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Resoconto dell'Assemblea

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XVIII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 337 di lunedì 11 maggio 2020

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE FABIO RAMPELLI

La seduta comincia alle 12,05.

PRESIDENTE. La seduta è aperta.

Invito la deputata segretaria a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

FEDERICA DAGA, Segretaria, legge il processo verbale della seduta del 7 maggio 2020.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Amitrano, Ascani, Azzolina, Benvenuto, Boccia, Bonafede, Boschi, Brescia, Buffagni, Businarolo, Castelli, Cirielli, Colletti, Colucci, Davide Crippa, D'Incà, D'Uva, Dadone, De Micheli, Delrio, Di Stefano, Fantuz, Ferraresi, Gregorio Fontana, Fraccaro, Franceschini, Frusone, Gelmini, Giaccone, Giachetti, Giorgis, Grande, Grimoldi, Gualtieri, Guerini, Invernizzi, L'Abbate, Liuni, Liuzzi, Lollobrigida, Lorefice, Losacco, Maggioni, Mauri, Molinari, Morani, Morassut, Morelli, Orrico, Parolo, Rizzo, Ruocco, Carlo Sibilia, Sisto, Spadafora, Speranza, Tofalo, Tomasi, Traversi, Villarosa e Raffaele Volpi sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.

I deputati in missione sono complessivamente sessantaquattro, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna).

Modifica nella composizione di un gruppo parlamentare.

PRESIDENTE. Comunico che il deputato Sergio Torromino, proclamato il 7 maggio 2020, ha dichiarato con lettera pervenuta in data 8 maggio 2020, di aderire al gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente.

Discussione della mozione Molinari, Gelmini, Lollobrigida e Lupi n. 1-00346 concernente iniziative volte al superamento delle limitazioni delle libertà costituzionalmente garantite e delle criticità normative emerse in relazione alla gestione dell'emergenza da COVID-19.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Molinari, Gelmini, Lollobrigida e Lupi n. 1-00346, concernente iniziative volte al superamento delle limitazioni delle libertà costituzionalmente garantite e delle criticità normative emerse in relazione alla gestione dell'emergenza da COVID-19 (Vedi l'allegato A).

La ripartizione dei tempi riservati alla discussione è pubblicata nell'allegato A al resoconto della seduta del 29 aprile 2020 (Vedi l'Allegato A al resoconto della seduta del 29 aprile 2020).

Avverto che è stata altresì presentata la mozione Davide Crippa, Delrio, Boschi, Fornaro e altri n. 1-00348 (Vedi l'allegato A), che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verrà svolta congiuntamente. Il relativo testo è in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.

E' iscritto a parlare il deputato Basini, che illustrerà anche la mozione Molinari, Gelmini, Lollobrigida e Lupi n. 1-00346, che ha sottoscritto in data odierna. Ne ha facoltà.

GIUSEPPE BASINI (LEGA). Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, io credo che sia capitato a molti, parlando in quest'Aula di provare un senso di inutilità. Non mi riferisco alle presenze che dipendono dalle fluttuazioni, dagli orari, dalla calendarizzazione; mi riferisco al fatto che spesso, molto spesso, quasi sempre, la funzione essenziale del Parlamento viene in un certo senso non onorata perché poi i parlamentari votano sempre o quasi sempre secondo le indicazioni dei gruppi. Questo è vero un po' in tutte le democrazie parlamentari, unica eccezione il Parlamento americano che, essendo quella una repubblica presidenziale - quindi non rischiando il parlamentare di far cadere il proprio Governo, anche se in coscienza è contrario a una legge - è il Parlamento probabilmente più libero del mondo. Tuttavia, questa sensazione di inutilità è sbagliata, perché se è vero, come è vero, che in realtà ci si ascolta, ma poi la votazione è sempre predeterminata, questo però ha degli effetti nel prosieguo, nel senso che, se uno illustra certe posizioni in maniera convincente, non in quell'occasione ma in occasioni successive, può darsi che il parlamentare della parte avversa - o delle parti avverse, in un mondo politico multipolare come il nostro - ne tenga poi conto, magari per posizionarsi su una posizione più difendibile, oppure perché i fatti lo obbligano a quella scelta, oppure magari perfino perché il suo convincimento muta. Quindi, è importante - credo - spiegare esattamente perché le forze di opposizione, tutte e quattro, la Lega che io rappresento, Fratelli d'Italia, Forza Italia e i cattolici-democratici con Lupi, hanno presentato questa mozione. Ne parlerò prima sul merito e poi sul metodo.

Ci sono stati diversi errori nella gestione di questa crisi data dalla pandemia: errori di impreparazione e burocratizzazione che hanno ritardato gli approvvigionamenti (ma questo ci sta, perché è una cosa nuova); errori abbastanza gravi nell'insufficiente armonizzazione tra i criteri per il conteggio dei deceduti nei vari Paesi dell'Unione europea, almeno nell'Unione europea, per cui poi è molto difficile comparare la situazione dei vari Paesi; errori nell'eccessiva - a mio modo di vedere - penalizzazione dei luoghi aperti, perché i virus si trasmettono più facilmente in quelli chiusi, quindi avere penalizzato in maniera così totale i luoghi aperti non sembra una cosa di grande…; errori nel volere delle risposte immediate dagli scienziati, dai ricercatori, dai medici, perché la scienza arriva alle conclusioni, ma ci arriva dopo una serie di ipotesi che vengono testate e vagliate. Il fatto di chiedere subito delle risposte per una cosa nuova era sbagliato intrinsecamente. Non solo, ma ha dato l'impressione che la scienza non fosse in grado di gestire il fenomeno: la scienza lo sarà, ma ha i suoi tempi, ma l'errore più grave è stato un altro. Una pandemia si caratterizza essenzialmente per quattro parametri: la sua diffusione, la sua contagiosità, la sua morbilità e la sua mortalità; se noi non conosciamo la sua diffusione, neanche con una stima approssimata ma di una certa validità, non siamo in grado di calcolare esattamente gli altri tre parametri. Il fatto che si sia rifiutato di eseguire non dico uno screening di massa, probabilmente impossibile da fare su tutta la popolazione, per i costi, per gli approvvigionamenti, ma uno screening a campionatura per avere una stima dei contagiati sani, cioè non presentanti sintomi, fa sì che tutto quello che è stato deciso poi sia stato deciso su informazioni e dati non sufficientemente attendibili, assolutamente non sufficientemente attendibili. Noi non sappiamo un sacco di cose: non sappiamo se l'immunità raggiunta ha una lunga durata; non sappiamo se siamo vicini o lontani da un'immunità di comunità; non sappiamo se il virus si sta modificando; non sappiamo un sacco di cose. Le sapremo, ma non lo sappiamo ora.

Sulla base di queste insufficienti notizie della reale natura di questa pandemia, sono state prese delle misure che variano molto da Paese a Paese, dall'Italia alla Svezia, passando per varie gradazioni e che variano anche da Paesi democratici e Paesi non democratici.

Tuttavia, l'Italia si è mossa, tra i primi, tra i primissimi, sulla via della chiusura totale, molto più di quanto non abbiano fatto altri Paesi. Ci sono Paesi che hanno seguito più o meno quello che ha fatto l'Italia, tipo la Spagna, ma altri che l'hanno fatto molto parzialmente, come la Germania, vediamo le foto dei berlinesi sui parchi tedeschi abbastanza distanti l'uno dall'altro, ma senza nessun problema. Altri Paesi hanno seguito altre strade ancora; per esempio, l'America, Paese federale, si è mosso un po' a macchia di leopardo.

Quello che voglio dire, però, è che tutti questi errori, questi differenti trattamenti che i vari Paesi hanno riservato al Coronavirus hanno in comune una cosa: che, dopo circa tre mesi, tutti stanno cominciando a ripartire, indipendentemente dai metodi utilizzati nella lotta alla pandemia, il che, perdonatemi, ma introduce un grosso elemento di relatività nel decidere cosa fare e, quindi, anche nel valutare che cosa si è fatto. Ora, da noi, pur in mancanza di questi dati di fatto realmente attendibili, c'è stato un effetto di feedback di panico tra Governo e popolazione e viceversa; il Governo ha indotto del panico nella popolazione, la popolazione ha indotto del panico nel Governo che si è sentito in dovere di fare, comunque, qualcosa per far vedere che faceva qualcosa; non solo, ma si è deciso di privilegiare, mancando dati precisi, il principio di precauzione in forma estrema, principio di precauzione che è stato falsato, a mio modo di vedere, da due fattori: il primo, che non si è tenuto conto, nell'applicare il principio di precauzione, di considerare anche gli effetti sulle vite umane, intendo dire sulla morte delle persone, che potrebbero essere indotti da una crisi economica che assumesse le caratteristiche di una vera e propria catastrofe, questo non è stato valutato per niente; non solo, ma è stato preso in esame un solo valore: la salute fisica, non anche i valori, altrettanto, per me, importanti, di democrazia e di libertà. Sulla base di questa visione, di questa applicazione distorta del principio di precauzione, è derivata tutta una serie di errori e, in certi casi, secondo me, anche di vulnus, perché, anzitutto, vi è stato un reale tradimento della Costituzione, tradimento della Costituzione perché si sono cambiati articoli fondamentali sui principi di base della nostra Costituzione con semplici provvedimenti amministrativi, con ciò stesso negando, primo, la gerarchia di efficacia delle leggi – la prima di queste è la Costituzione -, secondo, negando dei principi basilari del nostro ordinamento democratico, terzo, facendolo in maniera illegale e illegittima, perché non si può, davvero, non si può fare ciò con un regolamento, perché i DPCM, i famosi decreti della Presidenza del Consiglio dei ministri sono provvedimenti amministrativi senza reale forza di legge. Ora, sovvertire i principi dell'ordinamento costituzionale in questa maniera, oltre che illegittimo è anche illegale, a mio modo di vedere, e questo è un vulnus grave, soprattutto perché minaccia di costituire un precedente per il futuro.

Qualcuno si ricorda le polemiche che ci furono per una frase del senatore Matteo Salvini sui pieni poteri che nel contesto in cui fu pronunciata voleva solo dire che era impossibile governare insieme a un partito che aveva una visione opposta su tutti i temi dello sviluppo economico? Lui intendeva dire che ci vuole un Governo omogeneo per fare una politica omogenea.

Noi, oggi, abbiamo visto, invece, prenderli davvero questi pieni poteri, prenderli sul serio e non sulla base anche di un decreto-legge, data l'urgenza, ma da convertire da parte del Parlamento e da controfirmare da parte del Presidente della Repubblica. Questo vulnus molto grave minaccia di restare, non solo, come una macchia sull'attività di questo Governo e di questo periodo, ma anche e soprattutto come un pericoloso precedente per il futuro. Insomma, sulla base di una visione unilaterale, abbiamo preso dei provvedimenti, a mio modo di vedere e illustrati nella nostra mozione firmata dai capigruppo delle quattro forze principali dell'opposizione, la Lega, che io qui rappresento, Fratelli d'Italia, Forza Italia e i cattolici democratici centristi di Lupi. Accanto a questo, che è di gran lunga il vulnus maggiore che questo Governo ha perpetrato ai nostri principi di ordinamento libero e democratico, ci sono stati anche degli atteggiamenti mentali che credo vadano criticati duramente; il primo, è quell'insistito, ripetuto richiamo all'esigenza di obbedire alle regole. La estrema ripetitività di questo concetto fa pensare che si voglia introdurre, in questo obbedire alle regole, una sorta di automatismo. Cosa intendo dire? C'è un film delizioso della Germania degli anni Venti, cioè della Repubblica di Weimar, quello che è stato forse l'unico momento di Scapigliatura della storia tedesca del Novecento, in cui si narra di un ufficiale postale che, ricevuto un grave torto, dà di matto, si mette la sua più bella uniforme di gala della Germania guglielmina - e, qui, siamo ancora nella Germania post guglielmina, tutti i funzionari avevano un'uniforme -, si piazza al centro di Berlino e un po' per il cipiglio dato dalla sua lucida follia, un po' per la ricchezza di questa uniforme, comincia a dare ordine a tutti; la gente abituata ad ubbidire, vedendo quello che sembra il simbolo di un'autorità, obbedisce, e il film fa vedere come lui faccia marciare tutti i berlinesi avanti e indietro, inquadrati, per le vie della città, fino a farne una cosa totale per tutti. Era una satira dell'abitudine instillata nel Reich tedesco all'obbedienza sempre e comunque.

È una cosa pericolosa abituarsi all'ubbidienza, sempre e comunque; è chiaro che è molto bene passare solamente quando c'è il verde, ma non dobbiamo abituarci a guardare solo se è verde, dobbiamo anche abituarci a vedere se c'è una bambina che passa, anche se per lei era rosso. Questa capacità della gente di valutare e decidere di conseguenza è un valore che in Italia c'è sempre stato e che va mantenuto. Vedete, il diritto positivo non è la soluzione unica del problema, perché nel diritto positivo basta che una legge sia emanata da un'autorità legittima e che faccia parte omogenea con un sistema, con un corpo di leggi, per essere valida sempre e comunque. Non è così; secondo me, il richiamo al giusnaturalismo, al diritto naturale, ai diritti inalienabili della persona che preesistono a qualunque codificazione legislativa sono fondamentali a qualunque legislazione…

PRESIDENTE. Concluda.

GIUSEPPE BASINI (LEGA). E devono sempre essere mantenuti. Pensateci un attimo, se non ci fosse stato un richiamo al diritto naturale, al giusnaturalismo, se l'obbedienza cieca, assoluta, fosse il primo valore, il processo di Norimberga non avrebbe mai potuto essere celebrato.

Altro errore culturale…

PRESIDENTE. Deve concludere, deputato Basini, ha esaurito il suo tempo da un po'.

GIUSEPPE BASINI (LEGA). Credevo di avere ancora tempo. Riprendo da dove avevo cominciato e concludo. Non sto parlando unicamente a coloro che per me, liberale, considero, non dico più vicini, ma almeno meno lontani dalla mia concezione, cioè i cattolici democratici che sono nel PD, i socialisti, i radicali italiani o Italia Viva. No! Io parlo a tutta la maggioranza.

PRESIDENTE. Concluda.

GIUSEPPE BASINI (LEGA). Dovete tenere presente i valori di libertà e democrazia per il futuro. Ma se non lo farete, la Lega, che è partito di popolo e per il popolo, ha le risorse morali e intellettuali per opporsi. Siamo gente anche capace di rischiare e soffrire per un modello di libertà (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Francesco Forciniti, che illustrerà la mozione Davide Crippa, Delrio, Boschi, Fornaro ed altri n. 1-00348, di cui è cofirmatario.

FRANCESCO FORCINITI (M5S). Grazie, Presidente. Trovo estremamente positivo il fatto che il Parlamento abbia deciso di affrontare questo tema e, quindi, di avviare una riflessione sulla gestione di questa emergenza, dovuta alla diffusione del COVID-19 sul territorio nazionale e fra la popolazione nazionale, dal punto di vista dei meccanismi istituzionali.

È la prima volta, ovviamente; è una grande prima volta per ciascuno di noi. È la prima volta per l'Italia, è la prima volta per le istituzioni repubblicane, tutte, che ci si trova a dover fronteggiare una pandemia così pericolosa è così insidiosa, a dover avere a che fare con un nemico invisibile, così subdolo, sul quale conosciamo poco e su cui conoscevamo ancora meno circa due mesi e mezzo fa, nel momento in cui tutto questo è cominciato, quando i primi casi hanno cominciato a registrarsi anche in Italia. Dunque, credo che sia normale che nell'Assemblea legislativa, che ovviamente è il fulcro di quella meravigliosa architettura istituzionale che i nostri padri e le nostre madri costituenti disegnarono circa settant'anni fa, ci si debba interrogare, non solo su cosa fare nel merito, per essere più efficaci e contrastare, quindi, nella maniera migliore possibile, la curva epidemiologica, ma anche su come farlo dal punto di vista degli strumenti normativi, quindi come veicolare quei contenuti di merito, che vengono di volta in volta decisi.

Io non trovo che sia una discussione secondaria, non trovo che sia un tema “di nicchia”. Noi dobbiamo avere la consapevolezza, comunque - anche se probabilmente è difficile quando si è dentro un grande percorso di cambiamento averne piena contezza -, che tutto quello che noi oggi stiamo facendo e tutto quello che stiamo vivendo in queste settimane convulse passerà alla storia; ne parleranno sicuramente diffusamente e compiutamente, in un futuro che noi ora non siamo in grado magari di immaginare. Comunque, tutto quello che noi stiamo vivendo oggi fa parte della storia e resterà nella storia e sarà oggetto anche di studio e di analisi. Ci saranno persone, fra tanti anni, che proveranno anche a capire perché le istituzioni si sono mosse in un certo modo, quali sono stati i provvedimenti presi, cosa effettivamente ha mosso anche le forze politiche, il Governo e le varie istituzioni ad agire in un certo modo.

In un'ottica del genere, quindi, credo che noi tutti dobbiamo essere responsabili, ciascuno di noi, di far parte di questa storia e, quindi, di avere un ruolo importante da svolgere e da ricoprire. Tutte le tracce che noi riusciremo a lasciare in questo periodo, anche dal punto di vista degli atti parlamentari, un giorno potranno avere un rilievo ancora più importante. E sarà fondamentale farlo, proprio per evitare che si possa pensare, come qualcuno ha lasciato intendere addirittura evocando il Reich, che in questo momento si voglia approfittare di una pandemia, che ha fin qui ucciso 30 mila persone, addirittura per instaurare una dittatura e per sospendere lo Stato di diritto in questo Paese.

Allora, per me questa è una discussione dal valore molto alto. È molto importante affrontarla con la giusta pacatezza, con la giusta serenità e con la giusta razionalità, secondo me, anche andando oltre quelli che sono gli schemi della classica contrapposizione fra forze politiche e fra maggioranza e opposizione, perché qui siamo tutti parlamentari e abbiamo tutti - ripeto - la responsabilità di provare a traghettare umilmente questo Paese verso lidi migliori e più sicuri.

Per fare questo, innanzitutto, io credo che sia importante e comunque, intanto, sgomberare il campo da un primo equivoco, da una prima serie, ridda, di tesi, di ipotesi e di illazioni, che sono state diffuse in questi giorni e in queste settimane, che, secondo me - ripeto -, hanno solo l'unico risultato di inquinare il terreno di una discussione, che invece dovrebbe essere fatta e che viene oggi fatta.

Questo, già di per sé, dimostra che il Parlamento rimane centrale, perché siamo noi a decidere se e come impegnare il Governo. Siamo noi a decidere quali strumenti normativi individuare alla fine, anche eventualmente per dare un indirizzo alle autorità competenti. È importante farlo, togliendo dal campo ogni sorta di pregiudizio o di contrapposizione a prescindere, per appartenenza magari politica. Lo dico anche, per carità, alle forze di maggioranza. Non è necessariamente solo un messaggio che rivolgo alle forze di opposizione.

La prima cosa, appunto, da smentire è che ci sia in questo momento una sospensione dello Stato di diritto. È da smentire che sia stata violata la Costituzione. È da smentire che siamo in una sorta di dittatura che sta per instaurarsi. È da smentire tutto questo. È da smentire che sia stato esautorato il Parlamento, per il solo fatto che - ripeto - il Presidente Conte, che ha adottato questi famigerati DPCM, che tanto hanno fatto discutere, non l'ha fatto perché ha deciso di svegliarsi una mattina e ha deciso che gli piaceva, quindi, così rovesciare tutta la gerarchia delle fonti e fare degli atti a tutela della salute pubblica.

Lo ha fatto, intanto, perché c'è un diritto e un bene superiore da difendere, che è quello alla salute. Quindi, è stato agire sul solco di quello che dispone l'articolo 32 della Costituzione, che individua il diritto alla salute, non solo come un diritto soggettivo dell'individuo, ma anche come un interesse di tutta la collettività. Quindi, se ci si è mossi in un certo modo - del resto misure restrittive, di livello più o meno alto, sono state introdotte un po' in tutti i Paesi del mondo; questa è una pandemia, quindi, non ha risparmiato nessuno - è stato fatto perché in quel momento - e questo poi è anche nei fatti - c'era bisogno anche di avere una certa reattività, una certa velocità, una certa elasticità, da parte delle istituzioni, nel fronteggiare una curva epidemiologica che saliva vorticosamente, che aveva cominciato a crescere da un giorno all'altro, con il rischio serio di portare al collasso le nostre terapie intensive.

Quindi, è stato fatto, quello che è stato fatto, non per un capriccio, ma per tutelare il diritto alla salute di tutti i cittadini. Questo dal punto di vista del merito e del perché alcune cose sono state fatte. Poi, c'è anche da dire, però, che non si può pensare così di raccontare facilmente che si è trattato solo di atti amministrativi, senza una copertura di fonti di diritto primario, perché non è così, perché tutti noi, tutti, comprese anche le forze di opposizione, abbiamo dato mandato al Premier e alle autorità competenti tutte, di prendere tutti i provvedimenti necessari.

Io voglio leggere quello che c'è scritto nella legge di conversione n. 13 del 2020, che tutti abbiamo votato, che tutte le forze politiche hanno convintamente approvato. Noi abbiamo scritto che le autorità competenti “sono tenute” - quindi, non è che possono, se vogliono: “sono tenute” - ad adottare ogni misura di contenimento, adeguata all'evolversi della situazione epidemiologica. Quindi, noi abbiamo vincolato, abbiamo “costretto” il Premier Conte a fare i DPCM, perché gli abbiamo detto: noi ti diamo una cornice normativa, anche perché è un momento difficile. Voi ve lo ricordate quello che stavamo passando tutti quanti due mesi fa? Non sapevamo nemmeno se avremmo potuto riunirci in sicurezza, se potevamo fare degli assembramenti, se potevamo comunque riunirci quotidianamente. Ve lo ricordate quello che stavamo vivendo solo due mesi fa? E, dunque, tutti abbiamo convenuto, all'epoca, che l'unica soluzione razionalmente logica da adottare fosse quella di disegnare una cornice normativa, per circoscrivere, tra virgolette, e anche un po' individuare il tipo di misure che le autorità competenti potevano prendere, dando poi però l'obbligo, l'adempimento, il mandato, al potere esecutivo e a tutte le autorità competenti, di riempire quella cornice di contenuti.

Questa è una scelta politica che tutti abbiamo fatto in questa sede. Mi dispiace che poi qualcuno, dopo qualche giorno, abbia cominciato - ripeto - a parlare di sospensione dello Stato di diritto, di violazione della Costituzione e di esautoramento del Parlamento, quando questo Parlamento, legittimamente, ha convenuto che l'unica soluzione possibile in quel momento fosse questa e non ce ne fossero altre, per garantire, appunto, alle istituzioni la possibilità di dare delle risposte serie, delle risposte efficaci e soprattutto delle risposte in grado di essere modulate nel tempo, in ragione - io lo ricordo - di una curva epidemiologica che curvava, non di ora in ora, ma di minuto in minuto. Quindi bisognava anche lasciare alle istituzioni quella necessaria anche possibilità, quel margine di elasticità, tale da poter prendere provvedimenti immediati, anche dall'oggi al domani, anche da un'ora all'altra, perché – ripeto - c'erano persone che morivano a mille al giorno, al ritmo di mille al giorno.

C'erano le terapie intensive che rischiavano di collassare e, quindi, bisognava fare qualcosa, non perché bisognava instillare nei cittadini un sentimento di cieca obbedienza e quasi una paura verso l'autorità, ma perché abbiamo rischiato veramente tanto; abbiamo rischiato grosso in questo Paese e, se adesso la curva dei contagi sta crollando vorticosamente - io mi auguro che il trend sia questo – forse è anche perché quelle misure sono state prese in tempo, benché probabilmente i detrattori di questo Governo del Premier Conte non ne daranno mai atto a chi si è assunto la responsabilità di fare determinate cose. Eppure, noi oggi possiamo tracciare un bilancio, e benché vi sia stato un tributo di vite umane pagato molto, molto elevato - io, in questa sede, voglio rivolgere un saluto e anche un pensiero sentito a tutte le persone che hanno perso dei cari a causa del COVID - noi dobbiamo anche dire con oggettività che, se non si fossero adottate determinate misure con l'elasticità, con la reattività e la responsabilità con cui tutto ciò è stato fatto, a volte anche prendendo scelte impopolari, probabilmente avremmo pagato un tributo di vite molto maggiore, molto più grave, e oggi staremmo piangendo molti più morti. Quindi, questo è il primo equivoco da sgomberare dal campo. Tutto quello che è stato fatto è perfettamente legale, è perfettamente legittimo e tutti si sono mossi, tutte le istituzioni si sono mosse nell'alveo del dettato della Carta costituzionale. Su questo non ci deve essere alcun dubbio - lasciamolo agli atti questo per favore - perché, ripeto, proprio nell'ottica di non creare precedenti di cui il collega che mi ha preceduto parlava, dobbiamo essere chiari e onesti nell'analisi e dobbiamo, secondo me, anche evitare non dico di strumentalizzare ma comunque di dare interpretazioni forse un po' troppo parziali rispetto a ciò che è accaduto in questi due mesi, che ci ha impegnato tutti, ci ha emozionato tutti e che dobbiamo comunque sempre ricordare. Ciò perché noi abbiamo una responsabilità che va oltre l'appartenenza ad un partito o un movimento o anche un'istituzione, perché, prima di tutto, siamo cittadini di questo Paese e dobbiamo sempre essere all'altezza di questa grande sfida a cui purtroppo il destino ci ha messi di fronte. Detto questo, poi c'è tutto un altro discorso perché ovviamente nella “fase 1” le istituzioni si sono mosse in un certo modo; lo stesso Parlamento ha deciso di adottare una certa strategia, approvando quel decreto-legge e poi dando al Premier la possibilità di muoversi in maniera elastica; ora però siamo nella “fase 2”, questo è fuori di ogni discussione, il Parlamento deve ritrovarsi, deve interrogarsi, deve discuterne e deve cercare di capire se la “fase 2” può essere affrontata con strumenti magari anche un pochino meno elastici, che possano lasciare nuovamente spazio ad una fisiologia naturale fra i vari poteri dello Stato, quindi fra legislativo ed esecutivo, ed è questo anche l'obiettivo della mozione che le forze di maggioranza hanno presentato tramite i capigruppo che l'hanno firmata; si vuole agire con la prudenza necessaria, tipica di chi non ha dimenticato il dramma che ha vissuto solo due mesi fa, quindi lasciando, da una parte, una finestra aperta per adottare provvedimenti che eventualmente dovessero rendersi necessari, snelli ed elastici, che abbiano quindi la forma di un DPCM, ma, dall'altra, in ogni circostanza in cui tutto questo non sia strettamente necessario, che si possa, come dire, instaurare una dialettica normale anche in Parlamento, che si torni diciamo ad una fisiologia del rapporto fra poteri dello Stato, quindi fra Parlamento e Governo, che si adottino strumenti, atti aventi direttamente forma di legge, con il Parlamento, quindi, che non si limita solo a creare una cornice e a lasciare che altri la riempiono, ma con l'ambizione appunto tipica di chi fa politica - che è quella di avere programmazione, di avere visione, anche di prendere delle scelte - con la possibilità quindi che il Parlamento contribuisca anche a riempirla quella cornice, non solo a crearla. Questo credo - lo ripeto - penso sia un sentimento condiviso o condivisibile, che non può che trovare tutte le forze politiche trasversalmente d'accordo. Abbiamo adottato delle scelte importanti due mesi fa, adesso probabilmente è ora anche di riavvicinarci a una graduale normalità, fermo restando che bisogna tenere sempre alta la guardia; vi sarà un calendario delle riaperture, che dovrà essere varato, e ci servirà quindi il contributo di tutte le forze politiche. Bisognerà intanto continuare sulla strada della leale collaborazione fra poteri dello Stato, che fin qui non mi sembra che sia mancata; il Parlamento, quindi, che è sempre stato centrale nella determinazione dei principi generali, adesso, che abbiamo magari un margine in più, visto che non siamo più con l'acqua alla gola, può tornare anche a svolgere un ruolo più pregnante.

