Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVIII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 167 di lunedì 29 aprile 2019

PRESIDENZA DELLA VICEPRESIDENTE MARIA ROSARIA CARFAGNA.

La seduta comincia alle 11.

PRESIDENTE. La seduta è aperta.

Invito il deputato segretario a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

MARZIO LIUNI, Segretario, legge il processo verbale della seduta del 18 aprile 2019.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Amitrano, Battelli, Benvenuto, Bonafede, Brescia, Buffagni, Castelli, Castiello, Cirielli, Colucci, Cominardi, D'Incà, D'Uva, Del Re, Delmastro Delle Vedove, Delrio, Luigi Di Maio, Di Stefano, Durigon, Fantinati, Ferraresi, Fioramonti, Gregorio Fontana, Lorenzo Fontana, Fraccaro, Galli, Gallo, Garavaglia, Gava, Gelmini, Giaccone, Giachetti, Giorgetti, Grande, Grillo, Grimoldi, Guerini, Guidesi, Lollobrigida, Lorefice, Losacco, Manzato, Micillo, Molinari, Molteni, Morelli, Picchi, Rixi, Rizzo, Ruocco, Saltamartini, Carlo Sibilia, Sisto, Tofalo, Vacca, Valente, Vignaroli e Zoffili sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.

I deputati in missione sono complessivamente sessantuno, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna).

Modifica nella composizione dell'ufficio di presidenza di un gruppo parlamentare.

PRESIDENTE. Comunico che il presidente del gruppo parlamentare Misto, con lettera pervenuta in data 18 aprile 2019, ha reso noto che il deputato Salvatore Caiata è stato nominato vicepresidente del gruppo in rappresentanza della componente politica “Sogno Italia-10 Volte Meglio”.

Sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Fornaro. Ne ha facoltà.

FEDERICO FORNARO (LEU). Grazie, signora Presidente. Intervengo in relazione all'intervista, che è stata pubblicata questa mattina su un quotidiano, del sottosegretario alla Pubblica amministrazione, Fantinati, che sostanzialmente ripropone anche per i parlamentari il tema delle impronte digitali, che sono state introdotte dal decreto sulla pubblica amministrazione.

Devo dire che sono rimasto letteralmente stupito da quanto espresso dal sottosegretario, che, peraltro, ha annunciato di aver scritto una lettera ai Presidenti di Camera e Senato, per rendere obbligatorie queste misure, perché questi controlli devono valere anche per i politici. Basta pianisti, sì a sistemi certi per verificare la presenza dei politici. Questo vale per i dipendenti pubblici e deve valere anche per i politici.

Allora mi chiedo: primo, dove è stato nella XVII legislatura il collega Fantinati, che era deputato e credo che abbia votato come stiamo votando noi, con le impronte digitali. Si è dimenticato che questa regola non vale solo per quest'Aula, ma vale anche per le Commissioni. Però, tutto fa brodo per attaccare i parlamentari e i politici, quasi che lui fosse arrivato da Marte.

Ancora, in questo articolo si dice: il controllo delle impronte è previsto da tempo, si tratta di farlo diventare obbligatorio. Oggi non è obbligatorio depositarle e, quindi, non è nemmeno obbligatorio utilizzarle per votare. Si va avanti, sostanzialmente, sulla logica che qui si è fatta la regola e poi non la si rispetta. Un cittadino che legge questo articolo, legge questo.

Ecco, se il sottosegretario Fantinati avesse fatto quello che ho fatto io, chiamare gli uffici della Camera e chiedere - siccome mi ero ricordato che in una delle prime riunioni dei gruppi eravamo stati sollecitati a chiedere ai colleghi che non avevano lasciato le minuzie di farlo - quanti sono i colleghi che non hanno rilasciato le minuzie, che quindi non votano con le impronte digitali, avrebbe saputo che sono meno del 4 per cento.

Allora, io lo ritengo inaccettabile - lo pongo sotto il profilo istituzionale, ragione per cui chiedo che lei riferisca cortesemente al Presidente - nella forma e nella sostanza. Un membro del Governo deve rispettare questo Parlamento, deve rispettare l'autonomia di questa Camera, che da molto tempo ha introdotto le impronte digitali e quindi quella dei pianisti, in questo ramo del Parlamento, è una figura retorica usata contro la casta, che non esiste. Il Senato, per sua scelta, non ha le impronte digitali, ma non può essere un rappresentante del Governo ad intervenire, scrivere una lettera e sostanzialmente mettere in mora i due rami del Parlamento e le due Presidenze di Camera e Senato se questo non dovesse avvenire.

Credo che questa lettera sia irricevibile e colgo l'occasione anche della presenza del Ministro per i Rapporti con il Parlamento per segnalarle, da parlamentare e da presidente di gruppo, la gravità di questa intervista. Non è accettabile. C'è un problema di dignità del Parlamento, c'è un problema di non accettare una logica per la quale, alla fine, noi siamo qui a rubare lo stipendio. E poi lezioni - lo dico con grande decisione - da un collega, che nella scorsa legislatura ha fatto soltanto il 68,73 per cento di presenze, cioè ha saltato una votazione elettronica su tre, io personalmente, ma credo nessuno in quest'Aula, può accettarle. È ora di finirla con questi attacchi continui e costanti all'istituzione parlamentare e non è un caso, purtroppo, che questa intervista, secondo me, esca oggi, quando discutiamo la riduzione dei parlamentari e quando interveniamo sulla legge elettorale. Ecco, a queste logiche di barbarie politiche bisogna mettere un freno e mettere uno stop. Per cui chiedo formalmente che il Presidente della Camera non solo risponda, ma tuteli l'onorabilità dei membri di questo Parlamento (Applausi dei deputati dei gruppi Liberi e Uguali e Partito Democratico).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Borghi, sempre sullo stesso tema. Ne ha facoltà.

ENRICO BORGHI (PD). Grazie, signora Presidente. Credo che l'appello che è stato fatto dal collega Fornaro, circa la necessità che il Presidente della Camera si esprima ed esca da un silenzio da Sibilla Cumana che sembra averlo colpito ogni qualvolta si diffondono iniziative, notizie e resoconti giornalistici lesivi e non veri della istituzione della Camera, sia un appello da dover sottoscrivere e rilanciare. Innanzitutto, vorremmo dire al Presidente della Camera che ci saremmo attesi una sua pronuncia quando sui principali mezzi d'informazione, ivi compreso il servizio pubblico, sono state dette delle falsità, signora Presidente, sui lavori di quest'Aula. È stato detto che la Camera non si sarebbe, anzi, non avrebbe lavorato per ventiquattro giorni. La Camera è regolarmente convocata, è stata aperta, le Commissioni stanno lavorando, il Presidente della Camera non ha ritenuto di dover dire nulla, forse perché questa bestia dell'antipolitica deve essere sempre pettinata per il verso, nella inconsapevolezza che, quando si cavalca la tigre, poi la tigre scarta di lato, ti abbatte e poi ti mangia e prosegue nella sua corsa nel suo consumo di chi, demagogicamente, la cavalca.

Ma questa intervista del sottosegretario Fantinati è a metà strada fra l'ilarità e la gravità. Siccome la forma ha una sua rilevanza, noi dobbiamo rilevare in quest'Aula che è inaccettabile sotto tutti i punti di vista che vi sia una iniziativa, in qualsivoglia la si ritenga, da parte del Governo, che ritiene di dover intervenire nell'organizzazione dei lavori delle Aule. Questa è una prerogativa autonoma, indipendente e - ça va sans dire - libera dei gruppi, dell'Ufficio di Presidenza, del Presidente. Ci sono delle modalità, c'è un Regolamento, ci sono delle prerogative che spettano a quest'Aula. Il Governo, qualunque esso sia, non si può permettere di entrare nel merito di come il Parlamento organizza in maniera libera e autonoma i propri lavori. Il nostro Regolamento stabilisce che il Governo in quest'Aula è ospite. Quando qualcuno se ne dimentica, è dovere della Presidenza richiamarlo ai propri ambiti e ai propri compiti, a meno che si abbia in testa un'altra modalità di organizzazione istituzionale, e allora lo si deve dire e qui possiamo anche entrare nel merito. Ma non ci pare, anche nella discussione che andremo a fare più tardi, che sia questo l'intendimento delle forze di Governo, le quali propongono qui una modifica costituzionale senza toccare in alcun modo la forma di Governo del nostro regime repubblicano e quindi è un fuor d'opera, e se è un fuor d'opera va richiamato. Il Governo non deve permettersi di sindacare sulle modalità con le quali il Parlamento esprime il proprio mandato.

Se poi vogliamo proprio entrare nel merito - veramente qui siamo, come dire, nel teatro dell'assurdo, considerato il paragone, vale a dire i parlamentari considerati come i dipendenti pubblici - vorremmo sapere se, a questo punto, tra di noi valgono le gerarchie dei dipendenti, siccome ciascuno di noi per Costituzione rappresenta la Nazione senza vincolo di mandato, io vorrei capire chi è il capo al quale io devo riferirmi, nei confronti del quale devo timbrare e nei confronti del quale mostrare i miei dati biometrici. Allora, se così stanno le cose - visto che la Presidente mi richiama, mi avvio alla conclusione -, se volessimo stare su questo piano, potremmo dire al sottosegretario Fantinati che potremmo chiedere, che so, un etilometro per fare la verifica del suo stato di ebbrezza dopo queste dichiarazioni o magari qualche cos'altro. Ma, al di fuori delle battute, questo è un tema molto rilevante e molto importante, e noi chiediamo formalmente che vi sia un richiamo da parte del Presidente della Camera, perché non è la prima volta che questo accade; e, siccome questo accade mettendo in serie una serie di passaggi che sono tutti configurati a immaginare la rappresentazione di un Parlamento di fannulloni, di incapaci, e una prerogativa sulla base della quale dobbiamo essere messi tutti quanti in riga, noi non accettiamo, per una questione di sostanza e di forma, un'impostazione di questo genere (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Liberi e Uguali).

PRESIDENTE. Riferirò, naturalmente, le vostre richieste al Presidente della Camera, che sono certa saprà trovare le parole giuste per difendere e tutelare la dignità di questa istituzione da attacchi infondati.

Discussione della proposta di legge costituzionale: S. 214-515-805 - D'iniziativa dei senatori: Quagliariello; Calderoli e Perilli; Patuanelli e Romeo: Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari (Approvata, in un testo unificato, in prima deliberazione, dal Senato) (A.C. 1585); e dell'abbinata proposta di legge costituzionale: D'Uva ed altri (A.C. 1172) (ore 11,16).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge costituzionale, già approvata, in un testo unificato, in prima deliberazione, dal Senato, n. 1585: Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari; e dell'abbinata proposta di legge costituzionale n. 1172.

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta del 18 aprile 2019 (Vedi l'allegato A della seduta del 18 aprile 2019).

(Discussione sulle linee generali – A.C. 1585)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari MoVimento 5 Stelle e Partito Democratico ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.

Avverto, altresì, che la I Commissione (Affari costituzionali) si intende autorizzata a riferire oralmente. Ha facoltà di intervenire la relatrice per la maggioranza, onorevole Anna Macina.

ANNA MACINA , Relatrice per la maggioranza. Grazie, Presidente. L'Aula è chiamata ad avviare l'esame, come giustamente lei ha ricordato, di una proposta di legge costituzionale recante modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari, già approvata dal Senato in prima deliberazione e successivamente esaminata ed approvata senza modifiche in sede referente dalla I Commissione. La proposta prevede la riduzione del numero dei deputati da 630 a 400 e dei senatori elettivi da 315 a 200, e fissa in cinque il numero massimo dei senatori a vita. L'obiettivo è duplice: da un lato, favorire un miglioramento del processo decisionale delle Camere, per renderle più capaci di rispondere alle esigenze dei cittadini, e, dall'altro, ottenere concreti risultati in termini di contenimento della spesa pubblica.

È bene ricordarlo, ed è anche arrivato il momento di ricordare e di fare una riflessione sul punto, che l'Italia è il Paese con il più alto numero di parlamentari direttamente eletti dal popolo, 945; seguono la Germania con circa 700, la Gran Bretagna con 650 e la Francia con poco meno di 600. In linea generale, merita ricordare che nell'attuale legislatura il dibattito parlamentare sulla riduzione del numero dei componenti delle due Camere è stato avviato con l'audizione del Ministro per i Rapporti con il Parlamento e per la democrazia diretta, Riccardo Fraccaro, svoltasi il 12 luglio e il 24 luglio del 2018 dinanzi alle Commissioni affari costituzionali congiunte di Camera e Senato.

In Italia il numero dei parlamentari, dopo la revisione costituzionale del 1963, è determinato dalla Costituzione in numero fisso, ma, è bene ricordarlo, in precedenza era determinato in rapporto alla popolazione. Con la legge costituzionale n. 2 del 1963, infatti, il numero dei senatori elettivi è divenuto la metà dei componenti della Camera, fissati in 630, a prescindere dalla variazione della popolazione. È stato, altresì, stabilito che nessuna regione potesse avere meno di sette senatori, ad eccezione della Valle d'Aosta, che ne ha uno, e del Molise, che ne ha due. Oggi vi è un deputato ogni 96.006 abitanti circa e un senatore elettivo ogni 192.013 abitanti circa. La proposta dispone per ciascuno dei due rami del Parlamento una riduzione in termini percentuali pari al 36,5 per cento degli attuali componenti elettivi. A seguito della modifica costituzionale muterebbe, dunque, il numero medio di abitanti per ciascun parlamentare eletto e per la Camera si passerebbe da 96.006 cittadini a 151.210; per ciascun senatore, invece, da 188.424 a 302.420. La riduzione del numero dei deputati da 630 a 400 e dei senatori da 315 a 200 consentirà all'Italia di allinearsi al resto d'Europa. Il dibattito parlamentare ha confermato il testo approvato dal Senato in prima deliberazione e ha avvalorato altresì l'impostazione di riforme costituzionali puntuali e circoscritte all'ambito materiale riguardante esclusivamente la riduzione del numero dei componenti della Camera e del Senato, compreso il numero dei senatori a vita. Pur nella consapevolezza che il tema in esame presenti per la sua rilevanza possibili connessioni con altri aspetti della disciplina costituzionale, non si è ritenuto, anche in sede di Commissione, di procedere all'ampliamento del perimetro dell'intervento legislativo con ulteriori oggetti, che, seppure largamente condivisi, potranno certamente costituire materia per autonome iniziative legislative.

Il metodo prescelto è ritenuto quello maggiormente conforme alla ratio e allo spirito dell'articolo 138 della Costituzione ed è stato quello incentrato su riforme costituzionali limitate, puntuali e di contenuto unitario, al fine di assicurare che nell'eventualità di un referendum costituzionale sia consentito ai cittadini di pronunciarsi univocamente con un “sì” o con un “no”. Anche alla luce di tali considerazioni, nella seduta del 16 aprile del 2019 alcuni emendamenti presentati dai gruppi dell'opposizione sono stati dichiarati inammissibili per estraneità all'oggetto della discussione, ai sensi dell'articolo 97 del Regolamento, in coerenza con l'impostazione adottata nel corso della presente legislatura dopo l'esito negativo delle consultazioni referendarie del 2006 e del 2016, e cioè quello di operare revisioni costituzionali il più possibile circoscritte.

In conformità a quanto disposto dal Presidente della Camera dei deputati, la I Commissione ha rivisto la dichiarazione di decadenza di alcuni emendamenti che erano stati presentati e si è proceduti, poi, al loro voto. Passando, quindi, a sintetizzare il contenuto delle disposizioni recanti l'intervento legislativo, per quanto riguarda la Camera dei deputati l'articolo 1 modifica l'articolo 56 della Costituzione, che stabilisce in 630 il numero attuale dei deputati, dodici dei quali eletti nella circoscrizione Estero. A seguito delle modifiche, il numero complessivo dei deputati scende a 400 e il numero degli eletti nella circoscrizione Estero diviene pari a otto. La riduzione percentuale dei parlamentari eletti nella circoscrizione Estero è corrispondente in proporzione a quella numerica complessiva.

Per quanto riguarda il Senato, l'articolo 2 della proposta di legge novella l'articolo 57 della Costituzione, determinando in 200, anziché 315, il numero dei senatori eletti. I senatori da eleggere nella circoscrizione Estero scendono a quattro, anziché sei. La riduzione del formato numerico complessivo del Senato importa la riduzione del numero minimo dei senatori eletti per regione. Il vigente articolo 57 al terzo comma stabilisce, infatti, che nessuna regione può avere un numero di senatori inferiore a sette, il Molise ne ha due e la Valle d'Aosta uno. La predeterminazione di un numero minimo di senatori per regione importa una variazione rispetto alla ripartizione dei seggi fra regioni quale si avrebbe qualora si seguisse, invece, una assegnazione solo proporzionale alla popolazione, senza alcuna soglia numerica minima di rappresentanza senatoriale regionale.

Alla luce della riduzione a 200 del numero di senatori, il numero minimo dei senatori per regione è stato individuato dalla lettera b) del comma 1 dell'articolo 2 in tre senatori per regione o provincia autonoma, lasciando, al contempo, immodificata la previsione vigente dell'articolo 57, terzo comma, della Costituzione, relativa alle rappresentanze del Molise, due senatori, e della Valle d'Aosta, un senatore. La nuova previsione costituzionale troverebbe applicazione, oltre che per il Molise e la Valle d'Aosta, per le province autonome di Trento e di Bolzano e per la Basilicata. Viene al contempo previsto per la prima volta nella Carta costituzionale un numero minimo di seggi senatoriali riferito alle province autonome di Trento e di Bolzano, che nel corso del tempo hanno assunto una posizione costituzionale sostanzialmente compatibile con quella che nel resto d'Italia è rivestita dalle regioni.

L'articolo 2 incide sull'articolo 59, introducendo l'espressa previsione che il numero di cinque senatori a vita nominati per alti meriti dal Presidente della Repubblica sia il numero massimo riferito alla presenza in carica di tale novero di senatori.

Sostanzialmente viene sciolto un dubbio interpretativo, e questa decisione è stata commentata con plauso da tutti gli auditi in Commissione affari costituzionali.

L'articolo 4 stabilisce che la riduzione dei parlamentari abbia decorrenza dalla data del primo scioglimento o della prima cessazione delle Camere successiva alla data di entrata in vigore della legge costituzionale, non prima che siano decorsi da essa 60 giorni. La previsione di tale termine, introdotta nel corso dell'esame al Senato, è volta a consentire l'adozione del decreto legislativo in materia di determinazione dei collegi elettorali, tenuto conto dell'approvazione in I Commissione della proposta di legge n. 1616, recante disposizioni per assicurare l'applicabilità delle leggi elettorali indipendentemente dal numero dei parlamentari, già approvata dal Senato della Repubblica, e che corregge la legge elettorale in modo da renderla funzionante indipendentemente dal numero dei seggi assegnati dalla Costituzione alle due Camere.

Infine, un rapido cenno ad alcune questioni che tra le altre sono state oggetto di dibattito in Commissione. Gli eletti della circoscrizione Estero vengono ridotti del 33,3 per cento: tale riduzione è proporzionale, anzi è lievemente inferiore a quella numerica complessiva, con la finalità di variare nella misura minore l'incidenza numerica della rappresentanza della circoscrizione Estero. Quindi la riforma non determina una penalizzazione nella rappresentanza dei cittadini italiani residenti all'estero. Se invece si volesse modificare il sistema di rappresentanza degli italiani residenti all'estero equiparando tale rappresentanza con quella dei cittadini residenti in Italia, bisognerebbe modificare l'assetto costituzionale vigente, con conseguente notevole aumento del numero dei parlamentari.

Altri, anche nell'ambito di audizioni di esperti, hanno posto il tema della circoscrizione Estero, prevedendo per i cittadini residenti all'estero la possibilità di votare nella circoscrizione dell'ultima residenza. È evidente però che non è questa la sede per affrontare tali questioni: il presente disegno di legge costituzionale determina per la circoscrizione Estero una riduzione proporzionalmente corrispondente a quella numerica complessiva.

Per quanto riguarda il numero dei delegati regionali per l'elezione del Presidente della Repubblica, si ricorda che il numero di 58 delegati regionali è stato fissato dalla Costituzione del 1948, quando il numero dei parlamentari, prima della riforma del 1963, non era determinato in misura fissa, ma era variabile. Ancora: l'incremento percentuale è modesto, perché si passa dal 5,8 per cento all'8,8 per cento del collegio elettorale del Presidente della Repubblica. Tale percentuale è in ogni caso del tutto conforme all'evoluzione del ruolo costituzionale delle regioni, che sono state valorizzate dalla riforma del 2001. Infine, il numero dei tre delegati regionali ha consentito, come ha dimostrato l'esperienza, una più efficace tutela delle minoranze all'interno dei consigli regionali (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il relatore per la maggioranza, onorevole Iezzi. Prendo atto che rinunzia ad intervenire. Ha facoltà di intervenire il relatore di minoranza, onorevole Migliore.

GENNARO MIGLIORE, Relatore di minoranza. Signora Presidente, vorrei intervenire sulla base innanzitutto di un resoconto di ciò che è accaduto nel corso dell'esame di questo provvedimento, che la Camera vede scarno (la relatrice di maggioranza ha detto “circoscritto”, penso che abbia usato anche un termine di tipo chirurgico) e che ha a che vedere con invece uno degli aspetti fondamentali, cioè il ruolo, la funzione e quindi la consistenza dei parlamentari all'interno del nostro sistema parlamentare.

La prima osservazione da relatore di minoranza che mi sento di fare, è che noi - non è purtroppo la prima volta che ciò è accaduto - siamo stati addirittura costretti ad abbandonare ad un certo punto i lavori della Commissione. Ricevendo poi ragione da parte della Presidenza della Camera di questo nostro atteggiamento: perché persino su una banale procedura, come quella di consentire che si potesse votare a seguito dell'espressione del parere sulle riformulazioni e le considerazioni che erano state fatte sulle inammissibilità di determinati emendamenti, si era deciso di procedere alla decadenza, in nostra assenza, di tutti gli emendamenti dell'opposizione, senza neanche consentire che vi fosse quel minimo di garbo istituzionale che dovrebbe caratterizzare una discussione come quella sulle riforme costituzionali. La quale prevede - lo voglio ricordare - quattro passaggi, proprio perché i costituenti nell'articolo 138 avevano sancito che ci fosse bisogno di una pausa e di una riflessione che consentisse al Parlamento di esprimere la più ampia convergenza sui temi trattati.

Ovviamente questa invece è una proposta che ha il sapore di un saldo di fine stagione. Non so se, come auspico, della fine della stagione di questa maggioranza, ma certamente della fine della stagione della democrazia rappresentativa intesa per come l'abbiamo conosciuta e per come l'hanno scritta i nostri Padri costituenti e Madri costituenti. Siamo di fronte, così come è stato espresso anche nella relazione tecnica che ha offerto la relatrice per la maggioranza, ad un'operazione di contabilità, che è tutta in connessione con un racconto che si fa dell'istituzione parlamentare, che prima viene degradata a partner nell'esercizio della legislazione quando si introduce la riforma relativa al cosiddetto referendum d'iniziativa popolare; che viene oltraggiata, così come è stato ricordato dai colleghi precedentemente, quando un certo sottosegretario Fantinati si permette di entrare nella vita concreta di questa Aula parlamentare; e quando - per sancire quanto ho appena detto - il leader del MoVimento 5 Stelle, con il quale mi pare non ci sia nessuna possibilità di dialogo, né oggi né domani, dice che questa è una riforma “anti casta”. Ebbene, signori e signore, colleghi e colleghe, questa sarebbe una casta: non l'Aula della rappresentanza del popolo, ma una misura anti casta, perché viene iscritta all'interno di una procedura che taglia i costi, che non interviene su quella che è la funzione di un Parlamento, che ritiene affatto differenti e scollegati temi come quello dell'elettorato attivo e passivo.

Ora, io onestamente sono stupefatto, ma anche indignato per questo atteggiamento e rivolgo alla Presidenza un monito rispetto alla lettera che è stata inviata dal Presidente Fico al presidente della Commissione per giustificare ciò che era ingiustificabile, e cioè che potessero essere dichiarati inammissibili, non battuti, visto che i numeri c'erano, ma inammissibili determinati emendamenti che probabilmente avrebbero messo in difficoltà il MoVimento 5 Stelle, il partito dei 5 Stelle, di fronte ad un elettorato che si sarebbe chiesto: ma perché non abbassate il voto a 18 anni? Perché? Allora, per non discuterlo, lo dichiarano con un trucchetto - anche questo da fine saldi elettorali - come un atteggiamento inammissibile; e poi la lettera che è stata inviata con sprezzo del pericolo rispetto a quanto sarà contestato presso la Corte Costituzionale, affermando che è la maggioranza che definisce il perimetro, e non l'autonomia della Presidenza e delle sue funzioni, nel determinare quali siano gli elementi che possono essere considerati sostanzialmente integrabili. Perché la lettera del Presidente Fico afferma una cosa: afferma che siccome non si è voluto da parte della maggioranza abbinare determinate proposte di riforma costituzionale che avrebbero ampliato il perimetro della nostra trattazione, allora tutti quegli emendamenti sono dichiarati inammissibili.

Signora Presidente, lo dico anche al Ministro, che è spesso presente e che ha un in questo senso un garbo istituzionale che apprezzo: non si può!

Io capisco che la nostra era un'altra proposta, perché noi avevamo detto: riduciamo di più i parlamentari nella funzione che essi dovrebbero assolvere, cioè aboliamo il Senato e portiamo la Camera ad un numero pari o anche inferiore a 500, per esempio, in modo tale che si trasformi il meccanismo fiduciario, che non ci sia la navetta, che vi sia un progetto di riforma reale del funzionamento delle istituzioni parlamentari, ma questo viene considerato un elemento estraneo.

Ci può stare, anche se io ho dei dubbi che si possa considerare un numero, ciò che è stato deciso dai nostri padri costituenti, come un meccanismo. Io penso che quando si parla delle due Camere si stia parlando di un meccanismo legislativo che noi legittimamente vorremmo cambiare in un altro meccanismo legislativo, cioè quello del monocameralismo. Ma se su questo ci può essere una discussione, mi si spiega per quale motivo sull'elettorato passivo e attivo ci deve essere un'estinzione della ragione, un'abdicazione della logica, un'idea secondo la quale si dice che questo elemento è totalmente estraneo? Ovvero, chi ci vota è totalmente estraneo al numero, è totalmente estraneo alla sua composizione, alla formazione della platea elettorale, di chi si può candidare, di chi ci può votare! È totalmente estraneo!

Ripensateci, negli uffici di presidenza, a valutare l'inammissibilità degli emendamenti che noi riproporremo, perché non siate censurati da chi, nella sentenza n. 17 del 2019, ha stabilito, sulla base di un nostro ricorso, in merito a come sono stati trattati, cioè come una pezza da piedi, questa Camera e questo Parlamento, che l'esercizio dell'emendabilità è in capo a ogni singolo parlamentare. Se ne faccia una ragione un certo sottosegretario Fantinati, che nella sua intervista dice “io vorrei il mandato imperativo”. Ma “tu” chi, che l'articolo della Costituzione che salvaguarda la rappresentanza di ciascun parlamentare, del popolo italiano, non è stato scritto con la sufficienza di chi voleva fare operazioni contabili, ma è stato scritto per dire che qui dentro si rappresenta il popolo italiano e certamente non una propaganda elettorale di bassa lega (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico)?

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il relatore di minoranza, onorevole Magi. Prego, ne ha facoltà.

