al 30 per cento del PIL. Una discontinuità totale, quindi, rispetto agli approcci delle crisi finanziarie e di debito degli anni 2008-2011, dove, ricordiamo, non ci fu una reazione di politiche di bilancio comuni ma piuttosto programmi di austerità (2008-2011). Oggi siamo di fronte a fatti e a numeri macroscopici, senza Europa nessuno sarebbe in grado di affrontare e rispondere alle dimensioni dei problemi e alle complessità. Credo vada anzitutto riconosciuto - lo dico in particolare per il ruolo che ha avuto Italia Viva, la mia forza politica -, che senza un ritorno a pieno titolo dell'Italia nell'alveo dell'europeismo - un anno fa qui dentro spirava uno spirito sovranista, populista - l'Italia oggi sarebbe probabilmente isolata in un angolo. Con quale affidabilità i sovranisti avrebbero potuto oggi accedere ai programmi e alle risorse europee? Chi avrebbe dato ascolto all'Italia? Saremmo stati fuori probabilmente dalle decisioni rilevanti. Avremmo affrontato le conseguenze della pandemia rischiando anche di essere travolti dalla speculazione, che avrebbe impedito qualsiasi possibilità di resistenza economica e prodotto danni incalcolabili per il risparmio delle famiglie, occupazione, aziende, con effetti sociali non prevedibili.

Signor Presidente del Consiglio, costruire alleanze rappresenta la sola strategia in grado di pagare, l'unica strategia che può creare le premesse per conseguire obiettivi concreti, abbandonando proclami velleitari e irrilevanti minacce a base di finti pugni sui tavoli. La capacità del Governo di costruire un dialogo proficuo con Francia e Spagna, due Paesi duramente colpiti dal Coronavirus, come il nostro, si è accompagnata anche da un riposizionamento della Germania, un fatto politico rilevante anche rispetto agli atteggiamenti dei Paesi cosiddetti frugali. Paesi frugali che, ricordo, rappresentano 40 milioni su 400 milioni di cittadini europei. La ricetta contempla un mix di misure che ha potuto contare sulla ripresa su vasta scala delle politiche non convenzionali della Banca centrale europea, sulla sospensione dei vincoli del Patto di stabilità e crescita e della disciplina degli aiuti di Stato. Non può esserci dubbio alcuno, se siamo leali, sull'efficacia di queste misure. A queste se ne sono aggiunte di ulteriori: il SURE, destinato ad integrare i sussidi di disoccupazione nazionale; i prestiti agevolati alle piccole e medie imprese, messi a disposizione dalla Banca europea degli investimenti; il Meccanismo europeo di stabilità; il Recovery Fund, lanciato dalla Commissione e oggi al centro della negoziazione tra i Paesi membri.

La posta in gioco, dunque, è altissima, per l'Unione europea e per l'Italia. Se dobbiamo accogliere con soddisfazione la prospettiva di essere il Paese che potrebbe godere delle maggiori risorse del Recovery Fund (parliamo di 170 miliardi), la questione cruciale ruota intorno alla capacità che avremo di ricostruire un tessuto di fiducia nel futuro da parte di cittadini ed imprese. Avremo bisogno di idee nuove, che possono concretizzarsi in tempi ragionevoli. Avremo bisogno di risorse finanziarie ingenti oltre a quelle già impegnate, decine e decine di miliardi che certo non potremo trovare continuando ad aumentare il deficit e il debito oltre certe soglie. Abbiamo bisogno, onorevoli colleghi, di tutte le risorse possibili e disponibili. La magnitudine della crisi sanitaria, economica e sociale è oltre ogni ordine di grandezza, perciò credo che il dibattito su uno strumento discusso come il MES debba avvenire senza pregiudizi, in piena trasparenza, lealtà e rispetto della verità. Tutti noi sappiamo, in questo Parlamento, che l'ultima parola su un'eventuale attivazione del MES spetta a noi, spetta a questo Parlamento. L'idea di indugiare o peggio di accantonare frettolosamente l'opzione di usufruire di risorse pari al 2 per cento del prodotto lordo - stiamo parlando di 37 miliardi - in favore del nostro sistema sanitario sarebbe un errore blu, a maggior ragione adesso, che, sgombrato il campo dai rischi di condizionalità stringenti, non vi sono più ostacoli per affrontare il tema con pragmatismo, nell'interesse nazionale. Un errore, è stato già ricordato, anche finanziario, dato che la linea del MES implica oneri finanziari estremamente meno costosi rispetto a qualsiasi altra fonte di finanziamento.

Dedico un ultimo passaggio al Recovery Fund, il cui riconoscimento rappresenta, a mio avviso, una conquista enorme per l'Unione. Il confronto serrato sulla sua entità, sulle modalità di finanziamento, sulle ripartizioni tra grants (risorse a fondo perduto) e loans (prestiti da restituire), sul timing, sulla sua inevitabilità, non è altro che ordinaria amministrazione.

Ciò che è straordinario è che stia cominciando a venir meno il tabù della mutualizzazione dei debiti, che in principio non sdogana il senso di irresponsabilità, ma invita a riflettere di nuovo, dopo tanto tempo, sulla prospettiva di un'unione fiscale. Per concludere, signor Presidente del Consiglio e annunciando il voto favorevole di Italia Viva, è fondamentale che il nostro Governo continui con determinazione sulla strada del rilancio del progetto europeo. Per farlo, signor Presidente, serve un'Italia credibile, propositiva, costruttiva, consapevole che l'interesse nazionale può essere realmente difeso in Europa e non contro di essa. Buon lavoro, signor Presidente del Consiglio (Applausi dei deputati del gruppo Italia Viva).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare la deputata Meloni. Ne ha facoltà.

GIORGIA MELONI (FDI). Presidente Conte, cercherò in questi pochi minuti di offrirle il punto di vista di Fratelli d'Italia su come, a nostro avviso, andrebbe portata avanti la trattativa al Consiglio europeo e mi auguro sinceramente che lei voglia ascoltare senza pregiudizi, perché, vede, quello che lei si trova a maneggiare per un capriccio della storia è il destino dell'Italia e per quota parte il destino dell'Europa, e questo richiede una grande responsabilità. Se prova a guardarsi indietro, scoprirà che molto spesso abbiamo provato, in questa fase, a darle buoni consigli: sostenevamo che l'Europa dovesse stanziare per l'emergenza COVID almeno 1000 miliardi di euro, quando molti in quest'Aula la ringraziavano per aver concesso miseri 200 milioni; invocavamo un intervento della Banca centrale europea perché la Banca centrale europea comprasse illimitatamente titoli di Stato come stavano facendo le banche centrali di tutto il mondo, quando molti in quest'Aula si sbracciavano per difendere Christine Lagarde, derubricando a gaffe quella uscita tragica con la quale aveva fatto tracollare la Borsa italiana. Avevamo ragione. Abbiamo avuto ragione diverse volte, perché abbiamo il pregio di raccontare le cose per quello che sono, non per quello che vorremmo fossero.

E allora vede, devo dirle che io non sono d'accordo con la sua lettura di questa mattina. Io penso che, se noi volessimo dire la verità a noi stessi e agli italiani, allora dovremmo riconoscere che gli aiuti europei sono in alto mare, perché questo dicono i fatti: che i fondi della BEI non sono partiti, che il programma SURE non è partito, che il Recovery Fund è stato fortemente ridimensionato nelle cifre, che le risorse non cominceranno ad arrivare prima del 2021 inoltrato, e soprattutto che noi, per spendere quelle risorse, alla fine dovremo ancora una volta chiedere il permesso alla Germania perché, nella proposta che le verrà sottoposta venerdì, si dice che i Governi europei dovranno dare il via libera alle riforme italiane a maggioranza qualificata; e poiché i Paesi frugali sono troppo piccoli per avere una maggioranza, qualcuno in quest'Aula riesce a immaginare quale sarà il grande Paese con il quale alla fine si alleeranno? E allora, voglio dire, chapeau, frau Merkel! La Germania ha nelle ultime settimane svestito i panni del poliziotto cattivo, ha fatto fare il lavoro sporco ai Paesi frugali e adesso si riprende in mano il boccino del controllo del nostro destino, come fa dal 2011 ad oggi (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia). E io non posso dire niente a frau Merkel: complimenti a frau Merkel (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia)!

La domanda è: voi l'avete capito? Cioè, è chiaro questo fatto, questo elemento? E soprattutto, voi intendete approvare questa follia, che è la madre di tutte le condizionalità, oppure no, e abbiamo una volta tanto un sussulto di dignità? Perché altrimenti, Presidente Conte, mi dispiace ma rischiamo che il Recovery Fund non sia molto di diverso dal MES. E sul MES io non ho cambiato idea, probabilmente lo farà lei, vedremo se oggi lo farà il MoVimento 5 Stelle. Il collega Magi ha presentato una risoluzione molto chiara - ha il pregio della chiarezza - che chiede chiaramente che l'Italia acceda al Fondo salva Stati. Fratelli d'Italia annuncia il proprio voto contrario alla risoluzione del collega Magi (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia), vedremo cosa farà la maggioranza, vedremo cosa farà il MoVimento 5 Stelle. Anche qui, scusate, il collega Colaninno diceva “senza pregiudizi” e “senza pregiudizi” vi chiedo: vi siete chiesti perché i Paesi frugali considerano l'accesso italiano al MES una conditio sine qua non per qualunque altra trattativa? Cioè, se questo MES è così vantaggioso per noi, di grazia, perché è diventato un ricatto? È diventato un ricatto, banalmente, perché il Fondo salva Stati è un atto di sottomissione (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia), perché le condizionalità ci sono eccome, perché le lettere di Gentiloni non modificano i trattati e non modificano i regolamenti! E noi dovremmo consegnare le chiavi di casa nostra per risparmiare massimo, forse, 500 milioni di euro l'anno di interessi sul debito su una spesa complessiva di 900 miliardi di euro l'anno? Ma state scherzando? Volete risparmiare 500 milioni? E togliete il bonus monopattino! Togliete il bonus di 500 euro ai diciottenni! Avete già risparmiato 500 milioni, il gioco non vale la candela, scusate (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia)!

Il punto è questo, Presidente Conte: la questione del MES non è una questione economica, non c'è nessuna ragione economica per accedere al MES, la ragione è politica. Il MES serve ai nostri interlocutori perché attiva un processo di controllo dei nostri conti pubblici e avvalora questa bizzarra tesi in forza della quale l'Italia avrebbe bisogno degli aiuti degli altri Stati europei. Il MES è uno degli elementi con cui si decide l'assetto futuro degli equilibri europei. E allora vede, io penso che la questione sia proprio questa: il gioco dei nostri interlocutori è dipingerci come degli irresponsabili fannulloni, governati da degli incapaci. E questo, vede, non è vero, almeno per gli irresponsabili fannulloni; per il Governo di incapaci, diciamo, delle volte diventa un po' difficile difendersi (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

E mi consenta, anche per questa vicenda degli Stati generali, se posso permettermi, Presidente Conte, ma come le è venuto in mente? Cioè, lei ha convocato i vertici delle istituzioni europee e delle istituzioni finanziarie per dire chiaramente a tutti che non aveva uno straccio di idea su come far ripartire l'Italia, ovvero non aveva uno straccio di idea su come spendere le risorse che sta chiedendo a questi mondi: però non vi preoccupate che adesso chiediamo qualche buona idea a Fuksas e a Elisa! Ma dico, ma si rende conto del danno? Si rende conto del danno (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia)? E in effetti buone idee non è che ce ne fossero, se aveste avuto buone idee probabilmente non sarebbero stati dilapidati 80 miliardi di euro in marchette, bonus, consulenze e assunzioni facili. Perché guardi, anche questo modo irresponsabile di spendere i soldi non aiuta nella trattativa europea: qui veramente spezzo una lancia io in favore dei Paesi del nord, perché guardi che non c'è neanche bisogno di essere tedesco per pensare che se, mentre il 40 per cento delle tue aziende chiude, tu stai comprando i monopattini, non ti meriti niente (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia)! Non è che serve essere tedeschi, ci arrivo anche io che sono italianissima.

Però - e questo è il punto - nonostante tutto questo io penso che noi dobbiamo capire una cosa fondamentale: la realtà dell'Italia, la realtà dell'Europa è distante anni luce da quella vignetta olandese che ritrae gli italiani a prendere il sole mentre nei Paesi del nord lavorano. La realtà dell'Italia e dell'Europa è l'esatto contrario. La realtà dell'Italia e dell'Europa è che noi, ogni anno, produciamo una ricchezza che viene aggredita, depredata, aggirata e rubata dall'Unione europea (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia)!

Questi sono i fatti e se noi non capiamo questo, non possiamo vincere nessuna trattativa. I paradisi fiscali, come l'Olanda e il Lussemburgo, drenano miliardi di tasse ogni anno su una ricchezza che viene prodotta qui! Il dumping salariale dei Paesi dell'est, che produce concorrenza sleale e delocalizzazione a danno dei nostri lavoratori! E poi gli accordi commerciali, che sistematicamente penalizzano l'Italia per colpire produzioni di eccellenza che gli altri, altrimenti, non sarebbero in grado di eguagliare (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia)! La vigilanza bancaria, così attenta sulle banche italiane esposte ai crediti deteriorati, ma - guarda un po' - molto distratta sulle banche tedesche cariche di titoli tossici e di derivati! Le iniziative predatorie della Francia contro le nostre aziende, i nostri marchi e le nostre infrastrutture strategiche, quello che per generazioni gli italiani hanno costruito con genio e sacrificio!

E su tutto una moneta unica che favorisce la Germania e penalizza l'Italia e non lo dico io, lo dicono gli studi tedeschi, lo ripeto, lo dicono gli studi dei tedeschi (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia)! Allora, vede, Presidente Conte, noi non abbiamo nulla di cui scusarci e non abbiamo nulla di cui dire: “grazie”; noi dobbiamo uscire dall'angolo di questo racconto, dobbiamo uscire dall'angolo e dobbiamo essere consapevoli del fatto che i nostri interlocutori puntano a metterci sulla difensiva, ma tutti sanno che quando l'Italia dovesse alzare la testa la ricreazione sarebbe finita (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia), perché senza Italia non c'è Europa, non c'è euro e non ci sono i privilegi che queste nazioni hanno costruito sulla nostra pelle (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia). Esca dall'angolo, giochi in attacco, chieda conto dei temi che ho posto e dei tanti altri che si potrebbero porre, chieda un riassetto complessivo, provi a immaginare l'Europa non come il luogo nel quale cinicamente farsi dare quella investitura che gli italiani non le hanno dato mai, ma come il luogo nel quale lei può finalmente essere all'altezza del grande popolo che rappresenta. Questo ci piacerebbe che facesse al Consiglio europeo. Però, Presidente Conte, forse non è lei che lo può fare, perché, vede, le grandi imprese sono figlie di grandi visioni, non di maggioranze raccogliticce tenute insieme da sentimenti mediocri come l'attaccamento all'auto blu; i grandi statisti si forgiano nel consenso popolare, non nei giochi di palazzo con i quali chi l'ha messa lì già punta a sostituirla, però, io confido nel fatto che cambierà presto anche questo e che arriverà presto il giorno in cui gli italiani potranno finalmente eleggere un Governo degno di questo nome e se saremo noi quel Governo, ebbene, allora costruiremo un'Italia forte in un'Europa giusta, contro quei nani politici, così presi a contare gli spiccioli, da non rendersi conto che stanno devastando il sogno europeo (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato De Luca. Ne ha facoltà.

PIERO DE LUCA (PD). Signor Presidente, al prossimo Consiglio europeo continuerà il negoziato avviato sul futuro bilancio dell'Unione; la discussione giunge in un momento particolare, dall'emergenza sanitaria e da quella economica e sociale conseguente è emerso un messaggio in modo chiaro: nessuno può farcela da solo e rafforzare l'Europa, limitando gli egoismi nazionali, non vuol dire indebolire i Governi e gli Stati membri, ma vuol dire rafforzare, al contrario, le tutele e i diritti di 500 milioni di cittadini di quegli stessi Stati. L'Unione ha reagito finora alla crisi - come ha ricordato lei, Presidente - con misure di portata storica e ciò, guardate, non è accaduto per caso, lo vorrei ricordare a tutti i colleghi in quest'Aula, tutto questo non sarebbe stato possibile senza la presenza a Bruxelles del Commissario agli affari economici, Paolo Gentiloni, che ringraziamo per il lavoro straordinario che sta svolgendo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico – Commenti dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier), e senza la determinazione del Presidente del Parlamento europeo, David Sassoli, che sta dando prova di grande fermezza e capacità diplomatica, e non sarebbe stato possibile se il Paese non fosse stato guidato da un Governo e una maggioranza che hanno ridato centralità all'Italia nei processi europei. Oggi, i Ministri italiani, e penso al Ministro Amendola, che saluto, non dicono più di voler sbattere i pugni sui tavoli di Bruxelles, urlando a distanza nei talk show, oggi, l'Italia, a quei tavoli negoziali si presenta e fa valere le proprie posizioni, ottenendo risultati inimmaginabili fino a qualche mese fa, con competenza e con l'autorevolezza persa nei mesi scorsi. Nel giro di venti giorni sono state messe in campo, in Europa, misure più innovative di quante non ne siano state adottate negli ultimi 20 anni. Come ricordava lei, signor Presidente del Consiglio, l'acquisto straordinario di titoli pubblici da parte della BCE, la sospensione del Patto di stabilità, la modifica delle norme sugli aiuti di Stato, sono solo alcune delle straordinarie misure liberatorie adottate nella prima fase dell'emergenza. Se qualcuno scommetteva, in quella fase, sull'esplosione e la sconfitta dell'Unione dobbiamo dire che si è sbagliato di grosso; questa fase ha segnato la definitiva sconfitta, invece, della cultura sovranista e isolazionista continentale, questa è la verità.

Accanto alle misure appena citate, l'Unione ha adottato, finora, anche altri tre strumenti ancor più innovativi: il primo è il piano SURE da 100 miliardi di euro; per la prima volta l'Europa ha adottato una misura comune a sostegno dei lavoratori, che rivendichiamo con orgoglio. Se nei prossimi mesi possiamo finanziare in Italia gli ammortizzatori sociali con risorse europee è grazie all'impegno dei democratici che hanno portato a casa una battaglia sostenuta da tempo a Bruxelles, in particolare dall'ex Ministro Padoan. Accanto a questo, la BEI ha adottato un nuovo programma di liquidità da 200 miliardi di euro per le piccole e medie imprese e, infine, è stata attivata una nuova linea di credito sanitaria da 240 miliardi di euro nell'ambito del Meccanismo europeo di stabilità. Guardate, questa linea mette a disposizione dell'Italia 36 miliardi di prestiti a tasso agevolato, lo ricordiamo, senza condizionalità, senza troika, senza obblighi di aggiustamento macroeconomico, senza sorveglianza rafforzata, come ha chiarito il board del MES con una decisione ufficiale il 15 maggio scorso. Studiate e leggete gli atti ufficiali, prima di parlare! Ci sarà un unico vincolo per l'utilizzo di queste risorse, quello di spenderle per spese e investimenti diretti e indiretti nel comparto sanitario. Certo, non è questo l'oggetto del prossimo vertice e non bisogna decidere ora sull'utilizzo o meno di queste misure, proprio per questo, però, chiediamo ancora una volta a tutte le forze politiche di sgombrare il campo da dibattiti dogmatici o ideologici e di riservarsi di decidere in modo pragmatico, dopo aver raggiunto l'intesa per il bilancio, sulla necessità reale per il nostro Paese di attivare i differenti strumenti previsti e, quanto a questa linea sanitaria, l'auspicio è di poter raccogliere la sfida ambiziosa lanciata dal Partito Democratico e dal suo segretario Nicola Zingaretti: non perdiamo l'occasione di creare il sistema sanitario più forte, efficiente e competitivo d'Europa, lo dobbiamo a tutto il personale medico italiano e lo dobbiamo alle nostre famiglie. Manca, alla conclusione del pacchetto, quello che lei ricordava, un'ultima misura, l'ultimo strumento proposto dalla Commissione, il programma Next Generation EU, un programma da 750 miliardi di euro. Guardate, già il solo fatto di discutere nel prossimo Consiglio di questo programma rappresenta di per sé un successo dell'impegno del Governo italiano a trazione democratica. Il negoziato, certo, sarà complesso, per questo crediamo che alcune cose vadano precisate. Anzitutto, va precisato ai nostri partner europei più riluttanti che le posizioni in campo non vedono contrapposti Paesi cosiddetti “frugali” contro Stati dissipatori, basta con questa retorica, in gioco ci sono, da un lato, una proposta che è quella della Commissione, fondata su principi di solidarietà e responsabilità collettiva, dall'altro, la posizione di alcuni Stati improntata a logiche di egoismo individuale. Senza alimentare conflitti, non possiamo non manifestare però rammarico per questa posizione, in primo luogo, perché arriva da Stati che hanno beneficiato delle risorse europee per il rilancio delle proprie economie e, poi, perché arriva da qualche altro Stato che, come ricordato anche da tutte le istituzioni europee, dal mercato comune trae vantaggi enormi anche attraverso politiche di dumping fiscale ormai insopportabili, da eliminare e da cancellare completamente nel prossimo futuro. Allora, da quest'Aula, riteniamo doveroso fare arrivare un messaggio forte ai nostri partner: l'Europa è una comunità di valori, di diritti, di libertà, di progetti condivisi e in questo ambito l'Italia non chiede assistenza, ma convergenza ed equità per cogliere l'opportunità di una transizione verso un modello di sviluppo sostenibile più giusto. La posta in gioco non è solo il mercato comune, ma è la tenuta stessa dell'integrazione politica europea. Per questo invitiamo il Governo a difendere con forza gli aspetti più rilevanti del programma Next Generation EU che sono poi quelli alla base della proposta della Commissione. Innanzitutto, va difeso il principio sacrosanto che la verifica sull'implementazione dei programmi nazionali deve avere un carattere tecnico e non politico, deve essere la Commissione e non il Consiglio a verificare la bontà e l'implementazione dei piani nazionali di rilancio del Paese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico). Non possiamo sottoporla a una valutazione politica e ci auguriamo che questi piani, ovviamente, siano predisposti e condivisi dal Parlamento il prima possibile, per poter essere i primi a utilizzare queste opportunità. È poi necessario sostenere l'ammontare complessivo della proposta che potrebbe portare all'Italia circa 172 miliardi di euro; la struttura composta non solo da prestiti, ma anche da grants, da sovvenzioni a fondo perduto; la distribuzione delle risorse farebbe dell'Italia il primo Paese beneficiario, lo ricordiamo, di questa misura e, infine, ricordo la modalità di finanziamento del fondo e, qui, c'è una novità significativa, per la prima volta viene istituito uno strumento che non grava più sui bilanci degli Stati, ma si lega per la prima volta nella storia ad una vera e propria fiscalità comune europea ed è un grande successo del lavoro che abbiamo fatto in Europa. Mentre qualcuno si è occupato, in questi anni, di propagande, a Bruxelles, e non si è neppure presentato per difendere il Paese, noi, oggi, stiamo portando avanti, in Europa, l'Europa a un passo dagli eurobond, una possibilità di condivisione dei progetti di investimento e sviluppo comuni. Chiediamo, allora, a tutti, di sostenere il nostro Paese. Guardate, “prima gli italiani” non può essere uno slogan che vale solo all'interno dei confini nazionali e si abbandona appena si valicano le Alpi; chi oggi continua a denunciare risultati insoddisfacenti prenda anzitutto le distanze da alcune affermazioni inaccettabili ascoltate nelle ultime ore dai vostri amici sovranisti ungheresi o olandesi che hanno offeso il nostro Paese e i nostri cittadini, prendete le distanze da quello anzitutto (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

Chi continua oggi ad attaccare il Governo e le istituzioni europee provi a spiegare, oggi, al Paese, perché il 17 aprile e il 15 maggio in Parlamento europeo non ha votato a favore dell'istituzione del Recovery Fund e si è opposto alla creazione di Eurobond! Questo dovrebbe spiegare: perché, ancora una volta, a Bruxelles i nostri sovranisti lavorano contro gli interessi degli italiani?

Certo, il negoziato sull'intero bilancio sarà anche quello estremamente complesso. Ci sono, però, alcune priorità, che invitiamo a sostenere con forza. Penso, in primo luogo, al tema decisivo della parità di genere, nella distribuzione delle risorse future del bilancio del piano di rinascita. Penso all'impegno sulla scuola, la ricerca, la formazione, l'università e alla tutela, come lei ricordava, dei fondi per la coesione e l'agricoltura, destinati al nostro Paese.

Poi ci sono delle riforme necessarie, su cui pure invitiamo a lavorare con forza. In primo luogo - lo ribadiamo - è tempo di sostituire l'unanimità nelle decisioni in materia fiscale con un sistema di voto a maggioranza qualificata. È decisiva questa riforma per il futuro dell'Europa!

In secondo luogo, dobbiamo portare avanti una battaglia per creare nuove risorse proprie. L'Europa ha bisogno innanzitutto di una corporate tax, di una digital e web tax, qualora non create a livello internazionale. Infatti, è necessario dire basta, non solo alla pratica del dumping fiscale, ma anche al cosiddetto fiscal shopping delle grandi multinazionali del web, a discapito di interi territori del nostro Paese e del nostro continente.

Infine, dovremmo spingere noi per alcune condizionalità, ormai necessarie. Dovremmo dire una parola chiara: no alla distribuzione di risorse europee a imprese legate a paradisi fiscali extra Unione europea! L'ha ricordato anche la Commissione, ieri, in una raccomandazione. “No”, soprattutto - lo ricordiamo ai nostri partner - alla distribuzione di risorse a chi viola lo Stato di diritto in Europa. Questa è la condizionalità più importante, su cui lavorare a Bruxelles: “no” a violazioni dello Stato di diritto, per ottenere risorse del bilancio europeo.

Si apre, dunque, una fase delicata e complessa, signor Presidente del Consiglio, che affrontiamo, però, con rinnovata fiducia. Questo è il momento di cogliere l'occasione di una crisi devastante e inaspettata, per rilanciare con ancora più forza il progetto europeo e aprire una grande fase costituente. Bisogna fare presto e bisogna fare bene. Questo è il nostro obiettivo, nella consapevolezza che l'Unione - lo ripetiamo - non è la causa dei problemi delle nostre società, ma è l'unica possibile soluzione agli stessi.

Allora, il prossimo Consiglio tratterà non solo temi economici, ma toccherà la mission, nel senso profondo, dell'Europa di Ventotene, dell'Europa di Schuman, dell'Europa dei padri fondatori, dell'unione di popoli e Stati basata su valori, diritti e libertà fondamentali. L'Europa è stata la risposta all'orrore della Seconda guerra mondiale. La nuova Europa, che stiamo costruendo e dovremmo costruire insieme, diventi la risposta al disastro della pandemia, per un salto di qualità del progetto di integrazione comunitario, a difesa e a tutela dei nostri cittadini! Evitiamo che nuovi pericolosi egoismi riaffiorino nel panorama continentale! Difendere l'Europa - e voi avete un ruolo decisivo nel prossimo Vertice e nei prossimi negoziati europei - vuol dire difendere il nostro futuro. Non perdiamo l'appuntamento con la storia (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto la deputata Rossello. Ne ha facoltà.

CRISTINA ROSSELLO (FI). Grazie, Presidente. Signor Presidente della Camera, onorevoli colleghi, signor Presidente del Consiglio, presentando l'iniziativa del prossimo Consiglio europeo, pochi giorni fa, il Presidente del Consiglio europeo Charles Michel ha incaricato di condurre una fase negoziale sulla proposta del 27 maggio, delineando tre obiettivi fondamentali; riparare i danni causati dal COVID-19, riformare le nostre economie, rimodellare le nostre società.

Da forza convintamente europeista, auspichiamo che il Vertice del 17 e 18 luglio possa essere risolutivo, ma temiamo che non sarà così. Sappiamo che le visioni dei 27 Paesi membri non sono collimanti. Conosciamo i timori legittimi di alcuni e anche i pregiudizi immotivati di altri. Siamo persuasi che la strada, che è tracciata, sia quella giusta, ma siamo anche convinti che non si debbano ridurre quelle ambizioni, cui lei stesso ha fatto riferimento nella sua relazione.

Si tratta dell'ultimo pezzo di un cammino avviatosi faticosamente e tardivamente, anche su nostra sollecitazione. Ricordo le sollecitazioni del presidente Silvio Berlusconi e quelle del nostro vicepresidente del PPE e di Forza Italia, Antonio Tajani. Tessera dopo tessera, il mosaico dell'intervento europeo per fronteggiare l'emergenza è andato così definendosi. Certo, avremmo voluto interventi più celeri e più risoluti dall'Europa.

C'è da chiedersi però, con quale coraggio questo Governo italiano possa contestare la mancanza di velocità all'Unione, perché è stata lenta, inefficace e farraginosa la sua reazione alla crisi, economica prima, e pandemica nella seconda fase di intervento. Sarebbe facile infierire. La mancanza di senso del tempo, per i decisori, è sempre una responsabilità grave.

Si è sentito qualche intervento che accennava ad un'azione spedita del Governo. Noi riteniamo che questi tre decreti, “COVID-19”, “Cura Italia”, “Liquidità” e “Rilancio”, siano stati assolutamente marcati da misure complesse, lentezza della procedura e burocrazia eccessiva. Questi sono gli stessi bagagli che ci portiamo ora per trattare in Europa.

Tornando all'Europa, ci aspettano e si aspettano da noi idee chiare e proposte concrete. Del resto, la Banca centrale ha fatto il proprio dovere, pur nei limiti costitutivi, ampliando fino a dimensioni mai viste il programma di acquisto di titoli del debito sovrano degli Stati membri. Ha attivato la clausola di salvaguardia del Patto di stabilità, consentendoci di derogare anche alle regole del fiscal compact, come ai vincoli previsti per gli aiuti di Stato. Sono stati anche messi in campo degli strumenti nuovi, come i 100 miliardi per il fondo SURE, cui ella ha fatto riferimento, per finanziare gli ammortizzatori sociali, e sono state potenziate le risorse della Banca europea degli investimenti, per sostenere piccole e medie imprese. Sono state eliminate anche le condizionalità del Fondo “salva Stati”. Ma manca un ultimo tassello. Si tratta del più importante e più qualificante: il Next Generation EU è di valenza strategica, non solo per le risorse impiegate, ma anche per la qualità e la specificità di questo intervento. Se approvato nei termini proposti dalla Commissione, la traduzione concreta dello spirito europeo dei padri fondatori sarà ottemperata, per due aspetti: perché l'Unione deciderà finalmente di emettere debito e perché parte di queste risorse saranno reimpiegate a fondo perduto in favore dei Paesi più colpiti dalla pandemia, e questo troviamo che sia un grande successo.

Il nostro Paese ha necessità. Un appuntamento così importante, Presidente Conte, avrebbe previsto che lei ci andasse con una condizione ben diversa, da quella in cui ci troviamo attualmente. Noi è giusto che ci battiamo per avere risorse, ma il Governo non sa ancora quante ne servirebbero e anche, realmente, che cosa dovrebbe fare. Tutti stanno parlando di settori colpiti, di governance, di obiettivi (economia reale, digitalizzazione, sviluppo sostenibile, nuove proposte strategiche e industriali, parità di genere, anche inclusione e politiche fiscali più eque, difese unitarie), ma a un appuntamento così importante lei si presenta non solo senza avere alle spalle il consenso del Parlamento, ma anche con un appoggio poco convinto da parte della sua stessa maggioranza. Lei, quindi, arriva al Consiglio europeo, anche dopo aver, obtorto collo, eluso per almeno tre volte il voto in quest'Aula, e senza aver potuto esprimere, per i contrasti interni alla sua maggioranza, una posizione chiara e netta sulle risorse del MES, le uniche già utilizzabili, invero, dal programma di interventi messi a punto dalla Commissione. Dal MES il Governo ha idea se chiedere tutti i 36 miliardi o meno? Abbiamo un'idea di quanto spendere per riaggiustare il sistema sanitario? Sarà la prima domanda che ci farà il negoziatore.

Poi, lei non è ancora in grado, adesso, di poter affermare il suo Piano nazionale di riforme, quel piano che già non era riuscito a presentare in occasione del DEF e che ora, obtorto collo, è condizione ineluttabile per accedere ai fondi europei. È una prerogativa governativa - siamo d'accordo – però, non avere la forza del Parlamento e di una condivisione massima e ampia delle forze politiche non presagisce bene per il futuro del Paese. E neanche sui contenuti, perché sono troppo vaghi, troppo indeterminati, troppo velleitari…

PRESIDENTE. Colleghi, per favore! Colleghi, colleghi… un po' di silenzio. Prego.

CRISTINA ROSSELLO (FI). Grazie, Presidente. Si potrebbe dire molto di più, però, Forza Italia ama troppo questo Paese, per assumere una posizione che metterebbe in difficoltà la nazione stessa. Lei ha giocato, però, una partita in solitudine, Presidente. Ha ignorato anche i chiari riferimenti del Presidente Mattarella, che cercava di far coinvolgere maggiormente le opposizioni.

Sfidare le opposizioni, non cercare la collaborazione e dividere le opposizioni non è un segnale importante in questo momento, nel quale avremmo dovuto essere coesi e tutti insieme. Del resto, c'eravamo noi. Abbiamo fatto mille proposte e le abbiamo presentate. La crisi si è innestata su performance economiche già gravi. Il COVID-19 è arrivato su situazioni modeste nei 18 mesi di Governi a sua guida e nel frattempo si è divisa la sua maggioranza e non è un caso quello che si prevede sulla perdita nell'Eurozona, 8,7 per cento, e con un'Italia che lascerà per strada, nel 2020, almeno 11 punti di PIL, la performance peggiore rispetto ai 27 Paesi.

Ecco, noi ci chiediamo, anche dopo il suo intervento, l'idea del fabbisogno italiano nei prossimi 12 mesi. Ci aspettavamo una posizione a questo riguardo, un'idea di quanto costerebbero le riforme, che sarà poi una domanda che farà il negoziatore in esordio dei lavori e, in sostanza, quanti soldi ci servono e per fare che cosa, il tema, appunto, di rivedere il Paese e ricostruire un Paese insieme. Sono deficit di autorevolezza del Governo che non sono comprensibili con quel surplus che viene richiesto di autorità in questo momento con il rinnovo dello stato di emergenza a condizioni già sperimentate in questi mesi, che hanno prodotto, intanto, una mortificazione del Parlamento ma anche un sacrificio delle libertà individuali a fronte di che cosa, senza un'accelerazione di processo decisionale.

Tra l'altro, noi non siamo soddisfatti del fatto che il Governo non abbia avuto una logica predittiva riguardo alla problematica della pandemia. Eppure, centri di ricerca di eccellenza italiani sono stati anche centri di consulenza degli altri Governi. Come mai non sono stati valutati accortamente questi dati previsionali statistici e attendibili che sono fondamentali per i decisori e sono stati ignorati, privilegiando approssimazione e anche improvvisazione e soprattutto lasciando il tempo a troppa lentezza procedurale?

C'è anche stata una mancanza di strategia geopolitica. Ecco, su questo noi vorremmo sottolineare l'importanza di una sensibilità alla protezione degli “effetti migranti” e delle coste libiche e le chiediamo anche di farsi portavoce, in sede di Consiglio europeo, di queste tematiche importanti.

Per concludere, noi facciamo parte di un partito e di un'alleanza che si candida, dopo averne conquistate già undici, a guidare altre sei regioni, Presidente. Ciò non ci impedisce di stare dalla parte del Paese che amiamo e di auspicare che dal Consiglio europeo l'Italia possa ottenere il risultato migliore. Buon lavoro, Presidente Conte (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente)!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Bianchi. Ne ha facoltà.

MATTEO LUIGI BIANCHI (LEGA). Grazie, Presidente Fico. Onorevoli colleghi, Ministri, sottosegretari, Presidente Conte, finalmente il Parlamento sembrerebbe prossimo a votare risoluzioni di indirizzo per il Governo sulla posizione da tenere al prossimo Consiglio europeo. Me ne compiaccio, perché ultimamente siamo stati abituati a vedere completamente esautorato il ruolo di quest'Aula di eletti, nel senso di persone candidate e votate dal popolo. Mi spiace ricordarglielo in premessa, Presidente, ma questa è la principale differenza tra noi e lei. Non basta mai sottolineare come il voto e la centralità del Parlamento siano l'essenza di un sistema democratico (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier).

Detto questo, ci è noto del suo recente incontro con la Cancelliera Angela Merkel. Ha sicuramente fatto bene a incontrare il leader del Paese che ha la responsabilità della Presidenza di questo semestre europeo, ma saremmo ben curiosi di sapere cosa vi ha detto a microfoni spenti la Cancelliera e quali argomenti di autorevolezza lei, Presidente, ha portato per rappresentare il nostro Paese agli occhi dei partner europei, perché ora ci chiediamo tutti che cosa farà l'Europa per sostenere i Paesi colpiti dalla crisi ma è doveroso chiedersi prima cosa abbiamo fatto noi in casa nostra tramite il Governo che lei rappresenta (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier). Questa è la vera prospettiva negoziale di cui lei ha parlato questa mattina.

Nel maggio scorso la Commissione europea, che osannate a ogni piè sospinto, raccomandava all'Italia alcune riforme strutturali per meglio affrontare il momento problematico derivante dalla crisi e le elenco: migliorare il coordinamento tra autorità nazionali e regionali. Voi che cosa avete fatto? Avete alimentato, invece, un feroce dibattito sul nuovo centralismo per eliminare le peculiarità regionali. E ancora: fornire liquidità all'economia reale. La vostra potenza di fuoco si è incagliata con le regole del sistema bancario che non ha fornito quattrini realmente necessari alle piccole e medie imprese nel nostro Paese. E ancora: evitare pagamenti in ritardo. La pubblica amministrazione italiana, salvo alcuni piccoli comuni, è forse il peggior pagatore sul mercato per i fornitori (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier). E, poi, promuovere gli investimenti. Per sbloccare i cantieri facciamo, invece, tomi di carta che, anziché snellire, mortificano ancora di più la voglia di fare, per non parlare della pressione fiscale su cui non esiste il benché minimo coraggio verso una riforma equa e che tolga zavorre alle imprese. E, da ultimo, velocizzare la giustizia. In questo Paese non si può nemmeno dibattere sul tema, sul tema di una riforma seria della giustizia, e questo è incredibilmente preoccupante.

E allora, Presidente Conte, lei è andato dalla Cancelliera Merkel presentando delle idee per una riforma strutturale del nostro Paese o ha illustrato la potenza di fuoco incentrata sull'incentivazione all'uso dei monopattini? Perché fino adesso, Presidente, non avete fatto nulla, se non azioni ideologiche e assistenzialistiche.

Presidente Conte, quando ci rappresenterà al Consiglio europeo e i nostri partner europei ci chiederanno che visione il nostro Governo ha per il futuro del nostro Paese lei non potrà non avere delle risposte serie e coraggiose, perché altrimenti le riforme ce lo imporranno da Bruxelles e la nostra sovranità, nel senso di mettere al centro il popolo sovrano, verrà meno come la nostra dignità e autorevolezza futura. Noi vogliamo stare in Europa, ma vogliamo stare in Europa a testa alta (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier).

Vede Presidente, nel passato abbiamo avuto esperienze traumatiche e dannose proprio per mancanza di attributi nel vedere nel medio periodo. Ci ricordiamo tutti come gli aiuti all'Italia sono stati nei fatti barattati con un'apertura incondizionata dei nostri porti e delle nostre frontiere, facendo diventare il nostro Paese il campo profughi d'Europa, e ci è voluto uno scatto d'orgoglio dei nostri cittadini, i quali hanno dato il mandato popolare a Matteo Salvini per correggere tali nefandezze portate avanti dai passati Governi di centrosinistra (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier). Ecco, noi, Presidente, ve lo diciamo fin da subito: non approcciatevi alla stessa maniera, perché troverete fin d'ora la Lega a fare le barricate e, oltre alla Lega, ci saranno i cittadini a mandarvi un segnale forte e chiaro attraverso le urne, perché non potrete prorogare sine die lo stato di emergenza ma, presto o tardi, con il voto dovrete confrontarvi e lì vedremo davvero quali saranno le esigenze e le priorità della gente che vive nel mondo reale fuori da questo palazzo.

Presidente, siamo molto preoccupati per le proposte avanzate dal Consiglio europeo, in prima battuta sul tema della cosiddetta condizionalità legata allo stato di diritto e ai valori europei. Sommessamente ricordo a lei, da quest'Aula, che i Paesi su cui l'Unione europea punta il dito, rei di non rispettare i principi fondanti europei, quali, per esempio, la Polonia e l'Ungheria, sono i Paesi che più hanno dimostrato di essere ligi ai principi democratici: il primo ha appena eletto un Presidente tramite libere elezioni e il secondo ha chiesto l'autorizzazione del Parlamento, per tempo tra l'altro limitato, per esercitare i poteri speciali per far fronte all'emergenza Coronavirus. Ecco, nel nostro Paese abbiamo, invece, un Governo che non rappresenta la maggioranza degli italiani e un Primo Ministro che ha avocato a sé in maniera autoritaria poteri senza avere l'autorizzazione preventiva delle Camere. Anche i meno attenti capiranno che c'è qualcosa che non va nella vostra narrazione, nella narrazione dei media compiacenti, e di questo siamo molto, molto preoccupati.

Dobbiamo ricordare anche che all'ordine del giorno sui tavoli europei non c'è solo il pacchetto di Recovery Plan. Si parlerà anche di eventuali tagli alla politica agricola comune, di nuove imposte per finanziare direttamente il bilancio dell'Unione europea, tutti argomenti di interesse per il nostro Paese su cui ci auguriamo prenda una posizione di chiara contrarietà.

Presidente, ci siamo offerti più di una volta per suggerire azioni adeguate perché abbiamo la presunzione di poter rappresentare una fetta importante del Paese, che guarda all'imprenditorialità, alle autonomie locali, ai valori della tradizione, tutte cose che - mi permetto di dire - il suo Governo non sembra avere a cuore. Ci offriamo di collaborare perché l'Italia si stima avrà un PIL in decremento dell'11 per cento nel corso del 2020 e saremo i peggiori d'Europa, ma lo vogliamo fare nelle Aule di questo Parlamento, non nelle ville dai tappeti rossi. Ci offriamo di collaborare perché la vediamo in affanno, Presidente, nel dare una collocazione chiara all'Italia nel contesto geopolitico, strizzando l'occhio sempre di più alla Cina comunista, facendo irritare il nostro principale alleato storico, oltre che importante partner commerciale, cioè gli Stati Uniti. Ci offriamo di collaborare per il bene del nostro Paese, perché vediamo le incongruenze nella maggioranza che la sostiene, dove si obbligano rappresentanti del Governo a fare dichiarazioni scomposte per far fronte a pretese ideologiche che nulla portano di buono. Però non vogliamo essere presi in giro, signor Presidente: ci sentiamo presi in giro per quello che è successo negli ultimi mesi, nonostante le nostre assunzioni di responsabilità, come l'autorizzazione per un nuovo scostamento di bilancio, approvato grazie anche alla Lega, nell'interesse dei nostri cittadini, nonostante l'allocazione di quel debito ci ha trovato completamente in disaccordo. Un esempio su tutti - mi preme citarlo - sono gli ennesimi miliardi che sono finiti nelle casse di Alitalia e che gridano vendetta nei confronti invece del mondo produttivo, che si alza la mattina e cerca di far fronte a tutte le esigenze, alle tasse e alla burocrazia che lo Stato, purtroppo, gli mette sulle spalle e con cui devono appunto combattere (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier).

Presidente, mancano progetti precisi, scelte coraggiose e all'altezza delle sfide che ci attendono. Servono deroghe, non regole, serve attitudine operativa, non terrorismo mediatico; serve fare, non rimandare. Quando dico che bisogna fare scelte coraggiose intendo che debbono essere portati avanti prima gli interessi dei nostri cittadini che quelli dei portatori dell'ortodossia europea, ma dobbiamo dimostrare all'Europa, chiedendo un allentamento delle regole di austerity, una certa serietà, parimenti portando avanti una riforma seria e coraggiosa del Paese, incentrata sul taglio delle tasse, sul taglio della burocrazia, sull'eliminazione del parassitismo statale, una riforma incentrata sul decentramento, una riforma seria della giustizia: questo è quello che va fatto e che, purtroppo, voi non state facendo. Abbiamo un tessuto produttivo profondamente agganciato alla Mitteleuropa: serve sottolineare la nostra vocazione, la nostra voglia di continuare a essere la seconda potenza manifatturiera d'Europa, incentrata sulla produzione e sulla crescita, che tra l'altro ci serve per pagare il debito pubblico, e non sulle mance e sull'assistenza.

Concludo, Presidente: ci auguriamo che lei, sui tavoli europei, si attivi per arrivare a veloci stanziamenti a fondo perduto, scongiurando davvero compromessi al ribasso. Ci preoccupano molto le cosiddette condizionalità, anche quelle di natura macroeconomica che sono in discussione, perché temiamo una sorveglianza economica e fiscale da parte dell'Unione europea nei confronti dell'Italia e lei questo lo deve assolutamente scongiurare. E poi, Presidente, ci consenta: fate chiarezza nella vostra esposizione, nei confronti dell'opinione pubblica, perché, arrampicandovi sugli specchi a causa delle pressioni e delle frizioni nella vostra maggioranza, ad oggi non abbiamo compreso realmente quale sia la vostra posizione sui temi specifici previsti nel Recovery Plan; è ovvio che questa posizione nebulosa, purtroppo, non aiuta l'autorevolezza del nostro Paese. Per questi motivi, abbiamo presentato una risoluzione chiara e coraggiosa e ci auguriamo che la stessa possa essere sostenuta anche dalle forze di maggioranza, che la sostengono in maniera responsabile e disinteressata, perché il Paese non può più essere in ostaggio della politica dei sussidi, dei rinvii, ma serve fare e serve fare presto (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Ricciardi. Ne ha facoltà.

RICCARDO RICCIARDI (M5S). Grazie, Presidente. Oramai termini come Recovery Fund sono entrati nel gergo comune e oramai si è diffusa la concezione che l'Europa debba rispondere in maniera unita e solidale alla tragedia umana e alla catastrofe economica provocata dal COVID.

Oggi per fortuna sembra difficile immaginare un esito diverso, oggi, ma poco più di cento giorni fa, non dieci anni fa, poco più di cento giorni fa, l'Italia era da sola, sola, e non lo diciamo noi: Ursula von der Leyen ammise, parlando a nome di tutta Europa, come il continente intero dovesse chiedere scusa all'Italia e dovesse chiedere scusa a questo Paese, un Paese che deve avere sempre l'orgoglio di ricordare agli altri e di ricordare anche a se stesso come affrontare il virus, perché questo l'Italia ha fatto, ha insegnato al mondo intero come si affronta il virus (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). La cronaca talvolta diventa storia, in pochi frangenti per lo più tragici purtroppo, e noi, in quei momenti, a volte ci accorgiamo, a volte no, quanto quello che stiamo vivendo un giorno sarà studiato da milioni di studenti. Noi l'abbiamo vissuto uno di quei momenti, in cui un popolo ha dato dimostrazione al mondo del proprio valore, nel salvare se stesso e nel contribuire a salvare un continente intero, ed eravamo soli (Commenti di deputati del gruppo Lega-Salvini Premier). Basta leggere uno di quei giornali di inizio primavera per rendercene conto, le dichiarazioni di molti dei principali governanti d'Europa per averne la prova, e non solo dei cosiddetti Paesi frugali. Anche sul termine “frugale” io mi vorrei soffermare - perché l'inganno delle parole è sempre subdolo: “frugale” in sé significa “parco”, “sobrio”, soprattutto nel mangiare e nel bere, ha in sé un'accezione positiva, o comunque non negativa. E allora perché si usa il termine frugale? Perché l'inganno delle parole vuole far usare quel termine contrapposto a dei Paesi che invece teoricamente vivono sopra le proprie possibilità. E allora noi dobbiamo ristabilire la verità anche sulle parole, perché io non definisco frugali dei Paesi di fronte all'Italia che ha insegnato anche a loro come affrontare il virus, non li definisco frugali di fronte a un Paese che piange 35 mila morti, non definisco frugali i loro piatti, quando si arricchiscono grazie al loro regime fiscale, dove ci sono degli evasori che portano nei loro tavoli risorse sottratte a tutti noi. Io non li definirei proprio frugali e non voglio neanche cadere nell'errore di confondere i governanti con i loro Paesi, perché talvolta è pericoloso attribuire ai popoli le scelte di convenienza politica che fanno i loro Paesi. Quella convenienza politica deriva da un altro virus che circola in Europa e purtroppo lo sentiamo anche qui, che si chiama nazionalismo: è grazie al nazionalismo che si fanno determinate scelte (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle) e nazionalismo non è patriottismo e ce lo ricorda una mirabile frase di Romain Gary, in Educazione europea, che dice: “Il patriottismo è amare la propria gente; il nazionalismo è odiare gli altri” (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

Tornando a poco più di cento giorni fa, leggiamo che il Presidente del Paese più martoriato in quei giorni dichiarava: “Io non passerò alla storia come colui che non si è reso responsabile per non aver fatto tutto quello che andava fatto da parte dei cittadini europei. Io mi batterò fino all'ultima goccia di sudore, fino all'ultimo grammo di energia per ottenere una risposta”. Presidente, lei quel proposito l'ha mantenuto e noi l'abbiamo visto battersi (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). E battersi non significa fare dei tweet dove ci si fa vedere sempre cosa si mangia e cosa si beve compulsivamente (Commenti di deputati del gruppo Lega-Salvini Premier), con critiche a tutto e a tutti, e dove non si è sentita mai una proposta, perché io ho sempre sentito dire: questo non va bene, questo non va bene (Commenti di deputati del gruppo Lega-Salvini Premier), ma una proposta non l'ho sentita, neanche stamani (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle - Commenti di deputati del gruppo Lega-Salvini Premier).

