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Resoconto dell'Assemblea

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XVIII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 178 di lunedì 27 maggio 2019

PRESIDENZA DELLA VICEPRESIDENTE MARIA ROSARIA CARFAGNA

La seduta comincia alle 11.

PRESIDENTE. La seduta è aperta.

Invito la deputata segretaria a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

FEDERICA DAGA, Segretaria, legge il processo verbale della seduta del 17 maggio 2019.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Amitrano, Battelli, Benvenuto, Berlinghieri, Bonafede, Brescia, Buffagni, Businarolo, Castelli, Cirielli, Colucci, Cominardi, Davide Crippa, D'Incà, D'Uva, Del Re, Delmastro Delle Vedove, Delrio, Luigi Di Maio, Di Stefano, Durigon, Ehm, Fantinati, Ferraresi, Gregorio Fontana, Lorenzo Fontana, Fraccaro, Frusone, Galli, Garavaglia, Gava, Gelmini, Giaccone, Giachetti, Giorgetti, Grillo, Grimoldi, Guerini, Guidesi, Invernizzi, Liuzzi, Lollobrigida, Lorefice, Losacco, Maggioni, Manzato, Micillo, Molinari, Molteni, Morelli, Morrone, Rixi, Rizzo, Ruocco, Saltamartini, Serracchiani, Carlo Sibilia, Sisto, Spadafora, Tofalo, Vacca, Valente, Vignaroli, Villarosa, Raffaele Volpi e Zoffili sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.

I deputati in missione sono complessivamente sessantanove, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna).

Annunzio di petizioni.

PRESIDENTE. Invito la deputata segretaria a dare lettura delle petizioni pervenute alla Presidenza, che saranno trasmesse alle sottoindicate Commissioni.

FEDERICA DAGA, Segretaria, legge:

Francesco di Pasquale, da Cancello e Arnone (Caserta), chiede: nuove norme in materia di imposte sui terreni edificabili (326) - alla VI Commissione (Finanze); interventi in materia di bonifica e salvaguardia del territorio, qualità dell'aria e per la gestione pubblica del servizio idrico (327) - alla VIII Commissione (Ambiente); incentivi alla diffusione di veicoli privati e mezzi pubblici ecologici (328) - alle Commissioni riunite IX (Trasporti) e X (Attività produttive); interventi per garantire l'equità dei trattamenti previdenziali e l'incremento dei relativi importi minimi (329) - alla XI Commissione (Lavoro); iniziative per assicurare il rispetto delle norme vigenti in materia di quote obbligatorie di candidature riservate alle donne (330) - alla I Commissione (Affari costituzionali); misure per facilitare lo sviluppo e il deposito di brevetti industriali (331) - alla X Commissione (Attività produttive);

Edoardo Caiero, da Carasco (Genova), chiede l'esenzione dal pagamento dei pedaggi autostradali per i veicoli di tutte le associazioni di volontariato di pubblica assistenza (332) - alla VIII Commissione (Ambiente);

Ettore Maria Bartolucci, da Pesaro, chiede che gli atti delle pubbliche amministrazioni siano notificati tramite i messi comunali senza il preventivo ricorso al servizio postale o alle altre forme di notificazione previste dalla legge (333) - alla I Commissione (Affari costituzionali);

Jean Luigino Pignoloni, da Monteprandone (Ascoli), e altri cittadini chiedono: modifiche ai criteri per la composizione delle graduatorie di circolo e di istituto per il personale amministrativo, tecnico e ausiliario di terza fascia (334) - alla XI (Lavoro); norme più restrittive in materia di incompatibilità tra pubblico impiego e svolgimento di attività economiche private (335) - alla XI (Lavoro); l'istituzione di una riserva di posti per le assunzioni nelle pubbliche amministrazioni in favore dei disoccupati residenti nelle aree di crisi industriale complessa (336) - alla XI (Lavoro); misure per favorire l'accesso all'anticipo pensionistico a carico dello Stato da parte dei disoccupati con più di 50 anni di età residenti nelle aree di crisi industriale complessa o colpite dagli eventi sismici del 2016-2017 (337) - alla XI (Lavoro);

Vincenzo Crea, da Motta San Giovanni (Reggio Calabria), chiede il completamento dei lavori e la messa in uso del centro cardiopolmonare di Motta San Giovanni (338) - alla XII Commissione (Affari sociali);

Dario Comegna, da Napoli, chiede l'inasprimento delle misure di prevenzione personale nei confronti dei componenti delle organizzazioni criminali di stampo mafioso e dei loro familiari (339) - alla I Commissione (Affari costituzionali);

Carmine Lombardo, da Bonifati (Cosenza), chiede il riconoscimento delle lauree in scienze turistiche e in valorizzazione dei sistemi turistico-culturali ai fini dell'accesso ai concorsi pubblici e dell'abilitazione all'insegnamento (340) - alla VII Commissione (Cultura);

Luca Nascimbene, da Casteggio (Pavia), chiede l'abbassamento a 20 e a 25 anni dei limiti di età per essere eletti rispettivamente deputati e senatori (341) - alla I Commissione (Affari costituzionali);

Manuela Ricci, da Poggio Torriana (Rimini), chiede nuove norme in materia di trasparenza e di accesso civico agli atti pubblici nel settore edilizio (342) - alla VIII Commissione (Ambiente);

Morena Quarta, da Brescia, chiede: l'obbligo di apprendere le manovre di disostruzione e di primo soccorso pediatrico per tutte le figure professionali che lavorano a contatto con i bambini (343) - alla XII Commissione (Affari sociali); che tutti i mezzi di trasporto pubblico e gli scuolabus siano dotati di cinture di sicurezza e degli appositi seggiolini per i bambini più piccoli (344) - alla IX Commissione (Trasporti).

Discussione del disegno di legge: Conversione in legge del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 35, recante misure emergenziali per il servizio sanitario della Regione Calabria e altre misure urgenti in materia sanitaria (A.C. 1816-A) (ore 11,09).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge n. 1816-A: Conversione in legge del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 35, recante misure emergenziali per il servizio sanitario della Regione Calabria e altre misure urgenti in materia sanitaria.

Ricordo che nella seduta dell'8 maggio 2019 sono state respinte le questioni pregiudiziali Santelli ed altri n. 1 e De Filippo ed altri n. 2.

(Discussione sulle linee generali – A.C. 1816-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari MoVimento 5 Stelle e Partito Democratico ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.

Avverto, altresì, che la XII Commissione (Affari sociali) si intende autorizzata a riferire oralmente. Ha facoltà di intervenire la relatrice, onorevole Nesci.

DALILA NESCI, Relatrice. Grazie, Presidente. Questo decreto-legge che arriva oggi in Assemblea è un provvedimento molto atteso, che reca delle misure emergenziali per il servizio sanitario della regione Calabria, nel Capo I, mentre, nel Capo II, insiste con delle disposizioni urgenti sempre in materia sanitaria, quindi di respiro nazionale.

In queste settimane, nelle Commissioni Affari sociali e Sanità, si sono svolte delle importanti audizioni: è venuto ed è stato ascoltato il commissario ad acta per il piano di rientro del servizio sanitario calabrese, il generale Cotticelli; abbiamo audito anche il presidente della regione Calabria, Mario Oliverio, così come l'AIFA, l'AGENAS, la Conferenza delle regioni e delle province autonome di Trento e Bolzano ed anche le principali associazioni sindacali e di categoria. Abbiamo acquisito, come Commissione, i pareri di tutte le altre Commissioni competenti ed anche recepito le osservazioni della Commissione bilancio e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

Vorrei entrare nel merito del provvedimento, così da rendere conto anche delle modifiche approvate in Commissione.

Il Capo I contiene dieci articoli, con, come dicevo, disposizioni speciali per la regione Calabria, che sono tutte volte a ripristinare i livelli essenziali di assistenza in ambito sanitario, proprio alla luce delle gravi inadempienze gestionali e amministrative riscontrate in questi anni, perché, purtroppo, la Calabria è in piano di rientro, è commissariata da circa dieci anni. Dunque, questi provvedimenti normativi straordinari sono assunti per un periodo temporale limitato a diciotto mesi, questo è importante ribadirlo. Con questo decreto si intende, dunque, traghettare la sanità calabrese verso una normalità amministrativa, come è stato sottolineato e spiegato chiaramente, ma anche in maniera ampia - quindi, invito tutti a leggere -, nella relazione che è stata allegata al decreto.

L'articolo 2 disciplina e rafforza le procedure di verifica straordinaria dei direttori generali degli enti del servizio sanitario regionale, prevedendo che siano effettuate direttamente dal commissario ad acta per l'attuazione dei piani di rientro della regione. Su questo punto la relazione illustrativa del provvedimento sottolinea che ricondurre questo compito al commissario ad acta ed imporre dei termini più abbreviati per l'esercizio di tale competenza appare una misura sistematica e necessaria per garantire il raggiungimento degli obiettivi posti dal piano di rientro. Ciò proprio in considerazione del fatto che la gestione deficitaria condotta finora dalla maggior parte delle aziende sanitarie calabresi trova una sua ragione anche nella insufficienza delle verifiche attuate da parte della regione Calabria, le quali non hanno quasi mai – ribadisco, non hanno quasi mai - impedito il riconoscimento ai direttori generali di tutti gli emolumenti accessori connessi al raggiungimento degli obiettivi gestionali.

Ecco perché è necessario che attraverso quest'articolo, entro trenta giorni dall'entrata in vigore del provvedimento e, poi, successivamente ogni sei mesi, il commissario ad acta, il generale Cotticelli, è tenuto ad effettuare una verifica straordinaria sull'attività dei direttori generali delle aziende sanitarie ospedaliere ed anche dell'unica ospedaliera universitaria che esiste in Calabria. La verifica è volta ad accertare se le azioni poste in essere da ciascun direttore generale siano coerenti con gli obiettivi di attuazione del piano di rientro e anche sotto il profilo, ovviamente, dell'eventuale inerzia amministrativa-contabile.

Il commissario ad acta, nel caso di valutazione negativa del direttore generale, previa contestazione e nel rispetto del contraddittorio, provvederà motivatamente a dichiararne l'immediata decadenza dall'incarico, nonché a risolvere il relativo contratto. Invece, in caso di valutazione positiva, al direttore generale si estendono le disposizioni che sono relative alle attribuzioni e ai compiti dei commissari straordinari disposti da questo provvedimento. L'articolo 3 prescrive le misure da adottare nel caso di valutazione negativa dell'operato del direttore generale. In particolare, si prevede che, in questo caso, il commissario straordinario sia nominato dal commissario ad acta previa intesa con la regione, nonché, come da modifica approvata in sede referente, con il rettore nel caso dell'azienda ospedaliera universitaria. Qualora, invece, questa intesa con la regione non venga raggiunta nel termine perentorio di dieci giorni, la nomina sarà effettuata direttamente con decreto del Ministero della Salute, sempre su proposta del commissario ad acta e previa delibera del Consiglio dei ministri, al quale è invitato a partecipare anche il presidente della Giunta regionale.

Per quanto riguarda, invece, il comma 2 dell'articolo 3, il commissario straordinario è scelto tra soggetti, anche in quiescenza, di comprovata competenza ed esperienza, in particolare in materia di organizzazione sanitaria e di gestione aziendale; qui è stata fatta tanta polemica appunto perché si deroga ad una normativa nazionale, ma lo si è fatto con cognizione di causa proprio perché le condizioni in cui versa il sistema sanitario regionale calabrese sono molto complicate, non soltanto per le infiltrazioni della criminalità organizzata, così come è chiaro dopo l'ennesimo scioglimento per mafia dell'ASP di Reggio Calabria, ma anche per una situazione di illegalità diffusa. Quindi, non è facile trovare persone che al vertice abbiano voglia, insomma, di sostenere questo percorso complicato, pertanto si è cercato anche di avere le maggiori possibilità per far arrivare in Calabria le migliori professionalità, eventualmente anche in quiescenza o fuori dall'albo, anche perché, per esempio, alcuni attuali direttori generali uscenti stavano proprio dentro l'albo nazionale, quindi è giusto avere la possibilità di avere manovre in questo senso e, comunque, viene fatta salva la professionalità, perché saranno scelti coloro che, ovviamente, hanno comprovata competenza ed esperienza in materia di organizzazione sanitaria e di gestione aziendale.

Poi, una disposizione transitoria è contenuta nel comma 3, ai sensi del quale, fino alla nomina del commissario straordinario, si applica la disposizione della legge n. 502 del 1992, per cui, nei casi di vacanza dell'ufficio o di assenza o di impedimento del direttore generale, le relative funzioni sono svolte dal direttore amministrativo sanitario su delega del direttore generale oppure del direttore più anziano per età. Può essere nominato un unico commissario straordinario per più enti del servizio sanitario regionale.

Poi, ai sensi del comma 5, l'ente del servizio sanitario della regione corrisponde al commissario straordinario il compenso stabilito dalla normativa regionale per i direttori generali dei rispettivi enti del servizio sanitario. Con un decreto del Ministero dell'Economia e finanze, di concerto con il Ministero della Salute, che verrà adottato entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto-legge, è definito un compenso aggiuntivo per l'incarico di commissario straordinario, comunque entro determinati limiti. Con questo decreto, quindi, si riportano anche allo standard nazionale i compensi di queste nomine apicali.

Poi, ai sensi del comma 6 dell'articolo 3, il commissario straordinario, entro nove mesi dalla nomina, adotta un nuovo atto aziendale, che verrà approvato dal commissario ad acta al fine di assicurare la coerenza con gli obiettivi del piano di rientro e, quindi, definire eventualmente nuove procedure di controllo interno.

Nel corso dell'esame in sede referente in Commissione affari sociali è stata approvata un'importante disposizione, il comma 6-bis, secondo la quale, ai fini dell'adozione dell'atto aziendale, viene istituita con decreto ministeriale un'unità di crisi speciale per la regione, con il compito di effettuare visite ispettive e straordinarie presso l'azienda sanitaria. L'unità sarà composta da dirigenti del Ministero della Salute, da un numero massimo di cinque esperti, che trasmette al commissario straordinario e al commissario ad acta una relazione sullo stato dell'erogazione delle prestazioni sanitarie, evidenziando così anche gli eventuali scostamenti dagli standard nazionali, quindi necessari a garantire i livelli essenziali di assistenza e quindi anche le misure organizzative che sono necessarie per il loro ripristino.

Al comma 7, si stabilisce la modalità di verifica periodica dell'attività del commissario straordinario da parte del commissario ad acta, il quale, in caso di valutazione negativa, ne dispone la decadenza immediata all'incarico, e provvede alla relativa sostituzione. Si prevede, inoltre, che l'incarico di commissario straordinario sia considerato come esperienza valutabile ai fini della nomina a direttore generale.

Per quanto riguarda l'articolo 4, è prevista la verifica periodica, o comunque entro sessanta giorni dalla nomina, da parte dei commissari straordinari sull'attività dei direttori amministrativi e sanitari delle rispettive aziende, sulla base dei criteri stabiliti dalla normativa vigente, con conseguente eventuale pronuncia di decadenza dall'incarico dai soggetti verificati e nomina, ovviamente, dei sostituti. Qualora sia dichiarata la decadenza dei direttori amministrativi e sanitari, il commissario straordinario o il direttore generale li sostituiscono.

L'articolo 5 estende alle aziende sanitarie della regione Calabria la disciplina prevista per gli enti locali in tema di dissesto finanziario. Viene attribuita al commissario straordinario il compito di effettuare una verifica della gestione dell'ente a cui è preposto, anche avvalendosi dell'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (AGENAS) e anche del Corpo della Guardia di finanza. Ne consegue che, qualora emergano irregolarità gestionali gravi e reiterate rispetto alla previsione della gestione straordinaria dell'ente verificato, a questa gestione verranno imputate, con bilancio separato rispetto a quello della gestione ordinaria, tutte le entrate di competenza e tutte le obbligazioni assunte fino al 31 dicembre 2018. Quindi, con questo articolo si fa un'operazione di stralcio della gestione contabile passata e separata, di modo che la nuova gestione contabile possa garantire i livelli essenziali di assistenza. Per il passato si continuerà ad avere questa gestione straordinaria e ad essa provvederà un commissario straordinario di liquidazione, in modo da consentire il ripristino dei livelli essenziali di assistenza.

L'articolo 6 detta specifiche disposizioni in tema di appalti, servizi e forniture degli enti del servizio sanitario della regione Calabria. Con questo articolo, gli enti e le aziende del servizio sanitario della regione Calabria si avvalgono degli strumenti messi a disposizione da Consip Spa, salvo ovviamente le forniture e gli appalti sotto soglia. Conosciamo tutte le difficoltà della SUA in Calabria, anche a livello di organico, quindi era necessario, sempre nell'ordine della straordinarietà di questo decreto, per diciotto mesi dare questa direttiva precisa. Poi, eventualmente, superata questa complicata situazione, magari sarà possibile rimettere in sesto e dare veri strumenti alla SUA per agire, perché al momento non rispondeva effettivamente alle esigenze. Per i casi in cui i contratti siano inferiori alle soglie, come dicevo, di rilevanza comunitaria, si procede con un protocollo d'intesa, che stipulerà sempre il commissario ad acta, il generale Cotticelli, con l'Autorità nazionale anticorruzione, l'ANAC appunto, in modo che tutti gli enti e le aziende sanitarie del servizio sanitario calabrese si adeguino.

Poi viene previsto anche, in materia di edilizia sanitaria e di ammodernamento tecnologico del patrimonio sanitario, un piano straordinario triennale. Il comma 5 reca anche una disposizione specifica di risorse finanziarie per il 2019 in favore proprio di questo ammodernamento tecnologico nella regione.

L'articolo 7, invece, modifica la procedura per l'adozione di una misura straordinaria di gestione con riferimento alle imprese esercenti l'attività sanitaria per conto del sistema sanitario della regione Calabria, perché non possiamo omettere, come dicevo prima, le infiltrazioni della 'ndrangheta e della criminalità organizzata nel sistema sanitario calabrese e, quindi, è giusto che, da uno sguardo privilegiato che la struttura commissariale ha, possa eventualmente segnalare situazioni particolari.

Presidente, mi ricorda quanto tempo ho?

PRESIDENTE. Altri sei minuti.

DALILA NESCI, Relatrice. Cerco di andare veloce. L'articolo 8 prevede lo svolgimento di un'attività di supporto tecnico ed operativo da parte dell'AGENAS e spero che con questo nuovo Governo ci sia veramente un'assoluta corrispondenza con il Ministero della Salute, perché in passato AGENAS non ha brillato per trasparenza, per un monitoraggio e per un'assistenza reale alla regione, come risulta, tra l'altro, dalle risposte che più volte io stessa ho avuto alle varie interpellanze nella scorsa legislatura, quindi spero che questa volta ci sia davvero un impegno anche forse, aggiungo, sentito ed umano, vista la situazione molto catastrofica che c'è nella mia regione di provenienza.

L'articolo 9 prevede lo svolgimento di un'attività di collaborazione da parte del corpo della Guardia di finanza, sempre in favore della struttura commissariale. Poi l'articolo 10 concerne l'eventuale scioglimento di singoli enti e aziende del servizio sanitario della regione Calabria. Passando al capo II, anch'esso molto importante, dall'articolo 11 all'articolo 13 sono affrontate specifiche tematiche che hanno messo in difficoltà in questi ultimi quindici anni il settore sanitario e quindi è importante avere inciso su esse con il decreto-legge. L'articolo 11 intende contrastare l'ormai cronica carenza di personale del Sistema sanitario nazionale che si era determinato a causa di diversi fattori, come ad esempio il famoso blocco del turnover. Tale disposizione ha l'obiettivo quindi di fissare nuovi limiti di spesa per il personale del Sistema sanitario nazionale in coerenza con la legge di bilancio sul livello del finanziamento per il Sistema sanitario nazionale per il 2019. Quindi, al comma 1 dell'articolo 11 si stabilisce che, a decorrere dal 2019, la spesa per il personale degli enti del Sistema sanitario nazionale delle regioni a statuto ordinario e, laddove sottoposte alla disciplina dei piani di rientro, delle regioni a statuto speciale e delle province autonome, non può superare il valore della spesa sostenuta nell'anno 2018, come certificata dai lavori di verifica o, se superiore, il corrispondente ammontare dell'anno 2004 diminuito dell'1,4 per cento. Questi valori verranno poi ulteriormente incrementati annualmente, a livello regionale, di un importo pari al 5 per cento dell'incremento del Fondo sanitario regionale rispetto all'esercizio precedente. Quindi, c'è uno sblocco del turnover, c'è l'innalzamento dei tetti di spesa e la possibilità per le regioni di adeguarsi al tetto dell'anno 2004-2018 e poi la possibilità anche di sbloccare il turnover per le regioni in piano di rientro commissariate. Questo è un grande e importante obiettivo che si è raggiunto proprio grazie alle volontà insieme di Ministero della Salute e MEF: è stato importante fare questo passo.

Poi successivamente ci riferiamo alle nomine dei direttori generali degli istituti zooprofilattici sperimentali, considerato anche in questo caso le criticità a seguito dell'istituzione dell'elenco nazionale degli idonei alla nomina di direttore generale degli enti del Sistema sanitario nazionale: sarà quindi prevista una sezione ad hoc per i direttori generali degli istituti zooprofilattici sperimentali. Poi ancora, sempre al comma 5-bis, è stata inserita nel corso dell'esame in sede referente una nuova norma derogatoria temporanea che concerne la nomina dei direttori generali, stabilendo che, nelle more della revisione dei criteri di selezione dei direttori generali e comunque non oltre diciotto mesi dall'entrata in vigore del decreto-legge in esame, la rosa dei candidati per la posizione di direttore generale, da proporre al presidente della regione, debba essere formata secondo una graduatoria di merito in base a requisiti maggiormente coerenti con le caratteristiche dell'incarico da attribuire. Quindi, con questa normativa abbiamo introdotto il criterio della graduatoria così da restringere l'eccessiva discrezionalità, però in modo da preservare sempre le prerogative costituzionali e poi entro diciotto mesi dovremmo tutto il Parlamento insieme provvedere a riformare la nomina dei direttori generali poiché l'albo ha bisogno di un rinnovamento.

L'articolo 12 è diretto a prorogare al 2021, a decorrere dalla sessione di esame di luglio, l'entrata in vigore del nuovo esame di abilitazione per l'esercizio della professione medica al fine di consentire agli atenei una migliore organizzazione degli esami di Stato. Pertanto alle prove d'esame relative al 2019-2020 continuano ad applicarsi le disposizioni di cui al decreto ministeriale n. 445 del 2001. Il secondo comma estende ai medici veterinari la specifica disciplina già prevista a legislazione vigente ai fini dell'accesso alla dirigenza del ruolo sanitario. Inoltre per sopperire alla contingente carenza di medici di medicina generale, ai laureati in medicina e chirurgia, idonei all'ammissione al corso triennale di formazione specifica in medicina generale che risultino già incaricati per almeno ventiquattro mesi anche non continuativi negli ultimi dieci anni, è consentito l'accesso al corso stesso tramite graduatoria riservata senza borsa di studio nei limiti di spesa prevista e l'accesso viene consentito ovviamente in via prioritaria ai medici abilitati e già idonei all'iscrizione con maggiore punteggio di anzianità di servizio. Il numero massimo di candidati ammessi al corso è calcolato in base al limite di spesa che viene definito in 2 milioni.

PRESIDENTE. La prego di concludere.

DALILA NESCI, Relatrice. Mi avvio a concludere. L'articolo 13, introdotto durante l'esame referente in Commissione, è diretto ad introdurre una prescrizione aggiuntiva ossia assicurare l'adempimento dell'obbligo del servizio pubblico dei grossisti farmaceutici di fornire permanentemente un assortimento adeguato di medicinali. Ho cercato di fare molto velocemente. Poi nel Capo III sono contenute Disposizioni finanziarie, transitorie e finali.

PRESIDENTE. Deve concludere.

DALILA NESCI, Relatrice. Quindi, Presidente, deposito la relazione completa.

PRESIDENTE. Benissimo. Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo. Sottosegretario Bartolazzi, intende intervenire o si riserva di farlo successivamente?

ARMANDO BARTOLAZZI, Sottosegretario di Stato per la Salute. Mi riservo di farlo successivamente.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Sapia. Ne ha facoltà.

FRANCESCO SAPIA (M5S). Grazie, Presidente. Il decreto-legge in fase di conversione nasce per rispondere a un'esigenza fondamentale ignorata dai Governi nazionali precedenti: la Calabria ha una sanità in coma e occorre salvarla. La causa è nota da troppo tempo: mi riferisco al perpetuo utilizzo politico-elettorale dell'organizzazione dei servizi e della gestione del personale. Molti medici, infermieri e operatori socio-sanitari sono mortificati nella loro professionalità e costretti a turni massacranti. Pazienti e utenti non possono non avere risposta e non devono emigrare per curarsi. Questa è la triste realtà della Calabria. Ciò costa alle casse regionali 304 milioni all'anno, senza contare le spese e i sacrifici affrontati da intere famiglie. Badate le cause del declino del servizio sanitario calabrese sono state certificate nel 2008, quindi undici anni addietro, dalla commissione ministeriale che ha indagato sulla malasanità in Calabria, inviata dopo l'assurda morte dei minori Federica Monteleone, Flavio Scutellà ed Eva Ruscio. La Commissione rilevò tre grandi problemi: subordinazione dei manager alla politica, appetiti criminali e diffuse incapacità gestionali. I governi regionali di centrodestra e di centrosinistra hanno complicato la situazione con il contributo decisivo dei loro referenti a Roma che non hanno mosso un dito, hanno chiuso gli occhi e permesso abusi, irregolarità, sprechi, ruberie e porcherie a ciclo continuo. Da allora non è cambiato nulla: anzi, le cose sono molto peggiorate. I punti nascita calabresi sono insicuri; ci sono accreditamenti di strutture ospedaliere dati al di fuori delle regole ordinarie; manca tanto personale; il disavanzo sanitario è cresciuto a dismisura; non c'è certezza e trasparenza sui conti. Il 24 maggio scorso è stato notificato alla regione il divieto di legge di assumere nuove risorse umane per rimuovere il quale abbiamo approvato un emendamento specifico. L'ASP di Reggio Calabria è stata sciolta e commissariata per infiltrazioni mafiose e nelle altre aziende si registrano irregolarità spaventose come primari senza requisiti, collocazioni arbitrarie e perfino medicazioni ortopediche con cartoni da imballaggio. Il nostro Governo doveva intervenire e l'ha fatto: i direttori generali delle aziende del servizio sanitario calabrese hanno fallito, producendo gravi disavanzi, squilibri e dunque disservizi pesantissimi. Questi manager sono stati nominati, premiati e confermati dal governatore regionale in carica: quel Mario Oliverio che si proclama incolpevole, che accusa gli altri e non guarda mai a se stesso, alle sue responsabilità, ai suoi errori senza fine. Oliverio ha decretato nomine di vertice illegittime, come è chiarito anche dall'Anac su denuncia della collega Dalila Nesci del MoVimento 5 Stelle. Va aggiunto che il governatore si è scelto un consulente personale, Franco Pacenza, che partecipa senza titolo alla Conferenza Stato-regioni. Nel merito Oliverio ha proceduto senza rispettare la legge, cioè senza verificare se nell'organico regionale ci fossero professionalità cui ricorrere per questo incarico. Peraltro, lo stesso Oliverio ha ignorato che Pacenza non è iscritto a un albo professionale e non è un docente universitario ma dalla sua ha una lunga militanza nel PD e un'esperienza in consiglio regionale che gli frutta oltre 7 mila euro al mese di vitalizio.

