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Resoconto dell'Assemblea

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XVIII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 195 di lunedì 24 giugno 2019

PRESIDENZA DELLA VICEPRESIDENTE MARIA ROSARIA CARFAGNA

La seduta comincia alle 15.

PRESIDENTE. La seduta è aperta.

Invito la deputata segretaria a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

AZZURRA PIA MARIA CANCELLERI, Segretaria, legge il processo verbale della seduta del 20 giugno 2019.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Amitrano, Battelli, Benvenuto, Bergamini, Berlinghieri, Berti, Billi, Bitonci, Boldrini, Bonafede, Claudio Borghi, Boschi, Brescia, Buffagni, Businarolo, Cabras, Caffaratto, Castelli, Castiello, Cattaneo, Cirielli, Cominardi, Davide Crippa, D'Inca', D'Uva,   Sabrina De Carlo, Del Re, Delmastro Delle Vedove, Luigi Di Maio, Di Stefano, Durigon, Ehm, Fantinati, Fassino, Ferraresi, Fioramonti,  Gregorio Fontana, Lorenzo Fontana, Fraccaro, Frusone, Galli, Garavaglia, Gava, Gelmini, Giaccone, Giachetti, Giglio Vigna, Giorgetti, Grande, Grillo, Grimoldi, Guerini, Invernizzi, Liuni, Lollobrigida, Lorefice, Losacco, Lupi, Maggioni, Maniero, Manzato, Micillo, Molinari, Molteni, Morelli, Morrone, Occhionero, Orlando, Parolo, Picchi, Quartapelle Procopio, Ribolla, Rizzo, Ruocco, Saltamartini, Scerra, Carlo Sibilia, Siragusa, Sisto, Spadafora, Spadoni, Suriano, Tofalo, Ungaro, Vacca, Valente, Vignaroli, Villarosa, Raffaele Volpi e Zoffili sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.

I deputati in missione sono complessivamente novantaquattro, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna).

Discussione del disegno di legge: Deleghe al Governo e altre disposizioni in materia di ordinamento sportivo, di professioni sportive nonché di semplificazione (Testo risultante dallo stralcio disposto dal Presidente della Camera, ai sensi dell'articolo 123-bis, comma 1, del Regolamento, e comunicato all'Assemblea il 12 marzo 2019, degli articoli da 6 a 11 del disegno di legge n. 1603) (A.C. 1603-bis-A) (ore 15,05).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge n. 1603-bis-A: Deleghe al Governo e altre disposizioni in materia di ordinamento sportivo, di professioni sportive nonché di semplificazione (Testo risultante dallo stralcio disposto dal Presidente della Camera, ai sensi dell'articolo 123-bis, comma 1, del Regolamento, e comunicato all'Assemblea il 12 marzo 2019, degli articoli da 6 a 11 del disegno di legge n. 1603).

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta del 20 giugno 2019 (Vedi l'allegato A della seduta del 20 giugno 2019).

(Discussione sulle linee generali – A.C. 1603-bis-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari MoVimento 5 Stelle e Partito Democratico ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.

Avverto che la VII Commissione (Cultura) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire il relatore deputato Daniele Belotti.

DANIELE BELOTTI, Relatore. Grazie, Presidente. Il disegno di legge di cui oggi iniziamo la discussione in Aula è fondamentalmente un disegno di legge delega, anche se il testo contiene pure alcune norme direttamente prescrittive. Le deleghe al Governo sono funzionali al riordino o al riordino e alla riforma di specifiche parti dell'ordinamento sportivo. L'esame del testo ha avuto inizio lo scorso 19 marzo, arrivando alla versione attuale dopo tre mesi di audizioni, incontri informali e sedute in Commissione. Le deleghe devono essere esercitate dal Governo entro dodici mesi; in alcuni casi è previsto il parere della Conferenza Stato-regioni e, in un caso, l'intesa della Conferenza unificata. Tra i principi e i criteri direttivi, ricorrenti nelle varie previsioni di delega, vi sono l'organizzazione e le disposizioni per settori omogenei o per specifiche attività o gruppi di attività e l'aggiornamento e la semplificazione del linguaggio normativo. Con una modifica introdotta nell'esame in sede referente è stata prevista la possibilità di adottare un testo unico delle disposizioni in materia di sport. È previsto in generale che gli schemi dei decreti legislativi siano trasmessi alle Camere per il parere delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per i profili finanziari, le quali devono esprimersi entro 45 giorni dalla data di trasmissione; decorso tale termine i decreti possono essere comunque emanati. Il testo iniziale del provvedimento prevedeva 30 giorni di tempo per i pareri parlamentari; tale termine, con un emendamento delle minoranze, è stato portato a 45 giorni. Il testo è organizzato in quattro Capi, recanti rispettivamente “disposizioni relative all'ordinamento sportivo”, le “disposizioni in materia di professioni sportive”, le “disposizioni di semplificazione e sicurezza in materia di sport” e le “disposizioni finali”. Esso reca una serie di deleghe al Governo, alcune delle quali qualificate come “riordino”, altre - come dicevo prima - come “riordino e riforma”, nonché alcune disposizioni prescrittive.

Venendo ad un'analisi di dettaglio, l'articolo 1 delega il Governo a redigere uno o più decreti legislativi per il riordino del CONI e dell'ordinamento sportivo. In particolare, il Governo dovrà definire gli ambiti di attività del CONI, delle federazioni sportive, delle discipline sportive, degli enti di promozione sportiva, dei gruppi sportivi militari e dei gruppi sportivi dei corpi civili dello Stato, nonché delle associazioni benemerite, in coerenza con il proprio ruolo del CONI quale organo di governo dell'attività olimpica, ma anche con le novità introdotte dalla legge di bilancio 2019, che - lo ricordiamo - ha affidato alla società “Sport e salute” il compito di finanziare gli organismi sportivi. I decreti delegati dovranno confermare la missione del CONI, relativa all'incoraggiamento, la divulgazione dei principi e dei valori dell'olimpismo, in armonia con l'ordinamento sportivo internazionale, prevedere la piena autonomia gestionale, amministrativa e contabile rispetto al CONI delle Federazioni, delle discipline sportive, degli enti di promozione sportiva e delle associazioni benemerite, mantenendo comunque fermo il potere di controllo sulla gestione e sull'utilizzo di contributi pubblici attribuito all'autorità di governo competente in materia di sport, che - è utile ricordarlo - può, in caso di gravi irregolarità nella gestione o di scorretto utilizzo dei fondi trasferiti, determinare la revoca totale o parziale delle risorse assegnate. Si dovrà quindi prevedere la modifica della composizione del Collegio dei revisori dei conti, anche in considerazione di questo potere di controllo dell'autorità di governo. È confermato poi in capo al CONI il compito di vigilare per verificare che le attività sportive degli organismi anzidetti siano svolte in armonia con le deliberazioni e gli indirizzi del Comitato olimpico internazionale e dello stesso CONI. Il CONI potrà deliberare il commissariamento delle federazioni o delle discipline sportive associate, quando siano accertate gravi violazioni di norme previste dagli statuti o dai regolamenti sportivi, finalizzati a regolare avvio e svolgimento di competizioni sportive, ovvero in caso di accertata impossibilità di funzionamento degli organi direttivi. I decreti delegati dovranno ancora prevedere che l'articolazione territoriale del CONI sia riferita esclusivamente a funzioni di rappresentanza istituzionale. È previsto poi il riordino della disciplina in materia di limiti al rinnovo dei mandati degli organi o degli organismi sportivi, con l'introduzione del limite allo svolgimento di più mandati consecutivi e di incompatibilità fra gli organi, al fine di prevenire conflitti di interessi. E' previsto ancora che il Governo debba promuovere azioni per accrescere la partecipazione e la rappresentanza delle donne nello sport.

Per le società sportive professionistiche, il Governo dovrà individuare forme e condizioni di azionariato popolare, dovrà inoltre prevedere limitazioni e vincoli, compresa la possibilità di disporne il divieto, in materia di scommesse sulle partite di calcio delle società che militano nei campionati di Lega nazionale dilettanti. Questi ultimi due principi direttivi sono stati aggiunti nel corso dell'esame in sede referente.

L'articolo 2 reca disposizioni per sviluppare la pratica dello sport nelle scuole e prevede che le scuole di ogni ordine e grado, nel rispetto delle prerogative degli organi collegiali, possano costituire centri sportivi scolastici. Si disciplina così, a livello legislativo, estendendola alle scuole di ogni ordine e grado, una possibilità prevista finora solo a livello amministrativo nelle sole scuole secondarie. Al contempo, si prevede ora che i centri sportivi scolastici siano costituiti secondo le modalità e le forme previste dal Codice del terzo settore. Sono le scuole ad adottare il regolamento del centro sportivo scolastico: le scuole possono stabilire le attività sportive in favore dei propri studenti, che vengano rese di norma a titolo gratuito. La programmazione delle attività del Centro è affidata al consiglio d'istituto, che può sentire, ove esistenti, le associazioni sportive dilettantistiche riconosciute che hanno la propria sede legale nel comune in cui è stabilita la sede legale del medesimo centro. Qualora siano previste attività extracurricolari, ovvero l'utilizzo di locali in orario extra scolastico, devono essere definiti appositi accordi con l'ente locale proprietario degli immobili. Sempre l'articolo 2 dispone inoltre che la somministrazione di cibi e bevande attraverso distributori automatici installati nelle scuole di ogni ordine e grado e nei centri sportivi scolastici debba avvenire nel rispetto delle linee-guida adottate dal MIUR per disincentivare la somministrazione di alimenti e bevande insalubri.

L'articolo 3 definisce un quadro normativo di garanzia per i casi di cessione, trasferimento o attribuzione del titolo sportivo, inteso quale insieme delle condizioni che consentono la partecipazione di una società sportiva a una determinata competizione nazionale. Si introduce con questo articolo nell'ordinamento normativo statale una definizione finora presente solo nell'ordinamento sportivo; in particolare, si stabilisce che la cessione, il trasferimento o l'attribuzione a qualunque titolo del titolo sportivo di una società, qualora queste operazioni siano ammesse dalle singole federazioni o discipline associate e nel rispetto dei regolamenti da essi emanati, possano essere effettuati solo previa valutazione del valore economico o del titolo medesimo, tramite perizia giurata di un esperto nominato dal giudice.

In caso di insolvenza di una società sportiva, la cessione, il trasferimento o l'attribuzione del titolo medesimo sono condizionati al versamento del valore economico del titolo o alla prestazione di idonea garanzia approvata dall'autorità giudiziaria procedente.

L'articolo 4 - è una novità introdotta in sede di Commissione - impone di prevedere negli atti costitutivi delle società sportive professionistiche un organo consultivo che curi la tutela degli interessi specifici dei tifosi, con il potere di esprimere sulle questioni di interesse dei tifosi pareri obbligatori, ma comunque non vincolanti per la società. L'organo dovrà essere formato da almeno tre e non più di cinque tifosi, eletti ogni tre anni dagli abbonati alla società sportiva. I consigli di amministrazione delle società dovranno adottare un regolamento per disciplinare le modalità di elezione, ma anche per stabilire cause di ineleggibilità e di decadenza. Saranno, ad ogni modo, ineleggibili i destinatari dei Daspo o di qualsiasi altra misura di prevenzione o coloro che siano stati condannati, anche in via non definitiva, per reati commessi in occasione o a causa di manifestazioni sportive. Questa previsione, tendente a creare un controllo dal basso sulle società sportive di alto livello, fa il paio con un'altra, introdotta all'articolo 1, dove è stato aggiunto come principio direttivo per il Governo quello di individuare forme e condizioni di azionariato popolare per le società sportive professionistiche.

L'articolo 5 delega il Governo ad adottare decreti legislativi per il riordino e la riforma delle disposizioni in materia di enti sportivi professionistici e dilettantistici, nonché per la disciplina del rapporto di lavoro sportivo. La delega è finalizzata a garantire l'osservanza dei principi di parità di trattamento e non discriminazione nel lavoro sportivo, sia nel settore dilettantistico che in quello professionistico.

Il Governo è chiamato ad attenersi ai seguenti principi e criteri direttivi: riconoscimento del carattere sociale e preventivo-sanitario dell'attività sportiva quale strumento di miglioramento della qualità della vita e della salute, nonché quale mezzo di educazione e sviluppo sociale; tutela della salute e della sicurezza dei minori che svolgono attività sportiva, prevedendo specifici adempimenti e obblighi informativi da parte delle società e delle associazioni sportive; riconoscimento del principio di specificità dello sport e del rapporto di lavoro sportivo come definito a livello nazionale e dell'Unione europea, nonché del principio delle pari opportunità nella pratica sportiva; individuazione della figura del lavoratore sportivo, compresa la figura del direttore di gara, senza distinzione di genere, indipendentemente dalla natura dilettantistico-professionistica dell'attività sportiva svolta, nonché definizione della relativa disciplina in materia di tutela assicurativa, fiscale, previdenziale e delle regole di gestione del relativo fondo di previdenza; valorizzazione della formazione dei lavoratori sportivi, in particolare dei giovani; disciplina dei rapporti di collaborazione di carattere amministrativo-gestionale di natura non professionale per le prestazioni rese in favore di società e associazioni sportive dilettantistiche, tenendo anche conto del fine non lucrativo di queste ultime; riordino della disciplina delle mutualità nello sport professionistico; riconoscimento giuridico del laureato in scienze motorie e dei soggetti forniti di titoli equipollenti; revisione e trasferimento delle funzioni di vigilanza e co-vigilanza esercitate dal Ministero della Difesa su enti sportivi e federazioni sportive nazionali, in coerenza con la disciplina relativa agli altri enti sportivi e federazioni sportive, previa puntuale individuazione delle risorse umane strumentali e finanziarie da trasferire e il trasferimento all'Unione italiana tiro a segno delle funzioni connesse all'agibilità dei campi e degli impianti di tiro a segno esercitate attualmente dal Ministero della Difesa, anche prevedendo forme di collaborazione con quest'ultimo, previa, anche in tal caso, puntuale individuazione delle risorse umane, strumentali e finanziarie da trasferire; riordino della normativa applicabile alle discipline sportive che prevedono l'impiego di animali, con riguardo, in particolare, agli aspetti sanitari, nonché alla tutela e al benessere degli stessi (il cosiddetto animale cavallo o animale atleta).

L'articolo 6 delega il Governo all'adozione di uno o più decreti legislativi per il riordino delle disposizioni in materia di rapporti di rappresentanza di atleti di società sportive e di accesso all'esercizio della professione di agente sportivo. L'obiettivo, in sostanza, è quello di disciplinare con norma legislativa primaria alcune questioni attualmente disciplinate nel regolamento degli agenti sportivi. In particolare, si stabiliscono i seguenti principi e criteri direttivi: previsione dei principi di autonomia, trasparenza e indipendenza a cui deve attenersi l'agente sportivo nello svolgimento della sua professione; disciplina del conflitto di interessi, in modo da garantire l'imparzialità e la trasparenza nei rapporti tra gli atleti, le società sportive e gli agenti, anche nel caso in cui l'attività di questi ultimi sia esercitata in forma societaria; individuazione, anche in ragione dell'entità del compenso, di modalità di svolgimento delle transazioni economiche che ne garantiscono regolarità, trasparenza e conformità alla normativa vigente, comprese previsioni di carattere fiscale e previdenziale; introduzione di una disciplina finalizzata a garantire la tutela dei minori, con specifica definizione del limite e delle modalità della loro rappresentanza da parte degli agenti sportivi; definizione di un quadro sanzionatorio proporzionato ed efficace, anche con riferimento agli effetti dei contratti stipulati dagli assistiti.

L'articolo 7 delega il Governo all'adozione di decreti legislativi per il riordino e la riforma delle norme di sicurezza per la costruzione e l'esercizio degli impianti sportivi, nonché della disciplina relativa alla costruzione di nuovi impianti, alla ristrutturazione e al ripristino di quelli già esistenti, inclusi quelli scolastici. In particolare, si stabiliscono i seguenti principi e criteri direttivi: ricognizione, coordinamento, armonizzazione delle norme in materia di sicurezza per la costruzione e l'esercizio degli impianti sportivi; semplificazione e accelerazione delle procedure amministrative e riduzione dei tempi procedurali previsti dall'articolo 1, comma 304, della legge n. 147 del 2013 e dell'articolo 62 del decreto n. 50 del 2017, in accordo con la disciplina vigente in materia di prevenzione della corruzione. Tali semplificazioni, accelerazioni e riduzioni di termini devono riguardare prioritariamente gli interventi di recupero e di riuso degli impianti sportivi esistenti, di cui al comma 305 della legge n. 147 del 2013, o di strutture pubbliche inutilizzate; individuazione dei criteri progettuali e gestionali orientati alla sicurezza, anche strutturale, alla fruibilità, alla redditività degli interventi della gestione economico-finanziaria degli impianti sportivi cui gli operatori pubblici e privati devono attenersi in modo che sia garantita, nell'interesse della collettività, la sicurezza degli impianti sportivi, anche al fine di prevenire fenomeni di violenza all'interno e all'esterno dei medesimi e di migliorare, a livello internazionale, l'immagine dello sport; individuazione di un sistema che preveda il preventivo accordo con la società o associazione sportiva utilizzatrice e possibilità di un affidamento diretto dell'impianto già esistente alla società o associazioni utilizzatrici, in presenza di requisiti oggettivi e coerenti con l'oggetto e la finalità dell'affidamento che assicurino la sostenibilità economico-finanziaria della gestione e gli standard di qualità del servizio eventualmente offerto a terzi diversi dalla medesima società o associazione utilizzatrice; individuazione di strumenti economico-finanziari da affidare alla gestione del coordinamento dell'Istituto del credito sportivo; definizione della disciplina di somministrazione di cibi e bevande tramite distributori automatici nei centri sportivi, ovunque venga praticato, nel rispetto delle previsioni di cui all'articolo 5-bis del decreto n. 104 del 2013.

L'articolo 8 recava, nel testo iniziale, una delega al Governo per l'adozione di uno o più decreti legislativi per il riordino delle disposizioni legislative relative agli adempimenti e agli oneri amministrativi e di natura contabile a carico delle federazioni, delle discipline sportive, degli enti di promozione sportiva, delle associazioni benemerite e delle loro affiliate riconosciuti dal CONI. Durante l'esame in sede referente, l'oggetto della delega è stato ampliato a comprendere anche la semplificazione di adempimenti relativi ai medesimi organismi, oltre a quelli a loro carico. In particolare, i principi e i criteri direttivi sono costituiti: dalla semplificazione e riduzione degli adempimenti amministrativi e dei conseguenti oneri anche nei confronti delle unità istituzionali facenti parte del settore delle amministrazioni pubbliche, tenendo conto della natura giuridica degli enti e delle finalità istituite e perseguite dagli stessi; semplificazione per il riconoscimento della personalità giuridica; riordino, anche a fini di semplificazione, della disciplina relativa alla certificazione dell'attività sportiva svolta dalle società e delle associazioni dilettantistiche.

L'articolo 9 reca una delega al Governo per l'adozione di uno o più decreti legislativi in materia di discipline sportive invernali, al fine di garantire standard di sicurezza più elevati. In particolare, si stabiliscono i seguenti principi e criteri direttivi: revisione della disciplina giuridica applicabile agli impianti e relativi provvedimenti di autorizzazione o concessione che tenga conto della durata del rapporto e dei parametri di ammortamento degli investimenti; revisione delle norme in materia di sicurezza recate dalla legge n. 363 del 2003, provvedendo, in particolare, all'individuazione dei criteri generali di sicurezza per la pratica dello sci-alpinismo e delle altre attività sportive praticate nelle aree sciabili attrezzate e adeguate misure, anche sanzionatorie, che garantiscono il rispetto degli obblighi e dei divieti senza nuovi o maggiori oneri a carico dei gestori; l'estensione dell'obbligo di utilizzo del casco, che attualmente è disposto solo per i minori di 14 anni, anche nella pratica dello sci alpino e dello snowboard in tutte le aree sciabili, inclusi i fuoripista; obbligo di dotare ogni pista, ove possibile, di un'area per la sosta delimitata e segnalata; obbligo per i gestori delle aree sciabili di dotare le stesse di un defibrillatore semiautomatico, assicurando la presenza di personale formato per il suo utilizzo; rafforzamento sia delle attività di vigilanza e controllo del servizio di sicurezza e di ordine pubblico, con la determinazione di un adeguato regime sanzionatorio, sia delle attività informative e formative per la prevenzione degli incidenti, anche con riferimento allo sci fuoripista e allo sci alpinismo.

L'articolo 10 - l'ultimo -, introdotto dalla Commissione, prevede che le disposizioni della legge e dei decreti-legislativi da essa previsti si applicano nelle regioni a statuto speciale e nelle province autonome di Trento e Bolzano compatibilmente con i rispettivi statuti e con le relative norme di attuazione.

Sul testo elaborato dalla Commissione sono stati raccolti i pareri di tutte le Commissioni competenti in sede consultiva, oltre che del Comitato per la legislazione. Per quanto riguarda in particolare le Commissioni, i loro pareri sono stati tutti favorevoli, o favorevoli con qualche osservazione; hanno posto condizioni soltanto la Commissione attività produttive e la Commissione parlamentare per le questioni regionali. Riguardo a queste condizioni è stata già recepita una delle due condizioni della X Commissione, mentre il recepimento dell'altra è apparso non necessario, in quanto tendente a precisare un concetto già incluso nel testo. Rispetto invece alla condizione posta dalla Commissione parlamentare per le questioni regionali, tendente a provvedere all'acquisizione dell'intesa in sede di Conferenza unificata su tutti i decreti delegati, la Commissione svolgerà un approfondimento in sede di Comitato dei nove.

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo: prendo atto che si riserva di farlo successivamente. È iscritto a parlare l'onorevole Mollicone. Ne ha facoltà.

FEDERICO MOLLICONE (FDI). Onorevoli colleghi, signor Presidente, inizia oggi il suo iter in Assemblea il disegno di legge di riforma dello sport. Per una strana coincidenza, la riforma amministrativa del settore sportivo arriva nell'Aula di Montecitorio a poche ore dall'assegnazione dei Giochi olimpici invernali del 2026, quando il Comitato internazionale olimpico dovrà scegliere tra le uniche due candidature rimaste in corsa: quella svedese di Stoccolma-Åre e quella italiana di Milano-Cortina d'Ampezzo. Per l'Italia, le Olimpiadi del 2026 sarebbero le terze invernali organizzate, dopo le edizioni di Cortina nel 1956 e quella di Torino nel 2006, e le quarte contando anche quelle estive del 1960; per la Svezia sarebbero invece i primi Giochi invernali, dato che finora ha ospitato soltanto giochi estivi, nel 1912. Ci auguriamo pertanto che la riunione del CIO veda Milano come vincitrice, e facciamo gli auguri. Per quanto riguarda il contesto in cui nasce questa riforma, dobbiamo considerare che il teatro delle emozioni comunitarie inscenato dallo sport rappresenta occasioni di affari e di promozione sportiva di enormi proporzioni. La letteratura in merito è enorme, aumentano perfino i corsi di laurea in sport management, economia dello sport, sono ormai in ogni percorso magistrale che formano professionisti del settore dell'economia sportiva, e l'influenza sulla società è enorme. I grandi eventi sportivi sono un pilastro del nostro immaginario, tanto che il sociologo Andrei Markovits ha dedicato il suo ultimo libro, Gaming the world, proprio a questo; significativo è il titolo: come lo sport sta trasformando la cultura e la politica globale. Più o meno sulla stessa lunghezza d'onda l'esperto di marketing Michael Payne, con il suo Olympic Turnaround. Non si può non rilevare come il Governo abbia ottenuto una delega di portata molto significativa, per così dire, e su questo spendiamo qualche parola in più. Cioè, Fratelli d'Italia ha criticato questo sistema delle deleghe del Governo, perché di fatto è un'esautorazione del Parlamento. C'è la volontà da parte del Governo, con la scusa di accelerare i tempi, di fare dei disegni di legge da cui poi verranno generati dei decreti, e sappiamo che su questi il Parlamento avrà poco da fare, perché potrà più o meno esprimere pareri consultivi, mangiare pop corn e stare ad assistere a riforme complessive che vanno a cambiare radicalmente ambiti come quello sportivo. Tali circostanze, però, non possono sorprendere troppo, in quanto il programma governativo, appunto, aveva già manifestato le proprie intenzioni, inserendo nella legge di stabilità la volontà di mutare fortemente il ruolo e la struttura della CONI Servizi Srl mediante il potere di adottare uno o più decreti legislativi per il riordino del CONI e di tutte le discipline di settore, e di definire gli ambiti delle attività del Comitato olimpico e delle federazioni sportive alla luce delle attuali nuove funzioni della società Sport e salute. E anche qui un inciso: il CONI non è una persona o un nome di una società di qualcuno, il CONI è una prestigiosa istituzione nazionale, e nell'andare a ridisegnare una nuova struttura, almeno, per lo meno, quantomeno, si sarebbe dovuto riprendere il nome, perché è come se la Coca Cola decidesse di dismettere un brand conosciuto in tutto il mondo, dall'America alla zona dello swahili, e sostituisse il brand Coca Cola con “bevanda gassosa”. Ecco, questo è stato fatto, cioè è stato obliterato il termine CONI, che era conosciuto da più di un secolo in Italia e anche a livello internazionale, per sostituirlo con una dicitura che poteva tranquillamente essere aggiunta e chiamarsi magari “CONI Sport e salute”. Questo è importante, e la dice lunga sulla fretta con cui sia stata fatta questa riforma. Fratelli d'Italia già criticò il fatto che la parte centrale, cioè la sostituzione di questa società con il CONI Servizi venne fatta addirittura durante l'esame della legge di stabilità con un emendamento a un articolo, che non è una buona prassi parlamentare. Su questo diamo atto al relatore Belotti di aver saputo armonizzare - nonostante appunto la nostra posizione contraria a questo metodo - andando nel merito a verificare, a confrontarsi e ad accettare alcune delle proposte da parte di Fratelli d'Italia e dell'opposizione. Questo ovviamente ha fatto mutare il nostro atteggiamento, ma rimane tutta la critica a un provvedimento che nasce nella legge di bilancio e si forma in questo disegno di legge di delega in maniera assolutamente prescrittiva, perché genererà appunto una serie di decreti e questi poi non potranno essere modificati.

Questo processo di modifica della società Sport e salute è un processo consolidato anche nel vettore normativo dello “sblocca cantieri”, che ha reso Sport e salute una stazione appaltante: insomma, sostanzialmente è una Consip dello sport. Ci chiediamo poi perché nella legge di bilancio si sia voluto archiviare il logo CONI, come ho accennato prima, quando appunto sarebbe bastata una semplice rimodulazione delle competenze e dei flussi finanziari. L'impatto del provvedimento sarà totale, in una completa riorganizzazione del mondo sportivo, sia al livello apicale e dell'inquadramento civilistico delle singole federazioni sia sul piano della giustizia sportiva e della sicurezza negli stadi, nel quale il CONI, unico riferimento nel settore, rischia di perdere il suo ruolo di riferimento anche sul piano agonistico e normativo. Le patologie del sistema sportivo le conosciamo, le cronache ce le hanno consegnate, e andavano comunque sanate per intero, evitando il solito atteggiamento di argine mediante interventi non risolutivi in situazioni di crisi e di emergenza; e anche sulla responsabilità oggettiva ci sarebbe molto da dire. Le semplici modificazioni al “decreto Melandri” del 1999 non sarebbero bastate, come indicato nel disegno di legge, l'auspicio è ora l'emanazione di un testo unico - questa è la proposta che poi la collega Frassinetti illustrerà, presentata anche dal collega Butti -, un codice dello sport, che è necessario, piuttosto che procedere con l'accetta a cambiare radicalmente la struttura, l'architettura sportiva senza poi prevedere un riordino di tutte le norme del settore sportivo. Appunto, un testo unico che possa riformare la globalità del settore e far incontrare le richieste del mercato e dell'innovazione dando forma solida a una serie di diritti che sono tuttora in stato gassoso e non previsto. Alcune criticità nel percorso di esame in Commissione sono state risolte grazie e soprattutto - lo confermiamo - a un atteggiamento collaborativo del relatore, che ringraziamo, ma un grave limite del presente disegno di legge allo stato embrionale consisteva nel voler separare nettamente e in modo del tutto artificiale lo sport olimpico dal resto dell'attività sportiva. In realtà non è possibile separare l'attività sportiva da quella olimpica, dal momento che quella olimpica costituisce semplicemente il più elevato grado dell'attività sportiva, e senza una pianificazione ed un lavoro sull'attività sportiva nel suo complesso considerata, non è possibile avere i campioni olimpici.

Peraltro vi sono alcune discipline sportive che nel tempo possono essere riconosciute a livello olimpico ed altre che vengono disconosciute, per cui non è neppure possibile ricondurre il fenomeno olimpico all'interno di categorie stabili e sempre valide, perché c'è ovviamente una mutazione col mutare delle caratteristiche di quello sport.

Un nostro emendamento, che è stato accolto (ed io ringrazio il relatore), ha riequilibrato in parte l'aderenza del testo alle norme internazionali di diritto sportivo. La Carta olimpica del CIO prevede che ciascun Comitato olimpico debba autodeterminarsi nella sua struttura, garantendo il carattere della territorialità. Una delle lettere dell'articolo 1 specifica l'adesione del provvedimento alla legislazione internazionale sportiva, preservando quindi la correttezza del processo legislativo e la natura territoriale. Su questo, collega relatore e colleghi in Aula, bisogna compiere una riflessione: quando si è aperto questo confronto in Commissione, e anche sui giornali direi, si è andati un po' in maniera ideologica; quindi noi come Fratelli d'Italia, in maniera concreta e pragmatica, per dimostrare che non eravamo e non siamo preclusi in maniera pregiudiziale a questo approccio, abbiamo svolto un lavoro in Commissione, e grazie a tale lavoro è stato approvato questo emendamento nel testo. Ora, perché abbiamo presentato questo emendamento? Perché se a livello politico nazionale, e quindi con il punto di vista nazionale e con quelli che sono i confronti anche serrati, anche molto spesso ideologizzati e pregiudiziali, tra le parti in causa, non si riesce e non si riusciva a sbloccare, questo emendamento rimanda di fatto il confronto tra il Governo italiano, il CONI, gli uffici legali del CONI, e ovviamente il CIO; e vedrete magicamente che poi il Governo italiano dovrà rispettare la Carta olimpica. Per cui ci sarà un confronto legislativo, e il CIO dirà all'Italia: guardate che il vostro Comitato deve avere territorialità, come previsto dalla Carta olimpica, che è la Magna Charta dello sport internazionale. Probabilmente quindi in sede tecnica - è questo lo spirito dell'emendamento, a dimostrazione che non c'è pregiudizio - vedrete che ci verrà data ragione. Io ringrazio quindi, appunto, il relatore e la maggioranza per aver accettato questo emendamento, perché è un emendamento di buonsenso, che disinnesca la polemica in Italia e la sposta su un piano esclusivamente tecnico-legislativo sportivo internazionale; e noi siamo fiduciosi che questa possa essere poi la lettura corretta, quella che Fratelli d'Italia e che anche il CONI aveva fornito.

Un emendamento del collega Butti sull'obbligatorietà dell'educazione fisica è stato per un tecnicismo respinto; lo ripresenteremo in Aula, poi ne parlerà la collega Frassinetti, che è anche responsabile dell'istruzione, e quindi è giusto che approfondisca lei. Ma anche qui, riconosciamo comunque lo spirito di ascolto della maggioranza.

Ci auguriamo quindi, proprio per questo spirito di collaborazione che è nato poi in Commissione, legato anche all'attività del relatore, che annunciando il voto di astensione al provvedimento in esame, che la funzione, specialmente quella sociale del CONI, non venga intaccata, considerate inoltre le funzioni amministrative giudicanti. Ci chiediamo infine se questo Governo intenda seguire anche questa volta la teoria dello scambio: da una parte la Lega si occupa di sport, e se se ne occupa; dall'altra i grillini della riforma della cultura, e chiamarla riforma è sicuramente un eufemismo, perché in realtà - anche qui ci troveremo a scontrarci in Aula, e spero che i colleghi, anche di maggioranza, in particolare della Lega, prestino attenzione a questo aspetto - non può passare il principio che, siccome la Lega ha messo con un disegno di delega mano allo sport, i 5 Stelle, che hanno la titolarità della cultura, possano di fatto stravolgere la struttura amministrativa sostanziale del Ministero per i Beni e le attività culturali. Questo non può accadere! Perché vedete, sarebbe come se ogni volta si cambiassero le regole del gioco, e non contassero più i Governi e l'indirizzo di Governo; quello che sta accadendo con queste riforme - ne sono passate ben cinque nell'ultimo Consiglio dei ministri, e, guarda caso, tutte a titolarità dei 5 Stelle - rappresenta, come abbiamo denunciato, tra virgolette ovviamente, con un'iperbole che ci passerete, un colpo di Stato.

Perché, cari colleghi della Lega, quello che voi avete fatto forzando, ma in maniera legale, sullo sport, i vostri alleati, i 5 Stelle, lo stanno facendo in maniera non legale con delle eccezioni della funzione pubblica, che voi presiedete, e con le eccezioni poi sicuramente di costituzionalità, con la contrarietà dei sindacati, sostenendo la singolare tesi che in un Ministero il segretario generale, che sia alla cultura, che sia all'economia, abbia e avrà più poteri del Ministro! Per cui state consegnando la struttura del cosiddetto Stato profondo, del deep State, a degli oligarchi tecnici, non eletti da nessuno, nominati da questo Governo, che resisteranno ad ogni Governo, non rispettando gli indirizzi del popolo. E siccome voi siete una forza che sul popolo e grazie al popolo avete raggiunto anche nelle ultime europee un grandissimo consenso, come peraltro Fratelli d'Italia, in crescita, vi rivolgo un appello a prestare attenzione: non si può barattare l'architettura dello Stato, tra lo sport, la cultura, l'economia, come se fosse un accordo politico tattico da qui ai prossimi sei mesi. Queste riforme andranno ad incidere da qui ai prossimi anni, e noi consegniamo in mano a dirigenti apicali dello Stato - aggiungo strapagati, questi, sì, vera casta, strapagati e nominati - andiamo a delegare la gestione e addirittura le stazioni appaltanti fino a 150 mila euro - questo sta succedendo al Mibac - per la gestione del Ministero; per cui avranno anche facoltà di indirizzo e i Ministri saranno dei passacarte: andranno a tagliare nastri, andranno a presenziare alle manifestazioni sportive, ma non avranno più potere di indirizzo. Quindi, è un attacco, ed è un disegno che la parte gialla del Governo gialloverde sta portando avanti per svuotare la rappresentanza della politica.

