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Resoconto dell'Assemblea

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XVIII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 293 di lunedì 27 gennaio 2020

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ETTORE ROSATO

La seduta comincia alle 14.

PRESIDENTE. La seduta è aperta.

Invito la deputata segretaria a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

SILVANA ANDREINA COMAROLI , Segretaria, legge il processo verbale della seduta del 20 gennaio 2020.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Amitrano, Ascani, Azzolina, Battelli, Benvenuto, Boccia, Bonafede, Claudio Borghi, Boschi, Brescia, Buffagni, Businarolo, Cancelleri, Carfagna, Castelli, Cirielli, Colucci, Davide Crippa, D'Incà, D'Uva, Dadone, De Maria, De Micheli, Del Re, Delmastro Delle Vedove, Delrio, Di Stefano, Fassino, Ferraresi, Gregorio Fontana, Fraccaro, Franceschini, Frusone, Gallinella, Gelmini, Giaccone, Giachetti, Giorgis, Grande, Grimoldi, Guerini, Invernizzi, Iovino, L'Abbate, Liuni, Liuzzi, Lollobrigida, Lorefice, Losacco, Maggioni, Maniero, Mauri, Molinari, Montaruli, Morani, Morassut, Morelli, Orlando, Orrico, Rampelli, Ribolla, Rizzo, Ruocco, Paolo Russo, Saltamartini, Scalfarotto, Carlo Sibilia, Sisto, Spadafora, Speranza, Tofalo, Traversi, Vignaroli, Villarosa, Raffaele Volpi e Zoffili sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.

I deputati in missione sono complessivamente settantanove, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna).

Modifiche nella composizione di gruppi parlamentari.

PRESIDENTE. Comunico che, con lettere pervenute in data 21 gennaio 2020, i deputati Nadia Aprile e Michele Nitti, già iscritti al gruppo parlamentare MoVimento 5 Stelle, hanno dichiarato di aderire al gruppo Misto, cui risultano pertanto iscritti.

Modifica nella composizione dell'ufficio di presidenza di un gruppo parlamentare.

PRESIDENTE. Comunico che, con lettera pervenuta in data 22 gennaio 2020, il presidente del gruppo parlamentare MoVimento 5 Stelle, Davide Crippa, ha reso noto che l'assemblea del medesimo gruppo ha eletto vicepresidenti i deputati Angela Salafia e Filippo Scerra, in sostituzione dei deputati Federica Dieni e Azzurra Pia Maria Cancelleri.

Discussione delle mozioni Enrico Borghi, Marco Di Maio, Fornaro ed altri n. 1-00312 e Parolo ed altri n. 1-00316 concernenti iniziative per la salvaguardia, la valorizzazione e lo sviluppo delle aree interne, rurali e montane.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Enrico Borghi, Marco Di Maio, Fornaro ed altri n. 1-00312 e Parolo ed altri n. 1-00316 concernenti iniziative per la salvaguardia, la valorizzazione e lo sviluppo delle aree interne, rurali e montane (Vedi l'allegato A).

La ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicata in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (Vedi calendario).

Avverto che sono state presentate le mozioni Lollobrigida ed altri n. 1-00317 e Vietina ed altri n. 1-00318, che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalle mozioni all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente (Vedi l'allegato A). I relativi testi sono in distribuzione.

Avverto, altresì, che è stata presentata una nuova formulazione della mozione Enrico Borghi, Marco Di Maio, Fornaro ed altri n. 1-00312, che è stata sottoscritta, tra gli altri, anche dai deputati Federico e Plangger che, con il consenso degli altri sottoscrittori, ne diventano rispettivamente il secondo e il quinto firmatario. Il relativo testo è in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.

È iscritto a parlare il collega Roger De Menech, che illustrerà anche la mozione n. 1-00312 (Nuova formulazione), di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

ROGER DE MENECH (PD). Grazie, Presidente. Ministro, io sottolineo in apertura l'importanza di aver riportato in Parlamento questa iniziativa. È un'iniziativa importante, come dicevo, venti punti molto qualificanti per affrontare un tema, quello delle aree interne, che lega in maniera forte il possibile sviluppo del nostro Paese, uno sviluppo che deve essere assolutamente equilibrato. Dobbiamo prendere atto che negli ultimi anni il nostro Paese, come gran parte dell'Europa, ha vissuto sicuramente due fenomeni che hanno messo in dura difficoltà, in pesante difficoltà, le aree interne: da una parte, il calo demografico - che viviamo in tutto il territorio nazionale ed europeo - ma, oltre al calo demografico naturale, nelle aree interne c'è stato il cosiddetto scivolamento a valle, la concentrazione sulle grandi metropoli della popolazione. Questo ha provocato, come dicevo, in questi anni, un fenomeno che noi riteniamo quello, forse, più preoccupante in questo momento storico, che è quello dello spopolamento. Queste zone, le parti più interne del Paese, rischiano di diventare dei deserti e, se vogliamo avere uno sviluppo equilibrato, dobbiamo sicuramente mettere in atto delle politiche che partono anche dalla considerazione che i nostri padri costituenti avevano fatto nell'articolo 44 della Costituzione, dove il termine di sviluppo economico sostenibile, diffuso sul territorio, armonico, era un termine presente; così come era presente anche che la legge deve disporre i provvedimenti a favore delle zone di montagna. Abbiamo, quindi, il presupposto giuridico fin dal dopoguerra per agire. Cosa è successo in questi anni? Ci sono stati sicuramente degli elementi normativi molto importanti, io ricordo la legge n. 97 del 1994, “Nuove disposizioni per le zone montane”, e soprattutto, nell'ultima legislatura conclusa un paio di anni fa, la ormai famosa legge n. 158 del 2017, “Misure per il sostegno e la valorizzazione dei piccoli comuni (…)”.

Ecco, come abbiamo detto, ci sono tutta una serie di strategie. All'interno di tutte queste norme e queste strategie, sicuramente le strategie rispetto alle aree interne, e quindi le ormai famose 72 zone progetto, hanno assunto un valore significativo, soprattutto perché sono state, di fatto, quelle che hanno consentito di iniziare una sperimentazione operativa, cioè di rendere fruibili nei confronti dei nostri concittadini delle strategie vere e proprie di lungo periodo e, soprattutto, strutturate ad hoc per invertire una tendenza, come dicevo, che era quella di portare lo spopolamento in queste zone.

Le zone, queste 72 aree progetto, come dicevo, non tutte sono completamente partite, però una buona parte di esse ormai ha assunto un ruolo da protagonista nel panorama nazionale e stanno iniziando a produrre degli effetti tangibili sul territorio, intrecciando - è anche questo un valore assolutamente fondamentale - all'interno di queste aree progetto i vari livelli di governo. Perché un'altra cosa fondamentale per la gestione di queste aree è intrecciare i livelli di governo, partendo dal livello locale, quello di prossimità, i nostri sindaci, arrivando alle regioni, allo Stato e, ovviamente, intrecciando le politiche comunitarie. Anche questo è un fattore molto importante.

Le zone montane, queste zone, in Italia sono il 55 per cento del nostro territorio, in Europa il 65 per cento, ed è indiscutibile che abbiano tutta una serie di gap. Io ho detto quello che più ci preoccupa, che è il gap rispetto allo spopolamento, ma ci sono dei gap molto importanti; ne cito uno che potrebbe essere anche una chiave di volta rispetto al futuro: il gap tecnologico, gli accessi ad internet, all'internet veloce e ultraveloce. Sicuramente la tecnologia può aiutare a ridurre le distanze e su questo dobbiamo fare una scommessa molto, molto importante; una scommessa che non è un valore esclusivo per le aree interne o per le zone di montagna del nostro Paese, anzi è un beneficio per la crescita, come dicevo, armonica dell'intero Paese. È indiscutibile - lo abbiamo scritto nella mozione - che dalle zone di montagna arrivano importanti fattori di crescita: posso citare quello del paesaggio, dell'utilizzo del suolo, dell'energia, delle risorse idriche, l'aria pulita, le materie prime, cioè tutta una serie di benefit, li definiamo così, che sicuramente queste zone rendono ai territori di pianura. La crescita armonica di questi territori può contribuire, come dicevo, ad evitare lo spopolamento.

Allora, abbiamo detto: intrecciare politiche di livelli diversi, intrecciare anche forme di cooperazione a livello diverso e sempre più ampio; e qui abbiamo citato Eusalp e Eusair, due modi per cooperare nell'ambito più vasto delle nostre delle nostre comunità e per garantire quell'equilibrio demografico fondamentale.

Un tema fondamentale - io ho citato la tecnologia che può aiutarci a ridurre le distanze -, un tema molto operativo e molto sentito è sicuramente la prevenzione del dissesto: abbiamo vissuto (io vengo da una di quelle zone, la parte più a nord del Veneto) poco più di un anno fa un episodio, che non è un episodio, che è la tempesta Vaia, danni ambientali ingenti, danni che hanno avuto una ricaduta, non soltanto e ovviamente sulle popolazioni che vivono quei territori, ma hanno avuto una ricaduta soprattutto sull'equilibrio ambientale di quelle zone.

Allora in questo senso, come dicevo, noi dobbiamo assolutamente continuare. Cosa abbiamo fatto? Nel bilancio ultimo approvato abbiamo messo in fila una serie di provvedimenti, ampliato le risorse disponibili, tanto è vero che abbiamo stanziato 60 milioni di euro per l'anno 2021, 70 milioni per il 2022 e per il 2023, aggiungendo poi 30 milioni nel triennio 2020-2022 per i famosi interventi alle attività economiche artigianali, cioè per la vita delle nostre comunità. Come dicevo, un'iniziativa molto importante promossa dal collega Borghi, che abbiamo cercato di ampliare proprio anche nelle ultime ore e farla sottoscrivere alla parte maggiore del nostro Parlamento: venti impegni molto puntuali, anche molto concreti, dico io, iniziando da uno sviluppo equilibrato, come dicevo, fra le aree interne e le zone di montagna. Siamo dentro un momento importante per lo sviluppo, come dicevo, armonico di tutta l'Unione europea, siamo dentro il cosiddetto Green Deal europeo: dentro quel contesto le aree di montagna possono essere un fattore assolutamente virtuoso. E poi una strategia, come dicevo, integrata degli interventi. Quindi non più interventi spot, che vengono fatti di volta in volta, ma dentro una progettualità più complessa e soprattutto dentro il coordinamento, che deve essere fatto sicuramente dal Governo insieme alle regioni, di tutti gli enti locali, in modo che l'esperienza positiva delle aree interne e dei settantadue progetti pilota possa finalmente - altro punto qualificante della nostra mozione - essere esportata in tutto il territorio similare delle Alpi e degli Appennini, perché, finita, per così dire, la parte di sperimentazione, è corretto che tutte le zone che hanno caratteristiche di vita similari possano usufruire delle stesse condizioni di trattamento. Ecco, noi dovremo, in questi prossimi mesi, non soltanto agire sulla nostra legislazione, sulla legislazione italiana, aumentare i fondi - poi diremo anche con una proposta di concretezza anche in questo campo -, ma cercare di agire dentro questo nuovo concetto di sviluppo in campo europeo per far capire che questa può essere una molla di sviluppo anche in quel settore, e quindi indirizzare di conseguenza i finanziamenti in campo europeo.

Il coordinamento serrato - abbiamo scritto nel punto 4 - delle politiche nazionali con quelle europee, per arrivare poi, però, a quelli che operano nel territorio, ai nostri amministratori locali, deve cercare di mettere in campo delle economie intelligenti, le abbiamo definite così, sostenibili e inclusive. La sicurezza alimentare, l'inclusione sociale, la parità di genere, la lotta ai cambiamenti climatici, l'ho detto prima, la riduzione del divario digitale, la prevenzione del dissesto, la creazione di nuovi posti di lavoro. Sicuramente tutto dentro il concetto di zone interne, aree di montagna abitate. Non ci interessa, ovviamente, produrre politiche che non abbiano poi una ricaduta concreta rispetto ai nostri cittadini che vivono in quei territori. Altro punto qualificante è rendere sempre più operativa la famosa legge che ho citato prima, la n. 158 del 2017, sui piccoli comuni: è stato un documento fondamentale, anche lì, per rimettere al centro dell'attenzione politica del nostro Paese il tema dei piccoli comuni. Oggi dobbiamo continuare nel riempirla di contenuti.

Il coordinamento, come dicevo, avviene anche e soprattutto attraverso il rafforzamento dell'azione del comitato tecnico, questo è il punto 7 della nostra mozione; il comitato tecnico per le aree interne, istituito ormai nel 2015; ecco, questo va rafforzato, perché, se vogliamo passare da una parte sperimentale a una parte strutturale, noi abbiamo bisogno di conoscere soprattutto. Queste sono aree delicate, che hanno bisogno di professionalità, che hanno bisogno, quindi, di conoscenza. Il rafforzamento delle istituzioni che ne coordinano le attività sicuramente può produrre. Al punto 8, poi, chiediamo di adottare iniziative per incrementare le dotazioni del Fondo nazionale per la montagna fino a 100 milioni nel prossimo quadriennio. Abbiamo già attivato, con l'ultima legge di bilancio, un primo passo importante, è chiaro che le risorse sono un altro elemento importante; le risorse, però, accompagnate da una visione, non fini a se stesse.

Altro tema importante, al punto 9, è il mantenimento della biodiversità montana particolarmente minacciata. L'ho detto prima citando un episodio, la tempesta Vaia. Questi episodi sono quelli che ci fanno capire come quei territori sono straordinariamente belli, ma anche straordinariamente delicati; da questo punto di vista, la lotta al dissesto e ai cambiamenti climatici è un elemento assolutamente importante.

Abbiamo individuato poi - cito il punto numero 12 - un sacco di proposte molto operative che possono migliorare la sostenibilità dello sviluppo delle aree di montagna, per esempio l'attivazione di filiere per lo sviluppo rurale, sull'agriturismo, ma anche una serie di benefici fiscali. La parte dei benefici fiscali è un'altra parte importante della mozione che mettiamo nelle disponibilità di questo Parlamento, per un concetto molto semplice: vivere in queste zone, vivere lontano dai grandi centri di attrazione economica costa di più. Avere dei benefici fiscali, ridurre la pressione fiscale su alcuni tipi di attività, che, ovviamente, sono sempre a rischio del cosiddetto fallimento di mercato, può consentire di far rimanere le persone a vivere, ma soprattutto a lavorare. Ecco, allora abbiamo puntualmente individuato, partendo, ovviamente, per esempio dai rifugi di montagna, da tutta l'attività di educazione ambientale, da tutta quell'attività che viene fatta all'interno delle aree protette, siano esse nazionali che regionali, dei siti di Natura 2000. Incentivare queste attività con dei benefit può consentire, come dicevo, di invertire una tendenza e riattivare una filiera positiva perché i nostri giovani possano con dignità - perché questo è estremamente importante - vivere in quei territori, quindi un'inversione di tendenza.

Possiamo poi arrivare al punto 14 della nostra mozione, con una vera e propria inversione di tendenza anche sotto il profilo burocratico. Abbiamo detto incentivare con gli sgravi fiscali le attività tipiche delle zone di montagna e semplificare la burocrazia, altro elemento molto importante. Qui abbiamo inserito anche una cosa molto, molto importante, perché insieme all'abbandono e allo spopolamento c'è l'abbandono dei nostri borghi, dei borghi delle aree interne. Qui abbiamo previsto anche di costruire delle norme specifiche proprio per la trasformazione immobiliare, per fare in modo che i nostri centri abitati, che i centri abitati di montagna, non vadano a sparire proprio perché nessuno ha più l'interesse economico di intervenire; quindi affiancare gli strumenti generali per agevolare le operazioni di riqualificazione edilizia, che ci sono già nella normativa nazionale, con degli strumenti puntuali per queste zone. Come abbiamo detto, ci sono più e più punti che richiamano alla governance, ai tavoli di concertazione delle aree interne, tavoli estremamente importanti per riportare al centro il come agire su queste aree, con questa logica sempre di multilivello, quindi partendo dagli enti locali e arrivando fino al Governo nazionale ed europeo.

Altro punto importante è il punto numero 18: come sapete, nelle strategie delle aree interne il tema dei servizi è un tema centrale. Abbiamo bisogno di investimenti e di servizi; dentro i servizi la scuola, i trasporti e in particolare la sanità, il mantenimento dei presidi del controllo del territorio e della sanità. Abbiamo poi messo un accenno su un tema presente nell'attualità e nel dibattito parlamentare, il tema della gestione della risorsa dell'acqua, e qui - lo abbiamo detto in maniera molto chiara - quell'acqua deve essere gestita coinvolgendo innanzitutto i territori e gli enti locali che vivono nei nostri territori.

È una mozione quindi - e vado a chiudere - che ci auspichiamo possa avere una convergenza la più ampia possibile. Abbiamo cercato, come dicevo, di riportare in questi venti punti tutto quello che è necessario produrre a beneficio dei territori delle aree interne e delle zone di montagna, però con un approccio assolutamente delicato e, soprattutto, con un approccio che fa della conoscenza di quelle zone il fattore primario, perché gli interventi siano mirati, puntuali e abbiano un'efficacia soprattutto per fermare quello che è oggi, crediamo, il problema principale, che è l'abbandono di queste zone (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Badole, che illustrerà anche la mozione n. 1-00316, di cui è cofirmatario.

MIRCO BADOLE (LEGA). Grazie Presidente, la montagna rappresenta una realtà geografica economica e insediativa di straordinario rilievo per il nostro Paese, delimitato a nord dalla catena alpina e attraversato lungo il suo intero svolgimento peninsulare da quella appenninica, con rilievi montuosi di significativa estensione anche nelle sue isole maggiori. Questa montagna, che la geografia fisica descrive nell'intensità del suo coronamento, oltre che nello sviluppo altitudinale, trova un suo riconoscimento amministrativo nell'individuazione dei comuni totalmente o parzialmente montani. La montagna interessa 4.205 degli 8.100 comuni italiani, il 51,9 per cento, nei quali risiede una popolazione di oltre 14 milioni di abitanti, quasi un quarto della popolazione nazionale, e che si estendono per circa 175 mila chilometri quadrati, ovvero il 58,2 per cento del territorio nazionale. Una realtà estesa, che coinvolge l'intera articolazione del quadro regionale italiano, dalla identificazione totalitaria della regione Valle d'Aosta e delle province autonome di Trento e Bolzano alla minima incidenza delle regioni Veneto e della Puglia. In termini di distribuzione della popolazione l'insediamento montano rappresenta la configurazione maggioritaria dello spazio regionale, oltre che nelle tre realtà già richiamate, nelle quali ha addirittura l'espressione totalitaria, anche in tre piccole regioni del Centro-Sud, Umbria, Molise e Basilicata.

Per numerosità di comuni l'orizzonte montano è dominante in dodici delle ventuno realtà regionali italiane, comprese Lazio e Campania tra le maggiori; per estensioni territoriali, infine, la realtà montana è prevalente in quattordici realtà (anche in Piemonte, Friuli, Liguria, Marche, Abruzzo, Calabria e Sardegna) e rappresenta comunque una realtà prossima al 50 per cento dell'estensione in tutte le altre zone del Paese, ad eccezione solamente della Puglia e Sicilia dove il peso territoriale dei comuni montani è inferiore al 40 per cento.

Le risorse che il territorio montano italiano è in grado di offrire, a partire dai servizi ecosistemici, rappresentano un fattore vitale per lo sviluppo armonico del territorio e il passaggio ad un'economia sostenibile nel nostro Paese non può prescindere dalla montagna; aree e territori vivi, che garantiscono manutenzione e gestione del territorio, primo fattore di prevenzione dei rischi idrogeologici, che in questi anni hanno colpito diverse aree del Paese. Tornare a discutere di territorio, di valutazione delle risorse, di strategie di sviluppo è anzitutto il modo di restituire alla politica la sua funzione; significa elevare la capacità di Governo delle istituzioni locali e nazionali, rimettendole in connessione con i cittadini. Il territorio montano svolge oggi una funzione assolutamente essenziale per la modernizzazione del Paese e, quindi, la sua gestione e la sua tutela sono fattori chiave su cui lavorare per assicurare all'Italia un futuro migliore e più equo, che peraltro è l'ambito nel quale operano numerosi distretti produttivi che continuano a garantire all'Italia una capacità competitiva internazionale e rappresenta il tessuto connettivo indispensabile sul quale si innerva l'economia del turismo, dell'enogastronomia e dell'agroalimentare. Nonostante le manifeste specificità, queste aree vengono considerate, per lo più senza distinzione dal resto del territorio, secondo criteri uniformi e improntati alle esigenze delle zone a maggiore densità di popolazione e ai principali centri urbani localizzati nelle pianure. Ciò ha determinato negli anni un progressivo allontanamento delle attività svolte in zona montana dalla vocazione territoriale e dalle risorse che in essa presenti possono divenire generatori di ricchezza se opportunamente gestite. La corsa a modelli di sviluppo inadeguati alle peculiarità del territorio ha generato fallimentari esperienze che non hanno saputo sostanzialmente frenare la tendenza dello spopolamento drammatico nel ventennio 1950-1970, che oggi affligge soprattutto le località più periferiche e i nuclei abitati più piccoli, presidi imprescindibili per la gestione del territorio, che prevenendo i danni e i costi, anche in termini di vite umane, generate dall'abbandono sono vantaggiosi per la collettività. Ancora più dei condizionamenti climatici il fattore che ha rappresentato la maggiore penalizzazione all'insediamento montano nella società contemporanea è sicuramente rappresentato dalle maggiori difficoltà che la morfologia montana ha determinato in termini di collegamenti e velocità di spostamento. In una società che, con l'avvento della motorizzazione privata di massa, ha visto modificare radicalmente in tempi relativamente ristretti il rapporto tra spazio e tempo della vita quotidiana. Il territorio montano è impervio e rarefatto e determina contemporaneamente maggiore lunghezza dei collegamenti e più ridotta agglomerazione di popolazione: quindi, economie più contenute tanto per la fruizione dei servizi che per lo sviluppo dei mercati. La misura dell'accessibilità, cioè della quantità di popolazione in grado di raggiungere le diverse parti del territorio entro un intervallo spazio-temporale definito, muovendosi lungo la rete infrastrutturale stradale e ferroviaria esistente nelle sue concrete e diversificate condizioni di esercizio rappresenta così un indicatore quanto mai immediato ed espressivo delle effettive condizioni di centralità di un territorio in grado di consentire confronti nello spazio ma anche nel tempo, registrando gli effetti di sistema che l'evoluzione demografica, con le componenti sociali e naturali, produce nel tempo sulle condizioni dei diversi territori. L'accessibilità generale della popolazione al territorio mostra con tutta evidenza il fortissimo scarto presente appunto in termini di accessibilità tra i territori montani e quelli costieri e di pianura del Paese.

Nei primi l'accessibilità si riduce spesso a poche migliaia di persone raggiungibili entro un arco temporale agevolmente sostenibile anche in termini di pendolarismo come quello della mezz'ora. Nei secondi l'accessibilità determina diffusamente la presenza di una condizione urbana in presenza di economie di scala paragonabili a quelle che possono essere rappresentate da una città di medie dimensioni. Prendendo come discriminante la soglia dei 50 mila abitanti accessibili, che giustifica la presenza efficiente di infrastrutture di servizio - in altri tempi si sarebbero chiamate comprensoriali - come quelle rappresentate dal polo scolastico secondario superiore o da un complesso ospedaliero, le differenze della montagna paiono subito evidenti. Se per l'intero Paese questa condizione minima di buona accessibilità è presente nei due terzi dei comuni, che ospitano però la stragrande maggioranza della popolazione, i comuni montani che possono fruire di un analogo livello di accessibilità sono meno della metà del totale: esattamente il 44,6 per cento ed ospitano il 70,5 per cento della popolazione montana, una situazione di penalizzazione generalmente diffusa che conosce però diversificazioni importanti nel quadro regionale. Così se una condizione di buona accessibilità è relativamente diffusa nei comuni montani dell'arco alpino, dove oltre la metà dei comuni montani è in questa condizione, con la significativa eccezione delle province autonome di Bolzano e Trento, penalizzazioni maggiori sono presenti nelle regioni montane dell'arco appenninico e delle isole. Le condizioni di maggiore penalizzazione in termini di accessibilità sono presenti in regione Basilicata, dove solo l'11,4 per cento dei comuni e il 14,5 per cento della popolazione montana supera la soglia dei 50 mila abitanti accessibili in mezz'ora; in Sardegna il 18,3 per cento dei comuni e il 33,7 per cento della popolazione ed in modo assai diverso in regione Emilia-Romagna dove solo il 25,6 dei comuni montani presenta livelli accettabili di accessibilità, ma essi rappresentano comunque oltre il 70 per cento della popolazione montana. Questa condizione di forte penalizzazione nei confronti dell'orizzonte montano è stata sensibilmente accentuata nell'evoluzione conoscitiva nel tempo dal popolamento che ha determinato, nel corso della seconda metà del ventesimo secolo, una forte riduzione della presenza umana nella montagna, frutto di processi di abbandono dei territori marginali, dell'esodo verso destinazioni urbane e poi anche di processi di invecchiamento e crisi della natalità. Sono particolarmente penalizzati, sotto questo profilo, i territori montani di alcune regioni dove la perdita di accessibilità è stata il tratto uniforme e solo quote davvero modeste dei comuni hanno potuto interrompere questa tendenza: è il caso delle regioni Marche, Abruzzo, Basilicata o il Friuli, dove si sono registrati incrementi apprezzabili di accessibilità in un decimo circa dei comuni in cui il peso non era comunque superiore a un quinto della popolazione montana. Poco meglio anche Toscana, Umbria e Molise, mentre una performance di taglio decisamente diverso è quella che ha interessato la provincia autonoma di Bolzano e la Valle d'Aosta. Bisogna quindi ripensare al Governo del territorio montano partendo dalle caratteristiche e dalle risorse delle vocazione intrinseche, cercando così di riformulare i rapporti tra le montagne e il resto del territorio, con l'obiettivo di fornire la permanenza e il ritorno dell'uomo, nonché la gestione appropriata delle risorse finalizzate alla generazione di servizi sostenibili e di qualità per la collettività.

Promuovere provvedimenti atti a favorire il restare in montagna e l'insediamento di attività imprenditoriali di giovani nei settori di massima vocazione territoriale quali agricoltura, turismo, utilizzo di risorse forestali, la produzione artigianale, agroalimentare tradizionale. Il modello di impresa di montagna deve poter beneficiare di uno snellimento burocratico e di procedure specifiche semplificate, valutando anche azioni di agevolazione del prelievo fiscale tenuto anche conto dei disagi spesso cagionati dai sistemi informatizzati, da condizioni climatiche avverse o da carenze infrastrutturali legate all'impervietà di alcune aree montane. Garantire l'erogazione dei servizi essenziali alla popolazione residente a partire da sanità, trasporti, istruzione, poste e telecomunicazioni per contrastare il fenomeno dello spopolamento e dare vita ad un percorso di nuova attrattività.

Tali servizi devono essere organizzati, pensati, finanziati e strutturati per un territorio difficile, poco popolato e vasto, anche attraverso scelte coraggiose e innovative, evitando di applicare modelli di territori urbanizzati, ma sfruttando anche innovazioni tecnologiche che, abbattendo le distanze, consentano di comunicare, formarsi ed informarsi a costo basso, limitando gli spostamenti o anche fornendo la riconversione di strumenti esistenti in forme innovative di trasporto pubblico.

Altri temi fondamentali sui quale porre particolare attenzione sono quelli forestali e agrosilvopastorali, con riferimento alla gestione del bosco e del territorio mediante strumenti di valorizzazione della filiera del bosco-legno e del valore aggiunto dell'agricoltura di montagna, tramite il superamento della frammentazione fondiaria e il sostegno delle nuove realtà associative di valorizzazione del territorio. È necessario, dunque, ripensare al governo del territorio montano partendo dalle sue caratteristiche e dalle sue risorse e vocazioni, cercando di riformulare i rapporti tra le montagne e il resto del territorio con l'obiettivo di favorire la permanenza e il ritorno dell'uomo nonché la gestione appropriata delle risorse finalizzate alla generazione di servizi sostenibili e di qualità per la collettività. Le istanze di chi popola le aree montane e le presidia devono trovare degno riconoscimento e spazio nei processi decisionali collettivi, affinché i provvedimenti adottati non declinino in mortificanti elargizioni una tantum di mero assistenzialismo per le aree marginali - tanto utile quanto deleterio - ma facciano parte di un piano strategico di valorizzazione e di sviluppo che non può passare per le risorse delle aree montane, ambiente, territorio e tradizione con tutti i frutti che queste generano, come l'energia, i prodotti agroalimentari tipici, il turismo sennonché il contesto ideale nel quale ospitare attività ad alto contenuto professionale e tecnologico verso cui è necessario diventare attrattivi.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Ciaburro, che illustrerà la mozione n. 1-00317, di cui è cofirmataria.

MONICA CIABURRO (FDI). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, non possiamo parlare d'Italia e, conseguentemente, d'Europa senza parlare di bellezza e di tipicità dei nostri territori, ammirati e invidiati in tutto il mondo per la loro varietà. Come è noto, il territorio della nostra nazione è tra i più montuosi d'Europa, essendo per oltre la metà costituito da zone montane e collinari che costituiscono oltretutto anche quasi i tre quarti del territorio dell'Unione europea, ospitando gran parte della sua popolazione.

Alla luce di questi semplici dati sarebbe da sconsiderati rigettare e negare l'importanza che deve essere attribuita a questi territori che hanno delle caratteristiche, delle tipicità e delle esigenze totalmente diverse da quelle che sono le aree metropolitane. È, infatti, nella montagna, nel mondo rurale che si manifesta maggiormente quello che alcuni intellettuali italiani come Leo Longanesi definivano “lo Strapaese”. Lo “Strapaese”: il mondo distante dai grandi centri, dalle metropoli, dove si vive di tradizione, dove c'è tipicità, varietà, lontano dalle ZTL, dove lentamente nel tempo si è costruita la nostra storia, la cultura di questo nostro grande Paese. I nostri campanili, i nostri borghi, le nostre identità sono racchiuse in queste comunità delle alte terre.

È nella ruralità che impariamo ad amare la natura da vicino e non in fotografia, il nostro patrimonio ambientale, a rispettarla, valore ancora più importante oggi giorno quando si discute di sostenibilità, di soluzioni verdi, ecocompatibili, green, dove l'ambientalismo à la carte diventa quasi la scusante per politiche inefficienti e inadeguate per questi territori, quasi come a voler ingessare un territorio in un quadro bello da guardare, ma dove l'uomo non trova più la sua dimensione e la sua dignità di poterci abitare.

Permettetemi, inoltre, di rivendicare un elemento fondamentale: è proprio nelle comunità montane che da generazioni si insegna il rispetto e l'amore per la natura ed è da qui che deve ripartire l'intero dibattito sul ruolo della nostra nazione, nella definizione di un nuovo patto sociale tra cittadini, centro e periferia, perché è bello visitare questi borghi, ma se li lasciamo precipitare e desertificare o abbandonare rispetto a non attenzioni che continuiamo ad avere da anni sicuramente non sarà più bello andare a visitarli.

La globalizzazione e lo sviluppo tecnologico e sociale a cui stiamo assistendo oggi hanno incentivato il ruolo delle metropoli e delle città ma, dall'altro, incrementato la distanza tra centro e periferia, rendendo una parte importante della popolazione sempre più isolata, sempre più abbandonata e sempre più diversa dagli altri cittadini. Non è mai corrisposto un fenomeno equivalente nelle aree più periferiche del Paese che, anzi, si sono sempre più spopolate e isolate. Gli stessi servizi che un cittadino riesce ad avere nelle aree metropolitane chiaramente non riesce più ad averli in questi territori più marginali. Faccio un esempio: tutti guardiamo la televisione; oggi, nel 2020, ci sono degli abitanti che non possono vedere la televisione, non possono avere Internet e per andare dal medico devono fare chilometri senza avere nemmeno, magari, il servizio pubblico. Credo che la montagna possa essere sì un simbolo di libertà con privilegi, perché si vive in un territorio meraviglioso e ed è fortemente in simbiosi con la natura, però è proprio la voglia di questa libertà quella che ha portato tutte queste comunità montane della Svizzera a decidere di federarsi nel rispetto delle proprie differenze per resistere all'oppressione delle altre potenze europee, arrivando a creare un Paese che a oggi è riuscito ad aggregare italiani, tedeschi e francesi nel rispetto delle tipicità di ogni cantone che ne fa parte.