La stessa Camera dei deputati, io lo ricordo ovviamente all'inizio è stata travolta da questo dramma del Coronavirus, ha dovuto approntare in fretta e furia delle misure emergenziali per poter permettere ai deputati di riunirsi in sicurezza. Adesso abbiamo predisposto degli strumenti che ci permettono di evitare assembramenti, si può votare anche dalle tribune, una parte di noi può accomodarsi nelle tribune e partecipare al dibattito, un'altra parte si accomoderà nel Transatlantico e, nel frattempo, le Commissioni hanno avuto l'autorizzazione anche a lavorare in remoto, seppur solo per le audizioni informali. Dunque, vi sono tutti i presupposti affinché il Parlamento possa ricominciare a riprendersi un ruolo più centrale, che, comunque, non ha mai rinunciato ad occupare. In questa direzione, credo si debbano muovere le istituzioni e in questa direzione si muove la mozione di maggioranza; da una parte, riconoscere, anzi impegnare le autorità competenti, ivi compreso il Premier, ad adottare tutti quei provvedimenti, anche amministrativi, che dovessero rendersi necessari, qualora - nessuno se lo augura - gli eventi precipitassero nuovamente (dobbiamo comunque tenerci pronti); dall'altra, impegnare il Governo a privilegiare lo strumento del decreto-legge, qualora questo non comporti problemi e difficoltà derivanti magari da una risposta non congrua nei tempi e nei modi in cui comunque la risposta deve essere data, in relazione all'evoluzione della curva epidemiologica. Questo è quello che noi chiediamo con questa mozione: il tutto deve sempre continuare a svolgersi in base al principio cardine, che è quello che ci indica l'articolo 32 della Costituzione, quindi la tutela della salute dei cittadini deve continuare a svolgersi nel segno della leale collaborazione istituzionale non solo fra i vari poteri dello Stato, qui voglio anche fare una piccola parentesi, ma anche fra Stato e regioni. Ciò perché non è possibile immaginare che, in un momento in cui c'è bisogno di pianificazione, c'è bisogno di programmazione, c'è bisogno di prudenza, vi siano dei passi in avanti, che, per quanto mi riguarda, sono veramente inaccettabili, da parte di enti regionali, come quello della regione Calabria, che emanano delle ordinanze totalmente prive di ogni logica senza una previa e approfondita istruttoria, senza alcuna indicazione scientifica, senza avere il minimo dato a corroborare questa tesi; così una sera, alle 22, si decide che la mattina dopo, alle 8, possono riaprire bar e ristoranti. è chiaro che questo non è un atteggiamento costruttivo che può guidare le istituzioni nel contrastare un fenomeno molto grave e molto serio, che ha bisogno di risposte condivise, di un'unità di intenti che non deve mai venire meno fra le regioni; ed è un bene - per quanto a me comunque dispiace che si sia stati costretti ad arrivare a tanto -, che il TAR della Calabria abbia annullato quell'ordinanza e che, in parallelo, adesso si stia portando avanti un lavoro tecnico serio, rigoroso su cosa, come e quanto riaprire di volta in volta. è un lavoro che, in questo momento, sta impegnando le istituzioni, il Governo, sta impegnando anche il comitato tecnico-scientifico, ma che presto impegnerà anche noi parlamentari, che avremo giustamente sempre l'ultima parola e saremo sempre al centro di tutto, come è giusto che sia in una Repubblica parlamentare. Pertanto, io faccio anche un ultimo inciso su quello che è stato il modo di rispondere delle varie ramificazioni regionali che gestiscono le varie sanità pubbliche in questo paese. Su tale aspetto vi sarà una profonda riflessione da fare perché io non sono un amante delle clausole di supremazia, perché, laddove c'è genericità e indefinitezza, si rischia poi sempre di prestare il fianco ad abusi o distorsioni, però è chiaro che questa pandemia e il modo in cui alcune regioni sono state capaci di rispondere in maniera più efficiente ed adeguata mentre altre no, ci dimostra che, probabilmente, un bene delicato come quello della salute deve essere, anche nella gestione, comunque sempre garantito e tutelato dallo Stato centrale e questa è una riflessione che credo, in tempo di pace, ci dovrà necessariamente e doverosamente impegnare: tutti dovremmo riflettere sulla gestione della sanità e il modo in cui si può e si deve garantire il diritto alla salute dei cittadini anche dal punto di vista dell'organizzazione sui territori del servizio sanitario. Tutto questo ovviamente lo faremo in tempo di pace ma, intanto, continuiamo questo lavoro enorme che stiamo facendo, tutti quanti, per cercare di guadare il paese, di trovare le migliori soluzioni affinché questo Coronavirus possa diventare presto un lontano ricordo.

L'auspicio che io faccio è che la curva dei contagi ovviamente possa continuare ad avere un trend sempre in discesa, che ci permetta di guardare al futuro con più ottimismo, che ci permetta anche di cominciare, ripeto, a immaginare una ripresa economica che sia sicura; lo ripeto, le due cose non sono non sono scollegate perché se non ci sono le condizioni di sicurezza in questo Paese, non ci sarà mai una vera ripresa economica; perché se dovesse poi rialzarsi la curva dei contagi, se dovessero rendersi necessarie delle altre chiusure, poi il danno economico sarebbe di gran lunga maggiore nel medio-lungo periodo. Quindi, c'è tutto l'interesse a fare le cose con la giusta prudenza, a ripartire, ma a ripartire con la giusta prudenza. Dal 18 maggio, ripeto, c'è l'idea di iniziare con un calendario delle riaperture, ma la cosa che deve essere chiara è che nessuno qui ha fatto le cose con un capriccio. Le istituzioni si sono mosse - considerando ovviamente il contesto, le difficoltà, le emergenze e la scarsa conoscenza che si aveva, e che probabilmente si ha tuttora di questo virus - nella maniera migliore possibile, per quanto mi riguarda; e l'invito che io faccio al Governo è ad andare avanti nel suo lavoro, immane, che sta facendo. L'invito, invece, che faccio al Parlamento è quello, a sua volta, di fare responsabilmente la sua parte, lasciando qualche volta di lato quelli che sono magari gli interessi di partito o di movimento, a seconda delle circostanze e si pensi tutti a svolgere il proprio ruolo con responsabilità, con rigore e con rispetto dei cittadini che da fuori ci guardano, che attendono risposte e che e che si aspettano da noi collaborazione, si aspettano da noi serietà, si aspettano da noi la capacità anche di guardare oltre quelli che sono magari i miseri spiccioli terreni interessi di un partito piuttosto che di un altro.

PRESIDENTE. E' iscritto a parlare la deputata Elisabetta Ripani. Prego, a lei la parola.

ELISABETTA RIPANI (FI). Grazie, Presidente. Guardi, a sentire le parole dell'onorevole Forciniti mi sto realmente convincendo di aver vissuto un'altra pandemia. Comunque, veniamo a noi. Le nostre libertà costituzionali, colleghi, sono sospese da oltre 50 giorni; sono sospesi tutti quei diritti che la nostra Costituzione consacra e dichiara come inviolabili, irrinunciabili e indisponibili, stabilendo a quali condizioni e da parte di quali autorità questi possono subire eventuali limitazioni; quindi, si tratta di un argomento da maneggiare con estrema cura. Ma il Premier, l'avvocato del popolo, il professor Giuseppe Conte, durante la pandemia ha deciso di prendersi tutta la scena, facendo quasi concorrenza al virus; ha parcheggiato in un angolo il Parlamento antagonista, eluso la sua primaria funzione legislativa e si è arrogato il diritto di decidere in solitaria sulle restrizioni dei diritti fondamentali della persona, prendendo indistintamente la libertà di circolazione e soggiorno, la libertà di riunione, quella religiosa, finanche la libertà di iniziativa economica; e lo ha fatto abusando di una produzione normativa di rango secondario, atti amministrativi che non necessitano della ratifica del Parlamento, rovesciando, manipolando e utilizzando a proprio piacimento il criterio della gerarchia delle fonti. Il Presidente del Consiglio, con un colpo di spugna, ha in sostanza trasformato, con un salto logico che è estraneo al mondo del diritto italiano, uno strumento meramente attuativo di leggi in vigore, in fonte di diritto primario, dalla natura sostanzialmente legislativa. Una mente maliziosa potrebbe addirittura sospettare che dietro la scelta del famoso DPCM, l'acronimo ormai oggi più ricercato e temuto dagli italiani, si celasse una vera e propria volontà precisa di sottrarsi al giudizio del Parlamento; meglio allora confinare tutto tra le mura del Consiglio dei ministri, senza la bega di dover dialogare con le opposizioni nel momento più drammatico e doloroso della storia della Repubblica italiana; e allora, nessun passaggio parlamentare, tutto tempo guadagnato per potersi dedicare alle dirette Facebook con la stessa frequenza settimanale delle estrazioni del lotto; basta leggere un copione minuziosamente redatto dal fedele Casalino, usare dei toni calmi e pacati, un linguaggio molto emozionale e poco istituzionale, ma che rassicura apparentemente milioni di italiani terrorizzati, inserire la modalità “terapia tapioco” per parlare 40 minuti senza dire nulla e il gioco è fatto, inizia lo spettacolo del Premier. Questo è lo spettacolo che è andato in scena per due mesi in Italia. Ma questa, Presidente, era una pandemia, non era il Grande Fratello. Le nostre libertà costituzionali sono uscite così fuori dalla porta, con le nomination dei vari DPCM, una dietro l'altra, tra “ce la faremo, “andrà tutto bene”, “lo Stato c'è”, “vi consentiamo”, “vi concediamo”, “vi permettiamo”: tutta pura retorica senza un piano né una strategia, con un proliferare compulsivo di autocertificazioni e DPCM annunciati di notte prima ancora della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, lasciando le parole alla caotica interpretazione di chi stesse osservando il grande show mediatico.

Le dirette Facebook incassavano migliaia di like e visualizzazioni, ma quest'Aula invece rimaneva tristemente vuota, vuota non per volontà dei deputati, vuota perché evidentemente ritenuta superflua e inutile da parte del Presidente del Consiglio. Questo Parlamento avrebbe dovuto stabilire i confini materiali e temporali del lockdown, nel rispetto della suprema esigenza sanitaria. Questo Parlamento, con la massima condivisione tra maggioranza e opposizione, avrebbe dovuto decidere sulle misure economiche che incidono sul futuro del nostro Paese, sui lavoratori, sulle imprese, sulle famiglie e sulle partite IVA. Questo Parlamento avrebbe dovuto esprimersi sulla restrizione dei diritti e delle libertà fondamentali. Questo Parlamento, invece, ha atteso le FAQ esplicative di Palazzo Chigi per comprendere cosa fosse scritto nelle prescrizioni dei vari DPCM. Ma questo Parlamento esige oggi di tornare centrale nella vita democratica dell'Italia, e non di essere edotto ogni quindici giorni dal Premier. C'era un bisogno spasmodico di unità nazionale, non di un Governo fuori fase e autocompiacente, non dell'assenza di quel coordinamento centrale che ha portato le regioni stesse alle barricate e ad agire in autonomia per rimediare ai ritardi e all'inconcludenza del Governo. La regione Calabria, che è stata poc'anzi nominata, con Jole Santelli ha mostrato quel coraggio che è mancato al Premier nella “fase 2” ed è stata subito osteggiata con quell'astio e con quel nervosismo che si riserva ad una regione amministrata dal centrodestra. Nella mia Toscana, invece, il governatore Enrico Rossi in questi due mesi ha emanato la bellezza di più di cinquanta ordinanze, imponendo a volte anche delle misure assolutamente assurde come, ad esempio, il distanziamento di un metro e ottanta nei luoghi di lavoro o, da ultima, la sospensione dell'intramoenia, che ha innescato la rivolta di medici e sindacati. La Toscana, pensate, è seconda solo all'Abruzzo per il numero di ordinanze, mentre la regione più colpita, la Lombardia, ne ha emesse appena undici. E, allora, in tutta questa sequenza, in questo valzer di DPCM, di circolari, di ordinanze che hanno maneggiato le nostre libertà sospese, gli italiani però sono rimasti compressi dentro le mura domestiche, lontani dagli affetti più stretti, senza neanche poter dire addio ai propri cari defunti, si sono incoraggiati sui balconi cantando l'inno nazionale, stringendo tra le mani il tricolore e applaudendo i medici, che sono i veri eroi di questa emergenza; gli italiani hanno seguito le prescrizioni sanitarie, hanno, obtorto collo, chiuso i cancelli delle loro attività, sperando di poterli riaprire; si sono rimessi alla volontà del Governo perché lo richiedeva l'emergenza sanitaria; hanno compilato, di contro, valanghe di autocertificazioni cercando di capire chi fossero questi benedetti congiunti, gli amici veri, gli affetti stabili - tutti i termini che non fanno parte del nostro lessico giuridico -, incappando in denunce penali e sanzioni amministrative e pecuniarie su cui si aprirà una lunga fase di contenzioso. Gli italiani, quindi, sono arrivati alla famosa “fase 2” pagando un caro prezzo, non solo impauriti, privati della libertà a suon di DPCM e con l'incertezza sul futuro, ma oltretutto senza lavoro, con le famiglie senza il giusto sostegno, con le imprese che non riescono ad accedere ai finanziamenti, i negozi che non possono alzare la saracinesca ed i cittadini ancora stretti nella morsa della burocrazia, dovendo ancora mostrare l'autocertificazione per gli spostamenti, e, ancora in attesa del beato “decreto aprile” che ormai si avvia a diventare il “decreto primavera-estate”.

Oltre al virus, in questo momento in Italia c'è lo spettro della fame e l'Italia in questo momento deve ripartire e gli italiani devono tornare a respirare il profumo della libertà e devono essere ripristinate quelle libertà costituzionalmente garantite, limitate nella “fase 1” del lockdown, osservando rigorosamente i protocolli sanitari, tenendo presente le esigenze di sopravvivenza del sistema economico e produttivo del Paese, rispettando i termini operativi disegnati dalla Costituzione; e, soprattutto, deve tornare in azione il Parlamento, perché il Governo ci ha condotto fin qui all'anticamera del laboratorio dove si sta operando la trasformazione del sistema politico, con l'archiviazione dei metodi, delle procedure e dei criteri della democrazia liberale.

Ma la dittatura costituzionale del Premier Conte è risibile e alquanto pericolosa. Allora, il Parlamento, che è sovrano e che è la vera voce dei cittadini, titolare della funzione legislativa, deve tornare ad essere il primo interlocutore del Governo ed il perno della nostra democrazia, con un ruolo di primo piano nella ricostruzione sociale ed economica del Paese. Per cui, senza perdere altro tempo, si torni al rispetto della libertà, al rispetto di quelle regole dello Stato di diritto che sorreggono ogni grande democrazia liberale qual è l'Italia. Non lo sta chiedendo soltanto la mozione, lo pretendono tutti i cittadini italiani che ci hanno votato e che si aspettano che il Parlamento in questo momento sia protagonista e sia al loro fianco, a maggior ragione in un momento di emergenza (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Giuseppina Occhionero. Ne ha facoltà.

GIUSEPPINA OCCHIONERO (IV). Grazie Presidente, onorevoli colleghi, lo sappiamo, l'Italia è stato il primo Paese a doversi confrontare con la pandemia da COVID-19 …

FEDERICO MOLLICONE (FDI). E la Cina?

GIUSEPPINA OCCHIONERO (IV). …e, conseguentemente, il Governo italiano è stato chiamato ad assumersi per primo, quindi senza la copertura di precedenti o comunque di riferimenti, le rigide misure restrittive che poi, successivamente, sono state adottate da tutti gli altri Paesi coinvolti, sia da quelli che in un primo momento avevano degli approcci più drastici e sia da quelli che invece nelle prime fasi dell'epidemia da COVID hanno professato un certo ottimismo pensando di poter proseguire con una gestione quasi normale l'emergenza sanitaria. Le forme e i contenuti di queste misure di contrasto hanno senza dubbio implicato in questa fase un riassestamento, direi significativo, degli equilibri costituzionali e questo sia riguardo al rapporto tra diritti individuali e interessi collettivi e sia rispetto agli assetti istituzionali veri e propri e al sistema delle fonti. Quanto al primo versante, quello del rapporto tra diritti individuali e interessi collettivi, le misure di contenimento adottate dal Governo e dal Parlamento per proteggere il diritto alla salute pubblica ci hanno certamente proiettati in una dimensione molto rilevante di un'esperienza di limitazione delle libertà e dei diritti che mai fino ad ora era avvenuta nella storia repubblicana. Sono state sottoposte a severe restrizioni diverse libertà e diversi diritti: la libertà personale, la libertà di circolazione, la privacy, le libertà associative, la libertà economica, perfino la libertà religiosa, e sul punto mi permetto di esprimere la mia, la nostra soddisfazione per il raggiungimento dell'accordo tra Stato e Chiesa che ha visto la cristallizzazione nel protocollo che consente la ripresa delle funzioni religiose di tutte le confessioni. Riteniamo necessario poter proseguire a frequentare quelle mense che hanno alimentato sin dalle prime fasi dell'emergenza sanitaria quella generosità, quello spirito di solidarietà che è stato fondamentale per contenere anche la crisi sociale che il COVID-19 ha portato con sé. Abbiamo visto sospeso il diritto di voto, i diritti all'istruzione e quello al lavoro. Quanto al secondo versante, quello che riguarda la dimensione più istituzionale, la necessità di reagire in fretta a questa emergenza inedita, che ci ha travolti, ha determinato sicuramente una concentrazione di tutti i poteri decisionali nelle mani dell'Esecutivo e in molti organismi tecnici preesistenti oppure creati ad hoc. Sotto il profilo dell'articolazione territoriale c'è stata una forte istanza di centralizzazione anche rispetto a quelle che sono le prerogative regionali; è necessario però un dovere di onestà intellettuale, oltre che di corretta valutazione giuridica, che ci impone di dire le cose come stanno. Nella prima fase le fonti secondarie hanno sicuramente conquistato degli spazi ampi di normazione e di competenze e il ruolo del Parlamento è stato innegabilmente compresso, specie appunto nella fase iniziale in cui il sapere tecnico - ci rassicura il fatto che questo sia stato riscoperto con questa pandemia - ha così sostituito la capacità di mediazione politica, occupandone gran parte dello spazio e i cittadini italiani così hanno dovuto accettare una situazione che, ironicamente ma non troppo, è stata definita degli arresti domiciliari. È sempre questa operazione di verità, di onestà intellettuale, però ci deve far giungere ad una considerazione rispetto alle interrogazioni che ci siamo posti sulla costituzionalità o meno della gestione. Certo, siamo rassicurati dal fatto che nessuna rottura della legalità costituzionale si è verificata sebbene si possano senz'altro riscontrare delle smagliature o delle situazioni che definirei di tensione. Cominciando dal tema del fondamento costituzionale della gestione emergenziale, l'ancoraggio costituzionale c'è e deve rinvenirsi nei tradizionali principi del primum vivere e della salus rei publicae. Badate, non si tratta della pericolosa invocazione dello stato di necessità come fonte del diritto suprema che è in grado di legittimare, di derogare e di creare rotture o violazioni della stessa Carta costituzionale, ma di principi di diritto positivo che, seppur implicitamente, la stessa Costituzione prevede; infatti, i costituenti hanno consapevolmente deciso di non normare lo stato di emergenza e ancor più di assedio; la loro positivizzazione, però, si rinviene in significativi punti - mi riferisco all'articolo 5, la previsione dell'indivisibilità - e all'articolo 87 dell'unità della Repubblica, ma anche di quella dell'intangibilità dei nostri princìpi supremi del vigente ordine costituzionale quali argini alla negoziazione pattizia, alla revisione costituzionale, al diritto sovranazionale e internazionale (sono gli articoli 7, 10, 11 e 139). Insomma, la Costituzione e non la necessità fonda i provvedimenti in questione. Sull'utilizzo dei DPCM non sembra esserci alcun dubbio che il principio di legalità formale è stato sicuramente rispettato; più dubbi ha posto il problema della legalità sostanziale, dobbiamo dirlo, inteso come obbligo nelle fonti primarie di determinare in modo sufficiente i limiti contenutistici della normativa, della potestà normativa secondaria, ma anche qui la valutazione non può essere che tarata sulla specificità del caso concreto, sulla peculiarità e sulla mutevolezza dell'emergenza che gli atti governativi erano chiamati a regolare. Del resto la stessa Corte costituzionale ha da tempo precisato che è conforme a Costituzione la possibilità che alle autorità amministrative siano affidati poteri di emissione di provvedimenti diretti ad una generalità di cittadini, emanati per motivi di necessità e di urgenza, con una specifica autorizzazione legislativa che, però, anche se non risulti disciplinato il contenuto dell'atto, indichi il presupposto, la materia, le finalità dell'intervento e l'autorità legittima: mi riferisco alla sentenza n. 617 del 1987.

Sul tema dei diritti e delle libertà non credo che nel giudizio di questa vicenda, che tocca davvero i principi fondamentali di una comunità politica, ci si possa limitare a segnare con una matita rossa o blu i provvedimenti adottati, dando i numeri sulle norme costituzionali che si presumono violate, elevando alte grida sui rischi di una regressione della tutela dei diritti e di possibili derive autoritarie. Intere biblioteche e soprattutto lezioni dell'esperienza ci insegnano che il diritto costituzionale è equilibrio; è equilibrio nei rapporti tra poteri; è equilibrio nel firmamento dei diritti che i tempi normali, a maggior ragione quelli dell'emergenza, sottopongono a tensioni anche forti. Soluzioni ragionevoli, ma è inutile ribadirlo, sempre nel solco dei valori fondamentali dell'ordinamento costituzionale. Qui è in gioco il diritto alla vita che, come ci hanno insegnato i nostri grandi classici del costituzionalismo, voglio citare Locchi in testa, è il bene che condiziona tutti i diritti ed ogni possibile svolgimento della personalità. Qui è in gioco la necessità di impegnarsi a fermare uno scenario che in futuro potrebbe creare un vulnus su larga scala e a lungo termine della dignità di ogni uomo, del benessere e della prosperità di tutti, diritto alla vita e dignità dell'uomo: questi sono i valori oggi in gioco, di fronte ai quali i consociati non sono sottoposti, ma protagonisti di un processo di attualizzazione quotidiana dei valori costituzionali nel senso di quella responsabilità solidale della persona richiamata nell'articolo 2 sul ruolo del Parlamento. Infine, è noto che lo stato di emergenza si traduce nel rafforzamento dell'Esecutivo che tradizionalmente è anche l'organo deputato a far fronte a situazioni eccezionali per la sua maggiore compattezza, tempestività ed efficacia decisionale; peraltro, collocandosi al vertice dell'amministrazione, il Governo è anche l'organo che più facilmente riesce a coinvolgere i tecnici in quel processo di deliberazione normativa. Tutto quello che ho detto finora va bene, ma va bene per la gestione passata dall'emergenza, perché la fase critica ha giustificato, come ho provato a spiegare in questo intervento, questa situazione di temporaneo e circoscritto riassestamento degli equilibri costituzionali.

Tuttavia, il superamento della fase critica dove il quadro epidemiologico voglia confermare questo trend positivo che abbiamo registrato nelle ultime settimane, esige e impone che gli stessi equilibri costituzionali recuperino l'assetto precedente e rientrino entro un argine di fisiologia costituzionale che noi rivendichiamo anche attraverso quei nuovi strumenti messi in campo che servono per testare, tracciare e trattare la popolazione. Noi non abbiamo dubbi su quale sia la fisiologia costituzionale da seguire e rispetto alla quale oggi vogliamo impegnare il Governo. L'esperienza di questi mesi si deve tradurre in una più chiara procedimentalizzazione formale, in una più puntuale predeterminazione sostanziale dei ruoli e dei poteri di tutti i livelli istituzionali coinvolti nella gestione del contrasto al Coronavirus che ancora per molto tempo, è inutile che lo neghiamo, ci accompagnerà nella nostra vita quotidiana. Vogliamo dunque dare certezza alle regole e alla chiarezza dei procedimenti decisionali sia a beneficio dei rapporti tra le istituzioni che nell'ambito dei rapporti tra le istituzioni e i cittadini. Vogliamo un più ampio utilizzo degli strumenti di normazione primaria in luogo delle fonti secondarie di cui ho già parlato, ciò al fine di consentire, anche tramite uno strumento e un utilizzo più privilegiato della decretazione di urgenza, di soddisfare quelle riserve di legge assolute o relative che sono a presidio dei diritti costituzionali, e al contempo…

PRESIDENTE. Chiedo, scusa deputata Occhionero, se la interrompo soltanto un attimo per chiedere cortesemente al deputato Forciniti di indossare la mascherina, che magari distrattamente ha rimosso. Il Regolamento prevede questo genere di avvertenza, grazie. Prego prosegua.

GIUSEPPINA OCCHIONERO (IV). Grazie, Presidente. Dicevo, anche attraverso l'utilizzo privilegiato dell'istituto della decretazione d'urgenza che possa soddisfare le riserve di legge assolute e relative che sono a presidio dei diritti costituzionali e che nel contempo consentono la partecipazione del Parlamento e dei rappresentanti del popolo alla determinazione delle misure necessarie. Riteniamo necessario e quindi chiediamo al Governo di impegnarsi formalmente a coinvolgere le Camere con le opportune iniziative informative e le necessarie relazioni anche nel procedimento di formazione dei DPCM, affinché si possa realizzare quella codeterminazione dei contenuti anche delle fonti secondarie in virtù della loro incidenza su posizioni costituzionalmente tutelate. Vogliamo infine che sia gestito anche in modo chiaro e trasparente il riparto di competenze tra Stato, regioni ed enti locali in modo tale da evitare quei grovigli di attribuzioni e scarichi di responsabilità o di incertezze paralizzanti.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Federico Mollicone. Ne ha facoltà.

