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Resoconto dell'Assemblea

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XVIII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 256 di lunedì 11 novembre 2019

PRESIDENZA DELLA VICEPRESIDENTE MARIA ROSARIA CARFAGNA

La seduta comincia alle 14.

PRESIDENTE. La seduta è aperta.

Invito la deputata segretaria a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

FEDERICA DAGA , Segretaria, legge il processo verbale della seduta del 7 novembre 2019.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Amitrano, Ascani, Azzolina, Battelli, Benvenuto, Boccia, Boldrini, Bonafede, Claudio Borghi, Boschi, Brescia, Buffagni, Cancelleri, Castelli, Cirielli, Colucci, D'Incà, D'Uva, De Micheli, Delmastro Delle Vedove, Delrio, Di Stefano, Ferraresi, Fioramonti, Gregorio Fontana, Fraccaro, Franceschini, Frusone, Gallinella, Gelmini, Giaccone, Giachetti, Grande, Grimoldi, Guerini, Invernizzi, L'Abbate, Liuni, Liuzzi, Lollobrigida, Lorefice, Losacco, Mauri, Molinari, Morassut, Muroni, Orrico, Parolo, Patassini, Quartapelle Procopio, Rosato, Ruocco, Saltamartini, Scalfarotto, Carlo Sibilia, Francesco Silvestri, Sisto, Spadafora, Spadoni, Speranza, Tofalo, Traversi, Vignaroli, Villarosa, Raffaele Volpi e Zoffili sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.

I deputati in missione sono complessivamente settantadue, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna).

Trasmissione dal Senato di un disegno di legge di conversione e sua assegnazione a Commissioni in sede referente .

PRESIDENTE. La Presidente del Senato, con lettera in data 8 novembre 2019, ha trasmesso alla Presidenza il seguente disegno di legge, che è stato assegnato, ai sensi dell'articolo 96-bis, comma 1, del Regolamento, in sede referente, alle Commissioni riunite I (Affari costituzionali) e IX (Trasporti):

S. 1570. - "Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 21 settembre 2019, n. 105, recante disposizioni urgenti in materia di perimetro di sicurezza nazionale cibernetica" (approvato dalla Camera e modificato dal Senato) (2100-B) - Parere delle Commissioni IV e V.

Il suddetto disegno di legge, ai fini dell'espressione del parere previsto dal comma 1 del predetto articolo 96-bis , è stato altresì assegnato al Comitato per la legislazione.

In morte dell'onorevole Maria Coscia.

PRESIDENTE. Comunico che è deceduta l'onorevole Maria Coscia, già membro della Camera dei deputati nella XVI e XVII legislatura.

La Presidenza della Camera ha già fatto pervenire ai familiari le espressioni della più sentita partecipazione al loro dolore, che desidera ora rinnovare anche a nome dell'Assemblea.

Discussione della proposta di legge: Ciprini ed altri: Modifiche al titolo VI del decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1967, n. 18, in materia di personale assunto a contratto dalle rappresentanze diplomatiche, dagli uffici consolari e dagli istituti italiani di cultura (A.C. 1027-A).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge n. 1027-A: Modifiche al titolo VI del decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1967, n. 18, in materia di personale assunto a contratto dalle rappresentanze diplomatiche, dagli uffici consolari e dagli istituti italiani di cultura.

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta del 7 novembre 2019 (Vedi l'allegato A della seduta del 7 novembre 2019).

(Discussione sulle linee generali – A.C. 1027-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Avverto che il presidente del gruppo parlamentare MoVimento 5 Stelle ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento. Avverto, altresì, che la XI Commissione (Lavoro) si intende autorizzata a riferire oralmente. Ha facoltà di intervenire la relatrice, onorevole Ciprini.

TIZIANA CIPRINI, Relatrice. Grazie, Presidente. Gentili colleghi, l'approdo in Aula di questo provvedimento, che apporta modifiche al Titolo VI del decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1967, n. 18, in materia di personale assunto a contratto dalle rappresentanze diplomatiche, dagli uffici consolari e degli istituti italiani di cultura, è un motivo di soddisfazione per me e per la Commissione lavoro.

Il presente provvedimento è frutto di un lavoro rilevante, con il quale si è voluto affrontare e approfondire alcuni temi particolarmente importanti, riguardanti il personale assunto a contratto dalle rappresentanze diplomatiche, dagli uffici consolari e degli istituti italiani di cultura, e recepisce anche alcune indicazioni emerse con il confronto con le organizzazioni sindacali.

Da sempre le missioni diplomatiche e gli uffici consolari hanno avvertito l'esigenza, per svolgere le proprie funzioni in Paesi lontani e diversi per usi e cultura, di avvalersi di personale esperto in abitudini e lingua del Paese ospitante. La disciplina del personale a contratto presso la nostra rete all'estero è stata soggetta, nel corso degli anni, a numerose modifiche, in concomitanza con l'evoluzione dell'assetto giuridico della nostra amministrazione.

Al fine di orientarsi nella materia, occorre innanzitutto tenere presente i principi sanciti dalla legge di delega legislativa al Governo del 1999, che in particolare ha unificato la disciplina del personale assunto localmente dalle rappresentanze diplomatiche, dagli uffici consolari e degli istituti italiani di cultura all'estero, e ha stabilito la stipula dei contratti sulla base degli ordinamenti e degli Stati di accreditamento, assicurando uno standard minimo di trattamento nei casi e per le materie in cui le previsioni della normativa locale sì rilevino inesistenti o insufficienti.

Il decreto legislativo 7 aprile 2000, n. 103, ha dettato dunque l'attuale disciplina degli impiegati a contratto, novellando il Titolo VI del DPR n. 18 del 1967. In virtù di queste norme, i nuovi contratti di assunzione devono essere stipulati secondo la legge locale, ferme restando alcune condizioni minime di trattamento.

Nel contempo, continuano a essere regolati dalla legge italiana i rapporti di impiego del personale di nazionalità italiana, che, all'entrata in vigore del decreto legislativo n. 103 del 2000, era in servizio con contratto a tempo indeterminato regolato dalla legge italiana o che ha potuto optare per esso, ai sensi del medesimo decreto legislativo.

Il personale a contratto è, quindi, oggi suddiviso in due principali categorie: quella degli impiegati con contratto di diritto locale e quella, ad esaurimento, degli impiegati con contratto di diritto italiano. Entrambe le categorie di impiegati a contratto presso gli uffici della rete diplomatico-consolare e gli istituti italiani di cultura sono comprese in un contingente complessivo attualmente fissato dalla legge in 2.920 unità, per effetto dell'incremento stabilito dapprima dalla legge di bilancio per il 2019 e poi recentemente aumentato dal decreto-legge n. 22 del 2019, al fine di migliorare i servizi consolari forniti ai cittadini e alle imprese.

A tal proposito, appare condivisibile e auspicabile un'iniziativa del Governo, anche per la prossima legge di bilancio, tesa ad incrementare ulteriormente il contingente del personale a contratto che può essere assunto nelle sedi all'estero, che consentirà di migliorare i servizi ai cittadini e alle imprese all'estero, nonché di fornire adeguato supporto alle attività di promozione della cultura e dell'immagine del Paese.

Per questa ragione il dibattito che si svolge oggi è particolarmente importante, poiché il provvedimento in esame cerca di dare una risposta all'esigenza di contrastare alcune condizioni di fragilità dei lavoratori dipendenti assunti a contratto dalle rappresentanze diplomatiche, dagli uffici consolari e dagli istituti italiani di cultura, e di riconoscere e valorizzare il loro prezioso supporto nell'ambito di tutte le numerose attività e servizi resi dalla rete diplomatica consolare italiana.

Quanto al contenuto della proposta di legge, rilevo che essa, modificata in sede referente dalla Commissione lavoro, si compone di un solo articolo e contiene disposizioni, riguardanti il personale assunto a contratto dalle sedi diplomatiche italiane all'estero, volte a garantire in particolare una maggiore adeguatezza del trattamento retributivo del suddetto personale. Osservo che la legge di bilancio per l'anno 2019, a dimostrazione dell'attenzione del Governo in materia, aveva già stabilito un incremento di 400 mila euro, a decorrere dal 2019, dell'autorizzazione di spesa riguardante l'adeguamento della retribuzione del personale a contratto presso le rappresentanze diplomatiche, gli uffici consolari di prima categoria e gli istituti italiani di cultura. Auspichiamo che anche per l'anno prossimo, con l'imminente legge di bilancio per l'anno 2020, si provvederà a stanziare le ulteriori risorse necessarie all'adeguamento delle retribuzioni.

Esaminando l'articolo 1, esso modifica alcune disposizioni del DPR n. 18 del 1967, concernente l'ordinamento dell'Amministrazione degli affari esteri, e dispone: in particolare, alle lettere a) e b), vengono introdotte modifiche agli articoli 152 e 153 del DPR n. 18/1967, prevedendo la possibilità di assumere impiegati con contratto a legge locale anche per le delegazioni diplomatiche speciali, con conseguente miglioramento di efficienza e tempestività nell'erogazione dei servizi di assistenza a cittadini e imprese, in riferimento a delegazioni diplomatiche speciali e alla nostra rappresentanza a Taiwan.

La lettera d) introduce una disposizione che integra il comma 3 dell'articolo 155 (“Requisiti e modalità per l'assunzione”), prevedendo che le graduatorie in esito alle prove di esame abbiano validità per 18 mesi dalla data di approvazione, in coerenza con la specificità della categoria e delle procedure per l'assunzione stabilite dalla legge.

La lettera e) sostituisce l'articolo 157 del DPR n. 18 del 1967, apportando modifiche alla procedura di revisione della retribuzione annua, con un maggiore coinvolgimento delle rappresentanze sindacali, e si rendono più definiti i parametri oggettivi per la determinazione della retribuzione. Qui spendo qualche parola di approfondimento perché quello retributivo è sicuramente l'aspetto più delicato, dal momento che questa pluralità di norme ha creato una disparità di trattamento retributivo tra dipendenti dello stesso livello con contratto regolato dalla legge italiana rispetto a quelli con contratto regolato dalla legge locale. Tra l'altro, il livello retributivo di questi ultimi non appare, a volte, idoneo e adeguato al costo della vita del posto dove esercitano l'attività lavorativa. Il livello delle retribuzioni e la loro disparità hanno generato un importante contenzioso, che ha sempre avuto esiti sfavorevoli per i ricorrenti, dal momento che la normativa attuale riconduce la possibilità di adeguamento delle retribuzioni al potere discrezionale del Ministero degli Affari esteri. Questa questione è stata oggetto anche di alcune inchieste giornalistiche, ad esempio il Times of India ha riportato la notizia che l'ambasciata italiana a Nuova Delhi era stata chiamata a rispondere alla giustizia per discriminazione razziale ed etnica, per ragioni legate alla differenza retributiva tra dipendenti con cittadinanza italiana e indiana. Ecco perché la norma proposta modifica i parametri sulla base dei quali è fissata la retribuzione del contratto individuale, nel senso che il riferimento al valore delle retribuzioni corrisposte da altri Paesi ai propri dipendenti per compiti assimilabili a quelli svolti dagli impiegati non sia più considerato il parametro principale per la determinazione della retribuzione annua del personale a contratto, come previsto, invece, dalla normativa vigente, ma venga valutato alla stregua degli altri parametri, ossia le condizioni del mercato del lavoro locale e il costo della vita.

Sul punto, inoltre, la proposta in esame dispone che le retribuzioni assunte come riferimento debbano comprendere anche tutti gli elementi aggiuntivi rispetto alla retribuzione base. Per tali finalità il Ministero degli Affari esteri si avvale di agenzie specializzate a livello internazionale, tenendo anche conto delle indicazioni fornite annualmente dalle organizzazioni sindacali. Anche la revisione delle retribuzioni dovrà tener conto dei nuovi parametri, mentre viene specificato che il ricorso al pagamento delle retribuzioni in valuta diversa da quella locale sarà possibile in presenza di particolari motivi e tenuto conto di particolari situazioni di instabilità valutaria esistenti nel Paese. Sulla base di tali elementi e tenuto anche conto delle indicazioni fornite annualmente dalle organizzazioni sindacali, la direzione generale del personale fissa per ciascuna delle tre mansioni, concetto, esecutive e ausiliarie, una base retributiva che sarà applicata a tutto il personale in servizio nello stesso Paese, anche di nuova assunzione.

Allo stato attuale i dati relativi alle retribuzioni corrisposte dalle altre rappresentanze diplomatiche e organizzazioni internazionali operanti in loco vengono trasmessi ai competenti uffici centrali del MAECI dall'ambasciata competente per territorio, unitamente alla richiesta di aumento. Le rappresentanze straniere considerate variano a seconda dei dati che la sede interessata riesce a reperire. La nuova disposizione, introducendo la possibilità per il Ministero degli Affari esteri di avvalersi per le finalità previste dalla norma di agenzie specializzate a livello internazionale, permette di rendere più equi e obiettivi i parametri che stanno alla base della valutazione degli adeguamenti retributivi, basando l'esercizio su criteri omogenei per tutte le sedi e sottraendo, di conseguenza, la rilevazione dei parametri alla discrezionalità della singola ambasciata e alle criticità più volte rappresentate circa l'ottenimento di tali informazioni da parte delle altre rappresentanze in loco.

La proposta emendativa modifica, dunque, l'articolo 157, comma 4, del DPR n. 18 del 1967, ristabilendo il principio della corresponsione in valuta locale della retribuzione del personale a contratto in servizio in tutti i Paesi, fatte salve situazioni particolari. La ratio è garantire agli impiegati una retribuzione stabile in termini di potere d'acquisto nel Paese dove gli interessati vivono stabilmente, non soggetta, dunque, all'oscillazione dei tassi di cambio. Le eventuali eccezioni consentite dalle disposizioni normative a maggior tutela del personale interessato riguardano i Paesi con valute eccessivamente volatili o in condizioni economico-istituzionali particolarmente instabili.

La lettera f) sostituisce l'articolo 157-sexies modificando in maniera più favorevole al lavoratore il regime di assenze dal servizio per sanare una discriminazione non giustificabile fra il personale con contratto regolato dalla legge locale e la categoria ad esaurimento costituita dagli impiegati a contratto assunti a legge italiana. Ad esempio, la nuova disposizione stabilisce, in merito alle assenze per malattia, che il dipendente con contratto a tempo indeterminato ha diritto all'intera retribuzione per i primi 90 giorni in luogo degli attuali 45.

La lettera g) sostituisce l'articolo 159 del DPR n. 18 del 1967 prevedendo due possibilità per l'impiegato che effettua un viaggio di servizio: rimborso di spese di trasporto, vitto e alloggio; oppure, previa esplicita richiesta, rimborso spese di trasporto più indennità giornaliera. Ogni viaggio di servizio resta sempre subordinato all'espressa autorizzazione del capo missione.

La lettera h) sostituisce il quarto comma dell'articolo 164 del DPR n. 18 del 1967, prevedendo una più articolata disciplina del procedimento disciplinare, conferendo modo, chiarezza e certezza al procedimento disciplinare, ossia introducendo termini perentori per l'avvio e la conclusione del procedimento: trenta giorni per la contestazione, venti giorni più eventualmente altri venti per le giustificazioni scritte dall'impiegato e termine massimo per la conclusione del procedimento di 120 giorni.

La lettera i) aggiunge un terzo comma all'articolo 166 del DPR già richiamato. Essa introduce una nuova ipotesi di risoluzione del contratto da parte del datore di lavoro senza preavviso in caso di gravi violazioni dei doveri di cui all'articolo 142 del DPR n. 18 del 1967, con particolare riferimento a comportamenti che possono porre in pericolo la sicurezza.

È presente, infine, la clausola di invarianza finanziaria, in quanto gli adeguamenti delle retribuzioni dei contrattisti, in base al nuovo articolo 157 del DPR n. 18, dovranno essere rifinanziati annualmente con apposito stanziamento da inserire in legge di bilancio, come peraltro è accaduto già nella passata legge di bilancio.

Dunque, le nuove disposizioni arricchiscono di ulteriori tutele la disciplina dei lavoratori assunti a contratto dalle rappresentanze diplomatiche, dagli uffici consolari e dagli istituti italiani di cultura, tutele che, purtroppo, in alcuni casi si sono mostrate insufficienti per i lavoratori il cui ruolo prezioso ha bisogno di essere riconosciuto e valorizzato in maniera adeguata, poiché sono chiamati a fornire un supporto non solo al buon andamento degli uffici delle rappresentanze diplomatico-consolari ma anche a tutte le attività di promozione della cultura e dell'immagine del Paese svolte dalla nostra rete diplomatico-consolare.

In conclusione, il provvedimento in esame pone rimedio a una normativa che ha creato in alcuni casi disparità tra i lavoratori e lacune di tutele, come hanno rappresentato anche alcune inchieste giornalistiche di cui ho dato esempio. Crediamo che gli obiettivi perseguiti rispondano alle esigenze di eliminare tali discriminazioni, adeguare al rialzo i trattamenti e le tutele per i contrattisti che, come abbiamo visto, sono soggetti a un mix tra legge locale del Paese ove lavorano e alcune norme italiane di natura imperativa e, dunque, dare dignità a questi lavoratori e in tal senso questo provvedimento rappresenta un tassello importante.

Per tali motivi auspichiamo, quindi, che tale proposta trovi un consenso trasversale tra tutti gli schieramenti politici, poiché incide in maniera positiva ed espansiva sui diritti di tutto il personale assunto a contratto dalle rappresentanze diplomatiche, dagli uffici consolari e dagli istituti italiani di cultura.

PRESIDENTE. Prendo atto che la rappresentante del Governo si riserva di intervenire successivamente.

È iscritta a parlare l'onorevole Murelli. Ne ha facoltà.

ELENA MURELLI (LEGA). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, con il provvedimento di oggi chiudiamo finalmente la prima parte dell'iter di un intervento normativo da tempo atteso per regolare la posizione del personale assunto a contratto. La proposta di legge in esame contiene disposizioni riguardanti il personale assunto a contratto dal Ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale destinato alle sedi diplomatiche italiane all'estero, agli uffici consolari e agli istituti italiani di cultura, ed è volta a garantire, in particolare, una maggiore adeguatezza del trattamento retributivo del suddetto personale. L'intervento normativo si rende necessario al fine di armonizzare le norme italiane con le disposizioni straniere e le disposizioni convenzionali oltre che con norme del diritto internazionale pubblico che si sovrappongono in materia di personale assunto a contratto dalle rappresentanze, appunto, diplomatiche, consolari e dagli istituti italiani di cultura.

I cosiddetti “contrattisti” sono persone a cui si ricorre sia per ragioni di costo sia per sfruttare qualità professionali che possono essere più difficili da reperire sul proprio territorio nazionale, proprio perché conoscono direttamente il Paese dove si trova l'ambasciata o il consolato. Attualmente, lo statuto degli impiegati assunti a contratto dalle rappresentanze diplomatiche, dagli uffici consolari e dagli istituti di cultura all'estero è disciplinato al Titolo VI, articoli 152-167, del DPR 5 gennaio 1967, n. 18, recante “Ordinamento dell'amministrazione degli affari esteri”. La proposta della collega Ciprini ha modificato alcune disposizioni del DPR n. 18 del 1967, disponendo alcune disposizioni in modo garantista per il contrattista e andando a ridurre la competitività di queste figure rispetto a quelle reperibili in Italia. Infatti, in merito alla retribuzione si prevede che le modifiche contrattuali anche a carattere economico riguardanti il predetto personale e apportate dalle rappresentanze diplomatiche siano concordate attraverso accertamenti periodici in accordo con le rappresentanze sindacali. A nostro avviso qui, come riportato in audizione dell'ambasciatore Varriale, era meglio continuare a sentire le rappresentanze sindacali per non creare situazioni ingestibili specialmente per l'interpretazione delle norme e aumentare le cause per mancato aggiornamento del contratto.

Per quanto riguarda la parte retributiva, nella proposta di legge in esame il riferimento al valore delle retribuzioni corrisposte da altri Paesi ai propri dipendenti non è più considerato il parametro principale per la determinazione della retribuzione annua del personale a contratto, come previsto, invece, nella normativa vigente, ma viene valutato alla stregua di altri parametri, ossia sulle condizioni del mercato del lavoro locale e del costo di vita. Sul punto, inoltre, la proposta in esame dispone che le retribuzioni assunte come riferimento debbano comprendere anche tutti gli elementi aggiuntivi rispetto alla retribuzione di base. Per tale finalità, come sottolineato nell'audizione, è necessario che il Ministro degli Affari esteri si avvalga di agenzie specializzate nei diversi Paesi e, tuttavia, non viene specificato quali agenzie. Infine, la suddetta retribuzione annua è suscettibile di revisione in relazione anche alla crescita media delle retribuzioni del mercato del lavoro locale e può essere corrisposta in valuta diversa da quella locale in caso di particolari situazioni di instabilità valutaria esistenti nel Paese.

Nel provvedimento al nostro esame si sottolinea che le retribuzioni offerte dovranno essere adeguate all'obiettivo di assumere personale qualificato ed essere comunque omogenee per Paese e mansione di riferimento. Si sta apparentemente cercando di rendere le condizioni di prestazione del lavoro dei contrattisti più simili a quelle riconosciute al personale impiegatizio di ruolo; tuttavia, questo implicherà, a nostro avviso, almeno una conseguenza inevitabile: la contrazione del numero di persone che sarà possibile assumere, riducendo le risorse destinate all'espletamento di funzioni critiche per il funzionamento di qualsiasi sede diplomatica o consolare, andando, quindi, a ridurre ancora di più l'investimento italiano in politica estera. Infine, abbiamo delle riserve anche sulla questione del rimborso spese che si è deciso di erogare forfettariamente anziché piè di lista, documentando le spese effettivamente sostenute, come si fa in qualsiasi azienda privata.

In audizione è emerso, poi, il problema fiscale, perché la norma OCSE di riferimento non viene interpretata in maniera univoca nei diversi Paesi, come, per esempio, rimane aperto ancora il conflitto di doppia tassazione con la Danimarca. Analoghi problemi sorgono in tema previdenziale, in quanto si cerca di applicare la legge italiana per il personale diplomatico italiano, mentre per i contrattisti non italiani si interviene, se lo chiedono, o direttamente o con assicurazioni locali.

Questi sono temi importantissimi che rimangono aperti, certo non si possono risolvere solo in Italia o solo con una proposta di legge, ma riteniamo che se si vuole intervenire in campo diplomatico si debba farlo con una visione, iniziando a risolvere problemi aperti da anni. Ci sembra assurdo che il bilancio della Farnesina diminuisca sempre di più e da quando c'è il Ministro degli esteri Di Maio non si ponga attenzione a tematiche come quelle di questo provvedimento o, forse, lo capiamo attraverso un interessante articolo di Startmag, che ci fornisce un piccolo retroscena sfuggito ai più. Quando Luigi Di Maio è stato nominato Ministro, la prima versione dell'annuncio da parte dell'agenzia “Nuova Cina” parlava di una “scelta insolita” e di un Ministro che non si è mai laureato, ha competenze linguistiche molto limitate e ha mostrato scarso interesse per le questioni globali nella vita pubblica.

Poi, dopo qualche ora e, magari, una telefonata dell'ambasciata di Roma a Pechino o di Pechino a Roma, queste righe sono state cancellate, ma il fatto che siano state pubblicate è piuttosto chiaro.

In questi anni, il bilancio della Farnesina è andato sempre più scemando e questo Governo ha proprio le premesse per non avere letteralmente una politica estera, quando, invece, in questo momento, sarebbe più che necessaria. Secondo alcuni economisti, quando l'Italia era “l'Italietta”, così veniva chiamata, della Prima Repubblica, aveva una sua politica estera, giusta o sbagliata che fosse: pur essendo stretti e fedeli alleati degli Stati Uniti cercavamo di condurre una politica equilibrata, dialogando con i Paesi arabi e anche con il grande nemico, l'URSS, oggi Russia. Questa era la facilità della complessità della politica italiana, fatta di diverse forze contrapposte, ma che permettevano comunque e sempre di avere delle controparti con cui dialogare. Tuttavia, ora, oggi, cosa siamo, come siamo considerati nel mondo? Nulla; solo paura e sottomissione all'Europa o, meglio, alla Francia e alla Germania. Se un Paese ha una posizione politica, questa può essere più o meno gradita dai suoi partner, per cui l'accoglienza può essere più o meno positiva secondo la complementarietà delle parti; il nuovo Governo è stato accolto, invece, almeno in apparenza, in modo entusiastico da tutti i Paesi europei che pretendono di contare per ora e anche dai mercati; questo perché si dà per scontato che l'Italia non abbia una politica estera autonoma e che sarà semplicemente il fedele esecutore di ordini di altri.

Ci sono sul tavolo estero tematiche molto forti, oltre il tema dell'immigrazione, la Libia, la Francia, i vari casi di sconfinamento, dalle frontiere marittime al Monte Bianco, il 5G, tutte sfide che necessiterebbero una guida molto forte, con un obiettivo preciso e di lunga visione e la capacità di perseguire degli obiettivi nazionali. Non abbiamo, ovviamente, nessun interesse nel rompere la nostra tradizionale alleanza con gli Stati Uniti, ma nello stesso tempo dovremmo proseguire con le nostre buone relazioni con la Russia, mentre con la Cina si può instaurare una relazione equilibrata, naturalmente sempre prendendo le nostre massime cautele e tutelando le nostre aziende, non quelle degli altri Paesi. Invece, quello che si prospetta è un Governo che dirà “sì” a tutto e a tutti, come si vede, una guida confusa e altalenante, esattamente quello di cui non avremmo sicuramente bisogno.

Concludo, dicendo che, purtroppo, a causa della presenza dei motivi sopra esposti, in sede di Commissione lavoro, la Lega ha annunciato il proprio voto d'astensione, orientamento che verrà confermato anche in quest'Aula, in assenza di concrete migliorie al provvedimento. Non vi preoccupate, anche dall'estero, quando andremo alle elezioni, si ricorderanno della disattenzione di questo Governo sulla politica estera e faranno come in Umbria e presto lo faremo anche in Emilia Romagna (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Migliore. Ne ha facoltà.

GENNARO MIGLIORE (IV). Signora Presidente, intervengo in discussione generale in merito a questo provvedimento come componente della Commissione esteri e non della Commissione referente che è la Commissione lavoro e, in premessa, voglio dire il motivo per il quale abbiamo effettuato questa scelta, dopo un'attenta ponderazione, e cioè che, probabilmente, dovremmo recuperare, come Camera - e, infatti, in questo senso mi rivolgo a lei direttamente -, nella assegnazione delle competenze per Commissione, questa dimenticanza; non c'è stata, ovviamente, nessuna responsabilità specifica, però, così come avviene per altre rappresentanze di lavoratori che vanno direttamente nelle Commissioni di merito, i lavoratori della giustizia vanno in Commissione giustizia, i lavoratori del comparto delle forze di polizia e dei prefetti in I Commissione, quelli della difesa, ovviamente, nella Difesa e così via, per quanto riguarda il personale delle sedi diplomatiche sarebbe opportuno rivedere questo aspetto, in modo tale che si possa consentire alla Commissione di merito – peraltro, è presente il Governo con il Ministero degli esteri - una trattazione più organica da parte della nostra Commissione.

Per venire al merito, invece, del provvedimento, ritengo che questo opportunamente produce una innovazione rispetto a quella norma generale del 1967, il decreto del Presidente della Repubblica che era stato citato anche dalla relatrice, in relazione a un aggiornamento di quelle che sono le condizioni di lavoro nelle quali si trovano, cerco di non andare a memoria, 2.642 impiegati a contratto, di cui 2.022 a contratto locale e 620 a contratto italiano. La sperequazione che si era determinata per alcuni trattamenti ha portato ad un'opportuna revisione che noi salutiamo con favore, perché va nella direzione di attuare, innanzitutto, due principi: il primo, è quello di una sostanziale definizione di un rapporto più stringente e continuativo con le rappresentanze sindacali, quindi, con gli interlocutori che rappresentano i lavoratori; il secondo è che si dispone ad avere un trattamento più favorevole nei confronti del lavoratore anche perché i vari pronunciamenti di tipo giurisdizionale erano stati tutti a sfavore dei lavoratori, perché la norma era costruita in modo da non poter consentire, anche al Ministero, di andare in una direzione a loro più favorevole.

Per questo motivo, è opportuno introdurre un principio come quello del costo della vita per chi lavora in sedi lontane, certamente anche prestigiose, perché la carriera diplomatica, quantunque vada assegnata e vada intrapresa come carriera non definitiva della propria vita, presuppone comunque una necessità di adattamento alle condizioni che vigono nel Paese ospitante così come anche una serie di attenzioni sia in materia di trattamento sanitario o in relazione al mantenimento del posto di lavoro, che protrae fino a trecento giorni la possibilità di vedere il mantenimento della propria attività lavorativa, sulla base, ovviamente, di comprovate e motivate esigenze.

Questo, per dire che siamo di fronte - a differenza di quanto diceva, prima di me, la collega della Lega - ad un provvedimento positivo che, in qualche modo, non può giustificare, nella pur legittima dialettica delle posizioni politiche, un giudizio che andrebbe contro l'evidenza dei fatti.

Mi riferisco al fatto che si tratta di una richiesta che proviene direttamente da questi lavoratori e dalle loro rappresentanze sindacali. Quindi, disporsi favorevolmente a questo voto vuol dire avere una relazione con queste persone volta a valorizzarle e a considerarle parti integranti del nostro sistema Paese; utilizzarli per fare una polemica politica che potrebbe essere realizzata in altre sedi, francamente, è anche un torto che si fa a questi lavoratori, che aspettano da tempo un aggiornamento di questa normativa.

È per questo motivo che, in questa sede, non mi diffonderò nella valutazione della nostra politica estera, peraltro impegnata su più fronti e, credo, anche con dei punti sui quali dovremmo costantemente cercare un aggiornamento; ma, certamente, ritenere che ci possa essere, su ogni argomento, una strumentalizzazione di coloro i quali fanno parte del nostro apparato, del nostro sistema Paese per un puro gusto di polemica politica lo considero un arretramento anche nella cultura istituzionale che oggi noi dovremmo esibire sia come organismo parlamentare, sia come rappresentanze politiche.

Ciascuno è libero, ovviamente, di fare le proprie valutazioni; io, onestamente, ritengo che la nostra politica estera debba essere sempre equilibrata, che l'equilibrio corrisponde alla tutela dei nostri interessi, a partire dagli interessi di chi la consente, cioè gli uomini e le donne che sono impegnati nella nostra amministrazione, e che l'equilibrio vada inteso come uno strumento di affermazione del nostro legittimo interesse nazionale e di una proposta che veda il nostro Paese sempre più proattivo nell'implementazione di quelle funzioni - penso, per esempio, alla promozione culturale del nostro Paese, agli istituti di cultura italiana, che, comunque, sono un fiore all'occhiello e di cui parliamo all'interno di questo provvedimento, attraverso i lavoratori che vi partecipano - come uno dei punti su cui investire di più.

Certo, il nostro equilibrio non riguarda interscambi, cointeressamenti con altri Paesi stranieri, anzi, quelli - lo ricordo per memoria, perché ne stiamo discutendo - saranno oggetto di un'indagine parlamentare. Per noi il rapporto con altre potenze e altri Paesi non potrà mai essere quello che alcuni hanno utilizzato per modificare in profondità, probabilmente, l'opinione pubblica e, magari, anche qualche risultato elettorale. Per noi l'equilibrio non è 69 milioni diviso 2, ma è sempre la possibilità di avere un interesse nazionale, nell'ambito di un interesse europeo, che viene affermato con autorevolezza e con misura (Applausi dei deputati dei gruppi Italia Viva e Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Polverini. Ne ha facoltà.

RENATA POLVERINI (FI). Grazie, Presidente. Colleghi, la proposta di legge in esame interviene sul personale a contratto nelle nostre rappresentanze diplomatiche, nei nostri uffici consolari e negli istituti di cultura italiani all'estero.

Si tratta di un grande numero di dipendenti sparsi in tutto il mondo, sia italiani che dei Paesi locali dove si trovano le rappresentanze diplomatiche, che hanno, sostanzialmente, sempre avuto un grande problema: quello della retribuzione percepita. Per essere più precisi, il problema di questa categoria è la sperequazione, la disomogeneità di trattamento economico tra loro e i dipendenti della Farnesina assunti con altre forme contrattuali, ma anche tra gli stessi dipendenti a contratto che lavorano in Paesi diversi che possono percepire retribuzioni di importo, sostanzialmente, sempre molto diverso.

I casi sono stati numerosi, ma, in questo senso, fece un certo scalpore, al punto da essere riportato anche dalla stampa nazionale - ricordo un articolo de il Fatto Quotidiano del 2015 -, la vicenda di una dipendente a contratto presso l'ambasciata italiana di Asmara, che percepiva una retribuzione mensile di 399 euro.

La lavoratrice in questione decise di adire anche per le vie legali per cercare di ottenere un emolumento più alto, meno sperequato rispetto a quello dei colleghi che lavoravano nella stessa sede, ma, al termine della trafila giudiziaria, il tribunale, purtroppo, in appello le diede torto, perché la legislazione vigente prevedeva che ad una contrattista che lavorava in Eritrea potesse essere legittimamente attribuito quello stipendio.

La legislazione alla quale fa riferimento il tribunale nel 2015 è la stessa di oggi e, cioè, il decreto del Presidente della Repubblica n. 18 del 1967; nello specifico, si tratta dell'articolo 157. Che cosa dice questo articolo? Detto in maniera semplice, dice che lo stipendio del personale a contratto delle rappresentanze diplomatiche è determinato da una serie di fattori, tra cui il costo della vita locale ad esempio, ma uno di questi criteri deve essere considerato in via prioritaria e riguarda il livello degli stipendi che pagano nello stesso Paese le rappresentanze diplomatiche degli altri Paesi.

Nello stesso articolo c'è anche una disposizione che dice che al personale a contratto bisogna, comunque, attribuire un livello di retribuzione tale che consenta di poter assumere gente di valore; la norma dice: “garantire l'assunzione degli elementi più qualificati”. Si tratta di una disposizione intelligente da parte del legislatore, ma nell'applicazione pratica è sempre stata sterilizzata dalla priorità attribuita al criterio che ho detto in precedenza e, cioè, il livello di retribuzione erogato dalle rappresentanze diplomatiche degli altri Paesi.

Il vero problema è questo, è sempre stato questo ed è anche la motivazione principale che è alla base della proposta di legge presentata dalla collega Ciprini: poiché il contrattista si trova in Germania o a Madrid, ha uno stipendio molto diverso dal contrattista, come abbiamo visto, di Asmara.

La proposta di legge, anche alla luce del testo approvato in Commissione, è sostanzialmente condivisibile, come dimostra il fatto che nel voto per il mandato alla relatrice nessuno ha votato contro. È condivisibile aver riscritto in maniera diversa l'articolo 157, in modo tale da poter far valere la disposizione di chiusura di una retribuzione che consenta di assumere gli elementi più validi sul mercato.

Personalmente, ma anche a nome del gruppo, condivido l'intervento che ha ampliato, quasi raddoppiando, il numero di giorni di assenza per malattia durante i quali il lavoratore ha diritto alla conservazione del posto di lavoro, portandoli a 300 in totale. Condivido anche che nelle operazioni previste per individuare gli stipendi da erogare siano maggiormente coinvolte le rappresentanze sindacali, perché quando parliamo di lavoratori italiani o stranieri ai quali si applicano le leggi italiane in materia di lavoro, allora le regole debbono essere uguali per tutti, anche per quanto riguarda la rappresentanza sindacale.

Su questo punto specifico mi permetto non di polemizzare, ma di mostrare una certa perplessità per il parere negativo che la relatrice e il Governo hanno voluto dare al mio emendamento in Commissione, perché quell'emendamento in tema di rappresentanza sindacale, a mio avviso, andava proprio nella direzione prevista da questa legge, completando il quadro della rappresentanza sindacale di base in materia di diritti e prerogative sindacali di particolari categorie di personale del Ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale. Ovviamente, l'emendamento lo ripresenterò anche per l'esame in Aula e mi auguro che sul tema ci possa essere da parte della relatrice e del Governo un supplemento di riflessione, perché davvero consentirebbe di chiudere un cerchio già disegnato, in gran parte, da questa proposta di legge.

Ovviamente, qualche perplessità sul provvedimento non manca: si tratta di perplessità di merito e di natura tecnica, non politica. La principale di queste perplessità riguarda il parere della Commissione bilancio, che non è ancora stato espresso; il sentore, ma spero di sbagliare, è che si possa fermare un po' dopo la discussione di oggi, magari in attesa di una relazione tecnica che viene richiesta per capire se alcune disposizioni, in particolare quelle sulle agenzie internazionali, possono essere onerose. Su questo punto specifico, già domani scopriremo come andrà a finire.

Sulle altre criticità, peraltro non numerose, che vi sono nel provvedimento, avremo modo di illustrare le nostre posizioni nella discussione sui pochi emendamenti che saranno depositati.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Lorenzoni. Ne ha facoltà.

EVA LORENZONI (LEGA). Grazie, Presidente. Membri del Governo, onorevoli colleghi, con il provvedimento di iniziativa parlamentare oggi al nostro vaglio ci accingiamo a chiudere la prima parte dell'iter di un intervento normativo da tempo atteso per regolare la posizione del personale assunto a contratto dal Ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale destinato alle rappresentanze diplomatiche, agli uffici consolari e agli istituti italiani di cultura.

Ai cosiddetti contrattisti ricorrono frequentemente molti Paesi, sia per ragioni di costo, che per sfruttare qualità che possono essere più difficili da reperire sul proprio territorio nazionale, poiché possiedono un'ottima conoscenza dei Paesi in cui si trovano rappresentanze diplomatiche, uffici consolari e istituti italiani di cultura e delle problematiche relative all'esercizio di specifiche attività diplomatiche o consolari. Lo facciamo anche noi. Peraltro l'impianto della proposta di legge uscita dalla Commissione lavoro è di tipo fortemente garantista, circostanza che è destinata in una certa misura a ridurre la competitività di queste figure rispetto a quelle reperibili in madrepatria. Si specifica, infatti, nel provvedimento al nostro esame che le retribuzioni offerte dovranno essere adeguate all'obiettivo di assumere personale qualificato ed essere comunque omogenee per Paese e mansione di riferimento. Inoltre, uno degli obiettivi perseguiti dalla proposta di legge è la tendenziale omogeneizzazione dei trattamenti. In altre parole, si sta apparentemente cercando di rendere le condizioni di prestazione del lavoro dei contrattisti più simili a quelle riconosciute al personale impiegatizio di ruolo.

In tempi di vacche magre per il bilancio dello Stato in generale e per quello della Farnesina in particolare, questo approccio, di per sé lodevole sul piano dei principi, implicherà, a nostro avviso, almeno una conseguenza inevitabile: la contrazione del numero di persone che sarà possibile assumere. L'effetto indotto, a sua volta, sarà quello di ridurre le risorse destinate all'espletamento di funzioni critiche per il funzionamento di qualsiasi sede diplomatica o consolare. Posso assicurarvi che in molti casi tali sedi necessitano veramente di personale; sono spesso in condizioni critiche per l'espletamento delle loro funzioni principali. Per citare un solo esempio, secondo il riepilogo sedi della Farnesina del 2018, presso la circoscrizione del consolato generale di Buenos Aires sono residenti più di 300 mila nostri connazionali. Potete spiegarmi come è possibile fornire gli stessi adeguati servizi a tutti questi connazionali, come emissione passaporti, carte d'identità e atti di stato civile, tenendo a contrarre le risorse necessarie al mantenimento delle funzioni principali del consolato stesso?

Direte voi ai nostri connazionali a Buenos Aires che, a causa degli ennesimi tagli senza senso, dovranno attendere tre mesi per una banale carta d'identità? Temiamo, pertanto, che da alcune concessioni in natura ideologica alla nostra avanzatissima cultura giuslavoristica possa derivare la compromissione parziale della capacità italiana a tutelare al meglio gli interessi nazionali del nostro Paese, specialmente quando siano in gioco dossier di carattere tipicamente consolare, come sono tutti quelli connessi alle situazioni di difficoltà in cui possono trovarsi i nostri connazionali residenti all'estero o anche semplicemente fuori dall'Italia per ragioni turistiche. Alcune criticità sono emerse anche nel corso delle audizioni che la Commissione ha promosso nel corso della prima fase di esame del provvedimento. Le ricordiamo oggi: suscita perplessità, ad esempio, il coinvolgimento di agenzie internazionali specializzate, non meglio specificate, nella procedura di determinazione della retribuzione base da applicare ai nostri contrattisti. È ambigua, altresì, la formulazione del ruolo attribuito alle indicazioni date dalle organizzazioni sindacali, peraltro formulate sulla scorta delle risultanze fornite dalle famose agenzie internazionali specializzate appena menzionate.

A che cosa si allude, ai sindacati italiani del pubblico impiego o di altro settore? Siamo sicuri che siano in grado di pronunciarsi sulla congruità di retribuzioni erogate ai contrattisti in varie regioni del mondo? Oppure parliamo dei sindacati locali? In questo caso, cosa si fa se i sindacati non ci sono? Abbiamo delle riserve anche sulla questione del rimborso spese, che si è deciso di erogare forfettariamente, anziché a ristoro delle spese effettivamente sostenute, ovviamente debitamente documentate. È proprio a causa della presenza di questi nodi che in sede di Commissione la Lega ha annunciato il proprio voto di astensione, orientamento che verrà confermato anche in quest'Aula, in assenza di concrete migliorie al provvedimento (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - A.C. 1027-A)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare la relatrice, onorevole Ciprini.

TIZIANA CIPRINI, Relatrice. Sì, replico in particolare per quanto riguarda quanto detto dalla collega Murelli circa il fatto delle organizzazioni sindacali in accordo. Volevo specificare che la dizione “in accordo” è già stata sostituita dall'emendamento presentato in Commissione, e che qui andiamo quindi a votare in Aula, con il termine “sentite le organizzazioni sindacali”. Quindi, già questo non c'è più. Per quanto riguarda le agenzie, già il Ministero degli Affari esteri fa riferimento a queste agenzie, tra l'altro che sono previste già nel DPR del 1967, per le retribuzioni dei diplomatici; quindi, è una prassi che già avviene e di cui il Ministero degli Affari esteri già si serve, e non sono quindi sindacati occulti o quant'altro.

