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Resoconto dell'Assemblea

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XVIII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 174 di lunedì 13 maggio 2019

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE FABIO RAMPELLI

La seduta comincia alle 11,05.

PRESIDENTE. La seduta è aperta.

Invito il deputato segretario a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

FRANCESCO SCOMA , Segretario, legge il processo verbale della seduta del 10 maggio 2019.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Amitrano, Battelli, Benvenuto, Bitonci, Bonafede, Borghese, Claudio Borghi, Brescia, Buffagni, Businarolo, Cancelleri, Castelli, Castiello, Cirielli, Colucci, Cominardi, Davide Crippa, D'Incà, D'Uva, Del Re, Delmastro Delle Vedove, Delrio, Luigi Di Maio, Di Stefano, Durigon, Fantinati, Ferraresi, Fioramonti, Gregorio Fontana, Lorenzo Fontana, Fraccaro, Frusone, Fusacchia, Galli, Gallinella, Garavaglia, Gava, Gebhard, Gelmini, Giaccone, Giachetti, Giorgetti, Grande, Grillo, Grimoldi, Guerini, Guidesi, Liuni, Liuzzi, Lollobrigida, Lorefice, Lorenzin, Losacco, Lupi, Manzato, Micillo, Molinari, Molteni, Morelli, Morrone, Parolo, Picchi, Rixi, Rosato, Ruocco, Saltamartini, Schullian, Carlo Sibilia, Sisto, Spadafora, Spadoni, Suriano, Tofalo, Vacca, Valente, Vignaroli, Villarosa, Vitiello, Raffaele Volpi e Zoffili sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.

I deputati in missione sono complessivamente ottantatré, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna).

Salutiamo, intanto, insegnanti ed alunni della scuola elementare parificata “Santa Giuliana Falconieri” di Roma, che sono qui ad assistere ai nostri lavori dalle tribune (Applausi).

Ricordo che sono presenti i deputati, in particolare, che animeranno gli interventi in discussione sulle linee generali, e che, pertanto, non sono previste votazioni.

Annunzio della revoca di nomina a sottosegretario.

PRESIDENTE. Comunico che, in data 10 maggio 2019, il Presidente del Consiglio dei ministri ha inviato al Presidente della Camera la seguente lettera:

“Onorevole Presidente, la informo che il Presidente della Repubblica, con proprio decreto in data odierna, adottato su mia proposta, sentito il Consiglio dei ministri, ha revocato la nomina a sottosegretario di Stato per le infrastrutture e i trasporti del senatore Armando Siri.

Con viva cordialità, Giuseppe Conte”.

Modifica nella composizione di una componente politica del gruppo parlamentare Misto.

PRESIDENTE. Comunico che, con lettera pervenuta in data 10 maggio 2019, il deputato Giorgio Silli, iscritto al gruppo parlamentare Misto, ha chiesto di aderire alla componente politica “Sogno Italia-10 Volte Meglio”.

Il rappresentante di tale componente, con lettera pervenuta in pari data, ha comunicato di avere accolto la richiesta.

Discussione del disegno di legge: S. 1165 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 25 marzo 2019, n. 22, recante misure urgenti per assicurare sicurezza, stabilità finanziaria e integrità dei mercati, nonché tutela della salute e della libertà di soggiorno dei cittadini italiani e di quelli del Regno Unito, in caso di recesso di quest'ultimo dall'Unione europea (Approvato dal Senato) (A.C. 1789) (ore 11,12).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato, n. 1789: Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 25 marzo 2019, n. 22, recante misure urgenti per assicurare sicurezza, stabilità finanziaria e integrità dei mercati, nonché tutela della salute e della libertà di soggiorno dei cittadini italiani e di quelli del Regno Unito, in caso di recesso di quest'ultimo dall'Unione europea.

(Discussione sulle linee generali – A.C. 1789)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari MoVimento 5 Stelle e Partito Democratico ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.

Avverto, altresì, che la VI Commissione (Finanze) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire il relatore, deputato Paolo Giuliodori.

PAOLO GIULIODORI , Relatore. Grazie, Presidente. L'Aula avvia oggi l'esame del disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 22 del 2019, che contiene misure volte a garantire la sicurezza e la stabilità nel caso di uscita della Gran Bretagna dall'Unione europea senza un accordo, il cosiddetto Hard Brexit. Il provvedimento è stato approvato dal Senato, che ha apportato alcune modifiche al testo. Fatta eccezione per l'articolo 1, che costituisce il Capo I e che riguarda la materia delle telecomunicazioni, le altre disposizioni, recate nel Capo II, attengono a molteplici profili applicativi dei principi comunitari della libera circolazione delle persone, dei capitali e dei servizi, di cui all'articolo 26 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea.

Il Capo III del provvedimento consente, inoltre, la prosecuzione delle misure di smaltimento dei crediti in sofferenza presenti nei bilanci bancari tramite la concessione di garanzie dello Stato nell'ambito di operazioni di cartolarizzazione che abbiano come sottostante crediti in sofferenza, già disciplinate nel decreto-legge n. 18 del 2016.

Più nel dettaglio, il Capo I novella la disciplina contenuta nel decreto-legge n. 21 del 2012 in tema di poteri speciali sugli assetti societari nei settori della difesa e della sicurezza nazionale, nonché per le attività di rilevanza strategica nei settori dell'energia, dei trasporti e delle comunicazioni, inserendovi una norma sui poteri speciali inerenti le reti di telecomunicazione elettronica a banda larga con tecnologia 5G.

Scopo della norma è l'aggiornamento della normativa in materia di poteri speciali in conseguenza dell'evoluzione tecnologica intercorsa, con particolare riferimento alla tecnologia 5G e ai connessi rischi di un uso improprio dei dati con implicazioni sulla sicurezza nazionale. A tal fine, i servizi di comunicazione elettronica a banda larga basati sulla tecnologia 5G sono qualificati attività di rilevanza strategica per il sistema di difesa e sicurezza nazionale ai fini dell'esercizio dei poteri speciali da parte dello Stato. È indubbio che in questa epoca storica in termini di difesa nazionale sia fondamentale il controllo su come vengono gestiti dati e reti di comunicazione; è al tempo stesso importante garantire una continuazione nello sviluppo tecnologico tramite una definizione chiara e puntuale di quali strumenti tecnologici possano realmente costituire un rischio per la nazione.

Al Capo II del provvedimento sono contenute misure specifiche in materia di banche, operatori finanziari ed assicurativi, nonché norme a tutela delle persone fisiche in tema di salute, sicurezza e cittadinanza. In particolare, dopo le definizioni contenute nell'articolo 2, viene disciplinata nell'articolo 3 la prestazione di specifici servizi e attività bancarie e finanziarie in Italia da parte di banche, imprese di investimento e istituti di moneta elettronica del Regno Unito dopo la data a decorrere dalla quale avrà effetto il recesso del Regno Unito dall'Unione europea, in assenza di un accordo ai sensi dell'articolo 50 del Trattato sull'Unione europea, fino al termine del diciottesimo mese successivo, considerato come periodo transitorio.

L'articolo 4 disciplina la cessazione dell'operatività da parte di specifici soggetti del Regno Unito operanti in Italia. Per i soggetti che possono continuare ad operare sul territorio della Repubblica, secondo quanto disposto dall'articolo 3, viene disposta la cessazione di specifiche attività, ovvero la cessazione integrale dell'operatività nel caso in cui non vengano soddisfatti gli obblighi di notifica e la richiesta di autorizzazione previsti dal provvedimento stesso, fatta salva la possibilità di continuare a gestire gli eventi del ciclo di vita di specifici contratti derivati non soggetti a compensazione da parte di una controparte centrale.

L'articolo 5 indica i soggetti aventi sede in Italia per i quali, nel rispetto delle disposizioni previste nel Regno Unito, viene consentita la prosecuzione dell'attività nel periodo transitorio e le condizioni per tale prosecuzione di attività. L'articolo 6 disciplina la possibilità che i gestori di sedi di negoziazione italiani possano continuare a svolgere la propria attività nel Regno Unito e, viceversa, che i gestori di sedi di negoziazione del Regno Unito possano continuare a svolgere la propria attività sul territorio della Repubblica.

L'articolo 7 stabilisce l'obbligo per le banche, le imprese di investimento, gli istituti di pagamento e gli istituti di moneta elettronica di mantenere l'adesione ai sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie con la clientela disciplinati dalla legge italiana. L'articolo 8 stabilisce, per le banche e le imprese di investimento che possono continuare a svolgere le attività e servizi bancari e di investimento nel periodo transitorio, l'adesione di diritto ai sistemi italiani di garanzia dei depositanti aderenti e di indennizzo degli investitori. L'articolo 9 disciplina l'operatività delle imprese di assicurazione del Regno Unito, operanti nel territorio della Repubblica in regime di stabilimento o di libera prestazione dei servizi: esse sono cancellate dall'elenco delle imprese dell'Unione europea dopo la data di recesso e nel periodo transitorio proseguono l'attività nei limiti della gestione dei contratti e delle coperture in corso alla data di recesso senza assumere nuovi contratti, né rinnovare, anche tacitamente, contratti esistenti.

Analoga disciplina è dettata dall'articolo 10 con riferimento agli intermediari assicurativi o riassicurativi del Regno Unito, operanti in Italia; l'articolo 11, invece, dispone la prosecuzione dell'attività delle imprese italiane di assicurazione o riassicurazione operanti nel territorio del Regno Unito in regime di stabilimento o di libera prestazione dei servizi.

Con riferimento ai fondi pensione, l'articolo 12 disciplina i limiti di investimento dei fondi pensione assimilando, per tutto il corso del periodo transitorio, i fondi di investimento del Regno Unito ai fondi europei. L'articolo 13 dispone il mantenimento della legislazione vigente in materia fiscale durante il periodo transitorio previsto dall'accordo di recesso.

L'articolo 14, relativo al soggiorno in Italia dei cittadini del Regno Unito e dei loro familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro dell'Unione europea, reca una disciplina transitoria volta a consentire che tali soggetti conseguano, al ricorrere di determinate condizioni, o un permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo o un permesso di soggiorno «per residenza». Decorso il periodo transitorio – e dunque a decorrere dal 1° gennaio 2021 – tali soggetti sono considerati, ai fini del soggiorno in territorio italiano, quali cittadini di Stato non membro dell'Unione europea. Le norme si applicano solo per il caso di recesso senza accordo del Regno Unito dall'Unione europea, con decorrenza dall'effettivo recesso.

Con le modifiche introdotte al Senato si prevede l'applicazione delle misure che consentono alla continuità del soggiorno di non essere pregiudicata da assenze che non superino complessivamente sei mesi l'anno, nonché da assenze di durata superiore per l'assolvimento di obblighi militari ovvero da assenze fino a dodici mesi consecutivi per motivi rilevanti, quali la gravidanza e la maternità, malattia grave, studi o formazione professionale o distacco per motivi di lavoro in un altro Stato membro o in un Paese terzo.

L'articolo 15 detta una disciplina transitoria per i cittadini del Regno Unito in tema di concessione della cittadinanza italiana. Per il conferimento della cittadinanza i cittadini del Regno Unito sono equiparati ai cittadini dell'Unione europea se abbiano maturato il requisito di legale residenza protrattasi per almeno quattro anni, richiesta ex lege dalla data di recesso del Regno Unito all'Unione europea, e qualora presentino domanda entro il 31 dicembre 2020.

L'articolo 16, per il potenziamento dei servizi consolari stanzia somme per l'acquisto di immobili adibiti ai servizi consolari e alla ristrutturazione degli stessi, al miglioramento dei servizi in termini di tempestività ed efficacia e all'assunzione di personale. Durante l'esame al Senato sono state introdotte modifiche alle norme relative ai rimborsi spese del personale a contratto impiegato durante i viaggi di servizio prevedendo che a tale personale, in aggiunta alle spese di viaggio, sia corrisposto il rimborso delle spese di vitto e di alloggio sostenute con i limiti previsti dalle disposizioni vigenti.

L'articolo 17 prevede che le norme europee in materia di coordinamento dei servizi di sicurezza sociale per quanto riguarda i diritti in materia di tutela della salute continuano ad applicarsi ai cittadini del Regno Unito e agli apolidi e ai rifugiati soggetti alla legislazione di tale Stato, nonché ai relativi familiari e superstiti fino al 31 dicembre 2020 a condizioni di reciprocità con i cittadini italiani. Nel corso dell'esame al Senato sono state introdotte norme che autorizzano il Ministero della Salute per il triennio 2019-2021 a effettuare nuove assunzioni a tempo indeterminato di personale con la qualifica di funzionario tecnico della prevenzione per fronteggiare l'incremento delle attività demandate agli uffici periferici del Ministero della Salute in materia di controlli sulle importazioni. In particolare, l'articolo 17-bis fa salvi, a condizione di reciprocità, i diritti e i doveri degli studenti e dei ricercatori del Regno Unito già presenti in Italia alla data del recesso o, comunque, che lo saranno entro l'anno accademico 2019-2020. L'articolo 17-ter interviene in materia di diritti aeroportuali, prevedendo che ai fini dell'applicazione dei diritti di imbarco i passeggeri imbarcati presso gli scali nazionali su voli con destinazione un aeroporto del Regno Unito siano equiparati ai passeggeri imbarcati su voli aventi a destinazione un aeroporto dell'Unione europea a condizione di reciprocità. Il successivo articolo 17-quater, anch'esso introdotto al Senato, consente ai vettori comunitari e del Regno Unito, in via transitoria e comunque non oltre il 30 marzo 2020, di continuare a operare collegamenti di linea point to point mediante aeromobili del tipo a corridoio unico tra lo scalo di Milano Linate e altri aeroporti del Regno Unito nei limiti della definita capacità operativa dello scalo di Milano Linate e a condizioni di reciprocità.

L'articolo 18 autorizza la sottoscrizione dell'aumento di capitale della Banca europea per gli investimenti da parte dell'Italia per un ammontare pari a circa 6,9 miliardi di euro. In particolare, si autorizza la partecipazione dell'Italia all'aumento di capitale della BEI resosi necessario per sostituire il capitale sottoscritto dal Regno Unito.

L'articolo 19 reca disposizioni per il sostegno all'attività internazionale. In particolare, i commi 1 e 3 disciplinano le facoltà assunzionali del MEF connesse alla presidenza italiana del G20 nel 2021 e ai negoziati europei e internazionali in materia economico-finanziaria e recano la copertura finanziaria per le assunzioni. Il comma 4 dispone in materia di riassegnazione delle risorse residue nei conti speciali, cioè allo stato di previsione del MEF. Sono stati inoltre aggiunti, durante l'esame al Senato, l'articolo 19-bis, che inserisce nel testo unico bancario il principio di reciprocità quale condizione per il rilascio dell'autorizzazione a esercitare l'attività bancaria da parte della Banca d'Italia e all'operatività senza stabilimento di succursali nel territorio della Repubblica delle banche extracomunitarie, l'articolo 19-ter, che ammette la Cassa depositi e prestiti alla negoziazione per conto proprio sulle sedi di negoziazione all'ingrosso in titoli di Stato, l'articolo 19-quater, che modifica la disciplina dei principi contabili internazionali, e l'articolo 19-quinquies, che estende l'ambito di applicazione dell'obbligo di destinare a riserva indisponibile utili di ammontare corrispondente alla differenza tra i valori di iscrizione in bilancio e i valori di mercato, al netto del relativo onere fiscale.

Infine, il Capo III del provvedimento consente la prosecuzione delle misure di smaltimento dei crediti in sofferenza presenti nei bilanci bancari tramite la concessione di garanzie dello Stato nell'ambito di operazioni di cartolarizzazione che abbiano come sottostante i crediti in sofferenza, a tal fine, utilizzando i meccanismi già disciplinati dal Capo II del decreto-legge n. 18 del 2016, cui sono apportate alcune modifiche. In sintesi, in analogia alla disciplina del decreto-legge n. 18 del 2016, possono usufruire della garanzia dello Stato solo cartolarizzazioni senior, ossia quelle considerate più sicure in quanto sopportano per ultime eventuali perdite derivanti dal recupero sui crediti inferiori alle attese e non si procede al rimborso dei titoli più rischiosi se prima non sono integralmente rimborsate le tranche di titoli coperti dalla garanzia di Stato. Le garanzie possono essere chieste dalle banche che cartolarizzano e cedono i crediti in sofferenza a fronte del pagamento di una commissione periodica al Tesoro calcolata come percentuale annua sull'ammontare garantito. Il prezzo della garanzia è di mercato, al fine di non dare vita ad aiuti di Stato. Si prevede che il prezzo della garanzia sia crescente nel tempo, allo scopo di tenere conto dei maggiori rischi connessi a una maggiore durata dei titoli e di introdurre nel meccanismo un incentivo a recuperare velocemente tali crediti. Al fine del rilascio della garanzia i titoli devono avere preventivamente ottenuto un rating uguale o superiore al rating BBB - quindi, tripla B - da un'agenzia di rating indipendente inclusa nella lista delle agenzie accettate dalla BCE secondo i criteri che le agenzie stesse sono tenute a osservare.

Con la presenza della garanzia pubblica si intende facilitare il finanziamento delle operazioni di cessione delle sofferenze senza impatti sui saldi di finanza pubblica. Quindi, rispetto alla disciplina del 2012 lo stato di garanzia è destinato a durare in prima battuta per un tempo più lungo rispetto a quello originariamente previsto dal decreto n. 18 del 2016. Il prezzo di trasferimento dei crediti in sofferenza cartolarizzati non è più computato al momento della cessione, si prevede che il rating minimo dei crediti eleggibili per la garanzia statale sia più elevato del precedente investment grade e, cioè, che tale rating non sia inferiore alla tripla B o equivalente. Inoltre, sono previste condizioni più stringenti per la tempistica della remunerazione dei titoli cartolarizzati diversi da quelli senior, nonché delle società che prestano i servizi connessi alle operazioni di cartolarizzazione. La tempistica della remunerazione viene legata al raggruppamento di determinati livelli di incasso. È modificata la disciplina del corrispettivo della garanzia statale, sia mediante l'aggiornamento della composizione dei pareri di titoli presi in considerazione per il calcolo del prezzo sia mediante l'innalzamento delle percentuali di maggiorazione del prezzo legate al trascorrere del tempo.

L'articolo 24-bis reca l'entrata in vigore del decreto-legge, che è il 26 marzo 2019. Resta inteso che le norme del decreto-legge saranno superate ove, entro il 31 ottobre 2019, fosse recepito dal Regno Unito l'accordo di recesso già stipulato ex articolo 50 del Trattato sull'Unione europea e se per le future relazioni con l'Unione europea si raggiungesse un accordo allo stesso modo le norme in esame sarebbero prive di operatività ove il Regno Unito esercitasse l'opzione di revoca della notifica di recesso dell'Unione.

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo, che si riserva di intervenire successivamente.

È iscritta a parlare la deputata Elisa Siragusa. Ne ha facoltà.

ELISA SIRAGUSA (M5S). Signor Presidente, rappresentanti del Governo, colleghe e colleghi, il 23 giugno 2016 si è svolto nel Regno Unito il referendum consultivo, e non vincolante, sulla permanenza del Paese nell'Unione Europea. Il referendum si è concluso con un voto favorevole all'uscita dall'Unione europea e ha vinto il leave con circa il 52 per cento dei voti. A seguito dell'esito del referendum, il 29 marzo 2017 la Prima Ministra del Regno Unito, Theresa May, ha avviato la procedura per la fuoriuscita del Paese dall'Unione europea, come previsto dall'articolo 50 del Trattato dell'Unione Europea e mai applicato sinora.

Dopo un lungo e faticoso periodo di negoziati, è stato raggiunto un accordo di recesso che ha tradotto in termini giuridici la relazione congiunta dei negoziati dell'UE e del Governo del Regno Unito. Tuttavia, nel Parlamento inglese non si è trovata una maggioranza in grado di approvare questo accordo di recesso che è stato, appunto, respinto dal Parlamento del Regno Unito lo scorso 29 marzo 2019. In quella data, però, scadeva anche il biennio della notifica della determinazione di recedere. Per questo motivo il Consiglio europeo straordinario, svoltosi il 10 aprile 2019, sulla base anche delle richieste del Regno Unito, ha stabilito la concessione di una proroga ulteriore del termine per consentire la ratifica dell'accordo di recesso che non potrà andare oltre il 31 ottobre 2019.

Il decreto-legge n. 22 del 2019 è emanato in un momento di forte incertezza sul futuro delle relazioni tra Regno Unito e Unione europea e mira a disciplinare i rapporti finanziari tra Italia e Regno Unito in caso di Brexit, ma si occupa anche della tutela dei cittadini britannici che sono residenti qui in Italia così come dei diritti dei cittadini italiani che vivono nel Regno Unito. Infatti, si stima che gli italiani nel Regno Unito siano circa 700 mila, di cui iscritti all'AIRE oltre 300 mila.

In quest'Aula sento spesso parlare dei nostri giovani che emigrano all'estero in cerca di un futuro migliore e in cerca di prospettive migliori, giovani che partono da questo Paese con un bagaglio pieno di sogni e di speranze. Io, colleghi, sono una di questi giovani. Sono emigrata nel 2012: un viaggio che mi ha portato da un paesino piccolo della provincia di Como a una città grande come quella di Londra, un viaggio che tuttavia mi ha riportato qui in Italia come rappresentante dei cittadini italiani all'estero. In questi anni ho imparato a conoscere il Regno Unito; ho imparato a conoscere gli inglesi e ho vissuto soprattutto pienamente tutto quello che è stato il processo Brexit perché ero lì il 23 giugno 2016, quando ci fu il referendum, quando vinse il leave ed ero lì quando Theresa May ha effettivamente avviato le procedure per notificare l'intenzione del Regno Unito di uscire dall'Unione europea. Ero lì e vi dico una cosa: non mi sono mai sentita una non accettata nel Regno Unito. Mi sono sempre sentita a casa. È un concetto che il Governo inglese ha più volte ribadito; più volte ci hanno detto: we want you to stay e anche recentemente, proprio qualche giorno fa, il 9 maggio, ho ricevuto la classica e-mail dall'Home Office che manda una e-mail di aggiornamento per aggiornare i cittadini sullo stato della Brexit, del settled status. In questa e-mail di aggiornamento c'è scritto nuovamente - chiaramente traduco - “il nostro messaggio ai cittadini europei rimane lo stesso: we want you to stay, vogliamo che rimaniate e vogliamo che continuate a chiamare UK your home, la vostra casa”. Quindi, se c'è un punto su cui siamo sempre stati tutti molto d'accordo è l'importanza della tutela dei diritti dei cittadini, dei cittadini italiani ed europei nel Regno Unito e, viceversa, dei cittadini britannici in Italia. In caso di no deal il Regno Unito garantirà comunque i diritti dei cittadini italiani ed europei che sono lì residenti: è già in vigore la procedura per richiedere il settled status e ad oggi risultano già 600 mila applicazioni. L'Italia si impegna a fare lo stesso con questo decreto: ad esempio, nell'articolo 14, si recano disposizioni in materia di soggiorno in Italia dei cittadini del Regno Unito e dei loro familiari, anche non aventi la cittadinanza di uno Stato membro dell'Unione europea. Nello specifico, si profila appunto una disciplina transitoria volta a far sì che questi soggetti, al ricorrere di determinate situazioni e condizioni, possano richiedere un permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo oppure un permesso di soggiorno per residenza.

Ma questo decreto introduce anche misure importanti per quanto riguarda i nostri connazionali in UK. Veniamo da anni di tagli e riduzioni del personale nelle nostre sedi all'estero e tutto questo taglia e togli ha avuto effetti decisamente negativi su quello che sono stati i servizi offerti ai nostri connazionali all'estero. Invece quello che spesso i nostri connazionali all'estero chiedono - lo sanno bene i colleghi eletti all'estero come me - è semplicemente di migliorare i servizi consolari, migliorare i servizi che ci offrite. Londra, da questo punto di vista, è forse un caso emblematico perché ha un numero sempre crescente di connazionali che sono lì residenti, che vuol dire più connazionali, vuol dire anche più domanda, più richiesta di servizi ma a ciò non è coinciso uno stanziamento di maggiori risorse: anzi, in passato abbiamo assistito anche alla chiusura di consolati, come la chiusura del consolato di Manchester. Oggi il consolato generale di Londra è al primo posto, in tutta la nostra rete diplomatico-consolare, per numero di iscrizione all'AIRE, numero di passaporti emessi, documenti di emergenza di viaggi rilasciati, oltre a tutta una serie di servizi che il nostro consolato offre quotidianamente.

Con l'uscita del Regno Unito dall'Unione europea è fondamentale rafforzare, quindi, le strutture presenti in loco, in modo da poter fornire a questo numero crescente di cittadini e di connazionali che vivono lì servizi efficienti, efficaci, a partire anche da un orientamento sui diritti connessi al nuovo status di residenti in un Paese extra UE. Chi conosce la realtà di Londra sa quanto questo sia vero e sa quanto questo sia importante. Proprio recentemente ho fortemente voluto che una delegazione di parlamentari venisse con me a Londra per conoscere la realtà degli italiani all'estero, per conoscere la realtà del Regno Unito e anche per visitare il consolato. Abbiamo incontrato il console, abbiamo visitato gli uffici, abbiamo incontrato le persone che lavorano tutti i giorni nei consolati, e la conclusione di questa visita è semplice: servono più risorse, servono più spazi e serve più personale. Questo è quello che si fa con questo decreto: infatti si autorizza uno stanziamento di circa 5,8 milioni di euro per l'anno 2019, 6,2 milioni per l'anno 2020 e oltre 5,5 milioni di euro negli anni successivi. In particolare, mi riferisco all'articolo 16, dove appunto autorizziamo una serie di spese: si stanziano 2,5 milioni di euro per l'anno 2019 e un milione di euro per l'anno 2020 per l'acquisto, la ristrutturazione e il restauro di immobili adibiti o da adibire a sede di uffici consolari nel Regno Unito.

Come riporta la relazione tecnica, le priorità saranno l'acquisto della sede del consolato generale di Edimburgo, il riadattamento dei locali del consolato generale di Londra, ma non meno importante è l'adattamento e l'acquisto dei locali per un nuovo ufficio consolare di carriera a Manchester. Si stanziano ovviamente altre risorse: 750 mila euro per l'anno 2019; 1,5 milioni di euro a partire dal 2020 per coprire, invece, gli oneri per un incremento di personale di ruolo del MAECI da destinare all'estero. Si incrementa di 50 unità il contingente massimo di personale a contratto che le rappresentanze diplomatiche, gli uffici consolari e gli istituti italiani di cultura potranno assumere e, infine, si autorizza anche la spesa di 1,5 milioni di euro a decorrere dal 2019 per migliorare la tempestività e l'efficacia dei servizi consolari. In tutto questo voglio citare il comma 3 dell'articolo 16 nel quale, invece, si interviene sulla decorrenza degli effetti del termine di iscrizione del cittadino all'AIRE. L'effetto del termine di iscrizione decorrerà dal momento della presentazione della dichiarazione resa all'ufficio consolare e quindi non più dalla ricezione della stessa da parte dell'ufficiale di anagrafe. Si introduce, quindi, una rilevante semplificazione nel rapporto tra amministrazione e cittadini residenti all'estero che deve sempre essere il nostro obiettivo principale.

Lasciare l'Italia non è sempre semplice; lasciare l'Italia vuol dire lasciare, a volte, la famiglia, gli amici, la propria casa e andare in un Paese dove a volte non si non si conosce bene la lingua, non si padroneggia la lingua, dove c'è una cultura diversa, a volte si è soli perché non si conosce nessuno e quindi a volte andare all'estero è visto anche come un sacrificio. Andare via non è una scelta facile e la scelta dei nostri connazionali di stabilirsi, ad esempio, nel Regno Unito non deve essere anche causa di problemi amministrativi o intoppi burocratici al di là di qualsiasi sviluppo politico. Il nostro ruolo è di fare in modo che tutto sia più fluido e più semplice così da creare meno difficoltà ai nostri connazionali e aiutarli a mettere radici altrove, in un posto che possano comunque considerare casa. E in questo periodo di incertezza, dovuto alla Brexit, è importante dare un segnale di vicinanza, di presenza ai nostri connazionali che vivono nel Regno Unito. Il decreto-legge è questo segnale.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Ungaro. Ne ha facoltà.

MASSIMO UNGARO (PD). Grazie, Presidente. Questo decreto, cosiddetto decreto Brexit, come dicevano i colleghi che mi hanno preceduto, prevede una serie di misure da applicare nel caso di recesso del Regno Unito dall'Unione europea senza un accordo: un'ipotesi che per adesso è scongiurata almeno fino ad ottobre ma non del tutto impossibile, data la paralisi politica e istituzionale di quel Paese da quasi tre anni ormai, dalla data di quel fatidico referendum. Noi del gruppo del Partito Democratico condividiamo le misure incluse in questo decreto e molte di esse le abbiamo richieste fin da novembre dello scorso anno e quindi voteremo a favore del provvedimento: tutto questo al fine di ammorbidire al massimo l'uscita del Regno Unito e l'impatto dell'uscita del Regno Unito dall'Unione europea sugli oltre 700 mila italiani che risiedono nel Regno Unito, sulle nostre imprese e sul sistema Paese. In termini di stabilità finanziaria, si predispone la continuità operativa per gli istituti bancari, finanziari e assicurativi italiani nel Regno Unito e quelli britannici in Italia ovviando anche a quello che sarebbe diventato un grande vuoto normativo per tutta una serie di contratti derivati detti OTC, over the counter, su cui ci sarebbe stato un vuoto normativo dovuto al fatto che molti di questi non sono scambiati con controparti centrali ma con controparti singole. Quindi, il questo decreto introduce un regime transitorio di diciotto mesi a seguito della data di recesso; si aumentano le risorse per la rete consolare; si applicano ai cittadini britannici che risiedono in Italia gli stessi requisiti richiesti ai cittadini europei quando richiedono la cittadinanza fino al 31 dicembre 2020.

Tuttavia, si poteva fare di più. Chiediamo al Governo e soprattutto alla maggioranza l'attenzione su una serie di tematiche lasciate ignote e inascoltate da questo decreto e quindi l'obiettivo del mio intervento è cercare di portare l'attenzione su una serie di temi più che altro di natura tecnica. Ricordiamoci che la Brexit è un fenomeno nuovo, sconosciuto, dalle implicazioni ancora ignote e, quindi, è nell'interesse del Governo e della maggioranza sfruttare al massimo il dibattito parlamentare, migliorare le proprie misure. Proprio per questo motivo molti altri Governi di altri Paesi avevano avviato Commissioni parlamentari ad hoc e fatto studi appositi, cosa che invece è mancata qui in Italia.

Cominciamo con i diritti ai cittadini: il decreto, per esempio, protegge i diritti e doveri degli studenti e ricercatori britannici che sono in Italia, sotto condizioni di reciprocità, e mantiene l'accordo di coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale fino al 31 dicembre 2020, però non vengono aumentate le risorse dell'unità del MIUR dedite al riconoscimento dei titoli di studio, che sarebbe stata una misura ben più utile per favorire la mobilità e, magari, il rientro delle professionalità di cittadini italiani che si sono sviluppate in Gran Bretagna, dove ci sono decine di migliaia di studenti e ricercatori italiani che conseguono i propri studi universitari.

Sempre in termini di previdenza sociale, si introduce un regime transitorio per permettere ai fondi pensione dei due Paesi di poter continuare ad operare, lo diceva il collega Giuliodori poc'anzi; però, sarebbe stato utile prendere delle iniziative per assicurare il riscatto integrale dei contributi versati ai lavoratori italiani nei fondi pensione privati nel Regno Unito una volta rientrati in Italia. È una tematica che varie fonti stampa hanno illustrato o messo in luce negli ultimi mesi, sarebbe stato utile che il Governo prendesse delle misure in questo senso, perché con il recesso dall'Unione europea del Regno Unito verranno a mancare una serie di parametri che potrebbero impedire il riscatto totale dei contributi.

È anche l'occasione per correggere alcuni degli aspetti più nefasti del decreto Salvini per quanto riguarda l'ottenimento della cittadinanza italiana per matrimonio. Con il raddoppio delle tempistiche e il forte inasprimento dei requisiti di lingua, abbiamo moltissime coppie, centinaia se non migliaia di coppie miste italo-britanniche che stanno facendo enorme fatica per ottenere la cittadinanza per il coniuge, creando grandi disagi per la comunità. I requisiti di lingua sono stati elevati a livello B1, un livello richiesto per frequentare l'università, un unicum a livello europeo, anche nella stesso Regno Unito, senza potenziare i centri che certificano il livello di lingua, mentre i nuovi requisiti non si applicano a chi ottiene la cittadinanza per discendenza. E quindi siamo davanti a una situazione paradossale: chi, magari, è sposato con cittadini italiani, ha figli che parlano italiano e frequenta l'Italia nella sua vita, ha delle enormi difficoltà ad ottenere la cittadinanza italiana, rispetto a chi, invece, magari, ha un trisavolo di cittadinanza italiana ma l'Italia l'ha vista solo in cartolina; questo - l'avrete visto sui media, è il caso anche del cacciatore Lionel Messi. Il decreto Salvini ha ulteriormente reso difficoltosa questa situazione. Inoltre, questi nuovi requisiti sono stati introdotti dall'oggi al domani, obbligando centinaia di persone a ricominciare le pratiche per la domanda di cittadinanza daccapo, già di per sé molto lunghe e molto complicate. Sarebbe, quindi, stato utile introdurre una sanatoria almeno per coloro che avevano già fatto domanda di cittadinanza nei mesi precedenti al decreto Salvini e garantire una sanatoria almeno fino all'ottobre del 2019.

Vengono, poi, aumentate le risorse per la rete consolare: bene, benissimo. Noi sappiamo benissimo che i consolati italiani nel Regno Unito, ma in verità in tutto il mondo, versano in una situazione estremamente disagiata, una situazione di grande, enorme difficoltà. Le unità di personale dei consolati italiani nel mondo sono state ridotte da 3 mila a 2 mila negli ultimi otto, nove anni; mentre l'utenza o, almeno, il bacino di italiani che vivono all'estero è aumentato da 3 milioni a oltre 5 milioni, e quindi la situazione è estremamente difficoltosa. Non è giusto aspettare mesi e mesi semplicemente per rinnovare un passaporto o anche anni per ottenere il riconoscimento di un titolo di studio. Succede oggi che il Regno Unito è in Europa, figuriamoci cosa succederà quando il Regno Unito uscirà dall'Europa. E nel Regno Unito le domande dell'utenza sono destinate ad aumentare, dato che servono documenti nazionali validi per ottenere il nuovo permesso di soggiorno britannico, il settled status. Quindi, sarebbe stato utile indicare più specificatamente come il Governo intenda distribuire queste risorse aggiuntive di personale e monetarie per la rete consolare, quante verranno destinate al Regno Unito e, soprattutto, un impegno chiaro non c'è nel decreto a riaprire un consolato generale a Manchester, una situazione di grande urgenza, non soltanto per dare un servizio ai 50 mila italiani di quella città e agli italiani di tutto il nord dell'Inghilterra, ma anche per disintasare e cercare di ridurre le domande sul consolato di Londra. Sappiamo che in quei luoghi esiste una comunità italiana antichissima, che è obbligata oggi a viaggi di lungo tragitto per raggiungere Londra.

In tema di sanità, invece, il decreto Brexit salvaguardia i diritti in materia di tutela della salute dei cittadini britannici, che sono soggetti alla legislazione del Regno Unito, cioè quelli che sono beneficiari di una pensione del Regno Unito. Esiste, però, un numero rilevante di cittadini britannici residenti in Italia a lungo termine, in alcuni casi da più decenni, che, invece, non ricevono una pensione dal Regno Unito e che sarebbero, da una parte, titolari al soggiorno permanente dell'Unione europea. Loro hanno avuto il diritto, in questi anni, di iscriversi al Servizio sanitario nazionale a titolo gratuito, tranne che per i ticket: ai sensi del decreto legislativo n. 286 del 1998, gli extracomunitari che lavorano ed i loro familiari godono del diritto dell'assistenza sanitaria gratuitamente, però gli altri extracomunitari sono tenuti o ad avere un'assicurazione sanitaria, o a pagare i contributi annuali per l'iscrizione al Servizio sanitario nazionale. Quindi, una volta che il Regno Unito uscirà dall'Unione Europea, se questa legge si applicherà, tra coloro che finora hanno goduto delle prestazioni sanitarie gratuite in quanto cittadini dell'Unione europea, molti cittadini britannici non si potranno permettere di pagare né i contributi annuali, né l'assicurazione sanitaria, e in molti si vedranno rifiutare l'assicurazione per via di condizioni preesistenti. Ciò metterà in grave difficoltà persone anziane che hanno vissuto la maggior parte della vita adulta in Italia, hanno pagato i contributi INPS e le tasse, e come pensionati sono iscritti al Servizio sanitario nazionale, finora a titolo gratuito, ma che adesso dovranno pagare cifre onerose per la sanità. Chiediamo, quindi, di rimediare applicando ai britannici titolari del permesso di soggiorno dell'Unione europea di lungo periodo pari trattamento con i lavoratori extracomunitari rispetto all'assistenza sanitaria; in questa direzione vanno alcuni nostri emendamenti.

Sempre in tema di sanità, sarebbe stato utile per il Governo, con questo decreto, predisporre dei meccanismi di chiamata diretta per il personale di area medica. Da anni ci si lamenta in Italia della carenza di personale medico in Italia, i dati più aggiornati sul problema lamentano una carenza di medici specialisti e personale di area sanitaria. E infatti due studi del Sindacato dei medici, Anao-Assomed, di gennaio e marzo di quest'anno, che illustrano gli effetti della riforma pensionistica “quota 100” promossa da questo Governo, fanno vedere che, a partire dal 2025, in Italia ci saranno 16 mila medici specialisti in meno, per non parlare degli oltre 50 mila infermieri mancanti in tutta Italia. Per garantire i servizi sanitari nonostante la mancanza di medici, alcune regioni fanno contratti a tempo determinato a categorie di medici che non hanno la specializzazione che servirebbe, in alcuni casi pensionati, in alcuni casi medici stranieri; di recente ha fatto molto discutere la decisione di alcune regioni italiane di fare contratti a tempo determinato ai giovani medici, non ancora specializzati né formati in medicina generale, per il pronto soccorso, ambito in cui si fa particolarmente fatica a trovare specialisti per via dei pesanti ritmi lavorativi. E invece, se da un lato c'è una domanda di personale medico in Italia, dall'altro noi sappiamo che nel Regno Unito ci sono oltre 6 mila medici italiani, come riporta la Italian Medical Society of Great Britain. Dato che molti di loro stanno considerando la possibilità di trasferirsi, sarebbe stato utile, per venire incontro alle esigenze del sistema Paese, predisporre dei meccanismi di chiamata diretta, anche con questo decreto.

Sempre in tema di incentivi, sarebbe stato utile rendere accessibili nuovi incentivi per l'attrazione di capitale umano, che prevedeva all'inizio la proposta di legge n. 1064 Ruocco per la semplificazione fiscale, ma adesso trasportati nel “decreto crescita”, con cui si introduce un nuovo regime di facilitazione fiscale per chi dall'estero si stabilisce in Italia, cittadini italiani e cittadini comunitari. Il problema è che entra in funzione solo a partire dal 1° gennaio 2020. Ricordiamoci che, invece, l'anno della Brexit sarà il 2019, è questo l'anno in cui sono in partenza dal Regno Unito professionalità, lavoratori di grande esperienza. E quindi, se l'Italia vuole competere con altri Paesi europei, con altre città europee, per attirare questo capitale umano, bisogna assolutamente permettere l'accesso a questo nuovo regime di incentivi a partire dal 2019, per non creare una grande disparità di trattamento con chi è già arrivato nel nostro Paese, tra chi sta ancora usufruendo degli sgravi degli ultimi due provvedimenti, il provvedimento controesodo 2010 o il regime agevolativo dei lavoratori rimpatriati del 2015.

Insomma, come si vede, ci sono molti temi, molte implicazioni abbastanza tecniche ma importanti. Noi italiani abbiamo, ovviamente, un enorme interesse alla tutela dei cittadini italiani che abitano nel Regno Unito, ma dei britannici che abitano in Italia. Io, per questo motivo, mi appello alla maggioranza e al Governo per impegnarsi a mettere in sicurezza la seconda parte del Trattato di recesso, quello che riguarda la salvaguardia dei diritti dei cittadini: il tema cosiddetto del ring fencing, la messa in sicurezza. Voi sapete che in questi tre anni di negoziati il principio che valeva era che “niente è valido finché tutti gli aspetti dell'accordo saranno validi”. Io credo che, a fronte dei tre anni, questi tre anni di incertezza, confusione e caos, sia giusto isolare il tema dei diritti, salvaguardarlo, metterlo in sicurezza e, quindi, fare un accordo tra Regno Unito e Unione europea, affinché il tema dei diritti venga isolato e venga concordato a prescindere dal resto del negoziato. Quindi, io mi appello al Parlamento e alla maggioranza ad esprimersi con un atto di indirizzo politico in tal senso.

Mi avvio alla conclusione. Nel campo delle telecomunicazioni, si introduce con questo decreto-legge l'obbligo di notifica nel caso dell'acquisto presso aziende ubicate in Italia di beni e prodotti tecnologicamente avanzati, acquistati da aziende che sono situate fuori dell'Unione europea, di beni che sono utili alla realizzazione di servizi di comunicazione elettronica a banda larga basati sulla tecnologia 5G; il decreto-legge impone, introduce un obbligo di notifica. Noi pensiamo che, per non ostacolare il progresso tecnologico nel nostro Paese, sarebbe stato utile limitare questo obbligo di notifica solamente al 5G core, e non invece a tutti gli elementi della rete di accesso, che non sono rilevanti per la sicurezza nazionale.

Nella parte finale del provvedimento si prevede anche un rinnovo di due anni delle Gacs, appunto le garanzie di Stato sulle operazioni di cartolarizzazione delle sofferenze bancarie, uno strumento introdotto dai Governi a guida del Partito Democratico che ha permesso la forte riduzione del carico di sofferenze che gravavano sulle spalle del nostro sistema bancario: un grande collo di bottiglia che impediva l'erogazione del credito nel nostro Paese, e soprattutto era un ostacolo alla trasmissione della politica monetaria della Banca centrale europea. Quindi, bene che vengano rinnovate di due anni in questo decreto-legge, tra l'altro il MEF avrà anche l'opzione di rinnovarle per ulteriori dodici mesi; però ricordiamoci che il caso Carige di questi giorni ci ricorda che non basta avere gli strumenti giusti, occorre un Governo credibile per rimettere in sesto questo Paese.

Con le ultime dichiarazioni di questo Governo, e soprattutto con la sua politica economica, gli investitori internazionali stanno scappando a gambe levate: da ultimo, appunto, la decisione di BlackRock di non perseguire le operazioni di acquisto di Carige. Per vincere una corsa non bisogna avere soltanto la macchina più rapida, ma anche avere un ottimo pilota; e, quindi, bene le Gacs, ma che il Governo riveda la sua politica economica, tale da non ostacolare gli investimenti, non impedire gli investimenti, invece di aumentare il debito per finanziare misure assolutamente inefficaci come “quota 100”.

E, infine, un appello. Dato che siamo a due settimane dalle elezioni europee, io spero veramente che la Brexit non sia il canovaccio che alcune delle forze che compongono questo Governo vogliono applicare al nostro Paese. È vero che le forze di Governo attualmente non urlano più “basta euro”, non vogliono più uscire dall'euro, non vogliono più uscire dall'Unione europea a parole, ve lo riconosco; però, vi volete cimentare con un sovranismo, e quindi chiedete il rallentamento dell'integrazione europea: il che sarebbe estremamente nocivo per il nostro Paese, perché nell'Unione Europea così com'è, incompleta, in cui da una parte abbiamo la piena circolazione, mobilità di servizi, capitali e persone, ma dall'altra ancora non abbiamo la tutela dei depositi, non abbiamo l'unione bancaria, non abbiamo strumenti di tutele sociali a livello europeo, le crisi possono essere amplificate, non ridotte: questa è la lezione della crisi economica, e soprattutto della Brexit.

E, quindi, da qui il mio monito, l'attenzione delle forze sovraniste e populiste di questo Paese: come nel Regno Unito voi promettete di riprendere il controllo, chiedendo meno Europa, e invece la storia della Brexit insegna che non farete altro che prendere in giro l'Italia gettandola nel caos più totale. Completare l'Unione per costruire un'Europa sociale è l'unico modo per risolvere i problemi dell'Italia (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Paolo Paternoster. Ne ha facoltà.

PAOLO PATERNOSTER (LEGA). Presidente, membri del Governo, onorevoli colleghi, intervengo oggi sul provvedimento che mira a convertire in legge - lo dice il testo - con modificazioni, il decreto-legge 25 marzo 2019, recante misure urgenti per assicurare sicurezza, stabilità finanziaria e integrità dei mercati, nonché tutela della salute e della libertà di soggiorno dei cittadini italiani e di quelli del Regno Unito in caso di recesso di quest'ultimo dall'Unione Europea.

Bisognerebbe allora, per cercare di fare un po' di ordine e di riassumere bene la questione, dire da dove siamo partiti: nel corso del 2016 c'è stato un referendum nel Regno Unito, che ha sancito a maggioranza, oltre il 52 per cento, che il Regno Unito dovesse uscire dall'Unione Europea; Unione europea nella quale era entrato nel 1972, di cui faceva parte, ma sapete bene che non aveva aderito a Schengen, non aveva aderito all'euro e si era tenuta stretta la sua moneta, la sterlina, cosa che per certi versi avrebbe fatto bene a fare anche l'Italia, e non solo l'Italia.