FEDERICO MOLLICONE (FDI). Onorevoli colleghi, signor Presidente, signori del Governo, la mozione di cui oggi inizia l'iter, presentata da Fratelli d'Italia con le altre forze d'opposizione, vuole ristabilire la legalità e lo stato di diritto in Italia dopo usi e abusi di atti dalla dubbia legittimità che hanno compromesso le nostre libertà fondamentali ricalibrando quindi il ruolo del Parlamento. In particolare, la mozione vuole ristabilire al più presto lo stato di diritto al fine di correggere tutte le criticità normative emerse nella “fase 1” dell'emergenza ripristinando appunto le libertà fondamentali limitate nel corso dell'emergenza sanitaria. Vorrei iniziare il mio intervento rivolgendo un pensiero ai medici, agli operatori sanitari, a chi ha permesso la prosecuzione della nostra quotidianità come di chi si occupa della distribuzione. Ma non si può continuare così, grazie a esempi di coraggio e abnegazione. Cito, letteralmente: “la pandemia non è una guerra, i pieni poteri al Governo non sono legittimi”. E ancora: “da Palazzo Chigi continuano ad arrivare norme incomprensibili, scritte male, contraddittorie, piene di rinvii ad altre norme”. Non è Fratelli d'Italia, rappresentante del Governo; così, in estrema sintesi giornalistica, è il pensiero di Sabino Cassese, espresso in una lunga intervista apparsa su Il Dubbio, che appunto consiglio di leggere dalle parti di Palazzo Chigi, in particolare magari ai consiglieri legali del Ministro, dei vari Ministri e del Premier Conte. Vedete, siamo entrati nella “fase 2” da una settimana e ci ritroviamo in rigoroso disordine sparso. Il Governo dispone della libertà dei cittadini italiani e della Costituzione con le FAQ, le domande più frequenti del sito web di Palazzo Chigi, improvvisamente divenute fonte giuridica, mentre le regioni e i comuni si precipitano a emanare altre direttive in totale autonomia su ogni materia che riguarda le libertà fondamentali. Non siete neanche riusciti a coordinarvi con la regione Lazio, che è rappresentata nella sua Presidenza dal capo del partito di maggioranza di una delle forze politiche del Governo, figurarsi con le altre regioni. Il risultato è tecnicamente, per usare un termine poco tecnico, un casino: tutti denunciano la confusione legislativa. Guzzetta, costituzionalista di fama, da settimane fa notare tutte le incredibili forzature rispetto alla Costituzione: con un forte senso di ironia fa notare che persino le sezioni del sito del Governo sono entrate nella gerarchia delle fonti. Lo dice anche un altro costituzionalista, Francesco Clementi; lo dice l'Unione italiana forense, anzi lo grida, che ha lanciato una petizione online su Change.org, che invito tutti a sottoscrivere, denunciando la violazione di tante disposizioni costituzionali e di altri diritti contenuti nella Carta di Nizza, citando: “abbiamo visto limitare i diritti fondamentali oltre ogni ragionevole durata e con atti vaghi e illegittimi, che hanno lasciato spazio a interpretazioni difformi e a volte estensive e vessatorie nei confronti dei cittadini”. Lo dice il Presidente Cartabia, che, nella relazione annuale dell'attività della Corte costituzionale, scrive: “la piena attuazione della Costituzione richiede un impegno corale con l'attiva e leale collaborazione di tutte le istituzioni, compresi Parlamento, Governo, regioni, giudici”. Beh, colleghi e rappresentanti del Governo, questa cooperazione è anche la chiave per affrontare l'emergenza. La Costituzione infatti non contempla un diritto speciale per i tempi eccezionali e ciò per una scelta consapevole, ma offre la bussola anche per navigare per l'alto mare aperto nel tempo di crisi a cominciare proprio dalla leale collaborazione fra le istituzioni, che è la proiezione istituzionale della solidarietà tra i cittadini. Ancora: la nostra Costituzione non contempla un diritto speciale per lo stato di emergenza e la Repubblica italiana ha attraversato varie situazioni di emergenza e di crisi dagli anni della lotta armata a quelli più recenti della crisi economica e finanziaria, tutti senza mai sospendere l'ordine costituzionale, ma ravvisando al suo interno gli strumenti idonei a modulare i principi costituzionali in base a specifiche contingenze.

Vedete, il timore è che queste osservazioni restino solo nel dibattito accademico e che il Presidente del consiglio prosegua nell'attività straordinaria via DPCM, un modo di governare che esautora non solo il Parlamento ma anche gran parte dei componenti del Consiglio dei ministri da un controllo preventivo politico e di merito, dando a Conte i pieni poteri (con i pieni poteri che giustamente avete contestato a qualcuno cambiando addirittura Governo e assetto di Governo) rendendo strutturale uno stato d'eccezione, per dirla con Carl Schmitt, ma lo stato di eccezione deve essere temporalmente contingentato e proporzionato alla minaccia e invece serrata totale ad infinitum: restrizioni alla libertà di movimento, di riunione, di libertà, di professione, di fede. Lo Stato entra nella vita affettiva e decide chi puoi e non puoi incontrare, fino a cadute di stile che ci vedono addirittura a veder determinato se un congiunto è una persona che merita il nostro affetto costante e continuo o se si tratta solo di rapporti occasionali, come, in maniera egregia, ha satiricamente sottolineato Osho.

Fratelli d'Italia, vedete, ha elaborato dei dati Istat con il suo ufficio studi e le risultanze sono evidenti: a fronte della distribuzione territoriale della mortalità e dei contagi, delle classi di età più colpite, sarebbe stato utile nel bilanciamento fra tutela della salute e necessità della vita economica, adottare misure graduali con diversi livelli di restrizione identificando zone rosse e mettendo al sicuro gli over settanta e gli over 60 con test per tutto il campione della popolazione giudicata maggiormente esposta. Questo sarebbe stato ragionevole, guardando agli esempi della Corea del Sud e di altre nazioni che hanno fatto così e hanno contenuto il contagio e settorializzato il contagio. Inoltre, ci poniamo dubbi sul perché siano stati vietati gli esami autoptici dal Ministero della Salute, procedura che ha ritardato di molto l'analisi della sintomatologia del virus e per questo, appunto, presenteremo un'interrogazione anche basata sulle denunce di autorevoli giornali.

Giornali come il Secolo d'Italia, con il pezzo e lo scoop di Mazzanti, come Affaritaliani e con tutti quei giornali che hanno trovato questo documento, che è un documento inquietante, perché fa capire come esista un retroscena, una gestione oscura dell'emergenza da parte del Governo.

E non è la causa della morte la polmonite interstiziale, come venne detto all'inizio, bensì sono dei trombi diffusi in tutto il corpo, che quindi possono essere affrontati con un protocollo sanitario diverso, che molti ospedali italiani, senza aspettare vaccini miracolosi, stanno già da tempo mettendo a punto. Il Governo e la sua pletora di task force hanno creato un Panopticon. La illumino, rappresentante del Governo: era questo carcere ideale in cui un solo sorvegliante, che qui potremmo identificare in Conte, attraverso questa struttura particolare del carcere, riusciva a controllare in ogni momento, ogni istante della loro vita, tutti i detenuti. Peccato che avete creato questo Panopticon normativo ma poi non riuscite a controllare le carceri, e scarcerate centinaia di boss mafiosi, che forse meritavano una diversa prassi di vigilanza.

Forbes , al riguardo, ha pubblicato una classifica dei 40 Paesi che maggiormente sono usciti a gestire la pandemia; ebbene, l'Italia non è nemmeno nei radar. L'autocertificazione, la task force sulle fake news e per ultimo l'app di tracciamento hanno sviluppato vicende al limite del grottesco. Ad oggi, colleghi, infatti, non abbiamo spiegazioni sulla gestione della gara, sul metodo utilizzato, sulle tecnologie che verranno usate da Immuni. Il Ministro Pisano, indecisa a tutto, ha prima detto che a scegliere l'app è stata la task force dati, poi la task force ha detto che l'ha scelta lei, infine il Ministro ha detto che è stato il direttore generale dei servizi, Vecchione, che ha smentito. La task force dati, di nomina fiduciaria, aveva richiesto il test di due app, così da garantire le prove tecniche, ma il Ministro, addirittura distorcendo la verità, ha scelto Immuni: ci chiediamo il perché. La scelta di un sistema di tracciamento dei contagi è necessaria per il contrasto alla pandemia, non per la comunicazione di un confuso Ministro dell'Innovazione. Dopo questa ennesima figuraccia, che sicuramente non costituisce un incentivo a scaricare quest'app, e quindi la rende inutile, aspettiamo ora delucidazioni sui tanti aspetti. E quando Arcuri è venuto in audizione, che cosa ha detto? Che lui non se ne è occupato, ha solo firmato l'ordinanza. Non possiamo quindi negare i nostri dubbi che la misura, se non accompagnata, come richiesto da Fratelli d'Italia, da test per tutti, nell'ottica della complementarietà, come appunto è avvenuto in Corea del Sud, possa rivelarsi inutile, a fronte anche dei ritardi nello sviluppo. E ora, colleghi, mancano pochi giorni alla “fase 2” per le attività commerciali, ma come faranno? Sono stati chiusi per due mesi, non hanno soldi, come faranno a riaprire in maniera produttiva, in maniera tale che riaprire sia economicamente sostenibile? I ristoranti, i parrucchieri, gli estetisti, i tatuatori, teatri cinema, tutti i luoghi della socialità! Quando torneranno a scuola, e come, i nostri ragazzi? Dopo aver delegato ai virologi tutto il senso di responsabilità necessario al Governo e alla politica, ora non sapete cosa fare. Sono forse stati troppo impegnati, siete stati, troppo impegnati nelle dirette di Facebook fino a tarda notte? Colleghi, il futurologo Harari ha scritto: questa tempesta passerà, ma le scelte che prenderemo ora potranno cambiare le nostre vite per gli anni a venire. Le decisioni che in tempi normali potrebbero richiedere anni di deliberazione, vengono prese nel giro di poche ore. Le tecnologie immature e persino pericolose vengono messe in servizio, perché i rischi di non fare nulla sono maggiori. Esperimenti sociali su larga scala manifestano la loro utilità per interi Paesi. Se non riusciamo a fare la scelta giusta, potremmo ritrovarci a rinunciare alle nostre più preziose libertà, pensando che questo sia l'unico modo per salvaguardare la nostra salute.

Fratelli d'Italia chiede quindi al Governo di riportare la centralità del Parlamento, luogo principale della nostra democrazia, evitando del tutto l'uso dei DPCM per il governo dell'emergenza e l'abuso della decretazione d'urgenza, utilizzando nella produzione legislativa solo norme di rango primario. Colleghi, rappresentante del Governo - che ha chattato per tutto il tempo -, il Parlamento è il duomo della democrazia e noi dobbiamo rispettare questo sacro rito: il Governo, se ne sarà capace, deve dimostrarsi all'altezza e noi qui a collaborare, a difendere sicuramente la salute, ma anche la libertà degli italiani.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Stefano Ceccanti. Ne ha facoltà.

STEFANO CECCANTI (PD). Presidente, io penso che dobbiamo affrontare questo dibattito tutti quanti con grande senso di umiltà e di non faziosità, perché, in una situazione d'emergenza inedita come la presente, la prima preoccupazione di qualsiasi decisore pubblico è di non commettere peccati di omissione. Per cui, rispetto al rischio di peccati di omissione, anche procedere per prova ed errore, facendo degli errori, come tutti hanno fatto in questa gestione, è inevitabile. Quindi eviterei di attaccare qualsiasi governante che si sia trovato a gestire quest'emergenza, a livello nazionale, a livello regionale, a livello comunale, di diversi orientamenti politici, perché molti errori sono stati fatti, ma è tutto da dimostrare che altri governanti al posto di quelli che si sono trovati in questa situazione avrebbero fatto meglio. Quindi un atteggiamento d'umiltà è forse il modo migliore per evitare di ripeterli in futuro. Vorrei citare un letterato, Arguedas, peruviano, che diceva: è meno quello che siamo della grande speranza che speriamo. Ciascuno di noi ha dei grandi convincimenti anche su come deve essere affrontata questa emergenza, ma gli strumenti che noi abbiamo per capire, per orientare, sono comunque molto deboli, e spesso da soli sbaglieremmo, quindi abbiamo l'esigenza di collaborare di più, tra Governo e Parlamento, maggioranza e opposizione, la rete degli enti locali e regionali. Per questo a me non convince molto il tono complessivo della mozione dei gruppi d'opposizione, anche se poi plana su impegni tutto sommato sensati e convergenti con quelli di maggioranza. Non mi convince perché tende a mescolare problemi specifici, come gli ultimi che ricordava prima il collega, che però non si affrontano in una mozione ma si affrontano sul provvedimento specifico (quando avremo il decreto sulla app, la conversione del decreto, vedremo se emendare il decreto sulla app, se esso è deficitario in più punti, che è possibile, lo vedremo, lo valuteremo), con un'impostazione generale che mette in discussione la legittimità complessiva, cioè il fatto che noi siamo uno Stato di diritto. Allora, la situazione complessiva ha delle imperfezioni evidenti, e lavoriamo su queste mozioni anche per superarle, ma non si può mescolare la critica a singoli errori che ci possono essere con l'idea che siamo in una situazione fuori dai canoni dello Stato di diritto e dallo Stato costituzionale. Anche la descrizione di come si esce dalla “fase 1” - la banalizzo, magari è una estremizzazione - che sembra ricavarsi dalla mozione, cioè che siamo stati in una fase 1 quasi emergenziale, con violazione dello Stato di diritto, e improvvisamente dobbiamo passare alla “fase 2” senza limiti ai diritti, obiettivamente ciò è poco sostenibile. Noi possiamo sostenere che da qui in poi, in questo processo, le limitazioni ai diritti, se le situazioni epidemiologiche lo consentono, progressivamente siano ridotte fino ad essere annullate. Ma è un processo, non è un momento miracolistico in cui possiamo eliminare tutti questi limiti. E anche alcune cose sono francamente estremizzate: già abbiamo risolto agevolmente, con un buon dibattito parlamentare, la settimana scorsa, la questione della libertà di culto, ma la mozione affronta la questione della libertà di culto in modo sbagliato, perché l'affronta solo relativamente alla confessione di maggioranza, la Chiesa cattolica.

Ma l'articolo 19 della Costituzione, appunto per partire dalla Costituzione, dice: tutti hanno il diritto di professare liberamente la propria fede religiosa, e così via; quindi è di tutti. Quando si parla di libertà di culto, si parte dal 19, la libertà di tutti, e poi si va al 7, la Chiesa cattolica, all'8, le con le intese con le confessioni diverse dalla cattolica.

Così erano impostati i nostri emendamenti parlamentari e così era impostato anche l'emendamento parlamentare del collega Occhiuto, di Forza Italia, ed è la soluzione che, poi, è prevalsa, con una spinta parlamentare significativa e l'Amministrazione che si è attivata, aprendo il tavolo con la Conferenza episcopale, già chiuso, e quello con le confessioni diverse dalla cattolica che è in corso di chiusura, in modo che tutti possano avere delle limitazioni solo ragionevoli a partire dal giorno 18 per la libertà di culto.

Ma anche il modo un po' rozzo con cui è descritta una proposta, quella della clausola di supremazia presentata in alcuni emendamenti di alcuni deputati delle forze di maggioranza, è un pochino surreale, perché sembra che, improvvisamente, in questo rapporto che va benissimo di gestione tra Stato e regioni, su cui è lecito avere dei dubbi, improvvisamente, irrompa dalla maggioranza una proposta originale e ipercentralistica che sarebbe quella della clausola di supremazia. Io ricordo ai firmatari della mozione che la riforma costituzionale del centrodestra approvata dal Parlamento nel 2005, bocciata dal referendum nel 2006, aveva la seguente norma che è molto più radicale delle norme che sono state presentate dai parlamentari della maggioranza; la leggo per ricordare a loro, che se la sono scordata, che cosa diceva: “Il Governo, qualora ritenga che una legge regionale o parte di essa pregiudichi l'interesse nazionale della Repubblica, entro quindici giorni dalla sua pubblicazione, invita la regione a rimuovere le disposizioni pregiudizievoli. Qualora entro i successivi quindici giorni il consiglio regionale non rimuova la causa del pregiudizio, il Governo entro gli ulteriori 15 giorni sottopone la questione al Parlamento in seduta comune che, entro gli ulteriori 15 giorni, con deliberazione adottata a maggioranza assoluta dei propri componenti può annullare la legge o sue disposizioni. Il Presidente della Repubblica, entro i successivi dieci giorni, emana il conseguente decreto di annullamento”. Questa era la clausola di supremazia nella proposta di legge del centrodestra, nettamente più forte e più stringente di quelle che sono state presentate dai parlamentari della maggioranza. Ne discuteremo, però, evidentemente, il centrodestra non può far finta di non aver scritto queste cose e dire che, di per sé, una qualsiasi clausola sarebbe sbagliata.

Per questo, la mozione di maggioranza ricorda tre elementi chiave, sulla base dei quali è evidente che noi, pur con problemi e criticità, ci siamo sempre mossi, in un quadro di legittimità costituzionale. Anzitutto, mai, questa emergenza è stata senza un limite; il limite è quello dello stato di emergenza sanitaria di sei mesi: fine gennaio-fine luglio; quindi, non c'è nessuna assenza di limiti, tipica, invece, di altri ordinamenti ai confini, ormai, purtroppo, dello Stato democratico liberale, come quello ungherese, se non oltre questo confine.

Il secondo è che il decreto-legge n. 19 del 2020 che stiamo convertendo in questi giorni ha presentato una tipizzazione dei contenuti precisi dei DPCM che non possono oltrepassare quei confini. Ovviamente, come tutte le cose, è perfettibile, stiamo discutendo su emendamenti al decreto-legge n. 19 del 2020, anche provenienti dalla maggioranza, e, quindi, va tutto benissimo, però non possiamo dire che da quel giorno, mi sembra, il 25 marzo, in cui è stato emanato il decreto-legge n. 19 non si sia rientrati in una fisiologia di sistema, appianando alcune difficoltà delle prime fonti che erano state emanate. Il terzo, è il DPCM del 25 aprile che ha iniziato il processo di ridurre le limitazioni ai diritti; quindi, può essere senz'altro criticato, però, pur criticandolo, tutti devono riconoscere che si è mosso per ridurre la limitazione dei diritti, non per introdurne di ulteriori.

Detto questo, la mozione di maggioranza non è una apologia di tutte le singole misure varate e neanche della situazione attuale; infatti, la mozione di maggioranza non dice che tutto va bene, ma, in sostanza, che cosa ci dice? Dice che lo strumento su cui si è fondata questa fase di DPCM deve essere il più possibile ridotto e per questo le proposte di parlamentarizzazione non servono solo a parlamentarizzarli, ma a disincentivarli, perché se noi dicessimo solo che non vogliamo i DPCM, ma che vogliamo solo i decreti-legge, è difficile - lo dico al collega di prima - dire che non vogliamo neanche i decreti-legge, perché l'emergenza c'è; quando l'emergenza sarà finita speriamo di avere meno decreti-legge e di avere più legislazione ordinaria normale, ma fino ad allora è ovvio che noi avremo decreti-legge e conversione di decreti.

Allora, se io inserisco degli elementi di parlamentarizzazione dei DPCM, creo un disincentivo a usare i DPCM; per certi versi è più importante questo effetto indiretto di quello diretto sulla parlamentarizzazione stessa. E, poi, appunto, io penso che si possa anche andare al di là delle norme e penso che il Presidente del Consiglio farebbe benissimo ad andare al di là delle norme, perché questi elementi parlamentarizzazione, che discuteremo domani e che approveremo, entreranno in vigore dopo l'emanazione del nuovo DPCM annunciato, che regolerà il funzionamento del nostro Paese dal 18 maggio. Però io penso che sarebbe un segno importantissimo della nuova fase - il Governo ci dice che siamo nella “fase 2” - se, per così dire, anche il Presidente del Consiglio riuscisse ad anticipare la norma, venendo direttamente qui, a spiegarci il nuovo DPCM, il suo senso, il suo significato, la sua direzione, anche perché sarà probabilmente l'ultimo dei più impegnativi DPCM, almeno lo speriamo, con la riduzione dell'emergenza.

Quindi, io penso che si possa chiedere al Governo, al di là di accettare questi impegni ulteriori a ricorrere allo strumento fisiologico dei decreti e comunque a parlamentarizzare i DPCM, di anticipare la norma con i propri comportamenti, perché, appunto, vale per tutti noi l'avvertimento che serve umiltà e che il Paese capisce l'umiltà e capisce l'assenza di faziosità; mai come nelle situazioni di emergenza, è questo che dobbiamo praticare. È meno quello che siamo della grande speranza che speriamo: vale per tutti.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Anna Macina. Ne ha facoltà.

ANNA MACINA (M5S). Grazie, Presidente. Discutiamo di libertà fondamentali in un momento drammatico, condizionato dall'emergenza da COVID-19; è un dibattito che è stato alimentato anche fuori dal Parlamento e che è giusto riportare all'interno dell'Aula, a patto e condizione, però, che ci si confronti con questi temi in maniera corretta, leale e senza speculazioni di sorta, perché la Repubblica, lo Stato italiano, i valori e le garanzie non possono e non devono diventare un terreno di scontro politico. Tali principi e valori devono andare ben oltre la contrapposizione politica e non possono essere piegati alle logiche del consenso.

Abbiamo detto e abbiamo assistito al dibattito che è cominciato sia in sede parlamentare, la scorsa settimana ma anche sui mezzi di informazione, nell'opinione pubblica; si lascia serpeggiare il sospetto, se non la certezza, a seconda di chi ne parla, che le misure messe in campo per fronteggiare l'emergenza sanitaria siano in qualche modo non legittime.

Nella mozione di opposizione si fa riferimento al lockdown, avvenuto, lo ricordiamo tutti, il 9 marzo, e si fa riferimento all'adozione di numerosi provvedimenti amministrativi che hanno inciso, limitandoli, su alcuni diritti di rango costituzionale; si fa riferimento alla libertà di circolazione, libertà di associazione, esercizio dei culti religiosi, insegnamento e istruzione, libertà di iniziativa economica e, in quella mozione, si sostiene che l'emanazione di questi atti amministrativi, per l'appunto, gli ormai noti DPCM, avrebbero leso tanto il principio di gerarchia delle fonti, in virtù del fatto che un atto amministrativo e non una norma di legge abbia compresso diritti regolamentati da fonte suprema, qual è la nostra Carta costituzionale, quanto anche il principio della riserva di legge assoluta, con specifico riferimento alle limitazioni della libertà di circolazione, di cui all'articolo 16 della Costituzione, e con riferimento anche alla libertà di iniziativa economica. Si sostiene che queste limitazioni non sarebbero legittime, perché non disposte dall'organo rappresentativo del potere sovrano che appartiene al popolo, quindi, dal Parlamento e che ci sarebbe in sostanza una violazione dell'articolo 70 della Costituzione.

Allora, verifichiamo se è davvero così, verifichiamo se tali assunti sono fondati, verifichiamo se è stato davvero, come sostiene la mozione delle opposizioni, messo in pericolo lo Stato di diritto; se è vero che ci siano state delle storture normative che hanno sospeso lo Stato di diritto, che va, quindi, ripristinato, come si chiede appunto nella mozione.

Rispondiamo a queste domande, però, in maniera chiara, in modo che non resti nessun dubbio - se non in queste Aule ormai troppo abituate a strumentalizzare qualunque argomento senza alcuna remora - quantomeno nell'opinione pubblica. Infatti, lo dobbiamo al popolo italiano, noi che siamo rappresentanti eletti, a cui non dovrebbe essere consentito di giocare con i capisaldi della Repubblica. Evidentemente, però, questi assunti provengono da qualcuno che deve aver dimenticato qualche legge approvata, peraltro di recente, e deve avere confuso la riserva di legge con altro, dimenticando anche delle sentenze della Corte costituzionale, che non può essere ricordata quando fa comodo e dimenticata quando non conviene.

È ormai noto che, con la delibera del 31 gennaio 2020, come è stato ricordato più volte, il Consiglio dei ministri ha ritenuta necessaria l'assunzione immediata di iniziative di carattere straordinario ed urgente, per fronteggiare adeguatamente possibili situazioni di pregiudizio per la collettività presente sul territorio nazionale, e ha dichiarato per sei mesi, come è stato ricordato, dal 31 gennaio 2020, lo stato di emergenza, in conseguenza del rischio sanitario, connesso all'insorgenza di patologie da agenti virali trasmissibili.

Primo provvedimento necessario, secondo le leggi vigenti: quella delibera del Consiglio dei ministri è stata adottata secondo le leggi vigenti, per fronteggiare l'emergenza.

Immediatamente dopo, ma - voglio sottolinearlo - ben prima del lockdown 9 marzo, il Consiglio dei ministri emana il decreto-legge n. 6 del 2020. E cosa diceva quel decreto? Recava misure urgenti dirette a fronteggiare l'evolversi della situazione epidemiologica in Italia e, tra l'altro, nei comuni o nelle aree dalle quali risultava positiva almeno una persona, per la quale non era dato sapere la fonte di trasmissione, disponeva che le autorità competenti fossero tenute ad adottare ogni misura di contenimento, adeguata e proporzionata all'evolversi della situazione epidemiologica; e venivano previste le misure, come divieto di allontanamento, divieto di accesso al comune o all'area interessata, sospensione di manifestazioni ed eventi e di ogni forma di riunione in luogo pubblico o privato, sospensione dei servizi educativi dell'infanzia, delle scuole e dei viaggi di istruzione, sospensione dell'apertura al pubblico dei musei, applicazione della quarantena con sorveglianza attiva. E, sempre in attuazione del decreto-legge n. 6 del 2020, viene poi adottato il DPCM del 23 febbraio 2020. Lo voglio sottolineare: in attuazione del decreto-legge n. 6 viene adottato il DPCM.

E che non fosse un mistero che sarebbero stati adottati ed emanati i DPCM, proprio in attuazione del decreto-legge n. 6 del 2020, era chiaro a tutti, checché se ne dica oggi. Infatti, durante la discussione generale e la dichiarazione di voto in sede di conversione del ridetto decreto-legge n. 6 del 2020, in quest'Aula, un collega deputato, intervenendo nella seduta del 26 febbraio 2020 - lo testimoniano i resoconti - aveva - leggo testualmente - modo di riferire: “Il provvedimento di urgenza che stiamo esaminando nasce dalla necessità immediata di mettere in campo le misure severe per fronteggiare la diffusione dell'epidemia da Coronavirus”… “Per tornare al contenuto di questo provvedimento, è evidente che esso rappresenta, di fatto, una cornice normativa di stringenti misure sanitarie di ordine pubblico, volte a tutelare la popolazione e a circoscrivere il più possibile le aree di contagio, cercando, in tal modo, di ridurre la diffusione del virus”. Ma sottolineava che saranno “soprattutto i previsti DPCM ad attuare e a mettere in pratica quanto previsto da questo decreto-legge”.

Si potrebbe pensare che questo intervento, che ho appena ricordato, sia stato fatto da un collega delle forze di maggioranza, e invece non è così, perché questo intervento che ho letto e che - ripeto - è facilmente reperibile dai resoconti delle sedute della Camera, è stato fatto da un collega di Forza Italia, una delle forze che firma la mozione delle opposizioni.

A proferire quelle parole, a spiegarle bene nella sostanza, è proprio lui, che ci dice che non c'è stata alcuna violazione della gerarchia delle fonti, perché è la stessa natura dei DPCM, che lui stesso dice essere meri strumenti attuativi di quanto previsto per legge approvata dall'organo titolare del potere legislativo e rappresentativo del popolo sovrano, perché il Parlamento questo è. Fu proprio un esponente di Forza Italia.