Tra l'altro, specifico che il ricorso a queste agenzie è specificato “ove possibile”, cioè non è un obbligo da parte della rete diplomatico-consolare andare a sentire obbligatoriamente queste agenzie, ma, ove possibile, è uno strumento in più che si offre in modo da fissare in maniera più equa la retribuzione dei contrattisti all'estero.

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare la rappresentante del Governo.

MARINA SERENI, Sottosegretaria di Stato per gli Affari esteri e la cooperazione internazionale. Grazie, Presidente. Soltanto per ringraziare la proponente, l'onorevole Ciprini, e tutti i parlamentari che hanno contribuito alla stesura di questo provvedimento. Come è stato già spiegato, si tratta di un provvedimento utile, che sana una serie di disparità e di incongruenze per quanto riguarda il personale a contratto; è un tema che stava a cuore e sta a cuore anche alla Farnesina, e quindi abbiamo colto l'occasione di un provvedimento di origine parlamentare, lavorando insieme in maniera molto proficua, per porre mano a queste modifiche, che sono tutte a vantaggio dei lavoratori e delle lavoratrici interessate. Quindi, colgo l'occasione per ringraziare il Parlamento per questo lavoro.

PRESIDENTE. Ringrazio il sottosegretario agli Affari esteri Marina Sereni.

Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione delle mozioni Locatelli ed altri n. 1-00267 e Meloni ed altri n. 1-00220 concernenti iniziative di competenza in materia di affidamento di minori, anche alla luce delle vicende che hanno coinvolto la rete dei servizi sociali della Val d'Enza (ore 14,50).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Locatelli ed altri n. 1-00267 e Meloni ed altri n. 1-00220 concernenti iniziative di competenza in materia di affidamento di minori, anche alla luce delle vicende che hanno coinvolto la rete dei servizi sociali della Val d'Enza (Vedi l'allegato A).

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (Vedi calendario).

Avverto che è stata altresì presentata la mozione Fiorini ed altri n. 1-00281 (Vedi l'allegato A), che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalle mozioni all'ordine del giorno, verrà svolta congiuntamente. Il relativo testo è in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.

È iscritto a parlare l'onorevole Gianluca Vinci, che illustrerà anche la mozione Locatelli ed altri n. 1-00267, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

GIANLUCA VINCI (LEGA). Grazie, Presidente. Oggi illustriamo le mozioni concernenti iniziative di competenza in materia di affidamento di minori, anche alla luce delle vicende che hanno coinvolto la rete dei servizi sociali della Val d'Enza. La vicenda è ben nota, la vicenda è quella che riguarda il procedimento penale denominato «Angeli e demoni». Ricordo solo brevemente che sono stati contestati i reati di abuso d'ufficio, maltrattamento sui minori, frode processuale, peculato d'uso, ma anche la violenza privata e lesioni gravissime, a fronte di traumi subiti dai bambini durante l'affido, con compromissione inevitabile del loro percorso di crescita. Voglio allora sottolineare cos'è che andiamo a chiedere con questa mozione, perché spesso si ritiene che vi sia soltanto un aspetto politico; in questo caso vi è un aspetto prettamente tecnico, per far intervenire il Parlamento su queste materie assolutamente importanti, che per anni sono state in qualche modo lasciate a loro stesse.

Allora, con questa mozione vogliamo impegnare il Governo ad adottare iniziative per garantire il rafforzamento della cooperazione tra i soggetti istituzionali preposti alla tutela dei diritti dei minori e delle famiglie, in continuità con gli obiettivi stabiliti nel protocollo d'intesa siglato, durante il mandato del precedente Governo, dal Ministro Salvini e dal Ministro Locatelli. In ogni caso, sempre al Governo, si chiede di adottare iniziative, anche normative, per verificare che i provvedimenti di allontanamento del minore siano disposti nel rispetto delle raccomandazioni e dei principi fondamentali in materia, e, dunque, in via residuale, per un tempo limitato, e comunque per ragioni non connesse esclusivamente alle condizioni di indigenza dei genitori - non è possibile allontanare dei genitori soltanto perché si trovano in difficoltà economica; lasciamo che i servizi sociali si occupino in questo caso degli aspetti economici, ma non si può togliere i bambini soltanto perché si è in condizioni di indigenza -; garantendo, laddove possibile, la continuità delle relazioni con la famiglia di origine e il futuro rientro del minore nella stessa. Non si può pensare di togliere a tempo indeterminato un minore se non ci sono gravissime motivazioni.

Si impegna il Governo ad adottare iniziative per monitorare le condizioni dei minori affidati e intensificare il sistema dei controlli sulle strutture che esercitano attività di accoglienza. Questo perché? Perché, in realtà, ad oggi, non esiste nessun sistema che stabilmente verifichi questo sistema degli affidi: è lasciato ai servizi sociali, è lasciato agli organismi territoriali.

Noi riteniamo che ad oggi, visto anche quanto è successo, sia indispensabile che ci sia un controllo anche di un organismo o di un sistema che vada oltre i singoli sistemi territoriali e che, in particolare, garantisca il rispetto degli standard minimi al possesso dei requisiti strutturali e organizzativi, nonché al corretto utilizzo delle risorse, valutando altresì la congruità dei costi in relazione alle prestazioni erogate. Si ricorda che a Bibbiano un'ora di lavoro era pagata al sistema degli affidi 135 euro, quando la media nazionale è di 70 euro e quando la ASL può erogare quel servizio gratuitamente; c'è stata, quindi, una distorsione anche legata al denaro, perché se da una parte c'erano altre problematiche, però esisteva a Bibbiano anche un forte problema nell'erogazione del denaro per questi servizi.

Impegna quindi il Governo a promuovere la creazione di un database nazionale che raccolga i dati in merito ai provvedimenti di allontanamento dei minori, alla loro durata, al numero e alle caratteristiche dei minorenni fuori famiglia, agli affidatari e alle strutture che esercitano attività di accoglienza. Oggi reperire quei dati, dopo questa inchiesta, sembrava un'impresa impossibile, perché non esiste nulla del genere: è impensabile avere decine di migliaia di ragazzi, di bambini, fuori dalle loro famiglie, senza che lo Stato - questo Parlamento - ne riesca a sapere l'esatto numero, la consistenza e le strutture nelle quali sono affidati e per quanto tempo.

Impegna inoltre il Governo ad adottare iniziative per prevedere, anche alla luce dei dati raccolti e delle raccomandazioni dell'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza, una modifica del quadro normativo penale, civile e amministrativo di riferimento, che vada nella direzione di rafforzare la tutela dei minori e delle famiglie, assicurare il contraddittorio e il diritto di difesa nell'ambito dei procedimenti che li vedono coinvolti, garantire il rispetto dei principi di trasparenza e rotazione degli incarichi, eliminare in radice ogni ipotesi di conflitto d'interesse, con particolare riguardo - questo è il caso di Bibbiano - al regime dell'incompatibilità dei giudici onorari minorili, e inasprire le pene dei reati che hanno come soggetti lesi i minori. È importantissimo prevedere modifiche normative che, anche nel quadro penale, vadano a prevedere i casi specifici in caso di storture del sistema che riguardino i minori.

Impegna, infine, il Governo a promuovere la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni per gli interventi relativi ai minorenni, alle famiglie di origine, agli affidatari e alle strutture di accoglienza, in modo da garantire l'esigibilità e l'uniformità di tali prestazioni sul territorio nazionale: affinché non ci siano più differenze tra regione e regione o addirittura tra servizio sociale territoriale e servizio sociale territoriale magari accanto, o di altra regione sul nostro territorio; ad adottare le iniziative di competenza, in specie normative, per assicurare che a livello locale l'affidamento dei servizi rivolti ai minorenni, e tra questi quelli di psicoterapia, non avvenga in via diretta e senza gara, come pare sia accaduto nell'ambito della vicenda che vede coinvolti i comuni della Val d'Enza, e che la loro eventuale esternalizzazione sia ben motivata e passi da evidenza pubblica, indetta nel rispetto dei principi di pubblicità e di trasparenza; a promuovere campagne di sensibilizzazione dell'opinione pubblica sul tema dei diritti dell'infanzia, sullo strumento dell'affidamento e sui valori ad esso sottesi.

Cosa abbiamo allora voluto dire con questa mozione? Oltre che a questi impegni chiari, abbiamo voluto responsabilizzare, e vogliamo che si responsabilizzi questo Parlamento e questo Governo, perché vi sia una presa d'atto di quello che è successo in Val d'Enza e a Bibbiano nei mesi scorsi e negli anni scorsi. Cosa ci siamo trovati davanti? Io sono di Reggio Emilia e conosco molto bene Bibbiano: le voci di quel territorio, di problematiche nella Val d'Enza c'erano da tempo; tutti le conoscevano, in molti le conoscevano, ma non c'era possibilità di intervenire con un organismo che ad oggi non esiste e che possa andare nello specifico a ricevere le centinaia - saranno migliaia a livello nazionale - di segnalazioni che arrivano, magari al mondo della politica, che arrivano in parte anche al mondo della magistratura, ma per cui non esiste un organismo in grado di monitorare o di effettuare un controllo. Non esiste, infatti, alcun database che oggi consenta e abbia consentito in passato a qualcuno di suonare un campanello d'allarme, di far accorgere qualche istituzione pubblica, magari non collusa, dell'esistenza di questo problema.

Cosa è successo in questi anni? Veniva segnalato un problema, il politico di turno del territorio diceva che tutto andava bene perché conosceva i servizi sociali; se la segnalazione arrivava da qualche consigliere di opposizione, non c'erano mezzi per intervenire. Oggi questa storia è finita, ma è finita soltanto grazie all'intervento della magistratura penale, che ha approfondito, pur non avendo mezzi specifici e competenze specifiche e database, ed è riuscita ad intervenire e a risolvere la problematica in questo singolo caso. Noi non possiamo però permettere che la gestione dei minorenni sia lasciata soltanto ai servizi sociali, che non ci sia un controllo ulteriore e che questo caso sia stato svelato solo grazie a dei procuratori della Repubblica che hanno deciso di investire tempo, di andare oltre le apparenze, di andare a studiare qualcosa che normalmente non era mai stato fatto prima. Quindi, un grazie alla procura di Reggio, ma non possiamo lasciare in mano soltanto a un'iniziativa estemporanea di alcuni magistrati, che hanno deciso di approfondire questo tema, l'intero sistema di affidi nel nostro Paese.

Ci troviamo poi a livello regionale ad avere un partito, il Partito Democratico, che difende il proprio sindaco, che ricordo non essere stato accusato di maltrattamento verso i minori o altro ma soltanto di falso ideologico e di abuso d'ufficio: reati molto molto gravi che riguardano questi fatti. Il PD continua a difenderlo dando massima fiducia a questo sindaco e la regione Emilia-Romagna, su richiesta della Lega, istituisce una commissione d'inchiesta regionale di tipo politico; poi viene nominata anche una commissione di tecnici e i presidente della commissione di tecnici ci viene a raccontare che il sistema va bene, che il sistema Emilia-Romagna va bene e che si è trattato di alcuni raffreddori. Allora, si capisce, anche dalla terminologia utilizzata, che c'è qualcosa che non va, che c'è una volontà in qualche modo di coprire, perché 6, 8, 20 casi nella Val d'Enza, di bambini e famiglie distrutte, non possono essere ritenuti come raffreddori. Fosse soltanto uno, ma qui in questo caso sono molti più di uno, noi ci troviamo una commissione che viene a raccontarci che “si è trattato di raffreddori”. È una commissione a livello regionale che è stata richiesta dalla Lega, ma è presieduta però dal PD, con le vicepresidenze attribuite ai 5 Stelle e a Sinistra Italiana: questi sono i risultati; si è trattato di qualche raffreddore.

Serve un controllo quindi molto più incisivo di quello che c'è stato fino ad oggi e spesso serve un controllo su vari livelli, perché abbiamo visto che anche la commissione regionale d'inchiesta voluta dalla Lega e in qualche modo gestita da Bonaccini non ha funzionato, perché parlando di “raffreddori” - non è Gianluca Vinci che lo dice ma è qualsiasi persona di buon senso a pensarlo -, quella commissione regionale non vuole affrontare il problema, ma vuole nascondere e ogni parola ha il suo chiaro significato. Siamo sotto elezioni e in Emilia-Romagna è andato tutto perfettamente. Noi non vogliamo, quindi, combattere delle battaglie ideologiche, ma vogliamo soltanto dare un futuro ai bambini, in modo che non ci sia più questa possibilità di gestione totalitaria da parte dei servizi sociali. Molti assistenti sociali sono persone capaci, ma noi non stiamo parlando dell'interezza dei servizi; stiamo parlando di un caso, quello della Val d'Enza - probabilmente ce ne saranno altri sul nostro territorio, o ce ne saranno in un futuro magari prossimo - per cui il sistema va totalmente rivisto. Questa è l'occasione per farlo, per dare un input forte, perché ci siamo accorti che il sistema, anche amministrativo, cerca di proteggere se stesso e qui siamo arrivati fino ad un livello regionale che cerca di insabbiare il caso Bibbiano e dire che tutto va bene.

Non va bene, non va bene per tutte quelle famiglie, non va bene per tutti quei bambini che si sono visti togliere e che adesso il tribunale per i minorenni sta restituendo all'affetto dei propri cari, perché non si è trattato di un raffreddore ma si è trattato di casi gravissimi che non si devono più ripetere (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Lucaselli, che illustrerà anche la mozione Meloni ed altri n. 1-00220, di cui è cofirmataria.

YLENJA LUCASELLI (FDI). Grazie, Presidente. La questione di Bibbiano ha scoperchiato un vaso di Pandora. Ha raccontato all'Italia, che nel frattempo lo aveva dimenticato, che esistono problemi molto complessi, esistono problemi che ancora oggi purtroppo non sono affrontati in maniera compiuta e ovviamente ha fatto aprire gli occhi a tutti quanti su fatti che sono assolutamente devastanti. Abbiamo appena ricordato, il collega ha ricordato l'esistenza di un fascicolo aperto dalla procura di Reggio Emilia, l'indagine “Angeli e demoni”, nella quale sono state indagate 27 persone tra cui anche amministratori per fatti gravissimi, per reati che diventano nella nostra percezione reati aberranti non solo per la tipologia di reato che è contestato ma perché la persona offesa di tutti questi reati è un minore. I minori sono una parte debole della nostra società, sono forse la parte più debole che dovremmo proteggere non solo quotidianamente ma alle volte forse dovremmo proteggere anche da noi stessi. Ebbene, in questo obiettivo lo Stato italiano ha evidentemente fallito; il nostro sistema, che doveva garantire la possibilità per bimbi che vivono in famiglie con situazioni di disagio, non necessariamente solo disagio economico, di avere un futuro migliore, di poter crescere in un ambiente migliore e di poter poi ritornare alla propria famiglia con più serenità, in questo ha evidentemente fallito. Ed ha fallito non soltanto nella Val d'Enza ma ha fallito come sistema in generale perché ciò che l'indagine ha riportato alla nostra memoria, quello che ci ha fatto ricordare non è soltanto che, in quel caso specifico, sono stati commessi dei reati ma che tutto il sistema va assolutamente rivisto. Infatti, in Italia, come accade sempre e purtroppo è accaduto anche in questo caso, ci ritroviamo a dover coprire dei danni e, quindi, ad utilizzare leggi che sono provvisorie e che parlano nella loro applicazione di provvisorietà, e che noi in realtà poi mettiamo in pratica come fossero leggi definitive. La legge sull'affido temporaneo, infatti, che dovrebbe servire a ricucire lo strappo tra famiglie indigenti e bambini, darebbe la possibilità di dare i bambini in affido soltanto per un periodo determinato, quindi i primi 24 mesi, che, in caso di specifiche necessità, da individuare in maniera singola su ogni singolo caso e in relazione a ogni singolo minore e comunque tenendo sempre presente l'interesse primario del minore, possono essere rinnovati per altri 12 mesi, ma questo è il tempo massimo. Noi, invece, da una legge di affido provvisorio, che è quella dei 24 mesi più 12 mesi, siamo passati ad un sistema di affido a tempo indeterminato e, purtroppo, è una brutta prassi che abbiamo in Italia, cioè abbiamo leggi che sarebbero anche corrette da poter applicare, però poi sbagliamo e falliamo inevitabilmente nell'applicazione delle stesse. Quindi, ci ritroviamo a dover discutere oggi di un affido che diventa di fatto un affido indeterminato e che, invece, di colmare e di ricucire lo strappo con la famiglia di origine, in realtà diventa esso stesso motivo di lacerazione dei rapporti fra il minore e la famiglia di origine. Dunque, non possiamo non ricordare che, per qualunque minore, soprattutto quando la situazione di disagio è determinata dalla indigenza della famiglia, non certo dalla mancanza della struttura degli affetti e, quindi, dalla possibilità di vivere serenamente all'interno del proprio ambito familiare, quando il problema è quello, dovremmo preoccuparci di mantenere innanzitutto fermo quel legame.

E, invece, ci siamo ritrovati - ce lo ha raccontato il caso di Bibbiano ma ce lo raccontano fatti in giro per l'Italia: sono tantissime le procure che poi nel frattempo hanno iniziato ad attenzionare quanto succede - ad avere un sistema e delle situazioni, anche attraverso la parte burocratica davvero molto complessa degli assistenti sociali, per cui si determina una frattura irrimediabile fra il minore e la famiglia di origine: è accaduto in questo caso specifico ma, ripeto, lo abbiamo avuto anche in altri casi, anche molto meno eclatanti, e le procure sono piene di richieste d'aiuto da parte di famiglie alle quali i bambini sono stati sottratti in maniera non proprio legittima. Ebbene, noi dovremmo a preoccuparci di capire qual è la cosa migliore da fare nell'interesse del minore, nell'interesse del mantenimento dell'unità familiare, che dovrebbe esserci a cuore prima di tutto. E, allora, non possiamo non ricordare che uno degli elementi che probabilmente andrebbe rivisto e che, con la nostra mozione chiediamo venga rivisto, è proprio il sistema per esempio della Relazione sullo stato di attuazione della legge recante modifiche alla disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori. Tale Relazione viene fatta con scadenza triennale - l'ultima Relazione risale al gennaio del 2018 e riporta dati che si riferiscono al 2014 e al 2015 - e allora mi pare assolutamente di facile comprensione che, laddove non vi sono dati aggiornati e non abbiamo dati cogenti rispetto a quello che succede nelle situazioni di affido, poi diventa anche molto complesso riuscire ad affrontare il problema e riuscire a discuterne. Questo è indubbiamente uno dei primi punti che stanno assolutamente a cuore a Fratelli d'Italia. Noi vorremmo che ci fosse la possibilità di avere una Relazione annuale che dia il quadro contingente della situazione.

Inoltre, come dicevo, c'è la situazione assolutamente grave dell'applicazione della legge n. 184 del 1983. Noi dovremmo avere tempi determinati e quelli già ci sono ma allora forse dobbiamo preoccuparci che ci sia anche qualcuno che controlli l'applicazione concreta di quella norma, perché la norma c'è e bisognerebbe applicarla nel modo più corretto possibile. Mi pare assolutamente evidente che il sistema di affido dei minori presenta oggi criticità che sono assolutamente sotto gli occhi di tutti: è lacunoso e farraginoso. Noi abbiamo tribunali dei minori e procure minorili che non riescono ad effettuare quel controllo che dovrebbero perché sono oberati di domande e non hanno poi il personale necessario per poter far fronte a queste situazioni. Forse dovremmo, con uno sforzo di fantasia ulteriore, riuscire ad immaginare un nuovo modo per affrontare la questione e, quindi, trovare una sorta di mediazione fra le famiglie che hanno problemi, le famiglie che hanno disagi senza arrivare necessariamente alla procedura di affido e cercare di aiutare i minori all'interno dei propri ambiti familiari, soprattutto laddove la questione, torno a dire, è una questione di disagio economico. Infatti, vedete, ci siamo preoccupati moltissimo di parlare e abbiamo dibattuto in lungo e in largo in quest'Aula del reddito di cittadinanza: quale modo migliore sarebbe quello di utilizzare una parte di quei fondi proprio per dare la possibilità a queste famiglie di mantenere i loro bimbi nel loro nucleo familiare? Ovviamente, in tutto questo non possiamo mai dimenticare e non dobbiamo mai dimenticare che il bene primario è quello di questi bambini. Il caso Bibbiano ci ha raccontato delle storie terribili: storie di bambini che sono stati ingiustamente e illegalmente sottratti alle loro famiglie, che sono stati affidati a famiglie di vario genere ma che, proprio per questo motivo, hanno poi subito violenze e minacce e questo è il danno più grande che possiamo fare alla nostra società perché ognuno di quei bambini viene ferito nell'animo e quell'animo difficilmente può essere risarcito.

Quelle famiglie in quel procedimento non potranno mai essere risarcite da nulla da questo Stato. Allora, lo Stato che dovrebbe proteggere, invece in questo caso diventa una sorta di carnefice, perché il mancato controllo e la mancata attenzione rispetto ad alcuni temi trasformano lo Stato in carnefice e non gli dà la possibilità, invece, di essere quello che dovrebbe essere, cioè il buon padre di famiglia, quindi il controllore e il garante supremo di una serie di diritti che, altrimenti, rischiano di essere calpestati. Quindi, in virtù di quello che ho poc'anzi detto, il gruppo di Fratelli d'Italia chiede che ci sia, da parte del Governo, una serie di impegni. Innanzitutto, a rendere disponibile periodicamente e, quindi, con cadenza annuale e secondo dei criteri uniformi sul territorio nazionale il monitoraggio del numero dei bambini che vengono dati in affido o che vengono affidati a comunità o ad altre strutture.

A promuovere la definizione e la disciplina giuridica dello stato dei minorenni che sono fuori dalla famiglia come una nuova categoria di vittime sociali: dobbiamo comprendere che ogni bambino strappato alla propria famiglia è un bambino che soffre.

A promuovere la revisione della norma che istituisce il difensore del minore. Attualmente questa figura esiste ed è soltanto, però, immaginata nei procedimenti di adottabilità; noi vorremmo, invece, che questa figura, che potrebbe essere quella di collegamento fra la famiglia e il minore e poi il sistema delle tutele statali, sia utilizzata anche in questo caso e, quindi, che la nomina della figura del difensore del minore venga anticipata al momento precedente l'assunzione di ogni provvedimento ex articolo 330 e seguenti del codice civile. Ciò, ovviamente, sempre in virtù e in base alla possibilità da parte del Governo di indicare delle linee guida che potranno poi accompagnare questa nuova figura, quindi l'avvocato del minore e, quindi, le famiglie nel ricongiungimento.

Ad adottare iniziative per garantire che, nel caso di famiglie indigenti, sia effettivamente applicata la legge n. 184 del 1983, nella parte in cui stabilisce che le condizioni di indigenza dei genitori o del genitore esercente la responsabilità genitoriale non possono essere di ostacolo all'esercizio del diritto del minore alla propria famiglia, e che quindi vengano disposti concretamente aiuti a sostegno e a favore di queste famiglie.

Ad adottare iniziative volte a garantire che l'affidamento sia temporaneo. Noi dovremmo avere un organo di controllo che possa finalmente eliminare quella terribile prassi che fa passare un affido da temporaneo a tempo sostanzialmente indeterminato e che, ove venga disposta la proroga dell'affido, lo faccia però in virtù di una serie di principi che siano chiaramente e sostanzialmente indicati.

Ad adottare iniziative per istituire una procedura formale e omogenea a livello nazionale che regoli la collaborazione tra il servizio pubblico e le organizzazioni del privato sociale delegate per la gestione d'affido, formalizzandone l'autorizzazione, il riconoscimento e stabilendo le relative responsabilità sul modello già adottato per le adozioni, mediante la previsione di associazioni accreditate e controllate. Riteniamo, in questo caso, che l'aiuto da parte delle associazioni di natura privatistica possa di fatto supportare l'organismo statale; ci sono migliaia di esempi di collaborazione fra organo privato e organo pubblico, che hanno tra l'altro dato effetti molto positivi, e vorremmo che questa pratica venisse ampliata e venisse utilizzata ancora di più nel caso dei minori.

Ad assumere iniziative per garantire l'assenza di conflitto di interesse tra le diverse professionalità del servizio pubblico e, quindi, del privato sociale.

Ad adottare iniziative per istituire la figura dell'operatore dell'accoglienza familiare temporanea, quindi con un professionista che possa venire dal mondo del sociale con competenze educative e con esperienza di lavoro nell'ambito del disagio minorile e familiare, che può avere il compito di aiutare direttamente o indirettamente le famiglie di origine a superare i problemi che poi portano all'allontanamento del minore.

A promuovere l'istituzione di sezioni specializzate per la famiglia. Il tribunale per i minori si occupa soltanto di una parte e ha un carico di lavoro troppo spesso particolarmente gravoso e quindi crediamo che, probabilmente, l'istituzione di un tribunale della famiglia che prenda la questione e che possa analizzare le questioni in ambito familiare in maniera complessa e, quindi, attraverso anche lo studio delle dinamiche che si sviluppano nell'ambito familiare, possa aiutare a limitare il più possibile i casi di allontanamento.

A promuovere il riconoscimento a livello giuridico dell'interesse diffuso rappresentato dalle associazioni di tutela dei diritti dei minorenni fuori famiglia.

Questo è quello che vorrebbe Fratelli d'Italia, questo è quello che il gruppo di Fratelli d'Italia chiede attraverso questa mozione e lo fa per un sentimento che credo sia assolutamente condiviso dall'Aula e che non deriva soltanto dallo scandalo per i fatti di Bibbiano, che sono stati fatti assolutamente drammatici e che ci hanno riportato davanti agli occhi una questione che molte volte cerchiamo di non vedere, ma perché davvero si possa ritornare a considerare la famiglia come il centro fondamentale della nostra società e, quindi, a riportare un'attenzione particolare su quello che rappresenta il nostro futuro.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Spena, che illustrerà anche la mozione Fiorini ed altri n. 1-00281, di cui è cofirmataria.

MARIA SPENA (FI). Grazie, Presidente. Siamo ancora qui, Presidente, oggi, a parlare dei nostri bambini, dei nostri minori, quei minori violati, i nostri adolescenti, uomini e donne del domani, di un mondo abusato, violentato, in cui la politica deve dire la sua, deve dire la propria, deve dire da che parte vuole stare. Noi la nostra posizione ce l'abbiamo scolpita sia nel cuore che nella mente: un percorso grigio, forse direi nero; una strada che parte dalla bassa modenese, che è stata al centro di un'inchiesta che ha distrutto la vita di genitori innocenti e dei loro bambini, fino agli orchi del Forteto, che manipolavano le coscienze e abusavano sessualmente dei piccoli, fino poi ad arrivare a Bibbiano, ai cosiddetti sequestri legali di minori strappati alle famiglie senza motivo per mantenere un lucroso business costruito sul sistema degli affidi.

L'inchiesta “Angeli e Demoni” vede al centro la rete dei servizi sociali della Val d'Enza, accusati di aver redatto farse relazioni per allontanare i bambini dalle proprie famiglie e collocarli in affido retribuito da amici e conoscenti. Come è stato possibile tutto questo? Mancanza forse di un coordinamento nazionale, crisi di welfare, assenza di un sistema di controlli: ecco le piaghe del nostro apparato di tutela per i minori fuori famiglia. L'inchiesta di Reggio Emilia rende tragicamente evidenti inadempienze, buchi legislativi, situazioni ad alto rischio, che da anni gli esperti si sono preoccupati di mettere in evidenza. Come è possibile che, nei piccoli comuni, quelli al di sotto dei 5 mila abitanti, che sappiamo sono la maggioranza nel nostro Paese, l'operato dei servizi sociali sia affidato attraverso semplici convenzioni a cooperative e associazioni, e venga di fatto svolto senza alcun controllo? Come è possibile che basti la relazione di un assistente sociale per convincere un giudice minorile a dare il via libera all'allontanamento coatto di un bambino dalla propria casa? E come è possibile che contro quel provvedimento non esista, di fatto, alcuna possibilità di difesa, visto che, tra il trasferimento alla struttura protetta e la prima udienza, passano molti mesi? È possibile che in questi vuoti procedurali e legislativi si inseriscano figure, come quelle che sono state messe in luce dall'inchiesta di Reggio Emilia.

Nel lunghissimo elenco di reati contestati agli arrestati, tra cui frode processuale, depistaggio, abuso d'ufficio, violenza privata, falso in atto pubblico, non c'è forse quello più grave, non è menzionato forse quello più grave: cioè, l'aver rubato a questi ragazzi speranza nel futuro e fiducia nel mondo, tanto che alcune di queste vittime, oggi adolescenti, avrebbero dimostrato, avrebbero manifestato gravi segnali di disagio con gesti di autolesionismo e anche di tossicodipendenza.

Una lunga scia di orrori resa possibile proprio dal silenzio di quegli organismi che dovrebbero proteggere i nostri bambini in un momento delicato della loro vita, ma se, come purtroppo avviene nella maggior parte dei casi, non c'è nessuno che controlli i controllori allora può capitare, purtroppo, anche questo e può succedere, ad esempio, che uno strumento estremo come l'articolo 403 del codice civile, che parla proprio dell'allontanamento coatto d'urgenza di un minore dalla sua famiglia con l'intervento delle forze dell'ordine, sia utilizzato da un assistente sociale con il consenso formale del sindaco, senza che il giudice minorile abbia strumenti, opportunità e risorse per verificare la fondatezza di quell'intervento, così dirompente.

La maggior parte degli assistenti sociali e anche chiaramente dei giudici minorili è affidabile e preparata. Tutto giusto, ma ora vanno - ed è questo quello che noi chiediamo - riformate quelle strutture e quei vuoti che concorrono all'ambiguità e all'incertezza, a cominciare dalle strutture che accolgono i bambini fuori dalla famiglia, che in Italia sono circa 3 mila. Sarebbero, signor Presidente, perché non esiste ancora un registro nazionale e neppure un modo univoco per definire queste realtà. Ogni regione fa un po' da sé, e non è accettabile che non esista un unico organismo di controllo per le caratteristiche delle strutture d'accoglienza. Anche qui, certo, non si può generalizzare: la maggior parte svolge il proprio lavoro in maniera ammirevole e trasparente. Ora, quando il giudice decide di collocare un bambino in comunità, con quale criterio sceglie? Al di là delle emergenze legate alle situazioni del territorio, il criterio dovrebbe essere legato anche alle varie tipologie di bisogno. Non tutti i bambini possono essere mandati in affido familiare e non per tutti è opportuno andare in casa famiglia. Sappiamo che dal novembre 2017 le linee guida sull'accoglienza dei minori prevedono sette micro-tipologie. Ricordiamo: le comunità familiari, quindi le cosiddette “case famiglia”, le comunità educative, le case di pronta e transitoria accoglienza, le case per gestanti e madri con i figli, le comunità alloggio. Tutto bene sulla carta, ma nei fatti? Come detto, noi non sappiamo neppure quante siano le strutture perché soltanto tre o quattro regioni dispongono di una mappa aggiornata - e tra queste c'è la Lombardia - ma sono poche le regioni, appunto, che dispongono di una mappa aggiornata di tutte quante le strutture di accoglienza e, quindi, in questo caso il rischio di abusi e di casi problematici, in assenza di un registro nazionale, aumenta.

A oggi sappiamo che in Parlamento è in discussione, presso le Commissioni riunite giustizia e affari sociali della Camera dopo l'approvazione da parte del Senato, una proposta per l'istituzione di una Commissione d'inchiesta sulle attività connesse alle comunità di tipo familiare che accolgono i minori. Anche in questo caso il gruppo di Forza Italia ha chiesto che si proceda direttamente all'approvazione in sede legislativa, in modo da istituire una Commissione quanto prima. La stessa Commissione bicamerale per l'infanzia e l'adolescenza, di cui faccio parte, ha avviato, sin dallo scorso mese di luglio, l'esame di una risoluzione sulle problematiche connesse all'affidamento eterofamiliare e al collocamento in comunità di tipo familiare dei minori.

Signora Presidente, signor sottosegretario, oggi per evitare ulteriori casi come quello di Bibbiano la politica deve intervenire, deve porsi in prima linea non soltanto per fare tutto ciò che è possibile per dotare le istituzioni di buone leggi che non aprano la strada ad abusi e strumentalizzazioni, ma deve essere la prima a dare il buon esempio, soprattutto sui territori, per offrire messaggi di sensibilizzazione e sostenere la stessa autorità giudiziaria nei controlli presso i servizi sociali e presso le famiglie comunità affidatarie. L'inchiesta dalla Val d'Enza, purtroppo, ha dimostrato che la politica stessa e la rete sociale hanno, invece, contribuito ad alimentare la cosiddetta “macchina degli orrori”. Questo è deprecabile e inaccettabile ma, al di là del lavoro che correttamente porta avanti la magistratura, presto avremo l'opinione pubblica e le tante famiglie, che anche soltanto emotivamente sono state coinvolte da tutto ciò che è accaduto, che giudicheranno il loro operato, e questo in Emilia-Romagna avverrà ben presto (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Rizzo Nervo. Ne ha facoltà.

LUCA RIZZO NERVO (PD). Grazie, Presidente. Noi ci troviamo, per la terza volta sostanzialmente negli ultimi mesi, ad affrontare un tema importante e delicatissimo come quello della tutela dei minori. Lo abbiamo fatto il 2 luglio, quando abbiamo approvato - e io credo sia stato un segno di grande maturità da parte di quest'Aula - una risoluzione contro la violenza sui minori, appunto all'unanimità. Lo stiamo facendo in una discussione che si è arricchita del contributo di tante voci anche esterne al Parlamento e di tante competenze in relazione alla volontà di istituire quanto prima, da parte di tutte le forze politiche, una Commissione d'inchiesta per verificare puntualmente lo stato di salute della tutela dei minori nel nostro Paese, con particolare riferimento al funzionamento delle comunità familiari di accoglienza dei minori in seguito ad allontanamento e, infine, da oggi attraverso la discussione di queste diverse – ma, per larghi tratti, anche comuni – mozioni parlamentari che segnalano, appunto, una serietà, una volontà seria di questo Parlamento di affrontare una questione che merita tutta la serietà e di assumersi l'impegno di verificare, stimolando tutti i soggetti, tutti gli attori del sistema relativo alla tutela dei minori, che le premesse normative, che tutti riconosciamo essere di valore - l'Italia ha una buona normativa sulla tutela dei minori -, abbiano una reale, effettiva e puntuale corrispondenza nella pratica quotidiana, cioè che producano gli effetti per cui sono nate.

E quindi, credo che di questo abbiamo bisogno. Abbiamo bisogno di verificare i principi che sono iscritti nella nostra Carta costituzionale e che sono all'origine di importanti trattati internazionali sul tema dei diritti dei fanciulli, dei bambini e delle bambine come mi piace chiamarli, perché ho sempre trovato abbastanza insopportabile il termine minori. Dobbiamo, però, verificare come quei principi, quei valori costituzionali, quei valori iscritti nei trattati internazionali, quelle scelte che sono contenute in una buona normativa mostrino la loro efficacia anche in un contesto oggettivamente nuovo, di cui farsi carico, un contesto nuovo anche rispetto alle situazioni e agli strumenti degli anni Ottanta e Novanta, periodo nel quale molte di quelle normative sono nate.

Assistiamo a una situazione in cui nelle famiglie ci sono in alcuni casi delle fragilità degli adulti di riferimento, dettate dalla crisi economica che è diventata crisi sociale, dalla molteplicità delle tipologie delle famiglie, da una multiculturalità che è un grande tema da affrontare del nostro tempo, da temi di cui discutiamo spesso, come la povertà educativa, culturale, relazionale e anche vecchie e nuove fragilità delle bambine e dei bambini, delle ragazze e dei ragazzi, un disagio che non necessariamente si struttura in un dato patologico e che, quindi, è difficile da analizzare, da includere dentro agli schemi spesso rigidi della patologia. Ci sono le nuove tecnologie, i ritiri sociali, l'abbandono scolastico, il fenomeno dei NEET e l'uso di sostanze, di alcol e di sostanze psicoattive. Insomma, abbiamo un contesto completamente nuovo, un contesto familiare e sociale riferibile agli stessi minori in cui quei diritti devono essere realizzati e, quindi, noi abbiamo bisogno di affrontare questa discussione con - ripeto - estrema serietà, dotandoci di strumenti e approfondendo senza alcuna reticenza.

La reticenza è stata una parola che ha animato la discussione politica di questi anni, di questi mesi; ci è stato detto spesso che siamo reticenti a parlare di Bibbiano. Noi non abbiamo nessuna reticenza a parlare di Bibbiano, a parlare di tutela dei minori; non abbiamo reticenze, ma abbiamo rispetto delle attribuzioni costituzionali che non affidano a noi, durante un dibattimento processuale, valutazioni definitive, prima che quel dibattimento processuale termini. Certo, siamo di fronte a fatti gravi, a fatti importanti, se verificati come tali, che, appunto, anch'essi, meritano tutta la serietà in sede giudiziaria e, necessariamente, spingono noi ad affrontare con serietà questa discussione.

Tuttavia, senza voler attenuare i richiami che anche i colleghi hanno fatto, ma la serietà che richiamavo prima necessita, anche, di una presa di coscienza del fatto che non siamo dentro un'emergenza nazionale, come talvolta nella discussione appare, e non lo siamo nei numeri, innanzitutto; mi permetto, in quest'Aula, di segnalare come, all'interno del contesto europeo, l'Italia è un Paese con tassi di allontanamento nettamente al di sotto della media europea: 2,6 per ogni mille bambini e bambine; la Francia ha il 9,5, la Germania il 9,6, l'Inghilterra è al 6,1 e la Spagna al 3,9. Mi permetto, sempre per citare alcuni dati, io vengo dall'Emilia Romagna, di segnalare che in termini di dati, di numeri, non siamo dentro a un'esplosione neppure in Emilia Romagna; l'Emilia Romagna è esattamente nella media nazionale: 2,6 per cento di allontanamenti e se - e non è così - il dato numerico degli allontanamenti fosse di per se stesso un segnale di qualcosa che non va, come qualcuno ha anche detto, segnalo che la regione che in Italia ha il maggior numero di allontanamenti è la Liguria.

In realtà, il termine numerico non ci dice del tema e della complessità del tema che stiamo affrontando; peraltro, ci tengo a dirlo, in Emilia Romagna, al netto, lo ripeto, di verifiche puntuali della magistratura, ma anche di quelle che la politica ha messo in atto nelle ultime settimane, su cui dirò, perché le cose non sono andate esattamente come è stato detto dall'onorevole Vinci, in Emilia Romagna vi è una stabilità del quadro storico degli allontanamenti dalle famiglie. E mi permetto di dire, sempre parlando di Emilia Romagna, che l'Emilia Romagna vede équipe integrate di primo livello diffuse capillarmente in tutte le province, vede in tutti i territori, ovunque, presenti le unità di valutazione multidisciplinari - il tema di un approccio multidisciplinare è un tema che ritorna spesso anche nelle mozioni, come un richiamo necessario e in Emilia Romagna questa cosa c'è -, vede l'obiettivo, in alcuni territori realizzato, di dotarsi di centri specialistici e, quindi, di avere una specificità di competenze multiprofessionali e multidimensionali legate ai minori e, poi, vi sono anche linee guida per il riordino del servizio sociale e territoriale a segnalare che questa esigenza di aggiornare le competenze dei servizi sociali, rispetto a un nuovo bisogno e a nuove situazioni, è una situazione assolutamente contemplata e prevista nella discussione di quella regione. Così come sono diffuse in Emilia Romagna, come in altre regioni, purtroppo non in tutte le regioni, le pratiche atte a sostenere le famiglie di origine e a prevenire le pratiche di allontanamento, ricordo l'adesione al progetto Pippi, che è un grande progetto nazionale, di cui, appunto, la regione Emilia Romagna, ma non solo, è parte integrante, e che è stato adottato pienamente. Mi permetto di dire all'onorevole Vinci che, come dire, ho trovato in alcune parti più orientato a prepararsi ai comizi…

PRESIDENTE. Si rivolga, alla Presidenza, onorevole Rizzo Nervo.

LUCA RIZZO NERVO (PD). Mi scusi, Presidente, mi rivolgo a lei e per suo tramite all'onorevole Vinci. In realtà, la commissione tecnica che è stata istituita in Emilia Romagna, oltre la commissione politica, non ha affatto detto che siamo di fronte a dei raffreddori, ha segnalato un potenziale rischio di disequilibrio nell'intervento valutativo e negli obiettivi di cura, tutela e protezione; ha segnalato la difficoltà, al di là delle dichiarazioni, al di là delle intenzioni che spesso dichiariamo nei convegni, dell'integrazione sociosanitaria, come un grande tema della tutela dei minori; ha segnalato come, spesso, il percorso giudiziario è condizionante, come anche i percorsi di valutazione del supremo interesse del minore, e ha segnalato anche una certa disomogeneità dei modelli organizzativi, a cui porre rimedio. Quindi, non vi sono elementi di reticenza neppure in quel percorso, ma c'è la volontà, appunto, di verificare e di aggiornare gli strumenti a quella che è una realtà mutata. È in definizione in questi minuti e, quindi, credo, spero che verrà abbinata alla discussione che stiamo facendo, una mozione che, come maggioranza, come forze di maggioranza abbiamo presentato, abbiamo depositato, su questi temi, sul tema della tutela dei minori, che non ha alcuna reticenza nel segnalare alcuni obiettivi che, pur rapidamente, richiamerò.