E battersi significa sedersi a quei tavoli, non scappare; significa fare lunghi ed estenuanti colloqui, fare trattative lunghissime (Commenti di deputati del gruppo Lega-Salvini Premier) e partire da soli ed arrivare ad essere capofila di nove Paesi, che scrivono ai Paesi di tutta l'Unione (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle), chiedendo che finalmente l'Europa cambiasse passo (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). E noi le ricordiamo le battute di scherno che si facevano in quei giorni: in quei giorni arrivavano le accuse di alto tradimento, il malcelato desiderio che l'Italia fallisse, perché il vostro patriottismo è questo: sperare che il Presidente Conte fallisca, trascinando con sé tutto il Paese (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle – Commenti dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier). Però, vi abbiamo deluso, vi abbiamo deluso, come stanotte vi abbiamo deluso su Autostrade, signori (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico – Commenti dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier). Grazie non solo al Presidente Conte, ma a una maggioranza…

PRESIDENTE. Prego.

RICCARDO RICCIARDI (M5S). …che si è di dimostrata compatta a tutti i livelli (Commenti dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier). E grazie a questa maggioranza e grazie a questo Governo…

PRESIDENTE. Colleghi… colleghi, facciamo terminare. Colleghi, siamo in conclusione. Colleghi! Prego, deputato Ricciardi.

RICCARDO RICCIARDI (M5S). Grazie a questa maggioranza e a questo Governo quei vostri tweet sono rimasti cronaca squallida di una nazione, quella lettera è diventata una pagina di storia (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle – Proteste dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier). E in quella storia - e, proprio ora, io lo dico a tutta la maggioranza - che bisogna essere più compatti che mai, perché abbiamo fatto una strada che sembrava inarrivabile, ci manca un ultimo miglio per arrivare ed esiste uno scoglio da superare - io non lo nego e noi non lo neghiamo -, esiste uno scoglio che si chiama MES (Commenti della deputata Locatelli). Ci viene detto…

PRESIDENTE. Deputata Locatelli!

RICCARDO RICCIARDI (M5S). Ci viene detto che il “no” del MoVimento al MES è ideologico: no, io credo sia ideologico accettare, a seconda delle convenienze, che quello che viene dall'Europa sia buono o cattivo a prescindere; io ho sentito prima l'intervento del collega Marattin e lo condivido su quella premessa. Noi pensiamo il contrario: pensiamo che il nostro approccio non ideologico sia proprio quello, sia aspettare le carte (Commenti dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier), leggere quello che c'è scritto nero su bianco e decidere con un unico criterio. Questa cosa conviene ai cittadini o no? E questo abbiamo sempre fatto e talvolta veniamo accusati di essere proni all'Europa, talvolta veniamo accusati di essere antieuropeisti, siamo abituati fin da sempre. Però chi ci dice che il MES è cambiato, e lo dice, magari, anche in buonafede, dice però un'inesattezza, perché esiste sicuramente una nuova linea di credito, ma il MES, l'ente erogante è sempre il solito e non esiste, ad oggi, nessun cambiamento valido giuridicamente - giuridicamente - per affermare che il MES sia cambiato, articolo 14 del Trattato (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

Quindi, io voglio accogliere l'invito che ci fanno le altre forze di maggioranza a ragionare sulla politica, basandosi, però, sulla tecnica, basandosi su quello che dicono i documenti, e il documento, ad oggi, dice questo (Commenti dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier). Quindi, affrontiamo questo argomento pensando al traguardo, e non pensando all'ostacolo, affrontando l'ostacolo in maniera seria, concreta e non ideologica, leggendo quello che c'è scritto nero su bianco (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

Noi, come maggioranza, abbiamo un'opportunità straordinaria e una responsabilità enorme: una pagina di storia che stiamo firmando, un piano da 170 miliardi che ora dobbiamo sostenere perché arriva a destinazione e, poi, abbiamo dei progetti da costruire. Fino a poco più di cento giorni fa, parlare di queste cifre era lontanamente ipotizzabile e noi dobbiamo ricostruirlo questo Paese. Se parliamo di sanità, cominciamo a parlare di salute a 360 gradi, perché, se questo mondo non lo cambiamo a livello di sviluppo economico, ambientale, energetico, non ci saranno cure che potranno salvarlo da se stesso e, quindi, è lì che dobbiamo agire, in un continente che ha storia, risorse e potenzialità per ritornare a contare qualcosa nello scacchiere mondiale, perché si parla sempre troppo poco di questo.

Presidente, pensiamo alla meta, appunto, non all'ostacolo: lei, insieme a tutti i Ministri, ha il nostro mandato per costruire quell'Europa solidale che tanti a parole hanno decantato, ma che lei sta davvero contribuendo a creare. Noi dovremo aiutare questo Paese, che ha insegnato al mondo intero come si affronta il virus, a proiettarsi in un futuro che non può più attendere (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. Sono così esaurite le dichiarazioni di voto.

(Votazioni)

PRESIDENTE. Passiamo ai voti.

Come da prassi, le risoluzioni saranno poste in votazione per le parti non assorbite e non precluse dalle votazioni precedenti.

Pongo in votazione la risoluzione Delrio, Davide Crippa, Boschi, Fornaro, Fusacchia e Rospi n. 6-00113, su cui il Governo ha espresso parere favorevole.

Dichiaro aperta la votazione.

(Segue la votazione).

(Commenti)… Colleghi…colleghi, stiamo aspettando l'ok dal Transatlantico.

Dichiaro chiusa la votazione.

La Camera approva (Vedi votazione n. 1).

Pongo in votazione la risoluzione Magi n. 6-00114, su cui il Governo ha espresso parere contrario.

Dichiaro aperta la votazione.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.

La Camera respinge (Vedi votazione n. 2).

Pongo in votazione la risoluzione Molinari, Gelmini, Lollobrigida e Lupi n. 6-00115, su cui il Governo ha espresso parere contrario.

Dichiaro aperta la votazione.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.

La Camera respinge (Vedi votazione n. 3).

Sono così esaurite le comunicazioni del Presidente del Consiglio dei ministri in vista del Consiglio europeo straordinario del 17 e 18 luglio 2020.

Sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Avverto che, come preannunciato ai rappresentanti dei gruppi, la convocazione delle Commissioni permanenti per procedere al rinnovo biennale prevista per la giornata odierna è rinviata ad altra data.

Sospendiamo a questo punto la seduta, che riprenderà alle ore 15.

La seduta è sospesa.

La seduta, sospesa alle 13, è ripresa alle 15.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ETTORE ROSATO

Svolgimento di interrogazioni a risposta immediata.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di interrogazioni a risposta immediata, alle quali risponderanno la Ministra delle Infrastrutture e dei trasporti, la Ministra dell'Interno, il Ministro per gli Affari regionali e le autonomie, la Ministra del Lavoro e delle politiche sociali e il Ministro degli Affari esteri e della cooperazione internazionale.

Invito gli oratori ad un rigoroso rispetto dei tempi, anche considerata la diretta televisiva in corso.

(Iniziative volte al ripristino della ordinaria viabilità nella regione Liguria, anche attraverso la rimozione dei cantieri non indifferibili da parte di Autostrade per l'Italia – n. 3-01668)

PRESIDENTE. Passiamo alla prima interrogazione all'ordine del giorno, Gagliardi ed altri n. 3-01668 (Vedi l'allegato A). La deputata Manuela Gagliardi ha facoltà di illustrare la sua interrogazione.

MANUELA GAGLIARDI (M-NI-USEI-C!-AC). Grazie, Presidente. Le autostrade della Liguria sono bloccate e nel caos più totale da settimane, nel silenzio assordante del Ministro qui presente, signor Presidente, da cui invece ci saremmo aspettati che si scagliasse contro il concessionario affinché ripristinasse l'ordinaria viabilità nel minor tempo possibile. Ed invece scopriamo che, dopo che vi era stato un iniziale programma di controlli concordati sulle 285 gallerie, il Ministero ha sostanzialmente cambiato le carte in tavola, ossia ha imposto al concessionario l'applicazione di una circolare del 1967, tirata fuori da chissà quale cassetto perché poi probabilmente mai più applicata. Quindi, Aspi ha provveduto a chiudere ben 36 gallerie causando chilometri e chilometri e chilometri di coda. Più volte interpellato, il MIT non ha dato alcuna risposta, per cui oggi insistiamo affinché il Ministro ci dia qualche segnale e qualche indicazione su come intenda risolvere la questione delle autostrade in Liguria.

PRESIDENTE. La Ministra delle Infrastrutture e dei trasporti, Paola De Micheli, ha facoltà di rispondere.

PAOLA DE MICHELI, Ministra delle Infrastrutture e dei trasporti. Grazie, Presidente. Sin dal mio insediamento ho chiesto alle strutture del Ministero di impartire specifiche indicazioni a tutti i gestori stradali e autostradali finalizzate ad alzare gli standard di sicurezza delle infrastrutture e rafforzare la qualità e la quantità dei controlli. Per quanto riguarda il sistema viario ligure, basato essenzialmente sulla rete autostradale, segnalo che nello scorso mese di gennaio Aspi ha presentato un programma di ispezione delle gallerie esistenti lungo tutte le tratte da essa gestite da attuare nel corso del 2020, come richiesto dal MIT. È stato immediatamente segnalato più volte e ribadito al concessionario che il contenuto del programma ispettivo presentato doveva ritenersi integrativo e non sostitutivo delle attività che lo stesso era tenuto ad espletare in forza della circolare ministeriale del 1967 sulla sicurezza delle infrastrutture stradali. Nel periodo di lockdown le attività di verifica sono proseguite, subendo tuttavia un rallentamento a causa di alcune misure di contenimento del COVID. A partire dal mese di maggio Aspi ha provveduto ad accelerare le attività di verifica, occupando porzioni maggiori di sedime autostradale e disponendo la chiusura temporanea di talune gallerie per l'effettuazione degli interventi. Al fine di ridurre i disagi per l'utenza derivanti dall'attività ispettiva, il Ministero ha immediatamente avviato costanti interlocuzioni con il concessionario per individuare, d'intesa con la regione e con gli enti locali, le modalità ottimali di espletamento della stessa. Per le medesime finalità, con la circolare del 7 luglio si è provveduto ad impartire indicazioni aggiornate sulle ispezioni, che, senza incidere in alcun modo sulla validità dei dati rilevati, consentono di ridurre al minimo i tempi di intervento, grazie all'utilizzo di moderne tecnologie di indagine quali il georadar e il laser scanner, e, pertanto, di ridurre i disagi per l'utenza. Inoltre, è stata prevista la possibilità di attivare da parte dell'autorità prefettizia un apposito tavolo di coordinamento per il monitoraggio. Sulla base delle iniziative assunte dal Ministero sarà possibile ultimare entro questa settimana le verifiche e i lavori su 34 gallerie, ed effettuare entro la prossima settimana le verifiche strumentali sulle residue 50 gallerie, consentendo pertanto già nei prossimi giorni la progressiva regolarizzazione della viabilità sulla rete autostradale. Per il Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti la centralità della sicurezza delle infrastrutture è fondamentale, e per questo evidenzio anche le apposite disposizioni inserite nel “decreto semplificazioni”; oltre a confermare che ogni qual volta il Ministero è stato chiamato a rispondere, si è presentato puntualmente con l'aggiornamento di tutte le situazioni viabilistiche, autostradali e stradali.

PRESIDENTE. La deputata Manuela Gagliardi ha facoltà di replicare.

MANUELA GAGLIARDI (M-NI-USEI-C!-AC). Mi dichiaro totalmente insoddisfatta della risposta, signor Ministro. Mi dispiaccio di doverle ricordare che lei, a fine giugno, intervenuta ad un tavolo insieme ad ANCI, disse che la data ultima per sbloccare le autostrade in Liguria, e quindi per ripristinare il doppio senso di marcia in entrambe le carreggiate, era il 10 luglio. Oggi è il 15 e siamo ancora totalmente bloccati. Sono insoddisfatta perché noi vogliamo autostrade sicure, ma non bloccate. Il fatto che ci siano ancora 50 interventi da fare, senza che lei ci spieghi quali saranno i tempi in cui questi interventi devono essere fatti, ci fa male interpretare le sue intenzioni. Sì, perché questo Governo ha scientemente sacrificato la Liguria per i vostri giochi di potere all'interno della maggioranza. Sono insoddisfatta perché avete completamente penalizzato intere categorie economiche: parliamo di attività portuali, parliamo di attività turistiche, artigianali, commerciali. Parliamo dei cittadini che si sono visti limitati nella loro libertà di movimento. Avete penalizzato, rischiando di compromettere la ripresa post lockdown per sempre in Liguria. Non solo, siamo totalmente insoddisfatti perché non c'è stato il rispetto delle istituzioni. Lei dice che avete tenuto aperto ogni genere di interlocuzione: non è così. Sono state inviate lettere, sono state inviate ordinanze, sono stati fatti esposti in procura nel totale ed assoluto silenzio del Ministero. Questo è imbarazzante! Se penso che voi siete quelli che avete da sempre parlato di autostrade sicure, di revoca ai concessionari inadempienti, e poi noi scopriamo che la revoca non avverrà, che la vostra idea di sicurezza sono chilometri e chilometri di code. Ma lo sapete che in Liguria le ambulanze rimangono ferme in coda, sotto il sole, con i malati? Voi non avete idea di cosa sta accadendo. Noi chiediamo un impegno immediato al ripristino della viabilità ordinaria, perché state creando danni immensi alla nostra regione!

(Iniziative volte alla revisione della strategia di accoglienza dei migranti, in particolare in relazione a recenti sbarchi sulle coste della Calabria e della Sicilia e ai rischi connessi al Covid-19 – n. 3-01669)

PRESIDENTE. Il deputato Occhiuto ha facoltà di illustrare la sua interrogazione n. 3-01669 (Vedi l'allegato A).

ROBERTO OCCHIUTO (FI). Grazie, Presidente. Ministro, ci sono due regioni in Italia che sono state preservate, anche nella fase acuta, dal contagio da COVID: si tratta della Calabria e della Sicilia. Due regioni preservate dalla provvidenza, sicuramente non dal Governo, perché anche nella fase acuta il Governo ci ha messo del suo per estendere il contagio anche in queste regioni, evitando di bloccare le frontiere e i confini di queste regioni quando andavano bloccati. Queste regioni sono state preservate di fatto dal contagio, però negli ultimi giorni sono protagoniste di sbarchi incontrollati. Vorrei riferirmi, per esempio, ai 70 soccorsi al largo di Roccella, portati poi nel porto di Roccella; di questi 70, 28 sono positivi al COVID, come i 17 positivi al COVID sbarcati in Sicilia. Con questa interrogazione noi chiediamo al Governo che cosa voglia fare per arginare questo fenomeno e per impedire un contagio di ritorno in regioni preservate dal contagio solo dagli sforzi dei loro cittadini e dei governatori, Santelli e Musumeci (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).

PRESIDENTE. La Ministra dell'Interno, Luciana Lamorgese, ha facoltà di rispondere.

LUCIANA LAMORGESE, Ministra dell'Interno. Grazie, Presidente. Gli onorevoli interroganti chiedono quali iniziative si intendano intraprendere per controllare il fenomeno migratorio, soprattutto alla luce dell'emergenza COVID-19, con particolare riferimento ai 70 migranti giunti a Roccella Jonica il 10 luglio scorso. Per i migranti sbarcati, come di consueto, è stato immediatamente disposto il prelievo del tampone per verificare eventuali situazioni di contagio, prevedendo, nel contempo, il periodo di 14 giorni di sorveglianza sanitaria obbligatoria in strutture ritenute idonee da parte delle aziende sanitarie territoriali. All'esito dei tamponi, 13 immigrati positivi asintomatici, inizialmente accolti ad Amantea, sono stati trasferiti nella giornata di ieri presso l'ospedale Celio di Roma, con l'ausilio della Croce rossa italiana e in collaborazione con il Ministero della Difesa.

Gli altri immigrati, cinque a Roccella e otto a Bova, si trovano in quarantena e sono sottoposti a un regime di sorveglianza sanitaria rafforzata. Per quanto riguarda, invece, la situazione di Lampedusa, che per la propria collocazione geografica è particolarmente esposta, si segnala innanzitutto che ai migranti viene effettuato il test sierologico. In merito agli arrivi degli ultimi giorni, già oggi è previsto il trasferimento di almeno 200 migranti, attesi a Porto Empedocle per poi essere trasferiti sul territorio nazionale. Domani ne verranno trasferiti altri cento e sulla base di una programmazione progressivamente aggiornata si provvederà allo svuotamento dell'hotspot. Nell'ambito di queste diverse iniziative adottate dal Ministero dell'Interno segnalo anche l'avvenuta pubblicazione il 14 luglio di un nuovo avviso con procedura accelerata per il noleggio di navi da adibire alla sorveglianza sanitaria, che prevede la presentazione delle offerte entro domani, 16 luglio.

Nel frattempo la nave Moby Zazà, ormeggiata a Porto Empedocle in rada, continuerà ad essere impiegata come struttura per la quarantena fino alla conclusione del periodo di sorveglianza obbligatoria. Si tratta di una strategia che prevede diversi interventi messi in campo dal Governo per fronteggiare la situazione contingente con la massima attenzione alla tutela della sicurezza sanitaria dei cittadini, in particolare in quelle regioni, come la Sicilia e la Calabria, particolarmente esposte agli sbarchi autonomi. Ho anche disposto il rafforzamento dei dispositivi di sorveglianza sulle strutture di accoglienza, prevedendo la possibilità del trasferimento dei migranti, sottoposti, ove necessario, a quarantena in ospedali militari. La gestione del fenomeno migratorio necessita anche di un approccio globale a livello europeo, sul quale il Governo lavora senza trascurare nessun aspetto.

Ho promosso di recente una videoconferenza, tenutasi lo scorso 13 luglio, a cui hanno partecipato i Commissari europei per gli affari interni e per il vicinato, Johansson e Varhely, e i Ministri dell'Interno di Germania, Francia, Spagna e Malta, e gli omologhi di alcuni Paesi del Nord Africa, Algeria, Libia, Mauritania, Marocco e Tunisia. Il confronto è stato proficuo e ha consentito di condividere diverse linee di azione, tra le quali l'intensificazione della collaborazione di polizia per rafforzare gli strumenti operativi e le attività investigative. Si tratta di un lavoro in itinere che dà il segno di un intenso sforzo, avviato con interventi diversificati, per governare il fenomeno dell'immigrazione.

PRESIDENTE. Il deputato Occhiuto ha facoltà di replicare.

ROBERTO OCCHIUTO (FI). Ministro, ci mancherebbe altro che non si facessero i controlli sierologici, ci stupirebbe che non si facessero i controlli sierologici. E lei viene qui, poi, e ci parla di avvisi di gare per trovare delle navi nelle quali far fare la quarantena a questi immigrati. Ma lei sa bene che questi avvisi e queste gare sono andate deserte. Si tratta di requisirle le navi, ci sono norme approvate nel “Cura Italia” che vi danno la possibilità persino di requisire gli alberghi. Allora requisite una o due unità navali e consentite a chi raccoglie questi immigrati di far fare loro la quarantena all'interno di queste strutture. Dopo i 40 giorni di quarantena, quelli che sono clandestini a casa (Applausi dei deputati dei gruppi Forza Italia-Berlusconi Presidente e Fratelli d'Italia); gli altri devono essere ricollocati secondo le modalità, per esempio, che si era stabilito di applicare con l'Accordo di Malta.

Che fine ha fatto l'Accordo di Malta dell'ottobre scorso, che prevedeva la ricollocazione dei migranti tra i vari Paesi europei? Signora Ministra, voi volete dichiarare lo stato di emergenza, dite agli italiani che siamo ancora nell'emergenza della pandemia, costringete al distanziamento sociale, che costringe molte attività a chiudere le proprie saracinesche, e poi mantenete i porti aperti. I confini delle regioni che non sono state esposte al COVID vanno invece sigillati; non possono essere aperti ad ondate di contagio di ritorno. Per tutta l'Italia vale la regola del distanziamento, per la Calabria e la Sicilia no. Non gli date strade, non gli date autostrade, non gli date Alta Velocità, non gli date il ponte, ma gli date i contagiati di COVID che raccogliamo in mare.

Non si tratta, signora Ministra, di misurare il grado di umanità di ciascuno di noi, né il grado di buonismo. Noi però diciamo basta al buonismo ipocrita (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente), che era già intollerabile quando serviva a raccogliere qualche voto in qualche salotto, ma ora che serve a coprire le responsabilità del Governo rispetto alla salute degli italiani è davvero ingiustificabile e intollerabile.

PRESIDENTE. Concluda, onorevole.

ROBERTO OCCHIUTO (FI). Concludo, Presidente: anche sui decreti sicurezza, se volete cambiateli. Noi non siamo d'accordo, li votammo anche quando siamo stati all'opposizione, come siamo oggi, ma non ditelo ora, perché anche gli scafisti sanno che voi volete ridurre il livello di sicurezza lungo le nostre coste (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).

(Iniziative volte all'individuazione, d'intesa con gli enti territoriali, di una data univoca di avvio delle attività della scuola dell'infanzia – n. 3-01670)

PRESIDENTE. Il deputato Luigi Gallo ha facoltà di illustrare la sua interrogazione n. 3-01670 (Vedi l'allegato A).

LUIGI GALLO (M5S). Grazie, Presidente. Signor Ministro, deputati e deputate, l'attenzione del Governo Conte 2 verso i bambini e le bambine e l'infanzia è degna di nota: dal programma per la costruzione di nuovi asili nido alle misure perequative per distribuire risorse ai comuni che non hanno asili nido sul proprio territorio, dal nuovo impegno del MoVimento 5 Stelle sul tema della povertà educativa e culturale, che si è concretizzato nel decreto cosiddetto Rilancio in una card cultura anche per l'infanzia, con 16 milioni di risorse, fino ai 180 milioni stanziati per la scuola nella fascia 0-6. Tuttavia, le agenzie educative del paese che si occupano dei bambini della fascia 0-3 si trovano in un momento di smarrimento. Mi appello quindi al lavoro di coordinamento che lei, Ministro, è riuscito a realizzare con buoni risultati, per avere da tutte le regioni una data di inizio per i nidi 0-3.

PRESIDENTE. Il Ministro per gli Affari regionali e le autonomie, Francesco Boccia, ha facoltà di rispondere.

FRANCESCO BOCCIA, Ministro per gli Affari regionali e le autonomie. Grazie Presidente e grazie all'onorevole Gallo e ai firmatari dell'interrogazione. Ci pone, questa interrogazione, di fronte a due ordini di temi, rispetto ai quali il Governo non solo non si è sottratto, ma ha fatto un lavoro importante, che è stato richiamato proprio dall'onorevole Gallo. Il primo attiene alla pianificazione delle attività, che tocca evidentemente anche la fascia 0-3 e la fascia 0-6, una pianificazione che era necessaria per garantire misure necessarie, misure necessarie che la Conferenza unificata ha varato attraverso un parere favorevole sullo schema di piano scuola del 2020-2021 e che ha portato devo dire tutte le regioni italiane, tutti i comuni e le province a condividere il percorso tracciato dalla Ministra Azzolina. Ora, è evidente che per le scuole dell'infanzia l'oggetto dell'interrogazione ci costringe ad essere ancora più chiari, perché il lavoro fatto dal Ministero dell'istruzione è un lavoro che ci deve obbligare a far sì che il rispetto del distanziamento sociale tra i piccoli, tra i bambini che hanno la stessa età e tra i bambini e gli adulti, che poi molto spesso sono parenti, sono genitori, sono nonni, sono docenti, è una relazione che deve essere fortemente garantita da sistemi d'intervento, igienizzanti, rigorosamente rispettati. Tutto questo è raccordato in un tavolo permanente presso il Dipartimento affari regionali della Protezione civile, la Ministra Azzolina sta seguendo un percorso di coinvolgimento degli enti locali che è sotto gli occhi di tutti e in questo momento comuni e province possono contare sugli uffici del commissario Arcuri anche per le attività per le quali proprio ieri c'è stato un raccordo e consentiranno, nei giorni precedenti - grazie Presidente, concludo - l'inizio delle scuole, di garantire test sierologici a tutti i docenti, a tutto il personale ATA, a tutto il personale della scuola e parallelamente il commissario Arcuri sta attivando una serie di interventi che garantiranno alle scuole di avere le risorse certe. Chiudo, Presidente, ricordando l'articolo 235 del decreto-legge cosiddetto Rilancio, lo stanziamento di 377 milioni nel 2020, 600 nella parte di anno scolastico del 2021 e le risorse sulla pulizia e la costante igienizzazione degli ambienti scolastici, oltre che per l'acquisto di dispositivi di protezione individuale per 331 milioni. Questi sono già fatti che il Parlamento ha sostenuto e per i quali già le scuole si stanno attrezzando. Chiudo ribadendo un concetto: la mano pubblica ha il dovere di produrre valore e di reinvestire nella comunità e io penso che questa sia, Presidente, la grande lezione della pandemia; c'è stato un lungo tempo in cui il dibattito si è concentrato su più Stato o meno Stato, oggi possiamo dire, anche per l'esperienza fatta sulla scuola e sulla sanità, possiamo dire che più Stato e più efficienza coincide con più bene comune, grazie.

PRESIDENTE. Il deputato Luigi Gallo ha facoltà di replicare.

LUIGI GALLO (M5S). Grazie Presidente. Grazie Ministro, sappiamo benissimo che, con l'articolo 117 della Costituzione, l'istruzione è materia concorrente con le regioni, i comuni, le province, le città metropolitane e, quindi, servirebbe chiarezza, diciamo, rispetto all'inizio delle attività per la fascia 0-3. In questo momento, per quanto è di mia conoscenza, solo la Lombardia ha dato una data, quindi sarebbe opportuno che anche le altre regioni dessero al più presto una certezza e, in un momento così delicato per l'avvio dell'anno scolastico, paragonabile a quello della riorganizzazione sanitaria regionale e locale, che è stata necessaria per affrontare l'emergenza COVID e che ha chiesto la massima collaborazione tra tutti gli enti locali, sa benissimo, signor Ministro, che c'è da remare tutti insieme anche per questo grande obiettivo di ripartenza dell'anno scolastico non solo in sicurezza, ma, allo stesso tempo, investendo in qualità. Tutti gli attori e funzionari degli enti locali devono per questo utilizzare al meglio le risorse che il Governo sta stanziando e per questo mi affido a lei, anche per garantire che questi due mesi vengano usati non solo per ottenere l'avvio di tutti i protocolli di sicurezza, ma anche per realizzare interventi che aumentano la qualità del prossimo anno scolastico. Il Ministero dell'Istruzione ha stanziato tante risorse, 330 milioni per gli enti locali sull'edilizia leggera, 22 milioni di euro per smart class digitali, che si sommano ai 180 milioni di euro spesi durante l'emergenza, 855 milioni per la manutenzione straordinaria di scuole di province e città metropolitane e tanto altro. Tutto questo funziona in un solo modo: gli enti locali devono dare il massimo ed essere responsabili nella programmazione di un anno scolastico speciale e non possiamo permetterci atteggiamenti da scarica barile. Io le chiedo, quindi, di essere garante di questi processi, mantenendo alta l'attenzione sugli interventi degli enti locali.

(Chiarimenti in merito alle linee guida e ai tempi di attuazione dello strumento universalistico di sostegno al reddito in corso di definizione – n. 3-01671)

PRESIDENTE. Il deputato Fassina ha facoltà di illustrare la sua interrogazione n. 3-01671 (Vedi l'allegato A).

STEFANO FASSINA (LEU). Grazie, Presidente. Signora Ministro, la pandemia COVID è stata uno straordinario evidenziatore non solo dei punti di forza, ma anche dei limiti del nostro sistema di protezione sociale. Le ingenti risorse mobilitate dal Governo, in particolare per quanto riguarda il sostegno al reddito di lavoratrici e lavoratori, si sono scontrate con un ginepraio di strumenti categoriali non solo distinti tra lavoratore dipendente e lavoratore autonomo, ma dentro ciascun ambito. Nonostante la pluralità di questi strumenti, la loro natura particolaristica ha fatto sì che aree rilevanti del nostro mondo del lavoro sono rimaste scoperte e quindi è necessario e urgente intervenire a colmare tale lacuna e, a tal fine, le chiediamo quali sono le linee guida sulle quali il Governo è all'opera per arrivare allo strumento universale di protezione del reddito di lavoratrici e lavoratori, grazie.

PRESIDENTE. La Ministra del Lavoro e delle politiche sociali, Nunzia Catalfo, ha facoltà di rispondere.

NUNZIA CATALFO, Ministra del Lavoro e delle politiche sociali. Grazie Presidente, l'onorevole Fassina sollecita un mio intervento sulle linee guida e possibili tempi di attuazione della riforma degli ammortizzatori sociali, per la quale ho recentemente nominato una commissione di esperti. La pandemia, come appunto evidenziato anche dall'onorevole, ha evidenziato chiaramente i limiti e le fragilità dell'attuale assetto degli ammortizzatori. Non è stato facile operare appunto con un insieme non sempre coordinato ed organico di istituti di sostegno al reddito, in costanza di rapporto di lavoro non generale, frutto di una normativa non lineare e stratificata. Lo sforzo che è stato fatto dal Ministero del lavoro durante la pandemia è stato quello di assicurare a tutti i lavoratori dipendenti una tutela, aprendo la strada a un sistema di copertura pressoché generalizzata. In altre parole, si è cercato di superare in via eccezionale la frammentarietà delle tutele che il decreto legislativo n. 148 del 2015 aveva creato, declinando i diversi ammortizzatori sociali sulla base di comparti produttivi, settori di attività e imprese diversamente dimensionate. Questo spiega l'allargamento all'assegno ordinario del FIS per le imprese da 5 a 15 dipendenti e un ritorno all'utilizzo della cassa integrazione in deroga per tutte quelle imprese non coperte da ammortizzatori sociali. Il tentativo è stato quello di orientare il sistema del decreto legislativo n. 148 verso un modello di universalismo differenziato. È necessario proseguire lungo questa direzione, rafforzando e razionalizzando gli strumenti di integrazione al reddito in costanza di lavoro, integrandoli sempre più con percorsi formativi e politiche attive del lavoro. Un primo passo, in questo senso, è rappresentato dal Fondo Nuove Competenze, da me introdotto con il “decreto Rilancio”.

Questo strumento consente alle parti sociali di stipulare contratti collettivi aziendali o territoriali con i quali è possibile convertire temporaneamente quota dell'orario di lavoro in formazione finanziata da un apposito fondo pubblico volto a garantire ai lavoratori interessati dalle misure il 100 per cento della retribuzione per tutta la durata del programma formativo. A regime, nella riforma che voglio realizzare, è necessario che gli ammortizzatori sociali operino, da un lato, per garantire una rete di protezione temporanea ai lavoratori di quelle imprese che intendono sospendere per un breve periodo una parte della produzione per ristrutturazioni aziendali o riconversioni produttive o tecnologiche, dall'altro quali strumenti di accompagnamento e sostegno finalizzati alle transizioni occupazionali, dunque in un'ottica di tutela nel mercato del lavoro. Formazione nel primo caso e politiche attive e condizionalità nel secondo costituiscono gli assi portanti del progetto riformatore. In estrema sintesi, è necessario creare un sistema di sostegno al reddito in costanza di rapporto di lavoro che sia universale o sia in grado di inserire in un meccanismo assicurativo tutte le imprese e i lavoratori ma che, al contempo, permetta di valorizzare differenze e specificità di aziende e settori produttivi.

Quanto ai tempi di realizzazione, come previsto dal decreto ministeriale di nomina, la commissione dovrà concludere i lavori entro il 31 ottobre - si è già insediata due giorni fa - e sta già operando per far sì che la riforma veda la luce nel più breve tempo possibile. A tal fine, ho convocato al Ministero le parti sociali, il 23 luglio le organizzazioni sindacali e il 27 quelle datoriali. La mia intenzione è giungere in tempi rapidi ad un sistema di ammortizzatori equo e strutturale che non escluda nessuno.

PRESIDENTE. Il deputato Fassina ha facoltà di replicare.

STEFANO FASSINA (LEU). Grazie, signora Ministra, per le risposte. È evidente che la sfida è molto ambiziosa anche perché, oltre al mondo del lavoro dipendente, subordinato, c'è un mondo di lavoro indipendente, le partite IVA, sulle quali appunto, come lei sa, è stato necessario intervenire attraverso un bonus ad hoc. Ecco ritengo che, in questa fase, date le caratteristiche del mercato del lavoro, sia necessario trovare una soluzione che possa proteggere anche coloro che svolgono, in via sistematica, un lavoro indipendente, senza un rapporto formalizzato di subordinazione ed è davvero una sfida ambiziosa. Accolgo con favore e con sostegno la convocazione che ha fatto delle parti sociali, perché ritengo che ovviamente sia fondamentale il contributo degli esperti ma è altrettanto rilevante l'apporto di chi è sul campo e ogni giorno si misura con queste sfide. Ritengo importante coinvolgere anche le associazioni che rappresentano il mondo del lavoro autonomo e il mondo del lavoro indipendente, perché là sta la sfida vera che, non c'è dubbio, va coniugata insieme alla formazione. Infine, mi permetto di utilizzare dieci secondi per esprimere solidarietà e supporto al presidente dell'INPS che è sotto attacco a mio avviso ingiustamente perché sta svolgendo un lavoro molto complicato e le difficoltà che incontrano i cittadini e i lavoratori dipendono da norme e da procedure e non certo dalla capacità amministrativa che è stata messa in campo.

(Chiarimenti in merito alla platea di lavoratori in attesa di ricevere la cassa integrazione ordinaria, straordinaria e in deroga e alla relativa tempistica, nonché all'erogazione degli strumenti di sostegno al reddito previsti dalla legislazione vigente – n. 3-01672)

PRESIDENTE. Il deputato Gianfranco Librandi ha facoltà di illustrare l'interrogazione D'Alessandro ed altri n. 3-01672 (Vedi l'allegato A), di cui è cofirmatario.

GIANFRANCO LIBRANDI (IV). Grazie Presidente, signora Ministra, più di 7 milioni di lavoratori sono oggi in cassa integrazione, circa un terzo dei 23 milioni di lavoratori in Italia. Di questi quasi 90 mila non hanno ancora ricevuto un pagamento, mentre sono quasi 110 mila le domande ancora non esaminate. Nonostante le promesse del presidente dell'INPS, si sono accumulati ritardi soprattutto a causa della confusione di circolari e regolamenti emanati dall'istituto: ben 26 atti dal 12 marzo a oggi, a cui si aggiunge un numero imprecisato di circolari interne del Ministero del Lavoro. Si considera una semplificazione positiva quella introdotta dal 30 giugno che prevede il pagamento diretto dell'INPS con anticipo al 40 per cento ma ciò deve avvenire nei tempi previsti e senza ritardi.

In ogni caso è interesse pubblico avere oggi una stima puntuale e certa dei tempi e modalità di erogazione delle domande inevase, vecchie e nuove, per trasferire serenità ai lavoratori e alle famiglie.

PRESIDENTE. La Ministra del Lavoro e delle politiche sociali, Nunzia Catalfo, ha facoltà di rispondere.

NUNZIA CATALFO, Ministra del Lavoro e delle politiche sociali. Grazie, Presidente. Con la presente interrogazione viene chiesto dall'onorevole Librandi di pronunciarmi sul tema della cassa integrazione guadagni ordinaria, straordinaria e in deroga e sui tempi di erogazione delle prestazioni. Ribadisco quanto già espresso riguardo alle circostanze che, durante l'emergenza epidemiologica, sia il Ministero del Lavoro sia l'INPS hanno dovuto affrontare per mettere in atto rapidamente un piano di sostegno al reddito adeguato per oltre 12 milioni di beneficiari, di cui oltre 4 milioni di lavoratori autonomi e liberi professionisti, 5,5 milioni di dipendenti privati, 500 mila cittadini richiedenti bonus baby-sitter e centri estivi, 460 mila richiedenti congedi parentali e ulteriori lavoratori che sono rimasti al di fuori dal sostegno. In un contesto di piena emergenza le procedure esistenti tradizionalmente lente e farraginose sono state semplificate e accelerate ma, a causa dell'eccezionalità della situazione che stiamo attraversando, si è generato un sovraccarico di domande e pratiche senza precedenti. A tal proposito, si tenga conto del fatto che, in soli tre mesi di emergenza COVID-19, l'INPS ha dovuto gestire integrazioni salariali che hanno riguardato oltre 5 milioni e mezzo di lavoratori per oltre 2 miliardi di ore di cassa integrazione, ossia un numero di ore pari ad oltre 7 volte quelle autorizzate in tutto l'arco dell'anno 2019. Si consideri peraltro che, oltre ai trattamenti di integrazione salariale, l'ente si è occupato anche della gestione di tutti gli altri strumenti ordinari di sostegno al reddito. Venendo ai dati richiesti dall'interrogante, sulla base degli elementi forniti dall'INPS in data 14 luglio 2020, posso riferire che, alla data del 9 luglio, risultano pervenute all'Istituto complessivamente 1.570.042 domande di integrazione salariale di cui 1.380.700 domande sono state autorizzate; 79.489 sono state annullate o respinte; residuano ad oggi 109.853 domande. L'indice di autorizzazione delle domande di integrazione salariale è attualmente pari al 92,6 per cento. Con riferimento ai pagamenti effettuati risulta che, alla data del 7 luglio, sono 3.120.499 i lavoratori per i quali è stato chiesto il pagamento di almeno un'integrazione salariale mensile; di essi 3.031.495 sono stati già pagati; ammontano a 89.004 quelli che devono essere ancora pagati; risulta pagato quindi il 97 per cento degli aventi diritto. Rispetto al totale dei 3,1 milioni per i quali è stata presentata domanda, il pagamento delle prestazioni, al 7 luglio scorso, l'Istituto deve ancora erogare 370.976 integrazioni salariali mensili. Con specifico riferimento poi alla cassa integrazione in deroga, l'Istituto ha potuto iniziare a lavorare le domande a partire dalla fine del mese di aprile 2020. Ciò è dovuto anche alle difficoltà di alcune regioni gravate anche loro da un'ingente quantità di richieste di autorizzazione decisamente superiore rispetto all'impegno ordinario. Inoltre, alcune domande formalmente in giacenza presso l'INPS non possono essere lavorate in quanto presentano vizi di procedura e devono essere prima annullate dalle stesse regioni. In molti casi invece il Ministero del Lavoro e l'INPS, grazie ad un proficuo dialogo con gli esponenti aziendali e gli intermediari previdenziali, sono intervenuti per correggere anomalie e complessità procedurali, determinando così uno snellimento delle procedure. Alla luce dei dati forniti, tenuto conto delle circostanze eccezionali in cui l'INPS è stato costretto ad operare, senza voler in alcun modo sminuire la portata delle conseguenze che ogni ritardo nei pagamenti genera ai danni dei lavoratori, posso assicurare che è stato e sarà compiuto il massimo sforzo da parte del Ministero del Lavoro e dell'INPS per tutelare i lavoratori e scongiurare il pericolo che la pandemia determinasse effetti disastrosi e irreversibili sull'economia.

PRESIDENTE. Il deputato Camillo D'Alessandro ha facoltà di replicare.

CAMILLO D'ALESSANDRO (IV). Grazie, Presidente, grazie, Ministro. Intanto voglio esprimere in premessa una grande solidarietà e vicinanza a tutti i lavoratori dell'INPS che stanno garantendo una mole eccezionale di lavoro. Una cosa sono i lavoratori dell'INPS, una cosa sono i vertici dell'INPS che dichiarano per l'INPS la certezza dei pagamenti che poi non arrivano, Ministro, ed è capitato più di una volta, in più di un'occasione. Qui non si tratta di cedere al giustificazionismo o non farsi carico della complessità. Qui si tratta - tuttavia, Ministro, lei condividerà, ne sono sicuro - di dire esattamente quando, quanto, oltre 100 mila italiani che ancora non percepiscono un euro dal mese di marzo lo percepiranno. Questa era la risposta che noi ci attendevamo oggi, perché può succedere - non dovrebbe accadere dopo un mese, dopo due -, ma non possiamo giustificarci, noi tutti non possiamo giustificarci, di fronte a coloro i quali, attraversati da una crisi devastante, sono costretti anche a dover fare i conti con i centesimi di risparmio dei mesi precedenti perché ancora non percepiscono una mensilità. Non sono tanti. Lei ha parlato di percentuali del 92 per cento e 98 per cento, ma quel 2 per cento, quell'8 per cento sono centinaia di migliaia di famiglie e di persone coinvolte, perché quel reddito mancato non riguarda solo il lavoratore, ma riguarda anche la propria famiglia. Allora, Ministro, oggi noi ci aspettavamo una risposta chiara su quanti sono, da quanti mesi non lo percepiscono e quando soprattutto lo percepiranno. Per questo non mi posso dichiarare soddisfatto, Ministra, ben sapendo il suo sforzo e il suo impegno. Ma, ripeto, lo distingua anche lei nella sua azione anche di controllo che ha il Ministero nei confronti dell'INPS: una cosa sono i lavoratori dell'INPS, una cosa sono i vertici dell'INPS.

(Iniziative volte a garantire il mantenimento dei livelli occupazionali nelle aziende in crisi della regione Marche, con particolare riferimento a Whirpool e Conad-Auchan – n. 3-01673)

PRESIDENTE. Il deputato Francesco Acquaroli ha facoltà di illustrare l'interrogazione Lollobrigida ed altri n. 3-01673 (Vedi l'allegato A), di cui è cofirmatario.

FRANCESCO ACQUAROLI (FDI). La ringrazio, Presidente. Signor Ministro, già avevamo affrontato nel mese di febbraio un question time sulla questione Whirlpool, che era preoccupante prima dell'inizio della crisi COVID. Poi, nella nostra regione, insieme a Whirlpool, è emersa per i lavoratori la grande problematica della vertenza Auchan-Conad. Le recenti notizie delle richieste che ci fa Whirlpool rispetto all'accesso alla cassa integrazione, che riguarderebbe 5 mila dipendenti, una mancata chiarezza rispetto a quello che è l'intendimento della proprietà, che si uniscono all'incertezza che vivono tutte le imprese del settore della nostra regione, che è particolarmente colpito, ci portano a chiedere al Governo quali sono le iniziative volte al mantenimento del livello occupazionale in una regione dove, oggettivamente, insieme a queste crisi, la mancanza di risposte serie e una mancanza di una visione del mondo dell'industria sta provocando veramente una grave mancanza di lavoro (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. La Ministra del Lavoro e delle politiche sociali, Nunzia Catalfo, ha facoltà di rispondere. Prego, signora Ministra.

NUNZIA CATALFO, Ministra del Lavoro e delle politiche sociali. Presidente, le questioni sollevate dall'onorevole interrogante si inseriscono in un complesso quadro economico generale determinato e comunque notevolmente aggravato dagli effetti della pandemia. Il Ministero del Lavoro e delle politiche sociali ha adottato e adotterà ogni strumento disponibile per supportare i lavoratori e le imprese in questo delicato momento storico. Venendo alle specifiche situazioni descritte nell'interrogazione, posso assicurare che sono entrambe all'attenzione del Governo. Il Ministero dello Sviluppo economico, con la partecipazione ai tavoli di crisi del Ministero del Lavoro, sta lavorando per individui individuare un'adeguata soluzione. Più precisamente, per quanto concerne la vicenda della Whirlpool, segnalo che in data 14 febbraio 2019 è stata autorizzata, per il periodo 1° gennaio 2019-6 aprile 2020, la cassa integrazione guadagni straordinaria in seguito a contratto di solidarietà stipulato in data 10 dicembre 2018. Il 10 aprile 2020 è stato sospeso il trattamento di integrazione salariale ed è stata programmata la decorrenza delle settimane residue dal 25 maggio 2020 fino all'8 giugno 2020. Successivamente sono state autorizzate ulteriori cinque settimane di cassa integrazione straordinaria, decorrente dal 28 giugno 2020 al 13 luglio. Per far fronte alla scadenza dell'integrazione salariale è attivo presso il Ministero dello Sviluppo economico un tavolo di crisi con l'obiettivo di affrontare sia le questioni industriali relative alla continuità produttiva, sia le criticità che concernono la salvaguardia dei livelli occupazionali nei diversi siti dislocati sul territorio nazionale. Con riferimento a quest'ultimo profilo, che rientra strettamente nella competenza del mio Ministero, si sta valutando l'utilizzo di ulteriori ammortizzatori sociali che nella fase attuale possano garantire ai lavoratori il necessario sostegno al reddito.

La prossima riunione del tavolo di confronto si terrà a breve, entro la fine del mese.

Anche per quanto concerne il gruppo Conad-Auchan, il Ministero del Lavoro e delle politiche sociali sta attivamente cooperando con il Ministero dello Sviluppo economico per risolvere la vicenda che coinvolge l'intera rete Conad-Auchan. Sono operativi sul punto dei tavoli di confronto presso il mio Ministero. Più precisamente, per i lavoratori interessati dal processo di cessione della rete vendita ex Sma, si fa presente che presso il Ministero del Lavoro e delle politiche sociali è stato siglato dalle parti sociali, nello scorso mese di aprile, l'accordo per utilizzare la cassa integrazione per crisi aziendale per circa 8 mila lavoratori sull'intero territorio nazionale, al fine di accompagnare il processo di riorganizzazione dei punti vendita.

Rispetto infine alla situazione delle sedi situate nella regione Marche, non è al momento operativo un tavolo di confronto specifico presso il Ministero. Dalle verifiche effettuate risulta che la società Margherita Distribuzione stia procedendo alla cessione dei singoli rami d'azienda per i quali sono stati avviati appositi tavoli di confronto regionale.

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il deputato Francesco Acquaroli.

FRANCESCO ACQUAROLI (FDI). Signor Ministro, io non posso ritenermi soddisfatto, perché oggettivamente la cassa integrazione sta diventando in tanti casi il preavviso di chiusura. Oggettivamente, la crisi profonda nel nostro tessuto sociale ed economico è una crisi che preoccupa, perché facciamo vivere decine, centinaia, migliaia di famiglie nell'incertezza del futuro, del domani. Lei stessa, con le proroghe ripetute della cassa integrazione, capisce bene quello che è lo stato d'animo di chi non conosce il proprio futuro in un territorio dove non c'è alternativa al lavoro, perché la crisi di queste aziende coincide con la crisi di un sistema economico ben preciso. Noi vorremmo vedere da parte del Governo delle risposte. Vorremmo vedere una revisione rispetto ai licenziamenti collettivi che sono stati votati col Jobs Act. Vorremmo vedere da parte del Governo, anziché una serie ripetuta ed inutile di incontri, tipo quello degli Stati generali, il sostegno vero alla sburocratizzazione alle piccole e medie imprese, che sono le uniche che possono sostenere in questo momento il tessuto economico e la perdita eventuale di quei posti di lavoro (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia). Vorremmo vedere delle idee concrete che possano sostenere il rilancio di questi territori. Purtroppo noi non ci possiamo ritenere soddisfatti, perché, oltre a una serie di risposte elusive rispetto alla nostra domanda, non c'è neanche una visione chiara e concreta del futuro di questa gente e del nostro territorio (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

(Iniziative di competenza in relazione alla limitazione dell'autonomia della Regione di Hong Kong – n. 3-01674)

PRESIDENTE. Il deputato Guglielmo Picchi ha facoltà di illustrare l'interrogazione Formentini ed altri n. 3-01674 (Vedi l'allegato A), di cui è cofirmatario.

GUGLIELMO PICCHI (LEGA). Grazie, Presidente. L'Italia recentemente è stata un po' silenziosa sulla politica estera, da un lato sicuramente perché l'assenza di strategia è totale, e possiamo dire che manchi proprio una politica estera italiana, ne è testimonianza la partita libica, che abbiamo assolutamente perso. Capisco che il Ministro sia impegnato a incontrare Draghi, Letta, però ci sono questioni che non possono essere tralasciate, e la domanda che noi le poniamo oggi è molto semplice: cosa pensa il Governo italiano di quanto stia avvenendo ad Hong Kong. Altri Paesi sono stati estremamente vocali e assertivi per condannare quanto è avvenuto, il Governo italiano è stato in silenzio, quindi ci attendiamo da lei una risposta chiara e netta e non una velina semplice. A lei la parola, Ministro.

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Picchi, faccio io. Il Ministro degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, Luigi Di Maio, ha facoltà di risponderle.