Inoltre, Oliverio ha omesso di avviare la decadenza dei direttori generali, responsabili di perdite di bilancio. Non solo: costoro hanno preso un bel premio di produttività, alla faccia delle norme vigenti, del buonsenso e della logica.

Negli ultimi venti anni la sanità è stata gestita da appena sedici manager. Gira e volta sempre gli stessi, sopravvissuti alle tornate elettorali e ai governi regionali che si sono avvicendati. Per questo servivano nuove regole che levassero al presidente della regione il potere di proseguire nello sfascio. Ecco perché la Ministra della Salute, Giulia Grillo ci ha messo la faccia, ascoltando istanze, che con la collega Nesci abbiamo sempre avanzato, di legalità, pulizia e normalizzazione del servizio sanitario regionale.

Il provvedimento che oggi rivediamo e discutiamo è nato dalla sensibilità e responsabilità della Ministra Giulia Grillo, dalle nostre denunce pubbliche e alla magistratura, dalla partecipazione di tutto il Governo nazionale, che ha scelto di andare incontro ai calabresi, di cambiare rotta, di impedire appalti truccati per beni e servizi sanitari, di potenziare i relativi controlli e di vigilare, con le forze dell'ordine, sulla spesa sanitaria calabrese, finora lasciata troppo spesso al libero arbitrio e finalizzata a favorire amici, compari e carriere politiche sicure.

Abbiamo visto che la stampa e la vecchia politica si sono subito attivate, diffondendo critiche senza analisi e senza memoria. È ovvio: quando il sistema si sente attaccato reagisce screditando, delegittimando e raccontando falsità senza limiti. Qualcuno ha avuto anche il coraggio di scrivere che sono stati dettati dalla Casaleggio e Associati i nomi proposti dalla struttura commissariale del Governo per la direzione delle aziende del servizio sanitario calabrese. Qualcuno ha detto che il decreto-legge prossimo alla conversione non contiene misure adeguate; altri ci hanno accusato di fame di poltrone.

Cari colleghi, allora diciamocela tutta: le professionalità sanitarie della Calabria sono state indotte ad andarsene o a lavorare ai margini. Eppure, l'improntitudine del governatore Oliverio è stata tale da modificare la realtà. Egli ha significato che il decreto-legge di cui oggi ci occupiamo mortifica intelligenze e competenze della regione. Oliverio avrebbe dovuto tacere per rispetto dei calabresi, dato che a Crotone i suoi fedelissimi hanno perseguitato un primario chirurgo, Giuseppe Brisinda, che ha titoli, pubblicazioni e numeri di eccellenza. Gli accusatori di questo medico hanno sempre campato grazie alla miopia del sistema politico dei vecchi partiti. Alcuni di tali eredi di Catone hanno raggiunto posizioni apicali grazie a concorsi interni, altri hanno avuto incarichi di rilievo perché i loro referenti politici hanno cambiato o calpestato le regole del gioco. E cosa dire, inoltre, dei soggetti nominati dallo stesso Oliverio alla guida delle direzioni aziendali? Ce n'è per tutti i gusti. Altro che personaggi in cerca d'autore! C'è chi tra costoro ha deliberato concorsi a primario non autorizzati dalla struttura commissariale, chi non aveva i requisiti minimi di legge, chi in “zona Cesarini” ha deliberato l'assegnazione sospetta di ruoli dirigenziali ad amici e signori di Palazzo, chi ha ripetutamente sforato i bilanci aziendali, chi ha fatto carriera anche grazie al proprio partito, chi ha consentito procedure inammissibili e chi si è reso sordo, muto e cieco, nonostante le nostre diffide, i ripetuti richiami e la degenerazione quotidiana.

Il collega Antonio Viscomi, del Partito Democratico, argomenta sul piano puramente teorico contro il decreto-legge oggetto della nostra discussione. “Tutte le teorie sono belle”, diceva un famoso neurologo francese, “ma non impediscono ai fatti di esistere” e i fatti della sanità calabrese sono spesso tragici, più che drammatici. Purtroppo, ricordava il compianto amico giornalista e direttore Paolo Pollichieni, in Calabria la realtà supera di molto la fantasia.

E, allora, dovremmo chiederci perché a un aumento vertiginoso del disavanzo sanitario corrisponde una caduta verticale dei LEA e ci dovrebbe dare qualche risposta anche il precedente commissario ad acta, Massimo Scura, che durante un'iniziativa pubblica disse che i magistrati non devono occuparsi di sanità. Si tratta dello stesso personaggio, Scura, che ora dà lezioni morali e politiche andando in giro per conferenze, come se non avesse avuto alcun ruolo nell'espansione del disavanzo sanitario regionale e come se fosse immune da responsabilità anche pesanti.

Allora, qui va fatto un discorso in primo luogo di coscienza, atteso che la collega Nesci ha dimostrato, negli anni, l'inadeguatezza delle regole e delle verifiche sul piano di rientro, segnatamente alla regione Calabria.

Il Governo nazionale in carica ha saputo comprendere il momento, che è di assoluta emergenza, e ha decretato le prime misure straordinarie, togliendo a Oliverio il potere e la responsabilità sulla gestione delle aziende del servizio sanitario calabrese ma, comunque, sforzandosi di portarlo verso un'intesa istituzionale che il “governatore” non riesce a comprendere, accecato dalla brama della propria ricandidatura. Era necessario bloccare l'utilizzo della sanità regionale come bancomat, era necessario aumentare i controlli sugli acquisti, era necessario creare un collegamento istituzionale sul fronte dell'anticorruzione e dell'attività antimafia per l'intero sistema sanitario calabrese. Perciò il Governo ha agito con risolutezza, con determinazione, con la coscienza pulita, al netto dei rigurgiti degli avversari politici, che avrebbero voluto esercitare ancora le loro pesanti influenze sulla concreta gestione dei servizi sanitari.

E allora concludendo, Presidente, i calabresi hanno capito e sono dalla nostra parte. Esprimo il mio apprezzamento per il lavoro fin qui svolto in questo delicato ambito e ringrazio quei colleghi di altre forze politiche che vorranno condividere le necessità qui riassunte e adoperarsi per migliorare questo disegno di legge di conversione, rinunciando a pregiudizi e ad atteggiamenti denigratori che mi paiono lontani anni luce dal bene comune e dall'obiettivo, dal dovere primario di sanare la sanità calabrese, anche perché i cittadini calabresi sono stanchi di pagare lo sfascio della sanità sulla propria pelle (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle – Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Maria Tripodi. Ne ha facoltà.

MARIA TRIPODI (FI). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, il decreto-legge che stiamo discutendo e che quest'Aula si appresta a votare è stato approvato il 18 aprile scorso da un Consiglio dei ministri che si è tenuto non a Palazzo Chigi ma, con un colpo di puro teatro, a Reggio Calabria e per questo rimarcare l'importanza che hanno le norme sulla sanità calabrese sul complesso del provvedimento è più che doveroso.

I primi dieci articoli riguardano, appunto, la sanità della regione Calabria e sono quelli che valutiamo in maniera fortemente negativa. Siamo, di fatto, di fronte a una sorta di occupazione militare da parte del Governo centrale nei confronti della regione, che ha portato il gruppo di Forza Italia a presentare, il 7 maggio scorso, una pregiudiziale di costituzionalità. Con questo decreto, e per diciotto mesi, si assisterà, infatti, a un azzeramento di qualsivoglia ruolo della regione Calabria nella gestione del servizio sanitario regionale come probabilmente mai era avvenuto in precedenza.

Vengono assegnati all'attuale commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro, il generale Cotticelli, nuovi e maggiori poteri di controllo sui dirigenti del servizio sanitario regionale sottraendoli al presidente della regione, dimostratosi finora inadempiente agli impegni assunti in precedenza. Il commissario ad acta deve effettuare una verifica straordinaria sui direttori generali degli enti del servizio sanitario regionale e, in caso di valutazione negativa del direttore, il commissario può provvedere a dichiararne l'immediata decadenza dall'incarico e può nominare un commissario straordinario. Inoltre, può essere nominato un unico commissario straordinario per più enti del servizio sanitario regionale.

Voglio ricordare che, a legislazione vigente, la verifica dell'attività dei direttori rientra nelle attribuzioni della regione. Ora, invece, sarà il Governo centrale, attraverso i suoi commissari, ossia il commissario ad acta e quelli straordinari, a prendere in mano tutta la sanità calabrese, dagli ospedali al personale, fino alla stessa nomina dei manager sanitari, che dovranno portare avanti le direttive governative. In sostanza, la sanità della regione Calabria non sarà più una competenza locale, ma nazionale ed è la prima volta che accade dalla nascita del nostro servizio sanitario nazionale.

Peraltro, signor Presidente, i commissari straordinari potranno essere scelti e nominati dal commissario ad acta governativo in maniera discrezionale e anche fuori dall'ambito dell'elenco nazionale dei soggetti idonei alla nomina di direttore generale degli enti del servizio sanitario stesso. Come se non bastasse, entro sei mesi dalla nomina, e successivamente almeno ogni sei mesi, il commissario ad acta dovrà verificare le attività svolte dal commissario straordinario.

A sua volta, il commissario straordinario deve procedere alla verifica periodica dell'attività svolta dai direttori amministrativi e dai direttori sanitari; e in caso di loro decadenza, laddove nominato, il commissario provvede alla sostituzione. Inoltre, in virtù di questo provvedimento del 3 maggio, ossia dal giorno della pubblicazione del decreto-legge in Gazzetta Ufficiale, sono decaduti tutti i commissari delle aziende sanitarie ospedaliere calabresi nominati dalla regione.

In questi dieci articoli c'è tutto, tranne però quello che davvero è prioritario e servirebbe alla nostra sanità e ai cittadini: le risorse e gli investimenti, ossia quello che necessiterebbe per fronteggiare le criticità della regione e garantire ai cittadini l'erogazione dei livelli essenziali di assistenza. In Calabria mancano le strutture, mancano i medici, manca il personale sanitario. La mobilità sanitaria passiva è elevatissima, così come lo sono le liste di attesa. Di tutto questo, però, non vi è traccia nel decreto: si è scelta, invece, la sola strada, peraltro incostituzionale, dell'esautorazione del ruolo della regione da parte del Governo.

Sotto questo aspetto, l'esame del provvedimento in Commissione referente non ha portato alcun miglioramento sostanziale: solo piccole e blande modifiche, che non spostano minimamente la portata negativa degli articoli stessi. Noi abbiamo presentato numerose richieste di modifica: tra le tante, abbiamo chiesto che il commissario ad acta potesse costituire la consulta dei sindaci dei territori in cui ricadono i suddetti presidi ospedalieri; abbiamo chiesto di ridurre la discrezionalità del commissario nell'individuare i commissari straordinari; abbiamo proposto che il lauto compenso aggiuntivo previsto per l'incarico di commissario straordinario dovesse essere legato esclusivamente a un risultato positivo conseguito in relazione agli obiettivi assegnati. Anche su questo abbiamo trovato un muro.

Abbiamo inoltre chiesto, in tema di appalti, servizi e forniture degli enti del servizio sanitario della regione, che detti enti si potessero avvalere anche della stazione unica appaltante regionale. Abbiamo proposto una deroga ai limiti di spesa annua per poter programmare l'acquisto di prestazioni sanitarie e garantire il raggiungimento dei livelli minimi di assistenza, anche per la specialistica ambulatoriale della regione; così come abbiamo chiesto l'istituzione di un fondo per la riduzione della mobilità sanitaria passiva e delle liste di attesa, nonché per un piano per la stabilizzazione ed assunzione di personale sanitario.

Certamente meno critiche, ma sicuramente migliorabili sono, invece, le disposizioni del decreto-legge che hanno valenza più generale e impattano sulla sanità nazionale, come per esempio le norme in materia di carenza di medicinali, dove si prevede positivamente il possibile blocco temporaneo dell'esportazione di detti farmaci in caso di carenza o loro indisponibilità, e le norme sulla spesa per il personale finalizzate a superare la carenza di personale del nostro Servizio sanitario. Importante è la previsione del possibile sblocco del turnover per le regioni con deficit, appunto come quella calabrese. Norme condivisibili, che però non spostano la nostra posizione critica sul complesso di tale provvedimento.

Mi auguro comunque che nel corso dell'esame da parte di quest'Aula si possano apportare, signor Presidente, i necessari miglioramenti, a cominciare chiaramente da quelli indispensabili riguardanti le norme sulla sanità della nostra regione.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole De Martini. Ne ha facoltà.

GUIDO DE MARTINI (LEGA). Presidente, membri del Governo, onorevoli colleghi, intervengo nella discussione sul provvedimento che, come tutti sappiamo, mira alla conversione del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 35, recante misure emergenziali per il servizio sanitario della regione Calabria e altre misure urgenti in materia sanitaria.

Le problematiche di fondo che vengono affrontate dal provvedimento possono essere ricondotte nell'ambito di due principali categorie: da un lato, abbiamo la situazione di grave emergenza nella quale si trova il servizio sanitario della regione Calabria, una situazione inaccettabile sotto gli occhi di tutti, alla quale è dedicato il Capo I del decreto-legge, composto da 10 articoli; dall'altro lato, abbiamo criticità strutturali comuni alla maggior parte delle regioni, che incidono negativamente sull'erogazione dei livelli essenziali di assistenza. Di tali questioni si è fatto carico il Governo con il decreto-legge di cui oggi discutiamo la conversione e, dal mio punto di vista, come Lega, ritengo che le risposte fornite siano da considerare valide, puntuali ed efficaci, al netto ovviamente dei miglioramenti che, con il contributo di tutti, potranno essere apportati in sede di conversione.

Andrei, allora, al primo nucleo di interventi previsti per il servizio sanitario calabrese. Partiamo dalla situazione di fatto: la regione Calabria ha ottenuto il valore più basso fra tutte le regioni con riferimento alla cosiddetta griglia LEA, la griglia che misura l'erogazione dei livelli essenziali di assistenza sul territorio. Preoccupanti sono anche i dati sulla situazione economico-finanziaria: i bilanci del servizio sanitario regionale hanno registrato un disavanzo per diverse decine di milioni di euro. Ben noto è anche il problema della mobilità passiva, un fenomeno tragico e drammatico per migliaia di cittadini calabresi, che nel momento del bisogno sono costretti ad emigrare per ricevere cure ed assistenza adeguate.

Si è, quindi, innescato un circolo vizioso nella regione: la malasanità costringe i residenti a rivolgersi alle strutture extra-regionali; queste strutture devono essere successivamente rimborsate dalla regione Calabria; il trasferimento di risorse che ne deriva incide negativamente sui saldi a bilancio, generando a sua volta perdite ed ulteriori cali di prestazioni. Non fraintendetemi, con ciò non voglio dire che è stato tutto negativo: ci sono e meritano di essere segnalate alcune punte di eccellenza, imprese e professionisti di elevato spessore, i cui risultati valgono doppio, se consideriamo il contesto di grave difficoltà nel quale sono costretti ad operare. È proprio nei loro confronti, allora, che il Governo aveva il dovere di intervenire con misure eccezionali, speciali e ben delimitate nel tempo.

In tale prospettiva, possiamo dunque valutare con favore le misure di cui agli articoli 2 e seguenti del decreto-legge, che prevedono verifiche periodiche dell'attività dei vertici aziendali al fine di consentire uno stretto monitoraggio, quasi in tempo reale, dei risultati da questi raggiunti sul territorio. Fondamentale sarà altresì il ruolo dell'AGENAS, che, ai sensi dell'articolo 8, metterà a disposizione dei commissari le risorse necessarie per il raggiungimento degli obiettivi prefissati. Ancora, sarà determinante l'attività di sostegno del Corpo della guardia di finanza e dall'Autorità nazionale anticorruzione, con i quali si prevede la stipula di appositi atti di intesa, anche nell'ottica di eradicale definitivamente le infiltrazioni del malaffare nella sanità calabrese.

Si tratta certamente di obiettivi ambiziosi, che non sarà facile raggiungere in così breve tempo, ma sono proprio queste le sfide che il Governo ha il dovere di raccogliere ed affrontare. L'auspicio è che, attraverso le misure in questione, si intraprenda un percorso di ripresa, che da qui ai prossimi anni possa consentire ai residenti calabresi di tornare a fruire delle prestazioni di cui hanno bisogno, e che lo Stato ha il dovere di garantire in loro favore.

Mi sposto adesso alla seconda parte del decreto-legge, altrettanto importante e che riguarda le altre misure urgenti in materia sanitaria. Anche qui gli interventi degni di nota sono molteplici: penso allo sblocco del tetto di spesa per il personale sanitario, dove avevamo un limite parametrato al 2004, la spesa di 15 anni fa; penso alle norme sulla formazione dei medici di famiglia; penso alla disposizione che agevolerà l'inserimento degli psicologi nel circuito dell'assistenza di base per superare la concezione dello psicologo come lusso.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

GUIDO DE MARTINI (LEGA). Penso infine all'abrogazione del blocco del turnover sulle assunzioni in sanità, tra i risultati a mio avviso più importanti che sono stati raggiunti nel corso dei lavori in Commissione. È una misura fondamentale e fortemente voluta dal gruppo, per la quale abbiamo presentato uno specifico emendamento: ricordiamo infatti che, in una prima fase, l'esenzione era stata prevista per la sola regione Calabria, e non era sufficiente. Siamo intervenuti ed abbiamo richiesto l'estensione del beneficio a tutte le regioni in piano di rientro, perché la carenza di medici è un problema strutturale e dobbiamo evitare che gli enti siano sottoposti a sanzioni così penalizzanti, in grado di aggravarla ancora di più e di incidere negativamente sugli standard minimi delle prestazioni.

Concludo quindi con il ringraziamento alla relatrice ed al MEF per aver accolto la nostra proposta di estensione: con la conversione del decreto-legge sarà scongiurata l'applicazione di questa sanzione e saranno scongiurati i suoi effetti penalizzanti e negativi sul raggiungimento dei LEA.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Viscomi. Ne ha facoltà.

ANTONIO VISCOMI (PD). Grazie, Presidente. Abbiamo già affermato in quest'Aula, un paio di settimane fa, che il decreto-legge n. 35 viola sul piano costituzionale regole basilari in materia di leale collaborazione fra Stato e regioni, come formulata dalla giurisprudenza della Corte e come consacrata nell'articolo 8 della legge n. 131 che disciplina le modalità di esercizio dei poteri sostitutivi del Governo centrale nei confronti dei governi locali; abbiamo pure evidenziato che l'emergenza del e nel Servizio sanitario regionale calabrese, di cui tratta il capo I del decreto, è stata utilizzata come una sorta di grimaldello per consentire al Governo di dettare norme di carattere generale contenute nel capo II che riguarda, invece, il Sistema sanitario nazionale. Così operando, il Governo, però, ha violato la regola anch'essa basica che impone l'omogeneità dei contenuti precettivi di un decreto-legge; in questo caso, in effetti, siamo di fronte a due diversi decreti-legge accomunati in un unico provvedimento. La conseguenza è che, così operando, non si consenta una valutazione differenziata delle due parti, costringendo il Parlamento ad accomunare in un unico voto finale provvedimenti che potrebbero anche suggerire valutazioni tra loro differenti.

Ecco, con questi argomenti, che saranno pure teorici, ma sono stati rafforzati da una posizione comune dei presidenti della Conferenza delle regioni, la maggioranza però ha fatto valere il peso più del numero che delle argomentazioni contrarie. Oggi, in sede di discussione generale e dopo un'intensa settimana di lavoro in Commissione, l'attenzione deve essere spostata dai profili generali e di metodo a quelli particolari e di merito, al fine di dimostrare che il decreto-legge n. 35 è e rimane una terapia sbagliata e che rischia di produrre effetti perversi, oggi, nel sistema sanitario della regione Calabria, ma, domani, nel sistema sanitario di qualunque regione. Parlo, signora Presidente, di terapia sbagliata, e uso le parole in modo consapevole, perché non c'è bisogno di terapia dove non c'è malattia e malattia nel sistema sanitario regionale in Calabria c'è e sarebbe da stolti negarlo. È una malattia, però, provocata da fattori avversi, interni ed esterni al sistema, condizionata dalla presenza di una pluralità di attori sul campo, come sempre capita in ogni sistema complesso sul piano organizzativo e multilivello su quello regolativo, coltivata da un deleterio modello culturale che la nomina di un amico o di un amico dell'amico ha spesso considerato più redditizia sul piano del consenso politico rispetto all'erogazione di un servizio ben organizzato, aizzata infine dalla pervasività di chi mafioso o non mafioso, ma pur sempre criminale, in qualunque stagione e sotto qualunque bandiera ha sempre considerato le risorse della sanità come cosa propria e da gestire in proprio, magari con la complicità di una qualche quinta colonna interna; penso ovviamente alle doppie fatture, come tutti sanno, pagate due volte, certo, ma penso anche all'aggressione giudiziaria nei confronti dell'azienda operata tramite meccanismi di pignoramento, sui quali, forse, sarebbe opportuno soffermare l'attenzione.

Proprio per questo, Presidente, meriterebbero una medaglia al valore e un reale riconoscimento tutti quegli operatori sanitari che rispondono, a volte anche in modo eccellente, alle richieste di salute dei cittadini calabresi e che, invece, sono travolti da giudizi sommari e pregiudizi ostili. Se è vero che per deliberare occorre conoscere, allora ascoltare la loro voce dovrebbe essere il primo impegno di ogni decisore politico. Portare alla luce le competenze interne fino ad ora trascurate o emarginate, valorizzarle in modo adeguato, dotarle di tutta la strumentazione necessaria per operare al meglio, promuoverne la permanenza nelle sedi più disagiate dovrebbero essere i tratti significativi di una politica proattiva e positiva per la Calabria e i calabresi. Di merito ha bisogno la Calabria, certo, ma di merito certificato, merito praticato e non predicato, di questo, però, non c'è traccia alcuna nel testo del decreto.

Per queste ragioni la terapia è una terapia sbagliata. Il fatto è, signor Presidente, che il termine medio che lega le norme ai servizi, anzi, che trasforma le norme in servizio pubblico è il termine “organizzazione”, ma delle questioni organizzative non c'è traccia in questo decreto che in verità si preoccupa soltanto della nomina dei commissari e subisce, ancora, l'effetto di attrazione della dimensione contabile del ripianamento del disavanzo, piuttosto che quello del miglioramento dei servizi. Lo dimostra il fatto che soltanto grazie a un emendamento del Partito Democratico, l'articolo 1 del decreto prevede ora che le disposizioni speciali dettate dal capo I per la regione Calabria debbano considerare non solo gli obiettivi previsti dal piano di rientro dal disavanzo, ma anche il raggiungimento dei LEA, incredibilmente assenti nella versione originaria del testo. Lo dimostra ancora il fatto che, solo grazie all'azione dei gruppi di opposizione, il Governo ha trasformato la proposta di una pianificazione triennale dei fabbisogni nell'abolizione del blocco del turnover per le regioni in piano di rientro, con le intuibili e positive conseguenze in ordine alla stessa possibilità di assicurare i LEA.

Ma pensare l'organizzazione, ripensarla o, se necessario, anche reinventarla significa riuscire ad agire su profili diversi e tra loro integrati, significa valorizzare le competenze e le risorse umane, significa rafforzare le risorse strumentali, adeguandole agli standard tecnologicamente possibili, significa, ancora, riqualificare le risorse finanziarie, assicurando efficienza ed efficacia alla spesa, significa indirizzare questi elementi verso un obiettivo esclusivo che è l'interesse dei cittadini, anzi, è il diritto del cittadino e l'interesse della collettività alla salute. Ma come può credere, il Governo, che per raggiungere questo risultato sia sufficiente nominare commissari straordinari nelle nuove aziende? E come può credere, il Governo, che questo risultato possa essere raggiunto in poco più di un anno e come può, ancora, il Governo trascurare di considerare che ogni organizzazione è fatta da diversi livelli di comando, da una gerarchia funzionale, segnata ad esempio dalla presenza di un middle management diffuso e da tempo radicato nelle stesse strutture e che dovrebbe, però, sostenere i nuovi commissari nell'opera di radicale riforma?