Nella mozione indichiamo come sia necessario adottare iniziative volte a determinare i livelli essenziali delle prestazioni per gli interventi relativi ai minorenni, ai bambini e alle bambine, alle famiglie di origine, agli affidatari e alle strutture di accoglienza, in modo da garantire l'esigibilità dei diritti civili e sociali delle persone di minore età, così come prevede l'articolo 117 della Costituzione; ad adottare, ancora, è stato richiamato più volte anche negli interventi precedenti, un sistema informativo unitario che ci dia un database unitario, aggiornato, sui bambini e i ragazzi collocati nelle strutture residenziali o in famiglie affidatarie e che coinvolga tutte le diverse istituzioni interessate, tutti gli attori interessati; ad intervenire, ancora, sul rito del procedimento per adeguarlo ai principi del giusto processo, garantendo il diritto della difesa alla difesa tecnica dei genitori, anche con la nomina obbligatoria di un difensore d'ufficio nel caso in cui manchi quello di fiducia, la nomina di un curatore speciale e di un avvocato del minorenne nei casi di provvedimenti di allontanamento adottati d'urgenza, prevedendo tempi celeri per assicurare un contraddittorio differito; ricordo, inoltre, l'esigenza di riformare l'articolo 403 del codice civile, introducendo una procedura di convalida del procedimento, volta a circoscrivere queste ipotesi nelle quali è consentito l'intervento d'urgenza. Ancora, ad aggiornare le linee di indirizzo per l'accoglienza nei servizi residenziali per minorenni, già adottate dal Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, affinché tengano conto delle raccomandazioni contenute nell'indagine conoscitiva, di grande qualità, della Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza, sui minori fuori famiglia conclusasi nel 2018; ancora, a predisporre tutte le misure volte ad assicurare una tempestiva e adeguata presa in carico delle famiglie in difficoltà, al fine di promuovere la genitorialità, prevenire gli allontanamenti, ove sia certo, lo ripeto, ove sia certo, però, che non vi siano casi di violenza e di abusi, perché in quei casi l'allontanamento è giusto e doveroso ed è giusto esercitarlo nei modi e nei tempi previsti dalla legge. Ancora, diciamo che è necessario, è stato detto, potenziare le piante organiche degli uffici giudiziari che si occupano di procedimenti in materia di responsabilità genitoriale, dove sono coinvolti i minorenni e, io dico, anche ribadire e confermare una specificità della giustizia minorile che, anche nel dibattito intorno alla riforma della giustizia, ogni tanto è stata messa in discussione.

Ancora, a garantire l'anonimato dei minorenni coinvolti nei casi di affidamento e di adozione, evitando sensazionalismi e qualsiasi forma di speculazione, promuovendo, invece, al contempo, una sensibilizzazione per l'utilizzo di un linguaggio non lesivo della persona del minore; mi permetterei di dire anche, magari, evitare di esibire bambini coinvolti in procedimenti di allontanamento familiare dai palchi della politica rientra spesso in questo obiettivo.

Ancora - e chiudo, Presidente -, il sostegno di vicinanza e, quindi, la possibilità di dare sostegno alle famiglie che mostrano difficoltà nella capacità genitoriale prima di un allontanamento, che è una prassi che, dove diffusa, ha dato buona prova di sé.

PRESIDENTE. Concluda.

LUCA RIZZO NERVO (PD). Ancora, e concludo, Presidente, a garantire una collegialità multiprofessionale - l'ho detto - e a potenziare gli organici dei servizi sociali, favorendo la costituzione, in tutti i comuni, di équipe dedicate alla tutela dei minori e ad una supervisione anche del lavoro di tutti gli attori coinvolti. Ecco, io credo che facendo queste cose…

PRESIDENTE. Deve concludere, onorevole.

LUCA RIZZO NERVO (PD). …e chiudo, Presidente, noi potremo affrontare, con quella serietà e fuori da una strumentalità che, purtroppo, si è esibita in questi mesi, il tema della tutela dei minori, dando un contributo a migliorare gli strumenti per renderla effettiva (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Calabria. Ne ha facoltà.

ANNAGRAZIA CALABRIA (FI). Grazie, Presidente. Sulla vicenda di Bibbiano, dopo più di quattro mesi da quando i carabinieri hanno eseguito diciotto misure cautelari, continuano ad emergere fatti nuovi e sempre più aberranti che ci fanno capire che la ferita che è stata inferta a seguito di questa terribile storia non potrà mai più ricucirsi.

Ogni giorno un nuovo orrore emerge dalle intercettazioni dell'inchiesta “Angeli e demoni”, nuove drammatiche violenze su bambini già sfortunati, perché allontanati dai genitori naturali, doppiamente condannati perché affidati a persone senza le caratteristiche di umanità minime per diventare genitori affidatari e crescere un figlio.

Questa orribile vicenda ha suscitato, naturalmente, l'indignazione generale non solo di noi genitori, che ci siamo da subito immedesimati nelle mamme e nei papà che si sono visti togliere i figli con le accuse più infamanti, ma di tutti, perché quello che sembra essere stato messo in piedi è un giro di affari sporchi che hanno lucrato sulle spalle dei più indifesi, i bambini appunto.

Quello di Bibbiano, oggi, e de Il Forteto, ieri, è da considerarsi un vero e proprio orrore che trova la sua origine non solo nel denaro, ma anche nel fanatismo ideologico: questo è il retroterra culturale degli individui immischiati negli incubi di Bibbiano e de Il Forteto.

La famiglia e i genitori biologici non potevano che essere repressivi, tossici e inadeguati alla crescita dei bambini e, se non si avevano prove di una tale inadeguatezza e tossicità, le prove si producevano a tavolino. Vediamo, quindi, dipanarsi non solo un piano criminale, ma anche un esperimento sociale, teso a rimodulare la mente dei bambini e a sradicare artificialmente il naturale attaccamento alla famiglia di origine e ai suoi legami biologici. Un delirio di onnipotenza di psicologi e assistenti sociali, animati da un odio scientifico verso i padri, le madri, le famiglie, in definitiva verso la realtà, in nome di teorie elevate a verità.

La cosa più spiacevole, oltre alla vicenda, che è assolutamente aberrante, è che di questa questione si sia disquisito a lungo, oltre che nei media tradizionali, anche sui social, trasformandola, però, in un semplice argomento di conversazione. E, in effetti, da quando l'inchiesta “Angeli e demoni” ha portato alla luce lo scandalo sono davvero molte le imprecisioni, gli errori di valutazione che si sono propagati a macchia d'olio su questo argomento.

Per questo motivo, mi sembra giusto e, soprattutto, doveroso che la vicenda di Bibbiano sia arrivata in quest'Aula. Non dobbiamo, però, cadere nell'errore di parlarne oggi e di abbandonare ogni iniziativa utile volta a prevenire casi come questi. Mi riferisco, in particolare modo, alla Commissione d'inchiesta su Il Forteto, istituita con la legge 8 marzo 2019, convocata lo scorso 4 settembre e, poi, sconvocata; riconvocata successivamente il 22 ottobre, per poi essere nuovamente sconvocata. È, dunque, evidente come, ancora oggi, non si sia pianificata alcuna iniziativa. Una Commissione viva sulla carta, dunque, che potrebbe invece fare molto per i nostri bambini.

Oggi più che mai è, quindi, importante accendere i riflettori in questa sede, perché credo che non sia necessario attendere la fine delle indagini e le decisioni della magistratura per esprimere il nostro punto di vista, per muoverci affinché casi come questo non si ripetano mai più e, soprattutto, per fare una riflessione di ordine normativo. Questa vicenda, come quella de Il Forteto, ci dimostrano come molte case famiglia siano fuori controllo, libere di gestire a proprio piacimento e anche in maniera spregiudicata l'anello più debole della catena - i minori -, quanto mai debole, fragile e facile da suggestioni.

Un punto sul quale riflettere è senz'altro la legislazione a tutela dei minori, che si deve basare su un bilanciamento del principio del superiore interesse del minore e il diritto di bambini e di adolescenti a vivere e a crescere all'interno della propria famiglia. Sono princìpi che trovano il loro fondamento non solo nella nostra Costituzione, ma anche nella Convenzione sui diritti dell'infanzia del 20 novembre 1989 e nella Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, che impone agli Stati membri di non ingerire nell'ambito della vita privata di ciascuna famiglia e, nel contempo, di adottare misure atte a garantirne il rispetto effettivo, anche attraverso la previsione di misure di supporto nell'ambito delle situazioni di criticità genitoriali.

In questo contesto si inserisce la normativa nazionale a tutela dei minori. In particolare, il codice civile reca disposizioni in materia di responsabilità genitoriale e dei diritti e doveri del figlio, prevedendo, a fronte di comportamenti pregiudizievoli per la prole, la possibilità di disporre, anche di urgenza da parte della pubblica autorità, l'allontanamento dalla casa familiare. E anche la legislazione speciale, in particolare la legge 4 maggio 1983, n. 184, così come modificata dalla legge 28 marzo 2001, n. 149, riconosce espressamente il diritto naturale del minore alla famiglia, considerando la sottrazione del minore alla famiglia una soluzione limite alla quale ricorrere solo nei casi in cui la difficoltà della famiglia di origine ad assicurare al minore un ambiente idoneo sia insuperabile.

Il minore temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo deve essere collocato, per un periodo limitato, presso una famiglia, preferibilmente con figli minori, o una persona singola in grado di assicurargli mantenimento, educazione, istruzione e le relazioni affettive necessarie e, solo quando l'affidamento eterofamiliare non è possibile, la legge consente il collocamento del minore in una comunità di tipo familiare che abbia sede, preferibilmente, nel luogo più vicino a quello in cui stabilmente risiede il nucleo familiare di provenienza.

Questo quadro legislativo così articolato e apparentemente garantista dei diritti dei minori e delle loro famiglie, nella realtà mostra una serie di criticità sul piano applicativo, alle quali il disegno di legge si propone di porre rimedio.

A ben vedere, infatti, sebbene la legislazione speciale in materia d'infanzia riconosca all'affidamento eterofamiliare e al collocamento in casa famiglia carattere temporaneo e provvisorio, in realtà, la permanenza di minori, soprattutto nelle comunità familiari, si connota come permanente, rendendo peraltro difficile o addirittura impossibile il ritorno nel nucleo familiare di origine.

Con riguardo, poi, alla scelta delle modalità di affidamento, si rileva un eccessivo potere decisionale in capo ai servizi sociali locali, ai quali compete l'individuazione delle famiglie affidatarie o della casa famiglia per il collocamento del minore.

E, ancora, la legge n. 149 del 2001 ha espressamente escluso che le condizioni di indigenza dei genitori o del genitore esercente la responsabilità genitoriale possano essere d'ostacolo all'esercizio del diritto del minore alla propria famiglia; tuttavia, nella prassi, non sono infrequenti casi nei quali bambini e adolescenti sono allontanati dalle loro famiglie per ragioni legate alla povertà.

La legislazione delinea, poi, un sistema di controlli sulle comunità che ospitano minori, che vede il coinvolgimento, da un lato, delle procure minorili e, dall'altro, delle regioni che dovrebbero vigilare sui requisiti degli accreditamenti delle case famiglia e, attraverso le aziende sanitarie locali o i servizi sociali, sul rispetto dei requisiti igienico-sanitari di tali strutture. Nella realtà, il sistema dei controlli risulta alquanto carente: le procure minorili non hanno adeguate risorse umane e, soprattutto, non dispongono di personale qualificato per effettuare tali controlli.

Relativamente, poi, alle competenze regionali, si registra una eccessiva diversificazione a livello nazionale, anche sotto il profilo degli standard minimi richiesti a tali comunità familiari. Analoga diversificazione tra regioni si rinviene anche sotto il profilo dei costi sostenuti dagli enti locali per il collocamento dei minori nelle strutture di accoglienza, nonché quelli di gestione delle strutture stesse.

L'aspetto più grave è, poi, rappresentato dall'assenza di un sistema unico, a livello nazionale, di rilevazione dei dati relativi ai minori dati in affido; questi sistemi, anche nelle regioni dove sono disponibili, non sono aggiornati in tempo reale. Non è, quindi, dato sapere quali e quanti minori sono collocati, ma, soprattutto, dove e per quanto tempo bambini e adolescenti sono dati in affidamento.

Come ricordato, parte della legislazione in materia di responsabilità genitoriale trova collocazione all'interno del nostro codice civile.

In particolare, all'articolo 403 del codice civile si consente l'allontanamento di urgenza del minore ad opera della pubblica autorità: “Quando il minore è moralmente o materialmente abbandonato o è allevato in locali insalubri o pericolosi oppure da persone per negligenza, immoralità, ignoranza o per altri motivi incapaci di provvedere all'educazione di lui, la pubblica autorità, a mezzo degli organi di protezione dell'infanzia, lo colloca in luogo sicuro sino a quando si possa provvedere in modo definitivo alla sua protezione”. Si tratta di una disposizione anacronistica, che nasce con il codice a metà dello scorso secolo e che ha dato adito a numerosi contrasti interpretativi sia in ordine ai soggetti attualmente legittimati ad assumere l'iniziativa sopradescritta e sia in ordine alle sue modalità di esecuzione. L'applicazione di tale norma sul piano pratico, infatti, a causa dell'attuale formulazione, genera sull'intero territorio nazionale una serie di prassi discordanti, con conseguenze ancora traumatiche su minori coinvolti. Non sono infrequenti, infatti, casi in cui i minori sono allontanati dalle proprie famiglie per lunghi periodi di tempo, per poi farvi rientro solo dopo che sia stata accertata l'inesistenza della situazione in forza della quale l'allontanamento era stato operato.

Tutto ciò è attualmente possibile proprio a causa di una norma codicistica che presta adito a prassi applicative assolutamente dannose. È una disposizione che non tiene conto dei principi del giusto processo sanciti dall'articolo 111 della nostra Costituzione e a ben vedere l'articolo 403 del codice non esplicita in alcun modo un obbligo di segnalazione al tribunale da parte della pubblica autorità che ha operato l'allontanamento, né tantomeno un termine entro cui ciò debba avvenire. A causa di tale circostanza, non è raro, purtroppo, che la segnalazione al tribunale arrivi a distanza di mesi da quando si è operato l'allontanamento del minore, senza, quindi, che sia attivato un doveroso contraddittorio anche con i genitori. Come vedete, onorevoli colleghi, i punti sui quali riflettere e sui quali intervenire sono davvero numerosi e noi non possiamo restare a guardare. Dobbiamo farci promotori di un'azione concreta; lo reclamano i minori e le famiglie in difficoltà, che devono essere aiutate per evitare che siano spogliate delle loro responsabilità educative (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Ascari. Ne ha facoltà.

STEFANIA ASCARI (M5S). Grazie, Presidente. In tema di affidamento dei minori la Convenzione ONU sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza, esecutiva in Italia dal 1991, sottolinea l'importanza della famiglia nella vita di ogni bambino e adolescente quale unità fondamentale della società e di un ambiente naturale per la crescita e il benessere di tutti i suoi membri, in particolare dei fanciulli. È un diritto di ogni bambino quello di conoscere i propri genitori e di essere cresciuto da loro, come è suo diritto non essere separato dalla mamma e dal papà e mantenere rapporti regolari e frequenti con ciascuno di essi. Altrettanti doveri incombono, di conseguenza, su coloro che esercitano la responsabilità genitoriale, il dovere dei genitori di assicurare le condizioni di vita necessarie allo sviluppo del fanciullo e dello Stato di adottare adeguati provvedimenti per aiutare coloro che esercitano la responsabilità genitoriale ad attuare questo diritto.

L'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza, nella relazione sulla sua attività trasmessa al Parlamento il 29 aprile 2019, ribadisce il diritto delle persone di minore età di essere accolte e educate prioritariamente nella propria famiglia e, se necessario, in un altro ambito familiare di appoggio o sostitutivo. Non dobbiamo dimenticare, tuttavia, che esistono realtà familiari connotate da gravi difficoltà che, seppur temporaneamente, possono compromettere la crescita serena ed equilibrata delle persone minori di età. In questi casi si ricorre all'istituto dell'affidamento di tipo familiare o, se proprio non possibile, all'inserimento in una comunità di tipo familiare o in un istituto di assistenza. Questo per tutelare i bambini e i ragazzi da rischi di violenze e, al contempo, sostenere la famiglia di origine nel recupero delle funzioni genitoriali. L'affido è una soluzione estrema, a cui la giustizia minorile si vede costretta a ricorrere quando la vita e l'educazione di bambini e ragazzi sono a rischio nelle famiglie di origine per motivi che vanno ben oltre i meri problemi economici.

L'allontanamento dei minori dalla famiglia è consentito da parte della pubblica autorità in casi specifici, qualora i minori si trovino in stato di abbandono morale o materiale, vivano in locali insalubri o pericolosi o siano allevati da persone incapaci di provvedere alla loro educazione. Secondo l'ultimo rapporto pubblicato nel 2017 dall'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza sono 21.035 in Italia i ragazzi che vivono fuori dalla propria famiglia di origine, ospiti delle 3.352 comunità sparse su tutto il territorio nazionale; dati al 31 dicembre 2015. Si tratta in prevalenza di maschi di età compresa tra i 14 e i 17 anni. Molteplici sono le ragioni che portano all'ingresso di una persona minore di età in una comunità: si va dalle difficoltà educative della famiglia di origine legate a uno stato precario di salute psicofisica ai bambini e ragazzi vittime di abusi o maltrattamenti, a quelli entrati nel circuito penale, senza tralasciare i minori che fuggono da guerre e povertà, giungendo nel nostro Paese privi di adulti di riferimento e in condizioni di particolari fragilità. I bisogni di tutela non si esauriscono nelle difficoltà che determinano l'ingresso nella struttura, ma riguardano anche la fase di uscita dal percorso di accoglienza dei ragazzi divenuti maggiorenni.

L'accompagnamento di bambini e famiglie in situazioni di vulnerabilità costituisce un ambito fondamentale del lavoro di cura e protezione dell'infanzia; si tratta di una funzione complessa, che richiede un puntuale raccordo e la necessità di un approccio globale. La formazione, la specializzazione e la competenza di tutte quelle persone che ruotano intorno al minore nel momento dell'affido sono un punto imprescindibile; su questo lo Stato deve lavorare molto, perché il minore che necessita di aiuto in un momento di profonda fragilità deve poter contare su figure competenti, formate, specializzate e in grado di aiutarlo con efficacia, riservatezza e il rispetto del dramma umano che il minore vive. Il problema degli affidi dei minori molte volte si intreccia con quello della violenza di genere e della tutela del soggetto vittima di violenza.

Detto questo, bisogna dunque prevedere l'allontanamento dei minori dal nucleo familiare solo come ultima ratio e comunque sempre e solo nell'interesse del minore stesso, privilegiandone, dove è possibile, l'affido presso altri parenti o altri soggetti vicini al nucleo familiare, secondo un principio di gradualità delle scelte. In particolare, in merito ai fatti accaduti nella regione Emilia-Romagna che hanno coinvolto la rete dei servizi sociali della Val d'Enza, la stessa assemblea regionale, con delibera n. 215 del 27 luglio 2019, ha dato via all'istituzione di una commissione assembleare speciale d'inchiesta circa il sistema di tutela dei minori nella regione Emilia-Romagna, al fine di poter affrontare i fatti mediante l'analisi dei documenti ufficiali e al riparo da strumentalizzazioni e spettacolarizzazioni, nel pieno ed esclusivo interesse delle famiglie e dei bambini coinvolti.

Oggetto della commissione è il tema della tutela dei minori, in particolare degli affidi in ambito regionale. Si tratta, quindi, di un mandato non a identificare reati, ma a fare luce sul funzionamento di un sistema di servizi nel complesso e anche in suoi luoghi speciali, come la Val d'Enza. È opportuno ricordare che il 27 giugno scorso i carabinieri di Reggio Emilia hanno dato il via all'operazione denominata “Angeli e demoni”, mettendo agli arresti domiciliari 18 persone. La teoria dell'accusa è che ci sia una sorta di sistema Bibbiano di gestione e affidamento dei minori, con funzionari pubblici, assistenti sociali, medici e psicologi i quali, a vario titolo e in vario modo, gravitano attorno ai servizi sociali dell'Unione Val d'Enza, consorzio di sette comuni in provincia di Reggio Emilia, che hanno manipolato le testimonianze dei bambini al fine di sottrarli alle famiglie di origine per affidarli, dietro pagamento, a famiglie di amici o conoscenti.

Ovviamente c'è un'indagine in corso, e pertanto serve la massima cautela. Per quanto riguarda le audizioni svolte in seno alla Commissione, è emerso che esistono a Bibbiano dei casi in cui si sono verificate anomalie sulle quali e sulla cui gravità la magistratura sta svolgendo il suo lavoro di accertamento. Quello che è emerso chiaramente da questa vicenda è che in Italia manca un sistema organico di raccolta dati sui minori affidati.

Così come sono venute alla luce molte criticità riguardo alla formazione degli operatori, al numero di assistenti sociali e psicologi, spesso sotto organico, al sistema di supervisione, che sicuramente va potenziato. Per questo, cari colleghi, questa mozione è di fondamentale importanza, perché impegna il Governo ad adottare iniziative volte a consentire il godimento dei diritti civili e sociali dei bambini e dei ragazzi. Qual è lo scopo di questa mozione? È costruire un sistema informativo, affinché vi sia un database unitario ed aggiornato sui minori collocati nelle strutture residenziali o presso famiglie affidatarie, che coinvolga tutte le istituzioni interessate. Questo comporta più controllo, questo comporta maggiore trasparenza, ma soprattutto maggiore tutela.

Si chiede al Governo di intervenire, poi, sul rito del procedimento, per adeguarlo ai princìpi del giusto processo, garantendo il diritto alla difesa tecnica dei genitori, anche con la nomina obbligatoria di un difensore d'ufficio in caso in cui manchi quello di fiducia, la nomina di un curatore speciale e di un avvocato del minorenne; e nei casi di provvedimenti di allontanamento adottati d'urgenza, di prevedere tempi celeri per assicurare il contraddittorio differito, riformando l'articolo 403 del codice civile.

È oltremodo importante disciplinare il regime delle incompatibilità dei giudici onorari e dei loro stretti congiunti, rispetto ad incarichi che potrebbero pregiudicarne i profili di necessaria imparzialità e indipendenza, così come già previsto dalla delibera del Consiglio superiore della magistratura del luglio 2018. È fondamentale, poi, delineare standard minimi comuni dei servizi e dell'assistenza, che devono essere forniti dalle comunità di tipo familiare che accolgono minori, prevedendo appositi controlli e garantendo la formazione e l'aggiornamento continuo del personale che si occupa di protezione della famiglia, quindi, per quanto riguarda gli psicologi, gli assistenti sociali, gli educatori, nonché una valutazione periodica della performance dei singoli, anche all'interno di un'équipe multidisciplinare, per assicurare efficienza e qualità del servizio.

Si chiede di adottare, per quanto ovviamente di sua competenza, iniziative per escludere la PAS, la cosiddetta sindrome dell'alienazione parentale, come elemento su cui fondare scelte di allontanamento del minore dai contesti familiari. Dobbiamo inoltre fare in modo di predisporre tutte le misure volte ad assicurare una tempestiva ed adeguata presa in carico delle famiglie in difficoltà, al fine di promuovere la genitorialità e prevenire gli allontanamenti, ove sia certo che non vi siano casi di violenza o di abusi; e qualora l'allontanamento si dovesse rendere necessario, dev'essere garantito un adeguato monitoraggio del percorso per il recupero delle competenze genitoriali, con un costante monitoraggio del progetto educativo del minorenne fuori famiglia.

Per garantire tutto questo, però, occorre potenziare le piante organiche degli uffici giudiziari che si occupano di procedimenti in materia di responsabilità genitoriale e di quelli in cui sono comunque coinvolti minorenni; oltre a sostenere gli enti locali nel potenziamento degli organici dei servizi sociali territoriali, favorendo la costituzione in tutti i comuni di équipe dedicate alla tutela minori, con adeguate competenze sociali e giuridiche nell'alveo di una più organica e multiprofessionale presa in carico del minore e della sua famiglia. Inoltre, cosa importantissima, dobbiamo mettere in piedi tutte le misure necessarie affinché sia sempre garantito l'anonimato dei minorenni coinvolti nei casi di affidamento e adozione, evitando sensazionalismi e qualsiasi forma di speculazione, per non ledere la dignità della persona di minore età.

I bambini e i ragazzi sono il nostro futuro; sono la generazione che stiamo crescendo e che stiamo preparando al mondo; sono una risorsa che si deve coltivare nel presente, creando i giusti presupposti per una crescita in linea con la loro natura; sono gli adulti di domani e guardano a noi per imparare ad essere uomini e donne all'altezza dei tempi che viviamo. Nostro compito non è solo istruirli: dobbiamo educarli e garantire loro il godimento di tutti i diritti che la nostra Costituzione riconosce loro (Applausi dei deputati dei gruppi MoVimento 5 Stelle e Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Murelli. Ne ha facoltà.

ELENA MURELLI (LEGA). Presidente, onorevoli colleghi, le vicende giudiziarie che hanno coinvolto la rete dei servizi sociali della Val d'Enza hanno scosso l'opinione pubblica. Secondo l'impianto accusatorio, alcuni funzionari pubblici, assistenti sociali e psicologi avrebbero messo in piedi una vera e propria organizzazione criminale, un sistema di affidamenti illeciti con un giro d'affari da diverse centinaia di migliaia di euro, con l'obiettivo di strappare i bambini dal proprio nucleo familiare e collocarli in affido retribuito ad amici e conoscenti. Gli affidamenti illeciti sarebbero avvenuti con la collaborazione di diversi professionisti del settore, sulla base di false relazioni, giochi psicologici e dichiarazioni manipolate, in modo che emergessero situazioni di abusi e violenze in famiglia, in realtà mai verificatisi, tali da giustificare l'allontanamento del minore dalla propria famiglia naturale. Tra le ipotesi di reato vi sarebbero le fattispecie di abuso d'ufficio, maltrattamento su minori, frode processuale, peculato d'uso, ma anche lesioni gravissime, a fronte di traumi subiti dai bambini durante l'affido, con compromissione gravissima del loro percorso di crescita.

A dare avvio l'indagine è stata la procura di Reggio Emilia, insospettita dall'elevato numero di fascicoli su violenze, abusi sessuali e maltrattamenti in famiglia, aperti su segnalazione dei servizi sociali dell'unione dei comuni della Val d'Enza. Il quadro emerso dalle intercettazioni è agghiacciante. Quello che veniva presentato all'esterno come modello istituzionale da emulare, altro non sarebbe stato che una forma di business, con un giro d'affari da centinaia di migliaia di euro, finalizzato ad allontanare i minori dal proprio nucleo familiare per collocarli in affido retribuito.

Tuttavia l'inchiesta “Angeli e demoni” ha scoperchiato un vaso di Pandora impressionante, così come dimostrano i dati relativi ai minori dimessi dai presidi residenziali per tipo di destinazione e ripartizione geografica. Di questi, su un totale di 14.633, 4.258 hanno fatto rientro nella propria famiglia di origine, mentre quasi altrettanti, 4.055, sono stati trasferiti in altre strutture residenziali; 546 sono stati dati in affidamento eterofamiliare, 289 in affidamento intrafamiliare e solo 1.151 sono diventati autonomi, ma ben 2.360 si sono allontanati spontaneamente o sono fuggiti dalle strutture (già questo preoccupa).

C'è poi un ulteriore dato, molto preoccupante, che si vede nelle tabelle: sono i 442 minori che non si sa dove siano finiti. Esattamente: “destinazione ignota” c'è scritto e la denominazione scritta è “spariti”, insomma, volatilizzati, senza tuttavia specificare l'età del minorenne; se si tratta di un diciassettenne si può anche comprendere, ma se si tratta di un bambino di due o tre anni la cosa è molto preoccupante.

Come capite il caso Bibbiano è solo una punta dell'iceberg, che riguarda tutta l'Italia. Il caso Bibbiano fa scuola. L'inchiesta giudiziaria, sebbene ancora in fase preliminare, ha impressionato non solo l'opinione pubblica, ma anche gli amministratori, che ne hanno preso spunto per capire come vanno le cose in casa loro. Fanno sgranare gli occhi i numeri dei minori di cui si è persa traccia in Veneto: 102 bambini spariti e tolti alle famiglie, sui quali il governatore del Veneto, Luca Zaia, ha annunciato un'indagine. Infatti il nostro governatore leghista non se n'è lavato le mani e, sebbene il quadro non sia facile da delineare, ha avviato un'indagine per capire che fine abbiano fatto quei bambini dati in affido ai servizi residenziali la cui destinazione è, appunto, ignota. A differenza del governatore Bonaccini, che ha fatto sua la richiesta della Lega in Emilia-Romagna di istituire una commissione d'inchiesta sugli affidi, senza darci la presidenza. Ebbene, ha fatto solo sua questa richiesta, con grandi proclami, senza però prendere una posizione e lasciando le audizioni ai tecnici. Tuttavia, quando le opposizioni portavano testimoni, venivano accusate di strumentalizzare; quando i testi erano della maggioranza, tutto andava bene, con la conclusione che l'organismo dell'Emilia-Romagna è sano, nonostante alcuni raffreddori. Sì, proprio questa è l'espressione che è stata usata da Giuliano Limonta, presidente della commissione tecnica regionale dei minori, introdotta dalla giunta Bonaccini dopo i fatti di Bibbiano. Vi sembra un'espressione giusta? Raffreddore! Che cosa devono rispondere i bambini già restituiti alle famiglie dopo le prime indagini? Sì, il raffreddore è passato: questi bimbi rimarranno traumatizzati. Secondo voi come sta la bimba di due anni di Stefania e Marco, quella coppia di Reggio Emilia a cui è stata sottratta la figlia dai servizi sociali, che si spacciavano per guardie cinofile dell'ENPA, traendola direttamente dal lettino?

L'indagine del governatore del Veneto Luca Zaia prende il via dall'ospedale di Padova: si è scoperto che a una giovane coppia veneziana con una bimba di nove mesi è stata tolta la potestà genitoriale. È accaduto nel 2016, quando la mamma, chiudendo il portone di casa, ha fatto cadere dall'ovetto la figlia di 40 giorni. In seguito alla caduta la bimba ha riportato un taglio alla lingua ed è stata operata in pediatria all'ospedale di Padova.

La mamma tuttavia, dopo l'intervento che è andato bene e a sua insaputa e senza il proprio consenso, è stata trasferita per 45 giorni con la bimba alla casa del bambino maltrattato. Non mi dilungo troppo - quella storia viene ripercorsa nei dettagli direttamente anche da quotidiani nazionali come Libero - ma alla fine l'esito ha chiarito che si è trattato solo di un incidente e il 21 novembre è stato annullato l'affidamento ai servizi sociali. Vi sembra normale?

Sui fatti di Bibbiano il presidente della Commissione d'inchiesta emiliano-romagnola, sempre Giuliano Limonta, ha spiegato che, pur aspettando gli esiti delle indagini giudiziarie, risultano estranei ed incompatibili con l'attuale impianto normativo vigente.

Ecco, parliamo della normativa vigente perché proprio di questo dobbiamo trattare in quest'Aula. Le circostanze che emergono dalle inchieste, in particolare quella di Bibbiano, sono inquietanti e accendono i riflettori sui molti punti deboli che la normativa vigente in materia di affidamenti obiettivamente presenta, sollevando il timore che simili situazioni di abuso e violenza possano essersi verificate anche nell'ambito di altri contesti territoriali.

Il primo principio da rispettare è che bisogna sempre guardare all'interesse dei minorenni, delle vittime di situazioni familiari drammatiche, il cosiddetto the best interest of the child, il minore davanti al diritto a crescere in un contesto familiare sano ed equilibrato ove gli adulti sono onerati della responsabilità di crescerlo, educarlo e di istruirlo. Il fanciullo ha diritto ad avere relazioni stabili e significative con entrambi i genitori, diritto che può essere limitato solo ove ciò appaia nel suo superiore interesse, secondo l'articolo 24 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea. Il minore è, quindi, titolare del diritto a una vita familiare, ai sensi dell'articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo. Ciò comporta l'obbligo positivo per gli Stati di porre in essere tutte le misure necessarie a garantire al fanciullo un contesto familiare funzionale al suo sereno sviluppo.

Il secondo punto è che il sistema degli affidi va sviscerato: vanno portati alla luce anche i potenziali interessi economici che si nascondono dietro agli affidi. Bisogna dare garanzie ai bambini e alle loro famiglie. Per darvi un esempio, nel 2002 il costo giornaliero di un minore in comunità era di 120 euro al giorno. Oggi questi costi sono molto più alti. Fate voi i calcoli nel caso in cui si debba lasciare un minorenne in una struttura per un anno.

Tuttavia, nei casi in cui non ci sono situazioni di tossicodipendenza o di violenze ma situazioni familiari recuperabili, perché non si può valutare di pagare due educatori familiari che fanno home visiting e parent training, lasciando direttamente il minore presso la propria casa e con i propri genitori e allacciando e ricostruendo le relazioni familiari? Sicuramente allo Stato costerebbe di meno e i bimbi sarebbero molto più felici.

Per non parlare dei costi degli esperti: per esempio, in Val d'Enza è emerso venivano pagati 135 euro, quando abitualmente costerebbero 75 euro e con il Sistema sanitario nazionale sarebbero stati gratuiti.

Infine, vanno rivisti i tempi di affidamento ma soprattutto di accertamento della verità. Essi devono essere celeri, rapidi, certi, coordinati, perché la nostra Costituzione, secondo l'articolo 30, riconosce il diritto naturale di avere dei figli per cui non possono passare uno, due, quattro anni senza figli e i figli senza genitori per poi avere una sentenza di assoluzione. Chi restituisce l'infanzia a questi bambini? Chi restituisce le gioie o un possibile supporto per risolvere in famiglia i problemi dell'adolescenza a questi ragazzi? Chi restituisce il tempo perso a questi genitori che non tornerà mai più? Senza considerare il problema successivo che è il recupero del rapporto tra padre e figlio, tra madre e figlio e viceversa.

Inoltre, l'istituto dove il minore viene affidato non può avere poteri tutelari se non per un tempo limitato, massimo 30 giorni, e poi deve essere nominato il tutore. Emerge dal parere di diversi avvocati che molte scelte di affido avvengono più sulla base di pareri tecnici che sul convincimento del giudice. I giudici delegano agli esperti non solo le valutazioni ma anche la gestione del caso, creando problemi di ambiguità. Spesso viene inflazionata la parola “percorso” che lega le agenzie sociali al tribunale senza considerare che dare informazioni implica avalutatività, fare cure implica riservatezza, fare valutazioni richiede terzietà. Queste procedure sono in conflitto e non possono essere tutte e tre insite nelle funzioni delle agenzie sociali. Il CTU non è un mezzo di prova ma serve per accertamenti. Non posso valutare la personalità di un genitore facendo disegnare ad un minore dove si sedeva a tavola per decidere i tempi di affidamento a un genitore piuttosto che ad un altro.

Uno strumento utile esiste già e potrebbe essere usato in alcuni casi di violenza sessuale: la Carta di Noto, creata il 9 giugno 1996 dopo il convegno tenutosi a Noto, avente come tema l'“abuso sessuale sui minori e il processo penale”. Essa fornisce le linee guida da seguire e mettere in pratica allorché ci si trovi coinvolti a titolo professionale nel lavoro con minori presunte vittime di abuso. La teoria della memoria pregressa è una metodologia priva di rilevanza scientifica, dove il bimbo stimolato è altamente influenzabile, e porta a valutazioni tecniche sbagliate, come appunto accaduto nel caso di Bibbiano. Devono, quindi, essere usati teorie e modelli scientificamente provati; gli esperti devono essere professionisti certificati e la perizia deve essere fatta nel contraddittorio delle parti. Inoltre, l'utente spesso non capisce che il servizio sociale è lì per aiutarlo; non capisce se sia lì o per interferire nella sua vita, nella sua scelta o solo per portargli via il minore. Per tali ragioni gli assistenti sociali sono percepiti più come una minaccia che come un aiuto da parte dei cittadini.

È, quindi, di primaria importanza la formazione degli assistenti sociali che si sentono spesso lasciati soli, senza una guida e si affidano a esperti esterni ed è necessario un monitoraggio continuo della qualità del servizio.

Dobbiamo, però, ricordare che i bambini non appartengono allo Stato ma alle famiglie e vanno tutelati: anche un solo bambino va tutelato. Il senso di impotenza che pervade i genitori e gli avvocati non può e non deve vincere: il legislatore deve intervenire perché queste cose davanti a Dio e davanti ai cittadini non devono più esistere.

La sinistra, il PD, tuttavia, non vuole che si indaghi specialmente in Emilia Romagna e i 5 Stelle cosa fanno? Si alleeranno magari con loro alle prossime regionali? Non vi preoccupate: anche i cittadini dell'Emilia-Romagna faranno come in Umbria e ve lo ricorderete. Il 26 gennaio s'avvicina (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier).

PRESIDENTE. Avverto che sono state testé presentate le mozioni Giannone ed altri n. 1-00283 e Rizzo Nervo, Bologna, De Filippo, Rostan ed altri n. 1-00284 che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalle mozioni all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente. I relativi testi sono in distribuzione (Vedi l'allegato A).

È iscritta a parlare l'onorevole Annibali. Ne ha facoltà.

LUCIA ANNIBALI (IV). Grazie, signora Presidente. Il tema della tutela e protezione dei minori e del sostegno alle loro famiglie è centrale per il nostro Paese. Duole dirlo, ma siamo stati tutti troppo spesso distratti per occuparcene con la dovuta attenzione e con la necessaria sensibilità. Non possiamo non riconoscere, infatti, che spesso si è intervenuti in modo frammentario e parziale su una materia così complessa e cruciale o che, in molte occasioni, non ultima quella della Val d'Enza, si è preferita la propaganda ad una vera discussione approfondita e nel merito.

In questi mesi abbiamo sentito molte inesattezze anche strumentali sugli affidi e la tutela dei minori in Italia. Occorre ricordare che l'affido provvisorio di minori a una famiglia diversa da quella biologica o ad una comunità avviene quando una valutazione collettiva ha concluso che le difficoltà ad assicurare al minore un ambiente familiare idoneo sono in quel momento insuperabili. Per questo è fondamentale non confondere i singoli casi con il tutto; distinguere i ruoli e le responsabilità dei soggetti giudiziari e di quelli del servizio sociale; considerare non solo i diritti dei genitori ad avere con sé il proprio figlio ma anche e innanzitutto i diritti dei bambini ad avere relazioni familiari sane. Le famiglie d'origine non vanno né scavalcate né assolutizzate.

Quando si parla di relazioni fragili e di difficoltà familiari occorre rendersi conto che ogni intervento legislativo va fatto con misura e lucidità e vorrei qui ringraziare l'impegno silenzioso e positivo di migliaia di genitori che aprono generosamente le loro case per offrire una famiglia ai bambini in difficoltà, coloro che credono nell'affido come scelta buona e virtuosa e che in questi mesi hanno subito un'ingiusta condanna mediatica.

Tra le priorità, colleghi, come evidenziato nella mozione della maggioranza in discussione, vi è senza dubbio quella di mettere il sistema in grado di funzionare bene senza falle né storture, al fine di limitare quanto più possibile l'allontanamento dei minori dalla propria famiglia di origine.

La situazione nel Paese, come ci ricordano molte realtà, è preoccupante. Il richiamo giunto nelle Aule parlamentari con molte audizioni da parte di istituzioni, come l'Autorità garante per l'infanzia o il Consiglio nazionale dell'ordine degli assistenti sociali, sul depauperamento in interi territori di ogni forma di servizi e interventi di prevenzione e supporto alle famiglie e ai bambini che consenta una tempestiva e adeguata presa in carico delle famiglie in difficoltà, ci avrebbe dovuto portare a discutere molto prima di questo argomento, senza attendere che la cronaca ci costringesse a farlo.

A tal proposito, oggi, anche attraverso questa mozione di maggioranza, i gruppi segnalano la priorità di individuare, in primo luogo, dei livelli essenziali delle prestazioni per gli interventi relativi ai minori, alle famiglie di origine, agli affidatari e alle strutture di accoglienza.

Ineludibile, poi, al di fuori della propaganda, il tema dei dati: manca un sistema informativo unitario, abbiamo sentito numeri irrealistici e fuorvianti rispetto a bambini allontanati o affidati. Non è serio un Paese incapace di monitorare questa azione di tutela e soprattutto ancora vittima di pregiudizi su una funzione pubblica tra le più importanti ed essenziali qual è la protezione dei più deboli. È giunto il momento di dire a chiare lettere che il sistema informativo del Ministero del lavoro e politiche sociali deve funzionare e deve essere fatto funzionare quanto prima. Abbiamo di fronte a noi la legge di bilancio, se mancano risorse per questo, possiamo trovarle e fare un passo deciso per avere veramente contezza e non più stime o, ancor peggio, fantasie strumentali, che danneggiano tutti, in primo luogo la credibilità delle istituzioni.

In questa mozione di maggioranza non si elude, inoltre, il nodo che da tanto tempo dobbiamo prenderci la responsabilità di affrontare e che riguarda la giustizia. Esso richiede, ad esempio, interventi sul rito del procedimento, al fine di adeguarlo ai principi del giusto processo, garantendo il diritto tecnico alla difesa dei genitori. Occorre, poi, disciplinare il regime delle incompatibilità dei giudici onorari e dei loro stretti congiunti, rispetto a incarichi che potrebbero pregiudicarne l'imparzialità e l'indipendenza.

Così come un altro impegno importante contenuto nella mozione della maggioranza riguarda la PAS, la cosiddetta alienazione parentale, che chiediamo venga bandita dai nostri tribunali nelle decisioni che riguardano l'affido dei minori. Se questo riguarda le amministrazioni centrali, non possiamo qui omettere che esiste un punto fondamentale: la situazione dei servizi sociali e sanitari nel territorio e la solitudine delle famiglie in difficoltà. Non possiamo negare che negli anni post crisi, l'austerity abbia di fatto massacrato i servizi di welfare e cura. Abbiamo trovato i fondi per intervenire sulla povertà materiale, ma rimane inevasa la richiesta di aiuto e sostegno di molti genitori. Ricordo che, in occasione delle audizioni per il decreto su reddito di cittadinanza e quota cento, tutti i soggetti coinvolti - comuni, sindacati, ordini professionali, rappresentanti della società civile e del terzo settore - hanno denunciato lo svuotamento dei servizi sociali. Il consiglio nazionale dell'ordine degli assistenti sociali ha portato, in questo Parlamento, dati allarmanti da cui si evince come alcuni comuni, oggi, nel 2019, non hanno più un professionista per intervenire laddove ci sia bisogno; personale che richiede anche un'adeguata formazione.