LUIGI DI MAIO, Ministro degli Affari esteri e della cooperazione internazionale. Presidente, deputate e deputati, su Hong Kong l'Italia, assieme ai partner dell'Unione europea e G7, mantiene una posizione chiara e netta: difendiamo il principio “un Paese, due sistemi”, e continuiamo ad esprimere grave preoccupazione per le conseguenze dell'entrata in vigore il 1° luglio scorso della legge sulla sicurezza nazionale adottata dall'Assemblea nazionale del popolo. Con gli altri Paesi dell'Unione europea seguiamo la vicenda con la massima attenzione, e abbiamo reagito prontamente a ogni passo dell'iter legislativo che ha condotto all'adozione e all'entrata in vigore della nuova normativa. Dal 21 maggio scorso, giorno in cui Pechino ha annunciato di voler promulgare una legge sulla sicurezza nazionale, l'Italia si è pronunciata ben sette volte sulla questione, cinque volte con l'Unione europea (tre dichiarazioni dell'Alto rappresentante Borrell, del 22 e 29 maggio e del 1° luglio, e due dichiarazioni dell'Unione europea pronunciate a nome dei 27 Paesi membri in seno al Consiglio dei diritti umani del 23 e del 30 giugno).

A queste prese di posizione si aggiunge il comunicato dei Ministri degli esteri dei Paesi del G7 del 17 giugno. Io stesso, in occasione del Consiglio Affari esteri dell'Unione Europea del 29 maggio scorso, ho ribadito la nostra forte preoccupazione per gli effetti della scelta della Repubblica popolare cinese. Riteniamo essenziale che l'Unione europea e gli Stati membri, nel dialogo con la Cina, continuino a sollevare la questione con una voce unica e coesa, ribadendo che la legge sulla sicurezza nazionale non è conforme a quanto stabilito dalla Legge fondamentale di Hong Kong e dalla Dichiarazione sino-britannica del 1984. L'adozione e l'applicazione della nuova legge rischiano di minare la tenuta del principio “un Paese, due sistemi”, che è alla base dell'elevato grado di autonomia, dell'indipendenza della magistratura, dello Stato di diritto e del sistema di libertà e diritti fondamentali di Hong Kong. La posizione italiana, ribadita in tutti i contesti multilaterali e anche alle controparti cinesi nell'occasione dei colloqui bilaterali, è che occorre preservare la stabilità, la prosperità e l'autonomia di Hong Kong.

In conclusione, con le istituzioni dell'Unione europea e con gli altri Stati membri sono, inoltre, allo studio - e se ne è discusso questa settimana al Consiglio Affari esteri dell'Unione Europea - possibili iniziative al fine di garantire una risposta a sostegno della società civile e dei cittadini di Hong Kong, che sia coordinata e in linea con il principio “un Paese, due sistemi”, principio che dovrà regolare la sovranità della Repubblica popolare cinese sulla regione amministrativa speciale fino al 2047. Continuare ad operare in ambito Unione europea e nei consessi internazionali per adottare le misure più appropriate è la via che riteniamo più utile, molto più efficace di qualsiasi azione adottata dai singoli Paesi.

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il deputato Guglielmo Picchi.

GUGLIELMO PICCHI (LEGA). Grazie, Presidente. Ministro, lei si è nascosto dietro il multilateralismo, dietro l'Unione europea. La realtà è che l'Italia non ha affermato come avrebbe dovuto quello che è un principio cardine che il Governo italiano dovrebbe difendere: la libertà di Hong Kong (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier). È stato salvaguardato tutto, ma non la libertà dei cittadini di Hong Kong. Gli Stati Uniti hanno votato in modo bipartisan al Congresso l'Hong Kong Autonomy Act per dare un segnale forte ai cittadini di Hong Kong, di vicinanza ad Hong Kong e al Governo cinese. Il Regno Unito ha definitivamente escluso Huawei dalla gara del 5G e ha promesso la possibilità di estendere una classe di cittadinanza a 300 mila e passa cittadini di Hong Kong, che potrebbero quindi ottenere la cittadinanza britannica nel caso in cui continuasse ad essere perseguita la nuova security law che la Cina ha adottato.

Noi siamo dalla parte del popolo in modo chiaro, lo abbiamo fatto, siamo andati a dimostrare con il nostro leader, Matteo Salvini, di fronte all'ambasciata cinese. Ci aspettiamo che il Governo prenda atti efficaci, non solo atti multilaterali, perché è necessario essere con i cittadini di Hong Kong per difenderne tutte le libertà: la libertà di manifestazione, la libertà di poter avere un sistema politico che, come affermato dall'accordo sino-britannico del 1984, è un accordo del tutto speciale. In questo, l'Italia deve alzare la voce anche nell'Unione Europea, perché è inaccettabile che non ci sia una strategia europea commerciale e si debba essere sottoposti ai commerci tedeschi e negare i diritti umani di Hong Kong. Noi siamo con i cittadini di Hong Kong e lo voglio dire in cinese: wō zaì xiānggang (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier).

(Iniziative di competenza volte all'immediato rilascio di Patrick Zaki e alla tutela dei diritti umani e civili in Egitto – n. 3-01675)

PRESIDENTE. Passiamo all'interrogazione Quartapelle Procopio ed altri n. 3-01675 (Vedi l'allegato A).

Avverto che per un mero errore materiale, le firme di alcuni sottoscrittori della presente interrogazione non risultano pubblicate nell'allegato ordine del giorno, mentre risulteranno all'allegato della seduta odierna.

La deputata Lia Quartapelle ha facoltà di illustrare la sua interrogazione.

LIA QUARTAPELLE PROCOPIO (PD). Grazie mille, Presidente. 160: sono questi i giorni trascorsi in carcere in regime di detenzione arbitraria da Patrick Zaki, il cittadino egiziano, studente all'Università di Bologna, arrestato al ritorno nel suo Paese il 7 febbraio scorso. Lunedì il giudice ha prolungato il fermo di altri 45 giorni, senza formalizzare i capi d'accusa e quindi negando a Patrick la possibilità di difendersi.

Ieri è morto un giornalista che aveva contratto il COVID proprio a Tora, il carcere dove è rinchiuso Patrick Zaki. La domanda, Ministro, è molto semplice, gliela rivolgiamo con tutta la preoccupazione non solo del gruppo del Partito Democratico, ma di tutti i cittadini italiani che stanno seguendo questa vicenda: quali sono le iniziative che il Governo italiano ha intrapreso, sia in sede bilaterale nei rapporti con l'Egitto, sia nelle sedi europee e internazionali, per chiedere l'immediato rilascio di Patrick Zaki e, più in generale, il rispetto dei diritti umani in Egitto.

PRESIDENTE. Il Ministro degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, Luigi Di Maio, ha facoltà di rispondere.

LUIGI DI MAIO, Ministro degli Affari esteri e della cooperazione internazionale. Grazie, signor Presidente. Sul caso di Patrick Zaki, il ricercatore egiziano dell'Università di Bologna arrestato all'aeroporto de Il Cairo 7 febbraio di quest'anno siamo molto preoccupati come Governo, soprattutto a seguito della decisione da parte delle autorità egiziane di rinnovare nuovamente la carcerazione preventiva per altri 45 giorni.

A tal proposito, continuiamo dunque a mantenere alta l'attenzione sulla vicenda. Grazie all'operato della nostra ambasciata monitoriamo costantemente l'evolversi della situazione, sia in via bilaterale, sia in coordinamento con i nostri partner internazionali e anzitutto europei. Su mia indicazione, la nostra ambasciata al Cairo, appena è giunta la notizia dell'arresto, si è immediatamente attivata per attirare l'attenzione delle autorità locali sulla vicenda dello studente, promuovendo al tempo stesso l'inserimento del caso nel meccanismo di monitoraggio processuale coordinato dalla delegazione dell'Unione europea con sede a Il Cairo. Ciò ha fatto sì che rappresentanti diplomatici, non solo italiani, potessero essere presenti a nome dell'intera Unione europea già alla prima udienza di febbraio, a pochi giorni dall'arresto di Patrick. Un rappresentante della nostra ambasciata ha, poi, preso parte a tutte le udienze svoltesi in seguito, almeno finché l'emergenza sanitaria non lo ha reso impossibile, considerate le restrizioni all'accesso alle aule di giustizia adottate dalle autorità egiziane. Il nostro ambasciatore in Egitto, in linea con le istruzioni impartite dalla Farnesina, continua ad effettuare numerosissime azioni di sensibilizzazione presso le competenti istanze, sollecitando il rilascio di Patrick Zaki per motivi umanitari. Più nello specifico, il nostro capo missione ha reiteratamente sostenuto con le autorità egiziane la richiesta di scarcerazione per motivi di salute anche nei giorni antecedenti e in quelli immediatamente successivi all'udienza, che ne ha disposto il rinnovo della detenzione due giorni fa. Da ultimo, il 13 luglio l'ambasciatore Cantini ha compiuto un nuovo passo presso il Ministero degli Esteri egiziano. Nell'azione a tutto campo portata avanti sul caso, il nostro capo missione ha più volte sottolineato in tutti i suoi contatti con diversi attori qualificati la forte attenzione annessa alla vicenda dall'opinione pubblica e dalle istituzioni italiane, a cominciare dal Parlamento. Nel farlo ha ricordato, in particolare, la lettera che la presidente della Commissione straordinaria per i diritti umani del Senato, Pucciarelli, ha indirizzato al presidente del Consiglio nazionale per i diritti umani egiziano, Mohamed Fayek, e l'annuncio dei consigli comunali di Bologna e Milano di voler conferire la cittadinanza onoraria al giovane studente. Passi analoghi - e concludo, Presidente - sono stati portati avanti anche da importanti Paesi che, come il nostro, attribuiscono rilevanza prioritaria alla tutela dei diritti umani. Anche in sede di Unione europea è stata richiamata l'attenzione sulle precarie condizioni dei detenuti nelle carceri egiziane, con esplicita menzione del caso Zaki, sulla base di una proposta dell'Italia. La nostra ambasciata a Il Cairo si è mantenuta in costante contatto con l'organizzazione non governativa che segue il caso, con il team difensivo e con la famiglia di Patrick. Continueremo ad attribuire forte priorità a questo caso, soprattutto con riferimento alle sue condizioni detentive e alle esigenze di assicurare un iter processuale rapido, in vista di un auspicabile rilascio.

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il deputato Andrea De Maria.

ANDREA DE MARIA (PD). Signor Ministro, ritengo importanti gli impegni che ha sottolineato qui e anche quanto è già stato messo in atto dal nostro Governo e dalla nostra ambasciata. Peraltro, l'urgenza della liberazione di Patrick Zaki è resa ancora più seria da quanto ha ricordato ora la collega Quartapelle, cioè i rischi per i detenuti nelle carceri egiziane legati al COVID-19. Noi, come gruppo del Partito Democratico, continueremo un'iniziativa molto ferma e molto convinta per chiedere la liberazione di Patrick Zaki, per chiedere che ne sia garantita l'incolumità e ne siano garantiti i diritti umani e civili. Per noi i diritti umani e i diritti civili non hanno confini, sono principi che ci vengono dalla nostra Costituzione, devono valere sempre, in tutto il mondo; peraltro, Zaki è in carcere proprio perché si è impegnato a difesa dei diritti civili nel suo Paese. Noi abbiamo un rapporto di amicizia con l'Egitto, abbiamo relazioni con l'Egitto, ma, proprio per questo, riteniamo importante che il Governo metta in atto un'azione diplomatica per chiedere il rispetto dei diritti umani in quel Paese e per sostenere un processo di maggiore democrazia in Egitto, che crediamo sia anche molto importante per garantire la stabilità di uno Stato, come quello egiziano, che è un attore così significativo in Medio Oriente, nel bacino del Mediterraneo. Poi, come è stato ricordato, Zaki studiava e studia all'Università di Bologna, diventerà cittadino onorario di tanti comuni italiani e riteniamo, quindi, che l'impegno per la sua liberazione attenga anche alla nostra dignità nazionale, come la battaglia per chiedere verità e giustizia per Giulio Regeni e per chiedere che gli assassini di Giulio Regeni siano individuati e paghino per i loro crimini.

PRESIDENTE. È così esaurito lo svolgimento delle interrogazioni a risposta immediata. Sospendiamo, a questo punto la seduta, che riprenderà alle ore 16.

La seduta, sospesa alle 15,55, è ripresa alle 16.

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Amitrano, Benvenuto, Claudio Borghi, Brescia, Businarolo, Cavandoli, Colucci, Davide Crippa, D'Incà, Delmastro Delle Vedove, Delrio, Ferri, Formentini, Frassinetti, Gallinella, Gallo, Gebhard, Gelmini, Giaccone, Giachetti, Giorgis, Invernizzi, Liuni, Lollobrigida, Lorefice, Lupi, Maggioni, Molinari, Orrico, Parolo, Ravetto, Schullian, Sisto, Tasso, Tomasi, Villarosa, Raffaele Volpi e Zoffili sono in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta.

Potete abbassare il volume, cortesemente… colleghi, se fosse possibile abbassare il volume, perché altrimenti non si capiscono bene le missioni.

I deputati in missione sono complessivamente ottantanove, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Assegnazione alla V Commissione (Bilancio) dei disegni di legge relativi al rendiconto generale dell'Amministrazione dello Stato per l'esercizio finanziario 2019 e all'assestamento del bilancio dello Stato per l'anno finanziario 2020.

PRESIDENTE. A norma del comma 1 dell'articolo 72 del Regolamento, i seguenti disegni di legge sono assegnati alla V Commissione (Bilancio), in sede referente, con il parere di tutte le altre Commissioni permanenti e della Commissione parlamentare per le questioni regionali: “Rendiconto generale dell'Amministrazione dello Stato per l'esercizio finanziario 2019” (2572); “Disposizioni per l'assestamento del bilancio dello Stato per l'anno finanziario 2020” (2573).

Le Commissioni, ai fini dell'espressione del parere e della conclusione dell'esame in sede referente, dovranno tener conto delle determinazioni che saranno assunte dalla Conferenza dei presidenti di gruppo in relazione all'iscrizione dei due disegni di legge nel calendario dei lavori dell'Assemblea.

Discussione della relazione delle Commissioni III (Affari esteri e comunitari) e IV (Difesa) sulla deliberazione del Consiglio dei ministri in merito alla partecipazione dell'Italia a ulteriori missioni internazionali per l'anno 2020, adottata il 21 maggio 2020 (Doc. XXV, n. 3) e sulla relazione analitica sulle missioni internazionali in corso e sullo stato degli interventi di cooperazione allo sviluppo a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione, riferita al periodo 1° gennaio-31 dicembre 2019, anche al fine della relativa proroga per il periodo 1° gennaio-31 dicembre 2020, deliberata dal Consiglio dei ministri il 21 maggio 2020 (Doc. XXVI, n. 3). (Doc. XVI, n. 3).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della relazione delle Commissioni III (Affari esteri e comunitari) e IV (Difesa) sulla deliberazione del Consiglio dei ministri in merito alla partecipazione dell'Italia a ulteriori missioni internazionali per l'anno 2020, adottata il 21 maggio 2020 (Doc. XXV, n. 3) e sulla relazione analitica sulle missioni internazionali in corso e sullo stato degli interventi di cooperazione allo sviluppo a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione, riferita al periodo 1° gennaio-31 dicembre 2019, anche al fine della relativa proroga per il periodo 1° gennaio-31 dicembre 2020, deliberata dal Consiglio dei ministri il 21 maggio 2020 (Doc. XXVI, n. 3). (Doc. XVI, n. 3).

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).

Avverto, inoltre, che le eventuali risoluzioni devono essere presentate entro il termine della discussione.

(Discussione)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione.

Ha facoltà di intervenire la relatrice, presidente della Commissione esteri, deputata Marta Grande.

MARTA GRANDE, Relatrice per la III Commissione. Presidente, colleghi deputati, recependo in pieno lo spirito delle leggi di riforma del settore, le Commissioni affari esteri e difesa hanno svolto nei giorni scorsi un ampio lavoro di riflessione sui contenuti della deliberazione del Consiglio dei ministri in merito alla partecipazione dell'Italia a ulteriori missioni internazionali per il 2020 e sulla relazione analitica sulle missioni internazionali in corso e sullo stato degli interventi di cooperazione allo sviluppo a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione, riferita al 2019, adottate ai sensi, rispettivamente, degli articoli 2 e 3 della legge n. 145 del 2016. Oltre alle posizioni del Governo, esposte nelle comunicazioni rese dai Ministri competenti davanti alle Commissioni riunite affari esteri e difesa dei due rami del Parlamento, sono stati acquisiti ulteriori importanti elementi conoscitivi in occasione delle audizioni del Capo di Stato maggiore della difesa, del direttore generale del Ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale per la cooperazione allo sviluppo e del Comandante del Comando operativo di vertice interforze.

Queste interlocuzioni ci hanno consentito di valutare l'adeguatezza degli interventi di natura militare e civile, elencati nelle deliberazioni governative, rispetto agli interessi nazionali, così pure in relazione al sistema di alleanze e al posizionamento del nostro Paese nelle organizzazioni internazionali e rispetto ai partner di riferimento.

Vorrei soffermarmi sui profili più strettamente inerenti agli ambiti di competenza della Commissione affari esteri e rinvio, per ulteriori dettagli, al testo della relazione per l'Assemblea, approvato dalle Commissioni riunite il 7 luglio scorso.

Mi preme, in particolare, evidenziare che la significativa presenza italiana nel quadro delle operazioni internazionali resta profondamente ancorata ai valori e ai principi della Carta costituzionale, mantenendo come propri obiettivi precipui la stabilizzazione delle crisi in atto, la gestione ordinata dei processi di transizione, il sostegno ad agende riformiste inclusive.

Al tempo stesso, la nostra partecipazione a grandi operazioni multilaterali serve anche a qualificare la nostra postura internazionale, a fronte delle nuove minacce che segnano l'emergere di nuove sfide all'ordine globale, con le quali siamo chiamati a confrontarci con realismo e lucidità.

Si tratta, come sappiamo, di un'agenda connotata da una pluralità di fattori critici, a cominciare dall'area del Mediterraneo, che in questi ultimi decenni ha vissuto e sta vivendo una progressiva estensione della sua profondità geopolitica, andando a ricomprendere tutto il Medioriente, il Golfo Persico, i Balcani e l'Africa occidentale.

Va ribadito in questa sede che tali missioni e tali interventi concorrono a rafforzare, soprattutto in questo tempo di crisi e di incertezze, il profilo della nostra identità mediterranea, che deve continuare a caratterizzare il nostro modo di stare all'interno delle Nazioni Unite, dell'Alleanza atlantica e della stessa Unione europea, per far sì che tali organizzazioni continuino a perseguire un impegno comune nella lotta contro il terrorismo e per una condivisione più equa e responsabile delle conseguenze del fenomeno migratorio, come pure tutte quelle altre sfide, ad esempio tragedie umane ed odio settario, che contribuiscono a rendere il Mediterraneo allargato un epicentro del disordine globale.

Di fronte all'enormità di queste sfide - che spesso ha colto in ritardo le grandi organizzazioni multilaterali e sovranazionali - il nostro Paese ha risposto, sia sul piano diplomatico che su quello militare, dimostrando una notevole capacità di intervento, in termini di prevenzione di attacchi terroristici, salvataggio di vite umane nelle acque del Mediterraneo, identificazione ed espulsione dal nostro territorio degli estremisti violenti, azioni diplomatiche e iniziative multilaterali.

Sul versante libico, in particolare, il nostro Paese è attivamente impegnato nell'attuazione dei meccanismi di seguito dell'iniziativa di Berlino recepita nella risoluzione n. 2510 del 2020 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite del 12 febbraio scorso, sostenendo l'avvio di tre esercizi di dialogo intra-libico, previsto dalle conclusioni di Berlino, riguardanti segnatamente il track militare, quello economico e quello politico. Occorre ribadire che l'Italia non crede ad una soluzione militare della crisi libica ed è per questo che dobbiamo assicurare un approccio ancora più assertivo, da parte italiana, nell'azione delle Nazioni Unite a favore del dialogo intra-libico.

Voglio sottolineare in questa sede il rilievo strategico che assume, in questa delicata temperie, la prosecuzione del nostro impegno in Libia, su richiesta del Governo nazionale libico, volto a fornire assistenza specialistica nell'addestramento e nella condotta delle operazioni di sminamento e bonifica di ordigni disseminati nelle aree urbane di Tripoli, a valere sulle risorse già stanziate.

Nell'ambito dello sforzo profuso dall'Italia sul piano diplomatico, per la pacificazione e la stabilizzazione della Libia, è di particolare rilievo, inoltre, il processo in atto, finalizzato alla revisione del Memorandum d'intesa, sottoscritto con le autorità libiche nel 2017, che ha già trovato riscontro in esplicite rassicurazioni da parte libica, sul terreno del rispetto dei diritti umani e su una maggiore presenza delle organizzazioni internazionali in Libia.

In piena coerenza con tali orientamenti, le Commissioni riunite III e IV hanno approvato una proposta emendativa, che, proprio con riferimento alla missione bilaterale di assistenza e di supporto in Libia, prefigura una possibile estensione dell'assistenza sanitaria da Misurata ad altre città, quale Bengasi, Tripoli e Tobruk, particolarmente richiesta nel momento presente e con una pandemia ancora in atto.

L'azione del nostro Paese è stata altresì diretta a garantire un ruolo più attivo da parte dell'Unione europea nell'area ed ha portato alla decisione del Consiglio Affari esteri, dello scorso 17 febbraio, di concludere l'operazione Sophia e vararne una nuova, Irini, nel Mediterraneo, a sostegno del processo di Berlino e con l'obiettivo di attuare, tramite assetti aerei, satellitari e marittimi, l'embargo delle Nazioni Unite in Libia, che costituisce una delle nuove operazioni internazionali previste nel 2020 dalla deliberazione governativa.

La nuova operazione dell'Unione europea si collega coerentemente ad un'altra direttrice della nostra azione internazionale: sostenere la politica di sicurezza e difesa europea, per consentire all'Unione europea di incrementare la propria capacità di agire sulla scena internazionale, nel quadro di un approccio integrato alla gestione della crisi.

Dobbiamo sempre più maturare la consapevolezza che la nostra partecipazione alle missioni civili e militari promosse dall'Unione europea serve a rafforzare l'azione per la sicurezza del nostro Paese, avvalendosi dell'effetto moltiplicatore dato dall'agire in un contesto più ampio di quello puramente bilaterale.

Dall'adozione della Strategia globale nel 2016 l'Unione europea ha indiscutibilmente fatto degli enormi progressi, per ritagliarsi un ruolo da protagonista anche nel campo della sicurezza e della difesa attraverso proposte solide, che convergono nella cosiddetta “autonomia strategica” per un'Unione più forte e responsabile.

Autonomia strategica, infatti, significa un'Unione che vuole e deve essere in grado di agire in modo indipendente, se necessario, e con mezzi propri, aprendo uno spazio nuovo e autonomo di azione, in grado di esprimere una capacità strategica globale in tutti i settori chiave. L'Unione europea sarebbe così in condizione di svolgere un ruolo credibile quale security provider in ambito internazionale.

L'Unione, lungi dal voler essere un elemento solista nel campo della sicurezza e difesa, continua a prestare molta attenzione alla cooperazione in generale e a quella con la NATO in particolare.

In questa prospettiva è interesse del nostro Paese continuare a sostenere una cooperazione sempre più stretta tra NATO e Unione europea, in ambiti come il contrasto alle minacce ibride, la difesa civile e le esercitazioni congiunte al fine di migliorare le best practices e l'interoperabilità.

L'Alleanza atlantica, i cui compiti principali sono la difesa collettiva, la gestione delle crisi e la sicurezza cooperativa, ha dato avvio a un processo di adattamento volto a rafforzare la postura di deterrenza e di difesa, per meglio far fronte a minacce convenzionali e non, provenienti da attori statali e non statuali e da tutte le direzioni strategiche.

L'adattamento e il rafforzamento della resilienza e della difesa civile, specie dopo la crisi determinata dalla pandemia da COVID-19, si è confermato un ambito cruciale per salvaguardare la continuità del governo, la protezione delle infrastrutture critiche e l'erogazione di servizi essenziali in caso di emergenze civili. Ed è dunque nostro interesse rafforzare le relative capacità dell'Alleanza, laddove esiste un valore aggiunto ed in stretto raccordo con l'Unione europea.

Su impulso italiano e grazie anche all'intenso lavoro svolto dalla nostra partecipazione presso l'Assemblea parlamentare della NATO, l'Alleanza si concentra oggi maggiormente sui pericoli e le criticità del suo versante meridionale, sia in termini di pianificazione militare che di rafforzamento della cooperazione pratica e del dialogo politico con i Paesi partner della regione MENA.

Va inoltre sottolineato che il contributo del nostro Paese alle missioni NATO in Afghanistan, in Kosovo e in Iraq è considerato, nell'ambito dell'Alleanza, uno degli aspetti più qualificanti del nostro contributo al cosiddetto burden sharing alleato e risulta particolarmente apprezzato anche dai Governi dei Paesi in cui operiamo.

La deliberazione al nostro esame conferma lo sforzo posto in atto dal nostro Paese nel contrasto a Daesh, attraverso un considerevole contributo alla coalizione internazionale anti-ISIS, sia sotto il profilo militare sia sul versante dei contributi per la stabilizzazione delle aree liberate.

Sebbene sconfitto militarmente, l'ISIS continua a rappresentare una grave minaccia. In Siria e in Iraq ha dato vita a un network di cellule, con l'intento di creare massima instabilità ed eventualmente tornare al controllo territoriale, sfruttando anche la diffusione del COVID-19. Inoltre, l'organizzazione terroristica sta rafforzando la rete di branche e gruppi affiliati sorti in varie aree del globo, rendendoli centrali anche nella propria propaganda. In un simile scenario occorre senz'altro proseguire alla repressione della rete di Daesh sul terreno.

In Iraq, l'Italia sostiene le attività di training di forze militari e di polizia irachene e curde, operazioni di intelligence, ricognizione e soccorso ed attività di rifornimento in volo, operando al contempo in favore della stabilizzazione delle aree liberate sostenendo il fondo dell'UNDP per la ripresa post-bellica di quelle aree, cui si associa il nostro peculiare impegno per la salvaguardia del patrimonio storico e archeologico iracheno.

In tale prospettiva si colloca la nostra partecipazione alla nuova operazione dell'Unione europea denominata European Union advisory mission in support of security sector reform in Iraq ed intesa a fornire consulenza e competenza alle autorità irachene a livello strategico, per individuare e definire i requisiti necessari all'attuazione coerente degli aspetti inerenti alla dimensione civile della riforma del settore della sicurezza, nell'ambito del programma di sicurezza nazionale iracheno e dei piani collegati.

Nonostante l'importante risultato conseguito con l'eliminazione di al-Baghdadi, la guerra civile in Siria, ulteriormente aggravata dalla diffusione del COVID-19, e la perdurante operatività di cellule di Daesh e di gruppi affiliati ad al-Qaeda continuano a rappresentare le minacce più rilevanti alla pace e alla stabilità dell'intera regione, con riflessi importanti sul piano migratorio e della sicurezza sugli stessi Paesi europei. A ciò si aggiunge l'esigenza di contribuire a una de-escalation delle crisi a livello regionale che hanno il proprio fulcro nel teatro siriano, fra cui le tensioni tra Iran e Israele e le ripercussioni delle operazioni turche nel nord-est e nel nord-ovest del Paese.

In Africa le problematiche di sviluppo si intrecciano con l'instabilità politica e istituzionale che caratterizza alcuni Paesi che presentano sfide legate alla rapida crescita demografica, ai traffici illeciti e alle minacce alla sicurezza connesse alla minaccia terroristica, agli effetti degli eventi climatici estremi quali siccità e alluvioni, rese ancora più urgenti dalla questione migratoria che mantiene un'importanza prioritaria e trasversale. Tali fattori determinano nei Paesi in questione una situazione di perdurante emergenza caratterizzata da una mobilità forzata della popolazione e dal mancato accesso di parte di essa ai servizi di base, da crisi alimentari ricorrenti e da elevata vulnerabilità nutrizionale, aggravata dall'inadeguatezza dello sviluppo rurale e dalla carenza di servizi sociali.

Due le aree di crisi principali i cui fronti, malgrado l'impegno finora profuso, si stanno ampliando e rischiano di fondersi in un'unica area: quella saheliana, che man mano si estende sempre più verso l'area del Golfo di Guinea, e quello del Corno d'Africa, dove una molteplicità di attori, anche esterni, determina una situazione di instabilità che dura da diversi decenni e le cui propaggini di fondamentalismo violento si stanno sempre più estendendo verso sud, arrivando a coinvolgere Tanzania e Mozambico.

A tale proposito giova ricordare, in particolare, la decisione, assunta nel corso del Summit NATO di Varsavia del luglio 2016, di costruire un hub per la direzione strategica dell'Alleanza atlantica su Medio Oriente, Nord Africa, Sahel e Africa subsahariana, allo scopo di rafforzare la comprensione dell'Alleanza sull'Africa e sul Medio Oriente, fornendo prospettive e analisi e promuovendo lo scambio di informazioni con Paesi e organizzazioni partner, al fine di evidenziare le dinamiche regionali rilevanti per la sicurezza euro-atlantica.

Nella prima delle due aree strategiche si segnala il nuovo quadro politico, strategico e operativo ribattezzato “Coalizione per il Sahel”, che intende una piattaforma di coordinamento integrata, finalizzata a mobilitare un più efficace sostegno alla stabilizzazione e sicurezza dei Paesi del G5 nei quattro pilastri di assistenza: cooperazione militare, del capacity building securitario, di quello civile e dello sviluppo.

Per l'Italia, che avrà la possibilità di contribuire alla elaborazione dell'indirizzo politico della Coalizione per il Sahel, i nuovi assetti rappresentano un'opportunità per valorizzare in maniera più strutturata il proprio contributo per la stabilizzazione della regione, un contributo che potrà aumentare ulteriormente negli anni a venire, tenuto conto della crescente rilevanza strategica del Sahel per la visione italiana di un Mediterraneo allargato; è in tal senso che sono chiamate a dare un contributo decisivo due nuove iniziative.

Non avendo tempo, Presidente, chiedo di poter depositare il testo dell'intervento affinché venga riportato.

PRESIDENTE. Certo, presidente Grande.

Ha facoltà di intervenire anche il relatore per la Commissione difesa, il deputato Iovino. Prego, collega.

LUIGI IOVINO, Relatore per la IV Commissione. Grazie, Presidente. Colleghi deputati, le Commissioni affari esteri e difesa hanno svolto nelle scorse settimane un'ampia istruttoria in merito alla deliberazione del Consiglio dei Ministri del 21 maggio che delinea il quadro generale della partecipazione italiana alle missioni internazionali per l'anno 2020, sia con riferimento alle cinque nuove missioni che il Governo intende avviare in tale anno sia con riferimento a quelle di cui si propone la proroga. In particolare, i Ministri Di Maio e Guerini, nel corso delle comunicazioni rese lo scorso 25 giugno, hanno descritto con puntualità la complessità dello scenario internazionale e della sicurezza e il ruolo fondamentale del nostro Paese nel garantire la stabilità e la sicurezza di quell'area di crisi, la cui fragilità politica e sociale rappresenta una minaccia per la stabilità globale e la salvaguardia degli interessi vitali nazionali.

Il dibattito svolto successivamente alle richiamate comunicazioni ha consentito il più ampio confronto politico sugli indirizzi generali della nostra politica estera e di sicurezza, secondo una dialettica istituzionale che risponde pienamente allo spirito della legge di riforma sulle missioni internazionali che nel 2016 ha ridefinito il rapporto tra Governo e Parlamento in materia di autorizzazione e proroga della partecipazione italiana alle missioni internazionali.

In particolare, è stata sottolineata la necessità che il nostro Paese mantenga fermo il proprio impegno contro il terrorismo internazionale a sostegno dei diritti umani e delle libertà fondamentali contro ogni forma di discriminazione nei confronti delle minoranze e anche di una condivisione più equa e responsabile nelle conseguenze del fenomeno migratorio.

Quello dell'Italia nelle missioni internazionali è un impegno militare, politico e finanziario di assoluto rilievo che rafforza la credibilità internazionale del nostro Paese e del suo ruolo di primo piano nel prendere parte alle decisioni strategiche riguardanti le principali aree di crisi. Il coinvolgimento nazionale in missioni della NATO, dell'Unione europea o delle Nazioni Unite permette, infatti, all'Italia di rafforzare il proprio ruolo internazionale nel quadro della tradizionale politica multilaterale del nostro Paese, contribuendo ad assicurare una maggiore solidità alla cornice della sicurezza globale. In quest'ottica vanno certamente inquadrate le cinque nuove missioni che il Governo sottopone all'approvazione del Parlamento ai fini del loro avvio nel corrente anno e riguardanti il Mediterraneo, il Medio Oriente, l'area strategica del Sahel e l'Iraq, zone caratterizzate da un quadro geopolitico e di sicurezza incerto e instabile e che, pertanto, destano preoccupazione anche per i numerosi focolai di tensione e le gravi crisi aperte in diverse regioni.

Le basi giuridiche di queste nuove missioni sono diverse: la missione Eunaforv-Med Irini nel Mediterraneo e la missione EUAM Iraq si svolgeranno sotto il mandato dell'Unione europea, mentre la missione Task Force Takuba è frutto di un accordo fra la Francia e altri 13 Paesi europei, fra cui l'Italia; infine, ci sono il dispositivo nazionale aeronavale nel Golfo di Guinea e l'operazione della NATO per garantire la sicurezza del cosiddetto “Fianco Sud” dell'Alleanza Atlantica, particolarmente esposto ai rischi conseguenti all'instabilità politica del Nord Africa e del Medio Oriente. In relazione a queste missioni, Presidente, le più significative da un punto di vista degli assetti di personale e di mezzi navali impiegati sono l'operazione dell'Unione europea Irini, la missione Takuba nel Sahel, dove persiste una grave minaccia terroristica di matrice islamica legata anche all'instabilità dello scacchiere libico e al dispositivo aeronavale nazionale per l'attività di presenza, sorveglianza e sicurezza nel Golfo di Guinea.

L'operazione Eunaforv-Med Irini, che subentra all'operazione Sophia conclusasi lo scorso 31 marzo, si pone come compito prioritario quello di contribuire all'attuazione dell'embargo sulle armi imposto dall'ONU nei confronti della Libia con mezzi aerei, satellitari e marittimi. A tal fine, l'operazione potrà svolgere ispezioni sulle imbarcazioni al largo della costa libica sospettate di trasportare armi o materiale connesso da e verso la Libia ed effettuare gli interventi per sequestrare o smaltire tali prodotti, anche al fine di deviare tali imbarcazioni e i loro equipaggi verso un porto adatto e facilitare tale smaltimento con il consenso dello Stato di approdo, a norma della risoluzione 2292 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. La missione non avrà lo stesso raggio dell'operazione Sophia, conclusasi lo scorso 31 marzo, che controllava l'intera costa libica, ma si concentrerà sulla parte orientale della costa libica, in particolare nella zona di alto mare antistante la Cirenaica, sulla quale maggiormente si concentrano i traffici d'armi. L'operazione non potrà, però, operare all'interno delle acque territoriali libiche, ossia entro le 12 miglia dalla costa libica. Come già per l'operazione Eunaforv-Med Sophia, il comando operativo dell'operazione Eunaforv-Med Irini avrà sede a Roma, con il quartier generale all'interno del comando operativo interforze di Centocelle e l'operazione sarà guidata dal contrammiraglio Fabio Agostini.

Per l'Italia lo sforzo nell'ambito dell'operazione Irini si aggiunge a quello previsto in altre due missioni bilaterali di assistenza alla Libia, in una missione dell'Unione europea e nel dispositivo aeronavale nazionale “Mare Sicuro”, apprestato per la sicurezza dei confini nazionali nell'area del Mediterraneo e comprensivo del supporto della Guardia costiera libica richiesto dal Consiglio presidenziale - Governo di accordo nazionale libico. Al riguardo, osservo che in relazione alla missione bilaterale di assistenza e supporto alla Libia, contemplata dalla scheda 21 del 2020, le Commissioni Esteri e Difesa hanno approvato un emendamento volto a estendere l'assistenza sanitaria offerta dai nostri militari a ulteriori città rispetto a quella di Misurata, sempre che tale assistenza venga richiesta dal Governo di accordo nazionale libico. Con riferimento, invece, alla missione bilaterale di assistenza alla Guardia costiera libica, è stato auspicato, in particolare, un impegno del Governo volto alla conclusione del processo di revisione del Memorandum concluso con la Libia nel 2017, nella direzione del rigoroso rispetto dei diritti umani e con la garanzia di una maggiore presenza delle organizzazioni internazionali sul territorio libico. In relazione sempre allo scenario libico, ricordo che l'esigenza di un maggiore impegno in Libia era stato sottolineato dal Ministro della Difesa nel corso dell'illustrazione alle Commissioni Difesa, di Camera e Senato, delle linee programmatiche del suo Dicastero. In tale sede era emersa anche l'intenzione di potenziare la presenza nel Sahel e in Iraq, poi ulteriormente ribadita nel corso delle sedute delle Commissioni Esteri e Difesa, di Camera e Senato lo scorso 15 gennaio, quando il Ministro, successivamente all'uccisione del generale Soleimani, ha riferito sulla situazione dei contingenti militari italiani impegnati in missioni internazionali in Medio Oriente, con particolare riferimento all'Iraq. Particolarmente significativa è, pertanto, anche la prevista partecipazione dell'Italia alla missione Takuba nel Sahel, operazione multinazionale interforze con il mandato di addestrare, assistere le forze saheliane, al fine di contrastare la minaccia terroristica sita in quell'area geografica. La forza multinazionale Takuba si inserisce nel nuovo quadro politico, strategico e operativo ribattezzato “Coalizione per il Sahel”, che riunisce sotto il comando congiunto la forza dell'operazione Barkhane, a guida francese, e la forza congiunta G5 Sahel, al fine di coordinare al meglio la loro azione e concentrando gli sforzi militari nelle tre aree di confine. La partecipazione italiana alla Task Force Takuba, oltre a fornire un contributo al rafforzamento delle capacità di sicurezza nella regione del Sahel, risponde all'esigenza di tutela degli interessi nazionali in un'area strategica considerata prioritaria. Le attuali condizioni di sicurezza nel Sahel, infatti, preoccupazioni per l'Italia, poiché da questa regione originano traffici e flussi migratori, violenza diffusa e terrorismo, con un diretto impatto sulla sicurezza del nostro continente. Ricordo a questo proposito, Presidente, che l'Italia conferma, nel 2020, l'impegno nel Sahel, partecipando alla missione bilaterale in Niger, alla missione ONU MINUSMA, nonché alle missioni dell'Unione europea EUTM Mali, EUCAP Sahel Mali, EUCAP Sahel Niger.

Un nuovo intervento significativo è rappresentato dal dispositivo aeronavale nazionale nel Golfo di Guinea per fronteggiare le esigenze di prevenzione e contrasto della pirateria e della rapina a mano armata in mare. La partecipazione italiana a questa missione ha l'obiettivo di assicurare la tutela degli interessi strategici nazionali nell'area, con particolare riferimento alle acque della Nigeria. A tal proposito, la documentazione in esame ricorda che il Golfo di Guinea, le cui acque si estendono per migliaia di chilometri dall'Angola al Senegal, è considerato il più pericoloso per i numeri di attacchi, di atti di pirateria alle imbarcazioni e agli equipaggi in transito. Nuova è anche la missione dell'Unione europea in Iraq a sostegno della riforma della sicurezza civile e la partecipazione all'iniziativa della NATO di consulenza, formazione e tutoraggio nel settore della sicurezza in favore di Paesi partner situati lungo il fianco sud dell'Alleanza, che ne facciano richiesta.

Per quanto riguarda, poi, le missioni di cui si propone la proroga nell'anno 2020, la proroga stessa riguarda 9 missioni in Europa, 10 missioni in Asia e 18 missioni in Africa. Sono prorogati, poi, quattro interventi di potenziamento dei dispositivi NATO, il mantenimento del dispositivo nazionale “Mare Sicuro”, il mantenimento del dispositivo info operativo dell'Agenzia informazione e sicurezza esterna a protezione del personale delle Forze armate impiegato all'estero e un finanziamento per interventi riguardanti più teatri operativi. In relazione a quest'ultimo dispositivo, Presidente, ricordo che le Commissioni Esteri e Difesa hanno approvato, all'unanimità, un emendamento con il quale si impegna il Governo ad assicurare un rafforzamento di risorse delle attività a tutela della sicurezza nazionale, anche in ragione della volatilità dei contesti di cui sopra. La proroga riguarda, inoltre, la prosecuzione degli interventi di cooperazione allo sviluppo che sono stati previsti a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione in precedenza illustrati dalla relatrice per la III Commissione, presidente Marta Grande. Il maggior numero di missioni è presente nel continente africano, con un riferimento alla consistenza numerica delle unità impiegate nei diversi teatri operativi, il maggior numero di militari, però, è autorizzato in Asia. Il contingente italiano all'estero più numeroso è quello impegnato nella coalizione internazionale di contrasto alla minaccia terroristica del Daesh. In Iraq, l'Italia è altresì presente con l'operazione NATO Mission in Iraq, il cui obiettivo è quello di offrire un ulteriore sostegno al Governo iracheno nei suoi sforzi per stabilizzare il Paese e combattere il terrorismo in tutte le sue forme e manifestazioni. La seconda missione con la maggior presenza di soldati italiani è il Libano, dove l'Italia partecipa alla missione UNIFIL. Nel Paese è anche presente la missione militare bilaterale italiana in Libano, nota come MIBI

L'Afghanistan, Presidente, è il terzo Paese per presenza di militari italiani, con 800 unità, 145 mezzi terrestri e otto mezzi aerei impiegati nella missione Resolute support, finalizzata all'addestramento, alla consulenza e all'assistenza delle Forze armate e delle istituzioni afgane. La missione ha come centro nevralgico la capitale Kabul, ma è presente anche in altre quattro città, tra le quali Herat e Kandahar.

Un contingente particolarmente numeroso è anche quello stanziato nei Balcani, area questa ritenuta dal Governo di “rinnovata attualità strategica”, sia per monitorare le criticità correlate ai flussi migratori che l'attraversano, sia per supportare i successivi passi dell'integrazione euro-atlantica. A tal proposito, l'Italia incrementa in maniera significativa la presenza dell'operazione Joint Enterprise.

Come precisato anche dal Governo nella scheda relativa alla missione, l'incremento del personale rispetto al precedente anno è finalizzato alla realizzazione di un team per la protezione cibernetica delle reti non classificate nel contingente e personale tecnico a favore della componente ISR e C-UAS, al fine di colmare le carenze capacitivi evidenziate dal Comando. Segnalo, inoltre, l'incremento significativo della partecipazione italiana all'operazione della NATO Sea guardian, nel Mar Mediterraneo.

Come precisato anche dal Governo, l'incremento è da porre in relazione alla presenza di un ulteriore assetto navale per l'attività di raccolta dati e l'attività di presenza e sorveglianza navale nell'area del Mediterraneo orientale. È previsto, inoltre, il supporto di un ulteriore mezzo aereo in aggiunta a quello già presente nel 2019.

Con riferimento, infine, al continente africano, la presenza italiana più consistente è quella nell'operazione dell'Unione europea antipirateria denominata Atalanta e nella richiamata missione bilaterale di assistenza e supporto in Libia.

In conclusione, Presidente, voglio sottolineare che, anche quest'anno, l'impegno delle nostre Forze armate all'estero si caratterizza per una forte operatività nei diversi scenari, in sintonia e in sinergia anche con le attività di cooperazione allo sviluppo a sostegno dei processi di pace e stabilizzazione, svolgendo un ruolo che è da sempre finalizzato alla pace internazionale, al progresso della democrazia e dei popoli, e alla tutela dei più deboli.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Galantino. Ne ha facoltà.

DAVIDE GALANTINO (FDI). Presidente, è molto difficile rappresentare in pochi minuti la complessa questione delle missioni internazionali e, soprattutto, fare un intervento prettamente politico, essendo un po' di parte e avendo in prima persona partecipato alle missioni di cui stiamo parlando. Quindi, per me è anche un grande onore, oggi, portare in quest'Aula anche la voce dei migliaia di militari impiegati nei vari teatri operativi esteri. Ringrazio i colleghi di Fratelli d'Italia delle Commissioni difesa ed esteri perché, grazie ai nostri continui confronti, riusciamo a fare sintesi per portare continuamente le nostre proposte finalizzate a valorizzare la vita di ciascun militare.

Le missioni mi ricordano anche i giorni in cui dentro di me è iniziato quel processo di consapevolezza che mi ha spinto, oggi, a mettermi al servizio della nazione, della politica e, probabilmente, erano gli anni in cui non comprendevo la grandezza di quello che stavo facendo. Ovviamente, non posso non ricordare quei militari che, nel fare il loro dovere, sono rientrati avvolti nel tricolore (Applausi), tanti colleghi che hanno subito grossi problemi di salute; sono tanti gli amici che oggi non ci sono più e per i quali noi urleremo sempre “presente”.

Quindi, solo chi ha partecipato può conoscere l'entità di ciò di cui stiamo parlando e sono tantissime le storie che potrei raccontare per ricordare le famiglie che abbiamo protetto, i progetti realizzati; storie di vita che abbiamo condiviso e per cui abbiamo lasciato una parte di noi in quelle terre lontane. Penso a Fitime, una graziosa bambina di quattro anni che veniva a trovarmi sul check point alle 6,30 in punto, tutte le mattine, precisa come un orologio, perché le davo una tavoletta di cioccolata; Fitime se ne stava tutta sola ad un centinaio di metri dalla sua baracca, senza scarpe, una magliettina e dei pantaloncini e c'erano 10 gradi sotto zero. Mi viene in mente Jovana, una signora di origine serba che aveva il terrore di andare a fare la spesa da sola, infatti io e il mio collega la accompagnavamo al negozio, sapendo che saremmo stati circondati da decine di individui pronti a linciarla solo perché era di origini diverse. Oppure c'è Shpend, Shpend Lila un ragazzino kosovaro, che ultimamente ha avuto anche l'attenzione della stampa nazionale, perché su Twitter si è rivolto direttamente al Ministro della difesa per ritrovare un collega paracadutista ritratto con lui in uno scatto di 21 anni prima, ai tempi della missione di pace in Kosovo. È stata una grande sorpresa per me quando, curiosando sul profilo Twitter di Shpend, ho visto un uomo in giacca e cravatta, e la piacevole scoperta è stata sapere che vive ancora in Kosovo. Mi piace quindi pensare che grazie anche al nostro contributo Shpend, come Fitime, come Jovana, abbiano trovato la forza di combattere per vivere nella propria terra (Applausi).

Perché è questo il tema di oggi, Presidente: combattere perché chiunque possa vivere nella propria terra, lottare per migliorarla; un tema che non riguarda solo i militari, che non riguarda solo la presenza nei nostri teatri operativi. Questo è un tema che riguarda la sicurezza di tutti i cittadini e le missioni internazionali fanno la differenza.

Prima di essere eletto ricordo che negli incontri che tenevamo per confrontarci sui temi più sentiti dai cittadini si parlava molto di sicurezza; i cittadini ci chiedevano più sicurezza in termini di presenza fisica, di polizia, carabinieri, di potenziare i servizi di videosorveglianza nelle periferie. Questo significa che manca una cultura della sicurezza globale, perché nel 2018 si stima che conflitti, trasferimenti forzati, disastri naturali abbiano portato il numero di persone che necessitano di assistenza umanitaria ad oltre 200 milioni, sparse in 81 Paesi; significa che ci sono oltre 200 milioni di persone, quindi un numero di tre volte superiore alla popolazione italiana, che potrebbero spostarsi da una parte all'altra del pianeta per cercare un posto dove vivere.

I fondi stanziati per rispondere alle crisi umanitarie nel 2018 sono stati 17 miliardi, a fronte dei 28 stimati dalle Nazioni Unite: più o meno il costo di una finanziaria in Italia; il costo pro capite sarebbe di 140 euro, ciò che spendiamo noi italiani in quattro giorni di accoglienza. Significa che ciò che spende l'Italia lo spende male, forse perché una buona parte di questi fondi finisce nelle mani della criminalità organizzata. Qualcuno può vantare di aver salvato una vita; io dico che abbiamo alimentato la criminalità organizzata, quella stessa criminalità che uccide le persone. E quando penso alle missioni internazionali penso che l'Italia debba fare una scelta. Ritengo che scegliere di investire nella difesa per la sicurezza della nazione sia un'opportunità, non solo per noi ma per ogni cittadino del mondo, al quale diamo la possibilità di vivere nel proprio Paese. Si può scegliere di fare propaganda con la storia del “restiamo umani” ed essere complici di alimentare i mercati che tutti conosciamo, quali quelli della prostituzione, del traffico di droga, del caporalato, dell'accattonaggio, perché qualcuno crede ancora che regalare l'euro al povero straniero davanti al supermercato serva a consentirgli di sfamarsi, quando dietro quel ragazzo c'è un'organizzazione criminale che lo gestisce, ed è così che finanziamo la mafia nigeriana. Questi fenomeni vengono alimentati perché la politica non ha il coraggio di stanarli, forse perché la propaganda mediatica di cui si gode se si sale su un barcone pieno di immigrati paga molto di più in termini di consenso elettorale.

Ma la presenza dei nostri militari all'estero significa meno conflitti, meno crisi umanitarie. I nostri militari studiano la cultura dei Paesi in cui fanno le missioni e non offendono la cultura del Paese ospitante, non occupano le loro terre, come sostiene la parte antimilitarista della politica. I nostri militari si spendono affinché non cessi l'impegno contro il terrorismo, a sostegno dei diritti umani e delle libertà fondamentali, contro le conseguenze del fenomeno migratorio. Fratelli d'Italia ha sempre anteposto l'interesse dell'Italia e della sicurezza delle nostre Forze armate a quello del partito.