E noi, invece, come possiamo dirci una grande nazione se non riusciamo a tutelare i nostri territori e le persone che li vogliono vivere con resilienza, con coraggio, con determinazione, con dignità? È scritto o no nella Costituzione, all'articolo 3, che è proprio compito della Repubblica rimuovere ogni ostacolo alla realizzazione dei cittadini? Noi, invece, li stiamo mettendo o determinando. Purtroppo, alle parole non sono seguiti i fatti. Negli ultimi anni nei confronti del monte si è imposto un approccio gerarchico, di dipendenza dal centro, dimenticandosi dei cittadini e delle istituzioni locali. Alle piccole comunità montane è sempre stato applicato un quadro regolamentare alla pari di tutte le altre aree urbane. Questo non ha fatto che incrementare le difficoltà a carico di queste comunità e la conseguenza è stata quella che poi è ovvia: lo spopolamento, di cui tutti, tutti parliamo ma su cui non riusciamo a mettere in campo delle misure strutturali che possano guardare a tutti gli aspetti in modo organico e decisivo, efficace ed efficiente.

Negli ultimi anni il numero di giovani che ha deciso di abbandonare le aree montane e rurali per trovare fortuna e più opportunità nei centri è incrementato a dismisura. La concentrazione di abitanti anziani è arrivata a rappresentare il 34 per cento del totale, implicando, quindi, una drammatica riduzione dei giovani che vivono in queste aree. A un crescente spopolamento corrispondono, inoltre, maggiori oneri e costi per il mantenimento di quel patrimonio collettivo che è l'ambiente e il paesaggio delle zone montane, oneri e costi che ricadono quasi esclusivamente sulle comunità che ci vivono. Un ragazzo oggi per poter andare a scuola da questi luoghi magari deve farsi un'ora e mezza di pullman se non due ore, alzarsi alle cinque del mattino, rientrare nel pomeriggio, e quando non al pomeriggio rientra la sera. Davvero fanno più fatica, ma noi che risposte possiamo dare a questi giovani che, con fatica, vogliono continuare a vivere lì?

Anche secondo i dati a disposizione che abbiamo, i piccoli comuni coprono per estensione il 54 per cento della superficie complessiva della nostra penisola, aree che fino ad ora hanno assicurato, grazie alla cura dei residenti, la salvaguardia della natura, la tutela della terra e la conservazione del paesaggio. Queste esternalità positive per l'ambiente possono portare un valore fino a 90 miliardi di euro annui. È una nostra sfida far emergere questo valore e monetizzarlo, ma l'approccio che è stato seguito fino a oggi ha remato contro queste comunità e contro la loro voglia di libertà. All'approccio federativo, che storicamente ha portato poi al grande successo quelle comunità montane, è stato preferito l'approccio accentratore. Si è preferito unire e fondere comuni già in difficoltà per la scarsità di risorse a disposizione quando poi, invece, troviamo le risorse per fare le fusioni, mettendo ulteriormente in difficoltà gli uni nei confronti degli altri senza capire che una comunità a più di mille metri di altezza sul livello del mare e con meno di mille abitanti non potrà mai sopravvivere se dev'essere sottoposta agli stessi regimi amministrativo-burocratici di comunità più ampie e facilmente collegate ai centri.

Questa mozione di Fratelli d'Italia con 23 punti - che poi andrò a delineare - è il nostro modo per dire alla nazione, ai cittadini e a queste comunità che noi ci siamo. Con questa mozione noi vogliamo impegnare il Governo a seguire l'unica ricetta possibile: quella della libertà, quella del ridare dignità a queste terre e a chi le vuole vivere.

Per questo vogliamo che ci sia un impegno vero per definire il concetto di montanità, che ad oggi resta solo oggetto di confusione e di controversie a tutti i livelli amministrativi (regionale, nazionale, europeo), a volte qualche provvedimento a spot che non è risolutivo, se non si immagina un quadro generale dove muoversi per rendere strutturale un'azione determinata e incisiva su quelle aree, perché è inutile parlare di cura dell'ambiente e del patrimonio paesaggistico della nazione e poi accentrare, unire, annientare, allontanare quelle comunità che per anni, senza l'aiuto di nessuno, hanno provveduto a sobbarcarsi tutti gli oneri per mantenere il territorio italiano come uno dei più belli al mondo. Con la nostra mozione e con i nostri provvedimenti noi di Fratelli d'Italia vogliamo promuovere quel modello di federalismo per le comunità montane, che gli permetta di associarsi e di sostenersi vicendevolmente, secondo il loro ritmo, deciso dalle comunità stesse, rimettendo le istituzioni ed i cittadini al centro del processo e spostando lo Stato centrale ad un ruolo sussidiario; un ruolo che sembra sussidiario, ma di fondamentale importanza, perché noi chiediamo a gran voce che venga ripresa la proposta di legge che abbiamo depositato per istituire le zone franche di montagna, che sembrano un sussidio, ma in realtà, al posto del reddito di cittadinanza, è un diritto di cittadinanza a vivere quei territori per promuoverne lo sviluppo, favorendone la residenzialità e l'imprenditorialità, abbattendo più barriere possibili, che impediscono ai cittadini di realizzarsi e di arricchire i territori in cui sono nati e cresciuti e dove vorrebbero continuare a vivere, dove attraverso le loro attività economiche assolvono anche un ruolo sociale, dove ci si parla ancora, dove se qualcuno va, anche solo in visita, sa dove potersi fermare per prendersi anche un banalissimo caffè. Perché in questi anni, l'approccio nei confronti delle comunità montane non è cambiato di una virgola, con metodologie di ripartizione delle risorse spesso inadeguate: penso al Fondo di solidarietà comunale, che, come esposto dall'ANCI stessa in un'audizione del 2017, dalla direttrice del Dipartimento delle finanze, dal 2015 sta vedendo progressivamente erosi i benefici per i piccoli comuni, arrivando a gravissime penalizzazioni nei confronti dei comuni sotto i 1.000 abitanti, proprio quei comuni dove spesso la giunta comunale deve prestarsi a svolgere lavori di amministrazione e burocrazia pubblica per supplire a delle mancanze di personale, mancanze di segretari comunali. Evidentemente, per una qualche necessità politica che ancora mi sfugge, a Roma ed in particolar modo da questa maggioranza non vogliono essere prese in considerazione o non nella misura necessaria e strutturata. E così tantissimi comuni montani, intere comunità votate all'insegna della promozione della nostra storia e del nostro patrimonio ambientale, che esistono da secoli, resistendo a guerre e rivoluzioni, stanno venendo lentamente travolte e spazzate via da una amministrazione centrale, da quello Stato che dovrebbe riconoscerne il valore, la tipicità, la loro storia, distrutte da una politica votata all'insipienza, che preferisce tagliare, unire, accorpare intere comunità, come se le vite dei cittadini fossero dei semplici numeri su una tabella: li riuniamo e tutto è più facile. Ma ricordo che anche gli animali, quando sono nella stalla, hanno bisogno della libertà per poter andare nei pascoli e sono liberi, poi il servizio ce l'hanno comunque. E sicuramente, tra qualche anno, la politica bene, quella dell'intellighenzia, dei centri città, si sveglierà di fronte al fatto compiuto, cadendo dalle nuvole, quando sarà evidente per tutti che i costi per il mantenimento del patrimonio ambientale saranno triplicati, quando il tema della città fantasma, il deserto, diventerà l'ordine del giorno, quando vedremo le storie di successo di nazioni come la Francia, che invece hanno trasformato questa problematica in una ricchezza ed allora la politica sarà pronta a piangersi addosso per aver fatto troppo poco, troppo tardi. Ma piangersi addosso non è da noi, no, perché noi di Fratelli d'Italia i problemi li affrontiamo a testa alta, con coerenza, perché noi siamo al servizio dei cittadini, che vogliono risposte, non inutili chiacchiere e belle parole. Soprattutto, queste comunità isolate, che per molti in quest'Aula acquisiscono importanza solo in campagna elettorale, poco telegeniche e lontane dalle ZTL, attente alla tradizione, forse troppo, al punto che forse accorparle tra di loro come mattoncini, tagliar loro le risorse, nasconderle sotto un tappeto, non sembra un'idea così malvagia. Signori, io vi invito a visitare queste comunità, a parlare con i loro cittadini, con i loro amministratori comunali, con coloro che hanno delle attività economiche, che si inventano ogni giorno una strategia per tirare avanti, a vivere quello che vivono, a comprendere le loro preoccupazioni, le loro esigenze, i loro bisogni. Io vi invito a fare politica vera e non a chiudervi nei vostri salotti in centro città, a fare finta che questa Italia profonda e rurale non esista.

Mi avvio a concludere: l'unica strategia per rilanciare queste aree è quella che da un lato garantisca loro un regime amministrativo e fiscale differenziato e che dall'altro ne favorisca e inverta il trend per ripopolarle, che permetta ai giovani di lavorare, di studiare, di lavorare, crescere e fare impresa, che riconosca il ruolo fondamentale delle comunità che vivono nelle alte terre, nel mantenimento del patrimonio ambientale e nazionale, patrimonio e risorse che sono sempre oggetto di depauperamento (vediamo i boschi, vediamo l'acqua), ma risorse che non restano sul territorio. Lo Stato deve garantire le stesse possibilità di vita a queste comunità, deve garantire l'erogazione di servizi essenziali come sanità, trasporti, istruzione, poste, telecomunicazioni, combattendo tutte quelle difficoltà legate alle aree che sono definite fallimento di mercato. Bisogna fare dei passi in avanti per garantire la connettività a banda larga a queste comunità, che è sì una possibilità, ma se non ce l'abbiamo e poi continuiamo ad adottare strumenti come fattura elettronica o scontrino fiscale elettronico in aree dove ancora non c'è l'Internet, in aree dove per avere il digitale devono comprarsi il satellite, costi in più rispetto a tutti gli altri. Oggi si trovano in uno stato di isolamento e si vedono private della possibilità di competere ad armi pari con gli altri agglomerati urbani, anche di nazioni a noi confinanti, come ad esempio la Francia. Ma forse, proprio perché piccole, queste comunità non interessano i partiti di maggioranza, che fino ad oggi hanno dato dimostrazione di interessarsi unicamente ai voti, anche a scapito dei più deboli, quando invece dovrebbero essere i primi pensieri di noi che siamo a servizio di questi bisognosi. La nostra mozione è suddivisa in 23 punti proprio per dare degli spunti, dei temi per ragionare in modo organico e concreto: intanto, garantire le iniziative necessarie per garantire appunto la piena attuazione dell'articolo 44, comma 2, della Costituzione italiana, armonizzando e dando luogo ad una definizione unica di montanità e adottando, per le aree ricadenti sotto questa categoria, politiche improntate alla semplificazione degli oneri burocratici ed amministrativi, che ricadono sulle popolazioni residenti nelle terre alte, riconoscendone la tipicità; riconoscere anche il ruolo dei comuni, dando loro la possibilità di associarsi in federazioni di comuni, non cancellandoli con le fusioni, riconoscendo loro quindi la peculiarità anche nei confronti di quelle che sono le istituzioni locali; ad adottare - nel terzo punto - iniziative per sostenere progetti ed iniziative che mettano in sinergia enti di ricerca: chiediamo aiuto a chi sa fare delle cose, mettiamo insieme, in modo che facciano sintesi, gli enti di ricerca, la società civile, istituzioni, enti locali, per poter elaborare delle strategie di sviluppo sostenibile di queste altre terre; al punto 4 abbiamo messo la valutazione di approcci integrati per l'erogazione dei servizi di alta formazione e di supporto allo sviluppo sostenibile delle alte terre, prevedendo anche delle collaborazioni tra pubblico e privato, istituzioni, università, e agevolando, ove applicabile, il ricorso a dei fondi strutturali europei e l'iniziativa privata; ad adottare ogni iniziativa che può essere utile per garantire la sopravvivenza di queste comunità, anche garantendo la possibilità di federarsi, come dicevo prima, ed interpretando un ruolo di mediatore tra Comunità montane e istituzioni adibite alla ricerca ed all'alta formazione. Occorre anche valorizzare la presenza dei giovani in queste comunità, valorizzando il patrimonio edilizio, agevolando la partecipazione alle attività culturali, sportive, garantendo lo sviluppo delle infrastrutture, della rete 5G, la diffusione della connessione a banda larga, l'accessibilità alla formazione, la possibilità di studiare, i servizi pubblici, i servizi di trasporto, anche e soprattutto in quelle aree a fallimento di mercato quali quelle montane.

Abbiamo anche chiesto di adottare tutte quelle iniziative necessarie per contrastare questo spopolamento, anche tramite delle semplificazioni degli oneri amministrativi, incentivi fiscali, sviluppo delle infrastrutture di rete e delle infrastrutture di trasporto oppure la possibilità, contestualmente al periodo di programmazione dei fondi di coesione dell'Unione europea 2021-2027, di un fondo per il finanziamento di politiche specifiche per le aree interne, rurali e montane, a sostegno anche di quelle tipicità e specificità di quelle aree; ad adottare anche iniziative per riconoscere il ruolo delle comunità montane nei contesti elettorali della definizione dei collegi, perché va bene il numero degli abitanti, ma consideriamo anche il territorio; ad assumere tutte le necessarie iniziative per agevolare la formazione di accordi e politiche comuni tra le regioni alpine e appenniniche in materia di politiche ambientali e gestione dei parchi; a sostenere lo sviluppo del turismo rurale e dell'agro-turismo montano tramite maggiori semplificazioni amministrative ed esenzioni fiscali, preservando, al contempo, la specificità italiane, come le tradizioni e i prodotti locali tipici, che hanno dei profumi e dei sapori diversi da qualsiasi altra parte; ad individuare e dare attuazione a tutte le iniziative necessarie per rivitalizzare le aree interne rurali e montane del Paese in fase di spopolamento, attuando una differenziazione fiscale al fine di favorire investimenti pubblici e privati, garantendo altresì un'efficiente manutenzione delle infrastrutture locali, spesso danneggiate dal maltempo, e seguendo la pratica delle zones de revitalisation rurale, come fanno in Francia, predisposta appunto dalla Repubblica francese, a tutela di queste comunità.

Abbiamo proposto delle modalità di compensazione dello sfruttamento delle risorse naturali presenti sul territorio delle aree interne rurali e montane a vantaggio prioritario e diretto della popolazione residente, in forma di sgravi e compensazioni fiscali, con il fine di garantire una gestione del territorio e delle comunità. Concludo: noi di Fratelli d'Italia sosteniamo convintamente questa mozione e queste proposte, perché non abbandoneremo mai i cittadini; gli ultimi, i nostri centri rurali, la culla delle mille tradizioni e tipicità che ci hanno reso la nazione più bella del mondo.

SIMONE BALDELLI (FI). Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SIMONE BALDELLI (FI). Signor Presidente, mi chiedevo se il Governo poteva partecipare alla seduta.

PRESIDENTE. È una buona idea. Si è allontanato senza che me ne accorgessi.

SIMONE BALDELLI (FI). Mi rendo conto che magari i risultati elettorali possano avere conseguenze, però forse sarebbe opportuno che qualcuno si occupasse anche di…

PRESIDENTE. Ha ragione, onorevole Baldelli. Si è allontanato senza che me ne accorgessi.

SIMONE BALDELLI (FI). …visto che mancano sia Ministri, sia sottosegretari, sarebbe opportuno che qualcuno ogni tanto si affacciasse in quest'Aula.

PRESIDENTE. Sospendiamo brevemente la seduta fino a consentire il rientro del Governo.

La seduta, sospesa alle 14,54, è ripresa alle 14,55.

PRESIDENTE. Riprendiamo la seduta. Il Governo è ora in Aula. È iscritto a parlare l'onorevole Novelli, che illustrerà la mozione n. 1-00318, di cui è cofirmatario.

ROBERTO NOVELLI (FI). Grazie, Signor Presidente, bentornato, Ministro. Anche Forza Italia, con la sua mozione, vuole dare un contributo importante al rilancio della montagna e dare delle risposte ai troppi problemi che l'affliggono. Va riconosciuto come la legge n. 97 del 1994, che titolava “Nuove disposizioni per le zone montane”, abbia avuto il merito di aver ben operato in talune sue parti pur non avendo saputo avviare quel volano di sviluppo destinato ad arginare lo spopolamento e il crescente abbandono dei territori che affliggono la montagna italiana. Se al Nord abbiamo miglioramenti, come nelle regioni della Val d'Aosta o del Trentino-Alto Adige, nella quale si registra un incremento della popolazione tra i più alti d'Italia - questo è un fenomeno strano quando si parla di montagna -, con particolare riferimento alla popolazione giovanile attiva nel mondo del lavoro, altrove si registrano diminuzioni che sono drammatiche. In un convegno sulle aree interne, in Sicilia, nell'ottobre scorso, è stato presentato uno studio delle regioni in cui si è evidenziato che, dal 1951, in 65 comuni interni dell'isola la popolazione si è ridotta di 147.479 unità; dal 2011 al 2019 ben 14 mila in meno, come fossero spariti nel nulla tutti gli abitanti di Agrigento, Caltanissetta ed Enna. Non meno grave la situazione della Calabria e della Basilicata. Altrettanto si sta verificando nelle aree terremotate dell'alto Lazio, dell'Abruzzo, dell'Umbria e delle Marche, complici anche i ritardi nella ricostruzione. I più giovani e i più attivi se ne vanno, e non tornano più. I numeri dell'abbandono sono impietosi: a fronte di una popolazione italiana che è aumentata di 12 milioni di unità negli ultimi sessant'anni, la crescita si è prevalentemente concentrata in pianura, con 8,8 milioni di residenti in più, e in collina, con 4 milioni di residenti in più; nel 1951 la popolazione montana rappresentava il 41,8 per cento sul totale nazionale, oggi la percentuale è scesa al 26 per cento. La riforma della legge sulla montagna italiana, presentata nel 2003 dall'allora intergruppo parlamentare Amici della montagna, riuscì ad arrivare sino alla definizione di un testo unificato redatto dalle due Commissioni esaminatrici, la Commissione affari costituzionali e la Commissione bilancio del Senato. Per anni, almeno fino al 2008, la discussione in Parlamento del testo sui piccoli comuni si è intrecciata con quella relativa alla legge sulla montagna e, anzi, la legge sulla montagna sembrava prevalere, perché i trattati europei e la Costituzione italiana espressamente fanno riferimento alle problematiche delle zone montane. Non sono ben chiari i motivi per cui il testo sulla montagna è stato abbandonato, fatto sta che diverse norme di quella legge sono state trasfuse nella legge sui piccoli comuni, come quella dell'articolo 15 della legge sui trasporti e l'istruzione nelle aree montane, o altri servizi di incasso e pagamento, e sulla diffusione della stampa quotidiana nelle aree remote del Paese.

Quanto alla legge sui piccoli comuni, questa ha avuto un iter molto elaborato, durato ben 16 anni e 4 legislature a partire dal 2001. Ogni volta è stata firmata da centinaia di parlamentari e leader politici, ogni volta è stata approvata con voto plebiscitario da almeno una delle due Camere, ogni volta però si è arenata, tranne che nel 2017, a pochi mesi dallo scioglimento delle Camere; ma anche lì si è riusciti ad approvarla solo perché il Senato ha rinunciato del tutto alla sua prerogativa di modificare il testo, approvandolo come quello, appunto, arrivato dalla Camera. Vorrei portare all'attenzione dei colleghi un dato: nei quattro anni, dal 2013 al 2017, in cui è stata discussa la legge sui piccoli comuni, il rapporto tra popolazione dei piccoli comuni e il totale nazionale è sceso dello 0,8 per cento - tanto per far capire l'urgenza del problema - cioè di quasi 500 mila abitanti. Per sostenere le nostre tesi riguardo alla strategia necessaria per affrontare il problema nelle aree interne e montane, nella nostra mozione procediamo a due tipologie di disamina. La prima: di cosa stiamo parlando? I piccoli comuni, cioè quelli con popolazione inferiore a 5 mila abitanti, in Italia sono 5.498, su un totale di 7.914; siamo al 69,5 per cento e vi risiedono - questi sono dati Istat - poco meno di 10 milioni di abitanti, cioè il 16,3 per cento della popolazione. Secondo l'indagine “piccoli comuni” di Legambiente e ANCI, realizzata dall'istituto per la finanza e le economie locali, i piccoli comuni sono custodi di gran parte dei tesori, delle identità e delle tradizioni italiche. Il 94 per cento dei piccoli comuni, infatti, presenta almeno un prodotto a denominazione di origine e la maggior parte ne presenta più di uno. Dire piccoli comuni in Italia significa dire comuni montani. Sulla base della definizione di zona montana oggi vigente in Italia, sono totalmente montani 3.460 comuni, cioè con territori con un'altitudine media attorno ai 500-600 metri di altezza. I comuni integralmente montani coprono il 48 per cento della superficie nazionale e il 13 per cento della popolazione. C'è un passaggio, che è importante, perché il primo e principale appunto che si può fare alla legge sui piccoli comuni è che si tratta di una legge senza soldi. In effetti, per una legge che interessa 5.500 comuni e 10 milioni di cittadini, costruire una dotazione, chiamata con l'altisonante nome di fondo per lo sviluppo strutturale, economico e sociale dei piccoli comuni, di 25 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2018 al 2023 serve alquanto a poco; siamo a circa 2,5 euro a testa per ciascuno dei 10 milioni di cittadini interessati. Non erano questi i contenuti dei testi approvati nel 2015-2016 dalle due Commissioni incaricate (Affari costituzionali, e Bilancio della Camera).

Erano, infatti, previsti un fondo per incentivare la residenza nei piccoli comuni, di 20 milioni, e un fondo di sviluppo strutturale di 40 milioni per due anni. Inoltre, era previsto un piano di sviluppo dei territori rurali con oneri a carico dei fondi UE. In più, nelle proposte della Commissione era contenuto un terzo fondo per il recupero e la riqualificazione dei centri storici, 50 milioni di euro per due anni. In totale, quindi, faceva di 115 milioni di euro, ma poi sono intervenute le esigenze di finanza pubblica, messe nero su bianco dalla Ragioneria generale dello Stato. In sostanza, è accaduto che la politica fatta di istanze, di progetti, di obiettivi e persino di sogni, questa politica espressa dai parlamentari eletti dal popolo, si è scontrata con la Realpolitik, con la politica fatta di conti, di vincoli comunitari e di norme già approvate e da rispettare, espressa dal Governo e non sto parlando di un Governo di un certo colore politico, sto parlando di tutti i Governi che si sono succeduti dal 2017 in poi. Sono passati oltre due anni dalla data di entrata in vigore della legge sui piccoli comuni; una ricognizione da noi effettuata tramite l'ANCI rileva che i decreti attuativi della legge n. 158 del 2017 non risultano emanati; sullo stato dell'iter non ci sono notizie aggiuntive, sebbene si fossero avviati alcuni tavoli tecnici lo scorso anno, così ci è stato risposto.

Nella nostra mozione elenchiamo i provvedimenti attuativi che mancano: manca il Piano nazionale per i piccoli comuni, mancano i criteri per la salvaguardia e il mantenimento dei servizi essenziali, manca il piano per l'istruzione destinato alle zone rurali e montane; inattuate risultano anche altre previsioni di sviluppo territoriale, quali la realizzazione di circuiti e itinerari turistico culturali ed enogastronomici. La legge n. 158 del 2017 stabiliva che entro 120 giorni dalla data di entrata in vigore, ossia entro il 17 marzo 2018, con decreto interministeriale, fossero indicati i parametri necessari per la determinazione delle tipologie dei piccoli comuni che possono accedere alle risorse del Fondo per lo sviluppo strutturale. Insomma, non sappiamo nemmeno come siano stati declinati i criteri per stabilire chi accede ai finanziamenti.

Vado agli impegni, saltando una parte del mio intervento, perché credo che questa introduzione sia sufficiente per delineare la nostra posizione, e delineo gli interventi della nostra mozione che sono: a dare piena attuazione alla legge n. 158 del 2017, poc'anzi menzionata, dotandola di risorse adeguate; a prevedere la costituzione di fondi per incentivare la residenza nei piccoli comuni, anche mutuando le esperienze regionali già in corso, ne ho parlato all'inizio dell'illustrazione; a valutare la possibilità di istituire zone montane a fiscalità di vantaggio, sulla base del grado di marginalità, del rischio di desertificazione economica e commerciale e del calo demografico nell'ultimo quinquennio, questo passaggio dovrebbe essere valutato dalla politica con estrema attenzione perché è uno degli aspetti del possibile rilancio nelle aree montane; a definire misure compensative, riconoscendo la funzione di salvaguardia delle aree di ricarica, di cui all'articolo 142 del codice dei beni culturali e del paesaggio, nonché di gestione degli equilibri territoriali e di prevenzione del dissesto idrogeologico, svolta dai cittadini, dagli operatori economici e dalle comunità insistenti nelle aree montane; a rafforzare la tutela del paesaggio nelle aree montane, non solo come elemento necessario alla qualità della vita dei cittadini, ma anche come corretta interazione tra attività antropiche e ambiente naturale, anche valutando l'utilizzo, a tale scopo, di parte delle risorse previste per il Green New Deal dalla legge di bilancio per il 2020; ad adottare misure volte a consentire la sollecita erogazione delle risorse, a valere sui fondi assegnati ai Piani di sviluppo rurale, PSR; a introdurre specifiche misure di welfare, queste sono essenziali riguardo alla sanità, ai trasporti, all'istruzione e ai servizi pubblici, per le aree montane del nostro Paese. Poi, al fine di ridurre il divario infrastrutturale e le distanze fisiche con le altre aree del Paese, la mozione impegna il Governo: a prevedere che l'Agenda digitale in corso di attuazione comprenda un capitolo “montagna”, tramite il quale sia data priorità, nella posa della banda ultralarga, alle aree “bianche” montane e periferiche, anche in attuazione dell'articolo 8 della legge n. 158 del 2017; a introdurre specifiche ed efficaci misure che devono essere volte a favorire la ricomposizione fondiaria, a ridefinire il compendio unico in agricoltura, di cui all'articolo 5-bis del decreto legislativo n. 228 del 2001, a consentire il recupero degli immobili, dei terreni e dei pascoli abbandonati - una stragrande maggioranza degli immobili abbandonati si trova nelle aree montane e, allo stato attuale delle cose, non è recuperabile -, a riconoscere la multifunzionalità delle aziende agricole insediate nelle zone montane. Per finire, a redigere un testo unico delle leggi sulla montagna, in cui siano raccolti le disposizioni e i fondi ad essa riferiti, coordinandoli con le strategie di intervento economico e ambientale in corso di attuazione (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tondo. Ne ha facoltà.

RENZO TONDO (M-NI-USEI-C!-AC). Grazie, signor Presidente. Io innanzitutto ringrazio i partiti, i gruppi e i colleghi che hanno presentato queste mozioni, ma siccome ho sufficiente esperienza sia di Aule parlamentari che di aule assembleari, so che le mozioni se non sono tradotte in leggi e in fatti concreti rimangono elementi di interessante dibattito, ma non forniscono risposte ai problemi. Io dico subito che il nostro gruppo le giudica favorevolmente tutte e quattro, ma il tema sarà, poi, come dirò in conclusione di questo breve intervento, riuscire a trasformare questi intendimenti positivi che tutti abbiamo in fatti altrettanto positivi.

Le quattro mozioni propongono un'analisi corretta e una fotografia veritiera del tema della montagna, un tema su cui c'è stata scarsa attenzione, pur riguardando, come è stato detto, il 55 per cento del territorio italiano; una considerazione che è stata scarsa, ma credo che sia sbagliato non solo per noi, io sono di quelli che vivono in montagna, ma anche per tutti gli altri, ricordiamoci che quando un fiume - il collega Borghi lo sa - esonda in montagna, certamente cala un argine, ma soprattutto poi l'esondazione ce l'abbiamo in pianura; quando il Tagliamento va fuori chi soffre è Latisana, non è Tolmezzo.

Ecco, io vengo da una regione, il Friuli-Venezia Giulia, come ricordava poc'anzi il collega Novelli, che ha metà del proprio territorio interamente montano; la nostra Carnia, che è un po' il territorio di 28 comuni, è passata in pochi anni, negli ultimi vent'anni, da 50 mila a 30 mila abitanti e credo che sia una situazione diffusa in tutto il territorio montano. Ecco, io credo di poter dire di conoscere bene queste realtà, sia come sindaco, che ho fatto, sia come presidente di una regione che ha il territorio montano; ma, soprattutto – ed è quello che mi interessa sottolineare oggi – portare la voce di chi vive e fa impresa in montagna; io sono uno di quelli che ha l'onore e l'onere di fare impresa in montagna, avendo delle attività economiche lì, e credo di poter dire con assoluta consapevolezza che non c'è stata, in quest'Aula, negli anni passati, la comprensione di quanto fosse importante il problema. Vivere in montagna, capire cosa vuol dire vivere in montagna vuol dire stare attenti alla qualità della vita, alla qualità dei servizi, alle opportunità di lavoro e di crescita per chi vive lontano dai centri urbani. Facciamo qualche esempio: cosa vuol dire avere un ospedale a due ore di auto? Cosa significa percorrere strade montane per recarsi al lavoro, anche in pieno inverno? Proprio ieri una ragazza della mia comunità è uscita di strada per il terreno ghiacciato e si è rotta l'osso del collo, in un paese della Carnia. Cosa vuol dire non avere la connessione Internet, cosa vuol dire non poter usare in certi comuni il cellulare, cosa vuol dire per i nostri figli alzarsi un paio d'ore prima per raggiungere la sede in cui studiano, cosa significa dover spendere una parte del territorio per riscaldare la casa, a differenza di altri, cosa significa non trovare una pompa di benzina, cosa significa la non possibilità di rifornirsi del cibo o della materia prima se non a qualche chilometro di distanza, cosa significa non ricevere la posta, cosa significa per chi è credente non avere un prete a cui rivolgersi, quando ci sono momenti di sconforto, nelle vicinanze, sono solo alcuni degli esempi di difficoltà che le popolazioni di montagna devono affrontare e ai quali non corrispondono altri vantaggi di nessun tipo, perché la situazione è sempre sfavorevole. Pensiamo a qualche altra cosa, ad altri esempi: il registratore di cassa anche per il bar di paese che fa un servizio sociale, ci sono bar nelle nostre Alpi, nei nostri Appennini che se incassano 100 euro al giorno sono tanti, eppure devono comprarsi il registratore fiscale, adesso avete messo anche la fattura elettronica; ma vi rendete conto cosa significa per un boscaiolo che deve tagliare degli alberi fare la fattura se si trova in quota dove non arriva neanche Internet?

Non parliamo poi dei parametri quantitativi: cosa significa raggiungere il minimo di studenti per aprire una scuola, una classe, che dovrebbe essere diverso dal resto; cosa significa l'appesantimento burocratico che aggrava ogni azione che il sistema montano pretende.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

RENZO TONDO (M-NI-USEI-C!-AC). E allora… Chiedo un attimo solo, Presidente. Voglio essere operativo: mi rivolgo al collega Borghi, che è vicepresidente di gruppo di un partito che ha presentato la prima mozione, che è un partito importante e soprattutto sta al Governo. Io non faccio grandi filosofie, avanzo alcune piccole proposte concrete: è evidente che alla fine si tratta di un diverso regime fiscale e diversa legislazione. Pensiamo alla frammentazione della proprietà: abbiamo territori che sono divisi, in cui i proprietari non possono più far nulla e non fanno nulla, non sanno neanche di averla. Immaginiamo almeno di poter togliere le tasse di registro, l'IMU, tutte le tasse per chi dona al comune, all'ente pubblico la propria proprietà: sarebbe già un vantaggio poterla usare come una proprietà pubblica, non costerebbe niente se non dare la possibilità a qualcuno di cedere la propria proprietà senza dover andare dal notaio. Pensiamo alla manutenzione delle seconde case: se esentiamo dall'IMU chi ha la seconda casa e la mette a posto avremo un patrimonio in montagna che recuperiamo, e pensiamo alla possibilità che hanno di dar lavoro a molte imprese.

Per il resto - e concludo, Presidente Rosato - pensiamo a un amministratore della Carnia che ha fatto un grande lavoro: non solo a Michele Gortani di cui so parlerà qualcun altro dopo, ma al senatore Carpenedo, che nelle Aule parlamentari propose, all'interno della legge n. 97 del 1994, il regime fiscale forfettario per le piccole attività commerciali. Ebbene, quella legge fu proposta ma non passò: non passò perché la burocrazia si pose di traverso e l'ufficio delle entrate impedì che si introducesse un regime forfettario per coloro i quali hanno attività economiche in montagna (penso al piccolo bar, alla piccola merceria). Allora, io sono un realista, sono uno che ha la cultura di governo, quindi non vado a dire: facciamo mille cose impossibili; facciamo quelle possibili, io ne ho segnalate alcune: proviamo, sottosegretario, Ministro, a lavorare su questo, a quelle cose che si possono fare. Ce n'è già tante, e se già facessimo quelle faremmo già un bel passo avanti.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Perconti. Ne ha facoltà.