D'altronde, questa scarsa considerazione della centralità e della complessità della dimensione organizzativa è espressa negli articoli 5, 6 e 10 del decreto n. 35 sui quali spenderò qualche brevissima riflessione. L'articolo 5 riguarda il dissesto finanziario degli enti del Servizio sanitario regionale; la norma introduce nel sistema la gestione straordinaria dell'ente con bilancio separato, quando emergano: a) gravi e reiterate irregolarità nella gestione dei bilanci, oppure, b), una manifesta e reiterata incapacità di gestione. Sommessamente chiedo, signora Presidente, quand'è che una irregolarità nella gestione dei bilanci è da considerare grave, quand'è che un risultato negativo di bilancio diventa disavanzo strutturale non altrimenti sanabile, con quali risorse dovrà essere definito il piano di rientro aziendale e che cosa vuol dire che le coperture finanziarie necessarie al piano di rientro devono essere definite nei limiti delle risorse disponibili e, soprattutto, cosa è e come rileva l'incapacità gestionale in fase di dichiarazione di dissesto finanziario o, meglio, può una dichiarazione di dissesto derivare in via alternativa da una valutazione contabile oppure da una valutazione gestionale? Domande, signora Presidente, in attesa di risposta, perché nulla dice la norma su questi profili.

L'articolo 6 riguarda le gare e gli appalti sottratti alle centrali di committenza regionali per essere in qualche modo attribuiti alle centrali di committenza delle altre regioni. Pensavo, pensavamo tutti che la correttezza delle gare fosse la risultante dell'onestà dei commissari, della trasparenza delle procedure, della severità dei controlli; scopriamo ora che, invece, è tutta una questione di latitudine e longitudine, basta andare fuori dalla regione Calabria. Qualcuno, però, lo dica all'Anac, perché nel verbale ispettivo del 2017 ha così esplicitamente affermato: Si può pertanto affermare che la SUA, la stazione unica appaltante della regione Calabria, ha risposto positivamente agli obiettivi del legislatore di un contenimento della spesa sanitaria regionale, assicurando, seppur con limitate risorse, una soddisfacente efficienza ed efficacia dell'azione amministrativa. Efficienza ed efficacia - dice l'Anac - che risulta peraltro passibile di margini significativi di miglioramento, qualora alla SUA venisse assicurata dalla regione Calabria un adeguato potenziamento della dotazione organizzativa e strumentale. Quella stessa SUA che nel 2016 ha avuto ben 687.500 euro riconosciuti come fondo integrativo in quanto soggetto aggregatore con più elevato livello di aggregazione della spesa sanitaria. Si dica che la SUA debba essere arricchita di persone e funzioni e che i dipartimenti regionali e le aziende ospedaliere non debbano più operare come stazioni appaltanti, sarebbe allora tutt'altro ragionamento. Si dica ancora che le gare debbano essere aggregate e che il primo compito dei nuovi commissari debba essere proprio quello di rafforzare strutturalmente e funzionalmente tale aggregazione, anche questo sarebbe tutt'altro ragionamento, certo diverso dal dire soltanto che le gare non debbono essere più fatte in Calabria, ma un emendamento in questo senso, presentato dal Partito Democratico, è stato respinto dalla maggioranza di Governo.

E che dire poi - mi avvio alla conclusione, signora Presidente - dell'articolo 10, che vorrebbe importare nel sistema sanitario il modello di scioglimento dei comuni per infiltrazione mafiosa? Il tema è oltremodo delicato - lo sappiamo bene - ma l'esperienza regionale negli enti locali ha già dimostrato l'urgenza di intervenire almeno su due profili di quella disciplina che qui interessano: il personale e l'affiancamento. Il personale, perché serve a poco cambiare i vertici se il personale burocratico rimane al suo posto (anche in questa prospettiva, il Partito Democratico aveva presentato un emendamento per imporre la rotazione del personale nelle aziende sciolte per mafia, un emendamento anch'esso respinto dalla maggioranza di Governo); l'affiancamento, perché le amministrazioni già deboli da dover essere commissariate rischiano di essere rese ancora più deboli dal punto di vista organizzativo dopo il commissariamento. Questo è il punto, signora Presidente, che vorrei evidenziare in conclusione: la logica del decreto-legge n. 35 è la logica vetusta e logora dei commissariamenti; forse è ora di abbandonare questa logica e iniziare a ragionare in termini di affiancamento, di sostegno organizzativo, di accompagnamento in decisioni spesso non facili da assumere.

La solidarietà multilivello si esprime anche in questo modo, perché la salute è un diritto essenziale e una componente importante dei diritti di cittadinanza. A raggiungere questo risultato non bastano dei super commissari, perché in un sistema multilivello occorre invece lavorare fianco a fianco, avendo come unico interesse il diritto dei cittadini alla salute. Occorre una logica diversa, una logica nuova, mentre questo decreto guarda al passato e per questo il decreto-legge n. 35 non è una terapia adeguata, anzi è e si conferma una terapia sbagliata (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Stumpo. Ne ha facoltà.

NICOLA STUMPO (LEU). Presidente, così come avevo detto quando abbiamo discusso la pregiudiziale di costituzionalità, che poi è stata bocciata, non si tratta di una discussione che riguarda un tema regionale. Lo diceva bene prima il collega: è veramente sbagliata questa idea. Questo decreto - in realtà sono due, ma forse doveva essere uno solo - doveva ridisegnare le modalità con le quali si commissariano le regioni in materia di sanità, perché si usano delle norme, che poi non è detto che siano rispettate, in quanto si rompe un patto, un principio, un rapporto tra lo Stato centrale e le autonomie regionali, e non si può farne un fatto politico. Anche oggi ho ascoltato parole di attacchi diretti, personali, a figure politiche istituzionali della regione Calabria, ma penso che questa vicenda andrebbe affrontata, invece, in ragione del dramma del diritto alla salute dei cittadini calabresi. Il commissariamento di cui stiamo parlando può avere origine, secondo le leggi del nostro Stato, che non possono essere interpretate o applicate a secondo dei rapporti politici, in ragione di alcuni punti fermi. Badate bene: non ci sarà una parola mia a sostegno di nessuno rispetto alla mala gestione della sanità calabrese, che non è degli ultimi nove anni; soltanto chi non conosce la sanità in Calabria può pensare che la sanità calabrese si sia distrutta negli ultimi nove anni. Non è stato il commissariamento ad acta per il piano di rientro che l'ha distrutta, anche se non ha risolto i problemi che c'erano; quando in altre regioni si è iniziato a costruire un nuovo modello di sanità, che significa dover spiegare ai cittadini come si riorganizza una sanità efficace e moderna anziché quella ereditata dagli Stati del Sud - borbonici, in questo caso - bisognava farlo, ma invece non si è fatto e nel Mezzogiorno, spesso, si è lasciato alle clientele l'utilizzo della sanità. Quindi, si tratta di un male atavico. Non si può formare un'idea sugli ultimi nove anni, ma non si può e non si deve neanche pensare di continuare ad utilizzare un principio politico pensando di fare del “sostituismo” perché non si risolvono i problemi della sanità in Calabria con il “sostituismo”. Non c'è la possibilità per nessuno di avere deleghe in bianco e di costruire decreti sulla fiducia: non è possibile.

Le ragioni per cui si commissaria la sanità in una regione sono uguali in tutte le regioni italiane e appartengono al fatto che non vengono rispettati i LEA o che c'è un problema di disavanzo sanitario. Ci sono anche altre ragioni, ma io mi fermo a queste perché, proprio queste, a detta di ciò che si legge negli atti presentati ai tavoli ministeriali, i dati utilizzati per arrivare al commissariamento non corrispondono alle carte che sono state presentate, oppure al tipo di disavanzo riconosciuto. Non si può applicare o interpretare ciò a seconda di una volontà politica. Lo ripeto, il tema non è non commissariare la sanità calabrese perché funzioni bene, il tema è cosa fare per costruire la sanità in Calabria: costruire la sanità in Calabria!

Allora, nel dibattito di questi anni, che ha accompagnato questa vicenda e che ha portato fin qui al commissariamento, io ho sentito più volte parole che segnavano il modo di essere e il modo di fare, anche in quello che avete scritto in questo decreto. Avete messo un “anche” - lo ricordava la relatrice - per consentire di essere nominati commissari nella sanità calabrese anche a quelli non iscritti all'albo nazionale, unico caso nelle venti regioni italiane, un fatto straordinario.

Io penso che ciò sia sbagliato; l'ho detto in precedenza e lo ripeto adesso. Poi avete anche detto che bisognava talmente rinnovare, per cui nessuno che aveva avuto incarichi nella sanità calabrese dovesse mettere le mani nel futuro della sanità calabrese. Alcuni nomi sono già effettivi e tra quelli che avete nominato qualcuno che ha avuto a che fare con la sanità calabrese c'è già. Da quello che abbiamo letto sugli organi di stampa - io non ho partecipato a nessun coro tra quelli che hanno detto che le selezioni sono avvenute su piattaforme private, poiché penso che le abbia fatte chi di competenza e poi, quando saranno ufficiali, le valuteremo -, anche lì, leggiamo che c'è qualcuno che ha avuto a che fare con la sanità calabrese in questi anni e ne continuate a parlare. Allora, se volete avere, anche da questo punto di vista, un rapporto per il quale non si debba scendere alle modalità con le quali troppo spesso si è sceso nella politica italiana, anziché guardare al merito e stare ai metodi e alla selezione, così come avete fatto, innovate: fate le cose che avete detto!

Vedo che avete scritto delle cose nel decreto che pare che non utilizzerete, di commissari che possono essere nominati in più di una ASP, del fatto che facendo un doppio incarico si possa avere un doppio stipendio, cosa deprecabile in un momento in cui la sanità ha un così grave il problema economico sperperare denaro pubblico.

Avete anche in qualche modo ammesso, diciamo (perché il terzo tema del commissariamento era che non poteva essere senza un limite, massimo di 18 mesi), che, oltre a nominarli, consegnerete una bacchetta magica. Per questo, penso che il commissariamento sia inefficace, perché un Governo, che vuole davvero provare a risolvere il tema della sanità calabrese, lo fa suo, nel senso che accompagna, non che occupa; lo accompagna, se ne occupa, non ha l'idea di sostituirsi, dopo aver detto, per troppo tempo, che altri si sono occupati solo di fare della sanità calabrese un bancomat piuttosto che una mala gestione. Infatti, è evidente agli occhi di tutti, di tutti i cittadini calabresi e anche di quelli che guardano alla sanità calabrese, basta vedere le centinaia di milioni di euro che la regione Calabria deve dare ogni anno alle altre regioni perché i cittadini calabresi vanno a curarsi fuori dalla propria regione, che c'è bisogno di avviare un percorso davvero di riforma complessiva e di riorganizzazione della sanità.

E non lo si può fare, però, pensando di avere una bacchetta magica in dodici mesi e facendolo solo noi, come potrebbe dire qualcuno. Per questo - mi avvio a concludere - ci sarà nelle prossime giornate modo di entrare di più nel merito delle questioni. Non mi sembra che ci stiamo avviando ad una felice soluzione. Il commissariamento è stato già fatto, è durato nove anni: la sanità calabrese era in condizioni non esaltanti, anzi pessime, già nove anni fa, ed è esattamente nelle stesse condizioni. Non è commissariando che si risolvono i problemi e non è soprattutto pensando che l'unica questione diventi quella di una rivalsa politica.

Mi auguro che si possa davvero in questi giorni discutere nel merito, trovare delle modalità che modifichino questo decreto per consentire ai cittadini calabresi di avere, al pari non di tutti, perché anche in altre regioni si è nello stesso problema, un diritto alla salute piena ed efficace.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Bologna. Ne ha facoltà.

FABIOLA BOLOGNA (M5S). Grazie, Presidente. Il disegno di legge di conversione del decreto-legge in esame reca due interventi urgenti, uno di natura specifica e limitata nel tempo per il servizio sanitario della regione Calabria e l'altro per il Sistema sanitario nazionale, entrambi tali da assicurare i livelli essenziali di assistenza e una maggiore efficienza e funzionalità. Per capire le motivazioni di tale intervento per quanto attiene al sistema sanitario calabrese bisogna ripercorrere le fasi che hanno portato ad una situazione insostenibile, che ora richiede un intervento straordinario. Vi sono interessi dei cittadini, in particolare il diritto alla salute sancito dall'articolo 32 della Costituzione, che superano i confini delle singole regioni, in quanto trattasi di un diritto fondamentale inviolabile della persona.

L'illustrazione del contesto generale della regione Calabria evidenzia un sistema sanitario regionale che, pur sottoposto da tempo a un'azione di risanamento attraverso i piani di rientro e la gestione commissariale, e nonostante i molteplici interventi fin dall'anno 2010, permane in una grave situazione di stallo, se non di peggioramento, della maggior parte degli indici di misurazione sia delle capacità organizzative e gestionali del servizio sanitario regionale nelle sue diverse articolazioni sia del corretto utilizzo delle risorse sia, infine, della qualità dei servizi sanitari resi ai cittadini e nell'erogazione dei livelli essenziali di assistenza. Il gravissimo disordine amministrativo e gestionale, con una sovrapposizione di interessi della criminalità organizzata, giustificano senza ombra di dubbio l'intervento straordinario e rendono necessario invertire il percorso verso una discontinuità immediata. La gravità della situazione in cui versa il servizio sanitario della regione Calabria alla luce della relazione della Corte dei conti, dei dati del Ministero della salute, del Ministero dell'economia e delle finanze e dell'Agenas, nonché delle più recenti valutazioni emerse dai verbali delle riunioni dei tavoli tecnici, è infatti la chiara espressione delle gravi difficoltà incontrate dall'amministrazione sanitaria regionale. L'obiettivo è quello di originare un percorso finalizzato ad una prima rimozione dei principali fattori di criticità, dotando il commissario ad acta per l'attuazione degli obiettivi del piano di rientro della regione Calabria di poteri straordinari che consentano in tempi certi e definiti il ripristino della normalità amministrativa e gestionale, garantendo trasparenza nel settore sanitario e superando ostacoli burocratici e ambientali.

Sono definiti, quindi, per la regione Calabria gli obiettivi previsti nel piano di rientro e gli obiettivi previsti dai livelli essenziali di assistenza. Il commissario ad acta effettua una verifica straordinaria sui direttori generali degli enti del servizio sanitario regionale ogni sei mesi al fine di accertare se le azioni poste in essere sono coerenti con gli obiettivi di attuazione del piano di rientro anche sotto il profilo dell'eventuale inerzia amministrativa e gestionale. In caso di valutazione negativa si può provvedere motivatamente all'immediata decadenza dall'incarico, nonché a risolverne il relativo contratto. In caso di valutazione negativa del direttore generale, il commissario ad acta nomina un commissario straordinario, previa intesa con la regione o con il rettore per le aziende universitarie. In caso di mancata intesa, la nomina è effettuata dal Ministero della salute.

Il commissario straordinario può essere anche scelto dall'elenco nazionale dei direttori generali, ma deve avere comunque una comprovata competenza ed esperienza in materia di organizzazione sanitaria o di gestione aziendale ed è tenuto ad adottare l'atto aziendale che viene approvato dal commissario ad acta al fine di assicurarne la coerenza con il piano di rientro. Almeno ogni sei mesi il commissario ad acta sottopone a verifica le attività svolte dal commissario straordinario e in caso di valutazione negativa ne dispone la decadenza immediata e la relativa sostituzione. L'incarico di commissario straordinario, valutabile come esperienza dirigenziale secondo le disposizioni vigenti, dura nei termini di vigenza delle disposizioni del decreto all'esame indicati all'articolo 15, e dunque non può superare i 18 mesi dall'entrata in vigore del decreto all'esame.

Viene, inoltre, istituita un'unità di crisi speciali per effettuare ispezioni straordinarie, per monitorare puntualmente lo stato dell'erogazione delle prestazioni cliniche, con particolare riferimento alla condizione dei servizi, delle dotazioni tecniche e tecnologiche e delle risorse umane, ed evidenziare gli eventuali scostamenti dagli standard necessari a garantire i livelli essenziali di assistenza e gli interventi organizzativi necessari al loro ripristino. Si dispone, inoltre, la decadenza dei commissari regionali in carica alla data di entrata in vigore del presente decreto. È prevista la verifica periodica da parte del commissario straordinario o del direttore generale anche dell'attività svolta dai direttori amministrativi e sanitari. Qualora sia dichiarata la decadenza dei direttori amministrativi e sanitari, il commissario straordinario o il direttore generale li sostituisce attingendo dagli elenchi regionali di idonei costituiti nel rispetto della disciplina vigente.

Per gravi e reiterate irregolarità e incapacità nella gestione dei bilanci il commissario straordinario propone al commissario ad acta di disporre la gestione straordinaria dell'ente con un commissario straordinario di liquidazione nominato dal commissario ad acta d'intesa con il Mef, con il compito di approvare, entro i successivi 90 giorni, il piano di rientro aziendale contenente la ricognizione della situazione economico-finanziaria. Si interviene anche in materia di appalti di servizi e di forniture per gli enti del servizio sanitario della regione Calabria, disponendo l'obbligatorietà a procedure centralizzate di acquisto della Consip o delle altre centrali di committenza regionali, nel caso di appalti sopra la soglia comunitaria, e a un protocollo d'intesa con Anac, nell'ambito della cosiddetta vigilanza collaborativa, per appalti sotto soglia comunitaria.

Il commissario dovrà, inoltre, predisporre un piano triennale straordinario della rete emergenza, della rete ospedaliera e della rete territoriale della regione, modificando le misure già programmate per l'edilizia sanitaria e anche per ristrutturazione edilizia e ammodernamento tecnologico.

Per le misure straordinarie di gestione delle imprese esercenti l'attività sanitaria per conto del servizio sanitario regionale nell'ambito della prevenzione si propone l'intervento del prefetto oltre che dell'Anac, e per il supporto tecnico operativo al commissario ad acta e ai commissari straordinari da parte dell'Agenas si può avvalere di personale comandato con profili professionali attinenti ai settori dell'analisi, della valutazione, del controllo e del monitoraggio delle performance sanitarie e trasparenza dei processi.

Per attività dirette al contrasto delle violazioni in danno agli interessi economici e finanziari connessi all'attuazione del piano di rientro ci si può avvalere anche del Corpo della guardia di finanza, con apposita convenzione da parte del Ministero della salute. Viene, infine, disciplinato il regime eccezionale relativo allo scioglimento delle aziende sanitarie per infiltrazioni mafiose sia per collegamenti, diretti o indiretti, con la criminalità organizzata di tipo mafioso o similare.

Questi primi dieci articoli consentiranno, dunque, alla sanità calabrese di iniziare un percorso virtuoso, che consenta di porre le basi per garantire a tutti i cittadini della regione Calabria di accedere ai servizi del loro sistema sanitario regionale e per restituire dignità a tutti gli operatori sanitari che con onestà svolgono in quella regione il loro lavoro a servizio dei pazienti. La seconda parte del provvedimento prevede misure urgenti su specifiche tematiche del settore sanitario nazionale su cui è necessario intervenire al fine di assicurare la continuità dell'erogazione delle prestazioni sanitarie incluse nei livelli essenziali di assistenza.

La misura più rilevante concerne i limiti di spesa per le assunzioni di personale nell'ambito del servizio sanitario perché, nel corso degli anni, il blocco del turnover, insieme ad una inefficiente programmazione del fabbisogno a livello regionale, ha determinato una carenza diffusa di personale sanitario.

Si introducono, inoltre, misure in materia di formazione specialistica in medicina generale, di dirigenza apicale, soluzioni per l'eventuale carenza di medicinali e alcune disposizioni in materia di riparto del Fondo sanitario nazionale. Tutto è finalizzato a rendere più efficiente e funzionale il Sistema sanitario nazionale e, dunque, a migliorare le prestazioni a favore degli utenti.

Per arginare la cronica carenza di personale, determinatasi a seguito di diversi fattori, fra i quali il limite di spesa per il personale sanitario, a decorrere dal 2019, la spesa per il personale non potrà superare il valore della spesa sostenuta nell'anno 2018. I predetti valori potranno essere incrementati annualmente di un importo pari al 5 per cento dell'incremento rispetto all'esercizio precedente e, dal 2021, l'incremento di spesa del 5 per cento è subordinato all'adozione di una metodologia per la determinazione del fabbisogno di personale degli enti del Sistema sanitario nazionale. Nel corso dell'esame referente è stato rimosso il blocco del turnover del personale del Servizio sanitario nazionale previsto dalla Finanziaria 2005 per le regioni in piano di rientro e commissariate, dando facoltà a tutte le regioni che si trovano in quella situazione di procedere all'assunzione di personale del comparto sanitario.

Un segnale molto importante per noi che diamo con questo provvedimento, anche alla luce dei recenti eventi giudiziari in varie regioni, è la modifica della nomina dei direttori generali delle aziende sanitarie con la finalità di circoscrivere l'ingerenza della politica, ossia del presidente di regione, nelle nomine almeno transitoriamente e nelle more di un riordino complessivo della materia. In particolare, la rosa di candidati per la posizione di direttore generale da proporre al presidente della regione sarà formata secondo una graduatoria di merito, oltre che sulla base dei requisiti maggiormente coerenti con le caratteristiche dell'incarico da attribuire. La disposizione non incide sulla competenza delle regioni ad organizzare la procedura selettiva, in quanto permane in capo al presidente di regione non solo la nomina del direttore generale, ma anche la nomina della commissione giudicatrice regionale; si orienta, invece, la nomina del presidente di regione al merito, sulla base di una graduatoria che viene presentata e formulata dalla commissione giudicatrice regionale.

La Corte costituzionale è più volte intervenuta in materia, affermando che la posizione del direttore generale deve essere garantita per evitare che la sua posizione di dipendenza funzionale rispetto alla volontà politica della giunta regionale si trasformi in dipendenza politica. I direttori generali non possono essere nominati in base a criteri puramente fiduciari, essendo l'affidamento dell'incarico subordinato al possesso di specifici requisiti di competenza e di professionalità e non richiedendosi agli stessi la fedeltà personale alla persona fisica che riveste la carica politica, ma la corretta e leale esecuzione delle direttive che provengono dall'organo politico, quale che sia il titolare pro tempore.

Alcuni gruppi, per giustificare il voto contrario o l'astensione a tale disposizione, hanno parlato di presunta incostituzionalità, riferendosi ai termini in cui la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità di alcune disposizioni della legge delega cosiddetta Madia, che, come noto, ha dato il via al decreto legislativo sulla dirigenza sanitaria e dove si è affermato che non è sufficiente il mero parere della Conferenza Stato-regioni, come era previsto dalla legge delega, ma che occorre un più pregnante coinvolgimento delle autonomie regionali mediante lo strumento dell'intesa.

È opportuno, però, ricordare che la medesima sentenza ha anche precisato che la dichiarazione di illegittimità della legge delega non si estende immediatamente anche ai decreti, come il decreto legislativo n. 171 del 2016 sulla dirigenza sanitaria, rispetto ai quali, in caso di impugnazione, andrà comunque accertata anche un'effettiva lesione delle competenze regionali. Quello che bisogna, quindi, verificare è se la discrezionalità del presidente di regione nella scelta dei direttori generali delle aziende sanitarie goda di qualche tutela o prerogativa costituzionale oppure se garantire l'imparzialità della pubblica amministrazione sia una competenza regionale: è stata una norma introdotta nel “decreto Calabria”.

Noi riteniamo che il rispetto dell'articolo 97 della Costituzione, che assicura il buon andamento e l'imparzialità della pubblica amministrazione, sia uno dei principi fondamentali riservati alla legislazione dello Stato, tenendo conto anche della tendenza dell'ordinamento e dell'orientamento della Corte costituzionale, che ci impegna ad assicurare alla dirigenza sanitaria, nel suo complesso, stabilità, imparzialità, trasparenza, adeguata professionalità secondo criteri meritocratici, i canoni del giusto procedimento, il funzionamento del Servizio sanitario e la garanzia del bene salute, inteso quale diritto fondamentale dell'individuo e interesse della collettività.

Nel settore della disciplina sanitaria, si estende anche ai medici veterinari in formazione specialistica iscritti all'ultimo anno del relativo corso di poter partecipare alle procedure concorsuali per l'accesso alla dirigenza del ruolo sanitario nella specifica disciplina bandita, con collocazione in una graduatoria separata rispetto ai medici veterinari con specializzazioni.

Per sopperire alla temporanea carenza di medici di medicina generale, nel rispetto dell'importanza della formazione e della qualità della professionalità, vi è la possibilità, fino al 31 dicembre 2021, per i laureati in medicina e chirurgia abilitati all'esercizio professionale e già risultati idonei al concorso di ammissione al corso triennale di formazione specifica in medicina generale, con un'esperienza con incarichi convenzionali per almeno 24 mesi negli ultimi dieci anni alla data di scadenza della presentazione della domanda, di accedere, attraverso una graduatoria riservata, al corso di formazione specifica in medicina generale, senza borsa, al fine di non sottrarre risorse ai giovani medici. Si ribadisce che tale disposizione è relativa all'attuale carenza di medici di medicina generale e rientra in misure contingenti e limitate nel tempo, auspicando, per il futuro, che le regioni attuino metodologie più puntuali per la determinazione del fabbisogno di personale sanitario.

A tale riguardo, è stata soppressa in sede referente, con un emendamento a mia prima firma, una disposizione che poteva fare intendere che l'esercizio della professione di medico in medicina generale fosse possibile anche solo con la mera iscrizione al corso. Si sottolinea che, come da decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 368, in attuazione della direttiva europea, il diploma di formazione specifica in medicina generale è titolo necessario per svolgere la professione di medico di medicina generale, ferme restando alcune possibili esenzioni specificatamente disciplinate dal legislatore.

Inoltre, per favorire le forme organizzative multiprofessionali, che sono sempre più importanti anche per gestire la cronicità nell'ambito della medicina generale, si demanda agli accordi collettivi nazionali la possibilità di prevedere, senza ulteriori oneri, un incremento del massimale degli assistiti a carico di ogni medico di medicina generale, nell'ambito delle forme organizzative multiprofessionali, laddove viene prevista la presenza oltre al collaboratore di studio anche di personale infermieristico, e la possibilità di introdurre lo psicologo.

Il provvedimento, inoltre, interviene anche in tema di carenza di medicinali che, come sappiamo anche dalle notizie degli ultimi giorni, crea un particolare disagio ai cittadini che sono affetti da patologie croniche: quindi, si estende da due a quattro mesi il termine entro cui si deve comunicare all'AIFA l'interruzione temporanea o definitiva della commercializzazione del medicinale per consentire di avviare l'iniziativa…

PRESIDENTE. Concluda.