I nostri militari che già oggi sono in missione all'estero devono avere il pieno sostegno del Parlamento tutto, ed è con dispiacere che abbiamo notato dei segnali di spaccatura nella maggioranza nelle scorse sedute delle Commissioni difesa ed esteri al momento del voto sul decreto missioni. Le dichiarazioni di Italia Viva, della collega Boldrini sono evidentemente mosse da motivi ideologici, ma le missioni internazionali ricoprono un ruolo fondamentale nella politica del Paese, e i nostri militari, che sono apprezzati in tutto il mondo per la loro professionalità, non meritano di essere messi in mezzo per questioni su cui la maggioranza deve fare chiarezza al suo interno. Dovreste indossare uno zaino, l'equipaggiamento completo, vivere in condizioni climatiche psicologicamente devastanti per capire che cosa significhi essere rappresentati da un Parlamento spaccato, per capire cosa significhi ricevere un ordine confuso perché Roma non risponde mai. Perché quando lavorano a temperature che vanno da meno 20 gradi a più 50, nell'idea che da un momento all'altro potresti anche finire “sparato”, tutto ciò di cui non hanno bisogno i nostri militari è l'incertezza: lo sanno bene i marò, che per aver svolto il loro dovere tutt'oggi stanno vivendo un calvario giudiziario.

L'impegno dell'Italia nelle missioni internazionali è ancorato ai valori e ai principi della Carta costituzionale: mi auguro quindi che nel voto risolutivo ci sia l'unanimità nel sostenere le nostre Forze armate, perché qui non stiamo parlando di una legge che tocca la categoria dei militari, qui parliamo di un argomento che tocca l'intera umanità. E io chiedo davvero con tutto il cuore di non votare per indicazione di partito o perché dobbiamo sostenere una maggioranza o il Governo: votiamo semplicemente con coscienza (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Magi. Ne ha facoltà.

RICCARDO MAGI (MISTO-CD-RI-+E). Presidente, nel tempo molto ridotto che ho a disposizione volevo trattare esclusivamente un'area geografica che vede delle nostre missioni, che il Governo con la sua deliberazione chiede di proseguire e chiede di finanziarie al Parlamento. Parliamo della Libia, quindi parliamo della missione 22, ma anche per certi versi quello che dico può essere riferito alla missione 21 e anche alla missione Mare Sicuro.

È un Paese dilaniato da molti anni da un conflitto, che nell'ultimo anno è andato inasprendosi ancora di più: ci sono degli attori internazionali pesanti, delle potenze come la Russia e la Turchia che sono fisicamente presenti sul territorio, il coinvolgimento di altri, come l'Egitto, della Francia, la mancanza di una politica europea in quel quadrante; e in tutto questo il nostro Governo ci ripropone delle missioni che in qualche modo sono la replica delle stesse di un anno fa, come se in quest'anno non fosse accaduto nulla. A mio avviso sfugge a questo Parlamento comprendere quale sia la strategia che c'è dietro, soprattutto alla luce del fatto che il Governo si era impegnato a portare delle modifiche rispetto al Memorandum che è alla base degli accordi Italia-Libia.

Noi di queste modifiche non sappiamo nulla, ci sono stati degli impegni a mezzo stampa; mentre quello che sappiamo è che in particolare la situazione della violazione dei diritti umani continua ad essere sistematica e di una gravità assoluta. Ricordiamo che fra tutte le missioni (sono tre) che riguardano un impegno nel Mediterraneo non ce n'è neanche una che comprenda delle attività…

PRESIDENTE. La invito a concludere.

RICCARDO MAGI (MISTO-CD-RI-+E). …concludo, Presidente, di ricerca e salvataggio in mare. Noi presenteremo con degli altri colleghi una risoluzione in particolare sulla missione 22, chiedendo che questa venga sospesa. In dichiarazione di voto spero di avere tempo per dire altro.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Volpi, che è autorizzato a parlare seduto. Ne ha facoltà.

RAFFAELE VOLPI (LEGA). Presidente, ringrazio attraverso di lei la Presidenza che mi dà questa deroga. Mi scuso con l'Aula, ma una piccola difficoltà momentanea mi obbliga a parlare da seduto: vi prego davvero di non prenderlo come un affronto all'Aula perché non è così. Grazie ancora.

Presidente, innanzitutto vorrei iniziare questo breve intervento salutando i membri del Governo, ringraziando i relatori che hanno fatto una un excursus di questa complessa capacità italiana di essere negli scenari mondiali. Ringrazio anche le nostre Forze armate, perché credo che il ringraziamento nei loro confronti vada per quello che fanno negli scenari, ma anche per quello che hanno fatto e continuano a fare nel territorio nazionale, anche dopo questo drammatico periodo che il Paese ha vissuto.

La cosa che dispiace un po', fondamentalmente, è che questo dibattito sulle missioni militari è sempre visto in maniera un po' distaccata, un po' tecnica; ma, Presidente, lei sa che ormai questo è l'unico dibattito da moltissimi anni, e quindi non dico da questa legislatura, che consenta un confronto, almeno, seppur sintetico, sulla politica estera: noi è da troppi anni che in questo Parlamento non affrontiamo in maniera significativa un dibattito vero sulla politica estera del Paese. Ebbene, io credo che in questo momento la sintesi sia ben rappresentata: due pilastri della Repubblica, che sono la Difesa e il Ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, oggi si riuniscono qui, seppur con poco pubblico ma con tantissimi colleghi qualificati, per rappresentare quello che il Paese è e dovrebbe, dovrebbe essere, perché poi c'è l'esposizione politica, la postura del nostro Paese verso la politica internazionale; e penso che lo strumento militare sia ormai riconosciuto inevitabilmente come uno strumento di politica estera.

C'è un passaggio storico. Mi è venuta in mente oggi una cosa, la ricordo brevemente: in realtà la nostra storia di missioni all'estero inizia appena prima dell'Unità d'Italia, quando, proprio per accreditarci nella comunità internazionale, il Regno di Sardegna decise di partecipare alla guerra di Crimea. Scelta combattuta, perché infatti c'era la preoccupazione di Cavour, che aveva addirittura paura che, mandando il contingente in Crimea, si sguarnisse la nostra capacità militare, però la nostra storia è lunga. Oggi è cambiato tutto, oggi la sicurezza nazionale e l'interesse nazionale non sono più già, come anche nell'ultima parte dello scorso secolo, legati ai confini nazionali. I nostri interessi sono interessi diffusi, sono interessi globali.

E quindi la necessità di un Paese di essere compartecipe ad un interesse globale per difendere i propri interessi nazionali e anche la libertà di molti popoli, la partecipazione alle azioni di pace è ben oltre il nostro confine, che è quello statuale; diventa un'azione complessa. Prima ho sentito nelle relazioni che si parlava già di un'area. Oggi non parlerò di Mediterraneo, penso che ce ne saranno tanti che parleranno di Mediterraneo, seppure con qualche preoccupazione sulle regole di ingaggio che ci sono per la missione Irini. Parliamo di Mediterraneo: prima la presidente Grande ha fatto uno scenario, diceva il Mediterraneo allargato. Sì, certo, il Mediterraneo allargato, ma anche le missioni più lontane, che non possiamo ricordare tutte.

Però c'è un'altra cosa: c'è il fatto che in queste scelte ci sono le scelte strategiche e geopolitiche di un Paese, ci sono le scelte delle alleanze, ci sono le scelte che riguardano la politica inderogabile di un Paese, e su questo ci sono anche tante variabili. Mi viene in mente una cosa che riguarda, per esempio, alcune missioni: noi siamo in un anno elettorale per un nostro grande alleato e credo che fino a che non si arriverà alle elezioni statunitensi alcune situazioni non saranno chiare, perché voi mi insegnate, con la vostra esperienza, che l'anno elettorale americano è inevitabilmente incidente sulle politiche di tutta l'alleanza o, comunque, del mondo occidentale, a partire da alleanze che oggi come oggi diventano qualche volta con la necessità forse di essere riviste.

Penso, per esempio, che in questo momento all'interno della NATO noi siamo fra i più fedeli alleati degli Stati Uniti e di chi c'è, perché qualche dubbio qualche altro Paese ce l'ha; qualche altro Paese che, per esempio, non è più in prima fila, perché ormai ha i Paesi cuscinetto guardando verso Est. Ebbene, credo anche che ci sia un aspetto legittimo, però è un aspetto politico: l'aspetto legittimo è che ogni gruppo politico ha una sua scelta. È una scelta ideologica? Sì, lo è! Penso che l'ideologia - consentitemi, amici del Governo, anche se in questo momento sediamo da due parti diverse, su questi temi penso che ci siano grandi convergenze - sia una cosa seria; è stata derubricata come una cosa inutile, ma ho grande rispetto per le idee politiche di tutti. Certamente queste differenziazioni in una maggioranza non dovrebbero esserci, perché la politica estera, insieme allo strumento militare, dovrebbero essere elemento di convergenza per la postura di un Paese di fronte al mondo intero. Faccio un esempio, diciamo che adesso la metterò in maniera diplomatica: per esempio ritengo, ho il sospetto che voi sappiate, come so io, che la missione, il disimpegno da Hormuz non sia un fatto di bilancio, sia un fatto politico. Magari a qualcuno può non piacere che noi facciamo un pattugliamento congiunto con gli Stati Uniti davanti all'Iran, che ha appena firmato, magari, degli accordi, come in questa settimana, non solo economici, anche militari, con la Cina. Ci sta tutto, però voi siete la maggioranza.

Non voglio fermarmi a questo, perché non ho intenzione di fare polemica, mi sembra che sarebbe specioso in questa opportunità e in questa occasione. Mi piace, però, ricordare due cose importanti. Noi abbiamo rafforzato, per esempio, la missione nell'area del Sahel, in Mali, dove siamo insieme ai francesi. I francesi hanno chiesto aiuto questa volta, l'hanno chiesto esplicitamente, perché qualche nostro alleato che fino ad ora ha fatto politiche asimmetriche rispetto a quelle che dovevano essere alleanze storiche, oggi si è accorto che con attori nuovi, di un certo spessore, e non possiamo non dire i nomi, che sono la Russia e la Turchia, stava per uscire dai giochi. Allora in questo momento la Francia dice “forse dovrei rientrare all'interno di un contesto di alleanze”.

Va benissimo, va benissimo, però siete stati costretti a scegliere, a dire che c'era bisogno di aprire di nuovo un fronte unitario all'interno di un'alleanza storica per essere capaci di essere stabilizzanti in aree così importanti come la Libia. Noi siamo sicuramente presenti e la missione che apriamo nel Golfo di Guinea è evidente che è uno spazio importante per guardare in quella proiezione che è strategica e tattica all'interno dell'area subsahariana, che è così importante per la stabilizzazione di quasi un intero continente. Certo, le nostre missioni sono missioni anche umanitarie. Quando mi sono seduto dall'altra parte - lo dico al collega Calvisi - ho apprezzato la capacità umana dei nostri contingenti. Il mondo vuole i militari italiani insieme alla collaborazione politica e istituzionale; siamo gli unici al mondo ad avere contingenti con personale specializzato femminile per avere rapporti di un certo tipo, lo sa bene la Viceministra Del Re, perché gli altri non hanno queste sensibilità.

Voglio ricordare una cosa della Libia, e finisco, Presidente: c'è voglia di Italia. In Libia si ricordano ancora - purtroppo erano eventi tragici - quando c'era l'Impero ottomano. E allora oggi ragioniamo orgogliosamente da italiani, una volta ogni tanto orgogliosamente. Oggi noi rappresentiamo un Paese intero, abbiamo una bandiera e abbiamo un nome importante da portare con noi: la bandiera è il tricolore e il nome è Italia (Applausi dei deputati dei gruppi Lega-Salvini Premier e Forza Italia-Berlusconi Presidente).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Carè. Ne ha facoltà.

NICOLA CARE' (IV). Presidente, onorevoli colleghi, signori del Governo, oggi affrontiamo uno dei temi più rilevanti della politica italiana, credo. La statura e la strategia internazionale dell'Italia nel Mediterraneo, nel Medio Oriente e nel mondo è un tratto decisivo del nostro come di qualunque Paese. Spesso si dice uno che Stato non ha una politica estera, esso è la politica estera. Per questo veder confinata la discussione sulle missioni internazionali dentro polemiche direi un po' anguste e riflessioni un po' scarne mi dispiace molto. Italia Viva avrebbe voluto che il dibattito fosse stato più elevato e più consapevole. I nostri soldati e i nostri cittadini avrebbero meritato una discussione di spessore, che avesse dato spazio alla professionalità dei nostri militari e all'eccellenza della nostra produzione tecnologica. Questa discussione c'è stata solo in parte, non abbiamo potuto sviluppare per tempo le questioni che restano aperte.

Nella parte introduttiva della relazione analitica sulle missioni in corso trasmessa alle Camere vi sono riportati elementi per la nostra riflessione. L'assunto di base è che da circa quarant'anni ormai il progresso tecnologico, la comunicazione, il traffico di dati e la mobilità delle risorse finanziarie hanno impresso alla vita degli Stati un segno irreversibilmente globalizzato e interdipendente. Questi fattori hanno ripercussioni immediate sul quadro politico e strategico mondiale, ridistribuendo ricchezze e potere decisionale. Pensare, quindi, di potersi isolare ed estraniare da questo contesto non risponderebbe all'interesse nazionale. Sono globali, come prima menzionati, anche i problemi climatici; lo abbiamo visto drammaticamente anche con quelli sanitari; sono quindi globali anche le minacce alla stabilità e alla pace. Una guerra in Medio Oriente influisce sull'Europa e le decisioni in Europa, per esempio, influiscono anche sull'Africa.

Occorre tener presente con accortezza l'insieme dei nostri interessi, delle nostre relazioni e delle varie minacce che sussistono. In questo scenario, tre grandi problemi si parano innanzi a noi: uno, la certezza dell'approvvigionamento energetico; due, i flussi migratori; tre, il terrorismo, e includo anche in questo il crimine organizzato transnazionale.

Le nostre missioni, quindi, si collocano nel quadro dell'analisi e nella difesa dei bisogni nazionali in questi tre campi, contando sulla nostra collocazione mediterranea, europea ed atlantica. Come i relatori hanno evidenziato prima, le delibere governative concernono diverse missioni nei Balcani, la prima delle quali è la Joint Enterprise, che ricomprende la KFOR. Si tratta di un impegno che oramai l'Italia ha assunto da molti anni e che trova la sua ragione d'essere prevalentemente nel terzo dei problemi che ho poc'anzi indicato, quello del terrorismo e della criminalità organizzata e violenza e i suoi traffici illeciti. La stabilizzazione delle aree dei Balcani meridionali occidentali, come il Kosovo, il Montenegro, la stessa Albania, è essenziale per gli interessi dell'Italia e dell'Europa, poiché flussi immigratori e traffico di stupefacenti verso il nostro Paese e verso l'Unione Europea trovano in questo corridoio un accesso troppo, ma troppo facile.

Questi aspetti, del resto, sono emersi anche nella Conferenza interparlamentare di Zagabria dello scorso marzo, su cui i nostri onorevoli, il presidente Gianluca Rizzo e la presidente Marta Grande, hanno riferito presso le Commissioni riunite. Come è evidente, il problema della violenza terroristica non è limitato alla zona balcanica, ma concerne anche la lotta a Daesh. In questa chiave si spiegano sia la proroga della missione in Afghanistan, la Resolution Support, volta a stimolare gli sforzi che inducono i talebani a recidere i legami con Al Qaeda e l'ISIS, sia quella in Iraq e indirettamente in Libano e, a questo riguardo, la relazione analitica dà atto che la missione UNIFIL offre un contributo decisivo alla stabilità del confine israelo-libanese e consente alle forze libanesi di occuparsi con priorità delle ricadute terroristiche della Siria, a Boko Haram, nel Sahel e in quel senso si spiegano le missioni in Niger, quella europea, EUCAP, e quella bilaterale, per un totale di circa 300 uomini in tutto, sicché credo sarà necessario qualche approfondimento, e in Mali. Poi il problema della pirateria, come è già stato sottolineato dai miei colleghi prima, e della sicurezza delle rotte navali, che cerchiamo di affrontare con la missione Takuba. A mio avviso, questa missione da sola non sarà risolutiva, se non sarà accompagnata da efficaci politiche di cooperazione e di bonifica sociale ed economica dei Paesi africani rivieraschi, da cui i pirati partono. Quelli che ho esposto sono soltanto spunti iniziali di una riflessione che dovrà proseguire oltre questo passaggio parlamentare e rendersi più ampia e molto più articolata. Come giustamente dice la parte introduttiva alla relazione analitica, la risposta italiana a questi problemi deve poter contare sul doppio canale dell'attività diplomatica e di quella militare sul campo. Più in generale, la postura italiana sul proscenio internazionale deve essere quella di un grande Paese - e lo sottolineo - di un grande Paese e mi riferisco ancora al capitolo introduttivo della relazione analitica sulla missione in proroga. Insomma, ha a cuore i valori della pace, della sicurezza, della crescita sostenibile e del rispetto dei diritti umani. Questi obiettivi si perseguono con l' autorevolezza e la credibilità di un sistema integrato, fatto di politica, industria, cultura, comprensione degli altri interlocutori e la capacità operativa. Ecco perché le missioni internazionali sono importanti, anzi importantissime e noi non possiamo sottrarci alla sfida che esse pongono. Concludo, come sempre, inviando un pensiero di grande e sincera gratitudine e di stima a tutte le nostre Forze armate impegnate in patria e nei teatri operativi, grazie signor Presidente.

PRESIDENTE. La ringrazio onorevole Carè. Onorevole Tripodi, prego.

MARIA TRIPODI (FI). Grazie Presidente, onorevoli colleghi e sottosegretari, il dibattito parlamentare sulle deliberazioni del Consiglio dei ministri in merito alla partecipazione italiana alle missioni internazionali costituisce un importante momento di verifica e soprattutto di approfondimento degli indirizzi della politica estera e di sicurezza, permettendo a tutte le forze politiche presenti in quest'Aula di acquisire una visione d'insieme sul contributo che il nostro Paese fornisce al mantenimento della pace internazionale, a fronte di minacce sempre più multidimensionali e pervasive. Prima di entrare nel merito del provvedimento, permettetemi di rivolgere un doveroso ringraziamento a tutte le donne e a tutti gli uomini che servono la nostra patria. Anche durante l'emergenza sanitaria, che ha duramente colpito il nostro Paese, gli uomini e le donne delle Forze armate hanno continuato senza sosta a svolgere il loro prezioso lavoro, mettendo a serio rischio la loro vita. In questi anni, il nostro Paese ha dimostrato quanto i nostri militari siano apprezzati in tutto il mondo. A loro va il nostro ringraziamento per quello che fanno quotidianamente, è a loro che va il nostro più convinto sostegno, il nostro plauso, la nostra vicinanza. Il provvedimento che stiamo discutendo è l'atto più importante di politica estera e di difesa. Il nostro impegno internazionale si colloca pienamente dentro il perimetro del dettato costituzionale e, nello specifico, dell'articolo 11 della Costituzione. In questa cornice, lo straordinario lavoro dei nostri uomini e donne in divisa è fondamentale per promuovere operazioni volte a dare la necessaria risposta a persistenti minacce di terrorismo, di radicalizzazione, di traffici illeciti, nonché a fenomeni di instabilità potenzialmente molto pericolosi per la pace e la sicurezza della regione euromediterranea.

L'appartenenza dell'Italia alle organizzazioni internazionali e gli obiettivi di mantenimento della pace sono la radice costitutiva della nostra Repubblica e appartengono ai valori che non possono essere messi in discussione dalle politiche di questo o quel Governo. L'impegno dell'Italia si fonda proprio su un approccio onnicomprensivo alle crisi, proprio dell'Unione europea e pienamente condiviso con interventi di tipo militare che vanno dall'Africa occidentale sino all'Afghanistan, attraverso anche il Medio Oriente. Tale impegno si distingue per la protezione dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Proprio per questo motivo, il gruppo di Forza Italia voterà a favore delle missioni internazionali e dell'impegno delle nostre Forze armate per garantire la pace, la sicurezza e la stabilità internazionale, ma anche per garantire, in questo scenario, gli interessi e soprattutto la sicurezza del nostro Paese. La risoluzione che oggi discutiamo è un atto fondamentale, che dobbiamo prima di tutto all'Italia, proprio perché segna la nostra continuità, Presidente, la nostra appartenenza, sia all'Ue che all'Alleanza Atlantica, due pilastri fondamentali. Un voto, il nostro, di responsabilità, con il quale riteniamo di dover anteporre l'interesse del nostro Paese rispetto alle ragioni critiche e di perplessità, che abbiamo più volte espresso, sia fuori che dentro le Aule parlamentari, rispetto alla nostra politica estera, la Libia tra tutte. È fondamentale mettere in campo una visione strategica globale, che tuteli la sicurezza e i nostri tanti interessi nazionali, che contenga il fenomeno migratorio e funga da stabilizzazione di un'area dilaniata da crescenti conflitti. Per questo, signori sottosegretari, l'operazione Irini, che subentra all'operazione Sophia, conclusasi il 31 marzo 2020, acquisisce una rilevanza strategica, proprio nell'intento di contribuire a smantellare il modello di attività delle reti di traffico e tratta di esseri umani, a norma del diritto internazionale, ivi compresi la Convenzione sul diritto del mare e le pertinenti risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e le leggi internazionali sui diritti umani. Signor sottosegretario, in tale contesto condividiamo la relazione approvata dalle Commissioni Affari esteri e Difesa, con la quale sono state prorogate, rispetto al 2019, 9 missioni in Europa, 10 missioni in Asia e 18 in Africa. Altrettanto fondamentale è anche la proroga dei quattro interventi di potenziamento dei dispositivi NATO, il mantenimento del dispositivo nazionale “Mare Sicuro” e il mantenimento del dispositivo dell'Agenzia informazioni e sicurezza esterna a tutela del personale delle nostre Forze armate impiegate negli scenari di crisi.

In considerazione del nuovo quadro apprezziamo il cambio di rotta da parte di alcuni partiti di maggioranza che, sino alla scorsa legislatura, erano tra i banchi delle opposizioni e manifestavano in maniera a dir poco colorita le loro perplessità sulla partecipazione dell'Italia ad alcune missioni. Vorrei sottolineare, inoltre, come la partecipazione alle missioni internazionali costituisca un passaggio fondamentale nel quadro della nostra politica estera e di difesa e nessuna forza politica può permettersi di assumere posizioni che porterebbero il nostro Paese al di fuori della nostra tradizione atlantica. Le eventuali incertezze - mi accingo a concludere, Presidente - e contraddizioni che in più di un'occasione sono emerse e che rischierebbero di collocare l'Italia al di fuori del quadro geopolitico occidentale o addirittura mettere in pericolo l'appartenenza dell'Italia agli stessi organismi internazionali, dei quali - ci tengo a sottolinearlo - facciamo orgogliosamente parte, non devono in alcun modo prendere il sopravvento rispetto all'interesse nazionale. A questo si aggiunge una considerazione che è doveroso fare: l'Italia non può avere - mi rivolgo al sottosegretario agli Esteri - una politica estera altalenante senza un legame forte con l'Europa, un'alleanza con gli Stati Uniti, un ruolo nel Mediterraneo. Per tutti questi motivi, Presidente, e mi avvio davvero alle conclusioni, il voto di Forza Italia è un voto di continuità e di rispetto nei confronti della nostra tradizione, a difesa di valori di libertà e di pace, ma soprattutto di vicinanza e rispetto nei confronti dei nostri militari impiegati nelle missioni che hanno diritto a vedere riconosciuto tutto il nostro sostegno come Parlamento e tutto il nostro supporto a un'azione così coraggiosa a difesa della democrazia e a difesa del nostro Paese (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Olgiati. Ne ha facoltà.

RICCARDO OLGIATI (M5S). Grazie, Presidente. Lo scorso 21 maggio il Consiglio dei ministri, su proposta del Presidente del Consiglio, ha deliberato in ordine alla partecipazione dell'Italia a cinque nuove missioni internazionali ai sensi della legge n. 145 del 2016, cosiddetta legge quadro sulle missioni internazionali, nonché in ordine alla relazione analitica sulle missioni internazionali svolte nel 2019 anche ai fini della loro prosecuzione per l'anno 2020. Successivamente, in data 4 giugno, la deliberazione è stata trasmessa alle Camere per la discussione e le conseguenti deliberazioni parlamentari. Nello specifico il Documento XXV, n. 3 reca la deliberazione del Consiglio dei ministri in ordine alle citate nuove missioni internazionali relativamente al periodo 1° gennaio-31 dicembre 2020; mentre il Documento XXVI, n. 3 contiene la deliberazione del Consiglio dei ministri in ordine alla relazione analitica sulle missioni internazionali in corso e sullo stato degli interventi di cooperazione allo sviluppo a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione, con l'indicazione delle relative proroghe riferite al periodo 1° gennaio-31 dicembre 2020. Dalla data di entrata in vigore della legge n. 145 del 2016 il Governo ha presentato alle Camere diverse deliberazioni. La prima in data 14 gennaio 2017 concernente la partecipazione dell'Italia alle missioni internazionali ed alle iniziative di cooperazione allo sviluppo per il sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione per l'intero anno 2017. Successivamente, una seconda delibera del Consiglio dei ministri del 28 luglio 2017 verteva sulla partecipazione dell'Italia alla missione internazionale in supporto alla Guardia costiera libica. La delibera del Consiglio dei ministri del 28 novembre 2018 riguardava poi la partecipazione dell'Italia a nuove missioni internazionali, sia la relazione analitica delle missioni internazionali del 2017 anche ai fini della loro prosecuzione per i primi mesi del 2018.

Infine, una deliberazione del Consiglio dei ministri del 28 novembre 2019 in merito alla partecipazione dell'Italia ad ulteriori missioni internazionali per il periodo 1° ottobre-31 dicembre 2018 e alla relazione analitica sulle missioni internazionali svolte nei primi mesi del 2018 anche ai fini della proroga per l'ultimo trimestre del 2018, entrambe adottate dal Consiglio dei ministri il 28 novembre.

Da ultimo, con la risoluzione n. 6-00080, l'Aula della Camera, nel corso della seduta del 3 luglio 2019, ha approvato la Relazione delle Commissioni Affari esteri e Difesa con la quale è stata autorizzata la partecipazione dell'Italia ad una nuova missione internazionale. In relazione alla partecipazione italiana nel suo complesso, evidenzio che si tratta di interventi che tengono conto delle linee consolidate d'azione e della postura assunta storicamente dall'Italia in questo ambito, ma che restano in evoluzione quanto a tipologia di assetti e azioni svolte, in linea con gli sviluppi sul terreno e dello scenario internazionale.

Il Documento XXV, n. 3 reca la deliberazione del Consiglio dei ministri del 21 maggio 2020 relativa alla partecipazione italiana alle seguenti cinque nuove missioni internazionali in Europa, Asia e Africa. La prima missione è conseguente all'adesione dell'Italia alle decisioni prese in ambito europeo che hanno posto fine, nel mese di marzo 2020, alla missione Eunaforv-Med operazione Sophia alla quale subentra la nuova missione Eunaforv-Med Irini con l'obiettivo di dare attuazione, tramite assetti aerei, satellitari e marittimi, all'embargo di armi in Libia disposto dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.

A sua volta la missione EUAM Iraq è una missione consultiva rivolta al sostegno delle riforme del settore della sicurezza civile; mentre la missione denominata Task Force Takuba è una forza multinazionale interforze con il mandato di addestrare e assistere le forze saheliane nella lotta contro i gruppi armati jihadisti al fine di contrastare la minaccia terroristica nel Sahel. Con riferimento all'impiego di un dispositivo aeronavale nazionale per attività di presenza, sorveglianza e sicurezza nel Golfo di Guinea tale contributo è inteso a tutelare gli interessi strategici nazionali nell'area supportando il naviglio mercantile nazionale in transito, contribuendo alla Maritime Situational Awareness, nonché rafforzando la cooperazione, il coordinamento e l'interoperabilità con la Nigeria e gli altri Stati rivieraschi.

Da ultimo la partecipazione di personale militare all'iniziativa della NATO denominata Implementation of enhancement of the framework for the south è da porre in relazione all'attività di formazione, consulenza, tutoraggio e supporto nello sviluppo di alcune capacità nell'ambito della sicurezza e difesa del territorio offerte dalla NATO a favore dei Paesi partner situati lungo il fianco sud dell'Alleanza che ne facciano richiesta.

Nello specifico la consistenza massima complessiva dei contingenti delle Forze armate impiegati in questi nuovi teatri operativi è pari a 1.125 unità, la consistenza media è pari a 494. Analogamente il Documento XXVI, n. 3, corrispondente all'allegato della deliberazione del Consiglio dei ministri del 21 maggio, nel riferire alle Camere sull'andamento delle missioni internazionali e sullo stato degli interventi di cooperazione e sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione autorizzati nel 2019, indica le missioni internazionali che il Governo intende proseguire nel 2020, nonché gli interventi di cooperazione allo sviluppo e a sostegno dei processi di pace e stabilizzazione da porre in essere nel medesimo anno. In relazione alla partecipazione italiana alle missioni internazionali nel 2020 il Governo, nel sottolineare la complessità dello scenario internazionale con particolare riferimento all'area del Mediterraneo allargato, conferma il proprio impegno secondo due direttrici principali: una mediterranea ed una euroatlantica, corrispondenti ai contesti geostrategici di primario interesse nazionale. Per quanto riguarda le missioni di cui si dispone la proroga nell'anno 2020, dai dati forniti dal Governo emerge che la consistenza annuale complessiva dei contingenti delle Forze armate impiegati nei teatri operativi è pari a 7.488 unità con un aumento rispetto al 2019 di 145 unità. La consistenza media invece è pari a 6.000 unità con una riduzione di 290 rispetto al periodo precedente. Il maggior numero di missioni è presente nel continente africano ma, con riferimento alla consistenza numerica delle unità dispiegate nei diversi teatri operativi, il maggior numero di militari è autorizzato in Asia. Per quanto concerne l'Europa alle missioni che impegnano il maggior numero dei militari italiani sono le missioni NATO Joint Enterprise nei Balcani con 626 unità, 204 mezzi terrestri e un aereo e la nuova missione dell'Unione europea denominata Eunafvor-Med Irini con 517 unità, un mezzo navale e tre aerei. Per quanto concerne l'Asia la partecipazione italiana più significativa si rinviene nella coalizione internazionale di contrasto alla minaccia terroristica del Daesh, nella missione UNIFIL in Libano, nella missione Resolute Support in Afghanistan.

Con riferimento al continente africano, la presenza italiana è più consistente nella missione UE antipirateria denominata Atalanta, e nella missione bilaterale di assistenza e supporto in Libia, con 400 unità, 142 mezzi terrestri, due mezzi aerei e mezzi navali tratti nell'ambito della missione “Mare Sicuro”. Sono, infine, 400 le unità impiegate nel nuovo dispositivo aeronavale nazionale per attività di presenza, sorveglianza e sicurezza nel Golfo di Guinea, dove sono altresì presenti due mezzi navali e due mezzi aerei. Per quanto riguarda in generale l'area del Mediterraneo centrale, si segnala inoltre che nell'ambito del potenziamento del dispositivo aeronavale nazionale di sorveglianza e di sicurezza di quest'area, la cosiddetta operazione “Mare Sicuro”, l'Italia partecipa con 754 unità di personale militare e con l'impiego di sei mezzi navali e otto mezzi aerei. Infine, nell'ambito della partecipazione del personale militare italiano al potenziamento dei dispositivi NATO, la consistenza più rilevante riguarda la missione per la sorveglianza navale dell'area sud dell'Alleanza, dove l'Italia partecipa con 259 unità, un mezzo aereo, due unità navali e una on call. Vorrei ricordare che la partecipazione del nostro Paese alle missioni internazionali assicura centralità e prestigio all'Italia, e lo promuove sulla scena politica estera a ruolo di promotore di pace e sicurezza a livello globale, laddove terrorismo, traffico di esseri umani, proliferazione di armi di distruzione di massa e instabilità regionali impongono di coniugare le esigenze di sicurezza con il rafforzamento delle istituzioni locali e la promozione dello sviluppo. A tali sfide il nostro Paese deve e sta rispondendo, così come ha sempre fatto in passato e in maniera puntuale, grazie a un fruttuoso dialogo politico e diplomatico, a un incisivo intervento militare sul campo e a un sostegno concreto alle comunità locali. Nel permanere di uno scenario internazionale a elevata instabilità e con un livello crescente di conflitti, l'impegno internazionale dell'Italia si muove attraverso due direttrici principali: una proiezione esterna dello strumento militare e un'azione di aiuto allo sviluppo delle popolazioni locali. Non dimentichiamoci mai che è grazie ai nostri militari dispiegati lungo un arco di crisi che va dall'Africa occidentale fino all'Afghanistan attraverso l'intero Medio Oriente che l'Italia si distingue per capacità di intervento e di prevenzione, come modello di eccellenza addestrativa e per il suo specifico approccio umanitario verso le popolazioni civili e, in particolare, verso le categorie più fragili ed esposte alle gravi conseguenze dei vari conflitti.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Palazzotto. Ne ha facoltà.

ERASMO PALAZZOTTO (LEU). Signor Presidente, signora sottosegretario, gentili colleghe e colleghi, il procedimento autorizzativo delle missioni internazionali, che è stato perfezionato nella scorsa legislatura con la legge quadro, era stato pensato per provare a utilizzare questo momento così importante per fare un momento di discussione dentro le Aule parlamentari sul profilo della politica estera e di difesa di questo Paese. Faccio questo richiamo per due osservazioni preliminari che voglio fare a questa discussione. La prima riguarda la modalità con cui spesso noi affrontiamo questo momento così particolare e delicato per la nostra politica estera: ho la sensazione che molte volte questa discussione assuma i contorni un rituale stanco, che ci sia una pratica burocratica da dover svolgere che corrisponde sostanzialmente a rinnovare tutte le missioni militari senza una valutazione critica di riflessione sull'impatto che queste hanno avuto, anche quando sono decennali, ventennali, come in alcuni casi, e a inserirne alcune altre. Questo è testimoniato dal complessivo, continuo, di anno in anno, aumento della spesa per le missioni militari all'estero: quest'anno c'è, solo per i rinnovi, quindi non con le nuove missioni, un aumento di spesa di oltre 300 milioni di euro - passiamo da 1 miliardo e 100 milioni di euro a 1 miliardo e 400 milioni di euro di spesa per le missioni militari in atto -, a cui vanno aggiunti 50 milioni di euro circa per le nuove missioni che stiamo andando a ratificare. Dico questo perché io vorrei che in questo momento si discutesse anche di qual è il reale impatto, il reale risultato che queste missioni producono.

Lo dico perché c'è un'altra valutazione generale: ho sentito più volte richiamare in questa discussione - ma non è un tema nuovo - l'idea che sulle missioni militari bisogna sempre essere tutti uniti perché il tema è la salvaguardia e la tutela dei nostri militari all'estero. Chi vi parla ha grandissimo rispetto e piena consapevolezza della delicatezza di alcuni scenari in cui i nostri militari sono coinvolti e della responsabilità che noi abbiamo, ma non possiamo accettare l'idea che, in virtù del fatto che i nostri militari sono impiegati in un contesto difficile, questo Parlamento rinunci a discutere dell'impatto e degli effetti che una missione militare produce. Ciò anche perché, in questa legislatura, abbiamo avuto altri atteggiamenti irresponsabili, che non sono quelli di chi prova, in una discussione, un dibattito politico, ad affrontare alcune questioni rispetto all'opportunità o meno di rifinanziare una missione, di rivederla, di avviare una transizione per una exit strategy: nella scorsa legislatura abbiamo assistito a un Vicepresidente del Consiglio che, senza colpo ferire, un giorno dichiara a reti unificate che gli Hezbollah sono dei pericolosi terroristi mentre i nostri soldati si trovano in Libano. Quindi, attenzione a venire qui a fare la predica su chi mette a rischio la vita dei nostri soldati quando sono in territori difficili, perché i nostri soldati di UNIFIL, il più grande contingente che l'Italia ha schierato in un processo di pace, sono impiegati in un territorio molto difficile controllato dagli Hezbollah, e se il Vicepresidente del Consiglio si permette di fare quelle dichiarazioni mette in difficoltà i nostri soldati in quel contesto. Allora forse è il caso che evitiamo, in questa discussione, in questo dibattito, di utilizzare questi argomenti retorici e proviamo invece a discutere del merito delle missioni di cui stiamo discutendo.

Prima di entrare nello specifico, vorrei provare anche a fare un'altra osservazione preliminare. Se uno guarda - i nostri uffici studi fanno delle bellissime infografiche sulle nostre missioni - la distribuzione della partecipazione italiana nelle missioni, ha una visione plastica di un Paese che partecipa a qualsiasi missione internazionale viene proposta in determinati settori. Io, da questo punto di vista, ritengo che questa enorme frammentazione della partecipazione militare italiana sia un tema che noi dobbiamo affrontare, perché riguarda anche un elemento di visione strategica di politica estera: ci sono missioni a cui partecipiamo probabilmente solo per dire che l'Italia sta lì, dentro quella coalizione, e utilizzare la partecipazione a missioni internazionali per far parte di una discussione che invece riguarda il tema della politica e della diplomazia. Probabilmente anche questo è un tema che dovremmo affrontare, e provo su questo ad entrare nel merito di alcune questioni. Afghanistan: chi vi parla è stato un grande sostenitore della necessità di un ritiro dei nostri soldati dall'Afghanistan. Il mutato contesto, oggi, probabilmente richiede più prudenza rispetto a un ritiro dei nostri soldati dall'Afghanistan, ma non l'assenza di una riflessione su qual è l'exit strategy dall'Afghanistan, perché quello è un conflitto che è costato ai cittadini italiani più di 7 miliardi di euro e che dopo vent'anni di conflitto, che serviva a fare la guerra al terrorismo, ha prodotto un disastro tale sul terreno per cui la condizione della minaccia terroristica si è decuplicata. Allora, da questo punto di vista, possiamo mettere in fila l'intervento militare in Afghanistan, l'intervento militare in Iraq, il sostegno all'intervento militare in Siria, l'intervento militare in Libia e discutere dell'efficacia della scelte della nostra politica estera e militare? Ciò perché, prima di continuare a fare altre missioni, forse dovremmo farla una riflessione su quali sono gli effetti che produciamo, perché abbiamo contribuito, insieme ai nostri alleati, ad aumentare l'instabilità di intere regioni e a peggiorare le condizioni di sicurezza. Guardate che se si rade al suolo un intero Paese, e si radono al suolo le scuole, gli ospedali, poi si creano le condizioni migliori per cui possa attecchire il terrorismo. Il terrorismo cresce, la minaccia terroristica si fonda in primo luogo sull'assenza di cultura delle popolazioni dove si insedia quella minaccia.

E quando noi abbiamo intere generazioni, in Afghanistan come in Iraq, come in Siria, che non hanno mai conosciuto un giorno di scuola, e la cui scuola è stata solo la guerra e la violenza che noi abbiamo esercitato in quei Paesi, forse una riflessione dovremmo farla. E questa è una discussione politica, non ideologica, politica, perché altrimenti noi continuiamo ad andare avanti per automatismi senza fare una riflessione; e sull'Afghanistan una riflessione c'è da fare: i nostri partner, che io ritengo fondamentali, soprattutto in quel contesto, gli americani, hanno avviato una trattativa con i talebani per una exit strategy da cui hanno escluso completamente gli alleati, che ad oggi non sappiamo neanche se prevede una exit strategy autonoma, lasciando gli alleati lì. Allora forse, probabilmente, in un rapporto di amicizia e di strutturata alleanza, qualche problema agli amici si pone quando qualcosa non quadra rispetto alla nostra discussione. Per cui oggi penso che, nel rinnovare la missione in Afghanistan, dovremmo aprire un tavolo bilaterale, anzi forse multilaterale, con tutti gli altri Paesi che in quella missione NATO sono coinvolti, per discutere di quale sia la exit strategy e di quanto tempo ci diamo per lasciare l'Afghanistan.

La stessa cosa si potrebbe dire in Africa, dove c'è anche un elemento in più, che si collega con lo scenario del Mediterraneo allargato: in Africa ogni missione legata alla sicurezza e quindi al contrasto al terrorismo, porta con sé una parte molto consistente che è legata al tema dell'esternalizzazione delle frontiere; cioè, noi, sostanzialmente, dopo aver determinato in buona parte, non siamo stati dovunque ma dopo avere compartecipato alla destabilizzazione di intere aree, ci scandalizziamo se ovviamente le popolazioni di quelle aree cercano rifugio altrove. E vorrei vedere ognuno di noi a voler rimanere in Siria o in altri Paesi dove abbiamo contribuito a una condizione di destabilizzazione di quel tipo. E in ogni missione di questo tipo mettiamo una parte che riguarda l'esternalizzazione delle frontiere e il controllo dei flussi migratori. Questa parte qui arriva al suo apice nel Mediterraneo. Guardate, nel Mediterraneo… e qui c'è un tema, perché sul resto è una discussione politica che, secondo me, dovrebbe vedere una dialettica tra maggioranza e opposizione, anche all'interno della stessa maggioranza, ma qui c'è un altro tema - e vado a concludere, Presidente, perché lo approfondiremo meglio domani - che riguarda qual è la visione politica del Mediterraneo; perché noi stiamo pagando - e questo è un tema - un costo in termini etici, morali, di corresponsabilità rispetto a violazioni sistematiche dei diritti umani, che non credo sia accettabile per un Paese come il nostro, e credo che la storia ci presenterà il conto di questa vicenda. E al contempo, in termini di efficacia di queste politiche, permettetemi di dire che c'è un'enorme contraddizione: adesso lo dico così, nel breve tempo che mi rimane, ma noi continuiamo a investire in missioni di cooperazione in Libia, col Governo di Serraji, abbiamo appena stipulato contratti miliardari per fornitura di armamenti con l'Egitto, che in questi giorni sta discutendo di un ingresso diretto nel conflitto libico, non più di sostenere le forze del generale Haftar, ma oggi si parla del fatto che al-Sisi sta preparando le truppe per entrare in Libia nel conflitto contro la Turchia, che è già entrata nonostante la missione Irini.

Allora, da questo punto di vista, io credo che una riflessione su una visione della politica estera da cui discende l'intervento militare noi la dobbiamo fare e questo è il tema vero di discussione politica che vorrei che noi facessimo durante questa occasione, invece di farci i complimenti davanti al rituale stanco di fare i complimenti ai nostri soldati, a cui va tutta la nostra stima, la nostra fiducia e la nostra solidarietà per il lavoro che fanno, ma a cui non spetta il compito di decidere qual è la politica estera di questo Paese, compito che spetta invece a questo Parlamento.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tondo. Ne ha facoltà.

RENZO TONDO (M-NI-USEI-C!-AC). Grazie, Presidente. Io innanzitutto sono molto felice che ci sia la sottosegretaria agli esteri perché confesso che ero terrorizzato di dover parlare davanti a Di Maio, perché se ha dato solo un giudizio positivo su Draghi, chissà cosa avrebbe detto dopo aver ascoltato il mio intervento, mi bocciava sicuramente, quindi sono contento che parlo davanti alla sottosegretaria. Tra l'altro, a Palazzotto volevo dire una cosa: ha fatto un riferimento prima al Vicepresidente del Consiglio; beh, io ricordo un altro Vicepresidente del Consiglio che andava in piazza, un Vicepresidente del Consiglio con i gilet gialli, a protestare contro un Governo alleato (Applausi di deputati del gruppo Fratelli d'Italia). Mi pare una grande bella idea anche questa.

Detto questo, il Presidente Rosato, che come me viene da una regione un po' lontana, sa che l'aeroporto di Trieste è chiuso. Io oggi avrei voluto essere contemporaneamente qui - e ce l'avrei fatta se ci fosse stato l'aereo - e a Venzone, dove il contingente della Brigata Alpina Julia proprio oggi parte per l'Afghanistan, e voglio rivolgere a quei ragazzi e al comandante Del Favero il mio migliore saluto (Applausi di deputati dei gruppi Lega-Salvini Premier, Forza Italia-Berlusconi Presidente e Fratelli d'Italia), portando anche il saluto del presidente della Commissione Rizzo, che mi ha incaricato di farlo; ho dovuto farlo per iscritto perché non ho potuto essere presente. Anche perché i nostri ragazzi sono - come tutti abbiamo detto - apprezzati nel mondo per serietà, per umanità, per impegno, per professionalità e anche per la solidarietà con cui si muovono.

Io credo di fare qualche osservazione aggiuntiva e propositiva: secondo me 37 missioni sono troppe. Io credo che dovremmo cominciare a ragionare sul selezionare gli obiettivi che vogliamo. Già Volpi prima diceva che la politica di un Ministero della difesa è anche la politica del Ministero degli esteri e quindi dobbiamo cominciare a scegliere i nostri obiettivi. Se l'obiettivo è il Mediterraneo, dobbiamo concentrarci qui. Credo che monitorare oggi sia strategico e nessuno come noi può avere un ruolo importante nel Mediterraneo. Credo che abbiamo fatto errori nel passato; io ricordo all'epoca del Governo Berlusconi, in fase di difficoltà, la scelta che fece l'Europa e credo che non fosse del tutto estraneo neanche l'allora Presidente della Repubblica, Napolitano, alla vicenda che portò alla defenestrazione di Gheddafi, con tutto ciò che ne è conseguito.

Io credo che noi dobbiamo fare alcune scelte, ripeto: innanzitutto ripiegare dalle missioni che hanno un esito negativo. Io per esempio mi chiedo: nel Mali cosa ci facciamo? Difendiamo l'uranio per la Francia, che se lo porta a casa e che ha le centrali nucleari? Noi lo vogliamo le centrali nucleari; bene, io sono personalmente a favore del nucleare, ma questa è un'altra vicenda, però ciò che ci facciamo nel Mali io non lo capisco. Così come io credo che sia necessario evitare situazioni che ci mettano in difficoltà con gli altri Paesi. Per esempio, vorrei capire bene, se qualcuno me lo spiegherà da qui a domani, cosa ci facciamo in Lettonia? In Lettonia siamo lì a difendere che cosa? Conosciamo bene le situazioni di quei Paesi, sappiamo che c'è un revanscismo nazionalista anche nei Paesi dell'ex Unione Sovietica e che nei confronti delle minoranze russe c'è un atteggiamento molto spesso prevaricatore? Io credo che questo sia bene saperlo. Così come vorrei capire la valutazione dei costi: la missione n. 5, sottosegretario, costa 26 mila euro a uomo; la missione n. 6, che è la stessa area geografica, costa 89, perché? Ecco, io credo che sia opportuno conoscere queste situazioni e vorrei anche capire perché continuiamo a fare operazioni che secondo me possono essere surrogate da altri elementi, come il pattugliamento dell'antipirateria nell'Oceano Indiano. Credo che queste le debbano fare i privati. Noi abbiamo pattugliato la Carnival della Costa Crociere ultimamente: è una cosa che tocca a noi fare? Io credo proprio di no.

L'ultima considerazione, che mi preoccupa perché conosco alcune realtà. Quando ce ne andiamo dai posti in cui abbiamo collaborato, specialmente quelli musulmani, c'è sempre il rischio di lasciare una scia di sangue dietro, perché le persone che hanno lavorato per il nostro esercito - interpreti, giornalisti, collaboratori - rimangono lì, sotto l'occhio del ciclone: cosa facciamo per dare una mano a queste persone? Io credo che sia necessario mettere al centro dell'attenzione anche questo fatto che può sembrare marginale, ma marginale non è.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Frailis. Ne ha facoltà.

ANDREA FRAILIS (PD). Signor Presidente, grazie. Esponenti del Governo, gentili colleghe e colleghi, parlando di missioni internazionali mi sia consentito in apertura di rivolgere un deferente e grato ricordo ai nostri caduti in queste missioni (Applausi). Da sardo - consentitemi - parlo ai morti della Brigata Sassari, uno per tutti l'episodio di Nassiriya, ma ovviamente non soltanto a loro. A proposito di Brigata Sassari, il mio in bocca al lupo e buon lavoro ai ragazzi che sono partiti solo da qualche giorno per la missione in Libano. Ritengo che il lavoro svolto congiuntamente nelle Commissioni esteri e difesa, a seguito delle deliberazioni assunte dal Consiglio dei ministri il 21 maggio scorso, abbia esaminato ma anche approfondito in maniera esauriente gli aspetti che caratterizzano le partecipazioni del nostro Paese all'impegno internazionale che in questa occasione stiamo approvando. Si tratta di un impegno su più fronti, un impegno teso a evitare che le numerose aree di crisi in atto possano degenerare attraverso l'escalation di conflitti locali, con rischi significativi per la sicurezza internazionale. Destano una giustificata preoccupazione, in particolare - e deve corrispondere a questa preoccupazione maggiore attenzione e l'assunzione di adeguate iniziative sia dal punto di vista militare che da quello diplomatico - soprattutto le dinamiche in atto in Libia, in Siria, nello Yemen, segnate da un'accresciuta presenza di attori stranieri intenti a trasformare quei conflitti locali in opportunità per accrescere il proprio peso politico in quelle realtà.

Tutto questo giustifica e rende necessaria, come ha evidenziato il nostro Ministro della difesa nelle audizioni svolte nelle Commissioni, l'esigenza di mantenere una proiezione internazionale che sia in grado, da un lato, di prevenire in profondità le principali minacce alla nostra sicurezza nazionale e, dall'altro, di sostenere, assieme alle altre amministrazioni coinvolte, gli interessi e il ruolo del Paese nello scenario internazionale, anche nell'ambito dell'organizzazione di riferimento.