Fate attenzione, perché su questo Fratelli d'Italia darà battaglia, e non vorremmo che la questione sport, targata Lega per essere molto, molto espliciti, sia merce di scambio per permettere ai grillini di gestire interi Ministeri, visto che il consenso elettorale comincia a scemare di avere, magari, quello delle direzioni apicali. Andate a leggere, colleghi della Lega, quelle riforme: voi avete usato l'accetta, lì c'è proprio la sega elettrica. Qualcuno nel chiuso di qualche stanza, qualche dirigente apicale, si è scritto la riforma; il Ministro Bonisoli non se ne è accorto, oppure gli hanno detto semplicemente: tu stai tranquillo, tanto farai altro tra poco; e queste riforme - cinque, compresa quella della cultura, che è competenza della nostra Commissione - sono passate dalla Presidenza del Consiglio dei ministri. Io spero ed auspico un ravvedimento operoso della Lega; abbiamo un rappresentante del Governo stimabile, come stimabile rappresentante con delega allo sport, Giorgetti, che è venuto anche in Commissione ad ascoltare le istanze dell'opposizione, e lo ringraziamo per questo. Colleghi della Lega, bloccate queste riforme, perché non è uno scambio politico fra temi e ambiti, ma è una riforma strutturale di apparati, che poi rimangono: i Governi passano e qualcuno pensa di poter essere passato dal Governo al potere, ma così non è, e non lo permetteremo (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Tuzi. Ne ha facoltà.

MANUEL TUZI (M5S). Presidente, colleghi, con questa riforma dello sport cambiamo radicalmente la visione dell'attività sportiva in Italia: passiamo con essa da uno sport orientato al business, nell'interesse dei comitati d'affari, ad uno sport che riporta al centro l'attività fisica, le regole, i valori educativi, la passione. Ridiamo dignità al mondo del lavoro sportivo, indipendentemente dall'essere professionisti o dilettanti; e questo non piacerà ad alcuni dirigenti, lo sappiamo, che hanno sottomesso lo sport italiano alle lobby, ma darà salute e valori alle nuove generazioni, specialmente a quei ragazzi, a quelli delle periferie, dove spesso sono nati i grandi campioni di oggi. Lo sport rappresenta un tassello importante nella vita sociale dell'individuo e nel benessere psicofisico dello stesso. Oggi introduciamo un nuovo concetto: lo sport come farmaco naturale.

L'Italia, infatti, nonostante una alimentazione di qualità, ha un grosso problema: oltre il 50 per cento dei nostri bambini dai tre ai cinque anni, dice l'Unicef, è sedentario e questa percentuale rimane alta fino al 20 per cento, che è un record negativo in Europa. Una regolare attività sportiva sappiamo essere la prima arma di prevenzione contro le malattie cardiovascolari, il diabete, l'ipertensione, la sindrome metabolica, tutte patologie legate alla sedentarietà e, affinché questa torni ad essere una funzione primaria dello sport, ovvero un'attività per tutti, beh, è necessario liberare lo sport dagli interessi miliardari in favore delle federazioni amiche, degli amici degli amici, che lo hanno rovinato negli ultimi decenni. Si parte da una riorganizzazione del CONI più efficiente, snella, in grado di rappresentare le istituzioni sportive sul territorio. Il CONI diventerà, al pari di tutti gli altri modelli internazionali, un organo di rappresentanza, di vigilanza e di cura dell'attività olimpica. Alle federazioni finalmente verranno garantite trasparenza, onestà, autonomia e certezza nella distribuzione delle risorse. Il nuovo ente Sport e salute non avrà solo le stesse funzioni di CONI servizi, ma promuoverà lo sport ovunque, tramite le federazioni, ma anche attraverso la scuola, che diventa il primo contatto con l'attività fisica.

Per combattere l'obesità e le malattie cardiovascolari dobbiamo incentivare una giusta e corretta alimentazione, fin dalla scuola ed è per questo che, con due miei emendamenti, sarà vietata la vendita, attraverso i distributori automatici, nelle scuole e nei centri sportivi e ovunque si faccia sport, di cibo spazzatura, ovvero cibo e bevande ricche di grassi e zuccheri che fanno tanto male anche ai nostri bambini. Realizziamo così un altro punto del nostro programma nella direzione di un'alimentazione sana ed equilibrata.

E per riportare lo sport ai suoi valori introduciamo oggi, finalmente, nella categoria dei lavoratori sportivi, anche i direttori di gara, che per anni sono stati dimenticati dalla politica, ma oggi sono al centro dei nostri progetti di riforma, professionisti o dilettanti, senza distinzione di genere e, grazie al MoVimento 5 Stelle, il mondo degli arbitri sta cambiando: dalle norme antiviolenza che prevedono pene più severe per chi li aggredisce fino al Daspo dalle manifestazioni sportive. Solo l'anno scorso abbiamo assistito ad oltre 400 episodi di violenza contro i direttori di gara: è qualcosa di inaudito, vergognoso; intimidazioni, minacce, aggressioni, violenze. Sembra un bollettino di guerra, invece è quanto accade agli arbitri tutte le domeniche mattina, quando si recano in campo, non sapendo se ne usciranno. Lo fanno per passione, ma non si può rischiare la vita per una partita di calcio: questo non è sport, è altro. Tutto questo ci fa schifo ed è il momento di dire: basta; è il momento di dare una giusta punizione a chi pensa che sia anche solo normale toccare un arbitro; è il momento di reprimere con decisione chi si macchia di episodi violenti nei confronti dei direttori di gara, con pene più severe, al pari di un pubblico ufficiale, perché questa gente non deve mettere più piede all'interno dello stadio, non deve neanche più avvicinarsi al mondo dello sport.

E se da una parte puniamo lo sport violento, contro i tifosi violenti, dall'altra parte premiamo i tifosi, quelli veri, che sono la maggioranza. Noi vogliamo meno imprenditori e più tifosi. Quante squadre si sarebbero salvate se ci fossero stati più tifosi a controllare l'operato delle società. Le società avranno l'obbligo di consultare i tifosi sulle questioni di loro interesse; da oggi i tifosi potranno alzare la mano al CdA e dire cosa non va nella società. Abbiamo così messo finalmente il tifoso al centro di tutto: non più un semplice spettatore, ma un attore fondamentale nelle decisioni della società.

Ecco, Presidente, in conclusione, finalmente lo sport in Italia ha una riforma degna del suo nome e, grazie all'impegno del MoVimento 5 Stelle e di questo Governo, andiamo a mettere le mani su temi e problemi che le altre forze politiche, che in passato hanno guidato il Paese, non hanno mai pensato nemmeno di sfiorare. Andiamo così a intervenire in un settore fondamentale per il benessere di questo Paese, che smuove centinaia di migliaia di atleti e professionisti, ma anche milioni di tifosi e appassionati, in questo Paese.

Se puliamo lo sport dal business, dai comitati d'affari, dagli interessi economici dei pochi, beh, resta il suo lato migliore, quello che fa sognare tutte le generazioni insieme, che trasmette sani valori e fa bene alla salute delle persone, e anche all'Italia (Applausi dei deputati dei gruppi MoVimento 5 Stelle e Lega-Salvini Premier).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Rossi. Ne ha facoltà.

ANDREA ROSSI (PD). Grazie, Presidente. Subito, in apertura, intanto mi sia consentito ringraziare il relatore Belotti e il presidente della Commissione, Gallo, perché in queste settimane, senza mai sottrarsi alle richieste di audizione, il confronto con i rappresentanti di diversi autori dello sport italiano ha consentito a noi commissari, dopo un anno di insediamento della legislatura, di poter acquisire conoscenze e informazioni su CONI, federazioni nazionali, discipline sportive associate, su enti di promozione sportiva, associazioni e diverse categorie sportive. Ed è proprio con queste audizioni che si è rafforzato in noi, forte, il pensiero di come il provvedimento in discussione oggi in Aula rappresenti un movimento non positivo per il sistema sportivo italiano. È un disegno di legge, questo, che assegna al Governo più di dieci potenziali deleghe legislative e, per farne capire l'importanza, le voglio citare tutte qui. La prima, delega per il riordino del Comitato olimpico nazionale italiano; la seconda, delega per il riordino della disciplina del limite dei mandati negli organi direttivi delle istituzioni sportive; la terza, l'istituzione dei centri sportivi scolastici; la quarta, l'introduzione della disciplina per il trasferimento del titolo sportivo; la quinta, delega per il coinvolgimento dei tifosi negli organi societari delle società sportive; la sesta, delega per la revisione della legge 23 marzo 1981, n. 91; la settima, delega per il riordino della disciplina della mutualità nel settore dello sport professionistico; l'ottava, delega per il riconoscimento del valore giuridico della laurea in scienze motorie; la nona, delega per il riordino delle disposizioni in materia di rapporti di rappresentanza degli atleti e delle società sportive; la decima, delega per il riordino e le riforme delle norme in materia di sicurezza e per la costruzione e la ristrutturazione e il ripristino degli stadi; l'undicesima, la delega per la semplificazione di adempimenti degli ordinamenti sportivi; la dodicesima, la delega per la revisione delle disposizioni in materia di sicurezza delle discipline sportive invernali.

Prima di entrare, quindi, nel merito di alcune valutazioni, puntuali, riferite a queste singole deleghe e ai singoli articoli, vorrei però portare all'attenzione di quest'Aula quelle che sono tre valutazioni di premessa sul provvedimento, quelle che definirei un po' alcune considerazioni preliminari di insieme per definire il quadro generale di questa legge delega.

Il primo: stiamo affrontando, oggi, una discussione in totale assenza di pianificazione delle politiche sportive; emerge con chiarezza come questo disegno di legge sia frutto di un grave errore di pianificazione proprio delle politiche sportive. Con esso, infatti, il Governo ha confessato di aver approvato, nell'ultima legge di bilancio, una riforma monca, che non soltanto avrebbe avuto bisogno di essere meditata meglio, ma che necessitava inderogabilmente di alcuni passaggi preliminari, anche sul piano normativo. Infatti, con la legge di bilancio 2019, con i commi 629 e seguenti, che sono stati già citati, è stata trasferita grossa parte delle risorse che annualmente alimentano il movimento sportivo italiano dalla CONI Servizi Spa, che è un ente controllato dal CONI, alla Sport e salute Spa che a sua volta, viceversa, viene messa sotto il controllo diretto del Governo. Con questa manovra sono stati attribuiti, infatti, appena 40 milioni di euro al CONI, al Comitato olimpico nazionale, per il finanziamento delle spese relative al proprio funzionamento e alle proprie attività istituzionali, nonché per la copertura degli oneri relativi alla preparazione olimpica e a supporto alla delegazione italiana. Alla Sport e salute Spa è stato assegnato, invece, un contributo annuo non inferiore a 378 milioni di euro, per lo svolgimento di tutte le funzioni diverse da quelle assegnate esplicitamente al CONI. Una scelta, quella di modificare l'assetto organizzativo dell'ordinamento sportivo nazionale italiano non concordata con le parti, di volontà governativa, che va a intaccare nel profondo l'opportunità primaria di riformare lo sport italiano. Questa scelta, vedete, non si basa su una profonda ristrutturazione promossa dagli attori principalmente e quotidianamente coinvolti nella gestione dello sport italiano, ma è una riforma che arriva appunto, come abbiamo ritenuto noi, nella legge di bilancio, calata dall'alto: un metodo non condivisibile se si tocca un settore come lo sport.

In pratica, la riforma sembra poggiare su una risistemazione dei rapporti tra CONI e Governo e la Sport e salute Spa in base alla quale al primo sarebbero state attribuite esclusivamente le funzioni di preparazione olimpica e di supporto alla delegazione italiana e al secondo sarebbe stata assegnata ogni altra funzione in materia di sport.

Mettendo, poi, nero su bianco che il Governo è delegato ad adottare uno o più decreti legislativi per il riordino del Comitato olimpico nazionale italiano e della disciplina di settore, definendo in particolare gli ambiti dell'attività del CONI, come delle Federazioni sportive nazionali e degli organismi sportivi, come da lettera d) dell'articolo 1 del disegno di legge, l'Esecutivo certifica, quindi, il proprio errore di prospettiva: prima di spogliare il CONI del 90 per cento - e dico: 90 per cento! - delle risorse che gli erano state fino a oggi attribuite, sarebbe stato non soltanto opportuno, ma addirittura doveroso delimitare gli ambiti di attività del CONI e delle Federazioni preoccupandosi, prima che delle risorse, delle competenze.

Poi, la seconda premessa. L'intero disegno di legge sembra affetto da quel “male incurabile” che ormai troppo spesso caratterizza l'attività normativa: l'eccesso di legislazione. Il Governo non ha fatto altro che selezionare gli unici ambiti tematici sui quali intende mettere mano e su di essi si sta limitando a domandare al Parlamento la concessione di una delega legislativa, senza mai preoccuparsi di verificare lo stato dell'arte.

Infatti, con questo disegno di legge il Governo sta chiedendo di essere delegato in molteplici ambiti nei quali non vi è alcuna necessità di nuove norme per il semplice fatto che le norme già ci sono. A volte, si tratta di norme che devono soltanto essere attuate, altre volte, è possibile che abbiano bisogno di alcune piccole sistemazioni, senza alcun bisogno di mettere in campo operazioni di riordino complessivo.

In particolare, in almeno quattro ipotesi non vi sarebbe alcun bisogno di delega: la prima, la materia della costruzione e della ristrutturazione di impianti sportivi, sulla quale si è intervenuti di recente, con il decreto-legge n. 50 del 2017; la seconda, la disciplina della rappresentanza delle società e degli atleti, sulla quale non soltanto si è intervenuti con la legge di bilancio 2018, ma di cui ci sono già pure i decreti attuativi; la terza, la disciplina della mutualità nello sport professionistico, già riformata nel 2017 e, l'ultima, infine, la disciplina del limite dei mandati negli organi di vertice delle istituzioni sportive, integralmente rivista con la legge n. 8 del 2018.

E, poi, c'è il terzo aspetto di queste premesse che riguarda le prerogative del ruolo che noi svolgiamo, come ricordava anche prima il collega Mollicone, in quest'Aula, ed è un po' l'atteggiamento che ha l'Esecutivo nei confronti di questo Parlamento, che vede un uso diffuso di deleghe in bianco, recanti criteri e principi confusi, che una volta approvate non potranno avere altro effetto che quello di consentire al Governo la sua massima libertà.

E quando in fase emendativa si è cercato, come abbiamo provato, di vincolare con parametri o indicazioni maggiormente stringenti le stesse deleghe, non abbiamo riscontrato, da parte dei nostri interlocutori di maggioranza, valutazioni positive.

Mi spiego meglio. Prima, si è parlato di fare in modo che ci fosse la certezza, rispetto alle federazioni, dei contributi sportivi, dei contributi del CONI, della Sport e Salute Spa, che ci fosse la trasparenza, che ci fosse, quindi, chiarezza su dei parametri oggettivi che potevano essere il numero degli atleti, dei tesserati, il numero di quello che è stato il medagliere nelle diverse discipline; abbiamo, quindi, cercato di vincolare, di fare in modo che ci fossero dei criteri per riconoscere quei contributi alle federazioni e non abbiamo ricevuto risposta positiva. Oppure, ad esempio, in queste settimane, tutti quanti siamo attratti dallo sport femminile, attraverso i mondiali di calcio, tutti quanti parliamo, giustamente, di pari opportunità e abbiamo provato a modificare la legge n. 91 del 1981 sul professionismo sportivo, appunto, cercando di ampliare a quello che era il settore dello sport femminile anche la normativa attualmente presente esclusivamente per i professionisti in ambito maschile, ma anche lì non abbiamo raccolto, da questa maggioranza, ovviamente, la volontà di entrare in una situazione, giustamente, di deleghe più stringenti.

Quindi, noi abbiamo cercato, in queste settimane, di portare una posizione che, come dicevo prima, prima di tutto, cercasse di salvaguardare quell'importante patrimonio che oggi è lo sport nel nostro Paese, un patrimonio che, come è stato ricordato, è fatto di tante persone che, soprattutto, lo fanno in modo volontario, un patrimonio di società, un patrimonio che rappresenta, per tante realtà del nostro territorio, anche la possibilità di uscire dall'emarginazione sociale, mettendo insieme la dimensione agonistica dello sport con la dimensione più educativa, più sociale, la dimensione più ricreativa.

Ecco, questo è stato un po' il nostro intento, l'intento di chi si è mosso in queste settimane nella discussione all'interno della Commissione, per quanto riguarda la discussione di questa legge delega.

E, allora, adesso, vorrei entrare sulla base di questo intento, su due o tre articoli che ritengo più importanti e che rappresentano un po', come dire, il cuore del provvedimento, a partire dall'articolo 1.

Con l'articolo 1, appunto, in quelle disposizioni che vanno dalla lettera a) alla lettera h), come dicevamo in precedenza nelle premesse, il Governo chiede una delega al Parlamento per essere delegato ad adottare uno o più decreti legislativi per il riordino del Comitato olimpico nazionale italiano. In particolare, oltre ad una serie di riferimenti generici al riordino della disciplina esistente, il Governo si propone di definire gli ambiti dell'attività del CONI, delle Federazioni sportive nazionali e degli organismi sportivi, nel tentativo di dare attuazione alla riforma realizzata nell'ultima legge di bilancio, come dicevamo appunto, col passaggio delle risorse da CONI Servizi Spa a Sport e Salute Spa.

Dagli otto criteri di delega sembra emergere la duplice idea, da parte del Governo, di uno svuotamento, da un lato, del CONI, che viene relegato, appunto, alla sola preparazione olimpica e di un vero e proprio annientamento delle sue articolazioni territoriali. Dal primo punto e, quindi, dallo svuotamento del CONI, non soltanto si limitano i poteri di controllo e di intervento nei confronti delle federazioni alle sole ipotesi di gravi violazioni e di rischio per il regolare svolgimento delle competizioni e di constatata impossibilità di funzionamento, ma si afferma pure la piena autonomia gestionale e contabile delle federazioni, investendo di conseguenza il collegio dei revisori della Sport e Salute Spa del controllo sulla regolarità contabile nell'uso delle risorse stesse.

La scelta, quindi, di relegare il CONI alla sola preparazione olimpica, a legislazione invariata, e parlo con riferimento a quello che è il decreto legislativo conosciuto con il nome dell'ex ministro Melandri, che è il n. 242 del 1999, rappresenta ovviamente, tra, appunto, l'idea di relegarlo alla sola preparazione olimpica e mantenere la situazione invariata, un'evidente contraddizione, perché, come si dice, viene limitata alla preparazione olimpica questa impostazione e contestualmente, in base al decreto citato, l'attività istituzionale del CONI, che è talmente ampia ed omnicomprensiva da racchiudere in sé ogni funzione e competenza legata all'attività sportiva nazionale. Anzi, come ha ricordato anche prima il collega Mollicone, mi spingerei oltre, ritenendo tale delega in contrasto con la Carta olimpica del CIO e con il ruolo che la stessa attribuisce a ogni comitato olimpico.

Nel secondo punto, dicevo, si limitano le funzioni delle articolazioni territoriali del CONI alle sole funzioni di rappresentanza istituzionale.

Chi ha svolto nella sua attività politica il ruolo di amministratore pubblico non può che ritenere inammissibile l'ottavo criterio di delega, con il quale si assiste a un vero e proprio attacco frontale alle articolazioni territoriali del CONI che svolgono un eccellente lavoro di raccordo tra l'organo centrale e gli enti locali, a partire innanzitutto dalle regioni, ma sono anche soggetti proattivi nella promozione di iniziative ed eventi a fini sportivi e sociali. Limitare l'attività dei CONI territoriali alla sola rappresentanza istituzionale finirebbe per distruggere questo enorme patrimonio di relazioni e collaborazioni, in nome di un centralismo antistorico.

Sempre nel primo articolo, si torna ad intervenire sulla disciplina del CONI, contenuta nell'articolo 1, lettera i), che è la delega per il riordino della disciplina del limite dei mandati negli organi direttivi delle istituzioni sportive. Il Governo in pratica chiede al Parlamento di essere delegato a provvedere al riordino della disciplina in materia di limiti di rinnovo dei mandati per quanto riguarda la legge 11 gennaio 2018, n. 8, nonostante, appunto, e ce lo ricorda la data, questa sia una recente deliberazione di quest'Aula che proprio con la legge n. 8 del 2018 ha fissato in tre il numero massimo dei mandati. Si tratta di una delega che noi riteniamo inutile; infatti, questa scelta è fortemente in armonia con la normativa CONI e con quella che è la maggior parte delle cariche direttive delle istituzioni dove appunto viene previsto il limite dei tre mandati.

Prendendo, quindi, di buono quanto è stato detto in Commissione dal sottosegretario Giorgetti - sul quale ovviamente il giudizio è quello di dire: non vogliamo rivedere il limite dei tre mandati, ma intervenire sulla dimensione territoriale, essendo a conoscenza che per alcune discipline, a livello territoriale, questa normativa diventa per numero di iscritti difficilmente applicabile - mi chiedo, però, perché non ci sia stata la volontà, da parte di questa maggioranza, di voler assumere l'emendamento che, appunto, introduceva all'interno della stessa delega la differenziazione tra le articolazioni a livello nazionale e le articolazioni a livello territoriale, consapevoli, come noi siamo, che alcune federazioni di alcune discipline possono riscontrare alcuni problemi per trovare il personale dirigente che possa assumere questa carica. Quindi, se ci fosse stata o se ci sarà da parte di questa maggioranza la volontà, in quest'Aula, di trovare un punto di sintesi, da parte nostra c'è tutta la disponibilità per dare attuazione a quello che, appunto, anche il sottosegretario Giorgetti aveva portato all'interno della sua audizione in Commissione.

Poi, c'è l'articolo 3. L'articolo 3 è quello che propone la disciplina del titolo sportivo e che anche qui non riusciamo a condividere per almeno due ragioni, nonostante, come dire, sia ben chiaro in noi il problema delle garanzie dei creditori su eventuali stati di insolvenza delle società sportive stesse. La prima è che questa norma è figlia di una mentalità dirigista e dell'idea che lo sport, anzi le società sportive siano patrimonio pubblico. Lo Stato deve proteggere lo sport, deve tutelare, deve lavorare per migliorarlo, ma non se ne deve impadronire. In un ordinamento che ha nella libertà di iniziativa economica dei privati uno dei suoi capisaldi fondamentali - e cito l'articolo 41 della Costituzione - lo Stato non può decidere quanto si possa far pagare un determinato bene o un altro: sarà l'autonomia negoziale a determinare il valore di un bene o di un servizio. Allo stesso modo, lo Stato non può, attraverso l'autorità giudiziaria, imporre alle società sportive un certo valore del marchio, perché quel marchio ha natura privata e se il proprietario se lo vuole vendere a uno, a due o a mille ovviamente è la Costituzione che gli garantisce di poterlo fare.

Ma al di là di queste considerazioni, ve n'è un'altra che probabilmente non è stata tenuta in debita considerazione. La determinazione del valore di un marchio da parte dell'autorità giudiziaria rischia di comportare l'incommerciabilità di fatto del marchio stesso. Se l'autorità giudiziaria, tenendo conto della storia di una società sportiva, determina un valore del marchio che è di fatto fuori dal mercato e insostenibile per qualsiasi operatore, quale sarà il risultato? Che nessuno acquisterà quel marchio. Con quale conseguenza? Che quel marchio, invece di risultare protetto da questa norma, finisce per esserne la vittima sacrificale.

Inoltre, la materia oggi è interamente regolamentata dall'ordinamento sportivo, come giustamente ricordava il relatore Belotti, ed è la prima volta che l'ordinamento delega al Governo una delega di tale argomento. Il principio del titolo sportivo non ha valore economico mentre qui si sta mettendo nero su bianco l'esatto contrario, con tutto quello che comporterebbe per le organizzazioni sportive sia a livello economico sia a livello di immagine e - credo - di valore, creando un mercato nuovo da cui poter attingere di stagione in stagione.

Sull'articolo 4 - quello che era l'articolo 3-bis - relativo a “Organi consultivi per la tutela degli interessi dei tifosi” invece posso dire che è insolito, seppure si comprende la ratio della norma apprezzata dai tanti tifosi delle diverse società presenti sul territorio e questa risulta essere una delega abbastanza singolare. Inoltre, non si capisce per quale ragione - e in tutti i vari processi di delega che noi abbiamo discusso in questo provvedimento ci sono diverse deleghe a maglie larghe - qui invece si entra con una delega molto stringente, perché noi, in pratica, abbiamo già introdotto con questo articolo 4 addirittura non solo il fatto della partecipazione dei tifosi in organi consultivi delle società delle società sportive ma oltretutto diciamo anche che devono essere non meno di tre e non più di cinque, diciamo che devono essere abbonati alla società sportiva, diciamo che devono rappresentare veramente i tifosi e i loro interessi all'interno degli organi societari e, oltretutto, diciamo anche che devono passare attraverso la votazione online. Ecco, siamo di fronte al fatto che abbiamo messo in campo deleghe a maglie larghe e qui, invece, introduciamo una delega, proprio sul tema della partecipazione dei tifosi alle attività all'interno di organi societari, con elementi fortemente stringenti.

Poi, vengo all'articolo 5, che concerne la delega a quella che è la tanto attesa riforma del professionismo sportivo. Al fondo di questa misura, in particolare, la riforma che il Governo immagina in materia di professioni sportive diciamo che si basa su tre capisaldi: il primo caposaldo è il superamento del binomio dilettantismo/professionismo; il secondo, è la costituzione della figura del lavoratore sportivo; il terzo, è la previsione che tutti i lavoratori sportivi debbano godere di una copertura non soltanto assicurativa ma anche previdenziale.

Si tratta - quella che ci viene proposta oggi - di una soluzione tecnicamente complessa che impone un pesantissimo lavoro di revisione di tutte quelle disposizioni, in particolare di natura tributaria, che hanno come presupposto proprio la natura dilettantistica della prestazione. Si dovrebbe, cioè, riscriverle tutte, abbandonando il paradigma rappresentato dalla dicotomia tra dilettantismo e professionismo, generando così un gravissimo effetto spiazzamento per gli operatori del settore.

È del tutto evidente che nessuno può essere contrario all'ampliamento delle garanzie in favore dei lavoratori dello sport e, in particolare, di quei lavoratori dello sport di base dove più facilmente si annidano illegalità e assenza di garanzie specialmente per i giovani. È, però, la prospettiva di fondo della riforma che dal nostro punto di vista non può essere condivisa. Quello dello sport amatoriale-dilettantistico è un settore composito nel quale convivono anime molto diverse tra loro: vi operano soggetti che prestano la loro attività in favore delle associazioni e delle società sportive come attività principale, è vero, ma vi operano pure un'enorme quantità di persone che lo fanno come attività di volontariato e come “passatempo” con piccoli rimborsi spesa. E anzi questa seconda componente in certi settori è molto ma molto più ampia della prima. Diciamo che - come dicevo prima - rappresenta un po' quel valore sociale dello sport nel nostro territorio.

Si può dire, quindi, che in certi settori lo sport amatoriale si basa proprio, in virtù di queste esperienze, sull'attività di volontariato. È questa la ragione per la quale da tempo il nostro ordinamento riconosce la specificità dello sport e consente che a questi soggetti, che operano giocoforza senza copertura previdenziale, possa essere riconosciuto da parte delle società sportive un rimborso spese esentasse.

Ora, è interesse di tutti quello di combattere l'illegalità ed evitare che di quelle norme si approfitti chi, in realtà, sta utilizzando forza lavoro. Chi lavora, ci mancherebbe, nello sport, come in qualsiasi altro settore, deve pagare l'imposta sul reddito e ha diritto alla copertura previdenziale oltre che assicurativa. Ma neppure si può pensare che per eliminare quella stortura che si è venuta creando nel corso degli ultimi anni, e cioè, come detto, il ricorso ai rimborsi spese esentasse per la remunerazione dei soggetti che lavorano a pieno titolo, si possa fare di tutta l'erba un fascio e dire che tutti coloro che operano nel mondo dello sport dilettantistico lo fanno in qualità di lavoratori dello sport.

E poi in questo articolo sul professionismo c'è anche una delega, invece, per il riconoscimento giuridico della laurea in scienze motorie. Con questa misura in pratica il Governo chiede di essere delegato ad approvare delle disposizioni finalizzate al riconoscimento giuridico della figura del laureato in scienze motorie, senza alcuna ulteriore precisazione. E io mi chiedo: ma cosa vuol dire il riconoscimento giuridico? Io penso che più che riconoscimento giuridico in quest'Aula dovremmo iniziare a costruire le condizioni affinché si possano dare risposte concrete ai tanti laureati in scienze motorie, risposte concrete soprattutto che abbiano un fine occupazionale.

Noi avevamo cercato di mettere in campo, anche in quest'ultima legislatura, quattro provvedimenti significativi che andavano in quella direzione. L'ultimo, in questa legislatura appunto, è stato la delega al Governo, delega appena approvata da quest'Aula, in materia di insegnamento curriculare dell'educazione motoria nella scuola primaria, riservando, appunto, l'insegnamento dell'educazione motoria nella scuola primaria, a seguito di superamento di specifiche procedure concorsuali abilitanti, a soggetti in possesso del titolo di laureato in scienze motorie ed equipollenti, confidando, quindi, che proprio su questa delega vengano quanto prima destinati i 10 milioni di euro che la sperimentazione dell'insegnamento dell'educazione motoria nelle scuole comportava.

Nella passata legislatura, invece, si era innalzata la no tax area degli sportivi dilettanti - quella che è la “soglia Pescante” - da 7 mila 500 euro a 10 mila euro (gli istruttori di palestra, così come gli allenatori delle squadre dilettanti sono in larga parte inquadrati come collaboratori occasionali e, quindi, beneficiano di questa misura).

La terza possibilità, sempre nella precedente legislatura, era costituita dal fatto che si è riservata una quota pari al 5 per cento dell'organico del potenziamento per l'educazione motoria nelle scuole primarie, consentendo, per la prima volta in Italia, l'inserimento degli insegnanti di educazione motoria nell'organico delle scuole primarie e riconoscendo un valore senza precedenti alla laurea in scienze motorie, che è diventata così il percorso di studi istituzionalmente riconosciuto e preordinato a questo tipo di carriera.

Nel quarto, che poi è stato cancellato dal primo decreto fatto da quest'Aula che è il “decreto dignità”, si era previsto l'obbligo per le società sportive dilettantistiche lucrative di assumere laureati in scienze motorie nel ruolo di responsabile dell'area sportiva delle palestre. Ecco, appunto come dicevamo, mettere in campo non tanto il riconoscimento giuridico ma mettere in campo delle proposte concrete per dare una risposta a un'importante quantità di persone che si trovano, in questo momento, un titolo di studio che necessita di trovare ovviamente, come dicevamo prima, sbocchi professionali.

E, poi, c'è l'articolo 6. In questo caso noi la reputiamo una delega completamente inutile e non può certo sfuggire al Governo che c'è stata una riforma degli agenti sportivi fatta esattamente nel 2018. Cosa si può fare ancora oggi? C'è da riordinare? C'è da fare il codice etico degli agenti? C'è la questione della trasparenza della transazione tra agenti, società e sportivi per quanto riguarda le transazioni finanziarie? Bisogna derogare il registro degli agenti professionali, introdotto proprio dopo un processo di liberalizzazione? Oltretutto, come dire, anche su questo argomento del registro ricordiamo che si è appena conclusa la tornata di abilitazioni per l'esercizio della professione. Ecco, se ci fosse veramente da mettere in campo un processo di riordino, ci sarebbe una possibilità molto semplice per questo Governo, che è quella, appunto, di fare in modo che si possa correggere quanto è stato fatto. Questo lo può fare senza chiedere una delega a questo Parlamento: lo fa attraverso quelli che possono essere interventi mirati, lo può fare attraverso una legge ordinaria e, soprattutto, lo dovrebbe fare qui coinvolgendo quelli che sono gli attori principali, quali i rappresentanti degli agenti, le associazioni degli atleti e le società sportive.

E, infine, l'ultimo punto sul quale ovviamente mi soffermo in conclusione di questo primo intervento in discussione sulle linee generali: l'articolo 7, che è la delega per il riordino e la riforma delle norme in materia di sicurezza e per la costruzione, la ristrutturazione e il ripristino degli stadi. Il Governo chiede a questo Parlamento di farsi delegare all'adozione di uno o più decreti legislativi “per il riordino e la riforma delle norme di sicurezza per la costruzione e l'esercizio degli impianti sportivi, nonché della disciplina relativa alla costruzione di nuovi impianti sportivi, alla ristrutturazione e al ripristino di quelli già esistenti”. In particolare, come ci ricordava anche prima Belotti, l'obiettivo principale di questa delega è quello di semplificare e accelerare le procedure amministrative, nonché la riduzione dei termini procedurali.

Anche qui, l'ho ricordato nelle premesse, vorrei far presente che in questo momento c'è una disciplina esistente: una prima volta è intervenuto il comma 304 della legge 27 dicembre 2013, n. 147, la cosiddetta legge Nardella, e la seconda volta l'articolo 62 del decreto-legge n. 50 del 2017, o meglio la cosiddetta legge Lotti.

Con queste due leggi noi siamo convinti che sia stato fatto tanto in questo Paese in termini di semplificazione e accelerazione delle procedure, almeno entro i limiti consentiti dal diritto dell'Unione europea e dal codice degli appalti. Pertanto, sarebbe opportuno che il Governo indicasse le modalità attraverso le quali intende realizzare questi obiettivi, perché, altrimenti, siamo ancora all'ennesima delega inutile, che può forse essere buona per motivi di propaganda elettorale, ma che non avrà certo la capacità di incentivare l'ammodernamento del patrimonio impiantistico sportivo del nostro Paese.

Su questo tema, però, occorre sgombrare il campo da un luogo comune: non è vero che in Italia gli stadi e gli impianti sportivi non si fanno per colpa della lentezza delle procedure amministrative. In questo Paese, purtroppo, gli stadi non si fanno innanzitutto per mancanza di risorse; quindi, quello che si può fare, e su questo siamo d'accordo, è mettere a punto politiche fiscali che incentivino i privati a investire nell'impiantistica sportiva, come peraltro si era cominciato già a fare, anche qui, nella scorsa legislatura con lo sport bonus, fortemente voluto dal Ministro Lotti.