A questo si aggiunga che in molte regioni non sono più presenti i presidi territoriali di sostegno alla famiglia o servizi educativi domiciliari. Chiediamo, quindi, al Governo di impegnarsi per trovare soluzioni che permettano di intervenire a supporto degli enti locali, per concentrarsi sulla vera priorità a cui tutti noi miriamo: la prevenzione.

Se l'intervento di allontanamento, laddove non ricorra una situazione di maltrattamento e violenza, anche assistita, e quindi a tutela dello stesso minore è l'estrema ratio, dobbiamo prevedere, coerentemente con quanto detto in precedenza, un sistema di interventi e servizi a supporto, che affianchino i genitori in difficoltà e che li sostengano in momenti complessi della crescita dei bambini. Crediamo fortemente nell'intervento dell'assegno universale, ma sappiamo che l'aiuto economico è importante, spesso non è sufficiente. I ragazzi pongono a tutti noi sfide ben più complesse, che richiedono ai genitori di potersi confrontare con professionisti capaci di accompagnarli e di ascoltarli.

Chiediamo, con questa mozione della maggioranza, che con il Family Act si possano avviare anche politiche di sostegno che integrino ogni contributo e sviluppino, sul territorio, nelle periferie e nelle città, servizi integrati a favore della genitorialità e la tutela dell'infanzia.

In conclusione, come Italia Viva riteniamo che, pur nelle diversità e nelle specifiche appartenenze, questo testo possa essere sintesi di un impegno comune, volto a realizzare interventi normativi che amplino le garanzie di tutela dei minori e delle loro famiglie. Chiediamo, quindi, al Governo di lavorare subito per questi obiettivi e di mettere a punto gli strumenti più efficaci al fine di agevolare la collaborazione necessaria per offrire ai bambini che vivono situazioni familiari segnate dalla sofferenza e dalla fragilità un futuro migliore (Applausi dei deputati dei gruppi Italia Viva e Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Tripodi. Ne ha facoltà.

ELISA TRIPODI (M5S). Grazie, Presidente. Colleghe e colleghi, compito della politica è quello di fornire gli strumenti necessari per la tutela di chi non può né proteggersi, né esercitare i propri diritti da solo. Compito delle istituzioni è mettere in campo tali strumenti, vigilare sulla loro applicazione e sulla loro capacità di problem solving e, nel caso, di migliorarli o addirittura correggerli e modificarli. Compito dello Stato è, dunque, prendere per mano i più deboli, proteggerli e accompagnarli nella formazione e nell'autodeterminazione di se stessi, portarli a conseguire il pieno sviluppo della persona umana, concorrendo così al progresso materiale o spirituale della società.

La prima forma di organizzazione sociale dove i bambini si formano, acquisiscono consapevolezza della loro dignità, prendono coscienza delle proprie potenzialità e si sviluppano come donne e uomini del domani è la famiglia, con le sue leggi e i suoi diritti. Non sempre, però, la famiglia naturale è in grado di occuparsi in modo completo delle necessità dei minori. Esistono, infatti, realtà familiari che presentano difficoltà ed è in questo contesto che si sviluppano tutta una serie di istituti volti a preservare il benessere dei minori e, laddove sia possibile, a rimuovere gli ostacoli o gli eventi che hanno causato un temporaneo stato di disagio all'interno della famiglia stessa, sostenendo così la famiglia d'origine nel recupero delle funzioni genitoriali.

I tremendi fatti di cronaca che hanno colpito la Val d'Enza ci impongono una riflessione sull'istituto dell'affido, una riflessione che deve portarci ad un miglioramento del sistema di protezione dei minori da abbandoni, abusi o violenze. Ecco che dopo lo sdegno, dopo la frustrazione, il rammarico e l'angoscia, deve arrivare l'impegno delle istituzioni affinché certe cose non succedano più, deve arrivare l'impegno delle forze politiche a lavorare sodo e a lavorare tutti assieme.

L'inchiesta svolta dal giornalista Pablo Trincia e nota con il nome di “Veleno” porta alla luce i dubbi sui metodi utilizzati dagli assistenti sociali, medici e psicologi nella bassa modenese alla fine degli anni Novanta: una vera e propria tragedia che portò all'allontanamento dalle loro famiglie ben sedici bambini, una storia terribile che in alcuni casi portò anche al suicidio. Nessuno di questi bambini allontanati fece più ritorno a casa e la maggior parte di loro crebbe nella convinzione di essere stati realmente vittime di abusi sessuali. Intere famiglie distrutte, bambini vittime di vere e proprie manipolazioni costruite ad arte per incastrare i presunti molestatori, inducendoli così a falsi ricordi. Gli eventi che hanno portato alle terribili conseguenze per i minori e per le loro famiglie della Val d'Enza e nella bassa modenese sembrano avere il medesimo comune denominatore: dietro questi casi, stando alle cronache, ci sarebbero persone senza scrupoli, che, per un motivo o per un altro, hanno utilizzato impropriamente la propria posizione solo per trarne profitto economico o professionale.

L'istituto dell'affido è una soluzione estrema e la sua configurazione è la conseguenza di un'ampia serie di testi normativi. La Costituzione italiana, agli articoli 30 e 31, afferma il diritto del minore ad essere educato all'interno della famiglia e consegna allo Stato il compito di intervenire a sostegno delle famiglie in difficoltà. La Convenzione ONU sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza, adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1989 e ratificata e resa esecutiva in Italia dalla legge n. 176 del 1991, riconosce che, per il pieno sviluppo della sua personalità, il bambino deve crescere in un ambiente familiare, in un'atmosfera di serenità, amore e comprensione. La legge n. 184 del 1983, modificata dalla legge n. 149 del 2001, e il libro I del codice civile regolano l'istituto dell'affido, individuando i presupposti per l'attuazione del diritto di ogni bambino di crescere nella propria famiglia, assegnando allo Stato, alle regioni e agli enti locali il compito di sostenere le famiglie in difficoltà e prevenire così l'abbandono. Diventa, quindi, necessario predisporre delle misure che mirino ad assicurare una tempestiva presa in carico delle famiglie in difficoltà, dotandole di strumenti che possano farsi carico, anche attraverso progetti educativi, di recuperare le competenze genitoriali.

L'affidamento familiare si pone come necessario nella misura in cui la famiglia d'origine non riesca, neanche dopo gli aiuti, a garantire il diritto del minore ad essere cresciuto e protetto in maniera adeguata. La famiglia naturale deve essere sempre al centro e bisogna preservare il legame del bambino con i suoi affetti, in modo da contribuire alla costituzione della sua identità. Come già accennato in precedenza, la soluzione dell'affido è l'ultima ratio a cui la giustizia minorile ricorre quando la vita e l'educazione dei minori sono a rischio nelle famiglie d'origine per motivi che vanno oltre i problemi economici. Nei casi di violenza in famiglia, è necessario tendere ad un sistema in cui sia proprio l'autore della violenza a dover lasciare immediatamente l'abitazione.

È dunque necessario intervenire, prevedendo l'allontanamento dei soggetti responsabili della violenza, questo in attesa della definizione di eventuali responsabilità da un punto di vista processuale. Il nostro obiettivo, con questa mozione, è quello di fare in modo che il Governo metta in campo tutti gli strumenti necessari a prevenire l'allontanamento dalla famiglia d'origine, a predisporre tutte le misure necessarie in merito all'opportunità di regolare, in modo chiaro, la fase di indagine del pubblico ministero minorile, il valore delle relazioni dei servizi sociali, l'informazione delle parti, tra cui anche del minore, il diritto alla difesa dei genitori, la legale rappresentanza del minore, la costituzione delle prove in dibattimento e il ruolo dei servizi sociali nell'ambito del procedimento, dalla fase istruttoria a quella attuativa dei provvedimenti.

Il lavoro con i minori comporta enormi responsabilità, ecco perché è necessario adottare iniziative che garantiscano la formazione e l'aggiornamento continuo del personale che si occupa di protezione della famiglia, quindi, degli psicologi, assistenti sociali ed educatori. Un ruolo importante viene svolto dalle comunità dei minori che, nel tempo, sono diventate delle strutture connotate da un'atmosfera familiare e accogliente, con progetti personalizzati in base alle esigenze dei minori. È fondamentale e necessario, quindi, dotarsi di un sistema informativo unitario e aggiornato sui bambini e sui ragazzi collocati nelle strutture residenziali, che coinvolga tutte le istituzioni interessate.

Sono molte le ragioni che portano all'ingresso di una persona minore di età all'interno di una comunità di tipo familiare: difficoltà educative della famiglia d'origine, legate a uno stato precario di salute psicofisica, nonché minori vittime di abusi o maltrattamenti o entrati nel circuito penale, ragazzi che sfuggono da guerre e povertà e arrivano nel nostro Paese senza adulti di riferimento e in condizioni critiche e di fragilità. Le comunità svolgono, dunque, l'importante compito di tutelare e favorire la crescita e lo sviluppo di quei bambini che non possono contare sulla propria famiglia. Non possiamo negare di essere stati tutti travolti dall'onda emotiva che i diversi casi di cronaca hanno innescato, ma noi siamo qui, oggi, per ricercare metodi e soluzioni lungimiranti, nel preminente interesse dei minori e, quindi, concedetemi anche di ringraziare tutti quegli operatori che lavorano rispettando le regole e i protocolli e che ogni giorno si trovano a dover affrontare casi di inumanità, con profonda dedizione per il loro lavoro e senso di responsabilità verso queste piccole e inconsapevoli creature (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.

Prendo atto che il Governo si riserva di intervenire successivamente.

Il seguito della discussione è, quindi, rinviato ad altra seduta.

Discussione delle mozioni Annibali ed altri n. 1-00249 e Bellucci ed altri n. 1-00090, concernenti iniziative volte a prevenire e contrastare ogni forma di violenza contro le donne (ore 16,36).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Annibali ed altri n. 1-00249 e Bellucci ed altri n. 1-00090, concernenti iniziative volte a prevenire e contrastare ogni forma di violenza contro le donne (Vedi l'allegato A).

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (Vedi calendario).

Avverto che sono state presentate una nuova formulazione della mozione Bellucci ed altri n. 1-00090, nonché la mozione Tateo ed altri n. 1-00282 che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalle mozioni all'ordine del giorno, verrà svolta congiuntamente (Vedi l'allegato A). I relativi testi sono in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.

È iscritta a parlare la deputata Fregolent, che illustrerà anche la mozione Annibali ed altri n. 1-00249, di cui è cofirmataria. Ne ha facoltà.

SILVIA FREGOLENT (IV). Signora Presidente, gentili rappresentanti del Governo, colleghi tutti, è con grande emozione che mi appresto a illustrare la mozione a prima firma della mia collega Lucia Annibali che mi ha dato l'onore di presentarla oggi. La Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne è stata istituita dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite con la risoluzione n. 54/134 del 17 dicembre del 1999 che ha scelto quella del 25 novembre come data, appunto, per ricordare la violenza contro le donne e ha invitato i Governi, le organizzazioni internazionali e le organizzazioni non governative a organizzare attività volte a sensibilizzare l'opinione pubblica.

Il fenomeno della violenza contro le donne viene definito, dall'articolo 3 della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, cosiddetta Convenzione di Istanbul, ratificata dall'Italia con la legge 27 giugno 2013, n. 77, come una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione contro le donne comprendente tutti gli atti di violenza fondati sul genere che provocano o sono suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica, comprese le minacce di compiere tali atti, la coercizione, la privazione arbitraria della libertà, sia nella sfera pubblica che nella sfera privata. Essa affonda le sue radici in una profonda e persistente disparità di potere tra uomini e donne, in un'organizzazione patriarcale della società che, ancora oggi, permea le pratiche e la vita quotidiana di milioni di uomini e donne in Italia. Tutti i dati e le ricerche pubblicate negli ultimi anni dicono che la violenza contro le donne nel nostro Paese è un fenomeno ampio, diffuso e strutturale. Nella gran parte dei casi, gli autori della violenza sono il partner, i parenti o gli amici; nei casi più estremi, la violenza contro le donne può portare anche a fenomeni di femminicidio.

Il 28 giugno 2019, EURES ha pubblicato un rapporto sugli omicidi in famiglia, da cui emerge che, nel 2018, il 49,5 per cento delle vittime degli omicidi volontari commessi in Italia è stato ucciso all'interno della sfera familiare o affettiva: 163 vittime su 329 vittime di omicidio totali; si tratta della percentuale più alta mai registrata in Italia; di queste, il 67 per cento è costituito da donne: 109 vittime, a fronte di 54 vittime di sesso maschile, il 33 per cento. L'ambito familiare arriva ormai a costituire il contesto omicidiario quasi esclusivo per le vittime femminili, visto che ben l'83,4 per cento delle 130 donne uccise in Italia nel 2019 ha trovato la morte per mano di un familiare o di un partner o ex partner.

I costi sociali ed economici della violenza dimostrano che le risorse stanziate per la prevenzione comportano netti risparmi rispetto a quanto il sistema pubblico è costretto a spendere una volta che la violenza viene realizzata. Anche le conseguenze sulla salute delle donne sono pesantissime. Questa fotografia così nitida è resa possibile anche grazie al lavoro, spesso volontario, di tante donne dei centri antiviolenza non istituzionali che da sempre affiancano le donne maltrattate, ascoltandole e accompagnandole nella costruzione di percorsi personali di fuoriuscita dall'esperienza di violenza. Il ruolo delle associazioni di donne va riconosciuto, valorizzato e potenziato quale strumento fondamentale per la lotta contro la violenza maschile sulle donne. In tal senso, va garantita su tutto il territorio la presenza di case rifugio in linea con i parametri internazionali, privilegiando quelle che possano garantire la qualità dei servizi e la competenza di genere professionale.

Una forma di violenza molto diffusa e difficile da riconoscere, esplicitamente citata dalla Convenzione di Istanbul, è la violenza economica; un vecchio detto dice: dipendenza economica è dipendenza psicologica. Come si legge nella guida della violenza economica curata dalla casa di accoglienza delle donne maltrattate di Milano, CADMI, con il contributo della Global Thinking Foundation, la definizione condivisa, anche a livello internazionale, di violenza economica può essere così espressa: la violenza economica si riferisce ad atti di controllo e monitoraggio del comportamento di una donna in termini di uso e distribuzione del denaro, con la costante minaccia di negare risorse economiche, ovvero attraverso un'esposizione debitoria o, ancora, impedendole di avere un lavoro e un'entrata finanziaria personale e di utilizzare le proprie risorse secondo la sua volontà.

Essa, spesso, si cela dietro a comportamenti ancora culturalmente giustificati e accettati e diffusi trasversalmente e indipendentemente dalle fasce di reddito delle donne.

Le difficoltà che le donne incontrano nella fuoriuscita dalla violenza sono spesso legate a scarsi strumenti di welfare a sostegno dei loro percorsi di libertà e autonomia. Questo fa sì che sovente esse tornino dal partner violento per le difficoltà economiche che si trovano ad affrontare. In questo senso, occorre salutare positivamente le buone pratiche e gli strumenti adottati a livello regionale, come il cosiddetto reddito di libertà o il contributo di libertà, misure di sostegno economico specifiche per le donne vittime di violenza domestica, al fine di sostenere l'autonomia e lo sviluppo di un progetto di vita indipendente, strumenti che aiutano le donne a scardinare il ricatto della dipendenza economica dall'uomo violento. Questo tipo di misure sono ancora distribuite a macchia di leopardo, purtroppo; occorrerebbe, invece, introdurre una misura universale e omogenea su tutto il territorio nazionale.

Per aiutare l'inserimento nel mondo del lavoro delle donne vittime di violenza occorre prorogare ed estendere gli sgravi contributivi per l'assunzione di donne vittime di violenza di genere a tutte le categorie dei datori di lavoro; sarebbe, altresì, importante estendere alle donne vittime di violenza una quota di riserva sul numero dei dipendenti dei datori di lavoro pubblici e privati, prevedendo per loro l'estensione dell'articolo 18 della legge 12 marzo 1999, n. 68.

Al fine di contrastare forme di violenza volte a rendere la donna economicamente dipendente, anche attraverso l'occultamento doloso delle risorse patrimoniali, al fine di non corrispondere quanto dovuto a titolo di mantenimento al coniuge e ai figli, occorre introdurre specifici e dedicati interventi anche di carattere normativo.

Un numero enorme di donne ha poi subito una qualche forma di molestia sessuale. L'Istat dice che, nel 2018, 8 milioni 816 mila donne (il 43,6 per cento), tra i 14 e i 65 anni, ha subito molestie sessuali nel corso della vita. Per quel che riguarda le molestie sul lavoro, dove esiste un sommerso importante, del 7,5 per cento di donne che ha subito ricatti sessuali sul lavoro, solo il 20 per cento ne ha parlato e quasi nessuna ha denunciato. Un fenomeno ampio a cui occorre dare una risposta anche attraverso un intervento normativo che dia applicazione all'articolo 40 della Convenzione di Istanbul.

Occorre poi ricordare che il 21 giugno 2019 la Conferenza internazionale del lavoro ha approvato a Ginevra la Convention concerning the elimination of violence and harassment in the world of work con 439 voti a favore, 7 contrari e 30 astensioni dei delegati della Conferenza che riunisce i delegati dei Governi, sindacati e rappresentanti degli imprenditori dei 186 Paesi membri dell'Organizzazione internazionale del lavoro. La Convenzione, accompagnata da una relativa raccomandazione, afferma che la violenza e le molestie nel mondo del lavoro sono inaccettabili e incompatibili con un lavoro dignitoso. Gli Stati che ratificano la Convenzione si impegnano ad adottare disposizioni contro violenze e molestie e a fornire un facile accesso a mezzi di ricorso e a rimedi.

Infine, c'è anche un particolare tipo di violenza che è stato denunciato dalla nostra collega Elisa Noja con una mozione, la n. 1-00243, dove si evidenzia come le donne con disabilità abbiano una probabilità di essere vittime di violenza da due a cinque volte superiore rispetto alle donne non disabili, frequentemente nell'ambito delle relazioni domestiche a causa della posizione di maggiore fragilità e vulnerabilità sofferta.

Il Piano strategico nazionale sulla violenza maschile contro le donne per il triennio 2017-2020, approvato nel novembre 2017 in Consiglio dei Ministri dal Governo pro tempore, è uno strumento importante volto a dare piena attuazione alla Convenzione di Istanbul. In attuazione dell'articolo 1, commi 790 e 792, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, e per il compimento degli obiettivi posti al paragrafo 5.4 “Soccorso” del piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 24 novembre 2017 sono state adottate le linee guida nazionali per l'assistenza socio-sanitaria alle donne che subiscono violenza e che si rivolgono al pronto soccorso, pubblicate in Gazzetta Ufficiale il 30 gennaio 2018. Le regioni, in virtù della loro competenza di tipo concorrente in materia di programmazione, coordinamento e indirizzo degli interventi socio-sanitari ai sensi dell'articolo 117 della Costituzione, devono adoperarsi affinché le aziende sanitarie e le aziende ospedaliere diano puntuale attuazione alle linee guida nazionali. Ad oggi non si sa quante regioni lo stiano facendo.

La Dichiarazione sull'eliminazione della violenza contro le donne (Nazioni Unite, 20 dicembre 1993) include implicitamente la tratta e la prostituzione forzata tra le forme di violenza di genere. Il 26 febbraio 2016 il Consiglio dei Ministri del Governo pro tempore ha adottato il primo piano d'azione nazionale contro la tratta e il grave sfruttamento degli esseri umani per gli anni 2016-2018. Il piano deve essere ancora rinnovato.

Negli ultimi anni, il legislatore è intervenuto più volte a livello normativo, perseguendo tre obiettivi: prevenire i reati, punire i colpevoli e proteggere le vittime. In tal senso sono state introdotte misure sostanziali e processuali volte a garantire alla vittima di reati di violenza domestica e di genere una tutela più incisiva ed efficace e imprimere tempestività alla risposta giudiziaria. Si può dire che la disciplina di settore ha raggiunto un livello avanzato di tutela per le vittime di reati in argomento: dalla legge n. 119 del 2013, la cosiddetta “legge sul femminicidio” alla legge n. 4 del 2018, volta a rafforzare le tutele per i figli rimasti orfani a seguito di crimine domestico, e, da ultimo, con l'approvazione della legge 19 luglio 2019, n. 69, “Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere”, il cosiddetto “codice rosso”. Un provvedimento della portata molto ampia che ha colmato alcuni vuoti normativi ed è intervenuto nella necessità condivisa di velocizzare l'instaurazione del procedimento penale e, conseguentemente, accelerare l'eventuale adozione di provvedimenti di protezione delle vittime.

È una legge, tuttavia, perfettibile, nel solco delle indicazioni emerse nel corso delle audizioni in Commissione giustizia, del parere espresso dal Consiglio superiore della magistratura e delle proposte di coordinamento e buone prassi tra gli uffici della scuola superiore della magistratura.

In merito alla sicurezza delle donne, i dati dicono che la diffusione di armi comporta un pericolo maggiore di omicidi e di vittime nei settori più indifesi, in particolare le donne. Nel merito Giorgio Beretta, analista dell'Opal (Osservatorio permanente sulle armi leggere), in un'intervista a “Linkiesta” del 15 gennaio 2019, dichiarava che “dei 92 tra omicidi di donne e femminicidi che sono stati commessi nel 2018, ben 28, cioè quasi uno su tre, sono stati compiuti da persone con regolare licenza per armi. In sintesi, oggi l'ambito di maggiore pericolosità per gli italiani, soprattutto per le donne, è quello familiare e relazionale e se c'è un'arma in casa è più probabile che venga utilizzata per ammazzare un familiare, spesso una donna, che per respingere eventuali ladri”. Il rapporto ombra delle associazioni di donne per il Grevio, il gruppo di esperte sulla violenza contro le donne del Consiglio d'Europa, incaricato di monitorare l'attuazione della Convenzione di Istanbul in Italia, raccomanda come urgentissimo e fondamentale menzionare espressamente nel codice civile la violenza intra-familiare come causa di esclusione di affidamento condiviso e la violenza assistita come causa di decadenza o limitazione della responsabilità genitoriale. Al fine di garantire una tutela preventiva della persona offesa, la legge 19 luglio 2019, n. 69, ha rafforzato l'interlocuzione tra la magistratura penale e civile in caso di contemporanea pendenza di procedimenti relativi sulle stesse parti, al fine di ridurre il rischio di decisioni confliggenti in tema di tutela delle vittime o, al contrario, di strumentalizzazione nel giudizio civile della vicenda penale. Occorre, tuttavia, segnalare che ancora in troppi casi accade che un procedimento penale, scaturito da una denuncia per una violenza domestica, proceda completamente staccato dal procedimento civile di separazione e si disponga l'affido condiviso dei figli e/o si impongano diritti di visita che mettono a repentaglio i diritti e la sicurezza delle vittime e dei minori.

Tutto questo premesso, noi chiediamo con questa mozione, a prima firma, appunto, della collega Lucia Annibali, che il Governo si impegni: a mettere in campo tutte le iniziative necessarie a raggiungere la piena applicazione della Convenzione di Istanbul; ad adottare iniziative volte alla prevenzione e al contrasto della violenza economica; ad adottare iniziative per introdurre strumenti di welfare volti a sostenere economicamente le donne nel loro percorso di fuoriuscita dalla violenza e a favorirne l'inserimento nel mondo del lavoro e l'autonomia abitativa; a mettere in campo strategie efficaci per prevenire e perseguire ogni forma di violenza fisica, psicologica e sessuale che può affliggere le donne nel contesto di un rapporto di lavoro e ad adottare le iniziative di competenza per ratificare quanto prima la Convention concerning the elimination of violence and harassment in the world of work; ad assumere le iniziative necessarie ad approvare un nuovo piano nazionale antiviolenza per il triennio 2020-2023; a monitorare l'attuazione a livello regionale delle linee guida nazionali per l'assistenza socio-sanitaria delle donne che subiscono violenza e che si rivolgono al pronto soccorso; a definire il nuovo piano d'azione nazionale contro la tratta e il grave sfruttamento degli esseri umani; ad adottare ogni iniziativa utile a monitorare e a controllare la diffusione delle armi per uso di difesa personale nonché ad assicurare che alla detenzione illegittima di un'arma corrisponda una tempestiva ed efficace comunicazione ai familiari e ai conviventi maggiorenni, anche diversi dai familiari, compreso il convivente more uxorio; ad adottare iniziative per introdurre modifiche del codice civile al fine di prevenire la violenza intra-familiare come causa di esclusione di affidamento condiviso e la violenza assistita come causa di decadenza o limitazione della responsabilità genitoriale; a promuovere la parità tra i sessi e la prevenzione della violenza di genere attraverso l'educazione scolastica, assumendo iniziative per destinare a tale scopo nuove risorse finanziarie; ad assumere iniziative per investire risorse adeguate per la formazione specifica e per il necessario aggiornamento del personale chiamato a interagire con la vittima, polizia e carabinieri, magistrati, personale della giustizia, polizia municipale e personale sanitario, anche nell'ambito di specifici capitoli di spesa destinati alla violenza di genere; ad adottare politiche volte a garantire la parità di genere e incrementare l'occupazione femminile, elemento quest'ultimo fondamentale per la liberazione delle donne dalla violenza; ad assumere iniziative per dare attuazione all'articolo 17 della Convenzione di Istanbul, anche attraverso l'adozione di misure per la promozione da parte dei media.

Ad adottare iniziative volte a prevenire e a contrastare il fenomeno dell'hate speech; ad assumere le iniziative necessarie al fine di destinare le risorse umane ed economiche necessarie per i programmi di trattamento per gli uomini autori di violenza contro le donne; ad adottare iniziative volte a incrementare le risorse destinate al Fondo per le pari opportunità, al Fondo per le vittime dei reati intenzionali violenti, al Fondo antitratta e, in generale, a tutte le politiche per la promozione della parità di genere e la prevenzione e il contrasto di ogni forma di violenza contro le donne; adottare iniziative normative ed organizzative necessarie all'attuazione della legge n. 4; adottare iniziative per pervenire ad una legge quadro sulla violenza contro le donne, al fine di sistematizzare e dare omogeneità alla normativa esistente (Applausi dei deputati dei gruppi Italia Viva e Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Lucaselli, che illustrerà anche la mozione n. 1-00090 (Nuova formulazione), di cui è cofirmataria.

YLENJA LUCASELLI (FDI). Grazie, Presidente. Mi permetterà di iniziare rappresentando proprio alla Presidenza quanto sia significante oggi discutere di questi temi non solo perché la Presidenza oggi è femminile, ma perché conosciamo quanto questi temi siano cari. Io ho la cattivissima abitudine di non leggere, per cui quello che è stato detto ha già sostanzialmente ripercorso quelle che sono le norme e quelli che sono i trattati internazionali. È stata già ricordata la data del 25 novembre, che è la data della Giornata internazionale di eliminazione della violenza contro le donne, è stata ricordata la quarta conferenza mondiale delle Nazioni Unite, a Pechino, nel 1995, che segnò un passaggio storico e culturalmente fondamentale per la proclamazione che i diritti delle donne sono, a tutti gli effetti, diritti umani. È intervenuta l'ONU, c'è la Convenzione di Istanbul, che ha impegnato gli Stati firmatari ad armonizzare a livello europeo tutto il pacchetto di normative che riguardano la prevenzione e il contrasto della violenza contro le donne, a proteggere e sostenere le vittime contro qualsiasi forma di violenza.

Più che fare un excursus su quello che già esiste, io vorrei parlare del nostro recentissimo passato, perché nel 2019 - quindi non troppo lontano da noi -, a luglio, il 19 luglio, è stata approvata una legge, la n. 69, che ha occupato quest'Aula e questi parlamentari in un dibattito conclusosi, poi, tra l'altro, con una acclamazione all'unanimità, che ha reso questo Parlamento sicuramente orgoglioso di aver fatto un passo in avanti in quella che è una normativa molto complessa e molto frammentaria. E come ci troviamo, però, spesso a commentare, il problema fondamentale che abbiamo in Italia è che abbiamo moltissime leggi e ne diventa, poi, difficile la loro applicazione.

Allora, ci siamo chiesti attraverso questa mozione perché l'applicazione del “codice rosso” diventa così, sostanzialmente, inefficace. Abbiamo dei dati che, purtroppo, non sono dati confortanti: secondo l'ISTAT, la violenza sulle donne è un fenomeno che non è assolutamente in fase retrocessiva, ma che, invece, aumenta; aumenta, perché siamo passati da un caso di violenza ogni tre giorni, a un caso di violenza ogni due giorni e mezzo. E secondo l'ISTAT, il problema fondamentale è che, quando si parla di violenza sulle donne, abbiamo un fenomeno, che è un fenomeno sommerso, strutturale, che non ha a che fare con l'età, non ha a che fare con le differenze culturali, religiose, di ceti sociali o differenze etniche ed è sostanzialmente un problema globale, quindi che attraversa in maniera indifferente generazioni e che attraversa in maniera indifferente popolazioni.

Purtroppo, non siamo riusciti a fermare questo fenomeno, perché, fino a quando non capiremo che l'applicazione della legge necessita uno sforzo economico, rimarranno delle bellissime parole che, probabilmente, risuoneranno in quest'Aula, rimarranno degli slogan bellissimi sui social, ai quali tutti ormai siamo abituati e ognuno di noi, probabilmente, avrà toni e messaggi di vicinanza tutte le volte in cui saremo costretti ad ascoltare l'ennesimo episodio di violenza nei confronti di una donna.

Allora, quello che volevamo mettere in evidenza con questa mozione è proprio che, a tre mesi dall'entrata in vigore del cosiddetto codice rosso, il bilancio della dottrina, il bilancio fatto dagli avvocati, il bilancio fatto da tutti coloro i quali operano all'interno delle istituzioni e degli organismi giurisdizionali perché questo “codice rosso” possa essere messo in pratica, non è assolutamente confortante: la violenza domestica rimane ancora troppo alta, la violenza domestica rimane ancora una macchia indelebile della nostra società.

Però, vedete, alla base di questo amaro giudizio, ci sono una serie di considerazioni. Noi dovremmo capire che le leggi servono solo se sono accompagnate da grandi investimenti economici che, da soli, possono consentire di sanare, per esempio, la carenza di personale, che è una piaga irrisolta dell'Italia. Perché, se da un lato, proviamo ad accelerare le procedure e inaspriamo le pene, dall'altro, ci dobbiamo rendere conto, poi, che è assolutamente indispensabile rafforzare degli organici. Girando per le aule dei tribunali, si ha chiara la percezione di come i magistrati non riescano a dare seguito all'ascolto della donna che ha subito violenza nei tre giorni previsti dalla normativa e questo è, sostanzialmente, un problema di organico: noi abbiamo una magistratura che è al di sotto di oltre 2 mila unità.

Quindi, quello che, secondo noi, diventa assolutamente fondamentale in questo momento non è soltanto ricordare che i fatti sono gravi, che sono fatti, ovviamente, deprecabili e che sono fatti che accadono, in definitiva, anche alla porta accanto alla nostra, anche se noi non lo sappiamo; il problema è capire effettivamente, nella concretezza, nella quotidianità, come risolvere questi problemi. Secondo noi, sarebbe fondamentale - ed è quello che chiediamo con questa mozione - non solo dare vita e adito a tutte quelle forme di formazione all'interno degli istituti scolastici, di cooperazione fra associazioni che si occupano di violenza sulle donne, che ci fosse anche una strategia efficace ed effettiva di prevenzione di tutte le forme di violenza contro le donne, fisica, psicologica, sessuale, lavorativa, economica: tutto questo, ovviamente, ha bisogno di un supporto economico.

Quindi, con questa mozione chiediamo degli impegni che adesso andrò - quelli sì - a leggere, ma, soprattutto chiediamo che venga posta l'attenzione, ed è per questo che abbiamo voluto fortemente riproporre nuovamente questo tema nella mozione, perché effettivamente siamo vicini allo studio e al dibattito sulla legge di bilancio e, quindi, ci è sembrato che la migliore occasione per poter riproporre, ancora una volta, quelle che sono le esigenze concrete fosse proprio questo momento. Il gruppo di Fratelli d'Italia chiede, attraverso questa mozione, che il Governo si impegni ad attuare in maniera efficace tutto quello che è già previsto nel Piano d'azione nazionale straordinario e di durata biennale, con l'obiettivo, ovviamente, di raggiungerne la piena applicazione; di assumere le iniziative attuative del Piano strategico nazionale sulla violenza maschile contro le donne, monitorando, anche lì, dove è possibile, la ricaduta della valutazione dei risultati ottenuti e, quindi, poi l'efficacia delle azioni che sono state poste in essere. Questo è un altro tema davvero molto importante, perché è vero che abbiamo dei dati dai quali partiamo e, ovviamente, da quelli dobbiamo partire, dobbiamo però anche capire quale è l'efficacia concreta, poi, delle norme che scriviamo, perché se non ne capiamo l'efficacia, ovviamente, non possiamo neanche capire se quella norma vada o meno rivista e se vada fatto su quella normativa qualche correttivo.

Chiediamo che ci sia da parte del Governo l'impegno ad intraprendere tutte le iniziative che sono di competenza, al fine di garantire la protezione delle donne e dei loro figli, perché non dobbiamo mai dimenticare che, lì dove la violenza avvenga a carico e contro una donna e questa donna abbia dei figli, è una doppia violenza, perché la violenza subita dalla mamma si ripercuote inevitabilmente e inesorabilmente anche sul figlio. Chiediamo di promuovere una parità effettiva e sostanziale tra uomo e donna attraverso azioni di sensibilizzazione e l'adozione di specifici programmi di educazione scolastica, anche finalizzati alla prevenzione della violenza, nonché alla diffusione delle linee guida per una comunicazione improntata al rispetto delle differenze di genere.

E su questo punto vorrei soffermarmi solo davvero un istante, perché vede, Presidente, non sono mai stata una femminista; credo che le donne abbiano la forza, il coraggio necessario e la destrezza per fare carriera, per lavorare, per essere alla pari con gli uomini. Non vedo delle differenze, se non, ovviamente, delle differenze fisiche, però di una cosa sono assolutamente certa: anche nel mondo del lavoro, e non solo, quindi, in situazioni familiari terribili, perché a questo si pensa spesso, quando si pensa alla violenza sulle donne siamo subito portati a pensare a situazioni familiari di disagio, e quindi che quegli episodi si verificano solo in quell'ambito. In realtà, invece, la violenza sulle donne può essere anche una semplicissima battuta e quelle volte quella battuta può fare molto più male, può ferire molto di più di migliaia di altri episodi.

E, allora, quello che dovremmo preoccuparci di fare è crescere le nuove generazioni nella consapevolezza che il rispetto passa anche attraverso le parole, che il rispetto passa attraverso gli atti e i comportamenti; e quindi, ovviamente, vorremmo che anche su questo ci fosse poi un impegno economico per riportare all'interno delle scuole quella che è l'educazione fondamentale, cioè l'educazione al rispetto del prossimo. Chiediamo che il Governo si impegni ad assumere iniziative volte a promuovere percorsi di assistenza e di supporto psicologico per le donne che hanno subito violenza e, ovviamente, per i nuclei familiari a loro vicini; che vengano poste in essere tutte quelle attività necessarie per sostenere la donna al fine di garantire la libera scelta e di rispettarne ovviamente i tempi di elaborazione emotiva; prevedere percorsi di specializzazione per avvocati, magistrati, forze dell'ordine, perché la velocità delle decisioni può fare la differenza tra la vita e la morte di una donna. E può fare la differenza tra la vita e la morte di una donna il modo in cui il racconto della violenza viene accolto dall'istituzione in quel momento.

Si chiede di favorire specifiche iniziative per incentivare l'inserimento delle vittime di violenza nel mondo del lavoro e fare tutto questo, ovviamente, in collaborazione, e quindi attraverso anche la Conferenza Stato-regioni, perché è fondamentale che vengano erogate con regolarità e puntualità tutte le risorse che sono ripartite appunto proprio con le regioni.

Vorremmo che ci fosse l'istituzione di una cabina di regia, perché questa possa dare impulso alle politiche di prevenzione e contrasto della violenza, nonché inserire in questo anche la violenza nei confronti dei figli delle donne che hanno subito violenza.

Vedete, per noi gli impegni che chiediamo con questa mozione sono conclusi. Un ultimo pensiero: quando si parla di violenza, lo dicevo prima, la violenza ha tantissime forme, tantissimi modi di dimostrarsi, e però noi non possiamo sempre pensare che basta parlarne perché il problema sia risolto o possiamo metterci a posto la coscienza solo perché abbiamo approvato la legge del “codice rosso”. Quello è stato un passo, un passo molto importante, un passo significativo, ma è semplicemente un piccolo passo. E allora dovremmo chiedere, dovremmo avere la forza di inserire all'interno di questa legge di bilancio davvero degli stanziamenti che possano dare la possibilità ai nostri tribunali e alle nostre istituzioni di aiutare non solo quelle donne, ma soprattutto di prevenire e di evitare che ancora una volta sui dati dell'Istat ci siano momenti così terribili come quelli che abbiamo letto: una donna viene uccisa ogni due giorni e mezzo (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Foscolo, che illustrerà anche la mozione Tateo ed altri n. 1-00282, di cui è cofirmataria.

SARA FOSCOLO (LEGA). Presidente, onorevoli colleghi e colleghe, membri del Governo, in questa giornata siamo qui per parlare di mozioni per contrastare la violenza sulle donne. Ricordo che circa un anno fa, in questa stessa Aula, ci siamo trovati a discutere di questo stesso argomento: sono passati dodici mesi e oggi come allora l'argomento rimane alquanto delicato e di drammatica attualità. Molto è stato fatto dal precedente Governo e a livello di iniziative parlamentari sia dal punto di vista legislativo che da quello della sensibilizzazione, ma molto è ancora da fare per prevenire e combattere su ogni fronte il fenomeno della violenza di genere. Una battaglia di buonsenso che, lo ribadisco ancora una volta, deve andare al di là dei singoli schieramenti politici per trovare la massima condivisione possibile. Basandoci sui dati raccolti dal Censis, emerge che tra il 1° agosto 2017 e il 31 luglio 2018 sono state 120 le vittime di femminicidio in Italia, mentre, per quanto riguarda il 2019, ancora in divenire, risulta che nei primi tre mesi il trend sia a essere in diminuzione. È un dato certamente positivo, se confermato, che però non può e non deve rappresentare un punto di arrivo, ma un punto di partenza, perché ogni forma di violenza è inaccettabile e perché anche solo una vittima di femminicidio è una vittima di troppo. L'obiettivo deve essere quello di arrivare all'azzeramento del fenomeno, preoccupante, inquietante, spesso purtroppo difficile da quantificare, non solo con le mozioni approvate da quest'Aula, sicuramente utili, ma anche e soprattutto con azioni efficaci e concrete in materia di prevenzione e di contrasto, a 360 gradi.

Parallelamente ai dati statistici ci sono le cronache internazionali, nazionali e locali, che ci ricordano purtroppo quasi quotidianamente la gravità della situazione. Basta leggere ogni giorno un quotidiano, guardare un telegiornale, ascoltare un notiziario o scorrere i portali on line per rendersene conto, e questo su ogni territorio.

Come ricordavo lo scorso anno, anche la mia stessa comunità, il comune di Pietra Ligure, ha testimoniato il drammatico caso dell'omicidio di Janira D'Amato, ventunenne uccisa a coltellate dall'ex fidanzato; una giovane vita spezzata da un tragico delitto. E sempre Pietra Ligure, pochi anni prima, aveva assistito all'omicidio di un'altra donna, Alba Varisto, un'infermiera massacrata a calci e pugni dal convivente, che l'ha poi vegliata per 48 ore e le ha inciso una croce sul petto con un coltello. Boissano, sempre nella mia provincia: esattamente un anno fa, a novembre, Roxana Karin Zentero è stata soffocata nel sonno dal marito, mentre in casa si trovavano anche i due figli minori di 10 e 12 anni. E ancora pochi mesi fa, a luglio, a Savona, un'altra vita portata via, quella di Deborah Ballesio, uccisa dall'ex marito a colpi di pistola durante una serata in un karaoke; una sparatoria in cui sono rimaste ferite altre due donne e una bambina di tre anni. “Non sono pentito di quello che ho fatto, mi spiace solo per gli innocenti coinvolti”, ha dichiarato nel momento dell'arresto l'autore dell'omicidio, già in passato condannato per stalking, per maltrattamenti contro la vittima e che, nonostante il divieto di avvicinarsi alla donna, le aveva promesso che sarebbe tornato. Ed è purtroppo ancora lungo l'elenco delle donne maltrattate e uccise da chi diceva di amarle.

Notizie come queste sono agghiaccianti, non possono lasciarci indifferenti; anzi, devono spronare tutti noi a intensificare gli sforzi per combattere la violenza di genere senza se, senza ma e senza sconti. Lo affermo da donna, da privata cittadina, da rappresentante delle istituzioni. Oggi come un anno fa c'è bisogno di un impegno collettivo per fare sì che episodi di questo genere non accadano mai più. Serve un'attenzione particolare e un'opera di prevenzione verso un fenomeno che va sì studiato, ma soprattutto affrontato e arginato, dotando i soggetti coinvolti di strumenti efficaci, idonei e adeguati per il contrasto e la repressione del fenomeno. Per fortuna, qualcosa sta iniziando a cambiare: lo scorso 19 luglio, infatti, questo Parlamento ha dato la propria approvazione alla legge cosiddetta “codice rosso”, fortemente voluta e condivisa dalla Lega, da Matteo Salvini, dall'allora Ministro Giulia Bongiorno. Una promessa mantenuta, un importante risultato nella lotta alla violenza contro le donne, un passo in avanti storico che introduce novità decisive per porre un argine, come gli incrementi nelle pene per la violenza sessuale, lo stalking, la violenza domestica, perché è importante evidenziare che nella maggior parte dei casi chi si macchia di tale crimine è un familiare, un marito, un convivente, un fidanzato. Grazie al “codice rosso”, la specializzazione del personale delle forze dell'ordine punta a garantire una risposta professionale adeguata alle specificità proprie delle indagini, con l'obiettivo di avere una maggiore uniformità delle capacità di reazione e delle denunce. Il provvedimento, che abbiamo sostenuto con orgoglio e convinzione, punta ad accorciare le distanze tra la giustizia e le donne maltrattate e a reprimere più efficacemente il fenomeno della violenza sulle donne. Sono stati fatti molti passi in avanti negli ultimi anni nel nostro Paese, il “codice rosso” è stato un provvedimento di importanza fondamentale in questo percorso.