Il Libano si trova anch'esso ad essere un elemento essenziale per mantenere un equilibrio ragionevole in una situazione che è già difficile e dove sono presenti tentativi di condizionarne dall'esterno gli equilibri, con tentativi di infiltrazione jihadista, favoriti da una profonda e pesante crisi economica. In questo quadro, la presenza della nostra missione UNIFIL si rivela, ancora una volta, elemento cardine per garantire una condizione di effettiva stabilità.

Nell'ambito di tante iniziative diplomatiche, può essere collocata anche l'iniziativa che il nostro Ministro della difesa, insieme alla collega francese, tedesca e spagnola, ha assunto, inviando una lettera all'Alto rappresentante e Vicepresidente della Commissione dell'Unione europea, Borrell, e ai Ministri della difesa dell'Unione europea, allo scopo di promuovere una maggiore assunzione di responsabilità da parte dell'Unione europea nel campo della difesa e della sicurezza.

La nostra iniziativa politico-diplomatica sul fronte libico si basa sulla assoluta necessità di ottenere, come condizione necessaria per ulteriori e positivi sviluppi, e raggiungere una tregua degli scontri in atto e un cessate il fuoco tra le parti in conflitto, convincendo ad operare per questo risultato le fazioni libiche e le ingerenze esterne. In questo quadro, è del tutto condivisibile, d'altra parte, l'adesione dell'Italia all'operazione Irini, con l'obiettivo di dare attuazione, tramite assetti aerei, satellitari e marittimi, all'embargo di armi in Libia, disposto dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. A questa missione, tramite lei, signor Presidente, chiedo ai colleghi, a tutti i colleghi in Aula, se non sia opportuno chiedere anche qualcosa in più in termini di soccorso in mare.

Il nostro Paese assume un ulteriore impegno nel contesto della coalizione per il Sahel, già comprendente l'operazione francese Barkhane e l'iniziativa militare congiunta G5 Sahel con la task force Takuba; si tratta di una missione finalizzata al contrasto della minaccia terroristica nel Sahel e frutto della cooperazione di 14 Paesi europei. Oltre a garantire l'accesso a un'area che detiene un importante valore strategico per il suo impatto nel Nord Africa e in quanto crocevia di flussi migratori, Takuba offre all'Italia la possibilità di rafforzare i rapporti con l'alleato francese. È stato, infatti, lo stesso Emmanuel Macron a chiedere un sostegno italiano nella lotta al terrorismo nel Sahel durante il vertice bilaterale tenutosi lo scorso febbraio (il collega Volpi lo ricordava nel suo intervento). La situazione in Afghanistan sembra giunta alla vigilia di una svolta che dovrebbe concludersi con un accordo di pace intra afgano, che potrebbe consentire una riflessione sulla nostra presenza e che doverosamente dovrà essere concordata con gli alleati.

Condivido, quindi, le conclusioni raggiunte nel lavoro delle Commissioni ed esprimo con ciò il nostro voto favorevole, il voto favorevole del gruppo del Partito Democratico, e intendo limitarmi in questo breve intervento ad alcune considerazioni di carattere politico. Arrivammo a discutere le deliberazioni assunte dal Consiglio dei ministri nel maggio scorso con un certo ritardo, dovuto anche alle condizioni di difficoltà generate dalla pandemia del virus COVID-19 che sta attraversando il nostro pianeta. Intendo, però, richiamare l'attenzione dei colleghi sulla natura giuridica dei provvedimenti che stiamo adottando, ai sensi della legge 21 luglio 2016, n. 145; una legge che ha definito il procedimento decisionale per la partecipazione dell'Italia a questo tipo di iniziative, risolvendo, con una norma quadro, il rapporto tra Governo e Parlamento. Per molti anni, prima dell'approvazione di questa legge, fortemente sollecitata dal Partito Democratico, le missioni internazionali venivano decise dal Governo con l'emanazione di un decreto-legge che il Parlamento doveva convertire in legge. La differenza tra i due procedimenti ha un significato intrinseco: il decreto-legge è per sua natura un intervento su questioni segnate da un carattere di necessità ed urgenza, direi un qualcosa che sopraggiunge inaspettato; una legge come la n. 145 è, di fatto, una legge quadro, invece, che definisce un processo decisionale che tende a riproporsi nel tempo.

Questo, a mio giudizio, è sufficiente a renderci chiaro come, purtroppo, non viviamo nel migliore dei mondi possibili e l'uso responsabile della forza militare, legittimato dalle istituzioni sovrannazionali di cui facciamo parte, può e deve essere un fattore di stabilità e di pace…

PRESIDENTE. Concluda.

ANDREA FRAILIS (PD). Sto concludendo, Presidente, grazie per la sua pazienza. Il quadro della nostra presenza all'estero risulta articolato all'interno di uno scenario internazionale; un quadro che rende difficile pianificare il futuro e rende proprio per questo necessario e indispensabile il ricorso ad una incessante e incalzante iniziativa diplomatica. Volevo concludere con un altro riferimento, cioè la necessità di organizzare giuridicamente una riserva ausiliaria dello Stato, basata sul volontariato, il cui profilo è definito in una nostra proposta di legge assegnata da tempo alla IV Commissione, aperta, ovviamente, al contributo di maggioranza e opposizione, e della cui approvazione si gioverebbero sia le autorità civili che le autorità militari nelle situazioni di emergenza sul territorio nazionale e nel sostegno agli stessi interventi internazionali, dove potrebbe trovare utile impiego (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Delmastro Delle Vedove. Ne ha facoltà.

ANDREA DELMASTRO DELLE VEDOVE (FDI). Nel “decreto Missioni”, che Fratelli d'Italia voterà, perché è il decreto che disegna la postura internazionale dell'Italia sullo scacchiere internazionale in tutti gli scenari di crisi, nella lotta al terrorismo, nella costruzione di pace, però, spuntano per l'ennesima volta ben 121 milioni di euro di cooperazione internazionale. Allora, noi non faremo mancare il nostro appoggio alle missioni delle nostre Forze armate che, dall'Africa ai Balcani, dal Medio Oriente all'Asia, intervengono con precisione, con serietà e con professionalità in tutti gli scenari di crisi per costruire pace e per difenderci dal terrorismo internazionale. Sappiamo che le nostre Forze armate esigono, pretendono rispetto e unità nazionale.

Lo voteremo, ma vogliamo però affrontare l'anomalia di un “decreto Missioni” che contiene incredibilmente un'ulteriore spruzzatina di cooperazione internazionale per 121 milioni di euro; 121 milioni di euro che avremmo avuto la pretesa, come Fratelli d'Italia, di discutere; sulla cui opportunità e sulla cui allocazione avremmo avuto la pretesa di discutere anche in tempi di normalità e che in tempi di Coronavirus, invece, avremmo avuto la pretesa di eradicare, di cancellare, destinando ogni risorsa a curare le ferite della nazione. Si tratta di 121 milioni di euro che, per lo più, sono destinati allo sviluppo rurale del Sudan, allo sviluppo agricolo del Niger, allo sviluppo del capitale umano del Mali, allo sviluppo del settore privato della Tunisia: 121 milioni di ulteriore ingiurie e ferite ai comparti economici italiani.

Perché, se non c'è dubbio, Viceministro, che sia importante sostenere l'agricoltura del terzo mondo, ebbene, per Fratelli d'Italia non c'è dubbio che non possa essere sostenuta a detrimento del nostro comparto agricolo (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia). Allora, è del 13 maggio questo appello di Confagricoltura con il quale si denuncia che l'intera Europa ha destinato in termini di risorse aggiuntive al comparto agricolo, per Coronavirus, 80 milioni di euro; l'intera Europa, tutta l'Europa e l'Italia destina 121 milioni di euro al comparto agricolo, con un solo presupposto, cioè che siano tutti tranne che imprenditori agricoli italiani. Ancora, è del 20 aprile l'appello di Coldiretti: l'agricoltura necessita di risorse finanziarie; dialogava con voi ma non sapeva che vi doveva aggiungere “l'agricoltura italiana”, perché voi effettivamente le avete immediatamente dirottate a tutta l'agricoltura mondiale purché vi fosse, nuovamente, un presupposto: non fossero italiani.

Allora, vogliamo squarciare questo velo di ipocrisia e vi vogliamo dire che voteremo il “decreto Missioni”, ma che non accettiamo più che vengano camuffati e occultati lì dentro 121 milioni di euro per la cooperazione internazionale che vengono destinati fuori dalla nazione (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia); che vogliamo che tutte le risorse vengano trattenute in patria, per curare le ferite della nazione; ancora, che vogliamo, per esempio, che noi non abbiamo più, come dire, nessuna sudditanza psicologica nei confronti di una sinistra che in virtù del Coronavirus ci diceva che tutto cambierà e in virtù di quel “tutto cambierà” avete privato gli italiani di libertà costituzionali…

PRESIDENTE. Concluda, onorevole.

ANDREA DELMASTRO DELLE VEDOVE (FDI). Mi avvio alla conclusione. Avete recluso ai domiciliari senza pena gli italiani, avete chiuso le imprese per decreto. Una sola cosa non è cambiata: il mantra della cooperazione internazionale di una sinistra esterofila che pasce la sua presunzione di superiorità morale, perché destina risorse a tutti tranne che agli italiani. E, allora, vi diciamo che in Commissione esteri, sfiorando il ridicolo, ci avete spiegato cosa fate: in Etiopia migliorate il chicco di caffè. E, allora, noi vi diciamo che volevamo stare al fianco del riso piemontese, stare al fianco del vino siciliano, stare al fianco delle arance calabresi, stare al fianco del pesto genovese, stare al fianco dei carciofi e delle patate di Leonessa laziali (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia), stare al fianco del comparto agricolo italiano, perché per noi viene sempre comunque prima l'Italia, mentre per voi viene, sempre e comunque, la vostra superiorità morale che si pasce di ipocrisia internazionale con i soldi degli italiani (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Russo. Ne ha facoltà.

GIOVANNI RUSSO (M5S). Grazie, signor Presidente. Rappresentanti del Governo, onorevoli colleghi, prima di cominciare il mio intervento desidero ricordare che, secondo l'articolo 11 della Costituzione, “l'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”. Le missioni internazionali, come stiamo vedendo in questi giorni, sono però l'occasione con la quale l'Italia può guardarsi dentro per proiettarsi meglio fuori e ricordare innanzitutto a se stessa che, pur nel pieno rispetto dei dettami di quanto stabilisce l'articolo 11 della Costituzione che ho citato, noi siamo comunque un grande Paese, e che dobbiamo rivendicare con orgoglio il nostro posto tra le prime nazioni in Europa, nel Mediterraneo e nel mondo. E proprio da questo ruolo di primaria importanza - ripeto: da rivendicare - che l'Italia ha la responsabilità di impegnarsi in prima fila per la pace nel mondo.

Ma non posso cominciare questo mio intervento senza ringraziare quelli che sono i protagonisti di questa immensa opera, di questa immane opera, di attività di pacificazione dei Paesi in difficoltà, che sono, appunto, le nostre donne e i nostri uomini militari e, ricordiamo, anche i civili della Difesa, che portano in alto il nome del nostro Paese nel mondo e che, con la loro umanità, la loro professionalità e la loro capacità di relazionarsi e di immedesimarsi nell'altro, sono il miglior biglietto da visita del nostro Paese e della nostra Italia nel mondo.

Oggi in quest'Aula, in ossequio a quanto previsto, siamo in discussione sulla valutazione di adeguatezza degli interventi di natura sia militare che civile a tutela degli interessi nazionali, così pure in relazione al sistema di alleanze e al posizionamento dell'Italia nelle organizzazioni internazionali e nel rispetto dei partner a cui noi ci riferiamo. L'impegno dell'Italia nelle missioni internazionali - che come ho detto è ancorato, innanzitutto, e ha sempre come stella polare quella che è la nostra Carta costituzionale - mantiene come propri obiettivi la stabilizzazione delle crisi in atto, la gestione ordinata dei processi di transizione dei Paesi in guerra, il sostegno ad agende riformiste inclusive, concorrendo così allo sforzo di tutta la comunità internazionale per la pace e la sicurezza a livello globale. Le missioni internazionali a cui l'Italia partecipa hanno consolidato il nostro profilo e la nostra identità sia in Europa, come dicevo, sia nel Mediterraneo, nel nostro legame atlantico e, quindi, nella nostra azione nel mondo, con il nostro convinto multilateralismo.

Nei confronti della comunità internazionale l'Italia deve spendersi, in particolare, affinché non cessi il proprio impegno contro il terrorismo, a sostegno dei diritti umani e delle libertà fondamentali e contro ogni forma di discriminazione nei confronti delle minoranze e anche per una condivisione più equa e responsabile delle conseguenze del fenomeno migratorio. Noi vogliamo ricordare, infatti, che l'Italia è impegnata in tantissimi scenari internazionali e a cominciare proprio da quello che era una volta il nostro giardino di casa, il versante libico, dove il nostro Paese, visti quelli che sono gli interventi diretti di attori non soltanto interni ma soprattutto esterni a quel Paese africano, il nostro Paese è impegnato a scongiurare sia una escalation tra le varie parti - ricordiamoci anche il grandissimo mosaico di tribù che popolano il Paese libico -, sia uno stallo con la divisione, di fatto, in due parti della Libia, dove non può esserci nient'altro che una situazione di piena guerra vera.

Per cui noi, a seguito di quella che è stata la Conferenza di Berlino, ci siamo impegnati affinché ci fossero i tre esercizi di dialogo intralibico sul piano militare, economico e soprattutto politico, perché ci dobbiamo ricordare che quello è un Paese completamente da rifare. Per tali ragioni l'adesione dell'Italia alle decisioni prese in ambito europeo ha posto fine, nel mese di marzo 2020, alla missione Eunavfor-Med operazione Sophia, alla quale subentra la nuova missione Eunavfor-Med Irini con l'obiettivo di dare attuazione, tramite assetti aerei, satellitari e marittimi, all'embargo di armi in Libia disposto dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. La nuova missione potrà evolvere sul terreno dell'addestramento e della formazione a oggi prestata nella missione bilaterale a supporto della guardia costiera libica. Un ruolo fondamentale così al nostro impegno in Libia, su richiesta del Governo nazionale libico, volto a fornire assistenza specialistica nell'addestramento e nella condotta delle operazioni di sminamento e bonifica di ordigni disseminati sul territorio libico e a continuare le attività previste nella missione bilaterale di supporto in favore della marina militare libica.

È importantissimo il ruolo che ha l'Italia nel Mediterraneo centrale e in Libia. Le operazioni ricomprese nella già citata missione bilaterale di assistenza e supporto MIASIT, a partire dall'attività legata al dispositivo “Mare Sicuro”, a quelle dell'ex operazione “Ippocrate”, che ha provveduto all'installazione di un ospedale da campo presso l'aeroporto di Misurata, e all'attività di cooperazione tra le marine militari e le attività svolte nello sminamento e bonifica di aree interessate dalla presenza di ordigni disseminati.

Per quanto riguarda il quadrante mediorientale, in Iraq l'Italia deve mantenere fermo il proprio impegno per l'attività di formazione di forze militari e di polizia irachene e curde, operando, nel contempo, in favore della stabilizzazione delle aree liberate dal Daesh e sostenendo il Fondo dell'UNDP per la ripresa postbellica di quelle aree, consolidando il nostro impegno per la salvaguardia del patrimonio storico e archeologico iracheno e quello nel contesto della coalizione globale contro Daesh e il sedicente Stato islamico. In tale prospettiva si colloca la nuova operazione dell'Unione europea denominata EUAM Iraq, intesa a fornire consulenze e competenze alle autorità irachene per lo sviluppo di strategie di contrasto e prevenzione del terrorismo e della criminalità organizzata.

È ormai necessario che l'Italia debba assumere un ruolo di primo piano in Europa rispetto alle problematiche che attraversano l'Africa, nella quale i temi dello sviluppo si intrecciano con l'instabilità politica e istituzionale determinando una situazione di diffusa e perdurante emergenza caratterizzata da una mobilità forzata della popolazione. Ed è proprio in tale quadro che rischiano di fondersi in un'unica area di crisi il nodo saheliano, che si estende progressivamente verso l'area del Golfo di Guinea, e quella del Corno d'Africa, dove una molteplicità di attori, anche esterni, determina una situazione di instabilità che dura da diversi decenni e le cui propaggini di fondamentalismo violento si vanno sempre più estendendo verso sud, arrivando a coinvolgere la Tanzania e il Mozambico.

A tale proposito giova ricordare, in particolare, la decisione, assunta nel corso del Summit NATO di Varsavia del luglio 2016, di costituire un polo, un hub, appunto, per la direzione strategica dell'Alleanza atlantica su Medio Oriente, Nord Africa, Sahel e Africa subsahariana, allo scopo di rafforzare la comprensione dell'alleanza sull'Africa e nel Medio Oriente fornendo prospettive e analisi e promuovendo lo scambio di informazioni con Paesi e organizzazioni partner al fine di evidenziare le dinamiche regionali rilevanti per la sicurezza euro-atlantica.

La Coalizione per il Sahel intende essere una piattaforma di coordinamento integrata finalizzata a mobilitare un più efficace sostegno alla stabilizzazione e sicurezza dei Paesi del 5G secondo i quattro pilastri: lotta al terrorismo, rafforzamento delle capacità militari degli Stati della regione, supporto e ritorno dello Stato e delle amministrazioni locali sul territorio e aiuti allo sviluppo. Per l'Italia, che avrà la possibilità di contribuire all'elaborazione dell'indirizzo politico della Coalizione per il Sahel, i nuovi assetti rappresentano un'opportunità per valorizzare in maniera più strutturata il proprio contributo per la stabilizzazione della regione, un contributo che potrà aumentare ulteriormente negli anni a venire tenuto conto della crescente rilevanza strategica del Sahel per la visione italiana di un Mediterraneo allargato.

È in tale contesto che sono chiamate a dare un contributo decisivo le nuove iniziative: da un lato, la partecipazione di un contingente italiano della forza multinazionale di contrasto alla minaccia terroristica nel Sahel denominata “Task Force Takuba”; dall'altro, l'avvio della missione di sorveglianza e sicurezza navale nel Golfo di Guinea, volta a fronteggiare le esigenze di prevenzione e di contrasto della pirateria e, più in generale, del crimine marittimo, con l'obiettivo di assicurare la tutela degli interessi strategici nazionali dell'area, con particolare riferimento alle acque prospicienti la Nigeria.

Preme sottolineare la conferma dell'impegno da parte dell'Italia per l'anno 2020-2021 nel Sahel, con la partecipazione alla missione bilaterale in Niger, alla missione dell'ONU MINUSMA, nonché alle missioni dell'Unione europea EUTM Mali, EUCAP Sahel Mali e EUCAP Sahel Niger.

Su impulso italiano e anche grazie all'intenso lavoro svolto dalla delegazione italiana presso l'Assemblea parlamentare della NATO, l'Alleanza si concentra oggi maggiormente sui pericoli e le criticità del suo versante meridionale, sia in termini di pianificazione militare, che di rafforzamento della cooperazione pratica e del dialogo politico con i Paesi partner della regione MENA. In tale contesto, si colloca coerentemente la nuova missione relativa alla partecipazione di personale militare all'iniziativa della NATO che è finalizzata al rafforzamento della stabilità delle regioni poste lungo il fianco sud della NATO, interessate da crescenti sfide e minacce alla sicurezza, attraverso attività di formazione e di supporto dei Paesi dell'area nell'ambito della sicurezza e difesa del territorio.

Oggi, quindi, qui discutiamo delle nuove missioni, a cui, appunto, oggi dobbiamo dare l'approvazione: le 9 missioni che sono svolte in Europa, le 10 in Asia e le 18 in Africa. I Paesi in guerra, i loro popoli, hanno ormai un bisogno acclarato dell'Italia, come abbiamo visto in Libano, per esempio, che, forse, è una delle migliori, se non la migliore missione che noi siamo riusciti a fare. Perché, tra le tante eccellenze che il nostro Paese ha e che il nostro Paese esporta, anche soltanto come modello imitato dagli altri Stati, c'è, appunto, la nostra capacità di peacebuilding e peacekeeping. Come diceva un monaco vietnamita che aveva vissuto sulla sua pelle le ferite della guerra, “non c'è via per la pace, la pace è la via” ed io sono orgoglioso di appartenere ad un Paese - l'Italia - che fa della pace la propria bandiera, il proprio obiettivo e la propria via (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Formentini. Ne ha facoltà.

PAOLO FORMENTINI (LEGA). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, membri del Governo, le deliberazioni che concernono la conferma delle missioni militari all'estero, l'avvio di nuove operazioni e gli interventi della cooperazione allo sviluppo sui teatri di crisi sono certamente un momento fondamentale per discutere della postura del nostro Paese nel mondo e del modo in cui l'Italia dovrebbe tutelare i propri interessi nazionali. Presenza militare ed aiuti allo sviluppo devono essere coordinati tra loro, perseguendo stabilità e pace. Nell'audizione dello scorso 25 giugno svoltasi presso le Commissioni esteri e difesa riunite dei due rami del Parlamento, i Ministri Di Maio e Guerini sono stati su questo molto chiari; lo abbiamo apprezzato, così come abbiamo apprezzato la decisione di assicurare la continuità di tutti i nostri impegni che si svolgono proprio nel quadro atlantico. Nel momento in cui si osservano sbandamenti e incertezze, in particolare, tentennamenti nei confronti di una Cina che si fa largo in Europa ed anche, purtroppo, nel nostro Paese, noi riteniamo che proprio dall'ambito della NATO si debba ripartire. Quindi, diciamo “sì” alla nostra permanenza nei cieli, nei territori e nelle acque prossimi ai confini della Federazione Russa, in cui vi siano dispositivi della NATO. Con gli uomini ed i mezzi che abbiamo conferito a questi interventi, noi contribuiamo non soltanto rassicurare Stati che, a torto o a ragione, si sentono minacciati da Mosca, ma, soprattutto, diciamo a noi stessi che l'Alleanza atlantica rimane centrale alla nostra sicurezza nazionale. Lo attestiamo anche con lo schieramento dei nostri militari nei Balcani e in Afghanistan a così grande distanza dal nostro territorio nazionale, dove resteremo fin tanto che rimarrà la NATO. Riteniamo, naturalmente, che l'Alleanza debba assumere un ruolo di più alto profilo anche nel quadrante geopolitico in cui ci troviamo e riteniamo positiva qualsiasi iniziativa incoraggi lo sviluppo della sua proiezione meridionale.

Diciamo “sì” anche agli interventi militari che servano a proteggere interessi vitali del nostro Paese: tali sono quelli collettivi che mirano alla sconfitta del terrorismo internazionale nei Paesi da cui attingiamo il petrolio, essenziale alla prosperità dell'Italia e quelli che tendono al ripristino della stabilità nel bacino in cui ci troviamo; tali sono, inoltre, quelli che ci vedono agire in totale autonomia, come nel caso di “Mare Sicuro”, schierato a ridosso delle coste libiche e della nuova missione navale con la quale si andrà a contrastare la pirateria nel Golfo di Guinea. Dobbiamo cercare di porre il nostro Paese al centro della rete dei rapporti diplomatici attraverso cui si dipanano le crisi in atto nel Mediterraneo - questo è certo - avendo coscienza soprattutto delle nostre obiettive capacità, che non sono trascurabili, ma non sono nemmeno quelle di una grande potenza. Vi è nel Governo che ha puntato sulla Turchia per mitigare gli effetti del protagonismo francese nel Mediterraneo centrale e in Nord Africa, salvo, poi, fare i conti con una crescita dell'influenza turca in Libia che non era stata preventivata e chi, invece, proprio per bilanciare la Turchia, ha pensato di scommettere sulla Francia, con la quale non mancano certo gli attriti e le divergenze di interessi. Siamo consapevoli della difficoltà del momento e dei limiti che la nostra cultura politica e costituzionale pone all'uso della forza nelle nostre relazioni con l'estero. Capiamo, quindi, la ritrosia dimostrata dal Governo nel coinvolgere il nostro Paese in uno degli schieramenti che si stanno affrontando in Libia, anche se, forse, non ci saremmo spinti fino al punto di affermare pubblicamente, come pure è accaduto, che non invieremo ulteriori soldati in quel Paese, se non nel contesto di una missione di interposizione successiva ad un accordo tra le parti e solo con il loro consenso. In questo modo, infatti, svalutiamo sensibilmente gli strumenti di cui disponiamo. Dobbiamo essere, inoltre, coscienti del fatto che, se non si riuscirà a far tacere le armi ed anzi entreranno in campo ulteriori potenze, le nostre scelte dovranno essere rivalutate. Per questo cogliamo l'occasione offerta da questo dibattito per rinnovare al Governo la richiesta di aggiornare costantemente il Parlamento sull'evoluzione degli scenari nei contesti in cui siamo impiegati. La Lega farà sempre, responsabilmente, la propria parte. Garantiamo il nostro appoggio, sperando che il Governo faccia un uso oculato della forza a disposizione del nostro Paese, sfruttando la propria agilità di relazione ed evitando di mettersi in competizione frontale con Paesi molto più spregiudicati del nostro e confidando, altresì, in una rinnovata attenzione degli Stati Uniti d'America per quanto sta accadendo in Libia. Non potremo, tuttavia, pretendere sostegno da Washington se, nel frattempo, non chiariremo anche da che parte stiamo nella competizione globale in atto tra America e Cina. È, infatti, ormai una questione dirimente: Via della seta o Alleanza Atlantica. Il Ministro Di Maio non ha voluto parlarne nel corso dell'audizione dello scorso 25 giugno, giudicando la questione dei nostri rapporti con Pechino irrilevante ai fini della gestione della nostra presenza militare all'estero. Forse, in senso stretto, aveva ragione, ma, in senso più ampio, le cose non stanno così; non stavano in questo modo il 25 giugno ed ancora meno adesso, che nel Golfo Persico si è saldato un asse tra Iran e Repubblica Popolare Cinese. Signor Presidente, onorevoli colleghi, membri del Governo, diremo “sì” alle missioni, ma chiediamo all'Esecutivo alcuni passi chiarificatori, senza i quali temiamo che i sacrifici quotidiani dei nostri militari possano essere vanificati dall'ambiguità della nostra postura (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Pini. Ne ha facoltà.

GIUDITTA PINI (PD). Grazie, Presidente. Il 20 gennaio di quest'anno, il Segretario generale delle Nazioni Unite ha mandato all'Italia 306 raccomandazioni sulla violazione di alcuni diritti che noi stavamo facendo, tra queste c'era la richiesta del superamento degli accordi e del Memorandum Italia-Libia a causa della sistematica e devastante violazione dei diritti umani che avviene in quel Paese. Venne qui la Ministra Lamorgese, ci assicurò che quel Memorandum non sarebbe stato rinnovato e che sarebbe stato cambiato; il 2 febbraio di quest'anno, quel Memorandum si è automaticamente rinnovato senza che fosse cambiato di una virgola. In Libia i migranti sono detenuti in campi di prigionia definiti, sempre delle Nazioni Unite, e non da me, campi di concentramento, in cui c'è una sistematica e devastante violazione dei diritti umani, in cui le donne vengono violentate, gli uomini vengono mutilati, torturati, i bambini subiscono la stessa fine, ci sono morti e dispersi, la gente sparisce. Quei campi spesso e volentieri, quelli legali e quelli illegali, sono gestiti e organizzati dalla cosiddetta Guardia costiera libica, Guardia costiera libica che si trova nella risoluzione che noi stiamo andando a rifinanziare. Attenzione, la Guardia costiera libica non esiste: non lo dico sempre io, lo dicono le Nazioni Unite, lo dice l'UNHCR, lo dice l'OIM, lo dice la Croce rossa internazionale; non esiste perché sono una serie di milizie. Ma a capo di una di queste Guardie costiere c'è stato per un certo tempo Abd al-Rahman al-Milad, detto Bija, che è stato sanzionato dal Consiglio di sicurezza dell'ONU per crimini contro l'umanità, e, pensate un po', a causa delle sue minacce noi abbiamo un giornalista italiano di Avvenire, Nello Scavo, che è sotto scorta. Ci troviamo quindi in una condizione paradossale, in cui noi stiamo finanziando la Guardia costiera, che poi dopo contestualmente minaccia e mettiamo sotto scorta i nostri giornalisti che fanno inchieste su quello che succede là. Adesso Abd al-Rahman non è più a capo, ma è sempre dipendente di una di queste Guardie costiere.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE FABIO RAMPELLI (ore 18,10)

GIUDITTA PINI (PD). Il 13 febbraio il Consiglio d'Europa ci ha mandato una lettera, ha mandato una lettera al Ministro Di Maio, in cui - cito, perché non vorrei dire cose sbagliate - chiediamo all'Italia di sospendere tutte le attività di collaborazione con la Guardia costiera libica, proprio a causa di tutto quello che vi ho detto prima. Uno si aspetterebbe quindi che adesso nel provvedimento missioni ci sia quantomeno un cenno a tutto questo; tutto questo ovviamente non c'è, c'è di nuovo il rifinanziamento. E allora la risposta standard che mi si dà è: va bene, ho capito, però se noi ce ne andiamo noi li lasceremo soli; no, se noi continuiamo a finanziarli con i soldi degli italiani siamo complici di tutto questo, è un po' diverso. E, onorevoli colleghi, Presidente, Ministri, Viceministri, non si tratta di essere idealisti, si tratta di essere realisti, si tratta di guardare quello che sta succedendo, si tratta di prendere atto di quello che ci dicono le Nazioni Unite e gli organi internazionali; noi non possiamo essere credibili, se poi diciamo che quegli organismi devono essere rispettati perché il multilateralismo è importante, se contestualmente quando quel multilateralismo ci manda delle osservazioni noi sistematicamente le ignoriamo, anzi, continuiamo imperterriti, dicendo che forse in un futuro, mah, si vedrà. Ecco, questo evidentemente non è stato fatto dal Governo; abbiamo però un compito in quanto parlamentari: all'interno della Camera dei deputati noi abbiamo la possibilità di votare o meno le risoluzioni che rifinanziano o meno quelle missioni, sapendo tutto quello che ci dicono gli organismi internazionali. E ripeto, è sufficiente andare su Internet e cercare i dati ufficiali. Domani noi voteremo quella risoluzione, quella risoluzione è ovviamente invotabile: non si può votare a favore del rifinanziamento della Guardia costiera libica. Ma non lo dico sempre per una questione mia o per una questione di partito: lo dico per una questione di rispetto di quello che ci chiedono il Consiglio d'Europa, le Nazioni Unite, l'UNHCR, la Croce rossa internazionale, l'OIM, Amnesty International e tutte le associazioni e le organizzazioni governative e non governative che hanno avuto modo di visitare e lavorare in quei campi (Applausi di deputati del gruppo Lega-Salvini Premier).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Perego. Ne ha facoltà.

MATTEO PEREGO DI CREMNAGO (FI). Presidente, signor sottosegretario Calvisi, signor sottosegretario Del Re, permetterete prima di iniziare il mio intervento di rivolgere un grazie non formale, anzi con un profondo senso di gratitudine, agli 8.613 fra donne e uomini, militari impegnati nelle missioni internazionali in un periodo di grande complessità, non soltanto per l'emergenza COVID ma anche per i quadri geopolitici che mai come ora vedono un diffondersi di conflitti ormai su tutto il globo. Questi militari con grande capacità, quella che si definisce comprehensive capacity, sono impiegati in missioni di tutela della pace (capacity building). Ne sono riconosciuti il valore e la professionalità a livello internazionale: ricordo ancora l'affermazione del generale McChrystal in riferimento alla Task Force 45 impiegata in Afghanistan, di cui elogiava la straordinaria professionalità e capacità ed efficacia. Tutto questo però si inserisce - e mi perdonerete l'excursus - su un contesto di politica estera in cui la politica estera di questo Paese non è capace di trarre dall'enorme sforzo compiuto dalle missioni internazionali il giusto tributo, il giusto peso.

Perché questa politica estera non ha una visione strategica: non ce l'ha nel Mediterraneo, il Mare nostrum, e non ce l'ha nel Medioriente (ad esempio, non ce l'ha rispetto al conflitto siriano, dove l'Italia è completamente estranea ad ogni processo di stabilizzazione e di pacificazione della regione). Eppure, ad esempio in Libia, l'Italia non soltanto ha interesse che il Paese sia stabilizzato, che si arrivi finalmente alla pace, ma ha evidenti interessi economici (in riferimento all'approvvigionamento energetico, ad esempio).

Allora stupisce, guardando la cartina della Libia oggi, che si vedano schierate militarmente due grandi potenze, come la Turchia, a sostenere il governo di Sarraj, e la Russia ed altri a sostenere la posizione di Haftar. Ecco, la domanda è molto semplice: ma dov'è l'Italia? Perché l'Italia, perché la nostra politica estera ha permesso che queste due superpotenze entrassero così pesantemente in Libia e non ha utilizzato ad esempio lo strumento della deterrenza militare? Io ho sempre sostenuto che se l'Italia avesse schierato delle FREMM a 12 miglia dalle coste libiche, forse si sarebbe potuto impedire il trasferimento di milizie di HTS dalla Siria alla Libia, il trasferimento di armamenti a sostegno del Governo di Sarraj, e si sarebbe potuto guidare un processo politico, che oggi però è totalmente irrilevante rispetto allo scacchiere internazionale.

Allora, ancora una volta mi chiedo: la politica estera di questo Paese a che cosa serve, che cosa guarda? Qual è la traiettoria, qual è la strategia? Io ho sempre pensato che la politica estera di un Paese debba difendere l'agenda nazionale, gli interessi nazionali; invece noi, in tutti i consessi internazionali in cui siamo invitati, siamo spettatori, non siamo mai leader, non guidiamo mai un processo; l'abbiamo visto con la Conferenza di Palermo, lo abbiamo visto con la Conferenza di Berlino; noi siamo gli invitati di turno, avendo perso questo ruolo cruciale e strategico che l'Italia, per posizione e per la natura e la conformazione del nostro territorio, aveva sulla Libia e sui processi libici.

Ancora una volta, invece, le missioni militari ci insegnano qual è la nostra traiettoria. La partecipazione alle missioni NATO, in particolare in Afghanistan e in Iraq con la coalizione contro Daesh, ci rappresenta quella che deve essere la nostra sfera di influenza, l'atlantismo, che ogni tanto questo Governo, nella persona del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, sembra aver perso ascoltando le sirene cinesi; le stesse, forse, che hanno impedito di dar seguito a una missione EMASOH, nel Golfo Persico - lo Stretto di Hormuz - per la quale l'Italia in realtà aveva già sottoscritto un patto politico. Quindi ci si chiede che cosa è successo: quale è stato il corto circuito nella maggioranza, in particolare nel MoVimento 5 Stelle, che ha fatto stralciare questa missione un giorno con l'altro? Una missione importante: dallo Stretto di Hormuz passa il 20 per cento del petrolio mondiale; l'Iran è un importante partner commerciale dell'Italia, e lì si misurano i passaggi, le contese delle nostre navi mercantili che sono minacciate dalla pirateria, così come in altri territori.

Ma la riflessione è molto semplice: questa cancellazione della missione di Hormuz rappresenta come ci sia una totale approssimazione nella definizione strategica dal punto di vista della politica estera del Paese rispetto a quali missioni siano importanti.

Voglio fare un altro esempio. Noi partecipiamo alla missione in Afghanistan investendo circa 160 milioni dei soldi dei contribuenti italiani, così come in Iraq 260, ma perché soltanto in Libia, dove invece abbiamo gli interessi nazionali specifici del nostro Paese, la missione prevede un investimento di soli 60 milioni? Questa sperequazione secondo me la dice lunga sul fatto che noi seguiamo la politica estera, gli interessi di altri Paesi, e non sappiamo affermare i nostri; altrimenti non si spiegherebbe perché Turchia e Russia guidano il percorso, il processo militare oggi e poi - si spera - di ricostruzione e stabilizzazione, in cui l'Italia sarà ovviamente marginalizzata, come è pensabile, come è probabile, visto che il nostro impegno è stato molto marginale rispetto alle altre due potenze.

E, allora, ancora una volta voglio ribadire il concetto che va forse risolto nell'opinione pubblica: qual è la concezione che noi abbiamo della difesa. Le missioni internazionali - va da sé - sono un'articolazione di un ampio percorso, che prevede la missione internazionale, l'industria, le Forze armate. Noi siamo fermamente convinti che questa articolazione e questo complesso siano una straordinaria risorsa del nostro Paese, siano una colonna portante del nostro Paese. Eppure sentiamo ancora nei gangli della maggioranza certe determinazioni che dicono e che rappresentano una cultura antimilitarista; lo abbiamo visto con alcune posizioni sugli F35 e, come ho detto prima, sulla missione Hormuz. Penso, invece, che sia fondamentale - e questo è il luogo più adatto per parlarne - portare la difesa nel suo complesso al giusto posto che occupa nella società, e utilizzare quindi le missioni internazionali per la loro funzione di stabilizzazione dei territori afflitti da conflitto, di capacity building, di training alle forze di polizia e alle Forze armate locali, di bandiera del nostro Paese in quei territori in cui la cultura italiana, il made in Italy, in cui i nostri militari, grandi ambassador, sono sempre apprezzati.

Allora, voglio essere costruttivo verso il Governo: cerchiamo di costruire un'agenda politica basata sull'interesse nazionale, ricordando dove siamo, dove siamo collocati nel mondo dalla nostra storia politica e geopolitica, e non ammiccando a sirene orientali tatticamente, senza poi rappresentare, quindi, nell'Occidente un partner solido. Pensate che considerazione possono avere gli alleati NATO o dell'Occidente rispetto alle nostre continue interazioni cinesi e non solo, o turche. Ho colto con stupore, onestamente, le visite del Ministro Di Maio prima e del Ministro Guerini in Turchia. Mi sarei aspettato che i ministri turchi venissero invece in Italia a chiedere conto della situazione libica e a farsi consigliare, e non noi a inseguire una potenza regionale che si sta affermando con sempre maggiore determinazione e che - va da sé - non ha gli stessi nostri interessi strategici. Anzi, spesso, lo abbiamo visto con quello che è successo nelle acque di Cipro, la Turchia si è comportata come antagonista dei nostri interessi; la Turchia che sta sviluppando una penetrazione forte anche nel Corno d'Africa. Tutti territori dove - forse lo dico prima di tutto da cittadino italiano - mi sarei aspettato che l'Italia fosse più presente. Mi sarei aspettato che l'Italia, con questa grande forza, straordinaria forza, rappresentata dalla nostra dimensione militare, possa, investendo un miliardo in missioni militari internazionali, giovare di più di questo sforzo. Invece, a volte questo sforzo sembra vanificato da una politica estera leggera, una politica estera che di Governo in Governo si trascina senza mai, invece, tenere presenti dei punti fermi.

Quindi - concludo, Presidente - ovviamente noi siamo a favore delle missioni internazionali; lo siamo sempre stati, la storia del nostro partito lo insegna, ma siamo a favore di un'Italia che riesca ad essere protagonista nel Mediterraneo, in Medioriente, in tutte quelle aree dove ci sono in gioco la stabilità mondiale e gli interessi nazionali (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Andrea Romano. Ne ha facoltà.

ANDREA ROMANO (PD). Presidente, parlare di missioni internazionali significa naturalmente parlare di multilateralismo, ovvero del modo in cui noi teniamo insieme l'interesse nazionale italiano e la tutela della pace e della stabilità internazionale, nello spirito di quell'articolo 11 della Costituzione che già altri colleghi hanno ricordato, ma che - ricordiamolo anche in questo caso - è un articolo che prescrive il ripudio della violenza, come anche la promozione delle organizzazioni internazionali che garantiscono la pace e la giustizia tra le nazioni. Perché ricordare l'articolo 11? Perché noi oggi discutiamo del rinnovo delle nostre missioni internazionali, che sono uno degli strumenti fondamentali attraverso il quale l'Italia partecipa al governo della comunità internazionale, e quindi pratica concretamente il multilateralismo, che vuol dire la difesa della pace, che vuol dire salvaguardia dei diritti umani, che significa tutela dei più deboli. Tutti obiettivi che sono minacciati dalla crisi del multilateralismo; una crisi che è in atto da tempo nella comunità internazionale e che abbiamo conosciuto anche noi da vicino nella nostra recente esperienza politica. L'Italia ha conosciuto da vicino i danni dell'isolazionismo, che poi è il rifiuto del multilateralismo; ha conosciuto cosa significa la tentazione del fare da soli, che significa poi non fare niente, abbandonare gli altri al proprio destino, rinunciare alla responsabilità di fare tutto il possibile nelle sedi multilaterali e attraverso gli strumenti multilaterali. L'isolazionismo significa rinunciare alle responsabilità che competono ad un grande Paese come l'Italia; un Paese che vuole continuare a svolgere un ruolo adeguato alla propria storia e anche alla propria missione nella comunità internazionale. Una missione che è incentrata - voglio sottolinearlo ancora una volta - sulla tutela dei diritti umani e sulla tutela della pace.

Vengo rapidamente alla Libia, Presidente, perché sappiamo tutti che è il punto più delicato tra le missioni di cui parliamo in questo caso, però, abbiamo visto concretamente cosa vuol dire la tentazione dell'isolazionismo, rinunciare al multilateralismo nel caso libico. Il Governo della destra sovranista, perché di questo si è trattato, per l'Italia ha significato l'abbandono della Libia ai libici e l'abbandono dei libici al proprio destino. Ha significato associare la più rumorosa propaganda del “prima gli italiani” al più vergognoso abbandono degli interessi nazionali italiani e dello stesso destino dei libici e di coloro che in Libia vengono umiliati e perseguitati tutti i giorni. La pratica dell'isolazionismo che il Governo sovranista ha messo in atto ha significato per l'Italia perdere leva e perdere autorevolezza sullo scenario libico, così come è accaduto più ampiamente in Europa e nella comunità internazionale. Poco fa, durante il question time, un collega della Lega, di cui non ricordo il nome - per questo mi scuso -, rivolgendosi al Governo ha detto: in Libia l'Italia ha perso posizioni. Beh, in Libia avete perso posizioni quando governavate, abbandonando la Libia al proprio destino e rinunciando a praticare gli interessi nazionali italiani e rinunciando a praticare il multilateralismo su quello scenario.

Noi oggi abbiamo il compito di recuperare quell'autorevolezza, e possiamo farlo concretamente solo rilanciando il nostro ruolo in Libia e il ruolo di tutte le operazioni internazionali di cui è parte l'Italia. Noi oggi dobbiamo rilanciare un'azione italiana che anche in Libia è orientata a difendere i diritti umani, la stabilizzazione e la tutela dei più deboli. Dobbiamo farlo anche perché c'è chi ha approfittato della nostra assenza, così come ha approfittato della debolezza europea. Penso, ovviamente, alla Turchia, che nel Mediterraneo, e in particolare in Libia, ha lanciato un'offensiva geopolitica, per carità, comprensibile, ma certamente non orientata alla salvaguardia della stabilità e alla difesa dei diritti umani. E rispetto a questa offensiva noi cosa dovremmo fare? Dovremmo tirare i remi in barca, dovremmo arrenderci alla logica della guerra, del caos e della continua prevaricazione dei più deboli oppure dovremmo, come effettivamente dobbiamo, secondo il Partito Democratico, rilanciare i nostri strumenti di presenza su quello scenario, gli strumenti di stabilizzazione, gli strumenti di tutela dei diritti umani?

Noi sappiamo bene qual è la tragedia umanitaria che è in corso oggi in Libia, e l'ha ricordata correttamente la collega Pini poco fa. Conosciamo quella tragedia, l'abbiamo denunciata, abbiamo lavorato e lavoriamo perché quella tragedia si fermi, ma qual è il modo davvero efficace per fermare quella tragedia umanitaria? Abbandonare la Libia al proprio destino, andandosene da quel Paese per curare la nostra coscienza, per carità, mentre invece la strage continua? Oppure restare in Libia con la caparbietà e la determinazione di chi non vuole arrendersi dinanzi alla più feroce violazione dei diritti umani, e quindi usare tutti gli strumenti a nostra disposizione per rafforzare la tutela dei più deboli, per insistere ovunque e in ogni modo per migliorare concretamente la situazione. Noi non possiamo permettere che la nostra scelta diventi quella tra la coscienza, la nostra coscienza, e la violenza, la violenza degli altri, perché la pulizia della nostra coscienza credo che interessi davvero poco quei migranti che vengono torturati nei campi libici, mentre quello che davvero può cambiare il destino di questi migranti è l'impegno che mettiamo e che metteremo per cambiare le cose concretamente nella realtà libica. E possiamo farlo, possiamo cambiare le cose concretamente solo con la nostra presenza, con la presenza dei nostri addestratori, con l'apertura dei corridoi umanitari, con la nostra insistenza affinché le organizzazioni internazionali ci siano e facciano meglio il loro lavoro.

In questo senso è fondamentale sottolineare i passi avanti che la risoluzione di maggioranza - perché di questo parliamo, naturalmente - realizza nella qualità della nostra presenza in Libia. Non credo, infatti, che sia veritiera quella fotografia che descrive una situazione immobile nei provvedimenti che sono stati adottati; questo provvedimento non è uguale ai provvedimenti che sono stati adottati in passato. Sarebbe poco lungimirante - lo dico con serenità - far finta di non vedere l'impegno preciso che il nostro Paese assume, e leggo dalla risoluzione, affinché ci si adoperi con le autorità libiche al fine di consentire alle organizzazioni internazionali di poter accedere, senza restrizioni e in tempi celeri, nei centri di accoglienza per persone migranti allo scopo di verificarne le condizioni e al contempo favorire ogni iniziativa per il superamento dei centri di detenzione e per l'evacuazione delle persone detenute nei campi verso Paesi dell'Unione europea e non, attraverso i corridoi umanitari, con particolare attenzione ai profughi di guerra connotati da specifici bisogni riconducibili ai minori e ai nuclei familiari.

Questo è un primo e fondamentale elemento di discontinuità, così come sarebbe poco lungimirante non riconoscere la novità secondo la quale – e cito ancora - le attività previste nella missione bilaterale di supporto siano concentrate esclusivamente in favore della marina militare libica a partire dal prossimo anno, così come del terzo punto sarebbe poco lungimirante non cogliere la novità dell'investimento sulla missione Irini e sul suo sviluppo, una missione europea che abbiamo fortemente voluto, che oggi svolge funzioni di vigilanza sull'embargo di armi e di contrasto al traffico degli esseri umani e che noi vogliamo che assuma funzioni di formazione e addestramento del personale libico. Perché quello contro il traffico di esseri umani, colleghi, è un impegno che prendiamo sul serio anche in questo caso, senza la propaganda di chi a parole denunciava la tratta dei migranti, ma nei fatti la favoriva, riducendo l'efficacia degli strumenti a disposizione dello Stato italiano. E così come stiamo cambiando i “decreti insicurezza” voluti da Salvini, decreti che hanno portato maggiore - per l'appunto - insicurezza agli italiani e il peggioramento della lotta contro la tratta degli esseri umani, così noi oggi ci impegniamo a rendere la vita difficile ai trafficanti di esseri umani. Anche in questo modo - e concludo - si risponde alle legittime preoccupazioni degli italiani sui flussi di immigrazione, preoccupazioni che ultimamente sono legate anche all'emergenza COVID-19. Quelle preoccupazioni vanno prese sul serio e meritano risposte serie, non le risposte di quella pessima propaganda che soffia sul fuoco della paura, con l'obiettivo di avere più paura e più voti. Quelle preoccupazioni esigono risposte di una politica seria e responsabile - e finisco - che assume su di sé la fatica di misurarsi con la risoluzione dei problemi e non soltanto con la cura solitaria della propria coscienza, grazie (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Fabio Massimo Boniardi. Ne ha facoltà.

FABIO MASSIMO BONIARDI (LEGA). Grazie Presidente. Signor Presidente, onorevoli colleghi, sottosegretario Calvisi, sottosegretario Del Re, che vedo impegnato in una riunione, probabilmente per trovare una posizione univoca su questo tipo di missioni, con grande ritardo giungono finalmente anche nella nostra Aula i documenti dell'attività di relazione del Governo sulle missioni internazionali, le nostre Forze armate e gli interventi della cooperazione allo sviluppo sui teatri di crisi. Immaginiamo che la ragione fondamentale della tempistica di quest'anno risieda principalmente nell'emergenza epidemiologica che ha colpito il nostro Paese e alcune incertezze legate logicamente allo sviluppo della situazione in alcune aree geografiche di nostro interesse. Non ne faremo quindi, in questa sede, un'occasione di polemica politica, in via generale non lo facciamo mai su materie che coinvolgono la sicurezza nazionale, anche se in qualche circostanza passata abbiamo creduto opportuno discutere alcune modalità della nostra presenza militare all'estero. A quanto abbiamo appreso dalla documentazione che ci è stata fornita e soprattutto dall'audizione dei Ministri degli Esteri e della Difesa, il nostro impegno militare complessivo nei teatri di crisi ammonterà mediamente a circa 6.400 uomini, con un picco massimo autorizzato di circa 8.150, distribuiti tra oltre 40 operazioni, ad alcune delle quali in realtà sono stati attribuiti contingenti di dimensioni simboliche. Gli apporti maggiori sono quelli che abbiamo conferito alla lotta contro Daesh, in alto Iraq, all'UNIFIL, schierata nel Libano meridionale e alla missione dell'Alleanza atlantica in Afghanistan, che si protrae da lungo tempo e che potrebbe essere in procinto di concludersi. Ovviamente, se così fosse, sarà deciso collettivamente in ambito NATO. Nell'avviare una serie di interventi, il Governo ha affermato di aver privilegiato i contesti nei quali insistono interessi nazionali da proteggere: vi sarebbe la volontà di tutelare, più efficacemente detto, la decisione di rafforzare la nostra presenza militare in Africa, in particolare avviando una missione navale di contrasto alla pirateria nelle acque attigue alla Nigeria. Potenzieremo per le stesse ragioni anche la nostra presenza militare nel Sahel; ci è stato detto che lo faremo in funzione delle esigenze della nostra sicurezza nazionale, che sarebbe minacciata dal diffondersi e radicarsi del territorio jihadista, una vasta regione che si trova all'immediato ridosso della Libia e quindi delle coste mediterranee. Non abbiamo ragione di dubitarne. Il Ministro della difesa ha aggiunto però che i nuovi impegni in quella zona serviranno anche a mitigare l'assoluta supremazia locale francese. Lo troviamo lodevole, ma esprimiamo qualche riserva al riguardo. Mentre siamo d'accordo sul fatto che si possa e si debba contrastare il terrorismo, anche nel Sahel, questa pretesa di far concorrenza ai francesi ci appare francamente un po' velleitaria. Lo diciamo a malincuore, ma per realismo.