Chiedo scusa, quindi, se quest'ultima parte del mio intervento sia risultata molto di dettaglio tecnico - avremo modo, poi, di portare valutazioni più politiche, a partire dalle prossime sedute di Aula durante il dibattito che si svolgerà in questi giorni - ma ho voluto sottolineare alcuni punti su cui abbiamo cercato di introdurre emendamenti e proposte per compiere un lavoro in Commissione più stringente delle deleghe in bianco che, in certi casi, con questo disegno di legge, stiamo dando al Governo. Noi non siamo contrari a un processo riformatore, così come siamo consapevoli di alcuni limiti che interessano questo importante mondo; proprio per questo abbiamo sempre cercato di portare all'attenzione del Governo, nei pochi momenti di confronto, come un settore come quello dello sport avrebbe necessitato di più tempo, di più partecipazione, di più concertazione e, sicuramente, di più condivisione, partendo, a nostro avviso, dalla volontà, sottolineata anche dalle altre forze politiche, di promuovere e realizzare da questo Parlamento una nuova legge quadro sullo sport che sia più rispondente ai bisogni degli attori in campo.

Chiudo, Presidente, con una speranza: tra poche ore avremo la possibilità - anche qui lo ricordava chi mi ha preceduto - di riprenderci una rivincita assolutamente sportiva con la Svezia, soprattutto dopo l'eliminazione ai Mondiali 2018. Ecco, vorrei con tutto il cuore, seppur nelle diversità di giudizio e di pensiero su questa legge che abbiamo noi dall'opposizione e chi oggi sta in maggioranza, poter festeggiare insieme a breve quella che sarà l'assegnazione a Milano-Cortina 2026 dell'Olimpiade invernale, perché sarà non tanto una vittoria di parte in questo caso, ma sarà una vittoria del sistema Paese, che, quando si mette in campo e gioca con la stessa maglia, può ottenere e speriamo riesca a ottenere vittorie e risultati importanti (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Furgiuele. Ne ha facoltà.

DOMENICO FURGIUELE (LEGA). Presidente, onorevoli colleghi, il testo della proposta di legge in esame prevede più deleghe al Governo sui seguenti argomenti: l'ordinamento sportivo, le professioni sportive e alcune norme per la semplificazione e la sicurezza in materia di sport. Su questi ambiti il Governo viene delegato a definire un sistema di norme che tenga conto dei principi che il Parlamento si appresta a deliberare. Riguardo al primo aspetto, nell'ordinamento sportivo il Governo dovrà predisporre norme per il riordino del Comitato olimpico nazionale Italiano.

È apparso opportuno delimitare il perimetro di attività del CONI e delle sue articolazioni territoriali, riservando al Comitato la competenza sulle attività olimpiche e di alto livello, con l'obiettivo di rendere effettiva la piena autonomia gestionale e contabile delle federazioni sportive nazionali, degli enti di promozione sportiva e delle discipline sportive associate rispetto al CONI. Viene inoltre previsto di assegnare a quest'ultimo poteri di controllo e di intervento nei confronti delle federazioni e degli altri enti solo in caso di accertate gravi irregolarità nella gestione e di rivedere i limiti, le incompatibilità e le modalità di svolgimento dei mandati degli organi del CONI e delle federazioni. Tra le modifiche principali apportate dalla Commissione si segnala la possibilità di adottare un testo unico recante disposizioni in materia di sport, aspetto importante, data la frammentazione della materia e la molteplicità dei soggetti coinvolti, la volontà di accrescere la partecipazione e la rappresentanza delle donne nello sport.

Del resto, la partecipazione degli italiani alla splendida avventura delle azzurre al Mondiale di calcio di Francia è un segnale che impone di andare in tale direzione. Un'altra interessante novità è l'apertura a forme di azionariato popolare per le società professionistiche e la previsione dell'inserimento negli statuti delle società professionistiche di un organo consultivo composto da eletti fra gli abbonati. Questo è un tema molto delicato e la proposta emendativa nasce dall'esperienza dei numerosi fallimenti di società sportive imputabili a disastrose gestioni, e perciò si intende realizzare un controllo dal basso, attribuendo un ruolo di controllo ai tifosi, il cui parere resta comunque non vincolante per le società.

Un tale coinvolgimento non può che avere ricadute positive anche in termini di una loro responsabilizzazione, tenuto conto, peraltro, che i tifosi possono essere assimilabili agli azionisti di una società che, con i loro abbonamenti, sostengono finanziariamente le squadre. L'istituzionalizzazione delle tifoserie, dunque, delle curve, delle gradinate, potrebbe costituire anche un argine alle infiltrazioni criminali, promuovendo un cambiamento di mentalità nell'ambito calcistico proprio in considerazione della difficile realtà italiana. Il coinvolgimento dal basso delle comunità locali che seguono da vicino gli eventi sportivi può costituire un primo passo in direzione proprio di quel cambiamento che vuole tenere la criminalità organizzata lontana dal mondo dello sport.

Le stesse società avrebbero probabilmente una gestione più attenta se i bilanci venissero controllati anche dai fruitori degli spettacoli sportivi. Chi decide di investire nel mondo del calcio professionistico sa che non sta acquistando una semplice impresa, ma un microcosmo fatto di cultura, fatto di comunità, fatto di storia, che è parte rilevante dello spettacolo. La seconda delega riguarda la riforma e il riordino delle disposizioni in materia di enti sportivi professionistici e dilettantistici, l'individuazione delle figure di lavoratori sportivi e la relativa disciplina in materia di tutela assicurativa, fiscale e previdenziale. Particolarmente importante è il riconoscimento giuridico della figura del laureato in scienze motorie e dei soggetti forniti di titolo equipollente.

Ma c'è una novità che ritengo sia degna di attenzione e di confronto istituzionale: in tema di contrasto alle attività della criminalità organizzata è stato approvato in Commissione un emendamento a mia firma che prevede che nell'ambito delle deleghe vengano poste limitazioni e vincoli, ivi compresa la possibilità di disporre il divieto delle scommesse sulle partite di calcio delle società che militano nel campionato della Lega nazionale dilettanti. Questo è un emendamento nato dalla consapevolezza che la Lega nazionale dilettanti negli ultimi anni ha subito pesanti aggressioni da parte della criminalità organizzata, quando non vere e proprie infiltrazioni, utilizzando come metodo di approccio proprio le scommesse nel calcio.

È un campionato delicato quello minore, soprattutto verso determinate latitudini, che abbraccia contesti sociali e ambientali talvolta difficili, e per questo esposti a rischi enormi sotto il profilo del condizionamento del gioco, e quindi dei risultati. Sono persuaso che l'attuazione di queste deleghe costituirà un cambio di passo rispetto all'organizzazione dello sport in Italia. Soprattutto per quanto attiene al CONI, a breve si renderà necessaria una modifica alla legge Melandri, alla luce del fatto che il CONI non dovrà avere più le molteplicità di compiti affidatigli fino ad oggi, ma, secondo l'idea alla base della delega, il CONI dovrebbe principalmente avere il compito di occuparsi della preparazione olimpica, mentre tutto il resto, compresi i contributi da dare alle federazioni e la promozione della pratica sportiva, passerebbe attraverso la società Sport e Salute Spa.

Riteniamo che sia giunta l'ora di un'inversione di tendenza anche nel mondo dello sport. Le enormi quantità di denaro che girano intorno al mondo sportivo, soprattutto al mondo del calcio, non sempre vengono gestite con trasparenza e non sempre arrivano alle federazioni di base.

Sarebbe giusto che questi soldi, più che per pagare super stipendi alla dirigenza, arrivassero per sostenere lo sport più popolare, i vivai, le piccole società sportive di periferia, che costituiscono una necessaria risorsa soprattutto nell'azione di contrasto alla criminalità giovanile e minorile. In tale ottica, riteniamo ugualmente importante la norma che dispone che le scuole in ogni ordine e grado possano costituire un centro sportivo scolastico, secondo le modalità e nelle forme previste dal codice del Terzo settore, di cui al decreto legislativo n. 117 del 2017.

Infine, l'articolo 14 contiene una delega per la riforma delle norme di sicurezza per la costruzione, l'esercizio degli impianti sportivi e il ripristino di quelli già esistenti, nonché uno o più decreti legislativi in materia di sicurezza: nelle discipline sportive invernali, nello specifico durante gli allenamenti di sci e di snowboard, tutti coloro che frequentano tali aree devono essere muniti di casco protettivo omologato. In conclusione, il presente testo, quando sarà approvato, diventerà la spina dorsale di un nuovo sistema di intendere lo sport, libero da condizionamenti di potere, e le cui risorse verranno utilmente impiegate essenzialmente per attrarre e far crescere lo sport giovanile (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Frassinetti. Ne ha facoltà.

PAOLA FRASSINETTI (FDI). Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, questo intervento legislativo sullo sport - è stato già detto anche da chi mi ha preceduto, dal collega Mollicone - è una vera e propria riforma dell'ordinamento sportivo, quindi Fratelli d'Italia - come abbiamo già ampiamente dichiarato anche in Commissione - ritiene lo strumento, la forma della delega al Governo, eccessiva nella fattispecie. Abbiamo una vera e propria riforma, composta di quattordici articoli, con una delega molto significativa. Certo, questo era prevedibile già dal momento che le intenzioni erano state palesate nell'ultima legge di bilancio. La volontà però di mutare fortemente il ruolo e la struttura del CONI Servizi Srl, con la conseguenza di dover assistere ad una totale riorganizzazione del mondo dello sport, è forse il punto centrale di questo provvedimento e di questa riforma.

Mi soffermerò su alcuni aspetti, a mio avviso più significativi, e inizio proprio dall'articolo 2, da questi centri sportivi scolastici, centri previsti dalle linee-guida per le attività di educazione fisica, motoria e sportiva della scuola secondaria di primo e secondo grado. La loro attivazione e il loro potenzialmente sarebbero necessari per la crescita dei giovani studenti, ma i problemi che permangono sono molti, spesso legati alla disponibilità di risorse e, allo stesso tempo, anche a problemi di applicazione. Purtroppo, nella realtà è difficile organizzare spesso delle gare e delle competizioni sportive in questi centri scolastici, proprio per la mancanza di fondi da erogare ai docenti preposti.

Fratelli d'Italia ha chiesto, con un emendamento del collega Butti, proprio un emendamento all'articolo 2 della proposta di legge-delega, che venga con forza ristabilito, nell'ambito delle istituzioni scolastiche e in quelli che la proposta di legge delega chiama “centri sportivi”, il ruolo dell'educatore fisico, che noi abbiamo chiamato del benessere fisico, perché oggi assumerebbe un ruolo centrale anche sulla salute, non solo alimentare, dei ragazzi. L'educatore fisico dovrebbe provenire dai corsi di laurea di scienze motorie, che vanno tuttavia rafforzati sotto il profilo della managerialità, della professionalità e della determinazione delle figure sportive, che possono e devono avere ogni possibilità per accedere al mondo del lavoro. Ringrazio il relatore Bellotti, per la disponibilità che ha sempre dato in Commissione a noi commissari per portare avanti emendamenti e discussioni su questo provvedimento, ma Fratelli d'Italia ha apprezzato la modifica, l'innovazione relativamente all'istituzione di un organo consultivo in seno alle società di calcio, dove saranno rappresentati anche i tifosi. Questo è un modo per convogliare i tifosi, quelli responsabili, allontanandoli dalla criminalizzazione e inserendoli invece in un organo, che provvederà alla tutela degli interessi specifici delle tifoserie, oltre a permettere di esprimere pareri su questioni inerenti i bilanci. Verranno individuate forme di azionariato popolare per le società professionistiche, con l'obiettivo di sviluppare questa forma societaria in Italia, così come avviene in tanti Paesi europei, in Spagna in primis, e la società Barcellona lo dimostra concretamente; poi non domandiamoci come mai la differenza tra le società spagnole, le società estere in generale, e quelle italiane abbia un distacco sempre maggiore. Quindi, una sinergia virtuosa tra tifosi e società deve essere intensificata e vanno messi in campo modelli innovativi, con gli esempi che ho appena citato.

Ora concentrerò la mia attenzione sul problema centrale, a nostro avviso, del professionismo, anche perché da giorni si sta parlando di introdurre il professionismo nel calcio femminile, che tanto sta facendo onore al movimento calcistico nazionale e allo sport in generale. Ben vengano queste manifestazioni di interesse per lo sport. Da più parti si vuole, a tutti i costi, inserire il calcio femminile nel professionismo, anche se questo non rappresenta il vero riconoscimento, ma soprattutto un riconoscimento economico. Ci si chiede, banalmente: perché le ragazze del volley, che l'anno scorso hanno entusiasmato l'Italia intera, arrivando per seconde al Mondiale, non meriterebbero lo stesso riconoscimento? Certo che lo meriterebbero, come tutte le atlete e gli atleti che vivono lo sport e attraverso lo sport percepiscono un reddito a volte sufficiente per il proprio fabbisogno e per la propria famiglia.

Ci si domanda ancora perché le atlete del volley non sono ancora diventate professioniste, visto che da tantissimi anni sono al massimo livello mondiale. La risposta è semplice ed il motivo è proprio un perno della seguente discussione: perché la Federazione del volley ha deciso a suo tempo che sia la massima serie maschile, sia quella femminile, non dovevano avere competizioni professionistiche, in quanto non conveniva alle società sportive stesse; troppi costi per le professioniste: andrebbero pagati i contributi previdenziali, le società sportive si preoccupano di come pagare gli ingaggi ai giocatori, di centinaia di migliaia di euro.

Questo sistema non può reggere, dice una sorta di risposta molto semplice ogni volta che si tocca questo argomento. Ecco, allora, che al riguardo è intervenuto il presidente della FIGC, Gabriele Gravina, che, in un'intervista recente, sostiene: “Abbiamo suggerito al Governo una proposta che consentirebbe alle società di calcio femminili, così come, per il primo livello, la serie “C”, del professionismo maschile, di attutire l'impatto dei costi del professionismo, beneficiando di un credito d'imposta da reinvestire nel settore giovanile e nelle infrastrutture”. Dunque, per sopportare il costo del beneficio, ci vorrebbero degli sgravi fiscali, ma se quindi le cose stanno in questo modo, qui non c'è una questione di riconoscimento e dignità delle persone, ma ci pare che la questione abbia solamente un significato economico.

E, allora, cosa si dovrebbe dire del basket professionistico, della serie “C” del calcio? Le donne del basket che fine farebbero? E vogliamo parlare del nuoto, della scherma, dello sci e di tante altre discipline sportive?

Noi sosteniamo che non si debba parlare solo di sgravi fiscali, ma che sia necessario uscire dalle ipocrisie di fondo, che da sempre si insinuano nel mondo sportivo, ed incidere profondamente nel sistema, una volta per tutte.

L'articolo 4 - è stato già detto - è il fulcro della riforma che il Governo vuole portare avanti, un articolo che, per intenderci, definisce una volta per tutte i rapporti di lavoro sportivo tra lavoratori e lavoratrici, da una parte, e - lasciatemi usare queste espressioni - le imprese sportive dall'altra, siano essi dilettanti, professionisti o semiprofessionisti.

Penso che in Italia, nel sistema, ci siano i corpi militari, che molte volte danno la possibilità di avere, per gli atleti, uno stipendio, una tredicesima e la maternità, quindi questa è una contraddizione che dovremmo sicuramente superare. L'emendamento del mio collega Butti, che è stato presentato in Commissione e verrà ripresentato in Aula, mirava proprio a questo: a stabilire limiti, criteri e soglie di natura economica, legate ai redditi dei lavoratori sportivi, che individuino in modo certo, obiettivo e coerente la natura professionistica e dilettantistica del lavoro sportivo. Una volta determinata la soglia, è facile individuare chi è il vero dilettante, che può essere rimborsato dalle sole spese sostenute, chi è il vero professionista, che è colui che mantiene sé e la sua famiglia senza alcun aiuto, e chi sta, invece, nel mezzo, tutti quei lavoratori sportivi, che guadagnano anche grazie allo sport, ma hanno bisogno di essere sostenuti dalle proprie aziende sportive, come fanno, in un paradosso tutto italiano, i corpi militari. È l'apertura ad un semiprofessionismo che esiste nella sostanza dei fatti, e allora ben vengano i crediti d'imposta evocati dal presidente Gravina, o altre agevolazioni, ma mettiamo una volta per tutte la parola “fine” a questa ipocrisia.

Fratelli d'Italia nell'emendamento Butti, che sopra ho ricordato, aveva evidenziato anche la necessità di individuare le aziende sportive sulla base del proprio fatturato: società come quelle della pallavolo, dei massimi campionati, maschili o femminili, o del basket di A2, del rugby, della pallanuoto superano abbondantemente il fatturato di un milione di euro, sono imprese vere e proprie, non semplici ONLUS.

In realtà, sono semplicemente società dilettantistiche, solo perché così avrebbe deciso il presidente della federazione. Questa è un'altra ipocrisia che va superata. Queste aziende sono, invece, a tutti gli effetti vere e proprie società professionistiche e, come tali, devono fornire ai propri lavoratori sportivi le stesse tutele degli atleti professionisti. In questo ambito va ricordato al Governo che non esistono solo gli atleti, ma altre figure che sono state definite nella proposta di legge delega come collaboratori di carattere amministrativo-gestionale di natura non professionale. Se in questa definizione ci sono anche i preparatori atletici, i massaggiatori, i segretari amministrativi, i medici, nulla quaestio; non ci sono sicuramente quelle figure di lavoratori negli ambiti degli e-sport, in quanto li e-sport non costituiscono una disciplina sportiva; dovrebbero esserlo, ma, intanto, cominciamo, come richiesto da Fratelli d'Italia nel suo emendamento, a dare loro un rapporto di lavoro ben individuato, seguendo l'unica legislazione esistente all'interno dell'Unione europea, che è quella francese.

Quindi, qualcuno sostiene che manchino risorse: cominciamo a distribuirle in modo equo, ad iniziare da quelle relative ai diritti televisivi del calcio di serie A, che cannibalizza tutte le finestre espositive delle altre competizioni calcistiche e delle altre discipline sportive. L'emendamento proposto da Fratelli d'Italia, che viene oggi trasformato in un ordine del giorno, prevede che la mutualità vada distribuita, con una percentuale più elevata rispetto a quella oggi risibile, non solo alle competenti calcistiche, ma anche al basket, all'Autorità nazionale anticorruzione per svolgere un lavoro di prevenzione e formazione nei confronti delle scommesse clandestine e al fondo anti-ludopatia per contrastare gli effetti negativi del gioco e delle scommesse.

Passiamo adesso all'articolo 14, che tratta il problema della sicurezza nelle discipline invernali. Io penso che sia molto importante: da sciatrice quale sono, capisco che, in particolare, ormai, ci siano dei problemi nuovi dovuti alla velocità delle piste e anche al cambiamento dell'attrezzatura che fa – sembrerebbe - sembrare facile il nuovo modo di sciare; ma così non è, perché, spesso e volentieri, sciatori principianti si avventurano su piste molto pericolose, determinando incidenti e, soprattutto, scontri e investimenti. La velocità è aumentata molto e, quindi, bisogna avere delle regole precise: non basta, purtroppo, estendere l'obbligo del casco a tutti per contrastare gli incidenti. Il problema è che i controlli sulle piste sono carenti ed è pressoché impossibile individuare chi non si attiene alle regole, che, peraltro, sono poco conosciute. Gli scontri e gli investimenti sono sempre più frequenti e l'apparato sanzionatorio non è adeguato; sarebbe necessaria una maggiore vigilanza, aumentando il numero del personale di sicurezza preposto al controllo, oltre all'installazione di telecamere per sorvegliare il comportamento degli sciatori.

Esprimo, comunque, soddisfazione, e ringrazio il relatore, per l'accoglimento del mio emendamento, con il quale sono state istituite le piazzole di sosta nelle piste dove ciò sarà possibile: sono piccole aree che servono agli sciatori a fermarsi, in questo modo riducendo sempre di più il numero di persone ferme ai bordi delle piste. Da un'indagine percentuale, infatti, è stato dimostrato che sono proprio queste persone ferme ai margini delle piste ad essere maggiormente vittime di incidenti e di investimenti. Poi esiste il problema delle aree attrezzate riservate agli snowboard e del controllo per evitare che vengono effettuati fuori pista. Ogni anno succedono tragedie, valanghe, molte volte causate da chi si avventura fuori pista, provocando questi smottamenti di neve, costringendo poi il personale di soccorso a rischiare anche la vita per andare a porre in salvo queste persone.

In conclusione, ribadisco che questo provvedimento, nonostante contenga anche principi giusti e condivisibili, considerata la complessità della materia e l'importanza della riforma, non doveva essere trattato come un disegno di legge delega e poteva essere migliorato con emendamenti di buonsenso, che Fratelli d'Italia ha presentato in Commissione e che non sono stati considerati. La strada è ancora lunga e contiamo molto sulla ragionevolezza e sul dibattito che si svilupperà in quest'Aula. Per concludere, è evidente che, come milanese, il mio pensiero ora va a Losanna dove, proprio in questi minuti, si sta decidendo la sorte delle prossime Olimpiadi invernali: il mio augurio è quello di tutti, indistintamente dalle differenze politiche, perché in Italia, nella mia regione, nella mia città, si svolgano le prossime Olimpiadi (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Provenza. Ne ha facoltà.

NICOLA PROVENZA (M5S). Grazie, Presidente Carfagna. Membri del Governo, un doveroso saluto a tutti i colleghi presenti in Aula e a quelli che hanno lavorato intorno a questo disegno di legge delega, in particolare al relatore, collega Belotti. La discussione generale di oggi verte su deleghe al Governo e altre disposizioni in materia di ordinamento sportivo, di professioni sportive, nonché di semplificazioni. Il testo reca una serie di deleghe di riordino e di riforma della materia sportiva che, diciamola tutta, erano attese da lungo, lunghissimo tempo. Il coraggio del cambiamento vorrei dire in riferimento a questa giornata dedicata alla discussione generale, di questo Governo del cambiamento, un coraggio che può essere rappresentato in maniera esemplificativa nella volontà di ridisegnare l'equilibrio fra il mondo dello sport e la politica. È questo anche il mio invito a non emettere giudizi o sentenze o valutare questa svolta epocale con dei pregiudizi a volte ideologici e, a volte, legati esclusivamente alle appartenenze politiche o, meglio, partitiche.

Un grande cambiamento comporta dei rischi e, talvolta, anche delle crisi di rigetto, così come si è evidenziato nel dibattito pubblico, nel dibattito politico che ha preceduto l'approdo in Aula del disegno di legge in oggetto, a partire dalle federazioni sportive che, comunque, con il passare del tempo, sono apparse meno preoccupate del previsto in relazione a questo passaggio cruciale della politica sportiva di questo Paese. Si tratta, diciamolo senza infingimenti, di una sfida rivoluzionaria, che non può essere valutata soltanto attraverso una presunta commistione tra sport e politica. Lo spirito di questa riforma del sistema sportivo italiano è quello di un sistema che utilizzi i fondi pubblici con meritocrazia, con dei criteri il più possibile oggettivi nell'applicazione, con la maggiore attenzione possibile allo sport di base, allo sport giovanile, allo sport scolastico, a tutto quel mondo che ha difficoltà ad accedere alla pratica sportiva. Ognuno dovrà fare, ovviamente, la propria parte, nel rispetto dei ruoli, delimitando il perimetro di azione di ogni soggetto, delle federazioni sportive, delle discipline associate, degli enti di promozione per raggiungere gli obiettivi che si prefigge lo Stato. Una legge delega che consentirà al Governo di emanare nuove regole che rendano effettiva la piena autonomia gestionale e contabile delle federazioni sportive nazionali, delle discipline associate, degli enti di promozione sportiva e delle associazioni benemerite rispetto al CONI. In questa direzione va anche la modifica delle modalità per trasferire il titolo sportivo, la delega relativa al riordino degli enti sportivi professionistici e dilettantistici al fine di riconoscere la figura del lavoratore sportivo, indipendentemente dalla natura dilettantistica o professionistica dell'attività svolta, valorizzandone soprattutto i percorsi di formazione, per una preparazione professionale che favorisca l'accesso al mondo del lavoro anche alla fine della carriera sportiva, prevedendo agevolazioni alle imprese sportive.

Altri passaggi necessari sono legati alla riforma della professione di agente sportivo, alle misure per contrastare la violenza in occasione di manifestazioni sportive, ma, in particolare, alla gestione economico-finanziaria degli impianti sportivi.

Nel cuore di questa riforma vi è, dunque, la necessità di eliminare i possibili conflitti di interesse generati dal fatto che, prima, il soggetto che erogava i fondi veniva eletto dai destinatari dei contributi. Il risultato sarà avere un modello efficiente che raggruppi tutte le competenze e che si occupi di tutti gli aspetti dello sport, sport di base e soprattutto sport cosiddetti ingenerosamente minori, che hanno più difficoltà ad ottenere risorse.

In questo contesto, il CONI manterrà, come è ovvio che sia, una sua autonomia nel rispetto della Carta olimpica, ma è anche evidente che inizia l'era della nuova società Sport e salute, una nuova Spa che si occuperà dei finanziamenti governativi alle federazioni sportive italiane. In tale ottica, il Governo assume il ruolo di controllore della modalità di assegnazione di spesa delle risorse destinate al CONI, ed inoltre il compito di emanare le linee guida fondamentali relative al sistema sport e alla pratica motoria nel loro complesso. Tutto ciò non lede in alcun modo l'autonomia e la discrezionalità delle scelte di natura tecnico-sportiva che ovviamente rimangono in capo al CONI. L'obiettivo di questa riforma è quindi quello di intervenire sul sistema sportivo invertendo il trend assunto negli ultimi anni dal sistema stesso, evidenziato dal crollo dell'ultimo decennio sia a livello di risultati sia a livello di promozione territoriale, con un'Italia sempre più divisa, anche sotto il profilo delle strutture sportive. Ecco che Sport e salute Spa avrà il compito di incrementare la pratica sportiva valorizzando il ruolo del territorio, della scuola, del volontariato, delle associazioni e delle società sportive dilettantistiche.

In particolare, l'articolo 2 prevede innanzitutto, al fine di organizzare e sviluppare la pratica sportiva nelle istituzioni scolastiche, che le scuole di ogni ordine e grado, nel rispetto delle prerogative degli organi collegiali, possano costituire centri sportivi scolastici. Si disciplina così a livello legislativo, estendendola alle scuole di ogni ordine e grado, una possibilità finora prevista a livello amministrativo nelle sole scuole secondarie. In particolare, il comma 3-bis dell'articolo 2 prevede che la somministrazione di cibi e bevande attraverso distributori automatici installati negli istituti scolastici di ogni ordine e grado nonché nei centri sportivi scolastici avvenga nel rispetto di quanto previsto nell'articolo 4, comma 5-bis, del decreto-legge n. 104 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 128 del 2013. Tale norma dispone che il Ministero dell'istruzione adotti specifiche linee guida, sentito il Ministero della salute, per disincentivare nelle scuole di ogni ordine e grado la somministrazione di alimenti e bevande sconsigliate, ossia contenenti un elevato rapporto totale di lipidi per porzione, grassi trans, oli vegetali, zuccheri semplici aggiunti, alto contenuto di sodio, nitriti o nitrati utilizzati come additivi, aggiunta di zuccheri semplici o dolcificanti, elevato contenuto di teina, caffeina, taurina e similari, e per incentivare la somministrazione di alimenti per tutti coloro che sono affetti da celiachia. Un passo, questo, assolutamente decisivo per promuovere diffusamente la cultura della sana alimentazione, peraltro abbinata all'esercizio fisico e all'attività sportiva. Ritengo poi importante soffermarsi sull'articolo 5, che reca una delega al Governo per l'adozione di uno o più decreti legislativi per il riordino e la riforma delle disposizioni in materia di enti sportivi professionistici e dilettantistici, nonché per la disciplina del rapporto di lavoro sportivo. La delega è finalizzata a garantire l'osservanza dei princìpi di parità di trattamento e di non discriminazione nel lavoro sportivo, sia nel settore dilettantistico che in quello professionistico. Il valore della svolta che si vuole imprimere nella politica sportiva si coglie nei seguenti principi e criteri direttivi: in primo luogo, il riconoscimento del carattere sociale e preventivo sanitario dell'attività sportiva quale strumento di miglioramento della qualità della vita e della salute, nonché quale mezzo di educazione e di sviluppo sociale; tutela della salute e della sicurezza dei minori che svolgono attività sportiva, prevedendo specifici adempimenti e obblighi informativi da parte delle società e delle associazioni sportive; individuazione della figura del lavoratore sportivo, nonché definizione della relativa disciplina in materia di tutela assicurativa fiscale e previdenziale e delle regole di gestione del relativo fondo di previdenza; valorizzazione della formazione - ripeto: della formazione! - dei lavoratori sportivi, in particolare nei giovani. Nello specifico, la formazione è finalizzata a garantire la crescita, anche culturale ed educativa, e la preparazione professionale degli atleti, in modo da favorire l'accesso all'attività lavorativa anche al termine della loro carriera sportiva. Infine, il riconoscimento giuridico della figura del laureato in scienze motorie, che si ricollega all'iniziativa legislativa attualmente in corso in materia di insegnamento dell'educazione motoria nella scuola primaria, allo scopo, fra l'altro, di riservare lo stesso esclusivamente a insegnanti con titolo specifico. Ed ancora, l'articolo 7, che reca una delega al Governo per l'adozione di uno o più decreti legislativi per il riordino e la riforma delle norme di sicurezza per la costruzione e l'esercizio degli impianti sportivi nonché della disciplina relativa alla costruzione di nuovi impianti sportivi, alla ristrutturazione e al ripristino di quelli già esistenti, inclusi quelli scolastici, attraverso i seguenti principi e criteri direttivi: ricognizione, coordinamento e armonizzazione delle norme in materia di sicurezza per la costruzione e l'esercizio degli impianti sportivi, semplificazione e accelerazione delle procedure amministrative, individuazione di criteri progettuali e gestionali orientati alla sicurezza, anche al fine di prevenire i fenomeni di violenza all'interno e all'esterno degli impianti, alla fruibilità e alla redditività degli interventi e della gestione economico-finanziaria degli impianti sportivi stessi. Ne consegue una concreta svolta culturale, che vede come pensiero ispiratore un'azione tesa a restituire ai cittadini il significato alto della politica, soprattutto rispetto a temi quali la salute psicofisica, non solo individuale ma anche collettiva. Un sistema che tuteli la salute deve porsi un obiettivo molto più vasto di quello strettamente legato alla cura o all'assenza di malattia, ed è per questo che le basi vanno poste già a livello scolastico, con tutto il carico di valorizzazione positiva che è connesso all'attività sportiva, attraverso una formazione adeguata, in linea con il ruolo che il giovane poi dovrà interpretare nella società, in coerenza, tra l'altro, anche con i valori della competizione leale, del lavoro di gruppo e del rispetto dell'avversario da affrontare, dello spirito di sacrificio, della lealtà. In conclusione, l'attenzione maggiore di questa riforma è rivolta alla pratica sportiva di base, valorizzando gli stili di vita sani. Tutto ciò riducendo la burocrazia, aumentando la trasparenza, eliminando i possibili conflitti di interesse, mettendo in campo strumenti in grado di valorizzare attività, impianti ed eventi con managerialità. Una nuova visione con nuove parole chiave: salute e benessere. Attraverso lo sport e l'esercizio fisico si promuovono stili di vita sani fra tutte le fasce della popolazione, al fine di migliorare le condizioni di salute e di benessere degli individui, con particolare riferimento al contrasto delle malattie croniche e alle patologie connesse alla solitudine e all'isolamento sociale. Quindi, infrastrutture, impianti e spazi pubblici per fornire un accesso equo ai luoghi per lo sport, per l'attività fisica, l'accesso a opportunità, programmi, servizi, per incoraggiare persone di tutte le età all'attività fisica regolare, favorendo l'indispensabile connubio tra sport e scuola, a partire dalla scuola primaria e secondaria, promuovendo socialità e relazione, anche in contrasto a fenomeni di bullismo e prevaricazione, incentivando un maggiore utilizzo o un recupero degli impianti sportivi scolastici da parte delle associazioni e delle società sportive.

Ho seguito gli interventi dei colleghi che mi hanno preceduto, sono stati messi in evidenza altri punti significativi, come il divieto di scommesse sportive su partite di calcio in Lega nazionale dilettanti, l'individuazione di forme e condizioni di azionariato popolare per le società sportive professionistiche: per la prima volta, nel nostro ordinamento viene introdotto il principio dell'azionariato popolare per le società professionistiche.

E poi l'organo consultivo per la tutela degli interessi dei tifosi, che entrano in qualche modo a pieno titolo in una valutazione complessiva del fenomeno sportivo.

Ho ascoltato anche il collega Rossi. Ricordo sommessamente che sono le federazioni che devono istituire il settore professionistico per le atlete, sulla base del principio indicato dal CONI della rilevanza economica della disciplina sportiva praticata. Il punto è essenzialmente questo: le federazioni devono applicare norme già esistenti, vale a dire la legge n. 91 del 1981 sul professionismo anche per le atlete.

In fondo in questa legislatura, e con questo Governo del cambiamento, non potevamo esimerci, non potevamo permetterci il lusso di lasciar passare che lo sport continuasse sempre più ad associarsi a valori negativi, cosa che purtroppo negli ultimi anni è avvenuta molto di frequente: parlo di doping farmacologico, parlo di doping amministrativo, di fideiussioni false, di penalizzazioni, di scandali legati alle scommesse. Noi abbiamo il dovere etico e morale e la responsabilità politica di restituire allo sport i suoi veri valori: la passione, la condivisione, la partecipazione, la lealtà. In questa direzione scuola e ambiente sportivo devono essere al fianco delle famiglie: sono questi i fattori essenziali che influenzano le spinte motivazionali dei nostri giovani.