Ci sono tuttavia ancora tanti ed importanti ulteriori sforzi da fare: bisogna intervenire aumentando la consapevolezza delle donne sui loro diritti, i rimedi a disposizione, fornire alle forze in campo strumenti efficaci per proteggere le donne che hanno il coraggio di denunciare; e per contrastare il fenomeno della violenza, come evidenzia anche la nostra mozione, sarebbe quanto mai indispensabile promuovere ogni provvedimento normativo per introdurre specifici trattamenti terapeutici o farmacologici inibitori della libido.

Ed inoltre non va sottovalutato il fenomeno della prostituzione, che rappresenta una tipologia di violenza ed è una problematica innegabile: una realtà che esiste, spesso sommersa, spesso collegata alla criminalità e con la tratta degli esseri umani, con dati parziali e raccolti con difficoltà. Una realtà del nostro Paese che non può essere ignorata, e che invece va affrontata sempre con lo stesso obiettivo: quello di difendere le vittime. Ecco perché sarebbe opportuno, oggi più che mai, avviare un dibattito maturo, senza pregiudizi né barricate, sull'abolizione e sul superamento della “legge Merlin”. Da parte nostra continuano ad essere presenti la massima attenzione e il massimo impegno verso il contrasto del fenomeno della violenza sulle donne. La mozione che presenta oggi la Lega è per assicurare la totale e adeguata applicazione del “codice rosso” e di una serie di misure per operare sulla prevenzione, sull'informazione, sulla protezione e in ultimo, ma non in ordine di importanza, sulla repressione della violenza di genere. È per questo che nella nostra mozione chiediamo al Governo alcuni impegni. Ad esempio, prevedere corsi di formazione per la Polizia di Stato, per l'Arma dei carabinieri, per il Corpo di polizia penitenziaria, al fine di prevenire e perseguire i reati indicati nella legge appunto del “codice rosso”. Bisogna assicurare che i finanziamenti stanziati annualmente siano erogati senza ritardi e vincolati all'assunzione di impegni precisi.

Occorre, inoltre, aggiornare la mappatura dei centri antiviolenza del Dipartimento per le pari opportunità, secondo la reportistica ricevuta da regioni e province autonome, anche al fine di stimare il fabbisogno reale dei centri antiviolenza per la loro sopravvivenza ed il loro adeguato funzionamento, informando di conseguenza circa lo stanziamento necessario per assicurare servizi adeguati su tutto il territorio.

Chiediamo al Governo anche di impegnarsi ad assumere iniziative per incoraggiare il settore privato, il settore delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, i mass media, nel rispetto della loro indipendenza e libertà di espressione, a partecipare all'elaborazione e all'attuazione di politiche e alla definizione di linee guida e di norme di autoregolamentazione per prevenire la violenza contro le donne e rafforzare il rispetto della loro dignità, anche promuovendo una comunicazione improntata al pieno rispetto della dignità culturale e professionale delle donne, e vietando forme di comunicazione che possano indurre una fuorviante percezione dell'immagine femminile. Occorre a nostro avviso anche intervenire all'interno delle scuole, per educare le nuove generazioni alla parità tra uomo e donna, all'affettività, a definire linee guida che forniscano indicazioni per includere nei programmi scolastici i temi dell'educazione alla legalità, al diritto all'integrità personale e del contrasto alla violenza sulle donne e allo sfruttamento della prostituzione. Bisogna inoltre prevedere percorsi specifici in carcere per gli autori di reati di violenza sessuale sulle donne e di sfruttamento della prostituzione, inclusi interventi sulla normativa che disciplina l'ordinamento penitenziario, volti a rendere obbligatoria, per i detenuti per reati contro le donne, la destinazione di una percentuale del reddito generato dal lavoro in favore del risarcimento delle vittime. È quindi necessaria una serie di interventi, affinché si possano proteggere le vittime e arginare in maniera efficace e decisiva l'odioso fenomeno della violenza alle donne. Questo lo dobbiamo alle vittime: lo dobbiamo a Janira, ad Alba, lo dobbiamo a Deborah, a Roxana; lo dobbiamo a tutte le donne vittime di violenza, perché non accada mai più, perché l'impegno condiviso non resti sulla carta o nei resoconti stenografici delle Camere, ma possa diventare un'azione concreta (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Ascari. Ne ha facoltà.

STEFANIA ASCARI (M5S). Presidente, con il fenomeno della violenza contro le donne il nostro Paese purtroppo fa i conti quasi ogni giorno. Esso viene definito dall'articolo 3 della Convenzione di Istanbul come una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione contro le donne: una violazione che affonda le sue radici in una profonda e persistente disparità di potere tra uomini e donne e in un'organizzazione patriarcale della società. Si comprende bene dalla premessa della Convenzione di Istanbul come il lavoro da fare sia soprattutto culturale, di rimozione degli stereotipi e di costruzione di una vera e propria parità tra i sessi. Parità salariale e parità di accesso alle professioni, innanzitutto, dato che in Italia resta molto complicato per una donna fare carriera o essere pagata come il collega uomo.

Tutti i dati, le ricerche pubblicate negli ultimi anni dicono che la violenza contro le donne nel nostro Paese è un fenomeno ampio, diffuso e strutturale. Nella gran parte dei casi gli autori della violenza sono il partner, l'ex partner, i parenti o gli amici. L'istituto Eures ha pubblicato un rapporto sugli omicidi in famiglia, da cui emerge che nel 2018 il 49,5 per cento delle vittime degli omicidi volontari avvenuti in Italia è stato commesso all'interno della sfera familiare o affettiva. L'ambito familiare arriva ormai a costituire il contesto omicidiario quasi esclusivo per le vittime femminili, visto che ben l'83,4 per cento delle 130 donne uccise in Italia nel 2018 ha trovato la morte per mano di un familiare o di un partner/ex partner. Questa fotografia così nitida è resa possibile anche grazie al lavoro, spesso volontario, di tante donne dei centri antiviolenza non istituzionali, che da sempre affiancano le donne maltrattate, ascoltandole e accompagnandole nella costruzione di percorsi personali di fuoriuscita dall'esperienza di violenza, compiendo un lavoro - bisogna dirlo - straordinario e spesso con pochissime risorse. Il ruolo delle associazioni di donne dev'essere riconosciuto, valorizzato e potenziato quale strumento fondamentale per la lotta contro la violenza maschile sulle donne; in tal senso va garantita su tutto il territorio la presenza di case rifugio, per chi fugge da contesti violenti.

Una forma di violenza molto diffusa e insidiosa perché difficile da riconoscere è la violenza economica, esplicitamente citata dalla Convenzione di Istanbul. Le difficoltà che le donne incontrano nella fuoriuscita dalla violenza sono spesso legate a scarsi strumenti di sostegno dei loro percorsi di libertà e autonomia: se una donna è economicamente dipendente dal partner, farà molta fatica a denunciare. Questo fa sì che spesso tornino dal partner violento, per le difficoltà economiche che si trovano ad affrontare. In questo senso occorre salutare positivamente le buone pratiche e gli strumenti adottati da alcune regioni, come il cosiddetto reddito di libertà o il contributo di libertà. Occorrerebbe però introdurre una misura universale e omogenea su tutto il territorio nazionale, perché una donna economicamente indipendente è una donna che non ha paura di esporsi e denunciare. Vi è poi un numero ancora troppo alto di donne che ha subito una qualche forma di molestia sessuale. L'Istat dice che nel 2018 8.816.000 donne, il 43,6 per cento fra i 14 e i 65 anni, ha subito molestie sessuali nel corso della vita. Numeri che dovrebbero allarmarci e portarci a fare una profonda riflessione sul tipo di società che stiamo costruendo.

Per quel che riguarda invece le molestie sul lavoro, dove esiste un sommerso importante, sul totale del 7,5 per cento di donne che ha subito ricatti sessuali sul lavoro, solo il 20 per cento di loro ne ha parlato e quasi nessuna ha denunciato. Un fenomeno ampio a cui occorre dare una risposta, anche attraverso un intervento normativo che dia applicazione all'articolo 40 della Convenzione di Istanbul. Occorre a tal proposito ricordare che il 21 giugno 2019 la Conferenza internazionale del lavoro ha approvato a Ginevra la Convention concerning the elimination of violence and harassment in the world of work, che afferma che la violenza e le molestie nel mondo del lavoro sono inaccettabili e incompatibili con un lavoro dignitoso. Accade, inoltre, che le donne con disabilità abbiano una probabilità di essere vittime di violenza da due a cinque volte superiore rispetto alle donne non disabili.

Questo accade soprattutto nell'ambito delle relazioni domestiche, a causa della posizione di maggiore fragilità e vulnerabilità sofferta da queste donne. A loro dobbiamo pensare mettendo in atto strategie di difesa e di tutela affinché la disabilità non sia una condizione doppiamente penalizzante le donne. Il Piano strategico nazionale sulla violenza maschile contro le donne per il triennio 2017-2020, approvato nel novembre 2017, ripropone i tre assi strategici della Convenzione di Istanbul: prevenire, proteggere e sostenere; perseguire e punire. Sono parole chiave importanti che però non devono limitarsi a restare scritte nei buoni intenti firmati da tutti gli Stati, ma devono diventare pratica nelle leggi che le nazioni si danno per combattere con efficacia la violenza sulle donne.

Ognuno deve fare la sua parte. Le regioni devono adoperarsi affinché le aziende sanitarie e le aziende ospedaliere diano puntuale attuazione alle linee guida nazionali: ad oggi, non si sa quante regioni lo stiano facendo. Questo significherebbe anche attivare le reti territoriali antiviolenza, che significa prevedere protocolli operativi, inter-istituzionali tra aziende sanitarie, forze dell'ordine, procure, enti locali e centri antiviolenza. I programmi sono spesso ambiziosi: nostro dovere è fare in modo che essi non restino lettera morta. Recentemente, in alcuni commissariati e caserme dei Carabinieri sono state riservate alcune stanze per accogliere le vittime di violenza: spazi accoglienti in cui le vittime che decidono di denunciare riescono a sentirsi più a loro agio. Questa è una buona pratica, che sarebbe opportuno promuovere; sarebbe importante garantire una diffusione di questa iniziativa per garantire uniformità sul territorio nazionale. La Dichiarazione sull'eliminazione della violenza contro le donne, adottata dalle Nazioni Unite il 20 dicembre 1993, include esplicitamente la tratta e la prostituzione forzata tra le forme di violenza di genere.

Lo scorso 7 maggio si è insediata a Palazzo Chigi la prima cabina di regia per l'attuazione del Piano nazionale d'azione contro la tratta e il grave sfruttamento di esseri umani, con il compito di elaborare un nuovo Piano nazionale antitratta per gli anni 2019-2021. Come già anticipato, negli ultimi anni il legislatore è intervenuto più volte a livello normativo, perseguendo tre obiettivi: prevenire i reati, punire i colpevoli e proteggere le vittime. In tal senso, sono state introdotte misure volte a garantire alla vittima di una tratta una tutela più incisiva ed efficace e ad imprimere tempestività alla risposta giudiziaria. Si può dire che la disciplina di settore ha raggiunto un livello avanzato di tutela per le vittime dei reati: dalla legge 15 ottobre 2013, n. 119, la cosiddetta legge sul femminicidio, alla legge 11 gennaio 2018, n. 4, volta a rafforzare le tutele per i figli rimasti orfani a seguito di un crimine domestico e, da ultimo, con l'approvazione della legge 19 luglio 2019, n. 69, “codice rosso”, un provvedimento dalla portata molto ampia che ha colmato alcuni vuoti normativi ed è intervenuto sulla necessità condivisa di velocizzare l'instaurazione del procedimento penale e conseguentemente accelerare l'eventuale adozione di provvedimenti di protezione delle vittime. Questo testo rappresenta un grande traguardo, che fornirà maggiori tutele e sicurezze alle donne vittime di abusi e che potrebbe arricchirsi delle osservazioni suggerite da parte del Consiglio Superiore della Magistratura, della Cassazione e della Scuola superiore della magistratura riguardanti in particolare dettagli applicativi e procedurali del nuovo impianto normativo.

In merito alla sicurezza delle donne, i dati dicono che la diffusione di armi comporta un pericolo maggiore di omicidi e di vittime nei settori più indifesi, in particolare per le donne. Il Rapporto ombra delle associazioni di donne per il GREVIO, il gruppo di esperti sulla violenza contro le donne del Consiglio d'Europa, di ottobre 2018, raccomanda come urgentissimo e fondamentale menzionare espressamente nel codice civile la violenza intra-familiare come causa di esclusione di affidamento condiviso e la violenza assistita come causa di decadenza o limitazione della responsabilità genitoriale.

Per tutelare la persona offesa, la legge 19 luglio 2019, n. 69 ha rafforzato l'interlocuzione tra la magistratura penale e quella civile in caso di procedimenti relativi alle stesse parti, con l'obiettivo di ridurre il rischio di decisioni confliggenti in tema di tutela delle vittime o, al contrario, di strumentalizzazione, nel giudizio civile, della vicenda penale. Occorre tuttavia segnalare come ancora in troppi casi accade che un procedimento penale scaturito da una denuncia per violenza domestica proceda completamente staccato dal procedimento civile di separazione e si disponga l'affido condiviso dei figli e si impongano diritti di visita che mettono a repentaglio i diritti e la sicurezza della vittima o dei minori.

Accade altresì che si colpevolizzino le madri che denunciano la violenza di cui viene messa in discussione la competenza genitoriale con meccanismi quali la PAS, sindrome dell'alienazione parentale, che non ha basi scientifiche come ribadito anche dalla Corte di cassazione, e la vittimizzazione secondaria a tutti i livelli che determinano una prosecuzione dell'esercizio di potere e di controllo nei confronti della donna. La PAS passa sovente attraverso le consulenze tecniche d'ufficio redatte da psicologi, psicoterapeuti o psichiatri nominati dal giudice.

Occorre ricordare, poi, che l'articolo 31 della Convenzione di Istanbul impone di prendere in dovuta considerazione gli episodi di violenza vissuti dai figli minori al momento di determinare i diritti di custodia e di visita dei figli.

In questo scenario, la prevenzione resta centrale nella lotta alla violenza di genere. Prevenire significa mettere in piedi una profonda opera di promozione di una cultura ispirata alla parità di genere, al superamento degli stereotipi, del sessismo e della misoginia: un cambiamento che deve intervenire in maniera decisa e forte e tutti gli istituti e i soggetti della formazione e della cultura li deve riguardare. Centrale, in questo quadro, è il ruolo della scuola di ogni ordine e grado, al fine di educare al rispetto di genere e contrastare ogni forma di violenza, di discriminazione e favorire il superamento di pregiudizi e disuguaglianze. Purtroppo, ancora oggi nei mondi che vengono a contatto con la violenza sulle donne sono presenti molti pregiudizi. Per questo la specializzazione e la formazione di tutti i soggetti che lavorano con le vittime sono cruciali.

Sul piano della comunicazione viene ancora riservata poca attenzione al ruolo che i media possono avere per consolidare una coscienza sociale diffusa di condanna del fenomeno. Troppe volte, soprattutto nei casi di femminicidio, i media tendono a far passare un messaggio fuorviante e diseducativo sia sul piano del linguaggio che su quello della rappresentazione della notizia. Espressioni come: “amore malato”, “eccesso d'amore”, “raptus”, “gigante buono” richiamano ad una sorta di giustificazionismo dell'azione violenta. Su questo tema molto sta facendo l'Associazione Carta di Roma, segnalando questo tipo di comunicazione violenta, e molto possiamo fare anche noi rifiutando tale impostazione che vede il colpevole come innamorato.

Nell'era del web, la violenza, come è noto, corre anche in Rete e le donne sono le principali vittime del discorso d'odio on line, il cosiddetto hate speech. L'odio in Rete si sta diffondendo come un fiume in piena ed è in costante crescita nel nostro Paese: normare il web non è una cosa semplice, tuttavia credo che dovremmo porci il problema di come arginare questi discorsi violenti.

Sul fronte della tutela delle donne vittime di violenza e in funzione preventiva è fondamentale il trattamento degli uomini violenti anche nella fase di esecuzione della pena. I dati dicono che, espiata la pena, gli uomini violenti tendono a commettere altri reati della stessa natura. È opportuno garantire il coordinamento territoriale a partire dalle prefetture.

Per questo la mozione che oggi proponiamo, e siamo qui a presentare, impegna il Governo a mettere in campo tutte le iniziative necessarie a raggiungere la piena applicazione della Convenzione di Istanbul per garantire che le risorse stanziate annualmente nell'ambito del contrasto alla violenza di genere, siano utilizzate per iniziative volte alla prevenzione e al contrasto della violenza economica; per stabilire, inoltre, sempre con scadenza annuale, l'aggiornamento della mappatura dei centri antiviolenza del Dipartimento delle pari opportunità e il mantenimento delle risorse stanziate per i centri antiviolenza, affinché siano assicurati, su tutto il territorio nazionale, adeguati servizi di contrasto alla violenza di genere e percorsi di fuoriuscita delle vittime; per adottare, poi, iniziative, per introdurre strumenti di welfare, volti a sostenere economicamente le donne nel loro percorso di fuoriuscita dalla violenza e a favorirne l'inserimento nel mondo del lavoro e l'autonomia abitativa; per promuovere la parità tra i sessi e la prevenzione della violenza di genere, attraverso l'educazione scolastica, perché educare sin dai primi banchi di scuola significa, prima di tutto, prevenire. Come legislatori, non possiamo fare a meno di mettere in campo tutte le iniziative necessarie a costruire una cultura del rispetto e della valorizzazione della donna, consapevoli che la battaglia decisiva la combatteremo qui, sul terreno culturale, prima che su quello normativo. Si tratta, prima di tutto, di una battaglia di civiltà, una battaglia che non deve e non può avere colore politico e nessun pregiudizio, deve essere una conquista di tutti. E credo che, come deputate del Parlamento italiano più femminile di sempre, anche noi siamo chiamate a fare la nostra parte, collaborando alla costruzione di una cultura della parità sul lavoro, in famiglia e nelle istituzioni (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Siracusano. Ne ha facoltà.

MATILDE SIRACUSANO (FI). Grazie, Presidente. Colleghi. Presidente Carfagna, sono molto contenta che sia lei, oggi, a presiedere questa seduta, proprio perché lei su questi temi rappresenta un po' la paladina delle istituzioni, per tutte le battaglie condotte ma anche per i traguardi che ha raggiunto, come, durante il IV Governo Berlusconi, l'introduzione del reato di stalking nel codice penale o il finanziamento, per la prima volta, di un vero e proprio Piano nazionale antiviolenza, un finanziamento di 18 milioni di euro, che poneva in correlazione, in connessione, i centri antiviolenza su tutto il territorio nazionale. Anche di recente, durante l'esame e l'approvazione del “Codice Rosso”, porta la sua firma l'emendamento che ha introdotto la fattispecie di reato che punisce l'induzione ai matrimoni mediante coercizione. E poi ho apprezzato e in linea con lei ho sentito il dovere di manifestare pubblicamente apprezzamento verso la sentenza della Corte di cassazione di qualche giorno fa, in riferimento all'omicidio Olga Matei. La Corte di cassazione ha giustamente annullato la sentenza precedente della Corte d'assise d'appello di Bologna, che quasi dimezzava di fatto la pena dell'assassino della signora Matei, che era appunto il fidanzato - la signora Matei fu strangolata a Riccione nel 2016 -, e la motivazione espressa fu quella della tempesta emotiva. Ai tempi questa cosa ci fece inorridire e oggi, giustamente, la Corte di cassazione ha corretto il tiro, però, Presidente, se abbiamo bisogno oggi di una sentenza della Corte di cassazione per affermare un principio sacrosanto, e cioè che non può esistere alcuna tempesta emotiva, alcun raptus di gelosia che possa giustificare o attenuare la colpa di chi commette un omicidio nei confronti di una donna, questo significa che abbiamo anche oggi, noi, un grande lavoro da svolgere nelle sedi che ci competono. Anche perché, sottosegretario, colleghi, Presidente, i numeri e i fatti di cronaca confermano che, purtroppo, il fenomeno della violenza di genere e domestica non è diminuito, ma, anzi, assume sempre più i connotati di un'emergenza. I dati ci dicono che ci sono 7 milioni di donne italiane, che, almeno una volta nella vita, dai 14 ai 60 anni, hanno subito una qualche forma di violenza, o psicologica o fisica o sessuale, e molto spesso questo accade per mano dei partner o di ex partner. E i numeri sono ancor più preoccupanti quando guardiamo alle donne con disabilità. Le percentuali che riguardano gli stupri subiti dalle donne con disabilità sono doppi rispetto alle donne normodotate: si parla del 10 per cento di donne con disabilità che hanno subito un tentativo di stupro o uno stupro, contro il 4,7 per cento delle donne normodotate, anche in questo caso per mano di parenti, di amici, di partner, o, ancor più grave - è orribile -, da parte di chi era preposto alla cura della donna con disabilità.

PRESIDENZA DELLA VICEPRESIDENTE MARIA EDERA SPADONI (ore 17,35)

MATILDE SIRACUSANO (FI). È ancor più grave, Presidente, il fatto che questi dati non sono ufficiali, anzi sono soltanto il 10 per cento, perché soltanto nel 10 per cento dei casi le donne con disabilità riescono a denunciare l'aggressione, proprio per le problematiche relative alla disabilità stessa, psichiche o intellettive. Quindi, molto spesso, queste aggressioni brutali rimangono nel silenzio.

È vero, è stato fatto tanto lavoro, abbiamo svolto anche di recente un importante lavoro attraverso il “codice rosso”, la legge approvata nel luglio 2019, però non è sufficiente, ci sono molte carenze, perché, soprattutto quando le donne riescono poi a trovare la forza e il coraggio di denunciare, devono trovare poi lo Stato che subentri e si occupi dell'assistenza, e molto spesso questo non avviene. Lo Stato dovrebbe giocare un ruolo cruciale in questa partita. Ad esempio, Presidente, un problema è riferibile agli alloggi: per mancanza di adeguati finanziamenti non tutti i centri antiviolenza dispongono di case rifugio; risulta, dai dati raccolti, un totale di 627 posti letto, anche distribuiti in modo disomogeneo su tutto il territorio nazionale, un numero sicuramente inadeguato per rispondere ai bisogni di sicurezza delle donne, in totale violazione della raccomandazione del Consiglio d'Europa, che indica, come parametro numerico adeguato di alloggi sicuri, i rifugi per donne, un posto letto ogni 10 mila abitanti. Secondo la ricerca di WAVE, invece, in Italia sarebbero necessari 6.078 posti letto e ne mancano ancora ben 5.451. A tal proposito, la Corte europea dei diritti dell'uomo ha condannato l'Italia per non aver protetto una donna e suo figlio - parlo della sentenza Talpis - e questo ha cagionato la morte del figlio stesso e un'aggressione molto violenta nei confronti della donna. Per questo, la Corte europea dei diritti dell'uomo ha già condannato l'Italia per la mancanza di protezione. Ecco, la sentenza Talpis, la sentenza Matei, gli altri fatti di cronaca e i numeri ci dicono che, purtroppo, non è bastata neanche la legge, seppur buona, che abbiamo votato, che è il “codice rosso”, per affrontare e risolvere complessivamente il problema. Il “codice rosso” necessita di ulteriori provvedimenti amministrativi - come ha detto anche poc'anzi molto bene la collega Lucaselli - che ne garantiscano la piena applicazione e, quindi, l'efficacia.

Pur condividendone la linea ispiratrice, Forza Italia ha portato dei contributi migliorativi al testo, per esempio, con l'introduzione del reato di sexting e revenge porn, quella fattispecie che punisce la diffusione di video, foto o contenuti sessualmente espliciti. Ha introdotto anche l'applicazione di procedure di controllo mediante braccialetto elettronico nei casi di divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa. Ha previsto anche, nei casi di condanna per reati sessuali, che la sospensione della pena venga subordinata alla partecipazione a percorsi di recupero ad hoc. Il divieto di matrimoni forzati, come ho, appunto, detto all'inizio, del provvedimento, a prima firma Carfagna, e anche la previsione di una quota di 3 milioni di euro per l'anno 2019 e 5 milioni a decorrere dal 2020, da destinare a misure di sostegno agli orfani per crimini domestici. Ad oggi non è stato ancora emanato, però, il regolamento volto a stabilire i criteri e le modalità per l'utilizzazione delle risorse in favore degli orfani per crimini domestici e al finanziamento di iniziative di orientamento, di formazione e di sostegno per l'inserimento dei medesimi nell'attività lavorativa. Un altro problema che riscontriamo, che è risvolto ovvio del “codice rosso” e che va affrontato, è che l'aumento delle denunce delle vittime di violenza di genere ha fatto anche crescere in maniera esponenziale il lavoro delle procure, senza che poi siano stati effettivamente forniti i mezzi e gli strumenti necessari e sufficienti per far fronte, sia in maniera qualitativa che quantitativa, al nuovo carico di lavoro.

Ciò proprio perché la sostanza del “codice rosso” è la velocizzazione dell'instaurazione del procedimento, in quanto, a fronte di notizie di reato o di delitti di violenza domestica e di genere la polizia giudiziaria, acquisita la notizia, riferisce immediatamente al pubblico ministero e quest'ultimo, entro tre giorni, ha l'obbligo di interrogare la vittima o, comunque, chi ha sporto denuncia. Ecco perché la nostra mozione chiede di intraprendere le opportune iniziative al fine di dotare gli uffici giudiziari di mezzi e risorse idonei per rendere efficaci le misure previste dal codice rosso.

Tra i vari impegni che la nostra mozione - che ovviamente è stata depositata poc'anzi - sottoscrive, alcuni li lascio agli atti, altri vorrei, invece, sottolinearli. Come ho detto prima, è necessario che il Governo assuma iniziative al fine di rivedere e adeguare i meccanismi dei finanziamenti statali, garantendo su tutto il territorio nazionale una presenza delle case rifugio sufficiente e in linea con i parametri internazionali, privilegiando quelle che possano con sicurezza garantire la qualità dei servizi e la loro competenza di genere e sui diritti umani, oltre alla qualità professionale. Chiediamo al Governo che si impegni a prevedere percorsi costanti di formazione obbligatoria sulla violenza assistita e di genere per gli operatori sociali, sanitari e di giustizia. Chiediamo, anche, in linea con la Convenzione di Istanbul, di assumere opportune iniziative al fine di promuovere attività di prevenzione della violenza contro le donne, attraverso l'attivazione di corsi di difesa personale e di arti marziali, anche in collaborazione con le associazioni operanti nel settore. A questo punto tengo particolarmente - infatti, è contenuto in una proposta di legge che ho depositato non molto tempo fa, sottoscritta anche dai colleghi di Lega e Fratelli d'Italia, ed era anche un emendamento al codice rosso per cui, però, purtroppo, non furono trovate le coperture - in quanto ritengo che, oltre ad inasprire le pene, sia necessario che si operi per una vera prevenzione e la prevenzione è individuale; io ci tengo molto a questa proposta di legge in quanto per esperienza di vita so benissimo che queste discipline, le arti marziali, gli sport da ring e la difesa personale strutturano veramente, sia caratterialmente che fisicamente, per acquisire quella consapevolezza e capacità per respingere autonomamente una forma di aggressione.

Tra gli altri punti della mozione ricordo anche quello che impegna il Governo ad assumere iniziative legislative volte a prevedere nel codice civile la violenza domestica e violenza assistita come requisito per definire la contrarietà all'interesse del minore al fine dell'adozione di provvedimenti di affido esclusivo e provvedimenti di limitazione o decadenza della responsabilità genitoriale; infine, ad intraprendere le opportune iniziative al fine di emanare tempestivamente il decreto recante il regolamento con cui sono stabiliti i criteri e le modalità per l'utilizzazione delle risorse destinate all'erogazione di borse di studio in favore degli orfani per crimini domestici e al finanziamento di iniziative di orientamento, di formazione e di sostegno per l'inserimento dei medesimi nell'attività lavorativa.

Questo è il contenuto della nostra mozione; siamo certi che il Parlamento la voterà e la condividerà, come noi condividiamo molti punti delle mozioni degli altri gruppi parlamentari, e auspichiamo che il Governo assuma gli impegni che voteremo, perché non è tollerabile la violenza di genere ed è ancor più intollerabile che, molto spesso, la si consideri inevitabile o normale. Per me, per noi di Forza Italia e soprattutto per lei, Presidente Carfagna, “non è normale che sia normale” (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Lucia Ciampi. Ne ha facoltà.

LUCIA CIAMPI (PD). Presidente, il 25 novembre…

PRESIDENTE. Può cambiare il microfono, per cortesia?

LUCIA CIAMPI (PD). Il 25 novembre, con una risoluzione delle Nazioni Unite, è stata istituita la Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne e da oggi noi donne, non solamente noi donne, ma in prevalenza noi, siamo qui, oggi, impegnate a ricordare questa importante data. Questa è una giornata che io vorrei che fosse vissuta non come una ricorrenza, ma come l'assunto universale che la violenza contro le donne è una violazione dei diritti umani, conseguenza della discriminazione contro le donne e delle persistenti disuguaglianze tra uomo e donna.

È un nuovo gradino che ci porta più avanti rispetto a un percorso fatto di consapevolezza, di norme e di tutele ed è proprio dal tessuto sociale, dai governi, dalle organizzazioni internazionali che dobbiamo partire per consentire alla cultura del rispetto di radicarsi. Dobbiamo sostenere tutte quelle iniziative che si pongono l'obiettivo di superare pregiudizi e disuguaglianze che, purtroppo, sono ancora presenti. Non è un caso che il primo atto della scorsa legislatura, la XVII, sia stato la ratifica della cosiddetta Convenzione di Istanbul, attraverso la legge n. 77 del giugno del 2013, il primo strumento giuridicamente vincolante in Italia a tutela delle donne contro la violenza, con cui, appunto, si è data attuazione a quanto la Convenzione chiedeva.

La Convenzione parte da una definizione - è stata ricordata anche stasera - che stabilisce perfettamente i contorni entro cui dobbiamo intervenire; quando parliamo di violenza contro le donne, parliamo, infatti, di una violazione dei diritti umani e di una forma di discriminazione contro le donne comprendente tutti gli atti di violenza fondati sul genere che provocano danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica, comprese le minacce, la coercizione o la privazione della libertà. La Convenzione interviene nell'ambito della violenza domestica e introduce modifiche al codice penale per inasprire alcune pene e prevede stanziamenti per il sostegno delle vittime.

Nella XVII legislatura c'è stato un lavoro sistematico per perseguire tre obiettivi: prevenire i reati, punire i colpevoli e proteggere le vittime. Questi sono assi strategici che vanno a toccare i più disparati aspetti della nostra società, da quello economico a quello della comunicazione, dall'ambito del lavoro a quello della formazione, dal tema della giustizia a quello della sanità, dalla normativa sull'affido a quella sulla detenzione delle armi; argomenti che dobbiamo affrontare uno a uno, con misure adatte per dare supporto alle donne, che servano quindi a prevenire la violenza e a tutelare coloro che di questa violenza sono già state vittime, che diano armi efficaci alle donne per far fronte a ogni forma di molestia e che, al contempo, tolgano le armi a quegli uomini, spesso ex partner o familiari, che le usano per ferire o uccidere.

La vera innovazione introdotta nella scorsa legislatura, la XVII, consiste nel tentativo di coordinare l'educazione, la prevenzione, il supporto e la punizione all'interno di una cornice unitaria e organica. Dobbiamo prevenire le violenze; è ampiamente dimostrato, infatti, che la prevenzione comporta anche netti risparmi in termini di costi sociali; promuoviamo campagne sull'educazione alle differenze di genere, sulla cultura del rispetto e sulle pari opportunità. In tal senso, sulle pari opportunità, nella XVII legislatura sono state adottate molte misure per realizzare le pari opportunità sul luogo di lavoro, a partire dal divieto delle dimissioni in bianco all'indennità di maternità anche per le lavoratrici autonome e agli incentivi per le donne vittime di violenza. I nostri giovani devono crescere, avendo introiettato certi concetti che dovrebbero essere già patrimonio di tutta la nostra comunità.

Dobbiamo, poi, garantire sostegno alle vittime di violenza, a partire da quello psicologico e morale. In tutta Italia sono presenti tantissimi centri antiviolenza, mandati avanti da generose volontarie che affiancano le donne maltrattate, supportandole nel loro personale percorso che le porterà a uscire dalla terribile esperienza che hanno vissuto. Queste associazioni vanno valorizzate e sostenute, perché rappresentano un punto d'appoggio fondamentale per la lotta alla violenza contro le donne.

Occorre garantire stanziamenti adeguati, fondi per l'implementazione dei progetti di protezione delle vittime.

Dobbiamo poi andare a cercare i motivi per cui molte vittime tornano dal loro carnefice e continuano ad avere ancora rapporti con chi è la causa della loro sofferenza e del loro malessere. Esiste, infatti, una dipendenza o, meglio, una violenza non semplice da individuare, ma citata espressamente nella Convenzione di Istanbul. Spesso le donne maltrattate o vittime dei loro molestatori non hanno l'indipendenza economica necessaria per allontanarsi, come desidererebbero fare, dai loro aguzzini. Dobbiamo, quindi, intervenire garantendo strumenti di welfare a sostegno dei percorsi di libertà e autonomia delle donne che fuoriescono da episodi di violenza. Dobbiamo intervenire sul mondo del lavoro sotto molti punti di vista, molte donne prima di me lo hanno detto nei loro interventi, molte colleghe. Sappiamo che nel 2018 il 43,6 per cento delle donne tra i 14 e i 65 anni - l'Istat ci ha consegnato questo dato agghiacciante - hanno subito qualche forma di violenza e di molestia sessuale.

Nell'ambito, poi, della sanità dobbiamo verificare che tutte le regioni abbiano adottato le linee guida nazionali per l'assistenza socio-sanitaria alle donne che subiscono violenza, che sono contenute nel piano d'azione previsto dal decreto del Presidente del Consiglio del 2017. Dobbiamo intervenire anche nel campo della giustizia per rafforzare le tutele dei figli rimasti orfani a seguito di un crimine domestico e intervenire cercando di perfezionare la legge che prevede l'adozione di protezioni delle vittime.

In merito, poi, ai femminicidi, è inutile negare come la diffusione delle armi, soprattutto nell'ambito domestico, comporti un pericolo maggiore per la sicurezza delle donne. È ampiamente appurato che la maggior parte dei femminicidi avvenga tra le mura domestiche. Quindi, in sostanza da tutti i dati appare chiaro che l'ambito familiare è quello dove si verificano più casi di omicidi e che se c'è un'arma in casa è più facile che questa venga utilizzata contro una donna piuttosto che per altri scopi.

Il rapporto delle associazioni di donne sull'attuazione della Convenzione di Istanbul in Italia - sono una trentina di associazioni di donne -, trasmesso al Consiglio di Europa, poi raccomanda come urgentissimo menzionare nel codice civile la violenza intra-familiare come causa di esclusione di affidamento condiviso o limitazione della responsabilità genitoriale. Una norma di buonsenso che, però, non è così scontata.

Quindi, dobbiamo incidere più profondamente anche sul tema della comunicazione, dobbiamo pretendere un linguaggio diverso dai media che, soprattutto nei casi di femminicidio…

PRESIDENTE. Deve concludere.

LUCIA CIAMPI (PD). …tendono a rappresentare questi atti criminosi - mi scusi, Presidente, finisco - come espressioni completamente fuorvianti, come raptus, eccesso d'amore, amore malato o tempesta emotiva. Non ne possiamo più di queste espressioni che implicitamente inducono a pensare che l'azione violenta sia frutto di qualcosa che possa essere legato all'amore o uno strano momento di follia. Non è così!

Infine, due parole - due! - anche sulla comunicazione via web che trasuda di violenza verbale. L'odio corre sulla rete come mai successo finora. Il fenomeno dell'hate speech e l'induzione all'odio è dilagante e riguarda molto di più il genere femminile di quello maschile. Deve suscitare sdegno in ogni persona e dobbiamo essere implacabili contro questi seminatori d'odio e fare in modo che non possano esprimersi in rete. È certamente un problema di carattere mondiale e non solamente italiano, ma dobbiamo fare qualcosa di più anche noi, a partire da quest'Aula (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Celeste D'Arrando. Ne ha facoltà.

CELESTE D'ARRANDO (M5S). Grazie, Presidente. Colleghi e colleghe, una ragazza su venti viene picchiata dal fidanzato. Secondo una ricerca effettuata dall'Osservatorio nazionale adolescenza, circa una ragazza su dieci è stata aggredita verbalmente dal proprio fidanzato; in circa la metà dei casi l'episodio è avvenuto in pubblico, per futili motivi. In Italia ogni due giorni circa una donna viene uccisa, con un totale di vittime che supera quelle provocate dalla mafia. Quasi 7 milioni di donne hanno subito una forma di abuso, spesso tra le mura domestiche. Una ragazza su cinque ha subito scenate di gelosia per il suo abbigliamento o per essere stata troppo espansiva con altre persone, a detta del fidanzato. Infine, il 17 per cento dei ragazzi controlla di frequente lo smartphone della fidanzata per verificare messaggi e chiamate. In tre casi su quattro la ragazza decide di perdonare questi comportamenti. Contesti violenti che mostrano ai giovani modelli di comportamento e di relazioni sbagliati e pericolosi che, però, vengono percepiti come normali, interiorizzati e talvolta assunti anche da loro.

Quando parliamo di violenza parliamo di un fenomeno complesso che nella quotidianità vediamo e viviamo in ogni ambito della nostra vita: al lavoro, a scuola, per strada, in famiglia, negli ospedali. Si sviluppa spesso in contesti socio-culturali dove vi sono ancora stereotipi, opinioni rigidamente precostituite e generalizzate, non basate sull'esperienza vissuta e diretta rispetto ai ruoli di genere all'interno della famiglia e alle relazioni familiari.

Condivido le parole dell'avvocatessa Valentina Ruggiero, esperta in diritto di famiglia, da sempre in prima linea nella lotta per i diritti delle donne: «Viviamo in una società pervasa dalla violenza di genere. Che sia fisica, psicologica o nella subdola forma della discriminazione, sul lavoro come nella società. I giovani replicano le strutture comportamentali a loro familiari e se queste implicano la violenza è molto probabile che diventeranno persone violente. La recente legge detta “codice rosso” ha introdotto nuovi e importanti strumenti a tutela delle donne vittime di violenza, ma resta un problema culturale. Dobbiamo educare al rispetto le nuove generazioni, far capire loro cosa sia giusto, affinché non replichino gli errori dei loro genitori. Per chi ormai è adulto, il discorso diventa più complesso, poiché si tratterebbe di andare a sradicare dei modelli interiorizzati nel corso dell'intera vita. Un processo difficile, anche se non impossibile. “Codice rosso”, però, sta cambiando il modo di approcciarsi a chi sporge denuncia, garantendo un intervento più rapido, dando la possibilità alla polizia giudiziaria di comunicare immediatamente al PM le notizie di reato anche con una forma orale. Si accorciano i tempi e le vittime vengono ascoltate entro tre giorni dalla denuncia. Questo implica che in caso di separazione che abbia come causa di addebito la violenza, si ha un quadro penale più chiaro e velocizzato. Fino a oggi, invece, accadeva che nell'ambito civilistico si depositavano i ricorsi e le motivazioni ma poi il giudice doveva aspettare l'accertamento penale per avere la definitività», conclude l'avvocatessa.

La violenza ha diverse facce. Come diceva l'avvocatessa, può essere fisica ed economica, ma quando parliamo di violenza psicologica parliamo di quei comportamenti di umiliazione, svalorizzazione, controllo, intimidazione, privazione o limitazione nell'accesso alle proprie disponibilità economiche o a quelle della famiglia. La violenza psicologica è la più diffusa tra le donne più giovani, tra le donne con titoli medio-alti, tra le donne che vivono al Sud o nelle Isole, tra le donne in cattiva salute e con limitazioni nel condurre le attività quotidiane come le donne con disabilità, le quali spesso subiscono una doppia discriminazione sia per il fatto di essere donne sia per la loro condizione fisica e/o psicologica.

Tra le forme di violenza psicologica vi è anche lo stalking: si stima che il 21,5 per cento delle donne fra i 16 e i 70 anni, pari a 2 milioni 151 mila, abbia subito comportamenti persecutori da parte di un ex partner nell'arco della propria vita; il 10,3 per cento, pari a circa 2 milioni 229 mila, lo subisce da parte di altre persone. Il 78 per cento delle vittime non si è rivolto ad alcuna istituzione e non ha cercato aiuto presso servizi specializzati. Questo è un grande dato che fa riflettere, perché vuol dire che non c'è abbastanza supporto e non si sentono supportate.

Le vittime di stalking sono donne che presentano limitazioni fisiche gravi e meno gravi, donne che godono di cattiva salute, donne affette da malattie croniche di lunga durata, donne con un titolo di studio più basso e che abitano al Sud.

Il 31,5 per cento delle donne tra i 16 e i 70 anni - e parliamo di 6 milioni 788 mila donne - ha subìto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale: il 20,2 ha subito violenza fisica, il 21 violenza sessuale, il 5,4 per cento le forme più gravi della violenza sessuale, come lo stupro e il tentato stupro. Da un'indagine condotta dall'ISTAT nel 2014 risulta come abbia subìto violenze fisiche o sessuali il 36,6 per cento delle donne con limitazioni gravi e come per queste il rischio di subire stupri o tentati stupri sia doppio.

Ma chi sono le donne vittime di violenza? Sono spesso donne separate o divorziate, tra i 25 e i 44 anni, tra le più istruite, con laurea o diploma, tra quelle che lavorano in posizioni professionali più elevate o che sono in cerca di occupazione. In collaborazione con il Dipartimento per le pari opportunità, il CNR e le regioni, l'ISTAT ha condotto la prima indagine su 281 centri antiviolenza che svolgono attività a sostegno delle donne maltrattate e dei loro figli e, a fine ottobre, ha pubblicato i dati. Nel 2017, si sono rivolte ai centri antiviolenza 43.467 donne; il 67,2 per cento ha iniziato un percorso di uscita dalla violenza; tra le donne che hanno iniziato tale percorso, il 63,7 per cento ha figli, minorenni nel 72,8 per cento dei casi; le donne straniere costituiscono il 27 per cento di quelle prese in carico.