RICCARDO MAGI, Relatore di minoranza. Presidente, onorevoli colleghi, Ministro, ci troviamo ad esaminare un progetto di legge costituzionale che è volto a modificare, come è stato detto, in modo puntuale e limitato la nostra Costituzione. In realtà, come è stato ricordato, “chirurgico” è il termine che è stato utilizzato più volte, anche nei lavori di Commissione, dai proponenti e dai sostenitori di questa riforma costituzionale, che sostengono anche che questa asportazione chirurgica debba avvenire in modo rapido e sbrigativo, senza che ci sia bisogno di soffermarsi troppo sulla ratio e sulle finalità di questo intervento. Questo perché la quasi totalità delle forze politiche sono favorevoli a una riduzione del numero dei parlamentari e perché la stragrande maggioranza - si dice - dei cittadini italiani sono genericamente favorevoli, anch'essi, a una riduzione del numero dei parlamentari. Quindi si dice e si pensa: chi potrà, fuori di qui, opporsi a una riduzione dei parlamentari, assumendo su se stesso l'impopolarità di questa opposizione? Questa diminuzione viene operata senza che sia stata chiarita - e ancora questa mattina non è stata purtroppo chiarita dalla relatrice di maggioranza - la ratio di questo intervento e la finalità.

C'è un riferimento alla riduzione dei costi (si parlerebbe di qualche decina di milioni di euro ogni anno), c'è un riferimento alla maggiore efficienza dei lavori parlamentari. Io provo ad attirare l'attenzione dei colleghi su un dato: a voi risulta che nella prassi parlamentare che noi viviamo la non efficienza dei lavori parlamentari o la supposta - e da più parti richiamata - non qualità del lavoro parlamentare siano dovute ad un iter troppo lungo, un iter farraginoso, a tempi troppo lunghi di esame dei provvedimenti? A me pare - ed anche l'esperienza di questa legislatura ce lo dice, basti pensare a quello che è accaduto con la legge di bilancio - che il problema che noi abbiamo di fronte è semmai l'opposto: è quello di garantire adeguati tempi di esame approfondito ai provvedimenti che lo meriterebbero.

Si parla di crisi del Parlamento e, come è stato detto nella sua audizione dal Ministro Fraccaro, obiettivo del complesso di riforme che vengono portate avanti, seppure in maniera puntuale e chirurgica, è quello, tra gli altri, tra i principali, di ridare centralità al Parlamento. Si pensa che una riduzione del numero dei parlamentari, che non risponde né a un criterio di rappresentanza, quindi di rafforzamento della rappresentatività del Parlamento, né a un criterio di revisione delle funzioni del Parlamento, quindi di superamento del bicameralismo paritario, questo automatismo, questa asportazione chirurgica, possa ridare centralità al Parlamento. Credo che questo sia un intervento tutto improntato a una demagogia elettoralistica e con la sbrigatività con la quale lo si vuole portare avanti per poterlo sventolare in campagna elettorale, tra l'altro facendo passare l'idea che le riforme costituzionali debbano essere omogenee, non unitarie, come ha detto la relatrice di maggioranza, perché devono dar luogo, nel caso in cui ci si arrivi, a un quesito referendario omogeneo, che rispetti quindi la libertà di voto dei cittadini che si dovessero poi trovare di fronte al quesito referendario confermativo sulla riforma costituzionale. Qui, nel momento in cui si dice di voler rafforzare il Parlamento e ridargli centralità, non c'è stata risposta su nulla, nemmeno sulle questioni più grandi, come appunto la ratio e gli obiettivi di questo intervento, che non siano - scusate - la riduzione dei costi e il taglio delle poltrone. Non c'è stato dibattito in Commissione, ed è triste dirlo. L'unico dibattito che abbiamo potuto avere è stato quello con i costituzionalisti nel ciclo di audizioni prezioso che abbiamo avuto, dalle quali sono emerse delle domande, dei quesiti ulteriori, sui quali c'era una disponibilità a lavorare in maniera costruttiva, assolutamente non ostruzionistica, da parte delle opposizioni, ma non è arrivata nessuna risposta, se non un modo tetragono di portare avanti i lavori. Non c'è stata risposta sulle questioni di merito, e sono già state ricordate: la questione dell'equiparazione dell'elettorato attivo tra Camera e Senato, la questione dei senatori a vita, la questione dei delegati regionali nell'elezione del Presidente della Repubblica.

Si fa una riforma costituzionale come questa, e la si blinda, senza contenere una norma transitoria - come era stato opportunamente in tutti i tentativi precedenti di riforma costituzionale - che almeno ci salvaguardi dal fatto che, nel momento in cui dovesse entrare in vigore, nelle more delle riforme corpose e problematiche che sarebbero necessarie dei Regolamenti di Camera e Senato, consenta alle Camere di lavorare senza che ci sia una penalizzazione delle minoranze, come ad esempio per tutte quelle soglie che oggi sono riportate nei Regolamenti con numeri assoluti e che andrebbero intese in proporzione dei nuovi numeri. E perché non c'è disponibilità a discutere e a parlare di questo? Perché non si hanno risposte su questi punti?

E la risposta l'abbiamo avuta nel modo in cui si è opposto un muro su una riforma costituzionale che insomma - è consapevolezza di tutti - andrebbe costruita con una maggioranza più ampia possibile, con un dialogo più ampio possibile, e non asservita a una dinamica elettorale e a un voto che ci sarà tra poche settimane, per poterla sventolare. E qui arriviamo alla cosa più grave e rivelatrice: è stata fatta confusione, come è stato detto poco fa, dal collega Migliore, una confusione che auspico non si ripeta qui in Aula. Nel momento in cui si dichiarano inammissibili degli emendamenti, scrivendo che questo è dovuto al mancato ampliamento di un perimetro della norma, si sta sostanzialmente dicendo che di qui in avanti l'inammissibilità degli emendamenti è decisa dalla maggioranza e non dalla Presidenza della Commissione o della Camera. Ora, è evidente che, se c'è un ampliamento del perimetro del provvedimento, questo con sé produrrà anche una maggiore ammissibilità degli emendamenti. Ma un livello, un piano è la decisione discrezionale e politica della Commissione su qual è il perimetro; altra questione è la decisione che prende la presidenza della Commissione o la Presidenza della Camera rifacendosi assolutamente a un criterio regolamentare. E, invece, abbiamo creato un ulteriore precedente, grave, mettendo per iscritto che l'inammissibilità è decisa dalla maggioranza: questo è grave, questo non è accettabile e questo avviene per motivi politici perché non vi volete trovare neanche di fronte all'impaccio di dover affrontare, e magari di dover respingere o di dover approvare, degli emendamenti che sono di buonsenso, che sono di ragionevolezza come quelli, appunto che inevitabilmente ripresenteremo riguardanti l'elettorato attivo tra Camera e Senato, il peso percentuale dei senatori a vita su un Senato che è fortemente ridotto, le norme transitorie, solo per blindare il provvedimento. Se questo è lo spirito con cui voi credete che si ridia centralità al Parlamento, mi pare evidente che voi stiate andando nella direzione opposta. Noi siamo fermamente favorevoli a una riduzione del numero dei parlamentari e contrari - sono nettamente contrario - a una riduzione che non sia legata a nessun criterio di rafforzamento della rappresentanza e, quindi, della rappresentatività del Parlamento e ad alcun criterio di funzionalità del nuovo assetto istituzionale (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Liberi e Uguali).

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il rappresentante del governo, Ministro Fraccaro. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire in sede di replica. È iscritta a parlare l'onorevole Corneli. Ne ha facoltà.

VALENTINA CORNELI (M5S). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, siamo oggi a discutere qui un provvedimento che questo Paese aspetta da tanti anni. Nelle legislature scorse tutti hanno promesso questa ormai mitologica riduzione del numero dei parlamentari, però poi qualcosa è andato sempre storto perché era ricompresa in riforme megalomani, a volte ai limiti della follia, oppure perché semplicemente la classe politica era animata da una sorta d'istinto di autoconservazione che purtroppo ha minato profondamente la credibilità e il prestigio dell'istituzione a cui apparteniamo. Per questo mi onoro di far parte della forza politica che fa qualcosa di inedito nel Paese cioè concretizza in fatti quanto promette a parole: questo noi vogliamo. Vogliamo portare a compimento questo progetto e vogliamo farlo davvero. Vogliamo farlo davvero perché siamo convinti che sia importante, e non solo per una questione di abbattimento dei costi, che sicuramente è importante, ma proprio anche per una questione di miglioramento delle istituzioni e per una questione di recupero di fiducia e prestigio di questo Parlamento. La questione dell'abbattimento dei costi - non lo nascondiamo - è importante; è importante perché 500 milioni di euro a legislatura non sono pochi se sono sommati ai 200 milioni che già facciamo risparmiare con il taglio dei vitalizi dei parlamentari, dei 150 milioni che facciamo risparmiare con il taglio dei vitalizi dei consiglieri regionali, con i 100 milioni che facciamo risparmiare con il taglio delle pensioni d'oro degli ex dipendenti di Montecitorio.

Insomma, in totale parliamo di un miliardo di euro che possono essere destinati ai cittadini, alle esigenze dei cittadini e non è secondario perché torniamo lì: il problema è che una classe politica tesa all'autoconservazione ha teso anche a sprecare risorse che invece potevano essere destinate ad altre finalità e noi, con i fatti, abbiamo dimostrato che ciò è possibile. Non siamo supereroi: come abbiamo fatto a fare questo in quattro e quattr'otto? Siamo esseri umani, con la nostra umana limitatezza che però hanno dimostrato che una politica diversa è possibile: è possibile fare campagne elettorali senza spendere milioni e vincere le elezioni. È possibile vivere e fare il parlamentare senza stipendi faraonici e per questo vogliamo anche tagliare le indennità dei parlamentari, perché ricordo che i parlamentari italiani sono anche i più pagati al mondo, e questo non ha alcun senso, e vogliamo che, come abbiamo fatto noi, queste risorse vengano utilizzate per cose utili ai cittadini. Penso alla costruzione di strade, ad aiutare scuole, penso ad aiutare le imprese, a comprare ambulanze, ad acquistare beni utili, appunto, alla collettività. L'abbiamo fatto: ancora fatti e non parole. Per noi però è anche importante migliorare l'efficienza dell'istituzione perché meno parlamentari significa anche parlamentari meglio selezionati, parlamentari più responsabili, parlamentari più lontani dalle logiche localistiche e quindi poi anche da quegli interessi clientelari purtroppo che sono legati alle logiche territoriali e sono anche parlamentari più lontani da zone grigie in cui si possono infiltrare le lobby e per questo per noi è importante anche che il Parlamento voti la legge sul conflitto di interessi che speriamo di presentare presto e di discutere con voi.

Ancora - concludo, Presidente -, per noi del MoVimento 5 Stelle è fondamentale la selezione della classe politica e della classe dirigente e il provvedimento in esame, secondo noi, va anche in tale direzione: i partiti politici per sopravvivere dovranno selezionare meglio i propri candidati. Dovremmo farlo tutti: noi non ci possiamo ingerire nelle scelte degli altri, però possiamo in qualche modo fornire un modello. Il nostro modello è la selezione aperta a tutti: la selezione attraverso i curricula dei candidati, una selezione però che prevede anche un aspetto fondamentale ossia il fatto che il casellario penale del candidato sia pulito e questo non è giustizialismo, ma è la questione morale che da sempre affligge purtroppo il Paese. È una questione di fiducia perché, se i cittadini devono avere fiducia dello Stato, sullo Stato non devono esserci ombre.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ceccanti. Ne ha facoltà.

STEFANO CECCANTI (PD). Grazie, Presidente. Assistiamo oggi a un paradosso: quella in esame è la seconda riforma costituzionale che è affrontata nella legislatura in corso in queste Aule e siamo riusciti ad avere un clima di dialogo piuttosto positivo, al di là dei voti finali, su quella su cui i punti di partenza erano più lontani, perché le impostazioni in materia di referendum propositivo all'inizio erano radicalmente alternative. Siamo stati molte ore in Commissione e molte ore in Aula e ci siamo ascoltati, il testo è anche cambiato: poi noi manteniamo riserve di fondo, però non si può dire che sul tema non ci sia stato un dialogo. La cosa paradossale è che, invece, sul provvedimento riguardante la questione del numero dei parlamentari, su cui di per sé ci sarebbe potenzialmente più accordo, ci viene impedito praticamente il dialogo, perché non solo non si recepisce alcun emendamento ma addirittura si vogliono rendere inammissibili alcuni emendamenti palesemente connessi in nome di una visione microchirurgica degli interventi costituzionali che gli stessi chirurghi farebbero fatica a riconoscere e in nome di una teoria, espressa dal Presidente Fico, secondo cui è ammissibile ciò che la maggioranza dice che sia ammissibile e il ruolo del Presidente è sostanzialmente un ruolo di ratifica passiva di qualsiasi decisione venga effettuata dalle maggioranze parlamentari. È una cosa inaccettabile specialmente su un terreno come la revisione costituzionale, che è il più importante provvedimento legislativo. Praticamente, in questo caso siamo in presenza della tecnica adottata per i decreti-legge e applicata al referendum costituzionale.

Sui decreti-legge, nella legislatura in corso, avete aumentato la tecnica - per carità, era invalsa anche in altre legislature - del monocameralismo alternante: ciò che si vota con emendamenti in una Camera deve essere passivamente accettato dall'altra Camera; anzi, qui l'imitazione è in peggio, perché nei decreti i margini di ammissibilità vengono tenuti abbastanza ampi, comunque; nella seconda Camera si bocciano tutti gli emendamenti, ma non si adottano criteri così restrittivi come quelli a cui ci siamo dovuti inchinare - o meglio, che abbiamo dovuto accettare - ma che continueremo a riproporre. Se questa teoria - per cui la maggioranza può tutto e le presidenze d'Assemblea non possono niente - dovesse proseguire, ci riserviamo anche, come ha ricordato il collega Migliore, un eventuale ricorso alla Corte, di cui tracce di legittimità si rinvengono nella recente ordinanza del mese di gennaio. Per di più, questo è abbastanza paradossale perché, nel frattempo, sembra che il Senato non si consideri ugualmente vincolato al lavoro che è stato fatto qui sul referendum e quindi si riservi di modificare il testo sul referendum; quindi, noi siamo in presenza di una Camera e di una Presidenza della Camera che ha un incredibile eccesso di zelo nei confronti della volontà della maggioranza su questo aspetto.

Perché noi riteniamo sbagliato un atteggiamento microchirurgico su questo tema? Perché affrontare i numeri come se i numeri fossero una variabile puramente indipendente non corrisponde palesemente ai problemi che sono aperti sulla struttura e il funzionamento delle Camere. Il bicameralismo ripetitivo è disfunzionale da qualsiasi punto di vista lo si voglia guardare, e non si capisce perché il problema dei numeri non dovrebbe essere assunto in relazione specifica a questo problema. Anche negli altri Paesi di forme bicamerali, normalmente, una sola Camera ha la fiducia e quella ha un numero di parlamentari molto più ampio della seconda Camera, che non dà la fiducia e rappresenta altre cose; quindi, quella sì, può avere un numero di componenti molto ristretti, anche molto di più inferiore alla metà.

Allora, l'allineamento degli elettorati a diciott'anni, oltre che anche di quello passivo a venticinque, corrisponde, se si vuole mantenere un'opzione bicamerale, a una scelta logica in termini di forma di Governo, perché la presenza di sette classi di età, da diciotto a venticinque, che votano solo alla Camera, oltre che inspiegabile dal punto di vista dei diritti dei cittadini - e non si vede perché non debba essere questa oggi, subito, la sede per sanarla - è anche illogica dal punto di vista della formazione delle maggioranze parlamentari, perché espone le due Camere al rischio di maggioranze diverse tra di loro, rischio a cui abbiamo assistito molte volte dal 1994 in poi, anche se non in questo caso specifico.

Detto questo, non si vede perché non si dovrebbero considerare con libertà, di fronte a noi, trattando di numeri parlamentari, tutte le opzioni possibili: chi ci vieta di andare verso un'opzione monocamerale e di risolvere, a quel punto, il problema dei rapporti centro-periferia, costituzionalizzando la Conferenza Stato regioni, rendendolo un organismo più trasparente, più rendicontato? Oppure, chi ci impedisce di andare a forme di monocameralismo sostanziale? Noi per l'Aula abbiamo predisposto anche un emendamento che si ispira all'esperienza norvegese, nella quale, tradizionalmente, il Parlamento era eletto come organo unitario e, dopo l'elezione, veniva suddiviso in due Camere, garantendo così una maggioranza omogenea nei due ambiti. Oppure, appunto, si può scegliere una conformazione diversa: vediamo quanto sia difficile varare, a Costituzione invariata, a Senato invariato, l'autonomia differenziata, perché l'autonomia differenziata è in preda a un negoziato esclusivamente su variabili politiche fuori da sedi istituzionali; se ne parla così tanto, ma qui non abbiamo avuto, al momento, neanche una riga. Questo dimostra, forse, che la struttura del Parlamento si presta male, in questa fase, a gestire l'autonomia differenziata; altro sarebbe se, come presente nei nostri emendamenti, stabilissimo la presenza, almeno in alcune occasioni, come quella delle leggi di autonomia differenziata, la presenza dei presidenti delle regioni che attivano il procedimento.

Quindi, la nostra preoccupazione non è che si cambi troppo, ma che si cambi poco e male. Questa è una riforma che cambia poco e male, e nella quale, per di più, si pretende di non discutere una parte significativa degli emendamenti.

Vorrei chiudere con un ringraziamento. Molti di noi ci ascoltano grazie a Radio Radicale, che fa un servizio pubblico (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico), perché sia in ambito informativo sia in altri settori il servizio è pubblico non solo per chi lo gestisce, ma per le modalità con le quali è gestito. Nel periodo in cui si vuole ridurre il numero dei parlamentari senza affrontare i nodi di sistema, si voglia anche colpire una voce che è contemporaneamente libera ed utile come servizio pubblico, rivela una visione distorta e sbagliata delle istituzioni, contro la quale noi ci opporremo, anche in questo caso. (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Fornaro. Ne ha facoltà.

FEDERICO FORNARO (LEU). Grazie, signora Presidente. Io credo che prima di affrontare una serie di questioni di merito, che questo disegno di legge costituzionale pone, ci siano delle questioni di metodo. Il metodo, intanto, è la scelta che è stata compiuta da questa maggioranza e dal Governo, giustificata e annunciata in più riprese dal Ministro per i Rapporti con il Parlamento, cioè l'idea che fosse sbagliato fare interventi come è stato fatto nella XVII Legislatura, di sistema, che intervenivano su più parti della Costituzione, per fare, invece, interventi puntuali e circoscritti (uso i termini che sono stati usati). Da questo punto di vista - lo abbiamo già detto in altre occasioni - l'apprezzamento dei costituzionalisti c'è stato ed è un dato oggettivo, perché le modalità previste dai costituenti per la modifica del testo entrato in vigore il 1° gennaio del 1948, effettivamente, si prestano più ad interventi puntuali e circoscritti. Però - c'è un però - ciò varrebbe se la maggioranza si fosse limitata a fare un intervento e solo quello; Per un attimo, estraniamoci dall'oggetto e pensiamo, quindi, in linea teorica, soltanto ad un intervento. Viceversa, con una modalità assolutamente innovativa, si presentano più interventi circoscritti a Camere alternate, cioè si presenta un testo - quello del referendum propositivo - qui alla Camera e si presenta, invece, il numero dei parlamentari al Senato. Il risultato finale - lo devo dire - assomiglia più alla metafora chirurgica. Sono interventi chirurgici, però attenzione: io posso fare interventi circoscritti da un punto di vista chirurgico, ma il risultato finale - mi si passi la metafora - può essere Frankenstein; tolgo un braccio, tolgo un dito, ho cavato un occhio. Sono tutti interventi puntuali, però, alla fine, il risultato finale è ovviamente ben differente. Questo è il punto su cui credo che vada portata una riflessione, in uno spirito costruttivo anche nei confronti del Governo. Dato per un attimo che ci sia una buona fede in questa scelta, a rileggere anche l'intervista di questa mattina del pluricitato - stamattina - Mattia Fantinati, che propone di fatto la modifica successiva del mandato imperativo, è evidente che se io, per esempio, metto insieme tutti questi fattori – riduzione del numero dei parlamentari, introduzione di strumenti di democrazia diretta con le caratteristiche che conosciamo, una modifica del mandato imperativo – ho fatto interventi puntuali, ma il risultato finale qual è? La messa in discussione - che in linea di principio ci può stare - della forma che la nostra Costituzione ha dato, cioè quella di una democrazia parlamentare. Ossia, quello che noi vediamo con grande preoccupazione, è proprio il fatto che alla fine sia sostanzialmente snaturato il ruolo del Parlamento e sia messa in discussione la struttura della democrazia parlamentare, e, in fondo, quella della stessa democrazia rappresentativa, ne abbiamo discusso moltissimo, e quindi non ci torno, quando abbiamo discusso sul referendum propositivo.

Allora, partirei da qui e mi sarebbe piaciuta, da questo punto di vista, una discussione che partisse dalla questione della crisi di democrazia rappresentativa. C'è poi un altro elemento di metodo - e quindi poi ci ritorno - che credo vada messo in evidenza e sottolineato. Lo ha detto poc'anzi il collega Ceccanti – non ci ritorno – e anche i colleghi relatori di minoranza.

Io son rimasto molto negativamente impressionato dalle scelte compiute in sede di Commissione sul tema della inammissibilità. Perché, vedete, lo strumento dell'ammissibilità e dell'inammissibilità è una sorta di valvola di sicurezza, che può essere usata opportunamente quando, per esempio, ci sono attività ostruzionistiche da parte di un gruppo o dell'opposizione. Ricordo, per esempio, che nella precedente legislatura il gruppo della Lega, al Senato, con l'autorevole guida di Calderoli, aveva, durante la riforma costituzionale, minacciato l'arrivo di 50 milioni di emendamenti, aveva commissionato uno strumento, un algoritmo per costruire emendamenti. È chiaro che, di fronte a questo, l'inammissibilità e l'ammissibilità può essere una valvola da usare per mantenere in sicurezza il sistema, ma quando la si usa su 50 emendamenti, francamente non ne capisco la ragione. E, allora, aumentano i dubbi; cioè, dichiarare inammissibile - e su questo, devo dire, in tempi non sospetti, avevo richiesto al Presidente della Camera che ci fosse uniformità con la Presidenza del Senato, proprio per le caratteristiche di totale innovazione delle modalità di proposta delle modifiche di riforma - ebbene, da questo punto di vista, ritenere per esempio inammissibile un emendamento sull'elettorato attivo e passivo del Senato, nel momento in cui si mette mano al Senato, dichiarare inammissibili emendamenti che riguardano, a quel punto, le funzioni di una delle due Camere, presentati non a scopo ostruzionistico… non è che i colleghi per esempio del Partito Democratico – non devo fare il loro difensore d'ufficio, per amor di Dio – hanno presentato sul tema dei compiti e delle funzioni del Senato 500 emendamenti, hanno presentato alcuni emendamenti per cercare di differenziare sostanzialmente il testo. Allora, ecco perché qui torna indietro come un boomerang quel “puntuale e circoscritto”, perché noi stiamo ragionando attorno al tema e alla funzione del ruolo del Parlamento, e lo dico alla collega del MoVimento 5 Stelle che è intervenuta poc'anzi: non si può prendere soltanto il verso del tema dei costi. Esiste un tema di costi della politica, ma la democrazia ha un costo, perché, altrimenti, la assoluta conseguenza di alcuni ragionamenti è: perché 400 e 200 e non 200 e 100? A questo punto dov'è il problema? Meno siamo e meno costiamo. Può essere, questo, il metro di valutazione? Può essere, questo, anche un metro di valutazione, ma non può diventare il solo metro di valutazione. Da questo punto di vista, quindi, ritorno al tema: la questione va messa nella funzione e ruolo del Parlamento e nella crisi della democrazia rappresentativa.

Oggi viviamo in un paradosso. Il paradosso è quello che, mai come in questo momento, l'istituto della democrazia è vissuto, seppur con diversi livelli di incidenza e diverso livello di qualità della democrazia, nella stragrande maggioranza dei Paesi. Non era così, per esempio, all'indomani della seconda guerra mondiale, dove le grandi democrazie, le democrazie compiute si contavano sulle dita di due mani. Ma proprio in questo momento, in cui l'istituto della democrazia, la democrazia ha vinto, è entrata in crisi la democrazia rappresentativa, c'è un tema di funzionalità del Parlamento; e quindi questa è una sfida che noi accettiamo. Però, se la se la soluzione è quella, in realtà, di vedere questo tema solo sul lato, per esempio, dei costi, in definitiva assecondando l'antiparlamentarismo, che è un fiume carsico che attraversa la storia d'Italia e quando è riemerso ha prodotto risultati molto negativi, ebbene, se in qualche modo si liscia il pelo all'antiparlamentarismo, se si costruisce il tema della riduzione del numero dei parlamentari tutt'attorno a questo, tutt'attorno a un tema, che ho risentito anche in quest'Aula, di contrapposizione tra un Parlamento espressione della casta e la democrazia diretta espressione del popolo, allora produciamo non soltanto una sostanziale riscrittura del testo del 1948, pur facendo un'operazione puntuale e circoscritta. Io voglio essere chiaro, da parte nostra, poi col collega Speranza si è presentata una serie di emendamenti, accettiamo la sfida della riduzione del numero dei parlamentari, è vero che nel corso delle legislature ci sono state proposte di legge, ci sono stati interventi, c'è stata una discussione che ha visto anche noi protagonisti attorno al tema della riduzione del numero dei parlamentari, però, per esempio, lo si è fatto – ed è una discussione delle Bicamerali - lo si faceva all'interno, in questo caso, di una visione più complessiva, che passa evidentemente anche per un tema di equilibri di potere.

Cioè, la questione, da questo punto di vista, va inserita rispetto alla questione del bicameralismo e noi, da questo punto di vista, non avremmo considerato e non considereremo, se arriveremo a trattare di questi temi, una modifica dell'impianto del bicameralismo paritario o perfetto, come giornalisticamente definito. Questa è un'altra sfida che noi accettiamo. Però, anche su questo, le parole hanno un peso; la collega relatrice, con rispetto, ha detto che alla fine di questo percorso noi ci allineiamo alle medie delle grandi democrazie europee. I numeri non dicono questo, almeno su questo dobbiamo essere d'accordo, perché i numeri sono interpretabili, però, alla fine… cioè, se passerà – e i numeri sono dalla vostra, per l'amor di Dio – la Camera, quindi la cosiddetta Camera bassa, che è l'unica su cui si possono fare raffronti perché nella Camera alta ci sono legislazioni differenti, in alcuni casi come per esempio la Gran Bretagna non è elettiva, quindi se ci fermiamo ai raffronti della Camera bassa, noi avremo - e questo è un dato che correttamente la relatrice ha riportato - un deputato ogni 151 mila abitanti, che non è allineato con la media degli altri, è il 29 per cento in più dei 116 mila della Germania, dei 116 mila della Francia, è quasi il 50 per cento in più dei 101 mila del Regno Unito, ed è il 13 per cento in più della Spagna, che ne ha 133 mila. Cioè, noi passiamo da essere la Camera con certamente un rapporto di numero deputati per 100 mila abitanti, uno più alto rispetto a Francia e Germania, che però ha 0,9, non ha una differenza così grande, ad avere, invece, una situazione di 0,7, cioè una differenza più significativa. Quindi non c'è allineamento. Noi avremo una Camera con un numero di abitanti per deputato significativamente superiore a quello delle altre democrazie.

Tra l'altro, ricordo, ma certamente questo la relatrice lo conosce, che, per esempio, il raffronto con la Germania deve tener conto di una legislazione elettorale mobile, che porta ai sovrannumerari, cioè partendo da un numero che è in Costituzione, poi si può salire fino agli attuali 709, rispetto ai 598 iniziali, quindi addirittura, nel modello tedesco c'è un elemento di queste caratteristiche. Quindi, non ci allineiamo. Bisogna essere onesti anche nei confronti di chi ci ascolta: non c'è un allineamento, c'è un netto peggioramento, se lo si guarda da un certo punto di vista, nel livello di rappresentatività, cioè 150 mila abitanti per deputato, contro gli attuali 96 mila. All'interno di questo, ci sono delle questioni di merito su cui credo sia giusto tornare.