Lo sport in questi ultimi decenni… Un po' lo è sempre stato, un po' business, soprattutto alcuni tipi di sport: mi riferisco al calcio, ambiente nel quale ho vissuto per oltre quarant'anni. È sempre stato un po' business, ma le modalità di somministrazione, le dosi, hanno incominciato a divenire tossiche. Ed ecco perché non può esservi una prevalenza assoluta dell'aspetto del business, con il rischio di allontanare poi i nostri giovani dalla pratica sportiva, perché viene percepita come inquinata, come opaca, come truccata. Dare futuro, avere una visione significa porre lo sport al centro di una reale prospettiva di sviluppo, anche di tipo economico, ma non più relegato ad un ruolo mortificante di recupero del consenso e ad un esercizio del potere fine a se stesso. Il nostro sguardo, il mio sguardo in materia di sport è rivolto ai nostri giovani: i ragazzi di oggi hanno più conoscenze e meno cultura di base, la vastità e la varietà delle informazioni possono allargare le loro conoscenze, ma la sensazione è che vadano poco in profondità. La sinergia tra scuola e sport che viene fuori da questa riforma può guidare e motivare i nostri giovani attraverso una reale valorizzazione anche dell'attività scolastica, in concordia con le società sportive, rappresentando un vero toccasana per una crescita individuale e collettiva.

Tutti noi siamo in attesa di novità, come già detto dai colleghi che mi hanno preceduto. Io colgo l'occasione per rivolgere un “in bocca al lupo” alla mia collega Milena Bertolini, che sta guidando le nostre azzurre in un percorso straordinario, che è quello del calcio femminile, che merita attenzione, merita interesse, ed è un progetto che parte da lontano, anche attraverso le persone che si occupano di questo tipo di attività. Milena Bertolini è una di queste: una donna che prima è impegnata sui valori sociali ed i valori etici, e poi nel mondo dello sport. Noi dobbiamo arricchire questo mondo, perché sarà questo mondo a trascinare il nostro Paese in una crescita etica, ma anche in un potenziale, importante sviluppo economico (Applausi dei deputati dei gruppi MoVimento 5 Stelle e Lega-Salvini Premier).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Prestipino. Ne ha facoltà.

PATRIZIA PRESTIPINO (PD). Presidente, intanto cominciamo a sottolineare quelli che sono i dati politici di questo provvedimento. Già nella legge di bilancio per il 2019 si era previsto che la società CONI Servizi Spa, che gestiva la parte economica del CONI, si trasformasse e cambiasse nome e sostanza, diventasse Sport e salute Spa. È stata questa misura ad alzare il tasso politico, e quindi il condizionamento possibile della gestione finanziaria dello sport, dal momento che il presidente di Sport e salute è nominato dal Governo e va di fatto ad esautorare il CONI sulle scelte dei membri del consiglio di amministrazione e del suo braccio economico; senza contare la decurtazione importante di fondi che è stata operata ai danni del CONI.

Questo che cosa denota? Che questo Governo si è scordato, e si scorda molto spesso, che esiste l'autonomia dell'ordinamento sportivo, peraltro riconosciuta e consacrata per legge, ed è andato a togliere spazio ad un mondo, quello sportivo, che si è sempre potuto organizzare secondo logiche che favoriscono un'aggregazione dal basso, che è il dato politico importante di quanto riguarda appunto il mondo dello sport, attraverso una rete fitta di associazioni: sono i territori, sono decine di migliaia le associazioni ed i territori che lavorano su base volontaria, non ce lo scordiamo, su base volontaria, e rendono un servizio alle nostre comunità importantissimo.

Ed è anche un presidio sociale, di sicurezza sociale, culturale. Non per niente noi dicevamo “un euro in cultura, un euro nello sport”: siamo andati ad investire in strutture sportive nelle periferie perché sappiamo - lo so anch'io perché sono stata assessore allo sport di Roma - quanto sia importante come fattore aggregativo lo sport nelle zone di disagio sociale ed economico.

È apprezzabile sicuramente la volontà di dare un assetto più razionale alla disciplina in materia di sport; che però si è trasformata in una delega - diciamolo - un po' troppo ampia e vaga, dove anche l'esercizio di essa rispetto ad alcuni paletti risulta essere del tutto discrezionale. Questi sono i dati politici più critici che emergono da questo provvedimento.

Ricordiamo un po' che cos'è il sistema sportivo italiano, lo storico dello sport italiano, che ha prodotto in questi anni - dati ISTAT - oltre 16 milioni di praticanti sportivi. Parliamo di persone che non sono sempre tesserate, anzi quasi la metà sono tesserate, e di decine di migliaia di associazioni che rappresentano una vera e propria ricchezza sociale e culturale per il Paese. I praticanti sono la parte più importante della popolazione attiva: è questa parte che non può e non dev'essere trascurata, e che noi temiamo sarà trascurata, perché ci sono dei punti che non ci sono ancora chiari.

Come intendete finanziarlo questo mondo dell'associazionismo sportivo, questo mondo che il collega prima definiva “mondo di sport di base”, il mondo che pullula nei nostri territori? Perché questa è la sfida più grande che ci aspetta: non lasciare solo questo mondo, che oggi si appoggia su basi, abbiamo detto, volontarie e soprattutto su contratti di lavoro anche abbastanza precari. Allora, se le buone intenzioni non hanno poi un riscontro nella sostanza, diceva qualcuno che di buone intenzioni sono lastricate le vie dell'inferno; ed è proprio nell'inferno che non vorremmo precipitare, in un vuoto legislativo e regolamentare importante.

Ma vengo ad un punto che mi sta molto a cuore come docente, l'articolo 2 che parla appunto dei centri sportivi scolastici. L'abbraccio tra scuola e associazioni, attività sportive dev'essere stretto innanzitutto per il bene dei nostri ragazzi. Lo sport però dev'essere organizzato secondo alcuni criteri precisi, che possono essere assicurati solo attraverso la collaborazione ed il confronto continuo tra le scuole, che ora potranno muoversi nel mondo dello sport con i loro centri sportivi; ma anche con le organizzazioni sportive locali, che oltre ad essere portatrici di professionalità, di metodologia, di esperienza, di sicurezza nel mondo dello sport, possono conoscere le esigenze dei territori che vivono quotidianamente, in quanto in quei territori sono radicalmente collocate.Quindi è un bene che la Commissione ed il relatore di maggioranza abbiano accolto l'emendamento a mia firma che, appunto, vuole coinvolgere anche le associazioni sportive del territorio in questa nuova pratica sportiva perché, in realtà, per le scuole, tranne per alcune scuole secondarie, come è stato ben ricordato, questa sarà per la scuola primaria una grande novità e non possiamo lasciare sole le scuole in questo percorso che si prospetta molto bello e interessante ma rischia di essere inficiato da ostacoli che le scuole hanno già per la loro natura burocratica. Ad esempio, leggo che i docenti saranno retribuiti, una cosa buona e giusta; il dirigente non sarà retribuito e anche questo va bene, ma non è possibile che non sia retribuito il personale ATA. Signori, avete mai portato i vostri figli o avete mai accompagnato un nipote a fare attività sportiva nelle scuole il pomeriggio? Chi apre la scuola? Chi apre la palestra? Sono gli ATA, i bidelli, che esercitano funzioni di custodia e guardiania: senza i bidelli tutto questo non potrebbe avvenire e poiché c'è tutto un mondo oscuro che gira in questo settore ed è un rapporto che si vedono le associazioni con i bidelli delle scuole - quasi tutto in nero, diciamolo senza problemi -, questa roba va regolamentata e a questa roba bisogna mettere fine. Quindi il personale ATA, che andrà ad esercitare tale importante funzione in orario extrascolastico, deve essere retribuito. La scuola da sola non ha i soldi; la scuola non ha neanche i soldi per tenere aperti i locali durante i consigli di classe o durante il collegio docenti o durante le attività di recupero delle materie dei nostri ragazzi. Come possiamo pensare che le scuole abbiano i soldi per tenere aperte le palestre nel pomeriggio? Su questo invito, davvero, la maggioranza a fare uno sforzo importante nei passi successivi.

Altra cosa: era necessario coinvolgere nelle decisioni sulle attività del centro sportivo scolastico il consiglio di istituto, che è il vero e proprio organo di coordinamento e delle condivisioni delle decisioni tra genitori, insegnanti, ragazzi e personale docente e non docente. Quindi, ben venga anche la buona volontà della maggioranza, che ha emendato il testo su questo punto, cioè di rendere anche il consiglio d'istituto partecipe e protagonista nella gestione del centro sportivo scolastico. Ora, l'ho già detto prima ma voglio ripeterlo: non ci sono mai stati tanti italiani che fanno sport a livello continuativo o saltuario. Emerge una grandissima domanda di sport per motivi sociali, culturali, ma anche per motivi di salute, perché lo sport, lo sappiamo, a cominciare dalle scuole, è il più importante strumento di prevenzione contro l'obesità. Quindi, da docente, sono particolarmente preoccupata, ad esempio, del fenomeno dell'abbandono scolastico nella scuola superiore. Una buona proposta di aggregazione sportiva avrebbe un valore sociale importante e permetterebbe anche di prevenire questa vera e propria piaga, che in Italia, soprattutto nel meridione, è rappresentata dall'abbandono scolastico. Perciò è stato presentato in Commissione anche un altro emendamento, che ha modificato lo stesso articolo 2, nel quale ora è previsto l'accesso gratuito per gli studenti delle scuole alle attività organizzate dal proprio centro sportivo scolastico. Vogliamo pensare che tanti ragazzi che frequentano le scuole, soprattutto superiori, provengono da famiglie su cui c'è una privacy molto importante, ovvero che hanno un disagio economico importante? Che facciamo? Facciamo loro praticare sport pagandolo con le loro tasche? È una cosa buona e giusta che sia la scuola a decidere a chi offrire tale importante partecipazione alle attività sportive in modo assolutamente gratuito. Queste sono cose pragmatiche, che chi vive la scuola giorno dopo giorno, come noi docenti, conosciamo a menadito: come non hanno i soldi per acquistare i libri di testo scolastico, non hanno i soldi neanche per frequentare le palestre. Se la scuola, l'ente di riferimento, noi che siamo i legislatori non li aiutiamo ad emergere, hai voglia a parlare, hai voglia a dire che abbiamo battuto la povertà, se poi, nelle piccole cose del quotidiano, non interveniamo in maniera forte e pragmatica, soprattutto considerato il ruolo dello sport nella prevenzione e nella lotta a varie patologie di carattere vario, anche psichico. Penso agli Special Olympics, penso agli sport paraolimpici, che hanno avuto un importantissimo incremento in questi anni e che hanno coinvolto persone le quali, fino a qualche decennio fa, sarebbero state emarginate e hanno dato invece loro la possibilità di sentirsi nuovamente vivi, vitali e parte integrante della nostra società. Concludo con una battuta, che è ironica ma non troppo, di de Coubertin, quindi casca a pennello: per ogni individuo lo sport è una possibile fonte di miglioramento interiore. Quindi consiglio a tutto il Governo e alla maggioranza, che dovrà esercitare la delega che andremo a conferire, di fare un intenso periodo di attività fisica prima di prendere decisioni importanti (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - A.C. 1603-bis-A)

PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore e il rappresentante del Governo rinunziano alla replica. Il seguito del dibattito quindi è rinviato ad altra seduta.

Discussione della proposta di legge: Costa: Modifiche agli articoli 314 e 315 del codice di procedura penale, in materia di riparazione per ingiusta detenzione ai fini della valutazione disciplinare dei magistrati (A.C. 1206-A) (ore 17,10).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge n. 1206-A: Modifiche agli articoli 314 e 315 del codice di procedura penale, in materia di riparazione per ingiusta detenzione ai fini della valutazione disciplinare dei magistrati.

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta del 20 giugno 2019 (Vedi l'allegato A della seduta del 20 giugno 2019).

(Discussione sulle linee generali – A.C. 1206-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari MoVimento 5 Stelle e Partito Democratico ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.

Avverto, che la II Commissione (Giustizia) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire il relatore, onorevole Pierantonio Zanettin.

PIERANTONIO ZANETTIN, Relatore. La ringrazio, Presidente, per la parola. Onorevole rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, onorevoli colleghe, oggi l'Assemblea avvia l'esame della proposta di legge a prima firma Costa (Atto Camera n. 1206) che, nel nuovo testo predisposto dalla Commissione giustizia, modifica il codice di procedura penale per ampliare i presupposti del diritto alla riparazione per ingiusta detenzione, nonché per prevedere la trasmissione al Ministro della giustizia e, in caso di grave violazione di legge, anche al procuratore generale presso la Cassazione delle ordinanze di accoglimento della domanda di riparazione per ingiusta detenzione, al fine di agevolare la conoscenza di questi provvedimenti da parte dei due soggetti titolari dell'esercizio dell'azione disciplinare nei confronti dei magistrati. Si tratta di una proposta di legge che è stata iscritta nel calendario dei lavori dell'Assemblea in quota opposizione e che è stata modificata dalla Commissione giustizia a seguito di un fattivo confronto tra forze di maggioranza e forze di opposizione. Prima di illustrare nel dettaglio il provvedimento, vorrei segnalare che l'iniziativa legislativa trae origine da un fenomeno assai allarmante e troppo spesso trascurato: quello dei cittadini sottoposti a provvedimenti restrittivi della libertà personale e poi successivamente dichiarati prosciolti da ogni accusa. A tale proposito i numeri sono impressionanti: ogni anno circa 1.000 cittadini sono risarciti dallo Stato per essere stati vittime di errori giudiziari. Dai dati, che sono stati messi a disposizione, le ordinanze emesse dal MEF a tale titolo sono state 1.012 nel 2014; 1.188 nel 2015; 1.001 nel 2016; 1.023 nel 2017 e 913 nel 2018. Nel solo 2018 lo Stato ha pagato 47.976.056 euro a titolo di indennizzo per ingiusta detenzione. Ovviamente, il dato del ristoro economico è solo sintomatico della gravità del fenomeno di cui si parla, nessuna somma potendo mai risarcire chi ingiustamente ha perso il lavoro, la famiglia e comunque sempre la propria credibilità e il proprio onore. La finalità della iniziativa legislativa in esame è proprio quella di agevolare la conoscenza delle stesse sentenze da parte degli organi che, in base a quanto già previsto dalla normativa vigente, devono valutare se l'applicazione della custodia cautelare sia avvenuta contra legem e sia stata determinata da una negligenza grave e inescusabile tale da consentire l'esercizio dell'azione disciplinare nei confronti del magistrato.

Ricordo a tale proposito che l'azione disciplinare nei confronti dei magistrati è promossa dal Ministro della Giustizia ai sensi dell'articolo 107 della Costituzione e dal Procuratore generale presso la Corte di cassazione, per essere decisa nell'ambito della sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura (articolo 105 della Costituzione). In particolare, in base all'articolo 14 del decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109, che ha introdotto una nuova regolamentazione del procedimento disciplinare, il Ministro della Giustizia ha facoltà di promuovere l'azione disciplinare entro un anno dalla notizia del fatto, mediante richiesta di indagini al Procuratore generale presso la Corte di cassazione, dandone contestualmente comunicazione al Consiglio superiore della magistratura, con indicazione sommaria dei fatti per i quali si procede. Analogamente, deve procedere il Procuratore generale presso la Corte di cassazione, dandone comunicazione al Ministro della Giustizia e al Consiglio superiore della magistratura. Il Consiglio superiore della magistratura, i consigli giudiziari e i dirigenti degli uffici hanno l'obbligo di comunicare al Ministro della Giustizia e al Procuratore generale presso la Corte di cassazione ogni fatto rilevante sotto il profilo disciplinare.

Ricordo, inoltre, che in base all'articolo 2 del medesimo decreto legislativo, gli illeciti disciplinari sono tipici e, tra gli altri, va segnalato, con riferimento alla fattispecie oggi all'esame di quest'Aula, l'emissione di un provvedimento restrittivo della libertà personale fuori dai casi consentiti dalla legge, determinata da negligenza grave e inescusabile, lettera g). La disposizione precisa, invece, che l'attività di interpretazione di norme di diritto e quella di valutazione del fatto e delle prove non danno luogo a responsabilità disciplinare.

Quanto all'istituto della riparazione per ingiusta detenzione, ricordo che esso trova fondamento nei principi di inviolabilità della libertà personale, articolo 13 della Costituzione, di non colpevolezza sino alla condanna definitiva, articolo 27 della Costituzione, oltre che nella previsione dell'articolo 24 della Costituzione che, al quarto comma, attribuisce al legislatore il compito di determinare le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari. Più esplicitamente, l'articolo 5 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo afferma che ogni persona vittima di un arresto o di una detenzione eseguiti in violazione della Convenzione ha diritto a un indennizzo. In armonia con questi principi, il codice di procedura penale, nel disciplinare le misure cautelari, prevede, agli articoli 314 e 315, una riparazione per l'ingiusta detenzione subita a titolo di custodia cautelare.

Ricordo, poi, che, recentemente, con la legge 23 giugno 2017, n. 103, è stato modificato l'articolo 15, comma 1, della legge 16 aprile 2015, n. 47, di riforma delle misure cautelari, prevedendo che nella relazione che il Governo deve presentare annualmente al Parlamento, sull'applicazione delle misure cautelari personali, debba altresì darsi conto dei dati relativi alle sentenze di riconoscimento del diritto alla riparazione per ingiusta detenzione pronunciate nell'anno precedente, con specificazione delle ragioni di accoglimento delle domande e dell'entità delle riparazioni, nonché i dati relativi al numero di procedimenti disciplinari iniziati nei riguardi dei magistrati per le accertate ingiuste detenzioni, con l'indicazione dell'esito, ove conclusi. Il Governo ha adempiuto a questo obbligo, trasmettendo, il 30 aprile scorso, il documento aggiornato al 2018. La relazione contiene un monitoraggio effettuato dall'ispettorato generale del Ministero sui provvedimenti di riconoscimento del diritto alla riparazione per ingiusta detenzione.

Passando ad illustrare il contenuto del provvedimento, faccio presente che la proposta di legge all'esame dell'Assemblea, a seguito delle modifiche apportate in sede referente, modifica l'articolo 314 del codice di procedura penale relativo ai presupposti della riparazione per ingiusta detenzione, aggiungendo le seguenti ipotesi: il caso di colui che sia stato sottoposto ad arresto in flagranza o a fermo di indiziato di delitto e successivamente sia stato prosciolto con sentenza irrevocabile, perché il fatto non sussiste, per non aver commesso il fatto, perché il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, se non ha concorso a darvi causa per dolo o colpa grave, comma 1; sempre in caso di arresto o fermo, il caso di colui che sia stato sottoposto a tali misure poi non convalidate con decisione irrevocabile, comma 2; il caso di colui che abbia patito la detenzione a causa di un erroneo ordine di esecuzione, nuovo comma 2-bis. Con riferimento alle modifiche ai commi 1 e 2 dell'articolo 314 del codice di procedura penale, la proposta di legge codifica quanto già affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 109 del 1999.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE FABIO RAMPELLI (ore 17,18)

PIERANTONIO ZANETTIN, Relatore. Con questa decisione la Corte aveva dichiarato costituzionalmente illegittimi per violazione degli articoli 2, 3, 13, 24 e 76 della Costituzione, i commi 1 e 2 dell'articolo 314 del codice procedura penale, nella parte in cui non prevede che chi è stato prosciolto con sentenza irrevocabile, perché il fatto non sussiste, per non aver commesso il fatto, perché il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato ha diritto a un'equa riparazione per la detenzione subita a causa di arresto in flagranza o di fermo di indiziato di delitto, entro gli stessi limiti stabiliti per la custodia cautelare, nonché nella parte in cui non prevede che lo stesso diritto, nei medesimi limiti, spetti al prosciolto per qualsiasi causa e al condannato che nel corso del processo sia stato sottoposto ad arresto in flagranza o a fermo di indiziato di delitto, quando con decisioni irrevocabili siano risultate insussistenti le condizioni per la convalida.

La Corte costituzionale ha ritenuto che la diversità della situazione di chi abbia subìto detenzione a causa di una misura cautelare, rispetto a quella di chi sia stato colpito da un provvedimento di arresto o fermo non sia tale da giustificare un trattamento così discriminatorio, al punto che la prima situazione sia ritenuta meritevole di equa riparazione e la seconda, pur se ricorrano presupposti analoghi, venga invece dal legislatore completamente ignorata. La proposta di legge, inoltre, inserisce il comma 3-bis nell'articolo 315 del codice di procedura penale, per disporre che l'ordinanza che accoglie la domanda di riparazione sia trasmessa sempre al Ministro della Giustizia e solo in caso di grave violazione di legge o delle norme sulle misure cautelari personali anche al Procuratore generale presso la Corte di cassazione.

PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo, sottosegretario Guidesi, si riserva di intervenire. È iscritta a parlare la deputata Carla Giuliano. Ne ha facoltà.

CARLA GIULIANO (M5S). Presidente, colleghi deputati, rappresentanti del Governo, approda oggi in Aula la proposta di legge a firma del collega deputato Costa, in materia di riparazione per ingiusta detenzione ai fini della valutazione disciplinare dei magistrati. Si tratta di un provvedimento iscritto in quota opposizione, di cui la Commissione giustizia ha avviato l'esame il 3 aprile scorso. Il testo che oggi giunge all'esame dell'Assemblea rappresenta il frutto di un confronto aperto tra la forza politica di opposizione che ha presentato la proposta di legge e le forze di maggioranza, confronto che nell'ambito dei lavori della Commissione giustizia si è esplicitato nell'approvazione di alcune proposte emendative, formulate dalle forze di maggioranza e, in particolare, dal MoVimento 5 Stelle, finalizzate a migliorare il testo della proposta di legge.

Al fine di comprendere compiutamente il contenuto e la finalità dell'intervento normativo di cui discutiamo in questa sede, è opportuno procedere a una breve disamina degli istituti della riparazione per ingiusta detenzione e dell'azione disciplinare nei confronti dei magistrati, istituti interessati dalle modifiche contenute nel provvedimento giunto oggi in quest'Aula, nonché esaminare il testo originario della proposta di legge e le successive modifiche emendative inserite nel corso dell'esame in Commissione.

La riparazione per ingiusta detenzione trova il proprio fondamento costituzionale nei principi di inviolabilità della libertà personale e di non colpevolezza sino alla condanna definitiva, di cui agli articoli 13 e 27 della Costituzione, nonché nel quarto comma dell'articolo 24 della Costituzione, a norma del quale la legge determina le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari. Proprio in ossequio a questi principi, il codice di procedura penale agli articoli 314 e 315 prevede la riparazione per ingiusta detenzione subita a titolo di custodia cautelare, introducendo uno specifico rimedio che è volto a compensare gli effetti pregiudizievoli patiti dal soggetto vittima di un'indebita restrizione della propria libertà personale. La detenzione è ingiusta tutte le volte in cui, in un momento successivo alla sua esecuzione, essa risulti contra ius. Ebbene, la riparazione è uno strumento indennitario da atto lecito ed è volto a compensare solo le ricadute sfavorevoli, sia patrimoniali che non patrimoniali, procurate dalla privazione della libertà personale, un sistema di chiusura con il quale l'ordinamento riconosce un ristoro per la ingiusta privazione della libertà che prescinde del tutto da ogni valutazione circa l'illiceità civile o penale del comportamento del magistrato e quindi dall'accertamento del dolo o della colpa nella sua attività funzionale, essendo configurato quale conseguenza legale della custodia e della carcerazione ingiuste.

Il testo originario della proposta di legge in esame si componeva di un unico articolo che modificava esclusivamente l'articolo 315 del codice di procedura penale, senza incidere sul precedente articolo 314. Attraverso un emendamento accolto in Commissione la proposta di legge oggi discussa è stata ampliata rispetto a quella originaria, prevedendo anche la modifica dell'articolo 314. Sono stati, infatti, implementati i presupposti del diritto alla riparazione per ingiusta detenzione al fine di adeguare il dato normativo alla giurisprudenza della Corte costituzionale attraverso l'aggiunta di tre ulteriori ipotesi.

In particolare, si riconosce il diritto a un'equa riparazione anche a chi sia stato sottoposto ad arresto in flagranza o a fermo di indiziato di delitto e, successivamente, sia stato prosciolto con sentenza irrevocabile perché il fatto non sussiste, per non aver commesso il fatto, perché il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, se non ha concorso a darvi causa per dolo o colpa grave, a colui che sia stato sottoposto ad arresto in flagranza o a fermo di indiziato di delitto quando, con decisione irrevocabile, siano risultate insussistenti le condizioni per la convalida, nonché a colui che abbia ingiustamente patito la detenzione a causa di un erroneo ordine di esecuzione.

Relativamente all'articolo 315 del codice di procedura penale, il testo originario della proposta di legge introduceva, appunto nell'articolo 315, un comma 3-bis nel quale si prevedeva la trasmissione di tutte le ordinanze di accoglimento della domanda di riparazione per ingiusta detenzione agli organi titolari dell'azione disciplinare nei riguardi dei magistrati e, cioè, al Ministro della Giustizia e al Procuratore generale presso la Corte di cassazione e ciò con la finalità, dichiarata dallo stesso collega deputato Zanettin nella relazione introduttiva svolta in Commissione, di agevolare la conoscenza di tali provvedimenti da parte di quegli organi che, in base a quanto già previsto dalla normativa vigente, sono gli organi deputati a valutare se l'applicazione della custodia cautelare sia avvenuta contra legem e se sia stata determinata da negligenza grave e inescusabile tale da consentire l'esercizio dell'azione disciplinare nei confronti del magistrato.

Come ha già ricordato il relatore Zanettin, nel nostro ordinamento è già presente un obbligo generalizzato di comunicazione dei fatti disciplinarmente rilevanti ai titolari dell'azione disciplinare ed è l'obbligo previsto dall'articolo 14, comma 4, del decreto legislativo n. 109 del 2006. Quindi, la proposta di legge oggi in discussione si inserisce nell'alveo della disciplina generale già esistente, costituendone una specificazione riferita ai casi di ingiusta detenzione.

Rammento a me stessa che l'azione disciplinare nei confronti dei magistrati è promossa dal Ministro della Giustizia e dal Procuratore generale presso la Corte di cassazione per essere decisa dal Consiglio superiore della magistratura. Tuttavia, mentre il Ministro della Giustizia ha la sola facoltà di promuovere l'azione disciplinare entro un anno dalla notizia del fatto, di contro il Procuratore generale presso la Corte di cassazione ha invece l'obbligo di esercitare l'azione disciplinare, dandone comunicazione al Ministro della Giustizia e al Consiglio superiore della magistratura.

A fronte di ciò, l'originaria proposta di legge del deputato Costa, prevedendo l'automatica trasmissione di tutte le ordinanze di accoglimento delle domande di riparazione sia al Ministro della Giustizia sia al Procuratore generale presso la Corte di cassazione, che - ribadisco ancora una volta - ha sempre l'obbligo di iniziare l'azione disciplinare, avrebbe potuto dar vita, per un verso, a una non corretta correlazione automatica tra le ordinanze di accoglimento delle domande di riparazione e la sussistenza di illeciti disciplinari dei magistrati. La conseguenza sarebbe potuta essere quella di creare un parallelo e un sillogismo errato tra riconoscimento dell'ingiusta detenzione patita, avvio dell'azione disciplinare a carico del magistrato che ha disposto una misura limitativa della libertà personale e sussistenza di un illecito disciplinare del magistrato, con l'ulteriore possibile effetto di rendere non conveniente per il magistrato adottare delle misure cautelari a causa della certezza di essere sottoposto a un procedimento disciplinare nel caso in cui, successivamente all'applicazione di una misura cautelare o precautelare, si dovesse invece giungere a una sentenza di assoluzione del soggetto che in precedenza era stato destinatario della misura privativa della libertà personale.

Per un altro verso, prevedere l'automatica trasmissione di tutte le ordinanze di accoglimento della domanda di riparazione per ingiusta detenzione avrebbe tradito finanche la stessa finalità originaria voluta dal firmatario della proposta di legge, svuotandola di contenuto e di significato.

Ebbene, attraverso un confronto schietto con la forza di opposizione è stato accolto un emendamento del MoVimento 5 Stelle, a prima firma del collega deputato Di Sarno, che dispone, appunto, che l'ordinanza che accoglie la domanda di riparazione sia trasmessa sempre al Ministro della Giustizia e, solo in caso di gravi violazioni di legge o delle norme sulle misure cautelari personali, anche al Procuratore generale presso la Corte di cassazione.

Va precisato che l'espressione “grave violazione di legge” ricomprende già anche la grave violazione delle norme di cui al Libro IV, Titolo I, capi 1 e 2, del codice di procedura penale, relativi, appunto, alle disposizioni generali sulle misure cautelari personali e sulle misure coercitive, trattandosi soltanto di una specificazione ulteriore degli articoli di riferimento sempre nell'ambito della grave violazione di legge.

La valutazione circa la sussistenza del possibile presupposto della grave violazione di legge, che impone, quindi, di trasmettere l'ordinanza anche al Procuratore generale presso la Corte di cassazione e non solo al Ministero della Giustizia, è rimessa al magistrato che si pronuncia sull'istanza di riparazione ed è, quindi, rimessa alla corte di appello.

Dunque, grazie alle modifiche migliorative del testo, introdotte in Commissione, tutte le ordinanze giungeranno al Ministro della Giustizia per le valutazioni di competenza ma soltanto l'ingiusta detenzione determinata da una grave violazione di legge dovrà essere trasmessa al Procuratore generale presso la Corte di cassazione.

L'azione disciplinare nei confronti del magistrato che ha disposto una misura cautelare o precautelare limitativa della libertà personale verrà, quindi, avviata obbligatoriamente solo dal Procuratore generale presso la Corte di cassazione e solo in caso di gravi violazioni di legge, presupposto la cui sussistenza verrà argomentata dalla stessa corte di appello che si pronuncia sull'istanza di riparazione. Al Procuratore generale verranno, quindi, inviate specifiche ordinanze ben motivate sotto il profilo della sussistenza del possibile presupposto della grave violazione di legge. In questo modo, proprio attraverso l'inserimento di queste modifiche, abbiamo raggiunto l'obiettivo, che è stato riconosciuto dallo stesso relatore Zanettin in Commissione giustizia, di rendere il testo di legge più efficace, più incisivo e più centrato nel perseguire la finalità che è posta alla base di questo intervento legislativo (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Enrico Costa. Ne ha facoltà.

ENRICO COSTA (FI). Grazie, Presidente. Io intervengo su questo provvedimento, di cui sono firmatario, innanzitutto per esprimere la soddisfazione che questo tema sia approdato nell'Aula della Camera, perché è ovvio che anche questa è un'occasione per affrontare e per evidenziare le ragioni che stanno alla base di questa proposta e io voglio evidenziare le ragioni sulla base dei numeri.

Dal 1992 a oggi, abbiamo avuto oltre 26 mila persone che sono state - non dico arrestate ingiustamente - indennizzate dalle corti d'appello per essere state arrestate ingiustamente. Questo significa che hanno fatto la domanda, hanno fatto la trafila e la loro domanda non è stata respinta. Chissà quanti sono coloro che sono stati arrestati, sono stati poi assolti e non hanno voluto andare oltre, non hanno voluto tornare nelle aule dei tribunali anche solo per chiedere quello che era un loro diritto ottenere, anche perché devo dire che queste 26 mila persone hanno passato un vaglio piuttosto stringente.

Io voglio esprimere qui una “perla” della nostra giurisprudenza, che ha escluso l'indennizzo per colui che quando è stato arrestato - e abbiamo visto che poi è stato arrestato ingiustamente - si è avvalso della facoltà di non rispondere. Perché ha negato l'indennizzo? Perché costui, arrestato ingiustamente e che ha esercitato una sua garanzia, cioè quella di avvalersi della facoltà di non rispondere, avrebbe così rafforzato l'errore del magistrato. Il magistrato lo arresta ingiustamente.

Questo lo vanno a prendere alle cinque del mattino a casa, lo portano in carcere, gli fanno un interrogatorio e, magari, l'avvocato gli dice: “Andiamo a vedere le carte. È un tuo diritto avvalerti della facoltà di non rispondere”. Si avvale della facoltà di non rispondere, poi gli fanno il processo, passano cinque, sei, sette, dieci anni, viene assolto, fa la domanda per avere l'indennizzo per quei giorni che ha trascorso in carcere e gli dicono: no, perché quel giorno che sei stato arrestato ingiustamente ti sei avvalso della facoltà di non rispondere, non hai risposto “sono innocente”. È quasi un corto circuito, ovviamente: da una parte, c'è una garanzia, un diritto dell'indagato, e anche dell'imputato; dall'altra, c'è lo Stato che non ti risarcisce, non ti indennizza, perché tu hai esercitato quel tuo diritto. È evidente che c'è una norma del codice di procedura penale che impedisce di indennizzare colui che abbia dato, con dolo o colpa grave, causa all'errore del magistrato, ma questo mi pare che sfugga, non rientri in questo caso, non dovrebbe rientrare; invece, la Cassazione lo ha fatto rientrare. Penso che sia compito di questa Camera cercare quantomeno di evidenziare come non deve rientrare in queste ipotesi il caso di colui che si avvale della facoltà di non rispondere.

Bene, abbiamo detto 26 mila persone: immaginatele in uno stadio 26 mila persone che sono state arrestate e poi sono state assolte, e lo Stato ha pagato. Quanto ha pagato, dal 1992 ad oggi, lo Stato? Ha pagato oltre 800 milioni di euro. Vi rendete conto, quindi, che c'è un percorso, c'è l'arresto ingiusto, c'è il tribunale o la Corte d'appello, la Cassazione che assolvono la persona, c'è la Corte d'appello che liquida una somma, che stabilisce che quella persona ha diritto ad essere indennizzata, c'è il Ministero dell'Economia che paga. Il tutto non può finire così: lo Stato dovrebbe andare a riavvolgere il nastro e esaminare perché si è verificato questo caso. Riavvolgere il nastro, non dico che automaticamente e necessariamente si debba esercitare l'azione disciplinare, perché c'è una legge che stabilisce le varie ipotesi di responsabilità disciplinare, e noi non andiamo a toccarla; dovremo toccarla, dovremo toccarla proprio sul punto dell'ingiusta detenzione, però limitiamoci alla legge attuale. C'è una legge che stabilisce che la grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile rappresenta responsabilità disciplinare; che il travisamento dei fatti determinato da negligenza inescusabile rappresenta ipotesi di responsabilità disciplinare; che anche casi di restrizione della libertà personale al di fuori dei binari normativi rappresentano un'ipotesi di responsabilità disciplinare.