Ed è proprio per questi dati, per le storie che continuiamo a sentire e a vedere che dobbiamo continuare a garantire adeguate risorse, non solo economiche, per sostenere e rafforzare l'attività fondamentale che svolgono i centri antiviolenza. L'obiettivo è avere una rete territoriale attenta, formata, che possa prevenire i casi più gravi in cui la violenza può sfociare nel femminicidio, che possa aiutare nel percorso di fuoriuscita, che combatta il silenzio e l'omertà, in modo che le persone non si girino più dall'altra parte quando vedono un atto di violenza. Dunque, colleghi, parliamo di un tema davvero rilevante, sul quale siamo chiamati a dare risposte concrete per rispondere alla richiesta di aiuto di tante donne.

PRESIDENZA DELLA VICEPRESIDENTE MARIA ROSARIA CARFAGNA (ore 18,05)

CELESTE D'ARRANDO (M5S). E questi dati devono essere, dunque, un monito per tutti noi: dobbiamo mettere in campo ogni azione affinché si metta fine a questo fenomeno terribile, lavorando sempre di più sulla prevenzione, sostenendo le donne che decidono di fuoriuscire dall'ambiente in cui subiscono violenza e fornire gli strumenti che consentano loro di divenire economicamente autonome, potenziando la formazione delle persone che lavorano nella rete di sostegno alle donne vittime di violenza e il supporto psicologico sia per le vittime di violenza, sia per gli autori di reato, attivando percorsi di recupero psicologico, andando di fatto a ridurre la possibilità di recidiva, proseguendo i lavori della cabina di regia per l'attuazione del Piano nazionale d'azione contro la tratta e il grave sfruttamento di esseri umani e prevedendo formazione nelle scuole sull'educazione alla parità di genere, all'affettività, che è uno degli ambiti più importanti perché consente di lavorare sulla prevenzione e sulle generazioni future.

Concludo, Presidente, dicendo anche una cosa molto importante: oggi discutiamo di violenza di genere e discutiamo anche di quanto ci siano in Rete discorsi di odio e anche, molto spesso, messaggi sessisti. Ed è proprio di oggi un titolo, che dire vergognoso è poco, di un giornale online, Lo Spiffero, il cui titolo è “Il punto (5)G di Appendino”: io, come parlamentare della Repubblica italiana, come componente e membro del MoVimento 5 Stelle - e penso che tutti i miei colleghi parlamentari prendano le distanze -, diffido da questo uso improprio del linguaggio, perché questi messaggi sessisti non debbano essere più stampati né comunicati né detti, perché anche questa è violenza (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Prestipino. Ne ha facoltà.

PATRIZIA PRESTIPINO (PD). Grazie, Presidente. “La donna ama essere presa con violenza”; “è nell'ordine della natura che le mogli servano i loro mariti”; “la donna è fatta per piacere ed essere soggiogata”; “la donna è un maschio menomato, un sacco vuoto, un individuo castrato”. Quattro frasi che sembrano pronunciate in un becero discorso da bar o scritte in uno dei tanti post degli haters che possiamo leggere sui social: parole forti, dure, piene di disprezzo nei confronti delle donne, sentite e risentite fanno parte della nostra quotidianità. E, invece, sapete di chi sono? Ad affermare che la donna ama essere presa con forza è Ovidio, il poeta latino le cui parole sono ancora oggi scritte nelle più belle frasi d'amore, anche all'interno dei cioccolatini. La seconda frase è di uno dei padri della chiesa: Sant'Agostino. La terza frase è di un grande pensatore europeo: Jean-Jacques Rousseau. L'ultima, invece, è del padre della psicanalisi: Sigmund Freud. Si potrebbe continuare all'infinito, citando le Sacre Scritture “soggiacerai al potere dell'uomo ed egli dominerà su di te”; Euripide, San Paolo, Nietzsche, ma il risultato è sempre lo stesso: la connotazione delle donne come essere stupido, diabolico, inferiore. Connotazione che plasma la mentalità di tanti uomini, l'ha plasmata nei secoli, che, consciamente o meno, finiscono per assorbire i precetti di un pregiudizio antico come il mondo, come abbiamo potuto vedere, e che sfocia nella violenza, nel sangue; i dati sono stati ben sottolineati dalle colleghe, quindi non mi soffermo su questo. È un problema profondo che coinvolge e sconvolge la nostra società, quella italiana, ma anche quella europea, che piange, si indigna ogni volta che salta fuori un nuovo fatto di cronaca, ma che, poi, poco si interessa alla prevenzione di una ferita che, ogni anno, rischia di farsi sempre più profonda.

La violenza di genere è una realtà sommersa che viene, spesso, alla luce quando accade una disgrazia clamorosa. Allora, si mobilitano le persone, parlano le grandi star, si fanno manifestazioni. Queste sono le reazioni a caldo, ma il problema non si risolve così: bisogna aggredire le cause all'origine, andando nelle aule scolastiche e partendo dai nostri ragazzi. Guardate, lo dico da docente, ancora prima che da parlamentare: è necessario un nuovo patto di civiltà tra scuola e famiglia, docenti e genitori. È fondamentale, perché tutto parte da lì. Flaubert la chiamava l'educazione sentimentale ed è punto da questa che noi dobbiamo partire: portare l'educazione sentimentale nelle scuole permette di fornire ai ragazzi conoscenze e strumenti che gli consentano di diventare degli adulti in grado di vivere un'affettività rispettosa ed equilibrata. Perché è l'equilibrio oggi che manca, è l'equilibrio e il rispetto degli altri, che i nostri ragazzi non possono apprendere dai social, non possono apprendere da un linguaggio codificato in maniera tutta negativa nei confronti delle donne, ma hanno bisogno di buoni esempi e di ancora migliori pratiche.

Questo è quello che ci aiuta, oggi, a comprendere quanto sia importante celebrare la Giornata per l'eliminazione della violenza sulle donne. Tutti abbiamo in mente un bellissimo film del 2001, quello che, appunto, ha portato la tragedia delle sorelle Mirabal, da cui è nata l'ispirazione per questa Giornata, che ha scosso le coscienze di tante e tante generazioni. Ecco, noi dobbiamo partire da questo, perché il rispetto della donna è un rispetto che deve essere insito nella coscienza di tutti noi, a cominciare dall'età della ragione. È un tema trasversale alle culture, ai Paesi, non è un elemento che caratterizza classi sociali più o meno abbienti, le coinvolge tutte, da quelle più povere, a quelle più ricche, perché l'ignoranza dello spirito e dell'anima, purtroppo, non è legata al censo, non è legata anche alla propria condizione economica. La violenza aumenta laddove le donne rivendicano maggiore libertà, maggiore autodeterminazione e maggiore autonomia economica, quindi, laddove viene messo in discussione il rapporto di dominio e di possesso che viene rivendicato dagli uomini, appunto, nelle relazioni con le donne. Ecco perché è fondamentale - e questo nella legislatura precedente, come ha ben detto la mia collega Ciampi, è stato definito - mettere in campo misure di welfare e di sostegno proprio per le donne; misure che siano omogenee, mirate alle donne vittime di violenza per renderle, per esempio, autonome dal marito compagno-padrone, ma anche alzare il livello occupazionale delle donne, che già lavorano di meno e guadagnano di meno. È proprio del Partito Democratico, a firma della collega Gribaudo, la nuova proposta di legge sulla parità salariale: è una ferita che si può e si deve sanare. Per parafrasare la Boldrini, quella della disparità salariale è davvero il più grande furto della storia: 3 mila euro in meno guadagnano le donne rispetto all'uomo, all'anno, quindi lavorano due mesi gratis.

Queste sono le vergogne sociali che devono essere eliminate e su questo dobbiamo intervenire con forza come Parlamento, perché siamo noi il contenitore delle istanze legittime, sociali, dei nostri cittadini. Tale mozione è il segno forte di un ruolo che il Parlamento ha voluto assumere su di sé e di una determinazione nella volontà di rispondere in maniera urgente ed efficace al fenomeno della violenza. Ci auguriamo che il Governo dia seguito agli impegni, avviando tutte le iniziative necessarie in un'ottica integrata e multidisciplinare per affrontare il contrasto ad ogni forma di violenza online e offline, perché, per dirla con Martin Luther King, ci pentiremo non solo per le parole e per le azioni delle persone cattive, ma per lo spaventoso silenzio delle persone buone (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e, pertanto, dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire successivamente. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione della mozione Pella, Bologna, Boldi, Carnevali, Gemmato, De Filippo, Rostan, Pedrazzini, Cecconi ed altri n. 1-00082 concernente iniziative per la prevenzione e la cura dell'obesità (ore 18,14).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Pella, Bologna, Boldi, Carnevali, Gemmato, De Filippo, Rostan, Pedrazzini, Cecconi ed altri n. 1-00082 (Nuova formulazione) concernente iniziative per la prevenzione e la cura dell'obesità (Vedi l'allegato A).

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (Vedi calendario).

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.

È iscritto a parlare l'onorevole Pella, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00082. Ne ha facoltà.

ROBERTO PELLA (FI). Presidente, gentili colleghe e colleghi, oggi tracceremo le linee generali di discussione su un tema di grande rilevanza per la salute pubblica, ossia il tema della prevenzione e della cura dell'obesità, e, prima ancora, dell'urgenza di riconoscerla a livello legislativo come grave malattia cronica invalidante. Per le proporzioni che ha assunto nel nostro Paese e per le implicazioni che genera dal punto di vista della spesa per i sistemi sanitari nazionali, regionali e locali l'obesità è oggi una voce di bilancio sempre più insostenibile, se non saremo in grado di dotarci di politiche di prevenzione e di cure adeguate. Un anno fa, a settembre 2018, la stessa Assemblea delle Nazioni Unite ha inserito come priorità di azione la lotta alle malattie non trasmissibili e all'obesità, con particolare richiamo ad uno sforzo da parte degli Stati membri nella direzione della prevenzione, della diagnosi precoce, della sorveglianza. L'impatto economico di questa malattia è paragonabile al problema del fumo di sigaretta e a quello di tutte le guerre, atti di violenza armata o di terrorismo, e cioè circa 2 mila miliardi di dollari l'anno, che corrisponde al 2,8 del prodotto interno lordo globale.

In Italia, secondo i dati più recenti ricavati nell'ambito del progetto Sissi, svolto con i database nella medicina generale della regione Toscana, si stima che l'eccesso di peso sia responsabile del 4 per cento della spesa sanitaria nazionale, per un totale di circa 4,5 miliardi di euro nel 2012, ma su questi dati e la necessità di invertire la rotta torneremo tra un istante. Vorrei, infatti, soffermarmi sin dall'inizio di questo mio intervento su una ragione specifica e fondamentale per cui questo Parlamento, e, più in generale, i decisori politici a tutti i livelli istituzionali, devono occuparsi di obesità. Si tratta del punto di vista sociale, che abbraccia, se si vuole, il senso più alto del nostro impegno politico. L'obesità, infatti, riflette e si accompagna al tema delle disuguaglianze, innestandosi in un vero e proprio circolo vizioso che coinvolge gli individui che vivono in condizioni disagiate, i quali devono far fronte a limitazioni strutturali, sociali, organizzative ed economiche che rendono difficile compiere scelte adeguate per migliorare il proprio stile di vita, alleggerendo, al contempo, il carico familiare di assistenza.

Lo stigma sull'obesità, ovvero la disapprovazione sociale, è una delle cause che attraverso stereotipi, linguaggi e immagini inadatte finisce per ritrarre l'obesità in modo impreciso e negativo. Lo stesso fenomeno del bullismo sui giovani con obesità rientra tra i fattori persistenti nell'ambiente scolastico, di cui oggi dobbiamo farci responsabile legislatore. A tal proposito, voglio sottolineare come la Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza stia lavorando proprio su questi temi grazie all'impegno della presidente, senatrice Licia Ronzulli, che, non da ultimo, la settimana scorsa ha organizzato un importante convegno in cui si sono confrontati esperti, rappresentanti delle Forze dell'ordine e della magistratura insieme a studenti sul tema dei linguaggi e della loro potenziale pericolosità, in particolare nel mondo del web, quindi del cyberbullismo. A partire da episodi di bullismo sui giovani durante la vita scolastica, che possono andare dalla derisione all'isolamento relazionale, fino alle forme più gravi in cui il ragazzo obeso diviene vittima di soprusi e prevaricazione da parte dei coetanei, si giunge alla vita lavorativa, dove è stato evidenziato uno svantaggio in fase di selezione, disparità salariale, minori avanzamenti di carriera, azioni disciplinari più severe e più elevato numero di licenziamenti. Un'indagine-intervista condotta dalla fondazione Censis del 2018 ci dice che si tratta di una percezione sociale che vede e considera l'obesità non come malattia, ma come un'incapacità di prendersi cura della propria salute, di fatto legata alla cattiva volontà, e, pertanto, da giudicare severamente, fino al punto di ipotizzare una penalizzazione nell'accesso alle politiche sociosanitarie.

Inoltre, contenere il fenomeno e contrastarne le devastanti conseguenze significa smettere di ignorare il fatto che l'obesità influenza pesantemente anche lo sviluppo economico e sociale. Secondo la Carta europea sull'azione di contrasto all'obesità, obesità e sovrappeso negli adulti comportano costi diretti, comprensivi di ospedalizzazioni e cure mediche, che arrivano a rappresentare fino all'8 per cento della spesa sanitaria nella regione europea. Tali patologie, inoltre, sono responsabili anche di costi indiretti conseguenti alla perdita di vite umane, di produttività e guadagni correlati valutabili in almeno il doppio dei citati costi diretti. Per questo, quindi, nel nostro Paese oggi dobbiamo considerare l'obesità come una priorità nazionale a livello sanitario, politico, clinico e sociale, riconoscendo che si tratta di una malattia seria, grave, altamente disabilitante, e che la stessa rappresenta un importante fattore di rischio per lo sviluppo di malattie non trasmissibili. Queste le premesse che ho ritenuto necessarie per avviare una forte sinergia istituzionale atta ad adottare questa mozione e a realizzare un piano nazionale dell'obesità in grado di affrontare le problematiche relative all'obesità come malattia ed individuare obiettivi centrati sulla prevenzione, sulla diagnosi precoce, sulla gestione della stessa e le sue complicanze, sull'offerta assistenziale della politica pubblica sanitaria centrale e periferica, sull'accesso alle cure e ai trattamenti; non da ultimo sugli interventi sociali all'interno delle nostre comunità, poiché va assicurata la piena integrazione sociale delle persone con obesità, comprendendone i bisogni e le problematiche, attuando strategie di coinvolgimento all'interno dell'ambiente familiare, sociale e professionale. Per quest'ultimo aspetto il nostro sforzo deve andare anche nella direzione di coinvolgere i sindaci, le amministrazioni e le autorità sanitarie locali, concentrandoci sull'obesità infantile e prefiggendoci una sua riduzione attraverso informazioni e interventi mirati a un cambiamento permanente delle abitudini alimentari e dello stile di vita dei bambini. Il coinvolgimento del mondo della scuola, dello sport e delle famiglie, la pianificazione sostenibile di Health City, città della salute per la salute. Dobbiamo mettere in campo iniziative coordinate a tutti i livelli e secondo un approccio olistico multidisciplinare. L'attenzione su questo tema anche a livello europeo è molto alta non solo nei documenti dell'Organizzazione mondiale della sanità in Europa, ma nel 2017 e nel 2018 anche il Comitato delle regioni dell'Unione europea ha approvato due pareri di iniziativa, in cui sono stato relatore per la delegazione italiana, in entrambi i quali è stato individuato come obiettivo primario la lotta all'obesità nell'ambito urbano e il ruolo dell'attività fisica e sportiva nella prevenzione dell'obesità. Insieme alle regioni e agli enti locali, Governo e Parlamento dovrebbero quindi adoperarsi in via normativa per il primo piano nazionale sull'obesità che armonizzi a livello nazionale le attività svolte. Un documento condiviso che, compatibilmente con le disponibilità delle risorse economiche, umane e strutturali, individui un disegno strategico teso a promuovere interventi basati su unitarietà di approccio centrato sulla persona con obesità e orientato su una migliore organizzazione dei servizi, con una piena responsabilizzazione del settore dell'assistenza. Queste sono anche le ragioni sottese alla nascita e all'attività dell'intergruppo parlamentare “obesità e diabete” che io stesso ho promosso e che vede coinvolti già molti colleghi parlamentari, espressione di tutti i gruppi politici presenti in Senato e alla Camera dei deputati. L'intergruppo parlamentare nutre la ferma convinzione di poter fungere da interprete e portavoce presso le istituzioni di cui siamo espressione delle istanze emergenti sul tema.

Ciò grazie alla stretta collaborazione con le società scientifiche e le associazioni dei pazienti, che ringrazio di cuore per aver curato insieme a noi e ai firmatari di questa mozione i suoi contenuti e la sua disseminazione.

Dal punto di vista epidemiologico in Italia sovrappeso e obesità interessano quasi un adulto su due: il 10,4 per cento sono obesi e il 36 per cento pre-obesi; e uno su tre tra i bambini con meno di 8 anni: il record negativo purtroppo del più alto tasso di obesità infantile d'Europa, secondo i dati della Childhood Obesity Surveillance Initiative 2015-2017. I più colpiti sono i bambini e gli adolescenti del Sud: 31,9 per cento, e più di un terzo di loro non pratica né sport né attività fisica. In Italia il 46 per cento degli adulti, 18 anni e più, ovvero oltre 23 milioni di persone, e il 24,2 per cento tra bambini e adolescenti, 6-17 anni, vale a dire 1.700.000 persone, è in eccesso di peso. In entrambe le fasce di età si osservano delle differenze in base al genere: le donne mostrano un tasso di obesità inferiore, il 9,4 per cento, rispetto agli uomini, 11,8. Ancora più marcata è la differenza tra bambini e adolescenti, di cui il 20,8 delle femmine è in eccesso di peso rispetto al 27,3 dei maschi. L'obesità desta particolare preoccupazione per l'elevata comorbidità associata, specialmente di tipo cardiovascolare, come ad esempio il diabete di tipo 2, in genere preceduto dalle varie componenti della sindrome metabolica, ipertensione arteriosa e dislipidemia aterogena, con progressione di aterosclerosi e aumento del rischio di eventi cardio e cerebrovascolari. Sono sufficienti pochi dati per valutare la dimensione del problema. In chi pesa il 20 per cento in più del proprio peso ideale, aumenta del 25 per cento il rischio di morire di infarto e del 10 per cento di morire di ictus rispetto alla popolazione normopeso; mentre se il peso supera il 40 per cento quello consigliato, il rischio di morte per qualsiasi causa aumenta di oltre il 50 per cento, per ischemia cerebrale del 75 per cento, per infarto miocardico del 70 per cento. Alla luce di queste condizioni anche la mortalità per diabete aumenta del 400 per cento.

È altrettanto importante sottolineare la correlazione fra eccesso di peso e il rischio di tumori: per ogni cinque punti in più di indice di massa corporea (BMI), il rischio di tumore negli uomini aumenta del 52 per cento e quello di tumore al colon del 24 per cento; mentre nelle donne il rischio di tumore endometriale e di quello alla colecisti aumenta del 59 per cento, e quello di tumore al seno nella fase post menopausa del 12 per cento. L'analisi territoriale conferma come l'eccesso di peso sia un problema molto diffuso soprattutto al Sud e nelle isole; in particolare tra i più giovani, dove sono ben il 31,9 e il 26,1 per cento rispettivamente i bambini e gli adolescenti in eccesso di peso, rispetto al 18,9 per cento dei residenti nel Nord-Ovest, il 22,1 per cento nel Nord-Est e il 22 per cento del Centro. Tra gli adulti le diseguaglianze territoriali sono meno marcate: il tasso di adulti obesi varia dall'11,8 per cento al Sud e nelle isole al 10,6 e al 10,2 per cento nel Nord-Est e nel Nord-Ovest rispettivamente, fino all'8,8 per cento del Centro.

Anche per la sedentarietà emerge un forte gap territoriale Nord-Sud: fatta eccezione per la Sardegna, nella maggior parte delle regioni meridionali e insulari più di un terzo dei giovani non pratica né sport né attività fisica, e le percentuali più elevate si rilevano in Sicilia (42 per cento), Campania (41,3 per cento), Calabria (40,1).

Oltre alla differenza di diffusione dell'obesità tra Nord e Sud Italia, si riscontra un divario anche tra zone rurali e centri urbani: la percentuale più elevata di persone obese, pari al 12 per cento, si rileva nei piccoli centri sotto i 2 mila abitanti, mentre nei centri dell'area metropolitana tale quota scende all'8,8 per cento. Tuttavia dal 2001 al 2017 gli incrementi più elevati nelle prevalenze dell'obesità si sono osservati proprio nei centri delle aree metropolitane, da 6,8 ad 8,8, e nelle loro periferie, da 8,2 a 10,9.

Oltre a un gradiente Nord-Sud, la disomogeneità è data da altri fattori determinanti, come quelli legati al livello di istruzione e al livello socio-economico: un elevato titolo di studio rappresenta infatti un fattore protettivo per l'obesità, soprattutto per quanto riguarda la prevenzione a vari livelli, e ancor di più per quella primaria. Nel 2017 l'obesità interessa solo il 6,6 per cento dei laureati, mentre sale al 14,2 per cento tra coloro che hanno conseguito al più la licenza media. Inoltre, analizzando il fenomeno dell'eccesso di peso in relazione ad alcune informazioni che si riferiscono al contesto familiare, si osservano prevalenze più elevate tra i bambini e i ragazzi che vivono in famiglie in cui il livello di istruzione dei genitori è più basso, passando dal 18,5 per cento di quelli con genitori che hanno conseguito un alto titolo di studio al 29,5 per cento di quelli i cui genitori hanno un basso titolo di studio.

Questi sono alcuni dei dati del rapporto di ISTAT realizzato per l'Italian Obesity Barometer Report, presentato a Roma in occasione del primo Italian Obesity Summit lo scorso aprile, organizzato dall'Italian Barometer Diabetes Observatory (IBDO), con il patrocinio del Ministero della salute, di ANCI, ADI, Amici Obesi, IO-NET, SIE, SIEDP, SIMG, SICOB, SIO. Tutte le società scientifiche e le associazioni dei pazienti che ho avuto modo di ringraziare poc'anzi per il loro prezioso aiuto. Dal punto di vista legislativo, l'obesità non è oggi riconosciuta come malattia seria e cronica pur avendone tutte le caratteristiche, e non è conseguentemente inserita fra i LEA, né la sua cura segue un modello simile a quelli adottati per la malattie croniche. Da qui dobbiamo partire, se vogliamo seriamente affrontare questo tema. Dal punto di vista organizzativo, infine, non esiste un efficiente sistema hub-spoke per i centri di obesità, insufficienti e disomogeneamente distribuiti nel territorio, così come i curricula formativi dei medici non prevedono l'acquisizione di abilità e competenze specifiche rispetto a questa malattia. È importante dedicare un focus all'aspetto nutrizionale: infatti l'alimentazione in gravidanza e nei primi anni di vita è fondamentale per lo sviluppo armonico dei bambini, per il contenimento della generazione delle cellule adipose, per lo sviluppo del sistema immunitario; come numerosi studi riportano in relazione all'importanza dei primi mille giorni di vita, comprendendovi anche la gestazione, e come lo stesso Ministero della Salute - Dipartimento per la prevenzione ha sottolineato. Accade spesso che i bimbi, anche di pochi mesi e comunque entro i mille giorni, siano nutriti presso strutture comunitarie, asili nido per esempio, strutture sul territorio nazionale ove si privilegia una dieta che giornalmente prevede proteine in eccesso, in particolare di origine animale. Risulta carente la cultura in merito alla possibile assunzione degli aminoacidi essenziali, anche solo sommando nello stesso pasto legumi e cereali.

Con un fardello pari a circa 53 mila morti all'anno stimati, non possiamo più ormai considerare l'obesità se non come un'emergenza sanitaria, con serie conseguenze per gli individui e la società in termini di riduzione sia dell'aspettativa, sia della qualità di vita, e notevoli ricadute economiche. L'obesità va considerata una vera e propria malattia cronica recidivante, che causa molteplici complicanze disabilitanti e mortali. Tutto ciò si traduce in una riduzione dell'aspettativa di vita di circa dieci anni e una riduzione dell'aspettativa di vita in buona salute di circa vent'anni; e nel noto adagio secondo cui la vita dell'uomo è inversamente proporzionale alla larghezza della cintura.

Con decreto ministeriale del 18 gennaio 2019 è stato istituito presso il Ministero della salute il tavolo di lavoro per la prevenzione e il contrasto del sovrappeso e dell'obesità. Da ben prima ancora il sistema di sorveglianza, denominato “OKkio alla salute”, sul sovrappeso e sull'obesità nei bambini delle scuole primarie (6-10 anni) e i fattori di rischio correlati, promosso e finanziato dal Ministero della salute e coordinato dal Centro nazionale di epidemiologia, sorveglianza e promozione della salute dell'Istituto superiore di sanità, in collaborazione con le regioni, il MIUR e collegato al programma europeo “Guadagnare salute” e ai piani di prevenzione nazionali e regionali, facente anche parte dell'iniziativa della regione europea dell'Organizzazione mondiale della sanità, ha evidenziato che in Italia complessivamente il 37 per cento dei bambini presenta un eccesso ponderale fra sovrappeso e obesità.

È necessaria la nostra azione politica di oggi come decisori politici, affinché sia considerato in tutta la sua gravità questo fenomeno: a partire da oggi dobbiamo contribuire a ridurre il peso clinico, sociale ed economico che questa malattia rappresenta e potrà rappresentare. A tutti i livelli, dagli enti territoriali al Parlamento e al Governo, deve scaturire un'ampia presa di consapevolezza sulla malattia, e devono stabilirsi trattamento e cure mediche che sostengano l'attività di programmazione a livello di politica sanitaria e la combattano attraverso interventi sociali di comunità.

La mozione, sul cui testo siamo unanimemente d'accordo, impegna il Governo ad adottare iniziative normative affinché nell'ordinamento siano introdotte una definizione di obesità come malattia cronica, caratterizzata da elevati costi, diretti e indiretti, economici e sociali, e una definizione della formazione e del ruolo degli specialisti che si occupano di tale patologia.

Implementare un piano nazionale sull'obesità che armonizzi a livello nazionale le attività nel campo della prevenzione e della lotta all'obesità, un documento condiviso con le regioni che, compatibilmente con la disponibilità delle risorse economiche, umane e strutturali, individui un disegno strategico comune inteso a promuovere interventi basati su un approccio multidisciplinare integrato e personalizzato, centrato sulla persona con obesità; adottare iniziative per assicurare alla persona con obesità il pieno accesso agli iter diagnostici per le comorbidità, alle cure e ai trattamenti di dietetico-alimentari e, nei casi più gravi, l'accesso a centri di secondo livello per valutare approcci psicologici, farmacologici e chirurgici; promuovere programmi per la prevenzione dell'obesità infantile e per la lotta alla sedentarietà attraverso iniziative coordinate di promozione della salute, intesa nella sua dimensione biopsicosociale, che implementino a livello scolastico l'attività fisica e sportiva, la sana alimentazione e l'informazione sulla promozione dei corretti stili di vita, compresa la qualità relazionale; intraprendere iniziative congiunte e sinergiche di informazione alla popolazione a sostegno di quanto promosso dalla campagna nazionale e internazionale denominata Obesity Day; intraprendere tutte le iniziative per la protezione dell'allattamento al seno materno, per sei mesi esclusivo e fino a due anni complementare; assumere iniziative per stimolare l'industria alimentare e studiare una adeguata porzionatura di prodotti per l'infanzia e l'adolescenza, tenuto conto di tutti i nutrienti che possono influire sullo sviluppo di obesità; assumere iniziative per disciplinare la pubblicità di prodotti alimentari e bevande per i bambini al fine di adoperarsi affinché i luoghi dove i bambini si riuniscono (asili, scuole, i cortili delle scuole e centri di pre-scuola, parchi giochi, cliniche della famiglia e del bambino, e servizi pediatrici e durante tutte le attività sportive e culturali) siano liberi da ogni forma diretta e indiretta di pubblicità di alimenti con un alto contenuto di grassi saturi, acidi grassi e zuccheri e sali liberi; sviluppare politiche di contenimento del marketing alimentare sui bambini, con la predisposizione di misure che proteggano l'interesse pubblico e, infine, creare una piattaforma di comunicazione che contribuisca a cambiare il modo in cui le persone con obesità e gli operatori sanitari gestiscono, trattano e sostengono l'obesità, e di responsabilizzazione dei media in contrasto allo stigma. A tali risoluzioni siamo giunti secondo il miglior modello di collaborazione e condivisione politica. Voglio per questo ringraziare tutti i capigruppo, tutte le forze politiche componenti quest'Aula: l'onorevole Bologna e l'onorevole D'Arrando per il MoVimento 5 Stelle; l'onorevole Boldi e l'onorevole Panizzut della Lega, l'onorevole Carnevali e l'onorevole Siani per il PD; l'onorevole Gemmato e l'onorevole Bellucci per Fratelli d'Italia; l'onorevole De Filippo per Italia Viva; l'onorevole Rostan per LEU; l'onorevole Pedrazzini per Cambiamo!-10 Volte Meglio, e l'onorevole Cecconi per MAIE, oltre i miei colleghi di Forza Italia che sin da subito mi hanno sostenuto, l'onorevole Bagnasco, Zangrillo, Occhiuto, Rosso, Sozzani, Giacometto, Versace, Pentangelo, Nevi; così come altri colleghi che hanno sottoscritto, onorevoli Di Lauro, Nappi, Sportiello, Provenza, Zolezzi, Giordano, Sarli e Menga. Non si tratta di meri ringraziamenti formali, bensì del mio desiderio di sottolineare come tutti i colleghi si siano messi a disposizione e si siano resi disponibili ad accettare una formulazione univoca e unitaria, che rende questa mozione, se mi consente, Presidente, un testo di portata storica. Il mio intervento oggi è teso anche a ringraziarli per la loro capacità di empatia nei confronti delle storie quotidiane, delle persone con obesità e delle loro famiglie, che ha portato a solidi contenuti e agli impegni inclusi in questa mozione tradotti in un piano nazionale. La lungimiranza del testo è un segnale forte della volontà di invertire la rotta rispetto agli strumenti di programmazione e di prevenzione esistenti per il contrasto a questa malattia, e il fermo impegno a governare i nostri territori in un'ottica degasperiana, cioè per il bene delle nostre future generazioni e non solo per la nostra rielezione. Sarà mio impegno profondere la massima energia nell'incontrare al più presto, subito dopo il voto in Aula, il Ministro della Salute e il tavolo nazionale istituito presso il suo Ministero per sollecitare un cronoprogramma di azioni concrete. Già giovedì, nel corso dell'audizione in Commissione questioni regionali per la manovra, avremo l'occasione di porre questi temi all'attenzione del Ministro della Salute. Porterò con me copia del manifesto dell'Italian obesity network per un futuro sostenibile, promosso dall'Italian obesity network in occasione della Giornata mondiale nazionale dell'obesità e della Carta dei diritti e doveri delle persone con obesità, sottoscritto lo scorso 8 ottobre da tutte le società scientifiche e le associazioni di pazienti attive sull'obesità in Italia. Mi avvio alle conclusioni, Presidente. La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività. Questo, come tutti sappiamo, è l'articolo 32 della nostra Costituzione. Potremmo trovarci nella triste condizione di non poter dar seguito al dettato costituzionale? Sì, se non attueremo presto efficaci politiche di contrasto al dilagare del sovrappeso e dell'obesità; sì, se non sapremo tenere in debita considerazione che entro il 2030 una migrazione di massa porterà 1,47 miliardi di persone dalle campagne alle città, investendo l'ambito urbano di malattie come l'obesità e altre malattie croniche non trasmissibili; sì, se non investiremo più informazione, prevenzione e promozione della salute per i nostri cittadini; no, se a partire da oggi sapremo affrontare con responsabilità il compito affidatoci di rendere le nostre città e i nostri territori luoghi di salute, di inclusione, di equità. Voglio sostenere e portare qui oggi le istanze delle persone con obesità, dei loro familiari e delle loro reti di assistenza, di cura e di ricerca. Sono le loro testimonianze che mi spingono oggi e spingono tutti noi a sollecitare la nostra convinta adesione affinché l'obesità sia affrontata dal Parlamento al più presto come una seria malattia da contrastare e da prevenire (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Siani. Ne ha facoltà.

PAOLO SIANI (PD). Grazie, Presidente. Grazie molte, non le sembri questo tema, Presidente, un tema di secondaria importanza in questa giornata che ha visto temi così sentiti e così gravi. Sono contento oggi di illustrare la mozione perché tanti anni fa in ospedale ci rendemmo conto che l'obesità stava diventando una vera epidemia e quindi fummo uno dei primi centri in Campania a mettere su un ambulatorio dedicato ai bambini obesi; ci rendemmo conto abbastanza in fretta che non era un tema solo sanitario ma anche sociale ed economico, quindi oggi voglio qui affrontare il tema sotto questa triplice luce e triplice aspetto. Quando parliamo di obesità, non possono non venirci alla mente le opere di Fernando Botero, artista latino-americano, colombiano in realtà, che ha dato forma artistica all'obesità. Egli ha creato un mondo di extra-large, formato da uomini, donne e bambini fuori misura. Le sue creazioni sono dipinte o scolpite con una ironia surreale e non traspare sul loro volto alcun sentimento o emozione: solo calma e quiete. Sembra che Botero abbia dato voce a tutti gli obesi del mondo. In genere, l'obesità non è descritta mai nelle opere d'arte, piuttosto sono descritte nell'arte le conseguenze della povertà. L'obesità può avere vari significati: da una parte il potere, la ricchezza e, dall'altro, anche l'allegria, la convivialità. Si pensi che le popolazioni africane avevano l'abitudine di mandare le ragazze adolescenti nelle case dell'ingrasso prima che arrivassero al matrimonio; invece nelle culture occidentali, greche e romane, i ragazzi venivano ogni anno controllati e, se mettevano su peso, erano obbligati a fare attività fisica. Un medico tedesco dell'Ottocento, Wilhelm Ebstein, divise l'obesità in tre stadi, definendola invidiabile, poi comica e miserevole. L'arte si è molto divertita anche sui bambini: il bambino veniva sempre dipinto o scolpito come un bambino grasso, bambino paffuto (pensate a Cupido), perché si pensava che il bambino grasso fosse un bambino in salute, segno e immagine di serenità e di salute, che potesse così anche superare i problemi della fame e delle malattie. Oggi sappiamo che non è così; lo sappiamo con certezza. Il bambino obeso non è un bambino in buona salute, ma il sovrappeso - e poi l'obesità - non è una malattia in sé; è una malattia che dà luogo ad altre malattie, molto più gravi e più complicate, come il diabete, le malattie cardiovascolari. Tutto questo insieme di malattie croniche determina una diminuzione della qualità di vita di circa tre anni. Come il collega Pella poco fa ha detto, l'8 per cento del bilancio sanitario dei Paesi europei si spende per curare le conseguenze del sovrappeso. Tutto questo perché negli ultimi anni sono cambiati radicalmente i nostri stili di vita, quindi abbiamo avuto queste malattie determinate dal nostro modo diverso di vivere, ma la buona notizia è che sappiamo come si possono prevenire queste malattie: lo sanno i medici, lo sanno gli scienziati.

Deve saperlo oggi anche la politica perché è necessario mettere in atto strategie politiche per ridurre i fattori di rischio di questa malattia, anche perché la spesa per curare queste malattie diventerà insostenibile per qualsiasi sistema nazionale sanitario. Tre sono i fattori determinanti: alimentazione sbilanciata, il consumo esagerato di cibi e bevande ipercaloriche e la scarsa attività fisica. Su questi fattori dobbiamo agire, perché è qui che si determina l'epidemia. Avevamo un tempo epidemie di malattie infettive, malattie come il vaiolo, malattie gravi, che sono state sconfitte con le vaccinazioni; la nostra sfida, oggi, è combattere questa epidemia, dell'obesità. Avete sentito quanti sono i soggetti in sovrappeso: 21 milioni, e sono 6 milioni quelli obesi, con un incremento del 10 per cento negli ultimi 18 anni, cioè una persona ogni tre è in sovrappeso e una ogni dieci è obesa. Ma se noi guardiamo anche dove stanno queste persone obese o in sovrappeso, le troviamo nelle aree più svantaggiate del nostro Paese, dove regna la povertà materiale e quella educativa, dove il contesto sociale influenza anche le scelte dei singoli. E questo non sembri un paradosso; nei quartieri di Napoli, del centro storico, è molto più facile che un bambino, per andare a scuola, assuma la mattina alimenti ipercalorici e squilibrati dal punto di vista nutrizionale. Ora, se è vero, come dicono i dati di “OKkio alla salute”, che da molti anni studia il fenomeno, che i dati sull'obesità stanno diminuendo in Italia e che abbiamo circa il 10 per cento in meno di bambini obesi, questo non ci esime dall'essere ancora l'ultima nazione in Europa per il numero di obesità, sia nei bambini che negli adulti. Ma il sovrappeso ha molti aspetti anche sulla vita quotidiana delle persone; sapete che il bambino in sovrappeso ha risultati scolastici peggiori di un bambino normopeso, con il 13 per cento di probabilità in più di avere una prestazione inferiore o insufficiente e le bambine obese hanno tre volte in più la probabilità di essere vittime di bullismo rispetto a quelle non obese. Negli Stati Uniti d'America, i ragazzi e le ragazze di età fra i 12 e i 19 anni che sono obesi hanno tre probabilità in più di perdere anni a scuola e, inoltre, un bambino in sovrappeso o obeso sarà tale anche da adolescente, cioè il sovrappeso non va via con gli anni, non vale l'idea che il bambino crescendo dimagrirà, questo è sbagliato, lo hanno dimostrato molti studi, l'ultimo che vi voglio citare è quello fatto a Lipsia dal dottor Korner, il quale ha studiato 51 mila bambini, da 0 a 14 anni e da 15 a 18 anni, li ha seguiti nel tempo e quello che gli studiosi hanno visto, che ci dicono e che deve in qualche modo preoccuparci è che l'adolescente, obeso a sedici anni, lo era già a cinque anni, per cui preoccupa il link, che vuol dire che nei primi anni di vita, nei primi due anni di vita e fino al terzo, se il bambino è obeso lo sarà anche da adolescente.

E, allora, gli italiani hanno fatto recentemente, nel 2019, uno studio, in Puglia e in Campania, con oltre 200 interviste alle famiglie e hanno concluso il loro studio, dicendo che una mamma obesa si associa a bambini e adolescenti obesi, cioè se la mamma è in sovrappeso, lo è anche il figlio. Una mamma con un basso livello di istruzione è più facilmente obesa e lo sono di più anche i suoi figli. Una mamma obesa o con sindrome metabolica, cioè una sindrome particolarmente grave e complessa, appartiene quasi sempre a una popolazione di stato sociale basso o a rischio sociale. E questa popolazione ha uno stile di vita sedentario, cioè sta più di tre ore al giorno davanti a tv e pc e non ha corrette abitudini alimentari.

E quindi, che cosa dobbiamo fare? Non basta il medico, non basta lo scienziato, non basta studiare il fenomeno, ci vuole una strategia organica. Sappiamo come si deve fare e sappiamo che bisogna cominciare nei primi mille giorni di vita, che cominciano, però, dal concepimento e vanno fino ai due anni, perché se noi riusciamo a tutelare la gravidanza e a nutrire bene la mamma in gravidanza e poi il bambino da zero a due anni, avremo messo le basi per far sì che quel bambino non diventerà un bambino obeso. Tutto questo ci servirà a contrastare il cosiddetto “ambiente obesogenico” che si trova nelle famiglie e, quindi, a coinvolgere le famiglie e le scuole e ci servirà a dare continuità nel tempo a questi interventi, dando anche il buon esempio. Per cui, i principali periodi a rischio obesità su cui bisogna concentrarsi sono: la gravidanza e i primi due anni di vita, l'età in cui c'è l'adiposity rebound, cioè i sei anni di vita, periodo in cui il bambino potrebbe rimettere peso, e poi l'adolescenza e vanno fatti interventi coordinati. Non c'è un farmaco per combattere l'obesità, ma piuttosto un insieme di fattori che vanno collegati insieme e prolungati nel tempo.

Quindi, determinante, se avete capito quello che ho detto fino adesso, è la prevenzione: dobbiamo agire prima che il bambino diventi obeso, come? Con un sano inizio della vita, con ambienti sani, e avete sentito prima il collega Pella, occorre dare negli asili nido e nelle scuole un'alimentazione corretta, rendere l'opzione sana quella più facile, più semplice e più economica, limitare l'uso di commercializzazione di alimenti squilibrati, informare le famiglie, incoraggiare l'attività fisica e, poi, monitorare il fenomeno e monitorare gli interventi che si fanno e, infine, potenziare la ricerca.

Vorrei perdere due minuti sull'attività fisica, che svolge un ruolo determinante. Nelle nostre scuole si svolge attività fisica, ma non è sufficiente. Pensate che il 25 per cento degli adulti non è abbastanza attivo e l'80 per cento degli adolescenti non raggiunge i livelli raccomandati di attività fisica. Nelle scuole primarie si svolgono circa due ore, una garantita, di attività fisica e in quelle secondarie ci sono due ore garantite, ma si può fare di più e si può fare meglio, si può incrementare, per esempio, l'esperienza dei pedibus, cioè dei bambini che vanno a piedi a scuola tutti quanti insieme, si possono incrementare le percentuali di piste ciclabili, si possono incrementare le zone della città chiuse al traffico. In questo modo si favorisce certamente l'attività fisica. Poi, esiste una serie di progetti e di interventi che può dare luogo alla riduzione di queste malattie. In America hanno studiato che per ogni dollaro investito per il sovrappeso se ne risparmiano fino a 6; quindi, un dollaro investito ne riproduce 6 nella vita da adulto.