Ora è evidente che, se questo è e se queste sono state le parole pronunciate in quella seduta, è di tutta evidenza che, allora, non è chiaro, non è dato comprenderne le motivazioni, non è chiaro il motivo, per il quale si parla oggi di sospensione della democrazia, si firma una mozione, che francamente è destituita di fondamento e vaneggia di violazioni che non si sono mai concretizzate.

Ma non è ancora tutto, perché in sede di conversione di quel decreto-legge n. 6 del 2020, nella stessa seduta, quel decreto fu approvato con 462 voti favorevoli su 464 votanti in quest'Aula, e al Senato fu approvato con 234 voti favorevoli, su 239 votanti.

Allora, è evidente che non possiamo davvero perseverare in questo tipo di atteggiamenti speculativi, che disonorano quanto ognuno di noi è chiamato a fare in quest'Aula, perché ogni voto che noi esprimiamo rappresenta il popolo sovrano e, allora, siamo tenuti a comprenderne il valore, la portata e il significato, senza mistificazioni postume per scopi di partito.

Ma non è ancora tutto, perché in questi giorni la Camera - ha già cominciato la settimana scorsa - è chiamata a convertire il decreto-legge n. 19 del 2020, successivo a questo decreto-legge n. 6, che lo abroga e lo assorbe.

Questo decreto, che è ancora intervenuto sulla questione, al pari del primo, individua misure di contrasto all'emergenza epidemiologica, da adottare con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri e questo, come il primo, in conformità alla riserva di legge prevista dalle norme costituzionali per le limitazioni di alcuni diritti di libertà (gli articoli 13, 14, 16, 17, 19) giustificate da altri interessi costituzionali (l'articolo 32, la salute pubblica) e reca una definizione dettagliata ed esaustiva di tutte le misure potenzialmente applicabili per contrastare l'emergenza.

Allora, ne consegue che, con buona pace di chi dice il contrario e sembra non sapere che i DPCM sono stati previsti da una norma primaria votata dal Parlamento, sulla quale poggia e dalla quale trae legittimazione, non vi è stata alcuna lesione del principio della gerarchia delle fonti. A ben guardare non vi è stata nemmeno una violazione della riserva di legge assoluta, che la mozione delle opposizioni, invece, intende vedere. E perché no? Perché io ricordo, sommessamente e con molta umiltà, che la riserva di legge, prevista dall'articolo 16 della Costituzione ed erroneamente qualificata come assoluta, è stata ritenuta, non dalla sottoscritta, non dalla maggioranza, non dal Governo, ma dalla giurisprudenza costituzionale come riserva relativa, ritenendo ammissibile per la normazione secondaria di specificare il contenuto. Indico a sostegno le sentenze della Corte costituzionale n. 2 del 1956, n. 72 del 1968 e n. 68 del 1964, che, se rilette, avrebbero certamente impedito alle forze di opposizione un errore così grossolano.

È la Corte costituzionale a ricordare come la giurisprudenza, formatasi proprio con riferimento all'articolo 23 della Costituzione, abbia ritenuto ammissibile che la legge ordinaria attribuisca all'autorità amministrativa l'emanazione di atti anche normativi, purché la legge indichi i criteri idonei a delimitarne la discrezionalità dell'organo, cui il potere è stato attribuito.

Allora, sarebbe bastata la lettura anche del dossier studi Camera sul decreto-legge n. 19 del 2020, per evitare l'assurdità di alcune affermazioni, perché proprio il decreto-legge n. 19, che - abbiamo detto - abroga, accorpa e assorbe il precedente decreto-legge n. 6, contiene un elenco tassativo delle misure adottabili sull'intero territorio nazionale, rispettando la riserva di legge. E sono stati esplicitati e normati i criteri di adeguatezza e di proporzionalità (articolo 2, comma 1), che vincolano l'autorità delegata all'adozione delle misure - il Presidente del Consiglio - e che soprattutto ne circoscrivono l'azione, svuotandola della arbitrarietà.

E come dimenticare l'articolo 3, che mette ordine nella scala gerarchica dei diversi provvedimenti, che prevede, nelle more dell'adozione dei DPCM e con efficacia limitata fino a tale momento, che le regioni, in relazione a specifiche situazioni sopravvenute e di aggravamento del rischio, possano introdurre misure ulteriormente restrittive, esclusivamente nell'ambito delle loro competenze, senza incisione delle attività produttive e di quelle di rilevanza strategica per l'economia nazionale? Allora, l'insieme delle considerazioni che fin qui ho voluto ricordare deve aver indotto l'ex presidente della Corte costituzionale ad entrare a gamba tesa nel dibattito e a sostenere che, cito testualmente: chi dice Costituzione violata non sa di cosa sta parlando; e aggiunge, ricordando al Parlamento ciò che qualcuno evidentemente omette o fa finta di dimenticare, cioè che i poteri di emanazione dei DPCM sono stati attribuiti dal Parlamento e dunque non se li sono presi e non si tratta affatto di pieni poteri, essendo limitati dallo scopo, che è il contenimento della diffusione del virus, tassativamente previsti dal delegante - il Parlamento - e per un arco di tempo limitato, ovvero fino alla fine dell'emergenza, stabilita al 31 luglio 2020. È una ovvietà che dovrebbe davvero far impallidire chiunque sostenga il contrario, data l'autorevolezza della fonte che esprime il giudizio. Allora, almeno in quest'Aula, diciamocelo fino in fondo e con assoluta franchezza: si sospende la democrazia, si mina lo Stato di diritto quando si trascinano nello scontro politico, nell'agone politico, le istituzioni baluardo della democrazia; quando si cerca finanche di tirare per la giacchetta il Presidente della Corte costituzionale, è stato ricordato anche poco fa, sperando di segnare un punto decisivo nel dibattito tale da influenzare l'opinione pubblica e convincerla delle proprie ragioni; quando si tenta di farlo persino con il Presidente della Repubblica, garante della stessa tenuta democratica dello Stato; quando si soffia sulle divisioni e si spingono pezzi di Stato ad una guerra fratricida, incitando o magari sussurrando ad alcune regioni la disapplicazione di provvedimenti statali nonostante il periodo drammatico, e costringendo ad impugnare quelle ordinanze davanti ai giudici amministrativi; quando, inoltre, si dice che la democrazia è sospesa, perché il Parlamento è chiuso e la Camera non lavora, mentendo ai cittadini, che sicuramente sono frastornati e smarriti in questo momento, e lo si fa sapendo di mentire e omettendo di riferire che il Parlamento italiano è stato uno dei più, o forse il più operativo durante la gestione delle emergenze da COVID-19 (per arrivare a questo dato basta confrontare il numero delle sedute del Parlamento italiano con quello di altri Parlamenti europei). Si fa ciò, ancora, quando si alimenta un dibattito pubblico, parlando di pieni poteri, di deriva autoritaria, dimenticando ciò che si è votato in queste aule, perché lo si è votato e cosa si è dichiarato. Infine, è stato ricordato anche prima, per quanto riguarda il decreto n. 19 del 2020 è stato già previsto un passaggio in Aula e l'Aula sicuramente migliorerà ancora quel testo. È già prevista un'interlocuzione stabile tra Parlamento e Governo ma, sia chiaro, soprattutto fuori dall'Aula, perché è al di fuori che viene alimentato un dibattito surreale: nessuno ha usurpato nulla, nessuno ha chiuso il Parlamento, nessuno ha sospeso la democrazia. D'altra parte, questa è la Camera dei deputati della Repubblica italiana, non il Parlamento ungherese da cui Orbán ha ottenuto pieni poteri a tempo illimitato - non limitato, illimitato -, silenziando e addormentando il Parlamento.

Questo dovrebbero ricordarlo proprio alcuni firmatari della mozione che lo hanno applaudito e difeso in quella scellerata scelta.

PRESIDENTE. E' iscritta a parlare la deputata Giusi Bartolozzi. Ne ha facoltà.

GIUSI BARTOLOZZI (FI). Grazie Presidente, la mozione in discussione intende richiedere alla Camera non solo di intervenire sui delicati temi connessi alla cosiddetta seconda fase delle misure di contrasto alla pandemia da Coronavirus, ma anche un pronunciamento su quel che è avvenuto in questi mesi e che ha, diciamo così, dell'originale sul piano costituzionale. Auspichiamo un confronto che crediamo debba superare gli schieramenti politici e che sia affidato alla politica alta, a quella che non dimentica il rilievo dei diritti fondamentali che custodisce i valori costituzionali, che assume la responsabilità di interrogarsi sulle scelte fatte per preparare il futuro. In questo tentativo è necessario volgere lo sguardo indietro anche per scongiurare errori del passato. Il collega Ceccanti lo ricordava bene prima: errori ci sono stati - lo ha detto lui - e probabilmente altri Governi avrebbero fatto - lui si chiedeva - diversamente, ma errori ci sono stati. Ecco, collega Ceccanti, con quell'umiltà che lei invocava e senza faziosità, forse, semplicemente rivolgendo lo sguardo al nostro passato, questi errori sarebbero stati evitati. Allora, nell'illustrare in questo Parlamento le norme di quella che sarebbe divenuta la legge n. 100 del 1926 (norme sulla facoltà del potere esecutivo di emanare norme legislative), il ministro Alfredo Rocco (era il 25 giugno del 1925), ricordava che vi sono circostanze nelle quali la legislazione normale, appunto per la sua natura, non può essere applicata. Vi è, in sostanza, come una condizione risolutiva o, se si vuol meglio, sospensiva tacita in tutta la legislazione nazionale, cioè che non si verifichino circostanze straordinarie nelle quali la legislazione normale non si possa più applicare e non vi sia tempo per provvedere, in via legislativa, alle nuove esigenze sopravvenute. Allorché questa condizione si verifica, la legislazione normale viene meno e sorge, di necessità, la facoltà del Governo di provvedere.

Dunque, prima dell'entrata in vigore della Costituzione, vigente lo Statuto Albertino, accanto all'ipotesi nella quale il Governo si trovasse ad esercitare facoltà spettanti ad altri poteri dello Stato - del Parlamento, attraverso i decreti-legge - vi era quella nella quale, al fine di provvedere alla continuità della vita dello Stato e della nazione, l'Esecutivo potesse esercitare in autonomia i “poteri di governo”. Prima dell'avvento della Costituzione, lo stato d'emergenza affidato alla consuetudine ed al principio di conservazione dello Stato, poteva concepire una riserva di competenza del Governo. Poteri propri dell'Esecutivo, naturale esplicazione di una delle sue funzioni fondamentali, cioè provvedere alla vita dello Stato, che traevano il proprio fondamento dalla legislazione sullo stato d'assedio che trovò prima applicazione nello Statuto unitario con l'odiosa “legge Pica” (avversata da Parlamentari siciliani quali Francesco Crispi). Questi poteri oggi vanno ritenuti del tutto incompatibili con l'ordine costituzionale. Invero, la questione repubblicana, nel riconoscere il ruolo centrale alla democrazia parlamentare, ha spazzato via ogni possibile legittimità dell'esercizio del potere legislativo da parte dell'Esecutivo, circoscrivendo tale eccezionale ipotesi all'adozione di provvedimenti provvisori con forza di legge, prescrivendone, dopo l'emanazione del Presidente della Repubblica, la presentazione alle Camere “sotto la sua responsabilità”… il giorno stesso …per la conversione”, e che, addirittura, anche se sciolte, “sono appositamente convocate e si riuniscono entro cinque giorni”, proprio a sottolineare la portata assolutamente eccezionale della decretazione d'urgenza e l'ineludibile vincolo con il legislatore.

La natura del tutto eccentrica dei poteri provvisori di legiferazione nel nostro sistema delle fonti, sulla scorta dei chiari indirizzi della Corte costituzionale, è stata poi ulteriormente declinata e circoscritta dall'articolo 15 della legge n. 400 del 1988. Tale legge, per la prima volta nella storia repubblicana, ha individuato espressamente le competenze del Consiglio dei ministri e del Presidente del Consiglio, in una prospettiva pienamente rispettosa del dettato costituzionale. La ratio delle disposizioni contenute nella legge n. 400 non è stata quella di un ampliamento, ma di una razionalizzazione dei poteri normativi dell'Esecutivo attraverso la valorizzazione del Parlamento come organo di grande legislazione e di controllo sull'attività normativa dell'Esecutivo e, correlativamente, del Governo attraverso il potenziamento del potere regolamentare. Fuori da questi puntuali e per certi versi angusti limiti, deve ritenersi che non vi sia né vi possa essere spazio per la compressione di diritti costituzionalmente garantiti attraverso atti dell'Esecutivo, a fortiori se aventi natura meramente amministrativa generale come i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri. Tali atti non possono avere natura regolamentare e quindi di normazione anche secondaria, se assunti al di fuori delle forme sancite dall'articolo 17 della citata legge n. 400 del 1988 (cioè il decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il parere del Consiglio di Stato, sottoposti al visto e alla registrazione della Corte dei conti e pubblicati nella Gazzetta Ufficiale).

Con riguardo al potere regolamentare, l'articolo 17 sancisce infatti una disciplina organica riferita alle procedure di formazione e controllo, distinguendo i regolamenti del Governo dai regolamenti ministeriali e soprattutto prevedendo una loro puntuale tipizzazione, connotazione che rimane peraltro inalterata di fronte all'invasione del policentrismo nell'area dei poteri regolamentari delineato dal novellato Titolo V della Costituzione, che circoscrive l'esercizio della potestà regolamentare governativa alle sole materie affidate alla competenza legislativa esclusiva dello Stato. È pur vero che nelle fonti sulla produzione del regolamenti lo schema tipico disegnato dall'articolo 17 della legge n. 400 del 1988 non può essere considerato come unico e indefettibile - si è parlato di “fuga dal regolamento” da parte degli esecutivi -, ma è parimenti ineluttabile che il rispetto dei principi di legalità esiga che una legge autorizzi un atto secondario a dettare la disciplina regolamentare e quindi normativa secondaria, ancorché con forme e modalità diverse da quelle sancite dalla predetta disposizione. E se le restrizioni della libertà personale sono ammissibili nei soli casi e modi previsti dalla legge, come recita l'articolo 13, in nessun caso si sarebbe potuto procedere con atto privo di natura regolamentare, quindi di valenza amministrativa generale, qual è appunto il DPCM. Questo è stato quello che anche ha statuito la recente pronuncia del TAR Calabria in relazione alla proprio alla natura del DPCM, quindi, natura - valenza - amministrativa generale e non natura regolamentare. Ed è per questo che, collega Ceccanti, noi, almeno io non posso accettare la forma che si stabilizzi, che venga, che trovi ingresso in Parlamento la parlamentarizzazione del DPCM, perché il Parlamento non può intervenire su un atto che ha natura amministrativa, non regolamentare. Vi sono in gioco i principi dello Stato di diritto, si revoca in dubbio la questione del principio di legalità; lo hanno precisato giuristi come Gaetano Silvestri, Sabino Cassese, Michele Ainis, e l'unico pensiero, l'unica voce dissenziente era quella citata prima dalla collega Macina, di Gustavo Zagrebelsky, pur autorevole. Quel che è avvenuto ed a cui abbiamo dovuto assistere non è stata soltanto l'obliterazione del Parlamento, delle sue prerogative, della sua missione in un momento tra i più gravi della storia repubblicana, ma l'esercizio di poteri normativi e regolatori dell'Esecutivo sotto le mentite spoglie di DPCM che hanno inciso, sino alla compressione, su diritti fondamentali costituzionalmente garantiti, che hanno degradato, senza adeguati ed esaustivi compensi legislativi, l'esercizio dei diritti a concessione governativa. Il Premier ha operato in assenza della ponderazione necessaria al bilanciamento di diritti fondamentali, prescindendo dalla valutazione del Parlamento; dunque, una preminente scelta discrezionale da parte dell'Esecutivo, coadiuvato da una pletora di organismi tecnici sui quali, al netto di qualche eccezione, è meglio sorvolare per carità di patria. Ricordiamo che al primo atto adottato dal Consiglio dei ministri, la dichiarazione dello stato di emergenza di rilievo nazionale giusta delibera del 31 gennaio 2020, adottato sulla base del decreto legislativo n. 1 del gennaio 2018, è seguito un profluvio di decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, decreti ministeriali, circolari, ordinanze di Protezione civile statali, regionali, comunali; per non parlare delle conferenze stampa via televisione o, peggio, via Facebook o addirittura delle FAQ, assurte a criterio regolativo o interpretativo vincolante.

Quello che è stato definito lockdown, lo stato di emergenza, è del tutto evidente abbia inciso, comprimendole in tutto o in parte, su libertà fondamentali, limitando diritti costituzionali. In disparte, ma non meno rilevante, la questione dell'incidenza delle previsioni del citato decreto e dei DPCM sulle competenze costituzionalmente garantite delle regioni, con sottrazioni alle stesse regioni di rilevanti poteri normativi in materia di potestà concorrenti o esclusive quali oltre la salute, il commercio, l'artigianato e industria, l'agricoltura, l'istruzione, il turismo, le politiche culturali, nonché dei comuni. Obiettivo dichiarato dei provvedimenti presidenziali: in primo luogo, la tutela del diritto fondamentale alla salute in un bilanciamento operato solipsisticamente dal Governo, talvolta direttamente dalla Presidenza del Consiglio in un primo momento senza copertura da fonte legislativa, poi con generici riferimenti contenuti i dei decreti-legge pur approvati dal Parlamento, ridotti ad un paravento legittimante l'esercizio di poteri sostanzialmente normativi mediante DPCM, e che solo la sbrigativa, e per molti versi perplessa, motivazione del TAR Calabria - ricordavo, la sentenza n. 457 del 2020 - può risolvere con la chiamata in sussidiarietà. Basterebbe rileggere il testo del decreto-legge n. 6 del 2020, che all'articolo 1 reca una elencazione non tassativa di misure coercitive, come si evince dall'espressione “possono essere adottate anche le seguenti”, o, soprattutto, all'articolo 2, laddove si dice “le autorità competenti possono adottare ulteriori misure di contenimento e gestione dell'emergenza”, caso evidente di norma in bianco. Si tratta di svolgimento della funzione normativa in frode alla Costituzione, conseguenza estrema della perdita di senso del principio di separazione dei poteri e dell'indifferenza per le forme e del principio di legalità sostanziale. Ma, Presidente, onorevoli colleghi, ogni attribuzione legislativa in bianco comporta il rovesciamento del sistema delle fonti primarie, con conseguente alterazione dell'ordine gerarchico delle fonti e dell'assetto costituzionale dei poteri e della riserva di legge relativa applicabile a tutte le imposizioni personali di non facere, ex articolo 23.

Pur se il contagio da Coronavirus rappresenta un'emergenza nazionale senza precedenti nella storia della Repubblica, le decisioni del Governo Conte, incidenti implicitamente ma altrettanto decisamente sull'ordine costituzionale, hanno imposto restrizioni che integrano uno stato di inedita compressione nell'esercizio dei diritti, con l'adozione di misure eccezionali solo parzialmente ancorate a previsioni aventi forza di legge, che non possono che svolgersi se non entro la puntuale cornice della Carta fondamentale della forma di Stato democratico delineato dalla stessa Corte costituzionale con la sentenza n . 127 del 1995.

Quel che è avvenuto, in parte coperto dal decreto-legge n. 6 del 2020, e pur attenuato da quello n. 19 del 2020, al netto del legittimo esercizio delle competenze di Protezione civile e del ricorso alla decretazione di urgenza in pendenza dei presupposti straordinari di necessità ed urgenza, deve dunque ritenersi una grave frattura costituzionale. Luigi Rossi, giurista e statista, trattando dello stato d'assedio in pieno regime fascista, ricordava che “trae spesso in inganno l'ammettere in diritto la figura logica delle eccezioni, mentre si dovrebbe riconoscere che vi sono soltanto regole e queste regole nel nostro ordinamento si trovano solo ed esclusivamente nella Costituzione”. Siamo costretti ad affermare, con grande rammarico, che in questa drammatica circostanza la Costituzione è stata elusa, se non addirittura violata, ed oggi discutiamo questa mozione perché quel che è accaduto sul piano istituzionale con la vulnerazione dei principi fondamentali non debba più ripetersi. Il diritto di necessità nell'ordinamento non può prescindere dai principi fondamentali, contemplando - l'ha ricordato la Presidente della Corte, Marta Cartabia – “un diritto speciale per lo stato di emergenza, poiché la Repubblica ha attraversato varie situazioni di emergenza e di crisi (…) tutte senza mai sospendere l'ordine costituzionale, ma ravvisando nel suo interno gli strumenti idonei a modulare i principi costituzionali in base a specifiche contingenze”.

Questa mozione oggi assume un valore di grande rilievo, poiché induce il Parlamento non solo a pronunciarsi su ciò che è stato - e per molti aspetti non avrebbe dovuto essere, ovvero un sistema di regole governative in un contesto di apparente anomia -, ma soprattutto per ristabilire il corretto ordine di priorità costituzionale. Ciò che siamo stati costretti a subire, il confusionario esercizio dei poteri regolatori da parte del Consiglio dei ministri, deve condurre a raccogliere l'auspicio formulato dal Presidente della Repubblica, allora professore Mattarella, in uno scritto del 2013 e che della legge n. 400 del 1988 è stato l'estensore, di un riordino dei poteri normativi del Governo che riduca la molteplicità delle forme in cui essi vengono esplicati, anche mediante riforme di rango costituzionale.

Si è scritta una brutta pagina nei rapporti tra Governo e Parlamento, tra fonti legislative ed amministrative, tra poteri d'ordinanza e diritti fondamentali. Forza Italia farà ciò che è necessario per il bene degli italiani, in una prospettiva di qualità della normazione, imprescindibile di fronte alle vicende drammatiche della pandemia e, più in generale, delle sfide della moderna società, proponendo una disciplina compiuta dell'emergenza

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.

Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.

Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta. Sospendiamo, a questo punto, la seduta per 30 minuti, quindi i lavori riprenderanno alle 14,35. La seduta è sospesa.

La seduta sospesa alle 14,05, è ripresa alle 14,40.

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Delmastro Delle Vedove e Scalfarotto sono in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta.

I deputati in missione sono complessivamente sessantasei, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Modifica nella composizione della Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema bancario e finanziario.

PRESIDENTE. Comunico che in data 8 maggio 2020 la Presidente del Senato ha chiamato a far parte della Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema bancario e finanziario il senatore Andrea Ferrazzi, in sostituzione del senatore Luigi Zanda, dimissionario.

Discussione del disegno di legge: S. 867 - Disposizioni in materia di sicurezza per gli esercenti le professioni sanitarie e socio-sanitarie nell'esercizio delle loro funzioni (Approvato dal Senato) (A.C. 2117-A); e delle abbinate proposte di legge: Novelli ed altri; Rostan ed altri; Minardo; Piastra ed altri; Bruno Bossio; Carnevali ed altri; Bellucci ed altri; Lacarra ed altri; Paolo Russo ed altri (A.C. 704-909-1042-1067-1070-1226-1246-1590-2004).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato, n. 2117-A: Disposizioni in materia di sicurezza per gli esercenti le professioni sanitarie e socio-sanitarie nell'esercizio delle loro funzioni; e delle abbinate proposte di legge nn. 704-909-1042-1067-1070-1226-1246-1590-2004.

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi per la discussione sulle linee generali è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).

(Discussione sulle linee generali – A.C. 2117-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Avverto che il presidente del gruppo parlamentare MoVimento 5 Stelle ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.

Avverto, altresì, che le Commissioni II (Giustizia) e XII (Affari sociali) si intendono autorizzate a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire il relatore per la Commissione Giustizia, deputato Michele Bordo.

MICHELE BORDO, Relatore per la II Commissione. Grazie, signor Presidente, onorevoli colleghi, l'Assemblea di oggi avvia l'esame del disegno di legge che reca disposizioni in materia di sicurezza per gli esercenti le professioni sanitarie e socio-sanitarie nell'esercizio delle loro funzioni. Questo provvedimento, così come le proposte avanzate da diversi colleghi sulla stessa materia di tutti i gruppi parlamentari, è volto a prevenire e contrastare in maniera più efficace e auspicabilmente risolutiva il sempre più frequente fenomeno delle aggressioni nei confronti del personale sanitario e socio-sanitario, rafforzandone la tutela da un lato tramite l'inasprimento delle pene per alcuni specifici reati se commessi in danno di operatori sanitari, dall'altro con misure specifiche di sensibilizzazione, disposizioni volte a migliorare la sicurezza all'interno delle strutture sanitarie. Dopo la fase istruttoria e le audizioni, le Commissioni Giustizia e Affari Sociali hanno deliberato di adottare come testo base quello approvato dal Senato, l'atto Camera 2117. Provvedimento, testo al quale nel corso dell'esame in sede referente nelle Commissioni sono state apportate ampie modifiche, passando da cinque a undici articoli. Segnalo, in primo luogo, che è stato premesso all'originario testo del disegno di legge un articolo volto a precisare meglio l'ambito di applicazione del provvedimento, chiarendo che sono da intendersi quali professioni sanitarie quelle individuate dagli articoli 4 e da 6 a 9 della legge 11 gennaio 2018, n. 3 e quali professioni socio-sanitarie quelle individuate dall'articolo 5 della medesima legge.

Con riguardo alle richiamate disposizioni della citata legge, che reca interventi che incidono in ambiti diversi, rammento che l'articolo 4 opera una revisione della disciplina delle professioni sanitarie, in parte novellando il decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato n. 233 del 13 settembre 1946, ai Capi 1, 2 e 3, concernente gli ordini delle professioni sanitarie, gli albi nazionali e le federazioni nazionali, e in parte introducendo nuove disposizioni relative agli ordini e alle federazioni. L'articolo 2 di questo disegno di legge prevede l'istituzione, presso il Ministero della Salute, di un osservatorio nazionale sulla sicurezza degli esercenti le professioni sanitarie e socio-sanitarie demandando poi a un decreto del Ministro della Salute, da adottare di concerto con i Ministri dell'Interno e dell'Economia e delle finanze, previa intesa in sede di Conferenza Stato-regioni, la definizione della durata e della composizione dell'osservatorio, nonché delle modalità con le quali l'organismo riferisce, di regola annualmente, come stabilito dopo l'intervento emendativo delle Commissioni in merito, sugli esiti della propria attività ai Dicasteri interessati. Si prevede, in ogni caso, che debbano far parte di tale organismo i rappresentanti delle regioni, un rappresentante dell'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, rappresentanti del Ministero dell'Interno, della Difesa, della Giustizia e del Lavoro e delle politiche sociali, degli ordini professionali interessati, delle organizzazioni di settore e delle associazioni di pazienti, nonché, a seguito delle modifiche introdotte in fase emendativa, di rappresentanti delle organizzazioni sindacali di categoria maggiormente rappresentative a livello nazionale e di un rappresentante dell'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro. L'organismo è istituito senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica e la partecipazione a questo organismo non dà diritto alla corresponsione di alcun rimborso o emolumento comunque denominati. All'osservatorio sono attribuiti compiti di monitoraggio degli episodi di violenza commessi ai danni degli operatori sanitari e socio-sanitari nell'esercizio delle loro funzioni, anche acquisendo i dati regionali relativi all'entità e alla frequenza del fenomeno, alle situazioni di rischio o di vulnerabilità nell'ambiente di lavoro. Tali dati sono acquisiti con il supporto dell'osservatorio nazionale delle buone pratiche sulla sicurezza nella sanità istituito presso l'Agenas. Altri compiti attribuiti all'osservatorio sono il monitoraggio degli eventi-sentinella che possano dar luogo a fatti commessi con violenza o minaccia ai danni degli esercenti le professioni sanitarie e socio-sanitarie, la promozione di studi e analisi per la formulazione di proposte e misure idonee a ridurre i fattori di rischio negli ambienti più esposti, il monitoraggio dell'attuazione delle misure di prevenzione e protezione previsti dalla disciplina in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro, anche promuovendo l'utilizzo di strumenti di videosorveglianza, la promozione poi della diffusione delle buone prassi in materia di sicurezza delle esercenti le professioni sanitarie e socio-sanitarie anche nella forma del lavoro in équipe.