FILIPPO GIUSEPPE PERCONTI (M5S). Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, supportare le aree interne italiane, che rappresentano il 52 per cento dei comuni, il 22 per cento della popolazione e circa il 60 per cento della superficie territoriale, significa avviare un piano di progetti condiviso che possa dare risposte a tanti comuni italiani, che necessitano di finanziamenti e risposte concrete. La legge di bilancio 2020 ha incrementato di 200 milioni di euro, di cui 60 milioni per il 2021 e 70 milioni per ciascuno degli anni 2022 e 2023 per le risorse nazionali destinate alla Strategia nazionale per lo sviluppo delle Aree interne del Paese, a valere sul Fondo di rotazione per l'attuazione delle politiche comunitarie. Io personalmente insieme ad altri colleghi, qualche mese fa, ho costituito un intergruppo parlamentare a cui hanno aderito una trentina di colleghi, che già ha preso un appuntamento con il Ministro per il Sud e la coesione territoriale, che ha richiesto di parlare con ANCI, con la Conferenza Stato-regioni, che vuole approfondire i meccanismi di questa strategia, che ha degli obiettivi convergenti a questa mozione.

Questa mozione si basa su due principi fondamentali su cui si fonda il nostro ordinamento: sicuramente l'articolo 44 della Costituzione italiana, che vincola il legislatore al rispetto di due obiettivi principali, quali il conseguimento di un uso razionale del suolo e la realizzazione di rapporti sociali più equi; e l'articolo 174 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, che dispone tra le altre cose che l'Unione miri a ridurre il divario tra i livelli di sviluppo delle varie regioni ed il ritardo delle regioni meno favorite. Tra le regioni interessate un'attenzione particolare è rivolta alle zone rurali, alle zone interessate da transizione industriale e alle regioni che presentano gravi e permanenti svantaggi naturali o demografici, quali le regioni più settentrionali con bassissima densità demografica e le regioni insulari, transfrontaliere e di montagna.

Gli obiettivi della Strategia si muovono proprio in questa direzione, per focalizzare l'attenzione del legislatore su territori che devono tornare ad essere una questione nazionale. È un asse importante per il rilancio del Paese: migliorare l'uso delle risorse naturali, del patrimonio culturale e dei saperi locali; aumentare il benessere delle popolazioni interessate, garantendo i cosiddetti diritti di cittadinanza; nonché ridurre i costi sociali della deantropizzazione, ossia il dissesto idrogeologico, il degrado dei paesaggi, la perdita di conoscenze e tradizioni e del capitale edilizio in disuso. Con questa mozione si impegna testualmente il Governo a: stanziare in base a criteri di premialità ulteriori incentivi e risorse economiche, a valere sull'attuale ciclo di programmazione, nonché sul prossimo 2021-2027, a favore delle aree già individuate dalla Strategia che si siano distinte per la messa in atto di pratiche virtuose nell'attuazione degli obiettivi; porre in essere tutte le attività necessarie per rafforzare la governance del comitato tecnico; avviare con urgenza le dovute procedure per adeguare la legislazione vigente, al fine di agevolare da parte della popolazione residente il godimento di servizi primari, quali le scuole e gli ospedali; adottare le iniziative necessarie per incentivare nell'ambito della Snai lo sviluppo di una governance multilivello, che ampli il coinvolgimento delle amministrazioni a livello locale, fornendo alle stesse maggiori risorse per l'ampliamento delle tecnostrutture territoriali; sostenere l'ulteriore sviluppo delle aree interne, rendendo la Snai una politica organica tesa ad ampliare l'attuale numero limitato di aree per regione, avviando un processo di apprendimento e replicazione dei meccanismi virtuosi riscontrati.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Bubisutti. Ne ha facoltà.

AURELIA BUBISUTTI (LEGA). Presidente, il mio intervento sarà un po' particolare, lo ha preannunciato anche il collega Tondo. Io vengo da una regione, il Friuli-Venezia Giulia, che ha dato i natali a un personaggio importante, importantissimo, e che con orgoglio oggi vorrei ricordare: Michele Gortani. Michele Gortani è stato, direi, la persona che più ha creduto nella necessità di inserire in Costituzione… Lui faceva parte dell'Assemblea costituente, faceva parte della DC, e ci teneva moltissimo a che la montagna avesse dignità costituzionale. Ci sono state due giornate importantissime, il 13 e 14 maggio del 1947, quando il senatore Gortani ha presentato un emendamento; e abbiate la pazienza di ascoltarlo, perché ne vale veramente la pena. Io ho voluto ricordarlo soprattutto perché ritengo che ripercorrendo quegli anni, e soprattutto la nostra storia, quando andremo a porre delle norme e a fare delle scelte, forse ci ricorderemo degli errori commessi durante il percorso, ma soprattutto ci ricorderemo dell'importanza che la montagna ha per questo territorio nazionale.

Gortani diceva nel suo intervento (il Presidente dell'Assemblea era Segni): “Onorevoli colleghi, vi è in Italia una regione che comprende un quinto della sua popolazione, che si estende per un terzo della sua superficie e in cui la vita di tutti i ceti e categorie si svolge in condizioni di particolare durezza e disagio in confronto con il rimanente del Paese. Questa regione non ha confini, non ha confini geografici ben definiti, ma si estende ampiamente nella cerchia alpina, si allunga sulle dorsali appenniniche e si ritrova nelle isole maggiori: risulta dall'insieme delle nostre zone montane. È una regione abitata da gente laboriosa, parsimoniosa, paziente e tenace, che in silenzio lavora ed in silenzio soffre tra avversità di suolo e di clima; che rifugge dal disordine, dai tumulti e dalle dimostrazioni di piazza, e ne è ripagata con l'abbandono sistematico da parte dello Stato. O meglio, della montagna e dei montanari lo Stato si ricorda di regola e si mostra presente per imporre vincoli, esigere tributi o prelevare soldati.

Matrigna la natura, al nostro montanaro è matrigna la patria; tuttavia è pronto, così per la patria come per la natura, la nativa montagna, a sacrificare ove occorra anche se stesso. Perché la montagna è la sua vita, è la sua patria, la sua ragione di vivere, e in lei non ancora perduto la sua fiducia: facciamo che non la perda ora.

Ad ora ad ora, voci si sono levate in favore della montagna, voci altruiste, reclamanti giustizia e voci utilitarie, reclamanti la restaurazione montana come fonte di pubblico bene. Ma le une e le altre sono cadute o nell'indifferenza, o nell'oblio. E intanto le selve si diradano, inselvatichiscono i boschi, cadono le pendici in crescente sfacelo, le acque sregolate rodono i monti e alluvionano e inondano le pianure e le valli. Intristiscono i villaggi, a cui non giungono le strade, né i conforti del vivere civile. La robustezza della stirpe cede all'eccesso delle fatiche e delle restrizioni e la montagna si isterisce e si spopola.

Noi chiediamo che nella Carta costituzionale, dove sono le norme ispirate all'amore e alla giustizia, ci sia anche una parola per lui. Da qui nasce l'ultimo paragrafo dell'articolo 44 della Costituzione. Devo dire che in tutti gli articoli non si fa menzione ai territori, solo in questo caso.

Negli anni successivi tante risorse sono state date alla montagna, soprattutto con la legge n. 991 del 1952, se vi ricordate ciò è stato per dieci anni e prorogato per altri dieci anni; ma anche questo non ha portato a soluzioni sperate e nasce, nel 1971, la legge che voi conoscete molto bene, Borghi in particolare, mi pare, l'ha seguita per tanti anni, la legge sulle comunità montane. È stata una legge rivoluzionaria per certi aspetti, perché in questo caso si dà potere ai montanari, si dà responsabilità i montanari e si mette in evidenza la gente della montagna.

Perché non ha funzionato la comunità montana? Per tante ragioni, a mio modo di vedere: innanzitutto, per le esigue risorse, ma anche perché aveva messo in campo una multidisciplinarietà per cui i contorni erano abbastanza labili e generali, ma anche perché i comuni che ne facevano parte non erano riusciti, o non sono mai riusciti, a vedere nella comunità montana l'ente che li rappresentava tutti e in qualche modo anche con la paura di perdere potere. Questa è una delle ragioni.

La mia regione, quando alla guida era la presidente Serracchiani, ha deciso di modificare la norma sulle comunità montane e costituire le UTI, le unioni territoriali. Io credo che sia stata una legge sbagliata: sbagliata perché non ha tenuto conto della diversità dei territori, non dimentichiamo che sempre l'onorevole Serracchiani ha tolto le province, il Friuli-Venezia Giulia non ha più le province. Tolte le province, di fatto, sono state costituite diciotto UTI che, non avendo neppure l'elezione diretta, erano degli istituti che tutto sommato non rispondevano a quelle che erano le esigenze del territorio. Oggi la giunta Fedriga ha cambiato quella legge, l'ha cambiata nella misura in cui, rispetto all'imposizione della legge sulle UTI, la nuova legge prevede che i comuni, di comune accordo o comunque in libertà, decidono di mettersi insieme. Io credo che questo sia un buon passo, ma non basta. Io credo che, come è stato detto qui da più parti, la montagna oggi non può essere vista come una riserva indiana, e molto spesso lo abbiamo fatto. La montagna, e qui è stato detto più volte, è una risorsa, ma, permettetemi di dirvi, molto spesso l'abbiamo usata. Faccio un parallelismo con la madre e il padre con i figli: abbiamo cresciuto i figli in modo diverso, chi ha deciso di crescerli responsabilizzandoli, dando loro la strada per poi lasciarli andare e trovare loro le capacità e i mezzi per muoversi e per crescere nella maniera giusta; ci sono genitori che, invece, sono stati genitori che non hanno permesso a questi di crescere e, quindi, hanno fatto un percorso completamente diverso. Ecco, io penso che molto spesso l'errore che abbiamo fatto, sia come Stato che come regioni, è stato quello di aver visto la montagna, le montagne, più come qualche cosa da aiutare, cioè ci siamo sostituiti alle popolazioni, a quei territori, e non abbiamo dato loro la possibilità di muoversi in maniera autonoma e diversa.

Per quanto possa sembrare una semplificazione, personalmente ritengo - anche perché ho vissuto una vita in montagna, so cosa significa vivere in montagna, so quali sono gli aspetti positivi e quelli negativi - che oggi bene abbiamo fatto a presentare le mozioni, bene stiamo facendo nel dire quello che serve, ma io credo che, se non decidiamo che la montagna ha bisogno di coraggio soprattutto da parte nostra… Io, in questi giorni, ho visto alcune persone, la scorsa settimana sono stata in una frazione piccolissima, peraltro ristrutturata in maniera incredibile, bellissima, di un paese di montagna pochissimi abitanti, dove l'unico negozio aperto era di una signora, anche di una certa età, l'onorevole Tondo parlava di 100 euro al giorno incassati, lei mi parlava di 10 euro al giorno. E allora mi chiedo: se la montagna è un valore, a queste persone dobbiamo dare dei premi perché rimangano sul territorio.

Ho incontrato, ieri l'altro, un ragazzo, un giovane agricoltore che ha vinto il premio nazionale Oscar Green, promosso dalla Coldiretti: voi non avete idea di cosa significhi fare gli agricoltori, soprattutto giovani, in montagna. Bene, questo giovane ha chiesto un contributo e non gli è stato dato perché, da 70 mila euro che chiedeva, doveva presentare una denuncia dei redditi di 220 mila euro. Quindi capite che questo è impossibile.

Potrei parlarvi del sindaco di Venzone. Molti di voi sanno cos'è Venzone, sabato abbiamo ricordato Zamberletti e soprattutto abbiamo visto quello che Venzone ha fatto, il museo sul terremoto; e parlando con il sindaco, il sindaco mi dice: quando arrivi in Aula, per favore, meno burocrazia, non chiediamo soldi, noi chiediamo la possibilità di poter lavorare senza essere sommersi da carte.

Ecco, io ho fatto questi due esempi, ma potrei farne altri. La montagna, è vero, si sta spopolando, ma è vero anche che in montagna si stanno togliendo molti servizi. Cinque anni fa, da noi, è stato chiuso il tribunale, stiamo facendo qualsiasi cosa per poterlo riaprire. Il tribunale di Tolmezzo era un tribunale importante, a Tolmezzo abbiamo un carcere di massima sicurezza, c'erano tutte le condizioni perché quel tribunale rimanesse sul territorio. Abbiamo avuto gli Alpini e, voi sapete, se ne sono andati anche gli Alpini. Allora, io dico: piano piano togliamo tutto alla montagna, cerchiamo di trovare delle compensazioni da dare a questa montagna.

Io credo che una società civile non possa, di fronte a due aspetti importanti, la scuola e la sanità, ridurre tutto a dei numeri. Faccio un esempio: noi abbiamo il punto nascita: punto nascita che, secondo le norme, dovrebbe avere un certo numero di nascite; ne abbiamo un po' meno, rischiano di perderlo.

Questo significa che i paesi della montagna friulana, quando succede qualcosa, devono fare 100 chilometri per andare in un ospedale. Allora, io credo che non ci servono voli pindarici, come ha detto l'onorevole Tondo; bastano poche cose, perché il montanaro è abituato a vivere in montagna. Sentivo prima che i ragazzi devono partire presto la mattina: tutti noi siamo partiti presto la mattina e siamo qui, siamo persone normali, abbiamo studiato, siamo usciti, siamo andati all'università, e ricordiamo con piacere e con nostalgia quei tempi. Quindi credo che il montanaro non lo si possa paragonare all'uomo di città; il montanaro vuol vivere la montagna, però la vuole vivere, come dicevamo, come tutti gli altri, con le stesse opportunità degli altri. Noi non abbiamo paura di fare fatica, non abbiamo paura a muoverci; ci muoviamo continuamente, però credo che i servizi siano fondamentali. Penso, per esempio, al vivere in montagna.

I nostri anziani, sembrerebbe una cosa strana, però rimangono in casa finché possono, le famiglie li tengono in casa finché possono, e questo è importantissimo. In montagna si vive anche e ancora di solidarietà, da noi ci sono moltissime associazioni. La montagna mai deve diventare qualcosa che non è, però noi abbiamo il compito e il dovere di credere e pensare che la montagna sia un valore; e allora, se la montagna è un valore, noi dobbiamo buttare l'ostacolo oltre e avere il coraggio. Dicevo prima, non bastano le mozioni, bisogna finalmente avere il coraggio di fare delle norme che vanno oltre. È vero, la defiscalizzazione è importantissima: la legge n. 97 purtroppo è stata bloccata, è stata una bellissima legge. Noi abbiamo creduto moltissimo in quella legge, poi si è bloccata, come diceva l'onorevole Tondo.

Bene, credo che tutte queste mozioni siano condivisibili, tutte, ma non devono fermarsi nelle parole, ma devono andare oltre, bisogna fare i fatti. Mi auguro davvero che alla fine di questa legislatura possa uscire una legge di cui andare orgogliosi.

Vi ho parlato di Michele Gortani e Michele Gortani spero che sarà orgoglioso di questi carnici, di questi friulani che oggi sono qui a parlare. Siamo qui a parlare perché ci teniamo moltissimo alla montagna, ma sappiamo anche che oggi abbiamo un dovere e non possiamo tirarci indietro.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Muroni. Ne ha facoltà.

ROSSELLA MURONI (LEU). Grazie, Presidente. Finalmente con questa mozione, che per la maggioranza è a prima firma dell'onorevole Enrico Borghi, che ringrazio, e sottoscritta per LeU anche dal nostro capogruppo Fornaro, il Parlamento torna a parlare di aree rurali, montane e periferiche, di aree interne e piccoli comuni. Lo fa, Presidente, sulla base della nostra Costituzione, che prescrive un uso razionale del suolo, la realizzazione di rapporti sociali equi e prevede che la legge disponga provvedimenti a favore delle zone montane, perché la tutela di queste aree ha un carattere di interesse nazionale; e lo fa per chiedere la promozione di uno sviluppo equilibrato e sostenibile, per chiedere che la salvaguardia di questa Italia cosiddetta minore sia considerata per quello che è: uno straordinario potenziale di benessere per tutto il nostro Paese.

Dicevo, si torna a parlare di questa parte del Paese dopo la legge sui piccoli comuni, la n. 158 del 2017, a prima firma di Ermete Realacci. È stato ricordato, una legge che ha avuto 16 anni di cammino, una legge in larga parte ancora da attuare, ma che intanto ha significato per tanti piccoli centri del nostro Paese il mantenimento di servizi essenziali, quali presidi postali, e ha dato nuovi strumenti di tutela e sviluppo agli enti locali.

E dove le istituzioni sono state più attente e sensibili al tema e hanno saputo cogliere le opportunità della legge, come la regione Lazio, che ha istituito un ufficio di scopo di piccoli comuni e contratti di fiumi, questa legge ha segnato anche una via possibile.

Occuparsi di aree interne montane e rurali significa mantenere quel presidio del territorio così importante nel contrasto al rischio idrogeologico, significa prendersi cura dei beni comuni, conservare campi produttivi, tenere vive le comunità, contrastare lo spopolamento. E ancora, significa serbare in buona salute i sistemi rurale e montano, che sono strategici nel fornire cibo, aria, acqua e materie prime. Da qui, insomma, passa un pezzo importante della cosiddetta green economy. Ma soprattutto perché i 5.552 piccoli comuni censiti al 1° gennaio 2017, il 69,7 per cento del totale delle nostre municipalità, rappresentano una caratteristica specifica e unica del nostro Paese, perché l'Italia dei borghi custodisce la nostra identità, un patrimonio storico, artistico e naturalistico prezioso e diffuso, i nostri talenti e le nostre eccellenze, e rappresenta una grande opportunità di benessere futuro, perché aiutare questa Italia è una scommessa sulle cose che rendono il nostro Paese unico.

Penso alla bellezza, al paesaggio, alla storia, alla coesione sociale, alla qualità della vita, al legame con i territori, alla creatività. Una scommessa che deve comprendere anche lo sforzo coordinato delle istituzioni per consentire anche a questa parte del Paese di usufruire delle opportunità offerte dall'innovazione tecnologica e dei servizi che si danno per scontati, invece, nelle aree metropolitane. Una visione che Legambiente ha portato avanti per anni insieme a tanti compagni di viaggio, associazioni, sindaci, comunità locali, e che questa mozione sposa in pieno. Nelle nostre aree interne, rurali e montane, i nostri piccoli borghi amministrano più della metà del territorio nazionale e producono tanta parte di quel made in Italy apprezzato nel mondo, vino e prodotti agroalimentari in primis; e sempre l'Italia cosiddetta minore è quella parte del Paese che sperimenta le buone pratiche più innovative in fatto di rinnovabili e comunità energetiche, economia verde, riciclo dei rifiuti, integrazione e resistenza sociale.

Si pensi ai nostri comuni 100 per cento rinnovabili, dove cioè il fabbisogno energetico dei residenti è soddisfatto al 100 per cento da fonti pulite; hanno nomi come Montieri, Badia, Prato allo Stelvio, Santa Fiora o Vipiteno, ossia piccole amministrazioni. Sono tante le storie di innovazione sociale e tecnologica, di integrazione e di turismo sostenibile, di economia circolare, rigenerazione edilizia e nuova imprenditoria verde che si incontrano nei piccoli comuni, come Fluminimaggiore, in provincia di Carbonia-Iglesias, 3 mila anime e molte case sfitte, dove è partito un progetto di welfare diffuso per gli over 65 attraverso la creazione di una cooperativa di comunità capace anche di produrre e distribuire rinnovabili, o San Lorenzo Bellizzi, in provincia di Cosenza, poco più di 660 abitanti, la cui amministrazione ha investito nel fotovoltaico e quasi due terzi degli edifici pubblici ospitano oggi impianti solari fotovoltaici e il comune ridistribuisce gli introiti del conto energia alla cittadinanza attraverso l'esenzione della TASI. Inoltre, con la vendita dell'energia prodotta sono stati già azzerati i tributi comunali destinati alla ristrutturazione degli immobili del centro storico.

Insomma, tante esperienze che fanno di questa Italia anche un racconto possibile di come sviluppare la green economy e comunità più forti e più coese. L'Italia dei borghi, insomma, offre numerose esperienze di innovazione che disegnano i contorni di un possibile cambio di passo verso un futuro di benessere e sostenibilità capace di disegnare un argine allo storico abbandono, invecchiamento e spopolamento dei piccoli centri, considerando che in questi luoghi si conta al 2030 un anziano ogni tre persone e tre anziani per ogni bambino, ma anche una casa vuota ogni due occupate. Solo il 15 per cento di quelle disponibili ospiterebbero 300 mila abitanti e le opere di adeguamento edilizio potrebbero valere 2 miliardi di euro nella rigenerazione e decine di migliaia di nuovi addetti.

Inoltre, utilizzando un quarto delle superfici coltivate e abbandonate negli ultimi vent'anni, avremmo 125 mila nuove aziende agricole di 12 ettari ciascuna, assecondando un già marcato ritorno all'agricoltura di eccellenza italiana. Per ragionare di futuro, la capacità di innovazione sociale, digitale e insediativa di questi territori è fondamentale e va accompagnata con serie politiche di sistema, come agevolazioni alle imprese locali di prossimità, all'impresa digitale e alla residenzialità. La stessa ispirazione, ossia fare di queste aree un elemento centrale nello sviluppo di tutto il Paese, coniugando tradizione e innovazione, si ritrova anche nella mozione approvata il 3 ottobre 2018 dal Parlamento europeo.

E però queste aree sono fragili, vivono difficoltà specifiche, e per questo vanno sostenute con strumenti specifici e cura particolare. Per fare un esempio, un quarto della popolazione rurale montana e delle aree interne non ha accesso a Internet ad alta velocità e ha grandi problemi a vedere la tv o ad ascoltare la radio, ma senza Internet non sarebbe mai stato possibile che un sarto di un piccolo comune, come Ginosa di Puglia, riuscisse a vendere le sue camicie artigianali fino in Giappone. Per questo la citata legge sui piccoli comuni prevede non solo misure per conservare ma anche misure per facilitare nuove forme di economia, puntando sulla banda larga, sul riuso del patrimonio urbanistico dismesso, su innovazione e qualità: tutti fattori che rendono più competitivo il tessuto produttivo. E per questi motivi, oltre che per evidenti ritardi nell'attuazione di questa legge, la mozione che oggi stiamo discutendo chiede che, attraverso l'azione del Governo e del Parlamento, l'Italia promuova lo sviluppo economico, sociale, ambientale e culturale dei piccoli comuni; che garantisca l'equilibrio demografico del Paese favorendo la residenza di cittadini e imprese nelle zone montane e rurali, attraverso impegni puntuali per il Governo. Ne sottolineo alcuni perché sono importanti. La mozione impegna, infatti, l'Esecutivo ad adottare le iniziative necessarie a realizzare uno sviluppo territoriale equilibrato del Paese costruendo un quadro giuridico di sviluppo delle aree interne, rurali e montane, mediante specifiche politiche nazionali incentrate sulle esigenze di tali territori, puntando decisamente a un modello di sviluppo sostenibile basato sulla green economy. Il Governo dovrà poi costruire una strategia specifica per le aree interne, rurali e montane, a partire dalla convocazione degli stati generali della montagna e, sul modello di quanto già fatto per le aree urbane e metropolitane, si dovrà lavorare a livello europeo per la creazione, nel nuovo periodo di programmazione dei fondi di coesione 2021-2027, di un fondo per il finanziamento di politiche specifiche per le aree interne rurali e montane. L'Esecutivo dovrà essere capace di coordinare le politiche nazionali e quelle europee per garantire una crescita sociale ed economica intelligente, sostenibile ed inclusiva di questa parte del Paese; per promuovere l'inclusione sociale e la riduzione del divario digitale, la massima interazione tra i territori e in particolare tra aree interne e urbane. La mozione impegna, infine, il Governo ad attuare finalmente la legge 6 ottobre 2017, n. 158 approvando in tempi rapidi i relativi decreti attuativi; ad estendere la strategia nazionale per le aree interne a tutte le zone montane alpine e appenniniche italiane, individuando a tale fine fondi europei nazionali e regionali della programmazione 2014-2020 e un po' in specifico sulla programmazione dell'Unione Europea 2021-2027. Per accelerare la capacità di spesa delle risorse disponibili si chiede un coordinamento tra i Ministeri competenti. L'Esecutivo ha anche il compito di adottare iniziative per individuare, già nella legge di bilancio 2021, una dotazione di 100 milioni per i prossimi cinque anni da destinare al Fondo nazionale per la montagna. Insomma questa è la strategia che il Governo dovrà perseguire per dimostrare che questo pezzo di Paese ha in sé le chiavi di un futuro sostenibile di qualità e soprattutto possibile (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole De Filippo. Ne ha facoltà.

VITO DE FILIPPO (IV). Grazie, Presidente. Presidente, Ministro, abbiamo sentito parole importanti in questa discussione oggi. Spero vivamente che il dibattito abbia una eco che si diffonda costantemente e permanentemente nella discussione pubblica del nostro Paese e non perché nato in una regione dei piccoli numeri, dei piccoli comuni, in un punto della storia e della geografia qual è il Mezzogiorno ma perché, come proverò brevemente a dimostrare, è un tema decisivo per lo sviluppo e per il futuro del nostro Paese.

Piccoli comuni e aree interne: se questi argomenti fossero declinati con superficialità apparirebbero immediatamente marginali nella discussione pubblica nel nostro Paese invece se facciamo attenzione, senza scomodare grandi storici senza scomodare grandissimi intellettuali della storia europea e anche nella storia italiana, senza scomodare Fernand Braudel, l'Italia è sicuramente un Paese che ha una storia di civismo urbano straordinario ma anche di grande ruralità. C'è stato un momento in cui la discussione pubblica nel nostro Paese, soprattutto nel secondo dopoguerra, ha visto contrapporsi visioni e anche economisti di grandissimo livello che hanno potuto approfondire questi argomenti. Nacque addirittura un vocabolario nuovo nella politica italiana: l'osso e la polpa, l'osso considerato proprio questa parte, questo territorio, questa parte del nostro Paese più interno, dislocato magari su una montagna, su una collina con difficoltà anche di relazione e di trasporti che hanno consentito per la verità come dirò a quelle comunità di conservare un giacimento di risorse straordinarie.

Ma è un tema decisivo perché, come è stato anche segnalato da qualcuno che mi ha preceduto, 5.488 comuni nel nostro Paese sono al di sotto dei 5.000 abitanti su 7.904, cioè il 69 per cento dei nostri comuni, non soltanto nel Mezzogiorno. Ci sono regioni come il Piemonte, come la Lombardia che hanno questa spalmatura demografica difficile e complessa. Possono essere classificate aree interne, nel nostro Paese, il 60 per cento delle aree del nostro Paese nelle quali vive almeno il 20 per cento della nostra popolazione. Bisogna mettere a sistema questo patrimonio e percepisco, con molta franchezza, che nella mozione non c'è soltanto una richiesta di impegni per il Governo. Mi sembra di capire e di sentire nella mozione della maggioranza una sfida soprattutto culturale: non sono solo finanziamenti per le aree interne; non sono soltanto risorse aggiuntive e nuovi investimenti, che sono sicuramente straordinari; bisogna combattere contro una potentissima lobby. Il Ministro in alcuni momenti ha citato esattamente questo ingrediente culturale che esiste nel nostro Paese. Bisogna sfidare, come dire, alcune lobby geografiche che hanno sottratto la possibilità di uno sguardo e di una visione nuova verso questi giacimenti culturali, dove biodiversità, storia, cultura sono assolutamente rilevanti. Quando abbiamo la capacità di riconoscimento di queste risorse, di essere riconoscenti anche verso queste risorse, scattano miracolosi avventure di sviluppo. Credo che in questo senso Matera Capitale della cultura è anche un po' Capitale della Cultura e capitale della storia delle aree interne. Sono molte volte Paesi, come ha detto un noto poeta e paesologo, sono Paesi fuori forma; hanno bisogno di allenatori questi Paesi, dice Arminio, hanno bisogno di persone che in qualche modo, come veri e propri rabdomanti, sappiano in qualche modo risvegliare le grandi qualità, le grandi risorse e i grandi patrimoni che sono presenti in queste parti del nostro Paese. La mozione della maggioranza puntualizza con molta precisione quello che bisogna fare nei prossimi anni. Innanzitutto confermare nella programmazione 2021-2027 ancora risorse aggiuntive; estendere, come è stato anche annunciato e anche per una parte fatto nell'ultima legge di bilancio, la strategia delle aree interne ad altri territori; attivare con più precisione un coordinamento dei Ministeri sulla materia. Negli anni precedenti i Ministeri delle Politiche sociali e della Sanità hanno partecipato non sempre da protagonisti; invece i settori e gli ambiti delle politiche sociali e della sanità possono dare un contributo straordinario in termini di servizi di vivibilità in questi territori; è necessario favorire un patto fra i piccoli comuni; attivare misure sempre più importanti e decisive per rianimare il turismo rurale e l'agriturismo; continuare, come è stato fatto, sui benefici fiscali per chi vive in queste aree, per chi investe in queste aree, per chi intraprende iniziative commerciali, artigianali, imprenditoriali in queste aree. Vorrei dire al Ministro che abbiamo una positiva coincidenza in questa fase. Come è noto la strategia nazionale delle aree interne non partì in maniera simultanea nel precedente ciclo di programmazione. Ci fu uno scarto temporale che ha determinato anche un effetto di programmazione un po' spiazzato, diciamo così, che ha determinato anche un'implementazione dello stesso strumento in maniera difforme nel nostro Paese.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

VITO DE FILIPPO (IV). La simultaneità della programmazione 2021-2027 ci potrebbe consentire di affinare tale procedura. Bisogna - concludo - intervenire meglio e di più nei prossimi anni soprattutto sulla governance di queste organizzazioni che sono quelle delle aree interne. Nonostante il CIPE abbia deliberato varie volte procedure anche di semplificazione, credo che si senta, per chi è stato in mezzo a quei territori e ha discusso e ha parlato con quegli amministratori, quanta esigenza manifestano questi amministratori per una governance più leggera, più veloce e più efficace, che consenta ancora di più di fare investimenti importanti nei settori della scuola, dei trasporti e della sanità, che sono sicuramente rilevanti e che consentiranno a quei territori di dare quel contributo di sviluppo e di futuro al nostro Paese (Applausi dei deputati del gruppo Italia Viva).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Mura. Ne ha facoltà.

ROMINA MURA (PD). Grazie, signor Presidente. Veniamo da mesi complicati in cui la nostra attività parlamentare è stata concentrata a tamponare tutta una serie di emergenze. Avevamo il dovere - e lo abbiamo fatto - di scongiurare l'aumento dell'IVA, che sarebbe stato un macigno sulle prospettive del Paese e ancora di più lo sarebbe stato su territori marginali e fragili come quelli di cui stiamo discutendo questo pomeriggio. Ritengo, però, che nella seconda parte della legislatura, che di fatto prende avvio e prenderà avvio, insomma, in questi mesi, a partire da subito dovremmo riprendere il lavoro che avevamo avviato nella precedente legislatura al fine di definire il contesto e, aggiungo, di scrivere un progetto di Paese in cui il nostro capitale territoriale, tutto il capitale territoriale, possa concorrere a pieno e complessivamente a un percorso di sviluppo di qualità equilibrato, orientato a valorizzare e a preservare la nostra biodiversità ambientale, sociale e territoriale e a contribuire, in tal senso, agli obiettivi europei e internazionali in materia di clima e, più in generale, di sostenibilità.

La consapevolezza che quanto faremo a partire da qui, a partire da noi, determinerà lo scenario futuro e disegnerà le opportunità delle giovani generazioni deve indurci a scelte convinte, forti e strutturali nella direzione di uno sviluppo territoriale in cui la transizione produttiva ed energetica, quella relativa alla mobilità, le trasformazioni in materia di consumi e alimentazione, le abitudini del vivere e dell'abitare le nostre città, come i nostri piccoli borghi, divenga l'opportunità per il rilancio di ogni angolo di Paese, con particolare attenzione ai luoghi di cui stiamo parlando questa sera, i piccoli comuni, le aree rurali e le aree montane, le aree interne, le quali - e ricordiamolo, perché questo è un dato numerico che rappresenta l'importanza di queste aree per il territorio - rappresentano il 60 per cento del nostro territorio nazionale, oltre il 50 dei nostri comuni e in cui vive il 22 per cento della popolazione italiana, le cui potenzialità rimangono a tutt'oggi parzialmente espresse e che, statistica dopo statistica, risultano sempre più abbandonate e spopolate.

E, allora, con la nostra mozione, con primo firmatario il collega Enrico Borghi, proviamo a dare un contributo di idee sì, ma soprattutto a indicare una direzione e a chiedere che si imprima una netta accelerazione per l'attuazione di tutta una serie di misure, molte delle quali sono già in vigore e penso, in particolare, alla legge n. 158 approvata nel 2017, legge che deve essere attuata. Noi, nel corso di questa legislatura e più volte anche col precedente Governo, siamo intervenuti per chiedere l'attuazione dei decreti che l'avrebbero resa - come dire - vera e impattante sui processi e oggi confermiamo quella richiesta all'attuale Governo e al Ministro di attuare i decreti, perché in quella legge ci sono tutta una serie di misure che possono iniziare un percorso virtuoso, perché oltre a, come dire, disegnare nuovi trasferimenti di risorse lì dentro c'è un progetto di Paese che va attuato e messo in cantiere.