FABIOLA BOLOGNA (M5S). Concludo semplicemente dicendo che per la necessità e l'urgenza di garantire il fondamentale diritto alla salute della regione Calabria e per la necessità e l'urgenza di adottare misure in materia di carenza di personale sanitario in materia di formazione sanitaria e di carenza di medicinali è stato elaborato questo provvedimento, che ha lo scopo di garantire e promuovere l'erogazione dei livelli essenziali di assistenza, assicurare una maggiore efficienza e funzionalità del Servizio sanitario nazionale, nonché una migliore erogazione delle prestazioni, rispondendo in maniera adeguata alle esigenze dei cittadini…

PRESIDENTE. Però deve concludere, onorevole.

FABIOLA BOLOGNA (M5S). …e ponendo le basi operative per una governance sanitaria che tuteli l'articolo 32 della Costituzione su tutto il territorio nazionale (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Furgiuele. Ne ha facoltà.

DOMENICO FURGIUELE (LEGA). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, non vi è dubbio che il “decreto Calabria” sia un chiaro gesto di attenzione verso un territorio che per troppo tempo è stato lontano dalle politiche di rilancio complessivo. Il “decreto Calabria” è mosso dall'intento nobile di dipanare la matassa di una sanità che è stata fatta a pezzi da un'intera classe dirigente che, con diverse giunte, si è alternata nell'ultimo trentennio.

Spudoratamente e in spregio ai valori costituzionali - dunque, anche dell'umanità - la peggiore politica di quel territorio ha utilizzato la sanità come strumento clientelare, lasciandoci quello che è sotto gli occhi di tutti e, soprattutto, spingendo il Governo del cambiamento a delle decisioni molto incisive, per riportare quel settore, che è di fondamentale importanza per il tessuto sociale, soprattutto a quella latitudine, nei binari giusti.

Certamente, il decreto Calabria da solo non può risolvere trent'anni di atteggiamento e di gestioni vergognose, ma contribuirà, come dicevo prima, a mettere sui binari della legalità e della trasparenza quello che è il settore sanitario stesso. Io sono convinto che si tratti di un provvedimento valido, che ci aiuterà a far fronte alle carenze di organico, che ci garantirà continuità nelle prestazioni sanitarie connesse ai livelli essenziali di assistenza, ma soprattutto che crea i presupposti, per la prima volta, di un controllo vero, continuo e dinamico della gestione manageriale, ciò attraverso dei criteri rigidi, così come si confà ad una situazione emergenziale. C'è, tuttavia - e lo ho espresso in diverse occasioni anche ai colleghi del MoVimento 5 Stelle - un aspetto che mi preoccupa e che, a mio parere, a parere di chi rappresenta quel territorio, di chi viene realmente da quel territorio ed è onorato di rappresentare la Calabria in quest'Aula, dovrebbe essere rivisto. Parlo di alcuni aspetti dell'articolo 6, una norma che rischia di indebolire il già flebile tessuto economico di quella regione; una norma che, in buona sostanza, prevede che l'assegnazione dei beni e dei servizi in quel settore debba essere prerogativa della Consip o, in luogo d'essa, delle stazioni uniche appaltanti, però delle altre regioni.

Ora - mi prendo la responsabilità di quello che dico - al di là del timbro discriminatorio di una norma che potrebbe pregiudicare un tessuto economico fatto di migliaia di imprese perbene, che operano nel settore da diversi anni con tutti i crismi, nel rispetto della legalità, richiesti dallo Stato, io credo che la stazione unica appaltante calabrese, nata 12 anni fa, prima di tante altre che sono venute dopo e che hanno mosso i primi passi sulla scorta di un esempio virtuoso - è considerato tale - debba essere incentivata, debba essere sostenuta e, soprattutto, credo che sia un'eccellenza, per come ha detto anche l'ANAC.

Allora, credo che l'estromissione a priori, a prescindere dalle procedure della stazione unica appaltante calabrese vada nella direzione di penalizzare quel territorio, che invece il decreto Calabria dovrebbe contribuire a ripristinare. Auspico che ci siano ancora i margini di una discussione concreta, puntuale, serena e, soprattutto, non preconcetta sull'articolo 6.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Baroni. Ne ha facoltà.

MASSIMO ENRICO BARONI (M5S). Grazie, Presidente. Credo che sia importante intervenire relativamente ad alcune questioni che sono state sollevate in Commissione relativamente ad alcuni emendamenti per quanto riguarda la direzione che il MoVimento 5 Stelle sta prendendo all'interno del contratto di Governo, il quale prevede, per ben tre volte, la voce “trasparenza”.

Ebbene, alcuni emendamenti che abbiamo fatto passare in Commissione vanno proprio in questa direzione e noi ci appoggiamo in maniera importante a ben tre pareri del Consiglio di Stato in merito alla riforma della pubblica amministrazione e, nello specifico, sulla questione della dirigenza sanitaria. Ebbene, questi tre pareri sono stati espressi in riforma proprio alla dirigenza sanitaria e sono utili a comprendere il dibattito sulla presunta incostituzionalità della norma sulla dirigenza, approvata in sede di Commissione nel decreto Calabria.

Dobbiamo parlare di presunta incostituzionalità, che è stata sollevata, appunto, dai nostri contraenti e dalla nostra maggioranza, dalla Lega, in merito a una questione che è già stata presa in carico da tre pareri del Consiglio di Stato. Qui stiamo parlando di dare piena attuazione ad articoli della Costituzione che parlano proprio di buon andamento della pubblica amministrazione e di imparzialità. Quindi, noi avevamo una situazione in cui i presidenti delle regioni avevano un criterio attraverso cui nominavano la loro commissione, che avrebbe giudicato rispetto a un manifesto di interesse fatto da tutti i candidati, che comunque sono iscritti all'interno di un albo nazionale; questa rosa poteva permettere che chiunque venisse inserito all'interno da parte della Commissione, previa una totale discrezionalità della Commissione stessa. Ebbene, questo confligge proprio con la meritocrazia e confligge proprio con la trasparenza, una trasparenza che prevede che vi sia un punteggio per essere iscritti all'albo nazionale. Però, a un certo punto, questo punteggio viene improvvisamente meno nella valutazione della Commissione stessa, che il presidente della regione nomina. Quindi c'è una totale discrasia anche dal punto di vista normativo e si è creata, comunque, una sorta di doppio binario in cui queste due modalità non si incontrano, ovvero la discrezionalità da parte della Commissione di indicare una rosa che potenzialmente può essere infinita e che noi, attraverso questo emendamento, in realtà abbiamo ridotto a tre. Quindi, tutte le persone che manifestano, tutti i dirigenti che manifestano e che sono iscritti all'albo nazionale per poter concorrere al ruolo di direttore generale di un'importante azienda sanitaria pubblica, che risponderà quindi a tutti i criteri relativi anche al comportamento che deve avere un pubblico ufficiale nell'esercizio delle sue funzioni, all'interno di questo quadro noi abbiamo semplicemente previsto che questa rosa non può essere infinita ma debba fermarsi a un numero e che questo numero sia ordinato per merito.

Non abbiamo previsto, come comunque alcuni detrattori del nostro emendamento ci hanno accusato, di lasciare completamente in bando alla Commissione la scelta; permane una discrezionalità da parte del presidente della regione. Il presidente della regione deve scegliere all'interno della rosa, ma deve motivare con un parere scritto qualora voglia esulare da una meritocrazia che viene selezionata proprio sulla base di questa Commissione, che deve decidere in merito alle persone che possono diventare direttori generali o che vogliono diventare direttori generali, e che - cosa ancora più importante perché qui diamo piena attuazione alla Costituzione - meritano di diventare direttori generali.

Ecco, questo non lo facciamo prescindendo totalmente da un rapporto fiduciario, che riconosciamo, comunque, che in minima parte deve esistere. Con riferimento a un presidente di regione, in questa fase, soprattutto con una norma transitoria, in merito a una riforma più importante che abbiamo annunciato nel nostro contratto di Governo con la Lega e che abbiamo sottoscritto, non ci sottraiamo alla discussione ma questo è un primo passo per dare attuazione a quello che abbiamo detto e su cui gli italiani non hanno dubbi. Vi è questa totale discrezionalità nella scelta da parte del presidente della regione, per cui, in maniera potenziale, può essere presentata una rosa infinita, in maniera potenziale può vincere il più scarso della lista e può essere selezionato il più scarso della lista dell'albo nazionale, solo sulla base di una presunta fedeltà partitica, di una presunta fedeltà politica: siamo ancora forse a questo punto? Cioè, facciamo una norma nazionale, con dei punteggi che esistono, che ci sono - il massimo è 100 punti - ma facciamo una applicazione di questa norma, che prescinde completamente da ciò.

E allora no, il MoVimento 5 Stelle dice “no”, fermiamoci un attimo, noi lo chiediamo veramente con importanza e con forza, perché crediamo che la Lega, nell'atto di astenersi rispetto a questa norma estremamente semplice, estremamente di buon senso, debba in realtà consolidarsi con noi. Sappiamo infatti che la Lega che amministra le regioni del Nord l'ha fatto utilizzando la meritocrazia, utilizzando la trasparenza, ma in questo caso permettiamo anche alle regioni del Sud in piano di rientro, a regioni che sono state prese in giro dai loro amministratori sanitari di essere meno in grado di prendere in giro i loro cittadini perché vi sarà maggiore trasparenza e vi sarà maggiore aderenza alla meritocrazia.

È una grandissima norma in cui non imponiamo nulla ma restringiamo l'ambito di una scelta discrezionale al buon andamento della pubblica amministrazione e all'imparzialità della pubblica amministrazione: questo è un nostro dovere come legislatori che vogliono attuare la Costituzione.

E su questo chiedo anche alle opposizioni veramente di soffermarsi su quanto detto perché non c'è niente di più e niente di meno di quello che ho affermato in questa discussione generale. Ritengo che sia una norma che tutti avrebbero voluto presentare e che sia una norma che va solo a favore di chi è paziente, solo a favore dei cittadini che pagano le tasse perché giustamente pretendono questo tipo di trattamento: trasparenza e meritocrazia da parte di chi dirige la nostra sanità e da parte di chi è rimasto indietro. Quindi, non possiamo più permettere agli amici degli amici, ai raccomandati di poter comandare e fare il bello e il cattivo tempo solo sulla base di una stagione elettorale (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - A.C. 1816-A)

PRESIDENTE. Dovremmo passare alle repliche, ma la relatrice ha esaurito il tempo a sua disposizione. Tuttavia eccezionalmente, se vuole, le riconosco la possibilità di replicare per un minuto. Prendo atto che la relatrice non intende replicare.

Quindi, passiamo al rappresentante del Governo che ha facoltà di replicare.

ARMANDO BARTOLAZZI, Sottosegretario di Stato per la Salute. Grazie, Presidente. A seguito di questa interessante conversazione, vorrei dire a tutti gli onorevoli che, innanzitutto, mi complimento per il lavoro svolto soprattutto in Commissione.

I problemi della Calabria sono a tutti noti e vorrei dire che c'è un tempo per l'osservazione del malato, un tempo che è durato un trentennio. Per onestà intellettuale bisogna dirlo: i problemi della Calabria sono problemi atavici, come diceva l'onorevole Stumpo, verosimilmente peggiorati in quest'ultimo decennio, ma sono problemi atavici e multisettoriali.

C'è un tempo per l'osservazione e c'è un tempo per l'acuzie e qui siamo arrivati, con la Calabria, in codice rosso. E quando c'è un'emergenza sanitaria che non è tanto l'emergenza solo delle strutture sanitarie ma è l'emergenza della popolazione calabrese che è tutta in codice rosso - come sappiamo, qui c'è mobilità sanitaria anche per interventi chirurgici banali – quindi, quando siamo in una condizione di emergenza servono interventi rapidi, forse anche a gamba tesa, forse anche non rispettosi dei protocolli ma interventi rapidi che, dal mio punto di vista, servono soltanto a resettare una situazione a livello di base su cui poi poter iniziare un percorso nuovo.

Quindi, il decreto-legge che stiamo discutendo ha la finalità di resettare una situazione alla normalità e mi dispiace che non sia stato colto il significato del comma 6-bis dell'articolo 3: attenzione, c'è qualcosa di molto importante nel comma 6-bis che è l'istituzione di una task force, una sorta di site visit clinica, come si fa nei Paesi anglosassoni, cioè una ricognizione azienda per azienda delle risorse esistenti, risorse umane, risorse tecnologiche, reparti di chirurgia, reparti di medicina, reparti di servizi, radiologia, anatomia patologica, cioè rivedere qual è lo stato dell'arte delle prestazioni che sono erogate alla popolazione e da lì ripartire, implementando dove c'è da implementare e tagliando anche dove ci sono sprechi.

Quindi, vediamo il decreto-legge come un reset di una situazione e prego tutti quanti, perché siamo tutti consapevoli dell'emergenza Calabria, di lavorare insieme per ridare dignità a questa popolazione (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione della mozione Baldelli ed altri n. 1-00013 concernente iniziative volte a potenziare il sistema dei pagamenti dei debiti commerciali delle pubbliche amministrazioni (ore 12,50).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Baldelli ed altri n. 1-00013 concernente iniziative volte a potenziare il sistema dei pagamenti dei debiti commerciali delle pubbliche amministrazioni (Vedi l'allegato A).

La ripartizione dei tempi riservati alla discussione è pubblicata nel vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (Vedi calendario).

Avverto che è stata presentata una nuova formulazione della mozione Baldelli ed altri n. 1-00013. Il relativo testo è in distribuzione (Vedi l'allegato A).

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

È iscritto a parlare l'onorevole Baldelli, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00013 (Nuova formulazione). Ne ha facoltà.

SIMONE BALDELLI (FI). La ringrazio, Presidente Carfagna. In questa giornata post-elettorale Forza Italia vuole porre al centro del dibattito dell'Assemblea un tema che si trascina in Italia da ormai molto tempo drammaticamente per alcuni aspetti: i debiti delle pubbliche amministrazioni verso imprese e professionisti.

Lo stock di tali debiti è una cifra assai consistente, 57 miliardi circa, e il ritardo che la Commissione europea definisce sistematico con cui questi debiti vengono pagati è un ulteriore elemento di preoccupazione.

Ci sono imprese che rischiano il fallimento, rischiano di non poter pagare i propri fornitori; ci sono professionisti che debbono essere pagati e che hanno difficoltà a chiudere il bilancio delle proprie attività perché questi pagamenti non arrivano.

Il tema è stato affrontato già nel 2013, devo dire con un certo successo grazie a Forza Italia e al Governo di allora che si fece parte diligente nel provare a risolvere il problema. Anche allora lo stock era di una quantità molto simile a quella che abbiamo di fronte oggi e la Commissione europea, il cui vicepresidente allora era per l'appunto Antonio Tajani, autorizzò uno sforamento del Patto di stabilità proprio perché quello sforamento andava incontro a un'esigenza che l'Unione Europea riconosceva come prioritaria e, in qualche modo, come una misura che comportava conseguenze virtuose sul piano economico anche dal punto di vista interno. Infatti, pagare i debiti delle pubbliche amministrazioni in una quantità così ingente e in tempi certi, cioè sbloccare questi pagamenti, significa permettere a molte imprese di evitare il fallimento, di non andare a cercare credito altrove con tutte le difficoltà che conosciamo sulla ricerca del credito specie per le imprese più piccole, significa avere un vantaggio in termini di gettito fiscale, di ritorno dell'IVA, di occupazione e di rilancio.

Quindi, anche a livello di prodotto interno lordo tali pagamenti aiuterebbero il Paese a rimettersi in moto, mentre drammaticamente tutto questo non accade.

Dunque, dobbiamo porci una domanda: io la porrei al Governo, senonché personalmente mi sento di ringraziare il sottosegretario che è presente qui e che fa in modo che si possa svolgere la seduta, essendo presente il Governo; ma, insomma, c'è un sottosegretario alla Sanità e questa è materia che, forse sì, in parte riguarda la sanità, nell'ambito della quale peraltro c'è la possibilità anche di derogare su certi tempi, ma oggi sarebbe stato il caso che ci fosse stato un rappresentante magari autorevole del Ministero dell'Economia e delle finanze che potesse spiegarci se e come questi soldi si possono trovare e, secondo noi, si debbono trovare.

E dobbiamo domandarci se è uno Stato serio quello che, quando è creditore, ti dorme sullo zerbino, ti manda a casa l'agenzia delle Entrate, ti perseguita con una continua serie di raccomandate e di ingiunzioni e, quando è debitore, invece per così dire fa il vago e scompare.

Dunque, crediamo che lo Stato debba essere misurato quando è creditore e si rende conto che c'è qualcuno in difficoltà e che debba essere invece puntuale e dare il buon esempio quando è debitore, cioè debba pagare il giusto e nei tempi ragionevoli.

Ecco, a questo punto la domanda che noi ci facciamo deve avere una risposta e deve averla da parte del Governo. Sono state messe in campo alcune azioni, anche da parte di questo Governo, a nostro avviso non sufficienti a intaccare e a incidere su uno stock di debiti così importanti, che - lo ripeto - sono intorno ai 56-57 miliardi, per cui è necessario muoversi per risolvere tutta una quantità di problemi. Un emendamento a mia prima firma, durante il “decreto dignità”, introdusse la compensazione tra debiti e crediti; questo è un meccanismo per il 2018, cioè solo per quell'anno, che introducemmo a settembre, per cui valse per pochi mesi, ma l'idea di immaginare una compensazione strutturale, visto che lo stesso Ministro Di Maio sul mio ordine del giorno che chiedeva la strutturalità della compensazione tra debiti e crediti si disse favorevole e disse che c'era una sensibilità del Governo su questo tema, va dimostrata: implementiamo - è una brutta parola -, incentiviamo, facciamo in modo che tutte le amministrazioni abbiano il sistema SIOPE+, in maniera da avere sotto controllo i tempi dei debiti e i pagamenti di questi debiti; facciamo in modo che, per esempio, un'impresa che sia creditrice nei confronti dello Stato non si trovi poi nelle condizioni di non poter pagare i contributi ai propri dipendenti e per questo non abbia la possibilità di presentare il DURC, e per questo sia magari penalizzata, perché - diciamolo - è come un cane che si morde la coda, a tutto svantaggio di chi è creditore verso le pubbliche amministrazioni, che non solo non viene pagato ma poi, non avendo in regola certi documenti, non può neanche partecipare più a gare di appalto.

Allora, rivediamo sia questa, sia altre questioni, come la normativa sugli appalti, in cui è stato allungato il termine di pagamento per certi settori. Che cosa ha voluto fare Forza Italia? Ha voluto porre all'attenzione del Parlamento questo problema e lo ha voluto fare in una maniera non ultimativa - diciamo così - ma propositiva. Per questo, credo che gli impegni, nella loro concretezza, siano impegni che invitano il Governo anche a verificare la possibilità di potersi caricare, appunto, di questi impegni, ma allo stesso tempo poniamo con forza questo tema, perché questo ricade sul prodotto interno lordo, sul gettito fiscale, sull'IVA, sui contributi dei dipendenti, sulla possibilità di fallimento di queste imprese, quindi sui posti di lavoro che inevitabilmente vanno a finire a rischio. Facciamo ciò con lo spirito più costruttivo di questo mondo e, visto che nella discussione sulle linee generali credo che interverremo soltanto io, come primo firmatario e illustratore della mia mozione, e il collega Sensi, mi auguro che - lo lascio agli atti di questa discussione ma cercherò di farmi anche parte attiva presso i gruppi parlamentari - per una volta si riesca a scrivere una mozione unitaria di tutte le forze politiche. Questo non è un tema di Forza Italia e basta. Certo, il Presidente Tajani, che oggi è il Presidente del Parlamento europeo, ha posto con grande attenzione nella nostra campagna elettorale questo tema, ma io credo che questo sia un tema che debba essere inevitabilmente condiviso e sentito da parte di tutti. Certamente non è stata Forza Italia a portare un imprenditore come Bramini in giro per l'Italia durante la scorsa campagna elettorale per le elezioni politiche, ma se qualcuno l'ha fatto è perché riconosce che c'è tutto un settore in grande sofferenza a causa dei debiti e dei ritardi con cui le pubbliche amministrazioni pagano questi debiti.

Allora, l'appello che noi facciamo è che il Governo faccia qualcosa e che il Parlamento dia forza al Governo, al di là del colore politico. Poi, oggi, nei TG e nei talk show si litigherà, si farà pace e ognuno dirà la sua: ognuno avrà vinto o dirà che hanno perso gli altri, ma qui dentro, dove ci siamo impegnati tutti a essere dei rappresentanti del popolo nella sua interezza, io credo che con grande spirito costruttivo faremmo tutti bene a scrivere una pagina insieme.

Per quello che mi riguarda, io sono disponibile a condividere questa mozione con tutte le forze politiche che abbiano la volontà di andare incontro alla soluzione di quello che, secondo noi, è un problema che tante volte assume anche degli aspetti drammatici, che vanno a finire nel disagio, nel licenziamento e, talvolta, anche in gesti più tragici e più drammatici che non vorremmo mai più vedere.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Sensi. Ne ha facoltà.

FILIPPO SENSI (PD). Grazie, Presidente. Prendo la parola - e lo dico irritualmente all'esordio di questo mio breve intervento - per annunciare il nostro a favore nei confronti della mozione del collega Baldelli e per i ragionamenti con i quali ha concluso il suo intervento, convinti, in particolare, da due punti dell'articolazione e dell'ordito del suo documento, anche nella sua nuova formulazione. Il primo è quello riguardante l'estrema criticità della situazione in cui versa il nostro Paese su questo versante, cioè quello delle lungaggini e delle inadempienze del settore pubblico e della pubblica amministrazione nei confronti delle imprese che le forniscono beni e servizi; una spirale negativa che danneggia le nostre aziende, in particolare quelle medie e piccole, ovvero il famoso e ormai abbastanza celebrato tessuto della nostra impresa, ma che si ritorce, più in generale, in un colossale danno per tutto il nostro sistema e per la stessa amministrazione pubblica, scaricandosi a terra in termini di ritardi, disservizi e scarsa qualità per i cittadini. I numeri e la misura di questo scacco li restituiscono la mozione stessa che discutiamo: il fallimento delle imprese, la perdita ingente di posti di lavoro, gli effetti macro sul PIL e sulle casse dello Stato.

Proprio perché crediamo profondamente nel servizio pubblico, nel delicato e prezioso lavoro che ogni giorno presta la stragrande maggioranza dei dipendenti pubblici, non possiamo tollerare che il cattivo funzionamento della macchina amministrativa, l'accumularsi di ritardi e di passaggi burocratici diventi un carico insostenibile per il privato, per lo stesso pubblico e per gli italiani tutti.

Il secondo punto che il Partito Democratico ha apprezzato - e non lo dico con spirito partigiano, Presidente, ma come una semplice attestazione di fatti, proprio quelli dai quali rifugge la roboante e parolaia retorica della maggioranza - riguarda la sequenza virtuosa di diminuzione dei tempi medi di pagamento dell'amministrazione pubblica italiana negli anni in sostanza dei Governi di centrosinistra, sequenza che, tuttavia, si sarebbe interrotta e invertita a partire dal 2018, sebbene sul sito del MEF sia stato pubblicato di recente un comunicato che riporta i dati sul “miglioramento sistematico dei tempi di pagamento delle pubbliche amministrazioni italiane”, dati che, tuttavia, devono essere letti con cautela perché riferiti alle pubbliche amministrazioni registrate sulla piattaforma elettronica per i crediti commerciali.

Cito la condivisibile lezione tratta dal collega Baldelli quando sostiene letteralmente che “appare evidente che la tematica del ritardo nei pagamenti della pubblica amministrazione non è più al centro dell'attenzione degli amministratori pubblici e del Governo, come dimostrano sia l'ingiustificato incremento dei tempi di pagamento introdotto con il codice degli appalti, sia la mancata proroga del meccanismo di compensazione tra crediti commerciali e debiti tributari”; né, se posso, tale tendenza appare in alcun modo reversibile alla luce della litigiosità, della rissosità, della reciproca ostilità, delle polemiche strumentali, certo, ma anche del diverso approccio a un simile problema che i due partiti dell'attuale maggioranza hanno mostrato e mostrano.

Data la rilevanza della questione, ricordo che il problema è stato affrontato compiutamente per la prima volta con il decreto-legge n. 35 del 2013, adottato dal Governo Monti, convertito in legge dal Parlamento della XVII legislatura, che ha stanziato complessivamente 40 miliardi per il biennio 2013-2014. A questo primo intervento il Governo Letta ha fatto seguire una seconda fase, con il decreto-legge n. 102 del 31 agosto 2013, con il quale sono stati incrementati i pagamenti previsti per il 2013 per 7,2 miliardi, senza ridurre quelli attesi per il 2014. Con legge di stabilità 2014 sono stati inoltre stanziati ulteriori 0,5 miliardi per l'anno 2014, appunto.

Il Governo Renzi, con il decreto-legge n. 66 del 2014, ha stanziato ulteriori 9,3 miliardi, per un totale complessivo, quindi, di circa 57 miliardi, e reso possibile la garanzia dello Stato sui crediti vantati nei confronti delle pubbliche amministrazioni (mi scuso per la lungaggine e per il puntiglio, ma lo dovevo).

In breve, con la garanzia dello Stato il creditore ha facoltà di cedere il proprio credito a intermediari finanziari in modo semplice e meno oneroso, in quanto gli intermediari non corrono il rischio di non incassare le somme dovute. Infatti, qualora l'ente debitore non fosse in grado di rispettare i termini di pagamento, l'intermediario finanziario può cedere a sua volta il credito a CDP, che ha stanziato a questo scopo 10 miliardi di euro. Ciò ha prodotto una significativa accelerazione del processo di pagamento dei debiti.