Allora, vogliamo che qualcuno, finito questo percorso, abbia sulla scrivania quel fascicolo e vada a verificare se c'è stata o non c'è stata una responsabilità di qualcuno, se c'è stata una negligenza? Qui c'è stata, invece, una responsabilità di nessuno, perché i fatti si sono esplicitati soltanto durante il dibattimento. Cosa stabilisce questa proposta di legge? Stabilisce semplicemente che quell'ordinanza che prevede un indennizzo, nel momento in cui lo Stato paga - e non dovrebbe essere solo lo Stato a pagare, quantomeno bisognerebbe verificare se vi sono delle responsabilità a monte -, finisca sulla scrivania del titolare dell'azione disciplinare per le valutazioni di competenza, non per avviare l'azione disciplinare necessariamente; per verificare se, alla luce delle norme vigenti, si debba avviare l'azione disciplinare. C'è stata una grave violazione di legge? C'è stata una grave negligenza? Bene, penso che sia interesse generale di approfondire questo, per ogni fascicolo.

Perché ho presentato questa proposta di legge? Perché sono andato a verificare che fino ad oggi, in nessun caso, non dico è stata sancita la responsabilità disciplinare di un magistrato che ha arrestato qualcuno ingiustamente, ma non è neanche finito sul tavolo del CSM, che poteva assolvere o poteva stabilire la responsabilità disciplinare. Perché non è finito? Perché con i nostri tempi della giustizia, la dilatazione dei tempi, l'arresto ingiusto avviene in una fase, l'assoluzione avviene magari sette, otto, dieci anni dopo, l'indennizzo per ingiusta detenzione avviene dopo altri due, tre, quattro anni. E, allora, passa tutto questo tempo e, a distanza di tutto quel tempo, chi ha stabilito l'arresto ingiusto magari è già andato in pensione, magari è stato promosso, magari si è trasferito, magari svolge un altro incarico.

Però noi abbiamo la vicenda che rievochiamo molto spesso, quella di Enzo Tortora: è emblematica, è emblematica anche nel percorso che hanno svolto coloro che si sono occupati di quella pratica. Questo noi vogliamo, vogliamo che non si analizzino solo le ipotesi di responsabilità disciplinare – che so? l'obbligo di rendersi reperibile –: abbiamo un'ipotesi, se il magistrato non si rende reperibile, avviano l'azione disciplinare. Ma ci sono dei casi che, invece, scuotono il sistema, e questi sono questi casi. È semplicemente un trasferimento e una valutazione. Sono convinto che il Ministero della Giustizia, con questi documenti, questi atti, abbia la facoltà di avviare l'azione disciplinare, ma svolgerà, attraverso i suoi uffici, una valutazione serena, alla luce delle norme. La stessa cosa il procuratore generale.

Sono rimasto un po' stupito dalla reazione dell'Associazione nazionale magistrati, che, nei giorni scorsi, ha preso una posizione contraria, preoccupata, quasi che attraverso questa norma si tenda ad influenzare la magistratura, a far agire con mano tremula la magistratura, che non potrebbe più essere così severa, come l'istanza di sicurezza dell'attualità dovrebbe richiedere. Non è così, noi andiamo a vedere quando era stato arrestato qualche innocente; e penso che non venga compromessa alcuna istanza di sicurezza dalla segnalazione e dalla valutazione di casi di innocenti che sono finiti in carcere. Anzi, è l'opposto, qui si parla di credibilità, più che di altro. Approfitto anche del fatto che a rappresentare al Governo c'è il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, per evidenziare una circostanza che ho già segnalato al Presidente della Camera, due o tre mesi fa: vedete, nella legge sulla custodia cautelare è inserita una norma. Penso che sia una norma che consenta al Parlamento di analizzare la situazione. Il Governo deve svolgere una relazione sui casi di custodia cautelare dell'anno precedente, spiegare quanti sono stati, per quale ragione, come è intervenuto il tribunale del riesame, come sono andati i provvedimenti, eccetera. Non so se sia arrivata, ma, guardate, c'è, ma non è stata fatta quella di quest'anno. Quella di quest'anno non c'è.

LUCA RODOLFO PAOLINI (LEGA). Non c'è!

ENRICO COSTA (FI). Mi si dice che c'è, quella di quest'anno non è arrivata in Commissione; è arrivata quella dell'anno scorso sui dati 2017, è arrivata a maggio. La legge prevede che debba arrivare al Parlamento entro il 31 gennaio. Non so se è arrivata quella di quest'anno; se è arrivata quella di quest'anno, non ci è ancora stata consegnata, quindi è arrivata negli ultimi tempi.

Ecco, penso che ci debba essere anche una tempestività nel fornire questi dati al Parlamento. Io non do la colpa al Governo, una volta tanto, perché so che sono i tribunali che non trasmettono i dati in tempo. Lo scorso anno, a maggio, soltanto il 73 per cento dei tribunali aveva trasmesso i documenti: ma questo è normale? E' normale che un presidente del tribunale si permetta di non trasmettere i documenti al Ministero della giustizia e il Ministero della giustizia, a questo punto, sia costretto a ritardare una relazione prevista dalla legge per il Parlamento? Queste sono ipotesi di responsabilità disciplinare. Mi piacerebbe sapere se il Ministro Bonafede ha assunto dei provvedimenti di fronte a questi ritardi. Io ho apprezzato molto il lavoro costruttivo che si è svolto in Commissione. Questo testo è stato approvato all'unanimità e l'auspicio è che si possa replicare anche nell'Aula di questa Camera; poi, chiaramente, ci potranno essere delle valutazioni sui singoli emendamenti, però è chiaro che è stato un segnale di maturità, un segnale di condivisione e un segnale che probabilmente questa norma va a colmare una lacuna, che è giusto che venga colmata in modo equilibrato. Speriamo che questi numeri, queste mille persone private ingiustamente della libertà ogni anno possano, nel corso degli anni, diminuire sempre di più (Applausi dei deputati dei gruppi Forza Italia-Berlusconi Presidente, Lega-Salvini Premier e Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Luca Paolini. Ne ha facoltà.

LUCA RODOLFO PAOLINI (LEGA). Grazie, Presidente. Parlare dopo l'onorevole Zanettin, che è valente avvocato, parlamentare di lungo corso e anche membro del CSM, e l'onorevole Costa, pure lui valente avvocato, parlamentare di lungo corso e già Sottosegretario alla giustizia, è difficile perché hanno detto praticamente tutto (Costa, poi, è anche il promotore di questa legge). Vorrei però aggiungere qualche piccola glossa che, forse, nella concitazione è sfuggita. In primis, le reazioni dell'ANM, di paura, di preoccupazione, mi sembrano palesemente infondate. Come ricordava già il relatore, ma come è scritto soprattutto nella legge, qui non stiamo facendo nulla di innovativo: stiamo semplicemente facendo sì che quello che già è previsto dalla legge segua un percorso più ordinato. Non si tocca nulla in merito all'accertamento della responsabilità, che comunque compete sempre ad alti magistrati; facciamo solo in modo che, laddove questa legge - che peraltro ha avuto in Commissione l'unanimità dei consensi - venga approvata in questo Parlamento, si inneschi un percorso chiaro che porti alla trasmissione delle carte, né più né meno, ai competenti organi: al Ministero della giustizia in alcuni casi e nei casi più gravi alla procura generale presso la Corte di Cassazione, cioè al supremo garante del corretto esercizio dell'azione penale. Quindi, non vedo alcuna preoccupazione.

Un'altra cosa che mi preme specificare è che qui si parla di riparazione come strumento indennitario da atto lecito e non strumento risarcitorio. Ciò significa che se anche qualcuno ha ingiustamente patito la detenzione o l'arresto, non per questo significa che chi ha determinato quelle misure sia automaticamente colpevole: assolutamente no. Faccio mia la preoccupazione dell'ANM, che dice, effettivamente, che in fase cautelare, quando la conoscenza dei fatti è soltanto frammentaria e parziale, il compito del magistrato è quello difficilissimo di effettuare un attento ma fisiologicamente provvisorio bilanciamento tra le fondamentali garanzie di libertà del singolo e le altrettanto insopprimibili esigenze di tutela della collettività: applauso, giustissimo! Ma che significa? Significa che, giustamente, quando il magistrato, per garantire la collettività dal lasciare in libera circolazione qualche pericoloso delinquente, avesse anche commesso un errore procedurale, sarà senz'altro l'organo competente a giudicare che dirà: Sì forse, le “Pandette” non sono state rispettate al 100 per cento, ma in questo caso non c'è nessun tipo di responsabilità, perché si è agito in assoluta buona fede e nell'esclusivo interesse della collettività.

Noi, io, ma credo anche il partito che rappresento e credo tutte le persone di buona volontà e di onestà intellettuale, siamo lontani un miliardo di miglia dall'ipotesi di avere una magistratura asservita al potere politico, asservita a chicchessia. Il magistrato deve essere libero nec spe, nec metu. Il magistrato, per essere una garanzia per me e per tutti noi, deve essere libero da qualsiasi speranza e da qualsiasi paura, quindi questo non è uno strumento assolutamente mirato e diretto a quella finalità. Questo è uno strumento che - come ricordava poc'anzi Costa - vuole far sì che ci sia, da parte di qualche disattento magari, o da qualche pressappochista, che esiste in tutte le categorie, una maggiore attenzione. Quando si parla di qualcosa come 800 milioni di euro spesi in risarcimenti - anzi in indennizzi - e quando si parla di 26 mila persone ingiustamente detenute, è chiaro che noi parliamo di una cifra importante. Siamo certi che di queste 26 mila persone, magari il 90 per cento è stato coinvolto senza alcuna negligenza in una situazione che merita risarcimento ma che non implica responsabilità; tuttavia, se ci fossero 2.000 persone che devono la loro malaugurata avventura a una scorretta o disattenta applicazione della legge, mi pare che sia giusto che gli organi competenti ne siano ufficialmente informati e tempestivamente informati. Quindi, io credo che questa legge sia assolutamente utile al nostro ordinamento, utile soprattutto ai cittadini e soprattutto utile a far sì che in tutte le ipotesi in cui sia necessario prestare quel quid di attenzione in più da parte di chi ha l'altissimo onere ed onore di giudicare della vita e della libertà delle persone - che già è attentissimo -, costui sia portato ad essere ancora più attento ad evitare che questi casi si ripetano.

Mi pare di non dover aggiungere altro perché - lo ripeto - hanno detto molto, se non tutto, i colleghi; certamente i dati del MEF che sono stati citati sono, in qualche modo, preoccupanti, come sono i significativi gli indennizzi che nel 2018 abbiamo corrisposto a circa 630 persone, che hanno - come ha ricordato Costa - percorso tutte le istanze, quindi sono certamente di più. Parliamo di 37.000 euro a persona, a provvedimento; se riuscissimo a risparmiare questi 37.000 euro cadauno e ad impiegarli magari per assumere nuovo personale, per attivare nuove sedi e nuove carceri, ad esempio, probabilmente faremmo un servizio alla giustizia, che certamente va a vantaggio dei cittadini e della stessa magistratura.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Alfredo Bazoli. Ne ha facoltà.

ALFREDO BAZOLI (PD). Grazie, Presidente. Anche io vorrei dare il contributo mio personale, ma anche a nome del Partito Democratico, in questa discussione generale, partendo da una considerazione, che è stata peraltro ricordata poc'anzi dal collega Costa e anche dal collega Paolini, cioè che siamo in Aula su un provvedimento che ha, di fatto, trovato un unanime consenso in Commissione; questo a testimonianza del fatto che è un provvedimento che ha caratteristiche di equilibrio e ragionevolezza, che ha trovato l'unanime consenso dei gruppi parlamentari a prescindere dalla posizione di maggioranza e opposizione, nonostante, quindi, si tratti di un'iniziativa dell'opposizione parlamentare, perché il collega Costa è di Forza Italia.

È questa una constatazione, una considerazione che serve anche a smussare un po' di commenti che ci sono stati e che, peraltro, ha ricordato prima anche il collega Costa con una qualche preoccupazione, che è venuta in particolare dall'Associazione nazionale magistrati, sugli intendimenti veri o presunti di questo disegno di legge, che in realtà - come è stato precisato, ma credo che sia utile ribadirlo - ha solo la funzione di fare in modo che gli episodi che hanno visto una privazione della libertà personale da parte del cittadino italiano, che sono segnati da una grave negligenza da parte dei magistrati che vi hanno concorso, quegli episodi abbiano un percorso che consenta alla giustizia disciplinare dei giudici, quindi al CSM, di arrivare eventualmente all'erogazione di una sanzione, così come è previsto, peraltro, dalle regole attuali, perché, è bene ribadirlo, non si innova da questo punto di vista: le regole disciplinari che presiedono alla responsabilità dei magistrati non vengono minimamente toccate.

L'unica cosa che si fa - ed è una cosa che io penso sia utile da questo punto di vista - è fare in modo che gli organismi che presiedono all'azione disciplinare nei confronti dei magistrati siano adeguatamente informati di tutti i casi nei quali può, eventualmente, essere esercitata questa azione.

Allora, la norma che era stata scritta - che era composta di un solo articolo di legge, poi in Commissione se n'è aggiunto un altro, ma, di fatto, la sostanza non cambia - prevede che quando vi sia un'ordinanza che stabilisce un'indennità a favore di una persona che sia stata ingiustamente detenuta a qualunque titolo, quindi sia in quanto arrestata in flagranza di delitto sia in quanto fermata come indiziata di un delitto sia in quanto detenuta a titolo di custodia cautelare, ma, poi, sia riconosciuta innocente o sia riconosciuta non dovuta l'applicazione di quella misura, ebbene, in tutti questi casi in cui il cittadino può avere un'indennità, come previsto dall'ordinamento, quell'ordinanza viene trasmessa ai titolari dell'azione disciplinare in modo che possano fare le loro valutazioni ed, eventualmente, se del caso, avviare un'azione disciplinare.

Nella relazione che è stata depositata recentemente dal Ministero della giustizia - aveva ragione il collega Costa: a noi in Commissione non è ancora stata illustrata, quindi a noi non è ancora stata fornita, ma sappiamo che è stata depositata quella relazione, che fa una panoramica della situazione delle ingiuste detenzioni, quindi anche delle indennità corrisposte per ingiusta detenzione - si dà conto del fatto che gli episodi, le ordinanze di indennità che sono state emesse negli ultimi tre anni per ingiusta detenzione ammontano a una media di circa 630 ogni anno. Queste ordinanze danno luogo a un monte totale di indennità che è di circa 30-35 milioni di euro all'anno: ovviamente è una cifra consistente, un numero abbastanza consistente, ma questo - e va ribadito - non significa che siano tutti episodi che vedono una qualche responsabilità a carico di un magistrato, perché, è bene ribadirlo con grande chiarezza e sottolinearlo, l'indennità per ingiusta detenzione è esattamente un'indennità e non un risarcimento del danno proprio perché è configurata come indennità da atto lecito. Cioè, non sempre l'indennità che viene riconosciuta dalle corti d'appello per l'ingiusta detenzione di un cittadino è dovuta ad una negligenza di un magistrato, perché può ben darsi che siano episodi - e io penso che sia la grande maggioranza dei casi - nei quali sia l'arresto in flagranza, sia il fermo di indiziato di delitto, sia la custodia cautelare vengono disposti alla luce di un quadro probatorio iniziale e, anche spesso, non esaustivo, che, poi, nel corso del procedimento, si riconosce essere invece cambiato e, quindi, alla luce ex post di una valutazione successiva, si riconosce che quella detenzione non era giusta perché si riconosce una innocenza.

E l'ordinamento giustamente riconosce l'indennità anche quando non vi sia stata una violazione di legge, non vi sia stata negligenza, e lo fa sulla base, di fatto, dell'applicazione di un grande principio di civiltà che è contenuto nell'ultimo comma dell'articolo 24 della Costituzione, che dice esattamente che la legge determina le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari.

Questa indennità che riguarda l'ingiusta detenzione è né più né meno che una esplicazione di questo principio sancito dalla Costituzione ed è l'esplicazione di un principio che la Corte costituzionale ha definito principio di altissimo valore etico e sociale che va riguardato quale coerente sviluppo del più generale principio di tutela dei diritti inviolabili dell'uomo.

Quindi, è bene che ci sia, è espressione di questo principio inviolabile dei diritti dell'uomo che è previsto nell'ultimo comma dell'articolo 24 della Costituzione. Quindi, è un'indennità che non si lega automaticamente ad una responsabilità di un magistrato e, tuttavia, è evidente che ci possono essere dei casi nei quali, invece, una violazione di legge da parte del magistrato che ha applicato quella misura c'è e può essere dovuta anche a una grave negligenza. Quindi, ci possono essere dei casi in cui si rientra esattamente in quelle ipotesi in cui è prevista una sanzione disciplinare a carico del magistrato, ed è bene che sia così in quei casi, perché si tratta di casi in cui il magistrato ha fatto molto male il suo lavoro e ha inciso in maniera così pesante sulla vita delle persone.

Allora, prevedere, né più né meno, come prevede questa proposta di legge che abbiamo approvato all'unanimità, che in tutti i casi in cui ci sia un'ordinanza che riconosce l'indennità, cioè in tutti i casi in cui si riconosce che c'è stata un'ingiusta detenzione, a prescindere da una valutazione di merito, in tutti quei casi, venga informato tempestivamente il titolare dell'azione disciplinare, penso che sia una cosa che può aiutare, eventualmente, ad esercitare l'azione in quei casi in cui ci siano i presupposti che, ripeto, non sono minimamente toccati dalla legge in esame.

Quindi, io credo che si tratti di una legge che non innova in maniera straordinaria l'ordinamento giudiziario e l'ordinamento penale nel nostro sistema, ma che introduce un meccanismo che può aiutare a far emergere, più di quanto oggi non sia verificato, quei casi e quegli episodi nei quali è bene che la giustizia disciplinare dei magistrati si attivi per sanzionare un magistrato che abbia fatto molto male il suo lavoro. Purtroppo, come in tutti i casi umani, capita, anche se io sono convinto che capiti nei casi residuali, perché penso che nella stragrande maggioranza dei casi questo non capiti; però, è bene che in quei casi si attivi la giustizia disciplinare, perché questo è, credo, nell'interesse anche dei magistrati e del buon funzionamento della giustizia.

Per cui, noi ci siamo predisposti positivamente a questa proposta di legge, abbiamo preso atto delle modifiche che sono state fatte in Commissione, anche se, probabilmente, il testo presentato dal collega Costa era più lineare. Ho sentito la giustificazione che è stata fornita dalla collega dei 5 Stelle sulla differenziazione che è stata introdotta tra grave violazione di legge che autorizzerebbe l'invio del fascicolo al Procuratore generale presso la Corte di cassazione, a differenza di tutti gli altri casi in cui verrebbe coinvolto il Ministro. Credo che non fosse strettamente necessario, ma se questo serve a una maggiore chiarezza e anche ad evitare che si interpreti, come hanno fatto alcuni, questo progetto di legge come un improprio accostamento dell'indennità per ingiusta detenzione alla responsabilità disciplinare dei magistrati - è una coincidenza che, ribadisco, non esiste -, se questo serve ad evitare che si dia un'interpretazione di questo genere va bene, può essere un miglioramento, anche se il testo iniziale probabilmente era più lineare.

Detto tutto questo, io penso che il Partito Democratico voterà favorevolmente perché riteniamo che sia, comunque, un piccolo miglioramento nel funzionamento del nostro sistema (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Lucaselli. Ne ha facoltà.

YLENJA LUCASELLI (FDI). Grazie, Presidente. Concludo questo giro di discussioni generali sostituendo indegnamente il capogruppo della Commissione giustizia di Fratelli d'Italia, l'onorevole Varchi, ma lo faccio cercando di proporre alcune considerazioni del tutto personali, non solo come deputato, ma come avvocato abituato a frequentare le aule dei tribunali.Con riferimento a questo provvedimento, che parte da lontano, perché l'onorevole Costa lo aveva già presentato quando era Vice Ministro, quindi parliamo davvero di tanto tempo fa, mi viene da dire che il diavolo fa le pentole e non fa i coperchi, perché arriva in quest'Aula - noi ne discutiamo oggi e, sicuramente, sarà un dibattito davvero molto interessante quello che ci aspetta nei prossimi giorni - proprio in un momento in cui le nostre cronache sono piene di fatti relativi al CSM, alla responsabilità dei magistrati e anche alla politicizzazione di un organo che invece dovrebbe essere super partes. Credo che proprio da questo bisognerebbe partire, perché è vero che non c'è un'innovazione stravolgente, non viene stravolta la struttura della responsabilità, però dalle mie parti si dice: piuttosto che niente, meglio piuttosto. E questo è sicuramente un inizio, un inizio che è stato tra l'altro ben accolto, nonostante le prime discussioni in Commissione. Io ho sentito varie voci: c'era quella di Ferri, che inizialmente si era battuto moltissimo per la propria contrarietà a questo provvedimento; ricordo anche Saluzzo, il procuratore generale presso la corte d'appello di Torino, che aveva espresso delle considerazioni non proprio positive rispetto a questo provvedimento, sino a quando poi, invece, in Commissione si è trovata una unanimità perché si è letto il provvedimento, si è capita qual è la struttura del provvedimento. E dietro questa lettura io aggiungerei alcune considerazioni. Innanzitutto, che dovremmo essere tutti quanti, oramai, nel 2019, consapevoli del fatto che nessuno è al di sopra della legge, ed è giusto che sia così, perché nessuno deve essere al di sopra della legge, neanche i magistrati. E per noi questo è ovviamente un piccolo passo, ma è indubbiamente un modo di riportare all'interno di quest'Aula quella che è una discussione davvero fondante sul nostro sistema, cioè la riforma di tutto il sistema giustizia, perché la giustizia, la buona giustizia, si può fare solo se anche i magistrati si assumono una responsabilità, consapevolmente, delle proprie scelte, perché siamo tutti liberi di scegliere, ma nessuno dovrebbe essere libero delle conseguenze delle proprie scelte.

Questo quindi è davvero un primo passo verso una discussione che noi auspichiamo possa ampliarsi a una riforma più strutturale. I numeri ve li ha dati l'onorevole Costa: dal 1992 ad oggi ci sono stati 26 mila detenuti ingiustamente, e lo Stato ha sborsato 800 milioni di euro, una cifra che indubbiamente fa impressione, se ovviamente la rapportiamo a quello che poi succede nelle aule di tribunale. E poi, nessuno ha messo la lente d'ingrandimento sulle misure cautelari e su come queste vengono utilizzate, però bisogna necessariamente porre un argine lì dove alcune scelte diventano neanche più in punto di diritto o in punto di codice, ma diventano invece delle scelte assolutamente discrezionali, demandate alla sensibilità più o meno ampia del singolo magistrato. Dopotutto, quello che si fa in questo provvedimento è mettere un po' di ordine nell'articolo 314, che in realtà già prevede questa possibilità di indennizzo, per cui viene da dire che abbiamo scoperto l'acqua calda. In realtà, questa possibilità già c'è, quello che invece, attraverso questo provvedimento, si vuole fare è quello di far sì che finalmente possano arrivare sui tavoli, sempre poi sub iudice, quindi sempre lasciando la possibilità a un magistrato di decidere se procedere o meno, casi in cui ci siano delle discrasie lampanti fra quello che il magistrato ha deciso di attuare e quella che poi è la realtà dei fatti. Perché, vedete, quando si pongono in essere le misure cautelari - anche questo spero sia un tema che prima o poi affronteremo in quest'Aula -, le misure cautelari stravolgono la vita di chi viene attenzionato dalla misura stessa, e questo stravolgimento della vita è assolutamente repentino. Chi fa questo mestiere sa che la Guardia di finanza piuttosto che le altre Armi arrivano nottetempo, molto spesso, nell'assoluto silenzio precedente, per cui davvero è uno stravolgimento di quello che succede nella vita di un indagato.

Ecco, le misure cautelari devono avere inevitabilmente un limite, una strada, e devono essere assunte in maniera consapevole. Purtroppo, quello al quale assistiamo oggi è che, quando vengono fatti gli interrogatori, quando gli indagati vengono sentiti, anche semplicemente alzare il sopracciglio - lo diceva prima anche il collega Costa -, quindi anche il semplice fatto di esercitare un proprio diritto, come avvalersi della facoltà di non rispondere, un diritto costituzionalmente garantito, anche in quel caso c'è la possibilità che il magistrato che indaga e che poi è chiamato ad emettere la misura cautelare possa essere indotto in errore, ma non perché sia l'indagato che vuole indurre in errore, ma perché ovviamente ognuno di noi ha una sua sensibilità, e anche per un magistrato, in quelle sedi, in quei momenti, può essere più o meno facile interpretare un atteggiamento. Quello che si cerca di fare, quindi, è di rimettere un po' sul binario corretto quella che è la possibilità di addivenire a un risarcimento, risarcimento che, ricordiamo, avviene nei confronti di persone detenute ingiustamente. Questo non lo dobbiamo mai dimenticare, perché la base, il principio fondante, è che ci sia una ingiustizia che viene subìta da un libero cittadino, e queste ingiustizie, purtroppo, sono oramai all'ordine del giorno. E allora, questa norma, che di fatto non stravolge il sistema, richiama semplicemente a un principio, che è quello che dicevo prima, il principio della responsabilità, il principio delle scelte fatte in maniera consapevole, fatte in coscienza e senza che ci sia, ovviamente, nessun tipo di pregiudizio rispetto alle decisioni.

Del resto, vedete, credo sia arrivato il momento per tutti di rendersi conto che non solo nessuno è al di sopra della legge, ma che tutti siamo fallibili, che ognuno di noi può sbagliare e che, quando si sbaglia, sia giusto riconoscerlo e che quindi si arrivi poi anche al riconoscimento del risarcimento.

Credo che sia arrivato oramai il momento, anche nella nostra nazione, di riconoscere che i magistrati sono sì magistrati, ma sono prima di tutto uomini e, in quanto tali, sono fallibili e possono sbagliare come tutti (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - A.C. 1206-A)

PRESIDENTE. Il relatore Zanettin ha già segnalato di non voler replicare. Prendo atto che neanche il Governo intende farlo. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione della mozione Fornaro ed altri n. 1-00198 concernente iniziative di competenza per l'effettiva interruzione della esportazione e del transito di armamenti verso l'Arabia Saudita ed altri Paesi coinvolti nel conflitto in Yemen (ore 18,12).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Fornaro ed altri n. 1-00198, concernente iniziative di competenza per l'effettiva interruzione dell'esportazione e del transito di armamenti verso l'Arabia Saudita ed altri Paesi coinvolti nel conflitto in Yemen (Vedi l'allegato A).

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione è pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta del 18 giugno 2019 (Vedi l'allegato A della seduta del 18 giugno 2019).

Avverto che sono state presentate le mozioni Quartapelle Procopio ed altri n. 1-00202, Lollobrigida ed altri n. 1-00203 e Cabras, Formentini ed altri n. 1-00204, che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente (Vedi l'allegato A). I relativi testi sono in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.

È iscritto a parlare il deputato Nicola Fratoianni, che illustrerà anche la mozione Fornaro ed altri n. 1-00198, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

NICOLA FRATOIANNI (LEU). Signor Presidente, signori del Governo, la mozione di cui discutiamo oggi riguarda una questione terribilmente seria, non solo perché è relativa ad un conflitto armato che va avanti ormai da diversi anni, esploso nel marzo 2015 e che tutt'oggi miete quotidianamente vittime per lo più vittime civili, innocenti - spesso parliamo di bambini e di bambine, di minori del tutto incolpevoli - ma perché questa vicenda, che incrocia le sorti del nostro Paese attorno al tema del commercio delle armi, dei sistemi militari e del loro transito, anche qualora non provengano da stabilimenti presenti sul nostro territorio, da nostre industrie, ha a che fare con l'idea della politica internazionale, della pace che abbiamo, che ha il nostro Governo, il nostro Paese, ed ha a che fare con alcune delle più grandi contraddizioni del tempo che stiamo attraversando. Io credo dunque che provare a discutere seriamente di quali siano gli strumenti in mano al Governo, alle istituzioni della Repubblica, per fare la nostra parte contro il dramma, il disastro della guerra, al di là della retorica che vorrebbe tutti e tutte contrari al massacro di migliaia e migliaia di persone, in qualsiasi area del mondo, sia oggi un dovere col quale dovremo misurarci con serietà e determinazione.

Come dicevo, il conflitto in Yemen è scoppiato nel marzo 2015, ed è un conflitto che si sviluppa tra una coalizione guidata dall'Arabia Saudita, ma formata anche da Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Qatar, Bahrain, Egitto e Sudan, intervenuta a sostegno del Presidente Hadi, e le forze dell'alleanza militare formata dagli Huhti, sostenuta dall'Iran e dalle truppe vicini all'ex Presidente Saleh. Dall'inizio degli scontri, del conflitto armato, oltre 19 mila raid aerei hanno devastato il territorio, hanno devastato scuole, ospedali, infrastrutture, obbligando 1,5 milioni di bambini a fuggire dalle loro case, uccidendo o ferendo gravemente oltre 6.500 persone, in grandissima parte minori.

I numeri di quattro anni di questa guerra sono impressionanti: 24 milioni di persone su una popolazione di 30 milioni sopravvivono solo grazie agli aiuti umanitari, 20 milioni di persone soffrono di malnutrizione, e di queste 11 milioni sono sull'orlo della carestia. 18 milioni di persone non hanno accesso all'acqua ed ai servizi igienici sanitari di base. 3 milioni sono sfollati interni. Sono numeri che dovrebbero farci molto riflettere, questi ultimi in particolare, quando ci misuriamo col tema delle migrazioni, soprattutto quando lo facciamo con le modalità e con le parole che caratterizzano questa stagione politica. Questi numeri, forniti dall'Alto Commissariato per i diritti umani delle Nazioni Unite, ci dicono che dal 26 marzo 2015, il giorno in cui è avvenuto il primo raid aereo della coalizione guidata dall'Arabia Saudita, sono stati uccisi, fino ad agosto 2017, 5.144 civili. Secondo i dati dell'Oxfam, solo nel 2018 sono stati uccisi o feriti circa 100 civili a settimana.

Tutte le parti coinvolte nel conflitto yemenita, come sempre accade in ogni conflitto, si sono rese responsabili di atrocità, di terribili colpe, ma in questo caso, secondo le Nazioni Unite, la coalizione a guida saudita sarebbe la principale responsabile delle vittime civili nel conflitto; e continua, secondo le Nazioni Unite, a commettere quotidianamente gravi violazioni del diritto internazionale umanitario e delle norme internazionali sui diritti umani. Il 25 ottobre 2018 il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione, ultima di una lunga serie, che invita il Consiglio a raggiungere una posizione comune per imporre a livello europeo, dell'Unione europea, un embargo sulle armi nei confronti dell'Arabia Saudita; chiede un embargo sull'esportazione dei sistemi di sorveglianza e di altri prodotti a duplice uso, suscettibili di essere utilizzati dall'Arabia Saudita a fini repressivi. In una risoluzione successiva, datata 14 novembre 2018 e relativa all'implementazione della posizione dell'Unione europea sull'export di armamenti, lo stesso Parlamento ha chiesto all'Alto rappresentante per la politica estera dell'Unione europea di estendere tale embargo anche agli altri membri della coalizione a guida saudita in Yemen. Nell'aprile 2019 anche la Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti ha adottato una risoluzione per porre fine a qualsiasi forma di assistenza militare degli USA nell'intervento saudita in Yemen. Germania, Svezia, Danimarca, Finlandia, Norvegia e Olanda hanno recentemente annunciato la sospensione delle forniture militari che possono venire utilizzate nel conflitto yemenita, oltre che all'Arabia Saudita, anche agli Emirati Arabi Uniti.

L'Italia ha una specifica parte di responsabilità, ed è quella di cui ci occupiamo oggi, in questa guerra, poiché alcune delle armi utilizzate contro gli yemeniti sono fabbricate, vendute o anche semplicemente transitate dal nostro Paese, nonostante il comma 6, lettera a), all'articolo 1 della legge n. 185 del 1990, affermi che l'esportazione ed il transito di materiali di armamento sono altresì vietati verso i Paesi in stato di conflitto armato, in contrasto con i principi dell'articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, fatto salvo il rispetto degli obblighi internazionali dell'Italia o le diverse deliberazioni del Consiglio dei ministri, da adottare previo parere delle Camere. Come è del tutto evidente, nessuna di queste due tipologie è presente nella situazione di cui stiamo discutendo. In Italia, a Domusnovas in provincia di Cagliari, è operante uno stabilimento della RWM Italia Spa: è una società controllata dal produttore tedesco di armi Rheinmetall AG, che produce bombe aereo da penetrazione, caricamento di munizioni a spolette, sviluppo e produzione di test di guerra ai missili, siluri, mine, mine marine, cariche di demolizione e controminamento. L'8 ottobre 2016 un raid aereo, condotto verosimilmente dalla coalizione militare a guida saudita, ha colpito il villaggio di Deir Al-Hajari, situato nello Yemen nord-occidentale; l'attacco aereo ha ucciso una famiglia di sei persone, tra cui una donna incinta e quattro bambini. Sul luogo dell'attacco sono stati rinvenuti dei resti di bombe e un anello di sospensione prodotti da questa azienda. Ad aprile 2018 una coalizione internazionale di ONG, tra cui Rete Disarmo ed altre, ha depositato un esposto alla procura della Repubblica di Roma per chiedere che venga avviata un'indagine sulla responsabilità penale dell'autorità italiana che autorizza le esportazioni degli armamenti e degli amministratori della società produttrice di armi RWM Italia Spa, per l'esportazione di armamenti destinati a membri della coalizione militare guidata dall'Arabia Saudita e coinvolti nel conflitto yemenita.

Nonostante le violazioni segnalate in Yemen, l'Italia di fatto continua ad esportare armi verso i membri della coalizione militare a guida saudita, ad avviso dei firmatari del presente atto, cioè di questa mozione, in violazione della legge n. 185 del 1990, che vieta, come abbiamo ricordato, l'esportazione di armi verso Paesi in conflitto armato ed in contrasto con le disposizioni vincolanti della posizione comune dell'Unione europea, che definisce norme comuni per il controllo delle esportazioni ed attrezzature militari, e contro le prescrizioni contenute nel Trattato internazionale sul commercio delle armi. Come evidenziato da numerosi servizi giornalistici, già a partire dal 2016 le bombe fabbricate in Sardegna sono partite sia dall'aeroporto di Cagliari-Elmas sia dal porto canale di Cagliari.