C'è una questione che a noi preoccupa molto: la riduzione del numero dei parlamentari ha un effetto, ovviamente, di aumento delle dimensioni dei collegi e, comunque, una diminuzione, senza per un attimo ragionare sulla legge elettorale, e ovviamente una maggiore difficoltà - che ci sarà in futuro con questi numeri per i territori marginali - ad esprimere una rappresentanza parlamentare. Io su questo chiedo un'attenzione e una riflessione. Perché?

Perché alla fine noi viviamo già in una fase che, da un punto di vista economico, da un punto di vista sociale, tende a valorizzare l'elemento della centralità dei grandi centri urbani e penalizzare le cosiddette aree interne, non ultimo una questione che noi conosciamo benissimo, che è un fenomeno di spopolamento e anche di invecchiamento che porta ad avere problemi in questi territori. Bene, noi, con questi numeri, tenderemo ad avere più difficoltà a rappresentare questi territori marginali. Seconda questione, che credo sia entrata poco nel dibattito pubblico, ma riprendo una nota degli uffici: attenzione, perché la riduzione dei numeri porta, in realtà, ad esaltare i rischi di trasformismo. Faccio un esempio concreto: se non si modificano al Senato il numero delle Commissioni, noi avremo Commissioni al Senato da 14. Il Senato, voi sapete, ha una sua storia, che, pur cambiando tutte le leggi elettorali, per come è la geografia politica italiana, per essere chiari, o vince il centrodestra, e allora i numeri sono significativamente di maggioranza, oppure gli altri, quando vincono, hanno maggioranze molto limitate.

Questa è la storia del Senato, che deriva dal fatto che c'è il vincolo di elezione su base regionale. Attenzione, con 14 vuol dire che la maggioranza in quella Commissione in partenza è di uno o due, cioè restringiamo moltissimo il numero; e, quindi, facciamo contare molto di più, in positivo o in negativo, il singolo senatore di quella Commissione. E, quindi, quello che si è pensato di buttar fuori dalla porta rientrerebbe dalla finestra. Poi, immaginando una geografia politica che rimanga quella che è stata in questi anni, vuol dire che saranno anche piccoli i numeri di maggioranza nell'Aula del Senato, con l'aumento quindi di un potere discrezionale e un potere negativo di pochi elementi.

Credo che questo sia un ragionamento su cui riflettere. Infine, non sono d'accordo - lo dico chiaramente - con la valutazione di sostanziale indifferenza rispetto al peso dei delegati regionali nelle elezioni del Presidente della Repubblica, come ha detto la collega relatrice, perché è evidente che, non mutando il numero dei delegati regionali, che potrebbero essere tranquillamente, nel rispetto di maggioranza e opposizione, ridotti a due per regione, lasciandoli a tre, e quindi lasciandoli immutati, il peso dei delegati regionali, dei grandi elettori regionali, cresce significativamente sia rispetto, ovviamente, ai quorum iniziali, ma poi, alla fine, nel risultato finale. Quindi, e concludo, il nostro sarà, come è sempre stato e come deve essere, un approccio costruttivo; lo è stato durante la discussione sul disegno di legge sul referendum propositivo, lo sarà anche in questa sede.

Però, da questo punto di vista, le nubi si stanno addensando, lo dico al Ministro; cioè, i dubbi che avevamo rispetto al referendum propositivo, che abbiamo espresso in Aula e che ci hanno portato, in quel caso, ad un voto di astensione, se, soprattutto su questo tema, non c'è nessuna apertura della maggioranza, se si prova a forzare nella direzione che il testo del Senato sia uguale al testo approvato dalla Camera, è evidente che questa sarebbe una forzatura. Noi auspichiamo che ci sia la possibilità - lo dico alla maggioranza - di poter fare quel lavoro che in realtà sul referendum propositivo era già stato fatto in Commissione e si è poi ampliato in Aula. Bene, noi siamo ancora nella fase in cui si può provare in Aula a fare alcune modifiche puntuali che provino a rispondere alle questioni di metodo e sistemiche che ho provato ad illustrare e a quelle di merito puntuali che ho messo in evidenza poc'anzi.

Quindi, il nostro sarà, come sempre, un approccio, però il disegno che si sta definendo, mettendo insieme le due riforme, non ci convince e trova molte riserve da parte nostra, che proveremo ad esprimere in Aula non prima di aver fatto in questa sede di discussione sulle linee generali un appello alla maggioranza perché si possa trovare uno spirito costituente, cioè la possibilità di un contributo anche da parte delle opposizioni, che - questo va detto e sottolineato - non hanno avuto in questa fase nessun atteggiamento di tipo ostruzionistico, e che quindi meritano; altrimenti, se la logica è soltanto quella dei numeri, è evidente che voi avete i numeri e potete usarli e farli prevalere, però lo spirito con cui si lavora sulla Costituzione non può essere uno spirito di dittatura della maggioranza (Applausi dei deputati del gruppo Liberi e Uguali).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Maria Tripodi. Ne ha facoltà.

MARIA TRIPODI (FI). Presidente, onorevoli colleghi, signor Ministro, ci troviamo oggi ad affrontare in quest'Aula un tema che da più di trent'anni ricorre ciclicamente nel dibattito politico, sociale e mediatico: la riduzione del numero dei parlamentari. Si tratta, infatti, di una questione che affonda le sue radici nei dibattiti parlamentari sulle riforme istituzionali a partire dagli anni Ottanta e che, seppur in contesti diversi, è continuata ad emergere con tutto il suo vigore nelle passate legislature. Si è iniziato a parlare della riduzione del numero dei parlamentari nel 1983, con la cosiddetta Commissione Bozzi, e negli anni a seguire da un'altra Commissione bicamerale per le riforme istituzionali, presieduta dall'onorevole D'Alema. Successivamente, il tema fu posto all'ordine del giorno della Commissione affari costituzionali della Camera nella XV legislatura attraverso l'esame del testo unificato della cosiddetta bozza Violante.

Il tema tornò alla ribalta attraverso il lavoro svolto dal gruppo sui temi istituzionali costituito dall'allora Presidente della Repubblica Napolitano all'inizio della XII legislatura e dalla commissione di esperti, denominata Commissione per le riforme istituzionali, istituita dall'allora Presidente del Consiglio Letta l'11 giugno del 2013. Sul tema è intervenuta, da ultimo, la cosiddetta riforma Renzi-Boschi, sulla quale l'esito del referendum costituzionale non è stato favorevole. Tra i tentativi di riforma, sette nel corso di oltre tre decenni, quello più importante e organico è stato portato avanti nella XIV legislatura dal Governo di centrodestra presieduto dal Presidente Silvio Berlusconi. Si è trattato di una riforma organica, poiché non si limitava a prevedere la riduzione del numero dei deputati a 518 e dei senatori a 252, ma si introducevano notevoli elementi di differenza tra le due Camere, che, riferiti non soltanto alla loro composizione, ma anche alle loro rispettive funzioni, avrebbero determinato il sostanziale superamento del tradizionale sistema di bicameralismo perfetto. Al di là della diversa composizione numerica che caratterizza le due Assemblee, il Senato si connotava come Senato federale della Repubblica, quale organo costituzionale nell'ambito del quale si intendeva realizzare il raccordo tra la potestà normativa dello Stato e quelle regionali, in ossequio alla scelta di impronta federalista fatta propria dal progetto di riforma.

A ciò si aggiungevano una serie di interventi, tra cui un sostanziale rafforzamento del potere esecutivo, o, per dire meglio, del Presidente del Consiglio, e modifiche al Titolo V della Parte seconda della Costituzione, in cui alle regioni venivano assegnate importanti competenze. Inoltre, si procedeva anche per quanto concerne le funzioni in merito alla figura del Presidente della Repubblica. Le novità previste riguardavano sia la modalità di elezione sia le funzioni che concorrono a definire il ruolo in forme coerenti all'assetto complessivo degli organi costituzionali preposti dalla riforma stessa. La riduzione del numero dei parlamentari è dunque una scelta che ci vede da sempre in prima linea, voglio ricordarlo una volta di più in questa sede, e quindi ci vede in linea di principio favorevoli, dal momento che la medesima proposta era stata avanzata dal Governo di centrodestra.

Mi preme, però, sottolineare, signor Presidente, che nella riforma proposta proprio dai banchi di Forza Italia la riduzione del numero dei parlamentari rappresentava uno degli elementi di una visione più ampia e completa delle istituzioni e del loro modo di servire il Paese.

Si trattava infatti di un disegno di legge che in prospettiva sarebbe stato virtuosamente complesso, e che nel suo declinarsi avrebbe tutelato le funzioni e la dignità del Parlamento, la rappresentanza, i pesi e i contrappesi imprescindibili in un sistema democratico.

Si tratta di un tema che a distanza di più di dieci anni riteniamo condivisibile, soprattutto se analizziamo i dati riferiti al Parlamento italiano e a quelli di altri Paesi europei. Infatti sotto questo profilo occorre ricordare e sottolineare che l'attuale ampiezza delle Camere di cui si compone il Parlamento italiano appare abbondante rispetto a quella prevista negli altri Stati membri dell'Unione europea: in particolare, il rapporto tra deputati e popolazione è pari alla misura di 1 deputato ogni 96 mila abitanti. In base al descritto rapporto, sui 28 Stati europei compreso il Regno Unito sono 23 le Assemblee legislative che per dimensioni in rapporto alla popolazione hanno maggiore ampiezza rispetto alla Camera dei deputati. Quanto al Senato, il rapporto tra senatori e corpo elettorale è pari attualmente alla misura di 1 senatore ogni 190 mila cittadini. A ciò si aggiunge che la riduzione della rappresentanza politica ci avvicinerebbe ai grandi Paesi federali come Stati Uniti, Brasile, India, nei quali il rapporto tra numero di elettori e parlamentari si attesta attorno ai 500 mila.

La riduzione dei parlamentari, se è vista in un'ottica più complessa e non demagogica, signora Presidente, come ho sentito purtroppo fare da alcuni interventi che mi hanno preceduto, non sembrerebbe comportare effetti a discapito della qualità dell'azione istituzionale intesa come grado di capacità del processo decisionale e di raggiungere un determinato risultato. Alla luce di una riduzione del numero dei deputati e dei senatori parrebbe infatti opportuno sviluppare alcune considerazioni sul funzionamento anche delle Commissioni parlamentari, nonché in riferimento ai componenti necessari per la formazione di un gruppo parlamentare.

Una riforma opportuna, ma il cui peso è stato gonfiato soprattutto negli ultimi anni da una narrazione marcatamente populista assolutamente sbagliata; o, come dicevo poco fa, anche demagogica rispetto appunto ad alcune posizioni di partiti che attualmente fanno parte di questa maggioranza.

Signora Presidente, a me piace ricordare come la democrazia non deve essere vista solo come un costo detto nell'accezione negativa del termine, ma come un valore; e come tutti appunto i valori che caratterizzano la vita democratica, naturalmente rappresentano anche dei costi, che però devono essere visti anche come un beneficio per la cittadinanza.

Il rischio è, dicevo, porre in essere un intervento che non contribuisca ad adeguare, come è giusto che sia, le istituzioni al Paese: si deve fare meno propaganda su questo argomento. Il timore che abbiamo, ancora più profondo, è che un intervento di questo genere sia inserito in un progetto più ampio e fraudolento, che miri ad attaccare le funzioni e la dignità del Parlamento: quel Parlamento, signor Ministro, che avete intenzione di trasformare in un semplice luogo di sorteggiati e che pensate di superare attraverso un semplice click. In questo modo ad un sistema costituzionale fondato sulla democrazia se ne sostituisce uno fondato sul populismo inteso nella sua accezione deteriore, che cerca, nella dimensione quotidiana, lo scontro fra corpo elettorale e istituzioni: senza capire però che questo scontro costante delegittima gravemente entrambi, e disgrega in ultima analisi, anziché rafforzarlo, il concetto di sovranità popolare da cui sia il corpo elettorale che la classe rappresentativa traggono una linfa vitale. Depotenziare il Parlamento, attribuendo a pochi il potere di decidere su molti, alimenta l'odio tra rappresentanti e rappresentati, e contrappone i buoni e i cattivi, mettendo il popolo contro il Parlamento: è una bomba ad orologeria, destinata a disgregare in breve tempo, una volta innescata, prima il sistema delle istituzioni e poi il sistema dei diritti. Nel momento in cui si decide di modificare la nostra Costituzione, infatti, non lo si può fare sull'onda emotiva, ma la priorità dev'essere quella di salvaguardare innanzitutto i principi cardine della nostra democrazia. Il nostro impegno deve concentrarsi nell'immediato nella prospettiva dell'integrazione, e non della demolizione della Costituzione; in una prospettiva di più ampio respiro, poi, e nella formazione dei nostri cittadini, per garantire che partecipazione, consapevolezza e responsabilità si tengano insieme in una prospettiva costituzionalmente orientata e autenticamente democratica.

Scriveva Karl Popper che le istituzioni sono come le fortezze: tengono se è buona la guarnigione; dunque è alle persone che compongono la guarnigione che bisogna guardare. Questa è la strada sulla quale noi di Forza Italia siamo da tempo ben avviati: la strada delle riforme, quelle vere, che si vedono con favore per il superamento del bicameralismo perfetto, per la possibilità che la democrazia diventi più veloce e più efficace, per la centralità del Parlamento. Tutto questo perché abbiamo una responsabilità nei confronti dei cittadini, di coloro che ci hanno eletto e che si aspettano una classe politica che cammini e che funzioni: che sia il simbolo di una democrazia matura, come crediamo di esserlo, e non il simbolo di una democrazia fatta di slogan, come voi vorreste farla diventare.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ungaro. Ne ha facoltà.

MASSIMO UNGARO (PD). Presidente, riprendendo il discorso, il numero di parlamentari dipende dalla funzione che si dà al Parlamento, e di per sé ovviamente non è un tabù: una riduzione potrebbe anche aumentare l'efficienza dell'ordinamento a certe condizioni, come la modifica delle competenze delle Camere o la revisione del bicameralismo perfetto in un bicameralismo differenziato, come appunto dicevano poc'anzi i colleghi Ceccanti e Fornaro. Occorre quindi assicurare che la riduzione del numero dei parlamentari non costituisca una riduzione della loro rappresentatività. Ma con questa proposta di riforma costituzionale, invece, le funzioni delle Camere rimangono inalterate e si opera un taglio proporzionale lineare dei parlamentari, senza una revisione organica dell'ordinamento.

Io vorrei usare questi minuti per sollevare la questione dei parlamentari eletti all'estero, che questa riforma vuole ridurre da 18 a 12. Vorrei ricordare ai colleghi che i parlamentari eletti all'estero devono già rappresentare oggi molti più elettori che i loro colleghi eletti in Italia, per la precisione quattro volte di più: ogni deputato eletto all'estero rappresenta 400 mila elettori, i suoi colleghi eletti invece in Italia più o meno 100 mila. Questo fu il compromesso storico che permise l'introduzione della circoscrizione Estero con la legge n. 459 del 2001: già allora un compromesso ingiusto, in quanto non si capisce perché gli italiani all'estero debbano essere trattati come cittadini di serie B. La cittadinanza è una sola, come ricorda spesso la mia collega Angela Schirò.

Con la riforma, invece, questa situazione verrebbe ulteriormente peggiorata, in modo irreversibile: ogni deputato dovrà rappresentare oltre 700 mila italiani all'estero. La situazione è ancora più drammatica al Senato, dove ogni senatore dovrà rappresentare 1,4 milioni di cittadini. Voi sostenete che il taglio riguarda tutti i parlamentari in maniera indistinta: ma è proprio questo il punto, è ingiusto fare parti uguali tra disuguali. Con la riduzione degli eletti all'estero il rapporto con gli elettori scompare completamente: si creano dei collegi planetari con l'uso della preferenza; per essere eletti serviranno enormi quantità di denaro per sostenere le spese elettorali, un ostacolo alla partecipazione e quindi alla contendibilità delle cariche elette, che è un principio cardine delle democrazie liberali.

Nel caso del Senato, la riduzione da 6 a 4 senatori eletti all'estero produrrà o la necessità di accorpare le due ripartizioni meno popolose, una gigantesca che va dall'America Settentrionale fino all'Oceania e all'Australia; oppure una disproporzione ancora maggiore di quella attuale tra il numero di cittadini italiani residenti e l'entità dei senatori eletti nelle circoscrizioni in cui risiedono. Io per questo motivo chiedo alla maggioranza che venga lasciato invariato il numero di parlamentari eletti all'estero, per evitare di indebolire ulteriormente il legame tra eletti ed elettori.

Con la riforma si riduce la pattuglia parlamentare della circoscrizione Estero a una mera decorazione, che forse a questo punto diventa completamente inutile. La riforma lascia invariato il numero di senatori a vita e il numero di consiglieri regionali durante l'elezione del Presidente della Repubblica: non si capisce perché tale sensibilità non sia stata applicata anche alla circoscrizione Estero.

Collegi enormi, seggi esigui, un rapporto tra eletti ed elettori inesistente, tutti ingredienti che costituiscono un ostacolo enorme all'effettiva pratica del diritto di voto per gli italiani all'estero, un principio sancito dal comma 3 dell'articolo 48 della nostra Costituzione. Le problematiche del voto all'estero vanno risolte riformando il sistema di voto, non indebolendo la rappresentanza italiana all'estero; questa riforma, invece, costituisce una vera umiliazione del loro diritto di rappresentanza.

Questa è una questione antica, non è una cosa nuova, il tema della rappresentanza degli italiani all'estero, già trattata dai padri costituenti. La legge entra in vigore nel 2001, ma la prima proposta di legge fu del 1955, e già all'Assemblea costituente, nel maggio 1947, gli onorevoli Piemonte e Schiavetti proponevano che la Repubblica assicurasse ai cittadini italiani residenti all'estero la possibilità dell'espressione organica della loro volontà e della rappresentanza dei loro interessi, e così argomentavano: perché il diritto di voto possa legare veramente queste masse di italiani al nostro Paese, dovrebbe essere esercitato in forma organica, vi dovrebbero essere rappresentanti delle diverse comunità italiane.

Quindi, fin dal dibattito in Costituente, Presidente, è stato chiaro come si volesse assicurare il diritto di voto agli italiani all'estero, e la ratio appunto della legge del 2001 andava ricercata nella volontà di rendere effettivo il diritto di voto degli italiani all'estero, e si proponeva di assicurare una rappresentanza specifica, genuina, autonoma, con propri rappresentanti politici, possibilmente espressivi delle istanze e degli interessi che si manifestano nelle comunità in cui gli italiani all'estero vivono.

Ma oltre a questo argomento, noi abbiamo un momento storico in cui l'emigrazione sta assumendo livelli altissimi. Stiamo tornando agli anni Settanta, siamo di fonte a una generazione esule, a una generazione, quella dei miei coetanei, con oltre 120-130 mila italiani che lasciano il Paese ogni anno. Quindi, il tema non è solo quello di avere un'equa rappresentanza di una sezione specifica della società italiana, ma, nello spirito dell'articolo 67 della Costituzione, ovvero di una rappresentanza generale della società dove ogni membro del Parlamento rappresenta la nazione intera, è fondamentale per il Paese capire le motivazioni che spingono così tanti giovani, così tante professionalità a lasciare il Paese, al fine di capirne le cause: perché così tanti italiani si vedono costretti a soddisfare le proprie ambizioni o aspirazioni fuori dai confini nazionali.

Insomma, in altre parole, una rappresentanza parlamentare viva ed efficace degli italiani all'estero non è solo nell'interesse di quegli italiani all'estero, ma nell'interesse del Paese intero, è una questione strategica nazionale, perché non è normale un Paese da cui si scappa, è il sintomo che qualcosa non va. E il modo migliore per concentrare l'attenzione della politica e dei legislatori sulla questione è proprio avere uno spazio parlamentare proporzionato all'entità del fenomeno. I rappresentanti degli italiani all'estero sono i canarini nella miniera di una parte dei problemi che affliggono il nostro Paese: disoccupazione giovanile, mancanza di tutele, salari greci e tasse svedesi, nepotismo, solo per citare alcuni fattori che questo Paese deve affrontare.

Data l'enorme entità e la diffusione della comunità italiana all'estero, già i padri costituenti, appunto, avevano discusso dell'opportunità di introdurre questa circoscrizione Estero, che appunto costituisce una vera innovazione a favore della mobilità dei diritti, che non vanno in vacanza e non si fermano alla frontiera, perché si fa parte della comunità dove si risiede - e per questo motivo dobbiamo introdurre al più presto lo ius culturae, per integrare il prima possibile i figli degli immigrati che nascono, studiano e lavorano nel nostro Paese, che sono a tutti gli effetti già italiani de facto - e della comunità di origine, alla quale ci si sente culturalmente legati.

L'Italia è stata all'avanguardia nello strutturare la rappresentanza della propria diaspora, istituendo il Consiglio generale degli italiani all'estero, i Comitati degli italiani all'estero, i Comites, la circoscrizione Estero, e molti Paesi l'hanno imitata prendendo la stessa via. Oggi, nel mondo ci sono tredici Paesi che hanno una circoscrizione Estero; in Europa sono: Francia, Portogallo, Croazia, Romania e Macedonia, e altri ne stanno discutendo l'introduzione, come la Grecia e la Germania.

Sarebbe piuttosto bizzarro che proprio l'Italia, a fronte della sua grande, enorme comunità di italiani all'estero, cominci a ridurla, a comprimerla, andando all'indietro. Forse, è un primo passo di questa maggioranza per poi un giorno eliminare la circoscrizione Estero: dato il peso ridotto, i cittadini si sentiranno ancora meno rappresentati e quindi traditi.

Allora ditecelo, se la maggioranza ha l'intenzione di eliminare la circoscrizione Estero, se questo è il vero disegno finale dietro lo smantellamento della democrazia rappresentativa.

Interrogati su questa questione, gli esponenti della maggioranza, soprattutto del MoVimento 5 Stelle e del MAIE, il Movimento Associativo Italiani all'Estero, ci dicono che con la riforma il peso relativo della rappresentanza parlamentare italiana all'estero crescerà sul totale del Parlamento, ma di un piccolo 0,1 per cento (dall'1,9 al 2 per cento), ignorando i numeri assoluti e ignorando il fatto che rimane un peso relativo tra i più bassi a livello internazionale, ben al di sotto di Francia e Croazia, dove i parlamentari all'estero costituiscono, rispettivamente, il 3,6 e il 3,9 per cento.

I colleghi della maggioranza eletti all'estero non sentono su questo tema nessun bisogno di intervenire (non so cosa leggere nel loro silenzio assordante), e il MAIE, che non ha detto una parola durante l'intero iter parlamentare, è stato assente alle votazioni; nemmeno quando sono in gioco i diritti fondamentali degli italiani all'estero; e voi vi chiamate Movimento Associativo Italiani all'Estero: un ossimoro alquanto interessante.

Noi, cari colleghi, rappresentiamo un contributo e un legame di attaccamento alle nostre istituzioni e di grande e rigoroso impegno e fiducia nel lavoro del Parlamento per chi vive fuori dalla penisola. I nostri connazionali, quelli della prima emigrazione, hanno sentito sulla loro pelle la durezza dell'andare in un Paese straniero senza conoscere la lingua, le tradizioni e i costumi. Del loro Paese hanno serbato e trasmesso la memoria, hanno conquistato passo dopo passo, con fatica e sacrificio, un loro ruolo nella società che li ospitava, hanno sopportato umiliazioni, quelle che i migranti soffrono troppo spesso anche in Italia.

Noi siamo qui per difendere i diritti, la giustizia e le opportunità di tutti, traendo la lezione da quelle italiane e quegli italiani fuori dal nostro Paese e che lo rappresentano quotidianamente. Questo provvedimento è, per quanto detto, assolutamente sbagliato, perché ancora oggi le nostre comunità all'estero ci chiedono coerenza, rappresentanza seria e proporzionata nel costruire spazi di convivenza, nel rafforzare la coesione e nel consentire alle minoranze culturali e religiose di esercitare, nel rispetto delle leggi, i loro diritti.

Non possono esserci cittadini di serie A e di serie B a seconda di dove siano nati o approdati o obbligati ad approdare. È un impegno, certo, che non è ancora una realtà, ma è l'impegno che noi eletti all'estero del Partito Democratico ci assumiamo.

Chi all'estero si è battuto per essere pienamente cittadino del Paese in cui vive, come hanno fatto i nostri connazionali, non può vedere ridotto o negato questo diritto in patria con una rappresentanza ridotta e, quindi, insufficiente (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Baldino. Ne ha facoltà.

VITTORIA BALDINO (M5S). Presidente, il disegno di legge che oggi è in discussione, e che riguarda la modifica degli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione, quindi il taglio drastico del numero dei parlamentari, merita alcune osservazioni, sia in ordine al metodo, come abbiamo sentito anche qui oggi, sia per quanto riguarda la sostanza, ma soprattutto per quanto riguarda gli obiettivi che attraverso questa riforma noi intendiamo seguire.

Queste osservazioni ci danno un po' la misura del cambiamento che intendiamo perseguire, anche per quanto riguarda le riforme costituzionali, un cambiamento che riguarda la forma ma anche la sostanza. Infatti, per quanto riguarda il metodo, proprio poco fa sono stati citati i tentativi di riforma della Costituzione: la grande riforma della Costituzione è stato un tema dibattuto sia nella prima che nella seconda Repubblica, è stato un tema che ha, a tratti, anche monopolizzato il dibattito politico e dottrinale, non ultimo - anzi ultimo - il recente tentativo di riforma della Costituzione fortunatamente respinto dai cittadini il 4 dicembre del 2016, che rifletteva un po' questo approccio a gamba tesa, un intervento di manutenzione straordinaria della nostra Costituzione che però ha sempre visto naufragare questi tentativi.

È per questo che noi, invece, rivendichiamo un metodo diverso, un metodo forse più costruttivo, un metodo, come è stato detto, chirurgico, un intervento puntuale e minuzioso di alcune disposizioni proprio per consentire e garantire sia che il dibattito all'interno della sede parlamentare si svolga in modo puntuale e preciso su singoli istituti sia per consentire poi, eventualmente, ai cittadini di potersi esprimere in modo affermativo o negativo su un singolo istituto e non su un mare magnum di disposizioni, alcune delle quali magari potrebbero essere condivisibili altre invece abbastanza divisive, come abbiamo visto il 4 dicembre del 2016.

Quindi, questo è l'approccio, il metodo. Però, fatta questa premessa, andiamo a vedere come vogliamo ridurre i parlamentari. In origine - è stato anche ribadito dalla nostra relatrice - la Costituzione, come scritta dai padri costituenti, non prevedeva un numero fisso di parlamentari. Soltanto con una legge costituzionale del 1963 è stato introdotto un numero fisso di parlamentari che prevede l'attuale formula, ossia 630 deputati e 315 senatori, mentre, nel caso di approvazione del testo oggi in discussione, ci sarebbe una riduzione drastica, del 36,5 per cento, degli attuali componenti elettivi, cioè si passerebbe dagli attuali 945 a un totale di 600 parlamentari e quindi, di conseguenza, cambierebbe il numero medio di abitanti per ciascun parlamentare eletto: per la Camera questo rapporto aumenta da 96.000 a 151.000; per il Senato aumenta da 188.000 a 302.000. Possiamo dire che questa riduzione ci consente di porci in linea con i più avanzati modelli di democrazia occidentale. Tuttavia, abbiamo ascoltato anche adesso in quest'Aula che non sono mancate ovviamente le critiche da parte delle opposizioni alla proposta di legge perché si ritiene che, attraverso il combinato disposto dell'introduzione di strumenti di democrazia diretta e attraverso il taglio del numero dei parlamentari, si possa in qualche modo indebolire il nostro sistema democratico. Noi, invece, riteniamo che la crisi, il discredito del nostro sistema, della democrazia rappresentativa, vadano ricercati in altri motivi; che abbia sicuramente altra natura, altre origini e certamente uno dei motivi è questa distanza abissale che viene percepita dai cittadini rispetto alle istituzioni. Quindi noi vogliamo intervenire proprio su questo: vogliamo ricucire il rapporto tra cittadini ed istituzioni. Non si tratta soltanto di un discorso di risparmio, come è stato detto, gli obiettivi che noi ci poniamo attraverso la riforma sono molteplici. Certamente il risparmio è uno degli obiettivi, perché andremmo ad abbattere i costi e a risparmiare circa mezzo miliardo di euro a legislatura soltanto con questa riforma. Poi ad essa se ne accompagnano altre, che sono state pure citate dalla collega poc'anzi, come il taglio dei vitalizi. Noi vogliamo arrivare anche ad una proposta di legge che tagli, che abbatta anche gli stipendi dei parlamentari proprio per avvicinare le istituzioni, per avvicinare la classe politica ai cittadini.