Chiediamo, poi, il rafforzamento della strategia delle aree interne e lo ha detto bene il collega De Menech. Le 72 aree pilota che sono in corso di svolgimento dimostrano che quel modo di intervenire sulle aree interne è un modo che funziona. Allora, facciamolo il salto di qualità, passiamo dalla sperimentazione agli interventi strutturali, affinché quello diventi il metodo d'intervento nelle aree interne con un piano pluriennale di interventi e di finanziamenti, con risorse dedicate nei bilanci, così come abbiamo già iniziato a fare anche nell'ultima legge di bilancio, proviamo a incidere sulle risorse regionali per la coesione territoriale nel ciclo di programmazione europea 2021-2027, così come è stato fatto per le aree metropolitane e per le aree urbane, insistendo, come ha detto bene l'ultimo collega che è intervenuto, sulla governance di questa realtà che è fondamentale, provando a incentivare le buone prassi locali che ci sono nel nostro Paese, perché ci sono diversi piccoli comuni - lo diceva la collega Muroni - in cui si sono sviluppate delle sperimentazioni per promuovere la residenzialità, per incentivare l'insediamento di attività produttive, per la natalità. Ecco, quelle buone prassi prendiamole a esempio e mettiamole in rete.

E poi occorre cambiare approccio. Questa è una questione quasi più culturale che relativa alle risorse, perché se davvero vogliamo mettere a reddito questo capitale territoriale in cui tutti crediamo, come è dimostrato dalla discussione che si è avuta questa sera, dobbiamo trasformarle da tassello territoriale residuale - e io mi permetto di definirle, per quello che si percepisce, a volte da nicchia e da cartolina in cui fare la scampagnata domenicale - a terreno decisivo per vincere la sfida del futuro, quella che poggia sulla capacità che avremo di cambiare senza lasciare nessuno indietro, provando a giocare quelle carte, quindi questo capitale territoriale, che per troppo tempo abbiamo tenuto in tasca.

Qualche giorno fa, in una interessante intervista a Il Mattino, Carmine Donzelli rappresentava in modo molto significativo e corrispondente alla realtà il nostro Paese e diceva: “(…) l'Italia è disseminata da territori del margine, dal sistema delle valli e delle montagne alpine alle terre alte della dorsale appenninica scendendo fino a incontrare l'osso e la polpa di Rossi-Doria e le due grandi isole mediterranee” e invitava, sempre in quell'intervista, la classe dirigente del Paese a imparare a guardare l'Italia dai margini e dalle periferie per poter considerare le dinamiche demografiche, i processi di modernizzazione, gli equilibri ambientali, i sistemi di mobilità sociale e territoriale, le contraddizioni e le opportunità per una volta all'incontrario, ossia partendo, appunto, dal fatto che l'Italia del margine, come ho detto poc'anzi, non è una parte residuale ma si tratta del terreno decisivo su cui giocare la partita del futuro. Come dargli torto? Lo sviluppo italiano, le grandi strategie, i principali e i costanti flussi di finanziamento ordinari come quelli aggiuntivi e i ponti con l'Europa sono sempre stati predisposti principalmente intorno a due elementi: il centro, evidentemente contrapposto alle periferie, e la città e lo spazio urbano contro i paesi e le aree rurali. Con questo approccio sono stati costruiti i grandi nodi infrastrutturali, le reti anche quelle relazionali e di servizi, i sistemi di agevolazione fiscale insediativa. Mi viene in mente lo strumento delle zone economiche speciali costruito giustamente per valorizzare la rete portuale. Ma perché non pensare a strumenti simili anche per le aree interne e montane e per quelle più periferiche? Così facendo si è prodotto un doppio danno, senza peraltro raggiungere gli obiettivi che ci si era dati: si è sfruttato sino all'osso il territorio urbano e si è spenta la luce sulle aree interne, sulle montagne e sulle periferie geografiche. Si è caricato eccessivamente su due formidabili fattori di sviluppo - nessuno lo nega: il polo urbano e le centralità - e si è scelto di congelare un patrimonio territoriale straordinario, quello delle aree interne, producendo il risultato di usurare gli uni e le altre, poli urbani e centralità per il troppo utilizzo e aree interne per l'abbandono, perché il degrado è conseguente anche all'abbandono. E io aggiungo: pensate un po' quale contributo di qualità avremmo potuto dare oggi, in cui l'opzione della green economy e della crescita verde e sostenibile rimane l'unica e necessariamente percorribile, se non avessimo perso di vista quel 60 per cento del territorio nazionale in riferimento alle politiche sul clima, all'agricoltura di qualità, al turismo dei borghi e delle destinazioni minori, e quanto avremmo potuto dire riguardo all'Europa mediterranea - consentitemi questo passaggio, visto il territorio da cui provengo - se avessimo reso le nostre isole più grandi, le nostre isole mediterranee, funzionali ed efficienti piattaforme logistiche, anello di congiunzione fra il sud del Mediterraneo e l'Europa continentale.

E invece no! La miopia, unita al continuo rinvio nella soluzione di problemi di cui abbiamo consapevolezza da tempo (e penso allo spopolamento e alla denatalità), hanno indebolito la capacità del Paese rispetto alla crescita economica e, nel contempo, hanno negato e negano fondamentali diritti di cittadinanza per chi vive lontano dal baricentro dei servizi e dalla città. Penso, in particolare, al diritto alla mobilità, a quello all'istruzione e a quello alla salute.

E allora io aggiungo, oltre gli impegni rispetto ai quali noi abbiamo formulato la mozione proposta in quest'Aula e sottoposta all'attenzione del Governo, io credo vi siano altri due elementi su cui dovremmo lavorare e che sono parte dell'agenda politica: uno è relativo alla revisione del quadro normativo relativo agli aiuti di Stato, perché questo è un tema fondamentale, che interessa appunto l'infrastrutturazione e il superamento del deficit di infrastrutture e servizi delle zone più marginali, nel senso di allentare i vincoli laddove gli investimenti siano orientati all'innovazione e alla riconversione produttiva green, ma inserendo anche un ulteriore tassello, che i vincoli contabili e i vincoli relativi agli aiuti di Stato siano adeguati e proporzionati rispetto al territorio in cui si interviene. Il digital divide delle aree rurali così come la difficoltà di accesso ai servizi sanitari e scolastici così come il diritto alla mobilità di cittadini che vivono in zone isolate o in territori insulari non possono non assurgere a elementi di ponderazione di quei vincoli, della loro adeguatezza o talvolta della loro insensatezza. Lo ha detto il commissario Gentiloni, lo ha ribadito il Ministro Gualtieri: dovremmo fare un lavoro molto importante rispetto alla rivisitazione di quel sistema normativo relativo all'aiuto di Stati e oggi, che si parla di regionalismo differenziato, io credo che all'interno di questo discorso, debbano entrare anche, oltre alla differenza fra regioni ricche e regioni povere, anche le differenze che ci sono all'interno delle regioni, perché all'interno delle regioni ci sono territori in cui si è investito di più, ci sono territori in cui si è investito di meno, ci sono aree interne e ci sono poli urbani, quindi, all'interno del ragionamento del regionalismo differenziato, utilizzando fra l'altro anche una legge che anche in questo caso già esiste ed è la legge delega 4299, all'articolo 22, sulla perequazione infrastrutturale - parlo della legge sul federalismo fiscale – ecco, dovremo, attraverso alcune misure previste in quell'articolo, provare a ricalcolare l'ammontare dei trasferimenti ordinari alla luce di nuovi livelli di prestazione dei territori, abbandonando il metodo della spesa storica. Dovremmo risarcire i territori riconoscendo e trasferendo le risorse sottratte nel corso degli anni e definire il quantum di trasferimenti aggiuntivi con finalità di perequazione. Ovviamente il mio intervento non è teso a chiedere al Ministro e al Governo di distogliere l'attenzione dai territori che in questi anni hanno avuto più attenzione, ma la richiesta è quella di allungare lo sguardo, allungare lo sguardo a tutto il territorio nazionale, lo ripeto, a tutto il nostro capitale territoriale, che è la carta che noi ci possiamo giocare per provare a costruire un percorso di crescita assolutamente inclusivo e che sia in piena sintonia con quanto ci chiede l'Europa, quindi l'economia circolare, la green economy, la sostenibilità in tutti i sensi, che non lasci nessuno indietro (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Federico. Ne ha facoltà.

ANTONIO FEDERICO (M5S). Grazie Presidente, sono sicuramente molto soddisfatto della mozione che è stata presentata dalla maggioranza, quindi ringrazio tutti i colleghi che in queste settimane hanno lavorato per renderla più completa possibile, anche perché la complessità del tema trattato merita un approfondimento e una mozione così corposa, così come quella che è stata partorita non solo dalla maggioranza, ma devo dire anche dalle altre forze di opposizione, che hanno voluto presentare analoghe mozioni sullo stesso tema naturalmente. Perché sono felice? Perché spesso il dibattito politico, anche qui all'interno di questo Parlamento, si sofferma su quel divario che è insito nel nostro Paese tra nord e sud dell'Italia e questo, secondo me, è anche un po' una limitazione che noi diamo al nostro guardare al nostro Paese, perché credo vi sia, oltre a questa differenza che potremmo chiamare verticale, anche un divario orizzontale che va colmato e che è molto più democratico probabilmente; non è distribuito nord-sud, ma raccoglie tutto il Paese, perché di aree interne (quindi zone montane, aree rurali, piccoli comuni) è disseminato tutto il nostro Paese, dalle aree più estreme del settentrione, quindi le Alpi e le Prealpi, scendendo tutta la catena appenninica, dalla Liguria fino alla punta della Calabria, le isole che hanno al loro interno delle zone rurali che hanno bisogno di particolare attenzione; e ciò per poter superare che cosa? Anzi, più che superare, per poter raggiungere quei principi di universalità, uguaglianza, equità che sono distribuiti un po' in tutta la nostra Carta costituzionale e che noi, come Parlamento, dobbiamo sollecitare in ogni istante, in ogni azione che portiamo avanti, in ogni provvedimento, per riuscire a garantirlo su tutto il territorio nazionale. Sono poi molto contento di questo dibattito oggi in Parlamento, perché ho fatto per cinque anni il consigliere regionale di una regione che probabilmente rappresenta l'esemplificazione di quelle che sono le aree interne e le aree rurali, che è la regione Molise, caratterizzata proprio da tutte quelle difficoltà che, all'interno di questa mozione, abbiamo cercato di superare e declinare con azioni concrete, che non sono solo quelle che porta avanti il Governo con le iniziative che nella legge di bilancio sono state già riportate negli interventi precedenti dei miei colleghi, ma che riguardano poi un aspetto culturale, come diceva qualcuno prima; ovvero non possiamo guardare esclusivamente ai problemi e alle tematiche del nostro territorio e delle nostre aree interne soltanto con una visione localistica: se volessimo guardare alla fragilità del suolo, al fatto che, da un punto di vista idraulico, ci sono dei problemi, il dissesto idrogeologico è causato dall'abbandono dei territori, ma anche da fenomeni più globali come i cambiamenti climatici, perché, con l'aumento delle piogge e quindi con una forte aggressività che abbiamo vissuto in questi ultimi due anni soprattutto, i terreni si gonfiano di acqua e quindi diventa ancora più insostenibile e complicato andare a gestire. Queste sono tutte quelle operazioni di adattamento ai cambiamenti climatici che rappresentano una sfida internazionale che riguarda anche il nostro Paese e gran parte del nostro territorio, perché oltre il 60 per cento del nostro territorio ha questo tipo di caratteristiche e, quando un territorio è così fragile e così sensibile a questi mutamenti, noi dobbiamo intervenire nei confronti di quelle persone che hanno deciso di continuare a vivere in quelle aree, in quei piccoli comuni, in quelle aree rurali, in quelle aree montane, portando avanti quella Italia genuina, vera, che tanto caratterizza il nostro territorio, il nostro bel Paese; penso quindi sia importante essere sempre puntuali negli interventi che si propongono. La mozione richiama la strategia nazionale per le aree interne, che è sicuramente un intervento strutturale importante, perché dobbiamo sempre parlare di interventi strutturali, mai estemporanei, se vogliamo far sì che questa universalità ed eguaglianza venga mantenuta nel tempo e non si risolva solo in un qualcosa che si circoscrive in un'azione spot, che può servire a far bello, un fiore all'occhiello del Paese, un piccolo territorio, perché magari colpito da un evento come un sisma; vi sono infatti anche altre cose che toccano queste realtà purtroppo, ma devono essere strutturali. Quindi, le strategie nazionali per le aree interne richiamate nella mozione vanno rafforzate e vanno ampliate rispetto alle altre realtà territoriali dove ancora faticano un pochino a partire e quindi credo che quello sia un intervento sul quale continuare a puntare, una strategia sulla quale continuare a puntare, così come è importante ricreare quel concetto di rete tra le comunità, tra le piccole comunità: i comuni al di sotto dei 5.000 abitanti sono tantissimi nel nostro territorio ed è importante che queste piccole realtà dialoghino meglio tra di loro, con strumenti normativi e amministrativi che permettano loro di mettere a sistema tutte le loro potenzialità e i servizi che poi devono offrire ai cittadini; penso ai servizi basilari come una scuola, un servizio di trasporto pubblico scolastico o il trasporto pubblico extraurbano, un serbatoio per l'acqua, perché magari un comune c'ha il serbatoio e l'altro comune non ce l'ha e quindi è importante che si crei una sinergia adeguata nella gestione di queste piccole cose, invece di creare difficoltà e non mettere a sistema la gestione in maniera intelligente e razionale, così come ci ricorda proprio l'articolo 44 della Costituzione, con riferimento ai servizi per i cittadini residenti nelle aree interne.

È importante, anche rispetto a quello che dice proprio l'articolo 94, un uso razionale del suolo, quindi anche quelle politiche di contrasto al consumo del suolo sono necessarie proprio per salvaguardare il nostro territorio, questo territorio delle aree interne, che ha bisogno di questa attenzione, perché se poi dopo vogliamo puntare su un turismo rurale o se vogliamo avvicinare le persone con un turismo enogastronomico di cui si è parlato anche precedentemente, se vogliamo rafforzare anche quel made in Italy che riguarda le nostre produzioni che caratterizzano queste aree, penso che dobbiamo avere un'attenzione a 360 gradi su tutto.

Ciò è importante e io voglio anche richiamare e leggere quei punti che nella mozione riportiamo, che riguardano la fiscalità - e quindi interventi sulla fiscalità - perché per sostenere un ulteriore sviluppo del turismo rurale e dell'agriturismo montano c'è bisogno di realizzare un piano d'azione per una differenziazione di sistemi fiscali delle aree interne. Questo è un punto caratterizzante e credo importante della nostra mozione, proprio perché interviene a superare quel gap che i cittadini che decidono di continuare a vivere nelle aree interne devono sopportare in termini infrastrutturali, che magari vengono compensati da un punto di vista fiscale. Questo credo che sia importante proprio per rilanciare la possibilità di fare investimenti pubblici e privati e per dare maggiori sicurezze a quei cittadini che decidono di restare, quindi facendo in modo che i cittadini continuino a sentire lo Stato presente e non qualcosa di lontano che riguarda solo i grandi centri metropolitani del nostro Paese, uno Stato che guarda con particolare attenzione anche al resto del nostro territorio. Aggiungo, poi, in conclusione, che la garanzia dei servizi essenziali, quali il trasporto pubblico o extraurbano, che viene poi, di fatto, gestito dalle regioni da un punto di vista organizzativo, deve avere un'attenzione particolare proprio sulla distribuzione puntuale. Ciò su cui mi voglio soffermare, che poi spesso ingenera anche molte tensioni, criticità e polemiche sui territori, riguarda il sistema sanitario, quindi la gestione delle reti degli ospedali, dei piccoli ospedali di montagna, che devono continuare a mantenere in piedi non un concetto di campanile, per cui voglio il mio ospedale sotto casa. Qui è importante che il legislatore e che i governi regionali siano in grado di assicurare sostenibilità e sicurezza nelle prestazioni sanitarie in maniera tale che l'accesso alle cure sia garantito a tutti quanti, con un servizio e una rete territoriale ed una rete dell'emergenza che funzioni e che permetta anche a chi vive sul cucuzzolo della montagna - fatemi passare questo termine - di sentirsi tutelato da questo punto di vista e di vedere garantito anche quell'articolo 32 della Costituzione che sancisce il principio della sanità pubblica (Applausi dei deputati dei gruppi MoVimento 5 Stelle e Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ferri. Ne ha facoltà.

COSIMO MARIA FERRI (IV). Presidente, questa mozione è davvero importante, perché segna un punto fondamentale per il futuro del nostro Paese, che è quello di eliminare le disuguaglianze territoriali, di unire e avvicinare le comunità e di garantire diritti e servizi a tutti. Penso che sia fondamentale. Quando parlo di servizi, parlo di giustizia, parlo di sanità, parlo di istruzione, parlo di trasporti, di trasporti ferroviari e non solo; quindi, garantire a ciascuno di scegliere il posto dove stare, di vivere e di avere gli stessi diritti. In altre parole, si può parlare davvero di un patto, di un rilancio e di un obiettivo comune, che deve essere quello di garantire pari opportunità territoriali che uniscano le zone montane e rurali, le aree interne, con le zone e le aree urbane, per consentire a tutti di accedere agli stessi diritti e agli stessi servizi. Oggi non è così, quindi - lo dobbiamo dire - la mozione tocca tutti i punti e propone delle soluzioni. Penso che questo sia l'obiettivo del Governo. Penso al bilancio e alla programmazione a livello europeo 2021-2027, alla necessità di una legislazione interna che continui quello che è stato fatto in questi anni (la legge sui piccoli comuni); penso al bando per quanto riguarda le aree interne, quello del 2014, che è ancora pendente, a cui bisogna dare un po' più di impulso, per dare delle risposte a chi ha presentato questi progetti. Quindi è essenziale e importante, come dice la mozione, aiutare le zone interne e montane a superare le sfide a cui devono far fronte. Si tratta di sfide, si tratta di un cambio di passo, di una filosofia diversa per quanto riguarda le zone montane. Penso ai presidi ospedalieri. Abbiamo vissuto una stagione in cui abbiamo visto chiudere ospedali, abbiamo visto chiudere dei punti nascita in tante parti del nostro territorio. Noi vogliamo una politica che riapra i punti nascita, che preveda una defiscalizzazione per le aziende, per i cittadini, per i residenti, per le imprese, per gli artigiani che continuano a vivere e a investire nei territori non solo delle aree interne ma anche delle zone rurali e montane; quindi, defiscalizzazione, servizi pubblici, trasporti, una politica che davvero dia queste risposte. Molte volte i piccoli comuni si sentono lontani non solo dallo Stato e dal Governo nazionale, ma anche dalle regioni, molto spesso anche dalle province, perché affrontano quotidianamente il tutto da soli. Davvero dobbiamo dire grazie non solo ai cittadini che vivono e credono ancora nelle zone montane e rurali, ma anche a quegli amministratori dei piccoli comuni e a quegli uffici pubblici che cercano di dare e garantire un servizio. Abbiamo ancora impiegati - ringraziamo anche il personale della nostra pubblica amministrazione, senza sempre denigrarlo - che molte volte portano il certificato di residenza al residente di quella frazione di quel comune perché magari non ha la possibilità di andare nell'ufficio comunale e che si prestano a dare un servizio. Oggi in molte realtà avviene questo, quindi noi dobbiamo garantire questa rete, prevederla nel bilancio e nella programmazione 2021-2027, e pretendere a livello europeo più finanziamenti e anche delle deroghe, perché molte volte i criteri e le norme che vengono create, sia a livello europeo ma anche a livello nazionale o regionale, impongono poi a queste realtà di chiudere. Parlavo prima dei punti ospedalieri, dei punti nascita; li ho visti in molte realtà, sia in Toscana ma anche in Emilia. Ho molto apprezzato - anzi faccio gli auguri al presidente Bonaccini - che Bonaccini in campagna elettorale abbia puntato sull'apertura anche di questi punti nascita. Molte volte venivano chiusi in Toscana, ma anche in altre regioni d'Italia, perché non raggiungevano quel numero di parti che erano richiesti dalla norma, senza guardare alla specificità del territorio, alla qualità, al servizio, anche al rapporto tra cittadino, utente e servizio sanitario. Così per le classi, le regole per gli istituti scolastici. È importante la formazione, l'educazione e l'istruzione, ma se noi manteniamo, anche a livello scolastico, quei parametri così ampi, è chiaro che mettiamo fuori gioco delle realtà territoriali che invece meritano di essere coinvolte e che devono avere gli stessi diritti. La tecnologia: abbiamo zone - è stato già ricordato prima - dove nemmeno il cellulare si riesce a utilizzare, oppure l'accesso a Internet. Pensiamo a tutto quello che vuol dire evitare lo spopolamento rurale e lo spopolamento di tanti giovani, di tante famiglie, che sono costretti a lasciare quelle zone per andare in una zona dove almeno possa funzionare Internet e arrivare il collegamento telefonico. Ciò vuol dire evitare di isolare popolazioni, studenti, cittadini, che possono e devono avere gli stessi diritti e le stesse opportunità di crescita, di formazione, di educazione, di istruzione, di approfondimento che hanno i cittadini che abitano nelle zone urbane. Questa è la sfida, tutti insieme. Anche il gruppo parlamentare di Italia Viva - ha già parlato prima anche il collega De Filippo - crede a questi temi e vuol portare il proprio contributo; ha firmato questa mozione, ma vuol continuare a far sì che tutto quello che impegna oggi il Governo sia poi realizzato insieme e si possa davvero cambiare passo, per rispettare questo patto che eviti diseguaglianze, che eviti disparità e che consenta a tutti gli stessi diritti e gli stessi servizi (Applausi dei deputati dei gruppi Italia Viva e Partito Democratico).

PRESIDENTE. Cogliamo l'occasione per salutare gli studenti e gli insegnanti dell'Istituto comprensivo “Leonardo da Vinci” di Castelfranco di Sotto, che sono anche accompagnati dal loro sindaco. Benvenuti bambini (Applausi).

Non essendovi altri iscritti a parlare, dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Intervento del Governo)

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo, Ministro Provenzano.

GIUSEPPE LUCIANO CALOGERO PROVENZANO, Ministro per il Sud e la coesione territoriale. Grazie, Presidente, e grazie ai deputati della maggioranza e anche dell'opposizione per la ricchezza di questo dibattito. È troppo importante l'occasione per non provare a dire alcune cose. La discussione di oggi mi conferma una convinzione che ho voluto testimoniare anche all'inizio del mio mandato, riprendendo nel Ministero per il Sud la dizione di “coesione territoriale”, proprio per la consapevolezza che accanto alla frattura storica tra nord e sud del nostro Paese, il cui superamento, comunque, rappresenta il primo vincolo da rimuovere per lo sviluppo nazionale. La complessità dei divari territoriali oggi si estende alla grande questione dell'Appennino, ad esempio, alla distanza tra i centri e le periferie, entro le quali, in un concetto un po' dilatato, noi possiamo includere le aree interne, le zone rurali e le zone montane. Sono questi concetti diversi, anche per la nostra normativa, ma sono accomunati, giustamente, nelle mozioni dall'idea del processo di marginalizzazione che hanno subito nel corso di questi anni; eppure sono luoghi depositari di un grande patrimonio, un patrimonio culturale e un patrimonio ambientale. Su quei monti c'è la radice della nostra Repubblica, fondata sulla Resistenza, quindi è importante riaccendere l'attenzione su queste realtà.

È stato detto nel corso della discussione - ed è esattamente lo spirito del Governo, già a cominciare dalla legge di bilancio - che occorre trasformare quella che è stata una sperimentazione sulle aree interne in una vera e propria politica che si integri con il complesso delle aree marginalizzate nel nostro Paese. La strategia delle aree interne, poi, ha alcune specificità che vanno preservate, a cominciare da un processo di perimetrazione delle aree partecipato, da un'integrazione nella scrittura della strategia, che sono elementi che hanno un grande valore perché hanno stimolato nei comuni, nelle realtà, dei processi associativi molto virtuosi, anche alcuni processi di fusione tra comuni, proprio in alcune aree pilota, che non hanno avuto alcun contraccolpo. Qui, ho visto un eccesso di critiche verso un processo che, invece, può essere virtuoso.

Va rafforzato, nella definizione delle aree interne, il criterio dello spopolamento, come è stato detto da alcuni di voi, che rappresenta l'elemento, forse, di maggiore preoccupazione oggi; allo stesso tempo, attraverso l'individuazione di meccanismi premiali, vanno stimolate le aree che hanno prima di altre e con più solerzia di altre attuato e messo in campo una strategia territoriale integrata di sviluppo.

Il tema decisivo è la governance: è stato detto ed emerge nella mozione. Vorrei rassicurare i deputati sul fatto che, in particolare per quanto riguarda le aree interne, uno dei primi obiettivi del Governo è teso al rafforzamento del comitato tecnico per le aree interne, che deve mantenere sia la sua natura interministeriale, perché questa politica funziona se il complesso del Governo e i diversi Ministeri che in qualche modo afferiscono alla garanzia e alla tutela dei servizi dei cittadini che vi vivono sono pienamente coinvolti, sia anche una natura interistituzionale, perché accanto al livello di Governo, ci deve essere un profondo coinvolgimento sia delle regioni, che nella strategia hanno un ruolo importante, sia soprattutto dei comuni che vanno richiamati all'esercizio di una grande responsabilità.

Noi dobbiamo, però, semplificare alcuni passaggi e questo è stato uno dei temi che ha determinato il ritardo nella piena attuazione delle 72 aree pilota ed entro il 2020 l'obiettivo che ci proponiamo è quello di coprirle tutte; dall'altro lato occorre individuare dei meccanismi di affiancamento amministrativo agli enti locali per mettere in campo questa strategia. L'Agenzia della coesione territoriale, da questo punto di vista, va riformata - ed è quello che stiamo provando a fare anche attraverso la nomina del nuovo direttore - per mettersi, diciamo, in giro per i territori, come è stato detto da diversi deputati. Rossi-Doria usava una bella espressione, laddove diceva: “sporcarsi le scarpe”; noi abbiamo bisogno di un'amministrazione centrale che torni a sporcarsi le scarpe e ad accompagnare i comuni nel farlo.

Ci si è concentrati molto nelle mozioni anche sulle politiche aggiuntive, quindi sulle politiche di coesione, sia europee che nazionali. Su questo è molto interessante come la Commissione europea abbia riconosciuto l'importanza del percorso italiano attraverso la richiesta, informale fin qui, di una riserva per le aree interne all'interno dei programmi operativi dei fondi strutturali; difficilmente si potrà, anche per l'esigenza di ridurre i programmi operativi nazionali, immaginare un PON interamente dedicato alle aree interne, alle zone montane, ma sicuramente noi dobbiamo rafforzare, per esempio, alcuni strumenti che hanno trascurato fin qui queste aree marginalizzate, come il Fondo sviluppo e coesione, che è la leva nazionale delle politiche di coesione e che dobbiamo indirizzare, come è stato proposto, a politiche specifiche di intervento. Però l'invito che vi faccio è a concentrarci anche sulle politiche ordinarie, non solo sulle politiche aggiuntive; per questo è importante l'attuazione della legge sui piccoli comuni, per questo è importantissimo che nel processo di riforma delle autonomie sia garantita la previsione di quella perequazione infrastrutturale che guardi anche all'interno delle regioni e non solo all'esterno.

La legge di bilancio ha già fatto un passo importante nel tentativo di passare dalla sperimentazione a una vera e propria politica, raddoppiando sostanzialmente le risorse in modo da poter estendere la strategia, pur salvaguardandone i criteri di fondo che presiedono alla sua definizione; ed è altrettanto importante la previsione di questo fondo per le iniziative imprenditoriali; insieme ai diversi auspici che sono previsti nelle mozioni. Questo è un aspetto cruciale perché la scelta di rimanere e di costruire un futuro nei luoghi dipende anche dalla opportunità di occasioni di lavoro in quelle realtà, che sono garantite, molto spesso, da presidi economici che svolgono anche una funzione sociale oltre che una funzione economica.

Devo dire, infine, che noi dobbiamo concentrarci sul processo più ampio che, insieme alla Commissione europea, come Governo vogliamo sperimentare, cioè il Green Deal, che per fortuna, anche nelle decisioni della Commissione degli ultimi giorni, si connota per una dimensione territoriale che è assolutamente decisiva. Ciò significa tutelare la biodiversità, significa la prevenzione del dissesto, la messa in sicurezza del territorio, significa anche favorire attività economiche, un'agroalimentare di qualità; soprattutto, significa un nuovo processo di infrastrutturazione di quelle aree, materiale e sociale, perché noi abbiamo bisogno di spezzare l'isolamento di quei territori sul piano delle infrastrutture materiali, ma soprattutto sul piano delle infrastrutture sociali perché la scelta di restare in un luogo è dovuta anche ai tempi di attesa del pronto soccorso, come è stato ricordato, alla salvaguardia o meno dei punti nascita, al trasporto pubblico locale. Soprattutto, abbiamo l'esigenza, che è già stata affrontata nel comitato per la banda ultralarga di accelerare il completamento e l'attivazione del servizio nelle aree cosiddette bianche, che incrociano quasi interamente le aree di cui stiamo parlando oggi. Si sono accumulati troppi ritardi; noi abbiamo cercato di accelerare, ma questo è un elemento cruciale.

Concludo, dicendo che è vero ciò che diceva l'onorevole Mura; bisogna guardare l'Italia dalle aree del margine, perché ci si accorge, molto spesso, come in quelle realtà, accanto alle difficoltà che noi dobbiamo cercare di affrontare e ai divari che dobbiamo riuscire a colmare, esistono forme di sperimentazione, anche democratiche, importantissime; esiste un patrimonio di cittadinanza attiva, di esperienze sociali, di vita di comunità, di cui l'Italia ha bisogno e di cui hanno bisogno anche le aree in cui si concentra molto spesso lo sviluppo, che quando diventa troppo squilibrato, produce dei contraccolpi in termini di sovrappopolamento, di rendite immobiliari, di inquinamento dei luoghi e così via.

Queste aree di cui parliamo oggi, spesso, nella letteratura più recente, vengono definite i luoghi che non contano; dobbiamo ricordarci che abbiamo tutti il dovere di guardare ai cittadini che vivono lì, perché tutti i cittadini, in ogni luogo, nel nostro Paese, hanno il diritto di contare (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico e MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.

Sospendo ora la seduta, che riprenderà alle ore 16,45.

La seduta, sospesa alle 16,30, è ripresa alle 16,45.

Discussione della proposta di legge: Costa ed altri: Modifiche alla legge 9 gennaio 2019, n. 3, in materia di prescrizione del reato (A.C. 2059-A).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge n. 2059-A: Modifiche alla legge 9 gennaio 2019, n. 3, in materia di prescrizione del reato.

La ripartizione dei tempi è pubblicata in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (Vedi calendario).

(Discussione sulle linee generali – A.C. 2059-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Avverto che il presidente del gruppo parlamentare MoVimento 5 Stelle ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.

Ha facoltà di intervenire la relatrice, presidente della Commissione giustizia, deputata Francesca Businarolo.

FRANCESCA BUSINAROLO, Relatrice. Grazie, Presidente. L'Assemblea è convocata oggi per esaminare la proposta di legge del collega Costa, che punta a modificare la legge del 9 gennaio 2019, n. 3, sul tema della materia della prescrizione del reato. La proposta di legge era stata incardinata in Commissione Giustizia il 24 ottobre, su iniziativa appunto del collega Costa, in quota a Forza Italia. La proposta è costituita da un unico articolo, di cui il comma primo punta ad abrogare l'articolo 1, comma 1, lettera d), e), f), della legge, prima citata, del 9 gennaio 2019, e il comma 2, volto ad abrogare l'entrata in vigore di questa riforma della prescrizione, che era fissata - quindi è un termine che è già spirato - al 1° gennaio 2020. Ricordo che la riforma della prescrizione ha interessato gli articoli 158, 159 e 160 del codice penale, ma non ha modificato l'assetto complessivo della disciplina dell'istituto, che rimane quello introdotto nel 2005 dalla legge ex Cirielli.

Come detto, l'iter della proposta è iniziato il 24 ottobre dell'anno scorso, prima dell'entrata in vigore della legge n. 3 del 2019, e si è concluso il 15 gennaio. È stata fatta una accurata istruttoria, sono state fatte delle audizioni a cui hanno partecipato esponenti della categoria forense, magistrati, docenti universitari, e si è arrivati alla seduta del 15 gennaio, quindi un iter molto veloce, in cui la Commissione ha esaminato sei proposte emendative, approvando in quell'occasione un emendamento soppressivo dell'unico articolo della proposta di legge e, quindi, ha determinato il conferimento alla sottoscritta - in luogo del precedente relatore, che era il collega Costa - a riferire in senso contrario a questa Assemblea.