Segnalo, inoltre, che nel corso dell'esame in sede referente le Commissioni Giustizia e Affari sociali hanno integrato l'elenco dei compiti assegnati all'osservatorio prevedendo che esso promuovesse corsi di formazione per il personale medico e sanitario finalizzati alla prevenzione e gestione di situazioni di conflitto, nonché a migliorare la qualità della comunicazione con gli utenti. Il nuovo osservatorio si rapporta per le tematiche di comune interesse con il suddetto osservatorio nazionale delle buone pratiche sulla sicurezza nella sanità.

L'articolo 3, anch'esso introdotto nel corso dell'esame in sede referente, rimette al Ministro della Salute la promozione di iniziative di informazione sull'importanza del rispetto del lavoro del personale esercente una professione sanitaria o sociosanitaria, utilizzando le risorse disponibili a legislazione vigente per la realizzazione di progetti di comunicazione istituzionale.

Quanto all'articolo 4, limitatamente modificato durante l'esame in sede referente, esso interviene sull'articolo 583-quater del codice penale, che attualmente aggrava le pene quando le lesioni sono rivolte a un pubblico ufficiale in servizio di ordine pubblico in occasione di manifestazioni sportive; e abbiamo aggiunto in sede referente un nuovo comma, al citato articolo del codice penale 583-quater, le medesime pene aggravate: per lesioni gravi reclusione da quattro a dieci anni e per lesioni gravissime reclusione da 8 a 16 anni. Queste pene aggravate si applicano quando le lesioni siano procurate, quindi, non solo se rivolte al pubblico ufficiale in servizio di ordine pubblico, ma anche quando queste lesioni siano procurate a personale esercente una professione sanitaria o sociosanitaria nell'esercizio delle sue funzioni o a causa di esse, nonché a incaricati di pubblico servizio nello svolgimento di attività di cura, assistenza sanitaria e di soccorso. Viene conseguentemente, in ragione di questa modifica, cambiata anche la rubrica dell'articolo 583-quater del codice penale.

L'articolo 5, anch'esso limitatamente modificato dalle Commissioni di merito, inserisce poi tra le circostanze aggravanti comuni del reato l'aver agito nei delitti commessi con violenza e minaccia in danno degli esercenti le professioni sanitarie e sociosanitarie nell'esercizio delle loro funzioni; tale nuova ipotesi viene aggiunta all'elenco delle circostanze aggravanti comuni previste dall'articolo 61 del Codice penale, al numero 11-octies. Segnalo che in tale elencazione figura al numero 10 l'aggravante comune dell'aver commesso il fatto contro un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio nell'atto o a causa dell'adempimento delle funzioni o del servizio, circostanza che attualmente la giurisprudenza applica anche ai reati contro il personale medico, infermieristico e ausiliario delle strutture ospedaliere e territoriali del Servizio sanitario nazionale. La giurisprudenza ha infatti riconosciuto la qualifica di pubblico ufficiale al personale sanitario o parasanitario presso le aziende sanitarie, gli ospedali e in generale le strutture sanitarie pubbliche. Rilevo, pertanto, a tale proposito, che la nuova aggravante del numero 11-octies dell'articolo 61 del codice penale, che espressamente si applica agli operatori sociosanitari a prescindere dalla natura pubblica o privata della struttura presso la quale operano, si sovrappone solo parzialmente con quella già prevista dal numero 10 del medesimo articolo del codice penale, che ha un campo di applicazione circoscritto allo svolgimento di un servizio pubblico. Ricordo infine che le aggravanti comuni comportano un aumento di pena fino ad un terzo.

L'articolo 6, che non è stato modificato dalle Commissioni in sede referente, interviene a modificare gli articoli 581 e 582 del codice penale, al fine di prevedere che i reati di percosse e lesioni siano procedibili d'ufficio quando ricorre l'aggravante, introdotta dal disegno di legge in esame, che consiste nell'aver agito nei delitti commessi con violenza o minacce in danno degli esercenti le professioni sanitarie o socio sanitarie nell'esercizio delle loro funzioni. Non sarà dunque necessaria in quel caso la querela della persona offesa.

Inoltre, nel corso dell'esame in sede referente, le Commissioni hanno introdotto l'articolo 7 che prevede l'obbligo per le aziende sanitarie, per le pubbliche amministrazioni e per le strutture sanitarie in cui operano gli operatori sanitari e sociosanitari, di costituirsi parte civile nei processi di aggressione nei confronti dei propri esercenti le professioni sanitarie e sociosanitarie nell'esercizio delle loro funzioni.

Ai sensi dell'articolo 8, invece, anch'esso introdotto in fase emendativa, analogamente ai successivi articoli 9 e 10, le strutture presso cui opera il personale sanitario e sociosanitario al fine di prevenire episodi di aggressione e di violenza, prevedono nei propri piani per la sicurezza misure volte ad inserire specifici protocolli operativi con le Forze di polizia per garantire interventi tempestivi.

L'articolo 9 istituisce invece la Giornata nazionale di educazione e prevenzione contro la violenza nei confronti degli operatori sanitari e sociosanitari, che ha lo scopo di sensibilizzare e di cercare l'attenzione nei confronti di questi episodi e c'è anche scritto nell'articolo che la Giornata nazionale non determina gli effetti civili di cui alla legge n. 260 del 27 maggio 1949, che considera alcune giornate quali solennità civili agli effetti del ridotto orario negli uffici pubblici e dell'imbandieramento dei pubblici edifici. Come previsto dal comma 2 dell'articolo 9 poi, le amministrazioni interessate provvedono agli adempimenti con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.

L'articolo 10 prevede, salvo che il fatto costituisca reato, la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da 500 a 5 mila euro per chiunque tenga condotte violente, ingiuriose, offensive ovvero moleste nei confronti di personale esercente una professione sanitaria o sociosanitaria, nonché di incaricati di pubblico servizio presso strutture sanitarie e sociosanitarie pubbliche o private. Segnalo, a tale proposito, che l'ambito di applicazione delle sanzioni amministrative non corrisponde a quello individuato dall'articolo 4 del disegno di legge in esame, che fa riferimento al personale esercente una professione sanitaria o sociosanitaria nell'esercizio delle sue funzioni o a causa di esse e di incaricati di pubblico servizio nello svolgimento di attività di cura, assistenza sanitaria e di soccorso. Non vi è dunque nella definizione dell'illecito amministrativo alcun riferimento all'esercizio delle funzioni o al concreto svolgimento delle attività di cura o soccorso.

L'articolo 11, infine, contiene la clausola di invarianza finanziaria.

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire la rappresentante del Governo, sottosegretario alla Salute, Zampa.

SANDRA ZAMPA, Sottosegretaria di Stato per la Salute. Grazie, mi riservo di intervenire in seguito.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Paolo Siani. Ne ha facoltà. Ci dobbiamo ancora abituare ai viaggi dalla propria postazione fino al centro dell'emiciclo. Grazie, a lei la parola.

PAOLO SIANI (PD). Grazie Presidente, grazie sottosegretaria, grazie cari colleghi. Questo provvedimento nei mesi scorsi è stato a lungo invocato dai miei colleghi medici e da tutto il personale sanitario e c'è stata un'attenzione crescente nei mesi scorsi, devo dirvi anche soffocante, su un tema davvero increscioso e per molti versi incomprensibile: perché tanta violenza contro chi lavora in sanità? Tutti ci chiedevamo nei mesi scorsi perché uno va in ospedale per curarsi e in realtà picchia quello che dovrebbe curarlo. Bene, tutto questo però sentendolo oggi sembra davvero fuori contesto. Era solo il 14 marzo, neanche un mese fa, e a mezzogiorno in tutto il Paese da ogni balcone si è alzato un applauso lungo, lunghissimo, emozionante per dire grazie a tutti coloro che si stavano prendendo cura di noi mettendo a rischio però la propria vita; e molti, troppi colleghi, ahimè, l'hanno persa la vita durante questa terribile epidemia e a tutti loro e alle loro famiglie va il mio più sincero ricordo e il mio più profondo grazie. Questo dell'applauso, del grazie, del ringraziamento è il mondo del COVID-19, dove è avvenuto una sorta di miracolo, perché si è ristabilito quel patto di fiducia e di riconoscenza per chi fa il medico e si prende cura dei propri pazienti, anche senza protezioni, anche senza mascherine, senza tempo, raddoppiando il turno di lavoro, fino allo sfinimento su una scrivania o su una panca, come abbiamo visto in tv in questi giorni.

Infatti, chi lavora in sanità, Presidente, lavora così sempre. Qualcuno li ha chiamati eroi, ma non sono eroi: sono medici, infermieri, tecnici di radiologia, tecnici di laboratorio, addetti alle pulizie, che fanno semplicemente e normalmente sempre il loro lavoro, e, lasciatemelo dire, è il lavoro più bello del mondo. Lo fanno tutti insieme, lo fanno in squadra, perché se il tecnico di radiologia non fa subito e bene quella radiografia, se l'infermiere non prende subito e bene quella vena difficile e se il medico non ha la lucidità per prendere decisioni complesse, il sistema, tutto il sistema, non funziona. Se un anello di questa catena non va nel giusto posto, si blocca il sistema, perché quello sanitario è un sistema altamente complesso. Quindi, non sono eroi, ma ci sono stati degli eroi, lasciatemelo dire. Sono stati eroi tutti quei colleghi come me che, negli ultimi dieci anni, hanno mantenuto in piedi il nostro Sistema sanitario nazionale nonostante i tagli, le carenze di personale molto gravi, tagli di risorse, di tecnologie, e lo hanno fatto in silenzio, senza applausi, ma hanno continuato con difficoltà enormi a fare il loro lavoro. Certo, con difficoltà, certo, hanno fatto il possibile, e hanno subito anche episodi di violenza, senza lamentarsi, per tenere in piedi un sistema. Voglio solo rammentarvi che negli ultimi nove anni la riduzione dei posti letto in Italia è stata pari quasi al 14 per cento, con un'importante riduzione dei posti letto - abbiamo scoperto in questi giorni - proprio nei reparti di malattie infettive e in terapia intensiva. In questi mesi è accaduto il miracolo, cioè si è ristabilito quel patto di fiducia tra medici e pazienti, e sono stati riattivati dal Governo, dallo Stato, quei posti che erano stati tagliati in precedenza, e abbiamo avuto l'enorme aumento di posti letto di terapia intensiva e subintensiva. Infatti, in questi mesi, non è stato registrato nessun atto di violenza, nessuna recriminazione, anzi tutti hanno accettato lunghe attese al primo soccorso, hanno accettato attese in barella, hanno accettato di aspettare lunghi turni in rianimazione, perché si è stabilito quel patto di fiducia: i cittadini avevano di nuovo fiducia dei loro medici, e i medici hanno fatto il possibile per curarli tutti, anche senza protezioni. Questa è la normale prassi nella sanità, ma torniamo invece alla vita pre-COVID-19, torniamo ai mesi scorsi, a dicembre, gennaio, quando contavamo 3 mila casi di aggressioni a medici e a infermieri ogni anno: tremila casi di aggressione! Gli infermieri ci dicono che gli esposti al rischio sono quelli ovviamente di pronto soccorso, e sono stati circa 500 gli infermieri che hanno avuto violenze in pronto soccorso, ma non solo lì, anche in corsia, cioè nei posti dove il paziente è già sistemato, abbiamo episodi di violenza, anche negli ambulatori (circa 320 all'anno). I dati ci dicono che al Sud le aggressioni sono più frequenti, e questo è lo specchio, Presidenze, delle disuguaglianze nel nostro Paese, delle carenze organizzative del nostro Paese, del Sud Italia, ma anche dei tagli alla sanità nel Sud Italia. Infatti nel Sud Italia molte regioni sono state obbligate a piani di rientro con radicali tagli di posti letto e di personale. Tutto questo, evidentemente, ha incrinato quel patto di fiducia. Tutto questo ha creato un fenomeno, disdicevole e insopportabile, della violenza contro medici, infermieri e tutto il personale della sanità. Ma cerchiamo di capire nel dettaglio il fenomeno, per provare a comprenderlo meglio e capire quindi come arginarlo. Negli ospedali e anche nelle altre strutture sanitarie, negli ambulatori, dovunque ci siano attività sanitarie, gli episodi si verificano, dagli studi fatti, nelle fasi della giornata particolari, per esempio di sera o di notte, o nei fine settimana, forse perché in quel momento c'è un ridotto numero di personale; non sono rari i casi di violenza anche nelle sale d'attesa degli ambulatori o degli ospedali, e questo è particolarmente strano e incomprensibile. Ma perché si scatena l'ira degli ammalati e spesso dei familiari degli ammalati?

Dice la letteratura che ciò si verifica quando ci sono disservizi, quando gli spazi sono sovraffollati, quando le liste d'attesa sono troppo lunghe, quando si sta in attesa di un intervento sanitario e non si capisce bene quando verrà il mio turno. Aggiungiamo a tutto questo l'ansia di chi è in quel momento in ospedale per una qualsiasi patologia; tutto questo scatena o può scatenare in alcune circostanze la violenza contro il personale. È fenomeno che non è solo italiano, naturalmente, ma è diffuso in tutto il mondo. Infatti molti lavori, anche internazionali, anche di riviste inglesi molto importanti lo hanno studiato in profondità, e hanno evidenziato i fattori scatenanti, che sono ritenuti quelli più influenti in letteratura, che sono sei. Il primo è il sovraffollamento del pronto soccorso: se c'è troppa gente in attesa, questo crea uno stato di ansia e di preoccupazione; una mancanza di un triage fatto bene, una struttura che ha spazi inadeguati - quindi locali troppo piccoli, poco accoglienti - e il basso livello di umanizzazione delle cure, che è un elemento molto importante in sanità. Oppure, quelli che più spesso fanno atti di violenza sono dei pazienti che fanno uso di alcol, di droghe, o pazienti con un livello socio-culturale basso, e questo è caratteristico del Sud Italia. Al sesto punto c'è anche l'insufficienza della preparazione dei medici a gestire situazioni complesse in emergenza, cioè il medico non riesce a gestire un affollamento e un caos al pronto soccorso se non è preparato a farlo; a volte bastano piccole parole, piccoli gesti, per stemperare l'ansia. Bene, per tutti questi motivi, questa proposta di legge va nell'ottica non solo di inasprire le pene, ma vuole essere un deterrente, vuole provare a scoraggiare quei cittadini che per i motivi che ho appena detto causano violenza a chi lavora in sanità. Ciò perché sappiamo tutti bene che non servirà soltanto inasprire le pene, non servirà aumentare gli anni di galera, perché, Presidente, sono molto pochi i medici che denunciano, quindi è importante che si proceda d'ufficio, è importante che un medico venga esonerato dal peso di dover denunciare un suo paziente e quindi anche il suo aggressore. Questa proposta di legge vuole inoltre, come ha detto il mio collega Bordo, provare a monitorare alcune cose, per esempio gli eventi sentinella: ci sono degli eventi in sanità che sono degli alert, che possono dare un allarme, e se un'azienda sanitaria verifica più di un alert vuol dire che il sistema non sta funzionando bene, c'è una distorsione. Per questo vogliamo promuovere studi e analisi per provare a ridurre questo fenomeno, che vuol dire anche monitorare tutte le misure di prevenzione che si possono fare nelle aziende. E ultima cosa, ma molto importante, è diffondere le buone pratiche che esistono nel nostro Paese, che vanno quindi diffuse e anche copiate in altre realtà territoriali. Tutto questo prova a fare questa proposta di legge, che arriva in un momento in cui sembra effettivamente inutile. Ma diciamocelo oggi, e diciamolo chiaramente: non ci sarà legge, non ci saranno norme che potranno evitare questo triste e deprecabile fenomeno, se non si ristabilisce quel patto di fiducia fra cittadini e medici; e questo non lo si può fare per legge. Per cui, se non si riesce a mettere i medici, gli infermieri e tutti i tecnici nelle condizioni di poter svolgere al meglio il loro lavoro, quindi mettere in atto l'articolo 32 della nostra Costituzione, il fenomeno della violenza sui medici, che sembra oggi miracolosamente scomparso, riapparirà in tutta la sua gravità. Fare il medico è difficile, perché fare una diagnosi spesso è difficile, perché tutti pensiamo di essere ormai immortali ma le malattie esistono, e perché è difficile saper comunicare con i pazienti, ma per fare bene il medico c'è bisogno di serenità e di fiducia; e se si rompe il patto di fiducia il medico non fa altro che attuare una medicina, che si chiama difensiva, che non è la medicina migliore per i pazienti e neanche per il Sistema sanitario nazionale, perché è costosa e spesso non è neanche quella più corretta. Per questo motivo pensiamo che sia necessario adesso, mentre ancora stiamo combattendo con un virus subdolo e pericoloso, ripensare al nostro sistema.

Questa pandemia ci ha insegnato molte cose: a conoscere un virus, a capire come curarlo (abbiamo provato tanti farmaci tante, tanti approcci terapeutici); abbiamo imparato dagli antichi che il modo migliore era stare in quarantena e separarsi, ma ci ha anche insegnato che è necessario riorganizzare la medicina territoriale e le strutture socio sanitarie. La crisi degli ospedali è correlata, inevitabilmente e sempre, con il depauperamento dei servizi territoriali: se il territorio non funziona bene, non fa un filtro adeguato, l'ospedale va in sofferenza. In questi mesi, i medici del territorio hanno fatto quello che potevano, loro ancor di più senza protezioni: si sono inventati le cure telefoniche e per WhatsApp con i pazienti.

Ebbene, per provare a contrastare questo fenomeno orribile della violenza sui medici, dobbiamo cominciare a fare, non solo, campagne di comunicazione ad hoc, non solo dobbiamo provare a formare i medici e il personale sanitario per controllare episodi del genere; non solo dobbiamo incrementare la vigilanza negli ospedali, nei pronto soccorsi, nelle corsie, ma dobbiamo mettere il territorio nelle condizioni di poter lavorare bene, perché se questo funziona si svuoteranno miracolosamente, come in questi mesi, le sale d'attesa dei nostri pronto soccorsi; si svuoteranno i nostri reparti di malati inutili, di malati, cioè, che possono essere curati tranquillamente nelle loro case o nel territorio; verranno meno tutti quegli eventi sentinella che possono portare e che portano alla violenza negli ospedali e nei pronto soccorsi. Bisogna fare in modo, adesso che stiamo combattendo contro un virus così aggressivo, di mettere tutti i medici, del territorio e dell'ospedale, nelle migliori condizioni per poter curare gli ammalati. Il territorio potrà curare gli ammalati di patologie di bassa complessità e lasciare agli ospedali gli ammalati, come in questo periodo, di alta complessità che hanno bisogno di terapie intensive e sub intensive.

Allora, grazie per gli applausi, ma quello è soltanto il lavoro dei medici, che facciamo sempre, al meglio delle nostre possibilità, perché è un lavoro difficile, è un lavoro pesante, fatto di rinunce, fatto di turni che durano dodici o ventiquattro ore senza smontare, di giovedì o di domenica, a Natale, come a Capodanno o a Ferragosto, è fatto di lunghe ore in piedi a un tavolo operatorio, perché l'intervento si prolunga, è fatto di operazioni su se stessi, per dominare la paura, la paura di sbagliare, la paura di non aver fatto tutto quello che era possibile per il proprio paziente, tocca trattenere il dolore per la morte di un paziente e se il paziente è un bambino il dolore è insopportabile, tocca abbracciare un familiare per dargli coraggio e ci tocca accogliere tutte le ansie e le preoccupazioni dei pazienti, quelle piccole e quelle grandi, ma quello che non ci tocca proprio è una violenza inutile e sempre ingiustificata.

Guardate, nessun medico vorrebbe mai perdere un ammalato e farà sempre di tutto per salvarlo; certo, potrà sbagliare, come tutti, ma non sarà mai un errore volontario e sappiate che quell'errore, quel medico, se lo porterà dentro tutta la vita, e sappiate che l'errore dipende, oggi più che mai, dal sistema: se il sistema funziona l'errore non si verifica, se il sistema si inceppa è possibile che qualcuno in quella catena di montaggio cada in quell'errore, come accade al tavolo operatorio; quando l'équipe lavora all'unisono, è in grado di affrontare qualsiasi emergenza anche grave, qualsiasi condizione che nessuna linea guida può prevedere, perché se, quando sto operando un tumore del pancreas, avviene un'emorragia inaspettata, in quei secondi in cui bisogna far fronte all'emorragia, che, ovviamente, sappiamo mettere a rischio la vita del paziente, ci vogliono calma, saggezza, sangue freddo, esperienza e lavoro di équipe, ognuno deve saper cosa fare in quel momento. Così, il professor Corcione, mio amico, pochi giorni fa ha raccontato su un quotidiano una sua operazione complessa che è riuscito a dominare, facendo tutto questo. Tutto questo è il lavoro dei medici, tutto questo serve per abbassare il più possibile gli errori e garantire ai nostri pazienti e ai nostri cittadini la migliore assistenza possibile.

Per fare tutto questo è necessario quel famoso patto di fiducia che in questi mesi si è miracolosamente ristabilito, perché i cittadini hanno capito che i medici facevano il massimo e nel miglior modo possibile, con tutte le carenze, le difficoltà e le deficienze che vi erano in quel momento. Hanno buttato oltre l'ostacolo il loro cuore, hanno inventato nuove terapie, hanno provato a fare più del possibile per i nostri pazienti. Ogni giorno, contiamo i morti, ma ciò nonostante la gente ringrazia ancora i medici. Ebbene, se tutto questo funziona, Presidente, e concludo, non avremo più tanti casi di violenza contro il personale sanitario che lavora tutto insieme, ma avremo più applausi dai balconi, come il 14 marzo scorso. Questa proposta di legge può rappresentare uno strumento utile se viene inserita in un nuovo sistema sanitario che possa mettere tutto il sistema a lavorare all'unisono e nel miglior modo possibile. Se questo accade, questa legge sarà probabilmente inutile (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Paolo Russo. Ne ha facoltà.

Il deputato Russo sta raggiungendo la postazione. Prego.

PAOLO RUSSO (FI). Grazie, Presidente. Non avremmo mai immaginato che ci saremmo occupati di questa norma nel bel mezzo della tragedia COVID-19. Rilevo come, anche durante il contrasto alla pandemia, non siano mancati episodi di violenza contro sanitari e devastazioni di strutture. Forse mai avremmo voluto ammettere che quegli angeli, quelli che sono stati definiti “eroi”, che in queste settimane si sono distinti per abnegazione, per senso del dovere, per amore verso il prossimo sono gli stessi che, alla prima incomprensione, al primo intoppo, vengono colpiti da una furia di violenza brutale e primordiale. Il catalogo delle minacce e delle violenze nei confronti del personale medico e del personale sanitario si presta ad ogni più vivida e criminale fantasia: ambulanze prese a calci, sassaiole, pronto soccorsi sventrati, violenze sessuali, ritorsioni per presunte cure inadeguate, proteste per attese giudicate immotivate o, addirittura, dirottamenti di autoambulanze. La rete della psichiatria, quella dei SAUT, nessuno sfugge a questa sorta di condanna tribale, una specie di sonno della coscienza civica, di sopore del rispetto per chi lavora per la nostra salute, un'avversione che talvolta prescinde dall'atto medico, per diventare ribellismo dimostrativo, per essere, esso stesso, emblema di un vivere avverso e diverso.

A questi comportamenti si risponde, non vi è dubbio, in chiave sociale e culturale. Il primo livello di intervento è la scuola, con l'educazione ad essere cittadini consapevoli e responsabili, mi pare che su questo fronte siamo, però, in una pericolosa spirale involutiva. Tuttavia, tutta questa opera sul fronte della formazione e della consapevolezza è troppo lenta, per questo serve la norma che stiamo esaminando, una norma che eserciti la sua funzione nei due aspetti: da una parte, la norma prova a regolare in modo preciso, con sanzioni definite, se volete, la vita professionale del medico, del personale sanitario, indicando cioè modalità di comportamento, azioni, attività, sanzioni, misure, misurando anche come lo Stato nelle sue articolazioni possa occuparsi di questa vicenda, provando a mettersi dalla parte del personale sanitario. Ma, una norma del genere ha anche un altro valore, non soltanto un valore prescrittivo, ha anche un valore etico, cioè fa comprendere con chiarezza lo Stato da che parte sta, lo ripeto, lo Stato, non il Governo, ma lo Stato, lo Stato nelle sue articolazioni, nelle sue articolazioni sociali, culturali, nel suo dinamismo territoriale, lo Stato da che parte sta.

Questa norma indica con chiarezza che lo Stato sta dalla parte di quel personale sanitario, che si reca ogni giorno a lavorare e lavora nell'interesse pubblico e, soprattutto, nell'interesse di provare a salvare vite umane.

Non possiamo, Presidente, pensare di rassegnarci alle violenze, alle soverchierie, alle prevaricazioni, alla legge talvolta del bullo e talaltra delle organizzazioni criminali: lo Stato, il Paese, la società civile, può e deve reagire.

Dobbiamo alimentare la cultura per il rispetto di quel camice bianco. Proverei a far ricordare ad ognuno come appena qualche decennio or è, quando quel camice bianco raggiungeva per esempio le nostre abitazioni per una visita particolare, per un consulto, per rilevare e valutare una condizione patologica, l'attenzione dell'intera famiglia era rivolta a quel medico, in tutti i modi e in tutte le forme rappresentate, anche quelle, se volete, semantiche, anche quelle plastiche. Persino l'attenzione che aveva la famiglia nel medico che giungeva a casa nel trovare la tovaglia giusta, per poter asciugare le mani a quel medico, dopo che se le fosse lavate! In quell'atto, in quel gesto, vi era l'attenzione, vi era il rispetto, vi era la considerazione, vi era la stima, vi era il dato di quel rapporto unico, che è costruito tra il medico e il paziente, tra il medico, il paziente e la comunità del paziente stesso.

Quel camice bianco, che era visto come il camice amico, negli ultimi anni, con una avversione se volete preconcettuale, è diventato una sorta di nemico da abbattere alla prima difficoltà e al primo intoppo. Forse - non ne sono ancora certo -, forse, drammaticamente questa pandemia ha risvegliato un pezzo di quella consapevolezza, quella consapevolezza che vede nell'operatore della salute un cittadino o una cittadina, un lavoratore o una lavoratrice che va rispettato. Non più di altri, ma va rispettato, va tutelato, se volete, va anche coccolato. E ce ne siamo accorti in queste ultime settimane quanto il valore di quel lavoro sia importante, indispensabile, non solo sul piano operativo per salvare vite umane, ma anche per dare unità al Paese e alla nazione, per dare quel senso civico di unità.