Grazie a questi interventi, lo stock, probabilmente sovrastimato, di debito residuo scaduto e non pagato alla data del 31 dicembre 2018 risulta, per il complesso dei 28 milioni di fatture, pari a circa 26,9 miliardi.

Sebbene permangano situazioni differenziate a livello territoriale rispetto al dato medio nazionale (il Nord presenta tempi di pagamento mediamente inferiori di 8 giorni, il Sud fa registrare un valore medio superiore di 11 giorni, nel Centro emerge un tempo medio di pagamento di 3 giorni superiore), tale tendenza risulta essere generalizzata e riscontrabile per i diversi comparti delle pubbliche amministrazioni.

Proseguo ancora, Presidente. Il miglioramento del problema di ritardo nei pagamenti della pubblica amministrazione è stato ottenuto grazie ad un sistema che consente di conoscere e governare il fenomeno: per tale motivo erano state assunte iniziative strutturali, volte ad avviare in modo continuo e sistematico il monitoraggio dei debiti delle pubbliche amministrazioni, dei relativi pagamenti e dell'eventuale verificarsi di ritardi rispetto ai termini fissati dalla direttiva europea. Sotto questo profilo, sempre il decreto-legge n. 66 del 2014 sopracitato ha previsto il potenziamento della piattaforma elettronica per la gestione telematica del rilascio delle certificazioni, ora integrata col sistema SIOPE +, che si pone l'ambizioso obiettivo di creare uno strumento di monitoraggio permanente e continuo di tutti i pagamenti delle pubbliche amministrazioni.

Signora Presidente, le mozioni auspicano, impegnano: è il nostro lavoro quotidiano, è il lavoro del Parlamento, troppo spesso imperscrutabile per i cittadini nella loro fatica giornaliera. Si sta parlando di noi, si decide di noi tutti, di famiglie che possono o meno far quadrare i conti a fine mese, di aziende che lottano per sopravvivere, di file allo sportello per sapere se quell'analisi sarà negativa; di sentirsi meno soli tutti quanti, meno abbandonati e fragili, meno esposti: di questo si parla e si decide in Parlamento.

Potenziare, accelerare, rafforzare, l'ubiquo adottare iniziative: quanto è in nostro potere, a fronte dell'inerzia di questo Governo, del frastuono con il quale coprono lo scarso, scarsissimo frutto, è sacrosanto che sia esperito, tentato, richiesto. Il rafforzamento delle sanzioni, la digitalizzazione dei processi di pagamento - e ricordo come sia stato il nostro Governo a cominciare un percorso, che certo va migliorato e implementato, ci mancherebbe, ma che è la strada virtuosa da perseguire - la valutazione delle performance delle pubbliche amministrazioni (apro una parentesi: in nome della trasparenza che viene spesso predicata, in particolare dai 5 Stelle, vedi il paradosso di una forza politica la cui estrema, totale opacità dei processi decisionali, dell'individuazione delle classi dirigenti, della formazione delle piattaforme programmatiche preoccupa chiunque abbia a cuore la democrazia liberale, in Italia e a livello internazionale), tutte queste azioni, dicevo, richiamate dal provvedimento che stiamo discutendo, il Partito Democratico le accoglie con favore, con la consapevolezza di aver svolto un lavoro importante negli anni addietro per evitare la situazione di stallo e di ritardo verso la quale siamo stati di nuovo sospinti da questa maggioranza e dal suo inerte, impalpabile Governo in un solo anno di vita: credo sia un record negativo senza precedenti, anche nel creativo panorama politico della nostra storia repubblicana.

Come sottolinea la mozione, l'azione del Governo sul tema che stiamo esaminando va, purtroppo, in direzione esattamente contraria: in particolare quanto alla mancanza di iniziative per potenziare e rifinanziare i meccanismi di pagamento dei debiti commerciali pregressi delle pubbliche amministrazioni, ovvero alla scelta di non prorogare l'istituto della compensazione tra crediti commerciali e debiti tributari, consentendo alle imprese e agli altri contribuenti che vantano tali crediti nei confronti delle amministrazioni pubbliche, e nel contempo hanno debiti tributari, di poter compensare le due voci. Si torna indietro, insomma.

Sempre per paradosso, è proprio il Parlamento il primo sensore dell'assoluta inanità dell'azione governativa: le Camere assai spesso lavorano, processano il prodotto legislativo dell'Esecutivo. E se ancora in questa settimana siamo alle prese con mozioni e iniziative di legge parlamentari, sovente risalenti alla precedente legislatura, e se le Commissioni si riuniscono con molta calma, per così dire, e se in Aula, a fronte di questioni che tolgono il sonno agli italiani, ci occupiamo non raramente (non è questo il caso) di macchine celibi, non sarà tutta colpa del Parlamento al quale ci onoriamo di appartenere in forza del mandato popolare, ma magari - chissà? - anche di un Governo che non lavora, non produce, non risponde, si gode le comode poltrone, gli stucchi dorati, le auto blu, i vituperati voli di Stato, gli sterminati staff mai così costosi (ne sanno qualcosa a Palazzo Chigi, povere saccocce dei cittadini italiani!), reggicoda e giannizzeri, portaborse e scherani, guardaspalle e consulenti.

Questo per dire - e concludo, Presidente - che la macchina dello Stato, proprio quella di cui ci occupiamo questa mattina in quest'Aula gremita, deve e può funzionare meglio, contando su professionalità, regole certe, un maggiore dinamismo, sempre auspicabile, un'architettura più pulita e leggibile ai cittadini.

Non saranno questo Governo, temo, e questa maggioranza a fare proprio questo assillo, tanta indifferenza, tanta insensibilità, tanta incapacità hanno mostrato in questo anno al potere. Mi auguro toccherà ben presto a chi dall'opposizione sta preparando un'alternativa credibile dare risposta a quest'ansia, a questa delusione, a questa attesa (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

Il Governo intende intervenire o si riserva di farlo successivamente? Immagino si riservi di farlo successivamente…

ARMANDO BARTOLAZZI, Sottosegretario di Stato per la Salute. Mi riservo, Presidente.

PRESIDENTE. Il seguito della discussione è, quindi, rinviato ad altra seduta.

Sospendiamo a questo punto la seduta, che riprenderà alle ore 14. La seduta è sospesa.

La seduta, sospesa alle 13,10, è ripresa alle 14,05.

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Claudio Borghi e Spadoni sono in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta. I deputati in missione sono complessivamente settantuno, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Discussione della proposta di legge: Corda ed altri: Norme sull'esercizio della libertà sindacale del personale delle Forze armate e dei corpi di polizia ad ordinamento militare, nonché delega al Governo per il coordinamento normativo (A.C. 875-A); e delle abbinate proposte di legge: Maria Tripodi ed altri; Pagani ed altri (A.C. 1060-1702).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge n. 875-A: Norme sull'esercizio della libertà sindacale del personale delle Forze armate e dei corpi di polizia ad ordinamento militare, nonché delega al Governo per il coordinamento normativo; e delle abbinate proposte di legge nn. 1060-1702.

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta del 17 maggio 2019 (Vedi l'allegato A della seduta del 17 maggio 2019).

(Discussione sulle linee generali – A.C. 875-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari MoVimento 5 Stelle e Partito Democratico ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.

Avverto, altresì, che la IV Commissione (Difesa) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire la relatrice, onorevole Emanuela Corda.

EMANUELA CORDA, Relatrice. Grazie, Presidente. Questa proposta di legge ha avuto un iter abbastanza lungo, un iter che ebbe inizio già nella scorsa legislatura; infatti, proprio nella scorsa legislatura, c'era stato un grande lavoro da parte di diverse forze politiche, proprio affinché i militari potessero finalmente avere riconosciuto un diritto, il diritto a costituirsi in associazioni sindacali. Si era già espressa la Corte europea dei diritti dell'uomo, c'erano state delle sentenze che avevano avuto un effetto nell'ordinamento francese, ma, poi, diversi costituzionalisti avevano ribadito che tutto ciò aveva un effetto anche nel nostro ordinamento e, quindi, in tutti gli altri ordinamenti nazionali. Si era espresso, poi, anche il Consiglio di Stato, rispetto ad un ricorso che era stato presentato da un'associazione qui in Italia e, allora, era stato bloccato l'iter, in comitato ristretto, di una legge alla quale noi del MoVimento 5 Stelle eravamo particolarmente legati, proprio perché eravamo stati tra i primi promotori a voler seguire proprio questa tematica; proprio perché c'erano state queste due sentenze, della CEDU e poi del Consiglio di Stato, avevamo ritenuto opportuno poter anche noi aggiornare la normativa, una normativa che, lo ricordo, comunque era vecchia di quarant'anni, perché l'attuale istituto della rappresentanza militare è un istituto, come tutti ben sappiamo, ormai superato, benché, appunto, esso svolga ancora un ruolo importante, quel ruolo comunque di concertazione che tutt'oggi gli è riconosciuto.

Però, oggi, siamo di fronte ad un problema normativo abbastanza serio, perché, nel giugno scorso, si è espressa la Corte costituzionale che ha messo una pietra tombale a tutta la faccenda, mettendo in discussione addirittura il codice dell'ordinamento militare, al punto nel quale, appunto, vietava ai militari di potersi costituire in associazioni sindacali. Quindi, essendo stato messo in discussione questo punto, anche noi legislatori siamo stati chiamati ad una responsabilità importante, a dover normare la materia. Ci siamo assunti questa responsabilità e come MoVimento 5 Stelle abbiamo subito presentato una proposta di legge anche in questa legislatura, proposta di legge che poi è stata sottoscritta anche da tutta la maggioranza e proposta di legge che poi ha avuto un iter in Commissione abbastanza, devo dire, condiviso, per alcune parti, meno condiviso per altre. C'è stato un comitato ristretto, dal quale poi è scaturito un testo base; testo base che ha cambiato sostanzialmente la legge in molte parti; per esempio, non ci sono più le rappresentanze unitarie di base, abbiamo previsto delle articolazioni territoriali, ci sono stati diversi cambiamenti, c'era già l'assenso ministeriale richiesto, previsto già dalla sentenza della Corte costituzionale. Tra l'altro devo dire che in questo senso il Ministro Trenta si è comportato molto bene, dimostrandosi molto sensibile rispetto proprio ai diritti del personale militare e ha subito messo mano alla questione, emanando una circolare con la quale, appunto, si sono già riconosciuti i primi sindacati militari che hanno depositato i vari statuti. Quindi, noi abbiamo, già, oggi, delle associazioni sindacali militari riconosciute che, però, non hanno la possibilità di accedere a nessun tipo di concertazione e di contrattazione proprio perché sussiste ancora l'istituto della rappresentanza militare che è stata eletta ed è ancora in vigore. Pertanto, proprio per riempire questo vuoto normativo, oggi, è importantissimo portare a termine questa legge, cioè far sì che questa legge sia approvata e che finalmente si dia una normativa certa a una materia che rimane ancora un pochino immersa in una sorta di nebulosa. Dobbiamo superare la rappresentanza militare, però, lo dobbiamo fare in maniera fluida, in maniera corretta e con i tempi che, ovviamente, servono, affinché si possa, poi, fare un passaggio corretto e anche i sindacati militari, finalmente, possano avere quella possibilità di sedersi al tavolo della contrattazione. Questo è quello che stiamo cercando di fare; lo ripeto, in fase emendativa ci sono state delle modifiche, devo dire, a tratti, anche sostanziali.

Il nuovo testo che è stato elaborato in esito ai lavori del comitato ristretto, appunto, come dicevo, è stato modificato in alcune parti attraverso l'attività emendativa della Commissione difesa. In particolare, con riguardo al diritto di associazione sindacale, è stato precisato che gli appartenenti alle Forze armate e ai Corpi di polizia ad ordinamento militare possono aderire ad una sola associazione professionale a carattere sindacale tra militari. Quanto alla costituzione delle associazioni è stata introdotta la previsione di un controllo volto a verificare ogni tre anni la permanenza dei requisiti che lo statuto deve possedere, affinché l'assenso preventivo del Ministro competente venga rilasciato, stabilendo altresì che dell'esito ne sia data comunicazione, indicando le eventuali parti dello statuto incompatibili o in contrasto con i principi generali ed avvisando l'associazione sindacale della necessità di adeguarsi alla normativa. Ecco, qui, è stato un po' ripreso quello che era il dettato proprio della sentenza della Corte costituzionale. Abbiamo voluto apportare queste modifiche, proprio per evitare, poi, che ci fossero altri vizi di incostituzionalità che potessero essere sollevati in un secondo momento.

Con riferimento alle limitazioni a cui le associazioni sono soggette, è stato confermato il divieto di assumere la rappresentanza in via esclusiva di una o più categorie di personale, precisando altresì che la rappresentanza di una singola categoria, all'interno di ciascuna associazione professionale a carattere sindacale tra militari, non debba superare il limite del 75 per cento dei propri iscritti; inoltre, è stato introdotto il divieto di assumere una denominazione che richiami anche in modo indiretto quella di una o più categorie di personale, specialità, corpo o altro che non sia la Forza armata o Corpo di polizia ad ordinamento militare di appartenenza.

Per quanto riguarda, invece, il tema del finanziamento e della trasparenza dei bilanci, è stata introdotta una deroga al divieto di ricevere eredità, legati o donazioni, limitatamente ai casi di devoluzione del patrimonio residuo in seguito allo scioglimento di altre associazioni professionali a carattere sindacale tra militari. È stato, inoltre, meglio esplicitato l'obbligo di predisporre il bilancio di esercizio, entro il 31 dicembre dell'anno precedente a quello dell'esercizio a cui si riferisce, ed il rendiconto della gestione precedente, entro il 30 aprile dell'anno successivo, che devono essere approvati dagli associati e resi conoscibili al pubblico mediante idonee forme di pubblicità, nonché depositati presso i competenti uffici dei ministeri che hanno concesso l'assenso.

Con riguardo, invece, alle cariche elettive nelle associazioni, sono stati previsti ulteriori requisiti, stabilendo che non possono essere eletti coloro che abbiano riportato condanne per delitti non colposi o sanzioni disciplinari di Stato, si trovino in stato di custodia cautelare in carcere o siano sottoposti agli arresti domiciliari o in stato di sospensione dall'impiego o di aspettativa e che siano, nello svolgimento di funzioni di comando, in posizione tale da assumere incarichi di comando.

C'è stata, poi, una modifica che riteniamo importante e che ci era stata segnalata anche da tante associazioni già costituite in fase di audizione che è, appunto, l'incremento di un anno, arrivando così a quattro anni, della durata delle cariche elettive, che, tuttavia, non sono frazionabili, ed è stato previsto che nessun militare possa essere posto in distacco sindacale per più di cinque volte.

In relazione, invece, alla delega al Governo per l'adozione di un decreto legislativo che disciplini l'esercizio dei diritti sindacali da parte del personale impiegato in luoghi di operazioni o fuori dal territorio nazionale, è stato poi previsto l'obbligo di sentire le associazioni rappresentative a livello nazionale, ai fini della predisposizione del relativo schema di decreto.

Poi, ci sono le materie che sono oggetto di contrattazione e noi sappiamo che i militari ovviamente hanno la specificità, quindi, anche in questo senso è stato ritenuto opportuno normare la materia, cercando di dare giustamente quella libertà che conviene ai sindacati militari, ma ponendo anche dei limiti, che appunto devono mantenere intatta l'efficienza dello strumento militare e l'operatività delle stesse Forze armate.

Quindi, passando alle materie che sono appunto oggetto di contrattazione, sono state riprese quelle previste per la concertazione dagli articoli 4 e 5 del decreto legislativo n. 195 del 1995 per i corpi di polizia ad ordinamento militare e per le Forze armate.

Per quanto riguarda invece le tutele, nell'ambito delle tutele garantite ai militari che ricoprono cariche elettive nelle associazioni professionali a carattere sindacale, nel confermare che non possono essere perseguiti in via disciplinare per le opinioni espresse nello svolgimento dei compiti connessi con l'esercizio delle loro funzioni, è stato precisato che sono fatti salvi i limiti della correttezza formale e i doveri derivanti dal giuramento prestato, dal grado, dal senso di responsabilità, dal contegno da tenere, anche fuori dal servizio, a salvaguardia del prestigio istituzionale.

È stato, inoltre, previsto che essi non possono essere impiegati in territorio estero e che il loro trasferimento di sede o di reparto avvenga previa intesa con l'associazione alla quale appartengono, salvi i casi di incompatibilità ambientale o di esigenza di trasferimento dovuta alla necessità di assolvere i previsti obblighi di comando necessari per l'avanzamento.

Sono state, inoltre, soppresse le disposizioni relative alla propaganda elettorale per le cariche sindacali, anche in considerazione del fatto che si è ritenuto più opportuno affrontare la disciplina organica di tale tema nell'ambito dei successivi provvedimenti di attuazione.

È stata riconosciuta ai dirigenti delle associazioni la facoltà di rilasciare dichiarazioni esclusivamente in merito alle materie di loro competenza e oggetto di contrattazione nazionale di settore. In via transitoria è stato poi previsto che le associazioni che abbiano già conseguito l'assenso del Ministro competente si adeguino ai contenuti e alle prescrizioni previste dalla legge entro il termine di 90 giorni dalla data della sua entrata in vigore.

Poi, per quanto riguarda le altre questioni, sicuramente i colleghi specificheranno meglio la parte che riguarda, per esempio, la giurisdizione, e a loro magari lascerei la parola.

Quello che è importante dire oggi è che questo testo merita ancora una supervisione, merita ancora un lavoro da parte di questo Parlamento, perché ancora tante sono le richieste che ci arrivano dalle associazioni sindacali già costituite ma anche da tutto il comparto delle Forze armate, e noi non vogliamo che queste istanze restino inascoltate.

Crediamo che questa legge meriti l'attenzione di tutto il Parlamento, delle istituzioni, ma soprattutto che sia una legge che veramente venga incontro al comparto e che risolva appunto un vulnus legislativo che non può comunque essere portato ancora avanti, perché, l'abbiamo già detto, esiste ancora la rappresentanza militare, che è ancora in carica. Deve essere fatto questo passaggio, bisogna finalmente dare voce alle associazioni militari a carattere sindacale, e va fatto nella maniera giusta.

Giustamente, il Parlamento si prenderà il tempo dovuto, però non è una legge che può ancora attendere. Mi auguro che ci sia la collaborazione di tutte le forze politiche affinché il testo possa trovare soddisfazione ovviamente da parte di tutti coloro che fanno parte di un comparto che, ad oggi, è stato fin troppo tempo inascoltato.

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo. Prendo atto che il sottosegretario Tofalo si riserva di farlo successivamente.

È iscritta a parlare l'onorevole Siracusano. Ne ha facoltà.

MATILDE SIRACUSANO (FI). Presidente, onorevoli colleghi, dopo anni di battaglie volte a difendere in ambito militare i diritti garantiti dalla Costituzione, affrontiamo oggi in quest'Aula un tema che rappresenta veramente un momento significativo di sviluppo del nostro ordinamento, una vera e propria svolta storica per i diritti delle nostre donne e uomini delle Forze armate. La questione della libertà sindacale assume, infatti, il suo massimo significato nella consapevolezza che sicurezza e difesa rappresentano da sempre un patrimonio comune e una condizione imprescindibile per lo sviluppo della nostra società.

Come già previsto dalla legge n. 382 del 1978, il codice dell'ordinamento militare, all'articolo 1475, vieta ai militari di esercitare il diritto di sciopero, di costituire associazioni professionali a carattere sindacale e di aderire ad altre associazioni sindacali. In sintesi, agli organi della rappresentanza militare risulta precluso l'esercizio delle attività caratteristiche delle organizzazioni sindacali: l'indizione di scioperi e l'assunzione del ruolo di parte nella contrattazione collettiva.

Alle rappresentanze dei militari appare in definitiva attribuito solo il compito di trasmettere le istanze della base agli organi politici di indirizzo e ai vertici amministrativi dell'istituzione militare.

La natura rappresentativa dell'istituto si realizza oggi attraverso un sistema di elezione a tre livelli: di primo grado, per i consigli di base di rappresentanza, il Cobar; di secondo grado, per i consigli intermedi di rappresentanza, il Coir; e di terzo grado, per il consiglio centrale di rappresentanza, il Cocer.

Il Cocer, appunto, ha la facoltà di formulare pareri, proposte e richieste su tutte le materie che formano oggetto di norme legislative o regolamentari circa la condizione, il trattamento, la tutela di natura giuridica, economica, previdenziale, sanitaria, culturale e morale dei militari. Dall'originario quadro normativo sancito dalla legge 11 luglio 1978, n. 382, l'istituto della rappresentanza militare ha conosciuto negli anni significativi sviluppi, non solo per effetto dei successivi interventi normativi che di volta in volta ne hanno aggiornato il quadro normativo di riferimento, ma anche per l'accresciuto ruolo che ha saputo ritagliarsi nella vita delle comunità militari, divenendo un valido punto di riferimento rappresentativo delle varie anime di questo mondo professionale.

Dopo anni di battaglie e di mancati riconoscimenti, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 120 depositata il 13 giugno 2018, ha finalmente riconosciuto il diritto dei militari di costituire i propri sindacati, pur nel rispetto dei limiti di legge e nonostante il permanente divieto di aderire a sindacati generalisti.

La Corte costituzionale, nella sentenza citata, ha affermato che la restrizione dell'esercizio del diritto di associazione sindacale dei militari non può spingersi sino alla negazione della titolarità stessa di tale diritto, pena la violazione degli articoli 11 e 14 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali nonché della Carta sociale europea. La Corte costituzionale richiama, a tal proposito, il superamento della logica istituzionalistica dell'ordinamento militare nella Costituzione, con la riconduzione anche dell'ordinamento dei militari nell'ambito del generale ordinamento statale, particolarmente rispettoso e garante dei diritti sostanziali e processuali di tutti i cittadini.

Forza Italia, ancora una volta, si è schierata al fianco delle donne e degli uomini delle Forze armate, che quotidianamente mettono in serio pericolo la propria vita per proteggere noi e i nostri figli, facendosi sin da subito promotrice per un tempestivo intervento da parte del legislatore chiamato ad intervenire su un preciso perimetro tracciato dal giudice delle leggi.

La sentenza citata acquista tutta la sua importanza anche per quanto riguarda le sostanziali novità intervenute nel tempo in merito alla struttura dell'apparato militare, oltre che per le missioni affidategli. La più importante è quella relativa alla professionalizzazione delle Forze armate, che ha maggior impatto con la problematica della rappresentanza del personale.

A questa nuova figura professionale occorre dare oggi tutele e forme di organizzazione degli interessi al pari di tutte le altre professioni, nel rispetto della specifica condizione militare. Il percorso ultratrentennale dell'entrata in vigore della legge n. 382 del 1978 richiede oggi un intervento legislativo per ridefinire il quadro dei diritti del personale militare con più incisive forme di autotutela degli interessi collettivi.

Le scelte adottate in questi anni, in particolar modo dall'attuale Governo, che hanno visto importanti tagli e interventi restrittivi anche sul piano retributivo del personale delle Forze armate, hanno colpito in modo rilevante purtroppo il comparto difesa e sicurezza, determinando forti preoccupazioni e disagi che richiedono oggi una risposta anche sul tema dei diritti.

Occorre considerare, altresì, che in molti Paesi dell'Unione europea la legislazione riconosce ormai da anni ai militari il diritto di associarsi e di organizzarsi in sindacato, in perfetta aderenza con la CEDU, in particolar modo con gli articoli 11 e 14. A questo proposito, il Consiglio d'Europa, con la raccomandazione n. 1742 del 2006, recante diritti umani dei membri delle Forze armate, ha richiamato gli Stati membri a garantire una reale ed effettiva protezione dei diritti umani dei membri delle Forze armate, e in particolare ad autorizzare i membri delle Forze armate ad aderire ad associazioni professionali rappresentative o sindacati, con il diritto di negoziare le questioni connesse con la retribuzione e le condizioni di lavoro e di istituire organi consultivi a tutti i livelli, coinvolgendo le suddette associazioni o sindacati, in rappresentanza di tutte le categorie di personale.

Negli organismi istituzionali europei l'Euromil è riconosciuta da tempo come soggetto portatore di interessi specifici da tutelare ed è consultata al pari delle organizzazioni sindacali sia dei lavoratori dipendenti sia degli imprenditori. È giunto, pertanto, il momento anche in Italia di superare i limiti esistenti in materia di tutela e di promozione della condizione militare, per proiettarsi in una dimensione europea, dimensione nella quale sempre più spesso il nostro personale militare si trova a operare a fianco di altri Paesi dell'Unione Europea ai quali sono già stati riconosciuti i diritti sindacali. La necessità improrogabile di riformare la rappresentatività del corpo sociale militare è resa ancor più evidente dopo le due sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo emesse il 2 ottobre 2014 in merito ai ricorsi Matelly contro Francia e Adefdromil contro Francia, concernenti il divieto assoluto di costituire sindacati all'interno delle Forze armate francesi. Al riguardo, si sottolinea che nelle sentenze citate la Corte ha affermato che da parte della Francia vi è stata violazione dell'articolo 11 della CEDU, concernente appunto la libertà di riunione e di associazione. La normativa italiana, costituita dal codice, appare quindi oggi in netto contrasto non solo con la recente pronuncia della Corte costituzionale, ma anche con la CEDU, e in particolar modo appunto con gli articoli 11 e 14, laddove è precluso alle rappresentanze militari il diritto di agire in giudizio a tutela dei propri interessi o dei propri rappresentanti e al personale militare di costituire sindacati o associazioni professionali di categoria, ovvero di aderire ad associazioni sindacali già esistenti. Tale preclusione assoluta del diritto all'esercizio delle libertà sindacali non risponde a una prevalente finalità di interesse generale e non può giustificarsi alla luce delle specificità proprie dei corpi militari, tenuto conto degli obblighi internazionali gravanti in materia in capo all'Italia con la Convenzione relativa alla protezione del diritto di organizzazione e alle procedure per la determinazione delle condizioni d'impiego nella funzione pubblica, n. 151 del 1978, ratificata dall'Italia ai sensi della legge 19 novembre 1984, n. 862, con la Carta sociale europea e con la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea.