La Relazione annuale della Presidenza del Consiglio sull'esportazione di materiali militari inviata alle Camere nel mese di aprile 2019, riporta che nel 2018 sono state autorizzate esportazioni di materiali militari per l'Arabia Saudita del valore di 13 milioni e oltre di euro; nell'allegato dell'Agenzia delle dogane riporta 816 esportazioni effettuate, consegnate dunque, nel 2018, per un valore di 108 milioni. Tra queste si evidenziano tre forniture del valore complessivo di 42 milioni di euro che sono attribuibili alle bombe aeree della classe MK-80, prodotte dallo stabilimento che risiede in Sardegna, e che risalgono ad un'autorizzazione rilasciata nel 2016 dal Governo per la fornitura all'Arabia Saudita di 19.675 bombe aeree, del valore di oltre 411 milioni di euro. Si tratta, come abbiamo ricordato, delle micidiali bombe aeree della serie MK, prodotte in Sardegna dall'azienda tedesca; azienda che - è bene ricordarlo - ha la sua sede legale a Ghedi, in provincia di Brescia, e che vengono impiegate quotidianamente all'aeronautica militare saudita per bombardare indiscriminatamente lo Yemen. Un rapporto dell'ONU del gennaio 2017 ha documentato l'utilizzo di queste bombe nei bombardamenti sulle zone abitate da civili in Yemen; e un secondo rapporto, redatto da un gruppo di esperti delle Nazioni Unite, ha dichiarato che questi bombardamenti possono costituire crimini di guerra.

Alle 22,30 del 20 maggio 2019 la nave dell'Arabia Saudita Bahri Yanbu ha lasciato il porto di Genova senza imbarcare i due generatori elettrici per uso militare che sono rimasti chiusi nei magazzini dello scalo ligure. Ad impedire il carico di quei due generatori hanno contribuito in modo decisivo lo sciopero ed il presidio dei lavoratori portuali di Genova, che hanno impedito e boicottato esplicitamente le operazioni di carico di materiale bellico impiegato in operazioni definite dalle Nazioni Unite “crimini di guerra”. I lavoratori del porto di Genova, attraverso questa mobilitazione, hanno voluto lanciare un segnale forte all'Italia e all'Europa, contro una delle più gravi catastrofi umanitarie del mondo che stiamo vivendo.

Il cargo si è diretto verso Alessandria d'Egitto senza più fare tappa, come inizialmente annunciato, nel porto di La Spezia, dove, secondo parecchie indiscrezioni, all'arsenale avrebbe dovuto caricare otto cannoni semoventi, di produzione francese, destinati al conflitto nello Yemen per essere utilizzati dall'esercito saudita contro la popolazione civile di quel Paese. Si tratta degli stessi dispositivi bellici, gli otto cannoni francesi, che per un analogo boicottaggio e un'analoga forma di resistenza messa in atto dai lavoratori del porto francese non erano stati fatti imbarcare a Le Havre, scalo portuale sulla costa della Normandia.

Secondo notizie di stampa nel porto di Monfalcone la nave Norderney, dell'armatore tedesco Mlb Shipping, battente bandiera di Antigua, ha scaricato a fine maggio un quantitativo di tondini di ferro, ma nei container a bordo vi erano anche 360 bazooka e 415 missili anticarro ucraini destinati al Governo dell'Arabia Saudita. Del transito della nave e del contenuto dei container erano a conoscenza prefettura, guardia costiera e polizia che hanno proceduto ai controlli e alle verifiche obbligatorie. Tuttavia, non sono state avvisate le maestranze che avrebbero dovuto operare in presenza di un carico potenzialmente pericoloso, sollevando le proteste delle organizzazioni sindacali e dell'amministrazione comunale, anch'essa del tutto ignara del contenuto della nave approdata a Monfalcone.

Secondo gli analisti dell'Osservatorio permanente sulle armi leggere e politiche di sicurezza e difesa (OPAL) e della Rete italiana per il disarmo, Teknel, l'azienda italiana produttrice dei generatori bloccati dai lavoratori portuali a Genova, ha ricevuto l'autorizzazione a esportare all'Arabia Saudita questo tipo di generatori elettrici di tipo militare, per la prima volta nel 2018 per un valore complessivo di quasi 8 milioni di euro per 18 gruppi elettrogeni su trailer, dotati di palo telescopico per illuminazione, che alimentano 18 shelter per comunicazione, comando e controllo, in grado di gestire droni, comunicazioni e centri di comando aereo e terrestre: di questi hanno già esportato due gruppi elettrogeni e due shelter Tbs per un totale di circa 800 mila euro.

Essendo materiali che sono stati esportati con specifica autorizzazione da parte dell'Autorità nazionale per le esportazioni di materiale d'armamento, questi generatori vanno considerati a tutti gli effetti come materiali militari. L'azienda Teknel Srl di Roma ha inoltre ammesso pubblicamente che il destinatario e utilizzatore finale di questi generatori è la Guardia nazionale saudita, che è una delle Forze armate dell'Arabia Saudita.

Nel 2018 il valore totale delle licenze all'export a Riyadh è pari a 13 milioni di euro, di cui oltre la metà a favore della Teknel. Nella già citata relazione della Presidenza del Consiglio non figurano provvedimenti relativi a sospensioni, revoche o dinieghi per l'esportazione di armamenti verso l'Arabia Saudita posti in essere dal Governo Conte nel 2018. Il Presidente del Consiglio Conte, tuttavia, nella conferenza stampa del 28 dicembre 2018, ha affermato: “Il Governo italiano è contrario alla vendita di armi all'Arabia Saudita” e “ si tratta solamente di formalizzare questa posizione”. Finora però, nonostante questa solenne dichiarazione, non risulta nessun atto di sospensione né di revoca delle forniture di armamenti all'Arabia Saudita.

Nel contempo la Ministra Trenta ha dichiarato: “È un indecenza che il nostro Paese possa essere in qualche modo complice di ciò che accade in Yemen”. Bene, siamo d'accordo e tuttavia - ripeto - ad oggi nessun atto concreto e formale testimonia una presa di consapevolezza rispetto a queste dichiarazioni che determini qualche scelta concreta e definitiva rispetto alle iniziative del nostro Governo e delle nostre istituzioni.

Per questo chiediamo al Governo di impegnarsi: primo, ad esprimere in ogni consesso internazionale, sede di confronto con rappresentanti di altri Paesi stranieri, la profonda preoccupazione del nostro Paese per quello che sta accadendo in Yemen, per l'impressionante deterioramento della situazione umanitaria caratterizzata da una diffusa insicurezza alimentare e da una grave malnutrizione in alcune parti del Paese, da attacchi indiscriminati contro i civili, il personale medico e gli operatori umanitari, dalla distruzione delle infrastrutture civili e mediche a causa del persistente conflitto interno, dall'intensificarsi degli attacchi aerei ad opera della coalizione guidata dall'Arabia Saudita, dei combattimenti a terra e dei bombardamenti, nonostante i ripetuti appelli per una nuova cessazione delle ostilità; secondo, ad adottare iniziative per sospendere immediatamente ogni esportazione di materiale d'armamento e articoli correlati prodotti in Italia e destinati all'Arabia Saudita e agli Emirati Arabi Uniti che potrebbero venire utilizzati dai due Paesi nel conflitto yemenita; terzo, a farsi promotore a livello di Consiglio dell'Unione europea di un'iniziativa politica che porti all'embargo di materiale militare di tutta l'Unione europea verso i Paesi coinvolti nel conflitto yemenita, come ripetutamente chiesto anche dal Parlamento europeo; quarto, ad assumere iniziative per non autorizzare il transito e l'utilizzo di porti e aeroporti italiani da parte di cargo aerei e navali che trasportino materiali d'armamento destinati all'Arabia Saudita e a tutti i Paesi coinvolti nel conflitto in Yemen, in considerazione delle gravi accuse di violazione del diritto umanitario internazionale da parte dell'Arabia Saudita e dei suoi alleati nello Yemen, come prevedono tutte le normative nazionali e internazionali in vigore; quinto, ad attuare tutte le misure idonee dirette alla differenziazione produttiva e alla conversione a fini civili delle industrie nel settore della difesa, come previsto esplicitamente dalla legge n. 185 del 1990, anche tramite iniziative per il rifinanziamento del comma 7 dell'articolo 6 del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 149, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 237, prevedendo anche un adeguato stanziamento pluriennale e destinando almeno il 70 per cento di tale importo alle attività di riconversione dell'industria bellica, anche per sottrarre i lavoratori e le comunità al ricatto occupazionale causato da questo tipo di produzioni in territori con alti livelli di disoccupazione.

PRESIDENZA DELLA VICEPRESIDENTE MARIA ROSARIA CARFAGNA (ore 18,30)

NICOLA FRATOIANNI (LEU). Vede, signor sottosegretario, la pace non è terreno su cui è possibile cavarsela con la retorica o con le dichiarazioni di intenti. È possibile perché le leggi lo consentono e perché è necessario mettere in campo un'iniziativa concreta, determinata, che metta il nostro Paese…

PRESIDENTE. La invito a concludere.

NICOLA FRATOIANNI (LEU). … nella condizione di svolgere – e concludo -, come ho detto in apertura, un ruolo degno, forte e deciso per costruire la pace e combattere concretamente in modo pacifico la guerra e i suoi effetti.

È particolarmente urgente farlo; è particolarmente necessario farlo da parte nostra, specialmente in un momento in cui in questo Paese risuona quotidianamente la retorica sempre più insopportabile dell'“aiutiamoli a casa loro”. Per aiutare qualcuno a casa sua bisogna, innanzitutto, impedire che le case degli altri vengano devastate e distrutte dalle bombe. Se poi quelle bombe passano o partono dal nostro Paese, quella retorica diventa ancora più insopportabile. Dateci una risposta concreta.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ceccanti, che illustrerà anche la mozione Quartapelle Procopio ed altri n. 1-00202, di cui è cofirmatario.

STEFANO CECCANTI (PD). Grazie, Presidente. Ritengo che in una materia delicata come questa dobbiamo sempre avere due punti di riferimento entrambi necessari: da una parte, i princìpi che desumiamo dalla Costituzione e dalle nostre leggi in materia e, dall'altra, una lettura corretta dei fatti.

Conosciamo i principi: sono codificati nella legge n. 185 del 1990 con paletti rigorosi in materia di armi e di armamenti e sono i principi del multilateralismo, della collaborazione anzitutto nell'area politica che condivide con noi la scelta dell'Unione europea. Sulla base di tali principi questa Camera, il 19 settembre 2017, quando la situazione era ancora per così dire mossa, però votò un testo, una mozione, una sorta di early warning. Cosa diceva quella mozione? Lo ricordano tutti: impegnava il Governo a favorire, nell'ambito delle regolari consultazioni dell'Unione Europea a Bruxelles, una linea di azione condivisa in materia di esportazione di materiali di armamento, dando sostegno concreto alle iniziative internazionali per la cessazione delle ostilità e adeguandosi immediatamente alle prescrizioni o ai divieti che fossero adottati nell'ambito delle Nazioni Unite o dell'Unione europea.

Ora, dopo il 2017, l'anno di svolta è stato indubbiamente il 2018 perché nel 2018, in sede ONU, sono state accertate in maniera chiara responsabilità terribili di atrocità da parte di tutte le forze che si combattono sul campo, nessuna esclusa, e il 2018 è stato anche l'anno dell'orribile assassinio del giornalista Khashoggi.

Che cosa trarne, quindi, oggi in continuità con quell'early warning della mozione del 19 settembre 2017? È venuto il momento di sospendere qualsiasi commercio di armi e di armamenti, ed è un impegno necessario perché, sempre per richiamare il multilateralismo, ormai sono nove i Paesi, a cominciare dalla Germania e dal Regno Unito, che hanno preso questa decisione, quindi non stiamo proponendo un atto unilaterale italiano solo sulla base della nostra legislazione, ma stiamo prendendo e dobbiamo prendere una decisione molto seria, concordata con alcuni dei più importanti Stati europei. Questo sono chiamate a fare anche le forze della maggioranza. Il collega Fratoianni ricordava prima la presa di posizione del Presidente del Consiglio Conte, ma io vorrei anche ricordare che, nel 2017, quando allora si trovava all'opposizione, il MoVimento 5 Stelle aveva una forma di intransigentismo radicale, quando ancora non si erano manifestati tutti i fatti che noi poi abbiamo conosciuto e che si sono verificati nel 2018.

In questa materia non si può oscillare da un massimalismo fatto solo di principi quando si sta all'opposizione, a un realismo cinico quando si passa al Governo, arrendendosi ai fatti; c'è quella via media del realismo, che coniuga appunto i principi con la lettura corretta degli avvenimenti, per cui oggi tutte le forze, anche quelle di maggioranza, dovrebbero sentirsi unite con noi nell'assumere questo impegno a impegnare il Governo a bloccare armi e armamenti in un contesto in cui nessuna parte è esente da atrocità (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Ferro, che illustrerà anche la mozione Lollobrigida ed altri n. 1-00203, di cui è cofirmataria.

WANDA FERRO (FDI). Grazie, Presidente. Dal marzo del 2015 in Yemen è in corso una guerra civile. Quando le forze ribelli hanno preso il controllo della capitale, Sana'a, dopo aver deposto l'allora Presidente, Hādī, tutto è riconosciuto dalla comunità internazionale. Da allora, il Regno dell'Arabia Saudita, supportato da una coalizione internazionale formata da Kuwait, Bahrein, Emirati Arabi Uniti, Giordania, Marocco, Senegal e, in passato, anche da Qatar, Egitto e Sudan e con l'appoggio iniziale di Stati Uniti, Regno Unito, Canada, Francia e Turchia conduce attacchi e bombardamenti incessanti sulle città e sui villaggi yemeniti.

Questa azione militare non ha mai ricevuto un avallo formale o un preciso mandato dell'ONU, che tuttavia, attraverso il Consiglio di sicurezza, ha approvato più risoluzioni che non sono riuscite a far cessare le violenze e a dare il via a una soluzione negoziata di questo conflitto. Secondo quanto affermato dal segretario aggiunto delle Nazioni Unite agli affari umanitari e coordinatore dei soccorsi d'urgenza in Yemen, siamo di fronte alla peggiore crisi umanitaria del pianeta. Secondo le Nazioni Unite quasi l'80 per cento della popolazione yemenita ha bisogno di assistenza o protezione umanitaria. A causa del conflitto, oltre 20 milioni di persone, su una popolazione totale di 24, non hanno cibo sufficienti: 9,6 milioni sono sull'orlo della carestia e 240 mila si trovano nella cosiddetta fase 5, ossia sopravvivono a malapena alla fame.

Dall'inizio del conflitto, oltre 3 milioni e 300 mila yemeniti hanno lasciato le loro case, 600 mila solo nel 2018. Secondo una recente nota diffusa dall'UNICEF in occasione della Conferenza di Ginevra dei Paesi donatori sulla crisi dello Yemen, 11,3 milioni di bambini, pari all'80 per cento di tutti quelli del Paese, hanno bisogno di assistenza umanitaria; di questi, 1,8 milioni soffrono - ahimè - di malnutrizione acuta, fra cui circa 360 mila bambini sotto i cinque anni soffrono di malnutrizione acuta grave; secondo l'UNICEF, almeno 2 milioni non vanno a scuola e 8,1 milioni non hanno accesso ad acqua sicura e a servizi igienici sanitari.

Un report di esperti, pubblicato proprio dal Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite, diffuso il 28 di agosto 2018, ha accusato le forze governative dello Yemen, la coalizione a guida saudita che li appoggia e i ribelli del movimento Huthi, di non aver fatto assolutamente nulla per impedire o ridurre la morte di civili. Secondo lo stesso report, poi diffuso a settembre dall'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani, i Governi dello Yemen, degli Emirati Arabi Uniti e dell'Arabia Saudita si sarebbero resi responsabili anche di crimini tremendi di guerra, come stupri, torture, sparizioni forzate e privazioni del diritto della vita. Anche le milizie ribelli degli Huthi, secondo il report, si sarebbero rese responsabili di crimini di guerra nel Paese arabo, verso cui, a differenza degli Emirati Arabi Uniti e dell'Arabia Saudita, è in vigore un embargo sulle forniture degli armamenti.

In data 30 ottobre 2018, il Segretario di Stato, Mike Pompeo, ha chiesto un'immediata cessazione degli attacchi aerei condotti dalla coalizione a guida saudita contro i ribelli nelle aree popolate da civili e, allo stesso tempo, uno stop anche agli attacchi condotti dagli stessi ribelli in territorio saudita. Secondo Pompeo è arrivato il tempo per la cessazione delle ostilità, inclusi i bombardamenti con missili e droni dalle aree controllate dai ribelli verso l'Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti. Di conseguenza, dovranno cessare anche i raid della coalizione saudita verso le aree popolate da civili nello stesso Yemen. Nella stessa data Jim Mattis, ex sottosegretario alla Difesa degli Stati Uniti, ha invitato le parti in conflitto in Yemen a imporre un cessate il fuoco per intraprendere e negoziare la pace. A seguito degli appelli e della disponibilità della Svezia ad ospitare i colloqui di pace, lo scorso dicembre sono iniziati a Stoccolma i colloqui di pace tra le parti che combattono in Yemen, poi proseguiti con le riunioni tecniche in Giordania, a febbraio, che hanno interessato le questioni principali, dallo scambio dei prigionieri fino al raggiungimento di un compromesso preliminare nell'attuazione della tregua e sul ritiro delle rispettive truppe dal porto.

La situazione umanitaria in Yemen è devastante e, come raccontano i dati recentemente diffusi, in continuo peggioramento. Occorre uno sforzo affinché tutte le parti in conflitto adempiano alle loro responsabilità, consentendo l'erogazione senza impedimenti degli aiuti umanitari, compresi cibo, acqua e medicinali a favore della popolazione civile. È, quindi, estremamente urgente porre quanto prima fine ai combattimenti, al fine di rendere lo Yemen uno Stato pacifico e pluralistico nell'interesse di tutti i suoi cittadini, indipendentemente dall'etnia o fede e libero da ingerenze esterne.

A tal fine la Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti, nelle settimane passate, ha approvato una risoluzione finalizzata a ritirare il sostegno militare degli Stati Uniti per la campagna a guida saudita nello Yemen, mentre la Germania ha sospeso le esportazioni di armi a partire dal prossimo 9 marzo verso l'Arabia Saudita fino a quando non vi saranno sviluppi nel processo di pace con lo Yemen. Stessa cosa hanno già fatto Danimarca, Finlandia, Norvegia e Olanda in Europa, sulla scia della risoluzione del Parlamento europeo dello scorso 25 ottobre che chiedeva l'adozione di un embargo totale sulla vendita di armamenti all'Arabia Saudita, date le gravi violazioni di diritto umanitario internazionale perpetrate da questo Paese e accertate da autorità competenti delle Nazioni Unite. Anche in ragione delle licenze di esportazione di materiali d'armamento italiano all'Arabia Saudita, agli Emirati Arabi Uniti e ad altri Paesi coinvolti nel conflitto, sarebbe, quindi, opportuno che venissero assunte delle iniziative chiare per favorire e supportare, ove possibile, la riconversione in produzioni civili delle attività delle aziende attualmente interessate alla produzioni di armi, anche attraverso, ovviamente, l'istituzione di un fondo ad hoc e il rifinanziamento degli incentivi per la ristrutturazione e la riconversione dell'industria bellica, destinati alle imprese che operano nel settore della produzione di materiali di armamento, ai sensi dell'articolo 6, commi 7, 8, 8-bis e 9, del decreto-legge 20 maggio 1993 n. 149, convertito con modificazioni, dalla legge del 19 luglio 1993, n. 237.

Noi chiediamo di impegnare il Governo su alcuni punti essenziali: il primo, a chiedere in tutte le sedi competenti l'immediato cessate il fuoco e l'interruzione di ogni possibile iniziativa militare in Yemen; secondo, a continuare a sostenere l'iniziativa dell'inviato speciale delle Nazioni Unite per lo Yemen, Martin Griffiths, affinché si arrivi se necessario al ritiro delle truppe in campo; terzo, a proseguire con gli altri partner internazionali all'azione umanitaria coordinata sotto la guida delle Nazioni Unite, per alleviare le sofferenze della popolazione yemenita, come stabilito nella terza conferenza dei donatori che si è svolta a Ginevra; quarto, a valutare l'avvio di un'iniziativa finalizzata alla previsione da parte dell'Unione europea di una moratoria sulle bombe d'aereo e relativa componentistica nei confronti di tutti i Paesi coinvolti nella guerra in Yemen; quinto, a promuovere l'istituzione di un'inchiesta internazionale o di un tribunale internazionale per accertare e condannare le responsabilità per eventuali crimini commessi dalle parti in conflitto Yemen; in sesto luogo, ad assumere iniziative affinché si applichino rigorosamente le disposizioni della legge n. 185 del 1990 e della posizione comune 2008/944, ovvero per sospendere le esportazioni di bombe d'aereo e relativa componentistica verso l'Arabia Saudita fino a quando non vi saranno sviluppi nel processo di pace per lo stesso Yemen; a favorire - numero sette e ultimo - e a supportare, anche attraverso la destinazione di specifici incentivi, la differenziazione dei materiali d'armamento prodotti dalle aziende del settore al fine di salvaguardare i livelli occupazionali.

Signor sottosegretario - ovviamente tramite il Presidente - vorrei che arrivasse questo messaggio forte e chiaro anche al Ministro. È proprio vero che si vive in un mondo pericoloso, ma non è soltanto il vivere in un mondo pericoloso per chi compie in qualche modo delle azioni malvage, ma soprattutto per quelli che troppo spesso non hanno la volontà di fare delle scelte e trovano più comodo girarsi dall'altra parte (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Fassina, che non c'è; quindi, s'intende che vi abbia rinunciato.

Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire nel prosieguo.

Il seguito della discussione è rinviato, quindi, ad altra seduta.

Sui lavori dell'Assemblea.

PRESIDENTE. Avverto che lo svolgimento della discussione sulle linee generali degli ultimi argomenti previsti all'ordine del giorno avrà luogo nella seduta di domani, martedì 25 giugno, a partire dalle ore 9,30.

Discussione del disegno di legge: Delega al Governo in materia di turismo (A.C. 1698-A) (ore 18,45).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge n. 1698-A: Delega al Governo in materia di turismo.

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta del 20 giugno 2019 (Vedi l'allegato A della seduta del 20 giugno 2019).

(Discussione sulle linee generali – A.C. 1698-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari MoVimento 5 Stelle e Partito Democratico ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.

Avverto, altresì, che la X Commissione (Attività produttive) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire la relatrice, onorevole Andreuzza.

GIORGIA ANDREUZZA , Relatrice. Grazie, Presidente. Rappresentanti del Governo, onorevoli colleghi, la X Commissione ha avviato l'esame in sede referente del disegno di legge n. 1698 nella seduta del 16 aprile 2019. L'ufficio di presidenza della Commissione, integrato dai rappresentanti dei gruppi, ha convenuto, nella riunione dell'8 maggio 2019, di svolgere una serie di audizioni informali, che hanno avuto luogo nelle sedute del 13, 28, 29 maggio e del 4 e 5 giugno. Nel corso delle audizioni sono stati ascoltati il capo Dipartimento settore turismo del Ministero delle Politiche agricole, alimentari, forestali e del turismo, i rappresentanti del CNEL, dell'Istat, di ENIT, Agenzia nazionale del turismo, dell'Agenzia del demanio e della Conferenza delle regioni e delle province autonome. Sono stati, inoltre, ascoltati i rappresentanti delle categorie interessate e i rappresentanti dei consumatori, oltre ad alcuni rappresentanti di società di intermediazione. Si è altresì svolta l'audizione di Roberto Vitali e Flavia Maria Coccia, già componenti del comitato per la promozione e il sostegno del turismo accessibile. Altri soggetti, che non è stato possibile ascoltare in audizione, hanno inviato un contributo scritto. Tutti i soggetti auditi hanno lasciato importanti contributi in materia di turismo ai fini del provvedimento. Si è avviato un costruttivo confronto in Commissione, tenendo conto che con questo provvedimento iniziamo a intervenire in uno dei settori importanti del nostro Paese, che presenta un'economia con segnali di continua crescita a livello internazionale e presenta uno scenario futuro rilevante su cui il nostro Paese può e deve dare un ruolo importante.

Trattandosi di un disegno di legge di delegazione, il testo è stato inviato, ai sensi dell'articolo 16-bis, comma 6-bis, del Regolamento, al Comitato per la legislazione, che ha espresso il proprio parere, con condizioni e osservazioni. Nella seduta del 18 giugno, la Commissione ha esaminato le proposte emendative valutate ammissibili dalla presidenza, approvandone diverse, di cui alcune della sottoscritta in qualità di relatrice e altre presentate dai colleghi deputati sia della maggioranza sia dell'opposizione.

Sul testo risultante dagli emendamenti è pervenuto il parere favorevole della I Commissione e della Commissione parlamentare per le questioni regionali e il parere favorevole, con un'osservazione, della XIV Commissione. Infine, nella seduta del 20 giugno, la Commissione mi ha conferito il mandato da relatrice a riferire in senso favorevole all'Assemblea sul provvedimento.

Il disegno di legge risultato dall'esame in sede referente si compone di tre articoli. L'articolo 1, comma 1, conferisce una delega al Governo in materia di turismo. I principi e i criteri direttivi della delega, recati al comma 2, prevedono, alla lettera a), di organizzare le disposizioni per settori omogenei o attività mediante la revisione e l'aggiornamento del codice della normativa statale in tema di ordinamento e mercato del turismo, di cui al decreto legislativo n. 79 del 2011. Con l'approvazione di un emendamento della sottoscritta in qualità di relatrice è stato aggiunto il criterio di prevedere, ove necessario, nuove disposizioni che regolino settori turistici emergenti: tra questi, il turismo sostenibile, il turismo sanitario e termale, il turismo rurale, l'ittiturismo, il turismo esperienziale e il turismo delle radici.

Alle lettere b) e c) si delega il Governo a coordinare il testo delle disposizioni legislative vigenti e ad adeguare, aggiornare e semplificare il linguaggio normativo.

In sede referente è stata inserita la lettera d) con il criterio direttivo della semplificazione, riduzione o eliminazione degli oneri burocratici, della certezza dei tempi e della tempestività dei procedimenti per la nascita di nuove imprese nel settore del turismo.

Si delega, inoltre, il Governo, ai sensi della lettera e), a indicare esplicitamente le norme da abrogare e, ai sensi della lettera f), a prevedere che, nei casi in cui sia necessario autorizzare interventi potenzialmente identici, l'amministrazione competente abbia facoltà di adottare provvedimenti di carattere generale; ai sensi della lettera g), a prevedere l'obbligo, a carico delle pubbliche amministrazioni, di un quadro di interoperabilità tra le diverse banche dati, di rendere facilmente conoscibili e accessibili le informazioni, i dati da fornire e la relativa modulistica.

Si rileva la lettera h), che indica come principio e criterio direttivo per l'esercizio della delega l'armonizzazione con il diritto europeo della normativa nazionale in materia di turismo, nei limiti delle competenze statali e tenuto conto delle esperienze regionali già maturate. Le attività da intraprendere in questa azione sono: il riordino e l'aggiornamento della normativa in materia di professioni turistiche, con la previsione di specifiche disposizioni per il contrasto del fenomeno di esercizio abusivo delle stesse professioni; la revisione e l'aggiornamento della normativa relativa alle classificazioni delle strutture alberghiere, rafforzando le misure di contrasto all'abusivismo di settore; l'individuazione dei fabbisogni e la semplificazione delle procedure uniformi di raccolta, condivisione, monitoraggio, analisi e gestione dei dati ai fini del miglioramento della qualità dell'offerta turistica, anche attraverso l'utilizzo di un codice identificativo nazionale, tenendo conto delle esperienze regionali esistenti al fine di riqualificare tutta l'offerta ricettiva imprenditoriale ed occasionale; l'individuazione degli strumenti più idonei finalizzati alla previsione di una tutela più favorevole per l'attività svolta dai lavoratori stagionali del turismo.

Con la lettera i) si delega il Governo a prevedere la creazione di un sistema informativo che consenta una più agevole consultazione e conoscenza della programmazione turistica avviata dalle regioni, dei bandi europei, nazionali e regionali destinati al settore turistico, delle normative regionali inerenti l'offerta turistica del proprio territorio, delle strutture ricettive e dell'offerta turistica disponibile nei siti riconosciuti patrimonio dell'umanità.

Desidero evidenziare la previsione della lettera l), inserita in sede referente con un mio emendamento in qualità di relatrice, che delega il Governo a sviluppare il modello di turismo accessibile mediante l'armonizzazione della normativa nazionale agli articoli 7 e 30 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità.

È altresì prevista la formazione di tutta la filiera delle figure professionali, turistiche e tecniche, anche integrando e aggiornando i programmi di studio degli istituti tecnici e delle università, la riqualificazione e la valorizzazione di strutture turistico-ricettive, anche attraverso sistemi di coinvolgimento dei patrimoni immobiliari pubblici da destinare ad un'offerta a costo sostenibile e di qualità rivolta a famiglie numerose, anziani e giovani, la promozione di interventi mirati al soddisfacimento di specifiche richieste connesse a problematiche di allergie e intolleranze alimentari, la creazione del brand “turismo accessibile Italia” e la sua promozione a livello nazionale e internazionale, la promozione di un'offerta integrata di servizi turistici attraverso la creazione di una rete denominata rete accessibile tra gli enti locali, gli operatori turistici, le associazioni e le organizzazioni maggiormente rappresentative, le federazioni sportive e dilettantistiche.

In sede referente, con l'approvazione di emendamenti di iniziativa parlamentare, sono state inserite le lettere m), n), o) e, p), con le quali si delega il Governo a promuovere iniziative di formazione specifica nei settori turistici, a definire i criteri in base ai quali l'attività di locazione breve si presume svolta in forma imprenditoriale, a promuovere progetti intermodali per la mobilità lenta ai fini turistici e a prevedere l'istituzione di una Scuola nazionale di alta formazione turistica. Il comma 3 regola la procedura di emanazione dei decreti legislativi attuativi della delega, che sono adottati su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, del Ministro della Pubblica amministrazione e del Ministro delle Politiche agricole, alimentari, forestali e del turismo, di concerto con il Ministro dell'Economia e delle finanze e con gli altri ministri competenti, previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, e sono sottoposti a parere del Consiglio di Stato e delle competenti Commissioni parlamentari.

In tale ambito si prevede che il Governo, qualora non intenda conformarsi ai parametri parlamentari, trasmetta nuovamente i testi alle Camere con le proprie osservazioni e con eventuali modificazioni per essere nuovamente sottoposti ai pareri delle competenti Commissioni parlamentari. Si prevede una delega correttiva da esercitare entro un anno dall'entrata in vigore di ciascuno dei decreti legislativi nel rispetto della procedura e dei principi e dei criteri direttivi previsti dall'articolo. In sede referente è stato inserito l'articolo 2, che reca la clausola di salvaguardia per le autonomie speciali, prevedendo che le disposizioni della legge e dei decreti legislativi adottati in attuazione della delega di cui all'articolo 1 sono applicabili nelle regioni a statuto speciale e nelle province autonome di Trento e di Bolzano compatibilmente con i rispettivi statuti e le relative norme di attuazione e senza nuovi e maggiori oneri per le stesse. L'articolo 3 reca una clausola di invarianza degli oneri per l'attuazione della delega recante l'articolo 1.

Ritengo che, in questa fase, il contributo di tutti i gruppi abbia arricchito la delega, i contenuti sono utili, si sia pensato sia alla fase di aggiornamento e miglioramento dello stato esistente, ma si siano anche dati punti importanti su cui lavorare in prospettiva futura per rendere competitivo il nostro Paese e trarre dal turismo i benefici legati sia allo sviluppo e all'economia, ma anche alla sostenibilità e alla valorizzazione di tutte le eccellenze che il nostro Paese offre.

PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire successivamente.

È iscritta a parlare l'onorevole Orrico. Ne ha facoltà.

ANNA LAURA ORRICO (M5S). Signor Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, rappresentanti del Governo, il provvedimento all'esame di questa Camera, ovvero il disegno di legge di delega al Governo in materia di turismo, rappresenta un primo passo significativo dell'impegno di questa maggioranza riguardo a uno dei settori economici cruciali del nostro Paese, dove l'Italia esprime il meglio del proprio patrimonio culturale, ambientale, enogastronomico e artigianale. Intanto bisogna preliminarmente ricordare che la legge delega è un atto con cui il Parlamento cede al Governo la funzione legislativa, stabilendo principi e criteri ai quali l'Esecutivo deve attenersi per disciplinare una determinata materia.

Abbiamo scelto questa modalità per accelerare il percorso normativo in un settore che, negli ultimi decenni, ha visto manifestarsi un certo disordine legislativo, poiché si tratta di una materia di competenza esclusiva delle regioni, ma che di contro vede lo Stato entrarvi su tutta una serie di temi trasversali, oltre che essere un settore che ha visto anche un'evoluzione notevole grazie alla nascita dell'economia digitale e dell'economia della condivisione.

Con questa legge delega ci poniamo, tra gli altri, l'obiettivo di riordinare la normativa in materia di professioni turistiche, rivedere la normativa relativa alla classificazione delle strutture alberghiere ed extra alberghiere, semplificare la procedura di raccolta, condivisione e monitoraggio dei dati sui flussi turistici al fine di migliorare la qualità dell'offerta turistica nel nostro Paese. Partendo proprio da quest'ultimo punto, durante le audizioni in Commissione è emerso come ad oggi non esista un centro unico di monitoraggio e raccolta dei dati sui flussi turistici, le abitudini, le aspettative e il grado di soddisfazione dei turisti che arrivano nel nostro Paese.

Ciascuna regione, provincia, comune o associazione di categoria procede per proprio conto, e questo si riflette inevitabilmente nell'impossibilità di strutturare una strategia condivisa a livello nazionale in materia di turismo che, rispettando le peculiarità di ogni singolo territorio, sia in grado di posizionare nel mercato mondiale un'identità unica e forte del brand Italia. L'Istat ci dice che nel 2017 l'Italia, con una quota del 13,4 per cento, è il quarto Paese in Europa per numero complessivo di presenze di turisti negli esercizi ricettivi. I dati provvisori del 2018 ci dicono che è stato un anno di crescita dei flussi turistici con circa 428 milioni di presenze in più. La ricettività turistica è rappresentata da 204 mila esercizi, che garantiscono circa 5 milioni di posti letto, di cui oltre la metà sono offerti da strutture extra alberghiere, che, ovviamente, sono aumentate grazie all'utilizzo del web e alla nascita della sharing economy, ovvero di quell'economia basata sulla condivisione di spazi, case, servizi e prodotti tra più utenti.