Cosa diversa rispetto a tali critiche sono, invece, i suggerimenti che ci sono pervenuti dai costituzionalisti ma anche dalle opposizioni e che pure noi avevamo valutato, come, ad esempio, l'adeguamento sia della legge elettorale sia dei Regolamenti interni al nuovo assetto istituzionale che si verrebbe a creare, e penso anche all'abbassamento dell'elettorato attivo per quanto riguarda il Senato della Repubblica: per questo intendiamo depositare una proposta di legge ad hoc.

PRESIDENTE. Intende continuare, onorevole Baldino, perché il suo gruppo mi aveva riferito che il suo intervento sarebbe durato cinque minuti?

VITTORIA BALDINO (M5S). Sì, mi avvio a conclusione, Presidente, grazie.

PRESIDENTE. Prego.

VITTORIA BALDINO (M5S). In conclusione, quindi ridurre i costi della politica, ridurre i privilegi è un'esigenza che arriva forte dal Paese: soltanto attraverso interventi di questo tipo, insieme, parallelamente, ad interventi che mirano, invece, a migliorare la qualità della vita dei cittadini si può ricucire questo rapporto tra cittadini e istituzioni. Ed è proprio questo il nostro obiettivo: per noi, Presidente, questa è una missione a termine. Noi vogliamo ritornare nella società civile quando questa esperienza finirà e ritrovare un Paese migliore rispetto a quello che abbiamo lasciato, un Paese dove sicuramente i nostri rappresentanti abbiamo un'autorevolezza, una qualità migliore, siano onorevoli e onorati di rappresentare degnamente il nostro Paese (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Baldelli. Ne ha facoltà.

SIMONE BALDELLI (FI). Grazie, Presidente Carfagna.

Parto dalla considerazione che ha svolto, in conclusione del suo intervento, la collega Baldino, con la premessa che il mio è un intervento a titolo personale e che l'intervento, a nome del gruppo, è stato già svolto dalla collega Tripodi. Io sono onorato di sedere in questo ramo del Parlamento e sono anche onorevole, ma non in quanto persona, in quanto la funzione che io svolgo è una funzione onorevole ed è il motivo per cui per cinque anni, dallo scranno in cui lei oggi siede, Presidente Carfagna, ho chiamato i colleghi, quando gli davo la parola, “onorevole”, “onorevole”, “onorevole”, non tanto per una questione di formalismo, che lascia il tempo che trova, quanto per ricordare a ciascuno di coloro ai quali ho dato la parola che la funzione che egli ricopre in quest'Aula è una funzione onorevole. E quindi non credo che ci sia bisogno delle riforme del MoVimento 5 Stelle o dell'attuale maggioranza per dare alla funzione onorevole di rappresentante del popolo il titolo e il contenuto di una funzione onorevole.

Vede, Presidente Carfagna, vede, Ministro Fraccaro, vedete, pochi colleghi che siete in questo ramo del Parlamento oggi, in questa seduta così scarsamente popolata che diciamo dà la cifra del clima costituente con il quale ci si approccia a una questione così importante, noi abbiamo iniziato la seduta con alcuni interventi sull'ordine dei lavori, svolti da alcuni colleghi di altri gruppi, su un'intervista di un sottosegretario, deputato di questo ramo del Parlamento, alla funzione pubblica, che ciarla di impronte digitali dei parlamentari toccando un argomento che probabilmente conosce fino a un certo punto ma soprattutto facendolo con quella arroganza, con quella supponenza, con quella demagogia e anche con quella assenza di educazione istituzionale - mi piacerebbe che il Ministro Fraccaro ne prendesse atto - che dovrebbe invece imporre a un componente del Governo la consapevolezza, specie se eletto in un ramo del Parlamento, che le questioni che riguardano le prerogative, lo status, la funzione dei parlamentari non vengono gestite dai responsabili del Governo, non vengono gestite dai componenti del Governo, non vengono portate avanti dai responsabili del Governo, ma ci sono degli organi – l'Ufficio di Presidenza della Camera e il Consiglio di Presidenza del Senato – che hanno tali prerogative e che sono rappresentati dai Presidenti di Camera e Senato. Ma tutto questo non tanto per puntualizzare su una delle migliaia di interviste che chiunque è libero di fare, ma che lasciano il tempo che trovano, e anche volendo soprassedere sulla solita vicenda delle vacanze dei parlamentari in qualsivoglia periodo in cui si vanno a sommare due o più festività, sulla quale - l'ho fatto già pubblicamente - anche in questa occasione voglio ringraziare il Presidente Fico per aver giustamente difeso il lavoro del Parlamento e la verità, tanto è vero che oggi, in un periodo in cui normalmente, secondo i giornali - forse è un termine grosso - ma insomma secondo certa carta stampata che crede di dare notizie, oggi noi saremmo in vacanza e questa è la nostra vacanza, mentre il Presidente Fico giustamente ha fatto presente che la Camera era convocata e tutto il resto. Insomma, ecco in qualche modo, nel paradosso di una legge del contrappasso che ogni tanto porta i suoi frutti cioè che proprio l'esponente della Presidenza del MoVimento 5 Stelle di fronte ad una demagogia antipolitica, antistituzionale di stampo puramente grillino, sia costretto giustamente - lo ripeto e per questo lo ringrazio - a difendere l'istituzione, in questo quadro analizziamo un provvedimento di riduzione del numero dei parlamentari. Condivido il 99,9 per cento delle parole che ha pronunciato poc'anzi la mia collega, Maria Tripodi, quando ha detto che Forza Italia ha sostenuto la riduzione del numero dei parlamentari ma lo ha fatto, come è giusto che lo si faccia, nell'ambito di un quadro d'insieme che comporta una revisione dell'assetto della funzione, se del caso della forma di Governo, dell'elettorato attivo e passivo, del superamento del bicameralismo paritario, cioè in un quadro di insieme in cui si fa una riforma vera della Costituzione e, all'interno di questa, la riduzione del numero dei parlamentari è uno degli elementi, un elemento accessorio. Si è anche fatto riferimento al fatto che dagli anni Ottanta si dibatte del tema.

Ora, come dire, io non sono un'autorità in materia rispetto a tanti colleghi che sia a livello accademico come il professor Ceccanti o anche a livello più pratico e di esperienza come l'onorevole Calderisi possono pronunciarsi su temi così importanti. Io sono un povero professore a contratto di un'università telematica per cui non pesa questo, ma pesa l'esperienza sul campo. Ecco, io credo che quella che è stata sottolineata come la principale barriera alla presentazione di emendamenti, cioè il fatto che - si è utilizzato questo termine: chirurgicamente - si vada ad intervenire soltanto sulla riduzione del numero dei parlamentari e questo abbia impedito l'ammissibilità di una quantità di emendamenti su cui pure ci sarebbe qualcosa da dire, in relazione all'elettorato attivo e passivo, in relazione alla composizione, in relazione al meccanismo magari elettivo, in relazione a tante cose che riguardano il funzionamento delle Camere, al superamento del bicameralismo paritario, eccetera; ecco, proprio quella “chirurgicità”, proprio quella specifica circoscrizione del tema è, in realtà, il suo maggior limite; cioè, qui non si fa la riduzione del numero dei parlamentari in un contesto più ampio dove si passa a… che ne so? Al presidenzialismo; io lo firmerei subito un provvedimento di legge sul presidenzialismo, l'elezione diretta del capo dello Stato, oppure l'elezione diretta del Premier; chi si è riempito per anni la bocca dei Premier delegittimati oggi ha preso un signore che faceva l'avvocato, gli sta facendo fare il Premier; e, tra l'altro, gli viene anche meglio di tanti altri che invece fanno i ministri e sono stati anche eletti, per cui, per carità di Dio, però è la demagogia insopportabile a cui abbiamo dovuto assistere per anni stride con questo dato di fatto. Allora, prendete una riforma pura e semplice che è la riduzione del numero dei parlamentari, lo avete ricordato, io ve l'avevo già detto qualche tempo fa: i nostri costituenti si erano basati su un concetto di rappresentanza. Allora, io credo che qui poi salta tutto, ma si sta cercando, in un quadro di insieme in cui le regole nel nostro sistema sono a rischio, e anche tra virgolette la democrazia, quando qualcuno dice la nostra democrazia è a rischio io non credo che dica qualcosa di completamente sbagliato, quando si confondono i ruoli elettivi con le poltrone, quando si cambia quel linguaggio, eh insomma quando si parla soltanto dei costi, come se la democrazia fosse un costo, ecco allora si capisce che la logica che ispira tutto questo non è una logica di miglioramento del sistema; io sento delle balle colossali, perdonatemi, delle assurdità raccontate spesso e volentieri dai colleghi del Movimento 5 Stelle. Ma vi sembra normale sostenere, in quest'Aula, che la riduzione del numero dei parlamentari porta a una maggior selezione della classe dirigente? Detto poi da voi. Non lo so se c'è un minimo di buon senso, di autocoscienza? Gente che si permette di fare interviste in cui si lamenta che i parlamentari sono eletti senza le preferenze, e loro sono eletti senza le preferenze perché sono eletti con la legge che c'è, non è che c'è una legge alternativa che ci possa far eleggere diversamente dalla legge in vigore. Allora ecco tutto questo, secondo me, è molto pericoloso ed è il motivo per cui, pur avendo le stesse considerazioni e pur condividendo le considerazioni che il mio gruppo svolge, io probabilmente avrò una conseguenza diversa al momento del voto, perché io credo che la disarticolazione, pezzo per pezzo, del nostro sistema istituzionale, abbinata a una demagogia che frolla tutto, dal ruolo e la funzione dei parlamentari… Il fondatore del Movimento 5 Stelle è uno che non fa mistero, magari anche usando il paradosso di uno che fa satira - e chi più di me lo capisce? - di cominciare a dire che i parlamentari devono essere sorteggiati e, come dire, ho come la sensazione che la sua base, il suo elettorato condividano molto di quello che lui dice. Quando fate i meme sui social e scrivete, quando fate la proposta di legge sul referendum propositivo, che si potranno fare le leggi senza i politici, voi quella roba ce l'avete in mente. Allora, in tutto questo, con questo concetto di democrazia messo nelle mani dei due partiti, uno tra l'altro controllato da una piattaforma che non si capisce come funziona, ma che non viene considerata sicura, guidata da un'associazione il cui presidente è nominato a vita, con due dei quattro soci fondatori che lavorano per il Governo, a cui tutti i parlamentari del Movimento 5 Stelle versano 300 euro al mese, anche se poi qualcuno forse non li versa, non s'è capito, ma mi interessa poco. Insomma, di fronte a tutto questo, noi andiamo a fare la riduzione del numero dei parlamentari, così, senza collegarla a una qualsivoglia riforma o a un concetto di discussione più ampia. Allora, io credo che tutto questo, come dire, per uno con la mia coscienza, fa suonare un campanello d'allarme e mi fa dire: occhio, perché probabilmente qui c'è qualcosa, nel nostro processo democratico, che esattamente non funziona. Siccome, poi, tutti quelli che sono intervenuti e che probabilmente voteranno questa norma hanno tutti fatto presente rilievi tipo questo, probabilmente qualcuno qualche domanda se la dovrebbe porre.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Pollastrini. Ne ha facoltà.

BARBARA POLLASTRINI (PD). Grazie signora Presidente, signor Ministro. La relazione di minoranza esposta dall'onorevole Migliore e gli interventi dei colleghi Ceccanti e Ungaro hanno già delineato in modo compiuto il senso delle nostre critiche. Come loro, anch'io sento il dovere di lasciare agli atti di questo dibattito generale un giudizio severo sul merito e il senso della proposta in esame, a cui aggiungo - sono sincera - il grande rammarico per il muro che la maggioranza e il Governo hanno eretto, prima al Senato e poi in Commissione, contro ogni possibilità di reale confronto. Insomma, colleghe e colleghi, parlo di una valutazione d'insieme, perché è vero che il disegno di legge in esame si compone di soli tre articoli e si concentra unicamente sulla riduzione del numero dei parlamentari, ma è altrettanto vero che questo testo è parte di un combinato di misure comprensive di un referendum propositivo, approvato in prima lettura alla Camera, senza l'accoglimento di garanzie utili all'equilibrio tra la fonte legislativa primaria - il Parlamento - e il riconoscimento della partecipazione diretta, ed è unito alla legge elettorale ad hoc che discuteremo tra poco. In poche parole, io penso che voi agiate con una volontà, nella sostanza, quella di privilegiare lo svuotamento della democrazia parlamentare e rappresentativa. Con il testo in discussione la maggioranza e il Governo operano una cesura, un taglio, senza cura di motivare in profondità le eventuali ragioni, se non il bisogno di occupare social, talk, con l'argomento di avere ridotto i costi e tagliato le poltrone ai politici. Piegate, cioè, la Costituzione a un'azione di propaganda che incentiva la disistima verso gli eletti nelle istituzioni, pensando di raccogliere così una quota di consenso nelle urne. Costruite uno scambio tanto artificioso quanto sconsiderato tra i politici, intesi come dannosi, chiunque essi siano, e gli istituti posti dalla Costituzione a suggello e garanzia del nostro ordinamento democratico.

Ora, a parte che nello scorrere delle cronache più recenti e in quelle di questi mesi l'impressione è che i più incollati alle cariche, alle poltrone e al potere siate proprio voi (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico), ma il punto è che dietro i numeri - attenzione, attenzione! -, non dei politici ma della composizione del Parlamento, vi sono le funzioni, la rappresentanza dei territori, degli italiani all'estero (come ricordava il collega Ungaro), le garanzie di una democrazia fondata su un rigoroso equilibrio di poteri, come per l'elezione del Presidente della Repubblica. Noi, colleghe e colleghi, non siamo - lo voglio sottolineare due volte -, non siamo, non siamo contrari a una riduzione motivata del numero dei parlamentari, né abbiamo rimosso il risultato severo del referendum del 4 dicembre 2016. Con umiltà ci interroghiamo ancora sui limiti e gli errori che noi stessi possiamo aver compiuto nel trattare la materia costituzionale in passato, ma non per questo, colleghe e colleghi, signor Ministro, rinunciamo a innovazioni della seconda parte della Carta, se lo scopo è rafforzare la democrazia, piuttosto acciaccata, qui, nel nostro Paese e in Europa!

Vi sfidiamo, dunque, sul terreno precisamente opposto e vi addebitiamo non già un eccesso di radicalità, bensì un eccesso di banalità. Volete discutere seriamente, Governo e maggioranza, della riduzione del numero dei parlamentari? Siamo pronti a discutere del superamento del Senato, vi faceva riferimento l'onorevole Ceccanti poc'anzi, il che determinerebbe in sé una riduzione più marcata dei parlamentari, ma non con quella cesoia che interviene a casaccio. La nostra proposta vorrebbe dire avere davvero una sola Camera che esprime la fiducia al Governo ed evitare alcune navette di leggi molto condivise, navette che finiscono per ritardare la risposta ai bisogni dei cittadini.

Certo, tutto questo con la contestualità di innalzare funzioni e poteri della Conferenza Stato-regioni-città, magari in un ridisegno delle regioni e superandone alcune specialità. E questo nel rilancio di un'autonomia regionale che state rallentando, un'autonomia che si armonizzi, però, con il riconoscimento delle città metropolitane e della funzione dei comuni; un'autonomia e uno spirito federalista, che per nessun motivo - lo voglio ripetere, per nessun motivo - si traducano nella rottura dei vincoli fondanti l'unità del Paese, un Paese mai come oggi diviso, a partire dalle erogazioni di servizi universali, scuola e sanità pubbliche, col traguardo di una qualità eguale per tutti i cittadini, dal Trentino alla Sicilia.

Ieri, abbiamo assistito a un'altra tappa del duello infinito tra i Vice Premier, un duello pericoloso per l'Italia, ma, mi sia consentito dire, stucchevole. Ieri, quel duello ha avuto come oggetto le province, domani chissà, e intanto tutto finisce nel pantano del rinvio.

Rimuovere i problemi non è possibile, non lo faremo noi e noi siamo per un tagliando anche sul tema delle province, ma non certo, come dice la Lega, riportare tutto all'antica maniera, come se intanto nulla fosse accaduto.

Ma vedete, signora Presidente, tutto questo mi riporta ad un tema: il Ministro Fraccaro, che ringrazio per la sua presenza, a partire dalla sua relazione in Commissione I, ha sostenuto la scelta di affrontare le riforme per capitoli. Non abbiamo, come gruppo del Partito Democratico, alzato steccati. Io non avevo una contrarietà a priori. Chiedevamo, però, fin dall'inizio, con grande serietà e spirito collaborativo: in quale cornice quelle riforme? Per quale traguardo di insieme? Per rafforzare o meno la democrazia, la partecipazione, l'autorevolezza delle istituzioni? Ma così non è stato, perché i tasselli che state proponendo producono non un mosaico armonioso, ma un puzzle incoerente e pasticciato.

E, allora, vorrei dirlo con altre parole: noi non siamo contrari alla potatura degli alberi, ma una buona potatura sa scegliere quali rami tagliare; se, invece, la potatura si risolve nell'abbattere il tronco, allora molto banalmente la pianta muore.

Nella stessa logica voi, con l'andamento piuttosto scombinato delle vostre riforme, non state potando questo o quel ramo malato, voi state segando il tronco della democrazia, che è il patrimonio più alto - e lo sappiamo - che abbiamo ereditato dalle madri e dai padri costituenti. Lo ricordo a tutti noi, proprio a tutti noi, a pochi giorni da quel 25 aprile che segna la data della liberazione dalla dittatura fascista e dal male assoluto del nazismo. Spiace doverlo dire in quest'Aula, carica di solennità di quella storia, perché quest'Aula rimane e rimarrà carica di solennità di quella storia, ma siete riusciti a dividervi anche sulla data fondamentale per la vostra stessa libertà di oggi.

Allora, la domanda è: per quanto tempo pensate ancora di trascinare questa agonia? Lo dico in particolare alle colleghe e ai colleghi 5 Stelle: per quanto tempo ancora pensate di fare convivere gli appelli doverosi alla memoria e l'attualità dell'antifascismo con chi quei valori denigra e calpesta? Davvero credete che il solo richiamo del potere e un contratto privato bastino a giustificare questa ambiguità? Noi vi chiediamo se almeno sulle istituzioni voi ora - voi ora! - non sentiate il dovere di deporre le armi della propaganda, per affrontare con le forze e le culture presenti in questo Parlamento un confronto più rispettoso e sereno.

Già lo anticipavo, purtroppo in Commissione, e prima al Senato, avete eretto muri innanzi alle opposizioni; la nostra e altri gruppi come LEU non hanno praticato ostruzionismo: una cinquantina di emendamenti, lo voglio dire alle colleghe e ai colleghi che non erano della Commissione, una cinquantina di emendamenti; ma vi ricordate i 500 mila di Calderoli, ve li ricordate i 500 mila di Calderoli (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico)?

Perché allora, signor Ministro, e mi rivolgo al presidente della Commissione, quella decisione assurda e grave di dichiarare inammissibili emendamenti di merito, privando il principale gruppo di opposizione anche solo del diritto di esporre e votare, magari per essere bocciate, le proprie proposte di modifica? Persino la proposta di equiparare le due Camere sul voto dei diciottenni, perché?

Se fosse presente, mi rivolgerei direttamente al Presidente della Camera, signora Presidente, a cui avevamo indirizzato una lettera che poteva indurre a una pausa di meditazione; col rispetto dovuto gli rammenterei che il concetto di democrazia diretta non significa “decido direttamente io” o “decidiamo direttamente solo noi” (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico). Quel concetto per me esprime un significato diverso e più alto, significato che, nelle forme e nei limiti previsti dalla Costituzione, noi continueremo a difendere e promuovere.

Signora Presidente, per suo tramite mi rivolgo alla maggioranza e al Governo, signor Ministro, lei che è qui: scegliete, dunque, se stravolgere l'equilibrio costituzionale con una riforma pasticciata oppure se coltivare la via, per quanto adesso sia strettissima, di un passo diverso.

Noi siamo ancora, per formazione e cultura, disposti a incamminarci su quel sentiero. Non ci appartiene, non ci è mai appartenuto il sentimento del “tanto peggio, tanto meglio” e tanto meno ci appartiene un sentimento di rivalsa. Diteci se siete in grado di uscire dal guscio delle vostre certezze e dal rito dei vostri tweet. La democrazia è dialogo, capacità di vedere la quota di verità che è nell'altro o nell'altra, è presidio di chi ha più bisogno di diritti umani, è rifiuto di omologazioni, è lontananza da ogni autoritarismo. Noi lo abbiamo appreso da chi è venuto prima di noi, da chi per la democrazia ha sacrificato tutto, da chi ha saputo dialogare nei momenti più duri della storia di questa Repubblica. Se mi è concesso dirlo, curate di non dimenticarvene mai, mai, e tentate di riaprire uno spiraglio, se ci riuscite (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - A.C. 1585)

PRESIDENTE. Passiamo quindi alle repliche. Non vedo in Aula l'onorevole Migliore e l'onorevole Magi, chiedo quindi alla relatrice per la maggioranza, onorevole Macina, se intende replicare.

ANNA MACINA , Relatrice per la maggioranza. Grazie Presidente, solo per ringraziare tutti coloro che sono intervenuti e mi riservo poi di intervenire nel prosieguo dei lavori dell'Aula.

PRESIDENTE. Chiedo all'altro relatore per la maggioranza, l'onorevole Iezzi, se intenda replicare. Prendo atto che non intende replicare e il Governo neanche.

Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Sospendo brevemente la seduta, che riprenderà alle ore 13,20.

La seduta, sospesa alle 13,10, è ripresa alle 13,20.

Discussione della proposta di legge: S. 881 - D'iniziativa dei senatori: Perilli ed altri: Disposizioni per assicurare l'applicabilità delle leggi elettorali indipendentemente dal numero dei parlamentari (Approvata dal Senato) (A.C. 1616).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge, già approvata dal Senato, n. 1616: Disposizioni per assicurare l'applicabilità delle leggi elettorali indipendentemente dal numero dei parlamentari.

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi per la discussione sulle linee generali è pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta del 18 aprile 2019 (Vedi l'allegato A della seduta del 18 aprile 2019).

(Discussione sulle linee generali – A.C. 1616)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari MoVimento 5 Stelle e Partito Democratico ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.

Avverto, altresì, che la I Commissione (Affari costituzionali) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire il relatore per la maggioranza, onorevole Giuseppe D'Ambrosio.

GIUSEPPE D'AMBROSIO, Relatore per la maggioranza. Presidente, oggi si avvia all'esame dell'Aula questo progetto di legge già approvato in prima lettura al Senato e approvato dalla I Commissione in sede referente il 18 aprile 2019.

Nel corso dei lavori parlamentari in sede referente è stata svolta un'indagine conoscitiva deliberata dalla Commissione medesima nell'ambito dell'esame della proposta di legge sulla riduzione del numero dei parlamentari e su quelli che sono i relativi adeguamenti della legge elettorale, durante la quale sono stati auditi esperti e studiosi della materia.

Con riferimento alla proposta di legge in esame, erano state formulate alcune richieste di abbinamento di altre proposte di legge vertenti su altri aspetti della disciplina elettorale, ulteriori rispetto a quello che, però, è l'oggetto del provvedimento, successivamente poi, appunto, non confermate dai gruppi dell'opposizione.

Analogamente all'esame delle proposte di legge costituzionale sulla riduzione del numero dei parlamentari, non è stato, quindi, ampliato l'ambito materiale dell'intervento legislativo, che è rimasto circoscritto alla sola materia oggetto della proposta di legge in esame.

Le modifiche proposte, infatti, non incidono direttamente sulla configurazione del vigente sistema elettorale, ma sono semplicemente volte a determinare il numero dei seggi da attribuire nei collegi uninominali e nei collegi plurinominali sulla base di un semplice rapporto frazionario, la cui applicazione restituisce gli stessi numeri attualmente fissati.

L'obiettivo della proposta di legge in esame è quello di rendere neutra rispetto al numero dei parlamentari fissato in Costituzione la normativa elettorale per le Camere. Si tratta, cioè, di ritornare alla tradizionale impostazione in base alla quale tale disciplina sia sempre applicabile a prescindere dal numero dei parlamentari.

In base allo schema proposto, eventuali modifiche del numero dei deputati e dei senatori stabilito dagli articoli 56 e 57 della Costituzione non richiederanno specifici interventi di armonizzazione della normativa elettorale. In mancanza di un tale intervento, la riduzione del numero dei parlamentari potrebbe, infatti, causare problemi proprio al funzionamento del sistema elettorale. Occorre, pertanto, fare in modo che, in caso di approvazione di una riforma costituzionale di modifica della composizione numerica delle Camere, non siano necessari interventi sulla legge elettorale, e che quindi, anche in assenza di una specifica normativa di adeguamento, il sistema elettorale risulti sempre funzionante.

In questo modo, riusciamo a garantire che il Parlamento sia in ogni momento rinnovabile, e dunque che il potere del Presidente della Repubblica dello scioglimento delle Camere non sia mai paralizzato, come purtroppo è già accaduto, da un eventuale vuoto legislativo in materia elettorale.

Si rammenta, infatti, in proposito, che il riferimento al numero dei seggi e dei collegi è stato introdotto nei testi unici in materia elettorale per le elezioni di entrambe le Camere solo con la legge n. 165 del 2017, mentre precedentemente la legislazione elettorale recava meccanismi applicabili indipendentemente dal numero dei parlamentari.

In particolare, il cosiddetto Mattarellum, nell'introdurre la quota dei seggi da attribuire nei collegi uninominali e quella da attribuire con metodo proporzionale, faceva riferimento ad una percentuale o ad un rapporto sul totale dei seggi, rispettivamente 75 e 25 per cento del numero totale dei deputati e tre quarti e un quarto dei senatori di ciascuna regione, destinato, quindi, a consentire, indipendentemente da quello che è il sistema elettorale, il funzionamento della legge elettorale stessa.

Pertanto, con questa proposta di legge in esame si intende tornare ad una impostazione che preveda, in luogo di un numero fisso di seggi uninominali, l'indicazione di una frazione del numero totale dei deputati e dei senatori. Riteniamo che tale meccanismo possa rappresentare la soluzione ottimale affinché la legge elettorale divenga flessibile rispetto alla variabile del numero dei parlamentari fissato in Costituzione.

Con la proposta di legge in esame si procede, quindi, attraverso la tecnica della proposta legislativa, a sostituire ogni indicazione numerica relativa ai collegi uninominali delle circoscrizioni con il riferimento ad una frazione del numero totale dei deputati e dei senatori, conservando le disposizioni vigenti per ogni altro aspetto e riducendo al minimo gli interventi normativi.

Gli interventi normativi operati mantengono inalterato, come dicevo prima, il sistema elettorale vigente di tipo misto, conservando le percentuali, quindi, della quota sia maggioritaria che proporzionale. Per le circoscrizioni per le quali la legge vigente indica esplicitamente uno specifico numero di collegi uninominali, e quindi il Trentino-Alto Adige, la Valle d'Aosta e il Molise, nell'intervento normativo proposto la cifra relativa al numero dei seggi è sostituita da un rapporto con il totale dei seggi assegnati alla circoscrizione dalla cui applicazione risultino dati numerici che, in mancanza della variazione costituzionale del numero dei parlamentari, sono identici a quelli attualmente stabiliti, mentre, in presenza di una variazione del numero dei parlamentari, risultano proporzionalmente ridotti, tranne che per la regione Trentino-Alto Adige al Senato.