Dal 2016 in poi si sono succeduti parecchi incontri tra il nuovo Premier inglese Theresa May e la persona incaricata dall'Unione europea, Barnier, per cercare di portare ad una soluzione consensuale di Brexit in modo che non ci fossero problematiche importanti né per l'Unione europea né per la comunità britannica.

Ad oggi non si è pervenuti a questo accordo, non si è concluso nulla, e c'è, lo sappiamo bene, un caos serpeggiante che ha portato nelle ultime settimane a far decidere da parte dell'Unione europea la data ultima del 31 ottobre entro la quale si dovrà prendere una decisione risolutiva: una decisione di non ritorno, una decisione che dovrà dire se la Gran Bretagna dovrà far parte ancora dell'Unione europea o meno.

C'è da dire anche che ci sono problematiche importanti, perché bisogna capire bene come mai, il motivo principale che ha spinto la popolazione britannica a scegliere la Brexit; ma questo magari lo illustrerò dopo. Il cuore di questo decreto-legge, che andremo a convertire, parla di tematiche molto importanti; volevo adesso un attimo sintetizzarle e parlarne.

Per quanto riguarda per esempio l'articolo 1, parla della tecnologia della quinta generazione, a cui bisogna dare una risposta; oppure i vari articoli dal 2 in poi: le prestazioni di servizi e delle attività in Italia da parte dei soggetti del Regno Unito, oppure degli italiani che sono presenti in Gran Bretagna; si parla di 700 mila italiani, almeno, che lavorano e studiano in Gran Bretagna, e di oltre 70 mila inglesi che soggiornano stabilmente da molti anni in Italia. A queste persone bisognava e bisogna dare stabilità. Oppure l'operatività dei gestori delle sedi di negoziazione italiane del Regno Unito in Italia o appunto nel Regno Unito, le disposizioni in materia di risoluzione stragiudiziale delle controversie, la tutela dei depositanti e degli investitori, l'operatività delle compagnie di assicurazioni e dei broker assicurativi sia in Italia che nel Regno Unito: appunto le compagnie di assicurazione, le imprese di assicurazione. Le moltissime disposizioni fiscali, che comunque oggi stanno a regolare i rapporti in un'Unione di cui ancora oggi il Regno Unito fa parte, e vi sono quindi una serie di disposizioni che questo Governo diligentemente sta cercando di mettere in chiaro, per dare appunto stabilità, concretezza e sicurezza a tutta questa popolazione che vive in Italia e vive nel Regno Unito.

Da questo punto di vista, un plauso al Governo, perché si è preso carico di una situazione contingente che doveva essere normata. Bene questo decreto-legge, bene tutte le varie tematiche che sono state prese in considerazione; sicuramente ci sarà la possibilità di integrarlo, di migliorarlo, perché comunque il contributo di tutti è sempre ben accetto. Questa è, quindi, la nostra volontà.

Dal mio punto di vista, come Lega, vi posso assicurare anche - ribadisco e riprendo il discorso che avevo iniziato prima - che non è che i cittadini britannici hanno votato la Brexit così, in maniera leggera o comunque senza nessun motivo: bisogna capire bene perché milioni e milioni di persone hanno deciso, dopo circa quarant'anni, di uscire da un'Unione europea che probabilmente non sentivano più loro e di andare a fare un salto in una situazione che sicuramente sarebbe stata e sarà difficile. Però, probabilmente hanno scelto allora, tre anni fa, il male minore, cosa che noi sicuramente capiamo e condividiamo.

Che problematiche porta oggi l'Unione europea? Per noi porta moltissime problematiche: una sovrapposizione di poteri tra potere nazionale e potere europeo. Quando si parla di sovranismi, non è che i sovranismi siano qualcosa di aleatorio: i sovranismi, quello che noi vogliamo, oggi, è riprenderci la nostra sovranità, il nostro potere di decidere qualcosa a casa nostra, nella nostra nazione, che abbiamo costruito faticosamente negli ultimi decenni.

L'Unione europea ci dà problematiche per quanto riguarda i costi dell'Unione europea, gli aiuti di Stato: ogni volta che l'Italia, il Governo italiano, qualsiasi esso sia, cerca di aiutare qualche settore in crisi, settore nazionale in crisi, ebbene, ci sono sempre queste problematiche degli aiuti di Stato che, a causa di politiche sbagliate dell'Unione europea, non si possono dare. Perdiamo posti di lavoro, nostri posti di lavoro, cittadini che restano a casa senza lavoro e famiglie senza lavoro e aziende che chiudono.

Burocrazia: la burocrazia europea è una cosa mostruosa, e cerchiamo noi di combatterla questa burocrazia in modo che ci siano delle leggi più chiare, delle leggi più efficienti, delle leggi che vadano a vantaggio di cittadini ed imprese. Per quanto riguarda la tassazione; la tassazione è una cosa, anche questa, pesantissima. Regole che ci vengono imposte da Bruxelles e da Strasburgo per quanto riguarda l'agricoltura; quanto stanno soffrendo i nostri agricoltori, le nostre imprese agricole per delle normative comunitarie, assurde, ingiustificate e insensate che ci stanno opprimendo e che stanno facendo chiudere e soffrire la nostra agricoltura?

E, poi, e chiudo, Presidente, per quanto riguarda l'immigrazione; ci interroghiamo, in Italia, sulla problematica di chi è contro l'Europa, contro la Comunità europea. La Lega non è assolutamente contro l'Europa, non è contro la Comunità europea; noi vogliamo restare in Europa, però, vogliamo restare in un'Europa più giusta, più seria e più vicina ai nostri cittadini, perché - e chiudo - quando si parlava di immigrazione, mentre c'erano negli ultimi anni centinaia e migliaia di persone che venivano senza documenti all'interno della nostra nazione, la Comunità europea, che oggi ci osteggia, è stata la prima a girarsi dall'altra parte e a lasciare l'Italia da sola. Questa è l'Europa che noi non vogliamo e questa è l'Europa che noi vogliamo cambiare.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Federico Fornaro. Ne ha facoltà.

FEDERICO FORNARO (LEU). Signor Presidente, arriviamo con un po' di ritardo, rispetto ad altre nazioni europee, ad un atto necessario e dovuto che è definito da questo decreto, perché è evidente che lo scenario del no deal era uno scenario che appariva, fino a qualche mese fa, non percorribile ed, invece, i risultati negativi, le bocciature del Parlamento della Gran Bretagna, rispetto agli accordi intercorsi con l'Unione europea, stanno portando a questo come a uno scenario assolutamente possibile. Quindi, da questo punto di vista credo che fosse, come dicevo prima, un atto necessario e per questo noi lo voteremo, però, credo che questa sia anche l'occasione per fare una riflessione di tipo politico su che cosa significa la Brexit nel quadro non solo dei rapporti della Gran Bretagna con l'Unione europea, ma più in generale sul significato che ha rispetto alle logiche del sovranismo che stanno, in questo momento, crescendo in Europa. Sono, infatti, devo dire, un po' stupito, da una relazione fatta dal relatore di tipo molto burocratico, senza inserire, mi sia consentita questa critica, questo decreto all'interno del contesto entro cui ci si muove, oggi, cioè, mi sarei aspettato una riflessione anche critica, a questo punto, a tre anni dalla data di quel referendum inglese. Anche ridurre tutto al problema di aumento, utile, necessario anch'esso, dei servizi consolari, che ha espresso la collega del MoVimento 5 Stelle, mi pare un modo molto riduttivo di affrontare una questione che è, lo voglio dire con grande chiarezza, una grande sconfitta; la Brexit è una sconfitta per l'Europa, è una sconfitta di tutti coloro che credono negli ideali europei, è una sconfitta anche di carattere economico. È una vittoria, perché, quando si definiscono le sconfitte, bisogna anche riconoscere le vittorie; è stata una vittoria, del nazional populismo a cui ha dato un fondamentale contributo una crescente disuguaglianza, prodotta in Gran Bretagna come in altri Paesi, da una globalizzazione non governata o, meglio, governata da logiche tutte neoliberiste. E basta guardare la carta geopolitica del voto della Brexit nel 2016 per comprendere che cosa significano le parole che ho appena pronunciato; c'è sostanzialmente un piccolo puntino rosso del “Remain” a Londra, circondato dai puntini blu del “Leave” e alla fine il risultato del 51,9 è un risultato che, ovviamente, segna anche una profonda divisione all'interno dello stesso elettorato inglese, cosa che, peraltro, lo dico qui per inciso, dovrebbe portarci anche a qualche riflessione sui sistemi elettorali.

Perché sistemi elettorali come quelli inglesi, che sicuramente hanno avuto nella loro storia il grande pregio di garantire governabilità, hanno messo in evidenza, proprio in relazione alla vicenda Brexit, una carenza di rappresentatività. Non è un caso che Brexit ebbe un'affluenza alle urne superiore alle ultime elezioni politiche, e lì, in qualche modo, riemerse un voto anche di protesta, un voto - tra virgolette - “antisistema” che nel sistema elettorale inglese non ha possibilità di esprimersi. Lo stesso partito di Farage che, oggi, è dato addirittura primo partito dai sondaggi, ricordo che ha avuto una gravissima sconfitta nell'elezione politica e in quella precedente, dopo aver preso il 12 per cento alle elezioni per il rinnovo della Camera dei comuni, ebbe soltanto un deputato eletto. Quindi, il richiamo, come dire, ad avere sistemi elettorali che garantiscano la rappresentanza è fondamentale, perché, questo va detto, il voto del popolo è sempre da rispettare, però, come dire, è arrivato un po' come una sorpresa, proprio perché quel malessere molto forte che c'era in aree diffuse, in aree molto ampie del territorio inglese, in qualche modo, è riemerso in maniera inaspettata, proprio perché era tenuto in qualche modo nascosto dalla crosta del sistema elettorale.

Questo inciso, per dire che Brexit è anche, ovviamente, e deve essere, un bagno di realtà, però, che dimostra come passare dalla propaganda agli atti conseguenti è un salto che può fare molto, molto male. I dati di prospettiva di medio e lungo periodo delle conseguenze nel Regno Unito e nel sistema dell'Unione europea sono dati che devono far riflettere tutti, perché un conto sono le enunciazioni di principio che ho sentito anche risuonare in quest'Aula poc'anzi, altro, poi, è confrontarsi. L'interconnessione economica porta, evidentemente, a enfatizzare le scelte dei singoli Paesi e le piccole patrie, perché, in qualche modo, la scelta di Brexit significa ricostruire una piccola patria inglese, qui gli inglesi si offenderebbero, ma, insomma, per intenderci, una logica nazionale che si confronta con la dimensione dell'Unione europea porta, però, a questo. Uno potrebbe dire che, in fondo, è una scelta degli inglesi e non ci tocca; segnalo, per esempio, che oltre 800 mila automobili tedesche varcano la Manica per essere acquistate ogni anno in Gran Bretagna e noi siamo tra i principali fornitori, subfornitori dell'indotto auto tedesco, per esempio, e, quindi, una contrazione di quelle vendite, a ricaduta, porta poi problemi anche a noi. Da questo punto di vista, devo dire - e chiudo, su questo, signor Presidente - che trovo veramente uno iato tra le dichiarazioni di oggi, in qualche modo tra la gestione burocratica di questo decreto e l'enfasi con cui l'attuale Vicepremier Salvini nel 2016 annunciò con un tweet, all'indomani della Brexit, un suo: “Evviva il coraggio dei liberi cittadini! Cuore, testa e orgoglio battono bugie, minacce e ricatti. Grazie UK, ora tocca a noi”. Ecco, da quell'enfasi alla realtà di oggi c'è un salto molto ampio ed è un salto tutto in negativo. Quindi, questa propaganda, la propaganda del “prima gli italiani” inizia ad avere anche questo primo confronto con la realtà; tra poco, con l'uscita della Gran Bretagna, gli italiani saranno dopo gli inglesi. Ci saranno “prima” gli inglesi e, poi, tutti gli altri e toccheremo con mano che cosa significa essere stranieri e non più cittadini comunitari all'interno, quindi, di quel sistema di tutele molto ampie che l'attuale Unione prevedeva e che, in qualche modo, questo decreto cerca di garantire.

C'è un ulteriore elemento che non ho ascoltato ma che per me è motivo di grande preoccupazione e sono gli effetti dell'uscita della Gran Bretagna e del sistema della piazza finanziaria di Londra dal sistema di controllo e di vigilanza europeo.

Già oggi, già a legislazione vigente, a regole comunitarie vigenti anche per la sua non adesione all'euro e conseguentemente alla BCE, la Gran Bretagna la piazza di Londra era, come usano dire anche gli analisti finanziari, border rispetto a temi molto delicati, come i rischi legati, per esempio, al riciclaggio.

È del tutto evidente che una totale fuoriuscita dal sistema allargherà e amplierà il rischio di ragionare su una piazza finanziaria come quella di Londra come una piazza ad alto rischio. Da questo punto di vista, credo che questo sia un ulteriore elemento negativo che ci restituisce Brexit. Quindi, da questo punto di vista, credo che una riflessione che dobbiamo fare noi e devono fare i cittadini è proprio questa, cioè quella di come dai tweet, dalla propaganda, dall'esaltazione del ruolo del popolo inteso come popolo libero che decide, si passi poi alle ricadute negative, al rischio di trasformare l'Europa in una somma di piccole patrie, cioè di riportare indietro le lancette del tempo. Questo non vuol dire che l'Europa così com'è vada bene; da questo punto di vista, Brexit può e deve essere anche una sorta di allarme rosso che l'euroburocrazia deve assolutamente raccogliere, può essere lo stimolo per fare meglio, per migliorare, senza ovviamente tradire l'ideale di un grande mercato unico europeo, non soltanto dei capitali, ma anche del lavoro e dei lavoratori. Quindi, un'Europa più sociale può essere la risposta per evitare altre Brexit.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Raffaele Baratto. Ne ha facoltà.

RAFFAELE BARATTO (FI). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, cominciamo oggi in Aula una discussione che avrebbe dovuto avvenire già da tempo: parliamo di Brexit, discutendo di un decreto recante misure urgenti, e lo facciamo tra gli ultimi in Europa, come è già stato evidenziato; evidentemente quello che accade oltremanica importa davvero poco al Governo. Ma questo provvedimento contiene altro, molto altro. Mi riferisco alle prime norme di questo provvedimento, volte ad introdurre quello che potremmo definire uno scudo contro le ingerenze degli investitori esteri in settori strategici, in questo caso il 5G. Voglio partire da qui perché per troppo tempo questo Paese ha rincorso il dibattito sulla digitalizzazione senza mai seriamente proporre un piano complessivo. Abbiamo perso occasioni chiave e, con esse, gli attori principali che avremmo potuto mettere in campo a livello europeo e mondiale per giocarci fino in fondo la partita della digitalizzazione. Mi riferisco alle grandi aziende italiane del settore, che solo qualche tempo fa sono state lasciate in mani straniere. Di digitale, di connettività, questo Governo sembra intento a parlarne solo in un settore, quello fiscale, dove, tra i primi in Europa, abbiamo proposto la rivoluzione - per modo di dire - della fatturazione elettronica: decisamente un magro risultato per il Governo del cambiamento. Per questo, il provvedimento, tardivamente e in maniera goffa, pone un primo autentico caposaldo: definire le nostre reti di connettività, in particolar modo quelle 5G, un asset strategico, rappresenta una premessa necessaria per poter ricominciare a pensare quanto meno ad un player europeo nel settore nel quale oggi la Cina la fa da padrone, con rischi evidenti per la nostra sicurezza nazionale. Negli ultimi vent'anni gli investimenti cinesi nell'Unione Europea - lo ricordo sempre - sono aumentati di sei volte, ma con essi, anche la spietata concorrenza che portano con sé, con essenziali conseguenze per migliaia di piccole e medie aziende, imprese anche italiane. Ebbene, condividiamo l'esigenza di una norma come quella oggetto all'articolo 1 di questo provvedimento, ma perdonatemi se vi chiedo come mai il Governo abbia cambiato repentinamente idea, se è vero, come è vero, che di fronte ad una norma pressoché identica proposta al Parlamento europeo solo a febbraio di quest'anno, il cosiddetto “scudo europeo”, Lega e 5 Stelle hanno votato contro: credo che sia un'autentica contraddizione. Oggi, più che mai, la concorrenza proveniente dall'Asia nel settore delle comunicazioni, la rete 5G, come in altri strategicamente fondamentali, ci lancia un avvertimento chiaro: solo l'insieme può fare la forza. Pensare di tornare a una dimensione nazionale significherebbe divenire dei vassalli di qualche grande potenza. Magari è questo che vuole chi, anche nel Governo, ostinatamente si spinge a chiedere la dissoluzione dell'Unione europea. Signor Presidente, ricordo molto bene eminenti esponenti della maggioranza spingersi ad evocare la “Italexit”, l'uscita del nostro Paese dall'Unione europea, elogiando a squarciagola i Farage e gli altri politici che in Gran Bretagna si sono espressi a favore dell'uscita dall'Unione europea. Ebbene, la maggior parte di quei politici, dopo il referendum, hanno abbandonato la politica; si direbbe che abbiano abbandonato la nave dopo averla incendiata, tanta è stata la loro irresponsabilità. La storia consegnerà i risultati o il conto di una scelta che per ora ha provocato danni ingenti all'economia inglese e rischia di provocarne ancora di più, serissimi. La Banca centrale inglese da mesi chiede di raggiungere un accordo che faccia conservare alla Gran Bretagna uno status privilegiato all'interno dell'Unione, pena conseguenze economiche gravi: secondo le sue stesse stime che oggi girano, sembra che ci sia un meno 10 per cento del PIL nel primo anno di uscita; sarebbe davvero, davvero molto grave.

Ma non mi sentirete oggi parlare o discutere delle scelte sovrane della Gran Bretagna; questo decreto ci dà, però, l'occasione di chiarire cosa sia Brexit per il nostro Paese, e vorrei darvene un'idea parlando della regione da cui provengo, il Veneto; sono migliaia le imprese venete che, grazie al mercato comune libero, hanno un fittissimo interscambio commerciale con la Gran Bretagna. Vorrei ricordare, a quanti in più occasioni si scagliano contro l'Europa, che le nostre imprese proliferano e si sono sviluppate grazie al Mercato comune europeo, privo di dazi e nel quale è consentito il libero transito di merci e di persone; lo diamo troppo spesso per scontato. E come altre volte, i numeri e la realtà dovrebbero farci riflettere: gli studi più recenti offrono uno scenario drammatico per la mia regione nel caso di no, ovvero di una Brexit senza accordo: oltre 3,5 miliardi - dico 3,5 miliardi! - di esportazioni rischiano di volatilizzarsi, e con esse rischia di entrare in crisi il motore del nostro Paese, l'impresa veneta. Deve ricordarselo chi quotidianamente, per mero calcolo, invoca l'uscita dall'euro o dall'Europa guardando alla Brexit con un esempio. Fuori da quest'Aula, colleghi, c'è chi non si può permettere il lusso della propaganda. Ci sono centinaia di imprenditori che ogni giorno tentano di guadagnare quote di mercato, di vendere i loro prodotti; vogliono fare quello che gli riesce meglio, il loro lavoro, e ci chiedono solo di essere messi nelle condizioni di farlo.

Mi avvio alla conclusione, Presidente. A questo decreto, che si presenta - sebbene fuori tempo massimo - come uno strumento fondamentale per consentire al nostro Paese di resistere alle conseguenze gravi che potrebbero derivare da un'uscita della Gran Bretagna all'Unione europea senza un accordo, responsabilmente questo gruppo ha presentato sia al Senato sia in quest'Aula degli emendamenti migliorativi che mi auguro che questa maggioranza possa tenere in considerazione, anche perché credo che su questi argomenti non c'entri la maggioranza e la minoranza, i vari colori politici, ma credo che c'entri davvero l'interesse dei nostri Paesi, che possono davvero guardare il nostro futuro, ma soprattutto il futuro dei nostri giovani, con un occhio davvero forte verso quei Paesi che rischiamo che ci invadano in maniera forte a livello economico e finanziario (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Fregolent. Ne ha facoltà.

SILVIA FREGOLENT (PD). Grazie, signor Presidente. Gentili colleghi, gentili rappresentanti del Governo, è abbastanza surreale che a discutere di Brexit sia questo Governo e questo decreto venga fatto da un Governo sovranista, un Governo che in Europa è alleato con Farage, come i 5 Stelle, e che, come ha ricordato bene l'onorevole Fornaro, brindò il giorno dopo il referendum, come fece Salvini, dicendo “ora tocca a noi fare una cosa simile”. Sia bene inteso, questo decreto, come ha illustrato il collega Ungaro, seppur migliorabile, è un decreto di buonsenso, ma a volte la storia è veramente buffa.

L'uscita dall'Unione europea da parte della Gran Bretagna senza accordo è una cosa ogni giorno più reale, ahimè: ha ricordato il collega di Forza Italia che cosa vorrebbe dire per il Veneto. Mi permetto, da torinese, di allargare questa sua analisi, dicendo cosa sarebbe per l'Italia un no deal, come viene detto in inglese, cioè un'uscita senza accordo della Gran Bretagna. Sì, perché - lo vorrei ricordare al collega leghista che, dopo il suo intervento anti UE, è andato via - parlare male dell'Europa, noi italiani, che abbiamo la maggiore economia di trasformazione esistente in Europa – è seconda la nostra manifattura dopo la Germania –, che siamo un Paese esportatore – ricordiamolo, esportatore –, che in questi anni ha visto crescere la sua economia grazie al fatto che non c'erano dazi, grazie al fatto che c'era un mercato comune che ci consentiva di esportare i nostri beni, vuol dire non fare gli interessi degli italiani.

Se gli italiani vengono per primi, allora per primo bisogna avere a cuore l'Unione europea (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Forza Italia-Berlusconi Presidente). Senza l'Unione Europea la nostra economia, che già cresce pochissimo per le misure, nefaste, che avete fatto voi, con questo Governo, sarebbe sottozero. La cosa incredibile è che, quando fu promosso quel referendum da parte di David Cameron per cercare di cavalcare l'onda euroscettica di Farage, nessuno aveva in mente che cosa sarebbe successo. Ricordiamo che poi David Cameron fece la campagna per rimanere in Europa, pur avendo indetto quel referendum, convinto che sarebbe accaduto come era successo nel 1975, cioè che gli inglesi avrebbero poi votato in gran parte di rimanere. Ma quello di cui forse non si è reso conto - e anche noi, forse, nel referendum che avevamo fatto per la riforma costituzionale non ce ne siamo resi conto - è che oggi i livelli di propaganda sono cambiati. Lo abbiamo visto in questi giorni, con la chiusura di alcuni siti che danno fake news in merito alla politica italiana. Una semplificazione di messaggi ha consentito agli inglesi di scegliere di andarsene probabilmente in maniera non completamente consapevole.

E il fatto che oggi non si riesca a trovare un accordo all'interno del Parlamento britannico, per uscire dall'Unione europea dimostra come dietro agli slogan, facili, poi c'è la politica, difficile, e questa rende l'uscita della Gran Bretagna un'uscita dannosa in primo luogo per la Gran Bretagna stessa. Analisi di mercato hanno dimostrato come la Gran Bretagna, dal 1973 al 2016, cioè l'anno in cui è avvenuta la scelta per la Brexit, sia stata il Paese che in Unione Europea ha accresciuto di più il suo PIL: 102 per cento contro il 98 della Germania e il 97 per cento della Francia. Eppure è stato il Paese dove sempre si è soffiato contro l'Europa, forse in ricordo di un impero che non esiste più, per fortuna, e di una potenza economica che è completamente cambiata. Lo dico alla collega Siragusa, dei 5 Stelle che ha detto come in fondo Londra ci voglia bene, ci continui a mandare messaggi, per gli italiani che rimangono lì, di voler rimanere. Certo, Londra; ma Londra non è la Gran Bretagna. Londra, insieme alla Scozia e insieme all'Irlanda, sono stati i posti dove il remain, cioè il rimanere nel Regno Unito, è stato votato per la maggioranza; purtroppo il resto dell'Inghilterra e il Galles, tra l'altro regione che aveva avuto più finanziamenti europei, hanno votato in gran parte per lasciare l'Unione Europea. E non è un caso che Londra sia così attenta ai cittadini; non è un caso, perché è la città e l'economia che sta patendo di più. Londra faceva della sua attrattività internazionale, il fatto che era un'economia globale, l'elemento di crescita.

Oggi la Banca d'Inghilterra, la Banca centrale in Inghilterra, ha detto che il PIL del Regno Unito ritornerà ai livelli della seconda guerra mondiale, cioè un livello di recessione di più dell'8 per cento; ancora peggio che negli anni della crisi del 2008. E, allora, si capisce come sia impopolare dire oggi agli inglesi e ai britannici in generale “guardate, abbiamo sbagliato, per voi sarà ancora più caro lasciare l'Europa di come invece era più favorevole rimanerci”. E uno dei punti più controversi, non soltanto in confini, ma c'è una questione enorme: sta esplodendo la questione irlandese, che sembrava essere stata superata nel 1998, con l'accordo firmato da Tony Blair. Oggi uno degli elementi importanti è rimettere i confini tra la Repubblica irlandese e l'Irlanda del Nord, cosa che, invece, era stata superata, e le tensioni, anche purtroppo violente, di queste settimane ci stanno a ricordare come, a volte, mettere una crocetta con facilità in un foglio determini delle conseguenze nefaste.

Oltre al tema di come la Gran Bretagna potrà utilizzare i servizi - continua a dire che vuole poter utilizzare i servizi dell'Unione Europea, peccato che non voglia contribuire -, il tema principale è come rimarranno i cittadini europei in Gran Bretagna e come i cittadini britannici potranno vivere in Europa. Ecco, il solo pensiero che cittadini che fino a ieri potevano convivere in maniera naturale oggi debbano chiedere un permesso di soggiorno è la testimonianza di come quel referendum sia la fine della civiltà europea, sia la fine della civiltà europea. Noi abbiamo tutto l'interesse che ci sia un accordo con la Gran Bretagna e faremo, spero, di tutto. Noi, come opposizione, incalzeremo il Governo, e spero che il Governo lo faccia per conto suo, ci creda e partecipi ai tavoli europei per cercare di trovare un accordo. La cosa che dovrebbe essere di monito a tutti è come messaggi semplici, che sicuramente i sovranisti riescono a dare molto di più che i partiti tradizionali, siano poi difficilmente traducibili in politiche sagge.

Io, se fossi l'onorevole Paternoster, della Lega, sarei un po' più cauto a dire le cose che ha detto qui in Aula; sarei un po' più cauto perché, in primo luogo, la UE è la nostra casa, è il nostro mercato, e l'Italia lo sa benissimo. Se noi non avessimo il mercato unico europeo, sarebbero guai per la nostra economia.

La tassazione europea non esiste, diciamoglielo al collega. Se ha pagato tasse in Europa mi chiedo anche a che titolo l'abbia fatto (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico). C'è la tassazione in Italia, quella sì, altissima, che noi, con i Governi del PD, avevamo cercato di abbassare, come avete testimoniato voi, nella vostra dichiarazione tecnica sulla legge di stabilità, e come, sempre voi nella vostra dichiarazione tecnica sulla legge di stabilità, avete invece dimostrato di aver alzato.

E se l'immigrazione non è in agenda o lo è stata in maniera poco efficace, diciamo al collega della Lega di ringraziare in primo luogo Orbán e i Paesi di Visegrád a cui loro fanno riferimento con fotografie e selfie. So, ovviamente, che non crederete a me, in quanto del Partito Democratico, ma chiedetelo al vostro Premier Conte, che è stato di recente nell'ultimo Consiglio europeo a chiedere solidarietà per quaranta migranti in una nave (oddio, anche lì la figura un po' da cioccolatai per quaranta migranti, la solidarietà me la sarei aspettata per quattrocento, ma lasciamo perdere). Ha fatto bene a chiedere solidarietà anche solo per quaranta migranti in segno simbolico. Ebbene, lo diciamo al collega leghista che l'Europa che lui vuole fare insieme ai suoi amici di Visegrád ha detto “no”. Ad alzare la mano sono stati spagnoli, portoghesi, francesi e tedeschi e non è una barzelletta, ma è la realtà.

Ebbene, i sovranisti che dicono “padroni a casa nostra” possono avere messaggi più facili, più orecchiabili, che stanno in 140 battute. Dire perché oggi bisogna credere a un'Europa che, non lo nascondiamo, abbiamo cercato di cambiare anche noi in questi anni e che fa fatica a cambiare - forse deve capire che deve cambiare proprio per evitare Brexit e Governi come questo che abbiamo in Italia, che hanno anche avuto modo di esistere grazie alla loro cecità, in alcuni casi - ebbene però oggi ci troviamo a discutere di un decreto che ha delle conseguenze pratiche nei confronti di un Paese che vuole lasciare l'Europa, a dimostrazione della follia che ha determinato quella scelta e di come, se noi fossimo abbastanza realisti, capiremmo che l'Europa è fin troppo piccola per un mondo così globale, per la nostra economia, che deve essere globale, e di come oggi, che ci troviamo a difendere l'Europa che è fin troppo piccola per il mondo globale, c'è qualcuno che ci vuole rendere ancora più piccoli, cioè farci ritornare a Stati nazionali.

Ricordiamo che non tanti anni fa l'Europa ha vinto il Nobel per la pace. Sembra un mondo lontano, sembrano passati decenni e secoli e, invece, sono passati soltanto pochi anni. Nel riconoscere che, a differenza di quello che era successo a mio padre, che è mancato pochi mesi fa, ma che ha vissuto il fascismo e la guerra e che mi ha sempre insegnato il valore del rispetto del prossimo proprio perché ha vissuto, da piccolo, la prepotenza dei pochi, ebbene pensare che si possa ritornare a Stati nazionali che fino a ieri si sono combattuti non soltanto è una follia per il presente, ma è una tragedia per i nostri figli (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Forza Italia-Berlusconi Presidente).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare la deputata Angela Schirò. Ne ha facoltà.

ANGELA SCHIRO' (PD). Grazie, Presidente. Colleghi, il processo di uscita del Regno Unito dall'Unione europea è un evento, come tutti sappiamo, di portata storica e, indipendentemente da come avverrà questo processo, è destinato a influenzare il futuro dell'Unione europea e, dunque, il futuro di ognuno di noi. Il complesso negoziato e l'impasse politica che si sono determinati nel Parlamento britannico hanno messo in evidenza la profondità dei legami giuridici, amministrativi, economici e sociali che quarantacinque anni di partecipazione del Regno Unito al processo di integrazione hanno determinato e quando sia difficile reciderli. Basti pensare che la separazione implica l'abrogazione o la revisione di oltre 12 mila atti legislativi e un migliaio di trattati.

Dal referendum sulla permanenza del Regno Unito nell'Unione, celebratosi il 23 giugno 2016, il Paese è uscito più diviso che mai e vive tuttora un periodo di incertezza politica ed economica, ma anche di incertezza dal punto di vista umano.

Grandi sono le preoccupazioni di centinaia di migliaia di cittadini europei, tra i quali i nostri connazionali residenti nel Regno Unito, per il proprio futuro. Ricordo le parole di un'anziana, residente a Manchester da una vita, che, con aria terrorizzata, qualche mese fa mi domandò: “Ma ora che faranno? Mi butteranno fuori? Ma questa è casa mia!”. Qualunque sia l'esito di questo processo esso continua a rimanere incerto ma, a prescindere da come andrà a finire, la lezione è chiara per tutti già oggi: nel Regno Unito regna un grande caos. All'indomani del referendum in molti abbiamo immaginato che il Brexit potesse rappresentare il primo tassello di un domino che avrebbe fatto cadere, una dopo l'altra, l'adesione di molti altri Stati membri e che di fatto l'Unione europea non rappresentava più una scelta irreversibile. Il tempo, però, ha contraddetto questa prospettiva, l'Unione Europea ha dimostrato di saper reagire allo shock e, in qualche modo, ha saputo rafforzare il suo ruolo e la sua immagine. Gli inglesi hanno deciso di ritirarsi da un'Europa che temevano finisse per danneggiarli, senza rendersi conto, però, di non essere più l'impero coloniale di un tempo, ma semplicemente uno dei tanti ingranaggi del mondo interconnesso e globalizzato dove ormai nessuno può sopravvivere da solo.

La conseguenza tutta politica di questa crisi, ormai lunga tre anni, è stata, tra le altre cose, lo spostamento dei cosiddetti partiti euroscettici e populisti su posizioni sovraniste. Oggi non vogliono più uscire dall'euro o dell'Unione, ma vogliono arrestare il processo di integrazione e recuperare la sovranità degli Stati nazionali. Dicono che questa Europa sacrifica il sovranismo delle nazioni e va cambiata in difesa di un superiore interesse nazionale. Sappiamo, invece, che siamo arrivati a questo punto proprio perché si è perso il significato più profondo della nostra Unione, che non può essere il luogo dove vince lo Stato più forte. Se così fosse, come vorrebbero anche i populisti nostrani, il ruolo dell'Italia sarebbe fortemente compromesso, con il suo deficit e la sua crescita così bassa. Si è, allora, passati da messaggi contro l'Europa e contro l'euro a fare un'inversione di rotta. È più conveniente, infatti, puntare a conquistare le istituzioni europee per modificarle dall'interno piuttosto che abbandonarle e trovarsi da soli in mare aperto.

Ma la sovranità assoluta, invocata dai sostenitori della Brexit, mostra tutti i suoi limiti. Nessun Paese europeo può resistere da solo nella competizione commerciale, economica e tecnologica con grandi potenze come Stati Uniti e Cina. Davanti a noi, dunque, abbiamo due possibilità: cercare di rimetterci sul cammino tracciato dai padri fondatori e tornare a fare politiche comuni o arretrare ancora nel processo di completamento dell'Europa. Come possiamo affrontare le sfide di una globalizzazione sempre più stringente se non torniamo a esprimerci come una realtà unita e forte? La propria sovranità si difende soltanto stando in Europa.

Noi del Partito Democratico, assieme alle forze politiche europeiste che guardano al futuro dell'Europa e, quindi, al futuro anche dell'Italia, non possiamo abbassare la guardia. I sovranisti vogliono fermare il processo di integrazione mentre siamo a metà strada, ma arrestando il processo di integrazione oggi si avvia il processo di disintegrazione domani. Questa Europa, in sostanza, va difesa dai sovranisti e dalle correnti di antipolitica e di xenofobia che la percorrono, ma così com'è nemmeno a noi va bene e deve cambiare. Affrontare la nodale questione del lavoro e, in particolare, delle giovani generazioni, dei livelli di retribuzione, della sua qualità in relazione agli studi fatti e alla professionalità acquisita significa non solo rispondere alle urgenze sociali di oggi, ma anche costruire il futuro di un'Europa più equa e più dinamica.

Alla luce del Brexit, comunque, l'uscita dall'Unione europea appare tutt'altro che un'occasione di liberazione. È piuttosto uno dei messaggi più europeisti di sempre: se si lascia l'Unione si attraversa il caos. A riprova di tutto ciò ci sono i sondaggi dell'Eurobarometro, che misurano l'atteggiamento del pubblico nei confronti dell'UE in tutti gli Stati membri. Un numero sempre maggiore di cittadini ritiene che l'appartenenza all'Unione Europea del proprio Paese sia una buona cosa: sono il 62 per cento, il dato più alto registrato negli ultimi venticinque anni. Il 68 per cento ritiene, inoltre, che il loro Paese abbia beneficiato dell'appartenenza all'Unione, la cifra più alta dal 1983.

L'uscita del Regno Unito avrà un impatto inevitabile sul processo di integrazione dell'Unione europea e comporterà un significativo cambiamento anche nel rapporto tra Paesi appartenenti alla zona euro e quelli che ne sono fuori, alterandone gli equilibri. In questo quadro di grande complessità politica, economica e sociale si colloca il provvedimento oggi alla nostra attenzione.

Il disegno di legge approvato dal Senato si è reso necessario per assicurare la sicurezza, la stabilità finanziaria e l'integrità dei mercati nonché la tutela della salute e della libertà di soggiorno dei cittadini italiani e di quelli del Regno Unito in caso di recesso dall'Unione europea senza accordo: hard Brexit or no deal.

Come deputata eletta in Europa devo dire che un provvedimento che assicurasse la tutela ai cittadini italiani nel Regno Unito, tra le comunità più numerose e articolate della nostra emigrazione, era atteso da tempo. Con il disegno di legge vengono accelerati i termini per l'iscrizione all'AIRE. Il decreto-legge prevede, inoltre, il potenziamento dei servizi consolari in Gran Bretagna e stanzia circa 6 milioni di euro l'anno per manutenzione, ristrutturazione e acquisto di immobili, per finanziare nuove attrezzature e per l'aumento di personale delle sedi diplomatiche. Vengono, altresì, disciplinate le tutele per i cittadini inglesi in Italia per i quali ci sarà un doppio regime in materia di residenza: chi vi risiede in modo continuativo da almeno cinque anni alla data del 29 marzo 2019 avrà diritto al permesso di soggiorno UE di lungo periodo, mentre per chi è in Italia da almeno tre mesi ma da meno di cinque anni sarà rilasciato un permesso di soggiorno elettronico per residenza della durata di cinque anni rinnovabile alla scadenza. Per i cittadini del Regno Unito è prevista anche una disciplina transitoria in tema di concessione della cittadinanza italiana.

Il provvedimento stabilisce che le norme europee in materia di coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale continueranno ad applicarsi, per quanto riguarda i diritti in materia di tutela della salute, fino al 31 dicembre 2020, a condizione di reciprocità con i cittadini italiani, ai cittadini del Regno Unito ed agli apolidi rifugiati soggetti alla legislazione di tale Stato, nonché ai relativi familiari e superstiti. Sono fatti salvi anche i diritti e i doveri degli studenti e dei ricercatori del Regno Unito già presenti in Italia alla data del recesso o, comunque, che lo saranno entro l'anno accademico 2019-2020 sempre a condizione di reciprocità.

Come Partito Democratico, non abbiamo fatto mancare il nostro contributo per migliorare il testo e venire incontro a richieste e sollecitazioni della comunità italiana che vive dentro e fuori i confini nazionali. In particolare, abbiamo presentato emendamenti tesi a modificare le norme introdotte dal decreto-legge sicurezza in materia di cittadinanza per quanto attiene l'obbligatorietà della certificazione linguistica riferita al livello B1, che proponiamo di portare a livello A2, e ai tempi di risposta previsti in 48 mesi, che noi proponiamo di riportare a 24. Le norme del decreto-legge sicurezza, del resto, stanno creando grandi difficoltà alle coppie miste composte da cittadini italiani e cittadini britannici, soprattutto in questo momento di incertezza.

I due emendamenti del collega Ungaro, inoltre, volti rispettivamente ad assicurare il riscatto integrale dei contributi versati dai cittadini italiani nei fondi pensione privati del Regno Unito e a creare meccanismi di chiamata diretta di personale medico sanitario impiegato nel Regno Unito - si stima che siano oltre 6 mila i medici italiani che lavorano in Gran Bretagna - per sopperire alla carenza di personale nell'ambito del Servizio sanitario nazionale avrebbero rappresentato un segnale di attenzione e di sensibilità del Governo italiano.

Concludendo, il processo avviato con il Brexit apre prospettive incerte eppure mai come in questo momento il mondo ha bisogno di un'Europa democratica rispettosa dei diritti umani ed equilibratrice rispetto alle spinte disintegranti che provengono dagli USA di Trump, dal neosovranismo strisciante della Russia di Putin e dall'espansionismo vorace della Cina.

Dobbiamo aver, dunque, l'idea che le prossime elezioni europee non sono una qualsiasi scadenza elettorale ma un passaggio epocale denso di implicazioni rispetto ai valori di fondo della democrazia e degli equilibri internazionali.

Nonostante il Brexit, anche la Gran Bretagna si appresta a votare per le europee. Il 7 maggio è stato l'ultimo giorno oltremanica per registrarsi: secondo i dati ufficiali del Governo, hanno fatto richiesta oltre 130 mila persone residenti in UK, una cifra addirittura superiore a quella dell'ultimo giorno di registrazione delle elezioni locali in Inghilterra e Irlanda del Nord la settimana scorsa. Ma soprattutto, di questi 130 mila, il 57 per cento ha meno di 35 anni; mentre solo il 7 per cento è over 64. Ciascun voto peserà certamente sulla condizione e sul futuro di ognuno di noi, delle nostre famiglie e delle comunità alle quali apparteniamo ma tenderà anche a rimbalzare sulla vita di chi nemmeno risiede in Europa e pensa di stare al sicuro da quello che in essa succede. E questo accade non solo per gli effetti della globalizzazione ma perché la democrazia, che oggi vive una stagione di transizione rispetto al modello consolidato all'indomani della Seconda guerra mondiale, è una, indivisibile e oggi deve superare una difficile prova (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Forza Italia-Berlusconi Presidente).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Alessia Rotta. Ne ha facoltà.

ALESSIA ROTTA (PD). Presidente, colleghi, il decreto-legge in esame, come è stato ampiamente illustrato, pone in essere misure volte a garantire la sicurezza delle persone ma anche dei mercati finanziari, la tutela della salute e della libertà di soggiorno dei nostri cittadini e di quelli del Regno Unito in caso di Brexit.

Questa, come è stato detto, è un rischio ancora pendente, un'incognita a fronte di qualcosa - naturalmente noi speriamo che non avvenga - ma rispetto alla quale non possiamo dimostrarci impreparati come Paese. Ma c'è l'aspetto inquietante di qualcosa che abbiamo già perduto come cittadini europei ed italiani e che si è già manifestato ampiamente in occasione del voto su Brexit ma che, come vedremo, ha anche il rischio di contagio nel nostro Paese. Stiamo parlando del diritto ad una informazione corretta, non inquinata. La democrazia passa, infatti, dalla conoscenza e, se la conoscenza è avvelenata ad arte, a pagamento, al soldo di qualcuno, nell'ignoranza dei cittadini, dei destinatari, le conseguenze sulla nostra libertà di formarci un'opinione e, quindi, di decidere consapevolmente sono compromesse gravemente.

È una vicenda che vale la pena di ripercorrere qui, nei luoghi delle istituzioni, dove si esercita e protegge la democrazia previa dura lotta e attraverso conquiste come i nostri predecessori ci hanno insegnato.

È ormai infatti accertato - lo dobbiamo alla stampa libera britannica - che a condizionare pesantemente la percezione e, quindi, la decisione di milioni di cittadini sulla scelta di Brexit sia stata una campagna condotta su Facebook con 750 milioni di sterline di dubbia provenienza. C'è ad esempio - ce lo ha raccontato ampiamente Carole Cadwalladr dell'Observer - una cittadina del Galles meridionale in cui il leave ha ottenuto il 62 per cento. Ebbene, in questa cittadina, però tutto quello che funziona, un college nuovissimo, una nuova stazione ferroviaria, nuove strade… queste cose, funzionano perché c'è l'Unione Europea, per fondi derivanti dall'Unione Europea, eppure ha prevalso il leave.

Com'è potuto accadere? È questo l'interrogativo che dobbiamo porci. Ebbene la risposta che la giornalista dell'Observer dà in questa inchiesta durata molti mesi è che è accaduto attraverso il condizionamento di Facebook: come è possibile, cioè, che cittadini di questa cittadina del Galles, in cui c'era una sola persona, una sola straniera di origine polacca, percepissero invece di essere invasi dai migranti? Non è solo la questione di un post, di una menzogna, di una percezione deviata in maniera passeggera. Noi, come la giornalista dell'Observer e come molti in Europa e non solo, siamo preoccupati e pensiamo che la storia debba riguardarci e vada ben oltre Brexit. La giornalista dice che questa non è più democrazia, diffondere bugie anonime pagate con denaro illegale, Dio sa proveniente da dove. Questa si chiama sovversione. Quello che sembrano in molti ad ignorare, dice la giornalista, è più grande di ciascuno di noi: non riguarda la destra e la sinistra; non riguarda prettamente e solamente il leave o il remain, Trump oppure no; riguarda il fatto se sia possibile avere ancora elezioni libere e corrette.

Dunque, ci chiediamo anche come è stato possibile per Facebook, insieme a Cambridge Analytica, di avere così agio, di avere terreno così fertile. Riteniamo che debba essere cura delle democrazie europee e delle democrazie di tutto il mondo occuparsi di quanto ci rende cittadini consapevoli, cittadini quindi liberi di esercitare i propri diritti oltre che i propri doveri. Invece, riteniamo che ci sia un tentativo, neanche troppo poco strisciante, di rendere i cittadini, al contrario, meno consapevoli anche in Italia, poveri intellettualmente e privi, sempre più privi di strumenti per formarsi e informarsi liberamente.

Un'altra studiosa, Shoshana Zuboff, autrice del libro Il capitalismo della sorveglianza, il futuro dell'umanità nell'era dei nuovi poteri, sostiene che questo potere da parte di qualcuno, in particolare di Facebook, di conoscere e modificare il comportamento umano non ha precedenti e, quindi, non ha conseguenze precedenti nella nostra storia.

Ritengo che anche in Italia dobbiamo stare molto attenti perché corriamo lo stesso pericolo che voi del Governo avallate o, meglio, favorite; quello di una comunicazione distorta, improntata sulle fake news, sui social media: non a caso le pagine che sono state chiuse proprio ieri, molte di queste, afferiscono a voi.