Tale preclusione appare priva di giustificazione oggettiva in considerazione del fatto che nella maggior parte degli Stati europei anche agli appartenenti alle Forze armate è concessa una più o meno ampia libertà di associazione sindacale. È dunque necessario che il legislatore intervenga quanto prima al fine di colmare il vulnus normativo che ormai da troppi anni penalizza fortemente l'esercizio dei diritti sindacali da parte dei militari, prevedendo uno strumento rappresentativo moderno, efficace e in linea con i dettami costituzionali italiani ed europei, che soprattutto sia sentito come proprio dal corpo sociale dei militari. In definitiva, uno strumento che possa garantire, nel rispetto del diritto dell'Unione europea e in linea con le sentenze citate, anche la libertà di associazione e la piena realizzazione dei diritti di natura sindacale ai militari, nonché in conformità alle consolidate esperienze, legislazione e giurisprudenza europee, che impongono anche al nostro Paese un adeguamento della normativa in tema di rappresentanza degli interessi collettivi dei cittadini militari. Il provvedimento all'esame in quest'Aula, anche grazie al significativo apporto che Forza Italia ha offerto in Commissione difesa, rappresenta una sintesi delle sensibilità delle nostre donne e uomini in uniforme, nella convinzione che la locuzione “sacro dovere” di cui all'articolo 52 della Costituzione qualifichi come preminente il dovere di difesa della patria e delle istituzioni. È nostro dovere riconoscere l'esercizio dei diritti sindacali per il personale delle Forze armate e assicurare un contemperamento tra interessi pubblici e diritti di libertà senza pregiudicare, ma anzi rafforzando, quei valori sui quali si fonda l'efficienza dei nostri militari (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Aresta. Ne ha facoltà.

GIOVANNI LUCA ARESTA (M5S). Presidente, onorevoli colleghi, l'11 aprile del 2018 la Corte costituzionale ha formalmente comunicato la propria decisione in merito alla questione di legittimità sollevata dalla sezione IV del Consiglio di Stato in riferimento all'articolo 1475, comma secondo, del codice dell'ordinamento militare. La sentenza è stata poi pubblicata il successivo 13 giugno. Con tale intervento la disposizione in parola è stata parzialmente ritenuta incostituzionale nella parte in cui vieta la libertà sindacale dei militari italiani. Il disposto in questione prevede limitazioni all'esercizio del diritto di associazione e il divieto di sciopero; nello specifico, subordina la costituzione di associazioni fra militari al previo assenso del Ministro della Difesa. Inoltre, pone sia il divieto di costituzione di associazioni professionali a carattere sindacale sia quello di aderire ad altre sigle sindacali. Proprio tali limitazioni sono da anni al centro di un acceso dibattito giurisprudenziale. L'articolo 1475 del decreto legislativo n. 66 del 2010 poneva, nella sua formulazione originaria, delle limitazioni importanti ai diritti sindacali dei militari; questo nonostante la Costituzione preveda da un lato la libertà di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione - ricordiamo l'articolo 21 - e dall'altro, al successivo articolo 39, la libertà della organizzazione sindacale. A ciò si aggiunga, inoltre, quanto previsto in sede europea: l'articolo 11 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, che protegge la libertà di riunione e associazione, nonché l'articolo 5 della Carta sociale europea, dedicato proprio ai diritti sindacali.

Il divieto in questione è sempre stato ricondotto alla specialità dello status militis e alle particolari funzioni attribuite ai militari. Al riguardo, dispone l'articolo 1465 del ridetto ordinamento militare che: ai militari spettano i diritti che la Costituzione della Repubblica riconosce ai cittadini. Per garantire l'assolvimento dei compiti propri delle Forze armate sono imposte ai militari delle limitazioni nell'esercizio di alcuni di tali diritti, nonché l'osservanza di particolari doveri nell'ambito dei principi costituzionali. Limitazioni che, quindi, non devono essere intese come un voler differenziare negativamente i militari rispetto alla generalità dei cittadini, quanto, invece, necessarie per garantire l'imparzialità nella cura del pubblico interesse attribuito alle Forze armate.

È importante, in questa sede, comprendere se i diritti sindacali rientrino o meno all'interno delle suddette limitazioni legittime, né sarebbe ragionevole la disparità di disciplina rispetto alle Forze di polizia a ordinamento civile, le quali godono della libertà sindacale.

Ripercorrendo storicamente la materia che oggi ci occupa, è a livello europeo che arriva la prima decisiva affermazione: nel 2014 due diverse pronunce della Corte di giustizia dei diritti dell'uomo, Matelly contro Francia e Adefdromil contro Francia, individuano infatti gli elementi importanti a sostegno del riconoscimento della libertà sindacale anche per i militari. Il ragionamento della Corte si basa sull'assunto che, pur essendo legittime delle restrizioni alla categoria, non è accettabile mettere in discussione la stessa essenza del diritto alla libertà sindacale.

Quindi, il diritto di formare un sindacato e di aderirvi sono da considerarsi come elementi essenziali delle libertà in esame. Gli interventi della Corte Europea hanno indubbiamente dato una svolta, una stura ad un percorso avviato già parecchi anni or sono. Su questa linea si è posta, altresì, la successiva ordinanza di rimessione del Consiglio di Stato, la n. 2043 del 2017, da cui poi è scaturita la decisione della Consulta alla base dell'odierno intervento normativo.

Analizzando invero le motivazioni che hanno spinto il Supremo consesso amministrativo a ipotizzare una carenza di legittimità del comma secondo dell'articolo 1475 del decreto legislativo n. 66 del 2010, infatti, emerge un contrasto della disposizione italiana con l'articolo 117, comma primo, della Costituzione in relazione agli articoli 11 e 14 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo. In particolare, non pare di errare nell'affermare come il Consiglio di Stato abbia fatto propria l'interpretazione già fornita in materia dalla Corte europea nelle due citate sentenze avverso la Francia.

Dunque la recente decisione della Consulta, di portata storica, considerando le precedenti posizioni, attraverso il comunicato dell'aprile del 2018, ha affermato di aver dichiarato parzialmente fondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 1475, secondo comma, nella parte in cui vieta ai militari di costituire associazioni professionali a carattere sindacale. Resta però fermo il divieto di aderire ad altre associazioni sindacali. Allo stato attuale, inoltre, la stessa Corte precisa come, in ossequio alla particolarità dello status di militare, bisognerà attendere una legge specifica che disciplini la costituzione di possibili associazioni sindacali militari. Occorre, infatti, una disciplina normativa che ne regoli la costituzione, l'attività e l'eventuale cessazione dei sindacati militari ad oggi del tutto assente.

Il contesto normativo italiano presenta, nella materia che oggi ci occupa, un significativo ritardo rispetto alle principali nazioni europee, seppure l'intervento della Consulta appaia essere un fondamentale e importante passaggio, non vi è dubbio. Nell'ambito della XVIII legislatura, in Commissione Difesa, riprendendo un lavoro sostanzialmente iniziato dal MoVimento 5 Stelle già nel corso della XVII, si è articolato un complesso iter che tuttavia, nonostante l'impegno a ricercare migliori tutele ai nostri cittadini con le stellette, non ci soddisfa pienamente, perché a noi pare un vestito cucito su misura, ma con una trama assai facilmente sfilabile, che di fatto mina l'azionabilità di quelle tutele, oggi, più che mai, ritenute legittime e necessarie.

Molte sono state le conquiste inserite nel testo oggi a disposizione dell'Aula, con questo però non posso esimermi dal riferirmi al voto contrario in Commissione all'emendamento del MoVimento 5 Stelle che confermava la giurisdizione del giudice ordinario in funzione di giudice del lavoro, sul solco tracciato dalle previsioni in materia di repressione della condotta antisindacale. Al gruppo del MoVimento 5 Stelle è parso un voto contrario ai cittadini con le stellette. L'articolo 28 della legge n. 300 del 1970, meglio conosciuta come Statuto dei lavoratori, reprime notoriamente la condotta antisindacale del datore di lavoro, una norma cardine che rende effettiva la tutela dei diritti sindacali e che nulla sottrae all'efficienza dello strumento militare. La norma non contiene affermazioni di principio o di specifici diritti sindacali, al contrario si pone come previsione di copertura dei diritti riconosciuti, uno scudo protettivo insomma, senza il quale i diritti sindacali rimarrebbero mere affermazioni di principio. La condotta antisindacale in maniera ampia e indeterminata fa riferimento a ogni comportamento diretto alla lesione dell'attività sindacale, che potrà ricomprendere, riguardo al profilo oggettivo, tanto gli atti materiali che gli atti giuridici, sia le condotte commissive che quelle omissive. L'intervento emendativo a nostra firma introduceva la regola generale della devoluzione al giudice ordinario di tutte le controversie promosse dalle associazioni sindacali, ex articolo 28 dello Statuto dei lavoratori, nel rapporto di impiego del militare, in quanto dipendente pubblico non contrattualizzato, quando siano al contempo lesi i diritti sindacali. L'unica soluzione giuridica accettabile per assicurare una piena tutela al privato, in armonia con il principio di effettività della tutela che ha fondamento, non solo - lo ricordo - nell'articolo 111 della Costituzione, ma ha anche un fondamento comunitario e convenzionale, rispettivamente negli articoli 24 della Costituzione, 6 e 13 della CEDU e 47 della Carta europea dei diritti fondamentali. L'avere però in definitiva approvato una disposizione in Commissione, che sostanzialmente rimette al giudice amministrativo, peraltro facendo ricorso alle procedure del rito ordinario, un emendamento del gruppo di Forza Italia e approvato da tutte le altre forze politiche, non dal MoVimento 5 Stelle, non fa che depotenziare in maniera assai grave le tutele che in quasi cinquant'anni sono venute a consolidarsi nella più attenta dottrina e qualificata giurisprudenza, sostanzialmente in deroga alle previsioni generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche. L'articolo 63, commi terzo e quarto, del decreto legislativo n. 165 del 2001, quanto alla individuazione della giurisdizione in materia, statuisce che sono devolute al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, le controversie relative a comportamenti antisindacali delle pubbliche amministrazioni, ai sensi dell'articolo 28 della legge 20 maggio 1970, n. 300. Guardi, Presidente, il problema della giurisdizione sulle controversie, relativa proprio a comportamenti delle pubbliche amministrazioni che siano antisindacali, è stato oggetto di un'ampia giurisprudenza di legittimità e di merito e in particolare il dibattito ha investito l'eventuale connessione, quindi il collegamento tra i comportamenti antisindacali, ovvero posti in violazione dello Statuto dei lavoratori, e delle garanzie apprestate dalla normativa in materia di lavoro e quelli dunque lesivi dei diritti individuali del lavoratore pubblico. Sul tema – lo ricordo a me stesso - vi è da registrare l'intervento delle Sezioni unite della Suprema Corte, con l'ordinanza n. 20161 del 2010, con la quale il Supremo Collegio ha affermato il principio per cui sono assoggettate alla giurisdizione del giudice ordinario le controversie promosse dalle associazioni sindacali, ai sensi dell'articolo 28 dello Statuto dei lavoratori, anche quando la condotta antisindacale afferisca a un rapporto di pubblico impiego non contrattualizzato, com'è quello dei militari, che incida non solo sulle prerogative sindacali dell'Associazione ricorrente ma anche sulle situazioni soggettive individuali dei pubblici dipendenti.

Il fulcro della questione attiene dunque alla individuazione del giudice munito del potere di conoscere la causa, tra giudice ordinario e giudice amministrativo, quando la controversia sia intentata dalle organizzazioni sindacali a tutela delle loro posizioni, aventi natura e consistenza di diritti soggettivi. Come è evidenziato infatti dalla citata ordinanza del 2010, oggi l'articolo 63, comma terzo, del decreto legislativo n. 165 del 2001, attribuisce al giudice ordinario le controversie relative a comportamenti antisindacali delle pubbliche amministrazioni, ai sensi dell'articolo 28 della legge n. 300 del 1970, e ciò senza operare alcuna distinzione. Come ha evidenziato la Corte di Cassazione, la mancanza nel comma 3 della clausola di esclusione prevista dal comma 1 deve essere dunque letta nel senso che la norma introduce la regola generale della devoluzione alla giurisdizione del giudice ordinario di tutte le controversie promosse dalle associazioni sindacali, quindi la giurisdizione spetta al giudice amministrativo solo per le cause che ineriscono in via esclusiva al rapporto di impiego militare, in quanto dipendente pubblico non contrattualizzato, e non quando siano al contempo lesi i diritti del sindacato. Guardi, Presidente, sul punto anche il Consiglio di Stato si è espresso più volte: ricordo a me stesso il parere reso il 12 giugno del 2002, n. 1647 del 2002, della prima sezione, con ciò anticipando il principio interpretativo affermato successivamente dalle Sezioni Unite. Peraltro, nonostante vi sia stato negli ultimi tempi l'avvicinamento del giudizio amministrativo a quello civile in una logica di azione amministrativa, quale vero e proprio rapporto giuridico fra pubblico, amministrazione e privato, di giudizio, quale volto, non solo più alla caducazione dell'atto, ma all'accertamento di tale rapporto, il processo amministrativo non è assimilabile in toto a quello davanti al giudice ordinario. Il primo presenta, rispetto al secondo, minori garanzie in relazione all'espletamento dell'attività istruttoria. È da ricordare come nel processo amministrativo non sono ammessi tutti i mezzi di prova propri del processo civile, permanendo, dopo la novella del 2017, l'impossibilità del ricorso all'interrogatorio formale e al giuramento, con grave pregiudizio delle esigenze di prova.

L'inammissibilità di tali mezzi di prova trova fondamento nel principio dell'indisponibilità dell'interesse legittimo, che sarebbe violato ove si consentisse alla pubblica amministrazione di confessare o ammettere la violazione della norma pubblicistica. A me pare, a noi pare una materia fondamentale, soprattutto in ambito di tutele sindacali e del lavoro in genere.

In conclusione, quindi, prevedere la giurisdizione - così come è accaduto nell'ambito dei lavori della IV Commissione Difesa - del giudice ordinario in funzione di giudice del lavoro appare l'unica soluzione giuridica accettabile, perché il dato testuale dell'articolo 63 del Testo unico del pubblico impiego, nel disciplinare la giurisdizione in materia, articolo 28 della legge n. 300, non pone alcun distinguo, intanto. L'interpretazione è univoca e non oscillante, che della norma ha dato la giurisprudenza del Consiglio di Stato, come ho citato, e della Suprema Corte. Lo specifico expertise maturato dal giudice del lavoro sul tema, consolidato nell'arco di quasi cinquant'anni, l'eccezionalità della giurisdizione del giudice amministrativo rispetto a quella del giudice ordinario, l'esigenza di assicurare piena tutela al provato, in armonia con il principio di effettività della tutela che è a fondamento non solo costituzionale, ma anche, come abbiamo detto prima, comunitario e convenzionale. Una disposizione di segno contrario, che attribuisse al giudice amministrativo la giurisdizione per la repressione delle condotte antisindacali dell'amministrazione militare, contraddirebbe dunque un quadro giuridico univoco, prestando il fianco anche a censure di irragionevolezza e, dunque, di incostituzionalità. Rinnoviamo l'impegno finora profuso nel garantire ai nostri militari le tutele legittime ed effettivamente azionabili dei diritti oggi riconosciuti dalla Consulta (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Pagani. Ne ha facoltà.

ALBERTO PAGANI (PD). Grazie, signora Presidente. Sono passati oltre quarant'anni dall'istituzione degli organismi di rappresentanza del personale militare a carattere elettivo, realizzate con la legge 11 luglio 1978, n. 322, Norme di principio sulla disciplina militare, oggi codificata dal decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, e dal decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n. 90. In quella stessa fase, nel 1981, fu approvata la riforma della Polizia di Stato, che modificò radicalmente il modello preesistente, aprendo alla smilitarizzazione del Corpo, al riconoscimento del diritto al sindacato e al reclutamento femminile. Sono state scelte legislative che hanno formato un quadro di norme progressiste e riformatrici e hanno consentito, sia al mondo militare che a quello della polizia, di evolversi in efficienza e democraticità, facendo compiere un decisivo passo in avanti al nostro sistema di difesa e sicurezza, e al Paese.

Durante tutti questi anni, è stata sempre presente nel Partito Democratico l'esigenza di aggiornare, in ragione dell'evoluzione della situazione con il trascorrere del tempo, la normativa sulla rappresentanza militare e più volte siamo intervenuti con misure migliorative e integrative. In particolare, il quadro giuridico relativo alle tutele rappresentative del personale militare si era concretizzato nelle due ultime legislature in due proposte di legge presentate dal Partito Democratico, proposte che, comunque, risentivano di un divieto esplicito nei confronti dell'associazionismo sindacale, confermato anche da precedenti pronunciamenti della Corte; e comunque, per tali proposte non è stato concluso l'iter legislativo.

A seguito dell'intervento della Corte Costituzionale, con sentenza n. 120 del 2018, siamo di fronte a un quadro del tutto nuovo, che rende oggi ineludibile un intervento legislativo che aggiorni gli strumenti di tutela rappresentativa, introducendo il diritto di associazione sindacale e un più compiuto quadro di tutele, allineandoci così ai principali Paesi europei e consentendo al nostro ordinamento militare di compiere un ulteriore passo in avanti.

Forze armate, Carabinieri e Guardia di finanza annoverano oggi circa 350 mila operatori, rappresentano un segmento di particolare rilievo nell'ambito della pubblica amministrazione, sono uomini e donne ai quali affidiamo la nostra sicurezza, la tutela della legalità, gli impegni per il mantenimento della pace, il concorso alle attività di protezione civile e parte significativa del prestigio del nostro Paese. Si tratta di una componente sociale fondamentale per il Paese, di cui oggi viene riconosciuto il diritto di concorrere e definire i contenuti del rapporto di impiego e più in generale le proprie condizioni di lavoro e di vita.

Spetta, quindi, a questo Parlamento, seguendo le indicazioni della Corte costituzionale, il compito storico di definire le nuove tutele rappresentative, a carattere sindacale, nel rispetto della specifica condizione militare.

Sul punto va, peraltro, sottolineato come la Corte, nel riconoscere la legittimità di associazioni professionali a carattere sindacale, abbia altresì evidenziato la necessità di una puntuale regolamentazione della materia, in considerazione della specificità dell'ordinamento militare e della sussistenza di particolari esigenze di coesione interna e neutralità che distinguono le Forze armate dalle altre strutture statali.

Il provvedimento, che arriva oggi all'esame dell'Aula, a nostro avviso non è ancora all'altezza delle esigenze delle moderne Forze armate, né delle aspettative dei militari italiani. Il Partito Democratico ha presentato una sua proposta di legge, dopo aver ascoltato attentamente tutte le audizioni in IV Commissione, cercando di tenere conto dei suggerimenti e delle proposte che sono venute dagli interlocutori che sono stati auditi.

È nostra intenzione portare un contributo utile alla discussione e all'obiettivo, che deve essere comune alla maggioranza e all'opposizione, di scrivere una buona legge. Avremmo ritenuto utile cercare nel Comitato ristretto, a cui ha fatto riferimento la relatrice nel suo precedente intervento, nella relazione, le convergenze necessarie al raggiungimento di un testo unificato, partendo dalle tre proposte di legge presentate. Purtroppo, non c'è stata la volontà politica della maggioranza di farlo e si è preferito adottare il testo base della relatrice. Riconosciamo certamente, però, ed apprezziamo la disponibilità ad accogliere alcuni dei nostri suggerimenti, ma restano importanti criticità che non ci permettono ancora di esprimere un giudizio positivo.

Le moderne Forze armate ragionano ed operano sempre di più in una logica interforze e molte problematiche che interessano i militari sono trasversali alle diverse forze. Riteniamo che respingere la nostra proposta di consentire la nascita di associazioni militari a carattere sindacale anche su base associativa interforze sia stato un errore della maggioranza. Come sarebbe sbagliato, a nostro avviso, l'obbligo di avere sindacati rappresentativi di militari appartenenti a forze diverse, riteniamo che sia sbagliato anche impedirlo per legge. Non si tratta solamente di tutelare la libertà sindacale, ma anche di offrire un'adeguata rappresentanza e potere contrattuale a quei militari che operano con specificità professionali particolari e simili tra di loro in Forze armate diverse. Penso, per fare un esempio pratico, potrei citarne altri, ai medici militari, che sono presenti in tutte le Forze armate, svolgono funzioni che hanno problematiche professionali comuni e non potranno aderire ad un sindacato che li rappresenti unitariamente, perché costretti nei confini della propria Forza di appartenenza. Non c'è ragione di impedire ciò che può aiutare a risolvere meglio i problemi e non crea danno ad alcuno. Per cui non comprendiamo questa rigidità della maggioranza.

Allo stesso modo, riteniamo che sia sbagliato impedire all'associazione militare a carattere sindacale di intrattenere rapporti stabili di collaborazione con i sindacati confederali senza aderirvi, come prevede la sentenza della Corte costituzionale. Il corporativismo dei militari non è affatto positivo ed una maggiore apertura al confronto con le problematiche generali della società italiana, che il dialogo con le rappresentanze degli altri lavoratori e dei pensionati potrebbe favorire, sarebbe, a nostro parere, utile e positivo.

Vi sono, poi, altre questioni pratiche, che la maggioranza non ha voluto considerare. Cito, ad esempio, la non disponibilità ad includere, nella parte di Governo che siederà al tavolo di trattativa per il contratto di lavoro, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. Si tratta di una decisione, a nostro parere, irrazionale, se si considera che la responsabilità di spesa relativa al Corpo delle capitanerie di porto è funzionalmente attribuita proprio a questo Ministero e che i rappresentanti dei marinai della Guardia costiera non potranno interloquire con il Ministero preposto a gestire le risorse economiche e a definire quegli elementi contrattuali che hanno a che fare con la loro salute e la sicurezza sul lavoro.

La controparte di quei militari che saranno chiamati a dedicare una parte della loro vita professionale ad attività sindacali non è il loro comandante, ma sono proprio questi problemi, spesso comuni e trasversali, sono problemi che hanno i graduati, i sottufficiali e gli ufficiali. Per questa ragione, riteniamo che anche il dibattito che si è sviluppato sulla giurisdizione del contenzioso, nel quale i due partiti della maggioranza si sono divisi su due proposte contrapposte, sia ancora inadeguato.

Dopo l'approvazione del provvedimento alla Camera il percorso parlamentare proseguirà al Senato e ci auguriamo che in quella sede la maggioranza sappia trovare una migliore sintesi al proprio interno e non costringa l'opposizione a scegliere tra proposte certamente entrambe migliorabili. Non è compito dell'opposizione ricomporre le divergenze interne alla maggioranza ma, quando vi è una volontà ed una posizione chiara di chi ha la responsabilità di guidare il Paese, non facciamo venir meno il nostro contributo propositivo e costruttivo per migliorare il provvedimento. Abbiamo, quindi, ripresentato anche per la discussione in Aula le proposte emendative che riguardano gli aspetti ritenuti da noi più deboli e contraddittori della proposta di legge, perché si tratta di una proposta di legge che ha lo scopo di estendere e garantire i diritti dei lavoratori e, se ci fossero le condizioni per farlo, ci piacerebbe poterla votare favorevolmente e poterla approvare. Al momento non è così: a nostro avviso al momento condizioni tali non ci sono. Non abbiamo comunque ancora deciso quale sarà la nostra posizione di voto finale sul provvedimento che dipenderà anche dalla disponibilità all'ascolto delle nostre proposte da parte della maggioranza. Auspichiamo che la discussione in Aula sia tale che permetta a noi di maturare un'opinione migliore sul provvedimento che verrà votato alla fine e anche di poter maturare un voto diverso da quello che al momento, con ogni probabilità, abbiamo intenzione di esprimere.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Deidda. Ne ha facoltà.

SALVATORE DEIDDA (FDI). Grazie Presidente, onorevoli colleghi, sottosegretario, finalmente la proposta di legge in esame arriva nell'Aula della Camera. Dico questo perché, dopo aver tanto dibattuto in Commissione, c'è la giusta vetrina affinché tutti possano ascoltare e vedere la discussione su questa importante proposta di legge che, a nostro avviso, è stata fin dall'inizio intrisa di una enfasi completamente sbagliata. Lo dico perché gli annunci da parte della maggioranza, gli annunci anche del Ministro, quando proclamò la nascita del primo sindacato della storia della Difesa, hanno illuso gran parte dei militari. Infatti quando si dice: noi vi daremo tutti i diritti, noi vi daremo un sindacato, la parola “sindacato” viene equiparata a quelli che sono i sindacati o la lotta sindacale nei corpi civili, nell'ambito civile, ma fin dall'inizio si è capito e anche la sempre citata sentenza della Corte lo specifica, che qui parliamo dell'ambito militare. Questo non vuol dire togliere dei sacrosanti diritti ai militari. Proprio per questo Fratelli d'Italia non ha mai nascosto di avere dubbi sull'argomento e sulla discussione, non tanto sul fatto dei diritti, dei sacrosanti diritti ma sull'enfasi e su come veniva utilizzato l'argomento in maniera anche abbastanza strumentale. Ripercorriamo la storia. Ho ripetuto: nascita del primo sindacato con grande annuncio del Ministro che decide però di dare mandato al Parlamento di legiferare e quindi di non procedere con un decreto. In questa fase c'è ancora la rappresentanza che è l'organo che tutela i militari. Quindi c'è una coesistenza: da un lato si dà l'autorizzazione alle associazioni a costituirsi, rappresentare e iniziare a raccogliere le iscrizioni per rappresentare i militari, dall'altro c'è la rappresentanza. Cosa succede? Tutta questa enfasi ovviamente scatena la propaganda contro i rappresentanti del Cocer. Da parte di chi? Non tanto a volte della maggioranza ma da parte di qualcuno che è fuori dall'ambito - si parla sempre di una minoranza, di singoli - che attacca i rappresentanti del Cocer chiamandoli non più adeguati, non più sicuramente e sinceramente impegnati nella tutela dei militari e si scatena una guerra all'interno delle Forze armate. Non solo, ma l'argomento viene utilizzato per dire che bisogna mettere fine a quello che è sempre stato un trattamento di favore per gli ufficiali e per tutelare a un certo punto i sottufficiali della cosiddetta base. Ripeto che non dico che è stato fatto da parte delle associazioni, ma qualcuno l'ha utilizzato strumentalmente per aizzare una guerra interna, dentro le Forze armate.