Come è evidente, la questione è molto delicata. È evidente perché sono stati scritti fiumi di parole, sono stati fatti molti dibattiti ed è un tema delicato sotto molti aspetti. Primo fra tutti è la durata, perché la prescrizione incide proprio su un profilo tecnico, che è quello della vita, della durata dei processi e della capacità dello Stato di gestire l'amministrazione della giustizia. Tra l'altro, il tema è oggetto di un approfondito dibattito politico, sia con le forze di minoranza, sia all'interno della maggioranza di Governo.

Ma perché si era modificata in questa maniera la prescrizione? Perché abbiamo inteso modificare gli articoli 158, 159 e 160 del codice penale? Quello è stato un intervento fatto nell'ambito di una profonda riforma; infatti, si iniziava partendo da un fine alto che era quello del contrasto alla corruzione, recependo indicazioni importanti a livello internazionale da parte del GRECO e anche a livello europeo, che per un lungo tempo erano state disattese. Quella riforma, chiamata per lungo tempo “Spazzacorrotti”, poi ribattezzata “Bribe destroyer”, che nel mondo anglosassone vuol dire distruttrice di mazzette, ha collocato l'Italia nell'ambito di Paesi con una legislazione avanzata, tanto che proprio la settimana scorsa Transparency International ha aggiornato il suo indice di corruzione percepita e l'Italia, pian pianino, sta risalendo la graduatoria, arrivando non nei primi posti, ma, insomma, si sta facendo un grandissimo lavoro e le misure sulla prescrizione erano inserite in quella riforma che ha visto anche un'introduzione di più trasparenza all'interno per i partiti.

La riforma non mirava certo a ostacolare l'andamento o le garanzie che sono alla base del processo; infatti, sono parte integrante proprio di questa riforma. La prescrizione detta un regime di tempistiche entro le quali lo Stato deve accertare le responsabilità e le circostanze delittuose. Il punto è come si vuole arrivare e lo Stato deve arrivare a una sentenza chiara. Questa è la ratio elementare, alla base, di buon senso, di equità della norma sulla prescrizione, che si limita ad equiparare la legislazione italiana a quella europea, perché negli altri Stati la prescrizione non è così preponderante. E in fin dei conti non abbiamo voluto nemmeno strafare, perché la riforma complessiva è pur sempre minimale, in quanto si limita a bloccare il decorso della prescrizione solo dopo la sentenza di primo grado, lasciando invariata l'elevata incidenza delle fasi precedenti.

Gli effetti si dispiegheranno solo fra tre o quattro anni. Eppure, come ha notato il procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato, non è un caso se il tema, apparentemente tecnico, della riforma della prescrizione è così ampiamente dibattuto. Infatti, abbiamo sentito per mesi che molti osservatori tendono a sottovalutare l'impatto e il significato anche culturale della prescrizione, che, invece, è un tema del processo, è un vulnus nella giustizia del nostro Paese. Come ha spiegato anche in Commissione l'ex presidente dell'Anac Raffaele Cantone, ogni anno si prescrivono migliaia di procedimenti penali, 120 mila nel 2018, secondo i dati che ci ha prodotto il Ministero: è un dato importante, sono tantissimi. Ma qual è il significato di questo dato? Il significato di questo dato è che vi sono migliaia di procedimenti dietro i quali ci sono imputati, parti offese, persone che hanno investito, personale che ha lavorato, che però, tuttavia, se la prescrizione fosse rimasta come in precedenza, avrebbero sostanzialmente utilizzato risorse, investito impegno e lavoro per nulla, per non trovare la verità.

Quando lo Stato, attraverso un giudice, emette una sentenza di primo grado, dopo che sono state fatte le indagini, dopo che sono stati spesi soldi da parte dell'ordinamento, da parte dei cittadini, da parte delle vittime, non è più pensabile che possa arrivare la prescrizione, non è più ammissibile che la prescrizione venga e interrompa. Abbiamo voluto fare questa riforma e ne faremo delle altre, è un investimento sulla giustizia; noi questa giustizia la vogliamo far funzionare davvero perché crediamo che il futuro di questo Paese passi attraverso lo spirito di legalità, trasparenza e onestà che deve diventare il senso comune. Eppure, la proposta di legge del collega Costa, costituita da un solo articolo, chiede di abrogare la riforma della disciplina della prescrizione del reato introdotta dalla legge anticorruzione secondo una valutazione generale di cui ho cercato di dare conto.

Però devo sottolineare un dato, la questione dei tempi, che pone un aspetto tecnico e importante sul quale chiedo una particolare attenzione da parte dell'Aula, perché è sufficiente questo dato per capire perché ho ricevuto mandato a riferire in maniera contraria da parte della Commissione. Infatti, se guardiamo bene, se leggiamo bene la proposta di legge Costa, al comma 2 dell'unico articolo presente prevede la mera abrogazione dell'entrata in vigore, l'entrata in vigore è spirata. E, quindi, l'eventuale abrogazione dell'attuale norma sulla prescrizione non comporterebbe affatto la reviviscenza della precedente normativa, che probabilmente era il legittimo intendimento del collega Costa, però non esplicitato. Nel momento in cui la riforma della prescrizione è entrata in vigore le norme vigenti alla data del 31 dicembre 2019 non possono rivivere se non con una disposizione espressa del legislatore. Su questo la Corte costituzionale è chiara, infatti lo ha sentenziato con una pronuncia, la n. 13 del 2012, specificando che la reviviscenza di norme abrogate non opera in via generale e automatica, ed è un'eccezione nel sistema delle fonti.

Anche il Presidente della Camera, in una circolare, ha specificato che, se si intende fare rivivere una disposizione abrogata o modificata, occorre specificare espressamente tale intento. In conclusione, avendo ricevuto mandato a riferire in senso contrario rispetto a questa proposta di legge, quindi chiedendo di respingere il testo in esame, propongo, come relatrice, questa proposta: se in Italia il processo penale è particolarmente lungo è perché veniamo da anni di abbandono dell'amministrazione della giustizia, che era garantita, è garantita dall'abnegazione e dallo spirito di lealtà e di servizio verso lo Stato da parte degli operatori, di chi lavora, ai quali dobbiamo essere sicuramente molto grati e ai quali dobbiamo dare, però, delle risposte. E, infatti, abbiamo cominciato a farlo già lo scorso anno nella manovra economica del 2019, abbiamo rilanciato con la manovra per l'anno in corso, che consentirà di aumentare l'organico di 600 magistrati, di assumere fino a 8 mila unità di personale amministrativo. Verranno investiti, quindi, nel settore della giustizia, per garantire la funzionalità dei tribunali, e quindi la giustizia stessa. Presidente, i cittadini ci chiedono una giustizia efficiente, una giustizia penale efficiente, che passa anche dalla riforma della prescrizione. Quindi, la legge n. 3 del 2019 non va abrogata e la proposta di legge Costa, ovviamente, respinta.

PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo non intende intervenire.

È iscritto a parlare il deputato Tondo. Ne ha facoltà.

RENZO TONDO (M-NI-USEI-C!-AC). Grazie, Presidente. Farò un intervento molto breve, mi rivolgo al sottosegretario, anche perché, non essendo un uomo di legge, non ho esperienze consolidate in campo giudiziario. Provo solo ad affidarmi a un minimo di buon senso, richiamando i diritti fondamentali garantiti dalla nostra Costituzione, quella Costituzione che il signor Roberto Benigni, Pinocchio di Castiglion Fiorentino, definisce la più bella del mondo; ne avesse letta qualcun'altra, mi accontento di avere letto quella e non sono in grado di dire se è la più bella del mondo, però mi accontenterei che venisse recuperata ed applicata. Registro, signor sottosegretario, che siamo di fronte alla cancellazione del principio che sta alla base del sistema penale liberale del nostro Paese, il principio nato con l'Illuminismo, con Beccaria, quello della presunzione di innocenza.

Oggi siamo di fronte e ci troviamo di fronte, come ci racconta il manifesto del diritto penale inviatoci dagli avvocati di questo nostro Paese, a un populismo penale che è andato al Governo, siamo di fronte al popolo che prevale rispetto al ragionamento, al popolo che grida, nessuna mediazione e la giustizia della piazza. Chi come me - vedo l'amico Simone Baldelli, con cui siamo stati ad Hammamet qualche giorno fa - ricorderà le monetine del Raphael e il linciaggio morale, al di là del fosse giusto o sbagliato ciò che è stato fatto, credo che questo sia il segno di un Paese che non può tornare a comportarsi in questa maniera. Da troppo tempo credo che la giustizia nel nostro Paese si nutra, grazie al giustizialismo che i 5 Stelle hanno seminato, purtroppo non solo loro, in un brodo di coltura di questo tipo; un brodo di cultura che ha partorito la “Severino”, lo “spazza corrotti”, che ha cancellato il concetto della non retroattività della legge. E oggi ci provate ancora, anzi, lo avete già fatto, con il tema della prescrizione.

A me non interessa - e chiudo, perché veramente voglio essere stringente - sapere e mettere in contraddizione le vicende del PD. Capisco che, per tenere in piedi un Governo, si devono fare tante cose. Credo, però, non sacrificare alcuni diritti fondamentali. Ma adesso è cambiato anche questo: le elezioni sono andate bene per voi del Partito Democratico; sono andate stramale per gli amici dei 5 Stelle. Avete una forza contrattuale che forse qualche mese fa non avevate: ebbene cercate di farla valere; cercate di farla valere su questo tema che è fondamentale perché so che in ambiti della sinistra prevale ancora per fortuna l'ideologia libertaria, liberale e garantista. Credo che sia il momento in cui possa venir fuori il meglio che c'è ancora da quella parte, anche se molti errori sono stati fatti e chiedo proprio al PD di fare questo passaggio. Oggi ci sono le condizioni per farlo. Non siamo più sotto scacco, non lo siete - almeno credo e spero - dei 5 Stelle: fate valere la vostra cultura liberale e democratica, se davvero ce l'avete. Diversamente dobbiamo prendere atto che il giustizialismo che ci accompagna da vent'anni continua ad essere alla base dell'attività politica anche nel Partito Democratico (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Bazoli. Ne ha facoltà.

ALFREDO BAZOLI (PD). Grazie, Presidente. Noi, come abbiamo già motivato in Commissione quando abbiamo deciso di votare l'emendamento soppressivo della legge Costa, che pure ripristinerebbe o, almeno nelle intenzioni ripristinerebbe, la riforma del nostro Governo, del nostro Ministro Orlando sulla prescrizione, abbiamo motivato la nostra scelta con la ragione che è in corso una discussione all'interno della maggioranza che ha già prodotto qualche risultato e che noi riteniamo inopportuno interrompere attraverso uno strappo, come è nei desiderata dell'opposizione, che fa il suo mestiere. Ma noi siamo la maggioranza e credo che dobbiamo cercare, per quanto possibile, di stare all'interno di un percorso di maggioranza. Questa discussione generale mi offre quantomeno l'occasione per provare a delineare con chiarezza qual è il percorso e la posizione che ha assunto il Partito Democratico su questa vicenda che ci sta occupando da molto, forse troppo tempo e penso che sarebbe stato saggio, da parte della maggioranza e di chi oggi ha le responsabilità più alte su questo tema, sminare questo percorso prima che producesse queste difficoltà e tossine all'interno della maggioranza. Noi, come è noto, abbiamo fatto una battaglia contro l'introduzione della riforma della prescrizione voluta non a caso dal precedente Governo, votata dal precedente Governo, votata anche dalla Lega dell'ex Vicepremier Salvini che oggi curiosamente e un po' ipocritamente, mi sia consentito dire, fa una battaglia per abrogare la norma che loro stessi hanno votato. Il Partito Democratico, invece, ha fatto una battaglia contro, per ragioni sulle quali non ha cambiato opinione: il Partito Democratico non ha cambiato parere. Il Partito Democratico ha detto allora, e ritiene anche oggi, che quella sia una riforma quantomeno inutile perché noi eravamo persuasi che la riforma che era stata partorita dal precedente Governo, cosiddetta Orlando, fosse una riforma che, una volta che avesse dispiegato i suoi effetti, avrebbe consentito di ridurre enormemente il problema che anche la riforma Bonafede punta a risolvere, e cioè quello delle eccessive declaratorie di prescrizione che intervengono a giudizio in corso e, in particolare, nelle fasi di appello, quando cioè la giustizia ha fatto già il suo corso, c'è già stata una sentenza di primo grado e appare ingiustificato, secondo il senso comune, appare quasi una lesione di principi di giustizia che venga vanificato tutto il lavoro che è stato fatto dalla giustizia precedentemente. Quindi, la declaratoria di prescrizione, in particolare in appello, è una sconfitta dello Stato.

E allora la riforma Orlando prevedeva alcune modifiche che noi ritenevamo utili e idonee a risolvere la situazione; la riforma Bonafede è intervenuta modificando e immaginando che basti l'interruzione della prescrizione dopo il primo grado per garantire i risultati che si prefiggono. Non c'è dubbio che questa riforma li garantirebbe, ma a un prezzo e il prezzo è quello che noi abbiamo denunciato allora e sul quale non abbiamo cambiato idea neanche oggi, cioè il rischio di scaricare le inefficienze del sistema sugli imputati; un rischio che non possiamo permetterci e che non possiamo permetterci in un sistema come quello italiano nel quale già oggi i processi sono eccessivamente lunghi, perché abbiamo una lunghezza patologica dei processi. Allora, qual era la nostra idea, non solo la nostra ma l'idea anche della stragrande maggioranza degli operatori della giustizia, dagli avvocati a una larga parte dell'accademia, a una fetta non irrilevante della magistratura? La nostra idea era che sarebbe stato meglio rinviare l'entrata in vigore della legge Bonafede in attesa dell'approvazione di una riforma complessiva del processo penale che ne riducesse i tempi. E perché noi ritenevamo che fosse opportuno rinviarne l'entrata in vigore? E perché non solo noi ma anche gli avvocati, anche i magistrati, anche l'accademia? Perché sapevamo e sappiamo che questa riforma in sé non è una riforma sbagliata, perché l'interruzione della prescrizione quando si avvia un giudizio o dopo il primo grado di giudizio è una regola invalsa nella stragrande maggioranza degli ordinamenti giuridici. L'interruzione della prescrizione non è in sé una cosa sbagliata quando si avvia un processo, tant'è vero che negli altri ordinamenti giuridici è largamente diffuso tale funzionamento della giustizia; si interrompe la prescrizione una volta che sia iniziato il processo, cioè una volta che lo Stato abbia avviato l'esercizio dell'azione penale. La prescrizione si interrompe, quindi non è una cosa sbagliata in sé, ma lo è in un sistema come il nostro che soffre di una lunghezza patologica dei processi: è questo il vero punto che rende quella riforma, allo Stato, una riforma che rischia di creare meccanismi che scaricano sugli imputati la eccessiva durata dei processi, e come noi di questo erano e sono convinti anche gli attori della giurisdizione (gli avvocati, i magistrati, l'accademia). Non a caso, anch'essi hanno chiesto non in particolare di rimuovere quella riforma ma, in primo luogo, di rinviarne l'entrata in vigore, perché anche loro sanno che se ci fosse un processo che dura poco quella riforma sarebbe compatibile con l'ordinamento costituzionale italiano; sarebbe compatibile, se ci fosse un processo che dura poco. Altrimenti, non si capisce perché la richiesta sarebbe stata di rinviarne l'entrata in vigore, cosa che, ripeto, tutti hanno chiesto, dal CNF in giù, perché tutti sanno che se il processo dura poco, quello non è più un problema. Ciò deve essere chiaro. Allora, cosa abbiamo fatto noi? Abbiamo chiesto anche noi di rinviarne l'entrata in vigore, perché sarebbe stata la cosa più saggia; sarebbe stata la cosa più saggia rinviarne l'entrata in vigore in attesa dell'approvazione di una riforma complessiva del processo che è in itinere e che potrebbe produrre anche risultati molto positivi sul piano della durata dei processi. Questo abbiamo chiesto, ma non avendo ottenuto questa possibilità, perché c'è stata una rigidità da parte di un partner della coalizione, abbiamo cercato di fare dei passi in avanti e stiamo cercando di fare dei passi in avanti. Qualcosa è stato ottenuto; qualcosa è stato ottenuto grazie anche alla mediazione del Presidente del Consiglio Conte, perché voi sapete che grazie a questa mediazione oggi è sul tappeto, in campo, un'ipotesi di distinzione tra le sentenze di condanna e le sentenze di assoluzione. Questa è un'ipotesi di distinzione che, dal nostro punto di vista, fa fare un passo in avanti alla discussione. Qualcuno ritiene che questa ipotesi sia un'ipotesi incostituzionale. Ora, io non ho la patente per giudicare se sia costituzionale o se sia incostituzionale, se sia conforme ai principi o se non lo sia. Dico solo che c'è qualcuno che la pensa diversamente; c'è qualcuno che pensa che non sia incostituzionale. Ora, io non citerò tra questi i giudici, perché nella discussione e nell'incandescenza della discussione che si è creata sul punto, se uno cita i giudici è automaticamente catalogato tra i giustizialisti, perché i giudici oggi, nel sacro fuoco della contrapposizione che si è creata sul punto, sono considerati giustizialisti. Non è possibile considerare un giudice ragionevole o razionale: no! Ormai, chi cita un giudice è considerato un giustizialista. Quindi, se io citassi un giudice per me molto bravo ed equilibrato, come Raffaele Cantone, che ha detto che la distinzione tra condanna e assoluzione in primo grado con l'interruzione della prescrizione è una cosa positiva, utile e necessaria, se io citasse Cantone sarei tacciato di essere un giustizialista. Se io citassi Giovanni Salvi, procuratore generale presso la Cassazione, che io considero un giudice equilibrato, saggio, ragionevole, che ha a cuore la giustizia, che dice, allo stesso modo, che la distinzione tra condanna e assoluzione è necessaria e utile, allora sarei tacciato di essere un giustizialista. Dunque, lasciamo stare i giudici, lasciamo stare Catello Maresca, lasciamo stare Armando Spataro: per carità! Non sia mai che si citano i giudici a sostegno delle proprie tesi, dentro questo fuoco di contrapposizione che ormai anima il dibattito politico: no! Allora, citerò qualcun altro, che dice che non solo non è incostituzionale questa distinzione, ma che forse è vero il contrario, cioè che forse è vero il contrario, che sarebbe incostituzionale non fare la distinzione. Chi lo dice? Cito: il Presidente emerito della Corte costituzionale Cesare Mirabelli, il quale dice, criticando la “riforma Bonafede”, “che se la sentenza di primo grado fosse di assoluzione sarebbe ancora più difficile comprendere la ragionevolezza del fermare l'orologio del tempo per consentire una nuova pronuncia anche a distanza di molti anni”. Quindi, se fosse l'assoluzione sarebbe ancora più irragionevole, il che significa, a contrario, che se c'è la distinzione è meno irragionevole da un punto di vista costituzionale. Cito ancora il presidente del CNF, Mascherin, in audizione alla Camera. Cosa ha detto? Ha detto che nessuno dev'essere sottoposto a un procedimento penale a tempo indeterminato ed è assurdo pensare che ciò possa pesare a maggior ragione su chi sia stato assolto in primo grado e impugnato dal pubblico ministero. Quindi, è assurdo, ancora, a maggior ragione, che questa interruzione valga per chi è stato assolto, il che significa, a contrario, che questa distinzione rende meno irragionevole quell'intervento. Vado avanti e cito: l'Unione delle camere penali (giunta delle Camere penali) che, nel criticare la “riforma Bonafede”, dice: “Tale trattamento non sarebbe risparmiato neppure alla persona nei confronti della quale sia intervenuta sentenza di assoluzione, poiché nel caso di appello della pubblica accusa egli potrà essere condannato in secondo grado senza che sia previsto alcun limite temporale entro il quale la pronuncia possa intervenire. In buona sostanza, così l'ordinamento scommette sulla colpevolezza dell'imputato confidando nel ribaltamento del giudizio in appello, in patente violazione del principio di non colpevolezza sancito dall'articolo 27 della Costituzione”. Cioè, i penalisti, l'Unione delle camere penali, considerano quell'accostamento, condanna-assoluzione, impossibile violazione dell'articolo 27 della Costituzione, cioè l'esatto opposto di chi oggi sostiene che è irragionevole da un punto di vista costituzionale separare i destini di assolto e condannato (lo dice l'Unione delle camere penali). Ma cito ancora, e cito non un professore universitario fautore e seguace della “Santa Inquisizione”, non un avvocato seguace di Torquemada, ma una persona che - penso - tutti quanti qui dentro stimiamo, almeno quelli che conoscono la giustizia e conoscono le persone che si occupano di giustizia, cioè il professor Giorgio Spangher.

Cosa ha detto il professor Spangher? Ha detto: “Non può non segnalarsi la discutibilissima equiparazione della condizione del condannato con quella del prosciolto, al punto - dice Spangher - da prospettare una non del tutto infondata questione di legittimità costituzionale sotto il profilo della violazione dell'articolo 3 della Convenzione”. Questo è ciò che dice Giorgio Spangher. Quindi, cari amici, è l'esatto contrario, almeno secondo queste - mi sia consentito - autorevoli opinioni (almeno questo mi sia consentito: autorevoli opinioni). È l'esatto contrario di quello che taluno sostiene.

La distinzione tra condannati e assolti in primo grado è necessaria per evitare profili di incostituzionalità della “riforma Bonafede” e questo è l'oggetto della mediazione che ha proposto il Presidente del Consiglio Conte. È risolutiva? È per noi sufficiente? Io dico di no. Io dico che non è sufficiente ma dico che è un passo avanti, dico che è un passo avanti che è stato fatto grazie alla mediazione del Presidente del Consiglio. È un passo avanti e non arriverò a dire ciò che dice Giorgio Spangher, che cito ancora, perché è una persona della quale è impossibile dubitare rispetto alla sue caratteristiche di rigore anche nella valutazione delle scelte. Dunque, Giorgio Spangher ha scritto: Una proposta di mediazione, una modesta proposta compromissoria potrebbe affermare che la prescrizione si sospende con la sentenza di condanna di primo e di secondo grado.

Esattamente la mediazione proposta dal Presidente del Consiglio Conte.

Questo è ciò che dice Giorgio Spangher e io dico di no. Io dico che per me, nonostante l'opinione autorevole di Spangher, non è sufficiente. Per noi, per il Partito Democratico, non è sufficiente, ma è un passo avanti. Altro che passo indietro! È un passo avanti e non riconoscerlo è un grande errore dal mio punto di vista e dal nostro punto di vista, un grande errore perché è un grande passo avanti che deve essere però completato, ed è qui il punto politico. Deve essere completato, perché noi riteniamo che se questa mediazione risolve una parte del problema non lo risolve tutto, non risolve tutto il problema perché rimane, comunque, un rischio che riguarda i processi di durata eccessiva, che non sarebbero più, diciamo, intercettati e coperti dalla prescrizione per chi è stato condannato in primo grado. Questo è il punto su cui la maggioranza deve fare ancora uno sforzo e lo sforzo va fatto, secondo me, secondo il Partito Democratico, dentro la riforma del processo penale che la maggioranza sta cercando di condividere secondo un'ipotesi e uno schema che è stato presentato dal Ministro della Giustizia e che noi riteniamo molto positivo, perché dentro a quella riforma della giustizia proposta dal Ministro Bonafede ci sono delle soluzioni che possono far compiere un enorme passo avanti al nostro sistema giurisdizionale e ai tempi dei processi, ai tempi dei processi che sono una delle condizioni per evitare che la prescrizione diventi una condanna eterna.

È lì che si annida il punto: i tempi dei processi. Se si fa un passo avanti lì si fa un passo avanti decisivo. Ma occorre ancora lavorare su questo punto e questo, appunto, è l'invito che il Partito Democratico fa alla maggioranza, al Ministro e alle forze di maggioranza: lavoriamo insieme per cercare di individuare i meccanismi di natura processuale che comunque garantiscano che oltre una ragionevole durata del processo ci sia qualche conseguenza che garantisca che quei tempi vengono rispettati, perché noi abbiamo il dubbio - e lo dico con grande chiarezza - che il meccanismo fino a oggi immaginato, cioè quello di una responsabilizzazione dei magistrati, non sia sufficiente. È giusto, può essere un passaggio utile, ma abbiamo la sensazione e il timore che non sia sufficiente. Allora, lavoriamo insieme per cercare una soluzione lì dentro, dentro alla riforma del processo, e non facciamoci strumentalizzare dall'opposizione, non facciamoci tirare dentro, non facciamoci rompere come maggioranza. Abbiamo gli strumenti e la possibilità di arrivare a un risultato positivo, cercando possibilmente di uscire dal fuoco delle polemiche incrociate, perché il tema della giustizia è diventato un tema incandescente nel dibattito politico. Purtroppo accade sempre: sappiamo che la giustizia è un terreno sul quale lo scontro politico trova il terreno più fertile per cercare di raccogliere consensi in modo facile e senza costi, lo sappiamo benissimo, ma noi dobbiamo fare lo sforzo di uscire da questa contrapposizione e possibilmente di trovare le soluzioni che consentono di tornare ad avere una convergenza anche tra i protagonisti della giurisdizione, perché oggi questa contrapposizione che si è creata, con queste voci sempre più forti che si levano anche dall'avvocatura e dalla magistratura in modo contrapposto, fa un danno alla giustizia nel nostro Paese; non aiuta la giustizia nel nostro Paese e non aiuta neanche noi che dobbiamo fare le riforme utili, perché queste riforme si possono fare solo con il consenso degli attori della giurisdizione. E allora facciamo questo sforzo insieme, senza farci tirare per la giacchetta dalle opposizioni, che fanno il loro mestiere, per carità, ma che noi dobbiamo cercare di bypassare, per cercare di trovare soluzioni nell'interesse della giustizia e nell'interesse del nostro Paese. E chiudo, Presidente, dicendo che noi, il Partito Democratico, continueremo a lavorare con abnegazione in questa direzione, perché noi riteniamo che sia possibile raggiungere delle soluzioni e non ci faremo dare patenti di garantismo da chi ha votato quella norma, da chi scambia la delazione, la giustizia via citofono, il linciaggio per giustizia, da chi scambia la vendetta privata o la giustizia fai da te, con il plauso compiacente e servile degli alleati, per giustizia, non ci facciamo dare patenti di garantismo da costoro (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico Commenti di deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente). Non ci facciamo dare patenti di garantismo da chi pensa che i detenuti debbano marcire in galera, non ci facciamo dare lezioni di garantismo da chi pensa debba essere superata la legislazione che consente il recupero dei condannati in barba all'articolo 27 della Costituzione: no, cari amici, non ci facciamo dare patenti di garantismo da voi, che avete questa idea distorta della giustizia. Noi continuiamo a lavorare per trovare delle soluzioni che tengano unita la giurisdizione e che mettano al riparo la giustizia da polemiche che non aiutano a fare passi in avanti nell'interesse dei cittadini, grazie (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. La ringrazio onorevole Bazoli.

È iscritta a parlare l'onorevole Lucaselli. Ne ha facoltà.

YLENJA LUCASELLI (FDI). Grazie Presidente, io avevo preparato un intervento e probabilmente poi arriveremo all'oggetto di questo intervento, però quello che hanno detto i colleghi che mi hanno preceduto, quindi la collega dei 5 Stelle e il collega del PD mi ha suscitato alcune riflessioni; la prima è che diciamo ho accolto con un po' di tenerezza l'imbarazzo con il quale la collega relatrice leggeva la relazione sui temi che oggi ci occupano, che sono temi che non hanno a che fare soltanto con la prescrizione e con la giustizia; sono temi di civiltà, perché uno Stato, che non è in grado di garantire la certezza del diritto, non è uno Stato nel quale si possa dire di vivere degnamente. E vede collega - e lo dico a lei, Presidente, lo riferirà alla collega - quando lei parla, quando ha parlato dell'Europa, di quello che succede in giro per il mondo, mi viene da dire che probabilmente lei i tribunali in giro per il mondo, le giurisdizioni che esistono in giro per il mondo non le ha lette, perché fra quelle e quella italiana c'è una differenza sostanziale: la prescrizione viene utilizzata nel minor numero di casi, anche se esiste, perché gli altri sistemi funzionano. E allora non si può paragonare quello che accade in Italia con quello che accade in sistemi dove i processi durano un anno, non si può paragonare un sistema giudiziario come il nostro, dove di media un imputato è sotto processo per 1.444 giorni, quattro anni, e in cui il 55 per cento dei processi di condanna in primo grado diventano assoluzioni in secondo grado, in grado di appello.

Ecco, allora non c'è paragone, non si può fare un paragone. Partiamo da quello che abbiamo e quello che abbiamo è un sistema che parla, all'articolo 111 della Costituzione, di giusto processo. E allora, vedete, per me quella dizione, quella locuzione, “giusto processo”, ha un significato endemico, che non possiamo dimenticare, che non ha a che fare soltanto con gli emendamenti che furono aggiunti alla Costituzione. Il senso del giusto processo vuol dire garantire a ogni indagato, a ogni imputato, a ogni cittadino libero che viene accusato di aver commesso un reato, di avere un processo giusto, e giusto vuol dire anche breve. Perché vedete, mettere sotto processo qualcuno è un'onta. Nella storia italiana ci sono stati casi clamorosi, ne ricordo alcuni: c'è stato il caso Tortora, il caso Luttazzi, Silvio Scaglia, di cui nessuno forse ricorda, ma che diciamo ha vissuto una vicenda giudiziaria terribile, terribile. E, allora, vedete, quando si ricordano questi episodi noi ci ricordiamo che il nostro sistema non funziona. E, allora, non c'è bisogno di arrivare a parlare di prescrizione: noi dobbiamo parlare del nostro sistema giudiziario che non funziona e che va rimesso in ordine e se non abbiamo il coraggio di fare quello poi possiamo arrovellarci, aggrovigliarci, arrotolarci in tutto quello che vuol dire spostare il termine della prescrizione, ma il problema non verrà risolto e anzi lo aggraviamo. Perché vedete, noi abbiamo tribunali che non hanno la capacità di adempiere ai loro doveri in maniera compiuta, perché mancano una serie di cose: mancano gli ufficiali giudiziari, mancano le persone che lavorano, mancano anche i magistrati, che sono sotto organico. E, allora, in un Paese in cui ci lamentiamo che le sentenze arrivano troppo tardi e che vengono depositate troppo tardi, noi cosa facciamo? Diamo il destro alla magistratura per continuare a fregarsene di fare le sentenze, perché tanto non c'è più la prescrizione, per cui si può rimanere sotto processo sine die: questa non è giustizia sociale. Non è una questione di giurisdizione, è una questione relativa a quello che viviamo. E bisogna vivere nei tribunali, bisogna aver subìto probabilmente un processo o bisogna aver seguito qualcuno che lo ha subito, per capire quello di cui stiamo parlando. E vedete, che la maggioranza sia unita o che possa essere unita su questo punto mi pare - e lo dico, per suo tramite, al collega del PD che mi ha preceduto - quantomeno una bella battuta, perché io ricordo che il Partito Democratico, a fine dicembre, ha presentato una sua proposta sul tema e lo ha fatto proprio nella convinzione che quello scritto, quello che è stato scritto da Bonafede sia l'aberrazione del diritto, in questo Stato. E, allora, vedete la posizione di Italia Viva, la posizione del PD: diciamo, al di là della questione oratoria, al di là delle citazioni dei grandi maestri del diritto, parliamo delle cose concrete, parliamo di quello che ci occupa e quello che ci occupa è il diritto, il diritto ad avere un processo breve, il diritto a sapere con certezza e velocemente, con celerità, se si è colpevoli o se si è innocenti, il diritto a non dover essere sottoposti alla gogna giurisdizionale senza tempo. Perché vedete, non è che esistono soltanto colpevoli colpevoli: esistono anche persone messe sotto processo che sono assolutamente innocenti, e noi di quelli ci dobbiamo preoccupare, noi a quelli dobbiamo guardare quando parliamo di temi come questi.

E, allora, vedete, l'imbarazzo della relatrice era mi sembra abbastanza evidente e credo che, diciamo volendo citare tutti i vari principi, quindi anche il rispetto dell'articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, beh, dovremmo forse riflettere sul fatto che lì dove si parla di certezza del diritto, in realtà noi stiamo creando incertezza, noi stiamo creando uno Stato che non è più uno Stato di diritto: diventa, in questo modo, uno Stato di polizia. E allora vedete, è un tema sociale, è un tema etico, è un tema valoriale e quando mi si dice che non ci sono divisioni, beh, insomma, le divisioni ci sono, le divisioni sono evidenti, sono talmente tanto evidenti che, quando si affronta il merito del tema, sul punto fondamentale non si è d'accordo. E allora vedete, quello che diceva prima il collega del PD, insomma un discorso molto, molto bello, mi verrebbe da dire: però, se non siete d'accordo e siete voi la maggioranza, e un punto d'incontro evidentemente non c'è, e capite che questo è un tema fondamentale per lo Stato di diritto in Italia, ebbene allora fateci discutere il provvedimento Costa; metteteci nella condizione e nella possibilità di spiegare che quella norma è una norma aberrante, che quel principio è un principio aberrante, perché inserisce nel nostro Stato un concetto, che è un concetto di per sé perverso, sbagliato e che non ha nulla a che fare con la Repubblica nella quale viviamo, cioè che si può essere messi sotto processo per sempre, senza una fine.