Allora vogliamo soffermarci un secondo su questo: sono 23 le pagine chiuse in seguito alla segnalazione della ONG Avaaz; diffondevano bufale e incitazioni all'odio, soprattutto con argomentazioni di estrema destra a sostegno di Lega e MoVimento 5 Stelle; avevano un totale di 2 milioni e mezzo di follower, ma ne raggiungevano evidentemente molti di più per effetto della viralizzazione. Questo sistema - dice sempre lo stesso report - potrebbe essere molto più ampio e, in particolare, conterebbe 14 sotto reti. Sempre per rimanere ai numeri: 18,26 milioni di follower, complessivamente 104 pagine, 23 milioni di interazioni. Stiamo parlando di tanta roba, tanta roba che dovrebbe muovere le menti e le consapevolezze, oppure distorcerle, come questo è il caso. Noi diciamo ciò anche in vista dell'importante appuntamento che ci riguarda, quello del 26 maggio delle elezioni europee.

C'è un altro studioso, definito cacciatore di teste, Max Cupersky, che ci aveva già avvisato prima del 4 marzo; egli aveva detto che l'Italia è in pericolo, come tutti gli altri Paesi e che chi pensa il contrario vive nel mondo dei sogni. D'altra parte, è questo che sta facendo questo Governo. Da un lato, state sottraendo risorse all'unico settore della vita pubblica che consente alla democrazia di essere sana e soprattutto ai cittadini di essere dei cittadini consapevoli, emancipati: istruzione, scuola, università, ricerca, cultura; togliete tutto e i provvedimenti, anche di questi giorni, stanno lì a dimostrarlo. Il vostro disegno ormai è chiaro; si fonda, quindi, su questi due capisaldi: da un lato, la narrazione di un racconto mendace, pieno di fake news, queste pagine e la chiusura di queste pagine stanno a dimostrare quello; dall'altro lato, togliere strumenti per valutare, perché i cittadini possano valutare con consapevolezza. Ma badate bene, perché crediamo che questo sia un disegno pericoloso e potrebbe rivoltarsi ben presto contro di voi (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - A.C. 1789)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore, deputato Paolo Giuliodori. Prendo atto che rinunzia.

Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo, sottosegretario Villarosa. Prendo atto che rinuncia.

Il seguito del dibattito è rinviato alla parte pomeridiana della seduta.

Sull'ordine dei lavori.

ENRICO BORGHI (PD). Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ENRICO BORGHI (PD). La ringrazio, signor Presidente. Innanzitutto, vorremmo ringraziarla della cortesia, che ci ha usato all'inizio dei nostri lavori, di dare lettura della laconica missiva con la quale il Presidente del Consiglio ha informato questo Parlamento delle avvenute dimissioni del sottosegretario Siri. Il gruppo del Partito Democratico aveva chiesto in Aula che il Governo venisse a riferire mercoledì scorso, all'indomani di notizie di agenzia che davano per fatta l'adozione di un provvedimento, all'interno del Consiglio dei ministri, relativo al dimissionamento del predetto sottosegretario.

Vede, signor Presidente, noi non possiamo accontentarci di una laconica comunicazione al Parlamento, per due ordini di questioni: la prima, verrebbe da dire repetita iuvant e forse, prima o poi, anche le forze del cambiamento che ci governano prenderanno atto che siamo in una Repubblica parlamentare e quindi il Parlamento deve…

PRESIDENTE. Chiedo scusa, deputato Borghi. Pregherei il sottosegretario Villarosa, che è sempre molto cortese, di prendere posizione sui banchi del Governo, perché c'è un intervento sull'ordine dei lavori che riguarda una comunicazione del Governo, sottosegretario. La ringrazio.

ENRICO BORGHI (PD). La ringrazio, signor Presidente. Stavo dicendo - quindi riprendo le fila del concetto, visto che nel frattempo il rappresentante del Governo del cambiamento aveva deciso anche di cambiare il proprio atteggiamento e quindi lei molto giustamente lo ha richiamato all'esigenza di dover svolgere le funzioni del suo ufficio e del compito al quale egli è preposto - che questa è una Repubblica parlamentare e che, quindi, il Governo è soggetto all'obbligo di dover riferire alle Camere rispetto ad ogni attività, ad ogni adempimento e allo svolgimento delle proprie funzioni.

Tuttavia, la gravità del fatto risiede nel motivo per il quale siamo giunti a queste dimissioni. Signor Presidente, all'interno del Governo, non personalità di secondo piano, ma il Vice Presidente del Consiglio Di Maio ha richiamato esplicitamente alla parola “mafia” l'esigenza del dimissionamento del sottosegretario Siri. Dall'interno del Governo, esponenti autorevoli del MoVimento 5 Stelle hanno adombrato circa l'effettiva corrispondenza del sottosegretario rispetto alla questione morale. Non dall'opposizione, ma dal Governo e all'interno del Governo è stato sventolato il tema dei mutui concessi al sottosegretario Siri come elementi che dovevano stare alla base della revoca di quel mandato.

Sono fatti di una gravità assoluta e il Governo che fa? Alla chetichella, il Presidente del Consiglio manda alle Camere una comunicazione di due righe: due! Cioè, mentre tutto il Paese è stato bloccato da una discussione al calor bianco tra Ministri, Vice ministri e forze politiche di Governo, in settimane nelle quali i principali mezzi di comunicazione del nostro Paese hanno parlato di una escalation mediatica e politica, fino addirittura ad adombrare il rischio di una crisi di Governo - e concludo, signor Presidente -, il Presidente del Consiglio cosa fa? Anziché venire qui e spiegare realmente quali siano i motivi della revoca, anziché mandare il Ministro per i rapporti con il Parlamento a spiegarci come stanno le cose, ha mandato un sottosegretario, che nel momento in cui abbiamo posto questo tema, forse perché si vergognava, si è alzato e se ne è andato. Mi pare che sia stata la rappresentazione più plastica della situazione in essere (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. La ringrazio, deputato Borghi. Intanto, vorrei sottolineare che il sottosegretario Villarosa non sapeva di dover restare perché aveva esaurito il suo compito e io mi sono solo permesso di chiedergli di tornare ad ascoltarla. La lettura della lettera e la lettera stessa sono atti dovuti, quindi io l'ho letta perché il Presidente del Consiglio ha il dovere, comunque, di informare il Parlamento. Le indicazioni che lei ha fatto rilevare saranno esaminate, intanto dal sottosegretario, che rappresenta il Governo e che le riferirà al Presidente Conte, e comunque sono agli atti, a verbale, dei nostri lavori e verranno così esaminate anche dal Presidente Fico.

Discussione della proposta di legge: Morani: Modifiche all'articolo 5 della legge 1° dicembre 1970, n. 898, in materia di assegno spettante a seguito di scioglimento del matrimonio o dell'unione civile (A.C. 506-A) (ore 12,58).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge n. 506-A: Modifiche all'articolo 5 della legge 1° dicembre 1970, n. 898, in materia di assegno spettante a seguito di scioglimento del matrimonio o dell'unione civile.

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi per la discussione generale è in distribuzione e sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta odierna (Vedi l'allegato A).

(Discussione sulle linee generali – A.C. 506-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari MoVimento 5 Stelle e Forza Italia ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.

Avverto, altresì, che la II Commissione (Giustizia) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire la relatrice, deputata Alessia Morani.

ALESSIA MORANI, Relatrice. Grazie, Presidente. Onorevoli colleghe e colleghi, rappresentante del Governo, l'Assemblea abbia oggi l'esame della proposta di legge, a mia firma, che reca “Modifiche all'articolo 5 della legge 1° dicembre 1970, n. 898, in materia di assegno spettante a seguito di scioglimento del matrimonio o dell'unione civile”.

Ricordo in via preliminare che questa proposta di legge recupera i contenuti dell'analoga iniziativa assunta nel corso della scorsa legislatura dall'allora presidente della Commissione giustizia, onorevole Donatella Ferranti. Si trattava della proposta di legge C. 4605, che approvammo in sede referente il 21 dicembre 2017, però mai esaminata dall'Aula.

La proposta di legge in esame, come la citata proposta di legge dell'onorevole Ferranti, interviene dopo un significativo pronunciamento della Corte di cassazione, che nel 2017 ha modificato, dopo molti anni, la propria precedente e consolidata giurisprudenza, tanto da richiedere un intervento interpretativo delle Sezioni unite, giunto con la sentenza 11 luglio 2018, n. 18.287.

Pertanto, prima di procedere alla illustrazione del provvedimento, ritengo opportuno ricostruire brevemente il quadro normativo e giurisprudenziale in materia di assegno di divorzio.

Ricordo che il diritto al mantenimento di uno degli ex coniugi a spese dell'altro può essere sancito dal giudice con la sentenza di divorzio: l'articolo 5, comma 6, della legge 898 del 1970, legge sul divorzio, così come modificata poi dalla legge 6 marzo 1987, n. 74, stabilisce che il tribunale dispone l'obbligo per un coniuge di somministrare in via periodica a favore dell'altro un assegno, quando quest'ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive. Tale decisione deve tener conto di una serie di elementi: le condizioni dei coniugi, le ragioni della decisione, il contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, il reddito di entrambi, la durata del matrimonio, alla cui luce vanno valutati i precedenti elementi. L'accertamento del diritto all'assegno si articola in due fasi: la prima, che è volta ad accertare in astratto il diritto a percepire l'assegno, la seconda, che è finalizzata alla sua determinazione in concreto.

Fino al 2017 la giurisprudenza, integrando la scarna normativa, ha concordemente affermato su tutte le Sezioni unite civili – sentenze nn. 11490 e 11492 del 1990 – che il presupposto per concedere l'assegno di mantenimento, l'an debeatur, fosse costituito dall'inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente a conservare un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio, senza che fosse necessario provare uno stato di bisogno dell'avente diritto. Quindi il coniuge richiedente poteva anche essere economicamente autosufficiente, ma se, a seguito del divorzio, vi era un apprezzabile deterioramento delle condizioni economiche godute durante il matrimonio, in linea di massima queste dovevano essere ripristinate dal giudice determinando la misura concreta dell'assegno, il cosiddetto quantum debeatur, in base alla valutazione ponderata e bilaterale dei criteri sopra elencati con riguardo al momento della pronuncia del divorzio.

Questo costante orientamento in materia di assegno divorzile è stato rivoluzionato dalla sentenza n. 11504 del 10 maggio 2017, conosciuta come sentenza Grilli, della Cassazione, che ha ritenuto superato, nell'ambito dei mutamenti economico-sociali intervenuti, il riferimento al diritto a mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio. Si legge nella sentenza Grilli che occorre superare la concezione patrimonialistica del matrimonio inteso come sistemazione definitiva, perché ormai generalmente condiviso nel costume sociale il significato del matrimonio come atto di libertà e di autoresponsabilità, nonché come luogo degli affetti ed effettiva comunione di vita, e, in quanto tale, indissolubile. Si deve quindi ritenere - afferma la Cassazione - che non sia configurabile un interesse giuridicamente rilevante o protetto dell'ex coniuge a conservare il tenore di vita matrimoniale. La Corte ha ritenuto che con la sentenza di divorzio il rapporto matrimoniale si estingue non solo sul piano personale, ma anche su quello economico-patrimoniale, sicché ogni riferimento a tale rapporto finisce illegittimamente con il ripristinarlo, sia pure limitatamente alla dimensione economica del tenore di vita matrimoniale, in una indebita prospettiva di ultrattività del vincolo matrimoniale. Dunque, secondo la Suprema Corte, per valutare il diritto o meno all'assegno di divorzio va individuato un parametro diverso, cioè il raggiungimento dell'indipendenza economica del coniuge richiedente: se si accerta la sua indipendenza economica, viene meno il diritto all'assegno.

Nel corso del 2017 e durante i primi mesi del 2018, la Prima sezione della Cassazione ha più volte ribadito il proprio orientamento, ma finendo per proporre una rilettura più flessibile del criterio dell'autosufficienza economica: la Corte di cassazione ha, infatti, affermato la necessità di adeguare il parametro dell'autosufficienza alle caratteristiche soggettive del coniuge richiedente l'assegno, alla sua specifica individualità, al contesto sociale in cui è inserito (su tutte, Cassazione 26 gennaio 2018, n. 2042). Questa lettura più mite del criterio dell'autosufficienza economica era stata anticipata da alcuni giudici di merito – corte d'appello di Milano 16 novembre 2017 –, mentre altra parte della giurisprudenza di merito si era adeguata al nuovo orientamento: ad esempio il tribunale di Milano, con l'ordinanza 22 maggio e la sentenza del 5 giugno 2017; il tribunale di Palermo, con la sentenza 26 giugno 2017; il tribunale di Roma, sentenza 1° agosto 2017. E, d'altra parte ancora, aveva invece espressamente disatteso l'insegnamento della sentenza di legittimità, la n. 11504 del 2017, il tribunale di Udine, il 1° giugno 2017, e la corte d'appello di Napoli, il 22 febbraio 2018. Anche in dottrina, se la maggior parte dei commentatori aveva visto con favore il superamento del tenore di vita familiare come criterio indiscriminato per la valutazione dell'adeguatezza dei redditi del coniuge richiedente l'assegno, da più parti si era anche evidenziato come il nuovo orientamento rischiasse di comprimere oltre ogni ragionevolezza i diritti del coniuge, che durante il matrimonio ha sacrificato le proprie aspirazioni lavorative e professionali per dedicarsi in via esclusiva o prevalente alle esigenze della famiglia. Tanto la giurisprudenza quanto la dottrina hanno, dunque, invocato un intervento delle Sezioni Unite, che, come anticipato, è giunto con la sentenza 11 luglio 2018, n. 18287. La Cassazione a Sezioni Unite, nel dirimere il contrasto interpretativo vertente sui presupposti di attribuzione dell'assegno di divorzio, ha disatteso il criterio dell'indipendenza economica proposto dalla I sezione, pur condividendo comunque l'abbandono del criterio tradizionale del tenore di vita matrimoniale. Le Sezioni Unite hanno, infatti, affermato che all'assegno di divorzio in favore dell'ex coniuge deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi dell'articolo 5, comma 6, della legge n. 898 del 1970: ciò richiede l'accertamento dell'inadeguatezza dei mezzi dell'ex coniuge istante e dell'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi criteri equiordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sull'attribuzione sia sulla quantificazione dell'assegno. Il giudizio dovrà essere espresso, in particolare, alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e della formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio e all'età dell'avente diritto. La Corte ha precisato anche che la funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch'essa assegnata dal legislatore all'assegno di divorzio, non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dell'ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi.

Conclusa questa doverosa premessa sul contesto giurisprudenziale in cui si inserisce la proposta di legge che discutiamo, faccio presente che essa è stata esaminata dalla Commissione giustizia anche a seguito di un breve, ma esaustivo ciclo di audizioni, che ha coinvolto magistrati impegnati nel settore, docenti universitari di diritto privato, nonché rappresentanti dell'Osservatorio nazionale sul diritto di famiglia, del Consiglio nazionale forense, dell'Organismo congressuale forense e dell'Associazione italiana degli avvocati per la famiglia e per i minori. Ricordo, a questo proposito, che nella scorsa legislatura la proposta Ferranti fu approvata dalla Commissione giustizia il 21 dicembre 2017, dopo un'indagine conoscitiva anche in quel caso nell'ambito della quale sono stati auditi diversi illustri docenti universitari di diritto privato: cito in particolare per il loro preziosissimo contributo scientifico il professor Cesare Massimo Bianca, libero docente di diritto civile, e Mirzia Bianca, professoressa di istituzioni di diritto privato presso l'Università degli studi di Roma “La Sapienza”, i presidenti della I sezione civile dei tribunali di Roma e del tribunale di Firenze, i rappresentanti dell'Osservatorio nazionale sul diritto di famiglia, del Consiglio nazionale forense e dell'Organismo congressuale forense, nonché dell'Associazione italiana degli avvocati per la famiglia e per i minori. Obiettivo dell'intervento normativo è quello di garantire un equo bilanciamento degli interessi in gioco in occasione dello scioglimento del matrimonio e dell'unione civile, evitando che tale circostanza sia causa di un indebito arricchimento, da una parte, o di un degrado esistenziale del coniuge economicamente debole.

Appare, a mio avviso, così ancora, in questo nuovo e proficuo esame, necessario considerare che proprio nella direzione che indica il nostro ordinamento sono orientati gli ordinamenti europei, dove è tenuta presente l'esigenza che al coniuge divorziato debole venga dato un aiuto economico destinato, per quanto possibile, a compensare la disparità o lo squilibrio economico creato dallo scioglimento del matrimonio o dell'unione civile. L'accertamento del diritto all'assegno si dovrebbe, a mio avviso, così come era nella formulazione originaria della proposta di legge in esame, articolarsi in due fasi: la prima volta ad accertare in astratto il diritto a percepire l'assegno; la seconda finalizzata alla sua determinazione in concreto.

All'esito dell'istruttoria svolta dalla Commissione, il testo originario del provvedimento, che riproponeva per larga parte quello proposto nella passata legislatura, è stato parzialmente modificato, al fine di tener conto di alcuni dei rilievi e delle osservazioni emersi anche nel corso delle audizioni.

Il testo risultante dagli emendamenti approvato dalla Commissione di merito si compone di due articoli, attraverso i quali si modifica l'articolo 5 della legge sul divorzio, con effetto anche sui procedimenti per lo scioglimento del matrimonio già in corso. In particolare, i commi 1 e 2 dell'articolo 1 della proposta di legge intervengono sull'articolo 5 della citata legge sul divorzio, ripartendo su due commi i contenuti dell'attuale sesto comma, aggiungendo due ulteriori commi, nonché provvedendo ad abrogarne l'attuale decimo comma per ragioni di coordinamento normativo.

Durante l'esame in Commissione, come dicevo, è stato cambiato il comma 1 dell'articolo; ciò non impedisce, però, di esplicitare, attraverso questa mia breve relazione, anche la volontà del legislatore, per aiutare e dare strumenti alla funzione ermeneutica a cui è chiamato il giudice. A parere della sottoscritta, ma anche di autorevoli auditi, la previsione del primo comma rispettava e rispecchiava anche le Sezioni Unite della Cassazione e dava atto della natura composita dell'assegno di divorzio che, occorre ricordare, ha una natura assistenziale, compensativa e risarcitoria, fornendo sostanza e le necessarie premesse anche rispetto all'introduzione del comma 2, dove sono elencati i criteri per la determinazione dell'assegno medesimo. In base al nuovo sesto comma, con la sentenza di divorzio il tribunale può disporre l'attribuzione di un assegno a favore di un coniuge, tenuto conto di una serie di circostanze, elencate dal successivo nuovo settimo comma. Rispetto alla normativa vigente, che collega il diritto di uno dei due coniugi a percepire l'assegno quando è sprovvisto di mezzi adeguati o nell'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, il testo in esame elimina questo presupposto. Altre novità riguardano gli elementi da valutare, per la determinazione del quantum dell'assegno periodico, da parte del tribunale, che diventano oggetto di un nuovo settimo comma, in base al quale l'attuale ampio concetto di condizioni dei coniugi - che per la giurisprudenza comprende le condizioni sociali e di salute, l'età, le consuetudini, il sistema di vita dipendente dal matrimonio, il contesto sociale ed ambientale in cui si vive, in quanto idonei ad influenzare le capacità economiche e di guadagno dei coniugi - è sostituito da quello, più specifico, di condizioni personali ed economiche in cui i coniugi vengono a trovarsi a seguito della fine del matrimonio. Il richiamo attuale alle ragioni che hanno motivato la cessazione del matrimonio è soppresso; la valutazione della situazione economica non è più circoscritta al solo reddito, ma è estesa anche al patrimonio dei coniugi; viene confermata la valutazione del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno e di quello comune, come già previsto dall'attuale sesto comma dell'articolo 5 della legge n. 898 del 1970.

Rispetto al testo vigente, la durata del matrimonio è indicata, nella proposta di legge, come elemento valutativo autonomo; sono poi aggiunti ulteriori elementi di valutazione quali: l'impegno di cura personale di figli comuni minori, disabili o non economicamente indipendenti, la ridotta capacità di reddito dovuta a ragioni oggettive e la mancanza di una adeguata formazione professionale quale conseguenza dell'adempimento di doveri coniugali, l'età o lo stato di salute del soggetto richiedente. Si tratta, sostanzialmente, di un rafforzamento mediante il riconoscimento con legge di specifici elementi di valutazione già comunque operanti in sede giurisprudenziale.

Con il nuovo ottavo comma, la proposta di legge introduce un'altra innovazione all'attuale disciplina, prevedendo che, ove la ridotta capacità di produrre reddito da parte del coniuge del richiedente sia momentanea, dovuta, quindi, a ragioni contingenti o superabili, il tribunale possa attribuire l'assegno anche solo per un determinato periodo. Con l'inserimento di un nono comma la proposta di legge afferma che l'assegno non è dovuto in caso di nuovo matrimonio, nuova unione civile o stabile convivenza - così come previsto dall'articolo 1, comma 36, della legge 20 maggio 2016, n. 76, la cosiddetta legge Cirinnà - anche non registrata. Come dicevo, la proposta di legge afferma che l'assegno non è dovuto in caso di nuovo matrimonio, nuova unione civile o stabile convivenza del richiedente e precisa che il diritto all'assegno non rivive a seguito della cessazione del nuovo vincolo e del nuovo rapporto di convivenza. Di conseguenza, il comma 3, introdotto durante l'esame in sede referente, sopprime il decimo comma del vigente articolo 5 della legge sul divorzio, che esclude l'obbligo di corresponsione dell'assegno in caso di nuove nozze, in quanto tale previsione è assorbita nel nuovo nono comma del predetto articolo che ho appena illustrato.

Il comma quarto dell'articolo 1 della proposta di legge in esame conferma l'applicazione delle nuove disposizioni sull'assegno di divorzio anche allo scioglimento delle unioni civili, unioni civili di cui abbiamo appena festeggiato i tre anni di introduzione, e le modifiche a tale ultima disposizione hanno, infatti, natura di coordinamento con la illustrata novella dell'articolo 5 della legge sul divorzio.

L'articolo 2 della proposta di legge, infine, contiene la norma transitoria in base alla quale i nuovi presupposti e i criteri per il riconoscimento dell'assegno di divorzio si applicano anche ai procedimenti per lo scioglimento e la cessazione degli effetti civili del matrimonio in corso (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo. Prendo atto che si riserva di intervenire nel prosieguo.

Salutiamo, intanto, gli alunni della scuola secondaria di secondo grado Fabriano Ovest Marco Polo di Fabriano, in provincia di Ancona, che sono qui ad assistere ai nostri lavori (Applausi).

È iscritta a parlare la deputata Valentina D'Orso. Ne ha facoltà.

Senza che venga interpretata come una cosa prescrittiva, perché non lo è, mi preme segnalare e ricordare ai colleghi che alle ore 15 sono previste le votazioni. Quindi, dovremmo tentare di concludere la discussione generale non solo su questo provvedimento, ma anche sul successivo, perché ce n'è un altro, entro quell'ora.

Quindi, se ritenete, nella piena libertà della gestione dei vostri tempi, dovremmo fare qualche sforzo per contenere i nostri interventi.

Prego, deputata D'Orso.

VALENTINA D'ORSO (M5S). Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, rappresentante del Governo, oggi, approda in Aula la proposta di legge recante modifiche all'articolo 5 della legge 1° dicembre 1970, n. 898, in materia di assegno spettante a seguito di scioglimento del matrimonio e dell'unione civile, a firma della collega deputata Morani, un testo che rappresenta il frutto di un lavoro approfondito e condiviso svolto dalla Commissione giustizia, con il quale si intende regolamentare, con necessaria chiarezza, un profilo delicato la cui attuale disciplina ha consentito differenti interpretazioni ed applicazioni giurisprudenziali sia da parte dei giudici di legittimità che di merito, fino a creare nette contrapposizioni in ordine alla funzione e natura dell'istituto. Un intervento normativo che si appalesa indispensabile, anche in ragione delle mutate sensibilità sociali con riguardo all'istituto del matrimonio e dei principi sottesi alle riforme in materia di matrimonio e famiglia. Al fine di meglio comprendere il senso e la inevitabilità dell'intervento normativo oggi all'esame appare opportuno procedere ad un breve excursus delle modifiche e delle interpretazioni della norma che si sono susseguite nel tempo. Ab origine, tale misura dell'assegno divorzile, prevista nell'articolo 5, comma 4, della legge n. 898 del 1970, trovava la sua ratio nell'esigenza di assicurare una sorta di ultrattività del matrimonio anche dopo lo scioglimento del vincolo; in particolare, poco dopo l'entrata in vigore della norma, la dottrina prevalente e la giurisprudenza di legittimità avevano ritenuto che l'assegno di divorzio avesse natura composita, ossia una triplice funzione: assistenziale, risarcitoria, indennitaria e compensativa. D'altra parte, già nel 1975, la Corte costituzionale aveva invece negato il carattere alimentare dell'assegno di divorzio, presupponendo, il primo, il mantenimento in essere del vincolo, mentre, il secondo, il suo scioglimento definitivo. L'orientamento suddetto trovava il suo fondamento nel modello coniugale vigente all'epoca, basato su ruoli endofamiliari distinti ed eziologicamente condizionanti la posizione economico patrimoniale di ciascuno dei coniugi dopo lo scioglimento dell'unione matrimoniale, sicché nel momento in cui vennero poste in luce le profonde mutazioni nella società civile e l'affermazione dei principi di autoresponsabilità e autodeterminazione, da valere anche nelle scelte relazionali, il legislatore avvertì l'esigenza di intervenire per rendere la disciplina dell'assegno divorzile più attuale e rispondente alle esigenze sociali.

Il legislatore, allora, con la legge n. 74 del 1987, modificò l'articolo 5, comma 6, nel senso di prevedere in modo distinto, quale criterio attributivo ai fini del riconoscimento dell'assegno divorzile, l'inadeguatezza dei mezzi e l'impossibilità di procurarseli per ragioni obiettive da parte del richiedente. Tuttavia, l'intento del legislatore dell'epoca non fu chiaro e lineare, sicché il nuovo criterio dell'adeguatezza dei mezzi si pose da subito al centro di un vivace dibattito dottrinale e giurisprudenziale che vide opposti due orientamenti. Secondo un primo orientamento, che valorizzava la funzione esclusivamente assistenziale, l'adeguatezza dei mezzi doveva interpretarsi come adeguatezza a vivere una vita libera e dignitosa.

Secondo l'orientamento opposto, il parametro interpretativo del criterio inserito dal legislatore del 1987 era invece quello del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio.

Coerente a tale ultima interpretazione sembrava essere la contestuale introduzione della rigorosa indagine comparativa dei redditi e dei patrimoni degli ex coniugi, che presupponeva dunque un confronto tra le condizioni economico-patrimoniali di entrambi i coniugi e non l'esclusiva valutazione delle condizioni del coniuge richiedente l'assegno. Il contrasto tra le Sezioni semplici veniva risolto dalla storica sentenza Sezioni Unite n. 11490 del 1990, che, nell'affermare il carattere esclusivamente assistenziale dell'assegno divorzile, aderiva però alla tesi dell'inadeguatezza dei mezzi da intendersi come insufficienza degli stessi a conservare al richiedente un tenore di vita analogo a quello tenuto in costanza di matrimonio, così consacrando il criterio dell'adeguatezza, nell'accezione appena precisata, quale unico criterio attributivo ai fini del riconoscimento dell'assegno divorzile, e relegando agli altri criteri indicati nell'articolo 5, comma 6, la sola funzione di criteri determinativi, che entravano in gioco solo dopo aver assolto positivamente la valutazione sull'an debeatur. Per le Sezioni Unite non era necessario l'accertamento di uno stato di bisogno nel richiedente, ma era sufficiente constatare un'apprezzabile deterioramento, in dipendenza del divorzio, rispetto alle precedenti condizioni economiche godute dallo stesso in costanza di matrimonio, e l'assegno doveva avere la funzione di tendere al ripristino di quelle condizioni. Una volta stabilito il diritto all'assegno di divorzio, il quantum debeatur veniva determinato secondo una valutazione ponderata di criteri quali le condizioni dei coniugi, le ragioni della decisione, il reddito e così via, con riguardo al singolo caso concreto e al momento della pronuncia di divorzio.

La portata e l'importanza della sentenza delle Sezioni Unite del 1990 è misurabile già solo considerando il tempo - quasi trent'anni - per cui il principio di diritto ivi sancito è stato applicato costantemente dai giudici di merito. Solo nel 2013, con una rimessione innanzi alla Corte costituzionale da parte del tribunale di Firenze si pose in dubbio il dogma del tenore di vita. Secondo i giudici fiorentini, infatti, il criterio dell'adeguatezza dei mezzi interpretato sulla base del solo criterio del tenore di vita si poneva in contrasto con il diritto vivente, essendo inadeguato ai nuovi valori della realtà sociale. La Corte costituzionale, però, riteneva infondata la questione di legittimità costituzionale, anche fondando la propria motivazione sul rilievo che il tenore di vita costituiva non già l'unico criterio bensì il tetto massimo della misura periodica, sicché, determinato l'an, la valutazione degli altri criteri poteva anche condurre all'azzeramento dell'assegno di divorzio nella definizione in concreto del quantum. Tuttavia, l'incidente di costituzionalità sollevato dal tribunale di Firenze nel 2013 aveva tracciato un solco che è stato recentemente percorso dalla rivoluzionaria pronuncia cosiddetta “Grilli” della Corte di cassazione del 10 maggio 2017. Con questa decisione, in ragione dei cambiamenti economico-sociali intervenuti, la giurisprudenza di legittimità ha opportunamente ritenuto superato il riferimento al diritto a mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, in quanto, come giustamente si legge nella citata sentenza, occorre superare la concezione patrimonialistica del matrimonio inteso come sistemazione definitiva, perché ormai generalmente condiviso nel costume sociale il significato del matrimonio come atto di libertà e di autoresponsabilità, nonché come luogo degli affetti e di effettiva comunione di vita e, in quanto tale, dissolubile. Da qui l'evidente e naturale conseguenza per cui non fosse più configurabile un interesse giuridicamente rilevante o protetto dell'ex coniuge a conservare il precedente tenore di vita matrimoniale, anche perché, con la sentenza di divorzio, osserva a ragion veduta la Corte di cassazione, il rapporto matrimoniale si estingue non solo sul piano personale ma anche economico-patrimoniale, sicché ogni riferimento a tale rapporto finisce illegittimamente con il ripristinarlo, sia pure limitatamente alla dimensione economica del tenore di vita matrimoniale, in un'indebita prospettiva di ultra attività del vincolo matrimoniale. Pertanto, secondo quest'ultimo arresto della Suprema corte, il diritto o meno all'assegno di divorzio va valutato sulla base del principio di autoresponsabilità economica di ciascuno degli ex coniugi, ossia del raggiungimento dell'indipendenza economica del coniuge richiedente. In altre parole, l'inadeguatezza dei mezzi doveva intendersi come stato di non autosufficienza economica del coniuge richiedente, e, solo all'esito del positivo accertamento di tale presupposto, potevano essere esaminati in funzione ampliativa del quantum i criteri determinativi, quali, ad esempio, e tra gli altri, il contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio di ciascuno e di quello comune. Nonostante nel corso del 2017 e dei primi mesi del 2018 la Prima sezione della Cassazione abbia più volte riaffermato con forza il proprio orientamento, è emersa una rilettura - anticipata da alcuni giudici di merito - più elastica e mite del criterio dell'autosufficienza economica.

Quest'ultimo andava infatti, secondo i giudici, adeguato alle caratteristiche soggettive del coniuge richiedente l'assegno, ossia alla sua specifica individualità piuttosto che al contesto sociale in cui è inserito. Una rilettura più mite che si rendeva doverosa alla luce dei dubbi profilatisi tra gli stessi commentatori della dottrina, che evidenziavano come il nuovo orientamento rischiasse di comprimere oltre ogni ragionevolezza i diritti del coniuge che, durante il matrimonio, ha sacrificato le proprie aspirazioni lavorative e professionali per dedicarsi esclusivamente o prevalentemente alle esigenze della famiglia. Tra l'altro, quest'ultima sentenza, benché giustificasse la conclusione raggiunta perché conforme ad una tendenza esistente in altre legislazioni, si allontanava però dai modelli più recenti seguiti all'estero. Infatti, nella sua motivazione risultano non pienamente scrutinate alcune circostanze che in molti Paesi stranieri impongono una solidarietà post-coniugale, con il risultato di proporre un criterio di quantificazione tendenzialmente unitario, che quindi dovrebbe semplificare le procedure, ma che restava insensibile al caso concreto, diversamente da quanto avviene, per esempio, in Germania e in Francia. L'autosufficienza veniva intesa infatti dalla pronuncia della Prima sezione civile del 10 maggio 2017 principalmente come autoresponsabilità, vale a dire come obbligo di ogni coniuge di provvedere ai propri bisogni dopo il divorzio. Proprio perché si tratta di una forma di responsabilità, però, detto principio conosce non solo fuori dal nostro paese ma anche nel nostro ordinamento alcune limitazioni, in ragione dell'operare degli altri principi, come quello appunto di solidarietà di cui all'articolo 2 della Costituzione, che deve evidentemente applicarsi anche all'interno di quella che è la formazione sociale per eccellenza: la famiglia. Non può trascurarsi che l'autodeterminazione individuale e la libertà di scegliere il percorso da imprimere alla propria futura esistenza possa essere talvolta condizionato dalle scelte comuni adottate dai coniugi nella vigenza della relazione coniugale, soprattutto con riguardo alla ripartizione dei ruoli endofamiliari e all'eventuale sacrificio delle aspettative lavorative e reddituali, scelte che sono talvolta irreversibili. Alla reversibilità della scelta relativa al legame matrimoniale non consegue infatti necessariamente e sempre una correlata flessibilità in ordine alle condizioni soggettive e alla sfera economico-patrimoniale dell'ex coniuge al momento della cessazione dell'unione matrimoniale. La sentenza della Cassazione del maggio 2017, nel portare sino alle estreme conseguenze il principio di autoresponsabilità, non offriva quindi una soluzione coerente con la nostra cornice costituzionale ed idonea a rispondere alle variegate esigenze sociali. Ancora una volta si profilava dunque un contrasto interpretativo sui presupposti di attribuzione dell'assegno divorzile, che la giurisprudenza di legittimità ha potuto dirimere solo con il tanto invocato intervento delle Sezioni Unite, giunto con la sentenza dell'11 luglio 2018 n. 18287. Con quest'ultima decisione le Sezioni Unite, condividendo l'abbandono del criterio tradizionale del tenore di vita matrimoniale, ha però sciolto l'annoso problema interpretativo. Secondo i giudici di piazza Cavour, ai fini del riconoscimento dell'assegno di divorzio deve richiedersi l'accertamento dell'inadeguatezza dei mezzi o comunque dell'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive attraverso l'applicazione dei criteri di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro di cui deve tener conto per la relativa attribuzione e determinazione, in particolare alla luce della valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi in relazione alla durata del matrimonio e all'età dell'avente diritto.

In altre parole, le Sezioni Unite sanciscono il definitivo superamento della rigida distinzione tra criterio attributivo e criteri determinativi, e stabiliscono che l'adeguatezza dei mezzi debba essere valutata proprio alla luce di quelli che in passato erano ritenuti meri criteri determinativi della misura dell'assegno. Un mutamento giurisprudenziale ritenuto da più fronti inevitabile e indispensabile, che il legislatore ha inteso oggi cogliere traducendo l'ultimo intento delle Sezioni Unite in quest'atto normativo, teso a chiarire quei profili che hanno dato luogo all'annoso contrasto interpretativo di cui ho dato conto lungo il mio intervento. In particolare, la riforma in discussione non solo supera il criterio dell'adeguatezza dei mezzi, rivelatosi fonte di ambiguità, ma, recependo l'insegnamento delle Sezioni Unite del 2018, supera altresì la netta distinzione tra criterio attributivo e criteri determinativi, stabilendo che con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio il tribunale possa disporre l'attribuzione di un assegno a favore di un coniuge tenuto conto di una serie di circostanze puntualmente dettagliate.

In particolare, quindi, ai fini dell'attribuzione dell'assegno divorzile, il tribunale dovrà valutare: la durata del matrimonio, le condizioni personali ed economiche in cui i coniugi vengono a trovarsi a seguito dello scioglimento o della cessazione degli effetti civili del matrimonio.

L'età e lo stato di salute del soggetto richiedente; il contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio di ciascuno e di quello comune; il patrimonio e il reddito netto di entrambi, la ridotta capacità reddituale dovuta a ragioni oggettive, anche in considerazione della mancanza di un'adeguata formazione professionale o di esperienza lavorativa quale conseguenza dell'adempimento dei doveri coniugali nel corso della vita matrimoniale; infine, l'impegno di cura di figli comuni minori, disabili o comunque non economicamente indipendenti.

La proposta di legge all'esame, dunque, a ben vedere recepisce tutti i fattori presi in considerazione dalla più recente giurisprudenza sia di legittimità che di merito quali fattori rivelatori della declinazione del principio di solidarietà che devono contestualmente entrare in gioco nella valutazione in ordine al riconoscimento o meno dell'assegno, ed accoglie, peraltro, tutti i suggerimenti in questo senso pervenuti dagli autorevoli esponenti del mondo del diritto auditi durante l'esame del provvedimento in Commissione.

La presente proposta di legge introduce anche un'altra importante innovazione, nel senso che il giudice, tenuto conto di tutte le circostanze predette, potrà predeterminare la durata dell'assegno nei casi in cui la ridotta capacità reddituale del richiedente sia momentanea ovvero dovuta a ragioni contingenti o comunque superabili. In sostanza, l'assegno di divorzio potrà essere concesso anche per un periodo determinato affinché sia evitata una corresponsione ingiustificata o una locupletazione ingiustificata quando il beneficiario abbia superato le sue difficoltà. Inoltre, sulla scorta di un indirizzo giurisprudenziale sempre più consolidato, la riforma stabilisce a chiare lettere che l'assegno non sarà dovuto in una serie di casi, ovvero nuove nozze, come già previsto dalla formulazione dell'articolo 5. Il beneficio cesserà in caso di unione civile con altra persona o di stabile convivenza del richiedente, che potrà essere anche non registrata.

PRESIDENTE. Concluda.

VALENTINA D'ORSO (M5S). Infine, si precisa che l'obbligo di corresponsione dell'assegno non sorgerà nuovamente a seguito di separazione o di scioglimento dell'unione civile o di cessazione dei rapporti di convivenza. Ebbene, la proposta di legge in esame ha voluto fissare precise linee normative rispondenti all'esigenza di evitare, da un lato, che lo scioglimento del matrimonio sia causa di indebito arricchimento di un coniuge e, dall'altro, che sia causa di degrado esistenziale…

PRESIDENTE. Ha concluso il suo tempo, deve concludere.

VALENTINA D'ORSO (M5S). …del coniuge più debole. Concludo brevemente: è in tale quadro che si inserisce la disciplina dell'assegno divorzile che, come gruppo del MoVimento 5 Stelle, abbiamo accolto con favore, apportando un nostro contributo nel senso di fornire al giudice, soprattutto di merito, una cornice legislativa chiara e al tempo stesso in grado di adattarsi alle fattispecie concrete, alla pluralità di modelli familiari e alla molteplicità di situazioni personali e in grado di addivenire conseguentemente a soluzioni eque e ragionevoli.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Miceli. Ne ha facoltà.

CARMELO MICELI (PD). Grazie, signor Presidente. Farò mio l'invito alla razionalizzazione del tempo, perché credo che dagli interventi che mi hanno preceduto risulta evidente come la descrizione dell'excursus soprattutto della giurisprudenza che ci porta oggi alla discussione del provvedimento sia pressoché identica in ogni intervento, e credo di poterla saltare a piè pari anche grazie alla dovizia di particolari con cui soprattutto l'onorevole Morani l'ha rappresentata in quest'Aula. Mi sento, però, di dover approfittare di questo tempo per svolgere alcune precisazioni e considerazioni anche di carattere politico. Intanto voglio rappresentare e ci tengo a sottolineare che questo provvedimento non deve essere inteso come la mera trasposizione, la mera verbalizzazione di principi giurisprudenziali. Sarebbe riduttivo e mortificante soprattutto per chi ha lavorato a questo provvedimento individuare in esso una mera operazione di copia e incolla. Questo è un provvedimento che va ben oltre e che, a mio avviso, dà veramente lustro alla funzione normativa, alla funzione legislativa, perché intanto recepisce, sì, quelli che sono gli orientamenti della giurisprudenza, li trasfonde in una norma, ma ne approfitta in maniera abile per poter anche introdurre degli istituti nuovi. Tra questi mi permetto di segnalare - lo si diceva poc'anzi - l'assegno temporaneo. L'assegno temporaneo è una figura che, oltre ad essere destinata ad avere una massiccia applicazione in ambito giusdicente, rappresenta una svolta per il nostro Paese perché rappresenta anche il sintomo di un'acquisita duplice sensibilità del nostro ordinamento: la sensibilità verso il sostegno doveroso al coniuge in difficoltà e, d'altro canto, verso l'altra parte che non deve essere obbligata a tempo indeterminato, sine die, qualora si sia in presenza di concrete ed oggettive possibilità di superamento della debolezza reddituale del richiedente.

Ora, rispetto alle considerazioni di carattere politico, provando ad approfittare del buon clima che si è determinato in Commissione, mi pongo una domanda e la pongo a quest'Aula: si poteva e si può fare di più? Giacché c'è una volontà comune di approvare questo provvedimento, vogliamo provare a buttare il cuore oltre l'ostacolo, a dare una funzione piena a quello che è il ruolo di parlamentare? Riusciamo a disubbidire, se si può dire, agli ordini di scuderia? Ci vogliamo provare? Infatti, a mio avviso, potrebbe essere colta l'occasione, rimanendo in tema sempre di assegno a tempo, provando a immaginare, se ci sono margini, per effetto di eventuali approvazioni di emendamenti, la proroga dell'assegno temporaneo qualora il coniuge riesca a dimostrare il suo perdurante stato di necessità. A dire il vero, potremmo anche ragionare su qualcosa di più: credo che uno dei temi che oggettivamente merita attenzione, che è stato segnalato in Commissione anche e soprattutto dai deputati di Forza Italia, sia quello degli accordi prematrimoniali e degli accordi in vista del divorzio. Vogliamo provare a scardinare l'annoso dibattito che vede contrapposte dottrina e giurisprudenza e a provare noi, con il ruolo di legislatori, a dirimere questa controversia? Ci vogliamo provare? Vogliamo provare a completare un percorso che abbiamo fatto facendo nostri i principi della giurisprudenza delle Sezioni Unite indicati nel 2018? Vogliamo provare a gettare il cuore oltre l'ostacolo, a immaginare che si possa arrivare anche ad un assegno una tantum? Personalmente, chi interviene in questo momento è convinto del fatto che prima o poi la giurisprudenza arriverà a riconoscere anche il diritto per il giudice di stabilire a prescindere dall'accordo delle parti. A mio avviso, questo andrebbe trasfuso in una norma e dovrebbe essere previsto. Capisco le titubanze di chi ha paura che questo possa essere uno strumento che, ove gestito male da un giudice, potrebbe anche dare luogo a situazioni davvero gravose per una delle parti in causa, ma anche lì si potrebbe immaginare, ragionandoci, di contemperare questa possibilità per il giudice stabilendo anche dei parametri di carattere oggettivo a cui rifarsi per poter poi prevedere, se del caso su istanza di una sola delle parti, la possibilità di ottenere una dilazione, e comunque entro un tempo determinato, del quanto dovuto, o quantomeno provare a stabilire che con l'accordo delle parti - in tal senso ci sono anche proposte emendative già depositate -, almeno sull'accordo delle parti, il quanto dovuto possa essere versato in un'unica soluzione e possa essere fatto anche in forme diverse rispetto alle dazioni di denaro. Sul punto, del resto, non ci inventeremmo niente di nuovo e niente di straordinario; non ci avventureremmo neanche in un tunnel senza luce e sconosciuto, perché, in realtà, basta guardare anche gli altri ordinamenti per vedere come questi istituti, soprattutto questo dell'assegno una tantum, siano già esistenti e diano già i loro frutti perché perfettamente in linea con chi ritiene che il matrimonio non sia il luogo della sistemazione, tra virgolette, definitiva. In tal senso, basta prendere ad esempio gli ordinamenti anglosassoni, l'ordinamento del Regno Unito, possiamo prendere l'ordinamento francese: esiste già in questi ordinamenti la possibilità di un assegno che sia una tantum e che sia liberatorio. Del resto, il fatto che i coniugi abbiano deciso di liberarsi reciprocamente l'uno dell'altro è insito nel fatto stesso che si addiviene allo scioglimento del matrimonio. Insomma, volendo ci potrebbe essere ancora margine, e mi piace immaginare che i parlamentari, soprattutto quelli di maggioranza, vogliano approfittare dell'occasione per recuperare, secondo me, quello che si rischia di perdere, o che, quantomeno in Commissione giustizia, rispetto ad altri temi si è perso.

Mi riferisco, cioè, alla possibilità di ragionare con la propria testa, perché in Commissione giustizia - e io l'ho visto su alcuni temi in particolare, su temi molto delicati quali la legittima difesa e il tema della prescrizione - io credo che si siano perse delle occasioni. Su temi così importanti si sarebbe potuto scegliere il metodo utilizzato in questo contesto per l'assegno di divorzio, cioè provare ad affrontare seriamente i problemi senza voler fare demagogia e con la possibilità di non dover sottostare a diktat che provengono da chissà dove e che privano poi il deputato, in Commissione così come in Aula, della libertà di manovra.