Le modifiche che si propongono alla normativa elettorale non solo assicurano la neutralità del meccanismo elettorale rispetto al quadro normativo vigente, ma ne garantiscono altresì l'applicabilità e il corretto funzionamento anche nell'ipotesi di riduzione del numero dei parlamentari qualunque sia la variazione degli stessi.

Nel caso di approvazione definitiva della citata proposta di legge costituzionale, che modifica il numero dei parlamentari in 400 deputati e 200 senatori elettivi, questa proposta garantisce il mantenimento della medesima riduzione, e cioè del 36,5 per cento, applicata sia ai parlamentari che ai senatori, anche ai riferimenti numerici relativi contenuti nella normativa elettorale.

Tale percentuale di riduzione non vale per il Trentino-Alto Adige al Senato, dove, con l'eventuale riduzione del numero dei parlamentari, la regione manterrebbe i sei collegi, essendo assegnati con la nuova previsione costituzionale in itinere tre seggi per ciascuna delle due province autonome.

In base al nuovo meccanismo introdotto dalla proposta di legge in esame alla Camera dei Deputati, il numero di 231, identificativo dei collegi uninominali su tutto il territorio nazionale, con l'esclusione del collegio della Valle d'Aosta, è sostituito con il riferimento al rapporto di tre ottavi del totale dei seggi riconosciuti dalla Costituzione alle circoscrizioni nazionali, con arrotondamento all'unità inferiore.

L'esclusione della circoscrizione Valle d'Aosta deriva dall'interpretazione unanime data finora dalla clausola “fermo restando”, ai sensi del disposto di cui all'articolo 1, comma 2, del DPR del 30 marzo del 1957, n. 361, che indica in 231 i collegi uninominali nazionali, salvi i seggi della circoscrizione Estero e fermo restando il collegio della Valle d'Aosta di cui all'articolo 2 del citato testo unico. L'applicazione del richiamato meccanismo produce esiti assolutamente, quindi, corrispondenti al numero di 231 collegi uninominali fissato dalla normativa vigente.

Analogamente, le modifiche operate al decreto legislativo del 20 dicembre 1993, n. 533, mantengono anche inalterato lo stesso discorso per il Senato, in cui il sistema elettorale vigente, sostituendo alla somma del seggio uninominale della Valle d'Aosta con i sei seggi del Trentino-Alto Adige e con gli altri 109 collegi uninominali, il rapporto dei tre ottavi del totale dei seggi da eleggere nelle circoscrizioni nazionali, con un arrotondamento all'unità più prossima, assicurando in ogni caso un collegio uninominale per ogni circoscrizione regionale.

In effetti, il numero dei seggi uninominali attuali, pari a 116, corrisponde ai tre ottavi del numero totale dei seggi attribuiti alle circoscrizioni regionali, compresi la Valle d'Aosta e il Trentino-Alto Adige.

Con riferimento alla regione Trentino-Alto Adige, la proposta di legge in esame fissa il numero dei collegi uninominali per la Camera nella metà del totale dei seggi assegnati alla medesima regione, con arrotondamento all'unità pari superiore, corrispondente al numero di sei collegi uninominali sul totale degli undici che spettano alla regione in base all'attuale numero dei deputati.

Per il Senato, a seguito del dibattito parlamentare ed anche in ossequio a quelle che sono le richieste dei rappresentanti delle minoranze linguistiche, nella regione Trentino-Alto Adige rimangono costituiti i sei collegi uninominali definiti ai sensi della legge n. 422 del 1991, ovvero un numero di collegi uninominali individuato nel numero pari più alto nel limite dei seggi assegnati alla regione.

Si ricorda al riguardo che, in base al quadro normativo vigente, al Trentino-Alto Adige spettano sette seggi; pertanto, il numero più alto nel limite dei seggi assegnati alla regione equivarrebbe proprio a sei collegi uninominali. Qualora fosse approvata in via definitiva la proposta di legge costituzionale di riduzione del numero dei parlamentari, a tale regione spetterebbero comunque sei seggi, tre per ciascuna provincia autonoma.

Tale disposizione garantisce l'attuazione anche della misura 111 del pacchetto a favore della popolazione altoatesina per le elezioni del Senato della Repubblica, che prevede l'assegnazione a ciascuna delle province autonome di un numero uguale di seggi, e dunque presuppone un numero complessivo di seggi pari. Il criterio della parità, inoltre, viene applicato quindi anche alla Camera dei deputati.

Per quanto riguarda invece il Molise, cui attualmente la normativa vigente attribuisce esplicitamente due collegi uninominali, tale regione mantiene i medesimi collegi anche sulla base della presente proposta di legge, rientrando nella previsione in base alla quale le circoscrizioni cui sono assegnati tre deputati sono ripartite appunto in due collegi uninominali. Nel testo si prevede inoltre che le circoscrizioni che eleggono due deputati sono costituite in un collegio uninominale, e ciò nell'eventualità che l'ipotesi possa configurarsi e cioè quella riduzione del numero dei deputati.

Analogo meccanismo è stato altresì applicato alle disposizioni riguardanti i requisiti per l'ammissione al riparto dei seggi delle liste rappresentative delle minoranze linguistiche riconosciute, per cui sia alla Camera che al Senato la previsione delle elezioni del numero di due candidati in collegi uninominali è stata sostituita con il riferimento al rapporto di un quarto dei collegi uninominali della circoscrizione, con arrotondamento logicamente all'unità superiore. In questo modo, a numero di parlamentari invariato, resta fermo il numero dei due collegi vinti necessari al riparto.

L'eventuale approvazione definitiva del citato disegno di legge di riforma costituzionale di riduzione del numero dei parlamentari troverebbe a questo punto invece immediata applicazione, in quanto il meccanismo introdotto nella presente proposta di legge opererebbe automaticamente.

La proposta di legge infine, Presidente, conferisce al Governo anche una delega avente ad oggetto la determinazione dei collegi uninominali e dei collegi plurinominali, da esercitarsi solo qualora nel termine di 24 mesi dall'entrata in vigore della presente legge sia intervenuta una modifica costituzionale appunto di riduzione del numero dei componenti sia della Camera che del Senato. Tale delega dev'essere esercitata nel termine di sessanta giorni dall'entrata in vigore della medesima legge costituzionale, sulla base di quelli che erano i principi e i criteri direttivi che richiamano e sono richiamati integralmente proprio nell'attuale legge elettorale vigente, e cioè la numero n. 165 del 2017. Per le elezioni sia della Camera dei deputati che del Senato le rispettive lettere a) dei commi 1 e 2 dell'articolo 3 di tale legge, sono però adattate alla variabilità del numero dei collegi uninominali anche nelle regioni dove nel testo attuale sono invece stabiliti in numero fisso. In particolare, ai fini dell'individuazione del numero dei collegi uninominali e plurinominali sia alla Camera che al Senato, le modifiche proposte rinviano al dato risultante dall'applicazione dell'articolo 1, comma 2, dei rispettivi testi unici in materia elettorale. Anche sotto il profilo procedurale la delega rinvia appunto sempre alla stessa attuale legge elettorale.

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il relatore di minoranza, onorevole Ungaro.

MASSIMO UNGARO, Relatore di minoranza. Presidente, colleghi, siamo chiari fin dall'inizio: contrariamente a quanto sostenuto dalla maggioranza questo non è un provvedimento meramente tecnico, ma ha una chiara valenza politica e sostanziale. Con questo provvedimento si vuole rendere applicabile la legge elettorale indipendentemente dal numero di parlamentari: un provvedimento appunto collegato alla proposta di riforma costituzionale che abbiamo appena esaminato in discussione generale qualche minuto fa. Sarebbe riduttivo e sbagliato giudicare questo provvedimento come meramente tecnico, come qualche membro della maggioranza ha provato a fare, perché si celano dietro questo provvedimento chiare scelte politiche in grado di produrre effetti negativi per la nostra democrazia e la sua rappresentanza, in particolare sulle caratteristiche dei collegi elettorali uninominali, che rischiano di assumere dimensioni eccessivamente ampie, enormi, gigantesche. La conseguenza di ampliare in modo rilevante la dimensione dei collegi, soprattutto al Senato, incide in modo significativo sul grado di rappresentatività del Parlamento e sulla legge elettorale, alterando il rapporto fra eletti e popolazione residente: soprattutto nelle regioni medie e nelle regioni piccole, avere dei collegi così grandi porterà ad un innalzamento della soglia implicita di sbarramento, dal 10 per cento a circa il 25 per cento, il che sarà un grande ostacolo per rappresentare le minoranze di queste regioni.

La popolazione media dei collegi uninominali per le elezioni alla Camera dei deputati passerebbe da 250 mila a 400 mila abitanti, rendendo ancora più difficoltoso il collegamento con il territorio e facendo venire ancora meno la stessa ragion d'essere dei collegi uninominali. Io sono residente nel Regno Unito, e nel Regno Unito c'è un sistema elettorale di collegi uninominali molto piccoli, e quindi c'è un contatto diretto molto forte tra elettori ed eletti. Con questo provvedimento che voi presentate si va completamente a diluire, a scollegate quel rapporto diretto che altre democrazie cercano di sostenere, proprio con sistemi maggioritari uninominali che noi nel nostro ordinamento abbiamo per almeno un terzo dei seggi. In tal modo tutti gli eletti, sia nei collegi uninominali sia in quelli plurinominali, finirebbero per essere di fatto designati, beninteso in maniera legittima, ma dalle forze politiche: quando sono collegi talmente grandi, è difficile raccogliere preferenze; in realtà sono i partiti che decideranno chi verrà eletto a tavolino, e quindi si va un po' a scollegare l'intenzione che voi avete di avvicinare elettori ed eletti. Questi effetti sarebbero ancora più gravi e distorsivi nel caso del Senato, per il quale la popolazione dei collegi uninominali risulterebbe pari al doppio rispetto a quella dei collegi per le elezioni della Camera. Le dimensioni dei collegi uninominali si accrescerebbero notevolmente, come stavo dicendo, e in modo non uniforme, rendendo impossibile in molti casi quel collegamento tra elettori ed eletti che costituisce la peculiarità e il pregio di questi collegi. Insomma, la ridefinizione dei collegi prevista dall'articolo 1 di questa proposta di legge rende inapplicabile il riferimento ai collegi previsti dal decreto legislativo n. 535 del 1993, contenuto, in virtù del rinvio dell'articolo 3 della legge n. 165 del 2017, e dell'articolo 3 di questa proposta in esame. A questo punto dobbiamo forse interrogarci, come Repubblica, come Paese, su quale ordinamento, su quale modello elettorale sarebbe utile adottare, chiedendoci ad esempio se non sia addirittura il caso di mantenere l'attuale configurazione dei collegi uninominali. Al limite sarebbe più opportuno, per scongiurare effetti che sarebbero giudicati irragionevoli in altre democrazie, in altri Paesi europei, riconsiderare una complessiva ridefinizione del sistema, passando ad un sistema di collegi totalmente uninominale o ad un meccanismo integralmente proporzionale: o l'uno o l'altro. Per questo motivo invito la maggioranza - MoVimento 5 Stelle e Lega, ma ricordo che c'è anche il MAIE nella maggioranza - ad assumersi la responsabilità di dichiarare con chiarezza, con schiettezza e senza ricorrere all'inganno, che non si vogliono soltanto introdurre dei semplici automatismi istituzionali di natura tecnica, che dietro alla riforma costituzionale di riduzione del numero dei parlamentari e al provvedimento in esame vi sono precise scelte politiche, suscettibili di incidere sulla forma di Governo, sul grado di rappresentanza dei cittadini e sui fondamentali meccanismi di funzionamento della democrazia rappresentativa. Il combinato disposto tra il provvedimento in esame e la proposta di riforma costituzionale ha come risultato non solo la riduzione del numero dei parlamentari, ma segna una drastica riduzione della loro rappresentatività, e quindi un indebolimento della democrazia così come l'avevano intesa i Padri costituenti.

In tanti Paesi occidentali si pone da tempo la questione della crisi della democrazia liberale: è uno dei motivi che spiega anche il successo elettorale del MoVimento 5 Stelle in questi ultimi anni. Di fronte a questi fenomeni emerge periodicamente nella storia di proporre come soluzione la semplificazione del processo di rappresentanza politica, anche attraverso l'introduzione di strumenti di democrazia diretta - il Ministro qui presente ne è la prova, la personificazione politica più tangibile - che ricorre nella storia, il voler, appunto, smantellare queste democrazie così complesse, inutili e piene di orpelli indesiderabili. Ed infatti il MoVimento 5 Stelle si è mosso in questa direzione, ad esempio con la proposta di revisione costituzionale in materia di referendum, che abbiamo discusso qui qualche mese fa, e la proposta di legge in esame. Ma c'è un paradosso: il paradosso che aumentando il numero di abitanti per parlamentare da 400 mila a 800 mila, 400 mila alla Camera e 800 mila al Senato, voi state allontanando ulteriormente i cittadini dalle istituzioni. Non li state avvicinando, li state allontanando! Ecco il paradosso fra le intenzioni del vostro movimento ed il risultato che otterrete con questo provvedimento, unito alla riforma costituzionale. Esiste una relazione indissolubile fra questo provvedimento ed il progetto di riforma costituzionale, come dicevo poc'anzi: l'uno sorregge e giustifica l'altra e viceversa, e tutte e due insieme concorrono a delineare il nuovo volto della democrazia italiana, che verrà fuori da un processo di riforme troppo parcellizzato, come diceva il collega Ceccanti con interventi microchirurgici, e per nulla organico. La legge elettorale è la più politica delle leggi che il Parlamento possa approvare, ed è per questo che ha sempre rappresentato uno snodo decisivo del dibattito e del confronto politico. Il modo con il quale il Paese viene rappresentato in queste Aule dipende infatti dalla legge elettorale, ovviamente: è questa formula che trasforma il voto di milioni di cittadini in un ridotto numero di rappresentanti, che riproducono in Camera e Senato le caratteristiche del consenso, il peso dei territori e la loro peculiarità.

Se si ipotizzasse un Senato federale o una Camera delle regioni, non ci sarebbe nulla di strano nel proporre una riduzione anche drastica del numero dei suoi componenti: basti pensare al Senato degli Stati Uniti, composto da 100 rappresentanti, o al Bundesrat della Germania, i cui membri sono soltanto 69; o viceversa in uno Stato unitario parzialmente centralizzato, la Francia, la seconda Camera, che rappresenta le collettività territoriali metropolitane e d'oltremare e i rappresentanti dei francesi all'estero, è composta da 348 senatori eletti a suffragio indiretto.

Ora, visto che il nostro Senato non è una Camera federale e non è eletto a suffragio indiretto, non si capisce in base a quale logica di sistema dovrebbe essere composta da 200 anziché 315, 50 o 700 membri. La rideterminazione del numero dei parlamentari, di per sé non ha nulla a che vedere con la riforma del Parlamento, questa sì una vera urgenza della Repubblica. Se l'obiettivo politico che tanto viene enfatizzato è quello di produrre maggiori risparmi, come le colleghe in discussione generale affermavano all'inizio della discussione, perché allora non proporre l'abolizione della seconda Camera? Avviamoci verso il monocameralismo, che tra l'altro varie forze politiche già lo proponevano nell'Assemblea costituente nel 1947 e 1948. Perché riproporre di nuovo un bicameralismo perfetto? La Commissione Bozzi questo voleva fare, perché la Commissione Bozzi non voleva ridurre il numero dei parlamentari, voleva rendere il bicameralismo indifferenziato, voleva appunto cambiare il bicameralismo perfetto, non solo ridurre il numero dei parlamentari, che dopotutto rimane un'anomalia, un'eccezione nel panorama mondiale; ci ha dato pace e prosperità, ci ha evitato una guerra civile come in Grecia 70 anni fa, ma oggi è assolutamente desueto e sorpassato. Il Senato, in Italia, non soltanto non rappresenta le regioni, ma non rappresenta neanche i cittadini sotto i venticinque anni, che non concorrono appunto alla sua elezione. Se, invece, gli obiettivi principali sono l'efficienza e la rappresentatività del Parlamento, allora occorre dire che entrambe dipendono dalla composizione e dalle competenze delle Camere, nonché dai Regolamenti parlamentari, dalle buone pratiche, dai soggetti politicamente e costituzionalmente rilevanti. Rispetto alla riduzione del numero di parlamentari, una maggiore efficienza può essere generata soprattutto dall'adozione di un bicameralismo differenziato, con competenze e rappresentatività diverse tra le due Camere, ovvero il monocameralismo.

Altra questione molto dibattuta è se la riduzione del numero dei parlamentari possa favorire una maggiore stabilità governativa, grande problema nel nostro Paese, che ovviamente è affetto da una instabilità politica cronica da vari decenni. Certo, tale riduzione del numero dei parlamentari potrebbe avere come conseguenza una riduzione del numero dei partiti politici - io ne dubito fortemente -, ma non è per niente scontato che si creerebbero maggioranze omogenee, coese e stabili, perché l'aggregazione di tali maggioranze dipende soprattutto dalla legislazione elettorale. Del resto, rimanendo diverso l'elettorato attivo da quello passivo per l'elezione dei membri dei due rami del Parlamento, è possibile, come l'esperienza costituzionale ci conferma, che vi possano essere due diverse maggioranze parlamentari, causa appunto della forte instabilità a cui siamo stati abituati. E ciò, in un sistema di bicameralismo indifferenziato come il nostro, in cui entrambe le Camere devono votare la fiducia del Governo, costituisce un ulteriore problema per la stabilità del governo. Ammoniva Benjamin Franklin che un corpo legislativo diviso in due rami è come un carro trainato da due cavalli che tirano in direzioni opposte.

Mi avvio a conclusione parlando di due punti problematici nel merito del testo. Sarebbe utile specificare nell'articolato se nel calcolo dei tre ottavi…

PRESIDENTE. Ha terminato il tempo a sua disposizione, però…

MASSIMO UNGARO, Relatore di minoranza. Ho trenta secondi, Presidente… posso? Sono due battute. Sarebbe utile specificare se nei tre ottavi dei seggi si includa o meno il seggio della Val d'Aosta (non è chiaro nella formulazione attuale) e, in secondo luogo, occorrerebbe specificare, nel caso in cui la riforma venisse approvata, se nel Friuli Venezia Giulia ci sarebbe un unico collegio uninominale. Sappiamo che dobbiamo facilitare il concorso della minoranza di lingua slovena alla partecipazione dell'elezione appunto dell'unico seggio, ma come potremmo facilitare la partecipazione della minoranza di lingua slovena se appunto ci sarà un unico seggio? Chiedo alla maggioranza di esprimersi su questi due punti. Con questa relazione di minoranza il Partito Democratico motiva la sua valutazione fermamente contraria a questo provvedimento.

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo, che però si riserva di farlo successivamente. È iscritto a parlare l'onorevole Giorgis. Ne ha facoltà.

ANDREA GIORGIS (PD). Presidente, onorevoli colleghi, Governo, per affrontare con successo il problema della crescita, per promuovere uno sviluppo emancipante e inclusivo che assicuri uguaglianza di opportunità e di accesso ai beni essenziali, occorrono istituzioni politiche autorevoli, autonome e dotate di una forte legittimazione democratica. All'origine della crisi che investe molti Paesi occidentali vi è infatti anche una carenza di regolazione politica, una carenza cioè di governo democratico dei processi economici e finanziari e nel contempo una carenza di regolazione politica della stessa sfera pubblica in grado di rafforzare e rendere più efficiente la pubblica amministrazione in tutte le sue diverse articolazioni. I Parlamenti, e più in generale le istituzioni rappresentative del pluralismo, da tempo, lo sappiamo, faticano a rappresentare, faticano a unire, a governare e a mitigare e contenere le disuguaglianze.

Per queste ragioni, riflettere di assetti istituzionali, in particolare di forma di governo, di ruolo del Parlamento e di legge elettorale, è importante. E non è un parlar d'altro rispetto al problema delle condizioni materiali ed economiche del nostro Paese e dei cittadini, a condizione, però, che lo si voglia fare in maniera non strumentale ma avendo appunto a cuore l'obiettivo di rendere le istituzioni politiche meglio capaci di rappresentare il pluralismo sociale e quindi meglio capaci di governare i processi economici e distributivi. A un confronto serio e aperto noi non ci sottraiamo, anzi, come abbiamo più e più volte ripetuto anche in Commissione, vi chiediamo di renderlo possibile. Valutiamo se non sia opportuno superare l'attuale bicameralismo paritario, discutiamo se non sia giunto il momento di razionalizzare la forma di governo parlamentare, chiediamoci se non sia necessario riconsiderare alcune norme che disciplinano i procedimenti legislativi, ripensando e rafforzando nel contempo gli istituti di garanzia. Soprattutto, come abbiamo proposto fin dall'inizio della legislatura ogni volta che si è discusso di riforme costituzionali, cerchiamo insieme la strada per rafforzare la capacità rappresentativa delle istruzioni democratiche e dei corpi intermedi, che la animano e rendono possibile una partecipazione critica e attiva.

A conferma del nostro atteggiamento costruttivo, non abbiamo presentato né in Commissione né in Aula alcun emendamento puramente ostruzionistico. Non lo facemmo alcuni mesi fa, quando discutemmo del cosiddetto referendum propositivo, pur denunciando i rischi di una progressiva svalutazione e marginalizzazione del Parlamento, non l'abbiamo fatto in questi giorni. La risposta che abbiamo ricevuto in materia costituzionale è stata quella di circoscrivere il perimetro della discussione al solo profilo numerico dei componenti le Camere: 630, 550, 500, 400, 325, 200, 12, 8, 5, 4. Numeri, solo esclusivamente numeri! Una decisione assurda, che mortifica le nostre prerogative di deputati e contrasta con l'essenza di qualsiasi percorso di riforma costituzionale. Analogo copione si è svolto in materia elettorale: senza alcuna valutazione del rendimento dell'attuale disciplina e al solo fine di rendere immediatamente applicabile l'eventuale modifica del numero dei parlamentari, saremo chiamati fra poco a pronunciarci anche sulla riscrittura di alcune parti, peraltro rilevanti, della vigente disciplina elettorale. Anche in questo caso nessuna valutazione delle conseguenze di un'estensione dell'ampiezza dei collegi uninominali e dei collegi plurinominali, nessuna riflessione sulle conseguenze politiche e sistemiche che potrebbero derivare dall'introduzione di soglie implicite di sbarramento particolarmente consistenti e diversificate per la Camera e per il Senato. Nessuna considerazione sulla ragionevolezza e desiderabilità del rapporto tra collegi uninominali e plurinominali o sulle modalità di espressione del voto in un mutato contesto politico e costituzionale. Nulla, solo la ricerca di un escamotage per fare in modo, come si legge nella relazione di accompagnamento, che non si rendano necessarie modifiche alla normativa elettorale qualora il numero dei parlamentari dovesse essere modificato con riforma costituzionale. Insomma, un escamotage per fare in modo che non si apra alcun confronto e alcuna seria discussione pubblica. Perché questa scelta? Perché arrivare, ad esempio, fino al punto di non rendere neanche ammissibili e quindi discutibili emendamenti volti per esempio a differenziare la composizione e le funzioni delle due Camere, o, in una diversa prospettiva, emendamenti volti a equiparare l'elettorato attivo e passivo per l'elezione dei senatori a quello per l'elezione dei deputati? La risposta, purtroppo, temo che stia, per un verso, in un malcelato e ricorrente sentimento di ostilità e di avversione nei confronti della democrazia rappresentativa e delle istituzioni politiche e sociali nelle quali essa si concretizza, dall'altro, in un uso disinvolto, e in questo caso direi spregiudicato, della materia costituzionale e del tema delle riforme per fini di consenso immediato. Le elezioni si avvicinano? Si avvicina l'esigenza di offrire agli elettori lo scalpo di qualche poltrona. Ma non credo che i cittadini apprezzeranno e premieranno tali scelte, perché sanno bene che, purtroppo, per ammodernare e rendere più giusto e competitivo il nostro Paese, per dare effettività al diritto al lavoro, sul quale si fonda la nostra Repubblica, non servirà a nulla limitarsi ad eliminare qualche parlamentare (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Fornaro. Ne ha facoltà.

FEDERICO FORNARO (LEU). Grazie, signora Presidente. Intanto, parto dal contestare un'affermazione fatta dal relatore, cioè la sostanziale neutralità della proposta di legge rispetto all'impianto dei sistemi elettorali. In buona sostanza, il relatore ci propone una lettura meramente numerica, di rapporti, di frazioni sostanzialmente, su cui interviene la proposta di legge.

La questione, in realtà, è che non è neutrale: è apparentemente neutrale. Si sostituiscono i numeri e si stabiliscono delle frazioni, ma il risultato concreto dell'applicazione della proposta di legge sulla geografia politica, a Costituzione vigente - lo dico perché ciò ovviamente ha un effetto diverso tra Camera e Senato - produce effetti sistemici molto significativi su cui chiedo perlomeno che ci sia una riflessione, cioè che non passi la vulgata che è semplicemente un modo per garantire di poter andare a votare all'indomani dell'approvazione della legge costituzionale.

Questo è l'obiettivo ma in realtà, nel realizzare tale obiettivo, si interviene in maniera non neutrale rispetto alla rappresentatività dei territori - ci sono alcune regioni fortemente penalizzate: cito, per esempio, la Basilicata al Senato – e, inoltre, c'è un problema di rappresentatività, di forte lesione di rappresentatività delle minoranze.

In parte faccio riferimento all'intervento di qualche ora fa: è ovvio che la riduzione dei numeri, l'applicazione della riduzione dei numeri stanti a legislazione vigente, con l'elezione del Senato a livello regionale, produce, come è stato ricordato dal collega Giorgis, soglie implicite che c'erano già con i numeri 630 e 315, ma che si accentuano.

A legislazione vigente, cioè con il cosiddetto Rosatellum vigente, segnalo una disparità, per esempio, di costo di un senatore eletto nei collegi plurinominali. Alla Lega un senatore eletto nei collegi plurinominali è costato circa 144 mila voti; per il MoVimento 5 Stelle 145 mila; per il Partito Democratico 134 mila; per Liberi e Uguali 247 mila, cioè con un milione di voti, 991 mila voti, oggi quei 991 mila sono rappresentati soltanto da quattro senatori perché già oggi c'è un sistema di soglie implicite, che sono e diventano ovviamente ancora più elevate.

Voi rischiate cioè di avere una minoranza non proprio piccolissima, perché ritengo che un milione di cittadini vadano rispettati (ovviamente il riferimento è a Liberi e Uguali ma potrebbe essere qualsiasi lista che prende un milione di voti), che, anche se non ho fatto simulazioni, ragionevolmente nel nuovo Parlamento avrebbe da due a tre seggi con un milione di persone. Per come è la conformazione, voi avete una situazione in cui la soglia implicita di sbarramento in Umbria è il 50 per cento; la soglia di sbarramento implicita nelle Marche è il 33 per cento. Questa è una questione: agendo in questa maniera, con il combinato disposto della riduzione dei numeri e la dimensione regionale, al Senato non si produce - voglio essere molto chiaro - un effetto neutrale. Almeno questo diciamocelo e riconosciamolo tra di noi.

Secondo elemento, voi intervenite sostanzialmente, anche in questo caso, non in modo neutrale ma fate diventare legge di sistema, in qualche modo - questa è una forzatura, lo riconosco - “costituzionalizzate” il Rosatellum, perché lo modificate in conseguenza di una modifica costituzionale e, come è stato ricordato anche dal collega Giorgis, senza fare una riflessione critica - e me lo sarei aspettato, per esempio, da un partito come il MoVimento 5 Stelle che ha fortemente criticato il Rosatellum - senza nessuna analisi critica del suo funzionamento per la prima volta. L'Italicum devo dire ha battuto ogni record: è stata l'unica legge elettorale nella storia d'Italia che non ha avuto, per così dire, la possibilità di esprimersi in un'elezione. Da questo punto di vista, anche in questo caso, c'è un elemento di tipo strutturale che non è neutrale.