E, allora, vedete, siccome i procedimenti hanno a che fare con le persone, non sono soltanto articoli di codice, non sono soltanto norme, e poiché ci sono una serie di principi nel nostro ordinamento - in dubio pro reo, me ne viene uno su tutti - allora forse dovremmo fermarci un attimo a pensare e chiederci se questo nuovo principio di prescrizione senza fine, in un ordinamento dove già i procedimenti sono senza fine - perché il nostro sistema non funziona -, se l'introduzione di questo nuovo concetto non sia una mina o magari addirittura una bomba sui princìpi fondamentali dello Stato di diritto. Vede, Presidente, poiché poi i dati sono infiniti, io ho citato brevemente prima la durata del procedimento, ma dovremmo parlare anche dei procedimenti che si concludono effettivamente in prescrizione, che sono l'1 per cento, per cui non stiamo parlando di una mole di processi che incide sulla valutazione dei reati, né tantomeno si può parlare di tutela della corruzione, anticorruzione, “spazza corrotti”, che non c'entra niente, perché l'individuazione della fattispecie sostanziale non ha a che fare con la fattispecie procedurale. Esistono per i reati più gravi, già oggi, il computo dei termini della prescrizione per i reati più gravi porta alcuni reati ad essere imprescrittibili, non raccontiamoci storie senza aver letto il codice o senza averlo mai utilizzato.

E, allora, il punto non è tutelare o migliorare la corruzione, il punto è che si è voluto inserire un principio che smonta lo Stato di diritto nel nostro Paese. Montesquieu diceva che non c'è tirannia peggiore di quella esercitata all'ombra della legge e sotto il calore della giustizia. Cioè, quando noi poniamo in essere comportamenti terribili, alle volte lo facciamo ammantandoci della tutela della giustizia, lo facciamo per la giustizia, lo facciamo per il bene dei cittadini, lo facciamo per il bene del processo: beh, se questo è considerato un bene, allora questo non è lo Stato dove sono cresciuta. Se considerare un cittadino sotto processo per sempre, anche quando è innocente, passa come concetto principale e passa come capacità di attuare diritto e giustizia nel nostro Stato, beh, questo non è lo Stato dove voglio vivere, non è lo Stato dove siamo cresciuti. Lo Stato dove siamo cresciuti è uno Stato che garantisce, che dà la possibilità a tutti di dimostrare di essere innocenti, che non parte da un pre-condizionamento o da un pregiudizio sulla colpevolezza di chi viene messo sotto processo, perché ammette, con umiltà, che tutti possono sbagliare, anche lo Stato, anche i magistrati. E, allora, vedete, se noi non capiamo questo, probabilmente non abbiamo capito proprio il senso del termine giustizia.

Allora, il gruppo di Fratelli d'Italia ovviamente si appresta a discutere con estremo favore quello che è stato presentato dal collega Costa, perché noi riteniamo che il primo punto fondamentale sia risistemare e riorganizzare la giustizia, non il codice di procedura penale.

E per sistemare la giustizia, per riorganizzare la giustizia, bisogna ovviamente riprendere in mano il nostro sistema e dare la possibilità a tutti i cittadini di avere un processo giusto, veloce e secondo le garanzie del diritto. E fino a quando questo non verrà fatto, possiamo modificare le norme del codice di procedura penale in più modi, secondo diverse concezioni, ma il problema non verrà risolto. Questo è un problema tipicamente italiano: noi cerchiamo di risolvere il cavillo, ma non andiamo mai alla radice dei problemi. E se non si risolve un problema alla radice, resterà irrisolto, resterà irrisolvibile. Allora, iniziamo a guardare le cose per quello che sono: il problema non è se la maggioranza si spacca su questa questione, ma il problema è - lo dico ai colleghi del Partito Democratico, ai colleghi del partito di Italia Viva -: voi vi sentite, in coscienza, che questa sia una norma giusta? Voi pensate davvero, in coscienza, che questo risolva il problema della giustizia italiana? Ciò perché da quello che ci avete raccontato pare di no, e pare che questa cosa venga subita semplicemente perché potrebbe essere argomento di spaccatura all'interno della maggioranza. Ecco, quello è il tipo di politica che a noi non piace. A noi piacerebbe l'accettazione umile del fatto che su questo tema ci sono delle posizioni diverse, chiare e nette, e le vorremmo sentire. O meglio, le abbiamo sentite, solo che, da quello che poi viene detto, quasi mai si passa alla concretezza dell'azione politica e dell'azione di Governo. E, allora, vede Presidente, dicevo prima che Montesquieu parlava di tirannia; noi abbiamo il dovere morale di impedire che la tirannia del giustizialismo entri nel nostro Stato, perché uno Stato giustizialista non è uno Stato di diritto.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ferri. Ne ha facoltà.

COSIMO MARIA FERRI (IV). Grazie, Presidente. Volevo intanto inquadrare questa proposta di legge del collega Costa e dire - lo dico anche alla presidente della Commissione giustizia - che oggi con l'approvazione di questo testo non facciamo altro che tornare alla legge n. 103 del 2017. Allora, io mi sono un po' stupito anche ad ascoltare il collega Bazoli, perché la legge n. 103 del 2017 era una riforma complessiva, riguardava diversi punti, interveniva su diverse questioni del processo penale, e si era proceduto in un altro modo, proprio per far capire come non bastasse modificare l'istituto della prescrizione, cosa che la legge n. 103 del 2017 fa, perché era un tema su cui dovevamo intervenire. Volevamo modificare la legge “ex Cirielli”, volevamo allungare i tempi della prescrizione, e quindi nell'agenda politica del Governo, all'epoca, c'era appunto quello di intervenire e modificare l'istituto della prescrizione. Quindi, questa è una premessa che voglio sottolineare, non solo perché molti di noi abbiamo lavorato a quella riforma, che è stata approvata in quest'Aula anche dall'onorevole Bazoli, ma perché vogliamo spiegarne lo spirito che ci ha portato ad approvarla, la serietà, la coerenza e anche l'importanza, perché - e correggo, tramite lei, la presidente della Commissione giustizia - approvando questo testo proposto dal collega Costa - non mi stancherò di ripeterlo - non facciamo altro che tornare, anche sul tema della prescrizione, a questa riforma, che va vista nel suo complesso, per farne capire la serietà. E potrei citare molti passi e passaggi delle audizioni che in Commissione giustizia furono fatti all'epoca su questa riforma, che è stata fatta sentendo magistrati, avvocati, camere penali, mondo dell'accademia universitaria; abbiamo sentito tutti, ne abbiamo discusso, abbiamo cercato di dialogare anche con le opposizioni, ma non fu votata dal MoVimento 5 Stelle, non fu votata e, nemmeno oggi viene valorizzata in quei punti che si cercano di riprendere, non seguendone lo spirito, però, nella riforma che, oggi, ci vuole sottoporre il Ministro Bonafede.

E, allora, lo dico all'onorevole Bazoli, quella riforma non introduceva solo un nuovo regime sulla prescrizione, ma interveniva sul regime delle impugnazioni, interveniva sulla durata delle indagini preliminari e su tanti altri punti, sulla fissazione dell'udienza in camera di consiglio a seguito di archiviazione e su tanti altri punti che volevano velocizzare il processo penale, volevano rafforzarne le garanzie, penso al tema delle indagini preliminari, con la modifica degli articoli 407 e del 412 del codice di procedura penale, fissando un termine per il pubblico ministero alla notifica dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari di tre mesi, prorogabili in caso di complessità di indagini, su autorizzazione del procuratore generale presso la corte d'appello, a sei mesi, distinguendo un termine più ampio in materia di reati di stampo mafioso e, quindi, prevedendo una disciplina dettagliata, con cui non voglio oggi annoiarvi, ma che potete leggere andando a vedere la riforma, così come un regime sulle impugnazioni per le sentenze di non luogo a procedere diverso, per cercare di semplificare le impugnazioni, di creare dei doppi binari, di togliere quell'imbuto che abbiamo in corte d'appello e anche presso la Corte di cassazione, ma non diminuendo mai e andando a incidere sulle garanzie effettive delle parti, e le parti sono sia gli imputati che le persone offese.

Allora, pretendere, perché è una pretesa, con uno slogan, in modo demagogico, è quello che io non riesco a capire; tutti insieme, in questi banchi, eravamo insieme, nelle file del Partito Democratico, e abbiamo detto “no” alla legge Bonafede e potrei citare non solo quelli che sono stati auditi in Commissione, ma gli interventi dei colleghi, dal Ministro Orlando, all'onorevole Bazoli, a chi è intervenuto, in maniera efficace e determinata, dicendo “no” alla legge Bonafede che, come dice il Ministro Bonafede, non è una proposta di riforma, ma, purtroppo, è una legge, questa è la cosa grave, anche perché all'epoca fu promessa una legge, tra l'altro votata da Lega e 5 Stelle, e voglio sottolinearlo, da Lega e 5 Stelle, e, all'epoca, per calmare i giuristi, ma, più che i giuristi, il Paese, perché tutto il Paese ci guarda, si disse: no, ma arriverà una riforma più completa e, quindi, prima dell'entrata in vigore ci sarà questa riforma del processo penale. Così non è stato e, addirittura, anche quegli emendamenti che volevano legarne l'entrata in vigore all'entrata in vigore della riforma del processo penale furono respinti, e ora capisco il perché. Inoltre, come dicevo prima, poi non ho chiuso la parentesi, alla presidente della Commissione giustizia, per suo tramite, Presidente, questa riforma Orlando, la n. 103 del 2017, che noi oggi rivendichiamo e che difendiamo in tutti i punti, compreso quello in tema di prescrizione, che allunga, e lo ripeto, i tempi, perché anche noi vogliamo un giusto processo, un processo che si faccia e non vogliamo che finisca senza una risposta della giustizia, il processo, ma vogliamo che ci sia, rispettando le garanzie e in tempi certi, e proponiamo anche delle soluzioni. Allora, a proposito della commissione Greco, e qui vado a correggere, nella riunione del 7 dicembre 2018, fu ritirata una raccomandazione della commissione Greco all'esito del quarto ciclo, grazie alla riforma Orlando, alla n. 103 del 2017 che potrete vedere citata in questi atti della commissione Greco, grazie a quel processo di digitalizzazione avviato dal Governo Renzi e, poi, seguito anche dal Governo Gentiloni, e a tutto quello che ha investito il governo Renzi in tema di giustizia e poi il Governo Gentiloni per quanto riguarda le assunzioni dei cancellieri, dei magistrati.

Oggi, sì, si rivendica un aumento di organico di 600 magistrati, ben venga, ma non basta aumentare gli organici, bisogna fisicamente far arrivare i magistrati negli uffici giudiziari per far funzionare la macchina della giustizia. Ebbene, grazie a queste riforme, iniziate col Governo Renzi e poi seguite con il Governo Gentiloni, la Commissione Greco ha ritirato la raccomandazione all'esito del quarto ciclo e, lo voglio dire per onestà intellettuale, per quanto riguarda il terzo ciclo e solo in tema di incriminazioni, quindi, tutta un'altra questione, ha riconosciuto la positività di alcune riforme del Ministro Bonafede; non su questo tema, ma sul tema delle incriminazioni. Allora, quando si cita anche l'Europa, si segnalino tutti gli aspetti e si abbia quell'onestà intellettuale di dare atto del grande lavoro che è stato fatto in quei Governi. Oggi, non possiamo tornare indietro, non solo perché la coerenza ce lo impone, ma anche perché crediamo nelle riforme che sono state fatte e aumentando, questo sempre con la riforma Orlando, le pene dei reati di corruzione e dei reati contro la pubblica amministrazione, aumentando, con le norme del codice penale, il tempo a seguito dell'atto interruttivo, quindi, non di un quarto, ma della metà, per i reati contro la pubblica amministrazione e prevedendo quel meccanismo di sospensione di un anno e mezzo e un anno e mezzo tra il primo grado e il secondo grado e tra il secondo grado e il ricorso in Cassazione, abbiamo di fatto aumentato i tempi di prescrizione nei reati, per esempio, contro la pubblica amministrazione, di quasi quattro anni. In tutto, oggi, quindi, per far prescrivere un reato come quello della corruzione devono passare dai quindici, a seconda del reato, ai diciott'anni.

Allora, io penso che in un Paese civile e democratico come il nostro, se davvero si vuol credere nella giustizia, un processo che duri 15 o 18 anni abbia un tempo sufficiente per arrivare a dire se uno è colpevole o se deve essere assolto. Quindi, sono tempi ragionevoli, sono tempi lunghi, mi sembra; i processi dovrebbero essere fatti in tempi molto più corti, però, come tempo massimo penso che davvero quella riforma avesse raggiunto quell'equilibrio che, invece, con il processo senza fine penso che davvero non si possa raggiungere.

Questo, quindi, è un punto che deve essere sottolineato, perché sembra quasi, oggi, ascoltando alcuni interventi, che all'epoca o quando noi votammo contro la legge Bonafede non avessimo a cuore una giustizia che funzionasse, celere, rapida, il giusto processo e tutte le garanzie che conosciamo. Ci siamo sempre battuti per eliminare le garanzie dilatorie e rafforzare quelle effettive, ma non basta; oggi, la legge Bonafede sembra la grande riforma per risolvere i problemi della giustizia; per questo ho voluto richiamare alcuni passaggi, ma sono tantissimi, della legge Orlando, per far capire che non basta intervenire sulla prescrizione per far funzionare la giustizia penale, dobbiamo accompagnarla con tutta una serie di norme. Abbiamo cercato di farlo, con un'altra riforma sempre del Governo Renzi siamo intervenuti sulla depenalizzazione, abbiamo depenalizzato, dicendo: lasciamo la giustizia penale ai reati non bagatellari, ai reati seri, proprio per garantire la sicurezza e, quindi, abbiamo messo mano a una seria depenalizzazione, abbiamo introdotto istituti come quello della lieve entità, della giustizia riparatoria, abbiamo introdotto tutta una serie di norme per migliorare la risposta della macchina della giustizia, abbiamo modificato il falso in bilancio, abbiamo fatto una riforma sui reati ambientali. Allora, andiamo a vedere il lavoro che è stato fatto; oggi, invece, ci viene proposta, come grande riforma, come unica riforma per risolvere i gravi problemi che ha ancora la giustizia, questa della prescrizione.

Inoltre, voglio sottolineare un altro punto, perché noi abbiamo più parti processuali e, quindi, parliamo giustamente dell'imputato, dell'indagato e delle garanzie, ma dobbiamo parlare anche delle persone offese e non penso che le persone offese si sentano tutelate se un processo rimane sospeso per anni da un processo senza fine. Avranno lo stesso interesse, perché, a quel punto, non avendo certezza sulla durata dei procedimenti, è chiaro che la persona offesa è costretta ad adire, per il risarcimento del danno, la via civile, e quindi viene limitata anche nei diritti per quanto riguarda la costituzione di parte civile nel processo penale.

Ma vi è di più: sempre in quei dodici punti della riforma della giustizia dei Governi Renzi, che abbiamo annunciato e su cui abbiamo lavorato, c'era il tema della pena, della rieducazione della pena. Abbiamo fatto gli Stati generali delle carceri, abbiamo parlato mesi e con riforme serie, che ci son state distrutte e non portate avanti dal Governo gialloverde, di rieducazione della pena e di funzione della pena. E allora come si può parlare di questi temi? E andatevi a leggere tutto il materiale che abbiamo prodotto con gli Stati generali delle carceri: quando si sposta l'esecuzione della pena, un soggetto che commette un reato a 18 anni, se viene condannato e poi passa in giudicato ma con un processo sospeso e non si sa se deve essere condannato quando passerà in giudicato, quando inizierà la fase esecutiva della pena? E se gli facciamo iniziare la fase dell'esecuzione della pena dopo quindici anni, vent'anni, trent'anni, sarà una persona diversa, sarà difficile rieducarlo. E quindi vuol dire non credere in tutto quello che c'è nella Costituzione, ma su cui noi abbiamo lavorato.

Quindi la fase esecutiva della pena è un altro aspetto che va sottolineato, così come quello della formazione della prova, perché se io vengo condannato o assolto in primo grado e viene impugnata questa sentenza di fronte alla Corte d'appello e il processo mi rimane sospeso, qualora la Corte decidesse di rinnovare l'istruttoria dibattimentale, pensate a quei testimoni che vengono richiamati di fronte alla Corte d'appello, dopo vent'anni, a riferire di fatti a cui avevano assistito, quando già ora sappiamo quanto sia difficile per un testimone ricordare, raccontare, a distanza di anni, anche nel giudizio di primo grado, quello che ha visto. Quindi c'è un tema anche di assunzione della prova, non solo di ragionevole durata del processo.

Sono temi che non possiamo dimenticare e che ci portano a dire con forza che si debba tornare alla legge Orlando e poi verificare quello che non funziona, perché ci vuole anche e dobbiamo sempre fare autocritica, ripartire di lì, vedere cosa può essere migliorato, cosa non funziona, dove magari abbiamo avuto una prospettazione diversa e che può essere migliorata col confronto di tutti, ma non cancellare tutto quello che è stato fatto. E su questo noi insisteremo sempre con forza perché ci crediamo.

E poi sento dire ed è stata sottoposta anche a noi come forza di maggioranza, in cui crediamo perché noi vogliamo portare avanti questa azione di questo Governo, migliorarla e aiutare il Governo a fare bene, perché il Paese - e lo hanno dimostrato anche le elezioni di questi giorni -vuole un Paese responsabile, un buon Governo, buon senso, equilibrio; e quindi noi vogliamo portare, anche in tema di giustizia, il valore del buon senso e dell'equilibrio, e quindi fare tutto quello che sia possibile per dare una risposta, per garantire una certezza della pena umana, rieducativa, ma nello stesso tempo certa, per garantire la sicurezza, ma non con slogan, con processi che si possano fare nelle aule di giustizia.

Ero anch'io in audizione e torno a dei passaggi, tramite lei Presidente, dell'onorevole Bazoli sulle tante citazioni di audizioni che sono state fatte, ma distinguere chi è assolto da chi è condannato vuol dire… io non sono all'altezza di chi è intervenuto in Commissione, però una cosa la ho chiara: nella nostra Carta costituzionale esiste il principio di non colpevolezza, la presunzione di non colpevolezza, è sancito nella nostra Costituzione, abbiamo tre gradi di giudizio, abbiamo un Patto di New York sui diritti civili, l'articolo 14, comma 5 del Patto di New York sui diritti civili, e penso che non ci si possa rimangiare non solo il Patto di New York, ma una stagione sui diritti su cui abbiamo lavorato, che prevede espressamente il diritto del condannato ad appellare, a rivolgersi a un tribunale di seconda istanza.

Allora, se da una parte, un Patto di New York, che parla di diritti civili mi disciplina questo diritto a un riesame in seconda istanza di una sentenza di condanna, penso che non si possa creare uno squilibrio tra chi è condannato e chi è assolto, ma debbano andare sullo stesso binario per quanto riguarda i princìpi giuridici e anche in conformità alla nostra Costituzione; quindi ho dei dubbi che questo possa superare il vaglio di costituzionalità.

Quindi, la nostra proposta qual è? Tornare alla legge n. 103 del 2017, monitorare la situazione per verificare le patologie ancora del processo penale e, davvero, farlo funzionare. Io, nella bozza proposta, il cosiddetto lodo Conte, non ho capito quale sia la sanzione, perché ho capito che si vogliono introdurre dei tempi nelle fasi processuali per dire il primo grado deve durare tre anni e il secondo ne deve durare quattro, o viceversa, ma non si dice intanto quale sia la sanzione. Viene introdotta una sanzione per i magistrati e non si capisce quale sia la decadenza dal processo: allora, altro che prescrizione! Volete, la pretesa punitiva dello Stato, ridurla notevolmente, quindi non è chiaro un passaggio che ritengo fondamentale e che percepisco un po' nebuloso.

Quindi io ritengo che su questi temi si debba lavorare insieme, ci debba essere un confronto davvero costruttivo e un dialogo aperto, e sono sicuro che l'apporto che potrà dare il gruppo di Italia Viva in questo tema sia fondamentale per rendere l'azione del Governo più incisiva, più efficace e che rispetti i diritti di tutti, ma soprattutto che dia a questo Paese una giustizia penale - e non solo, poi ci sarà anche quella civile - che funzioni e che tenga conto della stagione delle riforme che c'è stata. Anche questo vuol dire onestà intellettuale e mi auguro che sia il Presidente Conte, sia il Ministro Bonafede, davvero riconoscano questa stagione riformatrice che ha portato un passo avanti i tempi della giustizia, che non è ancora sufficiente, che è ancora troppo poco, perché i nostri cittadini meritano molta più fiducia nella giustizia, una giustizia che sia davvero giusta e celere. Eravamo sulla strada giusta e invece, purtroppo, ci state portando su quella sbagliata: noi ve lo vogliamo dire e lo facciamo non per noi ma per l'interesse di tutti (Applausi dei deputati del gruppo Italia Viva).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Zanettin. Ne ha facoltà.

PIERANTONIO ZANETTIN (FI). La ringrazio, Presidente, per la parola. Onorevole sottosegretario Giorgis, onorevoli colleghe, onorevoli colleghi, oggi parliamo del progetto di legge Costa sulla prescrizione, ma siamo anche all'indomani delle elezioni regionali di Calabria ed Emilia. Prima ancora di parlare del merito del provvedimento, in una giornata come questa, è logico e naturale iniziare il nostro ragionamento da un'analisi eminentemente politica.

Queste elezioni hanno chiaramente sancito il crollo, il fallimento totale del MoVimento 5 Stelle. Il movimento creato da Grillo esce annichilito e travolto da queste consultazioni elettorali, proprio nei territori dove, meno di due anni fa, aveva ottenuto i suoi massimi consensi. Le percentuali oggi raggiunte lo relegano nella assoluta irrilevanza politica. Le ragioni di questo crollo sono facili da individuare: presunzione e incompetenza. Neppure due anni di Governo hanno smascherato il grande inganno propagandistico che aveva accompagnato la crescita di questo movimento. Era facile, colleghi 5 Stelle, sbraitare e urlare contro le élite nelle piazze, sfruttando il malessere sociale. Ora che anche voi stessi siete diventati una élite e siete stati chiamati a prendere delle decisioni, i cittadini, proprio quelli che citate a proposito e a sproposito in tutte le vostre dichiarazioni, hanno capito che i vostri erano soltanto slogan propagandistici e che eravate del tutto inadatti ai ruoli ai quali vi eravate candidati e che ora state ricoprendo. Questo vale per il Governo nazionale, ma vale anche per i governi locali, con il fallimento totale delle giunte Raggi a Roma e Appendino a Torino.

PRESIDENTE. Onorevole Zanettin, ci illumini sulla prescrizione.

PIERANTONIO ZANETTIN (FI). Sì, sì, veniamo, veniamo. La legge sulla prescrizione del Ministro Bonafede è uno dei frutti più aberranti di quella stagione giustizialista e manettara, che speriamo possa essere cancellata in fretta. I danni provocati nel nostro Paese allo stato di diritto in neppure due anni di Governo sono stati gravissimi. Il Partito Democratico, in questi primi mesi di Governo giallorosso, sui temi della giustizia si è vergognosamente appiattito sulle posizioni del MoVimento 5 Stelle e del Ministro Bonafede; è sembrato di rivivere l'incubo del Governo gialloverde, con il rigido riparto delle competenze. Nel Governo gialloverde sicurezza ed ordine pubblico erano appaltati in via esclusiva alla Lega e invece la giustizia ai Cinque Stelle; le due diverse componenti votavano a scatola chiusa, turandosi reciprocamente il naso, le proposte del partner di Governo. Nel Governo giallorosso, invece, l'economia appare saldamente diretta dal Partito Democratico, mentre la giustizia finora è rimasta sempre blindata nelle mani del Ministro Bonafede.

Presidente, oggi spero - e il mio auspicio credo sia condiviso da tutti i garantisti di questo Paese - che questo incubo, che la notte della ragione, alla luce dei recenti risultati elettorali, possa svanire. Mi aspettavo che domani il Partito Democratico potesse cancellare la vergogna del voto, insieme al MoVimento 5 Stelle, del soppressivo della proposta di legge Costa, ma, ahimè, sono stato gelato nelle mie aspettative, perché l'intervento poc'anzi del collega Bazoli non lascia ben sperare in tal senso. Le mie aspettative sono state quindi frustrate, anche perché - e mi stupisco di questo -, lo ha detto poi poco fa anche l'onorevole Ferri, votare la proposta di legge Costa significherebbe per il PD semplicemente ripristinare il testo Orlando, che proprio il PD aveva votato nella scorsa legislatura. Domani, qui, di fronte a Montecitorio, nella Sala Capranichetta, si riunirà la migliore accademia italiana: professori del calibro di Ambrosetti, Manes, Spangher, Fiandaca, Sgubbi (ne cito alcuni fra i più noti, anche perché ad alcuni di questi sono legato da amicizia e stima, ma l'elenco è foltissimo). Ecco, onorevole Bazoli, lei prima ha citato Spangher come fonte autorevole e da tutti apprezzata di diritto: andiamo ad ascoltare domani cosa ci viene a dire. Guarda caso, domani, quando discutiamo la proposta di legge Costa, egli sarà qui presente e andiamo a sentire se davvero egli è d'accordo su questa riforma della prescrizione che voi anche oggi avete difeso e difendete.

Questi accademici si alterneranno al microfono per proclamare il loro sdegno per l'aggressione mortale al principio costituzionale della ragionevole durata del processo. Sono accademici, come noto, dei più disparati orientamenti politici; non sono certamente dei corifei del centrodestra; sono, evidentemente, animati soltanto dallo spirito di verità e giustizia. Ascoltiamoli, ascoltateli: li ascolti, sottosegretario Giorgis. Lei è un importante accademico, professore ordinario di diritto costituzionale: sono suoi colleghi; andiamo ad ascoltarli e andiamo a sentire cosa ci vengono a dire. Lo stesso Ministro Bonafede aveva riconosciuto che il nuovo testo della prescrizione poteva reggere soltanto insieme ad una riforma epocale della giustizia penale. Peccato che di questa riforma epocale nessuno finora abbia sentito parlare. Il 1° gennaio di quest'anno la riforma si è abbattuta su uffici giudiziari prostrati dalle croniche carenze di personale amministrativo e di magistrati. Quali sono state le proposte del Ministro? Il Ministro Bonafede continua a parlare dell'aumento della pianta organica dei magistrati per 600 unità.

In ogni occasione, in Aula e in Commissione, non mi stanco di ripetere che quelli da lui proposti sono solo organici tabellari, quindi teorici; una misura virtuale e propagandistica. Allo stato, dopo il varo di queste nuove piante organiche, in realtà aumenteranno solo le percentuali di scopertura degli uffici. La differenza la fanno solo le nuove assunzioni di magistrati, non i posti tabellari e, su quel piano, l'operato del Ministro Bonafede appare addirittura meno efficace dei suoi predecessori, al netto anche della grave gaffe relativa all'assunzione dei vincitori del concorso del 2018 rinviata al 2020 per mancanza di copertura finanziaria nell'esercizio 2019.

Non mi stancherò di dire che aumentare l'organico tabellare è un provvedimento agevole da attuare e non costa niente in termini di copertura finanziaria. È facile da spacciare via social a non addetti ai lavori come riforma epocale; in prospettiva avrà anche un effetto negativo sugli uffici giudiziari, perché, nel momento in cui saranno aperti gli interpelli per le nuove sedi vacanti, si verificherà una migrazione di magistrati dalle sedi più disagiate verso gli uffici giudiziari di maggiori dimensioni e meglio organizzati. La vera svolta il Ministro dovrebbe attuarla, invece, sul piano dei concorsi per l'accesso alla magistratura, ma su questo piano i numeri parlano chiaro: i posti messi a concorso dal Ministro Bonafede sono inferiori alla media degli ultimi anni. Con il concorso 2019 i posti banditi sono solo 310, l'anno scorso il concorso era stato bandito per 330 posti.

Sono numeri inferiori rispetto agli anni precedenti: il concorso 2017 era stato bandito per 320 posti, ma nel 2016 i posti banditi erano stati invece 360 e altrettanti erano stati quelli del concorso del 2015. Ai tempi del Governo Berlusconi i posti banditi con il vecchio concorso 2009 erano 350 e 360 con il concorso 2010. Questi sono dati inconfutabili, che intendo rappresentare anche domani mattina vis-à-vis con il Ministro in occasione del dibattito sulla giustizia; voglio capire che cosa mi risponderà. Quanto trapela dalle indiscrezioni del testo del disegno di legge del Ministro sul processo penale non può che preoccupare: i tempi ridotti per la celebrazione dei processi non si possono tenere a scapito delle garanzie dei cittadini (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente), attenuando i diritti della difesa, limitando le impugnazioni, violando il contraddittorio e i principi di collegialità e di oralità dei processi.

Questo noi garantisti non lo possiamo tollerare e non lo permetteremo. Anche l'Associazione nazionale magistrati, che nelle scorse settimane aveva strizzato l'occhio al Ministro, passando da una prima contrarietà al provvedimento ad un sostanziale via libera, negli ultimi tempi si è resa conto che la riforma del Ministro, priva di risorse vere ed autentiche nel settore giustizia, rischia di esporre i magistrati ad azioni disciplinari per il ritardo nella pubblicazione delle sentenze nei termini di fase. L'ANM, con un opportuno quanto brusco revirement, è tornata, quindi, a criticare le linee guida della riforma Bonafede. Oggi le carenze del personale amministrativo negli uffici giudiziari superano di gran lunga il 30 per cento. Parlo degli uffici giudiziari che conosco meglio: al tribunale di Vicenza la scopertura effettiva supera il 34 per cento, alla Corte di appello di Venezia il 36 per cento. In queste condizioni come si può addebitare solo al magistrato il ritardo nell'emissione dei provvedimenti?

Il rischio più grave, però, lo correrebbero i cittadini, esposti come sarebbero a sentenze scritte frettolosamente dal giudice solo per rispettare il termine di fase. Insomma, oggi nessuno difende la riforma della prescrizione voluta dal Ministro Bonafede. Irricevibile appare anche il lodo Conte, che comporta un'inammissibile ed incostituzionale distinzione fra condannati e prosciolti dopo la sentenza di primo grado, in violazione dell'articolo 27 della Costituzione che sancisce la presunzione di innocenza. Per carità di patria e per rispetto delle istituzioni eviterò di infierire commentando nel dettaglio gli strafalcioni giuridici in cui il Ministro Bonafede è incappato nei suoi recenti interventi televisivi. Sul piano politico va sottolineato, però, che, in quelle occasioni, nella disperata e vana difesa della sua creatura, egli ha finito per tradire un'intima indole giacobina e manettara, degna di un caudillo sudamericano e non del Paese considerato nel mondo la culla del diritto.

I risultati di stanotte ci consegnano un Paese che pare uscito dalla nebbia del giustizialismo e ci inducono alla speranza. Si apre, credo, una fase nuova. I garantisti albergano anche nella maggioranza di Governo, certamente in Italia Viva, come è stato dimostrato in Commissione e come anche oggi è stato dimostrato dall'appassionato intervento dell'onorevole Ferri, ma credo che garantisti veri ci siano anche all'interno del Partito Democratico. Questi accenni di garantismo, devo dire, non li ho colti fino in fondo nell'intervento del collega Bazoli, che, ripeto, mi ha deluso. Oggi c'è un'occasione che io credo storica, che è quella di cancellare l'onta dell'emendamento soppressivo votato in Commissione. Domani ci sarà la possibilità di sospendere l'entrata in vigore del blocco della prescrizione dopo la sentenza di primo grado votando la nostra proposta di legge. Mi aspetto da parte del Parlamento, al di là degli schieramenti politici, una scelta importante, una scelta di coscienza che sia nell'alveo di quella grande tradizione giuridica che appartiene al nostro Paese. Grazie, Presidente, per la parola (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole D'Orso. Ne ha facoltà.

VALENTINA D'ORSO (M5S). Onorevoli colleghe e colleghi…

PRESIDENTE. Onorevoli D'Orso, cambi microfono, grazie.