Io credo che su quegli argomenti che citavo poco fa non si sia fatto del bene al nostro ordinamento, né si sia fatto del bene ai nostri cittadini. Si è preferita una campagna mediatica su una questione così importante e credo che il prezzo di questa errata impostazione lo pagheremo e lo pagheranno soprattutto i cittadini nel tempo, tant'è che sono fortemente convinto, se è vero come dite - e ve lo auguro - di durare per l'intera legislatura, che saremo costretti a tornare in scienza e coscienza su questi argomenti. Chiedo, quindi, che qui, almeno in questa occasione, di provare a dare senso alla funzione legislativa e al mandato vero di ogni deputato e, in tal senso, mi rivolgo e rivolgo un invito alla presidenza - concludo - affinché si ricordi e non si perda occasione per ricordare ai parlamentari che se è vero che si appartiene a delle forze politiche, è pur vero che si deve rispondere per primo alla propria coscienza. Questo lo dico perché sovente mi capita di riscontrare nelle discussioni all'interno della Commissione giustizia un certo imbarazzo tra i deputati della maggioranza che, provenendo dalla professione forense, alcune circostanze le comprendono meglio di altre e sono costretti a fare talvolta spallucce per non mettere in crisi la maggioranza. Secondo me quando c'è il buonsenso, come in questo caso, non ci sono maggioranza e opposizione. Per questo rivolgo un caloroso ringraziamento all'onorevole Morani per aver avuto l'abilità di cogliere il momento, la capacità di individuare la tematica, la testardaggine di insistere sull'argomento - e non vi dico con quale pena per noi, suoi colleghi - e di portare a casa un risultato che è nobile e che migliora il nostro ordinamento. Io credo che se questo è un metodo, allora il Partito Democratico ha dato dimostrazione di quello che significa essere opposizione e, dunque, non necessariamente saltare sui banchi del Governo e assaltare il Governo, ma anche produrre norme da parte dell'opposizione e farlo in maniera costruttiva, avendo la capacità di costruire e non solo di demolire.

Io credo che questa sia una cosa a cui soprattutto la maggioranza dovrebbe guardare con particolare attenzione da questo momento in poi, perché quando si propongono delle buone cose queste cose vanno approvate. Questa è una buona norma e va approvata e se c'è stato il buonsenso di approvarla rispetto a questo argomento, credo che non mancherà a voi l'occasione di trovare il buonsenso anche in altre occasioni. Certo è che saremo comunque pronti, ove il buon senso non ci sarà, a non perdonarne neanche una a forze di maggioranza che dovessero tornare, invece, ad adottare metodi diversi (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Anna Rita Tateo. Ne ha facoltà.

ANNA RITA TATEO (LEGA). Grazie, Presidente. Oggi siamo qui e discutiamo questa proposta di legge che stiamo esaminando e che apporta delle modifiche sostanziali all'assegno di divorzio. Questo intervento si è reso necessario in quanto l'attuale disciplina è scarna ed è stata oggetto, negli ultimi anni, di diversi interventi giurisprudenziali. Il nostro compito, come legislatori, è quello di fornire ai magistrati, agli operatori del diritto e ai cittadini norme certe e chiare. La giurisprudenza fino al 2017 aveva affermato che l'accertamento dell'assegno si articolava in due fasi: la prima relativa ad accertare in astratto il diritto a percepire l'assegno, che doveva garantire un tenore di vita analogo a quello goduto durante il matrimonio; la seconda relativa al quantum, ossia finalizzata alla sua determinazione in concreto. Tale orientamento è stato completamente mutato dalla Corte di cassazione con la sentenza del maggio 2017, che ha ritenuto superato il riferimento al diritto a mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio e ha ribadito la natura assistenziale dell'assegno, basato sul principio della solidarietà economica. A seguito di questa pronuncia si è aperto un dibattito tra dottrina e giurisprudenza perché se, da una parte, si è visto con favore il superamento del tenore di vita, dall'altra si è avuto il timore che il nuovo orientamento rischiasse di comprimere i diritti del coniuge che durante la vita matrimoniale ha sacrificato le proprie aspirazioni.

Per dirimere questo contrasto è intervenuta la Corte di cassazione a sezioni unite nel luglio 2018, affermando che all'assegno di divorzio in favore dell'ex coniuge deve attribuirsi una funzione assistenziale e in pari misura compensativa e perequativa.

Anche in Commissione giustizia, durante l'esame di questa proposta di legge, il dibattito è stato ampio e ci siamo soffermati, in particolar modo, sulla funzione che l'assegno di divorzio deve avere. Infatti, la proposta di legge partiva dal principio che l'assegno di divorzio fosse finalizzato a equilibrare la disparità delle condizioni di vita dei coniugi venutesi a determinare dopo lo scioglimento del matrimonio, ma la Lega e la maggioranza, con degli emendamenti, hanno voluto ribadire che la funzione dell'assegno deve essere assistenziale e che il quantum dev'essere determinato dal giudice sulla base di alcuni criteri: durata del matrimonio, condizioni personali ed economiche dei coniugi a seguito degli effetti della cessazione civile del matrimonio; età e stato di salute del soggetto richiedente, contributo personale ed economico dato da ciascuno alla condizione familiare e alla formazione del patrimonio di ciascuno e comune; il patrimonio e il reddito netto di entrambi, la ridotta capacità reddituale dovuta a ragioni oggettive anche in considerazione della mancanza di un'adeguata formazione professionale o di esperienza lavorativa quale conseguenza dell'adempimento dei doveri coniugali nel corso della vita matrimoniale; impegno di cura dei figli minori, disabili o comunque non autosufficienti.

Inoltre, è stata introdotta la durata dell'assegno di divorzio e sono stati ampliati i casi di revoca dell'assegno di divorzio, in quest'ultimo caso non solo in presenza di nuove nozze ma anche in caso di una stabile convivenza registrata o non (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Giusi Bartolozzi. Ne ha facoltà.

GIUSI BARTOLOZZI (FI). Grazie, Presidente. Contrariamente a quello che sono solita fare - io da un anno sono in Parlamento e credo di essere intervenuta, anzi sono sicura, su ogni provvedimento che riguarda il comparto giustizia nelle discussioni sulle linee generali -, cioè preparando gli appunti che scrivevo, cercando di metterci, insomma, il massimo impegno possibile e poi leggendo il testo con una sorta di autocompiacimento, ebbene, Presidente, questo oggi non lo faccio e non lo faccio perché credo che siamo arrivati veramente al paradosso.

Io ho sentito - e in questo concordo con quello che ha detto il collega Miceli - dotte esplicazioni su ciò che ci apprestiamo a licenziare dall'Aula, esegesi del testo da parte della collega Morani, citata giurisprudenza, Cassazione e Corte costituzionale sempre dalla relatrice di maggioranza Morani, dalla collega D'Orso e dalla collega Tateo, e ho avuto l'impressione, Presidente, di stare non in un'Aula, non nel Parlamento e non a Montecitorio ma in un'aula di giustizia: Cassazione a iosa e principi a iosa!

Perché, Presidente, premetto questo? Perché io ho la consapevolezza, oggi più che mai - e lo dico con profonda amarezza da magistrato -, che in Parlamento noi tutti abbiamo abdicato a quello che è il ruolo per il quale i cittadini italiani ci hanno votato a marzo dell'anno scorso e ci hanno consentito di stare in quest'Aula. A favore di cosa, Presidente?

Della magistratura italiana. Perché - lo dico con assoluto rispetto, da magistrato - non si può oggi dire come i colleghi del PD e la collega Tateo della maggioranza, non si può dire oggi che noi stiamo licenziando un testo che era inevitabile e assolutamente necessario portare all'attenzione del Parlamento, perché non è così ed è una bugia. È una bugia perché la Cassazione, con l'ultima sentenza a Sezioni Unite nel 2018, ci aveva dato i criteri, nonostante la norma fosse abbastanza generica e perché quanto ci siamo determinando a fare oggi e nei prossimi giorni è la mera ricezione dei principi enunciati dalla Cassazione, salvo - su questo correggo il collega Miceli quando diceva che ci sono istituti nuovi: no, non ci sono istituti nuovi, ce n'è solo uno - l'assegno a termine. Per il resto è un copia e incolla, come il collega Miceli bene ha detto, di quanto la Cassazione afferma. Presidente, rivendico il ruolo di parlamentare; rivendico, colleghi, la scelta in materia di politica giudiziaria. Voi non avete idea di cosa stiamo facendo perché, Presidente, dico questo? Perché non si può intervenire in una materia così importante come la famiglia con un intervento settoriale. Parlare dell'assegno senza parlare di affidamento dei figli, assegnazione della casa coniugale, senza parlare di patti prematrimoniali è assolutamente un fuor d'opera. Al solito, come siamo abituati a fare in Commissione giustizia, noi assistiamo impotenti ad interventi di settore che a nulla servono se non a far danno e ulteriore confusione e arriverò a dire per quale motivo. Prima, però, Presidente devo anche esprimere un altro rammarico che è dovuto alla modalità di operare in Commissione giustizia perché anche in questo caso ho sentito dire bugie, contrarietà al vero, alterazione del vero ma non consapevole probabilmente, anzi me lo auguro. Ho sentito dire che in Commissione giustizia c'è stato un lavoro approfondito - la collega D'Orso - ho sentito dire dalla collega Morani che la discussione è stata ampia. A parte le audizioni, dove eravamo quattro cinque e nulla più, non c'è stato, Presidente, il benché minimo dibattito in Commissione giustizia, sebbene il gruppo di Forza Italia e anche Fratelli d'Italia avessero presentato decine di emendamenti volti a migliorare il testo: dibattito zero. In Commissione giustizia abbiamo avuto un sottosegretario, che solo perché era donna, Presidente, non era né Ferraresi né Morrone, che alla mia domanda - sottosegretario, lei ha letto per lo meno le audizioni - mi ha candidamente detto no. Quindi il dibattito con chi lo avete avuto, colleghi? Il confronto - ma ero sola? - con chi avete avuto il confronto? I componenti del gruppo di Forza Italia hanno cercato per ore - siamo stati un intero pomeriggio ed eravamo solo noi perché gli altri non parlavano - abbiamo cercato per ore di farvi domande, di spronarvi a confronto, vi ho anche chiesto se stiamo sbagliando, diteci il perché. Presidente, risposte zero. Un presidente di Commissione che recepiva le richieste ma andava avanti a ruota continua. Quindi, anche da questo di punto di vista, sono mortificata dalla conduzione dei lavori in Commissione giustizia perché nulla si fa - ripeto: nulla si fa - e sono altresì mortificata e stupita dal fatto che la relatrice di maggioranza possa licenziare con favore il testo e che il collega dello stesso partito ha detto - me lo sono appuntato, Presidente - di aver portato a casa un risultato che migliora il provvedimento: anche questa è una bugia perché, se solo leggete la Cassazione a sezioni unite che voi avete citato più volte questa mattina, vi renderete conto che quanto abbiamo fatto, ripeto, è recepire acriticamente i criteri che la magistratura ci suggerisce. Perché dico, Presidente, che, invece di migliorare il testo, lo stiamo peggiorando? Perché - qui faccio un'ulteriore correzione - la relatrice di maggioranza ci diceva che, da una parte, si prevede il criterio attributivo, dall'altro quello quantificativo dell'assegno: questo era prima nel testo, era il testo precedente a quello che abbiamo licenziato dalla Commissione. Correttamente la collega D'Orso ha detto che non c'è più la distinzione tra criterio attributivo e criterio quantificativo: lo dice la Cassazione a sezioni unite del 2018. Cosa comporta questo, colleghi? Interverrò sul complesso degli emendamenti proprio per farvi capire cosa stiamo facendo, che disastro stiamo combinando. Cosa comporta la mancata indicazione dei criteri attributivo e quantificativo e l'elencazione equiordinata di tutti i criteri che adesso sono stabiliti al comma 7 dell'articolo 5 della legge n. 898 del 1970? Demandiamo al giudice la possibilità di fare quel che vuole - ripeto: quel che vuole - perché non ha l'obbligo di motivare un criterio piuttosto che due, piuttosto che tre. Il giudice potrà decidere come vorrà. Il problema, il dubbio non ce l'ho solo io, colleghi. Se voi andate a riprendere la motivazione della sentenza sempre quella a sezioni unite, leggerete che la stessa Cassazione si è posto il dubbio che il mancato elenco prioritario dei criteri fosse un problema e che il problema consistesse nella discrezionalità data al giudice, che forse diventa arbitrio. La Cassazione nella motivazione dice - ve lo ritrovo subito… non trovo il foglietto della parte ma ve lo ridico a braccio poi lo riprenderò per l'intervento sul complesso degli emendamenti - la Cassazione dice che è un problema perché avere eliminato il criterio attributivo e il criterio quantificatorio comporterà di attribuire al giudice una maggiore discrezionalità e quindi una maggiore adattabilità al caso concreto. Presidente, ribadisco che non possiamo abdicare ai nostri poteri. Siamo noi a dover indicare al giudice i criteri in base ai quali sarà prima determinato se il giudice può o meno stabilire e quindi se la parte richiedente può o meno ricevere l'assegno e poi i criteri di quantificazione. L'avere eliminato tale distinzione consentirà e darà forse troppi poteri al giudice di merito e cosa comporterà ancora di più questa mancata indicazione? Il fatto che saremo costretti, anzi in questo caso il problema lo avrà nuovamente la magistratura italiana, nell'incertezza della priorità di questi criteri che noi stiamo offrendo, dovrà compiere un maggiore sforzo per valutare quali abbiano primaria importanza e quali no. Sempre nella sentenza della Cassazione a sezioni unite i colleghi potranno leggere che la Cassazione più volte nell'individuare i criteri principali invita a studiare i lavori preparatori del Parlamento, a verificare cosa si è detto in sede di discussione in Commissione, ad andare a verificare cosa si è detto in sede di discussione in Aula. Dai nostri lavori quali indici di aiuto potranno trovare i giudici? Al testo di legge vi è una relazione che “non si appatta” più con il testo che verrà licenziato perché il testo licenziato è tutt'altro rispetto a quello che la collega Morani aveva interesse a portare avanti. Quindi la relazione illustrativa da questo punto di vista non aiuterà. Aiuteranno le discussioni in Commissione? No, perché il dibattito non c'è stato. Quindi, se l'interprete vorrà andare a vedere perché il legislatore ha scelto di togliere i criteri di attribuzione e i criteri di quantificazione, non lo troverà perché il dibattito è pari a zero. Andrà o servirà ai giudici vedere la discussione odierna? No, perché di cosa abbiamo dibattuto? Abbiamo fatto l'esegesi delle norme e abbiamo ripreso tutte le sentenze che la Cassazione ha sciorinato negli ultimi trent'anni.

Mi auguro, Presidente, e vado a concludere, che ai giudici possa contribuire il lavoro in Aula, il dibattito in Aula. Non entro nelle singole questioni, non entro sui contributi che il partito di Forza Italia avrebbe potuto apportare al testo, i patti prematrimoniali, la sentenza parziale sullo status, le cause che fanno venir meno la concessione dell'assegno, non entro nel merito dei provvedimenti, lo vedremo in Aula. Quello che io mi auguro, quello che io mi auguro veramente - perché se no, il testo è ingarbugliato, la discussione non c'è, non consentiremo a chi dovrà applicare questa norma e queste norme che stiamo licenziando - è capire cosa abbiamo voluto fare.

E allora, soprattutto alla relatrice per la maggioranza, Presidente, non una bandierina, le bandierine che si mettono al petto non servono a nessuno e non faranno del bene quando la norma sarà applicata, non una bandierina, non basta dire: il mio provvedimento, il nostro provvedimento, è stato licenziato, è stato votato favorevolmente; io vorrei capire cosa stiamo licenziando, vorrei capire se i colleghi hanno compreso cosa stiamo facendo uscire dall'Aula del Parlamento, vorrei capire perché, se la Cassazione si pone il problema e se la Cassazione, a Sezioni Unite 2018, dice, nella motivazione della sentenza, che l'eliminazione dei criteri darà maggiore… anzi giustifica che non darà, ma la giustificazione non mi piace, io vorrei capire se i colleghi hanno compreso in che direzione stiamo andando. Allora, se mi sarà data, da questo punto di vista, una risposta, potrò comprenderla, vagliarla, noi tutti potremo comprenderla, vagliarla e potremo esprimere un voto consapevole. Se questa risposta non ci sarà, il voto non sarà consapevole, sarà l'ennesimo tentativo di appendere una medaglietta al petto, ma a nulla servirà al popolo italiano (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Augusta Montaruli. Ne ha facoltà.

AUGUSTA MONTARULI (FDI). Grazie, Presidente. Si è parlato a più riprese, durante questa discussione generale, di una riforma in relazione all'assegno di divorzio. Questa non è una riforma, non si tratta di una riforma, perché, benché vada il merito alla collega Morani di aver presentato il testo che ci appropriamo a esaminare ben prima della pronuncia delle Sezioni Unite della Cassazione, di fatto, il testo che arriva in Aula è il recepimento delle sentenze della Cassazione medesima. Un recepimento che ho sentito a più riprese… mi dispiace che i colleghi della Lega escano in questo momento, perché avrei voluto spiegare loro come il principio del tenore di vita che si pensa venga superato con questo recepimento e con questo testo, in realtà rimane ben vivo e vegeto. Rimane ben vivo e vegeto perché, dopo la pronuncia delle Sezioni Unite della Cassazione, e quindi anche dopo il testo così come eventualmente verrà approvato, presentato e proveniente dalla Commissione giustizia, la Cassazione è tornata a parlare di tenore di vita, ben dopo le Sezioni Unite, e l'ha fatto con la I sezione della Corte di cassazione, con l'ordinanza 14 febbraio 2019 (quindi solo pochi giorni fa), n. 4523. È tornata a parlare di tenore di vita, quindi noi, recependo, così come stiamo facendo con questo testo, il pronunciamento della Cassazione a Sezioni Unite, non superiamo il tenore di vita. Questo ce lo dobbiamo dire, dobbiamo essere molto chiari, perché se no andiamo a dire agli italiani qualcosa che non è e soprattutto ci autoconvinciamo di qualcosa che non è, appunto, il tenore di vita. Se la giurisprudenza vuole, in questo momento, dopo le Sezioni Unite della Cassazione e con l'approvazione di questo testo, esso continua a rimanere, tanto che c'è un pronunciamento della Corte di cassazione, I sezione, che ha parlato nuovamente di tenore di vita e ha detto - se volete vi do la sentenza, così vi informate in modo adeguato su quelle che sono le conseguenze di questo testo - che il tenore di vita non scompare, non scompare assolutamente. Quindi, o noi esplicitiamo nel testo che il tenore di vita è escluso, quale criterio, o altrimenti ce lo ritroveremo. Ce lo ritroveremo per volere della giurisprudenza. Questa è la conseguenza di recepire e di scrivere una norma recependo le Sezioni Unite. Le Sezioni Unite danno, hanno dato, un'interpretazione nella norma vigente; allora, a questo punto, o noi diciamo che quello che hanno detto le Sezioni Unite è per noi legislatori una posizione equilibrata, a quel punto non ha senso mettere mano alla norma, perché già c'è un'interpretazione a Sezioni Unite della Corte di cassazione. Cosa andiamo noi a scrivere? Qualcosa che recepisce le Sezioni Unite? Non ha un senso. O, se no, ha senso mettere mano a questo articolo, e secondo me senso ce l'ha, però distaccandoci da quello che dicono le Sezioni Unite, distaccandoci e sancendo alcuni principi, cioè se davvero ci va bene che l'assegno divorzile abbia un valore assistenziale, compensativo e perequativo, o soltanto uno di questi; se non debba essere inserito nell'ambito di una riforma più ampia, che veda, per esempio, i patti prematrimoniali o la liquidazione in un'unica formula, subito allo scioglimento degli effetti civili del matrimonio; se debba essere inserito in questo contesto.

Perché, vedete, io ho ascoltato molto attentamente perché confido, ovviamente, nella capacità e nella buona fede dei miei colleghi, anche di altri partiti, è vero che una piccola novità c'è, che è quella inserita, relativa ad un assegno di mantenimento a tempo, ma intanto questo assegno di mantenimento a tempo rimane nelle prerogative di un giudice e nella discrezionalità di un giudice, non è un assegno di mantenimento che è a tempo e che, eventualmente, poi può essere prorogato, no, è un qualcosa di diverso, rimane nella discrezionalità del giudice. E, in secondo luogo, secondo me, nella scrittura della norma c'è una contraddizione di fondo, che aprirà nuovi scenari della giurisprudenza e ci rimetterà nel caos e nell'incertezza, ovvero: la ridotta capacità reddituale del richiedente, che viene utilizzata nel sesto comma quale criterio al pari di altri criteri – al pari di altri criteri –, nel comma successivo, invece, viene presa quale unico criterio per valutare se l'assegno di mantenimento deve essere a tempo o no, come se fosse un criterio di assegnazione, e non di quantificazione. Allora, questo contrasto tra il sesto comma e il settimo comma, rischia di aprire degli scenari di interpretazioni diverse in giurisprudenza, perché ci sarà chi dice: eh no, il settimo comma richiama la ridotta capacità reddituale per considerare se l'assegno di mantenimento deve essere a tempo o meno, e di conseguenza, venendo meno la ridotta capacità reddituale, l'assegno di mantenimento può essere a tempo, e quindi può anche non essere più assegnato e quindi diventa elemento per accedere o meno all'assegno di mantenimento stesso, e quindi criterio privilegiato; e ci sarà, invece, una parte di giurisprudenza che dirà: no, perché essendo messo tra gli altri criteri, peraltro un po' in mezzo tra i vari criteri di quantificazione, quindi non a premessa, è un criterio come tutti gli altri e quindi il giudice ha una discrezionalità ancora più ampia, e quindi l'unica positività, che era quella dell'assegno a tempo, si perde in questi errori di scrittura della norma.

Quindi, giusto per accogliere l'invito del Presidente, tanto ci sarà modo perché noi abbiamo presentato diversi emendamenti su questo testo, io invito nuovamente a una seria riflessione, perché se l'obiettivo è uscire dal criterio del tenore di vita, dico a chi si sta occupando della materia: attenzione, andatevi tutti a rivedere la sentenza che vi ho detto, la sentenza che è successiva alle Sezioni Unite.

Vi renderete conto, come mi sono resa conto io, che il tenore di vita continua a rimanere elemento che con questa modifica non andiamo assolutamente ad estirpare, e di conseguenza andiamo a debilire completamente il senso di questo sforzo legislativo. Quindi, prendiamoci il tempo per questa riflessione, e chiediamoci se non ha senso tenere la norma così com'è, alla luce delle sentenze delle Sezioni Unite, o se vogliamo mettere mano, e io credo che si debba mettere mano, ma discostarci e dire esattamente quello che pensiamo (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Roberto Cataldi. Ne ha facoltà.

ROBERTO CATALDI (M5S). Presidente, onorevoli colleghi, cercherò anche di dare risposta, in questo mio intervento, alle perplessità che hanno sollevato alcuni colleghi. Prima, la collega Bartolozzi parlava di una discrezionalità ancora più ampia, la stessa cosa ho sentito da Fratelli d'Italia: questo in parte è vero, però, guardate, quando il legislatore va a mettere il naso all'interno di un tema così delicato come quello del diritto di famiglia, dove è vero, sì, stiamo parlando di un contratto, stiamo parlando di questioni economiche, però qui entrano in ballo anche i sentimenti; e quando entrano in ballo i sentimenti succedono cose impreviste, nel senso che quando una coppia si ama si fanno cose che non si farebbero in nessun altro tipo di relazione umana contrattualmente regolamentata. Quindi, che succede? La coppia che convola a nozze può decidere anche di… Non so, una donna può decidere di seguire il marito e licenziarsi, fa una scelta di vita importante; decide di cambiare città; si fanno cose che normalmente la razionalità non ci porterebbe a fare. Quindi che cosa succede? Noi ci troviamo sempre… Cioè, noi: il magistrato si troverà sempre di fronte a una molteplicità della casistica, per cui anche per il legislatore diventa difficile poter – come dire? – costruire un abito su misura.

Noi anche abbiamo fissato dei parametri. Non ve li sto ad elencare tutti: c'è ad esempio quello della durata del matrimonio; ma restiamo sempre all'interno del limite di dover fissare dei principi di carattere generale, perché la norma deve essere sempre generale ed astratta, in modo tale che al suo interno possano essere ricomprese tutte le possibili fattispecie.

Ora, attenzione: quando parliamo di parametri non stiamo mettendo un limite alla discrezionalità, stiamo fissando alcuni principi che non sono dogmi assoluti e non possono esserli; perché, vedete, in questo ambito c'è sempre l'eccezione. Io sono convinto personalmente che le eccezioni non confermano la regola, la mettono in discussione. E ve lo dico, perché che cosa può succedere? Noi parliamo di durata del matrimonio; è vero, mi sembra che in audizione qualcuno avesse anche detto: ma questa durata come la consideriamo? È breve la durata di un mese? È breve di un anno? Oppure, non so, una durata di dieci anni come la consideriamo? Non possiamo scriverlo; non possiamo scriverlo per il semplice fatto che anche una durata breve può avere delle conseguenze estremamente gravi dal punto di vista economico per la coppia.

Vi dico semplicemente che subito dopo la sentenza Grilli, che fece discutere, mi ricordo che venne una donna dicendomi: ma guardi, avvocato, sì, il mio matrimonio è stato breve, ed anzi io posso anche ricollocarmi nel mondo del lavoro, sono giovane, sono in grado di tornare a lavorare; ma io per seguire mio marito ho cambiato città e mi sono licenziata, e il mio ruolo era un ruolo di dirigente. Quindi, come vedete, questo caso non lo può risolvere il legislatore: lo deve risolvere necessariamente il magistrato. È lui quello che fa appunto quell'abito su misura, è lui che deve fare un lavoro di sartoria; deve tenere conto di tutto, perché in altri casi magari un matrimonio di durata più lunga può non aver comportato grosse modifiche, perché magari entrambi hanno continuato la loro attività professionale, perché non c'è stato nessun trasferimento.

Questo quindi è l'elemento, è il limite del legislatore: il legislatore deve fissare i principi. Guardate quello che è stato fatto quando si è scritto il codice civile: non so, il risarcimento del danno alla persona, sono quattro righe, su cui poi si sono scritti fiumi di parole; ma è proprio nel voler rimettere un principio generale al magistrato che si ottiene poi quella giustizia che, non dobbiamo mai dimenticare, è sempre una giustizia del caso singolo.

Detto questo, parlavamo del fatto che il matrimonio comporta degli sconvolgimenti: è vero. Ecco, è proprio questo che ha portato nel tempo probabilmente la giurisprudenza un po' ad appiattirsi sul concetto del tenore di vita. Il problema è… Ecco, noi non stiamo inseguendo la giurisprudenza, vorrei anche fugare questo dubbio: la giurisprudenza la stiamo leggendo per cercare di comprenderne il senso, però è anche vero che abbiamo assistito a pronunce ondivaghe. Ora, abbiamo visto delle aberrazioni: io mi ricordo, sì, in alcuni casi anche il concetto del tenore di vita era stato applicato bene; mi ricordo una sentenza, ad esempio, del tribunale di Ancona dove il giudice aveva valutato il tenore complessivo di vita della famiglia, e poi aveva detto: bene, però adesso voi avete bisogno di due case, pagate due bollette, quindi il reddito complessivo familiare si è ridotto ed entrambi, diciamo così, devono tirare la cinghia. Quindi, quel magistrato ha preso una decisione che era adatta al caso specifico. Va bene?

Quindi che cosa succede? Il parametro del tenore di vita in questo caso scompare, nel senso che noi ne diamo altri di parametri, perché vogliamo far sì che il giudice possa valutare diversamente e fare in modo che scompaiano quelle aberrazioni, che hanno portato magari dei padri di famiglia che lavoravano, a dormire nelle stazioni. Ci sono clochard lavoratori, padri di famiglia che per garantire il tenore di vita hanno dovuto arrangiarsi: quindi o trovare accoglienza dagli amici, ma se non hanno amici, se non hanno altri salvagenti familiari si sono trovati in strada. Non possiamo accettare queste aberrazioni. Come, dal lato opposto, non possiamo accettare le aberrazioni di casi in cui magari un imprenditore deve mantenere a vita la propria moglie, che non si ricollocherà mai perché non vuole ricollocarsi nel mondo del lavoro, e quindi acquisisce quasi una sorta di rendita vitalizia, parametrata oltretutto a un tenore di vita che lei, se non si fosse sposata con quell'uomo, non avrebbe mai avuto.

Noi non stiamo inseguendo, Presidente, la giurisprudenza; però, attraverso quello che succede nella giurisprudenza, noi stiamo cercando di aprire gli occhi sulla mutata coscienza sociale. Presidente, questo è il compito del legislatore: ascoltare la coscienza sociale. Vedete, io adoro l'immagine di Antigone. Non so se conoscete… Va bene, sì, conoscete sicuramente la tragedia di Sofocle. Ecco, Antigone è proprio il simbolo di quella persona, di quella donna che rappresenta la giustizia, il diritto vivente, che mostra che dall'altro lato esiste sì una legge che garantisce legalità, che è la legge del re, ma questa legge del re dopo un po' è talmente distante dalle esigenze invece di una legge reale, di una legge sentita, che risiede nel sentimento della gente, per cui Antigone diceva: io voglio rivendicare il mio diritto, non scritto, di poter dare sepoltura a mio figlio…

PRESIDENTE. La invito a concludere.

ROBERTO CATALDI (M5S). Devo concludere, vero, Presidente? Ha ragione. Concludo allora con un'ultima considerazione. Ecco, io ho notato che forse per la prima volta abbiamo avuto invece un dialogo costruttivo: magari non su tutti i punti, ha ragione la Bartolozzi, ma su alcune cose siamo riusciti ad avere un dialogo. E questo è importante, perché, vedete, io sono convinto… Non so se avete mai sentito parlare del fatto che il nostro cervello utilizza soltanto il 10 per cento delle sue potenzialità: ebbene, forse l'apertura al dialogo può aiutarci a superare anche questo limite, perché aprendoci al confronto con l'altro riusciamo a fare qualcosa di migliore. Io, da parte mia, ce la metterò tutta, e sono convinto che in questo caso il Parlamento può farlo veramente e recuperare veramente il suo ruolo di centralità (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - A.C. 506-A)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare la relatrice, deputata Alessia Morani.

ALESSIA MORANI, Relatrice. Presidente, solo per chiarire, dopo aver ascoltato con interesse tutti gli interventi di questa mattina, per dare una spiegazione alla collega Bartolozzi sul fatto che pare che questo provvedimento insegua le Sezioni Unite della Cassazione: così non è, perché questo provvedimento nasce nella passata legislatura, dopo una sentenza, la sentenza Grilli, che conosciamo tutti, del 2017, che era di contenuto ben diverso rispetto a questo provvedimento.

E soprattutto è una proposta di legge che ha anticipato le Sezioni Unite della Cassazione, non l'ha subito, come ha detto la collega Bartolozzi, anzi, ha aperto, credo, dalla passata legislatura fino ad oggi, un dibattito costruttivo anche a livello giurisprudenziale ed è evidente che la sentenza di luglio, che è successiva alla presentazione di questo provvedimento, che è di aprile 2018, probabilmente, si sia anche ispirata ai contenuti di questa proposta, perché, evidentemente, questo dibattito che abbiamo aperto tra i massimi giuristi italiani e esponenti della magistratura nonché dell'avvocatura è stato proficuo proprio perché le Sezioni unite hanno mutuato i principi che sono presenti in questo disegno di legge.

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo, sottosegretario Villarosa, che si riserva di farlo.

Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione della mozione Meloni ed altri n. 1-00179 concernente iniziative in materia di riforma del credito e del sistema di vigilanza bancaria, a tutela dei risparmiatori e per la salvaguardia della sovranità economica nazionale nell'ambito dell'Unione europea (ore 14,19).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Meloni ed altri n. 1-00179, concernente iniziative in materia di riforma del credito e del sistema di vigilanza bancaria, a tutela dei risparmiatori e per la salvaguardia della sovranità economica nazionale nell'ambito dell'Unione europea (Vedi l'allegato A).

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione della mozione è pubblicato nell'allegato A al Resoconto della seduta del 10 maggio 2019 (Vedi l'allegato A della seduta del 10 maggio 2019).

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.

È iscritto a parlare il deputato Osnato, che illustrerà anche la mozione Meloni ed altri n. 1-00179, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

MARCO OSNATO (FDI). Grazie, Presidente. Dispiace non vedere particolare attenzione da parte del Governo su questa mozione, ma mi fa, invece, piacere discuterne in questa Assemblea, perché la mozione prende il via ed è, in teoria, anche propedeutica, per usare un eufemismo, dovrebbe essere…

Sapevo che il sottosegretario Villarosa era molto attento a questo tema, per cui se ci fosse mi farebbe anche piacere.

PRESIDENTE. Scusi, interrompiamo un secondo… non conteggiamo questo tempo; siamo in attesa che rientri il sottosegretario Villarosa.

Se non ci sono novità, sono costretto a sospendere la seduta.

Sospendo la seduta per cinque minuti.

La seduta, sospesa alle 14,20, è ripresa alle 14,33.

PRESIDENTE. Prego il sottosegretario Villarosa di prendere posto. Aveva appena iniziato il suo intervento il deputato Osnato: prego, deputato Osnato, a lei la parola.

MARCO OSNATO (FDI). Grazie, Presidente. Dicevo che la mozione prende il via - ed è propedeutica, per usare un eufemismo - da un progetto di legge…

FEDERICO FORNARO (LEU). Presidente, non è possibile l'atteggiamento del Governo! È colpa nostra se il rappresentante del Governo qui presente doveva essere un altro?

PRESIDENTE. Deputato Fornaro, c'è un intervento in corso, non posso mica interromperlo per dare la parola a lei. Io penso e spero che il Governo voglia dirimere questa controversia e farci capire bene con precisione che cosa deve accadere, perché comunque il Governo deve essere presente in Aula. Ritengo ci sia stato un problema di organizzazione. È tutto agli atti, è tutto verbalizzato, ci auguriamo che questi inconvenienti non abbiano più a verificarsi. Prego, deputato Osnato.

MARCO OSNATO (FDI). Grazie. Capisco che il tema di questa mozione non faccia piacere a molti, però, se riesco a illustrarla, credo che poi ognuno potrà spiegare meglio le sue posizioni. Dicevo - l'ho detto già altre volte - che questa mozione prende il via da una proposta di legge che Fratelli d'Italia ha presentato e che ha già incominciato il suo iter in Commissione finanze, che però, ahimè, purtroppo ha subito dei bruschi stop, trovando una condivisione di molte forze affinché questi stop si concretizzassero. Ma siccome noi la riteniamo molto importante, si è trasformata, in attesa di poter discutere una proposta di legge più concreta, in uno stimolo perché l'Assemblea, il Parlamento, si potesse pronunciare su un tema che secondo noi è molto importante per la nostra nazione, per la nostra economia, per tutto un tessuto economico, sociale e produttivo e anche per le famiglie italiane, che è un proposta - non fatico a dirlo - squisitamente sovranista; quindi, ci sorprende che anche molte forze che si ispirano a questa prospettiva, o che comunque ritengono di favorire l'italianità, il patriottismo anche in temi economici, si siano un po' dileguati nel sostenerla anche in Commissione, perché dicevo che è di tutta evidenza la matrice sovranista dei contenuti di questa mozione. Certo, non è quel sovranismo che magari siamo abituati a leggere su Facebook o su qualche comunicato stampa, è un sovranismo concreto, misurabile, con una proposta effettiva, una proposta concreta, tipicamente connesso al modo di vedere la società e la nazione di una forza di destra, una forza di destra che vuole avere un approccio anche importante, se vogliamo anche governativo, a fronte di tematiche così importanti, e che non vuole che la propria nazione sia sottoposta a diktat né politici né tantomeno economici e finanziari di Bruxelles o peggio di Francoforte. Ciò perché si potrà fare tutta l'ironia del caso - non ci sconvolgiamo - da parte di forze politiche, anche sarcasmo riguardo proprio l'attenzione che Fratelli d'Italia e che Giorgia Meloni hanno posto nei confronti delle politiche dell'Unione europea, delle continue aggressioni che l'Unione europea, anche tramite strutture e realtà ed enti ad essa afferenti, fa verso l'identità, l'autonomia, l'indipendenza e la sovranità nazionale del nostro Paese. Si potrà anche mascherarlo da pseudo-europeismo, che in realtà maschera un'imposizione di poteri tecnocratici guidati appunto da realtà economiche e finanziarie prive di ogni legittimazione democratica e di ogni controllo democratico, ma ormai credo che difficilmente qualcuno anche in quest'Aula potrà nascondere questa pericolosa deriva. E purtroppo, molto spesso, quelli che cercano l'annichilimento del nostro status nazionale si annidano proprio nel nostro Paese, si annidano proprio in quelle realtà istituzionali che dovrebbero difendere, tutelare e valorizzare l'identità e l'indipendenza del nostro Paese, non a fini assoluti ma anche a favore proprio delle famiglie, delle imprese e dell'economia italiana. È appunto per questo che oggi Fratelli d'Italia offre un'occasione importante a quest'Aula, un'occasione chiara per chi voglia schierarsi a favore di un'Italia certo inserita in un contesto europeo, che sappia muoversi all'interno di quelle realtà appunto transnazionali e sovranazionali, che sappia concordare le politiche anche internazionali che meglio si confanno alla nostra realtà, che però voglia in primis tutelare gli interessi nazionali e quelli dei nostri concittadini.

Perché - ed entro nel tema più puntuale - è evidente a tutti quello scempio accaduto nel 2013 - subito denunciato, in beata solitudine, devo dire, da Fratelli d'Italia - in quest'Aula rispetto alla privatizzazione mascherata di Bankitalia con il decreto-legge n. 133 del 2013, che traeva spunto dal decreto legislativo n. 153 del 1999 - guarda caso sempre due Governi di centrosinistra -, scempio che ha surrettiziamente provocato l'imbarazzo di trasformare Bankitalia, che dovrebbe essere un ente pubblico in una sorta di Spa in mano a fondazioni - a fondazioni bancarie, oltre recentemente a qualche fondo pensione privato - che evidentemente non possono assicurare la permanenza del presupposto dell'italianità per noi assolutamente necessario. Mi permetto, Presidente, di leggere un articolo, che dice testualmente: “Le banche italiane, che un tempo facevano parte del settore pubblico allargato, detengono ancora il 94,33 per cento del capitale di Bankitalia, solo il 5 per cento è di proprietà di enti pubblici come INPS e INAIL: è un retaggio del passato che risale all'epoca delle banche di interesse nazionale. Per quanto non abbiano mai consentito a queste banche - poi divenute private - la benché minima possibilità di incidere sull'indirizzo di vigilanza, né su qualsiasi altro aspetto dell'attività della Banca d'Italia, sarebbe opportuno, prima o poi, trasferire le quote ad enti pubblici, oppure a una fondazione creata ad hoc come in Francia. Del resto, è lo stesso Statuto di via Nazionale a contemplare che la banca debba essere di proprietà pubblica ed è difficilmente immaginabile una banca nazionale posseduta da soggetti privati stranieri, quali sono già alcuni istituti bancari, che detengono le quote e presumibilmente altri ancora lo saranno alla luce dei processi di aggregazione in atto a livello continentale. Ma a che prezzo si può organizzare il trasferimento? Qui si parla appunto del valore, del valore che era di 156 mila euro storicamente, fermo dal 1936 e che qualcuno ha voluto portare - non si sa ancora valutare - tra i 5 miliardi e i 7 miliardi e mezzo, una cifra immensa che è stata regalata alle banche proprietarie appunto delle azioni, che hanno potuto così mettere nei loro bilanci, che si dividono, con tassi superiori al 6 per cento, gli oltre 500 milioni all'anno che vengono distribuiti rispetto ai 50 che fino a qualche anno fa c'erano, tutto ovviamente senza nessuna utilità per quanto riguarda il popolo italiano. Qui infatti si dice: “Inoltre, prima o poi, la Banca centrale” - quindi tutti noi – “dovrà ricomprarsi le quote a prezzi che sono stati artatamente gonfiati per esigenze di breve periodo. Le generazioni future che hanno già sulle spalle il fardello di un debito pubblico al 130 per cento del PIL non meritano davvero di ritrovarsi anche un ulteriore punto di PIL da pagare in eredità”. Addirittura il titoletto di questo articolo è: “L'associazione a delinquere”, che è appunto quella tra il Governo di allora, che era il Governo Letta, e il sistema bancario italiano. Ma, vedete, è curioso sapere chi ha scritto questo articolo, perché non l'ha scritto Marco Osnato. L'ha scritto Giorgia Meloni? No, nemmeno Giorgia Meloni, non l'ha scritto neanche il sottosegretario Villarosa, che magari in passato aveva posizioni simili a quelle che oggi noi proponiamo, ma l'ha scritto Tito Boeri su Lavoce.info, il campione dell'economia progressista italiana che il PD ci ha portato sempre come esempio di economia dedita al bene comune, dedita al progressismo economico-sociale in questo Paese, che oggi possiamo citare come colui che difende l'italianità delle banche, che difende la pubblicità della Banca d'Italia, che difende l'operato di un Governo che è stato a dir poco scandaloso. Allora, se noi vediamo appunto la conformazione dell'azionariato della Banca d'Italia, ci accorgiamo che ci sono appunto tutte le banche che sono state oggetto di tutte le crisi che abbiamo conosciuto in questi anni, oltre recentemente ad alcune casse di previdenza private, evidentemente con tutto quello che dicevo prima rispetto alla situazione patrimoniale di queste banche che si sono giovate di questa possibilità che il Governo ha dato di rivalutare le loro quote, che si distribuiscono un azionariato e siamo sempre al solito punto in cui in Italia c'è questo paradosso, che il controllore spesso è anche il controllato, cioè coloro che dovrebbero vigilare sul sistema bancario italiano sono le banche italiane stesse e questo l'abbiamo potuto vedere nella completa assenza di controlli nelle crisi bancarie di questi ultimi anni.

Non ci soddisfano neanche le osservazioni di coloro che dicono che questo compito spetta alla Banca centrale europea. Questa funzione non è precipua della Banca europea, non lo chiede neanche il legislatore, neanche il legislatore sostiene che un organismo sovranazionale possa tutelare l'economia e il sistema creditizio di un Paese. Certo, sono condivise, ci sono delle opinioni comuni e diffuse, ci sono delle responsabilità diffuse e condivise, ma non è quello che prevede il legislatore rispetto al ruolo della Banca centrale europea. Noi crediamo appunto che per l'economia di un Paese membro è inevitabile che ciò invece crei un corto circuito, un corto circuito difficile da sanare e lo abbiamo visto anche sul tema delle riserve auree del nostro Paese. Ricordo a me stesso che noi siamo il terzo Paese al mondo per riserve auree, dopo gli Stati Uniti e la Germania, deteniamo circa 110 miliardi di euro di riserve auree e - non si sa perché - il già direttore della Banca d'Italia pochi mesi fa ha sostenuto che l'oro che è detenuto da Bankitalia per conto dello Stato italiano è ormai di proprietà della Banca centrale europea, cioè l'Italia senza nessun interesse da parte di questo Parlamento, senza nessuna attenzione verso questo Parlamento sta regalando 110 miliardi alla Banca centrale europea, quando sappiamo che tanti costituzionalisti non la pensano così, quando sappiamo che ovviamente la Francia, che in teoria dovrebbe avere gli stessi diritti e gli stessi doveri dell'Italia in questa Unione Europea sinceramente se ne è assolutamente fregata di quanto sostengono in Bankitalia i nostri funzionari e si è fatta una bella legge in cui dice: “Il nostro oro è detenuto dalla banca centrale francese, ma è di proprietà dello Stato”. Allora, noi crediamo che questo bisogna fare e lo dice anche l'articolo 127, paragrafo 2, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, che prevede che il sistema europeo di banche centrali ha la detenzione e la gestione delle riserve sia monetarie che valutarie, quindi nessuna ingerenza sulla proprietà, così come gli articoli 31 e 32. Allora, noi, con questa mozione - e vado a concludere, Presidente - chiediamo molte cose: che intanto si dia il via alla Commissione d'inchiesta che abbiamo votato sul sistema bancario, che ci sia la famosa distinzione anche a livello normativo tra banche d'affari commerciali e banche di deposito, perché non si può più tollerare che con i depositi, peraltro pochissimo remunerati dei risparmiatori italiani, si facciano speculazioni che hanno solo il fine di arricchire le banche e poi, quando queste speculazioni provocano i disastri che abbiamo visto, si chiede l'aiuto dello Stato perché non si possono lasciare a piedi i risparmiatori truffati (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia). Poi chiediamo che nella collocazione di questi titoli verso i risparmiatori ci sia una maggiore educazione finanziaria, un rispetto dei risparmiatori più ampio, che ci sia la chiara indicazione dei rischi che essi vanno a correre, o meno, che ci siano quegli indennizzi, sottosegretario, rapidi di tutte le somme dovute ai cosiddetti truffati, che non ci siano più annunci. Vogliamo vedere finalmente una disposizione normativa che vada incontro a queste esigenze, che quando sia necessario - e ripeto: sia necessario - che ci siano aiuti a banche in crisi, che però queste poi dopo, nei cinque anni successivi, non distribuiscano né utili né dividendi, non distribuiscano bonus e mettano dei tetti ai compensi di amministratori e dirigenti coinvolti, che ci sia la responsabilità diretta e il divieto a svolgere ulteriori ruoli nelle banche di coloro che si sono macchiati di queste gravi inadempienze e di queste male gestioni. Chiediamo che anche sul tema del fiscal compact si ritorni un po' a discutere, se e perché è giusto, o meno, che solo l'Italia, o pochi come l'Italia, abbiano addirittura dato un rango costituzionale così vincolante alle normative che derivano proprio dal fiscal compact e dalle leggi successive. Non è possibile che noi ci troviamo dallo Stato centrale fino all'ultimo comune imbavagliati e ingessati per delle normative che probabilmente non hanno più ragione di essere così vincolanti, semmai lo siano state. E quindi dobbiamo evidentemente affrontare il punto centrale, quello della pubblicità, dell'attribuzione a soggetti pubblici della Banca d'Italia e delle riserve nazionali, Presidente, e veramente concludo. Qui si cita spesso la Costituzione italiana, ma magari per quanto non piace non si applica, e allora io ricordo che la Costituzione della Repubblica italiana, la cui sovranità appartiene al popolo fino a prova contraria, all'articolo 47 dice che: “La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme, disciplina coordina e controlla l'esercizio del credito, favorisce l'accesso del risparmio popolare alla proprietà dell'abitazione, alla proprietà diretta coltivatrice e all'investimento azionario nei complessi produttivi di questo Paese”. Lo dice in modo chiaro, ma non sempre questo è stato fatto, non sempre ci è stato ricordato, mentre si prevede che lo faccia la Repubblica, non lo fanno né le èlite finanziarie, né le burocrazie europee e nemmeno gli speculatori stranieri (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. Ricordo che alle ore 15 dobbiamo sospendere la seduta.