Saremmo forse meglio informati su ciò che i francesi faranno alle spalle della Libia, nel suo retroterra, e forse conferiremmo maggiore spessore alla nostra collaborazione con i Paesi con i quali abbiamo finora potuto fare ben poco. Va bene lo stesso, beninteso, a patto di non illudersi troppo su ciò che possiamo fare davvero: non dobbiamo montarci la testa, è questo è il vero punto che dobbiamo sollevare oggi, in sede di discussione generale. Noi concordiamo sulla necessità di una serie di scelte politiche che attestino il nostro coinvolgimento nel mantenimento della sicurezza internazionale nelle zone di nostro maggiore interesse, anche con l'impegno delle nostre truppe. Non siamo però convinti dell'opportunità di disperdersi su così tanti teatri, minando una postura di grande potenza e per non corrispondere né alla nostra vocazione nazionale né alle nostre obiettive possibilità attuali. Le operazioni militari che vengono autorizzate hanno senso se si giustificano soltanto se servono a tutelare interessi nazionali direttamente minacciati, contribuiscono alla difesa collettiva delle alleanze di cui facciamo parte o permettono il consolidamento di processi di pace che generano stabilità.

Gli interventi maggiori di cui è stato disposto l'avvio, la conferma o la prosecuzione rientrano in queste categorie, seppur con delle sfaccettature diverse. Apprezziamo la partecipazione militare italiana alle missioni che si svolgono sotto l'ombrello della NATO, anche perché queste potrebbero contribuire ad allentare la pressione che si chiede di elevare le spese militari a livello del 2 per cento del PIL, un traguardo che non possiamo raggiungere nel breve e che l'emergenza COVID ha differito ulteriormente nel tempo. E non saremmo successivamente critici nei confronti dei molteplici interventi minori, che hanno l'unica apparente funzione di attestare la suddivisione di un indirizzo politico, spesso espressione dell'Unione europea e delle Nazioni Unite. Rimane da chiarire, tuttavia, il senso di una distribuzione dei nostri impegni militari che ci vede più solidamente rappresentati in Iraq, Libano e Afghanistan di quanto non si verifichi in Libia, Paese la cui intraprendenza turca ha, per la verità, sorpreso non soltanto noi italiani, ma altresì tutto il composito fronte delle forze che hanno sostenuto finora il generale Haftar.

Siamo certi del fatto che il nostro Paese permanga un punto di riferimento per il Governo di accordo nazionale, che ci ha appena chiesto di contribuire allo sminamento della Tripolitania, ma è un fatto che al-Sarraj sia riuscito a spezzare l'assedio che cingeva la capitale libica soltanto grazie all'aiuto militare offerto da una Turchia più spregiudicata che mai. Possiamo, infine, rientrare in gioco, magari sfruttando l'esigenza del Governo tripolino di sottrarsi alla tutela fin troppo ingombrante di Ankara e l'interesse americano di impedire che in Libia si produca una escalation simile a quella che si è verificata in Siria. Lo speriamo sinceramente, ma forse è un cambio di passo anche nella narrazione istituzionale di ciò che facciamo. Siamo quindi a favore della conferma della presenza militare in Libia, del suo allargamento alla componente degli sminatori e sosteniamo anche la prosecuzione dell'operazione “Mare Sicuro” che coinvolge le nostre navi.

PRESIDENTE. Ha esaurito il suo tempo, se arriva al punto l'aspetto volentieri.

FABIO MASSIMO BONIARDI (LEGA). Quindi, saremo sicuramente a favore. Glissiamo con olimpica, indiscussa superiorità, alle affermazioni deliranti del collega che ci ha preceduto, anche perché vorremmo capire la posizione del PD, perché due rappresentanti, abbiamo avuto due posizioni diverse, uno che chiede di andarsene e uno che chiede di rimanere.

PRESIDENTE. Deputato Boniardi, chiedo scusa, ma ha esaurito il suo tempo da un po', quindi le suggerisco, se vuole, può anche consegnare se vuole.

FABIO MASSIMO BONIARDI (LEGA). Va bene. Chiudo soltanto con un sentito ringraziamento ai nostri soldati (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione generale.

(Annunzio di risoluzioni)

PRESIDENTE. Avverto che sono state presentate le risoluzioni Iovino, Pagani ed altri n. 6-00116 (Versione corretta), Ermellino n. 6-00117 e Palazzotto, Orfini, Magi, Sarli, Fioramonti, Cecconi, Ungaro ed altri n. 6-00118, che sono in distribuzione (Vedi l'allegato A).

Il rappresentante del Governo, anche al fine di esprimere il parere sulle risoluzioni presentate, si riserva di intervenire in altra seduta. Il seguito del dibattito pertanto è rinviato appunto ad altra seduta.

Discussione della proposta di legge: S. 1187 - D'iniziativa dei senatori: Romeo ed altri: Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività connesse alle comunità di tipo familiare che accolgono minori. Disposizioni in materia di diritto del minore ad una famiglia (Approvata dalle Commissioni permanenti riunite 1a e 2a del Senato) (A.C. 2070); e delle abbinate proposte di legge: Molinari ed altri; Ascari ed altri; Fiorini ed altri; Lollobrigida ed altri (A.C. 1731-1887-1958-2007) (ore 18,35).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge, già approvata dalle Commissioni permanenti riunite 1a e 2a del Senato, n. 2070: Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività connesse alle comunità di tipo familiare che accolgono minori. Disposizioni in materia di diritto del minore ad una famiglia; e delle abbinate proposte di legge nn. 1731-1887-1958-2007.

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi per la discussione generale è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (Vedi calendario).

(Discussione sulle linee generali – A.C. 2070)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Avverto che il presidente del gruppo parlamentare MoVimento 5 Stelle ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento. Avverto, altresì, che le Commissioni riunite II (Giustizia) e XII (Affari sociali) si intendono autorizzate a riferire oralmente. Ha facoltà di intervenire la relatrice per la Commissione giustizia, deputata Ascari.

STEFANIA ASCARI, Relatrice per la II Commissione. Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, è passato poco più di un anno da quando nel giugno del 2019 chiedevo, attraverso una mia proposta di legge, che venisse istituita una Commissione parlamentare di inchiesta sugli allontanamenti dei minori dalle famiglie e sugli affidamenti a comunità con particolare riferimento ai casi avvenuti nella provincia di Modena tra il 1997 e il 1998. In quel mese di giugno 2019 una grossa inchiesta avrebbe poi sconvolto l'Emilia Romagna e l'Italia tutta. Ma iniziamo con ordine perché l'idea di questa Commissione d'inchiesta nasce da quello che l'inchiesta giornalistica “Veleno”, realizzata da Alessia Rafanelli e Pablo Trincia e pubblicata su la Repubblica, ha riportato alla luce, cioè la vicenda, iniziata tra il 1997 e il 1998, riguardante sedici bambini sottratti alle rispettive famiglie tra Massa Finalese e Mirandola nella bassa modenese e nota giornalisticamente come il caso dei diavoli della bassa modenese.

Accadde che, su indicazione dei servizi sociali, questi bambini furono tolti ai loro genitori e mai più restituiti, nonostante alcune di queste famiglie siano state successivamente prosciolte da ogni accusa. L'inchiesta giornalistica ha cercato di fare luce sull'inconsistenza delle accuse secondo cui i bambini sarebbero stati vittime di abusi sessuali da parte di una rete satanica di pedofili che li costringeva ad assistere e a compiere riti satanici e sacrifici umani nei cimiteri della zona promossi e diretti da un sacerdote, nonostante le indagini non abbiano riscontrato prove di alcun genere. Emerge da queste carte che le dichiarazioni rese dai minori non furono supportate da alcuna prova quali fotografie, riprese audiovideo o testimonianze. Le testimonianze ascritte ai bambini erano in realtà riportate dalle assistenti sociali senza che vi fosse traccia di registrazioni dei colloqui con i minori e, dunque, è sulla rielaborazione di questi assistenti sociali e sulla loro capacità di interpretare quel che dicevano i minori, in alcuni casi davvero molto piccoli, che si è basato l'intero impianto dell'accusa. L'inchiesta di Rafanelli e Trincia evidenziava per l'appunto la presenza di effetti distorsivi di grave portata dovuti a interrogatori lunghi e ripetuti atti a far dire ai minori ciò che gli interroganti adulti si aspettavano di ascoltare, anziché far emergere la realtà dei fatti. Metà degli accusati nel tempo sono stati prosciolti da ogni accusa ma nel frattempo alcuni dei protagonisti sono morti, alcuni togliendosi la vita. Il mio pensiero va in particolare a una giovane mamma, perché non è facile convivere da innocenti con l'accusa infamante di violenza e abuso nei confronti dei propri figli nel frattempo sottratti e affidati ad altri. C'è da aggiungere anche un altro elemento ed è quello del metodo o, meglio, dei metodi utilizzati dagli assistenti sociali, medici e psicologi. Gli assistenti sociali e psicologi furono incaricati all'epoca di svolgere le perizie su cui si sono basati numerosi processi per accuse di abusi su minori poi smentite: Angela Lucanto, i diavoli della bassa modenese, Rignano Flaminio. Parliamo tra l'altro degli stessi professionisti tuttora al centro dell'inchiesta di Reggio Emilia su un presunto giro di affidi illeciti di minori nei comuni della Val d'Enza. Ma torniamo al metodo: quello utilizzato da centinaia di professionisti sparsi per il Paese per l'ascolto dei minori spingerebbe a rintracciare abusi sessuali anche quando non ci sono. È una metodologia respinta dalla comunità scientifica che, invece, si riconosce in alcuni testi ben più rigorosi e frutto di un intenso lavoro del mondo scientifico e accademico come la Carta di Noto e le linee guida della Consensus Conference.

Tuttavia la metodologia tutta incentrata sulla convinzione che l'abuso sessuale sui minori sia un fenomeno diffuso e in grande prevalenza sommerso, che gli adulti non vadano ascoltati perché quasi sempre negano e che l'abuso debba essere rintracciato anche in assenza di rivelazioni del minore grazie all'approccio empatico da parte degli operatori ha fatto proseliti. Insomma nessuno psicologo forense, all'epoca dei fatti dei diavoli della bassa modenese, ha seguito le direttive contenute nella Carta di Noto, cioè le linee guida deontologiche per lo psicologo forense promosse dalla comunità scientifica. Si era soliti piuttosto indurre ricordi nei bambini. Possiamo immaginare i disastri che tale metodo ha provocato. Due ragazze coinvolte, minori all'epoca dei fatti, hanno riferito nell'ambito dell'inchiesta “Veleno”: ho la certezza di avere inventato tutto e mi sono sentita sequestrata da assistenti sociali, psicologhe e giudici. Ecco il loro metodo spiegato per bene. Si comprende dunque perché quest'ambito debba essere indagato e posto all'esame di una Commissione parlamentare e di esperti.

Come ho avuto modo di accennare però questo fenomeno non si esaurisce al solo caso dell'inchiesta “Veleno”. Come denuncia la campagna nazionale “Nidi violati”, sono numerosi i casi per i quali però, dopo anni o anche decenni, si accerta la totale innocenza, noti anche come falsi positivi e allora qualcosa non funziona, qualcosa è davvero da correggere in questo sistema. La Convenzione di New York del 1989 sui diritti del fanciullo, ratificata e resa esecutiva in Italia dalla legge n. 176 del 1991, stabilisce che ogni ragazzo che è temporaneamente o definitivamente privato del suo ambiente familiare oppure che non può essere lasciato in tale ambiente nel suo proprio interesse ha diritto ad una protezione e ad aiuti speciali dello Stato in conformità con la propria legislazione nazionale. Questa protezione sostitutiva può concretizzarsi per mezzo dell'affidamento familiare, dell'adozione o, in caso di necessità, del collocamento in adeguati istituti per l'infanzia. Nel nostro Paese la legislazione vigente in materia di minori fuori famiglia ha subito nel corso degli anni una significativa evoluzione. Si è passati infatti dall'accoglienza presso gli istituti di assistenza pubblici o privati per minori, i cosiddetti orfanotrofi, al collocamento presso comunità di tipo familiare, cosiddette case-famiglia, e all'affido come possibile fase transitoria verso l'adozione vera e propria. La legge 4 maggio 1983, n. 184, che disciplina l'adozione e l'affidamento del minore, successivamente modificata dalla legge 28 marzo 2001, n. 149, ha però sancito definitivamente il diritto del minore a crescere ed essere educato nella propria famiglia. Questo ha portato alla chiusura e trasformazione dei vecchi orfanotrofi con lo scopo di garantire al minore la convivenza in un ambiente il più possibile accogliente e simile a quello della famiglia propriamente detta. L'inserimento dei minorenni nelle strutture di accoglienza avviene, nella maggioranza dei casi, a seguito di un provvedimento dell'autorità giudiziaria. Bisogna infatti tenere conto che la permanenza dei minorenni nelle comunità fuori dalla propria famiglia di origine non può superare i 24 mesi, salvo eventuali proroghe disposte dal tribunale per i minorenni per il caso in cui la sospensione del collocamento possa recare pregiudizio al minore. Un aiuto per inquadrare meglio il sistema affidi in Italia ci deriva dall'indagine conoscitiva sui minori fuori famiglia portata avanti dalla Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza. La relazione finale ha evidenziato l'inadeguatezza del sistema di rilevazione dei dati concernenti i minori fuori famiglia: un sistema con gravi lacune, non idoneo a garantire informazioni aggiornate e fruibili sul numero complessivo dei minori e la loro relativa collocazione sul territorio nazionale. Inoltre la Commissione parlamentare, nel trarre le conclusioni dell'attività conoscitiva svolta, ha raccomandato ancora una volta il pieno rispetto del dettato della legge n. 149 del 2001, che dispone espressamente che le condizioni di indigenza dei genitori o del genitore esercente la potestà genitoriale non possono essere di ostacolo all'esercizio del diritto del minore alla propria famiglia. Insomma, la povertà non deve essere ragione di punizione: nessun bambino può essere sottratto ai suoi genitori in ragione della scarsità di mezzi materiali nella sua famiglia. Anzi, lo Stato deve sostenere tale famiglia, prevedendo interventi di aiuto sia di tipo economico sia di tipo sociale sia di tipo educativo affinché siano evitati allontanamenti dal nucleo familiare per meri problemi economici.

Tra le lacune emerse con forza vi è la totale mancanza di un database centralizzato e completo delle informazioni riguardanti i minori collocati al di fuori della famiglia di origine. Questo non consente di poter monitorare con precisione e completezza la realtà degli affidi in Italia, sia da un punto di vista numerico che da un punto di vista qualitativo, ossia della realtà nella quale il minore è stato inserito. Ad oggi abbiamo invece solo informazioni a campione e incomplete, ottenute sulla base di iniziative libere volute da singole istituzioni, come quelle organizzate dall'Autorità garante per l'infanzia e il Ministero del Lavoro e delle politiche sociali. Non esiste infatti un'anagrafe dei minori che vivono fuori dalla propria famiglia di origine condivisa tra le diverse istituzioni che se ne occupano. Abbiamo capito che questa incompletezza di informazioni non è più tollerabile e che questo è un primo importante punto sul quale dobbiamo lavorare. Dobbiamo chiedere e ottenere la massima trasparenza quando si tratta di gestione di minori provenienti da famiglie ritenute problematiche, e questo soprattutto nel primario interesse dei bambini e dei ragazzi. Quando si parla di minori e del loro benessere dobbiamo necessariamente tener conto della loro storia, della biografia della famiglia, della complessità del caso che ci si presenta. Di queste il legislatore deve tenere necessariamente conto, ed è per questo che un principio cardine non può che essere la gradualità. Una gradualità che significa procedere con cautela e per gradi, soprattutto se la criticità è derivante da uno solo dei genitori, ipotizzando ad esempio l'allontanamento di quest'ultimo dalla casa familiare, per preservare quanto più possibile l'idea di un nucleo familiare per il ragazzo. È proprio la Convenzione ONU sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza, esecutiva in Italia dal 1991, che sottolinea l'importanza della famiglia nella vita di ogni bambino quale unità fondamentale della società e di un ambiente naturale per la crescita e il benessere di tutti i suoi membri, in particolare dei fanciulli. Così come è un diritto di ogni bambino quello di conoscere i propri genitori e di essere cresciuto da loro, come suo diritto è non essere separato dalla mamma e dal papà e mantenere rapporti regolari e frequenti con ciascuno di essi. L'affido è dunque una soluzione estrema, a cui la giustizia minorile si vede costretta a ricorrere quando la vita e l'educazione di bambini e ragazzi sono a rischio nelle famiglie di origine per motivi che vanno ben oltre i meri problemi economici. Solo a quel punto, e solo se non è possibile risolvere i problemi tramite attività di recupero socio-economico del nucleo familiare, si può procedere all'affidamento, tassativamente temporaneo, presso altri soggetti possibilmente vicini alla famiglia del minore. Questi possono essere parenti o amici stretti del nucleo familiare che hanno dato la propria disponibilità. Solo a questo punto, come extrema ratio, si dovrebbe procedere alla collocazione temporanea presso famiglie affidatarie e comunità. L'obiettivo è chiaro: collocare il minore fuori dal nucleo e fuori dalla cerchia di parenti e amici stretti potrebbe costituire un gravissimo trauma per i bambini, che si vuole evitare. Questo, dall'altra parte, non vuole significare un'impostazione ideologicamente contraria alle centinaia di famiglie affidatarie in Italia. Non dimentichiamo di certo che parliamo per la quasi totalità di persone straordinarie, famiglie che si aprono e ogni giorno mettono a disposizione la propria vita e la propria casa per un minore in difficoltà. Il lavoro che stiamo portando avanti vorrebbe anche sottolineare l'importanza di queste famiglie, la cui immagine è stata ingiustamente macchiata da vicende terribili come quelle che abbiamo già ricordato. Così come colgo l'occasione di ringraziare tutti quegli educatori, psicologi, assistenti sociali, giudici, operatori e pedagogisti che svolgono il proprio lavoro con responsabilità e umanità. Detto questo, credo sia doveroso parlare anche della violenza tra le mura domestiche, perché il problema degli affidi dei minori molte volte si intreccia con quello della violenza di genere e della tutela del soggetto vittima di violenza. È importante menzionare il “codice rosso”, legge tenacemente voluta che interviene anche per perseguire i reati sessuali perpetrati versi minori in maniera più stringente.

In particolare, abbiamo espressamente sancito che i minori di anni 18 sono sempre considerati vittime del reato. Oltre a ciò, sono stati presentati diversi atti parlamentari volti ad impegnare il Governo a misure di controllo e tutela dei minori fuori famiglia e, grazie al Ministro Alfonso Bonafede, è stata istituita una squadra speciale di giustizia per la protezione dei bambini, che ha l'obiettivo di vigilare e monitorare costantemente in maniera serrata tutto il percorso di affidamento dei minori. Si tratta di novità legislative che vanno nella direzione di tutelare ancora di più le categorie sociali più fragili e più a rischio, per mettere al riparo dalle disfunzioni e dalle lacune del sistema giudiziario, disfunzioni e lacune su cui ho presentato una proposta di legge. Alla luce di ciò appare necessario, inoltre, un'attenta vigilanza da parte degli assessorati regionali alle politiche sociali competenti in materia, sia sulle autorizzazioni all'esercizio delle attività delle case famiglia sia sul rispetto dei requisiti minimi che devono essere adeguati alle necessità educativo-assistenziali dei bambini e degli adolescenti. Uno specifico e più attento controllo deve essere svolto anche sulle strutture che erogano prestazioni socio-sanitarie in cui sono ospitati i minori con gravi problematiche fisiche o psichiche, nonché sulle figure professionali che operano all'interno di tali contesti, al fine di garantire al minore le migliori condizioni di sviluppo e crescita relazionale. Serve adeguata formazione, preparazione ed empatia per approcciarsi a situazioni spesso difficili che riguardano i minori. Questa Commissione parlamentare d'inchiesta nasce con l'obiettivo, da una parte, di far luce sulle attività connesse alle comunità di tipo familiare che accolgono i minori, dall'altra introduce anche una serie di modifiche alla legislazione vigente in materia di disciplina delle incompatibilità dei giudici minorili, che rivestono ruoli in comunità di tipo familiare, di motivazione dei provvedimenti di allontanamento dalla famiglia di origine, di accertamento della situazione di abbandono dei minori, nonché in tema di standard minimi dei servizi e dell'assistenza, costi e trasparenza delle strutture che accolgono minori. Insomma, vogliamo vederci chiaro e vogliamo fare di tutto, davvero di tutto, per tutelare i minori, soprattutto i più fragili quelli che vivono in famiglie in difficoltà. Pertanto, la Commissione parlamentare, attraverso un accurato lavoro di inchiesta, fornirà una serie di indicazioni utili sull'attività di affidamento di minori presso le cosiddette case famiglia, tenendo in massima considerazione il diritto del minore di crescere nella propria famiglia di origine. Questo significa rendere più efficiente l'affidamento dei minori sul territorio nazionale ed evitare casi di abuso e di sperpero di risorse pubbliche. I minori e le bambine hanno fame di famiglia e di affetto, elementi essenziali e imprescindibili per una crescita armoniosa e serena. Hanno necessità di stabilità, di ascolto, punti di riferimento e rispetto, ed è nostra precisa responsabilità, in quanto legislatori, rispondere a queste esigenze. Noi non ci siamo tirati indietro di fronte a questa responsabilità; ci abbiamo messo la testa e il cuore. A conclusione di questo mio intervento non posso che ribadire la volontà di difendere i diritti dei più fragili e delle persone coinvolte in vicende così gravi. La politica che noi rappresentiamo è assolutamente determinata a trovare tutte le soluzioni legislative a protezione di chi oggi si sente minacciato da quelle strutture che invece dovrebbero garantire un'assistenza sociale affidabile. Dalla parte dei bambini, sempre (Applausi).

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il relatore per la Commissione affari sociali, deputato Luca Rizzo Nervo. A lei la parola.

LUCA RIZZO NERVO, Relatore per la XII Commissione. Presidente, la collega Ascari, nel suo intervento, ha espresso in maniera anche appassionata i contenuti e anche puntualmente le vicende giudiziarie che hanno motivato, come lei ha ricordato, una proposta di legge a sua prima firma, anch'essa entrata nel percorso che oggi ci ha portato a definire la scelta di istituire una Commissione bicamerale d'inchiesta sulle attività connesse alle comunità di tipo familiare.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ETTORE ROSATO (ore 19)

LUCA RIZZO NERVO, Relatore per la XII Commissione. Ci tengo a precisare, non che non fosse questo già chiarito, che quello di cui oggi discutiamo non è quel progetto di legge, ma è un progetto di legge di istituzione della Commissione bicamerale, che ha una portata generale che va oltre la specificità dei casi giudiziari che pur sono stati citati. Peraltro, mi preme sottolineare come non abbia l'intento di verificare l'operato in termini generali di categorie professionali, quali ad esempio gli assistenti sociali, che svolgono processi molto complicati e delicati quali quelli legati alla tutela dei minori; è un compito molto difficile e delicato, che è giusto monitorare nella qualità e nell'efficacia, ma certamente che va affrontato nella specificità dei singoli casi e non in termini generali.

Io proverò a delineare in termini puntuali quelli che sono i contenuti del progetto di legge. La proposta di legge di cui l'Assemblea avvia oggi l'esame e che è già stata approvata dal Senato prevede l'istituzione di una Commissione bicamerale d'inchiesta sulle attività connesse alle comunità di tipo familiare che accolgono minori e reca anche alcune circoscritte modifiche alla legislazione vigente in materia di giudici onorari, minorili e di affidamento di minori.

Prima di entrare nel merito del provvedimento, Presidente, faccio presente che nel corso dell'esame in sede referente, presso le Commissioni riunite II e XII, è prevalsa tra i gruppi, unanimemente, la volontà di non modificare il testo trasmesso dal Senato, al fine di rendere al più presto operativa la Commissione d'inchiesta che si intende istituire, evitando lo svolgimento di un'ulteriore lettura presso l'altro ramo del Parlamento. Anche per questa ragione sono stati respinti i pur pochi emendamenti presentati. Segnalo, altresì, che sul testo approvato dal Senato, adottato dalle Commissioni riunite come testo base, sono pervenuti il parere favorevole della I Commissione e il nulla osta della V Commissione, mentre la Commissione parlamentare per le questioni regionali ha comunicato per le vie brevi di essersi già pronunciata sul medesimo testo nel corso dell'esame del provvedimento al Senato.

Passando al contenuto, premetto che mi soffermerò in particolare sugli articoli dall'1 al 7 del provvedimento, relativi all'istituzione, alle funzioni e all'organizzazione della Commissione d'inchiesta, che sono gli articoli che più attengono alle competenze della Commissione affari sociali, ma accennerò necessariamente anche al contenuto delle altre disposizioni.

L'articolo 1, nel disporre l'istituzione della predetta Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività connesse alle comunità di tipo familiare che accolgono minori, precisa che essa è chiamata a completare i propri lavori entro la fine di questa XVIII legislatura e a presentare alle Camere la relazione conclusiva della sua attività di indagine, e sono ammesse relazioni di minoranza. La Commissione può, inoltre, riferire alle Camere ogni qual volta ne ravvisi la necessità.

L'articolo 2 disciplina, invece, la composizione della Commissione, prevedendo che essa sia composta da venti senatori e da venti deputati, nominati dai Presidenti della Camera di appartenenza, in proporzione al numero dei componenti i gruppi parlamentari, assicurando comunque la presenza di un rappresentante per ciascun gruppo esistente in almeno un ramo del Parlamento.

I compiti della Commissione sono indicati in maniera specifica, invece, nell'articolo 3. La Commissione, in particolare, è chiamata a verificare lo stato e l'andamento degli affidatari delle comunità di tipo familiare che accolgono i minori, nonché le condizioni effettive dei minori all'interno delle stesse, con riferimento anche al rispetto del principio della necessaria temporaneità dei provvedimenti di affidamento, ovviamente nel verificare il supremo interesse dei minori stessi. La Commissione è chiamata, inoltre: a verificare quanti siano stati, dall'entrata in vigore della legge n. 219 del 2012, i provvedimenti di allontanamento dei minori dalla famiglia emessi dai tribunali e quale attuazione abbiano avuto; a verificare, inoltre, le modalità operative del ruolo dei servizi sociali di primo e di secondo livello nel processo di affidamento; a verificare l'effettiva temporaneità dei provvedimenti di affidamento, come richiamavo prima. Inoltre, la Commissione è chiamata: a verificare il rispetto dei requisiti minimi strutturali ed organizzativi prescritti per le strutture di tipo familiare e le comunità di accoglienza dei minori dal decreto del Ministro per la solidarietà sociale n. 308 del 2001, e il rispetto degli standard minimi per l'accoglienza dei minori previsti nell'anno dalla normativa statale e regionale; ad effettuare i controlli, anche a campione, sull'utilizzo delle risorse pubbliche e private destinate alle comunità di tipo familiare che accolgono minori; a valutare la congruità dei costi, anche con riferimento alle differenze di carattere territoriale; a valutare se nella legislazione vigente sia effettivamente garantito il diritto del minore a crescere e ad essere educato nella propria famiglia e rispettato il principio in base al quale l'allontanamento del minore dalla famiglia di origine deve costituire un rimedio residuale e che in ogni caso esso non può essere disposto per ragioni connesse esclusivamente alle condizioni di indigenza dei genitori del nucleo familiare stesso.

Inoltre, a verificare il rispetto della circolare del Consiglio superiore della magistratura del 2018, che individua i criteri per la nomina e la conferma dei giudici onorari minorili per il triennio 2020-2022, nonché dell'articolo 8 della proposta di legge in esame con riguardo al divieto di esercizio delle funzioni di giudice onorario minorile per coloro che si trovano in determinate situazioni, punto su cui tornerò successivamente.

L'articolo 4 disciplina l'attività di indagine della Commissione, che procederà con gli stessi poteri e limitazioni dell'Autorità giudiziaria. Alla Commissione, limitatamente all'oggetto delle indagini di sua competenza, non può essere opposto il segreto d'ufficio, né quello professionale o bancario; è sempre opponibile, invece, il segreto tra difensore e parte processuale.

L'articolo 5 prevede, inoltre, la possibilità per la Commissione di acquisire copia di atti e documenti relativi a procedimenti o inchieste in corso presso l'Autorità giudiziaria o altri organi inquirenti, relativi a indagini e inchieste parlamentari, anche se coperti dal segreto. Si prevede contestualmente il mantenimento del regime di segretezza fino a quando gli atti e i documenti trasmessi siano coperti da tale segreto.

L'articolo 6 reca disposizioni in merito all'obbligo del segreto. Nei casi di violazione del segreto si applica la pena prevista dall'articolo 326 del codice penale per il reato di rivelazione ed utilizzazione di segreti d'ufficio, salvo che il fatto costituisca un reato di maggiore gravità.

L'articolo 7 disciplina l'organizzazione interna della Commissione, in particolare demanda la disciplina dell'attività e del funzionamento della Commissione ad un apposito regolamento interno, approvato dalla Commissione all'inizio dei propri lavori e al quale ciascun componente può apporre ovviamente modifiche; infine, prevede che la Commissione possa organizzare i propri lavori anche attraverso uno o più comitati costituiti sulla base del regolamento interno; disciplina la pubblicità delle sedute, prevedendo di regola, ovviamente, la seduta pubblica.

Per quanto riguarda, invece, gli articoli 8 e 9, che già citavo, in particolare l'articolo 9, inserendo l'articolo 6-bis nel Regio Decreto n. 1404 del 1934 su istituzione e funzionamento del tribunale per i minorenni, detta disposizioni in materia di incompatibilità dei giudici onorari minorili e il citato articolo 6-bis, in primo luogo, esclude che possano essere nominati giudici onorari del tribunale per i minorenni e consiglieri onorari della sezione di Corte d'appello per i minorenni coloro che rivestono cariche rappresentative in strutture ove vengono inseriti i minori da parte dell'Autorità giudiziaria o che partecipano alla gestione complessiva delle strutture stesse o a società che tali strutture gestiscono o che svolgono attività professionale anche gratuita nelle suddette strutture. Ai sensi del comma 2, l'incompatibilità opera anche quando le suddette attività sono svolte dal coniuge, parte di un'unione civile, convivente o parente entro il secondo grado del soggetto in questione. Decade dalle funzioni onorarie il giudice che, dopo la nomina, svolga le suddette attività di natura incompatibile.

L'articolo 9 della proposta di legge, invece, modifica l'articolo 2 della legge sulle adozioni, relativo all'affidamento di minori, introducendo il comma 3-bis, con il quale si prevede che, nei casi di affidamento in una comunità di tipo familiare, i relativi provvedimenti debbano indicare espressamente le ragioni per le quali non si ritiene possibile la permanenza nel nucleo familiare originario, ovvero le ragioni per le quali non sia possibile procedere all'affidamento ad una famiglia. Oltre alla specifica motivazione circa le ragioni dell'affido a una comunità di tipo familiare, il provvedimento del giudice dovrà presentare i requisiti che sono già previsti dall'articolo 4, comma 3, della legge n. 184 del 1983. Ricordo anche che, ai sensi di tale disposizione, nel provvedimento di affidamento familiare devono essere indicati, oltre alle motivazioni, ai tempi e ai modi dell'esercizio dei poteri riconosciuti all'affidatario, le modalità attraverso le quali i genitori e gli altri componenti il nucleo familiare possono mantenere i rapporti con il minore. Deve, altresì, essere indicato il servizio sociale locale cui è attribuita la responsabilità del programma di assistenza, nonché la vigilanza durante l'affidamento, con l'obbligo di tenere costantemente informato il giudice tutelare o il tribunale per i minorenni a seconda che si tratti di un provvedimento emesso ai sensi dei commi 1 e 2 del medesimo articolo. Infine, il servizio sociale, cui è attribuita la responsabilità del programma di assistenza nonché la vigilanza durante il percorso di affidamento, deve riferire senza indugio al giudice e al tribunale per i minorenni del luogo in cui il minore si trova, ogni evento di particolare rilevanza, ed è tenuto a presentare una relazione semestrale sull'andamento del programma di assistenza sulla sua presumibile ulteriore durata e sull'evoluzione delle condizioni di difficoltà del nucleo familiare di provenienza.

Questi, per somma sintesi, i contenuti del provvedimento che oggi esaminiamo e, lo ripeto, ritornando a ciò che dicevo all'inizio, l'aspettativa da parte di tutte le forze, credo, del Parlamento che si è espressa in Commissione è di arrivare quanto prima al voto, auspicabilmente a larga maggioranza, se non unanime, di questo Parlamento, per dare avvio rapidamente all'attività di questa Commissione (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo, che si riserva di intervenire.

È iscritta a parlare l'onorevole Carla Giuliano. Ne ha facoltà.

CARLA GIULIANO (M5S). Grazie, Presidente. Colleghi deputati, rappresentante del Governo, approda oggi in Aula la proposta di legge di istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività connesse alle comunità di tipo familiare che accolgono minori. Sul punto sono state presentate diverse proposte di legge, tra cui quella a prima firma della relatrice, la collega Ascari del MoVimento 5 Stelle. Le proposte di legge sono state poi esaminate dalle Commissioni riunite giustizia e affari sociali.

Ebbene, l'istituzione di questa Commissione d'inchiesta è divenuta ancora più importante a seguito di alcune inchieste giudiziarie che hanno evidenziato criticità e lacune del sistema di affidamento nel nostro Paese, riportando il tema degli affidi al centro del dibattito politico. Ovviamente, con l'istituzione di questa Commissione d'inchiesta non ci si vuole sovrapporre al lavoro della magistratura e a quelle che sono le inchieste, ma vi sono la necessità e la volontà di analizzare complessivamente il sistema degli affidi dei minori nel nostro Paese, studiandone le criticità per porvi tempestivo rimedio, con l'obiettivo di porre al centro la tutela e il superiore interesse del minore.

La Commissione d'inchiesta della cui istituzione oggi discutiamo è chiamata in primo luogo a verificare lo stato e l'andamento degli affidamenti presso affidatari e degli affidamenti presso comunità di tipo familiare che accolgono minori, verificando le condizioni dei minori all'interno di tali contesti, con riferimento anche al rispetto del principio della necessaria temporaneità dei provvedimenti di affidamento. Rammentiamo, infatti, che, ai sensi dell'articolo 4, della legge n. 184 del 1983, nel provvedimento di affidamento devono essere indicati, oltre alle motivazioni, anche il periodo di presumibile durata dell'affidamento stesso, che deve essere correlato al complesso di interventi volti al recupero della famiglia di origine, i modi e i tempi dell'esercizio dei poteri riconosciuti all'affidatario, unitamente alle modalità attraverso le quali i genitori e gli altri componenti del nucleo familiare possono mantenere rapporti col minore. La famiglia è, infatti, il primo nucleo, la prima forma di organizzazione sociale dove i bambini si formano, acquisiscono consapevolezza di loro stessi, sviluppano la loro personalità, prendono coscienza delle loro potenzialità e si sviluppano come uomini e come donne del domani. Per questo il diritto del minore ad una famiglia costituisce oggetto di tutela da parte dell'ordinamento internazionale, sovranazionale e interno e riguarda prioritariamente il diritto di ciascun bambino a vivere e a crescere nell'ambito della propria famiglia di origine, salvo i casi in cui la separazione dal nucleo familiare di origine sia necessaria a garantire il preminente interesse del minore stesso.

Ricordiamo a questo proposito quanto sancito dall'articolo 9 della Convenzione di New York sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza, ai sensi del quale gli Stati vigilano affinché il fanciullo non sia separato dai suoi genitori contro la loro volontà, a meno che le autorità competenti non decidano, sotto riserva di revisione giudiziaria e conformemente con le leggi di procedura applicabili, che questa separazione è necessaria nel preminente interesse del minore. Di analogo tenore sono anche i principi espressi nell'articolo 24 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e nell'articolo 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. A livello di legislazione interna, la centralità dell'interesse del minore a vivere nella propria famiglia è sancita dalla legge n. 184 del 1983, in tema di adozione e di affidamento dei minori, che riconosce, per ogni persona minore di età, il diritto di crescere e di essere educato nell'ambito della propria famiglia. La stessa legge n. 184 del 1983 delinea un quadro di presidi e di misure volti a far sì che l'allontanamento definitivo del minore dalla propria famiglia venga disposto solo dinanzi ad accertate e insuperabili difficoltà del nucleo di origine ad assicurare al figlio un ambiente favorevole per la sua crescita, stante l'accertata inutilità di altre forme di sostegno alla famiglia o il rifiuto opposto dalla famiglia stessa.

Del resto, anche l'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza, nella relazione sulla sua attività, trasmessa al Parlamento il 29 aprile 2019, ribadisce il diritto delle persone di minore età di essere accolte ed educate prioritariamente nella propria famiglia e se è necessario in un ambito familiare di appoggio o sostitutivo. L'affido, infatti, come è stato già ribadito, deve essere una soluzione estrema a cui la giustizia minorile si vede costretta a ricorrere quando la vita e l'educazione di bambini e ragazzi sono a rischio nelle famiglie di origine per motivi che, ovviamente, vanno ben oltre i meri problemi economici. Infatti, ciò che deve guidare ogni decisione è l'interesse del minore stesso, privilegiando, appunto, dove è possibile, l'affidamento presso altri parenti o altri soggetti vicini al nucleo familiare, secondo un principio di gradualità delle scelte. Ecco perché, tra le funzioni della Commissione d'inchiesta di cui oggi discutiamo, vi è il compito anche di verificare se nella legislazione vigente sia effettivamente garantito il diritto del minore a crescere e ad essere educato nella propria famiglia e sia rispettato il principio in base al quale l'allontanamento del minore dalla famiglia di origine deve costituire un rimedio residuale.

La Commissione d'inchiesta è, inoltre, chiamata a verificare quanti siano stati i provvedimenti di allontanamento dei minori dalla famiglia emessi dai tribunali e quale attuazione abbia avuto dall'entrata in vigore la legge n. 219 del 2012 che ha riformato la filiazione, eliminando dall'ordinamento quelle distinzioni tra figli legittimi e figli naturali e affermando il principio dell'unicità dello stato giuridico dei figli.

In Italia, invero, manca un sistema organico di raccolta dati sui minori affidati; la stessa Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza ha, infatti, rilevato la mancanza di dati completi e aggiornati sui bambini e sui ragazzi collocati nelle strutture residenziali. Non esiste, infatti, un'anagrafe dei minori che vivono fuori dalla propria famiglia che sia condivisa tra le diverse istituzioni che se ne occupano. In questo senso, importante è il lavoro di monitoraggio degli affidi che è stato effettuato dalla Squadra speciale di giustizia per la protezione dei minori, voluta e istituita per la prima volta nel nostro Paese proprio dal Ministro Bonafede. Un passo determinante del gruppo di lavoro è stato proprio quello di promuovere una banca dati nazionale integrata sugli affidi in Italia, favorendo l'unificazione delle procedure su tutto il territorio nazionale.

Altra competenza attribuita alla Commissione d'inchiesta è quella di effettuare controlli, anche a campione, sull'utilizzo delle risorse pubbliche e private destinate alle comunità di tipo familiare che accolgono minori e quella di valutare la congruità dei costi, anche con riferimento alle differenze di carattere territoriale. Infatti, è fondamentale assicurare la massima trasparenza quando si tratta di gestione di bambini provenienti da famiglie ritenute problematiche e in difficoltà, perché maggiore trasparenza implica conseguentemente maggiore tutela.

È importante, altresì, disciplinare il regime delle incompatibilità dei giudici onorari e dei loro stretti congiunti rispetto ad incarichi che potrebbero pregiudicarne i profili di necessaria imparzialità e indipendenza, così come già previsto dalla delibera del Consiglio superiore della magistratura del luglio 2018. Sul punto, l'articolo 8 della proposta di legge oggi in discussione e che è stata già approvata in Senato esclude che possano essere nominati, appunto, giudice onorario del tribunale per i minorenni e consigliere onorario della sezione della corte d'appello per i minorenni coloro che rivestono cariche rappresentative di strutture ove l'autorità giudiziaria dispone l'inserimento di minori, coloro che partecipano alla gestione complessiva di tali strutture o partecipano a società che gestiscono tali strutture e coloro che svolgono attività professionale, anche gratuita, nelle predette strutture. Allo stesso modo opera l'incompatibilità qualora queste attività siano svolte dal coniuge, una parte di un'unione civile, convivente o parenti entro il secondo grado dei giudici onorari minorili.

Voglio evidenziare, come è già stato fatto da chi mi ha preceduto, che quello della tutela dei minori è un tema su cui in realtà stiamo lavorando dall'inizio della legislatura, a partire, come diceva la collega Ascari, dal “codice rosso”, ma non solo, perché dopo il “codice rosso” abbiamo presentato e approvato una mozione con la quale abbiamo impegnato il Governo ad adottare una serie di misure volte a garantire la creazione di un database unitario e aggiornato sui minori collocati nelle strutture residenziali o presso le famiglie affidatarie che coinvolga, appunto, tutte le istituzioni interessate, sollecitandolo anche a porre in essere iniziative che garantiscano la formazione e l'aggiornamento continuo del personale che si occupa della protezione della famiglia, quindi degli psicologi, degli assistenti sociali, degli educatori.

Abbiamo presentato la proposta di legge n. 2047, che attualmente è all'esame della Commissione giustizia della Camera e di cui, appunto, la collega Ascari è prima firmataria, con la quale interveniamo sul sistema delle tutele del minore nei procedimenti in tema di responsabilità genitoriale e sull'attuazione dei provvedimenti giurisdizionali di collocazione extrafamiliare del minore stesso. L'istituzione, quindi, di questa Commissione d'inchiesta costituisce un ulteriore fondamentale tassello nel quadro dell'ampio, delicato e articolato lavoro che stiamo portando avanti al fine di garantire la massima tutela dei minori. Dobbiamo portare avanti un lavoro serio e rigoroso al fine di eliminare criticità del sistema, evitare abusi e distorsioni.

Allo stesso tempo, però, dobbiamo stare attenti a non alimentare un clima di paura e di sfiducia nel sistema degli affidi, perché rischieremmo di rendere inefficace uno strumento utile alla salvaguardia e al sostegno dei bambini che vivono situazioni di difficoltà e rischieremmo di gettare ombre sul lavoro di quegli assistenti sociali, di quei giudici, di quegli psicologi, di quegli educatori che ogni giorno lavorano con impegno e con dedizione per assicurare la massima tutela e la massima protezione dei nostri bambini. Anzi, Presidente, come la collega che mi ha preceduto, voglio proprio cogliere l'occasione per ringraziare tutti quegli operatori, tutti quei giudici, assistenti sociali, psicologi ed educatori che lavorano costantemente rispettando le regole e i protocolli e che ogni giorno si trovano a dover affrontare casi di disagio e di vulnerabilità e, quindi, svolgono il loro lavoro con assoluto senso di responsabilità e di grande umanità.

I bambini e gli adolescenti sono il nostro futuro: dalla loro crescita felice e serena dipende l'avvenire del nostro Paese. Non c'è niente di più sacro e intoccabile dei bambini. Per questo le istituzioni devono compiere ogni sforzo affinché sia garantita loro la piena fruizione dei diritti garantiti dalla Costituzione (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Spena. Ne ha facoltà.

MARIA SPENA (FI). Grazie, Presidente. Oggi l'Aula finalmente, Presidente, avvia l'esame per l'approvazione, spero definitiva, della proposta di legge che istituisce una Commissione parlamentare d'inchiesta sulle attività connesse alla comunità di tipo familiare che accolgono minori, nel testo identico a quello già approvato precedentemente al Senato.

Voglio sottolineare che delle diverse proposte di legge che le Commissioni di merito hanno provveduto ad abbinare una è anche del nostro gruppo, di Forza Italia. Il provvedimento prevede, come sappiamo, l'istituzione di una Commissione d'inchiesta sulle comunità di tipo familiare che accolgono minori e reca, inoltre, anche alcune circoscritte ma importanti modifiche alla legislazione vigente in materia di giudici onorari minorili e di affidamento di minori. Come è stato già ricordato, nel nostro Paese l'attuale legislazione in materia di minori fuori famiglia ha subito nel corso degli anni una significativa evoluzione: si è passati, infatti, dall'accoglienza presso gli istituti di assistenza pubblici-privati, i cosiddetti orfanotrofi, al collocamento presso comunità di tipo familiare e le cosiddette case-famiglia fino all'affido, come possibile fase transitoria, verso poi un'adozione vera e propria definitiva.

Detto questo, è chiaro che a far sentire forte e sentita l'esigenza di istituire una Commissione d'inchiesta sulle comunità di tipo familiare ha contribuito inevitabilmente l'inchiesta giudiziaria che si è avviata lo scorso anno - ed è ancora in corso - che ha visto e vede al centro dell'indagine la rete dei servizi sociali della Val d'Elsa, accusati di aver redatto false relazioni per allontanare bambini dalle proprie famiglie e collocarli in affido retribuito presso amici e conoscenti: un business orribile sull'affidamento di minori tolti alle proprie famiglie.

Al di là, chiaramente, delle singole responsabilità penali, che saranno appurate dalla magistratura in piena autonomia, però si è evidenziata, sin da subito, la necessità di verificare se quello che è emerso, anche in termini di modus operandi e di collusioni dei servizi sociali, sia un caso isolato o, piuttosto, non abbia una portata più ampia.

Credo sia ora necessario verificare, più in generale, attraverso anche un monitoraggio sulle modalità di affido dei minori nel nostro Paese, anche i rapporti tra istituti, comunità e soggetti istituzionali competenti, ai servizi sociali, alle ONLUS e agli altri soggetti sociali che operano nel settore dell'assistenza dei minori, anche con riguardo ai criteri e alle modalità di assegnazione dei minori in affido.

Alla politica e al legislatore spetta, comunque, il compito di capire cosa eventualmente non funziona nella normativa che attualmente regolamenta gli affidi e cosa dev'essere migliorato e questo si può fare e si deve ottenere anche attraverso una conoscenza puntuale di tutto il mondo che gira intorno agli affidi dei minori, a cominciare dalle strutture di accoglienza, alle case famiglia, alle cooperative. Con riguardo, poi, alla scelta delle modalità di affidamento, c'è forse un eccessivo potere decisionale in capo ai servizi sociali locali, ai quali compete l'individuazione delle famiglie affidatarie o delle case famiglia per il collocamento del minore. Se, da un lato, è doveroso e necessario tenere separate ed evitare la facile semplificazione di sovrapporre le note vicende giudiziarie con il più generale sistema di funzionamento dell'affido familiare e delle case famiglia, dall'altro, però, riteniamo comunque utile avviare un'operazione trasparenza e un monitoraggio su queste realtà e sulla relativa normativa, proprio per verificare quali possano essere i margini di miglioramento che permettono di garantire al meglio i minori coinvolti ed escludere il più possibile che casi come quelli che si sono verificati nella Val d'Elsa si abbiano a ripetere. Un bambino allontanato ingiustamente dai propri genitori è un bambino che perde il diritto alla propria crescita.

Siamo convinti che anche a questo serva la Commissione d'inchiesta per il Parlamento. Non si non si tratta, quindi, di uno strumento per fare processi sommari ma per aiutare ancora di più il legislatore nel capire cos'è che non ha funzionato e non funziona e quali iniziative, anche di carattere legislativo, devono essere adottate. Una delle finalità della Commissione, infatti, è anche quella di valutare se nella legislazione vigente sia effettivamente garantito il diritto del minore a crescere ed essere educato nella propria famiglia. È, inoltre, necessario implementare il sistema di controllo delle organizzazioni che si occupano di affidi e migliorare dove è necessario la normativa attuale in materia. Il lavoro, quindi, della Commissione sarà comunque inevitabilmente legato alla durata della legislatura, visto che il provvedimento che stiamo per approvare espressamente segue la vita della legislatura.