VALENTINA D'ORSO (M5S). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghe e colleghi, la proposta di legge a prima firma Costa oggi all'esame dell'Assemblea è volta ad abrogare la riforma della disciplina della prescrizione del reato contenuta nell'articolo 1, comma 1, lettere d), e) ed f) della legge 9 gennaio 2019, n. 3 che ha interessato gli articoli 158, 159 e 160 del codice penale. In particolare, ricordo all'Aula quali sono le novità introdotte con la riforma contenuta nel provvedimento cosiddetto “Spazzacorrotti”. Con la lettera d) il termine di decorrenza per il reato continuato viene fissato al giorno di cessazione della continuazione; la lettera e) ha sostituito il secondo comma dell'articolo 159 del codice penale, stabilendo che, oltre che nelle ipotesi di cui al primo comma, a partire dal 1° gennaio 2020, il corso della prescrizione viene sospeso dalla data di pronuncia della sentenza di primo grado o dal decreto di condanna fino alla data di esecutività della sentenza che definisce il giudizio o alla data di irrevocabilità del citato decreto. La lettera f), infine, per esigenze di coordinamento con quanto previsto dal nuovo secondo comma dell'articolo 159, abroga, a partire dal 1° gennaio 2020, il primo comma dell'articolo 160 del codice penale che individuava come cause di interruzione del corso della prescrizione la pronuncia della sentenza di condanna o il decreto penale di condanna. Dunque, la proposta di legge in esame mira a cancellare le novelle appena citate, abrogando una riforma che però, ricordo, è stata sollecitata a più riprese negli anni dai massimi organi istituzionali e giurisdizionali anche a livello sovranazionale e per questo da quest'ultimi oggi è stata accolta con favore. A chiedere una riforma sulla prescrizione non da oggi non erano solo giudici e pubblici ministeri, non erano solo i familiari delle vittime delle stragi - penso allora alla strage di Viareggio, al terremoto de L'Aquila, alle parti civili del processo Eternit, quelle per l'inquinamento di Porto Marghera - ma a chiedere una modifica era anche l'Europa. Più volte negli anni il gruppo di Stati contro la corruzione, il cosiddetto GRECO, nei suoi rapporti di conformità, ha bacchettato il nostro Paese su quello che gli stessi hanno definito come il tallone d'Achille della giustizia italiana ovvero la scadenza dei termini di prescrizione. Nel rapporto del GRECO del 2016 si leggeva così: “Resta irrisolto il problema della scadenza del termine di prescrizione. Nonostante di recente siano stati registrati alcuni progressi in quest'ambito, le statistiche rivelano che il numero dei procedimenti penali per i quali è intervenuta prescrizione prima della loro conclusione resta allarmante. Nel 2014, 132.296 procedimenti penali sono stati interessati da prescrizione e il 23 per cento di questi erano procedimenti di secondo grado. È chiaro che la prospettiva della prescrizione provoca a sua volta l'effetto deprecabile di aumentare il numero di coloro che propongono impugnazione dinanzi ad un tribunale superiore, già oberato da un carico di lavoro eccessivo, dissuadendoli dal ricorrere a riti alternativi quali il patteggiamento”. Così tuonava il GRECO, queste le parole del GRECO.

Riprendendo le considerazioni del GRECO, anche la Commissione europea, in un documento del 2017, ribadiva come il sistema della prescrizione ostacolasse considerevolmente la repressione della corruzione e che, nel complesso, un'alta percentuale di cause cade in prescrizione dopo la condanna di primo grado. E, suggerendo di elaborare una proposta che mettesse fine ai termini di prescrizione dopo una condanna di primo grado, come suggerito sempre dal gruppo di Stati del Consiglio d'Europa contro la corruzione, avvertiva: “se la questione non sarà affrontata in linea con le migliori pratiche dell'Unione europea, la fiducia dei cittadini e degli investitori nello Stato di diritto potrebbe diminuire”. Questi appelli accorati sono rimasti inascoltati fino all'approvazione della normativa anticorruzione contenente la norma sulla prescrizione che le istituzioni europee hanno salutato positivamente, come confermato con la raccomandazione del Consiglio del 5 giugno 2019, ove, in ordine alla prescrizione, si afferma espressamente che: La legge, la n. 3 del 2019, inoltre interrompe i termini di prescrizione dopo una condanna in primo grado ma solo a partire dal 2020.

Ciò costituisce un passo positivo, atteso da tempo, in linea con gli standard internazionali; un passo positivo sollecitato da tempo anche dalla giurisprudenza delle corti europee, Corte di Giustizia dell'Unione Europea e Corte europea dei diritti dell'uomo, che con le sentenze pronunciate nel caso Alikaj del 29 marzo 2011, nel caso Saba, 1° luglio 2014, nel caso Cestaro, 7 aprile 2015, oltre che con le decisioni Taricco 2015 e 2017, ha posto in risalto l'inadeguatezza della disciplina italiana dell'istituto della prescrizione e la sua incompatibilità con gli obblighi scaturenti dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo in tema di tutela di determinati diritti fondamentali di particolare rilevanza. Nella sentenza Alikaj la Corte europea dei diritti dell'uomo è giunta a includere la prescrizione nella categoria delle misure inammissibili in quanto produttive dell'effetto di impedire una condanna nonostante l'accertamento della responsabilità penale dell'accusato e si è inoltre aggiunto che il sistema penale, così come applicato, lungi dall'essere rigoroso, non era idoneo ad esercitare alcuna forza di dissuasione e di efficace prevenzione degli atti illeciti. La portata sistemica e innovativa della sentenza Alikaj è stata ben colta dal primo presidente della Corte di cassazione, Ernesto Lupo, che, nella relazione di inaugurazione dell'anno giudiziario 2012, ha sottolineato come da essa possa trarsi il principio di diritto dell'incompatibilità con gli articoli 2 e 3 della Convenzione di un meccanismo di prescrizione che impedisca ogni reazione sanzionatoria con funzione dissuasiva. Non solo la Corte EDU, ma anche la Corte di giustizia europea non è stata tenera nei suoi giudizi. Quest'ultima, con la sentenza n. 105 del settembre 2015, nel caso Taricco, affermava testualmente, nel dispositivo che una normativa nazionale in materia di prescrizione del reato come quella stabilita dal combinato disposto dell'articolo 160, ultimo comma, del codice penale come modificato dalla legge 5 dicembre 2005 n. 251, e dell'articolo 161 di tale codice, normativa che prevedeva all'epoca dei fatti di quel procedimento principale che l'atto interruttivo verificatosi nell'ambito di procedimenti penali riguardanti frodi gravi in materia di imposta sul valore aggiunto comportasse il prolungamento del termine di prescrizione di un solo quarto della sua durata iniziale, è idonea a pregiudicare gli obblighi imposti agli Stati membri dall'articolo 325 del Trattato di funzionamento dell'Unione europea nell'ipotesi in cui detta normativa nazionale impedisca di infliggere sanzioni effettive dissuasive in un numero considerevole di casi di frode grave che ledono gli interessi finanziari dell'Unione europea. E se guardiamo alla normativa in vigore negli altri Paesi, il precedente regime della prescrizione in Italia appare un'anomalia quasi unica in Europa (soltanto la Grecia ha una disciplina simile). Non è, invece, un'anomalia la riforma Bonafede: in Germania il termine di prescrizione è sospeso dalla sentenza di primo grado fino alla pronuncia di una sentenza definitiva. Stessa disciplina anche in Spagna, dove si prevede che la prescrizione si interrompa se viene aperto un procedimento nei confronti del presunto autore di reato e il termine di prescrizione viene congelato durante tutta la durata del processo sino alla pronuncia di una sentenza di condanna, salvo sospensione del procedimento. D'altronde, gli obblighi di fonte sovranazionale che incombono sul nostro ordinamento giuridico ci impongono di concepire il processo penale come il necessario luogo di tutela non solo dei beni giuridici concepiti nella loro dimensione oggettiva e ordinamentale, ma anche di ben precisi diritti individuali facenti capo alla singola vittima del reato. Si pensi alla fondamentale direttiva 2012/29/UE del Parlamento europeo che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato, per cui la figura della vittima del reato assume un ruolo centrale all'interno del processo sin dalla fase delle indagini preliminari e dalla quale direttiva emerge l'idea secondo cui il processo penale è anche funzionale alla tutela degli interessi della vittima, oltre che a quello pubblicistico dell'attuazione della norma penale. Alla luce dei nostri obblighi internazionali, l'attuale riforma che si vuole oggi abrogare non è quindi da giudicare in termini apocalittici. Si tratta piuttosto di un primo passo importante, che va nella direzione giusta, che è colmare, unitamente ad altre misure necessarie che saranno varate nei prossimi mesi, nell'ambito di una più ampia ed organica riforma del processo penale, le gravi disfunzioni della giustizia penale in Italia. Una riforma attesa da tempo si diceva, anche perché è stato ed è francamente molto difficile spiegare ai non addetti ai lavori perché mai un processo penale, magari prossimo alla conclusione, debba essere bruscamente azzerato per il decorso di un certo tempo. Perché mai?

Anche il legislatore della legge n. 3 del 2019 ha finalmente avuto il coraggio di porsi questo interrogativo, di chiedersi se il meccanismo della prescrizione sia giusto da un punto di vista sostanziale. La prescrizione è uno strumento che fornisce una risposta di giustizia? Chiediamocelo, rispondiamo: “no”. Semmai, è vero il contrario. La prescrizione è la negazione di una risposta di giustizia, la prescrizione certifica un fallimento dello Stato, segna la resa di uno Stato incapace di portare a compimento una delle funzioni fondamentali che gli sono proprie e che gli sono state delegate dai cittadini. In uno Stato di diritto l'amministrazione della giustizia, così come l'uso della forza, è demandata esclusivamente ad un potere dello Stato, non è ammesso che un cittadino si faccia giustizia da sé e le sentenze sono rese per questo in nome del popolo italiano. E, allora, mi chiedo e vi chiedo: ma il popolo italiano si sente rappresentato in tutte quelle pronunce di estinzione del reato per intervenuta prescrizione che lasciano impotenti tante persone offese e, d'altra parte, magari impuniti tanti soggetti? Come far finta di niente, ad esempio, di fronte al bisogno di giustizia delle vittime scaturito dal “processo Eternit”, in merito al quale la sezione prima penale della Corte di cassazione, nel novembre 2014, fu costretta a constatare la prescrizione del reato. Cioè, il più importante processo penale celebrato nel nostro Paese per morti e malattie amianto correlate, un processo gravato dal peso del dolore di migliaia di persone, dopo due condanne nei giudizi di merito, esplose in un colpo solo, come una bolla di sapone. Come dimenticare le parole drammatiche con le quali il procuratore generale, dottor Iacoviello, allora concluse la requisitoria e disse: “In quei momenti in cui diritto e giustizia andavano da parti opposte il giudice, posto di fronte alla scelta tra diritto e giustizia, non avendo alternativa non poteva che scegliere il diritto”. Ebbene, non vogliamo e non possiamo più permettere che un giudice si debba trovare di nuovo di fronte a questa tragica alternativa: il rispetto formale, certo doveroso, del diritto da una parte e la giustizia sostanziale dall'altra. E l'effetto distorsivo del sistema che provocava il previgente meccanismo della prescrizione è reso più evidente e inaccettabile proprio con riguardo alle pronunce di estinzione che intervengono nel corso del giudizio di secondo grado. Appare del tutto irragionevole che uno Stato che abbia già perseguito un primo risultato, sia pure non definitivo in termini di accertamento di una verità processuale e di una correlata responsabilità, con un colpo di spugna vanifichi tutte le risorse economiche, ma soprattutto le risorse umane che in quell'accertamento hanno investito tempo, hanno investito energie, energie che hanno tolto magari allo studio di altri fascicoli e di altre indagini. Dunque, la “riforma Bonafede” ha il pregio di avere reintrodotto il buon senso nel sistema, perché prima di tutto è il buon senso che ci dice che una prescrizione che intervenga dopo una sentenza di primo grado, magari in Cassazione o addirittura in sede di rinvio, è esito da irresponsabili.

È vero: vi sono esigenze contrapposte che appaiono meritevoli di tutela. I sostenitori della necessità della prescrizione affermano che con il decorso del tempo cessi l'interesse dello Stato a punire e siano disperse le prove del reato, ma questa è una presunzione, è una presunzione che quasi mai corrisponde peraltro alla realtà. E come si può negare una risposta di giustizia sulla base di una così debole presunzione senza ammettere, peraltro, alcuno strumento per confutare tale presunzione nei casi concreti? Ed ancora, altri sostenitori della prescrizione affermano che una pena inflitta a distanza di molto tempo non sia più idonea a spiegare gli effetti che le sono prevalentemente attribuiti dalla nostra Costituzione e, in particolare, mi riferisco alla funzione rieducativa, in quanto verrebbe applicata a un soggetto che presumibilmente non è più quello del tempo in cui commise il reato. Ma anche qui è intuitivo: questa non è una certezza, è un'ulteriore presunzione, è un'argomentazione che non può valere in modo assoluto e generalizzato e che, anzi, nei fatti viene smentita per talune fattispecie di reato. Ed ancora, desidero evidenziare che forme di ravvedimento, il riconoscimento del disvalore della condotta posta in essere da parte dell'autore stesso ed eventuali condotte riparatorie sono tutte circostanze che trovano spazio e valorizzazione nel corso del processo penale, sicché l'imputato ha sempre modo di far comprendere che è cambiato e di far valere quel cambiamento. Per cui, francamente anche l'obiezione della pena inutilmente inflitta ad un soggetto che sarebbe cambiato nel corso del tempo risulta fuorviante e, comunque, non risolutiva.

L'ultima obiezione opposta alla “riforma Bonafede” con ancora più vigore viene sintetizzata con frasi quali “fine processo mai” e “imputato a vita”. Ebbene, questa argomentazione deriva dall'attribuire alla prescrizione una funzione che non le è propria, ovvero quella di stimolo per un'accelerazione dei processi in quanto considerata quale specie di spada di Damocle che pende sulla testa dei giudici o, in alternativa, in quanto considerata dalla parte degli imputati quale termine ultimo di durata del processo. Dobbiamo essere intellettualmente onesti a questo punto: si dava vita a un corto circuito che è tutto italiano, per cui da una parte vi era una tensione per arrivare al termine di prescrizione del reato ma, dall'altra parte, si tendeva contestualmente ad accelerare la regolare definizione del processo proprio per evitare la prescrizione. Potremmo dire che il sistema penale era costantemente sottoposto a una sorta di stress test.

Noi riteniamo che tale stato di cose non fosse fisiologico bensì rappresentasse una patologia del nostro sistema penale a cui la legge n. 3 del 2019 ha posto finalmente rimedio e siamo profondamente convinti che le soluzioni per garantire una ragionevole durata del processo, che tutti vogliamo, oltre a essere collegate a un potenziamento di magistrati e personale amministrativo, su cui il Governo sta tanto investendo, debbano essere ricercate in correttivi alla procedura penale e di certo in un'incentivazione dei riti alternativi che definiscono in modo più celere il processo. Il progetto di riforma a cui il Ministro Bonafede ha lavorato per tanti mesi, confrontandosi peraltro sia con la magistratura che con l'avvocatura, rappresenta un punto di partenza per il dibattito sia a livello governativo che a livello parlamentare. La volontà da parte nostra di dare risposte ai cittadini c'è e vogliamo dare risposte sia ai cittadini che sono sottoposti a processo penale sia a quelli che vi sono coinvolti come persone offese.

Non posso, dunque, che concludere auspicando di vedere presto all'esame di questa Camera la proposta di riforma del processo penale, in modo da lavorare a quelle soluzioni che possono garantire sia la certezza della pena sia la ragionevole durata del processo, che non dovrebbero mai essere esigenze contrapposte ma le facce di un'unica stessa medaglia. E allora, cari colleghi, basta guardare indietro, basta nostalgie. Io dico, con coraggio e senza pregiudizi, andiamo avanti e facciamolo per il bene dei cittadini (Applausi di deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Paolini. Ne ha facoltà.

LUCA RODOLFO PAOLINI (LEGA). Grazie, Presidente. Gli stimoli che sono giunti da questa discussione sono molteplici, qualificati e molto interessanti. Molte cose sono già state dette e, quindi, cercherò di non ripetermi. In particolare, quello che ha detto il collega Bazoli lo sottoscrivo al 90 per cento, quello che ha detto il collega Ferri lo posso sottoscrivere, quello che ha detto la collega Lucaselli idem. Ma io ho fatto un breve excursus storico su come si è arrivati a questa situazione e nasce da un approccio mentale - i problemi di tipo casistico - che è tipico proprio dell'area politica che esprime l'attuale Ministro della Giustizia. Cioè, loro sono partiti, partono sempre e citano - e, infatti, li ha citati anche poco fa la collega D'Orso - casi eclatanti che sono finiti male per prescrizione, ma non tanto perché la prescrizione fosse breve quanto per fattori numerosissimi e non sempre del tutto legali.

Terremoto dell'Aquila: il 6 aprile 2009 crolla una palazzina in via D'Annunzio, la cosiddetta “casa dello studente”, un ingegnere viene processato e poi si scopre che non c'entra niente perché erano problemi strutturali, il processo nel 2017 va in prescrizione e, quindi, le vittime restano senza giustizia. Sul “processo Eternit”: ho visto morire una di queste persone e vi garantisco che è una cosa atroce il solo pensare che chi è responsabile - e addirittura, se non ricordo male, proprio in questi giorni ha preso in giro anche il nostro Paese - possa farla franca per prescrizione. Però, il problema non è la prescrizione: il problema è uno Stato che dal 1986, fatti per i quali non era ancora prescritto il disastro ambientale che diede origine al processo, in 18 anni non è riuscito a terminare, tant'è vero che nel 2014 la Cassazione ha annullato proprio per prescrizione. Il problema non è la prescrizione ma è che in altri Paesi processi di pari difficoltà li fanno e da noi invece vanno in prescrizione. Strage di Viareggio: cito sempre quelle che vengono citate più ricorrentemente dagli esponenti del MoVimento 5 Stelle, cose evidentemente gravissime, fatti che credo nessun cittadino di normale sensibilità possa non considerare drammatici e ai quali possa restare indifferente, ma non si possono strumentalizzare questi fatti per creare un problema maggiore di quello che già esiste. Dicevo, strage di Viareggio, 29 giugno 2009, 33 morti, la sentenza di primo grado arriva il 31 gennaio 2017, anche qui parliamo di 18 anni dopo. È normale questo? No, ma cosa c'entra la prescrizione? Allora il problema fondamentale, filosofico oserei dire della tipologia di approccio ai problemi degli esponenti del MoVimento 5Stelle è proprio questo: loro non hanno un approccio pratico, che tiene conto di una infinità di casi, quindi non valutano le problematiche in modo sistemico, ma bensì si prende il caso - per quanto grave – singolo, che porta inevitabilmente a delle deformazioni del sistema. Per evitare che un nuovo caso Viareggio si proponga, cambio la vita a decine di milioni di imputati, così anche quello che è dentro magari per avere rubato una mela può rimanere in attesa di appello sine die, perché infatti nel nostro ordinamento non c'è un obbligo di fissare l'udienza di appello. Quindi, una volta che tu hai preso la tua bella condanna o anche assoluzione in primo grado, è rimesso così alla buona volontà della Corte d'Appello di fissarti l'udienza, ma finora questo limite strutturale di sistema era temperato dal fatto che, se entro un tot numero di anni, variabile a seconda della tipologia di reato, non ti facevano il processo, tu ti salvavi per prescrizione. Da ieri, dal primo gennaio, non è più così. Ma un'altra delle ipocrisie, perché questa legge nasce male, nasce male, nasce sulla menzogna, signor Presidente. Se vi ricordate bene, come nasce? Era agosto o settembre 2018. Questa legge, ci ripetono come un mantra: “Ma l'avete votata anche voi”. Certo, infatti l'abbiamo votata, come si dice, coactus volui, nel senso che si era posta come condizione che entrasse in vigore solo dopo che fosse stata effettuata quella fantasmagorica riforma del diritto processuale penale, che ancora stiamo aspettando e che non è mai arrivata. Quindi, quel consenso che anche io e anche tanti colleghi di Lega demmo, condizionato, venne in qualche modo defraudato, perché venne dato sulla base di una condizione che poi non venne rispettata e che neppure dopo un anno e mezzo di Governo è stata rispettata. E quindi è un consenso, come dire, che è poco valevole sotto questo punto di vista. Quindi, la cosa più incredibile in tutta questa vicenda è che, come ha ricordato il collega Bazoli, che io apprezzo per quello che ha detto, ma che dovrebbe essere conseguente con le parole che ha detto, come hanno fatto i colleghi già in Commissione, Ferri e Annibali, cioè dire “no”, perché qui c'è un convitato di pietra, che mi ricorda il Don Giovanni di Mozart, che è esattamente il Ministro Orlando, colui che ha fatto una riforma che a mio avviso presenta degli aspetti di dubbia costituzionalità, ma che senz'altro affronta il problema in modo molto più dinamico, molto più articolato, molto più intellettualmente voluto, se vogliamo, cercando di porre un rimedio non in modo violento, come fa la riforma Bonafede, che semplicemente taglia con l'accetta il problema: prescrizione sine die e siamo tutti a posto. E così quindi sarebbe auspicabile che i colleghi del PD, in un ultimo momento di resipiscenza, domani votassero a favore della proposta Costa, che ha il grandissimo difetto di ripristinare lo status quo ante che c'era prima, cioè la legge Orlando. Qualcuno ha correttamente, sul piano tecnico, obiettato che la reviviscenza della norma non deriva automaticamente dall'abrogazione della norma abrogatrice, ma a questo ha posto rimedio un emendamento, depositato dal gruppo della Lega, che appunto specificamente dice, ove venisse approvato, che gli articoli 158, 159 e 160 del codice penale riacquistano efficacia nel testo vigente al 31 dicembre 2019: scusateci, abbiamo scherzato, rimettiamo tutto come prima e poi ragioniamo di una riforma.

Sorprende che la collega D'Orso dica che bisogna fare la riforma: ricordo alla collega D'Orso che loro sono in maggioranza insieme al PD e quindi non si capisce chi la dovrebbe fare questa riforma, se non loro stessi, che, per di più, hanno anche il Ministro della giustizia, soggetto che, appunto, aveva condizionato il nostro consenso all'effettuazione di questa riforma. Allora, il processo penale, come tutti sanno, ha carattere di ufficialità. Ebbene, questa riforma, cioè lo Stato si deve fare onere e carico, laddove sussistano le condizioni, di trovare il colpevole, processarlo secondo diritto e poi fargli scontare la pena prevista dalla legge. Questa norma incredibilmente ribalta sul cittadino imputato indagato le colpe dell'inefficienza dello Stato: siccome io, Stato, non riesco, neanche in 7, 8, 10 o 15 anni, dipende dai casi, a processarti, allora ti tengo a bagnomaria per tutta la vita, così prima o poi ci arriverò. Ma questa è una logica assolutamente disumana, oltre che antigiuridica e anticostituzionale. Mi si obietta e si obietta sempre: eh, ma negli altri Paesi non è così, la prescrizione. Sì, in altri Paesi non hanno l'azione penale obbligatoria; ho visto - in qualche caso di persona, in qualche altro caso ho letto - processi, in America e in Inghilterra, in cui il giudice, avendo una grandissima flessibilità, può risolvere questioni in poche ore, in una sola udienza, soprattutto senza mettere in moto quel meccanismo di scartoffie impensabili in altri Paesi, compresa la Spagna, che da noi invece scatta anche per il furto di una mela. Queste sono le riforme che vanno fatte e mi riferisco ai processi importanti, quelli che veramente colgono nell'animo la sensibilità del popolo italiano; il processo Eternit andava finito prima: allora, in quei casi lì, che lo Stato sia in grado di poter mettere in moto una task force fino a quel che serve; servono 100 magistrati in più per quel processo? Benissimo, per quel processo si distaccano 100 magistrati. Serve una modifica legislativa per portare avanti nuove assunzioni per finire quel processo? Uno Stato civile e moderno arriva anche a questi metodi, senza violare l'ordinamento: quei magistrati, una volta assunti, finito quel processo, ritorneranno a fare altre cose. Invece qui a volte si creano procure e tribunali piccoli, come quello di Viareggio, senza voler sminuire l'importanza di quella procura e quel tribunale, di pesi troppo grandi per le proprie dimensioni e la propria struttura, salvo poi dover constatare che non sono in grado. Non li si dotano di risorse: questi sono i problemi, direi, se fosse presente, al signor Ministro Bonafede, ma per suo tramite lo dico al sottosegretario. Questi sono i problemi: cambiare l'approccio mentale. Non è possibile che, per il furto di una mela e per una rapina a mano armata, la procedura sia grossomodo la stessa. In altri Paesi, lo fanno, Paesi democratici; ho assistito ad un processo, in Inghilterra; una signora aveva rubato un etto di burro in un supermercato, l'hanno portata davanti, come dicono loro, alla Blood court, il giudice le ha detto: “Sei pentita?”. “Sì”. “Bene, ti condanno a lavorare sette giorni in quel supermercato gratis”. Finito. Carattere educativo della pena - accidenti, si è rieducata - la Corona non ha speso niente e il giudice ha semplicemente applicato la legge. Però in Inghilterra non hanno l'azione penale obbligatoria o meglio, noi potremmo attuare questa riforma dicendo che evidentemente è sempre obbligatorio procedere per certi reati, ma per il furto del panetto di burro, senza ricorrere all'archetipo del fatto di lieve entità, che comunque non esclude tutta la trafila della registrazione, nomina del difensore, comunicazioni, eccetera….Quello è il problema del processo penale: concentrare le risorse sulle cose serie e non su quelle diciamo di minore importanza, che potrebbero essere risolte, come fanno ad esempio in altri Paesi, con giudici che fanno parte delle autorità di polizia, per esempio, per reati bagatellari, quello che da noi erano una volta i giudici di pace. Quindi, concludendo perché ormai tutto è stato detto, quindi aggiungerei poco di nuovo, domani il PD ha un'ultima opportunità, un'ultima chiamata, che secondo me non metterebbe assolutamente in crisi il Governo, perché dopo gli esiti delle elezioni non credo che nessuno voglia andare a casa per una cosa del genere, che alla fine, melius re perpensa, convincerebbe, sono certo, anche gli esponenti del MoVimento 5 Stelle, i quali, tra parentesi, dovrebbero anche cominciare a chiedersi perché perdono voti.

Forse anche per queste cose qui, perché quando incontri - e domani li sentiremo - tutta la dottrina, buona parte della magistratura, tutta l'avvocatura e soprattutto il buon senso, dovresti chiederti se sei tu dalla parte giusta o dalla parte sbagliata.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Vitiello. Ne ha facoltà.

CATELLO VITIELLO (IV). Presidente, è un tema che certamente ha attirato l'attenzione di tutti noi nell'ultimo periodo, anche di quella parte della cittadinanza particolarmente attenta alle questioni giuridiche che, seppur non lo fosse stata, lo è diventata, perché il tema certamente è diventato centrale oggi. Però mi permetterà, Presidente - lo dico ormai fuori dai denti -, che, se è diventato centrale, è anche perché, all'interno della maggioranza, c'è stato un contraddittorio forte proprio grazie ad una posizione di Italia Viva, che ha voluto prendere le distanze da chi punta i piedi a terra perché non intende fare passi in avanti rispetto a proposizioni più costituzionali rispetto a quella di Bonafede del gennaio scorso. Certo, è un tema impopolare, perché si pensa sempre che chi difende la prescrizione in realtà stia difendendo l'impunità, ma chi vuole far passare questo messaggio in realtà dimentica che noi abbiamo una Carta costituzionale, dimentica che la prescrizione è presidio di garanzia costituzionale, e certamente l'abolizione della prescrizione non risolve i problemi del processo penale. Quello che ho sempre lamentato fin dal primo momento, Presidente - questo l'ho fatto già all'epoca dello “Spazzacorrotti”, quando con una velina il Governo ha interagito attraverso la relatrice dell'epoca, che, guarda caso, è la relatrice di oggi e ha voluto inserire quell'emendamento che introduceva l'abolizione della prescrizione, perché quella è una vera e propria cancellazione, la sospensione sine die del processo significa cancellare la prescrizione -, quello per cui mi sono già battuto all'epoca è per far capire che non si può influire sulla patologia per risolvere il problema, ma si risolve attraverso gli strumenti fisiologici, strutturali del processo.

Ebbene, l'argomento che ho sentito trattare da più parti per sostenere la tesi, al di là della pena ad ogni costo, di cui parleremo da qui a un momento, è: beh, la prescrizione esiste soltanto in Italia, è uno strumento che possono utilizzare soltanto gli avvocati italiani. Presidente, vorrei ricordare a chi dice questo che l'Italia è anche l'unico Paese che da novant'anni ha un codice penale sostanziale che è di matrice fascista, perché non abbiamo mai avuto la capacità di modificare quel codice, un codice che mette al centro lo Stato, perché la parte speciale del codice penale parte dall'articolo 241, che va a difendere la personalità dello Stato, e soltanto dopo 300 articoli circa e più prende in considerazione la vita umana. Questo è il nostro codice. E la Carta costituzionale si è inserita, attraverso il compromesso repubblicano, in un momento dove le istituzioni si modificavano, dove tutto cambiava, e ha saputo gestire in quel momento una serie di presìdi, riconoscendo alla prescrizione l'esistenza all'interno del codice illiberale, perché all'epoca avevamo anche il codice di procedura penale fascista, che abbiamo cambiato soltanto nel 1988. Ebbene, quel codice, il codice penale sostanziale, che è lo stesso di oggi, conteneva già la prescrizione, perché se pur ci fosse stata quella matrice fascista, si riconosceva l'identità di un problema atavico, cioè quello della gestione dei tempi del processo - non era giusto all'epoca, non è giusto oggi -, ma si è riusciti a fare di più, a cancellare la prescrizione, presidio costituzionale, e vediamo perché presidio costituzionale. Presidente, io parto dalla fine: all'articolo 111 - attenzione -, così come voluto dal legislatore costituzionale del 1999 - perché è stato modificato l'articolo 111 -, abbiamo la certezza che i due principi, giusto processo e ragionevole durata, hanno dignità costituzionale, dal 1999 in poi, con la legge costituzionale n. 2 del 1999.

In quel momento abbiamo avuto il riconoscimento esplicito che la prescrizione è servente alla funzione pubblica, attraverso l'articolo 111, perché quando si scomoda l'articolo 111 non bisogna dimenticare che lo si fa per ragioni legate alla collettività; perché noi, che abbiamo un processo accusatorio dal 1988, dobbiamo avere l'idea che quando andiamo ad assumere la prova all'interno del processo non sono passati cinque anni, sei anni, sette anni, perché il processo accusatorio si fonda sull'oralità, sull'immediatezza, ed è la vicinanza del processo rispetto al fatto di reato a fare la differenza. È questo il giusto processo, è questo la ragionevole durata ed è questo che si sta cancellando: la vicinanza fra la pena e il fatto. Ancora, l'articolo 27, richiamato più volte. Presidente, l'articolo 27, viene scomodato ultimamente sempre e soprattutto per il secondo comma, per la considerazione di non colpevolezza, perché, dobbiamo essere attenti; siamo figli di quel compromesso 1946-1948 e noi non abbiamo la presunzione di innocenza, abbiamo la considerazione di non colpevolezza, perché bisognava giustificarlo all'interno di un sistema completamente diverso, un sistema penale che era all'epoca illiberale, inquisitorio, però la Carta costituzionale doveva inserire questo principio di diritto. Questo ci dà la possibilità di comprendere il rapporto che sussiste fra requirente e giudicante, fra verità storica e verità processuale, ma in realtà il vero comma, cioè l'unico comma che dobbiamo prendere in considerazione rispetto al problema prescrizione è il terzo, sulla rieducazione. Non esiste possibilità di applicare una pena con una finalità vendicativa o squisitamente retributiva; la pena non è la vendetta dello Stato nei confronti del cittadino che ha sbagliato. Noi siamo uno Stato liberale, siamo uno Stato di diritto e ci vantiamo di essere stato sociale. Se è vero questo, allora la pena deve necessariamente puntare alla rieducazione. Allora, chiedo al MoVimento 5 Stelle: che rieducazione si avrà rispetto ad un condannato dopo vent'anni dal fatto? Questo è il problema. Loro vogliono risolvere, attraverso la punizione ad ogni costo, un problema che in realtà ha matrici completamente diverse. All'interno del processo penale ci sono pesi e contrappesi. Io mi rendo conto che da una parte c'è l'individuo, colui che ha sbagliato, e dall'altra parte la collettività. Non si può, certamente, strumentalizzare la vittima di un processo per poter cambiare la parte patologica dello stesso: no.

Ancora, l'articolo 24, il diritto di difesa, è il contraltare rispetto all'articolo 111. Il diritto di difesa ha la sua massima esplicazione se il processo è celere; anche noi abbiamo interesse alla velocità del processo. Ancora, l'articolo 13. Mi dispiace fare la declinazione di una serie di articolati della Carta costituzionale, però, davvero, a questo punto mi aspettavo anche, addirittura, una questione di pregiudizialità di questa proposta di legge Costa, che fortunatamente non è intervenuta (probabilmente non ce n'erano le ragioni). L'articolo 13 è la cifra della violazione, della deroga, perché noi abbiamo questo articolo 13, che è l'inviolabilità della libertà personale, che non può essere toccata se non attraverso una doppia riserva, di legge e di giurisdizione, e la cifra di questa deroga è la prescrizione. Il sottosegretario è un illustre costituzionalista e sa bene di che cosa parlo: la prescrizione è la cifra dell'articolo 13, è la cifra della deroga.