È iscritta a parlare la deputata Silvia Fregolent. Ne ha facoltà.

SILVIA FREGOLENT (PD). Signor Presidente, cari colleghi, gentile rappresentante del Governo, con il quale mi spiace avere avuto prima un battibecco in Aula, ma francamente non è colpa delle opposizioni se il suo collega Morrone è alla CIA invece di essere qui nei banchi del Governo, come doveva essere. Quindi, penso che lui avrà giusto modo di rimproverare al suo collega di non essere stato presente qui. Per norma, quando c'è l'Aula e ci sono sia delle proposte di legge che delle mozioni, il Governo deve essere presente, e quindi ringraziamo della sua presenza il sottosegretario Villarosa. Non credo che la mozione di Fratelli d'Italia e le parole del collega Osnato abbiano il Partito Democratico come mandatario, perché la nostra posizione è una posizione chiara.

Tra l'altro, in questo momento di così grave difficoltà delle banche ricordiamo cosa è successo in questi giorni con la Banca Carige, che aveva avuto un interessamento da parte di BlackRock che poi è stato ritirato per preoccupazioni di quella banca della tenuta del sistema finanziario italiano. Quindi, una mozione che in tempi non sospetti sarebbe considerata una mozione anche simpatica viene vista con maggiore preoccupazione in un momento in cui il sistema bancario generale e il sistema finanziario italiano sono sotto la lente d'ingrandimento. Ma penso che la mozione abbia come mandatari i partiti sovranisti che stanno al Governo, Lega e 5 Stelle, per vedere come risponderanno. Noi possiamo solo dire al collega alcuni elementi tecnici: che la Banca d'Italia non è mai stata statale, ma è proprietà degli istituti bancari e assicurativi. Storicamente nasce da un processo di federazione delle banche preunitarie con un modello analogo a quello della Federal Reserve americana.

La legge bancaria del 1936 che ha citato lui riconosce formalmente la Banca come un istituto di diritto pubblico, pur fatto durante il fascismo, però ha scelto sempre di non assoggettare la Banca d'Italia al Governo, ma di lasciarla a debita distanza dalle ingerenze della politica. La riforma approvata nel 2013 garantisce indipendenza piena da chi detiene le quote capitale. C'è un limite massimo del 3 per cento alla quota detenibile da ciascun istituto e prevede, altresì, che per le quote possedute in eccesso comunque non spetti il diritto di voto e i dividendi. La Banca d'Italia è un istituto di diritto pubblico e i soci proprietari delle azioni non esercitano influenze sulla governance dell'istituto e sulla gestione delle attività istituzionali della Banca. Peraltro, la riduzione forzosa del valore delle quote attualmente possedute dagli istituti bancari e assicurativi, come prevista dalla sua mozione e come richiamato dal Pdl, consisterebbe in un ristoro con risorse dello Stato da togliere ad altre voci di spesa pubblica o da attuare mediante aumento delle tasse, anche al fine di non indebolire il sistema finanziario nazionale. Ma al Governo sovranista, che in campagna elettorale aveva le stesse posizioni dell'onorevole Osnato, la risposta alla sua mozione. Come la pensa il PD lo si evince dagli interventi che in questi anni abbiamo fatto per tutelare i risparmiatori e per tutelare il risparmio in questo Paese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Fornaro. Ne ha facoltà.

FEDERICO FORNARO (LEU). Grazie, signor Presidente. Credo che la sollecitazione che arriva dal gruppo di Fratelli d'Italia a una discussione parlamentare attorno alle questioni del sistema bancario sia una sollecitazione corretta, che però - lo dico al collega Osnato - deve basarsi su dati di fatto oggettivi e condivisi, altrimenti finisce per essere ancora un ulteriore episodio di pura propaganda ai fini elettorali. E mi riferisco, in particolare, a quella che è una cosa non vera scritta nella mozione dei colleghi, quando si dice, in riferimento al decreto-legge del 2013, che a fronte di un capitale della Banca d'Italia pari a 7 milioni di euro, con un tasso di dividendi del 6 per cento, incassano - e si riferisce ai soci - circa 450 milioni di euro all'anno, a fronte dei precedenti 50-70 milioni. Vorrei citare dei dati che io spero siano, almeno questi, condivisi, sono quelli del bilancio di Banca d'Italia: nel 2017 Banca d'Italia ha avuto un utile di 3 miliardi e 895 milioni, a fronte dei 2 miliardi e 683 milioni del 2016; di questi 3,9 miliardi circa, sono stati assegnati ai soci 340 milioni, in realtà 218, perché nel decreto del 2013 - e non c'è scritto nella mozione dei colleghi di Fratelli d'Italia - c'era una norma di garanzia, cioè le quote superiori al 3 per cento detenute da singoli soggetti non davano automaticamente la possibilità di ricevere i dividendi, e quindi erano, in realtà, sterilizzate. Quindi, dell'utile di circa 3,9 miliardi, soltanto 218 milioni sono andati ai soci; allo Stato, lo ricordo, 3,3 miliardi. Nel 2018 sempre 340 milioni, in realtà 227 milioni soltanto ai soci cosiddetti privati, a fronte di un utile netto di 6,2 miliardi, e allo Stato sono andati ben 5 miliardi e 700 milioni.

Quindi, iniziamo, da questo punto di vista, a mettere alcuni paletti. Da questo punto di vista, quindi, nessuno scempio del decreto del 2013, che non ha mutato la natura pubblica, di istituto di diritto pubblico, di Banca d'Italia; ha semplicemente aggiornato, anche in funzione, ovviamente, dei sistemi nuovi di vigilanza, il valore delle quote, con una valutazione che è stata data da un soggetto terzo, e non dal Governo. Credo, quindi, che, da questo punto di vista, il decreto del 2013 sia un decreto che andava nella direzione giusta, e questi dati di bilancio di Banca d'Italia dicono che i timori che erano stati espressi, e, purtroppo, vedo ancora ribaltati in questa mozione, erano del tutto infondati.

Da questo punto di vista, per essere breve e accogliere l'invito del Presidente, ovviamente ci sono molti temi, ma credo che bisognerebbe provare a riflettere attorno ai temi di un modello di business che è andato in crisi nel sistema bancario in un sistema globale con tassi vicini allo zero, che esiste un tema di vigilanza della BCE, ma dobbiamo guardarlo da un altro punto di vista. Sono i parametri di valutazione del rischio che devono essere rimessi in discussione a un tavolo che è anche politico, e non solo tecnico, perché c'è un rischio derivati applicato al sistema, per esempio, delle banche tedesche assolutamente insufficiente, e, viceversa, c'è un rischio sull'attività di retail tradizionale, che è, invece, caratteristica fondamentale del sistema bancario italiano, a cui viene dato, da parte della BCE, un parametro di rischio molto più elevato. Bisogna - e chiudo su questo - provare a fare uno sforzo di sistema, cioè a riportare al centro risparmiatori e imprese; questa è la vera questione, più ancora, a mio giudizio, che la divisione tra banche d'affari e attività di retail tradizionale.

È la finanza aggressiva il male assoluto, è una finanza basata su derivati strutturati, su un tipo di attività che cerca la speculazione per la speculazione. Credo che il sistema bancario italiano debba essere ancora affiancato, la crisi di Carige ci preoccupa moltissimo e crediamo che, da questo punto di vista, debba essere valutata la possibilità dell'ingresso dello Stato nel capitale di Carige, perché, francamente, piuttosto che alcuni fondi stranieri, sulla cui capacità di gestire nel medio-lungo periodo una banca come Carige abbiamo qualche dubbio, probabilmente una soluzione tipo MPS potrebbe garantire meglio Carige e dare la possibilità, in una prospettiva di medio periodo, di ritornare ad essere competitiva, e quindi attrattiva anche di capitali, stranieri o italiani.

PRESIDENTE. A questo punto mancano pochissimi minuti alle ore 15. Manca soltanto un intervento da parte del deputato Zanettin. Se sono tutti d'accordo, lo svolgiamo comunque fino a esaurimento del suo intervento. Prego, deputato Zanettin, ha facoltà di parlare.

PIERANTONIO ZANETTIN (FI). Grazie, Presidente. Il ruolo della Banca d'Italia e il destino delle riserve auree da essa detenute è un tema caro ormai da tempo a nazionalisti, sovranisti, nonché alla variegata schiera dei complottisti, cospirazionisti e sostenitori del signoraggio globale bancario. Tali temi vengono fatti oggetto di appassionati dibattiti sui social network e nei talk show in cui si confrontano sedicenti professori, trader di quart'ordine e anche politici di buona volontà e con mediocri studi.

Nelle ultime legislature viene affrontato anche in proposte di legge e oggi in questa mozione che stiamo discutendo.

Innanzitutto, vanno chiariti i termini normativi della questione. Come credo dovrebbe essere noto a tutti in quest'Aula, la Banca d'Italia è la banca centrale della Repubblica italiana ed è già oggi un istituto di diritto pubblico il cui presidente è nominato dal Presidente della Repubblica su proposta del Governo. La sua governance e le sue attività sono disciplinate da norme nazionali ed europee ed è parte integrante dell'Eurosistema, composto dalle banche centrali nazionali dell'area dell'euro e dalla Banca centrale europea nonché autorità nazionale competente nel meccanismo di vigilanza unico. Con il Trattato di Maastricht gli Stati contraenti hanno trasferito all'Unione europea in maniera esclusiva le proprie competenze sovrane in materia di politica monetaria. Le competenze afferenti alla detenzione e alla gestione delle riserve valutarie rientrano oggi fra i compiti dell'Eurosistema. La normativa della Banca centrale europea che ha disciplinato il trasferimento di parte delle riserve valutarie dalle banche centrali nazionali alla stessa Banca centrale europea ai sensi dell'articolo 30, paragrafo 1, dello Statuto, ha espressamente incluso l'oro fra le attività di riserva in valuta. Le riserve ufficiali contribuiscono a sostenere la credibilità dell'Eurosistema e possono essere utilizzate per interventi sul mercato dei cambi. Quelle che rimangono nella disponibilità delle banche centrali nazionali possono essere utilizzate oltre che per i medesimi fini di quelle conferite alla BCE per adempiere agli impegni nei confronti di organismi finanziari internazionali, come il Fondo monetario internazionale, o espletare il servizio di debito in valuta del Tesoro.

Con la mozione in esame ci si propone, in buona sostanza, di nazionalizzare la Banca d'Italia attribuendone le quote proprietarie a non meglio precisati soggetti pubblici. Credo che invero con tutta evidenza si cerchi di minarne l'autonomia e l'indipendenza dal Tesoro sancite dalla riforma del 1981. Chi ha redatto questa mozione evidentemente ignora una fondamentale distinzione: essere ente pubblico non significa essere ente di Stato. In tutti i Paesi occidentali di ispirazione liberale le banche centrali sono enti pubblici ma non enti di Stato e, anzi, ne sono autonome e indipendenti. L'autonomia e l'indipendenza vengono garantite da statuto è da normative speciali. La banca centrale era invece ente di Stato nell'Unione Sovietica, ma credo che nessuno all'interno di quest'Aula guardi a quell'esperienza come a un esempio positivo. La banca centrale era sottomessa alla politica del Governo anche nell'Argentina di Perón. Magari qualcuno dei nostri politici oggi guarda invece al caudillo sudamericano come figura di riferimento ma la fine che poi ha fatto l'Argentina è sotto gli occhi di tutti.

Una banca centrale asservita alle direttive del Governo storicamente ha significato politica monetaria accomodante, creazione artificiale di moneta, più debito pubblico, spesa pubblica improduttiva e clientelare, iperinflazione. Per questo ritengo assolutamente irresponsabile pensare di nazionalizzare oggi la Banca d'Italia. Altrettanto irresponsabile riterrei sottrarre alla gestione della Banca d'Italia le riserve auree trasferendone ex lege la proprietà allo Stato. Un recente libro del direttore generale della Banca d'Italia, Salvatore Rossi, dal titolo Oro racconta storia, vita e miracoli delle riserve auree dell'istituto di via Nazionale e sarebbe il caso di rileggerlo attentamente prima di compiere scelte azzardate. Questo accumulo risale al boom economico del Dopoguerra, quando una serie di prudenti e lungimiranti governatori scelsero di investire in lingotti d'oro i proventi in valuta estera dell'esportazione italiana. La riserva doveva funzionare come una sorta di paracadute di emergenza nel caso in cui la situazione economica del Paese volgesse al peggio. L'ultimo acquisto di oro fu fatto nel 1973, quando la riserva toccò il record di 2.565 quintali.

Le riserve auree della Banca d'Italia, che ammontano oggi a quasi 90 miliardi di euro, non sono quindi un lusso ma un baluardo a difesa dalle crisi valutarie contro il rischio sovrano e servono a rafforzare la fiducia nella stabilità del sistema finanziario italiano e della moneta unica, una garanzia per il futuro e per la prosperità dei nostri figli. Mettere le mani oggi sull'oro della Banca d'Italia sarebbe delittuoso: lo sarebbe per la tempistica e lo sarebbe per il fine politico che traspare neppure velatamente.

È chiaro che nel momento in cui il Governo italiano è impegnato nella complessa trattativa con la Commissione europea per evitare la procedura d'infrazione sul buco di bilancio derivato dall'ultima manovra economica, una scelta di questo tipo darebbe l'immagine di un Paese con l'acqua alla gola, costretto a espropriare la Banca d'Italia delle sue riserve per far fronte al suo deficit di parte corrente. È chiaro, inoltre, che i nostri governanti sarebbero pronti a ipotecare il futuro dei nostri figli in cambio di un pugno di voti ottenuti con politiche clientelari. Quel tesoro non sarebbe destinato ad abbattere il debito o a creare realmente più crescita e più occupazione ma a finanziare gli aumenti di spesa che servirebbero al Governo non per fare le riforme necessarie per il rilancio del Paese ma per assecondare le più strampalate promesse elettorali. Ecco perché, al di là dei vincoli dei trattati internazionali, l'oro della Banca d'Italia è bene che resti dov'è adesso.

Va detto altresì che la nazionalizzazione di Banca d'Italia e l'affidamento delle riserve auree al Governo determinerebbero una rottura traumatica degli accordi europei sottoscritti dal nostro Paese e costituirebbero un passo decisivo verso l'uscita dall'euro. L'Italexit è stato uno dei temi agitati dalla maggioranza gialloverde nel corso dell'ultima campagna elettorale e nella fase di formazione dell'attuale Governo. Una serie di dichiarazioni strampalate e imprudenti di esponenti della maggioranza gialloverde, proposte di legge avventurose e incaute e ipotesi di “piani B” hanno portato immediatamente a un pericoloso innalzamento dello spread. Oggi per fortuna è stata evidentemente imposta nel Governo la consegna del silenzio sul tema dell'uscita dell'Italia dall'euro e non a caso lo spread è calato e si registra meno tensione sui mercati, ma con tutta evidenza i rischi per i risparmi degli italiani non sono certamente cessati. La consegna del silenzio prosegue anche oggi, dal momento che nessun esponente di MoVimento 5 Stelle e Lega si è iscritto a parlare in questa discussione. Tuttavia, certi “Dottor Stranamore” dell'economia sono ancora in circolazione e non hanno certo rinnegato le proprie idee e i propri propositi; rimangono solo nell'ombra in attesa di tempi migliori e di un'occasione propizia. Per questo l'approvazione di questa mozione sarebbe pericolosissima, perché rimetterebbe in discussione alcuni principi cardine della nostra permanenza nel sistema dell'euro, appunto l'indipendenza della banca centrale e il conferimento alla BCE delle riserve.

Veniamo, ora, ad altri principi enunciati nella mozione in esame. Il primo è la separazione netta tra banche commerciali e banche di affari. Questo concetto era presente nella legge bancaria del 1936. Essendo oggi in auge nel nostro Paese una sorta di riabilitazione di quella fase storica, immagino che talune forze politiche possano anche subirne il fascino e le suggestioni. Al di là del principio astratto, su un tema così tecnico preferirei che il confronto in Parlamento avvenisse su ipotesi legislative di maggior dettaglio. Chi ha promosso questa mozione dovrebbe dirci, ad esempio, quali titoli le banche di credito cooperativo, le più vicine al territorio, potrebbero continuare ad acquistare e il relativo rating. I firmatari dovrebbero precisare, quindi, nel concreto in quali strumenti finanziari le cosiddette banche commerciali sarebbero, secondo le loro intenzioni, autorizzate a investire i loro capitali. Un dibattito del tutto astratto su un testo così generico come quello della mozione oggi in esame rischia di essere fuorviante e privo di significato. Evitiamo, quindi, di agitare inutili fantocci.

Poi, c'è la responsabilità illimitata degli amministratori delle banche. È questa un'altra proposta demagogica e pericolosa. A quelle condizioni chi accetterebbe più di sedere in un consiglio di amministrazione di una banca? I promotori della mozione vogliono forse riempire i CdA degli istituti di credito di nullatenenti e disoccupati, categorie che ovviamente non hanno nulla da temere dalla responsabilità illimitata, così come è già accaduto per il Parlamento? È del tutto evidente che misure draconiane in tema di responsabilità avrebbero anche come inevitabile effetto il credit crunch. I banchieri sarebbero indotti a erogare credito soltanto a chi presta garanzie al mille per cento e in questo modo si eviterebbero facilmente perdite sui crediti. Ma è davvero quello che vogliono gli estensori della mozione? È politicamente una soluzione? Personalmente non lo credo.

Veniamo, poi, al rientro delle riserve auree nel territorio nazionale. Oggi, come è noto, le riserve auree italiane sono depositate anche all'estero, presso la Federal Reserve di New York e quote minori presso la Banca d'Inghilterra e nei forzieri della Banca nazionale svizzera.

Il rientro fisico nel territorio nazionale non mi pare peraltro una priorità. Il frazionamento dei depositi è prudenziale sotto il profilo del rischio di conservazione. Paperon de' Paperoni, che aveva un unico forziere per il proprio patrimonio, era molto più preoccupato di fronte ai tentativi di scasso della banda Bassotti. Per questo non ritengo il rientro fisico delle riserve una questione particolarmente significativa. Se invece il rientro nelle intenzioni dei promotori della mozione è finalizzato ad una verifica della sua reale consistenza delle nostre riserve depositate all'estero che, come è noto, certi siti complottisti mettono in dubbio, ritengo che la questione potrà essere opportunamente chiarita in altra sede. Il Parlamento ha recentemente votato una Commissione d'inchiesta sulle banche cui sono stati affidati compiti molto ampi. Nulla vieta, anzi direi che è opportuno che tale Commissione possa svolgere anche tutti questi atti ispettivi e di indagine necessari per rassicurare i dubbiosi e accertare e verificare l'effettiva consistenza delle nostre riserve auree. In conclusione, Presidente, Forza Italia non voterà la mozione che stiamo esaminando. Essa appare farcita di temi populisti e demagogici e, se approvata, rischia di innescare un meccanismo pericoloso per il futuro del nostro debito pubblico e del nostro sistema economico. Molte questioni assai delicate che essa affronta meritano però certamente di essere approfondite sul piano tecnico nella Commissione d'inchiesta sulle banche che il Parlamento ha varato. In quella sede potranno trovare risposta le tante domande che una opinione pubblica sconcertata e confusa oggi si pone sulle prospettive finanziarie del nostro amato Paese (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire successivamente. Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.

Sospendiamo a questo punto la seduta, che riprenderà alle 15,20 con lo svolgimento delle dichiarazioni di voto e la votazione finale della proposta di legge recante: Disposizioni per assicurare l'applicabilità delle leggi elettorali indipendentemente dal numero dei parlamentari.

La seduta, sospesa alle 15,10, è ripresa alle 15,25.

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Daga e Gallo sono in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta.

I deputati in missione sono complessivamente ottantacinque, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Sull'ordine dei lavori.

ENRICO BORGHI (PD). Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ENRICO BORGHI (PD). Grazie, signor Presidente. Intervengo per preannunciare, chiedendo che della mia dichiarazione venga dato atto negli atti della nostra seduta, che come gruppo del Partito Democratico invieremo formalmente una lettera al Presidente Fico per manifestare la nostra versione in ordine a fatti, che riteniamo gravi, che sono accaduti prima dell'inizio della ripresa dei lavori odierni con gli insulti che sono stati dati da un rappresentante del Governo, il sottosegretario Alessio Villarosa, nei confronti di alcuni deputati dell'opposizione.

Riteniamo questo fatto estremamente grave, ancorché non accaduto durante i lavori d'Aula, e riteniamo quindi che debba essere investito il Presidente Fico che, a nostro giudizio, dovrà assumere, insieme con il Collegio dei Questori, gli atti e le sanzioni previste dal nostro Regolamento.

Non intendiamo creare tensioni inutili né frapporre ostacoli alla prosecuzione dei nostri lavori tenuto conto del fatto che quanto accaduto è avvenuto al di fuori dei lavori d'Aula, ma crediamo di dover lasciare a verbale la nostra stigmatizzazione del fatto e preannunciare che chiederemo un'espressione formale al Presidente della Camera in considerazione, in particolare, del fatto che un membro del Governo è salito tra i banchi dell'opposizione asserendo dichiarazioni non prettamente urbane. Grazie (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Grazie a lei, deputato Borghi. Riferiremo al Presidente Fico di quanto accaduto e la ringrazio per aver precisato che comunque il contenzioso si è svolto più che in mia assenza, al di fuori della seduta parlamentare.

Seguito della discussione della proposta di legge: S. 881 - D'iniziativa dei senatori: Perilli ed altri: Disposizioni per assicurare l'applicabilità delle leggi elettorali indipendentemente dal numero dei parlamentari (Approvata dal Senato) (A.C. 1616).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione della proposta di legge, già approvata dal Senato, n. 1616: Disposizioni per assicurare l'applicabilità delle leggi elettorali indipendentemente dal numero dei parlamentari.

Ricordo che nella seduta del 9 maggio si è concluso l'esame degli emendamenti e degli ordini del giorno.

Preavviso di votazioni elettroniche (ore 15,30).

PRESIDENTE. Poiché nel corso della seduta potranno aver luogo votazioni mediante procedimento elettronico, decorrono da questo momento i termini di preavviso di cinque e venti minuti previsti dall'articolo 49, comma 5, del Regolamento.

Si riprende la discussione della proposta di legge n. 1616.

(Dichiarazioni di voto finale - A.C. 1616)

PRESIDENTE. Passiamo alle dichiarazioni di voto finale.

Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Magi. Ne ha facoltà.

RICCARDO MAGI (MISTO-+E-CD). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, rappresentanti del Governo, una legge elettorale non è una formula matematica e non è un algoritmo: è una norma improntata a un principio politico e a un principio di sistema; è una norma che deve tradurre l'espressione della sovranità popolare nel corpo del Parlamento.

Or, il problema di questa leggina - così l'ho sentita definire - che noi ci accingiamo a votare è che voi presentate la proposta di legge come un fatto burocratico, come un fatto tecnicistico, di semplice adeguamento alla sciagurata riforma della Costituzione che abbiamo approvato in seconda lettura pochi giorni fa. Nel fare questo, cioè nel perdere l'occasione di aprire un dibattito sulla legge elettorale nel nostro Paese - la cosa incredibile di cui portate la responsabilità è che la maggioranza delle forze politiche rappresentate nel Parlamento si sono dette a lungo e con forza strenuamente contrarie alla legge elettorale attualmente in vigore: mi riferisco, innanzitutto, al gruppo più numeroso presente in questa Camera - si perde dicevo l'occasione di affrontare una discussione sulla legge elettorale. Si perde, cioè, l'occasione di discutere di quella norma che ha un'influenza enorme, non solo nella traduzione del voto popolare e nell'elezione del Parlamento, ma nell'accessibilità stessa del gioco democratico.

Qualcuno qui deve aver dimenticato le battaglie che faceva quando era all'esterno del Parlamento proprio sulle accessibilità alla competizione elettorale. Oggi la nostra legge elettorale resta l'unica che prevede delle soglie praticamente insormontabili per nuove forze politiche o nuove forze sociali, l'unica in Europa.

Si perde l'occasione di affrontare il tema di come una legge elettorale influisce sulla vita interna ai partiti stessi, sulla selezione della classe dirigente, sulla selezione degli eletti. Si perde l'occasione di affrontare le parti più critiche della legge elettorale attualmente vigente: penso, ad esempio, al voto congiunto, penso a quel meccanismo di slittamento dei voti tra coalizioni e all'interno della stessa coalizione tra liste diverse, penso alla questione delle pluricandidature.

Sostanzialmente, voi ci state dicendo che non solo la riforma della Costituzione è qualcosa che debba rispondere all'unico obiettivo del taglio delle poltrone, come lo definite, ma che la legge elettorale è una formula matematica.

La legge elettorale non corrisponde ad alcun principio politico, ad alcun principio di equilibrio di un sistema improntato, appunto, al criterio di rappresentanza dei cittadini. E quello che viene fuori, colleghi, consentitemelo, è una vera schifezza; è una schifezza sotto il profilo del formato dei collegi, e questa cosa è addirittura eclatante per quanto riguarda il Senato, dove abbiamo collegi uninominali che variano dal milione e 300 mila abitanti, al milione e 200 mila, ai 170 mila e ai 120 mila, con evidenti ricadute anche sul piano della costituzionalità, cioè del fatto che noi evidentemente non abbiamo un voto eguale dei cittadini a seconda che questi siano cittadini di una regione o dell'altra. Abbiamo, come già evidenziato durante la discussione della riforma costituzionale nei giorni scorsi, delle soglie implicite di sbarramento, che si determinano, anche qui, in particolare, evidentemente, al Senato. Sono tutti effetti che voi, in maniera candida, non considerate perché questa, secondo voi, è una semplice legge di adeguamento, che quindi consente unicamente di far funzionare l'attuale - brutta, a mio avviso - legge elettorale, anche nel caso di una riduzione dei parlamentari.

L'impatto di questa legge, che per voi è un puro tecnicismo e una pura formula matematica, è un impatto pesante sulla democrazia e sulla competitività e la competizione elettorale che noi avremo davanti. Non ci resta, nell'esprimere una dichiarazione di voto contrario, che augurarci che non vada mai in porto la riforma costituzionale.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Albrecht Plangger. Ne ha facoltà.

ALBRECHT PLANGGER (MISTO-MIN.LING.). Grazie, Presidente. Signor Presidente e onorevoli colleghi, come Südtiroler Volkspartei votiamo contro questa proposta di legge, perché è iniqua, ingiusta e, soprattutto, minatoria di un equilibrio spesso anche faticosamente raggiunto nella nostra terra.

La previsione di solo due collegi uninominali per la provincia di Bolzano e di altrettanti per la provincia di Trento, per l'elezione della Camera dei deputati, comporta che, a prescindere dall'esito delle elezioni, un gruppo linguistico in ogni caso sarà sottorappresentato, se non addirittura escluso. Questo certamente non facilita la convivenza nella quale crediamo fortemente e per la quale continueremo a combattere con convinzione e con rispetto per i nostri concittadini di qualsiasi gruppo linguistico.

La scelta della maggioranza non ha certamente la mira di salvaguardare l'equilibrio politico e sociale nella nostra terra, ma è mera applicazione di aritmetica elettorale al fine di salvaguardare interessi che non coincidono con i valori della convivenza.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Federico Fornaro. Ne ha facoltà.

FEDERICO FORNARO (LEU). Grazie, signor Presidente. Nell'essere umano, il sistema circolatorio è fondamentale. L'irrorazione del sangue nel corpo umano è assolutamente essenziale. Bene, in una democrazia, un buon funzionamento del sistema elettorale produce gli stessi effetti di un buon funzionamento del sistema circolatorio ed esattamente come nel corpo umano, quando ci sono dei blocchi, delle stenosi, tutto il corpo va ad avere dei problemi. Ecco perché abbiamo trovato assolutamente inaccettabile la scelta compiuta dalla maggioranza di, in sequenza, ridurre il numero dei parlamentari e poi presentare questo testo, apparentemente anche con una dicitura neutra - disposizioni per assicurare l'applicabilità delle leggi elettorali indipendentemente dal numero dei parlamentari -, come se il numero dei parlamentari fosse una variabile sostanzialmente indipendente da un corretto funzionamento della legge elettorale e, quindi, del sistema circolatorio che irrora la nostra democrazia.

E guardate, lo ha detto già il collega Speranza durante il dibattito sugli emendamenti, una legge elettorale è una delle misure fondamentali della qualità di una democrazia, a maggior ragione in una democrazia parlamentare come la nostra. Mi sarei aspettato, da parte della maggioranza e di quella parte di maggioranza che aveva fatto una battaglia molto forte nella scorsa legislatura contro l'attuale legge elettorale, una discussione di ricaduta dopo la decisione di tagliare il numero di parlamentari, cioè entrare attorno alla questione se proseguire sulla strada di un proporzionale con alcuni correttivi in senso maggioritario, oppure ritornare ad un maggioritario, insomma una discussione vera, un confronto vero in Parlamento, un dibattito pubblico attorno a queste questioni. Invece, è stato artatamente messo il silenziatore, un silenziatore messo anche sulle dimensioni dei collegi. Voi continuate e con questa legge amplificate alcuni difetti del Rosatellum perché chiamate collegi quelli che normalmente in dottrina assomigliano più a delle circoscrizioni. I collegi - lo ricordo per chi ci ascolta - erano quelli del Mattarellum, erano collegi alla Camera da 125 mila abitanti circa, non certo collegi che hanno le dimensioni, invece, di oltre 400 mila abitanti per la Camera, medi, e 800 mila per il Senato. Insomma, avete costruito, attraverso un combinato disposto della riduzione del numero dei parlamentari e di questa legge, un mostro da questo punto di vista.

Ma soprattutto - e io vorrei sottolinearlo - io credo che ci sia un dato che tutti noi dovremmo condividere: viviamo in una fase in cui è forte la crisi di legittimazione delle istituzioni, è forte una crisi delle democrazie rappresentative. Allora mi domando se la risposta a questa crisi, la medicina che noi dovremmo somministrare per rinforzare, per sanare una serie di patologie della nostra democrazia rappresentativa, possa essere questa legge, che, invece, finirà per accrescere i problemi. Finirà, per esempio, per ampliare il divario tra eletti ed elettori: avremmo avuto bisogno di un sistema elettorale capace di avvicinare l'eletto all'elettore, anche in una logica di controllo dell'attività del rappresentante da parte del rappresentato; e invece si va esattamente nella direzione opposta, nell'assoluto silenzio di un dibattito che alla fine è stato impostato con il tentativo di far passare questa legge elettorale come un atto dovuto, per evitare che ci fosse una situazione di non praticabilità di elezioni in caso di approvazione della riduzione del numero dei parlamentari e sostanzialmente di una neutralità. Questo non è un testo neutrale, perché deve essere letto insieme con la riduzione dei parlamentari che questa Camera ha approvato in seconda lettura qualche giorno fa.

C'è un altro aspetto che vorrei sottolineare, e ovviamente qui le posizioni possono essere differenti, e anche io credo, spero, oggetto di confronto; ma mi fa specie che una forza come il MoVimento 5 Stelle, che ha fortemente osteggiato il Rosatellum, di fatto oggi approvi una norma che rafforza, in qualche modo lo istituzionalizza, gli dà maggiore forza come legge di sistema, facendolo quasi diventare una legge di sistema. Ed è anche evidente che i limiti che, per quel che ci riguarda, avevamo già evidenziato nella XVII legislatura, di rappresentatività, di riduzione, di compressione della rappresentatività politica e territoriale che erano già dentro il Rosatellum, oggi escono assolutamente amplificati; così come - vorrei ricordarlo soprattutto e in particolare per quel che riguarda la rappresentatività politica, i diritti delle minoranze, degli elettori che esprimono in alcuni casi milioni di voti, e poi non si vedrebbero rappresentati in questo Parlamento - l'innalzamento delle soglie implicite al Senato, dove in nove regioni la soglia implicita è superiore al 25 per cento, e in molte di queste regioni siamo oltre il 33 per cento.

E guardate, quando dico che questo amplifica i difetti, provo a dirvelo coi numeri, e i numeri sono abbastanza chiari. Al Senato, elezioni 2018, per esempio la lista di Liberi e Uguali ha ottenuto quasi 1 milione di voti, 919 mila voti, ed è rappresentata da solo quattro senatori, cioè ogni senatore rappresenta quasi 250 mila elettori; un senatore della Lega ne rappresenta 143 mila, uno del Partito Democratico 134 mila, e 145 mila del MoVimento 5 Stelle. Come vedete c'è già una distorsione della rappresentatività, che verrà ulteriormente ampliata: qui c'è il rischio vero al Senato che una lista che prenda 1 milione di voti, che non sono evidentemente la maggioranza, ma sono una quota significativa, abbia uno-due senatori. È evidente che qui c'è un problema; e avremmo voluto delle risposte ai problemi che abbiamo posto anche nella fase di discussione degli emendamenti, e non la risposta che questa in fondo è una legge neutrale.

Io credo quindi che la sfida debba esserci, una sfida anche a capire se questa diventerà e rimarrà la legge elettorale condivisa da questa maggioranza, o si aprirà una discussione per una legge elettorale condivisa. Perché guardate, quello che oltretutto non fa questa legge, vorrei sottolinearlo: non cerca neanche di sanare i bachi del sistema elettorale vigente, che si sono manifestati alla prima applicazione pratica, cioè nelle elezioni del 2018. L'ho ricordato già in discussione sulle linee generali, mi permetto di ripeterlo qui perché c'è qualche collega in più: vorrei segnalare che il Senato della Repubblica in questo momento non è in compliance, come si dice, cioè non è perfettamente uguale al dettato costituzionale, perché è composto soltanto da 314 senatori e non da 315, perché nella Sicilia non si è riusciti ad attribuire un seggio, causa il fatto che il MoVimento 5 Stelle aveva esaurito tutti i tutti i candidati eleggibili.

Ci sono altri banchi del sistema che si sono verificati poi nella nell'applicazione concreta. Ci saremmo aspettati che almeno su questo ci fosse un tentativo di discussione: di fronte ad una riduzione dei senatori a 200, per esempio, si poteva mettere in discussione un altro articolo della Costituzione, che dice che il Senato è eletto su base regionale? Perché questo è il vero, grande problema rispetto alla rappresentatività: mentre alla Camera, essendoci soltanto nel dettato costituzionale il riferimento alle circoscrizioni, il sistema elettorale nella distribuzione dei seggi ha una dimensione nazionale, e quindi gli effetti sono limitati anche a livello di riduzione, il combinato disposto della dimensione regionale di elezione dei senatori con la riduzione del numero provoca o no degli effetti di sistema negativi? Vorrei anche su questo essere smentito; il problema è che nella discussione pubblica e in questa sede a questi dubbi non è stata data nessuna risposta.

E in ultimo, lo abbiamo già detto: dimensione di collegi che arrivano al Senato fino al massimo di 1 milione e 300 mila abitanti per l'Abruzzo, o della Camera, che arriva a 578 mila nella Basilicata, pongono o non pongono una questione di compressione potenziale dei territori marginali? Noi crediamo di aver posto dei dubbi e delle riserve concrete, non strumentali; sfidiamo, nel momento in cui ci sarà bisogno, anche ovviamente a dare il nostro contributo per una nuova legge elettorale; ma in queste condizioni assolutamente non possiamo votare favorevolmente, e convintamente daremo un voto contrario a questa proposta di legge (Applausi dei deputati del gruppo Liberi e Uguali).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Paolo Trancassini. Ne ha facoltà.

PAOLO TRANCASSINI (FDI). Presidente, onorevoli colleghi, noi oggi ci troviamo ad approvare e a discutere di questa legge, che è stata presentata dalla maggioranza come un tecnicismo, una sorta di semplice presa d'atto. Ebbene, se fosse così sarebbe comunque in ogni caso una grande occasione mancata: era l'occasione per parlare della riforma elettorale, era l'occasione per dare contenuto a tutto quello che soprattutto il MoVimento 5 Stelle ripete sui social ormai da anni; era l'occasione per esempio di reintrodurre in questo Paese un grande momento di libertà per i cittadini, che è la possibilità di apporre la preferenza, apporre il nome e il cognome sulla scheda elettorale di colui dal quale vogliono essere rappresentati. Abbiamo posto in Commissione questo tema, ma ci è stato detto che questo non era il momento; per la verità Fratelli d'Italia si sente ripetere da anni che non è mai il momento di reintrodurre il sistema delle preferenze nel nostro sistema elettorale (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia). Evidentemente fa comodo a tutti, ed alle cose comode, come le poltrone, ci si abitua subito. E questa è una grande occasione mancata non solo e non soltanto dal Governo del cambiamento, ma dal movimento del cambiamento, che non ha colto al volo la possibilità, appunto, di reintrodurre le preferenze attraverso la discussione di oggi e la legge di oggi.

Dicevamo, una presa d'atto, un tecnicismo. Ebbene, però noi abbiamo pensato come Fratelli d'Italia di apporre dei correttivi a questa presa d'atto: perché vedete, i collegi diventeranno dei collegi molto grandi, arriveranno a 500, 600 mila abitanti. Non siamo tutti uguali, io credo che la politica debba avere la capacità di muoversi e di avere rappresentanti in tutte le nostre realtà italiane, e soprattutto di adattarsi a quelle che sono le differenze. Noi tutti quanti parlamentari, soprattutto in un momento come questo di campagna elettorale, ci misuriamo con lo stesso tema, tutti, indipendentemente dall'appartenenza politica.

Io credo che il tema principale sia quello della credibilità della politica. Viviamo in un momento storico in cui la metà della gente non vota, e chi vota molto sceglie di sporcare una scheda o un movimento di protesta. Questa poteva essere l'occasione per dimostrare che la politica il suo lavoro lo fa bene, ha la capacità di apporre dei correttivi a una legge elettorale e fare in modo che ogni comunità, la più piccola, le comunità periferiche, quelle di montagna, quelle a bassa densità abitativa, avessero il proprio rappresentante. E invece rispetto a tutti gli emendamenti, alle discussioni che Fratelli d'Italia ha portato in Commissione e in Aula, si è preferito voltarsi dall'altra parte. Addirittura ci è stato negato quello che nel lessico e nel modo di parlare di questo Parlamento ormai anche io che sono uno nuovo mi sono abituato ed ho imparato, cioè che un ordine del giorno non si nega a nessuno: no, ci è stato negato anche l'ordine del giorno (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

Questo Governo non ha avuto la capacità di prendersi l'impegno, da qui a non so quando, di avere attenzione per dare rappresentanza ai centri, alle province a bassa densità abitativa. Ebbene, comunque un argomento potrebbe essere, me lo dico da solo, ma non era questo il caso, non l'abbiamo fatta, una legge… È una legge che deve prendere semplicemente atto della riduzione dei parlamentari, è un tecnicismo, ne parleremo un'altra volta. Non è così, perché su tre articoli ce ne uno, il primo, in cui questo Governo, l'impegno con una minoranza, quella del Sud Tirolo, lo prende, questo Governo decide di dare un segnale chiaro al Sud Tirolo: tu avrai il tuo rappresentante; Rieti no, ma il Sud Tirolo, sì (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia), e a questo noi non ci stiamo, perché, amici della Lega, per davvero, vengono prima gli italiani, per davvero vengono prima gli italiani di quelli che fanno finta di essere italiani (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia), che approfittano ogni volta, quando è il caso, di fare gli italiani. Prima gli italiani, prima Rieti del Sud Tirolo (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia)!

E non basta, amici della Lega, venire sui nostri territori con le felpe; sotto le felpe, da oggi, dovete avere il coraggio di metterci: collegio. Se a Visso c'è il collegio, se a Rieti c'è il collegio, se a Leonessa c'è il collegio, il vostro Salvini potrà mettersi la felpa, se no sarà veramente una grande presa in giro.

Per questi motivi, pur essendo d'accordo e aver votato a favore della riduzione del numero dei parlamentari, perché siamo da sempre dalla parte del risparmio sulle spese della politica, rispetto a questa occasione mancata, Fratelli d'Italia decide di astenersi, perché spera, sempre, che da parte, non tanto del Governo del cambiamento, ma soprattutto da parte della Lega, ci sia un ravvedimento (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia - Congratulazioni).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato D'Ettore. Ne ha facoltà.

FELICE MAURIZIO D'ETTORE (FI). Grazie, Presidente. L'intervento in materia di legge elettorale, in dichiarazione di voto, ha sempre una rilevanza particolare, perché la legge elettorale, nonostante quello che si è ascoltato in questi giorni da parte della maggioranza, non è una qualsiasi legge, è il provvedimento che consente di esprimere la volontà popolare in sede di elezioni politiche ed è il provvedimento che ha una sua radice e un suo humus fondamentale nella Carta costituzionale. È bene ricordarlo, la legge elettorale prevista nei lavori dell'Assemblea costituente non è stata costituzionalizzata; dapprima Mortati e poi Giolitti, del Partito Comunista, provarono a tracciare una linea che era quella di collegare la Repubblica parlamentare e la centralità del Parlamento a un sistema proporzionale, a cui era legato lo stesso procedimento di revisione previsto dall'articolo 138. È chiaro ed evidente che diminuendo i parlamentari e modificando il sistema elettorale - perché lo modifichiamo, come dirò a breve, non lo adeguiamo soltanto -, avremo un sistema che è incompatibile con un Parlamento che decide in maniera univoca ed esclusiva della revisione costituzionale, perché un'ampia rappresentanza, legata a un sistema proporzionale, garantisce il procedimento di revisione, se no sono altri che devono intervenire in questo procedimento. Questo è il primo vulnus che dipende dalla legge elettorale; attenzione, non è un adeguamento.

Come dicevano i colleghi in precedenza, anche il collega di Fratelli d'Italia, è evidente che il sistema si trasforma con questo mero adeguamento tecnico in cui si dice che si utilizzerà un calcolo frazionario e non più un numero fisso di collegi nominali e, quindi, quale che sia il numero di deputati e senatori, con quel calcolo matematico frazionario si decideranno le sorti, attraverso lo stesso sistema elettorale. Non è così, noi snaturiamo la legge elettorale attuale, in questo modo; diventa sostanzialmente una legge tutta maggioritaria, perché anche i collegi plurinominali in alcuni casi esprimeranno solo un senatore, per esempio, al Senato. Penso alle clausole previste di tutela delle minoranze, alla possibilità di rappresentanza; ad esempio, un voto espresso in una regione poteva valere per recuperare parlamentari in altre regioni, sarà difficile poterlo fare in tutti i casi, soprattutto al Senato sarà completamente impossibile, vista la riconferma della base regionale. Quindi, cosa avviene? Che in alcune regioni, anche quelle a statuto speciale come il Friuli Venezia Giulia o altre, non ci sarà una rappresentanza adeguata al sistema parlamentare sul quale si fonda la sovranità popolare.

E spesso, la Corte costituzionale ci ricorda - ed è bene ricordarlo, perché stiamo intervenendo su una legge che è sensibile nel quadro costituzionale, è fondamentale nell'espressione, non solo della volontà popolare, ma dell'assetto della rappresentatività nelle Aule parlamentari - che al di là del testo cartaceo ci sono principi, valori, interessi e sensibilità che vengono espressi in maniera implicita e che rafforzano il testo costituzionale nel divenire e nell'evolversi del tempo. È chiaro che c'è un sentimento comune, che sta sempre più emergendo, di riduzione dei parlamentari, ma ancora non siamo in fase di procedura definitiva; prima di procedere a una definitiva riduzione dei parlamentari, non si capisce perché anticipiamo il provvedimento in materia di legge elettorale; non c'è questo collegamento immediato, il collegamento è dopo la riduzione dei parlamentari, dopo che l'assetto è definitivamente recepito con l'ultima lettura di natura costituzionale da parte delle Aule parlamentari.

Ciò non si comprende, così come anche un altro passaggio non si comprende, perché la Corte ha ricordato che, quale che sia poi l'intervento in legge elettorale, ci deve essere un sistema omogeneo fra Camera e Senato e, invece, il risultato è disomogeneo con questo risultato tecnico di adeguamento che volete fare. Ciò è emerso in tutta la discussione, in Aula. Ecco perché non ha significato questa riforma in questo momento, questa revisione del testo della legge elettorale, perché snaturate il contenuto della legge elettorale così come era previsto, lo snaturate (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente)! È un'altra legge elettorale, questa, con questo adeguamento che fate, non è un adeguamento, è una nuova legge elettorale maggioritaria, sulla base della riduzione dei parlamentari, che non dialoga con il resto del sistema costituzionale e che impone una forzatura da parte della maggioranza, perché questa norma elettorale ha rilevanza costituzionale primaria. Io non voglio tutte le volte, perché sennò poi mi riprendete, dire che non capite niente di legge costituzionale, ma voi non capite niente di questa roba, non sapete mai quello che fate, la vostra totale ignoranza, in questi provvedimenti, emerge in maniera terribile! E viene spontaneo dirvelo, lo ripeto, viene spontaneo dirvelo, perché abbiate un minimo di riflessione. Noi abbiamo voluto insieme a voi la riduzione dei parlamentari, ma la legge elettorale è uno strumento delicatissimo in funzione della revisione costituzionale e, se toccate la riduzione dei parlamentari e fate una legge elettorale che diventa puramente maggioritaria, stravolgete il sistema costituzionale parlamentare italiano, ancor più con questa norma rispetto a quella della riduzione (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).