Vorrei qui dire, in due secondi, quali sono i pacchetti di politiche per promuovere stili di vita più sani e, quindi, per avere un impatto sulla salute positivo. Un primo pacchetto è quello della comunicazione: comunicare l'etichettatura degli alimenti, fare pubblicità verso quelli giusti e fare campagne sui mass media. Un secondo pacchetto prevede di etichettare i menu, prescrivere attività fisica e dare programmi di benessere sul luogo di lavoro. Il terzo pacchetto, studiato in Europa, prevede di prescrive l'attività fisica, fare interventi di trasporto pubblico, aumentare le ore di sport nelle scuole e contrastare il fenomeno della sedentarietà sul posto di lavoro. I tre pacchetti, tutti e tre insieme, riducono moltissimo l'incidenza e la prevalenza di obesità.

Per cui, questa mozione impegna il Governo su dodici punti, tutti importanti. Io vorrei soffermarmi su un punto, che il collega Pella già ha citato, che è quello della prevenzione. Direi di soffermarsi e stimolare il tavolo tecnico, che sappiamo si è insediato e che nei prossimi giorni probabilmente noi incontreremo e a cui questa mozione andrà affidata, sull'investimento nei primi mille giorni di vita. Sapete che in questo periodo della vita noi possiamo buttare le basi e mettere le fondamenta per una vita di un adulto più sana e più equilibrata, se interveniamo allora, dando alla mamma in gravidanza tutti gli strumenti per poter in questo caso avere una giusta alimentazione e assicurare al bambino l'allattamento al seno, almeno fino a che non ha sei mesi, e una corretta alimentazione nei primi anni di vita. Contemporaneamente, occorre ridurre tutta la pubblicità di alimenti ipercalorici e squilibrati nei contesti dove vive un bambino e, quindi, asili nido, scuole, parchi gioco, e via dicendo e far sì che la scelta salutare, cioè la scelta dell'alimento più salutare sia quella più facile da poter scegliere.

Bene, questa mozione ha tanti punti importanti da sviluppare, come per esempio anche ridurre sul web le pubblicità per i bambini, ha punti importanti sull'incremento dell'attività fisica nelle scuole, dimostra che l'investimento in prevenzione rende molto di più che non curando queste persone e che c'è bisogno di politiche sanitarie trasversali, che coinvolgano tutto il nostro sistema politico.

In questo modo, noi riusciremo, se lo facciamo con costanza e bene, a ridurre un processo che purtroppo è diventato un'epidemia, che è l'obesità e le sue complicanze, che sono gravi per la salute degli uomini, delle donne e dei bambini.

Se dovessi scegliere un'azione io mettere in sicurezza la gravidanza, riducendo le interferenze negative che in essa si possono determinare. Fatto questo, faremo un grande intervento di sanità pubblica che avrà molti esiti positivi ora e nei prossimi anni (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Baldini. Ne ha facoltà.

MARIA TERESA BALDINI (FDI). Grazie, Presidente. Parlando di obesità, credo che sia molto importante portare in Parlamento questa mozione, perché l'obesità rappresenta un problema rilevante per la salute pubblica e, di conseguenza, una spesa sanitaria molto alta, che credo diventerà insostenibile, anche secondo i dati, se non verranno messe in atto delle politiche adeguate.

Secondo i dati Istat, vi sono in Italia 21 milioni di soggetti in sovrappeso, mentre il numero degli obesi è di circa 6 milioni. Il dato preoccupante è che il trend è in incremento di circa il 10 per cento dal 2001 a oggi. È in sovrappeso una persona su tre e obesa una persona su dieci. Nell'obesità vi è sempre una comorbidità quale il diabete, l'ipertensione, la dislipidemia, con conseguenti malattie cardiovascolari e metaboliche degenerative. Sovrappeso e obesità sono malattie collegate allo stile di vita e a condizioni sociali in cui la cultura alimentare viene a mancare. L'obesità aumenta più rapidamente nelle aree rurali rispetto alle città, specialmente in Paesi con reddito basso. Inoltre, l'obesità e il sovrappeso possono essere i risvolti negativi verso soggetti che possono essere discriminati nel mondo sociale e lavorativo. Basta pensare al bambino in sovrappeso od obeso, che spesso viene deriso con implicazioni negative a livello psicologico. Teniamo presente che nella società odierna l'immagine che si dà di sé è fondamentale e nella nostra attuale cultura essere magri è considerato un valore positivo e di bellezza.

L'obesità è una malattia multifattoriale. Come è dimostrato da recenti e molteplici studi scientifici, il denominatore comune nell'espressione di questa malattia - e credo che questo sia un punto molto importante - è l'infiammazione cronica di basso grado, quella che si chiama scientificamente low-grade chronic inflammation. Avere un'infiammazione di questo tipo significa sviluppare in futuro patologie degenerative tra cui tumori, Alzheimer e patologie legate all'immunità e, tra queste, patologie autoimmuni. Occorre anche considerare - e credo che sia davvero questa la vera novità nel campo scientifico - che l'ambiente in cui viviamo, ossia quello che viene definito, a livello scientifico, esposoma, ha un peso molto rilevante anche nello sviluppo del sovrappeso e dell'obesità. Quindi, è ovvio che non è solo il regime dietetico che ha un peso nel contrastare l'obesità e il sovrappeso, ma anche altri fattori.

Contrastare obesità e sovrappeso tenendo presente quanto esposto ha un'implicazione a livello di longevità, intesa come condizioni accettabili di salute in età avanzata. Se vogliamo che una popolazione invecchi rimanendo giovane, tra virgolette, dobbiamo contrastare questa infiammazione cronica di basso grado dovuta all'alimentazione, allo stile di vita e all'ambiente. Se vogliamo prevenire le malattie cardiovascolari e, in generale, degenerative, dobbiamo non solo combinare il tipo di alimentazione, ma considerare sempre questi inneschi infiammatori esterni. Si tratta, cioè, di sostanze che introduciamo, l'esposoma, nella maggior parte a nostra insaputa e che creano infiammazioni. Mi riferisco, ad esempio, a metalli pesanti con il pesce, con la carne magari gli ormoni, con l'acqua delle microplastiche, degli idrocarburi mangiando magari all'aperto vicino a scarichi di automobili.

A livello mondiale, l'obesità è responsabile di un costo complessivo di circa 2 miliardi di dollari, ossia il 2,8 del PIL globale. In Italia, i dati rilevano che l'eccesso ponderale varia da regione a regione ed è responsabile del 4 per cento della spesa sanitaria nazionale, stimata nel 2012 in 4,5 miliardi di euro. Dobbiamo, però, considerare che vi sono differenze notevoli da Paese a Paese e molti dati nostri provengono dagli Stati Uniti e, pertanto, sono fuorvianti rispetto alla nostra realtà.

È importante sottolineare che non è fondamentale integrare l'alimentazione con svariati prodotti se la persona è in equilibrio metabolico, ma quello che è essenziale è educare la popolazione a un'alimentazione sana, alla dieta mediterranea, a un corretto stile di vita e a una minima esposizione - quanto meno è possibile - di sostanze potenzialmente tossiche.

È fondamentale educare fin dalla scuola materna a una consapevolezza del proprio stato di salute. Si può partire a livello educativo sia a livello scolastico sia a livello dell'intero nucleo familiare - questo è importante - nel quale potrebbe instaurarsi una reciproca educazione nutrizionale (i bambini spesso insegnano ai genitori a mangiare certe cose).

Quindi, è necessario un intervento di sensibilizzazione educativa sulla problematica legata al sovrappeso e all'obesità e un intervento sulle condizioni sfavorevoli - questo esposoma - quando ci alimentiamo. Sarebbe importante amplificare con pubblicità governativa l'importanza di una corretta alimentazione e dei rischi sulla salute legati a sovrappeso e obesità. Mancano ancora delle linee guida rivolte a tutti gli attori che operano per la salute pubblica che abbiano una ricaduta sulla popolazione.

Quello che voglio sottolineare è che dobbiamo parlare di prevenzione con interventi educativi formativi in contesto scolastico e anche a partire dall'età prescolare. Sono, inoltre, fondamentali gli interventi in ambito domestico e familiare dove, a causa dei problemi di peso anche nei primi anni di vita e a quelli di alimentazione incontrollata, si è obesi nel 75 per cento dei casi prima dei sei anni di età.

La distinzione tra alimentazione incontrollata e obesità è molto sottile. Non tutti gli obesi hanno crisi compulsive, mentre tutti i pazienti affetti da disturbo dell'alimentazione sono in sovrappeso. Non voglio addentrarmi nel discorso anoressia e bulimia, ma è importante sottolineare il problema che a volte nasconde un aumento di peso e la necessità di arrivare a diagnosi precoci. L'OMS ha definito l'obesità come un'epidemia e come una delle maggiori sfide per la salute pubblica del XXI secolo. Si stanno registrando sempre più spesso negli adolescenti i segni della cosiddetta “sindrome metabolica”, fino a ora considerata patologia dell'adulto.

Credo che oggi manchino degli standard metodologici uniformi per la ricerca, che devono essere più rigorosi per arrivare ad avere dei dati più confrontabili e valutabili nel tempo. Mancano studi confrontabili dove esistono problemi di alimentazione, nei Paesi in via di sviluppo dove l'alimentazione scorretta non crea problemi di obesità, ma crea problemi di malnutrizione e dove sarebbe auspicabile aiutare la cura di tanti bambini malnutriti che oramai sono ammalati. Occorre incentivare le politiche contro lo spreco alimentare per la salute di tutti, di chi si alimenta troppo e/o male e di chi non si alimenta perché non ha cibo (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole D'Arrando. Ne ha facoltà.

CELESTE D'ARRANDO (M5S). Grazie, Presidente. Colleghi e colleghe, l'obesità è un tema di grande attualità e coinvolge tutti perché quando verifichiamo, dati alla mano, che il 45,5 per cento degli uomini e il 26,8 per cento delle donne sono in sovrappeso o che il 10 per cento della popolazione è obesa capiamo che affrontare queste tematiche e dare risposte concrete non significa solo occuparsi di una questione come di un'altra. I dati rispetto all'obesità sono significativi: una persona su tre è in sovrappeso e una su dieci è obesa.

Dai dati di EpiCentro emerge che le persone in sovrappeso o obese sembrano essere poco consapevoli e non si percepiscono tali. Fra le persone in sovrappeso, meno della metà ritiene troppo alto il proprio peso corporeo; fra le persone obese c'è maggiore consapevolezza, tuttavia, non è trascurabile il numero di persone - più di una su dieci - che ritiene il proprio peso non troppo alto. Generalmente, le donne sono più consapevoli del problema rispetto agli uomini e l'essere coscienti del proprio eccesso ponderale favorisce l'adozione di comportamenti alimentari corretti. L'essere in eccesso ponderale è una caratteristica più frequente al crescere dell'età fra gli uomini rispetto alle donne, fra le persone con difficoltà economiche e fra le persone con un basso livello di istruzione. Le regioni con la percentuale più alta di persone con obesità rispetto alle altre sono Campania, Calabria, Sicilia e Puglia, mentre quelle con percentuale più alta di persone in sovrappeso sono Campania, Basilicata, Molise, Calabria, Puglia e Sicilia. Inoltre, si evidenzia l'importanza che ha l'attenzione degli operatori sanitari rispetto all'obesità che attualmente risulta essere molto bassa e in riduzione nel tempo, scarsa nelle regioni meridionali, dove ce ne sarebbe più bisogno, e su cui i dati evidenziano che laddove vi è da parte del medico il consiglio di perdere peso c'è un maggior numero di persone in eccesso di peso che inizia a seguire una dieta.

Finora l'obesità è stata considerata una responsabilità personale, una questione di pigrizia, dove la persona ingrassa perché non rispetta le regole. In realtà, però, quando parliamo di obesità di fatto stiamo parlando di una condizione complessa, il risultato di diversi fattori come quelli genetici, psicologici e ambientali. Occuparsi di obesità significa occuparsi di corretti stili di vita, di alimentazione, di salute e soprattutto dell'importanza della prevenzione.

Per questo è importante promuovere programmi per la prevenzione dell'obesità infantile e per la lotta alla sedentarietà attraverso iniziative coordinate di promozione della salute, intesa nella sua dimensione bio-psico-sociale, che implementino, a livello scolastico, l'attività fisica e sportiva, la sana alimentazione e l'informazione sulla promozione dei corretti stili di vita, compresa la qualità relazionale.

Uno degli aspetti importanti di cui tener conto è l'alimentazione in gravidanza e nei primi anni di vita, fondamentale per uno sviluppo armonico dei bambini, per il contenimento della generazione delle cellule adipose e per lo sviluppo del sistema immunitario. Come numerosi studi riportano in relazione all'importanza dei primi mille giorni di vita, comprendendovi anche la gestazione, e come lo stesso Ministero della salute-Dipartimento per la prevenzione ha sottolineato, le evidenze scientifiche disponibili confermano che i primi mille giorni di vita sono fondamentali per un adeguato sviluppo fisico e psichico.

Accade spesso che i bimbi, anche di pochi mesi e, comunque, entro i mille giorni, siano nutriti presso strutture comunitarie, come, ad esempio, gli asili nido, strutture sul territorio nazionale ove si privilegia una dieta che, giornalmente, prevede proteine in eccesso, in particolare di origine animale. Vi sono evidenze di un'associazione tra lo squilibrio di nutrienti della dieta nelle prime fasi della vita e il rischio aumentato di sviluppare obesità e non-communicable diseases nelle epoche successive. Presso queste stesse strutture comunitarie, i bambini di solito assumono un solo pasto al giorno: senza una dovuta educazione nutrizionale delle famiglie dei bimbi, si corre il rischio che essi assumano proteine animali più volte al giorno.

Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un cambiamento significativo, soprattutto, negli stili di vita, una vita frenetica, fatta spesso di pranzi veloci e cene in tarda serata, saltare i pasti o mangiare cibi precotti. Una delle grandi criticità di questa società moderna è che l'obesità sta interessando sempre di più bambini e adolescenti, con alti rischi di malattie in età adulta, come il diabete e le malattie cardiovascolari, che possono, in casi più gravi, portare anche a condizioni di disabilità e di riduzione dell'autonomia.

Quello che si può constatare è che c'è poca consapevolezza di cosa si mangi, di quello che realmente serva all'organismo per funzionare correttamente. Allora, si deve partire dalle scuole e dalle famiglie con la formazione, ritornare al rispetto della stagionalità dei cibi e a considerare ogni persona come unica. Infatti, altro aspetto fondamentale è l'approccio, che deve essere multidisciplinare, integrato e personalizzato. Infatti, dopo l'iscrizione da parte dell'UNESCO, nel 2010, della dieta mediterranea nella IHL, un anno dopo è stata pubblicata la nuova piramide dove, alla base, ci sono i comportamenti caratterizzanti l'area mediterranea e non più gli alimenti: ad esempio, la convivialità, l'attività fisica, il riposo, la biodiversità, stagionalità ed ecosostenibilità dei prodotti e le attività gastronomiche. Proprio per questo, uno degli impegni nella mozione è quello di promuovere il miglioramento della formazione degli operatori sanitari sul tema della nutrizione e di promuovere una maggiore cultura per gli operatori scolastici e per i neogenitori su questo tema.

Proprio per perseguire gli obiettivi di cura e prevenzione dell'obesità, alcuni atti importanti sono stati portati avanti dall'inizio della legislatura ad oggi, come, per esempio, la risoluzione sul contrasto all'obesità, approvata all'unanimità nella Commissione affari sociali e sanità, come l'istituzione presso il Ministero della salute, grazie all'ex Ministra Grillo, del tavolo di lavoro per la prevenzione e il contrasto del sovrappeso e dell'obesità, che ha come obiettivo quello di elaborare un documento di indirizzo per la prevenzione e il contrasto del sovrappeso e dell'obesità, in particolare quella infantile, condiviso con le regioni e le province autonome. Un documento che mira ad essere uno strumento a disposizione degli operatori sanitari e non, dei decisori e dei diversi stakeholder, anche al fine di favorire il raggiungimento dei correlati obiettivi del Piano nazionale della prevenzione e di garantire una maggiore omogeneità di azione a livello nazionale.

Per questo, nella mozione in discussione si impegna il Governo a implementare un piano nazionale sull'obesità che armonizzi a livello nazionale le attività nel campo della prevenzione e della lotta all'obesità; un documento condiviso con le regioni che, compatibilmente con la disponibilità delle risorse economiche, umane e strutturali, individui un disegno strategico, comune, inteso a promuovere interventi basati su un approccio multidisciplinare, integrato e personalizzato, centrato sulla persona con obesità e orientato ad una migliore organizzazione dei servizi e una piena responsabilizzazione di tutti gli attori dell'assistenza.

Su cosa è necessario agire? Innanzitutto, è necessario lavorare affinché nelle confezioni dei prodotti destinati ai più giovani e nelle bevande zuccherate siano riportate etichette o scritte che indichino il rischio di obesità, associato al consumo squilibrato dello zucchero in esso contenute e disincentivarne l'utilizzo nella produzione.

Bisogna, inoltre, intervenire soprattutto nei luoghi dove i bambini si ritrovano: devono essere liberi da ogni forma diretta e indiretta di commercializzazione e di pubblicizzazione di alimenti con grassi saturi, acidi grassi, zuccheri e sali liberi. Questo aspetto in particolare è molto importante: dobbiamo prestare estrema attenzione ai messaggi che mandiamo, come società, ai più piccoli, perché è proprio in questa fase di vita che si radicano in loro abitudini e comportamenti che diventano automatismi e che, poi, è davvero molto difficile modificare nel tempo. Infatti, chi è obeso in età infantile lo è, spesso, anche da adulto e aumenta, dunque, il rischio di sviluppare precocemente malattie di natura cardiovascolare e condizioni di alterato metabolismo, come il diabete di tipo 2 o l'ipercolesterolemia.

Ovviamente, il discorso della sensibilizzazione non deve limitarsi solo ai bambini, ma riguardare l'intera popolazione, con informazioni precise e dettagliate, per i neogenitori e per tutti i cittadini. È solo attraverso una società informata e cosciente dei rischi, ma, soprattutto, dei benefici di una corretta alimentazione che può compiersi un cambio di paradigma decisivo.

Per concludere, abbiamo inconfutabili testimonianze e prove di quanto sia importante promuovere e, soprattutto, adottare stili di vita sani per prevenire l'insorgenza di fenomeni come l'obesità e il sovrappeso, oltre a più gravi problemi che ne conseguono. La rilevanza del tema è unanimemente riconosciuta anche a livello europeo e finanche internazionale: dobbiamo, quindi, fare nostre le indicazioni dell'Organizzazione mondiale della sanità e il Piano d'azione dell'Unione europea sull'obesità infantile per dare una risposta forte ad una questione che non può attendere oltre (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Noja. Ne ha facoltà.

LISA NOJA (IV). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghe e colleghi, membri del Governo, la mozione che esaminiamo oggi ha un'importanza fondamentale per il futuro di milioni di cittadini di questo Paese. Per tale motivo vorrei, anzitutto, ringraziare i colleghi proponenti per la loro iniziativa e per aver stimolato quest'Aula a discutere del tema dell'obesità, definita dall'Organizzazione mondiale della sanità come una condizione che rappresenta un grave rischio per la salute.

Gli studi scientifici ci dicono che l'obesità origina da cause biologiche, ma, in larga parte, dipende anche da fattori psicologici e socio-ambientali. In particolare, incidono, nella maggior parte dei casi, stili di vita non salutari: da una parte, una alimentazione ipercalorica e, dall'altra parte, un ridotto dispendio energetico a causa di inattività fisica. Insomma, l'obesità è una condizione ampiamente prevenibile, eppure, ancorché oggi si sappia molto di più che in passato delle cause e degli strumenti necessari per contenere il rischio di obesità e per curarne il sopravvenire, essa rappresenta oggi uno dei principali problemi di salute pubblica a livello mondiale.

La mozione illustra in modo molto chiaro e circostanziato l'entità di questo problema. Mi limito qui a citare alcuni dati sul punto tratti dal rapporto “The heavy burden of obesity”, pubblicato dall'OCSE nel 2019. In 34 dei 36 Paesi OCSE, quasi una persona su quattro è obesa; in tali Paesi si può stimare che le malattie croniche legate all'obesità - diabete, malattie cardiovascolari, eccetera - causeranno più di 90 milioni di vittime nei prossimi trent'anni, con un'aspettativa di vita ridotta di quasi tre anni. Già oggi, gli italiani vivono, in media, 2,7 anni in meno a causa del sovrappeso. Anche se, a livello generale, l'Italia presenta un dato complessivo sotto la media, è davvero allarmante la situazione che riguarda i ragazzi tra i 5 e i 19 anni nel nostro Paese, che risultano obesi per il 12,5 per cento e in sovrappeso per il 24,3 per cento, così che l'Italia risulta al quarto posto nel mondo per questo problema, dove siamo preceduti solo da Stati Uniti, Nuova Zelanda e Grecia. Sul punto, non dobbiamo dimenticare che i bambini pagano il prezzo più elevato per l'obesità, perché questa condizione si riflette sul loro benessere, in una fase molto delicata della loro crescita fisica e psicologica e così, spesso, i bambini con problemi di obesità vanno meno bene a scuola, rischiano maggiormente di abbandonare i percorsi formativi e di non completare l'istruzione superiore e hanno una probabilità tre volte maggiore di essere vittime di bullismo, con un ulteriore impatto sulle loro prestazioni scolastiche e sul loro benessere.

Dai dati OCSE risulta poi come l'obesità non incida solo sulla salute psicofisica dei cittadini, ma anche sul loro benessere sociale ed economico, posto che le condizioni correlate a questa patologia, sempre secondo l'OCSE, determinano una perdita di almeno 330 euro pro capite l'anno e che persone con almeno una malattia cronica associata al grave sovrappeso hanno l'8 per cento di probabilità in meno di essere assunte. Ma c'è un altro dato che preoccupa moltissimo e che evidenzia i paradossi tragici del mondo contemporaneo: nel 2017, a livello globale, 821 milioni di persone, circa una su nove, soffrivano la fame, mentre 672 milioni, circa una su otto, erano obese. Due dati estremi, sottolineati dal nuovo rapporto congiunto pubblicato a settembre del 2018 da ONU, FAO, Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo, UNICEF, Programma alimentare mondiale e OMS.

Dal report emerge che le condizioni di denutrizione da una parte e di sovrappeso e obesità dall'altra parte sono entrambe il portato, seppure naturalmente con valenze evidentemente diverse, del solco sempre più profondo delle disuguaglianze e degli effetti terribili che esse producono specie sui gruppi più vulnerabili, come i bambini. Non deve stupire, quindi, che secondo i dati OCSE, nell'Unione Europea a 28 le donne e gli uomini nel gruppo con il reddito più basso abbiano rispettivamente il 90 per cento e il 50 per cento in più di probabilità di essere obesi rispetto a quelli con i redditi più alti, rafforzando così ulteriormente la disuguaglianza con chi ha più strumenti di benessere economico, e quindi di accesso a una nutrizione corretta e bilanciata e a un'educazione alimentare che consenta di assumere cibi in modo equilibrato e sano.

I Paesi dell'OCSE spendono già l'8,4 per cento del loro bilancio sanitario complessivo per la cura delle malattie legate all'obesità; parliamo di circa 209 euro pro capite l'anno. Per quanto riguarda l'Italia, l'obesità assorbe il 9 per cento della spesa sanitaria nazionale e complessivamente l'OCSE afferma che il sovrappeso riduce il PIL italiano del 2,8 per cento e che, per coprire questi costi, ogni italiano paga 289 euro di tasse supplementari all'anno. Ebbene, credo che la spesa nella salute dei cittadini non sia mai un costo, ma è sempre un investimento, e che esporre queste cifre non possa e non debba mai tradursi nella stigmatizzazione dei comportamenti individuali, perché ciò equivale a entrare nell'anticamera dello Stato etico, che pretende di colpevolizzare le persone per i loro comportamenti e per le condizioni di salute che possono derivarne. Il tema è un altro, il tema è impiegare risorse adeguate nella direzione più efficace per combattere la battaglia contro l'obesità, una battaglia necessaria anche per assicurare condizioni di giustizia sociale nel nostro Paese.

La mozione ha il merito di orientare gli impegni richiesti al Governo proprio in questo senso. Se prevenire e curare l'obesità è una priorità, e lo è, allora occorre assicurare che le iniziative politiche assunte siano le migliori e le più efficienti possibili perché nemmeno un euro speso in questa battaglia vada perso. E allora, se è vero, come afferma lo studio di OCSE, che ogni euro investito nella prevenzione dell'obesità genererebbe un ritorno economico fino a 6 euro, è giusto e necessario chiedere al Governo di impegnarsi a implementare quanto previsto nel patto nazionale della prevenzione 2014-2018 relativamente alle politiche di contrasto all'obesità, dando esecuzione a un disegno strategico che armonizzi a livello nazionale le attività nel campo della prevenzione e delle lotte a questa patologia; ed è giusto chiedere che si impegni a promuovere programmi per la prevenzione dell'obesità infantile e per la lotta alla sedentarietà attraverso iniziative coordinate che implementino a livello scolastico l'attività fisica e sportiva, la sana alimentazione, l'informazione sulla promozione dei corretti stili di vita.

Così come, se è vero che ridurre del 20 per cento il contenuto calorico negli alimenti ad alta intensità energetica potrebbe evitare oltre un milione di casi di malattie croniche all'anno, è necessario e giusto chiedere al Governo di impegnarsi ad assumere iniziative per stimolare l'industria alimentare a studiare un'adeguata porzionatura dei prodotti alimentari, specie per l'infanzia e per l'adolescenza, tenuto conto di tutti i nutrienti che possono influire sullo sviluppo dell'obesità. Se è vero che le campagne informative di educazione alimentare potrebbero portare a risparmiare 13 miliardi di euro in Europa e a prevenire un numero di decessi pari a quelli per incidenti stradali nei Paesi dell'OCSE, è giusto e necessario chiedere al Governo di impegnarsi a intraprendere iniziative di informazione dei cittadini, a promuovere percorsi educativi e informativi sui temi alimentari e ad assumere interventi volti a contrastare discriminazioni e atti di bullismo anche nei confronti delle persone con obesità.

Ho fatto alcuni esempi degli impegni richiesti al Governo dalla mozione in discussione; una mozione importante che, come Italia Viva, sosteniamo e condividiamo convintamente (Applausi dei deputati dei gruppi Italia Viva e MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Panizzut. Ne ha facoltà.

MASSIMILIANO PANIZZUT (LEGA). Presidente, rappresentante del Governo e colleghi, come hanno spiegato i colleghi che mi hanno preceduto, la mozione in discussione concerne le iniziative per la prevenzione e la cura dell'obesità. È un documento che abbiamo sottoscritto in maniera convinta, alla luce dell'enorme diffusione che questa problematica di salute ha assunto purtroppo negli ultimi anni. Riporto qualche dato giusto per rendere l'idea: secondo l'Organizzazione mondiale della sanità il numero di persone obese nel mondo è raddoppiato a partire dal 1980 a oggi. Le persone che soffrono di problemi di salute perché in sovrappeso e in condizione di obesità sono oltre 2 miliardi ed è in aumento anche la percentuale di coloro che muoiono a causa delle malattie correlate, quattro milioni di persone ogni anno. I dati sono illustrati a Stoccolma nell'ambito di un forum internazionale e provengono da uno studio imponente, che ha esaminato campioni di popolazione di oltre 195 Stati.

Le cose non vanno molto meglio nel nostro Paese: è in Italia che si registrano i tassi di obesità infantile più alti d'Europa. Viviamo nella culla della dieta mediterranea, eppure sembriamo non prendercene più cura. Dobbiamo riflettere, poi, sull'impatto enorme di questa patologia sugli equilibri del Servizio sanitario nazionale; si tratta forse dell'aspetto meno noto e meno considerato anche tra gli addetti ai lavori. I costi medici diretti, nei Paesi occidentali, oscillano tra il 4 e il 10 per cento delle spese sanitarie nazionali. Applicando queste percentuali al caso italiano, il calcolo è presto fatto: il 4 e il 10 per cento corrisponde a una cifra tra i 6 e i 16 miliardi, e soprattutto in questa fase, in vista della legge di bilancio, capiamo bene l'importanza di questi costi e la necessità di invertire il trend, per liberare, magari, un domani queste risorse e impiegarle in altri campi. Questo accade perché l'obesità ha un elevatissimo tasso di patologie correlate, alterazione del quadro ormonale, ipertensione, malattie cardiovascolari, che già i colleghi hanno citato. Un'altra malattia associata è il diabete, in diretta conseguenza di un'alimentazione scorretta e di una dieta ricca di zuccheri. Un discorso a parte, poi, va fatto per i tumori, la cui incidenza aumenta proporzionalmente all'aumentare dell'indice di massa corporea. Ecco dunque spiegati i costi abnormi dell'obesità e i motivi che ci hanno spinto a sottoscrivere questa mozione, condividendone da subito l'impianto. Possiamo interpretarla come un primo passo, un punto di partenza verso un percorso prima giuridico e poi fattuale, che auspichiamo porterà a un'inversione di tendenza e ad arginare quella che da molti, in prospettiva storica, è definita come una vera propria epidemia.

Gli impegni recati dalla mozione sono tutti estremamente importanti e degni di nota. Penso al tema della prevenzione, che è fondamentale e va assicurata su più livelli, partendo ovviamente dalle scuole e dai programmi di educazione sanitaria. Lo abbiamo detto, il problema dell'obesità è soprattutto infantile e giovanile; riguarda i più piccoli, appunto, in particolare in Italia. È proprio nelle scuole che dobbiamo intervenire alla radice, incentivando il consumo di cibi sani, l'attività fisica e i corretti stili di vita. Prevenzione significa anche intervenire nel sociale, rimuovere le disuguaglianze e le fattispecie di emarginazione. Negli ultimi anni, infatti, l'obesità va sempre più considerandosi come malattia che colpisce le categorie più disagiate della popolazione, che hanno problemi di reddito e di occupazione. Non avere la possibilità di scegliere gli alimenti più sani, evitare magari il cibo spazzatura, sono tutti fattori che giocano a favore dell'obesità, che peggiorano le condizioni di salute, agevolando il passaggio verso gli stadi più gravi della malattia, che determinano le ripercussioni e le complicanze più gravi.

Importante e spesso sottovalutato è anche il tema delle discriminazioni che vengono subite dalle persone con obesità; è un problema che, sempre, parte dalle scuole con il bullismo, spostatosi anche in rete con il cyberbullismo, e che scopriamo, adesso, riguarda anche l'ambito lavorativo e occupazionale. Queste persone sono vittime di un pregiudizio, che incide negativamente sugli avanzamenti di carriera e nelle procedure selettive, contribuendo, quindi, a determinare una povertà ed emarginazione, che a loro volta sono i fattori di rischio per la malattia. In tale prospettiva l'obesità si inserisce ed è essa stessa parte di un circolo vizioso di emarginazione. Va dunque condiviso appieno il punto della mozione che impegna a combattere queste forme di discriminazione, nell'ottica della piena inclusione sociale di una categoria particolarmente vulnerabile. Abbiamo poi il tema prettamente sanitario, che riguarda in particolare la salute e il diritto alla salute stessa. Anche qui la mozione prevede finalmente un impegno e la creazione di una cornice giuridica di riferimento che garantisca l'accessibilità di tutti ai trattamenti, le cure e gli interventi necessari. Da valutare con favore è anche il riferimento all'approccio multidisciplinare, che prevede la collaborazione di più figure professionali, competenze differenti integrate ed unite tra loro nell'obiettivo comune di garantire la completa riabilitazione del paziente. C'è poi l'impegno ad elaborare un piano di contrasto all'obesità in collaborazione con le regioni, al fine di garantire e armonizzare la disciplina, definire obiettivi comuni e garantire un livello di prevenzione e servizi uniforme su tutto il territorio. Tutte queste misure dovranno essere naturalmente attuate in tempi rapidi e ci auguriamo che almeno su questi temi fondamentali, che hanno a che fare con la salute dei cittadini, i condizionamenti di natura finanziaria non abbiano la meglio, anche perché in materia di sanità, come in molti ambiti, tagliare le risorse in nome dei vincoli di bilancio comporta spesso nel lungo periodo un costo maggiore dei risparmi ottenuti. Il mio auspicio, dunque, è che il testo in discussione registri la massima convergenza e che si mettano al primo posto la prevenzione e i bisogni di molti italiani che, purtroppo, sono affetti da questa malattia sociale (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Provenza. Ne ha facoltà.

NICOLA PROVENZA (M5S). Presidente Carfagna, gentili colleghi, gentili colleghe, membri del Governo, il tema della spesa sanitaria e della sostenibilità del Servizio sanitario nazionale, anche alla luce della transizione demografica ed epidemiologica, si pone inevitabilmente al centro della discussione generale di oggi, relativa alla mozione su iniziative per la cura e la prevenzione dell'obesità. Appare sempre più evidente in questo ambito l'influenza reciproca di più condizioni morbose connesse all'obesità stessa: in particolare il diabete, l'ipertensione, dislipidemia, malattie cardio e cerebro vascolari, tumori, disabilità, disagio psico-sociale.

Per affrontare adeguatamente questa emergenza, che ha visto un incremento percentuale di circa il 10 per cento del numero degli obesi dal 2001, secondo i dati ISTAT, dobbiamo impegnarci tutti per una difesa strenua del Servizio sanitario nazionale, mettendo in campo politiche adeguate di prevenzione e, soprattutto, direi, con il recupero dell'appropriatezza nella gestione delle cure, perché soltanto attraverso la possibilità di liberare risorse sarà possibile investire seriamente nelle politiche di prevenzione.

L'accostamento che più disturba le nostre coscienze e che deve destarci da ogni torpore nel nostro ruolo istituzionale è rappresentato dal fatto che sovrappeso e obesità affliggono maggiormente le categorie sociali svantaggiate, accompagnandosi, dunque, alle diseguaglianze, poiché vi sono limitazioni strutturali, sociali, organizzative e finanziarie che rendono proibitive scelte adeguate a molti cittadini relativamente alla cura della propria alimentazione e, soprattutto, all'attività fisica. La sfida che la politica deve avere il coraggio di affrontare con determinazione è rappresentata dall'obesità infantile, soprattutto in relazione alle conseguenze che comporta: il rischio di diabete di tipo 2, l'asma, i problemi muscolo-scheletrici, i futuri problemi cardiovascolari, problemi psicologici e sociali.

Sarà una sfida globale che richiede un approccio coordinato ed integrato con settori anche diversi da quello sanitario. È impensabile che nel 2019 si continui a pensare solo ad uno scenario sanitario. Penso infatti ai trasporti, all'ambiente, all'istruzione, al mondo dell'associazionismo, ponendo particolare attenzione agli alti costi sanitari legati alle conseguenze dell'inattività fisica, inattività fisica che - pensate - rappresenta uno dei principali fattori di rischio per la salute e che si stima sia causa di un milione di morti: circa il 10 per cento del totale all'anno nella sola regione europea. Allora, partiamo da un'affermazione dell'Organizzazione mondiale della sanità. Nel 2008 l'Organizzazione mondiale della sanità afferma: se esistesse un farmaco in grado di dare gli stessi effetti benefici dell'esercizio fisico, sarebbe il medicinale più prescritto al mondo. Pertanto, la promozione dell'esercizio fisico è indirizzata al benessere dell'individuo, ma inserisce lo stesso in un contesto che si allarga al benessere sociale. In questo modo cresce la consapevolezza che il benessere - emotivo, fisico, sociale e spirituale - consente alle persone di mantenere il proprio potenziale nella società nella quale vivono ed operano, ma soprattutto - è questo l'obiettivo al quale dovremmo tendere tutti - porta ciascuno di noi ad essere protagonista del proprio “ben essere” e non destinatario passivo di misure volte al miglioramento del suo stato di salute. Una consapevolezza direttamente collegata alla più ampia informazione possibile relativamente all'alimentazione, agli stili di vita, all'ambiente, ai fattori sociali, alla prevenzione delle malattie, agli screening, all'uso dei farmaci, alla salute mentale.

Solo in quest'ottica si può delineare in maniera precisa un concetto di salute rappresentato da uno stato di completo benessere fisico, psichico, sociale, economico e relazionale, e non come la semplice assenza dello stato di malattia o infermità. Questa chiave di lettura potrà consentire finalmente lo sviluppo di politiche integrate per agire sui principali determinanti di salute, con la finalità di perseguire la sostenibilità del Servizio sanitario nazionale, riqualificando la spesa sanitaria e promuovendo nuove strategie assistenziali.

Consolidare la promozione della salute vuol dire, inoltre, garantire una vita indipendente e attiva fino alle età più avanzate. Favorire il mantenimento di un buono stato di salute lungo tutto il corso della vita produce benefici importanti a livello economico, sociale, individuale. Migliorare la qualità della vita delle persone favorisce, in fondo, l'autosufficienza anche in età più avanzata, nonché la produttività in età lavorativa, contribuendo a ridurre i costi della collettività e a mantenere la sostenibilità, come ho anticipato già in precedenza, dei sistemi sanitari e sociali. Allora, abbiamo la necessità, una necessità di cambiare il paradigma nel momento in cui vogliamo affrontare in maniera decisiva questo argomento per la prevenzione e la cura dell'obesità. Portare nella pratica ambulatoriale l'uso dell'attività fisica e dell'esercizio fisico come mezzo terapeutico dev'essere un impegno prioritario ed ineludibile, attraverso una visione di gestione integrata che coinvolga diverse figure professionali. Un'attività fisica costante, anche moderata, consente di mantenere un peso stabile e contribuisce a far vivere meglio e più a lungo. L'incremento dell'attività fisica rappresenta, pertanto, un importante potenziale per risolvere il crescente problema dell'obesità, soprattutto se associata a stili di vita corretti e in particolare ad un'alimentazione adeguata. Un corretto stile di vita, ottenibile quindi con lo svolgimento dell'attività fisica, apporta benefici anche e primariamente dal punto di vista psicologico e sociale, a tutte le età.

I benefici psicosociali sono, come ci insegna la psicologia dello sport, maggiormente evidenti quando vengono praticati sport di squadra rispetto a forme individuali di attività fisica ma soprattutto - questo ci tengo a sottolinearlo - tali benefici sono maggiori quando la scelta è sostenuta da componenti di divertimento e di passione - ripeto: di passione - a prescindere da un'attività che sia individuale o di gruppo; e tali effetti benefici sono osservabili in termini di prevenzione dei disturbi psichici, dall'ansia agli attacchi di panico, dalla depressione a varie dipendenze, dallo stress alla solitudine, osservabili in tutte le fasce di età, dall'infanzia alla vecchiaia. Inoltre l'attività fisica stessa influenza l'adozione di stili di vita salutari tra i quali abitudini dietetiche corrette e rinuncia al fumo di sigarette. Come collocare tutto questo ragionamento in una dimensione che possa essere efficace? In questa dimensione è la città che si configura come il giusto scenario per rendere efficaci gli interventi preventivi atti a combattere l'insorgenza delle malattie croniche non trasmissibili e per promuovere il benessere tanto degli adulti quanto dei bambini e degli adolescenti, attraverso una strategia coordinata di sanità pubblica che coinvolga le istituzioni, il settore pubblico e quello privato in azioni congiunte, in diversi ambiti (agricolo, finanziario, commerciale, urbano, educativo, sportivo) e in differenti contesti (scolastico, ovviamente, lavorativo, familiare e associativo). Questo è particolarmente vero se si parla di mobilità pubblica e, nello specifico, di trasporto attivo. Per favorire il loro sviluppo è necessario investire in una progettazione urbana funzionale agli spostamenti in bicicletta o a piedi e in una regolamentazione del traffico favorendo la realizzazione di aree e percorsi naturalistici e supportando lo sviluppo del trasporto pubblico. Tutto ciò deve andare, quindi, in direzione assolutamente contraria all'utilizzo indiscriminato del trasporto individuale, collegato ad investimenti carenti nel trasporto pubblico e non tenendo conto dei costi, dell'inquinamento ambientale e dell'impatto sulla salute.

Abbiamo ascoltato declinare i dati da parte dei vari colleghi che mi hanno preceduto e che ringrazio: in particolare il collega Pella, il collega Siani, la collega Baldini, la collega D'Arrando, la collega Noja e il collega Panizzut. I bambini di otto-nove anni in sovrappeso sono il 21,3 per cento; gli obesi il 9,3 per cento, compresi i bambini gravemente obesi che rappresentano il 2,1 per cento. La mia Campania continua a detenere - lo dico con dolore e con sofferenza - il primato per quota più alta di bambini in eccesso ponderale. Seguono poi la Calabria, il Molise, la Basilicata; e anche per la popolazione adulta la Campania continua a detenere il primato per quota più alta di persone in eccesso ponderale: una persona su due. Per quanto riguarda la sola obesità il gradiente non cambia e ancora la Campania presenta il dato più alto: 14 per cento. Sono dati tratti dal sistema di rilevazione nazionale OKkio alla salute 2016 e dal sistema di sorveglianza Passi 2016, coordinati dall'Istituto superiore di sanità.

La medicina basata sull'evidenza ci conferma che abbiamo migliorato gli stili di vita incrementando soprattutto le conoscenze in campo alimentare. Questo livello di conoscenze non ha comunque determinato la riduzione della mortalità e della morbilità nella dimensione che ci aspettavamo. Vi è stato probabilmente un divario tra conoscenza e cultura alimentare che ha determinato una difficoltà nell'attuare questi piani di prevenzione? In quale direzione oggi si deve muovere l'istituzione per migliorare ulteriormente lo stato di salute dei cittadini? In che modo possiamo dirigere la conoscenza scientifica verso modelli di prevenzione efficaci ed efficienti? È evidente - lo abbiamo ascoltato anche da altri colleghi - che in questa ottica non basta, ad esempio, che il cibo preparato nelle mense ospedaliere e scolastiche sia a base di verdure e prodotti biologici ma occorre che ci sia una rivalutazione dei produttori locali, che il cibo sia di stagione, che ci sia il più basso utilizzo di plastica nel confezionamento dei cibi, che ci sia il rispetto per le tradizioni, per l'ambiente, per il lavoro nella produzione alimentare.