Altro dato importante sulle presenze turistiche nel nostro Paese è rappresentato dall'elevato grado di concentrazione delle stesse. Basti pensare che da soli i dieci comuni intorno alla laguna di Venezia fanno le stesse presenze dell'intera Lombardia, ed è ovvio che questa elevata concentrazione di flussi turistici in determinati territori crea dei problemi dal punto di vista dell'impatto ambientale, perché aumenta la produzione dei rifiuti e aumenta lo stress per le comunità interessate. Per questo diventa centrale sostenere una politica che incentivi lo sviluppo di un turismo maggiormente sostenibile.

All'interno della legge delega abbiamo voluto inserire un riferimento esplicito anche al turismo accessibile, sul quale è fondamentale puntare al fine di garantire a tutti il diritto di viaggiare e godere delle meraviglie che offre il nostro Paese. Ad oggi si calcola che il reddito potenziale derivato dal turismo accessibile ammonti a circa 166 miliardi di euro e i numeri ci dicono che questo mercato si aggira intorno ai 127 milioni di persone che non viaggiano a causa delle barriere architettoniche e dei servizi poco pensati per loro. Ecco perché ci impegniamo attraverso una serie di emendamenti approvati in Commissione a promuovere misure di innovazione e specializzazione della filiera turistica, al fine di renderla sostenibile e accessibile ad ogni tipo di disabilità, garantendo la formazione di professionalità adeguate ai principi dell'accessibilità, consentendo alle strutture di migliorare la qualità dei propri servizi e valorizzando buone pratiche e modelli di governance.

Il turismo accessibile non è altro che l'insieme dei servizi e delle strutture in grado di permettere a persone con bisogni speciali di fruire della vacanza e del tempo libero in condizioni di autonomia, sicurezza e comfort con dignità e secondo il principio di uguaglianza. Ecco perché progettare e proporre strutture turistiche sempre più accessibili è un atto di responsabilità civile e morale, e diventa anche un'occasione di investimento economico vantaggioso, poiché si inserisce all'interno di un mercato in rapida crescita.

Turismo accessibile significa, quindi, un turismo che offre più opportunità per tutti, non solamente per la persona con disabilità, ma per tutti gli attori coinvolti, i familiari, gli accompagnatori, le strutture ricettive, la comunità che accoglie. Ecco perché il turismo accessibile non è una forma di turismo esclusivo, cioè dedicato ad un'élite di persone, ma è una forma di turismo inclusivo.

Ed è per questo che ci proponiamo di lanciare il brand “turismo accessibile Italia”, promuovendolo a livello nazionale e internazionale. L'industria turistica, come sappiamo, ha diverse componenti che sono determinate dalla domanda turistica e sono diverse le attività che rientrano in questo settore, dalle agenzie di viaggio ai servizi di trasporto pubblico, dai servizi ricreativi e culturali fino al commercio al dettaglio. Il consumo turistico interno ammonta a circa 143 miliardi di euro e in queste cifre viene anche considerato il valore dell'economia sommersa, che purtroppo è una componente ancora rilevante in questo settore, spesso e volentieri legato alle professioni che non vengono contrattualizzate o pagate secondo le regole. Basti pensare che nel Mezzogiorno, ad esempio, la retribuzione oraria è più bassa rispetto al Centro-Nord. Per questo, abbiamo inteso inserire nella legge delega un indirizzo specifico al Governo, affinché si impegni ad attivare strumenti normativi che tutelino maggiormente l'attività svolta dai lavoratori stagionali, che rappresentano la percentuale più alta di lavoratori all'interno del settore turistico. Si aggiunge poi il mondo delle nuove professioni, nate grazie allo sviluppo della digital e app economy e del turismo esperienziale, ovvero quella forma di turismo che è legata alle peculiarità dei luoghi ed è caratterizzato dal fatto che, sempre di più, i viaggiatori oggi scelgono e prenotano da soli il proprio viaggio, programmandone ogni tappa in base all'esperienza che desiderano vivere. Attraverso il web, infatti, oggi è possibile mettere a disposizione persino la propria casa, mentre si è via per lavoro o per vacanza, e quindi scambiare con altri viaggiatori luoghi e spazi, che diventano condivisi, proprio come i servizi. Nascono pertanto nuove forme di impresa legate all'home sharing, come i co-living, che sono luoghi dove si coniugano spazi per lavorare con quelli dove poter riposare, condividendo una casa che diventa quindi un luogo per fare nuove conoscenze, scambiando idee ed esperienze. Queste nuove forme di ricettività si indirizzano a nuove forme di turismo, come quella dei nomadi digitali, professionisti che possono lavorare girando il mondo grazie al fatto che la loro attività professionale si svolge attraverso un personal computer ed una connessione ad Internet. Queste ed altre forme di turismo necessitano di un quadro normativo chiaro e semplice per consentire a tutti gli operatori di lavorare in sicurezza e a tutti gli utenti di poter godere dei servizi con lo stesso livello di qualità. Ecco perché, con un emendamento a mia prima firma, approvato in Commissione, ho voluto indirizzare l'azione del Governo nella direzione di prevedere la semplificazione, la riduzione o l'eliminazione di tutti gli oneri burocratici, oltre che la certezza dei tempi e la tempestività di tutti i procedimenti per la creazione di imprese nel settore del turismo, con un'attenzione poi al mondo delle start-up legate al turismo digitale. Nella stessa direzione va anche un emendamento approvato nel decreto “crescita”, proposto dal MoVimento 5 Stelle, a prima firma della collega Masi, che rivolge l'accesso agli investimenti sulla trasformazione digitale anche al settore turistico, che si aggiunge a quello manifatturiero. Nell'ultimo triennio il mercato italiano ha infatti registrato un aumento del 100 per cento in materia di turismo digitale, raggiungendo addirittura i 14,2 miliardi di euro, una cifra che rappresenta un quarto dell'intero valore del comparto economico di questo settore. E sono in particolare le agenzie di viaggio on line a trainare il comparto, anche se un ruolo importante lo giocano le piccole strutture ricettive, che proprio grazie all'innovazione digitale riescono ad interagire in maniera sempre più diretta con i potenziali clienti. Questo non significa permettere ai grandi player del digitale, che gestiscono le più importanti piattaforme nel settore turistico, di farla franca sul piano fiscale. Difatti, già in legge di bilancio abbiamo inserito la web tax per le aziende che abbiano un volume d'affari di 750 milioni di euro in servizi digitali offerti nel territorio italiano, di cui non meno di 5,5 milioni di euro realizzati nel territorio dello Stato tramite servizi digitali, ma è chiaro che è necessario un coordinamento e una presa di posizione univoca sul tema anche a livello europeo. Dunque, è importante anche in questo ambito fare un lavoro sinergico con tutte le parti sociali e con le imprese, per ripristinare ordine a livello normativo e avviare una strategia che rilanci ancora di più un settore che è in costante crescita e che, per il nostro Paese, può rappresentare una vera e propria industria, capace di supportare con un approccio sostenibile e innovativo, la valorizzazione delle risorse culturali dei nostri talenti artistici e artigianali. Abbiamo, come MoVimento 5 Stelle, una visione chiara sullo sviluppo economico e sociale del nostro Paese. Vogliamo che sia equilibrato e basato sul superamento di ogni forma di disuguaglianza, che sia sostenibile e punti a governare i processi di innovazione. D'altronde, proprio nel turismo andiamo a creare un Ministero ad hoc, perché solo così avremo modo di concentrare tutte le energie necessarie su quella che consideriamo una delle direttrici più importanti per lo sviluppo del nostro Paese.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Moretto. Ne ha facoltà.

SARA MORETTO (PD). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghe, colleghi, rappresentante del Governo, mi spiace interrompere la poesia con la quale è stato descritto questo provvedimento, ma sento il dovere di fare emergere anche alcune fragilità che in questo provvedimento sono contenute e desidero partire anche da una considerazione di carattere generale. È passato ormai un anno dai roboanti annunci del Ministro Centinaio sull'istituzione di un Ministero ad hoc per il turismo e, a meno che io non l'abbia visto, rispetto alla collega che è intervenuta prima di me, non mi risulta sia stato istituito; un anno nel quale appunto non solo non si è istituito il Ministero, ma nel quale non si è nemmeno strutturato il dipartimento dedicato presso il suo Ministero dell'Agricoltura, un anno nel quale il Piano strategico di sviluppo del turismo è stato fermo, un anno nel quale l'ENIT non ha approvato il Piano Triennale 2019-2021, strumento di vera programmazione delle attività, un anno di nulla quindi, nel quale ovviamente un settore strategico come il turismo è stato abbandonato. Tutto - mi spiace dirlo - come previsto; l'avevamo anticipato in sede di voto del trasferimento del turismo all'agricoltura, i capricci della Lega all'interno della maggioranza sarebbero costati tempo prezioso ad un settore strategico per il Paese. Tutto questo mentre l'Italia ha crescita zero e, per la prima volta da cinque anni a questa parte, le previsioni di presenze per la stagione estiva hanno il segno meno, certificando un rallentamento del nostro turismo, calo che coinvolge sia i turisti italiani che internazionali. Un anno perso, quindi, per un settore che contribuisce, a seconda delle stime, per più del 10 per cento del PIL, per un valore di 180 miliardi, e dà lavoro ad oltre due milioni e mezzo di persone. Questo è il primo provvedimento che la X Commissione porta in Aula come Commissione referente e qual è, quindi, il primo provvedimento che il Ministro, che ha tanto voluto gestire il turismo, propone a questa Camera? Una delega in bianco a se stesso, che esclude il Parlamento e la Commissione competente da una discussione seria e responsabile sul futuro del comparto, una delega che, soprattutto nella stesura iniziale prima del lavoro emendativo in Commissione, guarda al passato e non coglie le sfide alle quali è chiamato il settore turistico italiano. Nei lavori in Commissione, soprattutto a seguito delle audizioni svolte, il testo è stato arricchito anche attraverso l'approvazione di alcuni emendamenti del gruppo del Partito Democratico. Resta, a mio parere, un testo insufficiente, non in grado di imprimere cambiamenti significativi o dare risposte rapide ed efficaci alle questioni aperte. Perché? Prima di entrare nel merito dei contenuti, mi permetta, Presidente, di sollevare tre questioni di fondo, che evidenziano la fragilità del provvedimento in esame. Prima di tutto, quella dei tempi: i 24 mesi previsti per l'attuazione della delega sono decisamente troppo lunghi; nel mondo delle imprese private e delle professioni due anni sono un'eternità e, se davvero il Governo propone questo provvedimento per dare risposte a questioni spinose che si protraggono da anni, non può chiedere al Parlamento di lasciarlo fare e prendersi così tanto tempo; lo abbiamo detto in Commissione, ma il nostro emendamento è stato bocciato.

Vengo alla seconda questione di metodo: la scelta dello strumento legislativo, che appunto la maggioranza rivendica come scelta opportuna. Nella stesura iniziale la delega si proponeva un coordinamento normativo più generale e, nello specifico, l'intervento su tre questioni: quella delle professioni turistiche, quella della classificazione delle strutture alberghiere ed extralberghiere, e quella relativa alla gestione dei dati. Teniamo conto che, in quest'ultimo punto, la delega è già stata di fatto depotenziata perché una parte di essa, quella relativa al codice identificativo sulle strutture, è stata introdotta nel decreto “crescita” in una discussione che ha di nuovo estromesso la Commissione attività produttive. Beh, su questi punti specifici, considerato anche il lavoro fatto negli anni scorsi, dobbiamo ammettere che, su questi fronti, non si inizia da zero e, anzi, il capo dipartimento del turismo attuale ci ha confermato che, proprio dai testi elaborati dal precedente Governo, si partirà per il lavoro di attuazione della delega. Alla luce di questo, il Ministro avrebbe potuto scegliere la strada maestra prevista dalla nostra Costituzione e affidare alla discussione parlamentare una o più leggi ordinarie, che avrebbero consegnato subito al Paese norme chiare, certe e definitive.

Si è scelto invece di chiudere il dibattito dentro le mura degli uffici del Ministero dell'agricoltura.

Nel corso dei lavori in Commissione si è poi commesso un altro errore nell'utilizzo della delega: una volta acquisito, anche da parte della maggioranza, il vuoto di contenuti e criteri, con emendamenti essa è stata corposamente integrata, inserendo, tra gli altri, obiettivi che a mio parere dovrebbero trovare spazio in un piano strategico più che in una norma. Si confondono strumenti normativi con strumenti di programmazione, in un evidente rincorsa al rimedio, da un lato, e alla risposta a sollecitazioni dall'altro.

Resta infine sullo sfondo la questione delle competenze legislative: la materia del turismo è competenza esclusiva delle regioni, su questo aspetto si sono fermati e stoppati diversi tentativi di intervento statale già avviati nel passato. Su ben due delle questioni oggetto proprio di questa delega, ad esempio, quindi sulle professioni e sulla classificazione delle strutture, le regioni in passato hanno sospeso il percorso normativo e preteso di esercitare il loro potere normativo, appunto. Chiedere oggi una delega per intervenire su questi fronti senza assicurare un lavoro di intesa forte e condivisa con gli enti costituzionalmente competenti significa esporre ancora una volta il settore a perdite di tempo e a dannosi stop. Le questioni sono mature, e i professionisti e gli operatori del turismo non possono più attendere; è tempo per quella sussidiarietà orizzontale richiesta per un'unitaria programmazione e promozione dell'offerta turistica italiana. Sussidiarietà che non si impone con una legge delega ma che si costruisce nei luoghi e nelle sedi adeguate, non con riunioni e tavoli un tanto al chilo, come sta facendo il Ministro in carica, ma con scelte e atti conseguenti. Per esempio, sappiamo di un tavolo in corso sul tema della direttiva Bolkestein, ma siamo ancora in attesa del DPCM, previsto nell'ultima legge di bilancio, relativo alla proroga delle concessioni demaniali. Quindi, piuttosto che tavoli, ci aspettiamo scelte e atti concreti.

Veniamo poi ai contenuti così come definiti nel testo uscito dalla Commissione. È nell'articolo 1, ovviamente, che si concentrano oggetto e principi della delega. Un articolo originalmente vuoto e striminzito, che, in una ricorsa al recupero, poi è stato gonfiato, direi fin troppo. Abbiamo iniziato la discussione su criteri banalmente generici e condivisibili, che dicevano tutto e niente, proprio per consegnare in mano al Governo un potere legislativo pieno, libero ed indefinito. Arriva ora in Aula un testo stravolto, che, come dicevo prima, sconfina nella programmazione e rischia di irrigidire un settore che per definizione deve essere flessibile. Mi riferisco in particolare all'emendamento della relatrice che ha introdotto la delega con riferimento alla previsione di nuove disposizioni, quindi nuove ed ulteriori leggi di settore per regolare i settori turistici emergenti. E questi settori sono rigidamente identificati e definiti: turismo sostenibile, turismo sanitario e termale, turismo rurale, ittiturismo, turismo esperienziale e turismo delle radici. Il Parlamento oggi, e il Governo poi, ingabbia e - permettetemi una definizione dialettale - mette le braghe ad un comparto economico, alla libera iniziativa di impresa, al futuro del turismo. Scegliere alcune tipologie, definirle e regolarle significa non comprendere che spesso le offerte turistiche sono il giusto mix di esperienze diverse e che, ad esempio, il turismo esperienziale o sostenibile sono tratti comuni anche all'ittiturismo o al turismo rurale, che nello stesso articolo si definiscono come cose diverse. Ma anche volendo ingabbiare il turismo e le imprese turistiche - non so se gli imprenditori ne siano così contenti -, perché scegliere questi ed escluderne altri? L'elenco della spesa introdotto in questo articolo è un limite, non è un'opportunità, è un approccio rigido che non ha né visione programmatoria né imprenditoriale. A voler pensar male - e ovviamente noi non lo facciamo -, potrebbe sembrare che la maggioranza e il Ministro abbiano svolto il compitino inserendo un contentino a chi hanno incontrato in questi mesi assicurando sostegno. Ma anche fosse così, cosa avrebbero dato a questi settori emergenti? Nuove regole e nuove leggi da rispettare, non un euro di sostegno, non una strada comune da percorrere. Come ho già avuto modo di dichiarare in Commissione, sono convinta che il Piano strategico per lo sviluppo del turismo, di cui si è dotato il nostro Paese per la prima volta nel 2017, sia lo strumento nel quale indicare una strada, cogliere settori emergenti e offrire opportunità. Un conto è regolare, un altro è programmare. Con la stessa approssimazione e parzialità sono state affrontate le modifiche successive, ad esempio dove si introduce il criterio di una semplificazione burocratica specifica per le nuove imprese del turismo.

Ben venga ovviamente qualsiasi semplificazione, ma perché solo per le nuove imprese? O perché diversa da una semplificazione di cui hanno vitale bisogno le imprese che da anni operano e che hanno resistito ad anni di crisi e di difficoltà? Anche tornando agli oggetti originari della delega, non si può non evidenziare come si sia persa l'occasione di porre criteri definiti e stringenti che dessero fin da subito un indirizzo chiaro anche ai professionisti e alle imprese che li attendono. Anche qui, parzialità di visione. Quasi volendo chiudere gli occhi di fronte all'evidenza, le modifiche introdotte sia sul fronte delle professioni del turismo che sul fronte della classificazione delle strutture, si limitano a cogliere il problema dell'abusivismo - serio e concreto, sul quale non c'è assolutamente dubbio sulla condivisione - ma evitano volutamente altre questioni altrettanto importanti. Mi soffermo sulla parte relativa alle professioni. La storia della regolamentazione delle guide turistiche, per esempio, è ormai nota: vi è la necessità di coordinare le nostre norme con le direttive europee - e non vi scelta diversa, fino a che esse sono in vigore -, vi è poi la necessità di garantire chiarezza di accesso alla professione, peraltro bloccata da troppo tempo proprio a causa della mancanza di norme definite che consentano alle regioni di aprire i bandi, e chiarezza in merito all'ambito di esercizio della stessa professione. L'abusivismo, colleghi, si combatte prima di tutto così. Perché allora non cogliere il nostro emendamento, che dava cornice al lavoro del Governo partendo dalla discussione, ormai più che matura, e sancendo princìpi assolutamente condivisibili? Proponevamo il criterio di un'abilitazione unica e valida su tutto il territorio, ulteriori specifici percorsi formativi e abilitazioni definiti dalle regioni, un periodo transitorio che tuteli coloro che già esercitano le professioni e che dovranno vivere il passaggio alla nuova normativa. Negare questi principi significa rinviare ancora la discussione e lasciare nel buio migliaia di professionisti e aspiranti tali. Con un nostro emendamento poi abbiamo chiesto di dedicare una particolare attenzione alla professione delle guide alpine, tenendo conto della specificità legata alla tutela della sicurezza delle persone accompagnate. Ecco negare l'approvazione di questi emendamenti ha il sapore di un “forse ce ne occuperemo, ma lo faremo come ci pare”. La Commissione vedrà i decreti attuativi a cose fatte e darà un parere non vincolante, il nostro compito, di fatto, quindi, si esaurisce con questa delega, che in relazione alle professioni turistiche, a nostro parere, rimane assolutamente una delega in bianco.

Veniamo poi alle strutture ricettive. Anche qui l'innovazione del testo introdotta in Commissione si limita ad introdurre il tema del contrasto all'abusivismo. Anche in questo caso, ribadisco, si coglie un aspetto delicato ed urgente, ma si chiudono gli occhi di fronte alle modalità pratiche con le quali queste condotte abusive si esplicitano, e di fronte anche alle molteplici conseguenze che queste producono, non solo nei confronti dei competitor onesti ma anche del sistema Paese.

Non una parola sul tema dell'evasione fiscale, non una parola sull'attività di intermediazione attraverso le piattaforme web, non una parola sulle locazioni brevi - nel testo iniziale - di immobili privati, che oggi rappresenta il diversivo utilizzato da chi intende svolgere attività ricettiva senza rispettarne le regole. Apprezzo l'approvazione del mio emendamento che mira a definire i criteri in base ai quali l'attività di locazione breve si presume svolta in forma imprenditoriale; non ho molto compreso perché sia stata tolta dal testo che proponevo anche l'indicazione di alcuni criteri per farlo, anche perché questi combaciano in molti casi, per esempio, con i criteri recentemente approvati in consiglio regionale del Veneto, che in molti casi è stato quindi anticipatore di norme nazionali. Mentre dieci città turistiche europee, compresa Venezia, si appellano al Parlamento e alla Commissione europea per far rispettare le norme fiscali ai grandi portali web - nel caso specifico Airbnb -, mentre si calcolano i milioni di euro che l'erario italiano perde dall'esercizio abusivo dell'attività ricettiva e mentre i nostri operatori subiscono concorrenza sleale e le città cambiano faccia svuotandosi di residenti per far posto ai turisti, in Commissione non è stato accolto un emendamento che richiede al Governo uno specifico impegno sul fronte dell'evasione fiscale, in particolare a quella legata alle piattaforme di intermediazione. Non credo che questi temi siano estranei alle materie della delega, e non credo che non possano essere introdotti perché di competenza di altri Ministeri; non si capirebbe altrimenti perché sia stato introdotto l'intervento - opportuno - a tutela dei lavoratori stagionali, di competenza evidente del Ministro del Lavoro. Dedico qualche parola ovviamente anche agli aspetti che condividiamo e che abbiamo apprezzato di questo testo e delle modifiche introdotte.

Abbiamo sostenuto e votato a favore dell'emendamento che introduce tutta la parte relativa al turismo accessibile: siamo convinti anche noi che questa sia una sfida che va colta e che può essere anche driver di ulteriore crescita del settore turistico.

Ci convincono poco l'idea di brand che possano rimanere dei marchi, ma ci interessa molto di più l'effettiva accessibilità delle strutture, fare in modo che questa non diventi qualcosa di scritto sulla carta, ma che sia un'accessibilità che i nostri turisti trovino effettivamente poi recandosi nelle nostre destinazioni turistiche.

Siamo convinti che sia utile il coordinamento tra le politiche regionali sul turismo, evitando quella frammentazione che è sicuramente una fragilità dell'offerta turistica nazionale. Ci convincono molte delle modifiche apportate sul fronte dei dati, della formazione; ed è assolutamente fondamentale che sia stata rafforzata l'intesa, necessaria, con le regioni, introducendo - cosa che prima non era prevista - che appunto i provvedimenti vadano condivisi in Conferenza Stato-regioni.

Al termine di questo lavoro, però, nel complesso, Presidente, rimane l'amaro in bocca: per la consapevolezza delle occasioni perse, per la mancanza di coraggio e determinazione nel risolvere i problemi aperti, per il confuso tentativo di delineare, con lo strumento sbagliato, un futuro per il comparto turistico che finirà invece, ahimè, per ingabbiarlo. Confidiamo che i giorni che mancano al voto del provvedimento ed il successivo lavoro qui in Aula consentano di migliorare il testo, di cogliere alcune sollecitazioni che anche oggi abbiamo messo sul tavolo della relatrice e del Governo. Rispettiamo questo Parlamento, il ruolo che gli è affidato, le competenze di cui dispone; rispettiamo la discussione che si aprirà nei prossimi giorni, e ci riserviamo di maturare la nostra posizione sul testo finale, anche alla luce del lavoro che - sono convinta - sapremo fare insieme all'interno di quest'Aula (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Binelli. Ne ha facoltà.

DIEGO BINELLI (LEGA). Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, oggi quest'Aula è chiamata a discutere su un provvedimento fondamentale per definire l'indirizzo che Governo e Parlamento intendono adottare su uno dei settori più strategici per la crescita del Paese: il turismo. Il disegno di legge in esame contiene infatti un'ampia delega basata su una serie di principi e criteri direttivi, che mirano in particolare a coordinare, sotto il profilo formale e sostanziale, le disposizioni legislative vigenti, apportando quelle modifiche necessarie a garantire la coerenza giuridica, logica e sistematica della normativa, e a prevedere la semplificazione degli oneri burocratici e la tempestività delle procedure per la creazione di nuove imprese nel settore del turismo.

Nel corso dei lavori in Commissione attività produttive abbiamo arricchito e migliorato il testo del Governo, inserendo tra i settori omogenei che si intendono organizzare con i futuri decreti delegati alcune tipologie di attività turistiche emergenti, quali, ad esempio, il turismo sostenibile, il turismo sanitario e termale, il turismo rurale, l'ittiturismo, il turismo esperienziale e il turismo delle radici.

Con riferimento alla sostenibilità, si è osservato come nel corso degli anni l'Unione europea abbia posto le basi per una politica europea del turismo, puntando su fattori che ne determinano la competitività e tenendo conto, allo stesso tempo, degli imperativi dello sviluppo sostenibile. Abbiamo quindi ritenuto utile inserire un ulteriore principio di delega, per promuovere progetti intermodali di mobilità slow a fini turistici, facendo riferimento soprattutto alle ciclovie e ai servizi ferroviari turistici, ai cammini ed alle ciclostazioni, e prevedere parallelamente un apposito punto nell'articolato per la realizzazione di un'offerta incentrata sul mantenimento dell'integrità dei processi ecologici essenziali della diversità biologica e dei sistemi di vita dei diversi territori.

Si è voluto altresì valorizzare, nell'ambito della delega, le nuove forme di turismo rurale fondato su modelli di ricettività dedicati alla riscoperta della nostra cultura agricola e delle tradizioni enogastronomiche regionali, nonché il settore dell'ittiturismo, sempre più attrattivo non solo nelle località marine, ma anche sui laghi, sui fiumi e nelle lagune, dove il perfetto connubio tra la natura e la filiera legata alla pesca rappresenta un'interessante opportunità per il rilancio di quei territori.

Un altro importante settore emergente in materia di turismo è certamente quello esperienziale, incentrato sulla figura professionale dell'imprenditore che svolge un'attività connessa ad una specifica forma di offerta turistica, che pone in relazione la promozione del patrimonio storico-culturale e l'esperienza personale, sia essa cognitiva od emotiva, legata al territorio e ai prodotti identitari, ma soprattutto connessa a quei mestieri di alto valore artistico e di tradizione che rischiano di scomparire.

E ancora, una particolare attenzione è stata rivolta, nel corso dei lavori dalla Commissione, ad un altro settore che presenta grandi potenzialità di crescita, il turismo delle radici. Questa specifica offerta turistica ha registrato negli ultimi anni un significativo aumento delle prenotazioni da parte degli oriundi italiani, per i quali il viaggio, anche in aree che non sono mete turistiche tradizionali e spesso in periodi di bassa stagione, diventa un'esperienza unica di ricerca delle proprie origini.

Da ultimo, grazie ad un emendamento mirato della collega Andreuzza, relatrice del provvedimento, abbiamo voluto dedicare un principio di delega specifico al turismo accessibile, per sviluppare un modello integrato di offerta rivolto alle categorie più fragili: a chi ha disabilità, ma anche alle famiglie numerose, agli anziani e ai giovani, per individuare misure inclusive e a basso costo e che prevedano – e questa è una novità importantissima – anche l'utilizzo del patrimonio immobiliare pubblico.

Nel testo, inoltre, si introduce l'obbligo in capo alle pubbliche amministrazioni di rendere facilmente riconoscibili le informazioni, gli elementi da fornire e la relativa modulistica, in un quadro di interoperabilità tra le diverse banche dati, e si attribuisce al Governo il compito di provvedere, sempre nell'esercizio della delega, ad armonizzare con il diritto europeo la normativa nazionale in materia di turismo, nei limiti delle competenze statali e tenuto conto delle esperienze regionali più significative. Tale armonizzazione dovrà avvenire anche mediante il riordino e l'aggiornamento della normativa in materia di professioni turistiche, per contrastarne l'esercizio abusivo soprattutto con modalità telematiche, nonché attraverso la revisione e l'aggiornamento della normativa relativa alla classificazione delle strutture alberghiere, tenendo presenti gli standard qualitativi riconosciuti a livello europeo e le nuove forme di ospitalità; e definendo gli ambiti di attività e la tassonomia delle strutture ricettive extra-alberghiere, in un'ottica anche di contrasto all'abusivismo di settore, di trasparenza dell'offerta e di tutela della concorrenza.

Ed ancora, nel corso dei lavori della Commissione è stata accolta una nostra proposta che mira a creare un sistema informativo per una più agevole consultazione e conoscenza della programmazione turistica avviata dalle singole regioni, dei bandi europei, nazionali e regionali destinati al settore turistico, delle normative regionali inerenti all'offerta turistica del territorio, delle strutture ricettive e dell'offerta turistica disponibile nei siti riconosciuti dall'UNESCO Patrimonio dell'umanità, ai quali è necessario dare maggiore visibilità.

Con un mio emendamento è stata infine introdotta la clausola di salvaguardia per le autonomie speciali, prevedendo che le disposizioni della legge e quelle dei decreti legislativi emanati in attuazione della delega siano applicabili nelle regioni a statuto speciale e nelle province autonome di Trento e di Bolzano, compatibilmente con i rispettivi statuti e le relative norme di attuazione e senza nuovi e maggiori oneri per le stesse.

Con il provvedimento in esame ci accingiamo a dare attuazione all'importante progetto del rilancio del turismo italiano, avviato dal Ministro Centinaio nell'ultimo anno. In particolare, con quest'ultima delega consentiamo al Governo di predisporre, in tempi brevi e con strumenti legislativi snelli, una riforma a 360 gradi dell'intera filiera turistica, che già con l'imminente approvazione del codice identificativo e della carta del turista all'interno del decreto-legge “crescita” potrà usufruire di misure indispensabili per migliorare l'offerta turistica e sconfiggere l'esercizio abusivo delle professioni legate a questo settore strategico per il Paese.

Come sapete, io vivo a Pinzolo, un comune montano del Trentino che sul turismo ha costruito gran parte della propria attività produttiva ed economica. Ogni giorno posso vedere con i miei occhi quanto il nostro territorio e le sue bellezze naturali, artistiche e culturali rappresentino la più grande ricchezza che abbiamo a disposizione, e che dobbiamo valorizzare al meglio per il rilancio dell'Italia.

Questa proposta di legge rappresenta, a mio avviso, un indirizzo importante che possiamo dare al Governo per accelerare il processo di sburocratizzazione della normativa di settore, e per definire, insieme alle regioni e agli enti locali, le politiche più efficaci per far emergere quelle esperienze eccellenti e variegate che fanno parte dei territori italiani, una realtà unica al mondo.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Barelli. Ne ha facoltà.

PAOLO BARELLI (FI). Signor Presidente, colleghi, la Banca d'Italia ha pubblicato, nei giorni scorsi, un'indagine sul turismo internazionale: secondo un'indagine, nel 2018 la spesa dei viaggiatori stranieri in Italia è aumentata ad un tasso sostenuto, 6,5 per cento, sospinta dai turisti provenienti dai Paesi europei e dal Nord America.

Il buon andamento delle entrate per viaggi internazionali nel nostro Paese ha determinato una crescita della quota di mercato mondiale dell'Italia, che è tuttavia ancora indietro rispetto a Paesi come Francia e Spagna.

La quota di mercato dell'Italia, il sesto Paese al mondo per entrate da turismo internazionale, si è leggermente ampliata insieme a quella della Francia. La quota mondiale degli altri principali Paesi europei (Spagna, Germania, Regno Unito) è invece rimasta sostanzialmente stabile. L'Italia è prossima a raggiungere il quinto posto detenuto dal Regno Unito. Osservando però la tabella della Banca d'Italia, che confronta sia le entrate sia il numero di visitatori stranieri, è facile osservare che l'Italia ha un numero di visitatori stranieri (62,1 milioni) più alto di altri due Paesi che però la sopravanzano per entrate: Regno Unito, circa 36 milioni, e Thailandia, circa 38 milioni.

Nella classifica per numero di visitatori l'Italia si trova quindi al quarto posto. Stando alla bilancia dei pagamenti in Italia le entrate per viaggi internazionali hanno raggiunto nel 2018 41,7 miliardi; se si considera che le spese per viaggi all'estero degli italiani assommano a 25,5 miliardi, il saldo turistico è strutturalmente positivo e ha raggiunto 16,2 miliardi di euro nel 2018, contribuendo per oltre un terzo al saldo delle partite correnti della bilancia dei pagamenti.

La spesa degli stranieri per le vacanze in città d'arte e culturali, dopo essere fortemente cresciuta negli scorsi anni arrivando a rappresentare quasi il 60 per cento del totale, si è stabilizzata. Viceversa le vacanze balneari - 9,8 milioni di viaggiatori e 6,5 miliardi di entrate, la seconda tipologia di vacanze per spesa dei turisti stranieri in Italia - hanno contribuito fortemente alla crescita delle entrate da turismo internazionale nel 2018.

Ha continuato a espandersi la spesa per pernottamenti in alloggi di proprietà o in affitto, la cui quota sul totale è progressivamente cresciuta negli anni in concomitanza con l'ampliamento della disponibilità di strutture ricettive private offerte su piattaforme di intermediazione digitali. Oltre l'80 per cento dei turisti stranieri intervistati dall'indagine della Banca d'Italia hanno indicato Internet come la fonte di informazioni più rilevante per la scelta dell'alloggio. Cresce il numero degli stranieri che arrivano nel nostro Paese in aereo grazie ai voli low cost. Non sfugge, pertanto, un quadro generale della situazione del turismo in Italia con prospettive di eccezionale interesse non solo per il 2019.

Entrando nel merito del provvedimento, dopo aver trasferito la scorsa estate la funzione del turismo, che peraltro è costituzionalmente di competenza piena delle regioni, dal Ministero dei Beni e delle attività culturali a quello delle Politiche agricole, arriva al nostro esame il testo del Governo inizialmente molto scarno, che originariamente delegava l'Esecutivo al mero riordino delle norme di settore.

In Commissione si è registrato un elemento di forte novità cioè l'ampliamento della delega alla regolazione di settore turistici emergenti, il turismo sostenibile; il turismo sanitario termale, il turismo rurale, il turismo esperienziale, il turismo delle radici che riguarda il fenomeno in definitiva marginale delle comunità di italiani all'estero e l'ittiturismo. Su questo punto tre osservazioni. Il Comitato per la legislazione, richiamandosi alle sentenze della Corte costituzionale n. 239 del 2003 e n. 170 del 2007, ha osservato testualmente: “L'introduzione di soluzioni sostanzialmente innovative rispetto al sistema legislativo previgente è, tuttavia, ammissibile soltanto nel caso in cui siano stabiliti principi e criteri direttivi idonei a circoscrivere la discrezionalità del legislatore delegato”. Appare pertanto opportuno specificare ulteriormente il principio di delega. In definitiva le modifiche apportate in Commissione rischiano di alterare i principi che reggono le norme di delegazione legislativa. Anche in forza dell'aggiunta di nuove materie risulterebbero mancare al testo i pareri di ben cinque Commissioni: Cultura, Lavoro, Agricoltura, Affari sociali e Trasporti. Non sono state ricomprese nell'elenco degli aspetti di nuova normazione alcune ulteriori forme di turismo di grande importanza di cui andremo a parlare. Mi riferisco in particolare al turismo della terza età e al turismo religioso.