Siamo d'accordo, il primo firmatario al Senato della proposta di legge costituzionale per la riduzione dei parlamentari era il senatore Quagliariello, quindi, noi l'abbiamo votata convintamente, anche prefigurando scenari difficili, di difficile applicazione in alcune regioni, soprattutto per la tutela delle minoranze e per la totale rappresentatività del Paese; lo abbiamo fatto e qui vicino a me l'onorevole Novelli lo ha fatto per il Friuli Venezia Giulia, come Pettarin, come altri colleghi, per il Trentino e per tutte le realtà che devono vedere riconosciuta la loro rappresentanza, ma qui il tema è di mera, anzi, non di mera, il termine è sbagliato, di rilevante politica costituzionale, perché questa legge elettorale inficia il sistema elettorale precedente, lo disarticola e rende disomogeneo il risultato fra Camera e Senato. Questo dovete comprenderlo, lo sapete anche voi o, meglio, qualcuno di voi lo sa e sono certo che abbiate ancora il tempo per cambiare idea. Mi rivolgo, in particolare, al presidente della Commissione affari costituzionali che ho visto sempre sensibile su questi temi, anche in momenti di divisione fra le nostre parti politiche, questo è un appello, un auspicio: rimandiamo o almeno aspettiamo su questo testo di legge elettorale di dare, come dire, il responso delle Camere, aspettiamo di definire la norma costituzionale sulle elezioni parlamentari, coordiniamola con il resto del sistema costituzionale e, poi, ragioniamo su una nuova legge elettorale che sia coerente non solo sul piano numerico, qualunque sia il numero dei parlamentari si applica questa legge, perché poi non si applicherà questa legge. Questa legge era nata sulla base dei 630 deputati e dei 315 senatori, lo sapete benissimo, mi rivolgo anche - ne abbiamo discusso in Giunta delle elezioni recentemente - ai colleghi dei 5 Stelle e della Lega, e abbiamo visto chiaramente quali sono le disfunzioni della norma attuale, le difficoltà applicative, quindi veniva spontaneo pensare a una riduzione complessiva o a una nuova legge elettorale legata in maniera organica al nuovo sistema dipendente dalla riduzione dei parlamentari. Voi, però, come sempre, volete accelerare, far vedere che fate tutto. Pensate che ci sia qualcuno - non so chi è che vi consiglia - che vi dice che c'è questo legame da dover immediatamente dipanare e dirimere, ma in realtà non c'è, perché ancora non c'è la legge costituzionale di revisione del testo sulla riduzione dei parlamentari, quindi è incomprensibile questa fretta, che è soprattutto una fretta che non vi consente di riflettere. Allora sono certo che nei prossimi mesi ci sarà modo di discutere insieme nelle Commissioni competenti e di trovare una soluzione realmente coerente alla riduzione dei parlamentari, che renda soprattutto omogenei due sistemi elettorali per Camera e Senato e che dia importanza e rilevanza alle minoranze. Per fare questo, sulla legge elettorale non ci si divide; è già successo, ma non ci si divide, e si trova, soprattutto quando si parla anche di riforme costituzionali, un accordo che preveda la partecipazione di tutti i gruppi politici. Per questi motivi la mia dichiarazione per il gruppo di Forza Italia è di un voto contrario, nettamente contrario a questa scellerata revisione (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Gennaro Migliore. Ne ha facoltà.

GENNARO MIGLIORE (PD). Signor Presidente, mi farebbe piacere raccontare a quest'Aula quale potrebbe essere la prospettiva di questo Paese nelle mani di una serie di improvvisati riformatori costituzionali che si sono arrogati il diritto di intervenire senza coerenza su una serie di argomenti decisivi per lo sviluppo della democrazia nel nostro Paese, invece sento un clima distratto, all'interno di quest'Aula e anche, a dir la verità, nel Paese, rispetto ad un metodo che viene utilizzato per rammendare alcune bandiere logore, strappate, che il MoVimento 5 Stelle ormai sta perdendo per strada e che di volta in volta vuole cercare di rinvigorire, addirittura con una tecnica, quella dello spezzatino della riforma costituzionale, che, a nostro giudizio, a giudizio del Partito Democratico, rappresenta un rischio, sia dal punto di vista del merito e del contenuto sia dal punto di vista della prospettiva che apre rispetto ad una stagione che, invece, si poteva anche discutere con serenità a valle di un tentativo realmente riformista, come era stato quello che poi ha portato al referendum che ha bocciato la riforma costituzionale che avevamo proposto noi, e che invece si perde all'interno di una dinamica più di carattere parlamentare che di una vera capacità di interessare le persone su questi argomenti.

Stiamo attraversando, quindi, una fase molto complicata, una fase nella quale questa sequenza di riforme veniva immaginata come una potenziale crescente dismissione - dal nostro punto di vista - del potere della democrazia rappresentativa a favore di un avvicinamento - presunto, ovviamente - nei confronti delle persone. Insomma, un'idea, a partire dal referendum propositivo passando per la riduzione del numero dei parlamentari e concludendosi con questa sorta di eternizzazione di una legge elettorale pensata per un altro contesto, che proponesse una specie di geometrica potenza della capacità riformatrice di questo Governo di fronte ad un'esigenza, che sarebbe quella di avvicinare le persone e addirittura, come ho sentito dire, di rendere più autorevole la figura del rappresentante in Parlamento.

Ebbene, dalla geometrica potenza, che io non percepisco, perché in realtà mi sembra che sia soprattutto una bandiera ideologica, si arriva all'aritmetica impotenza di definire quelle che sono le circoscrizioni, quelli che sono i perimetri elettorali dentro i quali si manifesteranno una serie di sbarramenti impliciti, di limitazione della rappresentanza, di impossibilità di avere i propri rappresentanti seduti all'interno di quest'Aula, perché, a un certo punto, bisognava dare il segnale che la riforma dei parlamentari, della riduzione dei parlamentari, fosse incastrata ad una legge elettorale che non dovesse essere più discussa. Eppure, io vorrei ricordare che i principali oppositori alla legge che pure noi abbiamo votato, quella del Rosatellum, che ovviamente rivendichiamo come legge sostenuta dalla nostra maggioranza di allora, furono proprio i rappresentanti del MoVimento 5 Stelle. Assolutamente incongrua, quindi, questa opposizione, questo favore, senza nessuna considerazione di quella che era stata l'opposizione precedente; una posizione incongrua, che rappresenta esattamente il sentimento dell'eternamente presente che viene rappresentato oggi dal MoVimento 5 Stelle. Voi vi state assumendo la responsabilità di rendere questa legge elettorale come un vestito stretto nei confronti di una possibile riforma costituzionale. Dico possibile, perché è del tutto evidente la scena piuttosto patetica che viene offerta dal Governo giorno per giorno, nel momento in cui vi sono sempre crescenti motivi di tensione, di incapacità a governare, che cercano di mascherare anche facendo la voce grossa nei confronti di chi sta operando, in questo Paese, per il bene e non per il male. Voglio qui utilizzare questi pochi minuti per ringraziare l'elemosiniere del Papa per un gesto di disobbedienza civile (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico), al quale un Ministro dell'Interno non può rispondere “allora paghi 300 mila euro di bollette arretrate”, perché lui di arretrati ne ha 49 milioni (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico). Questo solo per dire che abbiamo bisogno di maggiore rigore istituzionale, e il rigore istituzionale si vede anche quando si applicano le leggi.

Ora, voi fate una legge rispetto ad un Parlamento ipotetico di 400 deputati e 200 senatori; ci sono stati altri colleghi che, prima di me - il collega Fornaro, il collega Magi, altri colleghi -, hanno spiegato che cosa significhi in termini di limitazione della libertà dei cittadini di esprimere i loro rappresentanti. Certo, se uno pensa che questi cittadini poi potranno autorappresentarsi attraverso ipotetici strumenti di democrazia diretta, è evidente che non esiste la connessione, ma siccome esiste ancora una Costituzione che prevede un regime parlamentare, voglio fare una semplice valutazione: ci sono delle regioni che, in virtù della riduzione - in particolare al Senato, ma anche alla Camera -, penso al Friuli Venezia Giulia, al Molise, alle Marche, penso alla Basilicata, alla Liguria, al Trentino, all'Alto Adige, avranno una rappresentanza solo nei partiti maggiori.

E ovviamente questa limitazione della rappresentanza riguarderà anche, per formazioni che magari sono parte del pluralismo democratico del nostro Paese, formazioni che, non per lo sbarramento previsto dalla legge, ma per lo sbarramento implicito all'interno delle singole circoscrizioni elettorali, non potranno avere una rappresentanza, in particolare al Senato, ma anche alla Camera. Allora, vorrei chiedere alla maggioranza, in particolare al MoVimento 5 Stelle: voi chi intendete rappresentare? Quali sono le esigenze che volete rappresentare, diminuendo il potere democratico dei cittadini e degli elettori? Perché non avete immaginato che almeno vi potesse essere un adeguamento - questo sì - di una nuova legge elettorale rispetto alla quale si potessero valutare anche le congruità che vengono legate anche a una diminuzione, che non è solo aritmetica? Perché siete impotenti, denunciando peraltro, con le relatrici che erano nel precedente provvedimento, che queste sono delle aporie, dei problemi ben noti a chi sta scrivendo questa legge e magari, non dicendo neanche ai vostri colleghi - e concludo - che la precedente legge non potrà essere più emendata e che, quindi, il terzo e il quarto passaggio, le seconde letture di Camera e Senato, saranno solo eventualmente o confermative o negative? Perché? Ed è per questo ovviamente, che in continuità con il precedente provvedimento, votiamo contro. Voi non state facendo il vostro dovere di spiegare agli italiani di cosa oggi ha bisogno il Paese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico). E perché - lo dico proprio con una battuta, perché non voglio rubare tempo né agli altri interventi, né ad un'interlocuzione che io avrei preferito più salda -, oggi ascolto la voce così opposta di Forza Italia e ieri, invece - e ho concluso -, abbiamo dovuto vedere il soccorso di Forza Italia alla riduzione dei parlamentari (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico)? Non sono due cose collegate, collega D'Ettore, non sono due cose collegate? Io penso di “sì” ed è per questo motivo che vanno dismessi qualsiasi atteggiamento e qualsiasi attitudine ipocrita e va detta la verità. Voi state facendo solo propaganda (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Iezzi. Ne ha facoltà.

IGOR GIANCARLO IEZZI (LEGA). Grazie, Presidente, grazie colleghi, membri del Governo. Io vorrei innanzitutto chiarire quello che stiamo facendo: noi stiamo approvando una legge ordinaria, una legge ordinaria che nasce in un contesto, un contesto ben preciso, un percorso chiaro che noi abbiamo avviato mesi fa e a cui oggi si aggiunge un ulteriore tassello. Mesi fa, noi abbiamo deciso di dare avvio ad alcune riforme istituzionali, ad alcune riforme costituzionali e per farlo abbiamo deciso di usare un percorso ben chiaro e ben preciso, cioè quello che ci veniva indicato dalla stessa Costituzione, dagli stessi articoli della Costituzione. Quindi, abbiamo deciso di procedere non con una grande riforma costituzionale che prendesse in esame dieci, venti o trenta articoli, ma abbiamo deciso di portare avanti più riforme costituzionali che prendessero in esame, trasformassero e modificassero un singolo articolo della Costituzione, massimo due. La legge di cui oggi stiamo parlando, che nella sostanza è una sorta di adeguamento dell'attuale legge elettorale, serve per compiere in maniera definitiva il percorso che è legato, invece, alla riforma costituzionale che riguarda il taglio dei parlamentari, perché oggettivamente tutti sanno che noi di quello stiamo parlando. Questa riforma compie il percorso di quell'altra riforma costituzionale, che è il taglio dei parlamentari. Noi abbiamo deciso di modificare due articoli della Costituzione, riducendo il numero dei deputati da 630 a 400 e il numero dei senatori da 315 a 200, un taglio del 36 per cento. Ovviamente per poter compiere questa riforma - che è una riforma attesa da moltissimi cittadini fuori da questo Palazzo, anche se all'interno di questo Palazzo sembra gettare nel terrore molti esponenti politici - bisognava portare avanti una sorta di adeguamento della legge elettorale.

Noi questo abbiamo fatto: si tratta solo ed esclusivamente di un adeguamento. Non abbiamo modificato nessun meccanismo e la legge elettorale è esattamente quella che avevamo prima. Questo non lo dico solo io, ma lo dicono molti degli interventi contrari alla legge in questione che mi hanno preceduto. Ho sentito, per esempio, i colleghi di Fratelli d'Italia parlare di occasione persa, come della mancanza che noi non abbiamo saputo cogliere di poter fare una grande riforma elettorale, ma questa non è una mancanza, era una precisa e chiara volontà: noi non stiamo discutendo della riforma della legge elettorale; noi stiamo discutendo ancora del taglio dei parlamentari e quella di oggi altro non è che una normale legge di adeguamento, che non tocca minimamente i meccanismi della legge elettorale, con la quale abbiamo votato e andremo a votare (mi auguro il più in là possibile). Ripeto: questi meccanismi non vengono minimamente toccati; si tratta solo di un adeguamento e io credo che le voci contrarie a questo adeguamento siano solo il terrore di tagliare qualche decina di posti in quest'Aula. Noi questo terrore non ce l'abbiamo e quindi votiamo in maniera favorevole a questa legge di adeguamento (Applausi dei deputati dei gruppi Lega-Salvini Premier e MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto la deputata Valentina Corneli. Ne ha facoltà.

VALENTINA CORNELI (M5S). Grazie, Presidente. Anch'io intendo ribadire un concetto molto semplice, cioè il fatto che la legge che ci accingiamo a votare non è assolutamente una legge elettorale stricto sensu, bensì, come rubricato nel provvedimento, si tratta di “Disposizioni per assicurare l'applicabilità delle legge elettorali, indipendentemente dal numero dei parlamentari”. Questo che significa? Significa che la riforma con cui abbiamo ridotto di ben 345 unità il numero dei parlamentari non era uno spot elettorale, perché se fosse stato uno spot elettorale, noi avremmo fatto la norma, l'avremmo buttata lì, avremmo detto che era una norma programmatica, ma per noi questo non è il modo corretto di operare. Per noi il modo corretto di operare è questo; poi, sono punti di vista, ma per noi i cittadini non vanno mai presi in giro.

Solo per amore di verità, io ricordo la legge n. 52 del 2015, che è entrata in vigore il 1° luglio 2016; fino a fine giugno era in vigore la normativa di risulta della legge n. 1 del 2014, il cosiddetto Consultellum; poi il 1° luglio è entrato in vigore appunto l'Italicum, però è entrato in vigore solo per la Camera dei deputati, perché il Senato si presupponeva che non fosse più elettivo, però era ancora elettivo. Quindi avevamo per una Camera un sistema ipermaggioritario, per l'altra Camera un sistema proporzionale puro e - lo ripeto, sono opinioni - per noi quello non era un modo corretto di operare. Premesso ciò, i vizi che i colleghi hanno rilevato io non li ho confutati, né in discussione generale, né durante tutto il dibattito che c'è stato. Dei vizi esistono, però non afferiscono a questo provvedimento, tanto meno alla riforma che noi abbiamo operato e concluso, almeno in seconda lettura, bensì afferiscono alla legge n. 165 del 2017, ossia al cosiddetto Rosatellum, quindi evidentemente non possono essere riversate a valle delle criticità che esistono a monte. Pertanto, il MoVimento 5 Stelle è perfettamente consapevole che questo Paese ha bisogno di tante cose, di tante priorità e, probabilmente, la legge elettorale non è una di queste, però siamo assolutamente disposti a scrivere insieme a tutti i colleghi e insieme a tutte le opposizioni una legge elettorale che sia degna di questo nome; possibilmente una legge elettorale magari che non avvantaggi le coalizioni, perché l'articolo 49 della Costituzione parla di partiti e non di coalizioni; soprattutto, una legge elettorale che non sia cucita su un preciso momento storico, perché è questo che avviene ed è sempre avvenuto; la storia, però, ci ha insegnato che poi le cose sono andate in maniera diversa da quello che si voleva.

Nessuno pensi di avere in mano il voto di opinione o il voto di preferenza, perché questo è un popolo “bizzarro”, così lo definì Churchill in una nota citazione a lui attribuita. Le cose vanno diversamente da quello che si prevede. Ricordo la Democrazia Cristiana che ottenne la maggioranza assoluta con il proporzionale puro e perse con la “legge Scelba”. Ricordo che il Rosatellum aveva come scopo quello di non far vincere il MoVimento 5 Stelle - poteva governare chiunque ma non il MoVimento 5 Stelle - ma le cose sono andate diversamente.

Noi siamo al Governo di questo Paese e non ci sottraiamo dalla responsabilità che ci è stata attribuita, perché i cittadini confidano in noi: tanto è stato fatto, ma tanto si deve ancora fare. Noi sicuramente siamo nati come forza antisistema, ma le cose sono cambiate. Adesso abbiamo dimostrato che un nuovo modo di fare politica è possibile; dobbiamo andare avanti in questa direzione perché, mi spiace, non è possibile tornare indietro. Per questo motivo dobbiamo continuare per cambiare e io annuncio il voto favorevole del MoVimento 5 Stelle (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. Salutiamo alunni e insegnanti della scuola primaria III Circolo didattico San Giovanni Bosco di Bisceglie, in provincia di Bari, che sono qui in tribuna ad assistere ai nostri lavori (Applausi)

Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, la deputata Biancofiore. Ne ha facoltà.

MICHAELA BIANCOFIORE (FI). Presidente, solo un minuto, a titolo personale, perché ho sentito prima una cosa che un po' mi ha fatto accapponare la pelle e, purtroppo, è venuta proprio dai banchi degli alleati, degli amici di Fratelli d'Italia. Abbiamo parlato tanto in quest'Aula di minoranze, quelle riconosciute a livello nazionale e quelle esistenti in realtà. Amici di Fratelli d'Italia, abbiamo parlato molto anche del fatto che questo è il Parlamento italiano e che prima, giustamente, devono venire gli italiani. Allora, non si può chiamare, in quest'Aula, l'Alto Adige “Sudtirolo”, perché io quando mi esprimo nei confronti dell'Alto Adige lo dico sempre nelle due lingue - Alto Adige-Südtirol -, ma vi prego, siccome già in Alto Adige è in atto un grande diverbio e c'è una querelle enorme sulla cancellazione della toponomastica italiana, vi prego, proprio voi, amici di Fratelli d'Italia - ma lo chiedo a tutto il Parlamento -, non identifichiamo l'Alto Adige-Südtirol come una nazione: chiamiamolo Alto Adige perché, già ai tempi di Napoleone, si chiamava Haut-Adige. Quindi, per favore, diamo le traduzioni esatte ma non identifichiamo con nomi che poi non corrispondono alla realtà, dando adito, peraltro, all'ilarità di quelli che invece, in realtà, in quel caso, si volevano attaccare o colpevolizzare (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).

PRESIDENTE. Sono così esaurite le dichiarazioni di voto finale.

(Votazione finale ed approvazione - A.C. 1616)

PRESIDENTE. Avverto che la prossima votazione avrà luogo a scrutinio segreto.

Passiamo alla votazione finale.

Indìco la votazione finale segreta, mediante procedimento elettronico, sulla proposta di legge, già approvata dal Senato, n. 1616: S. 881 - "Disposizioni per assicurare l'applicabilità delle leggi elettorali indipendentemente dal numero dei parlamentari" (Approvata dal Senato).

Dichiaro aperta la votazione.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.

La Camera approva (Applausi) (Vedi votazione n. 1).

Seguito della discussione del disegno di legge: S. 1165 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 25 marzo 2019, n. 22, recante misure urgenti per assicurare sicurezza, stabilità finanziaria e integrità dei mercati, nonché tutela della salute e della libertà di soggiorno dei cittadini italiani e di quelli del Regno Unito, in caso di recesso di quest'ultimo dall'Unione europea (Approvato dal Senato) (A.C. 1789) (ore 16,27).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato, n. 1789: Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 25 marzo 2019, n. 22, recante misure urgenti per assicurare sicurezza, stabilità finanziaria e integrità dei mercati, nonché tutela della salute e della libertà di soggiorno dei cittadini italiani e di quelli del Regno Unito, in caso di recesso di quest'ultimo dall'Unione europea.

Ricordo che nella parte antimeridiana della seduta si è conclusa la discussione sulle linee generali e il relatore e il rappresentante del Governo hanno rinunciato ad intervenire in sede di replica.

(Esame dell'articolo unico - A.C. 1789)

PRESIDENTE. Passiamo all'esame dell'articolo unico del disegno di legge di conversione e delle proposte emendative riferite agli articoli del decreto-legge (Vedi l'allegato A).

Le Commissioni I (Affari costituzionali) e V (Bilancio) hanno espresso i prescritti pareri (Vedi l'allegato A), che sono in distribuzione.

Avverto che la Presidenza non ritiene ammissibili, ai sensi dell'articolo 96-bis, comma 7, del Regolamento, in quanto estranei rispetto al contenuto del provvedimento, gli articoli aggiuntivi Ungaro 14.01 e 14.02, già dichiarati inammissibili in sede referente, volti a modificare la disciplina generale per ottenere la cittadinanza italiana con riferimento al requisito della concorrenza della conoscenza della lingua italiana e ai termini di definizione dei procedimenti.

Ha chiesto di parlare sul complesso delle proposte emendative il deputato Vito. Ne ha facoltà.

ELIO VITO (FI). Grazie, signor Presidente, in realtà, io intervengo sul complesso degli emendamenti riferiti all'articolo 1 del decreto, ma, essendo un disegno di legge di conversione con un articolo unico di tutti gli articoli del decreto, è ovviamente una discussione congiunta. L'articolo 1 del decreto introduce nel nostro ordinamento la possibilità per i Governi che verranno di avvalersi della clausola di utilizzo di poteri speciali anche per le forniture e gli appalti con riferimento alla nuova tecnologia delle reti 5G.

Io ricordo che questo decreto-legge e questo articolo 1, questa norma, è stato approvato praticamente nei giorni in cui era in visita a Roma il Presidente cinese. Noi stiamo molto discutendo, Presidente, sui giornali, non ancora in Parlamento - mi auguro che questo possa avvenire in maniera non pregiudizievole - di norme relative al conflitto di interessi. Presidente, io non vorrei che noi finissimo per confliggere con il principale interesse che un Parlamento deve tutelare, che è l'interesse nazionale.

PRESIDENTE. Chiedo scusa, colleghi. È necessario, direi indispensabile, che ci sia maggiore silenzio in Aula. Prego.

ELIO VITO (FI). Ho il timore che questo Governo stia invece operando esattamente in questo modo, confliggendo con l'interesse nazionale del Paese; e l'interesse nazionale del Paese nasce soprattutto tutelando la sicurezza di un Paese. La sicurezza di un Paese non può essere tutelata al di fuori di un contesto di alleanze internazionali di salvaguardia di politiche di sicurezza e di difesa, perché nessun Paese è sicuro da solo o può fare da solo la propria sicurezza e la propria difesa o le può fare a prescindere da un contesto di alleanze internazionali, men che meno l'Italia, che ha nelle proprie radici costitutive, nel proprio DNA, l'appartenenza a un sistema di sicurezza e difesa internazionale che è quello dell'Unione europea e dell'Alleanza atlantica.

Allora, questa norma si è resa necessaria perché c'è stato il rischio, e vi è tuttora il rischio, che il nostro Paese esca al di fuori di questa rete di sicurezza internazionale, magari anche attraverso la possibilità di utilizzare malevolmente le nuove tecnologie, le nuove reti, le nuove possibilità che la rete 5G di telecomunicazione offrirà, non solo a noi. Vi è, quindi, un dibattito internazionale che riguarda non solo l'Italia, ma tutti i Paesi europei, che riguarda tutti i Paesi del mondo: in che modo non privarsi delle immense possibilità tecnologiche che la nuova rete dà senza compromettere la sicurezza nazionale e le reti di sicurezza internazionali alle quali un Paese, l'Italia, è connesso, è agganciato, è legato. Questa norma è un tentativo, è una possibilità, e per questo Forza Italia voterà favorevolmente all'introduzione nel nostro ordinamento di questa norma; ma forse questa norma è già essa tardiva, perché anche nell'attuale sistema di telecomunicazioni vi sono delle falle, delle possibilità che possono compromettere la sicurezza di un Paese, dell'Italia, e della rete di alleanze e di sicurezza alle quali l'Italia appartiene. Eppure questa norma fa esclusivamente riferimento alle reti e ai servizi relativi al 5G: ben venga, dicevo, ma non so se viene tardivamente, non so se non vada prevista in futuro una ulteriore previsione che consenta questa possibilità al nostro Governo in relazione a tutto il sistema di telecomunicazioni, che è il sistema più vulnerabile per quanto riguarda la sicurezza nazionale, perché attraverso le reti delle telecomunicazioni si ha accesso a tutte le infrastrutture materiali e immateriali, si ha accesso alla possibilità stessa di un Paese di potersi approvvigionare di energia, di energia elettrica, di energia per quanto riguarda le infrastrutture di quel Paese, reti ferroviarie, reti aeree, reti stradali, reti autostradali, reti energetiche.

E, quindi, è un discorso estremamente complesso. Questo avviene un po' distrattamente nel Parlamento, anche nell'altro lato del Parlamento, nel Senato. Anche qui, se non avessi sollevato la discussione, non ci sarebbe stata discussione sul complesso degli emendamenti con un articolo inserito in un decreto-legge che ha una diversa portata, le norme per tutelare il nostro mercato dall'improvvisa uscita della Gran Bretagna e del Regno Unito dall'Unione Europea. Quindi vorrei, Presidente, e concludo, che ci fosse la possibilità nel futuro, in un immediato futuro, anche attraverso il dibattito che comunque verrà da altri organismi parlamentari che si stanno occupando di questa materia e di questo tema, di tornare per il nostro Parlamento a discutere e a decidere senza propaganda della cosa più importante che un Paese ha.

Concludo come ho iniziato: la sicurezza nazionale, che è sempre sicurezza internazionale, quindi appartenenza a un sistema di sicurezza internazionale, e che è un sistema di relazioni che ho il timore che il nostro Governo stia un po' distrattamente, un po' forse volontariamente, un po' sciaguratamente, trascurando o compromettendo, indebolendo l'Italia e confliggendo, quindi, con l'interesse nazionale del nostro Paese per un presunto vantaggio economico-commerciale. Allora dico - e concludo davvero - che la firma che è avvenuta nei giorni in cui è stato sottoscritto questo decreto, per fortuna firma non effettuata dal Presidente del Consiglio, ma - se ne è assunta lui la responsabilità - dal Vicepresidente del Consiglio e Ministro dello sviluppo economico, con tutte le limitazioni giuridiche che fortunatamente sono state introdotte nel valore di quella firma, è una firma che ha un valore esclusivamente geopolitico, perché la Francia, ad esempio, senza sottoscrivere alcun trattato, ha fatto degli accordi commerciali pochi giorni dopo con la Cina di una portata ben maggiore della nostra.

Quindi, si è voluto dare un valore geopolitico, di importanza internazionale, proprio in quei giorni; contemporaneamente, si è capito che si è dovuto rendere necessario varare questo decreto, ma fatto sta che il nostro Paese ha perso credibilità internazionale, affidabilità internazionale, ha proseguito drammaticamente nel suo isolamento internazionale, del quale paghiamo tutti i giorni le conseguenze, in qualche modo tradendo la fiducia e le aspettative di quelli che sono i nostri alleati storici. Alleati ai quali dobbiamo - ricordiamocelo sempre - anche la libertà e la democrazia che è stata conquistata proprio grazie a quella alleanza euroatlantica che il nostro Governo parrebbe voler mettere in discussione, o comunque, con degli atti sciagurati, mettere concretamente in discussione, senza avere avuto per questo alcun mandato dal Parlamento e senza che su questo ci sia stato un gesto di responsabilità né da parte del Parlamento né da parte stessa del Governo, che dovrebbe comprendere come vi è una materia che non è oggetto di contrattazione, perché è una materia che fa parte continuativamente della storia del nostro Paese e che non può essere messa in discussione da una delibera del Consiglio dei ministri o da una scelta del Consiglio dei ministri, perché è l'appartenenza dell'Italia a un sistema di relazioni. Se venisse meno questa scelta, verrebbe meno l'appartenenza dell'Italia anche al contesto internazionale al quale siamo stati collocati sin dalle origini, e verrebbe, quindi, messo in discussione un principio cardine della nostra Repubblica che, proprio per questa ragione, non può essere messo in discussione e mi auguro che non sia mai messo in discussione (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Ungaro. Ne ha facoltà.

MASSIMO UNGARO (PD). Grazie, Presidente. Soltanto per illustrare la posizione del mio gruppo, del gruppo del Partito democratico. Noi voteremo a favore di questo provvedimento perché pensiamo che contenga delle misure importanti, ma pensiamo anche che alcuni temi che sono fondamentali siano stati tralasciati. È un provvedimento che arriva tardi in confronto ad altri Paesi europei, ma pensiamo che vi sia una serie di tematiche, che vanno dal riconoscimento dei titoli di studio fino alla previdenza sociale, fino ad alcuni lati negativi del decreto Salvini, fino alla rete consolare, che vanno corretti, e quindi questo è il senso dei nostri emendamenti assolutamente costruttivi e che hanno l'unico scopo di migliorare il provvedimento.

PRESIDENTE. Passiamo dunque ai voti, dopo avere raccolto i pareri da parte della Commissione e del Governo.

PAOLO GIULIODORI, Relatore. La Commissione esprime parere contrario sugli emendamenti 1.1 Giacomoni, 1.50 Baratto, sugli identici 1.2 Paita e 1.51 Baratto, sugli emendamenti 1.52 e 1.53 Baratto, sugli identici 1.3 Paita e 1.54 Baratto, sugli identici 1.55 Baratto e 1.4 Paita, sugli emendamenti 1.5, 3.1, 4.1, 6.1 e 6.2 Giacomoni, 12.1, 14.1, 14.2, 14.3, 14.100 Ungaro…

PRESIDENTE. Sono tutti contrari?

PAOLO GIULIODORI, Relatore. Sì.

PRESIDENTE. Ecco, allora facciamo prima. Quindi, non ci sono pareri favorevoli. La parola al Governo.

ALESSIO MATTIA VILLAROSA, Sottosegretario di Stato per l'Economia e le finanze. Presidente, parere conforme al relatore.

PRESIDENTE. Passiamo all'emendamento 1.1 Giacomoni: viene ritirato.

Passiamo all'emendamento 1.50 Baratto.

Passiamo ai voti.

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento 1.50 Baratto, con il parere contrario di Commissione e Governo.

Dichiaro aperta la votazione.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.

La Camera respinge (Vedi votazione n. 2).

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sugli identici emendamenti 1.2 Paita e 1.51 Baratto, con il parere contrario della Commissione e del Governo.

Dichiaro aperta la votazione.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.

La Camera respinge (Vedi votazione n. 3).

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento 1.52 Baratto, con il parere contrario della Commissione e del Governo.

Dichiaro aperta la votazione.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.

La Camera respinge (Vedi votazione n. 4).

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento 1.53 Baratto, con il parere contrario della Commissione e del Governo…Chiedo scusa: c'era una richiesta di intervento. Pertanto, revoco l'indizione della votazione. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto la deputata Paita. Ne ha facoltà.

RAFFAELLA PAITA (PD). Presidente, noi abbiamo apprezzato le modifiche inserite al Senato sul tema della sicurezza sulla rete 5G. Non vi è dubbio che in merito al tema della sicurezza nazionale sia stato fatto un passo in avanti che anche da parte del gruppo del Partito Democratico è stato ritenuto condivisibile. Il senso di questi emendamenti…

PRESIDENTE. Deputata Paita, le chiedo scusa. È vero che lei aveva prenotato il suo intervento ma l'aveva prenotato sull'emendamento successivo. Quindi, io direi che potremmo riaprire la votazione sull'emendamento in esame e poi riprendere la parola sull'emendamento per il quale effettivamente aveva prenotato l'intervento. Quindi, chiedo scusa ma c'è stata una sovrapposizione numerica.

Passiamo, dunque, ai voti.

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento 1.53 Baratto, con il parere contrario della Commissione e del Governo.

Dichiaro aperta la votazione.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.

La Camera respinge (Vedi votazione n. 5).

Passiamo alla votazione degli identici emendamenti 1.3 Paita e 1.54 Baratto. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto la deputata Paita. Ne ha facoltà.

RAFFAELLA PAITA (PD). Presidente, stavo appunto dicendo che il Partito Democratico ha apprezzato le modifiche inserite al Senato sul tema della sicurezza della rete 5G. Non c'è dubbio che si è trattato di un passo in avanti rispetto alla discussione così com'era impostata fino a questo momento. Il senso degli emendamenti che abbiamo presentato - e con questo mio intervento sostanzialmente li riassumo nel loro significato - è la richiesta di un ulteriore rafforzamento proprio sul tema della sicurezza derivante dalla necessità di avere una certezza nella tempistica dell'emanazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri.

Ora, è chiaro che se ci sarà una tempistica molto definita e precisa dal punto di vista temporale ci sarà, al tempo stesso, una garanzia da una parte sul tema della sicurezza, che è, appunto, il merito della questione che ci sta a cuore rispetto a questa discussione, ma dall'altra anche la capacità di non perdere e di non sfavorire gli investimenti su questo settore, che sono naturalmente preziosissimi per il nostro Paese e, più in generale, per l'avanzamento dell'innovazione tecnologica nelle nostre realtà.

Quindi - ripeto - vi pregherei di considerare il fatto che, nonostante ci sia sostanzialmente una quadratura del cerchio sulla tematica, con questi emendamenti si va ulteriormente a specificare la tempistica certa, e questo sarà di enorme aiuto a chi dovrà investire nel nostro Paese, ma anche garantire la sicurezza in questo settore chiave (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Passiamo ai voti.

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sugli identici emendamenti 1.3 Paita e 1.54 Baratto, con il parere contrario della Commissione e del Governo.

Dichiaro aperta la votazione.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.

La Camera respinge (Vedi votazione n. 6).

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sugli identici emendamenti 1.55 Baratto e 1.4 Paita, con il parere contrario della Commissione e del Governo.

Dichiaro aperta la votazione.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.

La Camera respinge (Vedi votazione n. 7).

Saluto, intanto, alunni e insegnanti dell'istituto comprensivo “Giorgio Gaber” di Lido di Camaiore, in provincia di Lucca, che sono qui in tribuna ad assistere ai nostri lavori e li ringraziamo per questo (Applausi).

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento 1.5 Giacomoni, con il parere contrario della Commissione e del Governo.

Dichiaro aperta la votazione.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.

La Camera respinge (Vedi votazione n. 8).

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento 3.1 Giacomoni, con il parere contrario della Commissione e del Governo.

Dichiaro aperta la votazione.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.

La Camera respinge (Vedi votazione n. 9).

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento 4.1 Giacomoni, con il parere contrario della Commissione e del Governo.

Dichiaro aperta la votazione.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.

La Camera respinge (Vedi votazione n. 10).

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento 6.1 Giacomoni, con il parere contrario della Commissione e del Governo.

Dichiaro aperta la votazione.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.

La Camera respinge (Vedi votazione n. 11).

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento 6.2 Giacomoni, con il parere contrario della Commissione e del Governo.

Dichiaro aperta la votazione.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.

La Camera respinge (Vedi votazione n. 12).

Passiamo alla votazione dell'emendamento 12.1 Ungaro, con il parere contrario della Commissione, della V Commissione (Bilancio) e del Governo.

Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto la deputata Fregolent. Ne ha facoltà.

SILVIA FREGOLENT (PD). Grazie, signor Presidente. Con l'emendamento 12.1 Ungaro cerchiamo di tutelare i cittadini italiani - come dice lo slogan “Prima gli italiani” - che hanno versato i contributi previdenziali in fondi privati che, nel passaggio tra Gran Bretagna e Italia, potrebbero non essere riconosciuti pienamente.

Con l'emendamento in esame chiediamo che i loro contributi versati in maniera autonoma ai fondi privati vengano riconosciuti pienamente. E mi chiedo come mai ci sia un parere contrario visto che tutti dichiariamo che i giovani e le pensioni dei giovani saranno a rischio nel futuro e abbiamo cittadini che hanno fatto una previdenza privata ma non li riconosciamo completamente nel passaggio tra Gran Bretagna e Italia, penalizzando soprattutto le giovani generazioni. Ci sembra una grossa ingiustizia: dal momento che proprio lo slogan del Governo dei sovranisti è “Prima gli italiani”, vi chiedo che vengano prima gli italiani (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Fatuzzo. Ne ha facoltà.

CARLO FATUZZO (FI). Presidente, grazie per la parola. Innanzitutto, vorrei chiedere di sottoscrivere l'emendamento 12.1 Ungaro, se il proponente me lo concede.

Ricordo che ho partecipato direttamente all'approvazione della direttiva che ha previsto la sommatoria dei contributi versati in fondi assicurativi privati diversi nel periodo in cui sono stato deputato europeo. Trovo veramente scandaloso che non si sia ancora arrivati a un accordo per la sommatoria di questi contributi nel caso della Brexit.

È un esempio dei danni che si possono fare quando si è troppo leggeri nel decidere referendum e leggi varie che poi, all'atto pratico, si rivelano un danno gravissimo per tutti, non solamente per i cittadini italiani che hanno lavorato in Gran Bretagna ma anche per i cittadini britannici che hanno lavorato in Italia.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Fusacchia. Ne ha facoltà.

ALESSANDRO FUSACCHIA (MISTO-+E-CD). Grazie, Presidente. Se il proponente me lo consente vorrei anch'io sottoscrivere l'emendamento 12.1 Ungaro: tra l'altro non sono sicuro di avere altre occasioni di sottoscrivere lo stesso emendamento con il collega Fatuzzo su questioni legate ai contributi pensionistici. Detto questo, siamo particolarmente a favore di un'Europa che sviluppi in prospettiva un'INPS europea, mi verrebbe da dire. Credo che anche il collega Ungaro converrà. Detto questo, se il Regno Unito decide di fare scelte antistoriche, forse sarebbe importante garantire e tutelare gli interessi dei nostri concittadini italiani.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto, a titolo personale, la deputata Gribaudo. Ne ha facoltà.

CHIARA GRIBAUDO (PD). Grazie, Presidente. Anch'io intervengo solo per sottoscrivere l'emendamento 12.1 Ungaro e per ricordare ancora una volta in quest'Aula come il Governo a parte gli slogan fuori poi, nella sostanza, dimostra ancora una volta di non voler tutelare gli interessi dei nostri ragazzi e dei lavoratori che svolgono un lavoro importante anche fuori dal nostro Paese.

PRESIDENTE. Passiamo ai voti.

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento 12.1 Ungaro, con il parere contrario della Commissione, del Governo e della V Commissione (Bilancio).

Dichiaro aperta la votazione.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.

La Camera respinge (Vedi votazione n. 13).

Passiamo alla votazione dell'emendamento 14.1 Ungaro.

Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto la deputata Fregolent. Ne ha facoltà.

SILVIA FREGOLENT (PD). Grazie, signor Presidente. L'emendamento 14.1 Ungaro è per venire incontro ai cittadini britannici che sono da tempo in Italia per ottenere una carta di soggiorno a lungo termine. Ci sembra giusto che non vengano penalizzati e chiediamo, quindi, al Governo di accogliere l'emendamento che, secondo noi, faciliterebbe anche i rapporti tra i due Stati. Chiediamo quindi di esprimere parere positivo cambiando il parere che hanno dato in precedenza.

PRESIDENTE. Passiamo ai voti.

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento 14.1 Ungaro, con il parere contrario della Commissione e del Governo.

Dichiaro aperta la votazione.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.

La Camera respinge (Vedi votazione n. 14).

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento 14.2 Ungaro, con il parere contrario della Commissione e del Governo.

Dichiaro aperta la votazione.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.

La Camera respinge (Vedi votazione n. 15).

Passiamo alla votazione dell'emendamento 14.3 Ungaro.

Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto la deputata Fregolent. Ne ha facoltà.

SILVIA FREGOLENT (PD). Grazie, signor Presidente. L'emendamento a prima firma Ungaro ci appare un emendamento di buon senso perché è per venire incontro ai cittadini britannici che si assentano dal nostro Paese, che per ottenere la cittadinanza italiana, quando questo avviene per un breve periodo, il conteggio per riottenere la cittadinanza reinizia da zero, e questo ci sembra un'assurdità. Quindi, chiediamo che, nonostante il decreto sicurezza abbia complicato la procedura di ottenimento della cittadinanza per i cittadini, almeno per i cittadini europei in senso lato non venga applicato.

PRESIDENTE. Passiamo ai voti.

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento 14.3 Ungaro, con il parere contrario della Commissione e del Governo.

Dichiaro aperta la votazione.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.

La Camera respinge (Vedi votazione n. 16).

Passiamo all'emendamento 14.100 Ungaro.

Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Scalfarotto. Ne ha facoltà.

IVAN SCALFAROTTO (PD). Grazie, signor Presidente. Devo dire che è un po' uno scherzo del destino il fatto che ci stiamo occupando di Brexit, proprio a valle della discussione e delle votazioni su uno dei disegni di legge destinati a trasformare l'Italia in “Fraccaropoli”, la nostra repubblica democratica, una Repubblica basata sul principio di rappresentatività, che si vuole trasformare in una democrazia diretta. Ed eccoci qui a discutere di uno dei più evidenti e monumentali fallimenti della democrazia diretta che si siano mai visti al mondo. Brexit è stato un referendum nel quale la politica del Parlamento di Westminster, uno dei Parlamenti più antichi del mondo e probabilmente quello nel quale ha sede il principio stesso della democrazia rappresentativa, ha preso una musata, una dato una testata nel muro, andando a spogliarsi di quella che era una doverosa responsabilità di una classe dirigente, cioè quella di prendere una decisione su una materia estremamente complessa come l'appartenenza del Regno Unito, dal 1973 ad oggi sostanzialmente, all'Unione europea, e trasferire tutto ad una semplice domanda: volete voi, cittadini del Regno Unito, restare nell'Unione Europea oppure no? Una domanda che non era una domanda semplice, era una domanda semplicistica, non era una domanda che voleva coinvolgere in un processo democratico i cittadini del Regno Unito, ma voleva semplicemente spogliare una classe dirigente inadeguata da quella che era una precisa responsabilità, quella di trovare una soluzione complessa ad un problema complesso. Perché a questo serve, signor Presidente, la politica, a questo serve il Parlamento.

Vede, c'è una bellissima citazione che ho trovato negli scritti di uno scrittore israeliano, che ci ha lasciato qualche tempo fa, Amos Oz. Amos Oz ha detto che il contrario del compromesso non è l'integrità; l'ascoltare il proprio avversario, trovare un punto di caduta, non significa perdere la propria integrità, perché il contrario del compromesso è l'integralismo, è la violenza, è la chiusura, è il mancato ascolto. E questo è stato quello che abbiamo visto all'opera durante la campagna elettorale della Brexit. Non dimentichiamo che quel dibattito è stato inquinato da montagne di false informazioni, lo voglio ricordare oggi, giornata nella quale Facebook ha chiuso 23 pagine del suo social media (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico) che diffondevano false informazioni per conto della Lega e del MoVimento 5 Stelle e che sono andate pesantemente ad inquinare il nostro dibattito politico in Italia, come è successo in altri Paesi e come è successo durante la Brexit.

Chi non ricorda la promessa per la quale, uscendo dall'Unione europea, si sarebbero recuperati 350 milioni di sterline alla settimana per il Sistema sanitario nazionale britannico? Era un falso, ma su quel falso il popolo britannico è andato a votare, perdendo un enorme patrimonio di collaborazione, un enorme patrimonio di cittadinanza, elementi non soltanto legati alla storia, ma anche alla biografia delle persone, basta guardare quanti britannici vivono nell'Unione Europea, quanti bambini sono nati da coppie di Erasmus, quanti italiani sono andati lì, quante storie di vita andranno ad essere interrotte da un voto che non è stato consapevole, non è stato un voto di maturità democratica, ma, ripeto, è stato un voto che ha condotto a un enorme problema.

E allora noi, con questo emendamento, andiamo a chiedere di tutelare quei cittadini britannici le cui classi dirigenti non hanno tutelato a sufficienza, dicendo che coloro che sono qui, che vivono tra noi e che lo fanno ormai da tanti anni, se dovessero interrompere quel soggiorno di cinque anni che serve loro per avere il permesso, non dovranno essere penalizzati. Però, attenzione, richiamo l'attenzione dei colleghi su questo, stiamo andando a normare su questioni minute, che però sono il sintomo di un problema enorme: quello, ripeto, di aver ridotto la politica a passacarte, di averla spogliata delle sue responsabilità e aver legittimato la truffa della cosiddetta democrazia diretta, dove si vuol far credere che il cittadino decide e invece a decidere sono le lobby di coloro che sono in grado, magari, di promuovere referendum propositivi, che magari stanno da qualche parte a Milano e spostano la sovranità popolare da queste Aule, l'unico luogo dove quella sovranità risiede, per spogliare alla fine i cittadini del loro diritto-dovere di decidere, ingannandoli sul fatto che saranno loro, quando alla fine loro davvero perderanno la possibilità di decidere (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Passiamo ai voti.