Lo Stato, però, deve fare la sua parte. Deve fare la sua parte sul fronte della obiettiva inadeguatezza contrattuale. Siamo fanalino di coda tra le prime otto economie europee per stipendio al personale sanitario. Saremmo retrocessi, se dovessimo considerare questa classifica come chi va verso la Champions League e chi, viceversa, va verso la serie B: il rispetto e le sanzioni per ogni atto verbale e fisico di minaccia o di violenza.

Abbiamo voluto in questa norma, con un nostro emendamento, che anche gli assistenti sociali, i sociologi e gli educatori professionali siano compresi nelle professioni sanitarie oggi tutelate da questa legge. Mi piace ricordare come con favore abbiamo colto l'individuazione di un percorso, che passi attraverso un osservatorio, sempre che questo osservatorio non diventi un luogo di burocrazia e un luogo tendenzialmente incline a passar carte.

Proviamo anche in quest'Aula a migliorare la norma. Per esempio, potremmo suggerire anche di provare un'inversione di tendenza, che abbiamo registrato gravissima nelle Commissioni, che sono state istituite proprio in ragione della pandemia. Potremmo pure prevedere, per esempio, Presidente, che metà di questo osservatorio sia composta da donne. Potremmo, per esempio, dare un'indicazione in questo senso, in modo tale che si metta anche un cerotto a quel vulnus, che da più parti è stato registrato, di esclusione delle professionalità femminili nelle Commissioni da COVID-19.

Rimangono, però, alcune questioni irrisolte o, se volete, risolte in modo eccessivamente superficiale. Per esempio, la questione che riguarda la videosorveglianza è trattata nella norma, ma lo è con un timido accenno. Non vi è un obbligo, non vi è una previsione anche dal punto di vista dell'impegno di spesa. Non vi è una sollecitazione a che tutti i pronto soccorso, ma anche tutte le guardie mediche, tutte le strutture operative del mondo della sanità, si dotino di telecamere, in modo tale da dissuadere l'evento criminoso e l'evento violento.

Guardate, non è provando ad aumentare le sanzioni che si risolve ogni questione. Abbiamo tanta esperienza su altri fronti, dove pure abbiamo misurato sanzioni straordinariamente eccessive, che evidentemente non hanno prodotto il risultato sperato. È un concerto di misure che può produrre il risultato. E non vi è dubbio che i sistemi di videosorveglianza, con adeguate cautele e tutela della privacy, possano rappresentare un elemento centrale, in una prospettiva di contrasto a questa vicenda.

E poi, a legislazione vigente. Se solo i direttori generali si attivassero un po' per obbligare il triage ovunque, per rendere il triage ovunque presente in tutte le strutture, probabilmente avremmo già fatto un passo in avanti. Loro sanno che in molte strutture italiane manca ancora il triage. È evidente che, in assenza del triage, quando un paziente si vede scavalcato e si vede superato in questa presunta attesa, non ha nemmeno la consapevolezza, non può nemmeno comprendere che, magari, quel paziente che lo ha superato è più grave ed è in una condizione di maggiore difficoltà.. Allora, l'assenza di triage, da una parte, e gli affollamenti, dall'altra, determinano quella miccia pericolosa non giustificabile, quella miccia pericolosa, che troppo spesso diventa un'occasione di violenza nei confronti del primo sanitario che si presenta al cospetto di questi soggetti.

Se avessimo i piani di risk management, non solo definiti in ogni azienda sanitaria, ma efficaci in un terzo delle aziende sanitarie! I piani di risk management sono una sorta di cosa da fare. Abbiamo imparato proprio dalla pandemia come i piani per stare a posto con la coscienza poi non producono straordinari risultati, quando l'emergenza arriva. Quando l'emergenza arriva quel piano deve essere, non un piano teorico, ma deve essere uno strumento essenziale per dare risposta in ragione dell'emergenza definita. La stessa cosa accade per i piani di risk management. In un terzo dei casi parliamo di piani appena abbozzati, che non trovano nessun riscontro nella pratica quotidiana delle attività professionali, cliniche, mediche e terapeutiche.

E, allora, quale può essere la misura per costringere a rendere operativi questi piani?

Noi avevamo suggerito, per esempio, una misura che andasse nel segno della valutazione di tener conto di questo dato, nella valutazione della compliance aziendale, di quel direttore generale. Insomma, se c'è poca attenzione da parte dei direttori generali, dei direttori sanitari su questo fronte, è evidente che vengono meno gravemente ad una specifica necessità, ad uno specifico obbligo che va ritenuto rafforzato proprio per la specificità, la criticità della vicenda. Vorremmo che questa misura, in qualche modo, potesse rientrare; vorremmo che fossero valutati i direttori generali anche su questo fronte, su quanto i piani di risk management sono efficaci, hanno prodotto risultati, su quanto si è speso in quella direzione; se un piano di risk management prevede che una sala d'attesa è troppo stretta e si affollano i pazienti, mi aspetto che quel piano sia efficace, produca risultato e quindi si proceda a determinare una condizione per la quale quella sala, in qualche modo inadeguata, diventi adeguata o si cambi sala di attesa. Questo è il principio, nella valutazione del merito dei professionisti, e quando dico professionisti, mi riferisco anche ai professionisti direttori generali delle aziende sanitarie. Molte cose si possono già fare e si potevano già fare senza la nuova norma; si registra troppa indolenza, strafottenza e sottovalutazione del rischio proprio da parte di quei direttori generali e di taluni assessori alla sanità. Noi auspichiamo che, in qualche misura, si provveda a tornare ad un'esperienza che era positiva per il passato, che erano i presidi di Polizia fissi; era un'esperienza positiva, chi ha praticato gli ospedali sa bene che quel presidio di per sé era un elemento che teneva lontani e frenava azioni violente e azioni criminali. Abbiamo apprezzato molto l'obbligo suggerito per le strutture sanitarie pubbliche e private di costituirsi parte civile e rivendichiamo anche l'approvazione di un emendamento per l'introduzione delle sanzioni amministrative per le condotte violente e per le condotte offensive e moleste. Il problema della qualificazione soggettiva dei sanitari: pubblico ufficiale sì, pubblico ufficiale no, incaricato di pubblico servizio, si risolve; si risolve, recependo l'indirizzo della Corte di Cassazione nell'ottica di attribuire la qualifica di pubblico ufficiale non già con riferimento all'intera funzione devoluta dalla legge al soggetto, bensì con riguardo ai caratteri propri ed ai singoli momenti in cui l'attività stessa viene praticamente direttamente concretamente esercitata. E' incaricato di pubblico servizio quindi - e la Cassazione più volte si è espressa - l'infermiere, l'operatore obitale, l'educatore professionale dipendente dell'ASL, il medico di fiducia, il medico convenzionato, il capocuoco della cucina dell'ospedale, il coadiutore amministrativo addetto ai referti, l'addetto all'ufficio della cassa, insomma la Cassazione, da questo punto di vista, si è espressa ripetutamente e anche in modo univoco. Ma consentitemi di concludere su un altro tema e parto da una espressione: “perché non ora” - “perché non ora” - e mi riferisco alla possibilità di introdurre già in questa legge lo scudo penale e lo scudo civile nonché la tutela risarcitoria per il personale sanitario impegnato nel contrasto al COVID-19.

Ovviamente una misura del genere dovrà consentire a quanti hanno necessità e voglia di adire le vie legali, familiari o parenti di deceduti, cittadini interessati, di poter comunque giungere alla verità, alla giustizia e, se necessario, al risarcimento. Ed ovviamente suggeriamo di escludere ogni forma di mascherato colpo di spugna, di mascherato o manifesto colpo di spugna, che, sotto le mentite spoglie della difesa dei sanitari, si provi a proporre. Questa è la stagione, Presidente, del dolore ma anche della verità, della riconoscenza ma anche del martirio. Oltre 200 sono i sanitari caduti in questa battaglia; molte di queste vite avremmo potuto risparmiare se, per esempio, a partire dallo Stato, dal Governo centrale, per finire alle ASL, passando per le regioni, si fossero rispettati i piani nazionali e regionali contro le pandemie. Se solo avessimo mandato i nostri, come dicono tutti, eroi con l'equipaggiamento adeguato: le immagini dei sacchi dei rifiuti ed ogni pellicola varia, utilizzati per proteggersi, è una sferzata, è uno schiaffo a quanti hanno responsabilità di governo e di gestione. Oggi - perché domani, oggi - abbiamo la possibilità di mettere in campo un'iniziativa che sani anche questo vulnus; avremo non solo una legge giusta di per sé ma, soprattutto, potremo offrire un giusto riconoscimento al valore, al coraggio, alla passione, alla disponibilità e anche al sacrificio del personale sanitario, e non penso solo ai medici, penso anche agli infermier, penso anche ai farmacisti, penso anche ai biologi, penso guardate a tutto il mondo che, in queste ore, sta lavorando nei nostri ospedali, nelle nostre strutture sanitarie, ma facciamolo subito; facciamolo oggi, domani, in queste ore, senza attendere pelose mediazioni, devo dire anche incomprensibili mediazioni. Ma cosa dobbiamo aspettare? Ma qual è la ragione per cui dovremmo aspettare? Che deve accadere per cui oggi non possiamo e potremo domani? Quello scudo penale per il personale sanitario sarà e sarebbe la migliore medaglia che potremo scolpire sul petto di “angeli” che non si sono sottratti né al rischio e né alla fatica.

Con questa norma potremo esprimere a tutto tondo gratitudine e riconoscenza; con questa norma potremo riconoscere, dietro quel camice bianco, competenza, valore, intelligenza, passione e studio. Sarebbe un bel segnale non soltanto per il personale sanitario ma sarebbe un bel segnale anche per i nostri ragazzi che studiano nelle nostre università e comprendono come l'approccio allo studio, talvolta anche la macerazione nello studio, l'approfondimento nello studio, anche il sacrificio nello studio rappresentano un valore necessario per consentire al nostro Paese di essere, anche da questo punto di vista, più autonomo, più forte, più capace di riconoscere le proprie qualità, le proprie intelligenze e anche la propria storia, che, dal punto di vista sanitario, non ha eguali in nessun'altra parte del mondo.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Silvia Fregolent. Ne ha facoltà.

SILVIA FREGOLENT (IV). Grazie, signor Presidente, oggi andiamo ad illustrare un provvedimento sicuramente molto importante, che ha visto un grande impegno profuso delle Commissioni giustizia e affari sociali della Camera, in cui vi è stato un dibattito sicuramente acceso ed appassionato.

Ringrazio i colleghi che mi hanno preceduto, in particolare il professor Siani, perché ci ha illustrato con passione l'iter parlamentare che è stato oggetto di questo disegno di legge, così come anche la sottosegretaria Sandra Zampa, che è stata presente in tutto il processo. è un testo che sicuramente, come dicevano alcuni colleghi, può essere ancora perfezionato - tutti i disegni di legge, per fortuna lo sono -, ma è finalizzato a tutelare il personale sociosanitario da quell'escalation di episodi di violenza inaccettabile in un Paese civile, di cui purtroppo ancora stiamo adesso spettatori, oggi anche più di ieri; è essenziale contribuire in ogni modo al rafforzamento delle tutele di quel che è stato il nerbo della linea di difesa dell'Italia nei confronti della diffusione del COVID-19, un virus contagiosissimo e pericoloso, che il personale sociosanitario nel suo complesso ha affrontato con coraggio e dedizione, persino con sacrificio della propria vita e anche spesso senza strumenti adeguati, come veniva prima ricordato; è notizia della scorsa settimana una vile escalation di aggressività e violenza perpetrata nei confronti di operatori sociosanitari nei pronto soccorso dell'ospedale di Macerata. Non solo, sempre nella scorsa settimana un grave episodio è avvenuto nell'area pre-triage dell'ospedale San Paolo di Bari, dove due infermieri sono stati vittime di violenza da parte di un giovane uomo. Agli ordini professionali che richiedono alla politica delle soluzioni volte a prevenire altre aggressioni non possiamo che rispondere in senso forte e affermativo, ribadendo con fatti concreti la nostra vicinanza. La politica deve rispondere con una rapida approvazione di questo atto normativo finalizzato, come abbiamo brevemente anticipato, a dare una risposta ferma a questi episodi. L'opera del Governo, e dei molteplici interventi parlamentari, comporterà l'istituzione dell'Osservatorio nazionale sulla sicurezza degli esercenti le professioni sanitarie e sociosanitarie, ente di cruciale importanza che avrà numerosi compiti di rilievo, tra cui il monitoraggio attento degli episodi di violenza e degli eventi sentinella, una funzione di studio e di analisi per la formulazione di nuove proposte e misure idonee a ridurre i fattori di rischio nell'ambiente i più esposti, come ad esempio il pronto soccorso, la promozione di buone prassi, nonché di specifici corsi di formazione per il personale espressamente finalizzati, tra l'altro, a prevenire e gestire eventuali situazioni di conflitto.

Dopo un attento confronto con le professioni sanitarie cui abbiamo attivamente contribuito, si è addivenuti ad un punto di equilibrio, tale da bilanciare gli interessi in gioco e tutelare nelle misure maggiori possibili i professionisti. Il testo approvato dalle Commissioni giustizia e affari sociali - che ringrazio - di questo ramo del Parlamento, prevede tutele molto rafforzate per i professionisti coinvolti; il disegno di legge contiene, infatti, misure volte a garantire un notevole aggravio delle pene per chi commette aggressioni verso medici, infermieri e tutti gli operatori della sanità, che comportano lesioni gravi o gravissime, a prescindere dal luogo ove questi siano compiuti, garantendo in tal modo il massimo della tutela nei confronti del personale esercente una professione sanitaria o sociosanitaria nell'esercizio delle sue funzioni o a causa di esse, incarichi di pubblico servizio nello svolgimento di attività di cura, assistenza sanitaria e di soccorso. Inoltre, altro punto molto rilevante, il testo dispone la procedibilità d'ufficio per i reati di percosse e lesioni di cui agli articoli 581 e 582 del codice penale, ove ricorra l'aggravante di aver agito in danno degli esercenti le professioni sanitarie e sociosanitarie nell'esercizio delle loro funzioni. Pertanto, da un lato aumenta l'efficacia deterrente nei confronti di chi possa immaginare di commettere i vili atti di violenza richiamati, dall'altro viene inserita un'ulteriore tutela per i professionisti che siano coinvolti, loro malgrado, in tali deprecabili episodi. Non solo, in Commissione, anche grazie al contributo attivo del nostro gruppo, si è inteso specificare l'ambito di applicazione del provvedimento, perfezionando il riferimento a tutte le professioni sanitarie e sociosanitarie, dal momento che è fatto esplicito rinvio alla legge n. 3 del 2018, risolvendo in tal caso alcune delle problematiche segnalate nel corso delle audizioni.

In estrema sintesi, il provvedimento, con l'inasprimento delle pene e l'estensione delle aggravanti e la procedibilità d'ufficio, può rappresentare un buon punto di equilibrio a tutela dei professionisti per contrastare incivili, deprecabili, frequenti atti di violenza nei loro confronti. Inoltre, il testo, come detto, contiene necessari riferimenti all'importanza di fattori quali la formazione alla prevenzione che possono risultare utilissimi strumenti pratici per gli operatori nella riduzione di criticità concrete, criticità che purtroppo nel quotidiano del lavoro di questi giorni, che oggi noi consideriamo eroi persone che appunto hanno continuato a lavorare nonostante le loro criticità, continuano a emergere queste criticità. è per tutelarli nel migliore dei modi che chiediamo una rapida approvazione del testo, al fine di garantire la rapida entrata in vigore di una legge importante, a garanzia dei professionisti del sistema sanitario e quindi, di conseguenza, dell'intero sistema del Paese.

Poi, alla fine di questa emergenza, che speriamo arrivi presto per poterci anche soltanto riabbracciare fisicamente tra noi colleghi - e ci manca molto questo, vero Paolo? -, ci piacerebbe che fosse fatta un'analisi su cosa ha voluto dire, in questa emergenza sanitaria, aver avuto ventun sistema sanitari così diversi. Molti dei miei colleghi vengono dalla mia stessa regione, il Piemonte, che oggi continua ad avere l'escalation di contagi e di decessi, anche se paradossalmente è arrivata non tra le prime regioni, perché le primissime sono state la Lombardia, il Veneto e l'Emilia, eppure alcune di loro sono già uscite dall'emergenza catastrofica e altre, pure arrivando dopo, sono entrate nelle contraddizioni di scelte fatte da altre regioni, copiandole in peggio e non in meglio. Sarà forse anche - e lo dico alla sottosegretaria perché so che è molto sensibile sul tema – d'uopo, dopo questa emergenza, sottolineare l'importanza di un sistema sanitario pubblico; io lo dico con orgoglio perché quando, ad esempio, da convinta riformista, prendiamo spunto talvolta da modelli economici stranieri come gli Stati Uniti d'America e, ad esempio, diciamo quanto è bravo il Presidente aver messo tanti soldi, Trump, nelle tasche dei cittadini, poi omettiamo di dire che senza quei soldi i cittadini americani non potrebbero neanche entrare un pronto soccorso perché non c'è la possibilità di curarsi e di curarsi senza avere una carta di credito funzionante o un'assicurazione attiva, e non sempre l'assicurazione viene attivata, perché se sei malato non è detto che ti venga concessa dall'assicurazione: era quella la grande riforma di Obama, consentire a più persone di potersi assicurare. E, allora, sarà forse è giusto fare un focus tra sanità pubblica e sanità privata e anche le scelte che sono state fatte dalle regioni, nella loro autonomia, ad esempio, quante volte le associazioni dei malati hanno detto come le cure domiciliari costano di meno dell'ospedalizzazione e, in alcuni casi, sono più efficaci: io ho avuto un padre anziano che, purtroppo, è morto in ospedale, che era spaesato dopo l'operazione; l'operazione era riuscita benissimo, ma essendo anziano e tutti gli anziani non sono collaborativi quindi, alla fine, non lo abbiamo neanche più sgridato perché era evidente che era che lui voleva solo tornare a casa, poi probabilmente sarebbe morto ugualmente perché aveva 2.500 patologie, ma l'averlo strappato dal suo domicilio in una fase così delicata, dove ovviamente bisogna ritornare in salute è stato letale e in questi giorni che amici - purtroppo - carissimi hanno avuto genitori morti di COVID mi hanno descritto la stessa cosa, con aggravante rispetto alla sottoscritta, cioè che io fino all'ultimo minuto ho potuto abbracciare mio padre e vederlo spirare, mentre ci sono persone che l'hanno sentito da un infermiere, da un medico, i quali si sono anche gravati di questo compito in questi giorni; per questo noi non finiremo mai di ringraziarli. Ed è giusto quello che diceva il collega, valutiamo di come sarà poi l'azione penale nei loro confronti perché, ovviamente, lo posso dire, appena ti manca un malato in ospedale la prima cosa che ti viene da fare è dire: adesso faccio una causa; poi, però, non è così perché spesso ciò non succede perché siamo ancora una civiltà europea e non all'americana, ma il diffondersi delle cause, anche nei confronti del personale ospedaliero, è dovuto dal fatto che tu pensi che sia dovuta la guarigione, mentre in realtà le situazioni sono sempre complesse. Ogni situazione è diversa, anche quando si dice che un'operazione è di routine poi spesso non lo è; non lo è mai perché c'è una anestesia, perché c'è un bisturi, perché c'è una situazione che non è normale. Allora, forse, quando finirà questa epidemia sarà - lo dico a lei, sottosegretaria - il momento di fare il punto della situazione e capire come aiutare anche le regioni a fare scelte di civiltà; non è una questione di orientamento politico perché il mio Piemonte ha fatto scelte diverse dal 2010 ed è stato governato, da allora ad oggi, da governi di centrodestra e da governi di centrosinistra. Zaia è leghista, eppure, appunto, la cura a domicilio rispetto all'ospedalizzazione è molto elevata, quindi non c'entra il colore politico; la nostra Emilia-Romagna idem, ne fa una battaglia di civiltà. Allora, dare anche un segnale alle regioni che non tutto è ospedale e che spesso ci possono essere altri modi per curare le persone, più efficaci, sarà forse quello che noi riusciremo oggi ad avere come insegnamento da una catastrofe così devastante come questa del COVID-19, che ha colpito in questo modo così devastante la nostra la nostra realtà.

Infine, ancora un minuto e concludo - non voglio rubare altro tempo ai miei colleghi che sicuramente sono più preparati di me dato che io non faccio parte della Commissione sanità -, un ringraziamento a quei medici e a quegli infermieri che hanno lavorato, in alcuni casi senza avere strumenti di tutela personale, eppure non si sono tirati indietro di fronte alla cura della persona, alla cura del malato, facendo anche quello che non era loro compito, cioè confortare le persone affinché non morissero sole. A loro va un vero ringraziamento. È per questo che mi auguro che questa legge venga approvata e votata da tutte le forze presenti in Parlamento con grande senso di unità. Dico ciò perché chiamarli eroi dopo è molto facile, è molto più difficile fare azioni concrete. Mi auguro che con questa legge facciamo una piccola azione concreta nei loro confronti.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Guido De Martini. Ne ha facoltà.

GUIDO DE MARTINI (LEGA). Onorevoli colleghi, intervengo nella discussione generale sui progetti di legge n. 2117 ed abbinati recanti disposizioni in materia di sicurezza per gli esercenti le professioni sanitarie e socio-sanitarie nell'esercizio delle loro funzioni.

Sulla necessità di tutelare, con ogni strumento possibile, la sicurezza del personale sanitario e socio-sanitario impegnato in prima linea nell'erogazione delle prestazioni essenziali non penso francamente che possano esistere divisioni politiche che tengano. Abbiamo tutti negli occhi le immagini dei reparti di terapia intensiva al collasso per l'emergenza Coronavirus; i volti dei medici, degli infermieri e degli operatori socio-sanitari segnati da una mascherina che pressa incessantemente durante il turno di servizio.

Nel contesto di grave emergenza sanitaria che abbiamo attraversato e che speriamo vivamente sia ormai in superamento, gli esercenti le professioni sanitarie e socio-sanitarie hanno dato l'ennesima dimostrazione di coraggio, di altruismo e senso del dovere. Esposti a un rischio elevatissimo si sono trovati faccia a faccia con un virus nuovo che la medicina non conosceva fino a pochi mesi fa; hanno affrontato turni estenuanti con inevitabile sovraccarico di tensione, stress e responsabilità. Hanno fatto i conti con un virus terribile da una parte, con le inefficienze del Governo centrale dall'altra, il quale per tutta la fase iniziale dell'emergenza non ha garantito neppure le forniture minime di mascherine e altri dispositivi di protezione individuale indispensabili per tutelare l'operatore dal rischio di contagio. Purtroppo, di questa situazione al limite molti operatori sanitari hanno pagato a caro prezzo le conseguenze. Ce lo ricorda ogni giorno l'infografica pubblicata nel suo sito istituzionale dall'Istituto superiore di sanità; secondo l'ultimo aggiornamento dell'11 maggio 2020 gli operatori sanitari che sono risultati positivi al COVID-19 dall'inizio dell'epidemia sono più di 24 mila; un numero impressionante che ci restituisce effettivamente la percezione del rischio al quale il personale in questione è esposto nell'erogazione di un servizio essenziale per la collettività e per la tutela della salute pubblica. I progetti di legge in discussione stati presentati oltre un anno e mezzo fa quando la pandemia non si era ancora abbattuta sul nostro Paese causando migliaia di morti. Il disegno di legge n. 2177 trasmesso dal Senato è stato presentato in data 16 ottobre 2018, ancora prima lo sono state le proposte di legge ad esso abbinate come quella del gruppo Lega a prima firma del collega Piastra, la n. 1067 risalente al 6 agosto 2018. Non c'era l'emergenza Coronavirus eppure si avvertiva fortemente la necessità di apprestare forme di tutela adeguata a beneficio dei professionisti sanitari e socio-sanitari. Il motivo è presto detto perché nei confronti di questi professionisti che mettono a rischio la propria incolumità per salvare la vita del prossimo si sono registrati negli ultimi anni episodi di violenza ricorrenti, aggressioni dirette, tentativi di violenza fisica e persino sessuale. È un qualcosa che oggi sembra impensabile perché questi professionisti vengono celebrati come eroi dalla stampa e dagli organi di informazione. Ma i ringraziamenti e gli encomi non bastano, non argineranno nel lungo periodo le violenze subite dal personale sanitario.

L'emergenza Coronavirus non deve farci commettere l'errore di abbassare la guardia su questi episodi di violenza inaccettabili. Rimane ferma la necessità di apprestare misure concrete che possano garantire agli operatori sanitari e socio-sanitari una tutela stabile e duratura, anche per il post emergenza Coronavirus quando i reparti si svuoteranno e torneremo, come tutti auspichiamo, ad una situazione di normalità. Le statistiche ci dicono che ogni anno in Italia si contano oltre mille casi di aggressioni dirette nei confronti degli operatori sanitari, per la maggior parte nei confronti di persone di sesso femminile; si stima che una percentuale variabile tra l'8 e il 38 per cento degli operatori sanitari subisca violenze fisiche nel corso della propria carriera. In una nota della Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri è stato evidenziato che le aggressioni ai danni del personale sanitario rappresentano una carneficina silenziosa perché spesso esse non vengono rese note per vergogna, per senso di pudore verso una denuncia che porterebbe allo scoperto situazioni di inadeguatezza o perché addirittura le aggressioni sono considerate una naturale componente del rischio professionale, cosa che chiaramente non è.

Tra i casi che hanno fatto notizia possiamo richiamare l'episodio occorso nel gennaio 2020 a Napoli con l'esplosione di un petardo lanciato verso un'ambulanza che era stata inviata nel quartiere Barra per soccorrere un paziente. Tra i più recenti, l'episodio dell'8 maggio scorso con un'infermiera quarantottenne violentata mentre stava rientrando a casa dopo una giornata di lavoro dedicata alla tutela della salute dei cittadini in piena emergenza sanitaria; questo è solo l'ultimo degli episodi agghiaccianti di violenza che ci dimostra che non dobbiamo abbassare la guardia, bensì intervenire prontamente, ora più che mai, per dare risposte concrete ai professionisti sanitari e socio-sanitari che ogni giorno sono impegnati in prima linea nell'erogazione dei servizi essenziali. In questa prospettiva la valutazione che dobbiamo dare alle misure contenute nei progetti di legge in esame è sicuramente positiva. Penso all'istituzione dell'osservatorio nazionale sulla sicurezza degli esercenti le professioni sanitarie e socio-sanitarie prevista dall'articolo 2 del disegno del disegno di legge al quale spetterà il compito di monitorare gli episodi di violenza, gli eventi-sentinella e di promuovere la formulazione di proposte idonee a ridurre i fattori di rischio negli ambienti maggiormente esposti. Penso alle modifiche al codice penale previste dagli articoli 4 e 5 del disegno di legge in esame che prevedono l'applicazione delle pene aggravate e delle circostanze aggravanti anche per gli episodi di violenza commessi in danno dei professionisti sanitari e socio-sanitari. Penso all'articolo 8, che prevede la stipula di specifici protocolli operativi con le forze di Polizia, che saranno fondamentali per garantire il loro tempestivo intervento nei casi di violenza, in modo che i professionisti del nostro Servizio sanitario nazionale non siano più abbandonati a loro stessi come troppe volte è accaduto in questi ultimi anni. Penso poi all'articolo 9 che istituisce la Giornata nazionale di educazione e prevenzione contro la violenza nei confronti degli operatori sanitari e socio-sanitari. L'auspicio è che queste misure possano contribuire ad eradicare un fenomeno tanto diffuso quanto inaccettabile che colpisce assai diffusamente il personale impegnato nello svolgimento di attività di cura, assistenza sanitaria e soccorso.