Il nostro atteggiamento in Commissione è stato di piena collaborazione anche in presenza di talune forzature. Ringrazio comunque della collaborazione la relatrice, la collega Giorgia Andreuzza, che ha ascoltato in tutti i casi con grande attenzione le richieste provenienti da tutti i gruppi politici. Sono stati accolti i nostri emendamenti, tuttavia il nostro voto finale resta legato all'accoglimento delle proposte che sono state presentate in Aula, che sono in numero limitatissimo. Ci sono sicuramente punti positivi e migliorativi del testo in rapporto all'attuale legislazione.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE FABIO RAMPELLI (ore 19,40)

PAOLO BARELLI (FI). Voglio soltanto citare la necessità che viene enunciata di un più forte coordinamento da parte del Governo delle politiche sul turismo che non possono essere eccessivamente frazionate ma mi soffermerò in questo mio intervento su alcune lacune che vorremmo possano essere colmate.

Il primo aspetto su cui riteniamo si debba porre l'attenzione riguarda l'applicazione della direttiva Bolkestein. La lettera b) del comma 2 dell'articolo 1 parla di attuazione della normativa europea: riteniamo necessario specificare che occorre escludere dall'applicazione della direttiva le imprese balneari che hanno accolto 9,8 milioni di viaggiatori e generato 6,5 miliardi di entrate nel 2018 e più in generale le imprese turistiche - sottolineo: più in generale le imprese turistiche - operanti in regime concessorio sul demanio pubblico. Questo avviene anche in altri importanti Paesi dal punto di vista turistico in Europa.

Un secondo aspetto riguarda l'attuazione del Piano strategico del turismo 2017-2022 approvato nel febbraio 2017. Un nostro emendamento prevede che la delega ne tenga conto a maggior ragione se sono state aggiunte materie nuove nell'esercizio della delega. Giova ricordare che questo piano è nato con il contributo puntuale di Ministeri, Regioni, ANCI, sindacati e associazioni di categoria. Tale ampio lavoro di concertazione non può essere messo da parte. Strumento centrale della strategia del Piano è costituito dall'attivazione di tavoli di concertazione interistituzionali permanenti tra amministrazioni, regioni, altri enti territoriali e operatori del settore. Il Piano si concentra sulla sinergia tra i vari attori della filiera, quindi riteniamo opportuno richiamarlo.

Abbiamo inoltre presentato alcuni emendamenti su taluni specifici aspetti. Chiediamo sia regolamentato il turismo della terza età separandolo in parte da quello di altre categorie protette di cui alla lettera l), comma 2. È noto che la ricchezza reale è in possesso della terza età che non può essere definita esclusivamente in termini di categoria protetta. Gli ultrasessantenni rappresenteranno il 32 per cento della popolazione dei Paesi sviluppati nel 2050, cioè il 10 per cento in più rispetto ad oggi. L'invecchiamento della popolazione cambierà il profilo dei turisti. In Italia sono circa 12,5 milioni i viaggiatori senior in grado di generare un giro d'affari di 19,5 miliardi di euro che, se si considera l'indotto, raggiunge i 35 miliardi. A questa proposta è legata la destagionalizzazione e per attirare il turismo over 55 fuori stagione la Spagna ha avviato, già dai primi anni del 2000, l'iniziativa Turismo Senior Europa. Il programma spagnolo ha un impatto molto significativo sull'occupazione delle zone coinvolte. In base allo studio spagnolo all'annualità 2003-2004 il programma si autofinanzia poiché, a fronte di un impegno governativo di oltre 50 milioni, dall'altro venivano prodotti movimenti turistici per più di 311 milioni di euro che apportavano, nelle sole zone di destinazione, redditi per 238 milioni di euro con un ritorno fiscale e contributivo stimato in più di 90 milioni di euro. È un solo esempio che potremmo allargare ad altre esperienze come il Portogallo ed altri Paesi europei. Il turismo della terza età ha i suoi specifici problemi che abbiamo concentrato nel criterio di delega proposto.

Una seconda proposta riguarda il turismo religioso che, per il nostro Paese, è fondamentale; secondo alcune stime dell'Organizzazione mondiale del turismo, il turismo religioso vale oltre 18 miliardi di euro, con dati che parlano di circa 300 milioni di turisti religiosi del mondo e un trend crescente verso località considerate sacre o con ricco patrimonio culturale, storico e artistico. In particolare, ciò che conta nell'ambito del turismo religioso è sinceramente l'esperienza religiosa e turistica che diventa fulcro del turismo religioso stesso. Di particolare rilevanza risulta anche l'impatto del turismo religioso sulla sostenibilità ambientale, culturale e sociale.

La terza proposta riguarda la semplificazione delle norme per favorire lo sviluppo commerciale del turismo enogastronomico e dell'enoturismo. L'enoturismo, in Italia, muove 14 milioni di persone e 2,5 miliardi di euro l'anno; i turisti stranieri che hanno fatto in Italia una vacanza enogastronomica rappresentano circa il 2 per cento del totale della domanda internazionale, lo ripeto, della domanda internazionale, mentre la quota degli italiani in vacanza per motivi enogastronomici è passata da poco più del 3 per cento a quasi il 10 per cento, nell'arco di circa un quinquennio. Secondo il recente rapporto sul turismo italiano, circa il 16 per cento della spesa turistica in Italia riguarda la ristorazione e circa il 10 per cento l'acquisto di prodotti agroalimentari.

Altre proposte che sottoponiamo all'attenzione dei colleghi riguardano la semplificazione degli adempimenti connessi alla gestione dei rapporti di lavoro, ampliando i casi in cui è consentito il ricorso ai contratti di prestazioni occasionali e ai contratti di lavoro extra. La lotta all'abusivismo in generale, così come nel trasporto turistico su gomma, prevede che i servizi di trasporto e i trasferimenti effettuati mediante autobus e autovetture devono essere svolti da soggetti debitamente autorizzati. Anche in questo settore, come in tutto il trasporto su gomma, sono in corso rilevanti fenomeni di dumping, che generano una concorrenza sleale nei confronti degli operatori nazionali che operano correttamente.

In questo dibattito - e concludo - abbiamo modo di confrontarci costruttivamente, senza dover essere necessariamente schierati su fronti contrapposti. L'argomento è di importanza tale che mi sembra evidente questa considerazione. Quel che chiediamo alla maggioranza è di considerare le nostre proposte con la dovuta attenzione e motivando adeguatamente i propri pareri. A questa richiesta di attenzione leghiamo il nostro voto, auspicando che si giunga a un risultato condiviso.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Ylenia Lucaselli. Ne ha facoltà.

YLENJA LUCASELLI (FDI). Grazie, Presidente. Cercherò di essere davvero molto, molto breve, considerato anche l'orario nel quale ci apprestiamo a questa discussione, però, qualche cosa va detta, soprattutto quando, da pochi minuti, da pochissimi minuti, abbiamo appreso la bellissima notizia che le Olimpiadi invernali arriveranno a Cortina e a Milano. Questo ci riporta a una discussione che inevitabilmente riguarda non solo questo provvedimento, ma l'operato e il come questo Governo ha inteso affrontare il problema del turismo. Perché, vede, in una nazione come quella italiana, naturalmente vocata al turismo e a ricevere ovviamente ospiti da tutto il mondo, vorrei ricordare che questa, se non “la”, è “fra” le nazioni più belle del mondo e, in questa naturale vocazione, noi continuiamo a trasferire, questo Governo non ha fatto nulla di diverso, la competenza di un settore che, invece, è un settore veramente molto delicato, e che da solo produce il 12 per cento del PIL italiano, quello del turismo, del mondo del turismo, da un Ministero ad un altro, senza dargli una casa e senza che di fatto ci sia una operatività completa sul Ministero.

Io devo ricordare, ma credo che sia abbastanza chiaro a tutti, che in questo Governo il turismo è inserito nel Ministero delle Politiche agricole e, ovviamente, noi abbiamo capito quella che è la logica alla base di questa scelta, abbiamo sentito parlare del turismo enogastronomico, però, da patrioti quali siamo non ci siamo accontentati, perché, vede, il turismo enogastronomico è uno degli elementi del turismo italiano che, invece, è composto da moltissime altre cose.

E, quindi, il gruppo di Fratelli d'Italia, sin dall'inizio, si è opposto a che ci fosse questa unione e abbiamo, da subito, denunciato questa incompatibilità tra due ministeri così importanti e così fondamentali per l'economia italiana, perché quello del turismo è davvero un mondo che potrebbe essere ampliato, che deve essere ampliato e sul quale bisognerebbe focalizzare energie e risorse. Invece, ancora una volta, il turismo, accorpato a un altro Ministero, con tutte le complicazioni che questo impone, ovviamente viene messo in secondo piano e a noi questo non piace.

Fratelli d'Italia aveva presentato una proposta proprio per istituire il Ministero del Turismo, così come accade in tutte le altre nazioni che ci precedono, anche se di poco, nella lista delle nazioni più visitate al mondo e che dedicano al turismo forza, energia e risorse. Invece, ci troviamo ancora una volta ad avere il turismo come fanalino di coda. Non c'è stata una vera attività governativa nel mondo del turismo; il Ministro è probabilmente più impegnato ad occuparsi, in questo momento, delle politiche agricole, che sono un altro elemento fondamentale della nostra nazione e che, però, proprio perché sono così importanti, assorbono moltissime energie. Quindi, siamo di fronte, nuovamente, a uno di quei casi in cui si vuole fare tutto e, poi, alla fine, o si fa tutto e male, oppure, addirittura, alle volte, non si fa assolutamente niente.

Noi abbiamo partecipato, in questa Commissione, con i colleghi della Commissione, Zucconi e Silvestroni, in maniera molto attiva, abbiamo presentato moltissimi emendamenti e devo dire che ci è molto dispiaciuto vedere che soltanto uno di questi elementi, quello sulla formazione manageriale in ambito turistico, è stato accolto. A noi questa impostazione non piace, noi siamo assolutamente d'accordo sul fatto che ci debba essere una rivisitazione di quelle che sono le competenze del Ministero del turismo o, meglio, visto che questo Ministero ancora ad oggi non c'è, non esiste, del Ministro. Siamo d'accordo sul fatto che ci sono delle questioni da risolvere che devono essere risolte nel più breve tempo possibile, perché questa divisione fra competenze, fra regioni e Stato centrale non può che rendere ancora più macchinosa quella che è, poi, la messa in campo dei progetti che ci sono sul mondo del turismo.

Però, proprio leggendo anche la relazione fatta dagli uffici in relazione a quella che è l'attività e a quello che è contenuto all'interno di questo provvedimento, insomma, mi sembra abbastanza chiaro, anche la Corte costituzionale lo ha più volte indicato, come sia particolarmente complesso questo comparto e di contro insomma dobbiamo anche dire che, ad oggi, abbiamo avuto l'ENIT, l'ente che si dovrebbe occupare, in collaborazione con il Ministero, di queste politiche, quindi, delle politiche del turismo, che in realtà ha visto la nomina del suo presidente ratificata soltanto un mese e mezzo fa.

Ecco, questo per noi è indice di inattività, un'inattività che, purtroppo, va a penalizzare un settore che, invece, è fondamentale ed è fondamentale perché implica, sempre come detto dalla Corte costituzionale e come si rinviene dagli atti che sono allegati a questo provvedimento, un comparto che ha in sé tantissime cose, perché ha in sé i professionisti, ha in sé i territori, ha in sé le politiche dei territori, ha in sé l'ambiente, ha in sé le infrastrutture, perché non dimentichiamoci che si può fare turismo, intanto, in quanto ci siano le infrastrutture per raggiungere, poi, i luoghi del turismo e, quindi, per il gruppo di Fratelli d'Italia, quella del turismo è una questione ancora tutta aperta e ancora tutta da discutere.

Noi aspetteremo di verificare i lavori d'Aula, cercheremo di capire come questo testo possa essere migliorato, prima di decidere il nostro comportamento nel voto finale, rimarcando sempre il fatto che noi non siamo aprioristicamente contro nessuno e contro nessun provvedimento, salvo poi quello che all'interno di questi provvedimenti viene scritto. Però dobbiamo necessariamente lasciare agli atti di questa Camera la nostra voce.

Noi non vogliamo che l'attività sul turismo sia un'attività paralizzata, un'attività che non abbia una operatività completa e concreta. Questo è, secondo noi, il punto più importante da affrontare. Vorremmo finalmente poter parlare di turismo, come è giusto che sia, nel proprio comparto, con un proprio Ministro e con un proprio Ministero, non solo per la complessità di quello che il turismo vuol dire; non è soltanto avere degli ospiti in Italia, per qualunque motivo, che sia l'enogastronomia o che sia il motivo religioso, non è soltanto questo.

Il turismo rappresenta una fonte economica fondamentale per questo Paese e dobbiamo capire che ci sono delle cose sulle quali bisogna veramente puntare l'attenzione dell'attività di Governo. Possiamo raccontarci moltissime storie, possiamo andare a fare moltissimi trattati, possiamo andare in giro a stringere moltissime mani, ma quell'attività, di fatto, non si tradurrà mai in quello di cui questo Paese ha bisogno, cioè di mettere in evidenza le bellezze che abbiamo, perché le abbiamo naturalmente e dovremmo esserne orgogliosi (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Lucia Scanu. Ne ha facoltà.

LUCIA SCANU (M5S). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, onorevoli colleghe, rappresentanti del governo, col disegno di legge n. 1698 in esame si vuole delegare al Governo il riassetto della materia del turismo. Si tratta di un settore strategico per l'economia del nostro Paese, che ha fatto registrare un incremento significativo in questi anni. In particolare, come rilevato dall'Istat attraverso il report di novembre 2018, l'Italia nell'anno precedente ha avuto un aumento notevole del movimento turistico. Il comparto ha fatto segnare oltre 420 milioni di presenze, il 4,4 per cento in più rispetto al 2016, e 123 milioni di arrivi, ovvero il 5,3 per cento in più. Va rilevato, inoltre, che nelle strutture alberghiere le presenze hanno toccato i 275 milioni e in quelle extra-alberghiere 145 milioni. Attualmente il settore vale il 13 per cento del PIL e il 14 per cento dell'occupazione. Di fronte a questi numeri va detto, tuttavia, che è stato principalmente merito della sinergia tra tutti gli attori del panorama turistico se abbiamo potuto ottenere dei risultati apprezzabili, risultati che occorre adesso implementare.

Dall'esame degli emendamenti si rileva il lavoro fatto per migliorare il settore. Si tratta di un provvedimento che punta all'introduzione di misure di maggiore semplificazione. Mi preme evidenziare soprattutto la parte relativa alla revisione della classificazione delle strutture alberghiere ed extra-alberghiere. La norma in questione, infatti, definisce in maniera più specifica gli ambiti di attività delle strutture e la loro tassonomia. In particolare, si delega al Governo il compito non solo di rivedere ma anche di aggiornare tale classificazione in relazione ai nuovi standard qualitativi riconosciuti a livello europeo e alle nuove norme di ospitalità. Ciò consentirà di delineare una disciplina differenziata a seconda della categoria di pertinenza, tenendo anche conto della presenza di piccoli proprietari nel panorama dell'ospitalità. Sono proprio questi ultimi, infatti, che utilizzando lo strumento delle locazioni brevi consentono al comparto di far fronte alla domanda di alloggi. Dunque, attraverso quest'operazione distintiva si mira a disciplinare meglio le diverse attività, rafforzando le misure di contrasto all'abusivismo oltre che le garanzie di trasparenza dell'offerta e la tutela della concorrenza.

Per snellire, poi, la giungla burocratica che circonda il sistema turistico-ricettivo abbiamo diverse novità; tra le più importanti, introdotte dal provvedimento, vi è l'implementazione di un percorso di potenziamento e di crescita attraverso strumenti digitali per la raccolta dei dati e la trasmissione della modulistica ai diversi enti. Si tratta di dati di diverso tipo quali, ad esempio, quelli di carattere statistico, fiscale o tributario. In questo quadro, dove le attività ricettive e i piccoli proprietari sono tenuti a molteplici oneri, è necessario che le pubbliche amministrazioni si avvalgano del digitale per la modulistica, utilizzando, con migliori risultati, i portali web pubblici esistenti. Nel provvedimento si delega il Governo a rendere facilmente conoscibili e accessibili le informazioni, semplificando il linguaggio e adottando moduli unificati e standardizzati. Per rilanciare il turismo occorre, infatti, semplificare e unificare le procedure, consentendo a tutti gli operatori di risparmiare tempo e di mettersi in regola con pochi, semplici passaggi. Non è stato tralasciato, poi, il tema della sostenibilità. Con questo provvedimento si va infatti a regolamentare un settore turistico emergente come quello del turismo sostenibile. Il nostro Governo ha già intrapreso questa strada sbloccando 161 milioni di euro per la realizzazione di un sistema nazionale di ciclovie turistiche, pertanto promuovendo la ciclabilità e il turismo sostenibile. Tuttavia, molto si può ancora fare puntando alla realizzazione di un'offerta capace di attrarre una platea attenta al mantenimento dell'integrità culturale dei luoghi visitabili, alla salvaguardia dei processi ecologici essenziali, delle biodiversità e dei sistemi di vita del territorio. È stata l'Organizzazione mondiale del turismo a definire questo nuovo approccio nel visitare i luoghi di interesse. Il turismo sostenibile guarda al futuro perché raggruppa un insieme di pratiche e scelte che non danneggiano l'ambiente e favoriscono uno sviluppo economico durevole. L'attività turistica nel suo complesso dovrebbe puntare a non danneggiare i processi culturali e ambientali locali, bensì a contribuire al miglioramento della qualità della vita dei residenti. Oggi il turismo rappresenta una delle principali attività economiche del mondo, ma si tratta di un fenomeno ambivalente che, da un lato, contribuisce allo sviluppo socio-economico e, allo stesso tempo, può diventare causa di perdita delle identità locali e di degrado ambientale. Questo non accade con il turismo sostenibile, che invece mira a preservare l'ambiente naturale e culturale.

Mi preme sottolineare che queste sono soltanto alcune delle novità contenute nel provvedimento, che auspico possano essere recepite dall'Esecutivo secondo la logica innovativa che ha permeato tutta l'attività emendativa. Un paese come l'Italia non può permettersi di perdere altro tempo e di sprecare preziose risorse per non aver saputo sfruttare un asset strategico come il turismo. Sono convinta che questo tema sia molto sentito da tutte le forze politiche e a tal proposito auspico la massima collaborazione di tutti nel giungere in breve tempo a un testo condiviso, che possa finalmente migliorare la normativa attuale e dare il giusto sostegno al settore turistico.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Gavino Manca. Ne ha facoltà.

GAVINO MANCA (PD). Grazie, signor Presidente. Onorevoli colleghi, in premessa di questa discussione del disegno di legge di delega al Governo in materia di turismo, mi permetto di ricordare solo tre dati esaustivi per evidenziare il valore e l'importanza di questo settore per il nostro Paese. Il primo dato che voglio ricordare è il valore economico del settore che trattiamo in questo disegno di delega. Da un convegno sul turismo in Italia, che si è tenuto presso la Banca d'Italia a metà dicembre 2018, i cui atti contengono moltissime informazioni interessanti, alle attività turistiche sono direttamente riconducibili oltre il 5 per cento del PIL e oltre il 6 per cento degli occupati del Paese, un peso economico comparabile al dato della Spagna e superiore a quello di Francia e Germania. Il secondo dato fondamentale è l'incremento avuto negli anni passati del numero di presenze. Infatti, si è registrato il record di 122 milioni di arrivi e oltre 427 milioni di presenze totali - dati Istat - e la spesa dei turisti stranieri è aumentata del 7,2 per cento, circa 37 miliardi di euro secondo la Banca d'Italia. Il terzo dato è prettamente economico e rileva quanto contribuisce lo sviluppo del turismo, soprattutto nelle zone che in questi ultimi decenni hanno subito lo spopolamento. Infatti, tra il 2011 e il 2017 la loro popolazione è cresciuta del 2,1 per cento e nel periodo 2012-2016 il reddito per contribuente è aumentato del 6,5 per cento, 2 punti percentuali in più della media nazionale.

Questi dati in premessa anche per dimostrare che un tema del genere non può essere trattato in maniera così improvvisata e superficiale come sta accadendo a opera di questa maggioranza e di questo Governo. Penso e pensiamo che questa sarebbe dovuta essere una legge di iniziativa parlamentare, vista la sua importanza, o quantomeno una legge delega con indirizzi e interventi molto più chiari, definiti e precisi, utili alla valorizzazione e al sostegno di uno dei settori più importanti per la crescita e lo sviluppo economico del nostro Paese.

Un indizio, però, lo avevamo già avuto quando abbiamo trattato in quest'Aula il decreto che accorpava la delega sul turismo al Ministero dell'agricoltura, spostamento fortemente voluto dal Ministro Centinaio, del quale, però, ancora non si capisce e vede l'utilità e che, come dirò tra poco, va in totale contraddizione con quanto sostenuto nel vostro contratto di governo. Con questo disegno di legge avete certificato l'ennesimo punto del programma MoVimento 5 Stelle - Lega che non viene mantenuto. Infatti, nella sezione “turismo” del vostro contratto era data per certa l'istituzione del Ministero del turismo, impegno preso pubblicamente anche dall'attuale Vicepremier Di Maio quando, nel convegno “Turismo 2030” del 2017 a Milano, si espose in tal senso.

Diversamente invece, Presidente, i Governi a guida del PD hanno investito molto su questo versante. Abbiamo investito maggiori risorse nel Ministero dei beni culturali, dove giustamente avevamo inserito la delega al turismo.

Il bilancio del Ministero, che comprendeva questa delega, negli ultimi quattro anni ha finalmente cominciato a crescere, tornando a livelli pre crisi, arrivando nel 2018 sino a 2,4 miliardi di euro di finanziamento. Risorse alle quali si aggiungono gli oltre 4 miliardi per i cantieri della cultura. Si era ripreso ad assumere, ottenendo, in deroga al blocco del turnover, un concorso straordinario per selezionare 500 funzionari a tempo indeterminato tra antropologi, archeologi, architetti, archivisti, bibliotecari, esperti di promozione e comunicazione turistica, restauratori e storici dell'arte. Un numero poi progressivamente cresciuto e che, grazie alla legge di bilancio del 2018, potrà arrivare a mille assunzioni. Nuove energie e competenze che arricchiranno le professionalità del Ministero e sarebbero servite a migliorare le performance anche della delega sul turismo.

Abbiamo creduto che la riforma del Ministero potesse realizzare quella integrazione tra cultura e turismo in un Piano nazionale strategico del turismo approvato a febbraio 2017, predisposto grazie a un percorso partecipato che ha coinvolto stakeholder e associazioni di categoria. I dati di questi ultimi anni hanno dato ottimi esiti: crescono gli arrivi, aumenta la durata dei soggiorni e riprende il turismo interno. Contrariamente al quadro disfattista delineato nel contratto, grazie alle misure promosse negli anni dai Governi del PD, le strutture ricettive ufficiali italiane, come ho evidenziato prima, hanno registrato il record di arrivi e di presenze totali e la spesa dei turisti stranieri è aumentata. Questo indiscutibile rilancio del settore turistico è stato conseguito con misure orientate al coordinamento e allo sviluppo del settore. Un metodo solido che ha come fine la promozione del territorio e la valorizzazione di luoghi finora meno frequentati dal turismo internazionale, ma che, grazie al patrimonio, alle memorie, conoscenze e artigianalità, continuano a fare dell'Italia la meta di viaggio più desiderata al mondo.

Almeno così si sperava, visto che in un'Ansa del 13 giugno l'Assoturismo Confesercenti evidenzia, invece, che i dati sono completamente cambiati: per la prima volta da cinque anni - lo diceva poc'anzi la mia collega, l'onorevole Moretto - le previsioni turistiche per l'estate in Italia hanno il segno meno. Tra giugno e agosto sono attese 205 milioni di presenze, quasi 2 milioni in meno rispetto all'estate 2018, meno 0,9 per cento. Il calo coinvolge i turisti italiani, meno 1,1 per cento, e internazionali, meno 0,8 per cento, ed è dovuto al meteo ancora incerto, che non favorisce le prenotazioni, ma anche alla ripartenza delle destinazioni competitor del Mediterraneo, frenate in passato da tensioni internazionali. Ecco perché un Ministero del turismo sarebbe stato essenziale per dare risposte puntuali e immediate in un momento così complesso e delicato. Continuando, Presidente, non a caso a soffrire sono soprattutto le aree costiere italiane, meno 1,4 per cento, mentre i risultati migliori quest'estate li avranno le imprese ricettive che operano nelle città d'arte/centri minori, meno 0,4 per cento, e nelle località lacustri, dove si registra una domanda estera in leggerissima crescita dello 0,2 per cento.

Le aree del nostro Paese con le proiezioni meno favorevoli sono il Centro e il Sud/Isole, meno 1,4 per cento; più resilienti Nord-est e Nord-ovest, rispettivamente a meno 0,7 e meno 0,3 per cento. In questo disegno di legge sono emerse diverse criticità segnalate anche nelle numerose e interessanti audizioni fatte dalla Commissione attività produttive. Sicuramente la principale è quella della delega che nella prima stesura del DL risultava essere quasi una delega in bianco ed è stata poi sicuramente modificata e migliorata dopo il passaggio in Commissione, e speriamo che possa continuare a migliorare in Aula. La tempistica prevista poi per l'emanazione dei decreti attuativi è di due anni, tempi che sicuramente non permettono di avere risposte pronte ed efficaci alle necessità e lasciano per troppo tempo senza regole un settore che ha bisogno subito di risposte e indirizzi chiari e esaustivi. A ciò si aggiungono, la non chiarezza circa i limiti di intervento del legislatore statale con le competenze esclusive delle regioni e province autonome, la lotta all'abusivismo sul tema guide turistiche, la mancata proroga in legge di bilancio e nel decreto crescita del tax credit per le strutture ricettive, la totale assenza del tema generale dell'infrastrutture, tema fondamentale specialmente per alcune zone del Sud e delle isole e di cui non c'è menzione nella delega. Insomma, c'è tanto da fare nel settore turismo ed il contributo del PD ha voluto essere come al solito serio, costruttivo e sempre attento, teso a migliorare le proposte per un settore strategico economico del nostro Paese. Le nostre proposte emendative fatte in Commissione hanno avuto questa prospettiva.

Alcuni emendamenti, purtroppo molto pochi, mi rammarico, da noi presentati in Commissione, sono stati accolti ed approvati, come ad esempio il tenere conto delle esperienze regionali esistenti, la definizione dei criteri sullo svolgimento in forma imprenditoriale dell'attività di locazione breve, i sistemi di classificazione alberghiera adottati a livello europeo e internazionale e la possibilità di assicurare che i bambini, gli anziani e le persone con disabilità motorie, sensoriali e intellettive possano fruire dell'offerta turistica in modo completo e adeguato, in autonomia, sicurezza e condizioni di parità con gli altri fruitori, senza costi aggiuntivi.

Altri molto interessanti e utili a migliorare il disegno di legge sono stati purtroppo respinti, come, ad esempio, la riduzione a un anno di tempo per l'emanazione dei decreti attuativi oppure come quello della mia capogruppo, l'onorevole Moretto. Mi auguro e ci auguriamo che in questo percorso d'Aula questa maggioranza e questo Governo siano disponibili a un confronto serio e corretto, per migliorare ulteriormente questo disegno di legge. Spero e speriamo che non sia l'ennesima occasione persa per il nostro Paese, perché questo settore davvero secondo noi può essere considerato uno dei volani di crescita e di sviluppo della nostra nazione (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - A.C. 1698-A)

PRESIDENTE. Prendo atto che la relatrice ed il rappresentante del Governo rinunciano a intervenire in sede di replica. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Ordine del giorno della prossima seduta.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.

Martedì 25 giugno 2019 - Ore 9,30:

1. Discussione sulle linee generali della relazione delle Commissioni III (Affari esteri e comunitari) e IV (Difesa) sulla deliberazione del Consiglio dei Ministri in merito alla partecipazione dell'Italia a ulteriori missioni internazionali per l'anno 2019, adottata il 23 aprile 2019 (Doc. XXV, n. 2) e sulla relazione analitica sulle missioni internazionali in corso e sullo stato degli interventi di cooperazione allo sviluppo a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione, riferita al periodo 1° ottobre-31 dicembre 2018, anche al fine della relativa proroga per il periodo 1° gennaio-31 dicembre 2019, deliberata il 23 aprile 2019 (Doc. XXVI, n. 2). (Doc. XVI, n. 2)

Relatori: FORMENTINI, per la III Commissione; IOVINO, per la IV Commissione.

2. Discussione sulle linee generali della proposta di legge:

CENNI ed altri: Disposizioni in materia di limitazioni alla vendita dei prodotti agricoli e agroalimentari sottocosto e di divieto di aste a doppio ribasso per l'acquisto dei medesimi prodotti. Delega al Governo per la disciplina e il sostegno delle filiere etiche di produzione. (C. 1549-A)

Relatrice: GAGNARLI.

(ore 14)

3. Esame e votazione della questione pregiudiziale riferita al disegno di legge:

Conversione in legge del decreto-legge 14 giugno 2019, n. 53, recante disposizioni urgenti in materia di ordine e sicurezza pubblica. (C. 1913)

4. Seguito della discussione dei progetti di legge:

Ratifica ed esecuzione dell'Accordo rafforzato di partenariato e di cooperazione tra l'Unione europea e i suoi Stati membri, da una parte, e la Repubblica del Kazakhstan, dall'altra, con allegati, fatto ad Astana il 21 dicembre 2015, e Protocollo sull'assistenza amministrativa reciproca nel settore doganale. (C. 1648-A)

Relatore: ORSINI.

Ratifica ed esecuzione del Protocollo al Trattato del Nord Atlantico sull'adesione della Repubblica di Macedonia del Nord, fatto a Bruxelles il 6 febbraio 2019. (C. 1660)

Relatore: FORMENTINI

S. 960 - D'INIZIATIVA DEI SENATORI: FERRARA ed altri: Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra la Repubblica italiana e l'Organizzazione internazionale di diritto per lo sviluppo (IDLO) relativo alla sede dell'organizzazione, fatto a Roma il 14 giugno 2017 (Approvata dal Senato). (C. 1680)

Relatrice: SURIANO.

5. Seguito della discussione della proposta di legge:

GOLINELLI ed altri: Istituzione della Giornata nazionale della memoria e del sacrificio alpino. (C. 622-A)

Relatore: FERRARI.

6. Discussione delle mozioni Lazzarini, D'Arrando, Gemmato ed altri n. 1-00145, Siani ed altri n. 1-00200 e Pedrazzini ed altri 1-00201 concernenti iniziative per la cura e l'assistenza del paziente oncologico .

7. Discussione delle mozioni Spena ed altri n. 1-00191, Ascari, Bisa ed altri n. 1-00196, Siani ed altri n. 1-00197 e Emanuela Rossini ed altri n. 1-00205 concernenti iniziative volte a prevenire e contrastare la violenza sui minori .

8. Seguito della discussione del disegno di legge:

Deleghe al Governo e altre disposizioni in materia di ordinamento sportivo, di professioni sportive nonché di semplificazione (Testo risultante dallo stralcio disposto dal Presidente della Camera, ai sensi dell'articolo 123-bis, comma 1, del Regolamento, e comunicato all'Assemblea il 12 marzo 2019, degli articoli da 6 a 11 del disegno di legge n. 1603). (C. 1603-bis-A)

Relatore: BELOTTI.

9. Seguito della discussione della proposta di legge:

CENNI ed altri: Disposizioni in materia di limitazioni alla vendita dei prodotti agricoli e agroalimentari sottocosto e di divieto di aste a doppio ribasso per l'acquisto dei medesimi prodotti. Delega al Governo per la disciplina e il sostegno delle filiere etiche di produzione. (C. 1549-A)

Relatrice: GAGNARLI.

10. Seguito della discussione della proposta di legge:

COSTA: Modifiche agli articoli 314 e 315 del codice di procedura penale, in materia di riparazione per ingiusta detenzione ai fini della valutazione disciplinare dei magistrati. (C. 1206-A)

Relatore: ZANETTIN.

11. Seguito della discussione delle mozioni Fornaro ed altri n. 1-00198, Quartapelle Procopio ed altri n. 1-00202, Lollobrigida ed altri n. 1-00203 e Cabras, Formentini ed altri n. 1-00204 concernenti iniziative di competenza per l'effettiva interruzione della esportazione e del transito di armamenti verso l'Arabia Saudita ed altri paesi coinvolti nel conflitto in Yemen .

12. Seguito della discussione del disegno di legge:

Delega al Governo in materia di turismo. (C. 1698-A)

Relatrice: ANDREUZZA.

13. Seguito della discussione della relazione delle Commissioni III (Affari esteri e comunitari) e IV (Difesa) sulla deliberazione del Consiglio dei Ministri in merito alla partecipazione dell'Italia a ulteriori missioni internazionali per l'anno 2019, adottata il 23 aprile 2019 (Doc. XXV, n. 2) e sulla relazione analitica sulle missioni internazionali in corso e sullo stato degli interventi di cooperazione allo sviluppo a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione, riferita al periodo 1° ottobre-31 dicembre 2018, anche al fine della relativa proroga per il periodo 1° gennaio-31 dicembre 2019, deliberata il 23 aprile 2019 (Doc. XXVI, n. 2). (Doc. XVI, n. 2)

Relatori: FORMENTINI, per la III Commissione; IOVINO, per la IV Commissione.

La seduta termina alle 20,10.

ERRATA CORRIGE

  Nel resoconto stenografico della seduta del 21 giugno 2019:

  - a pagina 55, prima colonna, dopo la ventunesima riga, a capo, inserire le seguenti parole: "PRESIDENZA DELLA VICEPRESIDENTE MARIA EDERA SPADONI (ore 19,50)".