L'implementazione dei piani di prevenzione dovrà tener conto delle conoscenze scientifiche sull'alimentazione, cosa mangiare e quanto cibo consumare, e degli aspetti qualitativi della loro applicazione, ad esempio, come viene prodotto, quando e dove viene prodotto.

Negli ultimi decenni si è sempre più diffusa - lo sappiamo - nei Paesi industrializzati un tipo di alimentazione caratterizzata da elevati livelli di carni rosse, carboidrati semplici, grassi, cibi processati e da bassi livelli di vegetali, frutta e pesce. Secondo stime dell'Organizzazione mondiale della sanità l'insieme delle patologie classificate come malattie croniche non trasmissibili ha contribuito a 38 milioni di decessi a livello globale nel 2014 e, a questo punto, mi viene da citare la mia città, Salerno, perché la cultura alimentare, che la Scuola medica salernitana ha tanto promulgato e studiato, passava per la collocazione delle conoscenze mediche in un contesto più ampio in collegamento con l'ambiente, la terra, il benessere psichico, i ritmi e gli equilibri della natura. Non è dunque, come spesso ascoltiamo, la dieta mediterranea che va proposta o promossa ma la cultura mediterranea che va diffusa. La mediterraneità tiene conto dei processi di produzione del cibo, del valore e delle condizioni del lavoro svolto per produrre cibo, delle tradizioni, del rispetto per l'ambiente. La Scuola medica salernitana promulgava precetti naturalmente sani, cioè che mettevano naturalmente in relazione l'essere umano con il contesto ambientale, spaziale e temporale a cui apparteneva.

Obesità e sovrappeso - ritorniamo al tema della mozione - negli adulti comportano costi diretti, cioè ospedalizzazione e cure mediche, che arrivano a rappresentare fino all'8 per cento della spesa sanitaria nella regione europea. Tali patologie, inoltre, sono responsabili anche di costi indiretti conseguenti alla perdita di vite umane, di produttività e guadagni correlati valutabili in almeno il doppio dei citati costi diretti. La grande occasione che ha il nostro Paese, da un punto di vista politico e culturale, è proprio quella di mettere insieme una serie di azioni che affondano le radici nella nostra storia, nella nostra singolare predilezione ad accogliere il progresso e l'innovazione senza però trascurare il valore della persona nella sua dimensione biopsicosociale. Ne deriva quindi - sono gli impegni che vengono proposti dalla mozione al Governo - che un piano nazionale sull'obesità promuova interventi basati su un approccio multidisciplinare integrato e personalizzato, partendo dal concetto della unicità di ciascun individuo; che si rafforzino le politiche di contrasto all'obesità adottando iniziative vincolanti nel nuovo piano di prevenzione 2020-2025; che si agisca sulla formazione degli operatori sanitari, degli operatori scolastici e dei genitori; ma soprattutto, dal mio punto di vista, che si promuovano programmi di prevenzione sull'obesità infantile e per la lotta alla sedentarietà attraverso iniziative coordinate di promozione della salute proprio intesa, come dicevo poc'anzi, nella sua dimensione biopsicosociale che implementino a livello scolastico l'attività fisica e sportiva, la sana alimentazione e l'informazione sulla promozione dei corretti stili di vita compresa la qualità relazionale. Siamo in una fase critica di trasformazione del sistema sanitario pubblico e per continuare a difenderlo dobbiamo interpretare pienamente il senso di questa trasformazione poiché i tassi di sedentarietà e di obesità disegnano una situazione con connotati che definirei assolutamente drammatici.

Occorre, quindi, promuovere una vera sinergia tra aziende sanitarie, medici, operatori sanitari, pazienti, addetti al settore, istituzioni e cittadini, per diffondere in maniera capillare una necessaria cultura della prevenzione. Possiamo renderci conto - e vado a concludere - che la salute, in questo caso, è una cosa troppo globale per essere lasciata solo ai medici, per quanto i medici e tutti gli operatori sanitari debbano rivestire un ruolo centrale in questa dinamica. È una sfida che noi percepiamo da quest'Aula ancora troppo esterna rispetto alla scena principale della politica ed è per questo che ci saranno richiesti talento e perseveranza per raggiungere questi obiettivi, ma a nulla serviranno, talento e perseveranza, se non avremo il coraggio di un costante impegno etico (Applausi dei deputati dei gruppi MoVimento 5 Stelle, Partito Democratico e Italia Viva).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.

Prendo atto che il Governo si riserva di intervenire successivamente.

Il seguito della discussione è, quindi, rinviato ad altra seduta.

Organizzazione dei tempi di discussione dei disegni di legge di ratifica (ore 19,44).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione dei disegni di legge di ratifica nn. 1990, 1991, 1992, 1993 e 1994.

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi per la discussione generale del disegno di legge n. 1990 e per l'esame dei disegni di legge nn. 1991, 1992, 1993 e 1994 è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (Vedi calendario)

Discussione del disegno di legge: S. 1015 - Ratifica ed esecuzione del Trattato di estradizione tra la Repubblica italiana e la Repubblica orientale dell'Uruguay, fatto a Montevideo l'11 maggio 2017 (Approvato dal Senato) (A.C. 1990).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato, n. 1990: Ratifica ed esecuzione del Trattato di estradizione tra la Repubblica italiana e la Repubblica orientale dell'Uruguay, fatto a Montevideo l'11 maggio 2017.

(Discussione sulle linee generali – A.C. 1990)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Avverto che la III Commissione (Affari esteri) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire il relatore, l'onorevole Riccardo Olgiati.

RICCARDO OLGIATI, Relatore. Presidente, colleghi deputati e rappresentante del Governo, l'accordo bilaterale in esame, approvato dal Senato nel luglio scorso, è finalizzato a promuovere e regolamentare i rapporti bilaterali in materia di cooperazione giudiziaria penale, superando la disciplina attualmente vigente che risale addirittura ad una convenzione del 1879, emendata da un protocollo sottoscritto nel 1881.

In generale, l'accordo bilaterale in esame si inserisce nell'ambito degli strumenti finalizzati all'intensificazione ed alla regolamentazione dei rapporti di cooperazione posti in essere dall'Italia con i Paesi al di fuori dell'Unione europea, con i quali si persegue l'obiettivo di migliorare la cooperazione giudiziaria internazionale e di rendere più efficace, nel settore giudiziario penale, il contrasto alla criminalità. Attraverso il nuovo accordo, i due Paesi si impegnano reciprocamente alla consegna di persone ricercate che si trovino sul territorio di uno dei due Stati, al fine di dare seguito ad un procedimento penale, estradizione processuale, o per consentire l'esecuzione di una condanna definitiva, estradizione esecutiva, disposta dalle rispettive autorità giudiziarie.

Più in dettaglio, il Trattato, composto da 24 articoli, disciplina i profili dell'estradizione processuale e di quella esecutiva per le parti, individuando i reati per cui l'estradizione possa essere richiesta e concessa, nonché i motivi obbligatori e facoltativi per opporre un rifiuto. Tra i motivi di rifiuto obbligatorio, oltre ai consueti casi ormai consolidatisi nelle discipline pattizie internazionali, come reati politici, motivi etnici, religiosi, per opinioni politiche, l'accordo annovera anche i seguenti casi: qualora il reato per il quale l'estradizione sia richiesta possa essere punito dalla parte richiedente con la pena di morte o con una pena che prevede un trattamento crudele, inumano, degradante ovvero ancora con una pena detentiva perpetua, salvo, in quest'ultimo caso, che la parte richiedente garantisca l'applicazione di una pena non maggiore della massima ammessa dalla legge penale della parte richiesta; se per il reato per il quale è stata chiesta l'estradizione una delle due parti ha concesso amnistia, indulto o grazia; se la persona richiesta sia stata già definitivamente giudicata nello Stato richiesto di estradare, per lo stesso fatto per cui si richiede la consegna, per il principio del ne bis in idem, ovvero nello Stato richiesto sia intervenuta una causa di estinzione del reato o della pena; se la sentenza sia pronunciata in contumacia e la parte richiedente non garantisca l'esistenza di rimedi procedurali preordinati alla riapertura del processo ed alla emissione di una nuova sentenza, sì da consentire l'audizione del condannato e l'esplicazione delle sue prerogative difensive; se la parte richiesta ritenga che la concessione dell'estradizione possa compromettere la propria sovranità, sicurezza, ordine pubblico o altri interessi essenziali dello Stato o contrastanti con i principi fondamentali della sua legislazione nazionale.

Tra i motivi di rifiuto facoltativo l'accordo prevede unicamente i casi in cui lo Stato richiesto rivendichi la sua giurisdizione sul reato oggetto della richiesta e l'estradando sia o sarà sottoposto ad un procedimento penale riferibile al medesimo illecito penale.

Il testo individua, quindi, le modalità ed i documenti necessari per la presentazione delle richieste di estradizione ad opera delle autorità centrali designate dalle parti, per l'Italia, il Ministero della giustizia, nonché le informazioni supplementari che possono eventualmente essere avanzate per consentirne la decisione. L'accordo bilaterale dispone, altresì, che la persona estradata non possa essere sottoposta a nessuna misura restrittiva o detentiva per un reato commesso anteriormente alla consegna e diverso da quello che ha dato luogo all'estradizione, secondo il cosiddetto principio di specialità, e pone un generale divieto di riestradizione verso uno Stato terzo per reati commessi anteriormente alla consegna, senza il consenso dello Stato richiesto.

Il testo disciplina, inoltre, i casi di arresto provvisorio della persona richiesta per situazioni di urgenza e di richiesta di estradizione avanzate da più Stati e pone norme in relazione alla modalità di consegna della persona richiesta e per le procedure semplificate di estradizione, nel caso in cui vi sia il consenso della persona interessata. Da ultimo, l'accordo stabilisce le condizioni per il transito, nel territorio di uno dei due Paesi contraenti, di una persona consegnata all'altra parte da uno Stato terzo e reca disposizioni per la suddivisione delle spese fra i due Paesi contraenti in relazione al procedimento per la richiesta di estradizione e per le soluzioni di eventuali controversie applicative o interpretative dell'accordo bilaterale.

Quanto agli oneri di attuazione, l'articolo 3 del disegno di legge li valuta complessivamente in poco più di 23 mila euro annui, a decorrere dal 2019, ascrivibili alle spese per l'estradizione delle persone condannate, per le missioni dei loro accompagnatori e per la traduzione degli atti. Alla copertura finanziaria di tali oneri si provvede mediante corrispondente riduzione dell'accantonamento del Fondo speciale di parte corrente di competenza del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, relativo al bilancio triennale 2019-2021. Raccomando una rapida approvazione del provvedimento di ratifica che concorrerà a rafforzare le già eccellenti relazioni tra l'Italia e l'Uruguay, basate su fortissimi vincoli storici, culturali e anche sulla presenza di una vasta collettività italiana e di origine italiana particolarmente numerosa e influente.

PRESIDENTE. Prendo atto che la rappresentante del Governo si riserva di intervenire successivamente.

Non essendovi iscritti a parlare, dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali, avvertendo che non si darà luogo alle repliche.

Il seguito del dibattito è, quindi, rinviato ad altra seduta.

Discussione del disegno di legge: S. 1016 - Ratifica ed esecuzione dei seguenti Trattati: a) Trattato di estradizione tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica dell'Ecuador, fatto a Quito il 25 novembre 2015; b) Trattato di assistenza giudiziaria in materia penale tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica dell'Ecuador, fatto a Quito il 25 novembre 2015 (Approvato dal Senato) (A.C. 1991) (ore 19,51).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato, n. 1991: Ratifica ed esecuzione dei seguenti Trattati: a) Trattato di estradizione tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica dell'Ecuador, fatto a Quito il 25 novembre 2015; b) Trattato di assistenza giudiziaria in materia penale tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica dell'Ecuador, fatto a Quito il 25 novembre 2015.

(Discussione sulle linee generali – A.C. 1991)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Avverto, altresì, che la III Commissione (Affari esteri) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire il relatore, onorevole Riccardo Olgiati.

RICCARDO OLGIATI, Relatore. Presidente, colleghi deputati, rappresentante del Governo, nell'illustrare il disegno di legge di ratifica dei due accordi tra Italia ed Ecuador già approvato dall'altro ramo del Parlamento, mi preme evidenziare che l'Ecuador vanta con l'Italia rapporti crescenti sul piano economico, finanziario e commerciale, anche in ragione della presenza in Italia di una nutrita e ben integrata comunità di cittadini ecuadoriani, quantificabile in più di 80 mila persone. Proprio l'incremento dei rapporti bilaterali implica inevitabilmente la necessità di rafforzare la cooperazione fra i due Paesi, anche sul piano giudiziario penale.

Nello specifico, attraverso il nuovo accordo di estradizione, i due Paesi si impegnano reciprocamente a consegnarsi persone che si trovino sul territorio di uno dei due Stati, per dare corso ad un procedimento penale, estradizione processuale, o per consentire l'esecuzione di una condanna definitiva, estradizione esecutiva, disposta dalle rispettive autorità giudiziarie.

Più in dettaglio, il testo dell'accordo composto da 25 articoli individua i reati per cui l'estradizione, nel rispetto del principio della doppia incriminazione, possa essere richiesta e concessa nonché i motivi obbligatori e facoltativi per opporvi un rifiuto.

In particolare, l'articolo 3 riguarda le ipotesi di rifiuto obbligatorio dell'estradizione e precisa che essa sarà negata: quando si procede o si è proceduto per un reato politico militare. In tal senso i numeri 1 e 2 alla lettera a) dell'articolo 3 specificano che non sono considerati reati politici l'omicidio o altro reato contro la vita, l'integrità fisica, la libertà di un Capo di Stato o di Governo o di un membro della sua famiglia nonché i reati di terrorismo, i crimini contro l'umanità né qualsiasi altro reato non considerato reato politico ai sensi di qualsiasi trattato, convenzione o accordo internazionale di cui entrambi gli Stati sono parti; quando si hanno fondati motivi per ritenere che la richiesta di estradizione sia formulata a fini discriminatori e, quindi, possa essere strumentale a perseguire la persona richiesta per motivi di razza, religione, nazionalità e opinioni politiche; quando il reato potrebbe essere punito con una pena vietata dallo Stato richiesto; quando si ha motivo di ritenere che la persona richiesta sarà sottoposta a un procedimento che non assicuri il rispetto dei diritti umani di difesa ovvero a un trattamento crudele, inumano, degradante o qualsiasi altra azione ed omissione che violi i suoi diritti fondamentali; quando lo Stato richiesto ha concesso asilo politico alla persona richiesta; quando l'accoglimento della richiesta di estradizione possa compromettere la sovranità, la sicurezza e l'ordine pubblico o altri interessi nazionali dello Stato richiesto; quando la persona richiesta sia già stata definitivamente giudicata nello Stato richiesto per lo stesso fatto per cui si richiede la consegna (principio del ne bis in idem); quando nello Stato richiesto sia intervenuta amnistia, indulto o grazia, ovvero prescrizione o altra causa di estinzione del reato o della pena. Inoltre, la richiesta di estradizione sarà rifiutata quando il reato per cui si procede è punito dallo Stato richiedente con un tipo di pena vietato dalla legge dello Stato richiesto.

L'articolo 4 individua i motivi di rifiuto facoltativi e precisa che l'estradizione può essere rifiutata se il reato è soggetto alla giurisdizione dello Stato richiesto conformemente al proprio diritto interno e la persona richiesta è sottoposta o sarà sottoposta a procedimento penale dalle autorità competenti del medesimo Stato per lo stesso reato per cui l'estradizione è domandata. L'estradizione può essere altresì rifiutata se lo Stato richiesto, nel tenere conto della gravità del reato e degli interessi dello Stato richiedente, ritiene che la stessa non sarebbe compatibile con valutazioni di carattere umanitario in considerazione dell'età, delle condizioni di salute o di altre condizioni personali della persona richiesta.

L'articolo 5 disciplina l'estradizione del cittadino e riconosce a ciascuno Stato a determinate condizioni il diritto di rifiutare l'estradizione dei propri cittadini, anche in presenza delle condizioni previste dall'Accordo per la concessione della stessa. Il testo individua, quindi, le modalità e i documenti necessari per la presentazione delle richieste di estradizione ad opera delle autorità centrali designate dalle parti - per l'Italia il Ministero della Giustizia - nonché le informazioni supplementari che possano eventualmente essere avanzate per consentire la decisione.

Analogamente al provvedimento precedente, ulteriori disposizioni stabiliscono che la persona estradata non possa essere sottoposta a nessuna misura restrittiva o detentiva per un reato commesso anteriormente alla consegna e diverso da quello che ha dato luogo all'estradizione, secondo il cosiddetto principio di specialità, e pongono un generale divieto di riestradizione verso uno Stato terzo per reati commessi anteriormente alla consegna senza il consenso dello Stato richiesto.

Il testo disciplina, inoltre, i casi di arresto provvisorio della persona richiesta per situazioni di urgenza e di richieste di estradizione avanzate da più Stati e pone norme per la modalità di consegna della persona richiesta e per le procedure semplificate di estradizione nel caso in cui vi sia il consenso della persona interessata.

Da ultimo, l'Accordo stabilisce le condizioni per il transito nel territorio di uno dei due Paesi contraenti di una persona consegnata all'altra parte da uno Stato terzo e reca disposizioni per la suddivisione delle spese fra i due Paesi contraenti in relazione al procedimento per la richiesta di estradizione, oltre che per le soluzioni di eventuali controversie applicative o interpretative dell'Accordo bilaterale.

L'Accordo di assistenza giudiziaria penale, composto di 27 articoli, è finalizzato a promuovere una migliore collaborazione in materia di cooperazione giudiziaria penale fra Italia ed Ecuador conformemente ai principi di diritto internazionale, aggiungendosi, peraltro, alla Convenzione multilaterale del 1993 sul trasferimento delle persone condannate, già sottoscritta da entrambi i Paesi. In virtù di tale Accordo Italia ed Ecuador si impegnano…

PRESIDENTE. Concluda.

RICCARDO OLGIATI, Relatore. È finito il tempo?

PRESIDENTE. La invito a concludere.

RICCARDO OLGIATI, Relatore. Confido in una rapida approvazione di questo disegno di legge di ratifica che, al pari di altri provvedimenti oggi al nostro esame come quelli riguardanti l'Uruguay e il Costa Rica, fanno riferimento ad accordi finalizzati al rafforzamento dei rapporti di cooperazione del nostro Paese con realtà extraeuropee, con l'obiettivo di migliorare la cooperazione giudiziaria internazionale e di rendere più efficace nel settore giudiziario penale il contrasto alla criminalità anche a carattere transnazionale.

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire la rappresentante del Governo: si riserva di farlo successivamente.

Non essendovi iscritti a parlare, dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali avvertendo che non si darà luogo alle repliche.

Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione del disegno di legge: S. 1017 - Ratifica ed esecuzione dei seguenti Trattati: a) Trattato di estradizione tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica del Costa Rica, fatto a Roma il 27 maggio 2016; b) Trattato di assistenza giudiziaria in materia penale tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica del Costa Rica, fatto a Roma il 27 maggio 2016 (Approvato dal Senato) (A.C. 1992) (ore 19,58).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato, n. 1992: Ratifica ed esecuzione dei seguenti Trattati: a) Trattato di estradizione tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica del Costa Rica, fatto a Roma il 27 maggio 2016; b) Trattato di assistenza giudiziaria in materia penale tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica del Costa Rica, fatto a Roma il 27 maggio 2016.

(Discussione sulle linee generali – A.C. 1992)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Avverto, altresì, che la III Commissione (Affari esteri) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire la relatrice, onorevole Di Stasio.

IOLANDA DI STASIO, Relatrice. Grazie, Presidente. Intendo depositare la relazione.

PRESIDENTE. Sta bene.

Ha facoltà di intervenire la rappresentante del Governo: si riserva di farlo successivamente.

Non essendovi iscritti a parlare, dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali avvertendo che non si darà luogo alle repliche.

Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione del disegno di legge: S. 1138 - Ratifica ed esecuzione dell'Accordo di cooperazione culturale e scientifica tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica dominicana, fatto a Santo Domingo il 5 dicembre 2006 (Approvato dal Senato) (A.C. 1993) (ore 19,59).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato, n. 1993: Ratifica ed esecuzione dell'Accordo di cooperazione culturale e scientifica tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica dominicana, fatto a Santo Domingo il 5 dicembre 2006.

(Discussione sulle linee generali – A.C. 1993)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Avverto, altresì, che la III Commissione (Affari esteri) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire la relatrice, onorevole Di Stasio.

IOLANDA DI STASIO, Relatrice. Grazie, Presidente. Deposito anche questa relazione.

PRESIDENTE. Sta bene.

Ha facoltà di intervenire la rappresentante del Governo: si riserva di farlo successivamente.

Non essendovi iscritti a parlare, dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali avvertendo che non si darà luogo alle repliche.

Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione del disegno di legge: S. 1170 - Ratifica ed esecuzione dell'Accordo in materia di cooperazione di polizia tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica di Cuba, fatto a L'Avana il 16 settembre 2014 (Approvato dal Senato) (A.C. 1994) (ore 20).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato, n. 1994: Ratifica ed esecuzione dell'Accordo in materia di cooperazione di polizia tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica di Cuba, fatto a L'Avana il 16 settembre 2014.

(Discussione sulle linee generali – A.C. 1994)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Avverto, altresì, che la III Commissione (Affari esteri) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire la relatrice, onorevole Di Stasio.

IOLANDA DI STASIO, Relatrice. Grazie, Presidente. Colleghi, rappresentante del Governo, l'Accordo sottoscritto nel settembre 2014 fra l'Italia e Cuba in materia di cooperazione di polizia, come precisato nella relazione illustrativa, è stato redatto sulla base del modello accolto dal Dipartimento della pubblica sicurezza nelle relazioni con Paesi extraeuropei e, dunque, ricalca nel contenuto altri recenti intese della stessa natura.

L'intesa, composta da un preambolo e da 13 articoli, sancisce l'impegno dei due Paesi a rafforzare la collaborazione di reciproco scambio di informazioni per prevenire e combattere la criminalità e il terrorismo e a creare uno strumento giuridico per regolamentare le modalità di attuazione operativa. In particolare, l'Accordo, dopo aver indicato l'obiettivo sotteso alla cooperazione bilaterale ovvero l'intensificazione della cooperazione bilaterale attraverso lo scambio di informazioni e di pratiche e la formazione e l'addestramento del personale, individua nel Ministero dell'Interno, Dipartimento della pubblica sicurezza, per la parte italiana, e nel Ministero dell'Interno, direzione generale della polizia nazionale rivoluzionaria, per la parte cubana, le autorità responsabili della sua attuazione.

Dopo aver specificato i settori di cooperazione fra le parti, che includono, fra gli altri, la criminalità organizzata transnazionale, il traffico di sostanze stupefacenti, la tratta di esseri umani, il traffico di migranti e quello di armi nonché i reati economici, l'intesa bilaterale definisce altresì le modalità della cooperazione prevedendo scambi di informazioni e di prassi operative, misure per l'attuazione di operazioni congiunte, identificazione e riammissione dei cittadini di uno dei due Paesi presenti in posizione di irregolarità nel territorio dell'altro Stato, scambi di esperti, cooperazioni fra istituti e centri di istruzione nelle materie di pertinenza, formazione e addestramento delle forze di polizia.

I successivi articoli disciplinano le modalità per la richiesta di assistenza e per la loro esecuzione e i casi per opporre un rifiuto a tali richieste ascrivibili a situazioni pregiudizievoli per i diritti umani, la sovranità, la sicurezza e l'ordine pubblico di una delle due parti oppure al contrasto con la sua legislazione nazionale o con gli obblighi internazionali assunti.

Ulteriori disposizioni riguardano i limiti all'uso dei dati personali e delle informazioni classificate scambiate durante la collaborazione bilaterale. Ad essi ciascuna delle parti garantisce un livello di protezione equivalente a quello in vigore nell'ordinamento della parte che ha originato i documenti o le informazioni medesime, che non potranno essere divulgati a parti terze senza il consenso scritto dell'autorità competente che li ha forniti. Per quanto concerne i dati personali, questi verranno utilizzati, registrati e trasferiti esclusivamente per le finalità previste dall'Accordo e in conformità con la legislazione nazionale e con le condizioni e i princìpi relativi alla protezione dei dati personali.

Da ultimo, l'Accordo disciplina le modalità per la composizione di eventuali controversie interpretative o applicative dell'Accordo, che saranno composte amichevolmente mediante consultazioni e trattative tra le parti, l'entrata in vigore, l'emendabilità e l'eventuale revoca dello stesso testo.

Il disegno di legge di ratifica si compone di quattro articoli. Gli oneri economici per l'Italia sono stimati, all'articolo 3, in poco più di 81 mila euro annui, alla cui copertura si provvede mediante corrispondente riduzione dell'accantonamento del fondo speciale di parte corrente di competenza del Ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale relativo al bilancio triennale 2019-2021.

Auspico, pertanto, una rapida approvazione del provvedimento, già approvato dall'altro ramo del Parlamento, che non evidenzia profili di incompatibilità con la normativa nazionale e con l'ordinamento europeo né con gli altri obblighi internazionali sottoscritti dall'Italia, a partire dalla Convenzione unica sugli stupefacenti del 1961, dalla Convenzione sulle sostanze psicotrope del 1988 e dalla Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata del 2000.

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire la rappresentante del Governo: si riserva di farlo successivamente.

Non essendovi iscritti a parlare, dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali, avvertendo che non si darà luogo alle repliche.

Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Interventi di fine seduta.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Migliore. Ne ha facoltà.

GENNARO MIGLIORE (IV). Grazie, signora Presidente. Il consigliere comunale di Bologna Marco Lisei e il nostro collega Galeazzo Bignami si sono dedicati, nel corso dei giorni scorsi, a fare una diretta Facebook nella quale si occupavano di mettere in evidenza e di ritrarre tutti i citofoni delle case popolari, indicando nome, cognome e, ovviamente, residenza di persone straniere che occupavano, a loro dire, in maniera impropria, quelle case popolari.

Si tratta di una situazione molto grave, che io credo debba essere posta all'attenzione, innanzitutto, dell'Ufficio di Presidenza della Camera dei deputati, per quanto riguarda l'etica che riguardi un nostro collega, perché quelle persone occupano legittimamente quelle case e, contemporaneamente, se questo è lo stile con il quale fa campagna elettorale in Emilia Romagna Fratelli d'Italia, sappia l'onorevole Galeazzo Bignami che questa sarà una delle situazioni per le quali verrà deferito all'Autorità garante per la privacy. Non ha chiesto il consenso, si tratta di un'azione eticamente indegna che, tra l'altro, alimenta anche il razzismo all'interno del nostro Paese; è un'incitazione, è un'istigazione ed io penso che si debba intervenire rapidamente.

Mi aspetto che il nostro collega rinunci a qualsiasi forma di immunità o di insindacabilità, perché questo non è il modo di rappresentare il nostro Paese e penso che le autorità preposte, dopo che Facebook stesso ha cancellato quel video, possano intervenire in maniera molto severa.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Noja. Ne ha facoltà.

LISA NOJA (IV). Grazie, signora Presidente. Oggi, sui giornali è comparsa la notizia che, a Livorno, un ristoratore, di fronte ad un esposto presentato da una famiglia che denunciava come la rampa di accesso che stava realizzando non fosse a norma, ha esposto un cartello che non solo utilizzava termini offensivi e inappropriati nei confronti dei bambini con sindrome di down, ma invitava, per il futuro, i genitori a non far nascere questi bambini. Ecco, è l'ennesima volta che la disabilità è usata come un'offesa e, in questo caso, c'è l'aggravante di un invito all'eugenetica, un invito che risuona e ci fa ricordare momenti drammatici nel nostro continente.

È un'indecenza, un'indecenza non scusabile, nonostante gli scomposti tentativi dell'esercente di trovare delle giustificazioni; e non è scusabile perché le parole sono il pensiero delle persone e le parole scritte sono il pensiero ponderato e meditato delle persone. Nell'essere sicura che tutta quest'Aula si unirà a me nel condannare quanto accaduto, io invito tutti noi, ogni giorno, a sentirci responsabili della battaglia contro le parole di odio e di offesa nei confronti delle persone. Le parole violente e offensive possono trasformarsi in atti violenti e offensivi, ma, anche quando ciò non accade, sono comunque ferite incancellabili nelle vite e nell'anima delle persone, soprattutto più indifese.

È ora che ciascuno di noi, quando parla, quando scrive, quando compie gesti, pensi alle conseguenze di ciò che sta facendo e al messaggio che manda al mondo fuori di qui (Applausi).

Ordine del giorno della prossima seduta.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.

Martedì 12 novembre 2019 - Ore 11:

1. Svolgimento di interrogazioni .

(ore 15)

2. Seguito della discussione della proposta di legge:

CIPRINI ed altri: Modifiche al titolo VI del decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1967, n. 18, in materia di personale assunto a contratto dalle rappresentanze diplomatiche, dagli uffici consolari e dagli istituti italiani di cultura. (C. 1027-A)

Relatrice: CIPRINI.

3. Seguito della discussione delle mozioni Locatelli ed altri n. 1-00267, Meloni ed altri n. 1-00220, Fiorini ed altri n. 1-00281, Giannone ed altri n. 1-00283 e Rizzo Nervo, Bologna, De Filippo, Rostan ed altri n. 1-00284 concernenti iniziative di competenza in materia di affidamento di minori, anche alla luce delle vicende che hanno coinvolto la rete dei servizi sociali della Val d'Enza .

4. Seguito della discussione delle mozioni Annibali ed altri n. 1-00249, Bellucci ed altri n. 1-00090, Tateo ed altri n. 1-00282 e Carfagna ed altri n. 1-00285 concernenti iniziative volte a prevenire e contrastare ogni forma di violenza contro le donne .

5. Seguito della discussione della mozione Pella, Bologna, Boldi, Carnevali, Gemmato, De Filippo, Rostan, Pedrazzini, Cecconi ed altri n. 1-00082 concernente iniziative per la prevenzione e la cura dell'obesità .

6. Seguito della discussione dei disegni di legge:

S. 1015 - Ratifica ed esecuzione del Trattato di estradizione tra la Repubblica italiana e la Repubblica orientale dell'Uruguay, fatto a Montevideo l'11 maggio 2017 (Approvato dal Senato). (C. 1990)

Relatore: OLGIATI.

S. 1016 - Ratifica ed esecuzione dei seguenti Trattati: a) Trattato di estradizione tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica dell'Ecuador, fatto a Quito il 25 novembre 2015; b) Trattato di assistenza giudiziaria in materia penale tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica dell'Ecuador, fatto a Quito il 25 novembre 2015 (Approvato dal Senato). (C. 1991)

Relatore: OLGIATI.

S. 1017 - Ratifica ed esecuzione dei seguenti Trattati: a) Trattato di estradizione tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica del Costa Rica, fatto a Roma il 27 maggio 2016; b) Trattato di assistenza giudiziaria in materia penale tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica del Costa Rica, fatto a Roma il 27 maggio 2016 (Approvato dal Senato). (C. 1992)

Relatrice: DI STASIO.

S. 1138 - Ratifica ed esecuzione dell'Accordo di cooperazione culturale e scientifica tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica dominicana, fatto a Santo Domingo il 5 dicembre 2006 (Approvato dal Senato). (C. 1993)

Relatrice: DI STASIO.

S. 1170 - Ratifica ed esecuzione dell'Accordo in materia di cooperazione di polizia tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica di Cuba, fatto a L'Avana il 16 settembre 2014 (Approvato dal Senato). (C. 1994)

Relatrice: DI STASIO.

La seduta termina alle 20,10.

TESTI DEGLI INTERVENTI DI CUI È STATA AUTORIZZATA LA PUBBLICAZIONE IN CALCE AL RESOCONTO STENOGRAFICO DELLA SEDUTA ODIERNA: DI STASIO (A.C. 1992)

IOLANDA DI STASIO, Relatrice. (Relazione – A.C. 1992). Illustre Presidente, colleghi deputati, rappresentante del Governo, ricordo preliminarmente che il Costa Rica vanta con l'Italia crescenti rapporti sul piano economico, turistico e commerciale, nonostante la comunità di cittadini costaricani, quantificabile in quasi 500 persone, sia fra le meno numerose tra quelle residenti nel territorio italiano.

Nello specifico l'Accordo bilaterale di estradizione è finalizzato ad aggiornare i rapporti bilaterali nel campo della cooperazione giudiziaria penale aggiornando la Convenzione per la reciproca estradizione dei malfattori, risalente al maggio 1873.

Attraverso il nuovo Accordo i due Paesi si impegnano reciprocamente a consegnarsi persone ricercate che si trovino sul territorio di uno dei due Stati per dare corso ad un procedimento penale (estradizione processuale) o per consentire l'esecuzione di una condanna definitiva (estradizione esecutiva) disposta dalle rispettive autorità giudiziarie. Nel caso di estradizione processuale, è necessario che il reato sia punibile in entrambi gli ordinamenti con una pena detentiva non inferiore a un anno; per l'estradizione esecutiva si prevede, invece, che al momento della presentazione della domanda di estradizione la durata della pena ancora da espiare non sia inferiore a sei mesi. L'estradizione sarà concessa unicamente quando il fatto per cui si procede o si è proceduto nello Stato richiedente sia assoggettato a sanzione penale anche dalla legislazione dello Stato richiesto (principio della doppia incriminazione).

Più in dettaglio, il testo dell'Accordo, composto da ventidue articoli, disciplina i profili dell'estradizione processuale e di quella esecutiva per le Parti, individuando i reati per cui l'estradizione possa essere richiesta e concessa, nonché i motivi, obbligatori e facoltativi, per opporvi un rifiuto.

In particolare, l'estradizione può essere negata:

-quando si hanno fondati motivi per ritenere che la richiesta sia formulata a fini di discriminazione, vale a dire al fine di processare o punire una persona per motivi di razza, sesso, religione, nazionalità, origine etnica, appartenenza a un particolare gruppo sociale, ideologia od opinioni politiche;

-quando si procede o si è proceduto per un reato politico o militare; quando il reato è considerato dallo Stato richiesto reato politico;

-quando si ha motivo di ritenere che la persona richiesta sarà sottoposta a un procedimento che non assicuri il rispetto dei diritti minimi di difesa ovvero a un trattamento crudele, inumano, degradante o a qualsiasi altra azione od omissione che vìoli i suoi diritti fondamentali;

-quando lo Stato richiesto ha concesso asilo politico alla persona richiesta;

-quando l'accoglimento della richiesta di estradizione possa compromettere la sovranità, la sicurezza e l'ordine pubblico o altri interessi nazionali dello Stato richiesto;

-quando la persona richiesta sia stata già definitivamente giudicata nello Stato richiesto per lo stesso fatto per cui si richiede la consegna (principio del ne bis in idem)

-quando nello Stato richiesto sia intervenuta prescrizione o altra causa di estinzione del reato o della pena;

-quando il reato potrebbe essere punito con una pena vietata dallo Stato richiesto;

-nonché quando la persona richiesta sarà giudicata o è stata condannata nello Stato richiedente da un tribunale speciale.

Come nei provvedimenti precedenti, l'articolo 5 che disciplina l'estradizione del cittadino e che riconosce a ciascuno Stato, pur con talune garanzie, il diritto di rifiutare l'estradizione dei propri cittadini, anche in presenza delle condizioni previste dal Trattato per la concessione della stessa.

L'Accordo individua quindi le modalità ed i documenti necessari per la presentazione delle richieste di estradizione, nonché le informazioni supplementari che possano eventualmente essere avanzate per consentire la decisione. Gli ulteriori articoli dispongono altresì che la persona estradata non possa essere sottoposta a nessuna misura restrittiva o detentiva per un reato commesso anteriormente alla consegna e diverso da quello che ha dato luogo all'estradizione, secondo il cosiddetto principio di specialità, e pongono un generale divieto di riestradizione verso uno Stato terzo per reati commessi anteriormente alla consegna senza il consenso dello Stato richiesto.

Il testo disciplina inoltre i casi di arresto provvisorio della persona richiesta e di richieste di estradizione avanzate da più Stati e pone norme in relazione alle modalità di consegna della persona richiesta e di cose.

Da ultimo, il Trattato stabilisce le condizioni per il transito nel territorio di uno dei due Paesi contraenti di una persona consegnata all'altra Parte da uno Stato terzo, e reca disposizioni per la suddivisione delle spese fra i due Paesi contraenti in relazione al procedimento per la richiesta di estradizione, oltre che per la soluzione di eventuali controversie applicative o interpretative dell'accordo bilaterale.

Passando all'Accordo di assistenza giudiziaria in materia penale, composto di ventisette articoli, esso è finalizzato a promuovere la cooperazione giudiziaria penale fra Italia e il Costa Rica al fine di renderla rapida ed efficace, conformemente ai princìpi del diritto internazionale. In virtù di tale Accordo, i due Paesi si impegnano a prestarsi assistenza in ogni procedimento concernente reati la cui repressione risulti essere di competenza dello Stato richiedente. Tale assistenza riguarda un esteso novero di atti, quali: la ricerca e l'identificazione di persone; la notificazione degli atti giudiziari; la citazione di testimoni, di persone offese, di persone sottoposte a procedimento penale e di periti; l'acquisizione e la trasmissione di atti ed elementi di prova; lo svolgimento e la trasmissione di perizie; l'assunzione di testimonianze, dichiarazioni e interrogatori; l'esecuzione di ispezioni, indagini, perquisizioni, sequestri e confische.

Il disegno di legge di ratifica dei due Trattati si compone di quattro articoli. Con riferimento agli oneri economici, l'articolo 3 li valuta complessivamente in poco più di 111 mila euro annui a decorrere dall'anno in corso, ascrivibili in parte prevalente alle spese per l'estradizione delle persone condannate e per le missioni dei loro accompagnatori. A copertura di tali oneri si provvede mediante corrispondente riduzione dell'accantonamento del fondo speciale di parte corrente di competenza del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale relativo al bilancio triennale 2019-2021.

Alla luce di quanto illustrato, auspico una rapida approvazione del provvedimento in esame.

TESTI DEGLI INTERVENTI DI CUI È STATA AUTORIZZATA LA PUBBLICAZIONE IN CALCE AL RESOCONTO STENOGRAFICO DELLA SEDUTA ODIERNA: DI STASIO (A.C. 1993)

IOLANDA DI STASIO, Relatrice. (Relazione – A.C. 1993). Illustre Presidente, colleghi deputati, rappresentante del Governo, ricordo preliminarmente che la Repubblica Dominicana, nel cui territorio risulta residente una comunità di italiani composta da oltre 7 mila persone, vanta con l'Italia, oltre a relazioni politiche improntate ad una piena collaborazione, anche rapporti economici stabilmente in crescita. Basti considerare che l'Italia si colloca al sesto posto fra i suoi principali fornitori, dopo gli Stati Uniti, la Cina, il Messico, il Brasile e la Spagna.

L'Accordo di cooperazione culturale e scientifica al nostro esame, composto di venti articoli, intende fornire un quadro giuridico di riferimento per approfondire e disciplinare i rapporti bilaterali nei settori della cultura, della scienza, della tecnologia, dell'insegnamento linguistico, favorendo la collaborazione e lo scambio fra istituzioni accademiche, universitarie, archivistiche e fra biblioteche.

L'intesa bilaterale, dopo aver circostanziato i propri settori di intervento alla cultura, alla scienza, alla tecnologia, all'insegnamento linguistico ed alla conoscenza delle reciproche tradizioni, stabilisce che le Parti favoriranno lo sviluppo delle relazioni fra le rispettive istituzioni accademiche, amministrazioni archivistiche, museali e bibliotecarie, attraverso lo scambio di docenti, ricercatori, esperti, materiale e banche dati.

L'Accordo prevede la possibilità che organismi internazionali partecipino al finanziamento e all'attuazione dei progetti derivanti dalle forme di cooperazione, nonché la creazione di istituzioni culturali e scolastiche nei due Paesi, la collaborazione nel settore dell'istruzione mediante lo scambio di esperti e di informazioni sulle rispettive metodologie didattiche, l'erogazione di borse di studio e lo scambio di documentazione sulle rispettive legislazioni concernenti le istituzioni di istruzione superiore.

L'Accordo disciplina altresì la collaborazione nei settori dell'editoria, della musica, della danza, del cinema, del teatro, della radio e della televisione, nonché quella per la repressione del traffico illegale di opere d'arte, di beni e documenti soggetti a protezione.

Altre disposizioni riguardano lo scambio di esperienze nel settore dei diritti umani e delle libertà civili e politiche, delle pari opportunità e della tutela delle minoranze etniche, culturali e linguistiche, lo sviluppo della cooperazione scientifica, tecnologica, ambientale e sanitaria e la protezione dei diritti sulla proprietà intellettuale.

L'Accordo dispone anche in relazione ad una cooperazione nei settori dell'archeologia, dell'antropologia e scienze affini, prevede agevolazioni per la circolazione di persone ed attrezzature necessarie alla realizzazione delle attività concordate ed istituisce una Commissione mista preposta all'esame dello sviluppo della cooperazione bilaterale ed alla redazione dei relativi programmi esecutivi pluriennali.

Il disegno di legge di ratifica dell'Accordo, già approvato dal Senato, consta di cinque articoli. Con riferimento agli oneri economici derivanti dall'attuazione del provvedimento, l'articolo 3 li valuta in 90 mila euro per ciascuno degli anni 2019 e 2020, e in 101.880 euro a decorrere dall'anno 2021, alla cui copertura si provvede mediante corrispondente riduzione dell'accantonamento del fondo speciale di parte corrente di competenza del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale relativo al bilancio triennale 2019-2021. L'articolo 4 contiene una clausola di invarianza finanziaria in forza della quale non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica dalle disposizioni dell'Accordo non considerate nella norma di copertura.

Raccomando una celere approvazione del progetto di legge che non presenta profili di incompatibilità con la normativa nazionale, né con l'ordinamento europeo e gli altri obblighi internazionali sottoscritti dall'Italia. Al riguardo, ritengo opportuno segnalare che l'articolo 167, comma 3, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, prevede che l'Unione contribuisca al pieno sviluppo delle culture degli Stati membri e ne incoraggi la cooperazione anche con Paesi terzi.