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento 14.100 Ungaro, con il parere contrario della Commissione e del Governo.

Dichiaro aperta la votazione.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.

La Camera respinge (Vedi votazione n. 17).

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento 14.101 Ungaro, con il parere contrario della Commissione e del Governo.

Dichiaro aperta la votazione.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.

La Camera respinge (Vedi votazione n. 18).

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento 15.1 Ungaro, con il parere contrario della Commissione e del Governo.

Dichiaro aperta la votazione.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.

La Camera respinge (Vedi votazione n. 19).

Passiamo alla votazione dell'articolo aggiuntivo 15.01 Ungaro. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto la deputata Fregolent. Ne ha facoltà.

SILVIA FREGOLENT (PD). Signor Presidente, qualche anno fa come Partito Democratico tenemmo un incontro con giovani che avrebbero votato, giovani imprenditori che votavano sia Partito Democratico che Partito Repubblicano negli Stati Uniti, i quali ci dissero che avrebbero votato alla Presidenza uno dei candidati che non era contrario all'immigrazione, perché essere contrari all'immigrazione voleva dire essere meno attrattivi dei cervelli, dell'intellighenzia, che dall'estero potevano venire nel loro Paese e che avevano reso grande l'America. E facevano l'esempio della Silicon Valley, che è un posto pieno di ingegneri che vengono da tutto il mondo, e norme restrittive avrebbero potuto impedire che questi ingegneri andassero a lavorare lì. Ecco, il decreto-legge “sicurezza” che viene sventolato come un decreto-legge che serve per evitare che brutti e cattivi, terroristi vengano con i barconi nei nostri porti e facciano esplodere tutti i cittadini, in realtà sta provocando come conseguenza quella di rendere meno possibile e meno facile la cittadinanza a cittadini europei, come in questo caso. In questo caso se un cittadino britannico, una cittadina britannica hanno contratto matrimonio con un cittadino o una cittadina italiana, il loro iter per diventare cittadini italiani è più lungo; e soprattutto viene richiesto un livello di conoscenza della lingua che talvolta neanche gli italiani hanno, cioè B1, cosa che assolutamente non è prevista in altre nazioni europee, che hanno forse anche un orgoglio nazionalistico più forte, pensiamo alla Francia e alla Germania. Ebbene, in quei due Stati non c'è bisogno del livello B1 per ottenere la cittadinanza. Come per dire che un italiano deve sapere i congiuntivi; ecco, siamo a questo livello. Paradossalmente viene stabilito solamente per le coppie: evidentemente il Governo che ama le famiglie poi in realtà le massacra quando deve poi concedere loro dei diritti; e non viene richiesto ad esempio per i cittadini che vengono, che possono ottenere la cittadinanza italiana per discendenza. Paradossalmente Lionel Messi, che ha un trisavolo italiano, può essere cittadino italiano, e non un marito o una moglie che hanno fatto richiesta di cittadinanza italiana sposando un cittadino o una cittadina. Con questo emendamento noi cerchiamo di pensare per primi agli italiani, alla loro felicità, alle famiglie e alla loro felicità e alla loro concordia, cercando di facilitare il raggiungimento della cittadinanza italiana. Io credo che il Governo che ha un Ministero come quello per la famiglia, non può che votare favorevolmente a questo emendamento (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Passiamo ai voti.

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'articolo aggiuntivo 15.01 Ungaro, con il parere contrario della Commissione e del Governo.

Dichiaro aperta la votazione.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.

La Camera respinge (Vedi votazione n. 20).

Passiamo alla votazione dell'emendamento 16.1 Ungaro. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato De Luca. Ne ha facoltà.

PIERO DE LUCA (PD). Presidente, con questo emendamento intendiamo chiedere alla maggioranza di introdurre delle misure urgenti per la tutela dei cittadini italiani, legate soprattutto all'acquisto, alla ristrutturazione e alla manutenzione di immobili che debbono essere adibiti a nuove sedi di uffici consolari nel Regno Unito.

In particolare, chiediamo la riapertura del consolato italiano a Manchester, e potrebbe essere una soluzione utile per i tanti nostri cittadini che si troveranno a dover affrontare le difficoltà legate a questa decisione, che noi rispettiamo, del popolo britannico, ma sulla quale non possiamo non esprimere alcune forti perplessità.

Come è stato ricordato nell'ambito di questo dibattito, si tratta di una decisione che è il frutto di discussioni spesso alimentate sui social network, sulle piattaforme digitali, che hanno diffuso false informazioni; anzi, una forte disinformazione nei confronti del senso ultimo del valore dell'appartenenza all'Unione europea. Nella giornata di oggi è importante allora, durante la discussione di questo provvedimento, ricordare quanto sta accadendo nelle ultime ore, e quanto è accaduto nei mesi passati. Mi piacerebbe ricordare alcune date: il 26 aprile 2018 la Commissione europea ha adottato una comunicazione dal titolo Contrastare la disinformazione online: un approccio europeo, che tutela le nostre democrazie dalla disinformazione. Nel maggio 2018 la stessa Commissione ha convocato un forum multilaterale sulla disinformazione per stilare un codice di buone pratiche, costituendo un vero e proprio gruppo di lavoro al quale dovevano e hanno partecipato i più grandi rappresentanti delle piattaforme digitali online, degli utenti e di tutti i social network che si interessano, riguardano e si occupano di informazione digitale. Ebbene, grazie a questo forum aperto, il 26 settembre 2018 è stato pubblicato un vero e proprio codice di autoregolamentazione europeo, al quale hanno partecipato, è stato sottoscritto il 16 ottobre 2018 da tutte le più grandi piattaforme online: Facebook, Google, Twitter, Mozilla, nonché dalle associazioni di categoria che rappresentano queste stesse piattaforme e rappresentano l'industria pubblicitaria degli inserzionisti.

Che cosa ha previsto questo codice di condotta? Ha previsto un impegno forte da parte di queste piattaforme nella verifica e nel controllo delle informazioni che vengono pubblicate e veicolate sulle stesse; e guardate, il risultato è stato straordinario ed incredibile, perché si è previsto che Facebook, Twitter, Mozilla, Google potessero avere accesso ed attenzione maggiori agli utenti per poter denunciare disinformazione online ed ampliare l'accesso a fonti di informazione di qualità, tagliando anche le risorse e le entrate pubblicitarie per gli account falsi o per gli account che distribuiscono e veicolano informazioni di odio.

Che è successo grazie a questo codice di autoregolamentazione europeo? E a che cosa serve riparlarne oggi? Per riaffermare il senso, il valore, l'utilità della nostra appartenenza all'Unione europea. Grazie a questo codice di autoregolamentazione, Facebook ha intrapreso un'azione di controllo e verifica di centinaia di migliaia di account e profili che divulgavano false informazioni ed incitavano all'odio e alla violenza. Il risultato sapete qual è? E sarebbe utile che la Camera e questi colleghi facessero un po' più di attenzione a questi dati, che sono stati ricordati poc'anzi dal collega Scalfarotto: Facebook ha chiuso nelle ultime ore 23 pagine italiane con oltre 2 milioni e 400 mila follower, che condividevano informazioni false e contenuti divisivi, contro migranti, antivaccini, antisemiti, odio; a ridosso delle elezioni europee, ancora oggi cercavano di condizionare le elezioni europee, stanno provando a condizionare lo svolgimento della democrazia attraverso false informazioni che si diffondono sul web.

E sapete qual è il dato più interessante? Che la metà di queste piattaforme erano a sostegno di Lega o 5 Stelle. Questa è la verità e sono i fatti che noi denunciamo, e contro i quali dovremmo svolgere una grande campagna forte per calendarizzare anche alla Camera una Commissione parlamentare d'inchiesta, che noi come gruppo del Partito Democratico abbiamo chiesto di calendarizzare per poter compiere un lavoro importante anche a livello italiano per divulgare e smascherare le false informazioni, l'odio, la violenza che circolano sul web e rischiano davvero di incancrenire e di inficiare il libero svolgimento dell'attività democratica, a livello nazionale e a livello europeo.

PRESIDENTE. La ringrazio. Concluda, per favore.

PIERO DE LUCA (PD). Allora noi davvero, attraverso questo emendamento, vogliamo provare ad aiutare i nostri cittadini, dando un senso di sussulto d'orgoglio per fare attenzione alle false informazioni che rischiano di provocare danni enormi ad intere comunità, com'è accaduto nel Regno Unito in occasione del referendum per la Brexit (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Giuliodori. Ne ha facoltà.

PAOLO GIULIODORI (M5S). Grazie, Presidente. Brevemente, io, con altri colleghi siamo stati, nelle settimane scorse, al consolato di Londra e abbiamo toccato con mano la situazione, anche, per certi versi, difficoltosa, per lo meno. Con l'articolo 16, perché è questo quello di cui parla l'articolo, noi mettiamo dei fondi, per lo meno, il Governo mette nuovi fondi per che cosa? Per nuove strutture al consolato di Londra e nuovo personale al consolato di Londra. In più è prevista anche l'apertura, anzi, la riapertura dell'ufficio consolare di Manchester, quindi, stiamo decisamente dando supporto agli italiani che si trovano sia nella zona di Manchester che nella zona di Londra (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. Passiamo ai voti.

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento 16.1 Ungaro, con il parere contrario della Commissione e del Governo.

Dichiaro aperta la votazione.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.

La Camera respinge (Vedi votazione n. 21).

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento 16.2 Giacomoni, con il parere contrario della Commissione e del Governo.

Dichiaro aperta la votazione.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.

La Camera respinge (Vedi votazione n. 22).

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento 16.3 Giacomoni, con il parere contrario della Commissione e del Governo.

Dichiaro aperta la votazione.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.

La Camera respinge (Vedi votazione n. 23).

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento 16.4 Ungaro, con il parere contrario della Commissione e del Governo.

Dichiaro aperta la votazione.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.

La Camera respinge (Vedi votazione n. 24).

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento 16.5 Giacomoni, con il parere contrario della Commissione e del Governo.

Dichiaro aperta la votazione.

(Segue la votazione).

Si tratta del primo emendamento di una serie a scalare, di una serie di tre a scalare.

Dichiaro chiusa la votazione.

La Camera respinge (Vedi votazione n. 25).

Passiamo alla votazione dell'emendamento 16.7 Giacomoni, l'ultimo della votazione a scalare, L'emendamento 16.6 lo abbiamo saltato.

Passiamo ai voti.

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento 16.7 Giacomoni, con il parere contrario della Commissione e del Governo.

Dichiaro aperta la votazione.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.

La Camera respinge (Vedi votazione n. 26).

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento 16.8 Ungaro, con il parere contrario della Commissione e del Governo.

Dichiaro aperta la votazione.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.

La Camera respinge (Vedi votazione n. 27).

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento 17.1 Ungaro, con il parere contrario della Commissione, del Governo e della V Commissione (Bilancio).

Dichiaro aperta la votazione.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.

La Camera respinge (Vedi votazione n. 28).

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'emendamento 17.100 Ungaro, con il parere contrario della Commissione, del Governo e della V Commissione (Bilancio).

Dichiaro aperta la votazione.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.

La Camera respinge (Vedi votazione n. 29).

Avverto che, consistendo il disegno di legge di un solo articolo, non si procederà alla votazione dell'articolo unico, ma, dopo l'esame degli ordini del giorno, si procederà direttamente alla votazione finale, a norma dell'articolo 87, comma 5, del Regolamento.

(Esame degli ordini del giorno - A.C. 1789)

PRESIDENTE. Passiamo all'esame degli ordini del giorno presentati (Vedi l'allegato A).

Il deputato Ungaro ha facoltà di illustrare il suo ordine del giorno n. 9/1789/2.

MASSIMO UNGARO (PD). Presidente, quest'ordine del giorno è un mio appello al Governo e alla maggioranza affinché l'Italia si impegni ad isolare dal trattato di recesso, dall'accordo di recesso, la seconda parte che riguarda i diritti dei cittadini italiani residenti nel Regno Unito e i cittadini britannici residenti in Europa. Voi saprete che negli ultimi due o tre anni dei negoziati sulla Brexit è stato adottato il principio che tutto l'accordo doveva essere approvato in blocco e che, quindi, non si poteva procedere per parti separate. Ebbene, se prendiamo la lezione di questi due, tre anni di grande incertezza, caos e stallo, non si può continuare con l'incertezza su un tema così delicato come quello dei diritti acquisiti dei cittadini residenti.

Sono 3,6 milioni i cittadini europei nel Regno Unito, 1,2 milioni i britannici in Europa, insieme sono quasi 5 milioni di cittadini, quindi da qui l'ordine del giorno affinché venga isolata, messa in sicurezza la seconda parte del trattato, e che ci si applichi per trovare un accordo tra Regno Unito e Unione europea per mettere in salvaguardia i diritti dei cittadini, a prescindere dall'andamento dei negoziati. Questo quindi il nostro appello alla maggioranza affinché l'Italia si applichi in questa direzione, perché con i diritti delle persone non si può scherzare.

PRESIDENTE. Invito il rappresentante del Governo a esprimere il parere sugli ordini del giorno. A lei la parola, sottosegretario Villarosa.

ALESSIO MATTIA VILLAROSA, Sottosegretario di Stato per l'Economia e le finanze. Presidente, ordine del giorno Quartapelle Procopio n. 9/1789/1, parere favorevole, purché con l'aggiunta di “a valutare l'opportunità di” all'inizio dell'impegno.

PRESIDENTE. Quindi è riformulato.

ALESSIO MATTIA VILLAROSA, Sottosegretario di Stato per l'Economia e le finanze. Ordine del giorno Ungaro n. 9/1789/2, parere contrario; ordine del giorno Schirò n. 9/1789/3, parere favorevole; ordine del giorno Moretto n. 9/1789/4, con l'impegno modificato inserendo le parole “a valutare l'opportunità di monitorare gli effetti applicativi”, in questo caso è accolto favorevolmente; ordine del giorno Fregolent n. 9/1789/5, parere favorevole, accolto, così come l'ordine del giorno Paolo Nicolò Romano n. 9/1789/6, ma con l'impegno che inizia nel seguente modo: “a valutare l'opportunità di adottare nel più breve tempo possibile”.

PRESIDENTE. Quindi è riformulato.

ALESSIO MATTIA VILLAROSA, Sottosegretario di Stato per l'Economia e le finanze. Ordine del giorno Olgiati n. 9/1789/7, parere favorevole però con l'impegno modificato in questo modo, che le leggo, Presidente: “a sostenere la conclusione dell'accordo di recesso ex articolo 50 che garantisca la tutela dei diritti dei cittadini UE e del Regno Unito e ad adottare misure che garantiscano in ogni scenario la protezione di tali diritti”; con questa riformulazione l'impegno è accolto. Ordine del giorno Billi n. 9/1789/8, parere favorevole, è accolto; ordine del giorno Liuzzi n. 9/1789/9, parere favorevole, è accolto; ordine del giorno Formentini n. 9/1789/10, parere favorevole, è accolto; ordine del giorno Centemero n. 9/1789/11, parere favorevole, è accolto; nell'ordine del giorno Bruno Bossio n. 9/1789/12 aggiungere le parole “a valutare l'opportunità di” all'inizio dell'impegno.

PRESIDENTE. Quindi è riformulato. Perfetto. Ordine del giorno Quartapelle Procopio n. 9/1789/1: c'è una proposta di riformulazione da parte del Governo, viene accolta? Non viene accolta, quindi lo poniamo in votazione. Passiamo ai voti.

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'ordine del giorno Quartapelle Procopio n. 9/1789/1, con il parere contrario del Governo.

Dichiaro aperta la votazione.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.

La Camera respinge (Vedi votazione n. 30).

Indìco la votazione nominale, mediante procedimento elettronico, sull'ordine del giorno Ungaro n. 9/1789/2, con il parere contrario del Governo.

Dichiaro aperta la votazione.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.

La Camera respinge (Vedi votazione n. 31).

Ordine del giorno Schirò n. 9/1789/3, parere favorevole del Governo, quindi è accolto. Ordine del giorno Moretto n. 9/1789/4: c'è una proposta di riformulazione da parte del Governo, che viene accolta, è accettata. Passiamo dunque all'ordine del giorno Fregolent n. 9/1789/5, che in realtà è accolto dal Governo. Abbiamo invece una proposta di riformulazione per l'ordine del giorno Paolo Nicolò Romano n. 9/1789/6, che viene accettata. Passiamo all'ordine del giorno Olgiati e Siragusa n. 9/1789/7, sul quale vi è una proposta di riformulazione da parte del Governo, che viene accettata.

SILVIA FREGOLENT (PD). Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SILVIA FREGOLENT (PD). Signor Presidente, intervengo per sottoscrivere l'ordine del giorno Olgiati e Siragusa n. 9/1789/7, se ci viene concesso, e per chiedere come mai il Governo ha dato parere negativo all'ordine del giorno Ungaro n. 9/1789/2 e parere favorevole a questo, quando sono uguali (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Sta bene, quindi abbiamo aggiunto la firma della deputata Fregolent. Passiamo all'ordine del giorno Billi n. 9/1789/8, che è accolto; l'ordine del giorno Liuzzi n. 9/1789/9 è accolto; l'ordine del giorno Formentini n. 9/1789/10 è accolto; l'ordine del giorno Centemero n. 9/1789/11 è accolto. Sull'ordine del giorno Bruno Bossio e Paita n. 9/1789/12 vi è una proposta di riformulazione da parte del Governo, che viene accolta. È così esaurito l'esame degli ordini del giorno presentati.

(Dichiarazioni di voto finale - A.C. 1789)

PRESIDENTE. Passiamo alle dichiarazioni di voto finale.

Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Alessandro Fusacchia. Ne ha facoltà.

ALESSANDRO FUSACCHIA (MISTO-+E-CD). Presidente, questo è un provvedimento particolarmente importante, perché attiene a due questioni fondamentali, la prima è ovviamente lo stato generale dei rapporti fra Italia e Regno Unito nel quadro della Brexit. Sappiamo tutti qual è stato lo stato di incertezza e il permanere di uno stato di incertezza generale rispetto all'esito finale di quello che sta succedendo nel Regno Unito e la trattativa con gli europei, quindi credo che questo sia un provvedimento su cui quest'Aula dovrà continuare a prestare particolare attenzione, anche se non sono sicuro che sarà l'ultimo provvedimento in cui ci dovremo occupare di Brexit. All'interno di questo provvedimento ritengo sia stato molto importante comunque chiarire alcuni aspetti che hanno a che fare con la sicurezza degli investimenti, con le assicurazioni, con le transazioni finanziarie, ma c'è una questione che attiene alla cittadinanza, prima di tutto. Presidente, abbiamo vissuto in questi mesi uno stato di profonda incertezza legato alla possibilità dei nostri concittadini italiani di votare per le elezioni europee direttamente dal Regno Unito senza dover rientrare in Italia: questa questione si è autorisolta per “merito” o per demerito, non so, direttamente degli inglesi, dei britannici, perché con la loro partecipazione alle elezione europei si è chiarito che anche i nostri connazionali potranno votare dal Regno Unito; il Governo ha cincischiato a lungo su questo, non ha offerto una soluzione. Io ritengo che questo provvedimento sulla Brexit sia importante, perché spero sollevi una questione di consapevolezza presso tutti i colleghi e presso il Governo sul fatto che le questioni che attengono a questo processo - che ci porteremo ancora avanti a lungo secondo me - vengano anzitutto viste dal punto di vista della cittadinanza, della cittadinanza dei nostri connazionali, quindi dei cittadini italiani che si trovano nel Regno Unito, ma anche nell'ottica del futuro, cioè di guardare a quella cittadinanza europea che dovrebbe dare sempre più forza e più sostanza in termini di diritti e di doveri ai nostri connazionali che si spostano in Europa.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto la deputata Emanuela Rossini. Ne ha facoltà.

EMANUELA ROSSINI (MISTO-MIN.LING.). Presidente, come componente Minoranze Linguistiche siamo a favore di questo provvedimento, che giustamente punta a tutelare gli interessi dei nostri concittadini e delle aziende italiane che vivono e operano in Gran Bretagna. Nello stesso tempo, non è nostro compito entrare nelle decisioni di un altro Paese, staremo quindi a vedere che epilogo avrà la Brexit, questa decisione, però alcune considerazioni vorrei farle, perché questo provvedimento dimostra molto chiaramente quanto siano forti le relazioni all'interno dell'Unione europea, quanto consolidati sono gli scambi tra un Paese e l'altro e quanto la presenza dei cittadini e delle imprese nei Paesi Stati membri, nel nostro e in Gran Bretagna, sia alta. In altre parole, nelle fitte pagine di questo provvedimento noi troviamo la storia dell'Unione europea, che è la nostra storia ed è talmente importante che noi abbiamo bisogno per legge di tutelare tutto questo complesso meccanismo di scambio a tutti i livelli e in tutti i settori che ci tengono uniti, che sono utili per non solo la nostra economia, ma che vogliamo mantenere. Ecco, dico questo perché è una considerazione da fare, in un momento in cui, per la prima volta, noi guardiamo negli occhi la crisi e la possibile crisi dell'integrazione europea, da un Paese che ancora adesso non riesce a sciogliere questi legami, perché è veramente impossibile. Ora, rispetto al provvedimento noi voteremo favorevolmente, ma chiediamo anche una riflessione, ed è vero che, forse, non sarà l'ultimo perché lo dimostrano i provvedimenti all'interno, che è molto difficile, e non lo vogliamo neanche, sciogliere questa rete che ci tiene alleati e che ci aiuta ad affrontare insieme i problemi.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Federico Fornaro. Ne ha facoltà.

FEDERICO FORNARO (LEU). Grazie, signor Presidente. Arriviamo, come sistema Paese, con ritardo ad approvare un atto necessario, l'atto per mettere in tutela e in sicurezza i cittadini italiani che lavorano e sono residenti in Gran Bretagna e mettere in sicurezza il sistema di relazioni con un Paese che ha deciso di uscire dall'Unione europea. Non si può però non cogliere questa occasione per segnare e segnalare un abisso tra le dichiarazioni dei due partner dell'attuale Governo, all'indomani del risultato del referendum inglese e il carattere in qualche modo sottotraccia, burocratico che è stato dato a questo documento. Il Vicepremier Salvini, in un tweet, all'indomani di Brexit del 2016, scriveva: “Evviva il coraggio dei liberi cittadini! Cuore, testa e orgoglio battono bugie, minacce e ricatti. Grazie UK, ora tocca a noi”! E anche il MoVimento 5 Stelle sul blog scriveva: “Il MoVimento 5 Stelle ha sempre creduto che, a dover decidere sulle questioni decisive, debba essere il popolo, infatti abbiamo raccolto le firme per il referendum sull'euro per far decidere gli italiani sulla sovranità monetaria”. Quanta differenza da quei proclami, quando si era all'opposizione, quando si cercava di infiammare le piazze sui temi anti-europeisti e quanto invece c'è poco di queste dichiarazioni sia in questo documento, ma in generale in un approccio a Brexit. Brexit che, io credo, dobbiamo avere l'onestà intellettuale di riconoscere, è una sconfitta, è una sconfitta per l'Europa, è una sconfitta per chi ha creduto e crede in un'Europa sociale, in un'Europa in grado ancora di dare una risposta in un mondo globalizzato. Ed è stata anche, quella scelta di Brexit, quella scelta del leave invece che del remain, una vittoria di un nazional-populismo di Farage, a cui ha dato un fondamentale contributo negli ultimi anni la disuguaglianza prodotta in Gran Bretagna, come nell'intera Unione Europea, da una globalizzazione non governata, o meglio da una globalizzazione governata con le logiche neoliberiste. E, guardate, basta osservare la carta geopolitica delle varie contee che sono andate al voto nel 2016, per capire che cosa è successo: c'è una piccola, relativamente piccola, macchia rossa che riguarda la città di Londra, l'area metropolitana di Londra, tutta circondata dal blu del leave; lì ci sta la questione e il cuore, al di là dei temi di fake news che sono anche riecheggiati in quest'Aula, lì c'è una questione sociale, una questione politica vera e anche la sconfitta quindi, la sconfitta della scelta compiuta da poco più della metà degli elettori inglesi di uscire dall'Unione europea, ovviamente in un terreno che storicamente trova radice e linfa sui temi dell'isolazionismo, anche in ragione proprio del carattere di isola della Gran Bretagna.

E, guardate, quel voto - mi sia permesso, come ho fatto questa mattina, di ricordarlo - ci riporta anche a una riflessione sulle cose che abbiamo fatto poc'anzi, cioè sulle leggi elettorali; una legge elettorale come quella inglese, per esempio, è stata una legge elettorale che negli anni ha dato certamente ottimi risultati in termini di governabilità, ma inizia sempre più, con la frammentazione politica anche del sistema inglese, a essere poco o scarsamente rappresentativa, cioè ad avere limiti nella rappresentanza: un partito come quello di Farage, antieuropeista, che prende il 12 per cento, è rappresentato in Parlamento, non nell'ultima, ma nelle penultime elezioni politiche, da un solo parlamentare. E - guardate - quel senso di malessere che stava sotto e che in qualche modo è emerso in Brexit, che non a caso ha avuto un livello di partecipazione al voto superiore a quello delle elezioni politiche, era tenuto nascosto proprio dalla crosta di un sistema elettorale tutto incentrato sulla governabilità. Così come io credo che non possiamo non esprimere forti preoccupazioni perché proprio una questione che negli anni della nostra gioventù - parlo per il sottoscritto - aveva infiammato l'Europa, la vicenda dell'Irlanda del Nord, si ripropone proprio all'indomani di Brexit, con la questione dei confini, in qualche modo si riportano indietro le lancette del tempo ai tempi di guerra civile tra la comunità cattolica e quella protestante. Io credo anche che Brexit sia un bagno di realtà che serve oggi all'Italia nella battaglia che è in atto, perché dimostra come passare dalla propaganda, come ho ricordato, del tweet ad esempio dell'attuale Vicepremier, agli atti conseguenti è un salto che può fare molto, molto male. E da questo punto di vista quindi il provvedimento che noi andiamo a votare è ovviamente un provvedimento tecnico per molti versi, a cui noi daremo il nostro voto favorevole, non senza aver ricordato però proprio il contesto entro cui ci si muove, la lezione che arriva da Brexit, la lezione di un New Deal, per esempio, di una difficoltà di trovare un accordo con Theresa May, Premier inglese, sconfitta in Parlamento e, da questo punto di vista, non essere riusciti fino ad oggi a trovare un accordo tra le parti è una sorta di sconfitta al cubo. E poi, mi si consenta in conclusione di ricordare come questa vicenda riporti anche un'altra questione: le destre e i sovranisti hanno impostato e stanno impostando le loro propagande sul tema del “prima”, prima gli inglesi, prima gli italiani, prima i brasiliani, e guardate che oggi noi facciamo questo documento e approviamo questo testo per difendere gli interessi degli italiani, proprio perché attraverso la Brexit qualcuno ha messo sostanzialmente il timbro di “prima gli inglesi”. Vedete come alla fine tutto torna, tutto torna con l'idea sbagliata di un'Europa ridotta a piccole patrie in competizione tra loro e i danni economici della Brexit li vedremo. Io non credo tanto alle previsioni che ho letto, perché è evidente che, non essendoci precedenti, è difficile fare calcoli, ma cito soltanto un dato banale, fonte Il Sole 24 Ore: sono 800 mila le auto tedesche vendute annualmente in Gran Bretaga. Uno potrebbe dire: “Che ci importa a noi”? Peccato che noi siamo uno dei principali Paesi dell'indotto di subfornitura dell'industria automobilistica inglese e quindi alla fine per ricaduta potremmo avere problemi, così come ce ne sono molti altri.

In ultimo, io vorrei ricordare e sottolineare un elemento che non è stato citato e non è stato oggetto di una discussione pubblica, ma è una grande preoccupazione. Guardate, la piazza finanziaria di Londra, già all'interno delle logiche di vigilanza legate ai sistemi europei, pur non avendo aderito la Gran Bretagna all'euro e quindi conseguentemente alla BCE, presentava delle falle, come usano dire i tecnici agli analisti era già border, rispetto per esempio alle questioni legate al riciclaggio, e quindi ancor di più questa preoccupazione per il domani che una piazza finanziaria di Londra, che non sono le piccole isole Cayman, che non sono piccoli paradisi fiscali, ma sono uno dei cuori pulsanti del sistema finanziario mondiale, possa essere un luogo con forti aree di opacità. Quindi, in conclusione, da Brexit noi dobbiamo trarre una lezione: la lezione, intanto, è che dalla propaganda alla realtà c'è una grande differenza. Da quella sconfitta l'Europa deve trarre una lezione, perché è evidente che quel voto non è stato solo un voto di pancia, è stato un voto di critica a questa Europa, a un'Europa che noi vogliamo più sociale, un'Europa più attenta alle questioni del lavoro e non soltanto attenta alle questioni del capitale. Quindi, per queste motivazioni e con questo spirito, il gruppo di Liberi e Uguali voterà a favore del provvedimento (Applausi dei deputati del gruppo Liberi e Uguali).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Osnato. Ne ha facoltà.

MARCO OSNATO (FDI). Grazie, Presidente. Intervengo non tanto, o non proprio, sul tema della Brexit, perché, come lei mi insegna, in quest'Aula si deve parlare italiano: allora, prendo spunto dal titolo del nostro documento di conversione in legge e parlo di recesso del Regno Unito dall'Unione europea. Questo mi serve anche a rispondere, tramite lei, non tanto in nome e per conto dell'onorevole Trancassini, quanto per Fratelli d'Italia, all'onorevole Biancofiore che prima è intervenuta e ci ha ricordato che non bisogna chiamare “Sud Tirolo” l'Alto Adige, ma bisogna usare la terminologia e la toponomastica italiana. Credo che in questa parte dell'Aula e in questo partito politico ci sia poco da insegnare non tanto e non solo sulla toponomastica italiana, quanto sulla italianità e la difesa dei valori italiani (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia). Evidentemente, forse, non è stato abbastanza bravo da farsi comprendere nel suo artificio oratorio: il collega Trancassini tendeva proprio a sottolineare “Sud Tirolo” per far capire quanto ad una parte di questo Parlamento interessi più il Sud Tirolo che l'Alto Adige. Questo soltanto per specificare a chi intende insegnare qualcosa a persone alle quali è difficile insegnare di più di quanto hanno già fatto negli anni proprio su questo tema.

Tornando al tema della conversione del decreto-legge, non è che ci sia molto da aggiungere a quanto abbiamo già fatto rispetto alla votazione degli emendamenti e dell'analisi del provvedimento anche in Commissione. Sicuramente, una gran parte del provvedimento è di carattere tecnico, è un provvedimento che cerca di prevedere degli aggiustamenti a un'eventuale recesso senza accordo bilaterale. Quindi, abbiamo poco da aggiungere se non, ancora una volta, magari, la frustrazione di non aver visto accogliere nessuna delle proposte, anche alcune ragionevoli, che le opposizioni hanno fatto.

Quindi, sicuramente il nostro voto sarà un voto di astensione, perché non possiamo, ancora una volta, accettare le prevaricazioni che abbiamo visto anche oggi pomeriggio. Tuttavia, molto brevemente, Presidente, anch'io voglio fare un ragionamento sulla possibilità che la Gran Bretagna esca dall'Unione europea, perché è evidente a tutti che le difficoltà sono molte, le procedure tecniche sono difficili, il dibattito in Inghilterra e nel Regno Unito in genere sicuramente non aiuta a trovare una strada così facile. Però io voglio sottolineare, anche rispetto a quanto diceva chi mi ha preceduto poc'anzi, che una cosa è chiara a tutti: che in questi mesi c'è stata una pressione incredibile da parte dei mass media, da parte di realtà istituzionali, da parte di realtà finanziarie, da parte di realtà economiche, da parte di realtà sociali contro chi ha voluto il recesso del Regno Unito dall'Unione europea ovvero dagli inglesi stessi. Perché, vedete, non c'è niente di più democratico di un referendum: un referendum si è svolto e il referendum ha deciso che la Gran Bretagna, il Regno Unito dovevano uscire dall'Europa (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia). Non è che si è svegliata la regina e ha detto “domani ce ne andiamo”: qualcuno ha proposto un referendum, il referendum si è svolto e il referendum ha dato un risultato chiaro. Poi, oggi, io sento addirittura persone che dicono: ma è meglio, forse, non farla questa - tra virgolette - Brexit, perché, se si votasse oggi, probabilmente, vincerebbe il “no”, il remain. Purtroppo, non abbiamo la controprova: l'unica prova che abbiamo è che un referendum si è svolto e il referendum ha deciso che i cittadini del Regno Unito vogliono uscire dall'Unione europea; e noi non possiamo prevaricare la volontà popolare, lo facciamo già troppe volte in questa nazione per pretendere di farlo anche in altre nazioni.

Noi dobbiamo essere, ancora una volta, e concludo, per la sovranità dei popoli, perché noi non vogliamo gli Stati Uniti d'Europa, ma vogliamo l'Europa degli Stati sovrani (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Baratto. Ne ha facoltà.

RAFFAELE BARATTO (FI). Grazie, Presidente. Onorevole colleghi, in mezza giornata siamo riusciti ad approvare un provvedimento di così grande importanza, come quello in discussione oggi. Normalmente, non sono contrario all'efficienza, ma mi permetterete di esprimere il disappunto del gruppo parlamentare che rappresento: in questo caso, più che di efficienza, qui, purtroppo, parliamo di fretta. Votiamo un testo blindato su di un tema, la Brexit, che avrebbe dovuto essere oggetto di un approfondimento ben diverso. Ci troviamo oggi ad affrontare questa discussione tra gli ultimi in Europa e abbiamo visto, durante questa discussione, quante e di che portata siano le implicazioni dell'uscita della Gran Bretagna dall'Unione, anche a livello capillare, per la nostra economia. Liquidiamo queste potenziali conseguenze in mezza giornata: una scelta che non condividiamo nei metodi e nei modi. Vedremo se le misure che approveremo oggi saranno sufficienti a far salve le nostre imprese e i cittadini dalle ripercussioni che arriveranno, ma già da ora - lo diciamo con chiarezza - saranno necessari ulteriori interventi ed urgenti. Non vorremmo che il Governo, distratto dall'imminente campagna elettorale, si dimenticasse che i rischi paventati durante la discussione di stamattina sono reali e alle nostre porte.

Ci chiediamo, però, quando questo Paese affronterà seriamente una discussione sul proprio futuro in Europa, quando questo Paese prenderà veramente coscienza del proprio ruolo e delle proprie responsabilità come Paese fondatore dell'Unione europea. Oggi, sicuramente abbiamo perso un'occasione per parlare di questo. Lo voglio dire con chiarezza in quest'Aula oggi, colleghi: di fronte alla retorica antieuropeista a cui ormai siamo assuefatti, in quest'Aula abbiamo il dovere di dire la verità, abbiamo il dovere di perseguire la verità: l'Europa è un'opportunità e rimane un vantaggio straordinario per le nostre imprese e per i giovani del nostro Paese; un'opportunità che non abbiamo mai voluto sfruttare fino in fondo, che non abbiamo mai avuto la capacità, forse, di sfruttare fino in fondo.

Lasciatemi dire che sentire parlare di sovranità, oggi, da qualche collega, lascia sbigottiti: di fronte all'invadenza cinese, alla Via della seta, alla guerra dei dazi iniziata dagli Stati Uniti, ai continenti interi che si muovono con forza dirompente, c'è davvero chi pensa che il problema sia Bruxelles? Stiamo attenti: lo ripeto, forse, c'è bisogno davvero di un bagno di realtà, ma anche di un bagno di umiltà. Forse, c'è davvero bisogno che qualcuno capisca che oggi noi abbiamo bisogno terribilmente di un'Europa forte in grado di concorrere alla pari con le grandi altre forze continentali. Siamo un Paese manifatturiero, dobbiamo ricordarcelo, non siamo un Paese che produce materia prima; non ci vuole un accademico per capire che la nostra economia è intimamente connessa a quella degli altri Paesi europei e dipende da questo mercato per poter competere con le emergenti economie che corrono a briglie sciolte. Se questo Paese ha un futuro di sviluppo, se effettivamente crediamo che il made in Italy, la nostra manifattura possa giocarsela alla pari nel mondo, allora non c'è che una soluzione: battersi per un'Europa più forte, un'Europa che sia area economica, ma anche area politica, come la immaginava un Ministro degli esteri recentemente scomparso e le cui idee lungimiranti su questo tema dovrebbero ispirarci, Gianni De Michelis (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente). Viene da chiedersi che motivo c'è, allora, di indebolire a picconate ogni giorno quella che deve essere un'impresa comune e un interesse comune. Come Forza Italia, con queste premesse e con spirito di responsabilità nei confronti soprattutto delle imprese e dei soggetti maggiormente coinvolti dalle conseguenze nefaste della Brexit, voteremo a favore di questo provvedimento (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto il deputato Ungaro. Ne ha facoltà.

MASSIMO UNGARO (PD). Grazie, Presidente. Noi del gruppo del Partito Democratico condividiamo le misure contenute in questo decreto, misure che come fine hanno quello di contenere l'impatto negativo dell'uscita del Regno Unito dall'Unione europea senza un accordo e che avrà un enorme impatto negativo sui nostri 700 mila concittadini italiani nel Regno Unito e sulla nostra economia; misure sì adottate in ritardo rispetto agli altri Paesi europei e che tralasciano alcuni temi importanti su cui abbiamo cercato di attirare l'attenzione del Governo e della maggioranza con i nostri emendamenti. Ricordiamoci che la Brexit è un fenomeno nuovo, sconosciuto, dalle implicazioni ancora ignote, ed è quindi interesse del Governo sfruttare al massimo il dibattito parlamentare per migliorare le proprie iniziative.

Il decreto, per esempio, protegge i diritti e i doveri degli studenti e ricercatori britannici in Italia, ma non vengono aumentate le risorse per le unità del MIUR dedite al riconoscimento dei titoli di studio, una misura che sarebbe stata utile alle decine di migliaia di studenti italiani che conseguono gli studi universitari in quel Paese. In termini di previdenza sociale avete introdotto un regime transitorio per permettere ai fondi pensioni dei due Paesi di operare almeno per diciotto mesi a partire dalla data di recesso, ma sarebbe stato utile introdurre delle iniziative per assicurare il riscatto integrale dei contributi versati dai lavoratori italiani ai fondi pensioni del Regno Unito una volta rientrati in Italia, come evidenziato da varie fonti stampa negli ultimi mesi. Era l'occasione utile anche per correggere gli aspetti più nefasti del decreto Salvini per quanto riguarda l'ottenimento della cittadinanza italiana per via del matrimonio. Avete raddoppiato le tempistiche e avete inasprito fortemente i requisiti di lingua, creando gravi disagi a migliaia di coppie miste italo-britanniche che stanno faticando ad ottenere la cittadinanza per il coniuge che ha sposato un cittadino italiano, ha figli, magari, che parlano italiano, ma per cui è ancora più difficile diventare italiano, mentre, invece, avete mantenuto questi requisiti inalterati per chi acquisisce la cittadinanza per via di discendenza. Un altro dei paradossi del nostro Paese!

Avete aumentato le risorse per la rete consolare, bene, ma senza specificare come usarle. Quante unità verranno inviate nel Regno Unito, quante a Londra? Perché il Governo non vuole dire, nero su bianco, che vuole riaprire il consolato di Manchester, come era stato deciso negli ultimi mesi del Governo Gentiloni?

In tema di sanità sarebbe stato utile per il Governo predisporre dei meccanismi di chiamata diretta di personale di area medica dall'estero in Italia; da anni ci si lamentano in Italia della carenza di personale medico in tutta Italia, un problema che aumenterà nei prossimi anni proprio a causa della quota 100 introdotta da questo Governo. Si dice che dal 2025 mancheranno 16.700 medici specialisti, per non parlare di oltre 50 mila infermieri in tutta Italia, mentre sappiamo che nel Regno Unito ci sono e lavorano oltre 6 mila medici italiani, già specializzati, già formati, che adesso, in questi ultimi mesi, stanno considerando la possibilità di trasferirsi. Ebbene, rientrare non è così semplice. Questa era un'occasione in cui il Governo poteva introdurre i meccanismi di chiamata diretta in questo senso.

Sempre in tema di incentivi, sarebbe stato utile rendere accessibili i nuovi incentivi per l'attrazione di capitale umano e il cosiddetto rientro dei cervelli, contenuto prima nella proposta di legge 1064, adesso sarà nel decreto crescita. Il nuovo regime è accessibile soltanto a partire dal gennaio 2020; invece è il 2019 l'anno della Brexit, il 2019 è l'anno in cui ci sono migliaia di professionalità in partenza dal Regno Unito, e, se come Paese vogliamo competere con gli altri Paesi o con le altre città europee, era giusto allargare l'accesso a questo regime di incentivi già dal 2019 o almeno a chi già sta beneficiando degli sgravi fiscali, rientrato in Italia negli ultimi mesi.

Ma il tema fondamentale rimane quello della tutela dei diritti acquisiti dai cittadini, un tema cruciale per l'Italia, perché appunto siamo la seconda comunità europea in quel Paese, con oltre 700 mila italiani. Londra oggi è la quinta città d'Italia, e quindi, per questo motivo, mi appellavo, con il mio ordine del giorno poc'anzi, a che il Governo si applichi nel mettere in sicurezza la seconda parte dell'accordo di recesso, quella, appunto, sulla salvaguardia dei diritti dei cittadini.

E qui siamo estremamente delusi dal voto contrario della maggioranza, che chiaramente non ha a cuore i diritti acquisiti dei cittadini italiani del Regno Unito. Nella parte finale del provvedimento si attua anche un rinnovo di due anni delle GACS, ovvero le garanzie di Stato sulla cartolarizzazione delle sofferenze bancarie; un tema e uno strumento utile introdotto dai Governi a guida del Partito Democratico, che ha permesso in questi ultimi anni lo smaltimento delle sofferenze, una delle priorità per il nostro sistema bancario. Ma il caso Carige ci ricorda che non basta avere gli strumenti giusti: occorre un Governo credibile. Con le ultime dichiarazioni del Governo e, soprattutto, con la sua politica economica gli investitori internazionali sono scappati a gambe levate, da ultimo appunto il caso di BlackRock, che ha deciso di non procedere all'acquisto di Carige.

Ebbene, Presidente, per vincere una corsa non basta una macchina veloce, ma serve anche un buon pilota; e quindi bene le GACS, ma qui bisogna rivedere tutta la politica economica del Governo, una politica che ostacola gli investimenti, fa crescere il debito per finanziare misure inefficaci come “quota 100”, una misura che ci avete venduto come a favore della staffetta generazionale, che ai pensionamenti sarebbero seguiti più occupati. E, invece, il vostro stesso DEF ha messo in evidenza che non ci saranno aumenti occupazionali né nel 2019 né nel 2020. Ma, al di là delle questioni di merito, Presidente, noi siamo qui, oggi, ad approvare un decreto per preparare l'uscita di un grande Paese come il Regno Unito dall'Unione europea, il principale progetto politico del nostro continente dal secondo dopoguerra.

È evidente che il referendum sulla Brexit appare come una battuta d'arresto, una sconfitta per l'europeismo, in linea, se non molto peggio, con l'esito del referendum del 2005 in Olanda e in Francia sul progetto di Costituzione europea, ma il punto è che come allora si chiedeva più Europa, non meno Europa, anche il voto sulla Brexit non può non essere letto se non a fronte di un grave disagio sociale in quel Paese, che affligge quel Paese, un Paese dove le disuguaglianze di reddito e di opportunità, ma anche geografiche, sono aumentate a dismisura negli ultimi anni, dove appunto, accanto a una Londra che beneficiava di un mondo sempre più globale, sempre più interconnesso e della progressiva terziarizzazione dell'economia, si trovano zone deindustrializzate in grave declino. Un disagio sociale aggravato da anni di grave austerità inflitta da un partito conservatore che ha abbandonato quelle aree del Paese e dove non c'era l'Europa. Il problema non è che c'era l'Europa, il problema è che non c'era l'Europa, non c'era l'Europa sociale, che appunto sarebbe potuta intervenire con tutele adeguate; e se c'era, come nel caso del Galles o di altre zone depresse del Paese, tramite miliardi di euro, miliardi di euro di fondi strutturali europei, non era percepita dalla popolazione, preda di una campagna di menzogne e di tecniche raffinate di profilazione telematica finanziata con fondi illeciti, come poi è emerso negli ultimi mesi, che identificava negli stranieri il capro espiatorio a cui era più comodo dare la colpa delle lunghe file all'ospedale o delle lunghe file per registrare i propri figli agli asili nido, senza chiedersi e porsi il tema che forse bisognava costruire un nuovo asilo nido, un nuovo ospedale.

Un problema che conosciamo anche in Italia, ormai diventata la culla del populismo digitale, dove proprio ieri Facebook ha deciso di chiudere ben ventitré siti che propagavano notizie false, guarda guarda, proprio a favore di quelle forze neonazionaliste che compongono questa maggioranza, la Lega e il MoVimento 5 Stelle (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico), tramite siti ricollegabili a potenze straniere. Tutto questo è emerso, tra l'altro, grazie al codice di autoregolamentazione delle piattaforme digitali promosso dalla Commissione europea.