Auspico, in chiusura, che, nella fase delle votazioni, possano essere accolte le proposte emendative fatte dal gruppo della Lega senza alcuno spirito ostruzionistico perché la loro finalità è unicamente quella di contribuire a rafforzare ulteriormente lo schema del disegno di legge per renderlo ancora più deciso e concreto nella prevenzione e nella repressione degli episodi di violenza perpetrata ai danni dei professionisti sanitari e socio-sanitari.

Ho voluto riservare una parte del mio intervento per parlarvi di una persona, probabilmente non la conoscete e il suo nome forse non vi dirà nulla: Roberta Zedda. Roberta Zedda è una dottoressa che in Sardegna è stata uccisa all'età di 32 anni, a Solarussa, in un posto di guardia medica mentre svolgeva il proprio lavoro; è stata percossa, accoltellata, c'è stato un tentativo di violenza, è stata ritrovata denudata e, infine, uccisa; aveva 32 anni. Io mi ricordo all'inizio del mio lavoro - io sono un medico - il lavoro presso le guardie mediche. Mi ricordo le paure delle colleghe che, per andare a ricoprire i turni di guardia medica, dovevano farsi accompagnare da un familiare, a volte dal padre, da un fratello, da un fidanzato, dal marito; non era solo la paura delle donne perché se tu sei da solo in una guardia medica e vieni chiamato di notte, magari per andare a fare una visita in campagna, o anche solo perché un ubriaco bussa alla porta, tu devi aprire. Me la ricordo quella paura.

Da quella tragedia in Sardegna, in ogni posto di guardia medica c'è una guardia giurata, un vigilante; anche se ogni tanto c'è il tentativo di toglierli, ci sono ancora oggi, anche se solo nelle ore notturne. Nelle ore diurne non ci sono i vigilanti e in tutta Italia non è presente un vigilante ed è una cosa che invece dovrebbe essere fondamentale, perché se è vero che i medici sono i nostri eroi, allora dobbiamo non solamente incrementare le pene per reprimere i reati verso questi medici, ma proteggerli: questo è importantissimo. Ci sono degli emendamenti della Lega per quanto riguarda l'istituzione di un posto di Polizia negli ospedali e anche lo spostamento dei posti di guardia medica in ambienti protetti.

Adesso, come ultima cosa, vi dico perché ci tengo tanto a questo argomento. Io prima di essere parlamentare ero oculista e lavoravo oltre che a Cagliari a Sanluri, che è il paese natale di Roberta Zedda e per tanti anni ho visto la madre di questa ragazza; quindi io non conoscevo Roberta Zedda ma ho conosciuto la madre. Attraverso la sofferenza di questa persona, che veniva sempre vestita di nero, dal suo atteggiamento austero, ho capito che era uno strazio che non sarebbe mai passato per questa persona. Ci tenevo tanto a un ricordo di questa dottoressa martire. Grazie a tutti in ricordo e in memoria di Roberta Zedda (Applausi).

PRESIDENTE. La ringrazio deputato De Martini. Ha chiesto di parlare il deputato Gianfranco Di Sarno. Ne ha facoltà.

GIANFRANCO DI SARNO (M5S). Grazie Presidente. Il disegno di legge oggi all'esame di quest'Aula ha l'obiettivo primario di offrire un valido strumento di protezione e tutela per tutti gli esercenti le professioni sanitarie e socio assistenziali che con grande professionalità svolgono funzioni indispensabili per la salute dei cittadini, bene di rilevanza costituzionale. L'attività di tutti gli operatori sanitari è stata ancora più encomiabile nell'affrontare la pandemia da COVID-19, poiché con coraggio e spirito di abnegazione hanno messo a repentaglio la propria incolumità personale per salvare le vite umane. A loro va il nostro più sentito ringraziamento.

I rischi a cui è esposto il personale medico e paramedico rendono necessaria l'adozione di misure di prevenzione e contrasto per gli atti di violenza di cui spesso è vittima la categoria. Solo nell'ultimo anno il 66 per cento dei medici ha subito aggressioni sia fisiche che verbali e tale drammatico dato sale all'80 per cento per chi è in servizio al pronto soccorso e al 118. Si tratta di un'emergenza di sanità pubblica che riguarda non solo il personale in corsia ma anche le guardie mediche sostitutive dei medici di famiglia durante la notte e nei festivi, con un bilancio che arriva a circa 3 mila casi di aggressione all'anno. In considerazione di ciò, nell'ottica del riordino della materia, già avviato con la legge n. 3 del 2018, occorre aumentare la sicurezza sui luoghi di lavoro, al fine di favorire l'ordinato e sereno svolgimento delle attività mediche ponendo tutto il personale al riparo da atti ingiustificati di violenza. All'uopo si prevede l'istituzione di un Osservatorio nazionale sulla sicurezza degli esercenti le professioni sanitarie e sociosanitarie composto da organi ministeriali, rappresentanti delle regioni, associazioni di pazienti, nonché dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative e da un rappresentante dell'INAIL. All'osservatorio verrà demandato il compito di monitorare gli episodi di violenza e le condizioni di vulnerabilità, anche mediante l'installazione di strumenti di videosorveglianza, promuovendo corsi di formazione del personale nella gestione degli eventi sentinella. Ciò allo scopo di prevenire situazioni di conflitto e migliorare la qualità della comunicazione con gli utenti, anch'essi destinatari di campagne informative sull'importanza e il rispetto del lavoro degli esercenti una professione sanitaria o sociosanitaria. Il dilagare del fenomeno ha imposto la necessità di intervenire anche sul versante penalistico, applicando pene aggravate di reclusione che vanno da 4 a 10 anni agli autori di lesioni gravi o gravissime cagionati a personale esercente una professione sanitaria o sociosanitaria nel compimento delle sue funzioni o a causa di esse, nonché ad incaricati di pubblico servizio nello svolgimento di attività di cura, assistenza e di soccorso.

Nella medesima ottica repressiva si inserisce l'introduzione di una nuova aggravante comune all'articolo 61 del codice penale, consistente nell'avere agito nei delitti commessi con violenza e minaccia in danno degli esercenti le professioni sanitarie o sociosanitarie nell'esercizio delle loro funzioni. Si tratta di un aumento di pena fino ad un terzo che espressamente si applicherà a prescindere dalla natura pubblica o privata della struttura presso la quale operano gli addetti alla categoria. Nell'ipotesi in cui ricorre l'aggravante in parola, i reati di percosse, articolo 581 del codice penale e lesioni, articolo 582 del codice penale, saranno procedibili d'ufficio ampliando il novero delle fattispecie in cui non è necessaria la querela della persona offesa, ma sarà l'autorità giudiziaria a perseguire immediatamente il colpevole all'atto dell'acquisizione della notizia di reato. Questo è un provvedimento fortemente voluto dal Movimento 5 Stelle e ci ha lavorato moltissimo anche l'ex ministro Grillo.

Il sistema di tutele così descritto è altresì corredato dalla predisposizione di piani per la sicurezza e di specifici protocolli operativi con le forze di polizia allo scopo di garantire interventi tempestivi e scongiurare eventi lesivi di qualsiasi genere.

Presidente, concludo dicendo che se dopo l'11 settembre abbiamo avuto un mondo diverso, un altro ci attende dopo il COVID-19. Mi auguro che il nostro Paese possa ripartire proprio facendo seguito ai numerosi, dovuti e meritatissimi ringraziamenti al nostro personale sanitario, anche riconoscendo loro una più adeguata retribuzione economica. Grazie.

PRESIDENTE. Grazie a lei, deputato Di Sarno. Ha chiesto di parlare la deputata Augusta Montaruli. Ne ha facoltà.

AUGUSTA MONTARULI (FDI). Grazie presidente, grazie onorevoli colleghi e membri del Governo. Il testo che oggi andiamo ad analizzare è stato concepito prima dell'emergenza COVID-19 e quindi il primo interrogativo è se questo testo sia adeguato e attuale. Certamente sì, è la mia risposta, però ritengo ancora che ci siano dei margini su cui si possa migliorare, perché questo testo è stato concepito nella sua ratio per arginare i fenomeni di violenza nei confronti di tutti coloro che operano nell'ambito sociosanitario e certamente l'emergenza COVID-19 non ha cancellato questo problema immenso che, come è stato detto giustamente da chi mi ha preceduto, ha coinvolto un numero spropositato di addetti, di medici, di infermieri, insomma di tutti coloro che ogni giorno, anche con stipendi devo dire risicati, danno, al di là della propria professionalità, la propria passione per metterla al servizio di coloro che sono malati e che hanno bisogno del nostro sistema sanitario, vivamente pubblico. D'altra parte il 28 aprile l'OMS chiedeva ai Parlamenti, ai Governi nazionali di intervenire e di continuare ad intervenire in materia e il fatto di essere qui oggi a discutere di questo provvedimento dimostra come questo Parlamento sia attento, ci sia e non arretri rispetto a questo problema.

Episodi di violenza, da ultimo in piena emergenza COVID-19, che si sono registrati nei confronti degli operatori sociosanitari, sono innumerevoli e io ne voglio solo citare qualcuno: tre negli ultimi giorni a Macerata, al pronto soccorso San Paolo di Bari, a Fano, all'ospedale di Anzio.

Insomma, questi sono solo quelli che sono accaduti negli ultimi giorni e già dimostrano come l'emergenza COVID-19 non abbia cancellato le tensioni che si possono verificare nei nostri ospedali, nelle nostre strutture ospedaliere, tra pazienti, utenti e operatori.

Certo questo ha una motivazione, una motivazione importante, in primo luogo il fatto stesso che non basta plaudire ai balconi, non bastano gli attestati di stima, non bastano le parole in diretta Facebook per sanare un problema immenso, che in Italia si trascina ormai da anni. Non basta e, anzi, emergenze come l'emergenza COVID rischiano di accentuare un problema simile: perché? Perché si accentuano le tensioni sociali, si accentua il malessere di chi è a casa; si accentua il malessere di chi in ospedale non può vedere i propri cari; si accentua la paura di aver contratto il virus o comunque la malattia; si accentua la stessa paura di avere accesso all'ospedale. Perché? Perché purtroppo in Italia è serpeggiato, in maniera secondo me fondata, il timore che andando in ospedale avresti potuto contrarre il virus; perché sono innumerevoli i casi di cittadini italiani che sono andati in ospedale per una ragione e ne sono usciti per un'altra; sono andati in ospedale perché magari si erano fratturati una gamba e poi si sono ritrovati ad avere il virus contratto proprio in quelle strutture.

Allora, se tutto questo non basta, mi chiedo, per la verità, se basterà questa legge, che era stata studiata prima che un'emergenza simile, imprevedibile, potesse scaraventarsi nelle vite di tutti noi e nelle vite degli ospedali pubblici. Credo che sia difficile che questo possa avvenire: perché? Intanto, perché questa legge, che certamente fa un passo in avanti, che certamente tutti noi auspichiamo, che certamente inizia ad affrontare il tema, ha una grossa lacuna: non si può pensare di affrontare il tema della violenza nei confronti degli operatori sociosanitari semplicemente sventolando il codice penale e aggravando fattispecie già sussistenti.

Era un atto necessario? Sicuramente, ma non è il solo introdurre la fattispecie aggravata che permetterà di impedire quegli atti che costituiscono reato. Non può succedere, ed è facile capire perché non può succedere: se così avvenisse, sventolare il codice penale per garantire che non si verifichi un reato, sarebbe sufficiente portarlo sempre con sé e così avremmo trovato il modo di garantire la legalità ovunque, non solo negli ospedali ma anche nelle nostre strade, in tutto il territorio nazionale.

Serve altro: servono, per la verità, misure che questo testo certamente indica, come quella della prevenzione, come quella della formazione, come quelle delle misure di sicurezza, però c'è una grossa lacuna, perché alla fine questo testo si conclude con una clausola finanziaria che prevede l'assenza di maggiori risorse per fronteggiare e adempiere adeguatamente ai buoni propositi che certamente la legge fissa. Cosa si può fare senza risorse? Se una buona legge non è supportata da risorse adeguate, se tutte le buone intenzioni non sono supportate da solide - solide! - voci di bilancio, evidentemente, quelle che sono buone intenzioni rimangono buone intenzioni. Servono - servono sul piano culturale, servono sul piano del riconoscimento nell'ambito del nostro ordinamento giuridico e istituzionale - ma necessitano di sforzi ulteriori.

Allora, devo dire che questo ci dà la motivazione appunto per trovare nuove risorse, perché altrimenti tutti questi operatori sanitari, che giustamente hanno ricevuto da parte di tutti noi e della cittadinanza italiana, di tutti gli italiani, il riconoscimento quali eroi, sono un po' come Superman davanti alla kryptonite: hanno grandi poteri, grandi passioni, una dedizione anche fuori misura nei confronti del nostro sistema, ma hanno un sistema che evidentemente ne depotenzia la forza.

Lo voglio dire perché questo testo prevede certamente un aggravamento, soprattutto nella fattispecie delle lesioni contratte all'interno degli ambiti sanitari e nell'esercizio delle proprie funzioni, ma, scusate, cos'altro non è un medico che purtroppo si è scoperto essere affetto dal virus, nel momento in cui è stato mandato in trincea privo dei dispositivi di protezione individuale?

Allora, è qui il nocciolo del problema, perché noi un giorno ci siamo svegliati e abbiamo scoperto che non eravamo più indipendenti, non solo per tanti aspetti che tante volte noi richiamiamo quando richiamiamo appunto la necessità di essere un Paese sovrano, ma anche nell'approvvigionamento di quei dispositivi che sono - lo erano già prima, ma sono ancor più oggi - dispositivi primari, di necessità primaria, dispositivi senza i quali noi altrimenti mandiamo gli operatori sociosanitari a lavorare con la loro passione ma senza alcuna difesa.

Allora, abbiamo capito che quando l'aggressione la fa il cittadino, con questa legge l'andiamo a normare, ma - qui mi chiedo - quando il responsabile della lesione non è un altro cittadino arrabbiato all'interno del pronto soccorso o di una corsia, quando il responsabile di questa lesione è lo Stato, che cosa avviene? Non possiamo nasconderci che le lesioni, le malattie e, purtroppo, le troppe morti che medici e infermieri hanno incontrato in questi mesi di emergenza, non siano avvenute se non per colpa di uno Stato che era impreparato all'emergenza, era privo degli strumenti primari per affrontarla, privo dei dispositivi di protezione individuale e quindi privo di quelle strumentazioni che avrebbero potuto evitare un dilagare dell'epidemia così veloce e, purtroppo, così puntuale.

Io non so se è capitato soltanto a me, ma in questi mesi ho ripercorso le tante persone che conosco e che hanno incontrato il virus, e purtroppo devo dire che quelle persone, direttamente o indirettamente, hanno a che fare, o per il proprio lavoro o per altri motivi di vita personale, con gli ambienti ospedalieri. Questo non è un dato di cui soltanto io mi sia accorta, credo che sia patrimonio comune, ed è un dato su cui bisogna fare una riflessione. Allora, qui voglio arrivare sul tema delle risorse e dell'organizzazione.

Quando mi si dice - da ultimo l'ho sentito da un autorevole esponente del Governo, anche l'altro giorno in una nota trasmissione televisiva - che il Governo avrebbe garantito in tutta Italia i tamponi e, a domanda puntuale di un bravissimo giornalista, si chiedeva che cosa si intendeva per tamponi, cioè soltanto l'affarino o anche il reagente, purtroppo, con grande imbarazzo, lui ha dovuto dire la verità, cioè soltanto la stecchetta che viene distribuita e non invece il reagente. Ebbene, allora, evidentemente, noi in due mesi non siamo ancora in grado di garantire la sicurezza, innanzitutto, di chi sta in trincea, cioè di quelle persone di cui ci occupiamo in questo provvedimento, ma anche, poi, in generale, di tutta la popolazione italiana. Non sono argomenti di poco conto. Noi dobbiamo porci il tema della nostra indipendenza per non dipendere dalla Cina, né da nessun altro Paese straniero nella formazione dei nostri magazzini sulle mascherine, così come nell'ottenere reagenti, così come per tante altre lacune che abbiamo notato all'interno di questa emergenza.

Evitiamo che questa proposta, doverosa, diventi come un tampone senza reagente, cioè come qualcosa - sì - di utile, per carità, ma non completo, non del tutto efficiente. Ascoltiamo le associazioni, tutte le associazioni, che in un solo coro ci richiamano ai nostri doveri in quest'Aula e che ci spronano a far sentire la nostra presenza concreta, e la nostra presenza concreta non solo nel fare una buona legge, ma nel fare una legge completa, attuale e, soprattutto, sostenuta economicamente.

Vengo ora alle parole che ho sentito da autorevoli esponenti del Governo, ancora stamattina. Non voglio uscire fuori tema e non lo farò, ma oggi, ancora, sento che la convinzione di alcuni esponenti del nostro Governo è quella di andare a colmare la spesa sanitaria richiamando il Fondo salva Stati. Adesso, io non voglio entrare nell'adesione o meno al Fondo salva Stati, che non è materia che compete questa discussione, però voglio invitare a una riflessione. Dal 2011 ad oggi noi abbiamo assistito a un perenne taglio della sanità, di risorse per la sanità, sia in termini di personale - meno 46 mila dipendenti -, sia in termini di risorse economiche, perché siamo passati dai 105,6 miliardi del 2011 ai 114 e rotti di oggi, perché la spending review inaugurata con il Governo Monti ha inaugurato un periodo di tagli al mondo della sanità, perché abbiamo assistito a questi tagli in maniera praticamente ininterrotta negli ultimi anni, fino ad arrivare a circa 37 miliardi di tagli. In questo panorama ci rimettono tutti e i primi che ci rimettono, però, sono quegli operatori che sono in prima linea e che sono in prima linea, oggi, non solo ad affrontare un'aggressione di chi, magari, è in preda all'esasperazione o perché oggettivamente è un soggetto poco raccomandabile, ma anche ad affrontare quelle che sono le sfide che un'emergenza come questa che stiamo vivendo ha inevitabilmente posto.

Ebbene, allora, il richiamo a questo Parlamento e a questo Governo deve essere, in un momento come questo, quello di rendere sempre più attuale un provvedimento come quello che stiamo approvando, tenendo conto che, come penso, le nostre vite saranno segnate dal pre-COVID, dall'emergenza COVID e dal post-COVID, e nel fare questo, ovviamente, l'operatore sanitario va sostenuto in ogni momento, in qualsiasi momento.

A me piace tantissimo passeggiare per le nostre città e vedere il conforto, lo spirito, l'affetto che la cittadinanza sta dimostrando - perché li sta dimostrando - nei confronti di queste persone che si trovano, che si sono trovate e che si troveranno, nei nostri ospedali a fronteggiare questa emergenza e probabilmente, in futuro, altri contraccolpi di questa emergenza. Però non possiamo pensare che tutto questo sia sufficiente per saldare il rapporto tra cittadini e medici, né possiamo pensare che una situazione così grave possa essere affrontata in maniera “frazionata”. Oggi abbiamo il compito - e qui concludo - di cercare di prendere, da quella che è un'emergenza assolutamente negativa, che tutti noi abbiamo vissuto, un qualcosa di positivo e quel qualcosa di positivo è quantomeno la consapevolezza che non possiamo continuare nel passo degli ultimi dieci anni, ma che il passo va cambiato e, se il passo va cambiato, la prima parola d'ordine deve essere: risorse! Lo ripeto, risorse, perché senza risorse ogni progetto di legge, anche il migliore, anche il più bello, anche quello motivato dai migliori auspici, come sicuramente può essere questo, rischia di essere vanificato e la delusione di un qualcosa di vanificato è peggiore dell'assenza (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Francesca Troiano. Ne ha facoltà.

FRANCESCA TROIANO (M5S). Signor Presidente, onorevoli colleghi, membri del Governo, ci apprestiamo nelle prossime ore a votare l'atto Camera 2117, concernente disposizioni in materia di sicurezza per gli esercenti le professioni sanitarie e socio-sanitarie nell'esercizio delle loro funzioni, un testo nato dalla necessità di porre in essere strumenti e misure di tutela e prevenzione nei confronti di medici e operatori socio-sanitari troppo spesso venuti alla ribalta delle cronache come vittime di violenze. Abbiamo l'obbligo di consentire a queste figure professionali di svolgere la loro attività in sicurezza e in ogni circostanza, per dare loro la tranquillità di prendersi cura della salute delle persone.

Garantire la sicurezza dei nostri medici e operatori sanitari è sempre stata una battaglia importante per il nostro movimento. Va dato atto all'onorevole Giulia Grillo, nelle sue vesti di Ministro della salute, di non aver perso tempo nell'affrontare questo enorme problema sociale, correlato da significativi dati, così come riportati nei mesi scorsi da ANAAO - ASSOMED.

Nel 2019, il 66 per cento dei dottori ha subito violenze verbali e fisiche nel proprio luogo di lavoro, le violenze sono state caratterizzate da spinte, botte, schiaffi, insulti e le minacce hanno avuto una frequenza quasi quotidiana. Questa percentuale tende ad aumentare drasticamente se ci soffermiamo sugli operatori sanitari che prestano servizio nei pronto soccorsi; qui, infatti, aumentiamo esponenzialmente la percentuale e andiamo ad oltre l'80 per cento dei casi. Significativo appare, inoltre, il dato della localizzazione di tale malessere mostrato dai pazienti o dai familiari di essi. Infatti, da un ulteriore approfondimento e dallo stesso sondaggio emerge che, seppure sia l'intera penisola ad essere interessata dall'emergenza, con circa una media di 10 episodi al giorno, la maggior percentuale di aggressioni sia fisiche che verbali, pari al 72,1 per cento, è toccata al Sud e alle isole.

Dato ancora più allarmante è per i medici che lavorano in pronto soccorso e per il 118, dove le stesse percentuali salgono all'80,2 per cento. Rispetto alle aggressioni fisiche, particolarmente colpiti sono i medici dei reparti di psichiatria e Sert (34,12 per cento di tutte le aggressioni fisiche) e i medici del pronto soccorso e 118 (20,6 per cento di tutte le aggressioni fisiche).

Le cause delle aggressioni, per i medici coinvolti nell'indagine, sono riferibili a varia natura: fattori socio-culturali (37,2 per cento); definanziamento del Sistema sanitario nazionale (23,4 per cento); carenze organizzative (20 per cento); carenze di comunicazione (8,5 per cento).

Da quanto riportato dal sito “Osservatorio Diritti”, testata on-line specializzata in inchieste, analisi ed approfondimenti sul tema dei diritti umani in Italia e nel mondo, la violenza nei confronti degli operatori socio-sanitari emergerebbe in contesti particolari, come abuso di alcol e droghe, o la mancanza di limiti di accesso dei visitatori negli ospedali e negli ambulatori. Pericolose sono le situazioni di scarsa illuminazione, come i parcheggi degli ospedali, o la mancanza di adeguata formazione del personale sanitario a riconoscere ed arginare l'aggressività. Sicuramente imprescindibile è il tema del sovraffollamento, strettamente legato al pronto soccorso, che risulterebbe dall'indagine il reparto con il più alto tasso di aggressioni verbali e fisiche, ed al taglio dei posti letto.

Insomma, percentuali insostenibili per chi vi lavora e situazione cariche di stress, che condizionano notevolmente il burnout di medici e infermieri, tanto da spingere, così come segnalano le associazioni di categoria agli specialisti, a cercare di evitare proprio i pronto soccorsi.

Non è minimizzabile, infatti, la questione Sud. Non è un mistero che la sanità meridionale sia quella più definanziata. Lo abbiamo ripetuto in diverse, molte, tante occasioni in quest'Aula, lo abbiamo visto in questi mesi di emergenza sanitaria dovuta al COVID-19. Ma bisogna essere coscienti che è proprio la carenza della gestione del servizio sanitario, che determina al Sud un'ampia diffusione della violenza verso i sanitari.

Sicuramente questo stato di cose è stato aggravato dalle iniziative di spending review, messe in atto dai Governi precedenti, che hanno portato ad un drastico taglio dei fondi di sicurezza e al netto ridimensionamento dei presidi di polizia fissi, determinando in tal modo una carenza del personale di polizia all'interno dei presidi ospedalieri.

Un altro elemento, da tenere in considerazione e in alcun modo da non sottovalutare, è che le aggressioni non devono essere considerate solo ed esclusivamente interne alle aree mediche. Le aggressioni al medico e al personale sanitario, in alcuni casi, si concretizzano anche fuori dai posti di lavoro, nei parcheggi, per strada e nelle vicinanze delle abitazioni private.

Infine, bisogna tenere conto di come altri temi, come quelli della malpractice, dell'eccesso di procedimenti giudiziari, del ruolo del risk manager aziendale e del calo della vocazione medica, in un numero già esiguo di specializzandi, hanno reso critici il ruolo e la funzione dell'operatore sanitario e socio-sanitario, determinando al contempo un cumulo di pressione, non solo allo stesso esercente la professione sanitaria e socio-sanitaria, ma anche sui pazienti.

A tal riguardo va sottolineato come la legge n. 24 del 2017 ha cercato di mettere in campo soluzioni atte a risolvere soprattutto il problema dell'eccesso di denunce a carico dei medici, ma purtroppo, in questi anni, non si è visto alcun calo del loro numero. Per contro, si è potuto notare, invece, l'accentuarsi di azioni da parte di agenzie e associazioni mirate al reclutamento di pazienti disponibili alla denuncia. È in crisi il patto terapeutico - probabilmente è il nocciolo della questione - tra medico e paziente, che ha creato, da un lato, la sfiducia e l'insoddisfazione verso la figura del medico e, dall'altro, di conseguenza, la cosiddetta medicina difensiva.

Nella cosiddetta legge Gelli è stata prevista una serie di strumenti, enunciati nell'articolo 2 della legge n. 24 del 2017. L'ufficio del difensore civico ha una funzione di garante del diritto alla salute, al quale i soggetti destinatari delle prestazioni sanitarie e le associazioni possono rivolgersi gratuitamente, al fine di segnalare eventuali disfunzioni del sistema assistenziale sanitario.

È stato previsto l'istituzione dell'Osservatorio nazionale delle buone pratiche sulla sicurezza nella sanità, il cui scopo è quello di raccogliere ed elaborare le informazioni, relative ai rischi e agli eventi avversi dai centri regionali per il rischio sanitario, avvalendosi del SIMES (Sistema informativo per il monitoraggio degli errori in sanità), rimandato al Ministero della Salute l'impegno di trasmettere annualmente alle Camere una relazione sull'attività sopra esposta, svolta dall'Osservatorio.