Ancora, l'articolo 3. Ebbene, anche rispetto a questo tentativo di mediazione, checché ne dica il Presidente del Consiglio, a cui ha fatto riferimento l'onorevole Bazoli, io ero uno di quelli che riteneva - e ritiene tutt'oggi - che ci sia davvero una differenza fra assolto e condannato; c'è senz'altro, in quella riforma Bonafede, un germe di incostituzionalità, ma rispetto al primo comma dell'articolo 3, perché si vuole trattare allo stesso modo cittadini diversi perché l'assolto e il condannato sono cittadini diversi. Per quale motivo? Perché noi abbiamo un processo accusatorio, per l'appunto, che si fonda principalmente sul primo grado di giudizio e che ha un secondo grado che in realtà è meramente cartolare; la riassunzione della prova è una deroga, è un mezzo di gravame, ma certamente non è un secondo giudizio. C'è poi un problema di fondo, Presidente, perché allorquando si ritiene, attraverso questa mediazione, di dire: ok, distinguiamo assolto e condannato, poi, abbiamo il problema del secondo comma, perché rispetto a cittadini che hanno partenze diverse - l'assolto e il condannato - lo Stato ha il dovere di garantire gli stessi strumenti e le stesse garanzie. Allora, è un cul de sac: comunque la si voglia girare, questa riforma Bonafede, o è per tutti, o è soltanto per i condannati, ma resta incostituzionale, o per il primo comma dell'articolo 3 o per il secondo comma; non c'è via di fuga, non c'è via d'uscita. Allora, all'epoca, tutti quelli citati dall'onorevole Bazoli - come uno dei miei maestri, il professor Spangher - è vero che avevano detto che era incostituzionale, ma perché si poneva il problema rispetto agli assolti coinvolti in questa riforma Bonafede. Certamente, oggi, se gli andassimo a chiedere che cosa ne pensano, invece, di una distinzione e di quello che capita al condannato rispetto al secondo comma dell'articolo 3, non potrebbero fare altro che tacciare questa riforma, parimenti, di incostituzionalità.

E, allora, cosa si doveva fare? Ebbene, si doveva certamente provare ad avere il coraggio, visto che abbiamo un processo accusatorio, prima ancora di arrivare alla patologia, di mettere mano all'articolo 112 della Costituzione, Presidente, sull'obbligatorietà dell'azione penale. Forse questa è una delle più forti distonie fra il nostro sistema processuale e la Carta costituzionale. Del resto, all'interno delle procure già ci sono circolari che girano e che ci dicono: attenzione, su alcuni processi, su alcuni reati dobbiamo prestare maggiore attenzione, dobbiamo dare un ordine di priorità. Allora, dobbiamo immaginare che se per risolvere il problema prescrizione, lo facciamo soltanto dopo la sentenza di primo grado, in realtà perdiamo l'occasione di risolvere la prescrizione a monte che riguarda il 75 per cento dei casi di prescrizione, che sono quelli che si risolvono entro il primo grado di giudizio, il 60 per cento dei quali si risolve all'interno delle indagini preliminari con la prescrizione. Ancora, ricordo le notificazioni: insomma, diamo maggiore responsabilità agli avvocati. Ancora, Presidente, il diritto tabellare esiste e nel nostro sistema processuale le udienze si rinviano ad anni, se si è fortunati a mesi: è questo che non va bene. Onorevole Paolini, io condivido il problema del gestire l'occasionalità di un processo importante, ma deve diventare strutturale; lo ripeto, deve diventare strutturale. Noi non possiamo immaginare di fare tutti i processi come Norimberga, tutti processi speciali: deve diventare la normalità.

PRESIDENTE. Concluda, onorevole.

CATELLO VITIELLO (IV). Poi, mi sia consentito un ultimo passaggio, perché io ho letto una bozza di riforma del processo penale e devo assolutamente, in questa sede, dire che se si vuole codificare l'ordine di priorità che le procure si danno e, contemporaneamente, si vuole annichilire la giurisdizione, perché si vuole modificare la regola di giudizio per l'archiviazione e l'udienza preliminare, attenzione al potere che si dà alle procure, ma non perché io non mi voglia fidare delle procure, Presidente. C'è una verità: la giustizia è nelle mani degli uomini e la sua fallacia è la sua umanità. Allora, attenzione: regole ferree, stringenti; no giudizi morali, no giudizi etici, no giudizi politici; soltanto giudizi umani, che siano quantomeno obiettivi (Applausi dei deputati del gruppo Italia Viva).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Baldelli. Ne ha facoltà.

SIMONE BALDELLI (FI). Presidente, ho ascoltato gli interventi, molti degli interventi di quest'oggi sulla proposta di legge del collega Costa; anche l'intervento della relatrice che propone di respingere questa proposta con una certa ricchezza di argomentazioni, che in realtà, però, non hanno una grande ricchezza giuridica; sono ricche per quantità, probabilmente, ma non per qualità.

Ho ascoltato - sembrava di assistere al dibattito sulla riduzione del numero dei parlamentari - anche i colleghi del Partito Democratico che hanno fatto degli interventi in cui hanno elencato tutte le ottime ragioni che ci sarebbero per votare a favore della proposta del collega Costa e che, però, probabilmente, finiranno per votare contro la proposta del collega Costa o, peggio ancora, se è vero quello che si sente nei corridoi, addirittura a un'eventuale proposta di rinvio di questo provvedimento.

Allora, su questo, mi permetto di svolgere un ragionamento, in premessa. Questo provvedimento ha avuto una calendarizzazione assai faticosa, come anche lei, Presidente Rosato, sa bene; lo abbiamo chiesto nel calendario di dicembre, per ragioni di organizzazione dei lavori parlamentari è stata negata la trattazione di questo argomento nella quota dell'opposizione, lo ritroviamo nel calendario di gennaio e di fronte a questa calendarizzazione, ripeto, faticosa, che abbiamo chiesto con grande forza, non vorrei che ci trovassimo di fronte a una richiesta di rinvio - che suonerebbe come una scappatoia politica inaccettabile - da parte della maggioranza. Nessuno dell'opposizione chiede il diritto a vedere approvati i propri provvedimenti, ma almeno a vederli discussi sì, a vederli anche respinti se c'è una maggioranza parlamentare in grado di respingerli, meno a vederli rinviati per ragioni di natura politica, per nascondersi dietro a un dito, per non essere in grado di affrontare la questione in Aula, in questo momento, perché le esigenze dei tempi che la maggioranza si dà sono diverse da quelle che - effettivamente la legge che entra in vigore e la giustizia -, non l'opposizione, ma il Paese, ha il diritto di avere in termini di risposte.

Non credo che ci siano elementi nuovi né per un rinvio in Commissione, visto che si tratta di un emendamento soppressivo, né per un rinvio a chissà quale data, perché credo che Forza Italia chiederebbe nuovamente la calendarizzazione e ci ritroveremmo ancora qui il mese prossimo con questo testo, con questa proposta e con le stesse scuse per cercare di prendere tempo. Allora, capiamoci, c'è una maggioranza che è divisa su questo tema, giustamente, perché una parte della maggioranza si rende conto che è un tema centrale. Certo, bisogna capire che cosa prevale: prevale la cultura di quelli che considerano in questo Paese la presunzione di colpevolezza e non di innocenza come la base su cui fondare il processo penale? Prevale la concezione secondo la quale non esistono innocenti, ma solo colpevoli che non sono stati scoperti? Un anno fa, il Ministro Bonafede, nel corso di un convegno, diceva: quando si fa giurisprudenza all'università si ha plasticamente un percorso della giustizia e questo percorso inizia con le indagini, prosegue nel processo e si conclude con la condanna; questo fa il Ministro della giustizia, 18 gennaio 2019. Questo è il quadro del quale ragioniamo!

Noi crediamo che la giustizia debba essere un servizio ai cittadini, una giustizia che non sia di quelle da giustizieri con la G maiuscola, ma un servizio; noi non siamo né “buttatori di chiavi” né difensori a tutti i costi dei colpevoli, siamo persone che credono che debba esserci un equilibrio tra accusa e difesa e che un processo non possa durare all'infinito.

Dice il Ministro Bonafede: gli innocenti non vanno in galera. Affermazione piuttosto singolare, mi permetto di osservare; lo dica a Pasquale Fabbricatore, un mese in cella e altri 11 agli arresti domiciliari per sfruttamento della prostituzione, ma in realtà è innocente, perché chi l'ha accusato si è inventato tutto; lo dica a Franco Di Nardi, oltre seicento giorni di ingiusta detenzione con un'accusa a cui è del tutto estraneo, la sera dell'aggressione era a casa con la famiglia, a commettere il reato è stata un'altra persona rea confessa.

Lo dica a Simonetta Pili, che ha dovuto passare quattro mesi in carcere da innocente con l'accusa di un reato gravissimo come quello di sevizie su un anziano, assolta e risarcita, e la sua vita non sarà più la stessa. Lo dica a Pio Del Gaudio, ex sindaco di Caserta, commercialista con uno studio avviato: tutto crolla quando un imprenditore lo accusa falsamente di avere intascato una tangente, non so neanche di che partito sia. Lo dica a Joel: una donna lo accusa di averla violentata in un parco, ma la realtà è molto diversa; lui non c'entra nulla, lei lo incastra solo perché vuole vendicarsi di una lite che hanno avuto in passato.

Lo dica a Luciano Di Marco - Presidente, quando sto per esaurire il mio tempo mi faccia una scampanellata e io mi taccio, però continuo a ricordare queste figure che magari sarebbe bello avere in tribuna proprio domani, quando il Ministro della Giustizia verrà a raccontarci lo stato della giustizia in questo Paese - , lo dica a Luciano Di Marco: tre testimoni sostengono di riconoscerlo dalle immagini della sorveglianza. A niente valgono i tanti elementi che riesce a produrre a sua discolpa, solo una perizia high tech consente di chiarire la verità. Il bandito in quei video non è lui.

Ancora, lo dica a Giorgio Magliocca: un pentito lo accusa, il primo cittadino incontrò il capoclan di zona per ottenere voti in cambio del controllo dei beni confiscati. È falso, in quel periodo il camorrista era in carcere. La storia di un politico onesto costretto a dieci mesi e mezzo di ingiusta detenzione.

Lo dica a Giuseppe Viscatale De Losa, accusato di violenza sessuale e rapina nei confronti di una prostituta: passa otto mesi in carcere da innocente; la ragazza ricorda che il suo aggressore ha disegni su più parti del corpo, lui nessuno. Lo dica ad Alessandro Valentino: una sua coetanea usa un'applicazione dello smartphone per creare centinaia di messaggi finti solo per riconquistare un ex fidanzato e dà la colpa a lui – innocente - di stalking. Lo dica a Nunzio Di Gennaro: un'amica che conosce da tempo e che ospita in casa lo denuncia per stupro. Il rapporto c'è stato, ma consenziente; eppure finisce in carcere per sei mesi. Assolto e risarcito, deve fare i conti con pesanti ripercussioni psicofisiche.

Lo dica a Zef Lleshi, arrestato con l'accusa di avere gettato la consorte dal nono piano; era innocente, la perizia che avrebbe dovuto incastrarlo era sbagliata. Storia di un cittadino albanese in Italia dall'età di 15 anni, assolto e risarcito per ingiusta detenzione. Lo dica a Saint Petrisor: un'anziana accusa un romeno incensurato di averla stuprata e minacciata in piena notte nella sua abitazione; è, invece, un piano organizzato con l'amante per far pagare i cattivi rapporti di vicinato. Questo fatto risale al 2019, andiamo a ritroso, al 2018. Questi dati li prendo da un sito, sono pubblici, si trovano dappertutto, giusto per rendersi conto. Giovanni Aprile, due mesi in carcere, sei anni e mezzo per capire che le intercettazioni telefoniche sbagliavano: non era lui l'estorsore che i carabinieri cercavano. È normale? Giovanni Cabibbo, accusato di avere esploso colpi a scopo intimidatorio contro aziende coinvolte in un giro di usura, in realtà è innocente, ma deve aspettare quattro processi prima che la sua estraneità venga accertata.

Lo dica a Enrico Cinosi: trasportava combustibile e fu accusato di avere lucrato sul carburante, ma era innocente; prima di riuscire a far venir fuori la verità ha dovuto scontare quasi tre mesi di ingiusta detenzione. Damiano Scoccia, accusato di avere ucciso l'amante della moglie sulla base degli esami stub, sull'uso della pistola, e tabulati telefonici, ma non c'entra nulla; due assoluzioni non basteranno a farlo risarcire per ingiusta detenzione.

Arcangelo Spinelli: lo accusano di essersi introdotto nella casa di un'anziana e averle portato via 2 mila euro, ma lui non c'entra; eppure è costretto a 98 giorni di custodia cautelare sebbene innocente. E così come questi ce ne sono tanti altri che potrei leggere, ma basterebbe conoscere il caso Tortora in questo Paese per evitare affermazioni così ridicole e così, mi permetta, umilianti.

In questo Paese, purtroppo, ogni anno mille persone finiscono in carcere ingiustamente. Allora, la giustizia deve essere un servizio che funziona e deve funzionare in tempi ragionevoli; questo deve fare un Governo, questo deve fare un Ministro della Giustizia (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Dori. Ne ha facoltà.

DEVIS DORI (M5S). Grazie, Presidente. In questi mesi, in cui si è parlato a lungo di prescrizione, di riforma della prescrizione, di controriforma della prescrizione, si è creato un dibattito basato su una stravagante contrapposizione tra chi si è autodesignato cultore del principio della ragionevole durata dei processi e chi è stato da altri raffigurato come sostenitore del processo a vita. Nulla di più bizzarro, considerato che mi auguro che tutti coloro che siedono in quest'Aula amino la Costituzione e i suoi principi, e che quindi un processo con una durata ragionevole sia un obiettivo comune.

Tuttavia, in questi mesi una buona parte della politica ha cercato di confondere l'opinione pubblica, collegando l'istituto della prescrizione al principio della ragionevole durata del processo come pretestuosa argomentazione per attaccare la nostra riforma attuata con la legge n. 3 del 2019 ed entrata in vigore il 1° gennaio 2020. La prescrizione del reato non può essere un rimedio alla irragionevole durata del processo, che va evitata in altro modo, con maggiori risorse umane, con l'informatizzazione, la semplificazione delle notificazioni e molto altro ancora, che noi intendiamo prevedere nella riforma del processo penale. La prescrizione non deve essere il farmaco per curare la patologia, cioè l'eccessiva durata dei processi, perché questo farmaco ha delle controindicazioni non solo sul piano sociale, con una giustificata sensazione di impunità, ma anche da un punto di vista giuridico, perché, ad esempio, rappresenta un disincentivo al ricorso ai riti alternativi o causa un aumento del numero delle impugnazioni strumentali al perseguimento della prescrizione stessa.

Se, nei fatti, nel corso del tempo la prescrizione è davvero diventata una tagliola per limitare l'eccessiva durata dei processi è perché questo istituto giuridico è stato piegato a una funzione che non gli è propria, e ciò non è colpa dell'avvocatura, che giustamente utilizza tutti gli strumenti che le norme mettono a disposizione; è colpa, invece, del legislatore, al quale l'articolo 111 della Costituzione impone di trovare gli strumenti idonei a garantire la ragionevole durata dei processi. Chi sostiene che la prescrizione sia un presidio del principio della ragionevole durata dei processi involontariamente esprime un paradosso: se la prescrizione, infatti, interviene al termine di un processo ormai estremamente lungo, è in sé dimostrato che la prescrizione non è in grado di impedire al processo, perché non è la sua natura, di avere una durata irragionevole.

Piuttosto la prescrizione diventa la certificazione dell'esistenza di una patologia che la prescrizione stessa non è in grado di prevenire e che, anzi, aggrava. Ribadisco, quindi, che, se vogliamo, e lo vogliamo, velocizzare i processi, la discussione deve essere spostata dalla prescrizione agli strumenti processuali. Sul tema prescrizione il MoVimento 5 Stelle è sempre stato coerente e oggi noi sosteniamo le stesse cose che ci portarono poco più di un anno fa ad approvare la riforma della prescrizione; una riforma che, anche se osteggiata da buona parte dei gruppi politici, è stata approvata democraticamente da questo Parlamento, da una maggioranza parlamentare. C'è chi, invece, la votò un anno fa e oggi ha cambiato idea; dovrebbero spiegare il perché: o si sbagliarono a votare, e allora ammettano l'errore, così gli italiani sapranno che potrebbe essere solo il primo di tanti errori, oppure la votarono nonostante non ne fossero convinti per un mero calcolo di opportunità politica. In tal caso, ci troveremmo di fronte alla politica della manica a vento, che non sa dove andare e si lascia gonfiare dal vento dove soffia, ma è sufficiente che il vento passi e si palesa la sua inconsistenza. In ogni caso, questa iniziativa legislativa, con la quale si vorrebbe eliminare la nostra riforma della prescrizione, ci permette di ricordare a tutti gli italiani, ai pochi che se l'erano persa, che noi un anno fa abbiamo approvato un'importante riforma della prescrizione.

Infine, ritengo doveroso smentire un'altra falsità utilizzata in questi mesi per attaccare la nostra riforma della prescrizione: c'è chi afferma che la nostra riforma non tutelerebbe le vittime dei reati perché i processi diventerebbero troppo lunghi. Lasciando stare la questione della durata, che ho già spiegato in precedenza che non c'entra nulla, ma, se anche fosse, secondo voi per le vittime di reato è meglio attendere qualche tempo in più per avere giustizia e giungere alla verità oppure non vederla mai quella verità a causa della prescrizione? La vittima ha già sofferto molto e ha la forza di resistere in attesa della verità anche a lungo se sa che alla fine di quel percorso una risposta dello Stato ci sarà, ma non può vivere con la rassegnazione che quel processo potrebbe concludersi con la prescrizione, soprattutto nel momento in cui c'è già stato un primo accertamento di colpevolezza con la sentenza di primo grado, perché il dolore non si prescrive, e questo non lo stabilisce una legge, ma la vita.

In questi mesi, ho visto tante energie investite sul tema prescrizione. Allora, io auspico che la stessa energia possa essere investita dal Parlamento anche e soprattutto per sfide ancor più importanti. Dobbiamo ridurre la disoccupazione, proseguire nel percorso già avviato per contrastare la povertà, sconfiggere le mafie, tutelare l'ambiente, eccetera. Allora tutto ciò ci sia da palestra per grandi sfide a partire dalle imminenti riforme del processo civile e del processo penale (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Costa. Ne ha facoltà.

ENRICO COSTA (FI). Grazie, Presidente. Devo dire che comincio a chiedere una cosa non alla Presidenza quanto alla maggioranza. Sono passati tre mesi da quando il provvedimento si è incardinato. Noi chiediamo innanzitutto di consentirci di votare: volete respingerlo, respingetelo; volete astenervi, astenetevi; volete emendarlo, emendatelo; non gettate la palla in tribuna. Abbiate il coraggio delle vostre azioni. Io non so se il collega Dori, quando parlava di coloro che hanno votato in un certo modo nello “Spazzacorrotti” sulla prescrizione e oggi votano in modo diametralmente opposto, si riferisse, quando parlava di manica a vento del Partito Democratico, al Partito Democratico, che ha votato contro sullo “Spazzacorrotti”, presentando emendamenti soppressivi in materia di prescrizione. Noi li abbiamo condivisi, li abbiamo anche votati. Ricordo, se non sbaglio, che era relatore di minoranza proprio il collega Bazoli. Io ero relatore di minoranza per il centrodestra, lui era relatore di minoranza per il centrosinistra e abbiamo condiviso un percorso. Io non riconosco più il collega Bazoli: io l'ho ascoltato oggi. Devo dire che è passato non molto tempo e c'è stata una trasformazione e ho ascoltato le argomentazioni oggi che sono state addotte per giustificare una contorsione, per giustificare una conversione, per giustificare una convenienza, non certo per giustificare una convinzione. Infatti ricordo gli esponenti del Partito Democratico anche in Commissione. Li ricordo convinti, li ricordo determinati, li ricordo evidenziare come il provvedimento a loro giudizio fosse incostituzionale, adducendo la violazione dell'articolo 111, la violazione dell'articolo 27 della Costituzione, la violazione del diritto di difendersi, provando, perché, nel nostro processo, ti difendi, portando le prove, portando i testimoni e, più si dilata il tempo tra il momento del fatto e il momento del processo, più emergono i “non ricordo” e quindi è difficile difendersi, provando. Io ricordo queste argomentazioni da parte del Partito Democratico e ricordo i confronti. Ricordo anche la richiesta, appena nato il Governo giallo-verde, di rinviare l'entrata in vigore del provvedimento al 1° gennaio per fare prima che cosa? Per fare prima il disegno di legge delega.

Ricordo anche le dichiarazioni di tanti colleghi che condividevo. Ecco, invece, al dunque quando, insieme al gruppo che rappresento su questi temi, ho cercato di portare le proposte che loro facevano sulle agenzie di stampa, mi sono sentito dire: sei strumentale. La proposta di legge che oggi discutiamo è strumentale, è fatta per dividere la maggioranza. Allora, dico innanzitutto che questa proposta è stata presentata il 1° agosto 2019 vigente il Governo giallo-verde. Perché è stata presentata? Lo spiego. È stata presentata perché, quando Bonafede fece approvare lo “Spazzacorrotti”, andò a prevedere un'entrata in vigore differita perché si rendeva conto anche lui di quanto oggi nega il collega Dori; si rendeva conto che la prescrizione era collegata alla ragionevole durata del processo e riteneva necessario approvare prima una riforma acceleratoria del processo penale e ha fissato, colleghi, la data di entrata in vigore dopo un anno.

Arriviamo ad agosto e Bonafede comincia a far circolare le bozze di questa nuova proposta. Leggiamo le bozze e leggiamo che si tratta di una legge delega con esercizio della delega nel giro di un anno. Eravamo ad agosto, c'era il disegno di legge delega e ci siamo detti: non riesce a mantenere l'impegno, non riesce a verificarsi la condizione a cui era ancorata l'entrata in vigore differita. Presentiamo una proposta di legge e spieghiamo nella relazione le argomentazioni che vi ho fatto ora. Semplicemente, non si riesce a porre in essere una riforma del processo penale acceleratoria e quindi cancelliamo, abroghiamo, la riforma Bonafede. Questa è la ragione. Non c'è nulla di strumentale: non c'era ancora il Governo giallo-rosso. Quindi, io mi sarei aspettato anche una manifestazione di coraggio da parte dei colleghi del Partito Democratico, che dichiarano di pensare le stesse cose che pensiamo noi sul tema; una manifestazione di coraggio a maggior ragione oggi, quando, devo dire, mi pare che il MoVimento 5 Stelle non goda di una particolare salute da poter reagire e da poter piantare bandierine e da poter colpire al cuore il processo penale.

Guardate, noi abbiamo acceso i riflettori sul tema e non era facile e non era popolare farlo perché, rispetto a certa demagogia del marcire in galera, probabilmente la nostra posizione è più articolata e siamo contenti di essere giunti quantomeno ad affermare dei princìpi di civiltà giuridica. Guardate, noi non vogliamo dividere la maggioranza. Noi vorremmo un voto unanime, ci piacerebbe avere un voto unanime sul provvedimento, per sgombrare la scrivania da una bandierina che è ingombrante e non consentirà di fare dei passi avanti sui temi della giustizia.

E poi, confrontiamoci in quest'Aula, avviamo una grande sessione parlamentare sui temi della giustizia, ma prima cerchiamo di mettere da parte questo argomento divisivo, portato avanti da una minoranza della minoranza del Parlamento, che prima ha contagiato la Lega e dopo ha contagiato il Partito Democratico; sempre questa minoranza, senza che nessuno sia stato in grado di porre un argine, di porre un freno. Ora, per arrivare al punto di non votare il provvedimento, di non assumersi la responsabilità di votare l'emendamento soppressivo, o di votare magari, se ce ne sarà l'opportunità, a scrutinio segreto, lasciando i parlamentari liberi di esprimersi al di là delle casacche politiche, si parla del rinvio in Commissione: rinvio di cosa in Commissione? Avete fatto tutto quello che si poteva fare per cancellare la nostra proposta. Avete approvato un emendamento soppressivo con il voto decisivo della presidente della Commissione, che è venuta oggi in Aula come relatrice del MoVimento 5 Stelle ad argomentare non soltanto il fatto che c'era un emendamento soppressivo e quindi bisogna votare contro la proposta di legge Costa, ma a difendere la riforma Bonafede! Di questo se ne rendano conto i colleghi del Partito Democratico, che qui rinviare in Commissione il provvedimento significa blindare la riforma Bonafede: significa blindarla! Non nascondiamoci, non pensiamo che sia un passaggio procedurale: significa blindarla. Noi continueremo la nostra battaglia. Abbiamo, penso, riscosso un buon consenso sui temi, soprattutto perché abbiamo usato degli argomenti. Quali sono gli argomenti? Innanzitutto, partiamo da questo presupposto: ogni prescrizione è una sconfitta per lo Stato, ogni processo che si prescrive è una sconfitta per lo Stato, perché lo Stato non è stato in condizione di far fronte al suo dovere in tempi ragionevoli. Ma andiamo a vedere il panorama nel nostro Paese in cui si prescrivono i procedimenti, per esempio nelle corti d'appello, perché questo è il punto. Abbiamo delle corti d'appello dove si prescrive il 50 per cento dei procedimenti e abbiamo delle corti d'appello dove si prescrive il 3 per cento o il 5 per cento, alle medesime condizioni di organico e anche di presenza di criminalità. Quindi, significa che è un problema organizzativo, che una norma lineare come questa va probabilmente a colpire chi lavora bene e va a perdonare chi lavora meno bene. Guardate, io non lo nascondo e non l'ho mai nascosto: io non ho condiviso la “riforma Orlando”. Perché? Non l'ho condivisa perché già degli interventi in materia di prescrizione erano stati posti in essere in precedenza, perché erano aumentate le pene di molti reati e aumentando la pena si incide sulla prescrizione; perché erano stati posti in essere degli accorgimenti anch'essi che incidevano sui termini di prescrizione e perché comunque nel nostro Paese i tempi della prescrizione sono sufficientemente dilatati. Però, è chiaro che di fronte alla cancellazione e all'abrogazione dell'istituto della prescrizione la “riforma Orlando” è il male minore e, comunque, per il principio anche della continuità dell'azione del legislatore amministrativa, andiamo prima a vedere gli effetti di una riforma nelle singole corti d'appello prima d'intervenire con una drastica abrogazione di quella riforma. È un processo ragionevole, ma qui si vuole qualcosa di più.

Guardate, mi ha colpito molto una magistrata che è stata audita in Commissione su indicazione del MoVimento 5 Stelle, che ha detto: “Sì, perché per far andare i procedimenti in prescrizione ci sono le tecniche dilatorie della difesa”. Allora, premesso che il 65 per cento delle prescrizioni interviene durante le indagini preliminari dove la difesa non tocca palla, però abbiamo chiesto: “Scusi, ci può spiegare quali sono queste tecniche dilatorie?”. “L'appello”, la risposta. Dunque, l'appello è considerato una tecnica dilatoria della difesa, quando il 48 per cento degli appelli riforma in tutto o in parte le sentenze di primo grado: il 48 per cento. Quindi, l'appello ha un ruolo fondamentale, un ruolo di controllo e noi consideriamo l'appello una tecnica dilatoria. Il consigliere del CSM Davigo ha usato più o meno gli stessi argomenti. Sì, perché c'è una tendenza da parte di alcuni a pensare comunque che se qualcuno viene coinvolto in un procedimento penale ed è chiamato a rispondere penalmente, anche se viene assolto, però qualcosa ha fatto. Ho sentito dire che coloro che ottengono l'indennizzo per ingiusta detenzione in gran parte sono colpevoli che l'hanno fatta franca. Ebbene, noi non la pensiamo così. Noi pensiamo che i principi di civiltà giuridica e la cultura liberale debbano garantire a ciascuno di potersi difendere in un procedimento penale e respingano le tesi del processo mediatico. L'allungamento dei tempi determinato dalla prescrizione - tempi a dismisura - è collegato a quello che è il processo mediatico, ma il processo mediatico non è, forse, una scelta bensì è frutto di quello che accade ai nostri tempi, dove c'è il titolo del giornale, dove c'è la conferenza stampa degli inquirenti. Naturalmente, non partecipa la difesa alla conferenza stampa degli inquirenti.

C'è un atto d'accusa ed è quella l'impronta che rimane sulla persona e questo è il titolo del giornale. Se poi l'assoluzione arriva dopo quindici anni è difficile comunque cancellare quell'impronta del processo mediatico, cancellare magari le intercettazioni che sono state diffuse addirittura nel loro audio, cancellare quei filmati confezionati dalla polizia giudiziaria e mandati in rete. Ebbene, guardate, questi sono elementi molto significativi sui quali riflettere e, quindi, per questo noi abbiamo concentrato la nostra attenzione su questo tema, che non è soltanto la bandierina di Bonafede, ma significa far cedere tutto un assetto del processo penale, che certamente va migliorato, ma va migliorato aggiustando il motore della macchina, non tagliando i freni, perché se tu tagli i freni con una riforma raffazzonata e semplificata probabilmente acceleri per qualche metro, ma rischi di schiantarti; e noi dobbiamo fare in modo che il nostro sistema penale tenga e possa essere migliorato e su questo c'è certamente il nostro consenso a operare.

Ci tenevo veramente oggi a dimostrare e a spiegare la non strumentalità della nostra proposta, perché anche da parte dei partiti della maggioranza ci possa essere una disponibilità in questo senso. Inoltre, mi sento anche di ringraziare quella parte della maggioranza che ha dato una disponibilità al confronto e al voto favorevole. Lo ha fatto con coraggio, lo ha fatto con coraggio perché ha argomentato le proprie scelte sui principi, sui principi liberali, sui principi costituzionali. Quindi, auspico veramente che ci sia la possibilità, da domani, di discutere nel merito. Sarebbe un vero peccato se si riducesse tutto a una questione procedurale.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - A.C. 2059-A)

PRESIDENTE. Prendo atto che la relatrice, onorevole Francesca Businarolo, e il rappresentante del Governo rinunciano alle repliche.

Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Ordine del giorno della prossima seduta.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.

Martedì 28 gennaio 2020 - Ore 9,30:

1. Comunicazioni del Ministro della giustizia sull'amministrazione della giustizia, ai sensi dell'articolo 86 del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, come modificato dall'articolo 2, comma 29, della legge 25 luglio 2005, n. 150.

(ore 15)

2. Seguito della discussione delle mozioni Enrico Borghi, Federico, Marco Di Maio, Fornaro, Plangger ed altri n. 1-00312, Parolo ed altri n. 1-00316, Lollobrigida ed altri n. 1-00317 e Vietina ed altri n. 1-00318 concernenti iniziative per la salvaguardia, la valorizzazione e lo sviluppo delle aree interne, rurali e montane .

3. Seguito della discussione della proposta di legge:

COSTA ed altri: Modifiche alla legge 9 gennaio 2019, n. 3, in materia di prescrizione del reato. (C. 2059-A)

Relatrice: BUSINAROLO.

4. Seguito della discussione della proposta di legge:

DORI ed altri: Modifiche al codice penale, alla legge 29 maggio 2017, n. 71, e al regio decreto-legge 20 luglio 1934, n. 1404, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 maggio 1935, n. 835, in materia di prevenzione e contrasto del fenomeno del bullismo e di misure rieducative dei minori. (C. 1524-A)

e dell'abbinata proposta di legge: MELONI ed altri. (C. 1834)

Relatrice: D'ORSO.

5. Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge:

BRAMBILLA; SCHULLIAN ed altri; SCHULLIAN ed altri; SCHULLIAN ed altri; GEBHARD ed altri; MOLTENI ed altri; COMAROLI ed altri; BALDELLI ed altri; GUSMEROLI ed altri; DE LORENZIS ed altri; PAGANI e PIZZETTI; BERGAMINI; CROSETTO; MULE' ed altri; GADDA ed altri; MELONI e LOLLOBRIGIDA; FRASSINI ed altri; MACCANTI ed altri; SCAGLIUSI ed altri; VINCI ed altri; VINCI ed altri; BUTTI ed altri; ZANELLA ed altri; D'INIZIATIVA DEL CONSIGLIO REGIONALE DEL PIEMONTE: Modifiche al codice della strada.

(C. 24-192-193-219-234-264-367-681-777-1051-1113-1187-1234-1245-1348-1358-1364-1366-1368-1399-1400-1601-1613-1801-A)

Relatori: DE LORENZIS e DONINA.

La seduta termina alle 19,30.