Ma arriviamo alla proposta di legge: siamo accusati, si accusano all'inizio le forze di minoranza di voler rallentare l'iter. Viene chiesto di pensarci bene: è un progetto di legge importante; viene chiesto di pensarci bene però sempre tramite più o meno degli ambasciatori o tramite ambasciatori esterni a quest'Aula. Veniamo alle forze di minoranza alle quali viene chiesto di pensarci bene e che vengono accusate di voler perdere tempo perché c'è il partito dei cosiddetti generali: una cosa falsa. Perché come si può dire che c'è una forza politica come Fratelli d'Italia che non vuole tutelare i militari, quando Fratelli d'Italia è la prima forza politica che in questa legislatura ha posto il serio problema delle condizioni dei militari nell'operazione strade sicure? Come si può accusare Fratelli d'Italia quando ha posto il problema degli alloggi militari? Quindi non c'è una forza politica che oggi difende un potere oscuro dei generali a discapito della cosiddetta truppa. Ma andiamo avanti. Si va avanti: ogni forza politica annuncia di presentare una proposta di legge. Anche Fratelli d'Italia dopo un dibattito all'interno - ripeto che nessuno è contro i diritti dei militari - presenta una propria proposta di legge ma oralmente: non vuole intralciare o non vuole rallentare i tempi del dibattito. Grazie al clima di collaborazione che c'è in Commissione difesa - ringrazierò sempre il presidente e tutti i componenti - si lavora benissimo, c'è un clima cordiale, si cerca sempre di trovare la migliore soluzione, ma su questo argomento si nota che c'è un clima non proprio benevolo, c'è un clima di nervosismo, c'è un clima nel quale ovviamente si vuole concludere e si usano a volte termini scorretti nel dire che qualcuno vuole il sindacato militare e qualcun altro non lo vuole e vuole mantenere lo status quo a danno dei militari: questo argomento viene utilizzato da alcune delle associazioni. Vorrei ricordare che, durante l'unica audizione richiesta peraltro anche da Fratelli d'Italia o da Fratelli d'Italia di audire le associazioni già costituite, oltre a non avere traccia, tutte le associazioni comunque bocciano il progetto di legge in discussione. Dicono che non è adeguato, che bisogna ripartire da zero, bisogna ripartire dalla legge che riguarda i sindacati di polizia e si continua comunque a dire che bisogna prendere tempo e bisogna ascoltare. Non contenti si continua ad andare avanti e presentiamo le proposte emendative: la famosa giurisdizione. Ma come mai i Cinque Stelle hanno buttato fango su tutti gli altri partiti senza capire che fuori hanno scatenato qualcuno che ha anche oltrepassato i limiti nell'attaccare i componenti dell'opposizione, quando Fratelli d'Italia ha presentato una proposta emendativa nella quale separava da una parte dando competenze al TAR ma poi per la questione più importante, la condotta antisindacale, dava la competenza al tribunale ordinario? Era una soluzione voluta anche dalle associazioni. Ebbene, sia in Comitato ristretto sia poi in Commissione, tale proposta non è stata minimamente presa in considerazione. Ma allora perché si accusano tutti gli altri di non volere il tribunale ordinario per i militari? No, perché un ragionamento più giusto e che si avvicina a quello della polizia, è separare le competenze tra il tribunale amministrativo, dove ci saranno giudizi più rapidi, ci saranno comunque giudici che potranno risolvere in maniera equa e rapida le questioni, e la condotta antisindacale che è la materia che poteva essere tranquillamente attribuita al tribunale ordinario. Fratelli d'Italia si è visto l'emendamento bocciato e non considerato. In più si dice che è una proposta di legge sui sindacati: ma com'è possibile, visto che il Ministro ha delegato il Parlamento a legiferare, che siano stati bocciati gli emendamenti di Fratelli d'Italia che riguardano i permessi sindacali, i distacchi sindacali, i permessi non retribuiti? Ma allora perché veniamo accusati da parte del MoVimento Cinque Stelle di non volere i diritti dei militari, se poi andiamo oltre la proposta di legge, la completiamo con norme e commi che danno veri diritti sindacali e militari ma gli emendamenti vengono bocciati?

Ma parliamo anche dell'autorizzazione. La Corte costituzionale dice che le associazioni devono chiedere l'autorizzazione in questa fase transitoria, ma noi abbiamo presentato un emendamento dove diciamo che le associazioni non devono chiedere autorizzazione per costituirsi nel momento in cui la legge sarà promulgata: no, se rispettano i criteri devono presentare domanda e possono incominciare ad agire; se poi il Ministero non ha dei rilievi la pratica è accettata e non si deve autorizzare niente; questa è vera libertà sindacale e libertà associativa.

In più, abbiamo detto che, se non vi va bene questo, allora, siccome ci sono dei casi di associazioni che hanno visto per 240 giorni la propria pratica bloccata al Ministero, facciamo che se entro 90 giorni non c'è risposta e la pratica non viene autorizzata, c'è il tacito assenso che funziona in tutta la pubblica amministrazione: è stata bocciata anche questa proposta.

Per i militari in congedo, la libertà di associazione sindacale: i militari in congedo non sono militari? A me hanno insegnato che si è militari per sempre, anzi, si ha ancora più tempo per poter iscriversi. Sui militari in congedo noi abbiamo fatto un emendamento per dire che possono partecipare ma che non possono avere cariche rappresentative: perché non devono mettere a disposizione la loro esperienza? Perché, per esempio, i membri dell'associazione paracadutisti che sono in congedo vengono considerati ancora militari ma non si possono iscrivere al sindacato, né possono dare il loro contributo? A me sembra strano. Ecco le principali contraddizioni di un tema che, purtroppo, è stato avvolto da troppa demagogia e da troppa voglia di farne una bandiera. Lo riconosco: il Movimento 5 Stelle è il movimento che ha portato l'argomento in Parlamento e che ha sensibilizzato su ciò, però poi c'è stata una distorsione, perché far diventare questa bandiera invece di una bandiera un'asta della bandiera da dare in testa a tutti gli altri, ha portato veramente un effetto nefasto, soprattutto perché la vostra buonafede e la vostra foga di rivendicare il vostro lavoro all'esterno sono apparse - lo ripeto - come un invito ad attaccare tutti quelli che non professavano il vostro verbo o tutti quelli che non erano d'accordo con il vostro agire.

Tuttavia, questo a noi non porta danni, tranne la seccatura di dover rispondere ad accuse fantasiose da parte di chi non ha letto neanche gli emendamenti, ma fate attenzione perché, come ho sempre ripetuto, i militari che svolgono quest'attività oggi non sono autorizzati a svolgere attività sindacale. Quindi, attenzione, perché una parola fuori posto, un attacco fuori posto o un qualcosa che viene dichiarato e che non rientra - o non rientrerebbe - in quelle che sono le competenze del sindacato, ma che oggi non sono in vigore, metterebbe nei guai i militari. Bisogna sempre calmare le acque e raccomandare di usare toni civili, così come ci diciamo qui fra noi deputati.

Io utilizzo lo stesso rispetto che ho per i deputati anche per i militari e utilizzo gli stessi termini che uso per le leggi elettorali, per noi e per i limiti di mandato, anche per i militari. I militari sono una categoria speciale, perché la Difesa è una categoria speciale, ma allora bisogna utilizzare sempre dei termini adeguati, bisogna utilizzare dei toni adeguati; però bisogna dire anche la verità e non accusare a fini strumentali e dire che questo movimento è contro il partito dei generali, come se poi i generali non facessero parte delle Forze Armate (perché poi anche questa è la stranezza, in quanto c'è sempre una testa e c'è una coda ma quando si va in missione, si va tutti assieme e si fa parte dello stesso corpo).

Inoltre, bisogna anche finirla di alimentare queste divisioni, bisogna finirla di demonizzare un mondo che, come in tutti i mondi, può avere qualcuno buono e qualcuno meno buono. Tuttavia, non si può categorizzare in questo modo e questo è veramente il problema della Difesa.

È questo il grande tema che risolverà il problema della Difesa? No, perché il problema della Difesa, ad oggi, non è colpa di questa maggioranza, ma è una colpa che proviene, trasversale, da anni: è la mancanza di soldi, la mancanza di soldi per avere degli alloggi decenti, la mancanza di soldi per pagare in tempo e nella maniera dovuta gli straordinari, la mancanza di soldi per avere le attrezzature, la mancanza di soldi per pagare le indennità dovute agli incursori e agli artificieri. Sono tutti problemi che - lo dico, per suo tramite, al presidente della Commissione - a volte anche in Commissione dobbiamo risolvere, che dobbiamo cercare di risolvere, non giocando fra maggioranza e opposizione come accade a volte. Le ripeto: quando si vuole risolvere - e ci credo alla vostra buonafede sugli incursori della Marina -, non si può sostituire una proposta di legge, che è subito effettiva, con una risoluzione, che invece è un impegno al Governo, così come avete fatto in Commissione. Se si vuole risolvere, potete anche copiare e fare una vostra proposta di legge e poi si abbinano, ma la risoluzione, come sapete, è un impegno al Governo, quindi si rimanda la soluzione.

Questi sono i problemi della Difesa e la mia paura non è tanto di chi agisce nelle associazioni, ma di chi, fuori dalle associazioni, nella politica, vede le Forze Armate come una protezione civile, come un qualcosa che bisogna trasformare in una grande ONG. È una cosa anche questa trasversale di cui voi siete anche vittime, voi della componente Difesa della maggioranza, da parte di chi vede la Difesa come un portafoglio dove prendere i soldi.

Da poco c'è stato il varo di quella bellissima nave - ho paura di sbagliare anche il termine, Presidente, per non incorrere in qualche bacchettata - che un quotidiano ha definito “nave della pace”: la “nave della pace”? Una nave porta elicotteri e che deve trasportare mezzi militari la stavano già battezzando come una nave per il recupero nel mare non vi dico di chi (degli immigrati): ma si può? La nostra Marina Militare! Un evento storico che qualcuno ha voluto, per paura e per demagogia, etichettare come un qualcosa che riguarda il civile e non il militare. Non siete voi, ma c'è qualcuno che vuole distruggere le Forze Armate, le vuole declassare e, magari, vuole trasformare i nostri militari in guardiani delle discariche. Questi sono i problemi grandi della Difesa: il concetto di Forze Armate stesso! Poi avremo, alla fine, i sindacati, anzi le associazioni sindacali (io le chiamo sempre associazioni sindacali perché, lo ripeto, c'è una differenza fra associazioni sindacali, o associazioni di militari a carattere sindacale, e sindacato, dunque non confondiamo i termini): avremo quello e non avremo più le Forze Armate! Continuando con quei tagli e continuando a parlare di altri temi importanti, quando poi non ci sono i soldi e non c'è la materia prima, hai voglia ad avere le associazioni sindacali, hai voglia ad avere le associazioni che parlano dei problemi! Se non ci sono i soldi non ci sono più i militari e, piano piano, spariranno anche quelle.

Dunque, lo ripeto, ritorniamo a un clima più mite: accettate anche i consigli dell'opposizione, che non è contro di voi a prescindere e non l'ha mai fatto, soprattutto nel settore della Difesa, perché le Forze Armate le amiamo tutti e abbiamo il massimo rispetto di quello che state portando avanti, però ascoltate.

Le elezioni sono passate, dunque lavoriamo serenamente e riportiamo un clima sereno. Lo ripeto: se volete avere la primogenitura di questa legge ve la diamo, ma non dite che gli altri sono contro sui diritti dei militari perché, come vedrete anche domani o nei prossimi giorni in Aula, gli emendamenti ci sono e, addirittura, andiamo oltre quello che avete fatto voi, dando veramente i diritti dei sindacati ai militari.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Galantino. Ne ha facoltà.

DAVIDE GALANTINO (M5S). Presidente, intervengo in discussione generale per fare un attimo il punto della situazione sulla proposta di legge che porta la firma della collega Corda, sull'esercizio della libertà sindacale del personale delle Forze armate e dei Corpi di polizia ad ordinamento militare. Vede, Presidente, prima di essere eletto alla Camera dei deputati indossavo anch'io una divisa, conosco molto bene l'ambiente e credo che in questi giorni si stia facendo un po' di confusione.

Perché dico questo? Perché recentemente sto leggendo su diversi organi di stampa e su diverse pagine di aspiranti sindacalisti che questa maggioranza, in questa legislatura, starebbe varando una legge inutile, una legge che va a correggere il codice di ordinamento militare promosso dall'ex Ministro della Difesa Arturo Parisi durante il Governo Prodi II, codice del quale la sentenza n. 120 del 2018 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale nell'articolo 1475, al comma 2, in quanto attualmente prevede che i militari non possono costituire associazioni professionali a carattere sindacale o aderire ad altre associazioni sindacali. In questa legislatura stiamo cercando di correggere il tiro, e nonostante questo, leggo attacchi incredibili tramite stampa e social alla mia collega Corda, alla quale esprimo la mia totale solidarietà e vicinanza. Ho letto addirittura un comunicato dove si dice che nelle caserme si registrano diffusi sentimenti di paura persino a parlare delle organizzazioni sindacali, e mi chiedo in che modo gli autori di queste affermazioni abbiano indossato l'uniforme, se mai ne abbiano indossata una. Un militare, per definizione, è una persona che protegge, che svolge questo lavoro con passione perché militare lo si è dentro; un militare non ha paura di non essere rappresentato, perché un militare è lì per rappresentare. Affermo con estrema convinzione che i miei colleghi militari oggi non stanno minacciando le istituzioni, nel tentativo di imporre un testo piuttosto che un altro: sanno quale sia la responsabilità del legislatore, ma anche la delicatezza del proprio ruolo.

Ecco perché se vuoi fare del bene ai colleghi non lo fai attaccando quelle stesse istituzioni difese dai militari, e che oggi stanno provando a varare una legge che li tuteli. Far bene ai colleghi non è raccogliere più tesserati: far bene per chi porta le stellette significa far bene alla sicurezza dell'intera nazione, e spero che i miei colleghi sappiano scegliere bene da chi dovranno essere rappresentati.

Grazie a questa maggioranza finalmente si parla moltissimo dei militari, non come numeri, ma come esseri umani, come cittadini scelti per tutelarci, e che quindi dobbiamo tutelare. È chiaro che questa legge, nel suo iter, possa e debba essere migliorata, perché questo è il nostro compito di legislatori: ci stiamo impegnando al massimo per questo. Penso alle linee programmatiche del Ministro Trenta, che finalmente parla, per esempio, dell'uranio impoverito; delle condizioni dei nostri militari che operano all'estero e in patria; penso all'indagine conoscitiva sull'operazione “Strade sicure”, avviata dalla Commissione difesa con l'intento di entrare nella vita dei nostri militari e di provare a risolvere le loro difficoltà.

E per questo spero siano in tanti i colleghi che oggi mi ascolteranno. Nessuno ha mai voluto riconoscere veri diritti anche ai militari; noi finalmente ci stiamo impegnando affinché ciò avvenga. Forse non scriveremo la legge perfetta, tenendo conto anche che in Parlamento la pluralità di idee fa la sua parte; ma questa, Presidente, è la parte bella della democrazia. Per questo spero che quello che stiamo facendo oggi venga compreso e apprezzato da tutti.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - A.C. 875-A)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare la relatrice, onorevole Corda. Se intende farlo, altrimenti…

EMANUELA CORDA, Relatrice. Volevo semplicemente ringraziare tutti i colleghi per il lavoro che stanno portando avanti in Commissione, e anche per il clima che comunque, devo dire, è sempre stato molto cordiale e rispettoso, a tutti i livelli, tra maggioranza e opposizione. E, quindi, di questo sono abbastanza felice, e spero che i lavori possano procedere nella stessa maniera, con correttezza e rispetto reciproco.

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo, onorevole Tofalo.

ANGELO TOFALO, Sottosegretario di Stato per la Difesa. Presidente, intervengo velocemente per ribadire e ricordare il massimo impegno da parte del Governo, in particolare ovviamente il Dicastero della Difesa, per il benessere, per tutto ciò che riguarda gli uomini e le donne in divisa, con le stellette, sia civili che militari. Crediamo fortemente in questa proposta, in questa iniziativa: il Dicastero della Difesa si è mosso fin da subito per predisporre il tutto e per far sì che si seguisse la linea della recente sentenza della Corte costituzionale, la n. 120 del 2018, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 1475, comma 2, del codice dell'ordinamento militare.

Abbiamo sempre ritenuto, sia nella scorsa legislatura, quando eravamo all'opposizione, sia oggi che siamo al Governo, che il Parlamento è sovrano, per cui il Governo sta osservando i lavori. Volevo appunto ringraziare tutti i relatori, di maggioranza e di opposizione, nonostante ci siano state discussioni anche accese su alcuni punti, in cui lo stesso Governo è “andato sotto” nei suoi pareri, in una votazione (lo sottolineiamo anche con grande tranquillità, proprio per testimoniare quello che riteniamo un buon lavoro che si sta svolgendo in Commissione). Riteniamo e siamo certi che anche in Aula si svolgerà un ottimo lavoro, e si arriverà, alla fine, all'approvazione di questa proposta, con le opportune modifiche. Penso che diverse siano state già accolte in Commissione delle opposizioni, e altre sicuramente verranno accolte in Aula nei lavori; ma ci tengo veramente a ringraziare tutti, perché questa è veramente una svolta epocale per tutti gli uomini della Difesa. Quindi, è un passaggio delicato, importante, ed è normale che ci sia una discussione accesa anche fuori, perché ci sono 300 mila e più persone che stanno seguendo attentamente i lavori ormai da diverse settimane, da diversi mesi su questo atto, che era iniziato forse già la scorsa legislatura. Per cui ringrazio ancora davvero tutti i relatori di maggioranza e di opposizione, e sono fiducioso.

Il Governo segue con attenzione. Ovviamente dirà la sua anche e soprattutto in Aula, ma ci teniamo a ribadire che il Parlamento è sovrano, quindi auspichiamo che, nonostante delle differenze che non sono abissali, si possa convergere poi tutti verso una proposta di legge che sia soprattutto buona ed efficace per tutti gli uomini e donne della Difesa.

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Ordine del giorno della prossima seduta.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.

Martedì 28 maggio 2019 - Ore 11:

1. Svolgimento di interrogazioni .

(ore 15)

2. Seguito della discussione del disegno di legge:

Conversione in legge del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 35, recante misure emergenziali per il servizio sanitario della Regione Calabria e altre misure urgenti in materia sanitaria. (C. 1816-A)

Relatrice: NESCI.

3. Seguito della discussione della proposta di legge:

BALDELLI ed altri: Modifica all'articolo 12 del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, concernente l'esercizio di funzioni di prevenzione e accertamento delle violazioni in materia di sosta da parte dei dipendenti delle società concessionarie della gestione dei parcheggi e delle aziende esercenti il trasporto pubblico di persone. (C. 680)

Relatore: BALDELLI.

4. Seguito della discussione della mozione Baldelli ed altri n. 1-00013 concernente iniziative volte a potenziare il sistema dei pagamenti dei debiti commerciali delle pubbliche amministrazioni .

5. Seguito della discussione della proposta di legge:

CORDA ed altri: Norme sull'esercizio della libertà sindacale del personale delle Forze armate e dei corpi di polizia ad ordinamento militare, nonché delega al Governo per il coordinamento normativo. (C. 875-A)

e delle abbinate proposte di legge: MARIA TRIPODI ed altri; PAGANI ed altri. (C. 1060-1702)

Relatrice: CORDA.

6. Discussione dei disegni di legge:

Ratifica ed esecuzione della Convenzione relativa all'estradizione tra gli Stati membri dell'Unione europea, con Allegato, fatta a Dublino il 27 settembre 1996. (C. 1797)

Relatore: CABRAS.

Ratifica ed esecuzione dei seguenti Protocolli: a) Secondo Protocollo addizionale alla Convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale, fatto a Strasburgo l'8 novembre 2001; b) Terzo Protocollo addizionale alla Convenzione europea di estradizione, fatto a Strasburgo il 10 novembre 2010; c) Quarto Protocollo addizionale alla Convenzione europea di estradizione, fatto a Vienna il 20 settembre 2012. (C. 1798)

Relatrice: DI STASIO.

La seduta termina alle 15,20.

TESTI DEGLI INTERVENTI DI CUI È STATA AUTORIZZATA LA PUBBLICAZIONE IN CALCE AL RESOCONTO STENOGRAFICO DELLA SEDUTA ODIERNA: DALILA NESCI (A.C. 1816-A)

DALILA NESCI, Relatrice (Relazione - A.C. 1816-A). Onorevoli colleghi, il decreto-legge di cui l'Assemblea avvia l'esame nella seduta odierna è un provvedimento molto atteso, sia nella parte in cui reca misure emergenziali per il Servizio sanitario della regione Calabria, sia per quanto concerne le altre disposizioni urgenti che vengono introdotte in materia sanitaria. Tali disposizioni sono state ulteriormente migliorate e integrate attraverso le modifiche approvate nel corso dell'esame in sede referente che si è svolto presso la Commissione Affari sociali. In tale ambito, si è svolto un ciclo di audizioni di rilievo al fine di approfondire i principali temi del provvedimento in oggetto: in particolare, sono stati auditi il Commissario ad acta per l'attuazione del vigente piano di rientro dai disavanzi del Servizio sanitario calabrese (gen. Saverio Cotticelli), il presidente della regione Calabria (dott. Gerardo Mario Oliverio), nonché rappresentanti dell'Agenzia italiana del farmaco (AIFA), dell'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (AGENAS), della Conferenza delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano e delle principali associazioni sindacali e di categoria. Una volta conclusa la discussione, sono state esaminate le proposte emendative presentate (circa 165 complessivamente). Faccio altresì presente che sul testo del decreto-legge sono stati espressi pareri favorevoli da parte delle Commissioni Affari costituzionali, Giustizia, Difesa, Cultura, Ambiente, Lavoro e Politiche dell'Unione europea. La Commissione Affari sociali ha recepito, poi, le osservazioni formulate nei pareri espressi, rispettivamente, dalla Commissione Bilancio e dalla Commissione parlamentare per le questioni regionali.

Entrando nel merito del provvedimento, faccio presente che il testo oggi in discussione si compone di tre Capi e diciassette articoli.

Il Capo I contiene dieci articoli recanti disposizioni speciali per la regione Calabria, volte a ripristinare - come si legge nelle premesse al decreto - il rispetto dei livelli essenziali di assistenza in ambito sanitario di cui all'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, alla luce delle gravi inadempienze gestionali e amministrative riscontrate, nonché - come specificato dall'articolo 1 - ad assicurare il raggiungimento degli obiettivi del piano di rientro dai disavanzi del Servizio sanitario regionale secondo i relativi programmi operativi e - come da modifica approvata in sede referente - dei livelli essenziali di assistenza. Tutti gli interventi proposti, pertanto, si configurano come provvedimenti normativi straordinari, assunti per un periodo temporale limitato a diciotto mesi (ai sensi del successivo articolo 15, comma 1, del decreto) con i quali si intende traghettare la sanità calabrese verso una situazione di “normalità” amministrativa. Come sottolineato dalla relazione illustrativa del provvedimento, l'intento, “nella piena consapevolezza dei limiti costituzionali connessi ad ogni intervento in senso lato sostitutivo, è di poter almeno originare un percorso finalizzato ad una prima rimozione dei principali fattori di criticità, dotando il Commissario ad acta per l'attuazione degli obiettivi del piano di rientro della regione Calabria di poteri straordinari che consentano in tempi certi e definiti il ripristino della normalità, garantendo la trasparenza nel settore sanitario, superando anche ostacoli burocratici ed ambientali”.

A tal fine, l'articolo 2 disciplina e rafforza le procedure di verifica straordinaria dei direttori generali degli enti del Servizio sanitario regionale (attualmente regolamentate dall'articolo 2 del decreto legislativo n. 171 del 2016), prevedendo che siano effettuate direttamente dal Commissario ad acta per l'attuazione dei piani di rientro della regione Calabria. Sul punto, la Relazione illustrativa del provvedimento sottolinea che “ricondurre tale compito al Commissario ad acta ed imporre dei termini più abbreviati per l'esercizio di tale competenza appare una misura sistematica necessaria per garantire il raggiungimento degli obiettivi posti dal piano di rientro: ciò proprio in considerazione del fatto che la gestione deficitaria condotta finora dalla maggior parte delle aziende sanitarie calabresi trova una sua ragione anche nella insufficienza delle verifiche attuate dalla regione Calabria, le quali non hanno quasi mai impedito il riconoscimento ai direttori generali di tutti gli emolumenti accessori connessi al raggiungimento degli obiettivi gestionali”.

In particolare, l'articolo dispone che, entro trenta giorni dall'entrata in vigore del provvedimento e, successivamente, almeno ogni sei mesi, il Commissario ad acta sia tenuto ad effettuare una verifica straordinaria sull'attività dei direttori generali delle aziende sanitarie, delle aziende ospedaliere e delle aziende ospedaliere universitarie.

La verifica è volta altresì ad accertare se le azioni poste in essere da ciascun direttore generale siano coerenti con gli obiettivi di attuazione del piano di rientro, anche sotto il profilo dell'eventuale inerzia amministrativa o gestionale. Il Commissario ad acta, nel caso di valutazione negativa del direttore generale, previa contestazione e nel rispetto del principio del contraddittorio, provvede motivatamente a dichiararne l'immediata decadenza dall'incarico, nonché a risolverne il relativo contratto. In caso di valutazione positiva, al direttore generale si estendono le disposizioni relative alle attribuzioni e ai compiti dei Commissari straordinari disposti dal provvedimento in esame.