Gli errori e il comportamento umano non possono essere analizzati singolarmente, ma devono esserlo in relazione al contesto nel quale la gente lavora. Il personale medico e sanitario è influenzato dalla natura del compito che svolge, dal gruppo di lavoro, dall'ambiente di lavoro e dal più ampio contesto organizzativo, cioè tutti fattori sistemici.

In questa prospettiva gli errori sono visti, non tanto come il prodotto della fallibilità personale, quanto come la conseguenza di problemi più generali, presenti nell'ambiente di lavoro e nell'organizzazione. Occorre preservare la responsabilità individuale e, al contempo, comprendere le interazioni tra persona, tecnologia e organizzazione. Così, in questi anni, si è ricorso molto spesso, ahinoi, alla medicina difensiva, quella pratica dei medici volta a evitare possibili azioni legali di responsabilità, conseguenti al proprio operato.

Si parla di medicina difensiva positiva, quando si assiste ad un'eccessiva prudenza, che si esplicita attraverso servizi terapeutici o diagnostici spropositati e superflui, rispetto a quanto strettamente necessario. Si parla, invece, di medicina difensiva negativa, quando l'eccessiva prudenza si traduce nel rifiuto di compiere operazioni che presentino alti profili di rischio o nel rifiuto di occuparsi di pazienti che presentino condizioni cliniche delicate. Nel primo caso, il paziente rischia di essere sottoposto ad un surplus di esami e terapie, nel secondo caso, di essere abbandonato a se stesso, anche quando un coraggioso intervento medico consentirebbe di aumentare le chance di guarigione.

In entrambi i casi a risultare lesi sono il diritto alla salute, costituzionalmente tutelato, le finanze pubbliche, la tranquillità della classe medica e il rapporto medico-paziente.

Un'indagine condotta nel 2010 dall'Ordine provinciale dei medici chirurghi ed odontoiatri di Roma ha messo in evidenza che la medicina difensiva rappresenta un fenomeno in crescita, che ha una rilevante incidenza economica nella sanità pubblica e sulla spesa privata, con presumibili ricadute negative anche nelle liste d'attesa. L'indagine ha confermato l'immagine di una categoria professionale che si sente sotto assedio, giudiziario e mediatico.

Dall'indagine sono, infatti, scaturiti i seguenti dati, relativi alle motivazioni per le quali i medici ricorrono alla medicina difensiva: il 78,2 per cento si sente più a rischio di denuncia rispetto al passato; il 68,9 pensa di avere il 30 per cento di possibilità di essere denunciato; il 25 per cento circa dichiara che tale possibilità è anche superiore; soltanto il 6,7 per cento dei medici giudica nulla la possibilità di una denuncia. Complessivamente, ben il 65,4 per cento si ritiene sotto pressione nella pratica clinica quotidiana.

In base ai risultati della ricerca nazionale sulla medicina difensiva, realizzata nel 2010 dall'Ordine provinciale dei medici chirurghi ed odontoiatri di Roma, il fenomeno della medicina difensiva varia, seppur leggermente, in base all'età (soprattutto se è giovane), al ruolo, per lo più riferito all'assistenza primaria, alla specializzazione (maggiormente in medicina interna, nefrologia, urologia, neurologia e neurochirurgia, ortopedia, ostetricia, ginecologia, medicina d'urgenza, cardiologia) e all'allocazione geografica (è più accentuato, come dicevamo prima, tra i residenti nelle regioni del sud e nelle isole).

In base ai dati raccolti su scala nazionale dall'Ordine provinciale dei medici chirurghi e degli odontoiatri di Roma, l'incidenza della medicina difensiva, generata da tutti i medici pubblici e privati sul Sistema sanitario nazionale, è pari al 10,5 per cento.

Voce farmaci: 1,9 per cento; visite: 1,7 per cento; esami di laboratorio: 0,7 per cento; esami strumentali: 0,8 per cento; ricoveri: 4,6 per cento.

Le dimensioni del fenomeno e le ragioni, per le quali la medicina difensiva è praticata, sono state oggetto di alcune indagini scientifiche, che hanno dato risultati ampiamente sovrapponibili. Il 77,9 per cento del campione ha tenuto almeno un comportamento di medicina difensiva nell'ultimo mese di lavoro (92,3 per cento, nella classe tra 32 e 42 anni). Il 68,9 per cento ha proposto e disposto il ricovero di pazienti, che riteneva gestibili ambulatorialmente. Il 61,3 per cento ha prescritto un numero di esami maggiore, rispetto a quello ritenuto necessario, per effettuare la stessa diagnosi. Il 58,6 per cento dei medici ha chiesto il consulto di altri specialisti, pur non ritenendolo necessario. Il 51,5 per cento ha prescritto farmaci non necessari. Il 24,4 per cento ha prescritto trattamenti non necessari. Il 26,2 per cento ha escluso pazienti a rischio da alcuni trattamenti, al di là delle normali regole di prudenza. Il 14 per cento ha evitato procedure rischiose, diagnostiche e terapeutiche, su pazienti che avrebbero potuto trarne beneficio.

Un'indagine Agenas del 2014, effettuata su 1.500 medici ospedalieri, evidenzia come il 58 per cento dei camici bianchi pratichi medicina difensiva e, per il 93 per cento, questa sia destinata ad aumentare.

Lo studio spiega anche il perché si fa medicina difensiva. Per il 31 per cento è colpa della legislazione sfavorevole per il medico. Per il 28 per cento, per il rischio di essere citati in giudizio. Per il 14 per cento, a causa dello sbilanciamento del rapporto medico-paziente, con eccessive richieste, pressioni e aspettative da parte del paziente e dei familiari.

In base ai principi contenuti nell'articolo 20 del codice deontologico dei medici, il medico, nella relazione, persegue l'alleanza di cura, fondata sulla reciproca fiducia, sul mutuo rispetto dei valori e dei diritti e su un'informazione comprensibile e completa, considerando il tempo della comunicazione quale tempo di cura.

Un lungo iter giurisprudenziale ha assoggettato l'operatore sanitario ad un contratto d'opera professionale nei confronti del paziente, di cui si fa carico non in virtù della sottoscrizione di un contratto, ma del cosiddetto contatto sociale che si instaura tramite la relazione terapeutica; la cosiddetta contrattualizzazione della responsabilità del medico delinea un rapporto professionale in cui il paziente è creditore della prestazione professionale, mentre il medico è tenuto a offrire la propria attività secondo parametri di diligenza, prudenza e perizia, ma tutto ciò non ha garantito al medico di poter lavorare in serenità, prestando la propria professionalità al bene della collettività. Le aggressioni aumentano e per gli esercenti le professioni sanitarie e socio-sanitarie non è possibile garantire le proprie prestazioni nel miglior modo possibile. La politica ha avuto il coraggio di capire che il provvedimento, di cui stiamo discutendo, aveva ed ha tutt'oggi la necessità di essere congedato dal Parlamento per permettere a tutti gli esercenti le professioni sanitarie e socio-sanitarie di poter svolgere il proprio ruolo in tutta sicurezza e senza alcun carico di stress. Proprio per questo l'auspicio è che quest'Aula, così come è già accaduto in prima lettura e così come è avvenuto nei banchi del Senato, approvi definitivamente il testo con voto unanime, senza lasciare spazio a futili polemiche, volte per lo più alla manfrina della politica da circo. Questo tema per noi è di massima urgenza perché sono troppi gli episodi di cronaca che ci informano di aggressioni ai danni dei medici e del personale sanitario all'interno del nostro Sistema sanitario nazionale; non permetteremo che la violenza, soprattutto verso medici e personale sanitario, diventi una consuetudine e per noi questo provvedimento è un primo passo fondamentale per dare risposte concrete a chi, da troppo tempo, chiedeva aiuto. Troppi titoli di giornali in questi anni: un medico di Sanremo ucciso nello studio privato. Roma: aggredito medico all'ospedale Sant'Andrea. Crotone: muore paziente e medico aggredito dai familiari. Lascia paziente con l'influenza per un'emergenza: dottoressa presa a calci. Aggredisce medico perché stanco di attendere il turno. Fano: doppia aggressione al pronto soccorso di Santa Croce. Potrei continuare ma mi fermo qui perché, anche se è triste pensare che quegli angeli -come sono stati molte volte nominati - quegli eroi che continuiamo a ringraziare quotidianamente, siano tuttora, nonostante il COVID-19, martoriati dalle violenze di alcuni pazienti. È tempo che la politica si faccia carico delle proprie responsabilità, lasciando da parte la faziosità e il tifo da stadio ma lavorando in uno stato emergenziale in modo unanime, con l'unico obiettivo di perseguire il bene dei cittadini. Come è percepibile, noi ce la stiamo mettendo tutta per trasmettere sicurezza, ma adesso è ora di dire “basta!”.

Chi lavora per la salute dei pazienti non può farlo, rischiando quotidianamente la propria vita; non è possibile che, sul personale sanitario, vengano scaricate inefficienze, carenze, disorganizzazione ed ogni limite che la sanità può offrire; non possiamo più pensare di mandare personale medico e sanitario e sociosanitario a lavorare con la paura che, chiunque non veda ascoltata la propria richiesta o in qualche modo delusa la propria aspettativa di salute, possa vedere nel sanitario di turno un nemico da abbattere.

Signor Presidente, cari colleghi, è nostro compito prospettare le soluzioni per garantire l'incolumità degli operatori sanitari con qualunque mezzo e a qualunque costo. Abbiamo il dovere di difendere la dignità e la professionalità di chi ogni giorno, tra mille problemi, lavora per garantire a tutti il diritto alla salute e con questo testo diamo più sicurezza al nostro personale sanitario.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - A.C. 2117-A)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore per la Commissione giustizia, deputato Michele Bordo, che vi rinunzia.

Ha facoltà di intervenire la rappresentante del Governo, sottosegretaria Zampa. Prego, ne ha facoltà.

SANDRA ZAMPA, Sottosegretaria di Stato per la Salute. La ringrazio, signor Presidente. Prendo la parola per ringraziare davvero molto i deputati che oggi sono stati in quest'Aula e, tramite loro, ovviamente i gruppi parlamentari, che hanno partecipato con grandissimo impegno ad una discussione, ad un dibattito e alla messa a punto di queste norme, che sono davvero il frutto di un lavoro molto condiviso. Voglio ringraziarli tutti: l'onorevole Bordo, gli onorevoli Siani, Russo, Fregolent, De Martini, Di Sarno, Montaruli, Troiano. Questa legge darà finalmente uno strumento importantissimo. Ha ragione l'onorevole Troiano quando dice che abbiamo il dovere di difendere non solo fisicamente la salute e il benessere ma anche la dignità.

Questa dignità, in questi giorni, credo sia venuta fuori da sola, è emersa nei fatti. Credo abbia fatto molto riflettere e farà molto riflettere, ma le istituzioni hanno il dovere di fare in modo che la memoria, che, alle volte, è un po' corta, non lasci il posto ad un ritorno. Naturalmente, sappiamo tutti che gli importantissimi strumenti, che questa legge ci consegna - l'osservatorio è uno di questi, ma anche le campagne di informazioni - non sono sufficienti, perché è nei cittadini, è nella loro coscienza che deve maturare un grande rispetto nei confronti, prima di tutto del lavoro, dei lavoratori e della loro dignità, ma è anche in una valutazione più oggettiva, più distaccata. Sta a tutti noi credo anche non alimentare in alcun modo campagne di odio, rivolte anche semplicemente a rivendicare, spesso anche senza avere gli strumenti scientifici per valutare davvero l'operato degli altri. Quindi, davvero, il mio ringraziamento al Parlamento. È una legge alla quale noi teniamo molto, è una legge del Parlamento. Grazie per averla condivisa e grazie a tutti coloro che hanno fortemente contribuito a fare in modo che sia un ottimo testo, quello che licenzieremo da qui (Applausi).

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Organizzazione dei tempi di discussione dei disegni di legge di ratifica (ore 16,45).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione dei disegni di legge di ratifica nn. 2229, 1677 e 1676-A.

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi per la discussione generale dei disegni di legge di ratifica all'ordine del giorno è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (Vedi calendario)

Discussione del disegno di legge: S. 1140 - Ratifica ed esecuzione dell'Accordo di cooperazione culturale, scientifica e tecnologica tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica del Mozambico, fatto a Maputo l'11 luglio 2007 (Approvato dal Senato) (A.C. 2229).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato, n. 2229: Ratifica ed esecuzione dell'Accordo di cooperazione culturale, scientifica e tecnologica tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica del Mozambico, fatto a Maputo l'11 luglio 2007.

(Discussione sulle linee generali – A.C. 2229)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Avverto che la III Commissione (Affari esteri) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire la relatrice deputata Lia Quartapelle Procopio.

LIA QUARTAPELLE PROCOPIO, Relatrice. Grazie mille, Presidente. L'Accordo è un Accordo che si inscrive nella serie di accordi che noi ratifichiamo con alcuni Paesi e presenta due elementi di particolare interesse. Un elemento di particolare interesse riguarda il Mozambico, il Paese con cui stringiamo l'Accordo. Si tratta di uno dei paesi verso cui la politica italiana ha avuto un atteggiamento più cooperativo e collaborativo già dal 1975, dalla data dell'indipendenza. Il nostro Paese è sempre riuscito a instaurare con Maputo, e con le autorità locali, una serie di iniziative di cooperazione, alcune sono rimaste mitiche, come ad esempio le iniziative portate avanti dal municipio di Reggio Emilia, di cooperazione con le municipalità del nord del Paese; altre iniziative sono ancora oggi in funzione e faccio riferimento, in particolare, al progetto pilota della Comunità di Sant'Egidio “Dream” per il contrasto all'AIDS e per il sostegno alle persone sieropositive.

Poi la storia dei rapporti tra Italia e Mozambico ha avuto un momento altissimo quando il nostro Paese, alla fine degli anni Ottanta e per i primi anni Novanta, ha favorito il processo di pace tra Renamo e Frelimo, sempre grazie alla mediazione gestita dalla Farnesina, dall'allora sottosegretario agli Affari esteri, Mario Raffaelli, e alle attività della Comunità di Sant'Egidio. Tutto questo lavoro è culminato il 4 ottobre del 1992 nella firma degli Accordi di Roma, cioè, appunto, la pace tra Frelimo e Renamo, un punto storico per il nostro Paese, che per la prima volta faceva da mediatore con successo nella conclusione di un conflitto africano, sia, ovviamente, per il Mozambico. Ogni anno, il 4 di ottobre, a Maputo e in tutto il Paese, è una grande festa, che non celebra solo la riunificazione di quel Paese, ma anche una grande festa delle relazioni tra Italia e Mozambico.

Quindi questo accordo si iscrive tra le tante iniziative positive portate avanti dal nostro Paese con il Mozambico.

Il secondo elemento per cui vale la pena di spendere qualche parola in più sulla ratifica di un Accordo di cooperazione internazionale è appunto il tema della cooperazione internazionale; oggi è una giornata particolare, è la giornata successiva al ritorno di una ragazza italiana che faceva cooperazione internazionale in Africa, Silvia Romano, un ritorno che abbiamo tutti festeggiato con grandissima gioia; ratificare uno strumento di cooperazione internazionale - ovviamente si tratta di uno strumento che ha a che fare con la cooperazione culturale, scientifica e tecnologica, quindi non direttamente con i temi più legati allo sviluppo, ma più con temi appunto culturali e di cooperazione scientifica - assume in questo momento, a mio giudizio, un valore particolare perché si inscrive in tutte quelle attività in cui istituzioni, società civile, cittadini italiani si prodigano quotidianamente nei rapporti tra Italia e Africa. Questo è un pezzo di un più ampio tassello di relazioni tra l'Italia e l'Africa ed è, secondo me, significativo oggi dedicare un minuto della nostra attenzione a iscrivere questo strumento nelle iniziative di politica estera e di politica di cooperazione che noi mettiamo in campo in Africa; lo facciamo noi, come istituzioni, ma lo fanno quotidianamente tante donne e tanti uomini che sono presenti nel continente africano e che certe volte per portare avanti questo tipo di attività mettono molto più del loro di quello che è previsto dal loro contratto di lavoro o dagli accordi con le organizzazioni che li ospitano. Per me è importante ricordarlo perché credo che una riflessione da parte delle nostre istituzioni sulla forma da dare a questi tipi di rapporti debba essere portata avanti, rinnovata anche alla luce dei rischi per la sicurezza che abbiamo visto che una parte di questo personale continua a scontare.

Ci tenevo, quindi, a iscrivere questo Accordo sia nella storia dei rapporti tra Italia e Mozambico sia nella più vasta rete di rapporti tra l'Italia e l'Africa e lo sforzo di cooperazione che noi stiamo facendo a vari livelli, dal punto di vista della lotta alla povertà e dal punto di vista degli scambi culturali e commerciali.

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo, sottosegretario Manlio Di Stefano, che si riserva di farlo in seguito.

Non essendovi iscritti a parlare dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali, avvertendo che non si darà luogo alle repliche.

Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione del disegno di legge: Ratifica ed esecuzione dell'Accordo di cooperazione fra l'Unione europea e i suoi Stati membri, da una parte, e la Confederazione svizzera, dall'altra, sui programmi europei di navigazione satellitare, fatto a Bruxelles il 18 dicembre 2013 (A.C. 1677).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge n. 1677: Ratifica ed esecuzione dell'Accordo di cooperazione fra l'Unione europea e i suoi Stati membri, da una parte, e la Confederazione svizzera, dall'altra, sui programmi europei di navigazione satellitare, fatto a Bruxelles il 18 dicembre 2013.

(Discussione sulle linee generali – A.C. 1677)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Avverto, altresì, che la III Commissione (Affari esteri) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire il relatore, deputato Riccardo Olgiati. A lei la parola.

RICCARDO OLGIATI, Relatore. Grazie, Presidente. Presidente, colleghi deputati, rappresentante del Governo, l'Accordo in esame intende formalizzare e approfondire la stretta integrazione della Svizzera nei programmi europei di GNSS, Global Navigation Satellite System, rivestendo un ruolo molto importante per motivi tecnologici, geografici e finanziari. Ricordo che per la prestazione di servizi di GNSS, la Commissione europea ha lanciato, di concerto con l'ESA, l'Agenzia spaziale europea, un programma europeo di posizionamento globale satellitare costituito dalla componente Galileo, sistema di posizionamento globale satellitare, e dalla componente EGNOS, European Geostationary Navigation Overlay System, che si inserisce in maniera complementare ai sistemi dedicati alla navigazione globale già esistenti, migliorandone e diffondendone i dati.

Galileo è un sistema basato su una costellazione di satelliti artificiali in grado di fornire con estrema precisione le coordinate geografiche e la velocità di qualsiasi mezzo fisso o mobile in ogni punto in prossimità della superficie della Terra e nell'atmosfera, con continuità temporale. Si tratta di un programma strategico per l'Unione europea con potenzialità di impiego in quasi tutti i settori suscettibili di consentire all'Ue di collocarsi sul mercato della radionavigazione via satellite e di mantenerne una quota rilevante.

In quanto, poi, Paese partner dell'Ue, la Svizzera collabora al programma Galileo fin dai suoi inizi e ha fornito un contributo politico, tecnico e finanziario a tutte le fasi del programma, anche in quanto membro dell'ESA, nonché attraverso la sua partecipazione a livello informale alle strutture europee di governance specifiche del programma. La Svizzera fornisce, d'altronde, la tecnologia fondamentale per il programma Galileo, ad esempio gli orologi del Maser di idrogeno, utilizzati per la sincronizzazione dei satelliti di Galileo nella gestione dei segnali per la marcatura temporale e la sincronizzazione dei riferimenti di frequenza, nonché per le altre applicazioni civili ove è necessaria la marcatura temporale certificata.

L'Accordo è diretto a stabilire i principi alla base della cooperazione tra le parti in molti settori quali lo spettro radio, la ricerca e formazione scientifica, lo sviluppo del mercato, cooperazione industriale e gli appalti, la standardizzazione e certificazione, lo scambio di informazioni classificate e gli scambi di personale. L'Accordo consente inoltre all'UE di fissare i principi generali, fra cui le misure di salvaguardia in materia di sicurezza e di controllo delle esportazioni. Le Parti sono impegnate a improntare la cooperazione nei suddetti ambiti al rispetto dei principi di reciproco vantaggio su una base di parità di diritti e di obblighi, di scambio tempestivo di informazioni, di adeguata tutela dei diritti di proprietà intellettuale, di libertà nel fornire servizi di navigazione satellitare nei Paesi delle parti stesse, nonché di commercio senza restrizioni dei prodotti GNSS.

Ricordo che si tratta di un Accordo di competenza mista dell'Unione europea e dei suoi Stati membri e pertanto da sottoporre anche alla firma dei rappresentanti dei singoli Stati membri e alla relativa ratifica da parte di questi ultimi. Gran parte dei Paesi lo hanno già ratificato, mentre Italia, Croazia, Grecia e Svezia devono ancora depositare gli strumenti di ratifica.

Passando al disegno di legge, segnalo che si compone di quattro articoli.

Gli articoli 1 e 2 contengono rispettivamente l'autorizzazione alla ratifica e l'ordine di esecuzione e la Convenzione, mentre l'articolo 3 contiene una clausola di invarianza finanziaria in forza della quale dall'attuazione della legge non devono derivare oneri per la finanza pubblica, dal momento che i costi per l'attuazione dell'accordo gravano sul bilancio dell'Unione.

Mi preme, infine, rammentare che l'allargamento alla Svizzera, come già alla Norvegia, della partecipazione a Galileo amplierà la platea dei Paesi utilizzatori dei sistemi GNSS, con benefici sia dal punto di vista della ripartizione dei costi tra Stati membri, sia dell'ampliamento del bacino dei potenziali utenti dei servizi commerciali e criptati.

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo, sottosegretario Manlio Di Stefano, che si riserva di farlo successivamente.

Non essendovi iscritti a parlare, dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali, avvertendo che non si darà luogo alle repliche.

Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione del disegno di legge: Ratifica ed esecuzione dell'Accordo di cooperazione scientifica, tecnologica e innovazione tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo dell'Australia, fatto a Canberra il 22 maggio 2017 (A.C. 1676-A).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge n. 1676-A: Ratifica ed esecuzione dell'Accordo di cooperazione scientifica, tecnologica e innovazione tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo dell'Australia, fatto a Canberra il 22 maggio 2017.

(Discussione sulle linee generali – A.C. 1676-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Avverto, altresì, che la III Commissione (Affari esteri) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire il relatore, deputato Riccardo Olgiati. A lei la parola, deputato Olgiati.

RICCARDO OLGIATI, Relatore. Grazie, Presidente. L'Accordo di cooperazione scientifica e tecnologica e innovazione tra Italia e Australia intende sviluppare ulteriormente i rapporti di amicizia bilaterali consolidando ed approfondendo la collaborazione tra i due Paesi nel campo della ricerca pubblica e privata in campo scientifico e tecnologico. L'Intesa è inoltre finalizzata a migliorare le rispettive conoscenze tecnologiche e le dotazioni infrastrutturali, anche a beneficio del mutuo sviluppo economico. In tale contesto, seppure la collaborazione in materia sia già prevista dall'Accordo di cooperazione culturale tra Italia e Australia firmato a Roma l'8 gennaio 1975, si è ravvisata l'opportunità di strutturarne maggiormente la realizzazione nel contesto di un quadro giuridico formale che preveda la possibilità di finanziare progetti e attività congiunte.

L'Accordo si compone di 14 articoli, preceduti da un preambolo che contiene un riferimento al Memorandum d'intesa per la cooperazione scientifica e tecnologica tra il Ministero dell'Università e della ricerca e il Dipartimento australiano dell'industria e innovazione, cambiamenti climatici, scienza, ricerca e istruzione terziaria, firmato a Roma il 19 aprile del 2013, finalizzato alla promozione della cooperazione scientifica e tecnologica bilaterale.

Tra le altre cose, l'Accordo prevede che scienziati, esperti, società, agenzie governative e istituzioni di Paesi terzi od organizzazioni internazionali potranno, in casi appropriati, essere invitati a partecipare alle attività di cooperazioni congiunte.

Ulteriori disposizioni intervengono in materia di responsabilità delle organizzazioni coinvolte nell'attività di cooperazione e di protezione delle posizioni legali e commerciali degli esperti e dei professionisti che forniscono le consulenze, anche con riguardo al materiale, ai diritti di proprietà intellettuale e alle informazioni riservate.

Confido in una rapida approvazione del disegno di legge, che concorrerà a rafforzare ulteriormente i nostri rapporti con l'Australia, storicamente improntati a grande cordialità grazie alla comune condivisione di valori democratici e alla presenza di una ben integrata comunità di origine italiana che risiede in Australia, che ammonta ad oltre un milione di persone.

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il sottosegretario Di Stefano, che si riserva di farlo. Non essendovi iscritti a parlare dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali, avvertendo che non si darà luogo alle repliche.

Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Ordine del giorno della prossima seduta.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.

Martedì 12 maggio 2020 - Ore 11:

1. Informativa urgente del Governo sulla vicenda della nomina del capo del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria nel 2018.

(ore 16)

2. Seguito della discussione del disegno di legge:

Conversione in legge del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19, recante misure urgenti per fronteggiare l'emergenza epidemiologica da COVID-19. (C. 2447-A)

Relatrice: LOREFICE.

3. Seguito della discussione delle mozioni Molinari, Gelmini, Lollobrigida, Lupi ed altri n. 1-00346 e Davide Crippa, Delrio, Boschi, Fornaro ed altri n. 1-00348 concernenti iniziative volte al superamento delle limitazioni delle libertà costituzionalmente garantite e delle criticità normative emerse in relazione alla gestione dell'emergenza da COVID-19 .

4. Seguito della discussione del disegno di legge:

S. 867 - Disposizioni in materia di sicurezza per gli esercenti le professioni sanitarie e socio-sanitarie nell'esercizio delle loro funzioni (Approvato dal Senato). (C. 2117-A)

e delle abbinate proposte di legge: NOVELLI ed altri; ROSTAN ed altri; MINARDO; PIASTRA ed altri; BRUNO BOSSIO; CARNEVALI ed altri; BELLUCCI ed altri; LACARRA ed altri; PAOLO RUSSO ed altri.

(C. 704-909-1042-1067-1070-1226-1246-1590-2004)

Relatori: BORDO MICHELE, per la II Commissione; IANARO, per la XII Commissione.

5. Seguito della diiscussione dei disegni di legge:

S. 1140 - Ratifica ed esecuzione dell'Accordo di cooperazione culturale, scientifica e tecnologica tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica del Mozambico, fatto a Maputo l'11 luglio 2007 (Approvato dal Senato). (C. 2229)

Relatrice: QUARTAPELLE PROCOPIO.

Ratifica ed esecuzione dell'accordo di cooperazione fra l'Unione europea e i suoi Stati membri, da una parte, e la Confederazione svizzera, dall'altra, sui programmi europei di navigazione satellitare, fatto a Bruxelles il 18 dicembre 2013. (C. 1677)

Relatore: OLGIATI.

Ratifica ed esecuzione dell'Accordo di cooperazione scientifica, tecnologica e innovazione tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo dell'Australia, fatto a Canberra il 22 maggio 2017. (C. 1676-A)

Relatore: OLGIATI.

La seduta termina alle 17.