Voglio ricordare alcuni dei più importanti obiettivi che questa Commissione si prefigge: verificare, quindi, lo stato e l'andamento delle comunità di tipo familiare che accolgono i minori nonché le effettive condizioni dei minori all'interno delle medesime comunità; verificare quanti siano stati i provvedimenti di allontanamento dei minori dalla famiglia e il ruolo dei servizi sociali nel processo di affidamento; verificare, poi, il rispetto dei requisiti minimi previsti per le strutture di tipo familiare e le comunità di accoglienza dei minori; effettuare, poi, i controlli sull'utilizzo delle risorse pubbliche e private destinate alle comunità di tipo familiare.

Sono state, quindi, inserite due modifiche importanti alla normativa vigente con le quali si interviene in tema di incompatibilità dei giudici onorari minorili, prevedendo che non possono essere nominati giudice onorario del tribunale per i minorenni coloro che rivestono cariche rappresentative in strutture dove vengono inseriti minori o, comunque, che partecipano alla gestione complessiva delle strutture stesse. L'altra modifica introdotta nella legislazione vigente prevede che nei casi di affidamento in una comunità di tipo familiare i relativi provvedimenti devono indicare espressamente le ragioni per le quali non si ritiene possibile la permanenza nel nucleo familiare originario ovvero le ragioni per le quali non sia possibile procedere all'affidamento a una famiglia. Due previsioni a maggiore garanzia di minori e trasparenza e correttezza delle pratiche d'affido. Quindi, l'esigenza di avviare quanto prima questa Commissione bicamerale ha indotto il gruppo di Forza Italia a non presentare alcun emendamento a questo testo, proprio per evitare di apportare delle ulteriori modifiche che non farebbero altro che rimandare il provvedimento al Senato e allungare oltremodo i tempi della sua approvazione definitiva.

Presidente, volevo concludere - mi scusi, un'ultima cosa - sui diritti sacri e inviolabili dei minori, volevo fare riferimento ad una frase di Papa Francesco, quando Papa Francesco ha fatto riferimento alle medaglie spezzate che, spesso, le mamme disperate lasciavano insieme ai loro neonati, con esse speravano un giorno, presentando l'altra metà, di poter riconoscere i propri figli. Oggi, nel mondo, ci sono tanti bambini che, idealmente, hanno la metà di quella medaglia: sono bambini soli, vittime delle guerre e delle migrazioni, sono i bambini non accompagnati, vittime della fame, vittime di un inumano business da aggiungere quest'oggi. Sono tutti i bambini con l'altra metà della medaglia. E chi ha l'altra metà? L'abbiamo forse tutti noi, l'altra metà non possiamo che essere noi (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Annibali. Ne ha facoltà.

LUCIA ANNIBALI (IV). Grazie, signor Presidente. Governo, colleghi, quest'Aula torna oggi ad occuparsi, dopo le mozioni approvate nel novembre scorso, della tutela e della protezione dei minori e del loro diritto a crescere e ad essere educati prioritariamente nell'ambito delle proprie famiglie di origine, un diritto riconosciuto dall'ordinamento internazionale, sovranazionale e interno che costituisce un obiettivo prioritario per il nostro Paese. È in questo contesto che il collocamento dei minori fuori dalla propria famiglia di origine, per le conseguenze traumatiche che comporta e per i costi sociali che implica, deve costituire l'ultimo rimedio possibile qualora non vi siano alternative praticabili per garantire il preminente interesse di bambini e bambine. Vi sono, infatti, situazioni familiari di grave fragilità, che, seppur temporaneamente, rendono indispensabile l'attivazione di percorsi di protezione offerti da una famiglia diversa, ove ciò non sia possibile, l'inserimento in una comunità di tipo familiare o un istituto di assistenza con il solo fine di tutelare i bambini e i ragazzi da condizioni pregiudizievoli e, al contempo, sostenere la famiglia di origine nel recupero delle funzioni genitoriali.

L'affido, in base alla legge n. 184 del 1983, modificata dalla legge n. 149 del 2001, è una soluzione estrema, a cui la giustizia minorile si vede costretta a ricorrere quando la vita e l'educazione di bambini e ragazzi sono a rischio nelle famiglie d'origine, per motivi che vanno ben oltre i meri problemi economici. Possono essere molteplici le ragioni che portano all'ingresso di bambini e bambine all'interno di una comunità di tipo familiare, dalle difficoltà educative della famiglia di origine legate a uno stato precario di salute psicofisica, agli abusi o maltrattamenti, dai minori entrati nel circuito penale, ai minori stranieri non accompagnati. Le comunità che accolgono questi bambini devono garantire loro, quanto più possibile, l'eguaglianza dei diritti e delle opportunità rispetto ai loro coetanei. A tale scopo, occorre realizzare un sistema che risponda al meglio ai bisogni di tutela dell'infanzia e dell'adolescenza, dall'ingresso nelle strutture a tutta la fase di uscita dal percorso di accoglienza e, al contempo, è necessario promuovere interventi di prevenzione e sostegno alla genitorialità nei confronti dei nuclei familiari più fragili.

Possiamo affermare che, complessivamente, il nostro Paese ha una buona legislazione in tema di tutela dei minori, ma occorre verificare che tali norme producano gli effetti per cui sono state immaginate e, dove necessario, si apportino correttivi e modifiche. Per fare ciò, è necessario avere un sistema di rilevazione che funzioni; invece, come evidenziato dalla Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza nell'indagine conoscitiva sui minori fuori famiglia, vi è una inadeguatezza del sistema di rilevazione dei dati, che non appare in grado di garantire informazioni aggiornate e fruibili. Le diverse rilevazioni disponibili, svolte da organismi diversi, in tempi e con modalità diverse, non consentono di disporre di dati esaustivi sull'esatta consistenza del fenomeno. E, invece, è fondamentale avere una fotografia quanto più possibile completa e aggiornata del fenomeno, come passo necessario per poter valutare al meglio le misure e gli interventi già posti in essere e quelli ancora da mettere in campo per offrire ai minori un contesto di comunità realmente funzionale al loro sereno sviluppo.

Un'attenzione importante, quindi, che non deve essere condizionata dagli eventi e dalla loro dimensione mediatica, ma basata su un approccio ancorato alla realtà dei fatti. In questi mesi abbiamo sentito molte inesattezze, anche strumentali, sugli affidi e la tutela dei minori in Italia e, invece, è indispensabile non confondere i singoli casi con il tutto e distinguere i ruoli e le responsabilità e considerare non solo i diritti dei genitori ad avere con sé il proprio figlio, ma anche, innanzitutto, i diritti dei bambini ad avere relazioni familiari sane. In questo senso, le famiglie d'origine non vanno né scavalcate né assolutizzate. Quando si parla di relazioni fragili, di difficoltà familiari, occorre rendersi conto che ogni intervento legislativo richiede misura e lucidità. Per questo motivo, va sottratta ogni volontà di strumentalizzazione e di propaganda di parte.

Lo spettacolo che è andato in scena sulla vicenda di Bibbiano non ha consentito un confronto serio. Siamo di fronte a fatti gravi e importanti, se verificati come tali in sede giudiziaria, e questo ci impone, dovrebbe perlomeno imporre, di affrontarli con la massima serietà. Ci auguriamo, allora, che da ora in avanti l'effettiva esigibilità dei diritti da parte di bambini e bambine venga trattata con rigore e con la massima serietà.

Affrontare questo tema in modo serio vuol dire farlo anche sulla base dei dati, che ci dicono, innanzitutto, che non siamo di fronte ad un'emergenza sugli allontanamenti familiari. In Italia, vi sono circa 26 mila allontanamenti all'anno e questo dato è costante da molto tempo. All'interno del contesto europeo, l'Italia è un Paese con tassi di allontanamento al di sotto della media europea. L'emergenza, che riguarda bambine e bambini nel nostro Paese, è quella relativa alle condizioni di povertà economica, sociale, relazionale, educativa, come evidenziato dai numerosi dossier delle organizzazioni che si occupano di diritti dell'infanzia; una situazione che, in questi mesi di lockdown dovuti al diffondersi dell'epidemia, è peggiorata, in un Paese che mostrava già dati allarmanti e gravi disuguaglianze nelle opportunità di crescita, di apprendimento e di sviluppo. In tale contesto, i minori più vulnerabili, costretti a casa, senza andare a scuola, senza contatti sociali, talora senza supporto educativo, psicologico e didattico, hanno vissuto e rischiano di vivere in condizioni difficili, spesso, drammatiche di isolamento, di pericolo e di emarginazione. La convivenza forzata e l'instabilità socioeconomica di questo periodo hanno comportato, per le donne e i minori, il rischio di una maggiore esposizione alla violenza domestica e assistita. La didattica a distanza, poi, ha lasciato fuori tutti i bambini che non hanno avuto disposizione pc, tablet e reti per connettersi alle lezioni, rimanendo così indietro rispetto ai loro compagni.

Allora, per evitare che il quadro peggiori ulteriormente, occorre investire con determinazione sui presidi territoriali di sostegno alla famiglia, nei servizi educativi domiciliari e nelle infrastrutture sociali e educative. Di fronte al rischio concreto di una nuova impennata della povertà che colpisce i bambini e le bambine nel nostro Paese è essenziale sviluppare misure di contrasto alla povertà minorile e politiche di supporto alla genitorialità e alla famiglia; in questa direzione vanno diverse delle misure messe in campo negli ultimi anni, da ultimo, con il “Family Act”.

Questa premessa era doverosa per inquadrare il contesto nel quale si inserisce la Commissione d'inchiesta che ci apprestiamo ad istituire, una Commissione che Italia Viva saluta positivamente, perché ci consentirà di verificare puntualmente lo stato di salute della tutela dei minori nel nostro Paese, con particolare riferimento al funzionamento delle comunità familiari di accoglienza dei minori in seguito ad allontanamento. Una legge che contiene anche alcune circoscritte modifiche alla legislazione vigente in materia di giudici onorari minorili e affidamento di minori. Non c'è stata nessuna forza politica che si sia opposta all'istituzione di questa Commissione e siamo stati tutti concordi sull'esigenza di avviarne l'attività il prima possibile; in questo senso, ne abbiamo facilitato il percorso parlamentare. Nessun aspetto di queste questioni deve restare coperto, oscuro, opaco: abbiamo tutti la necessità di disvelare, fino all'ultimo punto e fino all'ultimo momento, questioni che possono così profondamente angosciare e sconvolgere le nostre comunità. Un provvedimento perfettibile, che tuttavia raggiunge l'obiettivo prioritario di rendere il più presto possibile operativa la Commissione d'inchiesta, che dovrà operare con rigore e con puntualità, al fine di verificare il sistema dell'accoglienza dei minori, la sua efficacia e le eventuali storture: una scelta politica di serietà. La Commissione, che procederà con gli stessi poteri e limitazioni dell'autorità giudiziaria, è chiamata a verificare lo stato e l'andamento degli affidatari delle comunità di tipo familiare che accolgono minori e le condizioni effettive dei minori nelle stesse, con riferimento anche al rispetto del principio della temporaneità; verificare quanti siano stati, dall'entrata in vigore della legge n. 219 del 2012 i provvedimenti di allontanamento dei minori dalla famiglia emessi dai tribunali e quale attuazione abbiano avuto; verificare le modalità operative e il ruolo dei servizi sociali di primo e secondo livello nel processo di affidamento; verificare l'effettiva temporaneità di provvedimenti di affidamento, che non possono superare la durata di 24 mesi, prorogabili dal tribunale per i minorenni, qualora la sospensione dell'affidamento rechi pregiudizio al minore. La stessa Commissione è chiamata anche verificare il rispetto dei requisiti minimi strutturali e organizzativi previsti per le strutture di tipo familiare e per le comunità di accoglienza dei minori dalla normativa statale e regionale; effettuare controlli, anche a campione, sull'utilizzo delle risorse pubbliche e private destinate alle comunità di tipo familiare che accolgono i minori e valutare la congruità dei costi, anche con riferimento alle differenze di carattere territoriale.

Inoltre dovrà valutare se, nella legislazione vigente, sia effettivamente garantito il diritto del minore a crescere e ad essere educato nella propria famiglia e se sia rispettato il principio in base al quale l'allontanamento del minore dalla famiglia di origine deve costituire un rimedio residuale, e che in ogni caso non sia disposto per ragioni connesse esclusivamente a condizioni di indigenza dei genitori. Si verificherà inoltre il rispetto della circolare del Consiglio superiore della magistratura dell'11 luglio 2018, che individua i criteri per la nomina e la conferma dei giudici onorari minorili per il triennio 2020-2022 e il divieto di esercizio delle funzioni di giudice onorario minorile per coloro che si trovano in determinate situazioni. Il provvedimento, in tal senso, introduce disposizioni in materia di incompatibilità dei giudici onorari minorili e dei loro stretti congiunti rispetto ad incarichi che potrebbero pregiudicarne l'imparzialità e l'indipendenza.

Si modifica, poi, l'articolo 2 della legge sulle adozioni relativo all'affidamento di minori, prevedendo che nei casi di affidamento in una comunità di tipo familiare i relativi provvedimenti debbano indicare espressamente le ragioni per le quali non si ritiene possibile la permanenza nel nucleo familiare originario, ovvero le ragioni per le quali non sia possibile procedere all'affidamento ad una famiglia. Oltre alla specifica motivazione circa le ragioni dell'affido a una comunità di tipo familiare, il provvedimento del giudice dovrà presentare i requisiti già previsti dall'articolo 4, comma 3, della legge n. 184 del 1983.

Concludendo, colleghi, c'è da fare un grandissimo lavoro su un tema così delicato e importante come la tutela dei minori, e allora ci auguriamo che, lontano dal frastuono del dibattito mediatico, questa Commissione possa rappresentare l'occasione per riconquistare la responsabilità, il rigore e la visione necessari all'attività legislativa tutta. Dobbiamo offrire ai bambini che vivono situazioni familiari segnate dalla sofferenza e dalla fragilità un futuro migliore (Applausi dei deputati del gruppo Italia Viva).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Foscolo. Ne ha facoltà.

SARA FOSCOLO (LEGA). Presidente, onorevoli colleghi, questa discussione ci permette di fare qualcosa che noi della Lega chiediamo da tempo: abbiamo l'opportunità infatti di mettere finalmente al centro del dibattito i più deboli, i minori, i bambini. È a loro - che sono molto spesso, troppo spesso, vittime di storie drammatiche - che si rivolge la nostra attenzione, il nostro impegno per rendere giustizia ai torti passati e prevenire che gli orrori raccontati più volte dalle cronache non si ripetano più. Come accennavo poc'anzi, la Lega su questo fronte è da lungo tempo in prima linea; ricordo che il nostro partito è stato il primo a chiedere l'istituzione di una Commissione speciale sulle case famiglia. Già ad aprile dell'anno scorso, con la Lega al Governo, avevamo presentato un progetto di legge che aveva al primo punto proprio una Commissione d'inchiesta, con il supporto dell'allora Ministro, Lorenzo Fontana; e ancor prima, nel 2015, quando come oggi ci trovavamo all'opposizione, lo stesso Matteo Salvini propose una Commissione d'inchiesta sulle case famiglia, che spesso rappresentano un business che lucra sulla pelle dei più piccoli, arrivando a costare fino a 400 euro al giorno.

Noi da tempo ci battiamo per questo, auspicando di trovare il massimo consenso possibile su un argomento che dovrebbe stare a cuore a tutti. L'obiettivo, allora come oggi, è fare luce su quanto accade nelle strutture che ospitano i minori. Sono tantissime purtroppo le segnalazioni di abusi, sequestri e altri episodi vergognosi in nome del vantaggio economico. La politica e le istituzioni hanno il dovere di intervenire, con urgenza ed efficacia, e non possono voltare lo sguardo dall'altra parte, perché è vero che ci sono tante case famiglie che fanno bene il proprio lavoro, ma proprio per tutelare il buon nome di chi opera onestamente, è necessario e fondamentale stanare e punire chi usa i bimbi per fare business, chi porta avanti abusi e chi sequestra minori, e noi vogliamo andare fino in fondo.

È un bene che si parli di questi argomenti nell'Aula del Parlamento, anche se, mi sia concessa una lamentela, si sarebbe dovuto fare molto prima. Le cronache degli scandali risalgono ai primi mesi del 2019; ora siamo a luglio 2020. Quando si dice che la politica deve reagire con celerità ed efficacia si pensa a risposte immediate, non ad oltre un anno. È già passato troppo tempo e siamo certi che ci siano stati dei rallentamenti voluti. Questo è inaccettabile, perché stiamo parlando della vita di famiglie e di bambini. Non bastano dichiarazioni di circostanza, virgolettati sui giornali o annunci, come spesso fa chi governa: ora bisogna passare ai fatti, perché ci sono situazioni ancora poco chiare, che per essere esaminate hanno bisogno di una Commissione con poteri forti, in grado di superare le limitazioni. Avanti e decisi, per un'operazione di trasparenza.

Non nascondo una certa amarezza, caro Presidente, cari colleghi, nell'evidenziare che su questi argomenti nei mesi scorsi qualcuno non abbia mostrato lo stesso interesse, la stessa attenzione, la stessa preoccupazione: anzi, c'è chi ci ha detto di stare zitti, ma non si può stare zitti su fatti così delicati. C'è persino chi ha affrontato questo tema così complesso e così importante paragonandolo ad un raffreddore, definendo il sistema di Bibbiano come qualcosa di passaggio. Qualcosa di passaggio non proprio, visto che, come sappiamo, ci sono stati 24 rinvii a giudizio: segno che c'è qualcosa che non va, e non lo dice la Lega, lo dice la magistratura.

Ecco perché è drammaticamente sbagliato minimizzare o sottovalutare la questione. È sbagliato perché la politica e le istituzioni sono chiamate a trovare soluzioni e risposte, ed è profondamente ingiusto nei riguardi delle vittime di quel sistema, dei bambini e delle loro famiglie. Noi vogliamo andare a fondo e fare chiarezza, per il bene di tanti bambini e famiglie che hanno sofferto per allontanamenti che in alcuni casi si sono dimostrati ingiusti, e anche valutare nei percorsi di allontanamento e nelle case famiglia quale tipo di gestione ci sia stata e quali siano stati i tempi.

Su iniziativa della Lega, dopo l'ottimo lavoro delle Commissioni, il Senato ha agito rapidamente: ora tocca a noi. L'istituzione della Commissione parlamentare d'inchiesta sulle case famiglia, che noi fortemente abbiamo chiesto, è un obiettivo non più procrastinabile. La Lega ha detto chiaramente da che parte sta: dalla parte dei bambini, dei più indifesi, di chi rappresenta il nostro futuro, e non può e non deve essere utilizzato come merce di scambio. Ci troviamo oggi qui per dire: mai più casi come Bibbiano, mai più drammi sulla pelle dei minori, ma più abusi, violenze e orrori portati avanti nel silenzio.

Fortunatamente qui non è un dibattito tra destra o sinistra, tra sigle di partito, tra maggioranza o opposizione: è una questione di buonsenso, e sono felice di vedere che su questo argomento abbiamo finalmente trovato una condivisione. Ora il nostro compito è quello di fare il più in fretta possibile: lo dobbiamo ai bambini, lo dobbiamo alle loro famiglie (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Carnevali. Ne ha facoltà.

ELENA CARNEVALI (PD). Signor Presidente, sottosegretario Giorgis, care colleghe e cari colleghi, non entrerò nel merito: l'hanno già fatto i colleghi che mi hanno preceduto e i relatori che ringrazio, rispetto all'analisi e al raccontare e descrivere quanto contiene la legge che andiamo ad approvare; e voglio peraltro anche stigmatizzare: siccome nessuno qui, perlomeno il Partito Democratico, ha presentato alcun emendamento, non c'è mai stata alcuna volontà di alcun rallentamento rispetto all'approvazione di questa Commissione, che peraltro voteremo.

Quello che facciamo oggi invece in seconda lettura, e che vedrà poi quindi un passaggio definitivo, e mi auguro anch'io con la celerità con la quale si possa proseguire, è invece affrontare un tema molto delicato. Anzi, devo dire che va affrontato con un approccio di massima serietà, obiettività, riflessione ancorate sulle realtà dei fatti, sulle esperienze e anche sull'architettura istituzionale, che è fatta da leggi nazionali, da competenze concorrenti in campo regionale, da una competenza in materia sociale che riguarda soprattutto i comuni, i servizi, ma anche i tribunali, le procure, gli avvocati, i giudici togati, gli onorari, che qui vengono peraltro normati, il terzo settore; ma non da ultimo, in particolare i genitori, i figli, e non solo: le famiglie di origine, le famiglie affidatarie, le famiglie di appoggio, i tutori. C'è un variegato mondo che ruota intorno alla maggiore preoccupazione che dobbiamo avere e che tutti ci ricordano, che è il supremo interesse del minore ed è la sua integrità fisica, psichica, sociale.

Dobbiamo quindi bandire da qui qualsiasi approccio di tipo ideologico, men che meno propagandistico, perché il fine che vogliamo è quello di assumere un impegno certo, concreto, che assicuri a bambine, a bambini e adolescenti di qualsiasi Paese, razza, senza distinzione di età, di sesso, di religione e di provenienza, le migliori condizioni di quel benessere psicofisico, relazionale, educativo, come peraltro è sancito dalle norme esistenti sia a livello nazionale che a livello internazionale. Dicevo che i bambini hanno tutti i diritti. Voglio qui ricordare che la Costituzione italiana ce li ricorda negli articoli 30, 33, 34 e 37. Voglio anche ricordare che più a livello generale noi abbiamo delle garanzie che ci vengono date dalla Convenzione dell'ONU, e in quei 42 articoli sono ben quattro i principi fondamentali che ci ricorda: la non discriminazione, il superiore interesse, il diritto alla vita, alla sopravvivenza e allo sviluppo del bambino e l'ascolto del minore. Purtroppo queste tutele che sono scritte non sempre si possono realizzare e non sono garantite; serve un paradigma nuovo, diverso, politico innanzitutto, che metta al centro l'infanzia, che sostenga le famiglie, che sostenga i figli, a garantire quello che le norme ci dicono, che è il diritto a vivere in famiglia, e l'allontanamento risulta essere l'ultima ratio quando quelle condizioni diventano una condizione di pregiudizio per la vita stessa dei figli, per le persone più vulnerabili, per chi vive in condizioni di povertà.

E la povertà non può essere una condizione che può determinare un allontanamento, noi siamo chiamati a rispondere a quei bisogni di povertà. Ma non è solo un problema di povertà economica: c'è un tema di povertà educativa, c'è un tema di povertà relazionale, c'è un tema di incapacità genitoriale; e a quello, purtroppo, non si risponde con benefici economici, ma si risponde con ben altre infrastrutture alle quale siamo chiamati, e non c'è un'istituzione dello Stato che può o che è risparmiata da questa necessità. Noi abbiamo fatto cose buone, secondo il mio giudizio; le abbiamo fatte nella scorsa legislatura. Penso, per esempio, a quando abbiamo fatto in modo che i servizi 0-6 passassero da domanda individuale a servizi di livello essenziale educativo.

Abbiamo fatto una cosa buona quando abbiamo fatto la legge Zampa-Pollastrini. Abbiamo fatto un'ottima cosa quando abbiamo fatto la legge sulla continuità affettiva, perché tutti noi vorremmo che gli affidi durassero due anni, vorremmo che quell'affido magari si prorogasse per il tempo necessario e consentire che quel minore possa ritornare nella sua famiglia perché intanto quella famiglia è stata supportata, aiutata, sostenuta. Guardate che ci sono affidi che durano anni perché non c'è un'alternativa, e noi vorremmo un'alternativa alle comunità di accoglienza, noi vorremmo un'alternativa perché tutti i minori hanno il diritto di vivere in una condizione di serenità. Hanno il diritto e noi dobbiamo garantire la possibilità a quei minori di poter fare in modo che quel diritto di cittadinanza, di giocarsi un ruolo nella società e nel futuro venga garantito a tutti. Abbiamo fatto una cosa buona, la faremo, e mi auguro davvero con il sostegno di tutti quando finalmente domani approveremo l'assegno unico universale, perché quello determina il fatto che essere genitori non può essere una condizione di svantaggio, soprattutto se decidi di avere più figli. Quale società è degna di chiamarsi civile se non riesce ad assicurare ad ognuno dei suoi figli le opportunità che non possono appartenere solo a pochi fortunati del caso, per coloro che hanno la possibilità di essere educati, di essere allevati, amati, istruiti e di essere messi nella condizione di essere finalmente i cittadini della loro vita e di prendersi in mano la loro vita, mentre per altri che vivono in condizioni di svantaggio, perché soli, maltrattati, abusati, in condizioni di disagio o di fragilità, abbandonati, a volte anche quando i genitori sono presenti, incapaci di sostenere quelle responsabilità genitoriali, fino ai casi di devianza, di violenza fisica, psicologica, assistita, o agli orfani.

Bambine e bambini che sono abbandonati sul pavimento dalle solitudini, magari iperconnessi sulla rete, disconnessi dalle relazioni umane. Ecco, forse noi abbiamo un dovere, che è quello di comprendere la crucialità dell'infanzia, dei primissimi anni di vita, e il collega Siani sono certa ci ritornerà su questo tema, e l'accompagnamento dell'attività adulta è fare in modo che non solo dobbiamo stanziare risorse, ma mettere in campo le migliori metodologie, le soluzioni per tutelare e promuovere quei diritti di inclusione e di sviluppo per tutti i bambini, le bambine e gli adolescenti.

Nella scorsa legislatura - mi auguro davvero che questo diventi patrimonio per la Commissione di inchiesta - è stata conclusa un'indagine conoscitiva sui minori fuori dalla famiglia. Non è che qualcuno fino adesso di questo tema non se ne è occupato, come ho sentito dire in quest'Aula, e prima di adesso c'è stato il deserto dei tartari. Ce ne siamo occupati, vi prego di leggere quelle pagine, perché sono pagine che ci dicono già molto. E penso che quello strumento, insieme alle relazioni annuali del Garante dell'infanzia, che indica peraltro la necessità del rafforzamento del sistema di tutela, siano una buona indicazione. Ridiamo dignità, forza e compimento alla parola “prevenzione”. Tra di esse, prima di tutto, occorre sostenere le famiglie perché si evitino le condizioni di allontanamento, disciplinare i procedimenti giudiziari in materia di responsabilità genitoriale secondo i principi del giusto processo, garantendo il diritto all'informazione delle parti, la nomina del curatore speciale, dell'avvocato del minore, le tempistiche certe e adeguate, anche la possibilità di impugnabilità dei provvedimenti.

Serve - lo avete già detto - istituire un sistema normativo. Anche qui, però, permettetemi, sembra che fino ad oggi anche solo le associazioni delle comunità di accoglienza, i Ministeri, chi ha questo compito, non abbia normato. Esistono delle linee guida che sono già state individuate relativamente agli standard, le garanzie anche rispetto alla trasparenza, giustamente, che è stata chiesta, rispetto ai costi, rispetto agli standard che dobbiamo garantire, che non sono solo gli standard legati a quanti educatori devo avere o gli standard strutturali e gestionali, ma la qualità degli interventi che posso mettere in campo nei confronti dei minori. E ancora, vanno date garanzie anche rispetto alla riforma dell'articolo 403 del codice civile, che è l'intervento della pubblica autorità in favore dei minori negli allontanamenti di urgenza che sono operati al pubblico servizio.

Serve saggezza e non ideologia, un approccio che non demolisca le reti di accoglienza su cui il Terzo settore ha investito con competenze, buone pratiche, progettualità pedagogiche e formative, che spesso sono l'unica soluzione temporanea praticabile alle difficoltà che investono il minore, la sofferenza di chi è genitore naturale o l'eventuale affidatario o l'esercente della potestà genitoriale. Permettetemi anche di dire che le falle gravi e devo dire drammatiche che sono state anche ricordate qua vanno perseguite con la severità che il sistema giustizia deve mettere in campo. Attenzione, però, a pensare che competenze sulle quali non abbiamo investito, quanti di noi in quest'Aula sono stati o sono ancora assessori o sono sindaci e sanno benissimo che cosa comporta avere la responsabilità quando sei nelle condizioni di dover garantire quel benessere, quella qualità degli interventi che fai. A chi ci rivolgiamo quando sappiamo che l'investimento sul capitale umano, in particolare dei servizi sociali, è quello sul quale abbiamo disinvestito per anni e che forse da pochissimo tempo, però anche da prima, nella scorsa legislatura, abbiamo fatto qualcosa di buono, e gli stessi, l'aggiornamento di cui abbiamo parlato prima. Abbiamo già approvato nel mese di novembre una mozione che affrontava il tema degli affidi, delle strutture, che impegnava il Governo a potenziare il sistema informativo per avere dati puntuali, per mettere in atto l'aggiornamento di cui abbiamo parlato. Lo ha ricordato prima la collega che l'Italia è un Paese dove i tassi di allontanamento sono ben al di sotto della media europea: sono il 2,6 per mille per bambini e bambine rispetto ai tassi che ha la Francia del 9,5, la Germania del 9,6, l'Inghilterra del 6,1, la Spagna del 3,9.

Certo, siccome per noi le persone non sono numeri, qualsiasi percentuale va guardata con assoluta attenzione, e la famiglia abbiamo detto e siamo convinti che sia l'ambiente primario in cui i bambini vivono, imparano, si devono relazionare. Su questo dobbiamo interrogarci e cercare di trovare delle soluzioni che contemplano quell'equilibrio tra le norme contenute nella Costituzione, gli articoli 29, 30 e 31, che prevedono l'obbligo per la Repubblica di agevolare le famiglie anche per l'assolvimento dei compiti genitoriali richiamati prima alla legge n. 184.

Il Garante dell'infanzia e dell'adolescenza ha posto una domanda: nell'ultima relazione che ha fatto, si è domandato che cosa accade se il diritto di vivere nella propria famiglia diventa inconciliabile con altri diritti che spettano al minore. Questa è l'altra domanda a cui dobbiamo rispondere. L'allontanamento definitivo e nel caso di decadenza della potestà genitoriale è una soluzione limite, alla quale si ricorre solo nei casi di difficoltà, talmente tanti della famiglia di origine, in cui quell'ambiente diventa un ambiente non più idoneo, è una condizione insuperabile. Queste devono essere le regole del gioco. Così come le condizioni di allontanamento temporaneo e di affidamento ad una comunità, sulla base delle relazioni degli specialisti dei servizi sociali, vengono dati all'autorità giudiziaria: è il tribunale per i minorenni che stabilisce alla fine che cosa accadrà a quel minore. C'è un tema invece vero, che è quello a cui facevo riferimento, è quello del 403 del codice civile, perché è un procedimento di natura amministrativa che serve per agire in termini di temporaneità, di urgenza. Quando lo firmiamo (e lo sa bene chi fa l'assessore, chi l'ha fatto)? Lo firmiamo quando siamo nelle condizioni di trovare un minore in stato di abbandono, tendenzialmente viene usato per questo e tu devi garantire una condizione di sicurezza immediata, ma ha dei problemi di criticità e in particolare sono dati dal fatto che spesso i tempi in cui il tribunale dei minorenni interviene con le garanzie giurisdizionali sono lunghi, il contraddittorio, la nomina del curatore speciale o dell'avvocato del minore, l'ascolto, sono tempi lunghi. Chiudo, Presidente, ricordando solo due cose: ci troverete, ci troverete e saremo al fianco di questa Commissione, se non vogliamo sostituirci alla magistratura, se non cominciamo a dire che c'è un'ipotesi di sistema collaudato, di intrecci criminali, che peraltro la magistratura, per quanto riguarda Bibbiano, ha già demolito e invece ha parlato di veleni di soggetti in malafede. Qui, sì, la giustizia deve fare il suo corso, come negli altri casi. Noi guardiamo con fiducia a questa Commissione, noi guardiamo soprattutto nella volontà di fare in modo di non perdere fiducia nelle istituzioni. Permettetemi solo un passaggio di natura personale e chiudo: guardate, io ho vissuto la possibilità, l'esperienza mia e della mia famiglia, quella di fare in modo che finalmente abbiamo una sorella in più e abbiamo l'opportunità di essere genitori sociali. Ecco, io mi auguro una cosa, che quest'esperienza umana, fatta di salite impervie, fatta di discese bellissime, sia un'esperienza che sia consentito a tutti i minori (Applausi), perché a tutti i minori dobbiamo consentire di poter vivere e di poter essere figli di questa comunità, nella totalità dei propri diritti (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Angiola, prego.

NUNZIO ANGIOLA (MISTO). Grazie, Presidente Rosato, è passato ormai un anno, caro Presidente e cari colleghi, dall'esplosione del caso Bibbiano ed oggi, mercoledì 15 luglio, arriva in Aula la proposta di legge n. 2070 per l'istituzione di una Commissione parlamentare d'inchiesta. La proposta che oggi analizziamo era già stata approvata al Senato lo scorso primo agosto, in tempi record, e trasmessa alla Camera il 7 agosto. Qui si era praticamente arenata e impantanata fino ad oggi. La squadra speciale voluta dal Ministro Bonafede ha prodotto veramente molto poco, praticamente la montagna ha partorito un topolino: a novembre aveva presentato i dati, contando 12.338 minori collocati fuori famiglia in 18 mesi, pari a 1,37 minori ogni mille. Il Ministro Bonafede, nella scorsa estate, non senza prosopopea annunciava che tutti gli operatori dovranno sentire il fiato sul collo da parte della magistratura. Nell'autunno dello scorso anno usava toni molto più concilianti, diceva che questo non è un dato allarmante, vogliamo semmai tranquillizzare i cittadini, dicendo che c'è un Ministero, in realtà più Ministeri, concentrati per la prima volta sulla protezione dei bambini che sono in un percorso così delicato. Poi, della “fase 2” della squadra speciale, che doveva allargarsi al Ministero per la famiglia, del lavoro, della salute, all'ANCI e alla Conferenza Stato-regioni, non abbiamo saputo un granché, se non nulla.

Il Ministro Bonafede aveva anticipato alcune ipotesi di lavoro: prevedere un termine di scadenza dei collocamenti salvo proroghe motivate, obbligo di monitoraggio semestrale del percorso da parte del collegio che ha deliberato il collocamento, con assegnazione del caso ad un giudice onorario, revisione dei collocamenti ex articolo 403 del codice civile con previsione tempestiva di una valutazione del collocamento da parte del tribunale per i minorenni, ingresso dei tribunali per i minorenni nel processo civile telematico e conseguente dialogo tra i diversi uffici giudiziari, che avrebbero quindi visibilità, avrebbero avuto visibilità dell'intera storia del minore. Vorrei precisare, Presidente, che le difficoltà economiche, da sole, non hanno ovviamente mai determinato l'allontanamento dei minori dalla famiglia d'origine, anche se è un dato di fatto che chi ha a che fare con i servizi sociali appartiene, nella maggioranza dei casi, ai ceti più poveri. L'allontanamento deve avvenire solo quando è necessario, ma è importante che non arrivi troppo tardi: è stato autorevolmente affermato che i tempi dei bambini non sono i tempi degli adulti e quindi nemmeno mi giustifico e mi spiego tutto questo ritardo rispetto all'istituzione della Commissione parlamentare d'inchiesta, è passato un anno. Non sono, quindi, i tempi dei bambini i tempi degli adulti, non vanno protetti solo dagli abusi, ma anche dalle carenze educative, legate per esempio al fatto di crescere in famiglie che vivono problemi legati alla violenza assistita, alla tossicodipendenza e alle malattie psichiche. Non poter contare su un approccio, su un supporto educativo adeguato e sul calore affettivo sufficiente, infatti, è gravissimo per il loro sviluppo psicologico.

Ho concluso, Presidente: per questo motivo la Commissione dovrà affrontare problemi scottanti e ci aspettiamo risposte importanti, grazie Presidente.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole D'Arrando. Ne ha facoltà.

CELESTE D'ARRANDO (M5S). Grazie Presidente, gentili colleghi e gentili colleghe, intanto io ringrazio la collega Carnevali, perché mi ha fatto emozionare, quindi credo che testimonianze come quella della collega siano l'altra faccia della medaglia: esistono dei servizi sociali, degli assistenti sociali, degli psicoterapeuti, degli psicologi e tutti quelli che sono gli operatori che girano intorno al mondo degli affidi, al grande mondo degli affidi, che è veramente trasversale, non si può dire bianco o nero, molto spesso ci sono delle sfaccettature di cui bisogna tener conto e io sono un po' il risultato di un sistema di sociale e di welfare che ha funzionato e quindi credo che bisogna anche riconoscere questo. Tornando alla proposta di legge all'esame, essa istituisce una Commissione parlamentare d'inchiesta appunto per far luce, quindi per chiarire quali sono le attività connesse alle comunità di tipo familiare che accolgono i minori, un'indagine necessaria a restituire trasparenza, legalità, tutela ai minori e alle loro famiglie e che darà un contributo importante nell'identificare i buchi neri del sistema degli affidi alle comunità, che in molti casi ha potuto impunemente ignorare o sostituire le leggi vigenti, con prassi criminose, mentre assistenti sociali e magistrati pare che non si accorgessero di nulla. Non concordo con chi afferma che riconoscere e denunciare questi gravi fatti alimenti sentimenti di sfiducia nei confronti del lavoro di tutte le strutture di accoglienza di minori e di tutti gli operatori: chi agisce correttamente, la fiducia se la conquista e se la mantiene, il resto del sistema però deve cambiare ed è proprio per tutelare il lavoro corretto di tanti che la Commissione d'inchiesta, verificando le procedure di affido, ci permetterà di capire perché dei modelli perversi di comunità di accoglienza, nell'ultimo decennio, hanno potuto educare indisturbate al terrore, alla violenza, ai più raccapriccianti abusi, senza alcun effettivo controllo, segnando così le vite di bambini e adolescenti, spesso allontanati dalle proprie famiglie non come rimedio residuale, come prevede la legge, ma come una sorta di prassi discrezionale. Nei casi oggetto di indagine, nessuno si è accorto, nessuno ha controllato. Come accadeva, ad esempio, nella comunità “Il forteto”, su cui sta indagando anche la Commissione parlamentare d'inchiesta di cui sono componente.

Gli affidi dei minori ai soci della comunità erano imposti e dettati al telefono dal fondatore Rodolfo Fiesoli al tribunale dei minorenni. Pare pure che i servizi sociali avvertissero anticipatamente delle loro ispezioni e i bambini venissero portati in camere allestite come dei set per far sembrare la comunità un luogo sereno. Tutto questo accadde - voglio sottolinearlo - dopo che il suo fondatore era già stato definitivamente condannato nel maggio 1985 per atti di libidine violenta. Ricordiamo che all'epoca non era ancora stato introdotto il reato di violenza sessuale; in più, i reati e gli atti erano anche di corruzione di minorenni e maltrattamenti e, nonostante questo, i servizi sociali e il tribunale dei minori continuavano a inviare i minori alla comunità “Il Forteto”. In troppi si sono resi complici di quel sistema e questo non deve riaccadere. Omissioni, abusi, complicità che ritroviamo in molti altri casi con i presunti affidi illeciti in cui, secondo l'accusa, alcuni minori sono stati sottoposti a terapie e allontanati dal tribunale dalle famiglie d'origine senza che ve ne fossero i presupposti e su richiesta dei servizi minori, giustificando il tutto con report considerati alterati. Cito i casi noti ma sono numerosi anche quelli meno noti e probabilmente quelli che ancora non conosciamo. La Commissione, che siamo chiamati ad istituire, potrà fornire un contributo importante nel verificare le falle delle modalità operative dei servizi sociali di primo e secondo livello nel processo di allontanamento dei minori dalle proprie famiglie: un meccanismo come dimostrano i fatti che deve cambiare perché non sia più consentito strappare dei minori alle loro famiglie con due righe o con dei report inventati. Già la Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza, nella scorsa legislatura, a conclusione dell'indagine conoscitiva sui minori fuori famiglia, svolta in tutto il territorio nazionale, ha rilevato come, nel rispetto della legge n. 149 del 2001, il collocamento dei minori fuori dalla propria famiglia di origine debba essere attentamente valutato e limitato nel tempo e costituire l'ultimo rimedio a cui si ricorre qualora non vi siano alternative possibili nell'interesse del minore, oltre a privilegiare l'affido intra-familiare rispetto al collocamento presso le comunità familiari. Ciò sia per le conseguenze traumatiche sul percorso evolutivo dei bambini sia per gli elevati costi sociali. Auspico che l'indagine della Commissione proposta dal provvedimento ci aiuti a capire come e perché, in numerosi casi, questi principi siano stati bypassati nel silenzio generale: un silenzio assordante che ha visto protagonisti assessorati regionali alle politiche sociali competenti per materia, che avrebbero dovuto vigilare sia sulle autorizzazioni all'esercizio delle attività delle case-famiglia sia sul rispetto dei requisiti minimi, che dovrebbero essere adeguati alle necessità educative o assistenziali dei bambini e degli adolescenti. E sulle strutture, sia nel passato ma ancora oggi oggetto di discussione e di indagine di Commissione d'inchiesta, chi avrebbe dovuto vigilare? Chi avrebbe dovuto monitorare e controllare affinché venisse garantita la sicurezza di bambini e adolescenti? Chi aveva la responsabilità di tutelare le loro necessità educative e la loro incolumità? Chi avrebbe dovuto preservarli da maltrattamenti, abusi sessuali e psicologici? In tutti i casi noti alle cronache e alla magistratura chi ha vigilato sull'applicazione della Convenzione di New York del 1989 sui diritti del fanciullo, ratificata e resa esecutiva in Italia dalla legge n. 176 del 1991, che stabilisce che ogni bambino, il quale è temporaneamente o definitivamente privato del suo ambiente familiare, ha diritto a una protezione e ad aiuti speciali dello Stato? Noi abbiamo il dovere di intervenire per impedire definitivamente che ogni diritto a tutela dell'interesse del minore sia negato ma ci dobbiamo anche fare una domanda: quanti sono i minori ospitati nei servizi residenziali? Secondo il monitoraggio promosso dal Ministero del Lavoro e delle politiche sociali in collaborazione con le regioni e le province autonome, i bambini e gli adolescenti accolti, a fine anno 2017, in affidamento familiare e nei servizi residenziali per minorenni sono 27.111, al netto dei minori stranieri non accompagnati. Dobbiamo purtroppo rilevare al riguardo che manca un sistema informativo nazionale costantemente monitorato sui minori affidati e ospitati nei servizi residenziali. Non possono essere sufficienti le rilevazioni periodiche: serve un sistema informativo che consenta di seguire il percorso di vita di ogni minore che vive fuori dalla famiglia, altrimenti si rischia di non controllare i passaggi di struttura o gli affidatari.

Infatti tre procure su dieci non ricevono i dati sull'inserimento dei minori nella comunità: un buco nero intollerabile visto che dovrebbero essere proprio i magistrati a verificare la congruità delle decisioni prese dai servizi sociali e a confermare o meno la scelta di affidare a un minore a una comunità. I sistemi degli affidi ha falle su cui è indispensabile che il Parlamento indaghi per verificare ciò che deve essere migliorato e, a mio parere, cambiato normativamente. In Italia l'istituto dell'affido familiare è uno strumento normativo che ha permesso a molti bambini e alle loro famiglie di superare difficoltà momentanee provvisorie, avendo come obiettivo il successivo rientro del minore nel contesto familiare naturale, che assistenti sociali e tribunali hanno disposto.

C'è un PIL non economico ma sociale su cui, a mio avviso, si fonda la ricchezza reale di un Paese ed è incrementato da ogni cittadino che agisce correttamente nella propria quotidianità nei confronti della società, degli altri e della legge. Il nostro dovere di legislatori, però, è di identificare e modificare ciò che non funziona, di intervenire a tutela dei diritti di ciascuno, a maggior ragione se soggetti fragili come i bambini. E per migliorare e cambiare è necessario prima di tutto verificare e capire ciò che va modificato e l'istituzione della Commissione proposta dal provvedimento può dare un contributo importante perché si rafforzi la tutela del diritto del minore a restare nella propria famiglia, senza essere rinchiuso in una delle comunità di impunità e orrore nella totale indifferenza (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Massimo Enrico Baroni. Ne ha facoltà.

MASSIMO ENRICO BARONI (M5S). Grazie, Presidente. A partire dall'Ottocento fino alla metà del XX secolo era prassi condivisa rinchiudere i bambini abbandonati assieme a quelli ritenuti colpevoli di piccoli reati dovuti all'indigenza all'interno di contesti per impedirne la libera circolazione tra gli adulti. Veniva tutelata la comunità degli adulti da possibili devianze dei piccoli e la costrizione in un istituto veniva considerata una soluzione del problema. In Italia, fino alla metà degli anni Sessanta, veniva considerato un percorso normale e necessario l'affido ai grandi istituti: Spitz e Bowlby erano conosciuti negli ambienti accademici italiani e furono presi in considerazione nelle riflessioni relative agli istituti per minori. Carugati fa presente che le istituzioni conventuali si sono progressivamente trasformate in ambienti più rispettosi delle esigenze individuali degli ospiti. La legge del 27 luglio 1967 n. 685, ovvero il programma per lo sviluppo economico per il quinquennio del 1966-1970, oltre a istituire le unità sanitarie locali ha affermato la necessità di ridurre il numero degli ospiti-utenti attraverso programmazione a carattere regionale, sussidi economici per le famiglie svantaggiate, promozione dell'affidamento familiare. Si sottolineava la necessità di riorganizzare gli istituti per minori alla luce di percorsi di ricerca e di approfondimento al fine di una trasformazione e del superamento degli aspetti spersonalizzanti e dannosi per lo sviluppo del bambino. Nonostante alcune novità dovute alla nuova denominazione come villaggi per ragazzi, case-famiglia, i focolari, comunità educative-assistenziali, pur riorganizzando i gruppi nel numero di dieci-quindici ragazzi per volta, mantenevano aspetti dell'organizzazione del quotidiano, come l'orario dei pasti, la stessa scuola, che riportava l'atmosfera ad un semi-istituto. Con la rivoluzione culturale del Sessantotto e la mobilitazione delle masse giovanili si sono moltiplicate le iniziative anti-istituzionali e anti-autoritarie. Tra il 1968 e il 1973, all'interno del dibattito culturale e politico, sono emerse due linee antitetiche: una volta ad ammodernare e razionalizzare le strutture assistenziali; la seconda tesa a riformare l'assistenza intesa come un servizio per tutti. La legge n. 184 del 1983 sull'adozione e l'affidamento considera gli istituti come realtà da superare o da adoperare come ultima risorsa, la cosiddetta ultima spiaggia, operando in senso de-istituzionalizzante.

All'epoca le poche esperienze presenti sul territorio come comunità per minori erano collocate solamente in Nord Italia: Piemonte, Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna. In ambito legislativo la legge n. 184 del 1983 parla esplicitamente per la prima volta di comunità per minori all'articolo 2, affermando la necessità di affidamento ad altra famiglia, a persona singola, a comunità di tipo familiare in caso di un contesto familiare appunto non idoneo.

Nella stessa legge, all'articolo 5, si parla di comunità alloggio. La speranza per deistituzionalizzare passava attraverso la riduzione del numero dei minori accolti negli istituti e lo sviluppo graduale dell'istituto dell'adozione e dell'affidamento esclusi i casi di carattere appunto giudiziario. C'è da tenere conto che l'opinione pubblica non era informata, se non in maniera del tutto marginale. I gruppi appartamento, le comunità alloggio, sperimentati nel Nord Italia si erano dimostrati un fallimento: le fatiche emotive, la complessità delle problematiche comportamentali dei minori hanno trovato impreparati gli operatori, spesso poco sostenuti dai servizi sociali e costantemente carenti di risorse economiche. Alcuni sforzi notevoli sono stati in grado di alleviare la stanchezza e il senso di frustrazione, innescandosi inevitabilmente delle dinamiche di tipo regressivo. La legge n. 184 del 1983 non ha innescato una risposta sufficiente sul quadro generale, e non è riuscita a riformarlo in maniera significativa, a parte alcune felici esperienze documentate. Molti istituti hanno subìto delle trasformazioni, altri hanno chiuso definitivamente. Si sono biforcati due modus operandi: da una parte, alcune comunità possono contare sugli stessi operatori che c'erano allora, dall'altro lato le comunità subivano un avvicendamento continuo degli educatori a causa della difficile convivenza con il dolore e l'aggressività che veicolavano i minori, mantenendo la situazione sostanzialmente immutata a prima della legge stessa. Negli anni Novanta non si è riusciti a portare a termine il processo di deistituzionalizzazione iniziato un ventennio prima, e molti istituti erano ancora attivi, soprattutto al Sud. La legge del 28 agosto 1997, n. 285, ripropose la comunità come mezzo di superamento dell'istituto, constatando che erano ancora ospitati ben 40 mila bambini e adolescenti. Un tentativo è stato quello di ricorrere alla qualità del servizio. Per superare le criticità si è provato a favorire un processo professionale organizzativo, offrendo allo stesso momento le risorse necessarie per realizzare un intervento di aiuto che corrispondesse ai reali bisogni di aiuto e di cure degli ospiti. Si è provato a decifrare e a ridefinire i parametri, le buone prassi, i requisiti minimi necessari che ogni comunità residenziale avrebbe dovuto rispettare e documentare per ottenere proprio l'autorizzazione al funzionamento e all'accreditamento. Il tentativo di sistematizzare un lavoro relazionale fornendo dei parametri e una valutazione di qualità significava standardizzare un servizio per sua natura molto eterogeneo, a partire proprio dall'esigenza degli ospiti, dei bambini, degli adolescenti, creando il rischio di appiattimento rispetto alla complessità dell'intervento personalizzato. Tali indici di tipo statico sono legati a un modello organizzativo precostituito, che intrinsecamente promuove la minor restrizione possibile degli strumenti e dei metodi da adoperare. Alcune conseguenze di tali approcci erano e sono la compilazione assidua di documenti, un rapporto rigido tra educatori ed utenti, l'organizzazione degli spazi interni, derivanti dal settore sanitario, proprio la legge n. 328 del 2000, contrastando con la priorità del bisogno di attenzione e relazione che necessitano gli ospiti minorenni. Recentemente si è arrivati ad affermare che la qualità del processo è condizione necessaria ma non sufficiente, in quanto occorre che ad essi seguano degli effetti sulle persone adeguati alle attese, e come al solito lo Stato è sotto accusa. In questo senso ciò ha implicato una costante valutazione degli esiti cosiddetti outcome evaluation, tanto cari al modello medicalizzato, tanto caro al modello di medicina, che determina a sua volta la giusta efficacia dei programmi e dei servizi che si occupano dei bambini e degli adolescenti. Risulta quindi corretto valutare e valutarsi nell'ottica del pieno soddisfacimento dei bisogni reali dei minori accolti.