In dottrina il collegio uninominale è pensato nei sistemi elettorali di tutto il mondo per riuscire ad avvicinare il più possibile l'eletto all'elettore: più è piccolo il collegio e più ho l'elemento di riconoscibilità. Uso tale termine perché questa è una delle discriminanti, per esempio, che ha utilizzato la Corte costituzionale rispetto alle liste corte o alle liste lunghe bloccate.

Da un punto di vista di sistema, il collegio uninominale è l'ideale nel poter mettere in condizione il cittadino di sapere chi sono i candidati, di valutarli e quindi di mixare tra identificazione partitica e candidato. Però, non è la stessa cosa se voi applicate questo schema sul Mattarellum con 475 collegi e lo applicate, invece, su un numero di collegi nettamente inferiori.

Nei collegi al Senato in una regione - qua cito una regione grande come il Piemonte che ha 4 milioni e mezzo di abitanti - con tale schema 4 milioni di abitanti avrebbero cinque collegi uninominali. Voi mi dite dov'è la riconoscibilità in collegi che hanno circa 900 mila abitanti? La Lombardia 882 mila; il Lazio 917 mila, cioè - lo dico con forza - non sono più (iniziamo a dare i nomi alle cose) collegi uninominali ma sono circoscrizioni perché hanno dimensioni da circoscrizioni.

E, quindi, come si vede, non esiste neutralità neanche da questo punto di vista: c'è un motivo di stravolgimento o, se vogliamo, uno dei limiti del Rosatellum viene in qualche modo amplificato, viene portato ai limiti perché, come dicevo prima, con le soglie implicite rendi sempre più difficile alle minoranze avere una rappresentanza in una delle due Camere, anche se l'effetto sulla Camera dei deputati è inferiore.

Il secondo tema è un evidente limite di rappresentatività, cioè il combinato disposto della riduzione del numero dei parlamentari e di sistema elettorale, come il Rosatellum, porta a dire che con ogni probabilità ci saranno intere province, territori molto vasti, che non avranno rappresentanza parlamentare a tutto vantaggio dei territori dove c'è un maggior numero di abitanti.

Lo dico qua: da questo punto di vista, mi sarei aspettato che ci fosse - ma non l'ho sentito e spero che nel dibattito in Aula ci possa essere - una disponibilità della maggioranza a riprendere in mano il tema nel momento in cui si porrà la questione di una nuova legge elettorale; cioè (anche se non sono d'accordo), “si mette in sicurezza” l'immediata applicabilità della riforma con la proposta di legge in esame ma, al momento in cui si andrà realmente ad intervenire, vogliamo affrontare tali questioni che non mi paiono di carattere strumentale? Porto un esempio. Se la strada è quella su cui mi pare siano alcuni partiti ma per la stessa Lega - e non solo per il MoVimento Cinque Stelle - tutto sommato credo che nella sua impostazione, cioè nella logica della democrazia rappresentativa, del controllo dell'attività del parlamentare lo si effettua meglio quanto è più ridotta la dimensione del collegio; per esempio, si potrebbe pensare ad un modello che sia fondato sui collegi uninominali di partito: per essere chiari, sistema elettorale Senato ante 1992 oppure quello applicato sulle province fin quando sono state elettive.

Credo che oltretutto il tema non affronti un'altra questione: è il limite del Rosatellum da questo punto di vista, che distorce la rappresentatività nei termini che ho descritto prima, senza avere dall'altra parte un vantaggio di governabilità, perché non ha, se non implicito, una sorta di premio di maggioranza. Credo che questa sia un'altra questione che vada affrontata. Non si può poi non rilevare in maniera critica, negli effetti concreti, alcuni “bachi” del sistema del cosiddetto Rosatellum che si sono evidenziati. In questo momento, il Senato non è, per usare un termine tecnico, compliance con la Costituzione perché è a 314, il 315° seggio non è assegnato e non sarà più assegnato, perché è inassegnabile. Voi lo sapete perché? Perché il Movimento 5 Stelle in Sicilia ha ottenuto un risultato talmente elevato che ha sostanzialmente riempito anche tutti i posti del plurinominale e, non essendoci la possibilità di compensare tra regione e regione, come invece c'è per la Camera dei deputati, in questo momento il Senato non è compliance.

C'è già il precedente della Camera che in una legislatura rimase, se non ricordo male, con diversi seggi non assegnati, perché, in quel caso, Forza Italia con l'utilizzo delle liste civetta fece esattamente la stessa operazione e, alla fine, non aveva più candidati deputati.

Questa questione, per esempio, è reale e questo testo di legge non l'affronta; quindi, vi è un'evidente lesione del diritto dei siciliani di essere rappresentati esattamente come numero previsto dal numero di abitanti e, quindi, in aderenza a quello che dice la Costituzione, non viene risolta.

In definitiva, quindi, la nostra contrarietà su questa ipotesi di legge elettorale arriva da queste considerazioni, cioè non è assolutamente neutra; l'effetto è fortemente distorsivo a danno dei territori marginali e a danno delle minoranze e credo che, da questo punto di vista, sia un'operazione che peraltro poi, ancora una volta, delega al Governo la definizione dei confini dei collegi. Ricordo che su questo tema gli effetti distorsivi possono essere maggiori con collegi più piccoli però, in linea di principio, il cosiddetto gerrymandering, cioè la definizione dei collegi in modo tale da determinare vantaggi ai partiti di Governo - così nacque all'epoca questo tipo di operazione di geografia elettorale - esiste ancora e, quindi, diciamo un maggior controllo del Parlamento, in cui, ovviamente, oltre alle forze di maggioranza sono presenti anche le forze di opposizione sarebbe utile; peraltro, diciamo onestamente, che più grandi sono i collegi, più gli effetti distorsivi sono minori.

In buona sostanza, credo e spero che ci sia la possibilità anche su questo di poter discutere nella fase del dibattimento sugli emendamenti, noi ne abbiamo presentato diversi, in un quadro che cerca di porre rimedio ad alcune delle questioni, ad alcune delle riserve, ad alcune delle criticità che ho provato quest'oggi ad illustrare (Applausi dei deputati del gruppo Liberi e Uguali).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Maria Tripodi. Ne ha facoltà.

MARIA TRIPODI (FI). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, il tema sul quale stiamo discutendo ci pone dinanzi a una riflessione doverosa sull'evoluzione e il cambiamento delle nostre istituzioni. Non dobbiamo, infatti, cadere nell'errore grossolano di pensare che quest'Aula, il Senato e, più in generale, tutti i corpi nevralgici per il funzionamento del Paese siano sempre uguali a se stessi. In verità, le istituzioni si contraddistinguono per essere soggette a una continua evoluzione, che si declina nel segno della continuità in un sistema per così dire duale, in cui la componente di evoluzione comporta continue modifiche delle caratteristiche e dell'assetto incarnati dalle istituzioni stesse, per essere per quanto più possibili funzionali al loro obiettivo principale, quello di porsi al servizio dei cittadini.

I mutamenti che hanno caratterizzato la storia del nostro Paese sono difficilmente sintetizzabili, essi infatti hanno inevitabilmente riguardato i molteplici aspetti sui quali si fondano le istituzioni consentendo loro di funzionare meglio. Se guardiamo attentamente a questa molteplicità di cambiamenti e di possibilità di cambiamenti, le caratteristiche che emergono con chiarezza sono principalmente due: la complessità e, in essa, la continua propensione ad adeguare le istituzioni, e, tra queste, in primis quelle parlamentari, al mondo esterno, al Paese e alle sue istanze. Gestione della complessità e propensione ad adeguare le istituzioni alle caratteristiche e ai bisogni del Paese sono due temi rispetto ai quali Forza Italia non ha da imparare da nessuno; lo testimonia la storia e, ancor di più, le numerose riforme promosse e divenute leggi durante i Governi di Silvio Berlusconi. Sul fronte della volontà di adeguare le istituzioni al Paese, basta ricordare e ribadire che già nel 2005, con l'approvazione del disegno di legge costituzionale di modifiche alla parte seconda della Costituzione, Forza Italia era intervenuta approvando una riduzione significativa del numero dei parlamentari. Per ragioni complesse, che non ripercorrerò in questa sede, la proposta non venne confermata in sede referendaria, tuttavia è innegabile che anche su quel fronte fummo all'avanguardia rispetto ai Governi precedenti e a quelli successivi.

La proposta relativa alla riduzione del numero dei parlamentari contenuta nel nostro disegno di legge costituzionale era uno dei temi ambiziosi e, in buona misura, ancora attuale, in un intervento ben più ampio, in cui si tenevano insieme innovazioni riguardanti sia la composizione delle Camere sia il livello strutturale del Parlamento. Rispetto alla riduzione del numero dei parlamentari la maggioranza ci ha tenuto a precisare che il tema è contenuto nel famoso contratto di Governo. Sul punto, però, è necessario fare chiarezza, poiché la riduzione del numero dei parlamentari è contenuta anche nel programma sostenuto instancabilmente da Forza Italia per le elezioni che hanno dato vita a questo Parlamento. Nel nostro programma quel riferimento è però accompagnato al richiamo ad altri importanti interventi sul fronte istituzionale, come l'elezione diretta del Presidente della Repubblica, il rafforzamento dell'autonomia degli enti intermedi e locali, l'introduzione del vincolo di mandato, il piano straordinario per l'adeguamento di Roma capitale agli standard delle principali capitali europee: signor Ministro, quanto ce ne sarebbe bisogno al giorno d'oggi.

Il modello del federalismo responsabile, che armonizzi la maggiore autonomia prevista dal Titolo V della Costituzione è già richiesta da alcune regioni, in attuazione dell'articolo 116, portando a conclusione le trattative attualmente aperte. A questa premessa segue la constatazione della necessità di una riforma più ampia rispetto a quella promossa dall'attuale Governo, che investa rispettosamente il Parlamento e, soprattutto, la forma di Governo. Non a caso, la proposta mossa dalle file di Forza Italia mirava a coniugare la sua valutazione di ampio respiro in una considerazione di un sano realismo politico, proponendo di intervenire con una riduzione del numero dei parlamentari, considerando anche l'opportunità di razionalizzazione nei tempi di un sistema bicamerale e il funzionamento del procedimento legislativo. Sul punto bisogna precisare che il problema del numero dei parlamentari si è posto sin dalla Costituente ed è stato spesso oggetto di discussione e proposte di modifica, quantomeno secondario rispetto ad altre e apparentemente più decisive, possibili, scelte riformatrici, quali le alternative tra meccanismi proporzionali o maggioritari di assegnazione dei seggi, e tra collegi uninominali o circoscrizionali, ampi o piccoli, l'opportunità di inserimento di clausole di sbarramento, l'opportunità e le modalità di premi di maggioranza, il sistema ad unico e doppio turno nella consultazione elettorale. Sono questioni intorno alle quali abbiamo avuto uno sviluppo del dibattito politico soprattutto nei primi anni novanta e anche per quanto concerne la legislazione elettorale. Soltanto, però, Forza Italia, durante la XIV legislatura - è utile ricordarlo - è riuscita a portare avanti una riforma complessa nel nostro ordinamento, partendo dalla riduzione dei parlamentari e amalgamando aspetti nevralgici per l'assetto del Paese.

La gestione della complessità veniva così affrontata senza far ricorso a facili alibi come quello sulla legge elettorale, sul quale scaricare tutte le responsabilità di un sistema instabile.

Proprio sul tema della legge elettorale, non si comprende il motivo e, ancor di più, il modo con cui si intende, attraverso il presente provvedimento, modificare la legge stessa, non si comprendono i tempi, che sono stati dettati per procedere a tale modifica e destano, signor Ministro, evidenti perplessità i risultati che sarebbero raggiunti ove questa legge elettorale, così come proposta, dovesse essere approvata ed entrare in vigore.

Non si comprende, infatti, il motivo per cui ci troviamo a dover licenziare velocemente una modifica alla legge elettorale, che peraltro propone soltanto un taglio orizzontale al cosiddetto Rosatellum e lo rende applicabile a qualunque riduzione presente e futura del numero dei parlamentari. Si tratta di modifiche fondamentali e le tempistiche dettate dall'approvazione della riforma relativa alla riduzione del numero dei parlamentari, avviate in parallelo rispetto al presente provvedimento, avrebbero comportato la possibilità e anche il buon senso di approfondire nelle sedi opportune un tema centrale per il funzionamento delle Camere.

Non condividiamo la ratio ispiratrice di questo provvedimento, che non si occupa delle minoranze, crea dei collegi immensi, fa dei parlamentari soltanto dei soggetti che svolgono una funzione prettamente istituzionale nelle Aule parlamentari, mentre gran parte del lavoro dei parlamentari si svolge, come è noto, sul territorio, a contatto con i cittadini.

Si tratta dell'ennesimo provvedimento ad hoc per coloro che siedono nelle file della maggioranza, che non hanno bisogno di un rapporto diretto tra eletto ed elettore, a cui preferiscono alle competizioni elettorali le competizioni online, che si concludono solo con poche centinaia di click.

Voi stessi, signor Ministro, siete promotori di una democrazia a peso, che mortifica e uccide i veri principi della democrazia. Forza Italia non potrà mai e dico mai accettare questo tipo di massificazione, poiché crediamo che il rapporto tra eletto ed elettore sia più reale e concreto, perché crediamo nella democrazia.

Mi avvio alla conclusione, Presidente. Nel modificare la disciplina elettorale vigente, si sarebbe dovuto tenere conto degli effetti della prevista riduzione del numero dei parlamentari, come peraltro segnalato dagli esperti convocati nelle audizioni informali, mentre tale riforma rischia soltanto di ingenerare una grande confusione, che, mi corre l'obbligo ricordare, è propria dei provvedimenti di questo Governo.

Nello specifico, per la Camera l'aspetto proporzionale è mantenuto, comunque, a livello nazionale, nel senso che un voto dato anche in una regione piccola non riuscirebbe a determinare l'attribuzione del seggio a uno dei partiti che non sono tra i più grandi della regione stessa, ma può determinare un seggio in un'altra regione, pensi che paradosso.

Al Senato, invece, dove c'è la base regionale come stabilito dalla Costituzione, questo non avviene più, con la conseguenza che, pur potendo andare bene un sistema o l'altro, i due sistemi determineranno una disomogeneità tra Camera e Senato, che è uno dei problemi emersi nelle varie discussioni svolte sulle leggi elettorali.

L'attuale legge, il cosiddetto Rosatellum, è stata adottata anche perché la legge elettorale che era in vigore creava una fortissima disomogeneità tra Camera e Senato, per il grosso pericolo di generare maggioranze, appunto, disomogenee.

In questo modo, cambia la natura della legge e, quando si affronta una nuova legge, come abbiamo sentito dire tante e tante volte anche dall'attuale maggioranza quando era però all'opposizione, bisogna coinvolgere le minoranze.

Ci sorprende, signor Ministro, quando il più delle volte nelle Commissioni e in quest'Aula si verificano episodi in cui si evidenzia una mancanza di rispetto del corretto rapporto tra maggioranza e opposizione, nonché un'evidente lesione dei diritti dell'opposizione.

È un vero e proprio paradosso, se consideriamo che certe forzature procedurali sono poste in essere proprio dal gruppo del MoVimento 5 Stelle, di cui lei è un autorevole rappresentante, che nella precedente legislatura era solito, invece, sbandierare le più svariate argomentazioni a tutela delle minoranze parlamentari.

Durante l'esame del provvedimento, anche al Senato, Forza Italia ha ribadito più volte la necessità di una maggiore disponibilità da parte della maggioranza ad accogliere i rilievi e le proposte delle opposizioni, quantomeno in occasione dell'esame in Assemblea, ma anche questa volta le opposizioni, ahimè e ahinoi, sono state ridotte a zero.

Concludo davvero, Presidente. Onorevoli colleghi, siamo fortemente convinti del fatto che la riduzione del numero dei parlamentari sia una iniziativa condivisibile in linea di principio, anche se, come già ho avuto modo precedentemente di ribadire, si sarebbe dovuto procedere in un quadro di riforma ben più ampio.

Siamo, invece, contrari, contrarissimi, quando si cerca di creare un distacco tra eletti ed elettori e per questo motivo non possiamo accettare modifiche alla legge elettorale imposte per ragioni di like, da cui scaturirebbero risultati tecnicamente problematici, tali da creare disomogeneità tra Camera e Senato.

Noi riteniamo che il Parlamento debba anzitutto funzionare per rappresentare i cittadini e fungere da adeguato contrappeso e controllo nei confronti del Governo. Questa è la funzione delle Camere, signor Ministro, nella loro complessità e in tutte le democrazie. Noi di Forza Italia, come abbiamo sempre fatto, continueremo a difendere la democrazia, in Italia e all'estero.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - A.C. 1616)

PRESIDENTE. Passiamo alle repliche. Il relatore di minoranza, l'onorevole Ungaro, ha esaurito il tempo a sua disposizione.

Chiedo, invece, al relatore per la maggioranza, l'onorevole D'Ambrosio, se intenda replicare. Prendo atto che rinunzia.

Prendo, altresì, atto che anche il rappresentante del Governo si riserva di intervenire successivamente.

Il seguito del dibattito è, dunque, rinviato ad altra seduta.

Sospendo a questo punto la seduta, che riprenderà alle ore 15,15.

La seduta, sospesa alle 14,15, è ripresa alle 15,15.

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Claudio Borghi, Cancelleri e Spadafora sono in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta.

I deputati in missione sono complessivamente sessantaquattro, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Discussione del testo unificato delle proposte di legge: Capitanio ed altri; Gelmini ed altri; Dadone ed altri; Battilocchio ed altri; Toccafondi ed altri; Comaroli ed altri; Gelmini; Mura ed altri; Schullian ed altri; Pella; d'iniziativa popolare; Frassinetti ed altri; Nesci ed altri; Lattanzio ed altri; Fusacchia; Brunetta e Aprea; Misiti: Introduzione dell'insegnamento scolastico dell'educazione civica (A.C. 682-734-916-988-1166-1182-1425-1464-1465-1480-1485-1499-1536-1555-1576-1696-1709-A).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del testo unificato delle proposte di legge nn. 682-734-916-988-1166-1182-1425-1464-1465-1480-1485-1499-1536-1555-1576-1696-1709-A: Introduzione dell'insegnamento scolastico dell'educazione civica.

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta del 18 aprile 2019 (Vedi l'allegato A della seduta del 18 aprile 2019).

(Discussione sulle linee generali – A.C. 682-A ed abbinate)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari MoVimento 5 Stelle e Partito Democratico ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.

Avverto, altresì, che la VII Commissione (Cultura) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire la relatrice, onorevole Angela Colmellere.

ANGELA COLMELLERE , Relatrice. Presidente, onorevoli colleghi, sottosegretario Giuliano, Ministro Fraccaro, la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. Questo è il testo dell'articolo 2 della nostra Costituzione, che all'articolo 4 ricorda come ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e secondo la propria scelta, un'attività o funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società. Già quindi nei principi fondamentali della Carta vengono anticipati i concetti di diritto e dovere di ogni cittadino, poi esplicati nei successivi articoli.

È evidente, quindi, che il punto di partenza per poter rispettare la Costituzione è quello di conoscerla. La proposta di legge che la VII Commissione porta oggi all'attenzione dell'Assemblea per reintrodurre in modo organico l'insegnamento dell'educazione civica nelle scuole di ogni ordine e grado nasce da una volontà comune ampissima; lo testimoniano le ben sedici proposte di legge d'iniziativa parlamentare sulla materia presentate trasversalmente da tutti i gruppi, cui se ne aggiunge un'altra redatta dall'ANCI. Tutte puntano, pur nelle differenze di dettaglio, a restituire la giusta importanza nella scuola agli insegnamenti di educazione civica o educazione alla cittadinanza e alla Costituzione. Alle proposte di legge è stata abbinata in Commissione anche una petizione popolare, la n. 111, presentata su iniziativa di una sezione del Lions Club, con la quale si chiedeva l'introduzione dell'insegnamento obbligatorio dell'educazione civica e ambientale nelle scuole secondarie di primo e secondo grado.

Su questa base la VII Commissione ha innestato un ciclo di audizioni che ha confermato quanto l'istanza ispiratrice delle proposte di legge sia largamente condivisa anche nella società civile. Un comitato ristretto è quindi giunto rapidamente alla definizione di un testo base, ampiamente condiviso dai gruppi, tanto da non aver ricevuto proposte emendative in Commissione. Ringrazio perciò chi ha fatto parte di questo gruppo di lavoro, ma anche tutta la Commissione che ne ha recepito il lavoro stesso. Abbiamo lavorato in maniera leale e costruttiva, sia pur con i naturali distinguo di ogni forza politica. Un sentito grazie alla struttura della Commissione e a quella del MIUR, e un grazie anche al Ministro dell'Istruzione, che si è sempre reso disponibile ad ogni confronto. Sul testo che oggi giunge in Aula sono stati raccolti i pareri delle Commissioni competenti in sede consultiva, che si sono espresse tutte favorevolmente, con alcune osservazioni da parte della Commissione agricoltura e politiche dell'Unione europea. La Commissione bilancio esprimerà il suo parere direttamente all'Assemblea.

L'osservazione della Commissione politiche dell'Unione europea, tendente a una correzione quasi di mera forma, è stata recepita già nella fase finale dell'esame in sede referente. Quanto invece all'osservazione della Commissione agricoltura, questa tendeva a far inserire tra le tematiche oggetto dell'insegnamento di educazione civica anche la storia e la cultura delle eccellenze enogastronomiche italiane. Ciò era stato già valutato dal Comitato ristretto alla luce di una delle proposte di legge abbinate. Di queste istanze il Comitato ristretto ha tenuto conto: si veda l'articolo 3, comma 1, lettera e) del testo in discussione. Prima di passare all'illustrazione dell'articolato, vorrei soffermarmi su alcuni concetti che voglio condividere con voi, perché appartengono allo spirito di questa legge.

Io sono insegnante e sindaco, e con le esperienze di entrambi questi ruoli, quello educativo e quello amministrativo, ritengo ci sia bisogno di tornare a parlare ai giovani di regole e doveri prima ancora che di diritti. Non chiederti cosa può fare il tuo Paese per te, chiediti cosa puoi fare tu per il tuo Paese, disse John Kennedy nel giorno del suo insediamento alla Casa Bianca quasi sessant'anni fa. Credo perciò che la consapevolezza del ruolo attivo di ognuno di noi nel funzionamento delle istituzioni, dell'apporto che fin dall'infanzia si può dare alla società, siano temi da riportare fin da subito in quello che è il mondo educativo dello studente, cioè la scuola. Troppo spesso i ragazzi dicono “io ho diritto, io posso”. Dire “io devo” è molto più difficile; è difficile imparare il rispetto, come, purtroppo, vediamo sui social e nei casi di bullismo. È difficile anche in famiglia dire “no”, educare al “no” e ad una libertà personale che ha dei limiti, i limiti del rispetto reciproco anche all'interno dell'istituzione scolastica, tra studenti e insegnanti e tra insegnanti e studenti.

Per questo, colleghi, credo che l'educazione civica possa dare a chi la riceve come insegnamento la sicurezza di regole certe, di sentirsi quindi inseriti in una comunità di cui si riconoscono le norme e la loro origine, il senso di appartenenza ad una nazione, che dà a tutti una regolamentazione fatta di diritti e doveri, il contesto sociale e il senso civico che derivano dalla conoscenza di come si è giunti alla stesura di una Costituzione come la nostra e del valore morale dei padri costituenti che l'hanno scritta perché, rispondendo alle diverse anime e istanze del dopoguerra, l'Italia trovasse un percorso finalmente comune. Nell'eredità morale dei costituenti, oggi, con questa legge, auspichiamo che i giovani possano maturare la sicurezza di appartenere ad un Paese democratico e unito nei valori fondamentali e nel rispetto delle istituzioni, che riconosce le specificità e le autonomie all'interno di valori unici, etici, universali, e di un senso civico che elevi la comunità e ne sia di garanzia. Oggi, perciò, costruiamo il futuro ponendo alla base della cultura anzitutto il rispetto.

Passo ora a illustrare brevemente l'articolato della proposta di legge nel testo della Commissione. L'articolo 1 enuncia i principi ispiratori dell'intervento normativo, sancendo innanzitutto che l'educazione civica deve contribuire a formare cittadini responsabili e a promuovere la partecipazione consapevole delle persone alla vita civica, culturale e sociale delle comunità nel rispetto delle regole, dei diritti e dei doveri. Viene chiarito che l'educazione civica dovrà sviluppare nelle istituzioni scolastiche la conoscenza della Costituzione italiana e delle istituzioni dell'Unione europea, anche al fine di rafforzare nel sentire comune i principi di legalità, cittadinanza attiva e digitale, sostenibilità ambientale, nonché il diritto alla salute e al benessere della persona.

L'insegnamento trasversale dell'educazione civica è istituito, così come stabilisce l'articolo 2, nel primo e nel secondo ciclo di istruzione, a cominciare in sostanza dal primo anno scolastico e successivo all'entrata in vigore della legge. È previsto che i progressi dell'alunno nell'educazione civica dovranno essere oggetto di valutazione periodica e finale espressa in decimi. Quanto alla scuola dell'infanzia, l'articolo 2 prevede che nel suo ambito siano avviate iniziative di sensibilizzazione al tema della cittadinanza responsabile. Le istituzioni scolastiche dovranno prevedere l'insegnamento dell'educazione civica nei curricula di istituto per almeno 33 ore annue, corrispondenti a un'ora a settimana. Le ore dovranno essere computate nel quadro del monte ore obbligatorio previsto dagli ordinamenti vigenti. Per l'insegnamento dell'educazione civica le scuole faranno ricorso alle risorse dell'organico dell'autonomia, senza incrementi o modifiche dell'organico del personale scolastico. In ogni classe l'insegnamento dovrà essere affidato, anche in contitolarità, a docenti della classe stessa, e più nello specifico prioritariamente ai docenti abilitati all'insegnamento delle discipline giuridiche ed economiche, quando presenti. Tra i docenti cui è affidato l'insegnamento dell'educazione civica dovrà essere individuato per ciascuna classe un docente coordinatore, che avrà, tra l'altro, il compito di formulare la proposta di voto, acquisendo elementi conoscitivi dagli altri docenti titolari dell'insegnamento.

Per lo svolgimento dei suoi compiti il coordinatore non riceverà compensi o indennità, salvo che la contrattazione di istituto stabilisca diversamente con oneri a carico del Fondo per il miglioramento dell'offerta formativa. Sono conseguentemente abrogate le disposizioni oggi vigenti in materia di insegnamento di cittadinanza e Costituzione.

Viene inoltre novellato l'articolo 18 del decreto legislativo n. 226 del 2005, che definisce il contenuto dei livelli essenziali dei percorsi di istruzione e formazione professionali assicurati dalle regioni. In particolare, viene introdotto, nel citato articolo 18, il riferimento all'acquisizione di competenze civiche, che dovranno essere assicurate dalle regioni quali livelli essenziali dei percorsi di istruzione e formazione professionale.

In base all'articolo 3 della proposta in discussione, spetterà al Ministro dell'Istruzione, dell'università e della ricerca definire con proprio decreto le linee guida per l'insegnamento dell'educazione civica, con riferimento ad una serie di tematiche già individuate dalla proposta di legge: Costituzione italiana, istituzioni nazionali, dell'Unione europea e degli organismi internazionali; storia della bandiera e dell'inno nazionale; Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, educazione alla cittadinanza digitale e così via (rimando per l'elenco delle tematiche all'articolo 3 del progetto di legge).

Nell'ambito dell'insegnamento dell'educazione civica dovranno essere altresì promosse l'educazione stradale, l'educazione alla salute e al benessere, l'educazione al volontariato e alla cittadinanza attiva. Tutte le azioni dovranno essere finalizzate a rafforzare il rispetto nei confronti di persone, animali e natura.