Questi, Presidente, sono i fattori che hanno portato al voto sulla Brexit, una frattura profondissima che ha diviso quel Paese, la sua politica, le famiglie, dove i figli ancora non parlano ai genitori, dove sono stati assassinati giovani parlamentari europeisti, il caso di Jo Cox (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico), qualcosa che non avveniva nemmeno negli anni Trenta, quando a Londra est sfilavano le camicie nere di Mosley.

Ed è questo il punto, Presidente, che se la Brexit è il segnale che quell'Europa non va bisogna rispondere con più Europa e non con meno Europa. La Brexit è avvenuta proprio perché mancava un'Europa sociale e, appunto, mi chiedo adesso se questo sia il canovaccio che i sovranisti nostrani abbiano in mente per il nostro Paese. Ricordiamoci che proprio il ritorno dei confini nazionali ha alimentato di colpo tensioni che sembravano risolte come, appunto, nel caso del confine tra l'Irlanda del Nord e la Repubblica d'Irlanda, che solo poche settimane fa ha visto l'assassino della giovane giornalista Lyra McKee (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

Allora, mi chiedo veramente se le forze sovraniste che compongono questa maggioranza vogliano appunto importare il caso della Brexit anche al nostro Paese. Il 17 novembre 2016 Matteo Salvini dichiarava: “Dopo il voto sulla Brexit la Gran Bretagna vola. Liberi dai vincoli e dalla gabbia dell'Unione europea si torna a vivere”. Ma certamente: investimenti fermi, aziende che chiudono o delocalizzano, paralisi del Parlamento e della politica. Un disastro, per giunta nel Paese che ha inventato la democrazia rappresentativa, il Paese la cui lingua si parla in tutto il mondo. Ma voi, ovviamente, avete…

PRESIDENTE. Chiedo scusa…

MASSIMO UNGARO (PD). Concludo, Presidente.

PRESIDENTE. Non ce l'ho con lei, deputato Ungaro. Il Governo dovrebbe essere lasciato nelle condizioni di ascoltare gli interventi dei deputati. Prego.

MASSIMO UNGARO (PD). Mi avvio alla conclusione, ma il punto è il seguente: voi avete aggiustato il tiro, avete cambiato maschera e oggi non vi presentate più come euroscettici o euro ostili ma semplicemente come sovranisti; oggi non dite più: “Basta euro”, ma un ben più innocuo: “Cambiamo l'Europa”.

PRESIDENTE. Concluda, per favore.

MASSIMO UNGARO (PD). Avete imparato velocemente l'ipocrisia di Visegrád, che con una mano si prende 2, 3, 4 punti di PIL di fondi strutturali europei e con l'altra costruisce muri, sputa sull'Europa, mette l'IVA al 9 per cento e l'IRES al 12 (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico). Avete capito, però, che gli italiani su questo non vi seguono, che fuori dall'euro sono in pericolo i loro risparmi e il loro futuro. E, allora, se non volete uscire dall'euro e dall'Unione europea, cosa volete? Questa è un'ottima occasione…

PRESIDENTE. Deve concludere. Il tempo a sua disposizione è scaduto da un po'.

MASSIMO UNGARO (PD). È un'ottima occasione - sto concludendo, Presidente - per dirci il vostro punto di vista. E, invece, rallentare il processo d'integrazione europea oggi significa gettare le basi per la disintegrazione dell'Europa di domani e, come Italia, abbiamo troppo da perdere in tutti i sensi possibili. Se avete veramente a cuore il destino di questo Paese l'unica via è un sovranismo europeista (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto la deputata Laura Cavandoli. Ne ha facoltà.

LAURA CAVANDOLI (LEGA). Grazie, Presidente. Egregi colleghi, gentili colleghe, rappresentanti del Governo, il referendum consultivo del 23 giugno 2016 ha dato un risultato imprevisto e forse anche pericoloso, secondo i vertici dell'Unione europea: ha certificato la volontà, democratica, degli elettori del Regno Unito di recedere dall'Unione europea. Il popolo britannico ha quindi spinto i propri rappresentanti a intraprendere le procedure negoziali per uscire dall'Unione europea, previste dal finora inapplicato articolo 50 del Trattato, che hanno poi determinato il noto Accordo del 14 novembre 2018 fra la Premier May e il negoziatore delegato dall'Unione Europea Michel Barnier. Questo Accordo, il cosiddetto deal, non è stata accettato dal Parlamento inglese e ha generato le problematiche sottese al provvedimento di cui stiamo discutendo la conversione in legge.

L'uscita del Regno Unito dalla UE sarebbe dovuta avvenire il 29 marzo 2019, ma approfittando dell'indugio - chiamiamolo così - di Westminster e per ovviare all'imminente Brexit senza accordo, la cosiddetta hard Brexit, il Consiglio europeo ha dato tempo al Regno Unito fino al 31 ottobre 2019 per approvare l'Accordo già negoziato o per approvare nuove proposte o per - ed è la soluzione ovviamente auspicata dalla UE - revocare unilateralmente il recesso, eliminando così il risultato referendario e cancellando la volontà popolare. E così il prossimo 23 maggio, data che curiosamente coincide con il termine entro il quale a Westminster si sarebbe potuto approvare il deal, gli inglesi sono chiamati a eleggere i loro settantatré rappresentanti al Parlamento europeo, parlamentari precari, visto che dovrebbero decadere il prossimo 31 ottobre ma che, comunque, conteranno sia per determinare le maggioranze all'interno della nuova composizione sia per votare, al pari degli altri, anche l'approvazione del quadro finanziario pluriennale 2021-2027 dell'Unione Europea.

Le imminenti votazioni nel Regno Unito hanno fatto risorgere le intenzioni europeistiche degli sconfitti del giugno 2016, tanto che qualcuno ha definito queste elezioni europee come un nuovo referendum sulla Brexit, evidenziando e ancora una volta facendo affidamento sulla possibilità di revocare il recesso.

Quindi, nel Regno Unito, come in Italia del resto, è, ancora una volta, importante e necessario il voto popolare, il voto di tutti quelli che vogliono dire qualcosa sull'Unione europea. E mentre le istituzioni europee e del Regno Unito stanno facendo di tutto perché venga negata la manifestazione di volontà degli elettori di non fare più parte di questa Unione europea, gli Stati hanno dovuto predisporre atti normativi unilaterali volti a prevenire problematiche, mancanza di tutele, potenziali controversie e assicurare la stabilità complessiva del sistema economico, bancario, finanziario e assicurativo italiano, nonché l'integrità dei mercati e la tutela degli investitori.

Il decreto-legge n. 22 del 2019, fortemente voluto dal nostro Governo, interviene, pertanto, nelle materie più immediate e rilevanti e lo fa unilateralmente, perché - lo ricordo - senza la copertura dell'Unione Europea rivivono interamente gli articoli 10 e 11 della nostra Costituzione in base ai quali le limitazioni della sovranità nei rapporti fra Stati indipendenti devono essere regolate da accordi bilaterali o trattati internazionali ratificati da entrambi.

Inoltre, è più volte richiamata l'applicazione del principio cardine dei rapporti internazionali, quello di reciprocità, evitando così le discriminazioni fra i cittadini degli Stati esteri. Si è così arrivati a prevedere di assicurare il golden power del Governo per i servizi di comunicazione elettronica a banda larga basati sulla tecnologia 5G se forniti da soggetti estranei all'Unione europea, di assicurare continuità nella prestazione dei servizi bancari, finanziari e assicurativi da parte sia dei soggetti del Regno Unito operanti in Italia sia dei soggetti italiani operanti nel Regno Unito nonché di disciplinare la fuoriuscita ordinata dal mercato italiano dei soggetti inglesi che cesseranno l'attività ordinaria, prevedendo un periodo transitorio di diciotto mesi susseguenti alla cosiddetta “hard Brexit” (se ci sarà), di regolamentare la permanenza in Italia e la concessione della cittadinanza ai cittadini del Regno Unito e ai loro familiari, di potenziare i servizi consolari per i 700 mila italiani e per le imprese presenti e operanti nel Regno Unito, di applicare ai cittadini del Regno Unito i regolamenti europei per la tutela della salute e le prestazioni di sicurezza sociale a condizione di reciprocità con i cittadini italiani, di mantenere, sempre a condizione di reciprocità, le qualifiche professionali riconosciute e di salvaguardare la posizione giuridica di studenti e ricercatori del Regno Unito in Italia. Inoltre, a tutela dei risparmiatori e dei mercati si è voluto sia prorogare la garanzia statale sulle passività delle operazioni di cartolarizzazione a fronte della cessione da parte delle banche e degli intermediari finanziari con sede in Italia di crediti pecuniari qualificati come sofferenze, sia assicurare l'operatività della garanzia sulla cartolarizzazione delle sofferenze al fine di rafforzare la stabilità del sistema bancario nel suo complesso.

Quindi, in attesa dell'evoluzione della vicenda Brexit il Governo del cambiamento si è fatto trovare pronto, come sempre, nel rispondere alle esigenze dei cittadini, come quando ha introdotto una flat tax per le piccole partite IVA che ha portato all'apertura di 196 mila nuove posizioni fiscali, come quando con la pace fiscale ha liberato i cittadini dai debiti fiscali troppo gravosi e come quando è intervenuto per evitare le morti nel Mediterraneo, bloccando gli sbarchi e il business dell'immigrazione (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier).

Quindi, come nel Regno Unito il 23 maggio, anche in Italia il prossimo 26 maggio gli italiani possono cambiare l'Europa, trasformandola in un consesso che riconosce le problematiche dei singoli Stati, che si impegna a presidiare e a controllare i confini, che non dimentica di tutelare le proprie tradizioni e le specificità di ogni popolo, limitando la contraffazione e le importazioni di prodotti di scarsa qualità, sostenendo la nostra agricoltura, le autonomie e le condivisioni. Per tutti questi motivi, a nome del gruppo Lega-Salvini Premier, dichiaro il voto favorevole sulla conversione di questo decreto-legge (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto la deputata Elisa Siragusa. Ne ha facoltà.

ELISA SIRAGUSA (M5S). Grazie, signor Presidente. Signor Presidente, rappresentanti del Governo, colleghi e colleghe, oggi siamo qui riuniti per discutere del decreto-legge n. 22 del 2019, il cosiddetto “decreto Brexit”, recante misure urgenti per assicurare sicurezza, stabilità finanziaria e integrità dei mercati nonché la tutela della salute e della libertà di soggiorno dei cittadini italiani e di quelli del Regno Unito in caso di recesso di quest'ultimo dall'Unione Europea.

Questo decreto in prossimità delle elezioni europee ci consente di riflettere sul futuro dell'Unione europea. Il 23 giugno 2016 si è tenuto il referendum consultivo sulla permanenza del Regno Unito all'interno dell'Unione europea che ha visto l'affermazione del leave con il 52 per cento dei voti. In questi anni abbiamo sentito molte persone scagliarsi contro l'esito del referendum. Colleghi, la democrazia si basa sul rispetto delle posizioni di maggioranza: non si può introdurre nel dibattito politico il pericoloso concetto che la democrazia è buona solo quando l'esito ci aggrada. E allora, nel pieno rispetto della decisione del popolo inglese, noi tutti dovremmo invece chiederci quali sono le ragioni che hanno spinto il popolo inglese a decidere di uscire dall'Unione europea, quali sono le cause e cosa va cambiato nell'Unione europea. Ma, tornando al decreto-legge, il provvedimento serve ad evitare le ricadute della Brexit senza accordo per ricreare in via unilaterale lo scenario dell'uscita morbida, la soft Brexit, del Regno Unito dall'Unione europea. Il provvedimento prevede, infatti, un periodo transitorio di diciotto mesi che partono dalla data di recesso del Regno Unito dall'Unione europea in assenza di accordo. Il decreto-legge permette di far proseguire l'attività italiana degli operatori finanziari inglesi e quella britannica degli operatori italiani alle condizioni attuali. Inoltre introduce misure importanti per la tutela dei diritti dei cittadini britannici in Italia e dei cittadini italiani nel Regno Unito. Ricordiamolo: in Inghilterra, nel Regno Unito, si stimano circa 700 mila italiani di cui appena poco più di 300 mila regolarmente iscritti all'AIRE. In particolare con il decreto-legge si autorizza una serie di interventi che si rendono necessari e, lasciatemi aggiungere, che tali interventi erano forse necessari già prima di Brexit e indipendentemente dall'esito di Brexit ma lo sono ancora di più in questa fase di incertezza. Ci vogliono più risorse, ci vuole più personale, ci vogliono spazi più adeguati nei nostri consolati del Regno Unito e questi sono alcuni obiettivi che si pone il decreto-legge con l'autorizzazione di oltre 5,5 milioni già a partire dal 2019 per una serie di interventi.

PRESIDENTE. I colleghi sono pregati - chiedo scusa se la interrompo - di prestare non dico attenzione ma almeno le condizioni minimali di silenzio per consentire lo svolgimento degli interventi ai deputati. A lei la parola, onorevole Siragusa.

ELISA SIRAGUSA (M5S). Grazie, Presidente. Come ricordavo sono stati autorizzati oltre 5,5 milioni di euro già a partire dal 2019 per una serie di interventi quali l'acquisto, la ristrutturazione e il restauro di immobili adibiti o da adibire a uffici consolari e ricordiamo che, in questo caso, nella relazione tecnica si parla dell'apertura di un ufficio consolare di Manchester. Poi l'incremento di personale di ruolo del MAECI da inviare nelle sedi all'estero così come anche l'incremento di 50 unità del contingente massimo del personale a contratto che le nostre sedi all'estero potranno assumere e inoltre stanziamenti per migliorare la tempestività e l'efficacia dei servizi consolari. Sento spesso parlare in quest'Aula delle tante persone, dei tanti giovani che emigrano all'estero. Come ho ricordato questa mattina in discussione generale, sono una di quei tanti giovani che sono emigrati all'estero. Sono partita nel 2012: è stato un viaggio che mi ha portato da un piccolo comune della provincia di Como alla grande città di Londra e che oggi mi ha riportato qui come rappresentante degli italiani all'estero. Partire non è mai una scelta facile perché a volte viene vissuta con sacrificio, perché partire vuol dire lasciare la propria famiglia, lasciare la propria casa, lasciare i propri amici e andare in un Paese dove a volte non si padroneggia la lingua, non si conosce la cultura, dove la cultura è diversa, quindi a volte può essere vissuto anche con un po' di sacrificio. Invece partire per l'estero dovrebbe essere una possibilità: una possibilità mai una necessità. Con il Governo vogliamo costruire i presupposti per far sì che i tanti giovani possano decidere di tornare nel nostro Paese, costruire i presupposti affinché l'Italia possa essere un Paese in cui tornare e non da cui scappare. Oltre alle difficoltà vissute da chi decide di trasferirsi all'estero, i nostri connazionali in UK stanno vivendo anche un periodo di profonda incertezza a causa degli esiti incerti della Brexit. Proprio per questo motivo reputo importante dare un segnale di vicinanza ai nostri connazionali che risiedono nel Regno Unito. Il decreto-legge è il segnale che aspettavano perché aiuta a semplificare i rapporti tra amministrazione e cittadini residenti nel Regno Unito e stanzia maggiori risorse finanziarie per garantire i servizi utili a chi si è trasferito. Senza entrare nel tecnico del decreto-legge, già discusso questa mattina in discussione generale, vorrei soffermarmi sull'importanza di approvarlo oggi. In caso di “hard Brexit”, infatti, in assenza di un decreto ad hoc, si sarebbero presentati disagi notevoli. È per questo che siamo intervenuti con tempismo per evitare qualsiasi sorpresa. Ora, anche nel caso estremo di un mancato accordo tra il Regno Unito e l'Unione europea, i nostri connazionali emigrati sanno che l'Italia si sta occupando della loro vita.

Ciò che ci ha guidato è un doppio obiettivo: rispettare il voto popolare che ha sancito la Brexit e, allo stesso tempo, far sì che questa scelta, forte, del Regno Unito non abbia ricadute negative sui nostri connazionali. Pensiamo di essere riusciti a raggiungere entrambi questi obiettivi. Per questo motivo, a nome del gruppo MoVimento 5 Stelle, annuncio voto favorevole (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle – Congratulazioni).

PRESIDENTE. Sono così esaurite le dichiarazioni di voto finale.

(Votazione finale ed approvazione – A.C. 1789)

PRESIDENTE. Passiamo alla votazione finale.

Indìco la votazione nominale finale, mediante procedimento elettronico, sul disegno di legge n. 1789: S. 1165 - "Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 25 marzo 2019, n. 22, recante misure urgenti per assicurare sicurezza, stabilità finanziaria e integrità dei mercati, nonché tutela della salute e della libertà di soggiorno dei cittadini italiani e di quelli del Regno Unito, in caso di recesso di quest'ultimo dall'Unione europea" (Approvato dal Senato).

Dichiaro aperta la votazione.

(Segue la votazione).

Dichiaro chiusa la votazione.

La Camera approva (Vedi votazione n. 32).

Sui lavori dell'Assemblea.

PRESIDENTE. Secondo le intese intercorse tra i gruppi, il seguito dell'esame degli ulteriori argomenti iscritti all'ordine del giorno della seduta odierna è rinviato alla seduta di domani. Secondo le medesime intese, in tale seduta il seguito dell'esame della proposta di legge n. 680 concernente l'esercizio di funzioni di prevenzione e accertamento delle violazioni in materia di sosta sarà collocato come secondo argomento dopo la proposta di legge n. 1074 in materia di semplificazione fiscale.

Prima di dare la parola al deputato Baldelli, che l'ha richiesta, salutiamo insegnanti e alunni del 38° Circolo didattico “Giuseppe Quarati” di Napoli che stanno assistendo ai nostri lavori (Applausi).

Prego, deputato Baldelli. Ha facoltà di parlare.

SIMONE BALDELLI (FI). Grazie, Presidente. Il provvedimento del quale lei poc'anzi ha annunciato l'inversione dell'ordine del giorno nel punto all'attenzione della nostra seduta, Presidente…

PRESIDENTE. Per cortesia, consentiamo al deputato Baldelli di svolgere il suo intervento. A lei la parola.

SIMONE BALDELLI (FI). Grazie, Presidente. In qualità di primo firmatario e anche di relatore del punto del quale poc'anzi lei, Presidente, ha annunciato all'Assemblea l'intesa intercorsa tra i gruppi per l'inversione, poiché il provvedimento è giunto all'attenzione di questo ramo del Parlamento nel mese di novembre 2018 e, quindi, sono già sei mesi che è pronto per il seguito dell'esame, mi permetto di formulare l'auspicio che in questo tempo che intercorrerà tra l'esame del provvedimento a prima firma dell'onorevole Ruocco e il seguito dell'esame del provvedimento, possa maturare quella che da ormai sei mesi attendo come un'intesa su cui le forze politiche credo abbiano il dovere di manifestare, insieme al Governo, una volontà di trovare un accordo.

Diversamente, Presidente, non resta che prendere atto di alcune posizioni politiche molto chiare che, secondo me, devono maturare in seno a questa Assemblea senza infingimenti e senza nascondersi dietro un dito, perché credo che questo provvedimento vada nell'interesse di quei cittadini onesti che pretendono onestà dalle amministrazioni locali, che troppo spesso, in violazione di alcune norme, usano le multe come uno strumento vessatorio nei loro confronti.

In morte dell'onorevole Gianni De Michelis.

PRESIDENTE. Chiedo un po' di silenzio, per cortesia.

Comunico che è deceduto l'onorevole Gianni De Michelis, già membro della Camera dei deputati nella VII, VIII, IX, X, XI e XV legislatura.

La Presidenza della Camera ha già fatto pervenire ai familiari le espressioni della più sentita partecipazione al loro dolore, che desidera ora rinnovare anche a nome dell'Assemblea (Applausi).

Interventi di fine seduta.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Carlo Fatuzzo. Ne ha facoltà, per un minuto.

CARLO FATUZZO (FI). Ieri sera ho acceso la televisione, e ho appreso la notizia che in Argentina c'è una situazione disastrosa di tutti i cittadini argentini, in particolare dei pensionati. In Argentina la pensione minima è di 150 euro al mese, c'è stata un'inflazione del 100 per cento negli ultimi tempi e i pensionati vanno nelle farmacie con numerose ricette per le numerose malattie che da giovani raramente arrivano, ma da anziani sono sempre numerose, e devono scegliere quale medicina comprare perché non hanno abbastanza soldi. Non vorrei proprio, non vorrei che questo capitasse anche in Italia. Che il Governo si svegli, si ricordi che bisogna pensare al progresso. Viva i pensionati, pensionati, all'attacco.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Gianluca Benamati. Ne ha facoltà, per un minuto.

GIANLUCA BENAMATI (PD). Grazie Presidente. Torno velocemente su una situazione che è già stata sollevata in Aula, quella della statua del maestro Luigi Ontani, che simboleggia la città di Vergato, che è stata posta nella città e che, dopo le polemiche del senatore Pillon e di alcuni oscurantisti ignoranti che l'hanno scambiata per un monumento a Satana e una posizione di culto satanico, è stata oggetto, da parte di sedicenti cretini, sia di esorcismi che di atti vandalici.

Io do conto della manifestazione del 9 maggio dei cittadini di Vergato…

PRESIDENTE. Colleghi! Chiedo scusa, deputato Benamati. Colleghi, in questo modo è impossibile andare avanti. Quindi, lei aspetti, non abbiamo fretta, possiamo rimanere qui a lungo…Chi ha bisogno di conversare lo può fare fuori dall'Aula. Dentro l'Aula cortesemente bisogna osservare il silenzio necessario per consentire che ciascuno possa svolgere il proprio intervento. Ci siamo? A lei la parola.

GIANLUCA BENAMATI (PD). Grazie, Presidente. Riprendo il discorso dicendo che il 9 maggio i cittadini di Vergato hanno dato una risposta con una grande manifestazione pubblica in difesa della libertà artistica, e anche della libertà di espressione. Noi non siamo – e dico “noi” perché io provengo da quella realtà – una terra di ignoranti sempliciotti, ma una terra di antica arte e cultura. Desidero quindi – concludendo, Presidente – esprimere solidarietà anche a nome del mio gruppo al sindaco di Vergato, Massimo Gnudi, all'amministrazione comunale, ma soprattutto a tutti i cittadini vergatesi, che hanno saputo dare una lezione alla politica nazionale tronfia, ignorante e bugiarda di come ci si deve comportare (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Camillo D'Alessandro. Ne ha facoltà, per un minuto.

CAMILLO D'ALESSANDRO (PD). Presidente, in Abruzzo sta accadendo una situazione paradossale: in una delle più grandi aziende del Centro-Sud Italia, sicuramente tra le più grandi in Italia e in Europa, la Sevel, in Atessa, i lavoratori hanno ricevuto una comunicazione dallo storico partner, da Peugeot, dalla società PSA fondata in joint venture con Citroën e con il gruppo FCA, che, per raggiunta capacità produttiva dello stabilimento di Atessa, parte della produzione sarà trasferita in Polonia.

Guardate che stiamo parlando di un'azienda che occupa circa 5 mila lavoratori, ed oltre l'indotto, stiamo parlando di una delle più grandi aziende del comparto automotive. Spostare la capacità, una parte della capacità produttiva da parte di Peugeot in Polonia significa in prospettiva…

PRESIDENTE. La invito a concludere.

CAMILLO D'ALESSANDRO (PD). Concludo, Presidente. Significa in prospettiva mettere a rischio anche la leadership dello stabilimento in Italia.

PRESIDENTE. La ringrazio. Concluda.

CAMILLO D'ALESSANDRO (PD). Chiedo scusa, Presidente: ciò che stupisce è che una delle più grandi questioni oggi di politica industriale in Italia vede totalmente assente il Governo e il Ministro che si dovrebbe occupare di sviluppo economico (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Simone Baldelli. Ne ha facoltà.

SIMONE BALDELLI (FI). Presidente, quest'oggi in apertura di seduta già in Commissione trasporti ho preso la parola sull'ordine dei lavori per sollevare la stessa questione che sollevo qui in Assemblea, Presidente, vale a dire l'annuncio della chiusura dell'Autostrada dei parchi per il tratto che riguarda il tunnel del Gran Sasso. Nel rimpallo di responsabilità che ruota attorno a questa vicenda, Presidente, noi rischiamo la chiusura di un'arteria di comunicazione e di trasporto fondamentale tra la parte tirrenica e la parte adriatica del nostro Paese nel Centro Italia. Allora io, così come l'ho chiesto in Commissione, chiedo qui in Assemblea che il Governo si faccia carico di questo problema, che riferisca al Parlamento su qual è la sua posizione, e che insieme al Parlamento trovi una soluzione, magari di natura normativa, per impedire che questa cosa accada. Perché altrimenti, Presidente, noi rischiamo di bloccare un canale di trasporto e di comunicazione tra una parte e l'altra dell'Italia, con il congestionamento di strade come la Salaria o di autostrade alternative. Credo, Presidente, che sia un problema del quale il Governo deve farsi carico in tempi certi e più rapidi possibile.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare la deputata Stefania Pezzopane. Ne ha facoltà.

STEFANIA PEZZOPANE (PD). Presidente, il Partito Democratico chiede che il Ministro Toninelli venga rapidamente e urgentemente a riferire alla Camera in merito alla vicenda della paventata chiusura del traforo del Gran Sasso. Il 19 maggio si sta avvicinando inesorabilmente e, nonostante il gestore delle autostrade abbia annunciato ai primi di aprile questo ignobile gesto, ovvero di minacciare di chiudere il traforo del Gran Sasso, c'è stata una assoluta e totale inerzia del Ministro competente, che solo per la giornata di domani ha indetto una riunione. La chiusura di questo traforo spacca in due l'Italia, una nuova Linea Gustav a distanza di molti anni che interrompe le comunicazioni viarie, autostradali, che interrompe le relazioni economiche e commerciali: una pura follia (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico), su cui il Ministro ancora non muove un dito. C'è la necessità di una norma, di un commissario per l'esecuzione delle opere, c'è soprattutto la necessità che Toninelli esca da questo stato…

PRESIDENTE. Concluda.

STEFANIA PEZZOPANE (PD). …di assoluta indifferenza e venga a riferire in Parlamento (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Michele Nitti. Ne ha facoltà.

MICHELE NITTI (M5S). Presidente, mi sembrava doveroso, e lo faccio come membro della Commissione cultura, ricordare la straordinaria figura di Leonardo da Vinci, di cui in questi giorni celebriamo il cinquecentesimo anniversario della morte. Quando all'età di circa trent'anni cercò di entrare al servizio di Ludovico il Moro con una singolare lettera di presentazione, Leonardo, una delle figure più rappresentative del Rinascimento italiano, si accreditò principalmente per le sue competenze di ingegnere militare, prima che come pittore. Questo ci ricorda che Leonardo fu sempre molto più di quanto la retorica ufficiale o l'immaginario comune siano riusciti a rappresentare: quindi non solo scienziato, pittore, progettista, genio incontrastato, ma anche organizzatore di feste, spettacoli teatrali, suonatore di liuto, scrittore. Proprio come scrittore, accusato di essere “omo sanza lettere”, seppe passare dalla tecnica della semplice registrazione della cultura letteraria popolare, con il bestiario, i proverbi, le favole, i motti, fino alla trattatistica sulla meccanica, l'idrologia, l'ottica, la prospettiva.

Infine, visto che siamo in quest'Aula, ecco un piccolo riferimento all'attitudine politica di Leonardo; nonostante i suoi rarissimi pronunciamenti in materia, peraltro tutti pessimistici, Leonardo conobbe molto bene la politica, avendola osservata e sperimentata nei due principali laboratori della sua epoca, la Repubblica di Firenze e la Milano principesca e signorile. Leonardo ci ricorda la caducità della ricchezza, ci ricorda che la guerra è sempre una pazzia bestialissima, anche quando giustificata dalla necessità di contrastare la tirannia e ci ricorda che l'uomo, nel suo istinto di violenza, coltiva spesso ambizioni che lo portano costantemente a vivere in una dimensione conflittuale. Ecco, l'antropologia politica di Leonardo continua ancora oggi, particolarmente in questi momenti pre-elettorali, a fornirci spunti di riflessione e di analisi (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Riccardo Olgiati. Ne ha facoltà, per due minuti.

RICCARDO OLGIATI (M5S). Presidente, la settimana scorsa a Legnano, la mia città, è accaduto un fatto di quelli che ho sempre sentito solo in televisione, ma che quando accade a poche centinaia di metri da casa tua fa venire ancora di più i brividi. Giuseppe, un ragazzo di trent'anni che conduceva una vita normale, come tanti altri, ha subìto un'aggressione da parte della sua ex ragazza che gli ha lanciato un bicchiere di acido sul volto. È stato l'atto conclusivo, dopo un lungo periodo di stalking, fatto di inseguimenti in macchina, pedinamenti, minacce di morte via social, telefonate continue per tutta la giornata e tanti altri comportamenti che avevano messo in guardia Giuseppe, fino a spingerlo a denunciare la sua ex. Purtroppo, non è bastato e tutto è culminato nell'aggressione finale. In queste occasioni diventa davvero difficile immaginare che una persona possa arrivare con tanta cattiveria a compiere uno degli atti più vili e infami che possano esserci. Oggi, Giuseppe è ricoverato all'ospedale Niguarda di Milano ed è ancora presto per sapere quali saranno le conseguenze che subirà. La sua ex ragazza, invece, è nel posto che le spetta, il carcere e, nonostante serva a poco per rimediare a quanto ha subito Giuseppe, mi consola il fatto che proprio poche settimane fa in quest'Aula abbiamo votato una norma, all'interno del cosiddetto codice rosso, che prevede una pena dagli 8 ai 14 anni per chi si macchia di questo orrendo reato. Quantomeno Giuseppe, come tutti coloro che rimangono vittime di queste situazioni, avrà un minimo di giustizia. Forza, Giuseppe, ti auguro una rapida e completa guarigione e ascoltando le tue parole in tv devo dirti che mi hai commosso, sei veramente una forza della natura e intorno a te hai una famiglia composta da persone eccezionali. Tornerai come e meglio di prima, ne sono certo (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare la deputata Ehm. Ne ha facoltà.

YANA CHIARA EHM (M5S). Presidente, è di ormai 13 giorni fa la notizia della morte di David Solazzo, un ragazzo fiorentino di trentun anni, agronomo e cooperante. David si trovava a Capo Verde come responsabile di un progetto Cospe, una ONLUS di Firenze attiva nella cooperazione internazionale e in particolare nei progetti di sviluppo. Amava il suo lavoro, lo faceva con passione, per aiutare il prossimo. David è stato trovato morto nella sua abitazione, sull'isola di Fogo, il 1° maggio, ferito dai vetri di una finestra. È morto dissanguato, hanno detto gli inquirenti, a causa di quello che è stato considerato un incidente domestico, nel tentativo di entrare nella propria casa proprio da quella finestra.

La famiglia di David non crede alla ricostruzione dei fatti, alla versione derivante dall'autopsia effettuata sul posto, né alle indagini chiuse dalle autorità locali in poco più di 48 ore. Tramite il suo avvocato, ha chiesto di effettuare una nuova autopsia sul corpo del giovane al suo rientro in Italia. Accolta la richiesta dalla procura di Roma, viene aperto un fascicolo sulla morte di David, con l'ipotesi di omicidio. La salma è arrivata in Italia sabato 11 maggio nel tardo pomeriggio e si attende a breve una nuova autopsia all'ospedale Gemelli di Roma.

Non è certo compito di quest'Aula trovare la verità, no, questa spetta alla Magistratura che sta lavorando al caso; come però giustamente dichiarato dal Ministro della giustizia Bonafede, il Governo si sta muovendo e si impegnerà perché si giunga alla verità in tempi giusti. Da parte mia, esprimo massima solidarietà alla famiglia che ha perso un figlio e un fratello, oltre che un ragazzo impegnato nell'aiuto della popolazione in difficoltà e nella cooperazione, quindi, un uomo di cui il nostro Paese deve essere orgoglioso (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Massimo Enrico Baroni. Ne ha facoltà.

MASSIMO ENRICO BARONI (M5S). Presidente, le procure degli Stati Uniti stanno conducendo una coalizione di 44 Stati su 50 in una causa contro una ventina di grandi produttori di farmaci generici, sostenendo che tali multinazionali abbiano operato per cospirare e fissare i prezzi: una violazione altamente illegale delle leggi antitrust. Secondo quanto riporta The New York Times i cospiratori sapevano che i loro comportamenti erano illegali e, quindi, evitavano di produrre documenti scritti, preferendo stringere accordi durante pasti, feste, gite a golf ed altri eventi per perpetrare una cospirazione pluriennale e una frode multimiliardaria. Sono più di cento i farmaci, tra cui quelli contro HIV, cancro, diabete, asma, colesterolo alto, ma anche antibiotici, contraccettivi e psicofarmaci. Il farmaco che cura la malattia di Wilson, una malattia rara, ha subito un aumento, in cinque anni, di diciotto volte il costo e solo ora si viene a scoprire che tale aumento è presumibilmente una truffa ai danni dei malati.

Solo una trasparenza totale del settore può contrastare questa cultura dell'oscurità e di truffe multimiliardarie a danni di pazienti e cittadini che pagano le tasse per queste cure salvavita. Chiediamo che la Presidenza della Camera trasmetta all'Antitrust la preoccupazione su questo caso di truffa multimiliardaria e chieda di attivare ogni opportuno controllo per escludere che non vi siano indizi di reato in Italia e, quindi, nell'Unione europea, escludendo, quindi, che tali multinazionali stiano operando nell'oscurità per speculare sui costi sostenuti dal Sistema sanitario nazionale e dai pazienti italiani (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Emanuele Fiano. Ne ha facoltà, per un minuto.

EMANUELE FIANO (PD). La ringrazio, Presidente. Nella giornata di sabato 11 scorso, la signora Chiara Giannini, giornalista e scrittrice, autrice di un'intervista al Ministro Salvini per le edizioni Altaforte, ha dichiarato: “Ho il massimo rispetto per gli scampati ai campi di concentramento. È un capitolo della storia vergognoso che mi addolora moltissimo. Hanno subito una restrizione della loro libertà, la stessa che ora sto subendo io”. Questo è il testo dell'agenzia uscito nella giornata di sabato. Ecco, voglio dire, nell'esercizio del mio mandato di parlamentare, un giudizio politico su questa dichiarazione, anche se poi nel video che la ritrae la dichiarazione è leggermente diversa da quella dell'agenzia, perché le parole sarebbero: “Anch'io sto subendo una restrizione della libertà”. Qualsiasi paragone che la dottoressa fa tra la deportazione, la resa in schiavitù, la tortura, la gasazione e poi la bruciatura nei forni crematori di milioni di persone, per la sola colpa di essere nate o per la loro opposizione ai regimi nazifascisti, nei lager nazisti, al fatto che si sia impedita la presentazione di un libro è una vergogna; lo ripeto, nell'esercizio del mio mandato: è una vergogna paragonare - qualsiasi sia il giudizio sul fatto che quell'editore non abbia avuto lo stand al Salone del Libro di Torino - quella vicenda alla terribile vicenda della deportazione nei campi di sterminio nazisti (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Paolini. Ne ha facoltà.

LUCA RODOLFO PAOLINI (LEGA). Presidente, premesso che intervengo a titolo assolutamente personale, vorrei richiamare l'attenzione sulla segnalazione urgente al Governo, da parte dell'Agcom, in favore di Radio Radicale. L'Autorità di garanzia delle comunicazioni sottolinea, ove ce ne fosse bisogno, il ruolo che Radio Radicale ha rappresentato e rappresenta: un servizio radiofonico che, oltre al 60 per cento delle trasmissioni in convenzione sui lavori delle Camere, utilizza il restante 40 per cento, che potrebbe certamente utilizzare in toto per dare voce al soggetto politico di riferimento, anche e in grandissima parte per dare voce e spazio a tutti, anche a chi spazio non ne ha, non ne ha mai avuto, né ne ha in altri media, in modo assolutamente equidistante ed oggettivo, ma anche professionale e verificato in modo giornalistico. Una notizia appresa da Radio Radicale è una notizia verificata in modo professionale, cosa che oggi, in tempo di fake news, non è un fattore da trascurare.

Su Radio Radicale da sempre hanno trovato e trovano spazio istituzioni, soggetti politici, sindacati, associazioni di cittadini e di categorie produttive, delle professioni e degli ordini. Da Radio Radicale milioni di italiani hanno potuto seguire, dal 1977, manifestazioni e conferenze stampa di particolare interesse, anche al fine di promuovere e stimolare il dibattito e la partecipazione dei cittadini; io stesso lo posso testimoniare in prima persona, ripensando agli anni di esordio della Lega, senza scegliere mai cosa far sentire e cosa no, trasmettendo senza filtrare, commentare, certo, criticare, anche pesantemente, idee e opinioni difformi da quelle professate dai suoi giornalisti e commentatori, ma sempre dopo avercele fatte sentire tutte. Non esiste un altro soggetto che fa queste cose, almeno in Italia. Non esiste un altro soggetto che ci porta nei tribunali e consenta a studiosi, avvocati, cronisti o semplici cittadini di seguire parola per parola processi famosi senza muoversi da casa, sentire i pro e i contro, accusa e difesa. Non esiste un altro soggetto che ha accumulato una banca dati unica che è un oggettivo patrimonio storico del nostro Paese e che sarà certamente fonte di studio per gli storici. Ritengo dunque, in piena e libera coscienza, che per Radio Radicale occorra trovare una soluzione che le consenta di continuare a trasmettere (Applausi di deputati dei gruppi Lega-Salvini Premier e Partito Democratico).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare la deputata Federica Zanella. Ne ha facoltà.

FEDERICA ZANELLA (FI). Presidente, io per anni mi sono occupata, come presidente del Corecom, l'autorità di controllo per le comunicazioni della Lombardia, di tutelare il pluralismo dell'informazione. In quest'Aula mi sono anche ritrovata tante volte a esprimermi in questo senso, ribadendo questo concetto a un Governo che, soprattutto nella sua parte di maggioranza rappresentata dai 5 Stelle, mira spesso a imbavagliare tante libere voci, e oggi mi schiero con vigore accanto a Radio Radicale, la cui voce potrebbe essere spenta il 21 maggio. Chiedo al Governo, con tutto il cuore, davvero, di ripensarci, di continuare ad assicurare questo servizio pubblico al Paese. Un Paese civile non spegne una voce di libertà. Radio Radicale è talmente libera che ha consentito a tutti di esprimere le proprie opinioni. Non è solo la mia voce, è anche la richiesta di Agcom, l'Autorità garante per le telecomunicazioni, che ha inviato una raccomandazione al Governo chiedendo - e chiudo leggendo proprio quello che chiede Agcom - di garantire la continuità del servizio e quindi che venga prorogata la convenzione per un tempo almeno necessario all'approvazione della normativa di aggiornamento del servizio radiofonico e multimediale, ovviamente tramite la definizione di una gara. L'Autorità - questo va sottolineato - ritiene che un tale percorso sia auspicabile perché la peculiarità e la diversità del servizio radiofonico rispetto ad altri canali televisivi o via web dedicati alle istituzioni e il suo riconoscimento quale servizio che consente di proseguire obiettivi di interesse generale altrimenti non realizzati dal mercato è fondamentale. Chiudo ribadendo la richiesta al Governo di ripensarci (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).

Ordine del giorno della prossima seduta.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.

Martedì 14 maggio 2019 - Ore 10,30:

1. Seguito della discussione della proposta di legge:

RUOCCO ed altri: Disposizioni per la semplificazione fiscale, il sostegno delle attività economiche e delle famiglie e il contrasto dell'evasione fiscale.

(C. 1074-A)

Relatrice: RUOCCO.

2. Seguito della discussione della proposta di legge:

BALDELLI ed altri: Modifica all'articolo 12 del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, concernente l'esercizio di funzioni di prevenzione e accertamento delle violazioni in materia di sosta da parte dei dipendenti delle società concessionarie della gestione dei parcheggi e delle aziende esercenti il trasporto pubblico di persone. (C. 680)

Relatore: BALDELLI.

3. Seguito della discussione della proposta di legge:

MORANI: Modifiche all'articolo 5 della legge 1° dicembre 1970, n. 898, in materia di assegno spettante a seguito di scioglimento del matrimonio o dell'unione civile. (C. 506-A)

Relatrice: MORANI.

4. Seguito della discussione della mozione Meloni ed altri n. 1-00179 concernente iniziative in materia di riforma del credito e del sistema di vigilanza bancaria, a tutela dei risparmiatori e per la salvaguardia della sovranità economica nazionale nell'ambito dell'Unione europea .

La seduta termina alle 18,55.

SEGNALAZIONI RELATIVE ALLE VOTAZIONI EFFETTUATE NEL CORSO DELLA SEDUTA

Nel corso della seduta sono pervenute le seguenti segnalazioni in ordine a votazioni qualificate effettuate mediante procedimento elettronico (vedi Elenchi seguenti):

nella votazione n. 1 i deputati Prestipino e D'Ettore hanno segnalato che non sono riusciti a votare;

nelle votazioni dalla n. 1 alla n. 5 la deputata Bonomo ha segnalato che non è riuscita a votare;

nelle votazioni nn. 10, 12, 22 e 31 la deputata Terzoni ha segnalato che non è riuscita ad esprimere voto contrario;

nella votazione n. 15 la deputata Ravetto ha segnalato che ha erroneamente votato contro mentre avrebbe voluto votare a favore;

nella votazione n. 21 il deputato Pagano Ubaldo ha segnalato che non è riuscito ad esprimere voto favorevole;

nella votazione n. 26 i deputati Golinelli, Potenti e Marchetti hanno segnalato che non sono riusciti ad esprimere voto contrario;

nella votazione n. 29 il deputato Bellachioma ha segnalato che non è riuscito a votare;

nella votazione n. 31 il deputato Parentela ha segnalato che ha erroneamente votato a favore mentre avrebbe voluto votare contro.

VOTAZIONI QUALIFICATE EFFETTUATE MEDIANTE PROCEDIMENTO ELETTRONICO

INDICE ELENCO N. 1 DI 3 (VOTAZIONI DAL N. 1 AL N. 13)
Votazione O G G E T T O Risultato Esito
Num Tipo Pres Vot Ast Magg Fav Contr Miss
1 Segreta Pdl 1616 - voto finale 450 436 14 219 269 167 53 Appr.
2 Nominale Ddl 1789 - em. 1.50 449 449 0 225 172 277 50 Resp.
3 Nominale em. 1.2, 1.51 451 451 0 226 173 278 50 Resp.
4 Nominale em. 1.52 442 436 6 219 160 276 50 Resp.
5 Nominale em. 1.53 451 444 7 223 167 277 50 Resp.
6 Nominale em. 1.3, 1.54 446 446 0 224 171 275 50 Resp.
7 Nominale em. 1.55, 1.4 446 446 0 224 172 274 50 Resp.
8 Nominale em. 1.5 446 355 91 178 80 275 50 Resp.
9 Nominale em. 3.1 446 355 91 178 82 273 50 Resp.
10 Nominale em. 4.1 448 441 7 221 167 274 50 Resp.
11 Nominale em. 6.1 451 359 92 180 81 278 50 Resp.
12 Nominale em. 6.2 446 354 92 178 80 274 50 Resp.
13 Nominale em. 12.1 450 450 0 226 176 274 50 Resp.

F = Voto favorevole (in votazione palese). - C = Voto contrario (in votazione palese). - V = Partecipazione al voto (in votazione segreta). - A = Astensione. - M = Deputato in missione. - T = Presidente di turno. - P = Partecipazione a votazione in cui é mancato il numero legale. - X = Non in carica.
Le votazioni annullate sono riportate senza alcun simbolo. Ogni singolo elenco contiene fino a 13 votazioni. Agli elenchi é premesso un indice che riporta il numero, il tipo, l'oggetto, il risultato e l'esito di ogni singola votazione.

INDICE ELENCO N. 2 DI 3 (VOTAZIONI DAL N. 14 AL N. 26)
Votazione O G G E T T O Risultato Esito
Num Tipo Pres Vot Ast Magg Fav Contr Miss
14 Nominale em. 14.1 450 450 0 226 175 275 50 Resp.
15 Nominale em. 14.2 445 445 0 223 173 272 50 Resp.
16 Nominale em. 14.3 453 453 0 227 176 277 50 Resp.
17 Nominale em. 14.100 453 453 0 227 162 291 50 Resp.
18 Nominale em. 14.101 450 397 53 199 106 291 50 Resp.
19 Nominale em. 15.1 451 451 0 226 158 293 50 Resp.
20 Nominale art. agg. 15.01 446 446 0 224 159 287 50 Resp.
21 Nominale em. 16.1 441 441 0 221 169 272 50 Resp.
22 Nominale em. 16.2 443 443 0 222 171 272 49 Resp.
23 Nominale em. 16.3 437 437 0 219 173 264 49 Resp.
24 Nominale em. 16.4 438 438 0 220 170 268 49 Resp.
25 Nominale em. 16.5 444 444 0 223 172 272 49 Resp.
26 Nominale em. 16.7 432 432 0 217 169 263 49 Resp.


INDICE ELENCO N. 3 DI 3 (VOTAZIONI DAL N. 27 AL N. 32)
Votazione O G G E T T O Risultato Esito
Num Tipo Pres Vot Ast Magg Fav Contr Miss
27 Nominale em. 16.8 441 441 0 221 172 269 49 Resp.
28 Nominale em. 17.1 450 450 0 226 175 275 49 Resp.
29 Nominale em. 17.100 451 451 0 226 177 274 49 Resp.
30 Nominale odg 9/1789/1 435 435 0 218 168 267 49 Resp.
31 Nominale odg 9/1789/2 439 423 16 212 157 266 49 Resp.
32 Nominale Ddl 1789 - voto finale 431 419 12 210 419 0 48 Appr.