L'articolo 3 prescrive le misure da adottare nel caso di valutazione negativa dell'operato del direttore generale a seguito di verifica straordinaria dell'attività del direttore medesimo ai sensi dell'articolo 2. In particolare, si prevede che in tale caso il Commissario straordinario sia nominato dal Commissario ad acta, previa intesa con la regione nonché – come da modifica approvata in sede referente – con il rettore nel caso di aziende ospedaliere universitarie. Qualora l'intesa non sia raggiunta nel termine perentorio di dieci giorni, la nomina è effettuata con decreto del Ministro della salute, su proposta del Commissario ad acta, previa delibera del Consiglio dei ministri al quale è invitato a partecipare il presidente della Giunta regionale. Qualora in luogo del direttore generale sia stato nominato dalla regione Calabria un Commissario che, a qualsiasi titolo, ne svolge le funzioni, questi decade in ogni caso dalla data di entrata in vigore del decreto-legge e si applicano le disposizioni dell'articolo in esame (comma 1).

Ai sensi del comma 2 dell'articolo 3, il Commissario straordinario è scelto tra soggetti, anche in quiescenza, di comprovata competenza ed esperienza, in particolare in materia di organizzazione sanitaria o di gestione aziendale, anche nell'ambito dell'elenco nazionale di cui all'articolo 1 del predetto decreto legislativo n. 171 del 2016 che – ricordo - prevede la costituzione di un elenco nazionale, presso il Ministero della salute, dei soggetti idonei a ricoprire l'incarico di direttore generale delle aziende sanitarie locali, delle aziende ospedaliere e degli altri enti del Servizio sanitario nazionale. Restano ferme le disposizioni in tema di incompatibilità, inconferibilità, nonché le preclusioni previste all'articolo 3, comma 11, del decreto legislativo n. 502 del 1992.

Una disposizione transitoria è contenuta nel comma 3, ai sensi del quale fino alla nomina del Commissario straordinario si applica la disposizione di cui all'articolo 3, comma 6, settimo periodo, del predetto decreto legislativo n. 502 del 1992, per cui nei casi di vacanza dell'ufficio o di assenza o di impedimento del direttore generale le relative funzioni sono svolte dal direttore amministrativo o dal direttore sanitario su delega del direttore generale o, in mancanza di delega, dal direttore più anziano per età.

Può essere nominato un unico Commissario straordinario per più enti del Servizio sanitario regionale (comma 4). Ai sensi del comma 5, l'ente del Servizio sanitario della regione corrisponde al Commissario straordinario il compenso stabilito dalla normativa regionale per i direttori generali dei rispettivi enti del Servizio sanitario. Con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro della salute, da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto-legge, è definito un compenso aggiuntivo per l'incarico di Commissario straordinario, comunque entro determinati limiti.

Ai sensi del comma 6 dell'articolo 3, il Commissario straordinario, entro nove mesi dalla nomina, adotta un nuovo atto aziendale, approvato dal Commissario ad acta, al fine di assicurarne la coerenza con il piano di rientro dai disavanzi nel settore sanitario e i relativi programmi operativi di prosecuzione nonché per ridefinire le procedure di controllo interno.

Nel corso dell'esame in sede referente è stata approvata un'importante disposizione – comma 6-bis - secondo la quale, ai fini dell'adozione dell'atto aziendale, viene istituita con decreto ministeriale un'Unità di crisi speciale per la Regione, con il compito di effettuare visite ispettive straordinarie presso le aziende sanitarie. L'Unità, composta da dirigenti del Ministero della salute e da un numero massimo di cinque esperti, trasmette al Commissario straordinario e al Commissario ad acta una relazione sullo stato dell'erogazione delle prestazioni sanitarie, evidenziando sia gli eventuali scostamenti dagli standard necessari a garantire i livelli essenziali di assistenza sia le misure organizzative necessarie al loro ripristino.

Il successivo comma 7 stabilisce le modalità di verifica periodica delle attività del Commissario straordinario da parte del Commissario ad acta il quale, in caso di valutazione negativa, ne dispone la decadenza immediata dall'incarico e provvede alla relativa sostituzione. Si prevede, inoltre, che l'incarico di Commissario straordinario sia considerato quale esperienza valutabile ai fini della nomina di direttore generale delle aziende sanitarie locali, delle aziende ospedaliere e degli altri enti del Servizio sanitario nazionale (comma 8).

L'articolo 4 disciplina la verifica periodica, e comunque entro sessanta giorni dalla nomina, da parte dei Commissari straordinari sull'attività dei direttori amministrativi e sanitari delle rispettive aziende, sulla base dei criteri stabiliti dalla normativa vigente, con conseguente eventuale pronuncia di decadenza dall'incarico dei soggetti verificati e nomina dei sostituti. Qualora sia dichiarata la decadenza dei direttori amministrativi e sanitari, il Commissario straordinario o il direttore generale li sostituisce attingendo agli elenchi regionali di idonei costituiti secondo le procedure di cui all'articolo 3 del decreto legislativo n. 171 del 2016.

L'articolo 5 estende alle aziende sanitarie della regione Calabria la disciplina prevista per gli enti locali in tema di dissesto finanziario. Viene attribuito al Commissario straordinario il compito di effettuare una verifica della gestione dell'ente a cui è preposto - anche avvalendosi dell'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali e del Corpo della Guardia di finanza - alla quale consegue, qualora emergano irregolarità gestionali gravi e reiterate, la previsione della gestione straordinaria dell'ente verificato: a tale gestione sono imputate, con bilancio separato rispetto a quello della gestione ordinaria, tutte le entrate di competenza e tutte le obbligazioni assunte fino al 31 dicembre 2018 (comma 1). Ad essa provvede un Commissario straordinario di liquidazione del quale sono disciplinati la nomina, le condizioni giuridiche del rapporto e il compenso (commi 2 e 3). Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni del titolo VIII del Testo Unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, con l'espressa menzione di quelle riguardanti il blocco delle procedure esecutive e, più in generale, a quelle volte ad isolare la gestione contabile passata rispetto a quella presente (comma 4). Ai sensi del comma 5, il Commissario ad acta – analogamente a quanto previsto dall'articolo 3 per la nomina del Commissario straordinario - ha facoltà di nominare un unico Commissario straordinario di liquidazione per uno o più enti del Servizio sanitario regionale in condizioni di dissesto finanziario. Entro trenta giorni dalla nomina, il Commissario straordinario di liquidazione presenta al Commissario ad acta il piano di rientro aziendale che contiene la ricognizione della situazione economico-finanziaria dell'ente e l'indicazione delle coperture finanziarie necessarie per l'attuazione del piano medesimo nei limiti delle risorse disponibili (comma 6). Con una modifica approvata in sede referente vengono estesi al Commissario straordinario di liquidazione i limiti normativi già previsti per il compenso del Commissario straordinario.

L'articolo 6 detta specifiche disposizioni in tema di appalti, servizi e forniture degli enti del Servizio sanitario della regione Calabria. Il comma 1 dispone che gli enti ed aziende del Servizio sanitario della regione Calabria si avvalgano esclusivamente degli strumenti di acquisto e di negoziazione, aventi ad oggetto beni, servizi e lavori di manutenzione, messi a disposizione da Consip S.p.A. La relazione illustrativa del provvedimento in oggetto afferma che la scelta dell'obbligatorietà di ciò che è già possibile a legislazione vigente muove dalla constatazione di una situazione estremamente critica, che ha generato gravi disfunzioni.

Per i casi in cui i contratti siano inferiori alle soglie di rilevanza comunitaria, il successivo comma 2 dispone che il Commissario ad acta stipuli un protocollo d'intesa con l'Autorità nazionale anticorruzione (ANAC), al quale gli enti e le aziende del Servizio sanitario della regione Calabria sono tenuti ad adeguarsi.

I commi 3 e 4 riguardano gli interventi in materia di edilizia sanitaria e di ammodernamento tecnologico del patrimonio sanitario nella regione Calabria mediante l'adozione di un Piano triennale straordinario di edilizia sanitaria e di adeguamento tecnologico della rete di emergenza, della rete ospedaliera e della rete territoriale (con riferimento all'ambito sanitario) della regione Calabria. Il comma 5 reca una destinazione specifica di risorse finanziarie per il 2019 in favore del suddetto ammodernamento tecnologico nella regione, nell'ambito delle risorse previste in materia a livello nazionale.

L'articolo 7 modifica la procedura per l'adozione di una misura straordinaria di gestione, con riferimento alle imprese esercenti attività sanitaria per conto del Servizio sanitario della regione Calabria. Le misure oggetto di tale articolo concernono l'ipotesi in cui l'autorità giudiziaria proceda per determinati delitti ovvero riscontri situazioni anomale e comunque sintomatiche di condotte illecite o eventi criminali nei confronti di un'impresa che eserciti attività sanitaria per conto del Servizio sanitario nazionale. Secondo la procedura prevista in via generale, il Presidente dell'ANAC ne informa il procuratore della Repubblica e, in presenza di fatti gravi e accertati, propone al prefetto competente per territorio una delle due seguenti misure alternative: ordinare la rinnovazione degli organi sociali, con la sostituzione del soggetto coinvolto, provvedendo, in caso di inadempimento, alla straordinaria e temporanea gestione dell'impresa; di provvedere direttamente alla straordinaria e temporanea gestione dell'impresa, limitatamente alla suddetta completa esecuzione. L'articolo 7 prevede invece che una delle due misure alternative sia proposta al prefetto dal Commissario straordinario dell'ente o azienda del Servizio sanitario, che informa il Presidente dell'ANAC e il Commissario ad acta della proposta formulata.

L'articolo 8 prevede lo svolgimento di un'attività di supporto tecnico e operativo da parte dell'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (AGENAS) in favore del Commissario ad acta della regione Calabria nonché degli eventuali Commissari straordinari nominati (ai sensi dei precedenti articoli) per i singoli enti o aziende del Servizio sanitario della medesima regione.

In particolare, si consente che l'AGENAS: si avvalga di personale comandato, con obbligo da parte dell'amministrazione di appartenenza di adozione del provvedimento di fuori ruolo o di comando entro quindici giorni dalla richiesta, e ricorra, con contratti di lavoro flessibile, a profili professionali attinenti ai settori dell'analisi, valutazione, controllo e monitoraggio delle performances sanitarie, anche con riferimento alla trasparenza dei processi; utilizzi, nel limite massimo di 2 milioni di euro per il 2019 e di 4 milioni per il 2020, il proprio avanzo di amministrazione, come approvato in occasione del rendiconto generale annuale.

L'articolo 9 prevede lo svolgimento di un'attività di collaborazione da parte del Corpo della Guardia di finanza in favore del Commissario ad acta della regione Calabria nonché degli eventuali Commissari straordinari e Commissari straordinari di liquidazione nominati ai sensi dei precedenti articoli. In particolare, si prevede che, nell'esercizio delle proprie funzioni, i predetti Commissari possano avvalersi del Corpo della Guardia di finanza per lo svolgimento di attività dirette al contrasto delle violazioni in danno degli interessi economici e finanziari connessi all'attuazione, nella regione, del piano di rientro dai disavanzi del Servizio sanitario (comma 1). Resta fermo che il Corpo della Guardia di finanza opera nell'ambito delle autonome competenze istituzionali e dei propri poteri.

Si demanda ad un'apposita convenzione tra il Ministero della salute ed il Corpo della Guardia di finanza la definizione delle modalità operative della collaborazione e delle procedure di ristoro degli oneri sostenuti dal Corpo (comma 2), per i quali viene prevista un'autorizzazione di spesa pari a un massimo di 160.000 euro per il 2019 e di 320.000 euro per il 2020 (comma 3).

L'articolo 10 concerne l'eventuale scioglimento di singoli enti o aziende del Servizio sanitario della regione Calabria, ai sensi degli articoli 143, 144, 145 e 146 del Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali (di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000, come successivamente modificato). Le fattispecie di scioglimento di cui ai predetti articoli del Testo unico sono costituite dai casi in cui emergano concreti, univoci e rilevanti elementi su collegamenti, diretti o indiretti, con la criminalità organizzata, "di tipo mafioso o similare", degli amministratori, ovvero su forme di condizionamento degli stessi, tali da determinare un'alterazione del procedimento di formazione della volontà degli organi e da compromettere il buon andamento o l'imparzialità delle amministrazioni, nonché il regolare funzionamento dei servizi ad esse affidati, ovvero che risultino tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica. Contestualmente al decreto di scioglimento viene nominata una Commissione straordinaria per la gestione dell'ente o azienda, la quale esercita le attribuzioni conferite con il decreto stesso.

Il medesimo articolo 10 reca, quindi, specifiche norme di coordinamento tra i richiamati articoli del Testo unico e alcune disposizioni contenute nel decreto in esame.

Il Capo II del decreto-legge contiene gli articoli da 11 a 13, recanti misure urgenti su specifiche tematiche del settore sanitario.

In particolare, con l'articolo 11 s'intende contrastare la oramai cronica carenza di personale del Servizio sanitario nazionale (SSN), determinatasi a seguito di diversi fattori, fra i quali il limite di spesa per il personale previsto a legislazione vigente (riferito alla spesa per il 2004, diminuita dell'1,4 per cento). Tale disposizione ha, quindi, l'obiettivo di fissare nuovi limiti di spesa per il personale del SSN, in coerenza con le indicazioni della legge di bilancio 2019 (legge n. 145 del 2018), sul livello del finanziamento per il SSN per il 2019.

Pertanto, il comma 1 dell'articolo 11 stabilisce che, a decorrere dal 2019, la spesa per il personale degli enti del SSN delle regioni a statuto ordinario e, laddove sottoposte alla disciplina dei piani di rientro, delle regioni a statuto speciale e delle Province autonome di Trento e di Bolzano, non può superare il valore della spesa sostenuta nell'anno 2018, come certificata dal Tavolo di verifica degli adempimenti, o, se superiore, il corrispondente ammontare dell'anno 2004 diminuito dell'1,4 per cento. I predetti valori sono incrementati annualmente, a livello regionale, di un importo pari al 5 per cento dell'incremento del Fondo sanitario regionale rispetto all'esercizio precedente. Tale incremento di spesa è subordinato all'adozione di una metodologia per la determinazione del fabbisogno di personale degli enti del SSN, in coerenza con quanto stabilito dal Regolamento recante definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all'assistenza ospedaliera (decreto ministeriale 2 aprile 2015, n. 70) e con l'aggiornamento del parametro di riferimento relativo al costo del personale (necessità indicata dall'articolo 1, comma 516, lettera c), della legge di bilancio 2019).

Il comma 2 precisa quali voci debbano essere considerate nella spesa.

Il comma 3 consente alle predette regioni e Province autonome, previo accordo da definirsi con il Ministero della salute ed il Ministero dell'economia e delle finanze, di incrementare ulteriormente i limiti di spesa di un ammontare non superiore alla riduzione strutturale della spesa già sostenuta per servizi sanitari esternalizzati prima dell'entrata in vigore del provvedimento in esame. Il comma 4 assoggetta il nuovo vincolo di spesa per il personale alle verifiche del Tavolo tecnico per la verifica degli adempimenti che dovrà certificare l'effettivo conseguimento degli obiettivi di contenimento della spesa.

Segnalo, quindi, il comma 4-bis, inserito nel corso dell'esame in sede referente, volto a rimuovere il blocco del turn over del personale del servizio sanitario previsto dalla legge finanziaria 2005 per le regioni in piano di rientro e commissariate, dando la facoltà, a tutte le regioni che si trovano in quella situazione, di procedere all'assunzione di personale del comparto sanitario. Restano fermi il divieto di effettuare spese non obbligatorie e le maggiorazioni Irpef e Irap.

Con i successivi commi 4-ter, 4-quater e 5 - inseriti i primi due, modificato il terzo, nel corso dell'esame in sede referente – s'intende superare le criticità evidenziatesi nel procedimento di nomina dei direttori generali degli Istituti zooprofilattici sperimentali (I.Z.S.) a seguito dell'istituzione dell'elenco nazionale degli idonei alla nomina di direttore generale degli enti del SSN. I requisiti di ammissione all'elenco non sono stati infatti ritenuti del tutto congrui con la specificità dei compiti e delle funzioni attribuiti dall'ordinamento agli I.Z.S. Pertanto, i commi 4-ter e 4-quater istituiscono, nell'ambito dell'elenco nazionale, un'apposita sezione dedicata ai soggetti idonei alla nomina di direttore generale presso gli I.Z.S., richiedendo, ai fini dell'iscrizione, il possesso di requisiti e competenze più puntuali rispetto a quelle attualmente previste. Il comma 5 è una norma derogatoria temporanea, nel senso che delinea una procedura da seguire ai fini della nomina dei direttori generali degli I.Z.S. nelle more della formazione della sezione dedicata ai soggetti idonei alla nomina di direttore generale presso tali Istituti.

Analogamente, il comma 5-bis, inserito nel corso dell'esame in sede referente, introduce una norma derogatoria temporanea alla disposizione di cui all'articolo 2 del decreto legislativo n. 171 del 2016 – concernente la nomina dei direttori generali – stabilendo che, nelle more della revisione dei criteri di selezione dei direttori generali, e comunque entro diciotto mesi dall'entrata in vigore della legge di conversione del decreto in discussione, la rosa dei candidati per la posizione di direttore generale, da proporre al presidente della Regione, debba essere formata secondo una graduatoria di merito, sulla base dei requisiti maggiormente coerenti con le caratteristiche dell'incarico da attribuire. Rispetto a quanto previsto a legislazione vigente, viene introdotto il criterio della graduatoria, in grado di ridurre la discrezionalità della nomina da parte del presidente della Regione.

L'articolo 12 è diretto a prorogare al 2021 – a decorrere dalla sessione di esame del mese di luglio - l'entrata in vigore del nuovo esame di abilitazione per l'esercizio della professione medica disposto dal decreto ministeriale 9 maggio 2018, n. 58, al fine di consentire agli Atenei una migliore organizzazione degli esami di Stato. Pertanto, alle prove di esame relative agli anni 2019 e 2020 continuano ad applicarsi le disposizioni di cui al decreto ministeriale 19 ottobre 2001, n. 445 (comma 1).

Il comma 2 estende ai medici veterinari la specifica disciplina già prevista a legislazione vigente ai fini dell'accesso alla dirigenza del ruolo sanitario, disposta ai commi 547 e 548 dell'articolo 1 della legge di bilancio 2019, che stabilisce l'ammissione dei medici in formazione specialistica, iscritti all'ultimo anno, alle procedure concorsuali per l'accesso alla dirigenza della corrispondente specializzazione.

Per sopperire alla contingente carenza di medici di medicina generale, inoltre, il comma 3 dispone che, fino al 31 dicembre 2021, ai laureati in medicina e chirurgia idonei all'ammissione al corso triennale di formazione specifica in medicina generale, che risultino già incaricati, per almeno ventiquattro mesi anche non continuativi negli ultimi dieci anni, è consentito l'accesso al corso stesso tramite graduatoria riservata, senza borsa di studio e nei limiti di spesa previsti. L'accesso (e quindi l'iscrizione) al corso triennale di formazione specifica è consentito in via prioritaria ai medici abilitati e già idonei all'iscrizione con maggior punteggio di anzianità di servizio maturata nei suddetti incarichi convenzionali. I medici già iscritti al corso sono interpellati comunque in via prioritaria, in fase di assegnazione degli incarichi.

Il numero massimo di candidati ammessi al corso è calcolato in base al limite di spesa definito entro i 2 milioni di euro per ciascuno degli anni 2019, 2020 e 2021 (in relazione, rispettivamente, ai trienni di corso 2019-2021, 2020-2022 e 2021-2023) con copertura mediante il vincolo, per pari importo, delle disponibilità finanziarie ordinarie che risultino destinate al fabbisogno sanitario standard cui concorre lo Stato, con ripartizione tra le regioni e province autonome rispetto alle effettive carenze dei medici di medicina generale calcolate in base al numero complessivo di incarichi pubblicati e rimasti vacanti.

I successivi commi da 4 a 6 apportano, conseguentemente, alcune necessarie modifiche e integrazioni alla normativa vigente.

L'articolo 13, al comma 01, introdotto durante l'esame in sede referente in Commissione, è diretto a introdurre una prescrizione aggiuntiva, nel codice comunitario concernente i medicinali per uso umano, per assicurare l'adempimento dell'obbligo di servizio pubblico dei grossisti farmaceutici di fornire permanentemente un assortimento adeguato di medicinali. Viene infatti previsto che a tal fine, l'AIFA pubblichi un provvedimento, preventivamente notificato al Ministero della salute, con il quale vengono temporaneamente bloccate le esportazioni di farmaci nel caso in cui ciò sia necessario per prevenire o limitare stati di carenza o indisponibilità.

Il comma 1 interviene in tema di carenza di medicinali, estendendo il termine temporale (da due a quattro mesi) entro il quale le aziende farmaceutiche sono tenute a comunicare all'AIFA l'interruzione, temporanea o definitiva, della commercializzazione di un medicinale di cui sono titolari di autorizzazione all'immissione in commercio (AIC). Inoltre, viene introdotta una sanzione amministrativa pecuniaria per i casi di interruzione, temporanea o definitiva, della commercializzazione del medicinale nel territorio nazionale (a normativa vigente non esistente). L'intervento legislativo viene attuato novellando alcune disposizioni contenute nel decreto legislativo n. 219 del 2006, recante il Codice dei medicinali. Viene, inoltre, introdotta una sanzione amministrativa pecuniaria per i casi di interruzione, temporanea o definitiva, della commercializzazione del medicinale nel territorio nazionale (a normativa vigente tale fattispecie non è sanzionata). Si precisa, inoltre, che l'AIFA non è l'autorità competente per l'applicazione delle sanzioni amministrative nei casi di carenza di medicinali.

In sede referente è stato inoltre introdotto il comma 1-bis con il quale si prevede, al fine di garantire il necessario monitoraggio sul territorio nazionale volto a prevenire la carenza di medicinali a tutela della salute pubblica, il rafforzamento della struttura di supporto del direttore generale dell'AIFA, in particolare attraverso le figure del direttore amministrativo e del direttore tecnico-scientifico.

Il comma 2, invece, incide sui criteri di riparto del Fondo sanitario nazionale, estendendo al 2019, in via transitoria ed eccezionale, la possibilità di ripartire le risorse finanziarie accantonate per le quote premiali da destinare alle regioni virtuose, tenendo anche conto dei criteri di riequilibrio indicati dalla Conferenza delle regioni e delle province autonome. L'urgenza dell'intervento risiede nella necessità di garantire il riparto delle predette risorse in modo da evitare l'insorgere di criticità di ordine finanziario in merito agli equilibri di bilancio regionali.

Il Capo III, che comprende gli articoli da 14 a 16, reca le disposizioni finanziarie, transitorie e finali. L'articolo 14, ai commi 1 e 2, reca la copertura degli oneri recati da alcune disposizioni del decreto-legge, con particolare riferimento agli oneri per i compensi aggiuntivi dei Commissari straordinari delle aziende sanitarie della regione Calabria (art. 3, comma 5), per l'Unità di crisi speciale per la Regione (art. 3, comma 6-bis) e per il rimborso delle spese derivanti dalla stipula della convenzione tra Ministero della salute e Corpo della Guardia di finanza (art. 9, comma 3). Con riferimento alle disposizioni del Capo I, escludendo gli oneri di cui è già prevista la copertura, si stabilisce – riaffermando quanto già previsto in materia di disciplina dei piani di rientro - che la regione Calabria metta a disposizione del Commissario ad acta, del Commissario straordinario e del Commissario straordinario di liquidazione, nonché del Dipartimento della tutela della salute–politiche sanitarie e del personale impiegato dall'AGENAS, gli uffici, il personale e i mezzi necessari ad espletare i relativi incarichi.

Una specifica copertura viene inoltre prevista - a seguito di una modifica approvata in sede referente - per il piano di rientro aziendale di cui all'articolo 5, comma 6, vincolando una quota parte dell'ammontare del Fondo per il payback 2013-2017 spettante alla regione Calabria (ai sensi dell'articolo 9-bis, commi 5 e 6, del decreto-legge n. 135 del 2018, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 12 del 2019). Con riferimento alla procedura prevista dal citato articolo 9-bis del decreto-legge n. 135 del 2018, al fine di garantire il riparto del predetto Fondo tra le regioni, gli effetti previsti con specifico riferimento ai commi 5 (estinzione di ogni obbligazione a carico di ciascuna azienda farmaceutica titolare di AIC e conseguente estinzione delle liti pendenti) e 6 (riparto tra le regioni e le province autonome dell'importo giacente sul Fondo per il payback 2013-2017) del predetto decreto-legge s'intendono prodotti se l'importo computato ed accertato in base al comma 4 (complessivamente pari a 2.378 euro) risulti versato entro il 20 maggio 2019.

I commi 3 e 4 stabiliscono, rispettivamente, la clausola di invarianza degli oneri per la finanza pubblica con riferimento all'attuazione delle disposizioni di cui al Capo II del decreto e l'autorizzazione del Ministero dell'economia e delle finanze ad apportare, con propri decreti, le necessarie variazioni di bilancio.

In merito all'articolo 15, si segnalano le disposizioni transitorie relative alla durata dell'applicabilità della nuova disciplina introdotta al Capo I, alla cessazione di eventuali nuove nomine e alla revoca delle procedure selettive in corso. In particolare, come ho già precisato all'inizio della relazione, viene fissata una durata di diciotto mesi, dalla data di entrata in vigore del decreto-legge, per l'applicazione delle disposizioni di cui al Capo I, in relazione alla specifica disciplina prevista per il Servizio sanitario della regione Calabria. Si dispone comunque la cessazione delle funzioni dei direttori generali degli enti del medesimo Servizio sanitario regionale, eventualmente nominati nei trenta giorni precedenti alla predetta data. Vengono peraltro revocate, in qualunque caso, le procedure selettive dei direttori generali che si trovino eventualmente in corso alla medesima data.

Infine, l'articolo 15-bis, introdotto nel corso dell'esame in sede referente, contiene la cosiddetta clausola di salvaguardia in base alla quale l'applicabilità del decreto in oggetto alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano avviene compatibilmente con i rispettivi statuti e con le relative norme di attuazione.