L'articolo 4 dispone che la conoscenza della Costituzione rientra tra le competenze di cittadinanza che gli studenti devono conseguire già a partire dalla scuola dell'infanzia. Al fine di promuovere la conoscenza del pluralismo istituzionale, dovranno essere inoltre attivate iniziative per lo studio degli statuti delle regioni ad autonomia ordinaria e speciale. Infine, si incoraggia la promozione di attività per sostenere l'avvicinamento responsabile e consapevole degli studenti al mondo del lavoro.

L'articolo 5 è dedicato all'educazione alla cittadinanza digitale. Si prevede che, nel rispetto dell'autonomia e delle istituzioni scolastiche, l'offerta formativa relativa all'insegnamento dell'educazione civica dovrà prevedere almeno il conseguimento graduale da parte degli studenti di una serie di abilità indispensabili per muoversi nel mondo delle relazioni digitali. Mi riferisco a capacità quali quella di analizzare, confrontare e valutare criticamente la credibilità e l'affidabilità delle fonti dei dati, delle informazioni dei contenuti digitali, di interagire attraverso le varie tecnologie digitali ed individuare i mezzi e le forme di comunicazioni digitali appropriati per un determinato contesto, e così via. Sempre l'articolo 5 prevede inoltre l'istituzione di una consulta dei diritti e doveri dell'adolescente digitale.

L'articolo 6 della proposta di legge dispone che il Piano nazionale di formazione sia aggiornato con l'inserimento delle attività di aggiornamento dei docenti, cui dovranno essere destinati, dal 2020, 4 milioni annui del monte delle risorse stanziate dalla legge n. 107 del 2015 per l'attuazione del Piano in questione. Ricordo che l'articolo 1 della suddetta legge ha previsto che la formazione in servizio dei docenti di ruolo è obbligatoria, permanente e strutturale, e che le attività di formazione devono essere definite dalle singole istituzioni scolastiche in coerenza con il Piano triennale dell'offerta formativa e con i risultati emersi dai piani di miglioramento della scuola, sulla base delle priorità nazionali indicate nel Piano nazionale di formazione, adottato ogni tre anni con decreto del Ministro dell'Istruzione, dell'università e della ricerca. Per l'attuazione del Piano nazionale di formazione è stata autorizzata la spesa di 40 milioni annui a decorrere dal 2016. La proposta in discussione dispone inoltre che le istituzioni scolastiche dovranno effettuare una ricognizione dei loro bisogni formativi e potranno promuovere accordi di rete con università, istituti, istituzioni, enti di ricerca.

L'articolo 7 prevede che la scuola rafforzi la collaborazione con le famiglie, anche estendendo alla scuola primaria il patto educativo di corresponsabilità, che al momento è previsto a livello normativo solo per la scuola secondaria.

L'articolo 8 prevede che l'insegnamento dell'educazione civica dovrà essere integrato con esperienze extrascolastiche da svolgere presso altri soggetti istituzionali, del volontariato o del terzo settore, con particolare riguardo a quelli impegnati nella promozione della cittadinanza attiva. Ovviamente, tutti i soggetti dovranno avere comprovata e riconosciuta esperienza curricolare, come contenuto in un apposito decreto ministeriale, affinché nessuno possa improvvisarsi formatore in materie così complesse.

I comuni potranno promuovere ulteriori iniziative in collaborazione con le scuole per quanto attiene alla conoscenza delle amministrazioni locali e dei loro organi, nonché della storia del territorio. Tali iniziative potranno riguardare anche la fruizione stabile di spazi verdi e spazi culturali.

L'articolo 9 attribuisce al Ministero dell'Istruzione, dell'università e della ricerca il compito di istituire un albo delle buone pratiche di educazione civica, con l'obiettivo di condividere e diffondere soluzioni organizzative ed esperienze di eccellenza in questo campo.

L'articolo 10 prevede l'indizione con cadenza annuale di un concorso nazionale per la valorizzazione delle migliori esperienze. Il concorso sarà indetto con decreto del Ministero dell'Istruzione, dell'università e della ricerca.

L'articolo 11 prevede che il Ministro dell'Istruzione, dell'università e della ricerca presenti ogni due anni una relazione alle Camere sull'attuazione della legge. L'idea è che la relazione ministeriale possa essere l'occasione per valutare l'opportunità e la possibilità di un'eventuale modifica dei quadri orari, volti ad introdurre un'ora di insegnamento, specificatamente dedicata all'educazione civica.

L'articolo 12, infine, chiarisce che l'attuazione della legge dovrà avvenire senza oneri aggiuntivi per la finanza pubblica.

Concludo ringraziando ancora quanti hanno collaborato alla stesura di quella che ritengo essere una bella proposta di legge, che ora affidiamo alla discussione dell'Aula (Applausi).

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo.

SALVATORE GIULIANO, Sottosegretario di Stato per l'Istruzione, l'università e la ricerca. Signor Presidente, onorevoli, ringrazio innanzitutto, oltre alla relatrice, l'onorevole Colmellere, tutti i componenti della VII Commissione (Cultura), che con convinzione e abnegazione hanno offerto il loro contributo per sintetizzare i numerosi suggerimenti contenuti nelle 16 proposte di legge, tra le quali anche una petizione ed un atto di iniziativa popolare, che sono confluiti nella proposta di legge in esame. Una sintesi che nel futuro potrà essere ancora più efficace; tale è il senso infatti del monitoraggio disposto dall'articolo 11, che avverrà a cadenza biennale attraverso una relazione al Parlamento.

Con la proposta in argomento si è voluto introdurre l'insegnamento trasversale dell'educazione civica, oggetto di valutazioni periodiche e finali, come previste dal decreto legislativo n. 62 del 2017 e dal decreto del Presidente della Repubblica n. 122 del 2009. L'insegnamento interdisciplinare dell'educazione civica viene quindi inserito nel curricolo di istituto, nell'ambito del monte orario obbligatorio previsto dagli ordinamenti vigenti per un numero di ore non inferiore a 33 annue. In tal modo si introdurrà in tutte le scuole italiane, a partire dalla scuola dell'infanzia, una disciplina appositamente mirata a sviluppare la competenza di cittadinanza attiva e responsabile, e la partecipazione piena e consapevole alla vita civica, culturale e sociale della comunità, così da promuovere legalità, tutela consapevole del patrimonio ambientale e cittadinanza digitale.

In particolare, un quadro dettagliato dell'educazione alla cittadinanza digitale è declinato nell'articolo 5. Attraverso il conseguimento di abilità e conoscenze digitali si vuol dare ai ragazzi quegli strumenti indispensabili per un uso consapevole delle tecnologie digitali in continua evoluzione, in modo da consentire ai nostri giovani di gestire responsabilmente la propria identità digitale, tutelare la salute e il benessere psicofisico, essere in grado di proteggere sé e gli altri da eventuali pericoli in ambienti digitali. Questo tema ci è particolarmente caro anche al fine di prevenire e combattere i fenomeni del cyberbullismo, cui negli ultimi anni il Ministero dell'Istruzione, dell'università e della ricerca sta dedicando attenzione crescente e misure di prevenzione e contrasto.

Anche sul ruolo privilegiato e riconosciuto dalla proposta di legge ai docenti abilitati all'insegnamento delle discipline giuridiche ed economiche, si prevede che ciascun docente, nella sua funzione di educatore, dovrà insegnare in modo trasversale i diritti e i doveri di cittadinanza. Proprio la natura interdisciplinare dell'insegnamento dell'educazione civica mira a sviluppare le conoscenze delle strutture sociali, economiche, ambientali e giuridiche della società, tenendo conto della pluralità degli ordinamenti, dall'Unione europea sino alle regioni e alle comunità locali.

Mi preme sottolineare altre disposizioni significative contenute agli articoli 6, 7 e 8: la formazione dei docenti, alla quale sono destinati 4 milioni di euro l'anno, e il rapporto con le famiglie, che verrà rafforzato anche integrando il Patto di corresponsabilità ed estendendolo alla scuola primaria.

Comuni e realtà del terzo settore saranno pienamente coinvolti come previsto dall'articolo 8, attraverso possibilità di realizzare iniziative in collaborazione tra scuola e realtà territoriali. L'albo delle buone pratiche e il concorso nazionale per la valorizzazione delle migliori esperienze in materia di educazione civica, di cui agli articoli 9 e 10, sono due diverse iniziative concepite con l'obiettivo comune di promuovere modalità diverse di studio dell'educazione civica, valorizzando al meglio quanto potrà emergere nella riflessione tra docenti e studenti sulla materia, al fine di condividere e diffondere le eccellenze. Mi auguro che il dibattito possa contribuire a migliorare ulteriormente le disposizioni sinteticamente qui illustrate (Applausi).

PRESIDENTE. Salutiamo intanto le “Donne in Rosa” dell'Associazione Komen, che assistono ai nostri lavori dalla tribuna del pubblico (Applausi). È iscritta a parlare l'onorevole Barbuto. Ne ha facoltà.

ELISABETTA MARIA BARBUTO (M5S). Presidente, onorevoli colleghi, signor Ministro, signor sottosegretario, sono veramente emozionata oggi nel dover intervenire per prima nella discussione generale sul progetto di legge relativo all'introduzione dell'insegnamento dell'educazione civica in tutte le scuole secondarie di primo e di secondo grado nonché nella primaria, prevedendo anche iniziative di sensibilizzazione nell'ambito della scuola dell'infanzia. Consentitemi allora di condividere con voi qualche riflessione partendo da quello che è un ricordo ormai lontano, quello dei miei esami di maturità, laddove la traccia del compito di italiano, quello che oggi si chiama la prima prova, era una traccia abbastanza significativa: l'istruzione è la più valida difesa della libertà; alla luce della vostra esperienza, quella di uno studente diciottenne, commentate questo pensiero di Carlo Cattaneo. Ebbene, l'istruzione è la più valida difesa della libertà, scriveva tanti anni fa Carlo Cattaneo. L'istruzione rende liberi, consente di diventare cittadine e cittadini, consente di saper lottare per i propri diritti e di non scambiarli per concessioni o favori, consente di non voltarsi dall'altra parte assistendo a un sopruso, di combattere il malaffare, di reclamare a gran voce la propria libertà intellettuale ed impegnarsi consapevolmente per la costruzione di un futuro migliore, partendo dal rispetto delle regole minime della convivenza sociale. Mi sia consentito allora una riflessione preliminare, una riflessione che scaturisce dalla mia esperienza sul campo come docente, con tutto il carico di responsabilità che questo ruolo comporta nei confronti delle giovani generazioni e con tutte le difficoltà che ogni giorno si incontrano a scuola. Ormai viviamo in una società afflitta da un dualismo conflittuale tra le esigenze di apparire e le esigenze di essere, sentiamo invocare allora il rispetto delle regole poste alla base del vivere civile. Si discute dell'importanza del recupero dei valori non negoziabili, e prioritariamente del rispetto per l'essere umano e dei suoi diritti fondamentali, poi, però, in questa stessa società, mentre ci si affanna a parlare e a discutere e a confrontarsi su temi così determinanti, si enfatizzano e addirittura si premiano stereotipi assolutamente mediocri e decisamente diseducativi, che rischiano di frustrare ogni iniziativa scolastica. Mentre i docenti, quotidianamente, si impegnano con abnegazione e amore nella missione - perché tale è, una missione, l'insegnamento -, una missione educativa dei giovani discenti, altri messaggi che giungono sono di tenore diametralmente opposto. Allora può capitare, come è capitato alla sottoscritta nelle vesti di docente di discipline giuridiche, che mentre si parla in classe, emozionandosi, forse a causa della mia non più verde età, della sacralità del Parlamento o dei principi fondamentali della nostra Costituzione, beh, può capitare di vedere la perplessità sul viso dei giovani studenti e di sentirsi chiedere: prof, ma voi veramente ci credete? Sentire dei giovanissimi porre questa domanda non è bello, sembra di vedere tra i banchi non più dei giovani ma dei vecchi rassegnati. Non è bello e lascia sgomenti, di fronte all'impari lotta tra il ruolo formativo e le aspettative che si concentrano sulla figura dei docenti, da un lato, e i messaggi contraddittori che arrivano dal mondo che i ragazzi percepiscono come il mondo reale.

Si tratta del mondo che loro malgrado hanno visto scorrere sotto i loro occhi fin dalla più tenera età: quello delle scorciatoie, degli ostacoli aggirati grazie ai soprusi o agli amici che contano, il mondo dove tutto è lecito se consente di raggiungere l'obiettivo, il mondo dove la meritocrazia non esiste più o quasi. È questo, per le nostre ragazze e i nostri ragazzi, il mondo in cui dovranno vivere e agire in futuro, un mondo in apparenza anche formalmente corretto, ma spesso senza coerenza, senza valori, senza regole che non possano essere infrante, perché a contare è chi ha, chi possiede, non chi è; un mondo, signor Presidente, lontano da quello narrato ed evocato tra le mura delle aule scolastiche. La società che vedono e vivono i nostri giovani si conforma sempre più alle esigenze economiche e dimentica i valori dell'uguaglianza, dell'onestà, del rispetto, della coerenza, della solidarietà, tutti valori che dovrebbero informare il cammino dell'uomo. Cosa è successo? Quando è successo? Quando è iniziata questa parabola discendente? Innumerevoli volte - devo sottolineare da cittadina, madre ed insegnante - ho avuto l'impressione che le ricadute concrete delle tante, troppe riforme che hanno interessato negli anni il sistema scolastico siano state figlie di scelte superficiali. Il sistema si conformava, magari anche giustamente, alle esigenze e agli stimoli esterni della società, magari partendo dalle richieste del mercato del lavoro, ma mettendo in secondo piano l'esigenza fondamentale, che consiste nella formazione di uomini e donne consapevoli del loro status di cittadini e cittadine, consapevoli dei loro diritti e dei loro doveri nella società in cui si sviluppa la loro vita e la loro professione, oltre che padroni delle competenze necessarie per svolgere al meglio il loro futuro lavoro; uomini e donne liberi e colti. Colti, quali solo sanno essere coloro che riescono a coniugare mirabilmente la loro preparazione in campo professionale con l'interiorizzazione e il rispetto delle regole fondamentali che costituiscono l'architrave della nostra società e del nostro Stato. Una società di cui ognuno si senta parte integrante e a tutti gli effetti, in cui il rispetto delle regole non venga percepito mai più come un'odiosa imposizione ma come una meravigliosa opportunità, che si identifica in una spontanea collaborazione per contribuire allo sviluppo culturale e socio-economico del proprio Paese e del mondo intero, nel rispetto dei valori dei nostri padri costituenti e del nostro ordinamento giuridico. Una società in cui ognuno, pur consapevole che la violazione delle regole e delle norme comporta una sanzione, fa in ogni caso il proprio dovere, non già per timore della sanzione, logico corollario strutturale di una norma precettiva, ma spontaneamente, e ciò perché si sente parte viva, consapevole e matura di quella società, soggetto libero e consapevole dei propri doveri ma anche dei propri diritti. Non è utopia. Se lo vogliamo, non è utopia vedere i nostri giovani adempiere ai doveri e al tempo stesso battersi per vedere riconosciuti i diritti propri e altrui. La scuola può fare tanto, anzi tutto, in questo senso. Bisogna abbandonare l'atteggiamento ipocrita di coloro che per anni hanno affermato con enfasi che la cultura è la sola forma di prevenzione dell'illegalità salvo poi investire scarsissime risorse per potenziare realmente una corretta formazione nel campo dell'educazione civica e lasciando a singole iniziative dei dirigenti e dei docenti l'arduo compito di diffusione e attuazione di questa funzione. Ipocrisia. Basta pensare all'episodio di cronaca di qualche giorno fa a Manduria, dove una banda, composta da ben dodici minorenni, ha provocato la morte di un pensionato disabile cui sono state inflitte indicibili torture fisiche e psicologiche. Come rilevato dal procuratore capo di Taranto, il carcere è ben più che un'ipotesi per questi soggetti, ma al di là degli episodi contingenti va detto che quel poveretto sarebbe ancora vivo, se ciascuno avesse fatto il proprio dovere. E stamani “lu pacciu”, come lo chiamavano, creatura sfortunata, alla quale mi commuovo pensando, verrà onorato nella cerimonia funebre da persone che, nella migliore delle ipotesi, in vita lo avevano ignorato. Facile prevedere che saranno dedicate a questa tragedia ore di programmi televisivi, con la partecipazione di psicologi, criminologi e varie figure professionali, in cui ci si domanderà il perché di tutto questo, quando il perché è sotto gli occhi di tutti ma non se ne vuole prendere atto. Allora devo dire e ribadire che è da anni - anni! - insieme ai miei colleghi che mi batto affinché l'istituzionalizzazione dell'insegnamento dell'educazione civica e del diritto venga prevista in tutte le scuole di ogni ordine e grado, perché non è concepibile che un giovane che sostiene gli esami di Stato conclusivi del ciclo di studi non conosca non solo gli elementi fondamentali di diritto e di economia, che dovrebbero comunque far parte del proprio bagaglio culturale, ma addirittura non conosca la nostra Carta costituzionale.

Ben venga, dunque, l'insegnamento del diritto e dell'educazione civica in tutte le scuole secondarie di secondo grado, ma anche nelle scuole secondarie di primo grado e nella scuola primaria. Ben venga che si ipotizzi un percorso ben preciso che, partendo dalla più tenera età, avvii i nostri studenti dapprima a comprendere l'importanza delle regole poste alla base della pacifica convivenza della società, fino a giungere, in stretta collaborazione con riferimenti storici e culturali del nostro cammino umano più o meno recente, alla genesi dello Stato democratico e repubblicano, allo studio della nostra Carta costituzionale e ai princìpi fondamentali nella stessa contenuti ed ancora allo studio della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, varata nello stesso anno della nostra Costituzione, fino alla nascita dell'Unione europea, all'attuale situazione, europea e internazionale. Solo se i nostri studenti avranno acquisito gli elementi fondamentali di diritto e di economia, potranno giungere al termine del percorso formativo scolastico con un bagaglio culturale completo in grado di traghettarli nella società con il giusto bagaglio, non solo professionale ma di cittadinanza. Cittadini consapevoli, liberi, critici, attenti e impegnati nella società, cresciuti nella cultura della legalità, cittadini che scelgono da che parte stare e in che mondo vogliono far crescere i loro figli: un mondo che rispetta l'ambiente, che combatte realmente la piaga della criminalità organizzata e della mafia nelle sue vesti molteplici, subdole e striscianti, una piaga sempre aperta che fagocita inesorabilmente gli sprovveduti e ignoranti e si alimenta della superficialità e della paura dei più deboli.

Ebbene il testo del provvedimento del quale oggi discutiamo segna una decisa inversione di tendenza rispetto al passato, e non perché, come già detto, non vi siano stati interventi in questo senso in precedenza. Solo che oggi più elementi che si trovano nel testo di legge ci indicano la precisa volontà di intraprendere un cammino per rendere tale insegnamento autonomo e, quindi, più efficace rispetto al passato. Un'inversione di tendenza che, prevedendo l'insegnamento dell'educazione civica e dei contenuti individuati nel testo di legge, si concretizzerà, a mio avviso, e definitivamente solo nel momento in cui tutte le scuole potranno avvalersi di un docente specializzato quale il docente di discipline giuridiche ed economiche, unico titolato in tal senso, il quale, completando armonicamente il corpo docente di classe e d'istituto, non soltanto potrà espletare il ruolo che gli si addice naturalmente, ma anche coordinare eventuali interventi extrascolastici e progetti che coinvolgono il mondo del lavoro, il mondo sociale, le istituzioni, possibilmente istituendo un settore dipartimentale di tale materia. Ecco perché fin da subito, nel corso della discussione in Commissione, abbiamo rivendicato questo ruolo a tali docenti, riuscendo per ora a ottenerne l'attribuzione semplicemente ai docenti presenti nell'organico dell'autonomia. Non altrettanto è avvenuto per le scuole secondarie di primo grado, nonostante le esperienze positive scaturite qualche anno fa in occasione delle assunzioni della “buona scuola”. Abbiamo, infatti, ripetutamente chiesto, senza ottenerlo fino ad oggi, un censimento dei docenti di discipline giuridiche, mentre ci è stato riferito - ma solo oralmente - che non tutte le scuole secondarie di secondo grado hanno in organico, ad oggi, tale figura, nonostante l'imponente piano assunzionale di cui si è detto che, in tutta onestà, faceva presagire di ipotizzare proprio l'epilogo che auspichiamo in merito ad un'occupazione dignitosa ed efficace dei cosiddetti docenti di potenziamento in tutte le scuole secondarie di primo e di secondo grado. Ci auguriamo che in un prossimo futuro questo divario venga colmato, per assicurare, in virtù del diritto di tutti gli studenti di godere di un'offerta formativa di pari dignità, la fruizione di un insegnamento valido ed efficace a tutte le latitudini del nostro Paese, insegnamento che - ne sono convinta e lo rivendico con forza - solo un docente specializzato come quello di discipline giuridiche può assicurare.

Altro dato positivo della presente proposta di legge consiste nella previsione della valutazione, che individua e rafforza la precisa volontà di rendere tale insegnamento una disciplina autonoma alla quale, però, occorre il proprio spazio. Stiamo parlando, quindi, della necessità di attribuire a tale materia un'ora aggiuntiva, e non di lasciare alla buona volontà dei dirigenti l'enucleazione di uno spazio orario da ricavare riducendo le ore dedicate alle altre materie, altrimenti il rischio concreto sarà quello, dopo un buon avvio, di ricadere nell'alveo delle riforme formali e dispersive, che ben poche ricadute concrete hanno sugli studenti. Sono tuttavia fiduciosa nell'evoluzione della norma, anche in considerazione della periodica relazione che il Ministro dell'Istruzione dovrà svolgere al Parlamento e, in esito alla quale, sicuramente il testo di legge che oggi esaminiamo in progetto verrà rivisto e migliorato sotto i profili anzidetti, in modo che tale insegnamento possa assurgere, in maniera definitiva, al ruolo di materia autonoma attribuita ai docenti specializzati, i docenti di discipline giuridiche ed economiche.

PRESIDENTE. Si avvii a concludere.

ELISABETTA MARIA BARBUTO (M5S). Voglio ricordare, a tal proposito, che recentemente il Parlamento ha approvato una legge in merito all'insegnamento dell'educazione motoria anche nelle scuole primarie e, in tale occasione, è stata più volte sottolineata l'importanza dell'attribuzione di tale insegnamento ai docenti specializzati, quali appunto i docenti di educazione fisica. Corretto: infatti, non si può pensare di salvaguardare la tutela di un armonico sviluppo fisico degli studenti attribuendone l'insegnamento a chi non ne ha le competenze. In coerenza con tale scelta, avrebbe dovuto procedersi fin da subito a scelta analoga per l'insegnamento dell'educazione civica, dimostrando quanto meno la stessa attenzione alla mens oltre che al corpus dei futuri cittadini. Comunque un primo passo fondamentale è stato compiuto. Speriamo che altri seguano a breve: un passo dietro l'altro, per un cammino che ci conduca alla meta, la meta di una comunità sana in cui la scuola prepara realmente all'ingresso in società, una scuola che si rispecchia limpidamente nella società, una società diversa, una società vera a misura d'uomo e dei suoi autentici valori, quella in cui vivranno i nostri figli (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Bucalo. Ne ha facoltà.

CARMELA BUCALO (FDI). Grazie, Presidente. Signor Ministro, sottosegretario, onorevoli colleghi, oggi più che mai assistiamo ad un imbarbarimento del vivere civile. I giovani crescono senza regole: niente più modelli, principi, comportamenti e riferimenti. Frequenti sono gli episodi che mostrano quanto il rispetto per gli altri e per la cosa pubblica non sia più un valore riconosciuto dai ragazzi. La cronaca è piena di episodi, incredibili: bullismo, violenza, inosservanza delle più elementari norme del vivere civile, ed ancora, degrado ambientale, devianza minorile, alcol, droga, per non parlare, purtroppo, dei tanti incidenti mortali sulle strade dovuti all'inosservanza dei principi base dell'educazione stradale. Inutile negare che esiste una situazione di disorientamento, una vera e propria emergenza educativa. È ovvio che la centralità della questione sia legata alla scuola. Purtroppo, negli anni, il suo compito è stato limitato alla trasmissione solo del sapere: ci siamo fermati, una volta classificata la cultura come puro e semplice insieme di conoscenze, nozionismo integrale, fatto solo di regole astratte. Però oggi, dopo un'attenta analisi, ci troviamo a riconsiderare, invece, il quadro complessivo dei compiti educativi e culturali della scuola. Dobbiamo recuperare quella che era la sua fondamentale finalità formativa: aiutare i giovani nel loro personale impegno di autorealizzazione umana e, in tale prospettiva, nasce l'esigenza di reintrodurre l'educazione civica non più come un'appendice della storia, come quando fu istituita, nel 1958, dall'allora Ministro della Pubblica istruzione Aldo Moro, ma come insegnamento di regole, valori, norme, modelli di comportamento e principi generali. È giusto che i ragazzi conoscano, perché solo così potranno affrontare in maniera responsabile l'inserimento nella società. Questo provvedimento intende, quindi, formare gli studenti, renderli consapevoli di vivere in una società civile che non sia solo coesistenza, ma convivenza, insegnare loro a diventare cittadini attivi, responsabili della funzione delle regole, della solidarietà e con un senso di appartenenza a una comunità condivisa. Pertanto, gli argomenti che riteniamo prioritari partono dalla Costituzione e dai suoi principi ispiratori: la legalità, che è essenziale in un contesto come quello odierno, caratterizzato da una crescente insicurezza e instabilità sociale, con una conseguente perdita di identità e di valori di riferimento; il tutto perché tra i giovani è sempre più determinante la crescita di un forte individualismo.

Ragazzi subito desiderosi di autonomia, con una percezione spesso sfumata del confine tra azione legale e illegale. Importante, fondamentale, quindi, far riscoprire loro il significato del termine legalità, che non è qualcosa di astratto o di avulso dalla propria esistenza, ma che, invece, trova quotidianamente riscontro nei rapporti interpersonali e nelle situazioni che riguardano la loro vita. Così come diventa indispensabile far comprendere valori imprescindibili, come il senso di appartenenza alla patria: partiamo dalla conoscenza dell'inno nazionale, spieghiamo il significato del tricolore, la bandiera quale simbolo indiscutibile tra i più forti dei nostri tempi; spieghiamo cosa vuol dire massima devozione ad una patria intesa come appartenenza non solo alla stessa terra, alla stessa lingua, ma alla stessa idea. Vorrei citare come esempio un episodio che ha fatto scalpore: due giovani connazionali che in Thailandia, sorpresi dalle autorità locali nell'atto di danneggiare una bandiera di quel Paese, si scusarono dicendo che in Italia un episodio del genere non era così rilevante. Quindi, la nostra bandiera non è così importante? Ma, a questo punto, mi chiedo: è normale che i ragazzi non sappiano davvero cos'è la fierezza dell'identità italiana, il motivo per cui tanti, troppi nostri connazionali hanno pagato con la vita l'appartenenza alla comunità? Noi abbiamo il dovere morale, l'obbligo di far conoscere tutto questo: l'Italia di domani si costruisce insegnando ai giovani di oggi quali sono i valori veri della patria, cosa la bandiera e l'inno nazionale simboleggiano, dunque l'identità nazionale, ovvero sentirsi parte di un popolo unito all'interno dei propri confini, portatore di valori assoluti che sono fondamento di uno Stato di diritto.

Sempre per far fronte alle più diffuse emergenze educative, è molto importante sensibilizzare bambini e ragazzi alle problematiche ambientali, affrontare, cioè, argomenti quali la tutela delle acque, l'alimentazione sostenibile, la gestione dei rifiuti, la green economy, l'inquinamento, il dissesto idrogeologico, purtroppo tanto attuale e dai risvolti devastanti, negli ultimi anni, in Italia. Allo stesso modo, è importante educare i giovani al rispetto degli animali. La cronaca, ogni giorno, ci riferisce spesso di animali uccisi brutalmente oppure mutilati per puro divertimento o, peggio ancora, per reagire alla noia. Queste torture nascondono, purtroppo, un disagio ancora più grave: il desiderio – a volte il bisogno – di ragazzini dimostrarsi grandi, forti e coraggiosi. Ovidio sosteneva che la crudeltà verso gli animali nasconde il tirocinio alla cattiveria verso gli uomini. Allora, la scuola può molto contribuire ad educare i ragazzi al rispetto della vita animale, al fine di creare una società armonica e non violenta, a vantaggio di tutte le specie umane e non umane.