In questo caso possiamo parlare di efficacia, in caso contrario l'operato degli educatori corre il rischio di diventare però neo-istituzionale, nel senso che si concentra su esigenze prescritte e precostituite, uguali per tutte le realtà e per tutti i minori costretti per un motivo e per l'altro a vivere ovviamente in queste realtà. La valutazione subentra sempre quando si è di fronte a delle criticità: quando c'è una criticità c'è bisogno di misurare. Procedure sempre più standardizzate non hanno valore quando non sono contestualizzate. Nelle situazioni critiche all'interno delle comunità per minori si evidenziano limiti nell'efficacia dell'intervento e nella soddisfazione-gratificazione degli operatori. Il focus diventa quello del recupero del significato della procedura e sostanzialmente delle criticità. Si tratta di avviare dei percorsi che permettano la riesamina dei costrutti e dei processi che sostanziano la quotidianità e la cultura organizzativa dei diversi contesti, e in un secondo momento di rinnovare e trasformare le logiche che hanno contribuito a creare una situazione critica. Concetto di comunità come luogo a parte è stato criticato all'interno della letteratura internazionale per la sua intrinseca pretesa di trovare risposte all'interno di procedure preconfezionate. L'intervento di comunità residenziale richiede riparazione del passato e promozione del futuro. Il modello da proporre è quindi quello della comunità come luogo mentale e sociale. Si diceva il vecchio proverbio africano: per far crescere un bambino occorre un villaggio. Il modello da proporre è quindi quello che organizza un pensiero di rete, dove l'ambiente è protettivo e riparativo ma non sostituisce tout court l'ambiente di vita, quindi è terapeutico perché garantisce l'esistenza dei processi di cambiamento personali, senza sradicare percorsi personalizzati dalla rete relazionale più ampia, quella di provenienza del minore, ad esempio, e da quelle potenziali della vita futura da adulto. Presidente, potrei andare avanti a lungo, perché la questione su cui occorre mettersi d'accordo è che se noi stiamo rincorrendo…

PRESIDENTE. A lungo no, onorevole Baroni, è finito il tempo.

MASSIMO ENRICO BARONI (M5S). Conosco la sua ironia, Presidente, era una metafora.

PRESIDENTE. Non è ironia, è l'orologio.

MASSIMO ENRICO BARONI (M5S). No, era una metafora. Vado a concludere. La questione è molto seria, perché il problema di questa Commissione d'inchiesta non è nata dalla consapevolezza che abbiamo un problema strutturale, organizzativo, in Italia, rispetto alla chiusura che avremmo dovuto fare…

PRESIDENTE. Chiuda, onorevole Baroni.

MASSIMO ENRICO BARONI (M5S). …degli istituti cui ho accennato fino ad adesso, ma nasce da un problema di attualità, di poche persone, poche decine di persone, che però forse ci daranno la possibilità di fare una grande riforma per questo settore in Italia (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Bellucci. Ne ha facoltà.

MARIA TERESA BELLUCCI (FDI). Presidente, finalmente arriva in Aula la proposta di legge di istituzione della Commissione d'inchiesta sulle comunità familiari e per i minori. Dico finalmente perché purtroppo il Coronavirus ha fermato molto in Italia: ha fermato certamente gli italiani, ma ha anche fermato proprio quello di cui trattiamo oggi. Ciò perché i lavori si concludono in Commissione a febbraio di quest'anno, e pochi giorni dopo sappiamo come il lockdown ha riguardato la vita di tutti noi, la vita degli italiani, e insieme ha riguardato anche l'iter di discussione e di approvazione di questa proposta di legge. Allora sono particolarmente felice che oggi noi siamo qui ad avviare la discussione generale, almeno per due motivi: uno è perché evidentemente il Coronavirus non ci ha ancora fermato, anzi oggi siamo in una fase nuova, quella in cui nel Parlamento si può parlare di una cosa che è prioritaria e fondamentale; secondo motivo, perché non c'è nulla di più importante che la protezione dei più fragili, e come Fratelli d'Italia l'abbiamo detto forte e chiaro in più occasioni: per noi i più fragili sono sempre e comunque i bambini, i minori (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia). In ragione di questo finalmente arriviamo a questa discussione. Ciò che mi sento di dire è che in Italia ci sono delle leggi meravigliose, a partire dalla ratifica da parte dell'Italia della Convenzione ONU sui diritti dei bambini avvenuta nel 1991, a partire certamente anche dalla nostra Costituzione che dà spazio e attenzione ai diritti dei bambini. Ma è anche vero che, nonostante tutte queste bellissime leggi, noi Italia abbiamo un problema in termini di tutela dei diritti dei bambini e delle loro famiglie. E questo a dirlo non è soltanto Fratelli d'Italia: c'è una bellissima indagine fatta dalla Bicamerale infanzia e adolescenza, avviata nel 2015 e conclusasi nel 2018, che sosteneva in maniera incontrovertibile che in Italia non c'è un monitoraggio puntuale dei minori fuori famiglia; cioè, noi in Italia non sappiamo quanti bambini sono stati allontanati dalla propria mamma e dal proprio papà senza alcuna ombra di dubbio rispetto al dato che è stato raccolto dalle istituzioni a tutti i livelli. Non lo sappiamo e questo è agghiacciante. Le Nazioni Unite hanno stigmatizzato l'operato dell'Italia come manchevole da questo punto di vista e questo è un problema enorme. Si parla di 26 mila bambini, ma se ci riferiamo al Terzo settore e a quelle associazioni che si occupano di tutela dei minori e hanno tentato di fare un monitoraggio, e loro ne hanno contati 40 mila, se soltanto dovessimo prendere questi due numeri, ci dovremmo chiedere: ma quei 14 mila bambini che fine hanno fatto? Dove sono? Dove sono nella mente dello Stato, delle istituzioni, di questo Parlamento, dove sono? Questo dovrebbe far tremare i polsi a ciascuno di noi. Se li uniamo con altri dati, dovremmo rimanere basiti, perché le nostre leggi sono assolutamente inapplicate: il 63 per cento dei minori - e anche questo lo dice la Bicamerale infanzia e adolescenza nella sua indagine - allontanati dalle famiglie è stato allontanato per indigenza economica di quelle famiglie. La legge n. 184 dice che questo deve essere assolutamente escluso: nessun bambino deve essere tolto alla propria mamma e al proprio papà perché hanno delle difficoltà economiche. Tutte le istituzioni, a tutti i livelli, dovrebbero intervenire per sanare quelle difficoltà economiche, ma questo non accade. Quei 24 mesi di tempo che dovrebbe avere la famiglia per ritornare in una situazione tale da accogliere il proprio minore e quindi quei 24 mesi limite di affidamento che è stato previsto per legge non viene rispettato in oltre il 50 per cento dei casi: e questo, per esempio, è scritto da Il Sole 24 Ore, anche questo non lo dice Fratelli d'Italia in un'opera così personalistica e magari casuale, no, lo dicono istituzioni, lo dice chi è preposto a fare questo monitoraggio e tenta di farlo nonostante le tante manchevolezze.

E si aggiungono a questo altri dati: per esempio, che oltre il 60 per cento dei bambini che sono stati allontanati in Italia non tornano dalla propria famiglia. In alcuni casi, certamente, ci sono quelle famiglie, quei genitori che non ce la fanno a recuperare una situazione che possa essere capace di dare stabilità, sicurezza, una base sicura; ma ci sono tante altre famiglie che, se adeguatamente accompagnate da istituzioni, comuni, regioni, servizi sociali, tribunali capaci, potrebbero farlo, perché certo in Italia ci sono tanti operatori competenti, ma dobbiamo dire anche che qualcosa non va e quindi che c'è anche chi non fa il proprio lavoro con scienza, coscienza, amore e dedizione, altrimenti non ci sarebbero questi problemi in Italia.

Un altro aspetto che mi preoccupa è che, rispetto alla difesa dei bambini, dovremmo essere tutti uniti e, quando qualcosa non va, dovremmo essere tutti insieme a doverci occupare di un abuso, di un maltrattamento, di un paventato abuso e maltrattamento, di quando una procura porta avanti un'indagine perché ci sono delle evidenze che fanno pensare che c'è qualcosa che non va. Invece quello che accade è che c'è chi sminuisce, chi corre e invece investe energie a difendere chi viene pensato, che può essere, invece, colpevole di qualche reato; c'è chi, quando alcune forze, come Fratelli d'Italia, sottolineano che c'è una preoccupazione, che c'è un problema di maltrattamento, di abuso del minore, ebbene, c'è chi stigmatizza quelle parole di Fratelli d'Italia come strumentalizzazione, e così tenta di mettere un bavaglio (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia). E questo è un problema, perché non si può dire che si è fatto tanto a tutti i livelli, a livello comunale, regionale, statale, che ci sono delle leggi bellissime che sono state emanate, che ci sono state Commissioni parlamentari che hanno profuso energie e dedizione, quando poi ci sono dei fatti che delle procure vanno ad evidenziare e quei fatti, invece, non vedono la voglia di capire e di approfondire da parte di tutte le forze politiche. Perché questo non è accaduto, non è accaduto con Bibbiano: il GIP che ha portato avanti le indagini ha descritto i comportamenti degli indagati come una percezione della realtà e della famiglia totalmente pervertita e asservita al perseguimento di obiettivi ideologici e non imparziali; queste parole non sono di Fratelli d'Italia, sono del GIP. E rispetto a questi, chiunque da un punto di vista politico avrebbe dovuto sospendere giudizi rispetto alla strumentalizzazione che veniva sancita di alcuni che avevano l'unica colpa, se questa è una colpa, di dire: c'è qualcosa che non va, qualcosa di cui ci dobbiamo occupare, ci sono dei minori e delle famiglie che hanno bisogno di noi. E questa preoccupazione non è una preoccupazione così assurda, così strana, la preoccupazione nasce da fatti precedenti che per anni hanno portato a un non intervento risolutivo: nel 1985 il Fiesoli viene condannato per maltrattamento e atti di libidine, nei 24 anni successivi sono stati affidati alla comunità Il Forteto, alle cosiddette famiglie funzionali, 60 minori. È per il ricordo di quei 60 minori e anche di alcuni di quei minori che oggi non sono qui perché si sono tolti la vita, che noi non siamo disponibili a tacere e a chiudere gli occhi, mai (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

E ci indigniamo e rimaniamo basiti quando c'è chi, rispetto alle nostre parole, dice che noi strumentalizziamo. Quando si parla di vicinanza e di attenzione e di tutela dei minori, bisogna farlo nella forma e nella sostanza: e questo è quello che noi chiediamo a questo Parlamento, alle forze di maggioranza e alle forze di opposizione che stanno accanto a noi, a tutti insieme, per far sì che il supremo interesse del minore sia comunque una realtà in questa nazione. E rispetto a questo continueremo a sottolineare la necessità di apportare dei cambiamenti: dei cambiamenti doverosi, dei cambiamenti che possano dare delle risposte soprattutto a quei minori che oggi sono invisibili, perché un altro dato che a me preoccupa è che, è vero, l'Italia è l'ultima tra le nazioni in Europa per allontanamento dei minori; .noi abbiamo effettivamente la Francia con 133 mila minori allontanati, il Regno Unito con 60 mila minori allontanati, la Spagna con 37 mila bambini allontanati, l'Italia è il fanalino di coda con 26 mila bambini e uno dovrebbe dire: insomma, siamo bravi. Invece, no, c'è da preoccuparsi, proprio a fronte di un dato statistico, ma non è che in Italia quei bambini non vengono visti? Perché, per esempio, se abbiniamo queste altre statistiche, in Italia sono aumentate le violenze sui minori, in Italia sono aumentati di oltre il 50 per cento i reati di pedopornografia, in Italia, anche durante il lockdown, le segnalazioni per maltrattamento e per violenza sono state maggiori. Allora, non è che le istituzioni non hanno immaginato un sistema di allerta, di accertamento, di intervento, di protezione efficaci nella nostra Italia? Il dubbio c'è da farselo venire.

Un'altra cosa che mi viene alla mente sono le storie di alcuni genitori, di alcuni nonne, anche, che ho incontrato in questi mesi, che mi hanno raccontato storie che, anche qui, fanno venire i brividi, perché a volte i bambini vengono allontanati da situazioni che necessitano un intervento, un allontanamento, ma in altre situazioni non è così; parlavo dell'indigenza economica, ma parlavo e vorrei parlare anche di quei casi in cui i bambini vengono allontanati da un padre e da una madre che magari in quel momento non sono in grado di svolgere quella funzione educativa, ma non si pensa minimamente di poter affidare quel minore alle cure di un parente prossimo, come una nonna o un nonno. Mi hanno raccontato che la motivazione che è stata data è che se quel genitore, quella mamma o quel papà, non è in grado di assicurare stabilità a quel bambino, evidentemente ha avuto un genitore che, a sua volta, non è stato in grado di crescerlo nel giusto modo e, quindi, è stato detto a quei nonni e a quelle nonne che sono stati incapaci, che sono colpevoli, che non hanno le risorse per occuparsi del proprio nipote. Ebbene, vi dico, io li ho conosciuti, li ho guardati negli occhi, li ho sentiti parlare, ho conosciuto persone che loro conoscevano e vi assicuro che è tanto difficile poter essere certi che quei nonni non fossero in grado di poter offrire amorevoli cure.

Allora, anche qui devo dire che sono tornata a casa a volte da quei viaggi, percorrendo molti chilometri, con uno sconforto atroce, perché il pensiero che in Italia, la culla della civiltà, uno Stato moderno, pieno di leggi importanti, questo possa accadere fa venire il panico a chiunque. Anche qui, c'è evidentemente qualcosa che non va. Ho sentito storie di mamme che a fronte di un conflitto con il proprio partner, con il proprio marito e, quindi, volendo lasciare quell'uomo perché maltrattante, a volte abusante, invece di vedere dei servizi sociali al proprio fianco, che le accompagnassero per mano, le aiutassero e le sostenessero come genitore unico e solo, hanno visto una situazione che le ha piegate ancora di più e che ha portato il proprio figlio, la propria bambina, il proprio bambino allontanato dalla mamma con motivazioni che anche in questo caso - le dico, sottosegretario - non avevano alcuna ragione di esistere; e, infatti, la giustizia, anni dopo, ha fatto giustizia, ma quali traumi hanno vissuto quei bambini che per anni si sono visti privati di cure amorevoli, perché quelle mamme o, a volte, anche quei papà erano capaci di dare quelle cure? Ferite che non potranno più essere riparate in maniera totale, non potranno più essere riparate come se quel bambino non le avesse mai vissute.

Allora, anche questo fa rimanere agghiacciati e fa pensare che non è possibile, non è possibile tacere, non è possibile non raccontare queste storie, non è possibile non dare la possibilità almeno di dare voce a queste esperienze di vita, a questi traumi, a queste madri e a questi padri che, anche loro, hanno delle ferite addosso che non si cancelleranno mai. In Italia, se anche solo un bambino, se anche solo una mamma o anche solo un papà, avesse vissuto tutto questo, ebbene, sarebbe comunque un fatto gravissimo, figuriamoci in questa situazione in cui sono davvero tanti, tanti, coloro che hanno dovuto patire un'incapacità del sistema dei servizi di protezione dell'infanzia e della famiglia.

Per questo, oggi, penso che sia una data importante; lo dico chiaramente, non credo che l'istituzione della Commissione d'inchiesta sia di per sé la soluzione, no, è un contributo, un contributo che si dà all'affrontare un problema che riguarda noi tutti, nessuno escluso. La differenza la farà come verranno portati avanti i lavori, quale sarà la genuina capacità dei membri della Commissione di mettersi al servizio del supremo interesse del minore; la differenza la farà quanto si sarà capaci e quanto saranno capaci le istituzioni di poter riflettere in maniera autocritica, di poter cambiare i modelli di riferimento, di poter cambiare l'organizzazione della giustizia e dei servizi.

Noi di Fratelli d'Italia delle idee ce le abbiamo e le abbiamo anche presentate, attraverso le nostre proposte di legge, attraverso le nostre mozioni, perché troppo non viene applicato: l'ascolto del minore è un miraggio, il contraddittorio all'interno del tribunale dei minori è un miraggio, la possibilità di un avvocato del minore è un miraggio, decreti, da parte del tribunale dei minori, nel merito, che spieghino puntualmente le ragioni per cui un minore viene allontanato da quella famiglia e affidato a una comunità familiare, sono un miraggio. Ebbene, noi in questo deserto di tutela dei minori non siamo disponibili a starci; noi, come Fratelli d'Italia, continueremo a fare di tutto perché, invece, si possa istituire nella nostra nazione un pieno diritto alla tutela dei minori e delle loro famiglie (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia) e perché ogni genitore possa essere sicuro di non doversi difendere da uno Stato che lo perseguita, ma, invece, di avere uno Stato che gli è vicino e che gli garantisce di poter continuare a educare il proprio piccolo nel migliore dei modi, avendolo a fianco, come un genitore sapiente, capace di apprendere qual è la giusta strada. Continueremo a chiederlo, senza “se” e senza “ma”, con determinazione, senza avere paura di essere ancora sottaciuti di strumentalizzazione. Noi questo bavaglio non ce lo faremo mai mettere (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - A.C. .C. 2070)

PRESIDENTE. La relatrice della Commissione, deputata Ascari, non ritiene di replicare. Anche il relatore non intende replicare. Il Governo? Neanche.

Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Interventi di fine seduta.

PRESIDENTE. Abbiamo alcuni interventi di fine seduta.

Ha chiesto di parlare il collega Perantoni. Ne ha facoltà.

MARIO PERANTONI (M5S). Presidente, molto brevemente, mi permetto di richiamare l'attenzione del Governo sul fatto che è stata pubblicata sul Bollettino Ufficiale della regione autonoma della Sardegna la legge regionale n. 21, una legge che è stata appunto approvata dopo il solito iter, che è stato da me più volte segnalato al Governo e ai Ministeri competenti, perché è una legge che ha ad oggetto una presunta interpretazione autentica del Piano paesaggistico regionale e pretende di omettere la co-pianificazione territoriale e paesaggistica, demandandola esclusivamente alla regione e bypassando, quindi, il Governo, in spregio evidente degli articoli 9 e 117 della Costituzione.

Io ho presentato un'interpellanza il 1° luglio sul progetto di legge. Ovviamente, adesso l'iter, come dicevo, è stato perfezionato in regione, è stato pubblicato. Quindi, mi permetto di sollecitare l'attenzione del Governo, che, comunque, so essere presente, su questa legge, sugli evidenti profili di incostituzionalità, augurandomi che venga impugnata davanti alla Corte costituzionale (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole De Menech. Ne ha facoltà.

ROGER DE MENECH (PD). Grazie, Presidente. Prendo la parola per ricordare la figura di Giovanni Bortot, pochi giorni fa scomparso a Ponte nelle Alpi. Un abbraccio, innanzitutto, alla famiglia, alla moglie Beppina e alla figlia Tiziana. Ma chi era Giovanni Bortot? Soprattutto inizialmente un partigiano col nome “Ardito”, a sedici anni. Si mette in gioco per i valori dell'Italia, i valori della libertà, i valori della giustizia, dell'uguaglianza. E poi il sindaco, Giovanni il sindaco, sindaco di Ponte nelle Alpi, il mio paese, per quasi 17 anni, dal 1980 al 1999, e consigliere comunale per quasi cinquant'anni. È con lui che io ho fatto la mia prima campagna elettorale e, come diceva sempre, “per stare a fianco ai cittadini dobbiamo tutti consumare le scarpe. Non sono i cittadini che vengono nell'ufficio del sindaco: è il sindaco che va a trovarli casa per casa”. E poi il deputato Giovanni Bortot, dal 1968 al 1972. Ricordare è doveroso: le leggi per i malati di silicosi, che ha portato avanti a favore di tutti quei lavoratori in miniera, e soprattutto le tante leggi per la ricostruzione della nostra provincia dopo il disastro del Vajont. Ha seguito da vicino i cittadini del Vajont, portandoli fisicamente al processo dell'Aquila proprio con quella sua caratteristica: stare a fianco dei cittadini.

Protagonista assoluto della storia politica del mio comune e di tutta la provincia di Belluno, militante instancabile del Partito comunista, partito che non ha mai abbandonato e di cui ha seguito tutte le trasformazioni. Autorevole, umile, sempre fra la gente, ha insegnato a tanti di noi che le battaglie vanno condotte in prima persona, battaglie sempre a favore dei più deboli, dei lavoratori, dell'ambiente da tutelare. Concreto e generoso, per questo versava - pensate - in tempi non sospetti un terzo del vitalizio volontariamente alla nostra casa di riposo, senza bisogno di nessuna norma. Nella sua lunga e complessa attività politica e amministrativa Giovanni ha coinvolto e appassionato tantissimi giovani. Oggi il suo esempio di buona politica è il lascito più importante e a tutti noi sta saperlo onorare.

Dormi sereno il sonno dei giusti, Giovanni. Grazie di tutto, non ti dimenticheremo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Mura. Ne ha facoltà.

ROMINA MURA (PD). Presidente, anch'io vorrei ricordare un partigiano sardo morto qualche giorno fa, Antonio Garau, che nacque a Cagliari nel dicembre 1923. Allievo ufficiale dall'accademia dell'Aeronautica militare di Caserta, nel 1943 per esigenze belliche venne trasferito a Forlì e fu proprio lì che a vent'anni scelse la Resistenza e la lotta partigiana con la brigata “Aldo Casalgrandi”, di cui divenne comandante (nome di battaglia “Geppe”). Combatte da allora e fino al 25 aprile 1945 nella zona del modenese e il suo coraggio e la sua azione furono determinanti per la liberazione di Spilamberto e di altri centri vicini. Resistette alla prigionia, alle terribili torture cui venne sottoposto dai nazifascisti e riuscì, grazie all'aiuto di un altro giovane sardo che conobbe in quei luoghi, a fuggire dai luoghi di prigionia di Verona. Tornò in prima linea a combattere sino all'ultimo giorno, il 25 aprile 1945. Rientrò a Cagliari, completò i suoi studi in giurisprudenza e lì iniziò una brillante carriera come funzionario pubblico, terminandola nella funzione di segretario generale del consiglio regionale sardo.

Costruttore dello Stato repubblicano da partigiano e poi servitore con onore dello Stato repubblicano in tutta la sua vita, ha passato gli ultimi anni della sua vita a portare la testimonianza e a raccontare ai giovani la sua storia di valori, la sua storia di Resistenza. In una delle tante chiacchierate, con centinaia di ragazzi che ha incontrato, raccontò quanto segue: “Amo prima di ogni altra cosa la Costituzione. Se la vediamo come un albero, io faccio parte delle radici, voi i rami e i germogli e sta a voi fare le scelte giuste per affermare la giustizia sociale, la libertà e l'uguaglianza”. In queste parole sta il significato della vita di Antonio Garau, il senso della missione che ha portato avanti fino a qualche mese fa.

Porgo le sentite condoglianze alla famiglia e un grazie al partigiano “Geppe” per la preziosa eredità (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

Ordine del giorno della prossima seduta.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.

Giovedì 16 luglio 2020 - Ore 9:

1. Seguito della discussione della relazione delle Commissioni III (Affari esteri e comunitari) e IV (Difesa) sulla deliberazione del Consiglio dei Ministri in merito alla partecipazione dell'Italia a ulteriori missioni internazionali per l'anno 2020, adottata il 21 maggio 2020 (Doc. XXV, n. 3) e sulla relazione analitica sulle missioni internazionali in corso e sullo stato degli interventi di cooperazione allo sviluppo a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione, riferita al periodo 1° gennaio-31 dicembre 2019, anche al fine della relativa proroga per il periodo 1° gennaio-31 dicembre 2020, deliberata dal Consiglio dei ministri il 21 maggio 2020 (Doc. XXVI, n. 3). (Doc. XVI, n. 3)

Relatori: GRANDE, per la III Commissione; IOVINO, per la IV Commissione.

2. Seguito della discussione della proposta di legge:

DELRIO ed altri: Delega al Governo per riordinare, semplificare e potenziare le misure a sostegno dei figli a carico attraverso l'assegno unico e universale. (C. 687-A)

e delle abbinate proposte di legge: GELMINI ed altri; LOCATELLI ed altri. (C. 2155-2249)

Relatore: LEPRI.

3. Seguito della discussione delle mozioni Meloni ed altri n. 1-00274, Zanella ed altri n. 1-00354, Morelli ed altri n. 1-00363 e Serritella, Bruno Bossio, Paita, Stumpo ed altri n. 1-00364 concernenti iniziative a sostegno del settore delle telecomunicazioni e per l'efficienza e la sicurezza delle reti di comunicazione elettronica .

4. Seguito della discussione della proposta di legge:

S. 1187 - D'INIZIATIVA DEI SENATORI: ROMEO ed altri: Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività connesse alle comunità di tipo familiare che accolgono minori. Disposizioni in materia di diritto del minore ad una famiglia (Approvata dalle Commissioni permanenti riunite 1a e 2a del Senato). (C. 2070)

e delle abbinate proposte di legge: MOLINARI ed altri; ASCARI ed altri; FIORINI ed altri; LOLLOBRIGIDA ed altri. (C. 1731-1887-1958-2007)

Relatori: ASCARI, per la II Commissione; RIZZO NERVO, per la XII Commissione.

La seduta termina alle 20,50.

TESTI DEGLI INTERVENTI DI CUI È STATA AUTORIZZATA LA PUBBLICAZIONE IN CALCE AL RESOCONTO STENOGRAFICO DELLA SEDUTA ODIERNA: MARTA GRANDE (DOC XVI, N. 3)

MARTA GRANDE, Relatrice per III Commissione. (Relazione – Doc. XVI, n. 3). Signor Presidente, colleghi deputati, recependo in pieno lo spirito della legge di riforma del settore, le Commissioni Affari esteri e Difesa hanno svolto nei giorni scorsi un ampio lavoro di riflessione sui contenuti della Deliberazione del Consiglio dei ministri in merito alla partecipazione dell'Italia a ulteriori missioni internazionali per l'anno 2020 (Doc. XXV, n. 3) e sulla Relazione analitica sulle missioni internazionali in corso e sullo stato degli interventi di cooperazione allo sviluppo a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione, riferita al 2019, adottate ai sensi, rispettivamente, degli articoli 2 e 3 della legge n. 145 del 2016.

Oltre alle posizioni del Governo, esposte nelle comunicazioni rese dai Ministri competenti davanti alle Commissioni riunite Affari esteri e Difesa dei due rami del Parlamento, sono stati acquisiti ulteriori importanti elementi conoscitivi in occasione delle audizioni dal Capo di Stato maggiore della Difesa, del Direttore generale del Ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale per la Cooperazione allo sviluppo e del Comandante del Comando operativo di vertice interforze (COI).

Queste interlocuzioni ci hanno consentito di valutare l'adeguatezza degli interventi, di natura militare e civile elencati nelle deliberazioni governative rispetto agli interessi nazionali, così pure in relazione al sistema di alleanze e al posizionamento del nostro Paese nelle organizzazioni internazionali e rispetto ai partner di riferimento.

Vorrei soffermarmi sui profili più strettamente inerenti agli ambiti di competenza della Commissione Affari esteri e rinvio per ulteriori dettagli al testo della relazione per l'Assemblea approvata dalle Commissioni riunite il 7 luglio scorso; mi preme in particolare evidenziare che la significativa presenza italiana nel quadro delle operazioni internazionali resta profondamente ancorata ai valori e ai princìpi della Carta costituzionale, mantenendo come propri obiettivi precipui la stabilizzazione delle crisi in atto, la gestione ordinata dei processi di transizione, il sostegno ad agende riformiste inclusive.

Al tempo stesso la nostra partecipazione a grandi operazioni multilaterali serve anche a qualificare la nostra postura internazionale a fronte delle nuove minacce che segnano l'emergere di nuove sfide all'ordine globale, con le quali siamo chiamati a confrontarci con realismo e lucidità.

Si tratta, come sappiamo, di un'agenda connotata da una pluralità di fattori critici, a cominciare dall'area del Mediterraneo che, in questi ultimi decenni, ha vissuto e sta vivendo una progressiva estensione della sua profondità geopolitica, andando a ricomprendere tutto il Medio Oriente, il Golfo Persico, i Balcani e l'Africa occidentale.

Va ribadito, in questa sede, che tali missioni e tali interventi concorrono a rafforzare, soprattutto in questo tempo di crisi e d'incertezze, il profilo della nostra identità mediterranea che deve continuare a caratterizzare il nostro modo di stare all'interno delle Nazioni Unite, nell'Alleanza atlantica e nella stessa Unione europea per fare sì che tali organizzazioni continuino a perseguire un impegno comune nella lotta contro il terrorismo e per una condivisione più equa e responsabile delle conseguenze del fenomeno migratorio, come pure di tutte quelle altre sfide (ad esempio tragedie umanitarie e odio settario) che contribuiscono a rendere il Mediterraneo allargato un epicentro del disordine globale.

Di fronte all'enormità di queste sfide – che spesso ha colto in ritardo le grandi organizzazioni multilaterali e sovranazionali - il nostro Paese ha risposto sia sul piano diplomatico che su quello militare, dimostrando una notevole capacità d'intervento in termini di prevenzione di attacchi terroristici, salvataggio di vite umane nelle acque del Mediterraneo, identificazione ed espulsione dal nostro territorio degli estremisti violenti, azioni diplomatiche e iniziative multilaterali.

Sul versante libico, in particolare, il nostro Paese è attivamente impegnato nell'attuazione dei meccanismi di seguito dell'iniziativa di Berlino recepita nella risoluzione (2510/2020) del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite del 12 febbraio scorso, sostenendo l'avvio tre esercizi di dialogo intra-libico previsti dalle Conclusioni di Berlino riguardanti segnatamente il track militare, quello economico e quello politico: occorre ribadire che l'Italia non crede ad una soluzione militare della crisi libica ed è per questo che dobbiamo assicurare un approccio ancora più assertivo, da parte italiana, nell'azione delle Nazioni Unite a favore del dialogo intra-libico.

Voglio sottolineare in questa sede il rilievo strategico che assume, in questa delicata temperie, la prosecuzione del nostro impegno in Libia su richiesta del Governo nazionale libico, volto a fornire assistenza specialistica nell'addestramento e nella condotta delle operazioni di sminamento e bonifica di ordigni disseminati nelle aree urbane di Tripoli, a valere sulle risorse già stanziate.

Nell'ambito dello sforzo profuso dall'Italia sul piano diplomatico per la pacificazione e la stabilizzazione della Libia è di particolare rilievo, inoltre, il processo in atto finalizzato alla revisione del Memorandum d'intesa sottoscritto con le autorità libiche nel 2017, che ha già trovato riscontro in esplicite rassicurazioni da parte libica sul terreno del rispetto dei diritti umani e sulla maggiore presenza delle organizzazioni internazionali in Libia.

In piena coerenza con tali orientamenti, le Commissioni riunite III e IV hanno approvato una proposta emendativa che, proprio con riferimento alla missione bilaterale di assistenza e di supporto in Libia, prefigura una possibile estensione dell'assistenza sanitaria da Misurata ad altre città quali Bengasi, Tripoli e Tobruk, particolarmente richiesta nel momento presente e con una pandemia ancora in atto.

L'azione del nostro Paese è stata altresì diretta a garantire un ruolo più attivo da parte dell'UE nell'area ed ha portato alla decisione del Consiglio Affari esteri dello scorso 17 febbraio di concludere l'Operazione Sophia e vararne una nuova - Irini - nel Mediterraneo a sostegno del processo di Berlino e con l'obiettivo di attuare, tramite assetti aerei, satellitari e marittimi, l'embargo delle Nazioni Unite in Libia, che costituisce una delle nuove operazioni internazionali previste nel 2020 dalla deliberazione governativa.

La nuova operazione dell'UE si collega coerentemente ad un'altra direttrice della nostra azione internazionale: sostenere la politica di sicurezza e difesa europea, per consentire all'Unione europea di incrementare la propria capacità di agire sulla scena internazionale, nel quadro di un approccio integrato alla gestione delle crisi.

Dobbiamo sempre più maturare la consapevolezza che la nostra partecipazione alle missioni civili e militari promosse dall'UE serve a rafforzare l'azione per la sicurezza del nostro Paese, avvalendosi dell'effetto moltiplicatore dato dall'agire in un contesto più ampio di quello puramente bilaterale.

Dall'adozione della Strategia globale nel 2016 l'UE ha indiscutibilmente fatto degli enormi progressi per ritagliarsi un ruolo da protagonista anche nel campo della sicurezza e della difesa, attraverso proposte solide che convergono nella cosiddetta “autonomia strategica” per un'Unione più forte e responsabile.

Autonomia strategica, infatti, significa un'Unione che vuole e che deve essere in grado di agire in modo indipendente, se necessario, e con mezzi propri, aprendo uno spazio nuovo e autonomo di azione, in grado di esprimere una capacità strategica globale in tutti i settori chiave (politico, economico, diplomatico e militare). L'UE sarebbe così in condizione di svolgere un ruolo credibile quale security provider in ambito internazionale.

L'Unione – lungi dal voler essere un elemento solista nel campo della sicurezza e difesa – continua a prestare molta attenzione alla cooperazione in generale e a quella con la NATO in particolare.

In questa prospettiva, è interesse del nostro Paese continuare a sostenere una cooperazione sempre più stretta tra la NATO e l'Unione europea in ambiti come il contrasto alle minacce ibride, la difesa civile e le esercitazioni congiunte al fine di migliorare le best practices e l'interoperabilità.

L'Alleanza atlantica, i cui compiti principali sono la difesa collettiva, la gestione delle crisi e la sicurezza cooperativa, ha dato avvio a un processo di adattamento volto a rafforzare la postura di deterrenza e di difesa per meglio far fronte a minacce convenzionali e non, provenienti da attori statali e non e da tutte le direzioni strategiche.

L'adattamento e il rafforzamento della resilienza e della difesa civile, specie dopo la crisi determinata dalla pandemia da COVID-19, si è confermato un ambito cruciale per salvaguardare la continuità del governo, la protezione delle infrastrutture critiche e l'erogazione di servizi essenziali in caso di emergenze civili, ed è dunque nostro interesse rafforzare le relative capacità dell'Alleanza, laddove esiste un valore aggiunto ed in stretto raccordo con l'Unione europea.

Su impulso italiano, e grazie anche all'intenso lavoro svolto dalla nostra delegazione presso l'Assemblea parlamentare della NATO, l'Alleanza si concentra oggi maggiormente sui pericoli e le criticità del suo versante meridionale, sia in termini di pianificazione militare (utile per assicurare l'adeguata reattività in caso di minacce che promanano da quell'area) che di rafforzamento della cooperazione pratica e del dialogo politico con i Paesi partner della regione MENA.

Va inoltre sottolineato che il contributo del nostro Paese alle missioni NATO in Afghanistan, in Kosovo e in Iraq è considerato nell'ambito dell'Alleanza uno degli aspetti più qualificanti del nostro contributo al cosiddetto burden sharing alleato e risulta particolarmente apprezzato anche dai governi dei paesi in cui operiamo.

La deliberazione al nostro esame conferma lo sforzo posto in atto dal nostro paese nel contrasto a Daesh, attraverso un considerevole contributo alla coalizione internazionale anti-ISIS, sia sotto il profilo militare, sia sul versante dei contributi per la stabilizzazione delle aree liberate.

Sebbene sconfitto militarmente, l'ISIS continua a rappresentare una grave minaccia: in Siria e Iraq, ha dato vita a un network di cellule con l'intento di creare massima instabilità ed eventualmente tornare al controllo territoriale, sfruttando anche la diffusione del COVID-19. Inoltre, l'organizzazione terroristica sta rafforzando la rete di branche e gruppi affiliati sorti in varie aree del globo, rendendoli centrali anche nella propria propaganda. In un simile scenario, occorre senz'altro proseguire nella repressione della rete di Daesh sul terreno.

In Iraq, l'Italia sostiene le attività di training di forze militari e di polizia irachene e curde (oltre 110.000 unità formate a oggi), operazioni di intelligence, ricognizione e soccorso (ISR) ed attività di rifornimento in volo, operando al contempo in favore della stabilizzazione delle aree liberate e sostenendo il fondo dell'UNDP per la ripresa post-bellica di quelle aree, cui si associa il nostro peculiare impegno per la salvaguardia del patrimonio storico e archeologico iracheno.

In tale prospettiva si colloca la nostra partecipazione alla nuova operazione dell'UE denominata European Union Advisory Mission in support of Security Sector Reform in lraq (EUAM Iraq) ed intesa a fornire consulenza e competenze alle autorità irachene a livello strategico per individuare e definire i requisiti necessari all'attuazione coerente degli aspetti inerenti alla dimensione civile della riforma del settore della sicurezza nell'ambito del programma di sicurezza nazionale iracheno e dei piani collegati.

Nonostante l'importante risultato conseguito con l'eliminazione di al-Baghdadi, la guerra civile in Siria, ulteriormente aggravata dalla diffusione del COVID, e la perdurante operatività di cellule di Daesh e di gruppi affiliati ad al-Qaeda continuano a rappresentare le minacce più rilevanti alla pace e alla stabilità dell'intera regione, con riflessi importanti, sul piano migratorio e della sicurezza, sugli stessi Paesi europei.

A ciò si aggiunge l'esigenza di contribuire a una de-escalation delle crisi a livello regionale che hanno il proprio fulcro nel teatro siriano, fra cui le tensioni tra Iran e Israele e le ripercussioni delle operazioni turche nel Nord-Est e nel Nord-Ovest del paese.

In Africa le problematiche di sviluppo s'intrecciano con l'instabilità politica e istituzionale che caratterizza alcuni Paesi che presentano sfide legate alla rapida crescita demografica, ai traffici illeciti e alle minacce alla sicurezza connesse alla minaccia terroristica, agli effetti degli eventi climatici estremi quali siccità e alluvioni, rese ancora più urgenti dalla questione migratoria che mantiene un'importanza prioritaria e trasversale.

Tali fattori determinano nei Paesi in questione una situazione di perdurante emergenza caratterizzata da una mobilità forzata della popolazione dal mancato accesso di parte di essa ai servizi di base, da crisi alimentari ricorrenti e da elevata vulnerabilità nutrizionale, aggravata dall'inadeguatezza dello sviluppo rurale e della carenza di servizi sociali.

Due le aree di crisi principali i cui fronti, malgrado l'impegno finora profuso, si stanno ampliando e rischiano di fondersi in un'unica area: quella saheliana, che man mano si estende sempre più verso l'area del Golfo di Guinea, e quella del Corno d'Africa, dove una molteplicità di attori anche esterni determina una situazione di instabilità che dura da diversi decenni le cui propaggini di fondamentalismo violento si stanno sempre più estendendo verso sud, arrivando a coinvolgere Tanzania e Mozambico.

A tale proposito, giova ricordare, in particolare, la decisione assunta nel corso del Summit NATO di Varsavia del luglio 2016, di costituire un hub per la direzione strategica dell'Alleanza atlantica su Medio Oriente, Nord Africa, Sahel e Africa sub-sahariana, allo scopo di rafforzare la comprensione dell'Alleanza sull'Africa e sul Medio Oriente, fornendo prospettive e analisi e promuovendo lo scambio di informazioni con Paesi e organizzazioni partner, al fine di evidenziare le dinamiche regionali rilevanti per la sicurezza euro-atlantica.

Nella prima delle due aree strategiche, si segnala il nuovo quadro politico, strategico e operativo ribattezzato “Coalizione per il Sahel”, che intende una piattaforma di coordinamento integrata, finalizzata a mobilitare un più efficace sostegno alla stabilizzazione e sicurezza dei Paesi del G5 nei quattro pilastri di assistenza: cooperazione militare, del capacity building securitario, di quello civile e dello sviluppo.

Per l'Italia, che avrà la possibilità di contribuire alla elaborazione dell'indirizzo politico della Coalizione per il Sahel, i nuovi assetti rappresentano un'opportunità per valorizzare in maniera più strutturata il proprio contributo per la stabilizzazione della regione.

Un contributo che potrà aumentare ulteriormente negli anni a venire, tenuto conto della crescente rilevanza strategica del Sahel per la visione italiana di un Mediterraneo allargato; è in tale contesto che sono chiamate a dare un contributo decisivo due nuove iniziative.

Da un lato, la partecipazione di un contingente italiano alla forza multinazionale di contrasto alla minaccia terroristica nel Sahel denominata Task Force TAKUBA; dall'altro, la partecipazione alla missione di sorveglianza e sicurezza navale nel Golfo di Guinea, volta a fronteggiare le esigenze di prevenzione e contrasto della pirateria e delle rapine a mano armata in mare, con l'obiettivo di assicurare la tutela degli interessi strategici nazionali nell'area, con particolare riferimento alle acque prospicienti la Nigeria.

Nell'area del Corno d'Africa l'avvio di una dinamica distensiva tra Etiopia ed Eritrea, gli sviluppi politici interni in Sudan e la recente formazione di un esecutivo di transizione in Sud Sudan stanno aprendo nuovi potenziali scenari di pace. Anche in Somalia, negli ultimi due anni, si stanno evidenziando alcuni progressi nel percorso di stabilizzazione, in particolare nei rapporti con le istituzioni finanziarie istituzionali, nella prospettiva di una ricostruzione economica e produttiva del paese.

Queste prospettive di sviluppo, se opportunamente consolidate e sostenute, potrebbero finalmente condurre ad una svolta positiva per l'intera regione del Corno d'Africa: per questo è indispensabile mantenere il nostro impegno sul piano della sicurezza, confermando il sostegno sul piano della formazione sia bilaterale sia multilaterale nel quadro delle missioni PESD così come la nostra presenza logistica a Gibuti.

Per quanto attiene alla nostra azione nell'ambito delle Nazione Unite, il contributo italiano al mantenimento della pace e della sicurezza internazionale si fonda sulla convinzione del legame indissolubile tra pace e sicurezza, crescita, sviluppo e diritti umani e del carattere multidimensionale delle crisi e dei conflitti, e si traduce in un approccio onnicomprensivo, che considera tutto il ciclo della pace.

Al centro del rafforzamento della coerenza tra umanitario, sviluppo e pace, che costituisce peraltro la ratio della nostra normativa nazionale sulle missioni internazionali, vi è l'obiettivo di ridurre efficacemente le esigenze, i rischi e le vulnerabilità degli individui, sostenendo gli sforzi di prevenzione e quindi il passaggio dalla semplice erogazione di assistenza umanitaria all'eliminazione delle cause profonde che ne sono all'origine. In tal modo si vuole rispettare l'impegno preso collettivamente con l'adozione dell'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile di “non lasciare nessuno indietro”.

Gli stanziamenti richiesti per le iniziative di cooperazione allo sviluppo sono stati suddivisi, come gli anni scorsi, per aree geografiche e includono gli interventi sia di sviluppo sia umanitari che di emergenza, per un totale di 121 milioni di euro, in linea con gli importi previsti lo scorso anno (115 milioni).

Va ricordata, in particolare, l'azione del nostro Paese a favore dell'incremento delle iniziative e delle capacità dell'ONU in aree geografiche di primario interesse per l'Italia (come il Bacino mediterraneo, Libia, Siria, Yemen, Sahel e Corno d'Africa), mediante contribuiti al Fondo fiduciario del Dipartimento per gli affari Politici ed il consolidamento della pace (DPPA), al Peacebuilding Fund e all'Ufficio delle Nazioni Unite per la prevenzione del genocidio e delle altre atrocità di massa.

In tale ottica risulta importante assicurare un maggiore coinvolgimento delle donne e dei giovani nei processi di pace e di riconciliazione e sostenere le iniziative volte ad adeguare il peacekeeping onusiano alle odierne sfide multidimensionali.

Lo stesso approccio multidimensionale ha ispirato anche l'attività dell'Italia in seno all'OSCE, giovandosi della credibilità e del generale sostegno goduto nel triennio di nostre Presidenze (Presidenza del Gruppo OSCE di Contatto Mediterraneo nel 2017, dell'Organizzazione nel 2018, del Gruppo OSCE di Contatto Asiatico nel 2019).

In questo quadro, è proseguita la costante azione condotta dall'Italia volta a favorire la stabilizzazione dell'area dei Balcani occidentali e del Partenariato orientale e che si è concretizzata anche attraverso specifici interventi a sostegno della cooperazione a livello regionale, in particolare a favore della Fondazione permanente Segretariato dell'Iniziativa adriatico-ionica (IAI) e del Fondo dell'Iniziativa centro-europea (InCE) presso la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (BERS), con la prospettiva di favorire il progressivo percorso di integrazione europea dei Paesi non UE che sono membri delle due iniziative.

Per quanto riguarda le nostre iniziative in America latina, la logica che li ispira è quella di contribuire al consolidamento della legalità e della sicurezza, anche attraverso i meccanismi regionali esistenti a tal fine, OSA in primis, allo scopo di rafforzare la stabilità e lo sviluppo equo e sostenibile dei singoli paesi e, più in generale, dell'intera regione, tanto più necessari nella fase di ripresa e recupero economico che farà seguito all'emergenza pandemica in corso.

La regione si confronta con molteplici sfide, prime fra tutta quella delle forti diseguaglianze sociali, del connesso problema della sicurezza e della legalità e della corruzione, che portano ad un'elevata e diffusa sfiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni, sfociata anche i forti contestazioni dall'Ecuador, al Cile alla Colombia, avvenute nell'autunno 2019.

L'emergenza sanitaria del COVID-19, che ha portato la maggior parte delle Autorità latino-americane a chiudere le rispettive frontiere e ristringere severamente i movimenti interni (quarantena nazionale), ha altresì obbligato a rimandare le scadenze elettorali previste (come in Bolivia, Cile, Repubblica dominicana).

Con riferimento agli interventi di cooperazione allo sviluppo a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione per i quali è previsto per il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale uno stanziamento complessivo per l'anno 2020 pari a 121 milioni di euro, di cui 50 milioni per interventi di emergenza e 70 milioni per quelli legati allo sviluppo, per un investimento che sommato alle spese di bilancio arriva a 603 milioni di euro complessivi.

Si tratta di una mobilitazione di risorse che assume una valenza strategica nel sostenere intere comunità: la cooperazione è, infatti, uno strumento essenziale per rafforzare la resilienza delle comunità fragili e per creare le condizioni per l'avvento di società più democratiche e più stabili.

Gli interventi oggetto delle deliberazioni governative sono mirati a sostenere l'azione della cooperazione italiana in tre grandi aree geografiche: Africa, Medio Oriente ed Asia con obiettivi prioritari come la ricostruzione civile in situazioni di conflitto o post-conflitto, il miglioramento delle opportunità lavorative in loco, la sicurezza alimentare, la prevenzione e il contrasto alla violenza sessuale sulle donne e le bambine, lo sminamento umanitario.

È importante continuare ad assicurare continuità ai tanti progetti realizzati dall'Italia, tra cui spicca il network delle Donne mediatrici del Mediterraneo; nell'opportuno sforzo di approfondimento sulle best practices maturate a livello internazionale nella risoluzione dei conflitti e nella prevenzione delle crisi, posto in essere anche dalle Nazioni Unite.

Vorrei concludere evidenziando come le nuove missioni e gli impegni operativi da avviare nel corso di quest'anno siano pienamente coerenti con quelle esigenze di natura strategica che più volte le Commissioni parlamentari competenti hanno fatto proprie e sulle quali, nel recente passato come in altre stagioni della nostra politica estera, si è sempre realizzata un'ampia quanto emblematica convergenza di forze di maggioranza e di opposizione, che confido possa rinnovarsi anche in questa fase.

Penso ad esempio alla necessità di riservare attenzione crescente all'area del Mediterraneo allargato, in particolare in relazione ai tentativi di stabilizzazione della Libia e dell'Iraq, alla necessità di contribuire all'adattamento della NATO alle sfide e alle minacce provenienti dal fianco sud dell'Alleanza, ma anche al contrasto alla minaccia terroristica nella regione del Sahel, alla necessità di fronteggiare in modo più consapevole e condiviso i fenomeni migratori.

Questa coerenza si riflette anche nell'assetto complessivo delle iniziative di cooperazione allo sviluppo che sono previsti a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione, che conferma significativamente talune priorità geografiche dell'azione italiana - soprattutto sull'area del Mediterraneo e sull'Africa – unitamente ad una tipologia d'interventi finalizzati a rafforzare la sicurezza e la stabilità e a sostenere i Paesi maggiormente impegnati nella lotta al terrorismo e al contrasto dei traffici illegali e delle migrazioni irregolari.

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3 Nominale Ris. Molinari e a. n. 6-115 516 513 3 257 228 285 50 Resp.

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