Riteniamo prezioso per i ragazzi il ruolo della scuola nella conoscenza del patrimonio culturale e naturalistico attraverso momenti di approfondimento, la comprensione delle varie identità, di diversità artistiche, architettoniche e archeologiche di ogni regione italiana: queste sono chiare espressioni di civiltà e di cultura. Pertanto, la scuola deve contribuire alla formazione di comportamenti fortemente connotati in un senso civico, atti a garantire la tutela partecipata e la salvaguardia del bene culturale come patrimonio della collettività.

Tra gli adolescenti è sempre elevata l'incidenza di patologie correlate alla cattiva alimentazione e al consumo di bevande alcoliche. Negli ultimi tempi è diventata una vera e propria emergenza scaturita dalla non conoscenza o, peggio ancora, dal rifiuto di una cultura che favorisca lo sviluppo di una corretta alimentazione. Quindi, diventa adesso importante far acquisire la consapevolezza che la salute costituisce anche un bene pubblico e che la sua tutela è un diritto garantito dalla Costituzione, prima ancora che dalla collettività, è un dovere verso se stessi e nel rispetto degli altri.

Per questi ragazzi, allo stesso modo, è fondamentale l'educazione stradale che, oltre a trasmettere principi democratici e di legalità sui quali deve fondarsi la convivenza civile, consente l'acquisizione di conoscenze e consapevolezze che rendono il giovane completo e pronto ad affrontare l'ambiente strada, a coesistere, quindi, accettando le regole, che sono uguali per tutti e, dunque, più semplicemente, a vivere nella società.

L'insegnamento dell'educazione civica, per raggiungere appieno l'obiettivo, dovrà avere la caratteristica della concretezza: bisognerà, quindi, affiancare all'insegnamento teorico esperienze extrascolastiche, in modo da fornire agli studenti gli strumenti per una comprensione approfondita delle diverse realtà, al fine di far acquisire un atteggiamento razionale e critico nei confronti delle molteplici tematiche descritte.

Come Fratelli d'Italia, avevamo previsto che l'insegnamento dell'educazione civica, per un monte ore non inferiore a 33 annue, fosse affidato, per tutte le scuole primarie e secondarie di primo grado, ai docenti dell'area storico-geografica, mentre nelle scuole secondarie di secondo grado, tenuto conto della specificità dei singoli indirizzi, ai docenti dell'area umanistica e dell'area economico-giuridica, laddove è prevista, il tutto per evitare situazioni di soprannumerarietà.

Fermo restando che l'obiettivo primario è quello di assicurare la reintroduzione dell'educazione civica nelle scuole, per facilitare e raggiungere lo scopo, per quanto ci riguarda, siamo arrivati ad un testo condiviso. In particolare, l'insegnamento sarà affidato, anche in contitolarietà, a docenti della classe e, più nello specifico, a docenti abilitati all'insegnamento delle discipline giuridiche ed economiche, ove disponibili nell'ambito dell'organico dell'autonomia.

In ultimo, viste le tematiche affrontate dall'insegnamento dell'educazione civica, crediamo che in questo momento, più che in passato, sia importante sostenere la centralità dell'alleanza educativa tra scuola e famiglia, due sistemi molto complessi e influenti tra di loro per il delicato sviluppo sia culturale che umano del bambino o del ragazzo; ed è, quindi, essenziale integrare il patto di corresponsabilità estendendolo anche alla scuola primaria.

Infine, riteniamo che per tutte le materie affrontate in questa educazione civica bisognerà utilizzare una metodologia didattica capace di coinvolgere e di motivare gli studenti, e la valutazione dei risultati di apprendimento della materia concorreranno alla valutazione complessiva (Applausi dei deputati dei gruppi Fratelli d'Italia e Forza Italia-Berlusconi Presidente).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Capitanio. Ne ha facoltà.

MASSIMILIANO CAPITANIO (LEGA). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghe, onorevoli colleghi, sottosegretario Giuliano, la proposta di legge che portiamo oggi in Aula è la sintesi di un lavoro corale e trasversale che ha visto la VII Commissione lavorare su ben sedici proposte di legge. La relazione dell'onorevole Colmellere ha ben evidenziato la ricchezza, l'eterogeneità e anche gli elementi di novità e modernità di questa proposta.

La Lega ha annunciato l'intenzione di riportare l'educazione civica sui banchi di scuola e in pagella già a febbraio del 2018, in campagna elettorale, in mezzo alla gente. Questa, infatti, è una proposta di legge che nasce dall'ascolto, dal confronto, dalla conoscenza diretta di quello che avviene dentro e fuori dalle nostre scuole. Se abbiamo deciso di mettere l'educazione civica tra le priorità della nostra agenda politica è perché le sollecitazioni ci arrivavano dai dirigenti scolastici, dagli insegnanti, dalle famiglie, dagli amministratori locali: richieste che prendevano atto anche di tanti straordinari progetti già attuati in molte scuole italiane, ma senza una cornice di riferimento, senza un voto in pagella, senza una valutazione in fase di esame, senza una specifica formazione per i docenti.

Richieste che ci arrivavano, non certo da ultimo, dagli stessi ragazzi: sono quei ragazzi che non vogliono parlare più solo di diritti, ma che vogliono lasciarsi guidare da quei doveri inderogabili di cui parla l'articolo 2 della Costituzione; sono i ragazzi dei Fridays for Future, a cui non basta più il riferimento alla tutela dell'ambiente contenuto nell'articolo 117 della Costituzione, ma che gridano da tempo l'imperativo di norme e comportamenti che tengano in vita il pianeta su cui dovranno crescere; sono quei ragazzi che ci siamo accontentati di chiamare nativi digitali, sottraendoci però al dovere di affiancarli nella formazione di una vera cittadinanza digitale e che abbiamo acconsentito vivessero senza regole e senza diritti in quello spazio virtuale che è stato ribattezzato Far Web, cioè uno spazio in cui quotidianamente l'articolo 2 della Costituzione viene calpestato e che oggi ci costringe frettolosamente a mettere delle pezze, come abbiamo fatto di recente in quest'Aula occupandoci di revenge porn.

Crescere oggi cittadini digitalmente consapevoli e responsabili vuol dire sottrarli a insidie devastanti, in primis per le vittime ma anche per gli stessi autori dei reati. Poche settimane fa, a Lodi, l'ennesimo caso di una tredicenne che ha tentato il suicidio perché vittima di cyberbullismo. Un ragazzino su tre, tra i 10 e i 16 anni, è vittima di reati, reati gravissimi, reati che vengono compiuti con leggerezza perché chi li commette spesso è inconsapevole del fatto che, nel passaggio tra virtualità e realtà, dovrà rispondere di pedopornografia, stalking, istigazione al suicidio, minacce, estorsione.

Questi, purtroppo, sono gli aspetti negativi della mancanza di educazione civica, aspetti che non si possono tacere. Ma questo progetto di legge è una proposta positiva, piena di speranza, che parla di responsabilità, di consapevolezza, di diritto al lavoro, di educazione al bello e al benessere, di tutela del patrimonio culturale e di identità territoriale, di cittadinanza attiva, di volontariato.

Gli articoli 4 e 8 della proposta di legge sottolineano la necessità di favorire la crescita democratica dei nostri giovani e la cittadinanza attiva, non solo attingendo alla nostra Costituzione, ma anche scoprendo la bellezza e la ricchezza degli Statuti regionali e coltivando la conoscenza delle cellule vive della nostra democrazia: i nostri comuni; comuni che sono stati parte attiva nella formazione di questa proposta di legge, con la raccolta firme promossa da ANCI.

Questa proposta di legge consentirà, ad esempio, di valorizzare ulteriormente l'esperienza dei consigli comunali dei ragazzi che insegnano ai nostri giovani quanto lavoro e quanta appassionata fatica si celino dietro a ogni singolo atto amministrativo, favorendo il rispetto istituzionale di sindaci e amministratori locali, quotidiani interpreti di una forma encomiabile di volontariato civico.

In una fase storica in cui siamo chiamati a valorizzare le autonomie locali contenute e promosse dall'articolo 5 della Costituzione, sarebbe bello veder approdare sui banchi di scuola anche gli statuti delle regioni, vere e proprie forme di Costituzione locale, che non fanno altro che rimarcare e sottolineare i principi fondamentali della nostra democrazia.

Ho letto di un prestigioso editore che, a proposito di questa legge, ha parlato, senza senso di rispetto, di un fritto misto inutile che penalizzerà lo studio della storia: spiace, perché questa legge vuole invece calare quel meraviglioso, attualissimo e indelebile connubio di diritti e doveri che è la nostra Costituzione, nella contemporaneità.

Questa proposta di legge, per usare un'immagine che mi piace di più, ha l'ambizione di rimettere la Costituzione nello zaino e di declinarla al presente: trentatré ore, voto in pagella, valutazione in sede di esame, formazione dei docenti, albo delle buone pratiche, sono elementi che ci consentono di dire che l'educazione civica torna protagonista sui banchi di scuola. Sono elementi fondamentali per uscire progressivamente da una situazione di limbo che, purtroppo, nonostante tantissime buone pratiche diffuse a livello nazionale, ci fanno dire che “Cittadinanza e Costituzione” fosse una materia per lo più trascurata, se non addirittura dimenticata; altrimenti non si spiegherebbero sedici proposte di legge e un milione di firme raccolte dai comuni.

Non è sufficiente quanto uscito dal testo della Commissione. Con l'articolo 11 prevediamo il monitoraggio e l'aggiornamento della legge, consapevoli che le risorse per questo cammino di civiltà non saranno mai troppe. Non dimentichiamo certo i 18 mila docenti di diritto ed economia presenti nelle nostre scuole, più della metà dei quali oggi impegnati in attività di potenziamento o sostegno. La proposta di legge fa espliciti riferimenti alla loro importanza, laddove presenti, e getta le basi per un maggior coinvolgimento nelle attività didattiche, ma l'educazione civica nasce anche con una prospettiva più ampia, per disegnare un percorso di diritti, doveri e regole, che accompagna i bambini e ragazzi dalla scuola dell'infanzia fino alla secondaria di secondo grado. Questo progetto di legge ci consente di fare un primo e decisivo passo in questa direzione.

Prendendo in prestito una frase di Aldo Moro, che volle l'educazione sui banchi di scuola nel 1958: non guardiamo al domani, ma al dopodomani (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Aprea. Ne ha facoltà.

VALENTINA APREA (FI). Presidente Carfagna, sottosegretario Giuliano, colleghe e colleghi, a poco più di sessant'anni dal varo della prima legge sull'educazione civica, decreto Moro-Gronchi del 13 giugno 1958, ci apprestiamo a varare una nuova legge sull'educazione civica, perché sebbene siano trascorsi tanti decenni, la finalità, mai raggiunta compiutamente, resta sempre quella indicata prima ancora dall'ordine del giorno Moro, approvato all'unanimità dall'Assemblea costituente del 1947, che recitava così e chiedeva che “…la nuova Carta costituzionale trovi - diceva Moro -, senza indugio, adeguato posto nel quadro didattico della scuola di ogni ordine e grado, al fine di rendere consapevole la giovane generazione delle conquiste morali e sociali che costituiscono ormai sacro retaggio del popolo italiano.”

In verità, Presidente, da allora nessuna riforma della scuola ha mai trascurato di prevedere in qualche caso la disciplinarietà e in altro la trasversalità di questo insegnamento, che è risultato presente dal 1958 in avanti nei programmi scolastici: avvenne nel 1979 con i programmi della scuola media e nel 1990 quando l'insegnamento divenne trasversale. Più recentemente, con la legge Moratti n. 53 del 2003, l'educazione civica è stata richiamata nelle indicazioni nazionali come formazione spirituale e morale, anche ispirata ai principi della Costituzione e di educazione alla convivenza civile, per diventare poi, con il decreto-legge Gelmini n. 137 del 2008, “Cittadinanza e Costituzione”.

Nell'ultima riforma della scuola, con la legge n. 107 del 2015, infine, è stato previsto in modo esplicito lo sviluppo delle competenze in materia di cittadinanza attiva e democratica. Con il decreto legislativo n. 62 del 2017, da ultimo, sono state previste le valutazioni delle attività svolte nell'ambito di “Cittadinanza e Costituzione”, sia nel primo ciclo che agli esami di Stato. E allora, perché approvare una nuova legge in questo ambito e per tutti gli ordini di scuola? Per rafforzare il quadro legislativo complessivo di questo insegnamento, contemplando tutte le declinazioni educative che in questi anni sono state oggetto di approfondimento didattico, ma soprattutto per ampliare con nuove e più complesse finalità l'educazione civica, al fine di promuovere negli studenti, attraverso la conoscenza della Costituzione italiana e delle istituzioni dell'Unione europea, tutti quei principi che contribuiscono a formare cittadini responsabili e attivi nel terzo millennio.

Su quest'ultimo aspetto, in particolare, Forza Italia ha dato un contributo attraverso le cinque proposte di legge depositate in Commissione cultura e che hanno riguardato, da un lato, l'importanza di richiamare lo studio delle istituzioni dell'Unione europea (PdL Battilocchio) ed il ruolo degli enti locali e dello studio delle identità territoriali ed agroalimentari nella formazione civica delle giovani generazioni (PdL Pella e Brunetta); dall'altro, le leggi Gelmini e Gelmini ed altri sull'educazione alla cittadinanza digitale.

L'articolo 5, che introduce per la prima volta, sottosegretario Giuliano, e non sarebbe stato possibile diversamente, è evidentemente una forma di vita di questi tempi, è un'espressione e sono scelte legate agli strumenti digitali del nostro tempo, questo tipo di educazione alla cittadinanza digitale rappresenta, dal nostro punto di vista, un necessario completamento delle declinazioni finora attuate nella scuola che negli anni hanno riguardato l'educazione ambientale e l'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, come diciamo in questa legge, oppure anche l'educazione delle produzioni e delle eccellenze territoriali agroalimentari, queste sono delle declinazioni che abbiamo previsto per la prima volta anch'esse. Ma certo l'educazione alla legalità e il rispetto e la valorizzazione del patrimonio culturale hanno una lunga tradizione nelle scuole italiane, l'educazione al diritto del lavoro e a tutte quelle indicate al comma 2 dell'articolo 3, l'educazione stradale, alla salute, al benessere, all'educazione al volontariato, alla cittadinanza attiva. Insomma, se è stato utile richiamare queste educazioni rinnovellando l'educazione civica come insegnamento trasversale affidato ad un docente e coordinatore e ai docenti della classe nella loro collegialità, che ne garantiscono la valutazione, ancora più importante dal punto di vista di Forza Italia è stato prevedere, così come abbiamo proposto con la legge Gelmini, un intero articolo sull'educazione alla cittadinanza digitale, perché l'avvento di Internet, delle reti sociali, dei nuovi mezzi di informazione e comunicazione, questo avvento ha determinato cambiamenti dirompenti sia sul terreno dei diritti e delle libertà sia sulle forme di partecipazione alla vita democratica. In sintesi, sui contenuti essenziali della nostra Carta costituzionale. Gli studenti di oggi rappresentano la prima generazione cresciuta con questa nuova tecnologia; hanno trascorso tutta la loro vita tra videogiochi, video, videocamere, riproduttori digitali di musica, telefoni cellulari e altri dispositivi dell'era digitale. Il risultato è che gli studenti di oggi, come sa bene il sottosegretario Giuliano, pensano ed elaborano le informazioni in modo radicalmente diverso dai loro predecessori. Ma essere nativo digitale non implica essere maturo digitale; serve un'educazione specifica per fare in modo che i cittadini siano maturi per questo nostro tempo pervaso e determinato dalle tecnologie e dai servizi digitali. Infatti, se la rete Internet offre forme, modalità e spazi di esercizio e di sviluppo inediti per molti diritti tradizionali, pensiamo alla libertà di manifestazione del pensiero, di informazione, di associazione, di riunione e di iniziativa economica, al diritto al lavoro, all'istruzione, allo stesso tempo proprio Internet, grazie agli scenari e alle opportunità che dischiude, alle potenzialità che offre, suscita rivendicazioni e bisogni di tutela inediti, che si traducono nella domanda anche di nuovi diritti: la riservatezza, il diritto all'oblio, la protezione cibernetica e altro. A questa tendenza espansiva delle potenzialità corrisponde, insomma, una altrettanto ampia dilatazione delle minacce, anch'esse inedite, derivanti dalla circolazione dei dati tanto per i diritti tradizionali quanto per quelli nuovi, aumento della possibilità di identificare i profili delle persone fin nelle loro più intime abitudini, rischi di violazione della proprietà e del diritto d'autore, diffusione delle varie forme di crimine informatico, possibilità di attacchi indiscriminati e anonimi alla dignità delle persone. Ma quali sono gli elementi che dobbiamo tenere a mente e di cui essere consapevoli quando parliamo di educazione alla cittadinanza digitale? Alfonso Fuggetta in Cittadini ai tempi di Internet ne elenca alcuni. Internet è un mondo sconfinato. Quando condividiamo un'informazione, dobbiamo essere consapevoli del raggio della nostra comunicazione, che è esteso a tutta Internet. Internet è un mondo che non dimentica, ogni informazione che condividiamo viene inserita in miriadi di dispositivi e server; non basta cancellare un post per far sì che sparisca definitivamente. In rete non esiste “annulla”, in rete non sappiamo sempre con chi interagiamo. Dobbiamo essere consapevoli che non basta leggere un nome e un cognome per sapere chi abbiamo dall'altra parte. Il tema dell'identità in rete è complesso deve essere spiegato con cura ai nostri giovani. In rete non è vero che la facciamo sempre franca, questo è un concetto che purtroppo i ragazzi di Manduria stanno imparando sulla propria pelle. Parliamo dell'ultimo fatto di cronaca, altri sono stati evocati in quest'Aula oggi pomeriggio. Certamente su Internet esistono strumenti che permettono di restare nell'ombra e non farsi riconoscere né rintracciare, così come esistono pratiche per camuffarsi o ingannare i nostri interlocutori, ma nella gran parte dei casi possiamo essere rintracciati e individuati, e quindi dobbiamo essere consapevoli e responsabili di quello che facciamo. Certo, gli adulti, i giovani come gli adulti, gli adulti come i giovani, ma, se si è giovani e non si è educati a questo, evidentemente il rischio è maggiore. La rete ha dinamiche proprie, ma le leggi alle quali soggiace sono sempre le stesse. Non è vero che Internet sia un luogo senza regole: nella rete valgono le stesse regole del mondo reale. Offendere, minacciare, rubare o qualunque altro crimine rimane tale anche se compiuto per mezzo della rete. Certamente ci sono complicazioni, la transnazionalità di molte operazioni, ma non è per nulla vero che la rete sia una sorta di zona franca dove chiunque può fare ciò che meglio gli aggrada.

In rete non si può essere solo attori a tempo parziale, Internet non è solo un luogo di svago o di divertimento, né semplicemente un luogo dove si comunica facilmente con gli amici. Stare su Internet è impegnativo e bisogna essere educati a farlo. Internet, insomma, ha allargato il dominio possibile dei diritti, delle libertà, dei doveri e della democrazia, e dunque della sfera della cittadinanza attiva e delle garanzie costituzionali, ma l'insegnamento dell'educazione alla cittadinanza attiva in piena coerenza con i tempi deve comprendere in sé anche i temi della cittadinanza digitale. L'insegnamento dell'educazione alla cittadinanza attiva tra i banchi della scuola deve per questo promuovere lo sviluppo del senso di civile responsabilità e del pensiero critico anche ai fini dell'apprendimento dei principi della cittadinanza digitale mediante l'educazione - lo ha ripetuto e lo ha detto in quest'Aula anche il sottosegretario Giuliano -, l'educazione all'uso consapevole, responsabile e, noi aggiungiamo, costituzionalmente orientato della rete Internet e di tutti gli strumenti e le risorse digitali.

Agire sul piano della formazione è essenziale per evitare una fenomenologia molto spesso perversa per la quale Internet si presta a diventare una sorta di zona franca. Né possiamo accettare, Presidente, sottosegretario, colleghi, da educatori e da legislatori, che il tema sia affrontato solo sul piano giuridico con l'individuazione di nuove fattispecie di reati, come pure abbiamo fatto, e abbiamo fatto molto bene, recentemente in quest'Aula. Il problema della familiarità con le tecnologie e dell'uso consapevole delle stesse deve essere prima di tutto una sfida per l'educazione dei giovani del Terzo Millennio. Per queste ragioni, siamo certi che far conseguire agli studenti le abilità e le conoscenze digitali indicate all'articolo 5 in un ambito pedagogico di riferimento rappresenti la vera sfida da vincere per un uso consapevole di Internet e la maniera più efficace per proteggere sé e gli altri da eventuali pericoli in ambienti digitali come forma di prevenzione al bullismo e al cyber bullismo. Proporremo alla relatrice di prevedere proprio questa forma esplicita di fenomeno nella legge, all'articolo 5. Ci sono tutta una serie di punti che abbiamo voluto prevedere nell'articolo perché per la prima volta un testo di legge affronta sul piano pedagogico e formativo questo tipo di educazione.

Allora, certo, analizzare, confrontare e valutare criticamente credibilità e affidabilità delle fonti, le fake news, informazioni, interagire attraverso una varietà di tecnologie digitali, individuare i mezzi e le forme di comunicazioni digitali appropriate per un contesto, informarsi, partecipare al dibattito pubblico attraverso l'utilizzo dei servizi digitali, fornire norme comportamentali nell'ambito dell'utilizzo delle tecnologie digitali e l'interazione in ambienti digitali, ma soprattutto vorrei soffermarmi su questi ultimi dispositivi dell'articolo 5. Creare e gestire l'identità digitale, essere in grado di proteggere la propria reputazione, gestire e tutelare i dati che si producono attraverso diversi strumenti digitali, ambienti e servizi, rispettare i dati e le identità altrui, utilizzare e condividere informazioni personali identificabili, proteggendo se stessi e gli altri, conoscere le politiche sulla privacy, essere in grado di evitare, usando tecnologie digitali, rischi per la salute e minacce al proprio benessere fisico e psicologico, essere in grado di proteggere sé e gli altri da eventuali pericoli in ambienti digitali, essere consapevoli delle tecnologie digitali per il benessere psicofisico e l'inclusione sociale anche come forma di prevenzione di bullismo e di cyber bullismo.

Per favorire questa nuova forma di educazione e monitorarne l'andamento nella scuola italiana, Forza Italia ha chiesto ed ottenuto di prevedere inoltre l'istituzione di una consulta dei diritti e dei doveri per l'adolescente digitale presso il Ministero dell'Istruzione, dell'università e della ricerca, per far sì che ci sia un coinvolgimento di tutti i soggetti che a diverso titolo si occuperanno dell'educazione digitale dei giovani, dagli insegnanti alle famiglie e agli stessi studenti, agli esperti, all'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza. Perché questa legge però possa avere gambe occorre, sottosegretario - lo hanno detto tutti i colleghi che mi hanno preceduto e probabilmente ritorneremo ancora fino al momento dell'approvazione della legge su questo aspetto -, un piano straordinario di formazione dei docenti.

Il digital divide oggi presente nella scuola italiana è la vera criticità della scuola italiana. La differenza tra le competenze digitali - che non vuol dire però essere maturi digitali - dei giovani, dei centennial che abbiamo nelle scuole, e gli insegnanti che spesso non conoscono neppure quello di cui si nutrono dal punto di vista digitale i giovani, è il vero problema. Ci sono degli alieni nelle classi, ci sono insegnanti che non sanno proprio chi hanno di fronte, come vivono questi ragazzi, come pensano, come comunicano. Ma pensiamo davvero che si possa andare avanti così? Sottosegretario Giuliano, lei sa di che stiamo parlando: lei deve intervenire, a lei la responsabilità, insieme al Ministro Bussetti! Non può passare invano questa legislatura. Io non so come facciamo noi a dormire la sera, ad addormentarci con questo pensiero. Guardate che se ci pensiamo, diventa un problema: che apriamo a fare le scuole, quando poi c'è questo digital divide, se gli insegnanti e i ragazzi non si parlano perché usano linguaggi diversi? Allora davvero, mettiamo la testa, questo prima di tutto: mettiamo la testa su questo problema, questo prima di tutto. È inutile piangere per i fatti di Manduria, è inutile interrogarsi su che cosa succede a Lodi, è inutile interrogarsi se ci sono ragazzi che rischiano il suicidio, se non abbiamo almeno tentato di recuperarne la valenza educativa, di recuperare la valenza educativa delle competenze digitali.

Naturalmente occorre rafforzare il patto di corresponsabilità con le famiglie, creare delle reti territoriali che avvicinino i giovani agli elementi identitari dei territori, favorendo fin dalla tenera età un protagonismo civile e responsabile delle giovani generazioni: se non lo facciamo noi, Presidente, lo faranno da soli questi ragazzi; da soli stanno creando movimenti planetari globali per salvare il pianeta, lo faranno anche su altri temi. E allora saremo sempre più inutili, e forse dannosi in qualche caso, come quando la scuola non è in grado di intervenire in modo giusto. Io non voglio questo scenario, Dio ce ne liberi, da questo scenario.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

VALENTINA APREA (FI). Mi piace concludere richiamando una famosa espressione di Popper, che recita così: “Le fortezze resistono solo se è buona la guarnigione”; e allora è innanzitutto agli individui che le compongono che bisogna guardare. Non abbiamo più molto tempo: dobbiamo agire in fretta, perché la rivoluzione di Internet influenza le nostre realtà, si sviluppa sul piano globale. A noi spetta il compito di coniugare tutto ciò con i valori propri della nostra Costituzione, che rimandano alla partecipazione, alla sussidiarietà e alla democrazia; ma non abbiamo più molto tempo, è questo il tempo.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Ascani. Ne ha facoltà.

ANNA ASCANI (PD). Presidente, è stato ricordato già dalla relatrice il percorso dal quale nasce questa proposta di legge, che oggi arriva in Aula; e sono particolarmente contenta che il mio partito abbia potuto contribuire a scrivere un testo che poi è stato condiviso. Quindi ringrazio ovviamente la relatrice per il lavoro che ha svolto, e mi unisco ai ringraziamenti a tutti i commissari della VII Commissione, che insieme hanno lavorato, anche in tempi piuttosto celeri, cercando però di trovare un'intesa su un tema che in realtà è all'ordine del giorno da un po' di tempo: sono state ricordate le proposte parlamentari, è stata ricordata la proposta di iniziativa popolare, mi fa piacere ricordare l'impegno dei comuni italiani, di ANCI che ha lanciato una raccolta firme in tutta Italia per coinvolgere i cittadini sull'importanza di questo tema, ovvero dell'educazione civica nelle scuole.

Non cominciamo da zero, perché il percorso col quale sin dai primi anni Duemila è stato reintrodotto a scuola l'insegnamento dell'educazione civica appunto viene da lontano, e perché soltanto nell'ultima riforma della scuola, che è stata approvata dai nostri Governi, era stato rafforzato il senso delle competenze civiche di cittadinanza; con questa proposta di legge si va a sistematizzare un lavoro che nel tempo tutte le forze politiche avevano fatto proprio. Perché è così importante oggi discutere qui insieme, con una comunità di intenti (credo sia apprezzabile), di educazione civica? Anzitutto per il significato della parola “educazione”: perché se educazione non è riempire un secchio ma accendere un fuoco, noi dobbiamo anzitutto capire che cosa la scuola fa nel 2019; in un tempo nel quale - lo hanno già detto alcuni dei miei colleghi - le informazioni disponibili sono miliardi: oggi un ragazzino ha a disposizione più informazioni di quante ne avesse il Presidente Clinton alla Casa Bianca. Quindi questo cambia radicalmente il ruolo della scuola: il ruolo della scuola non è più soltanto il trasmettere nozioni, che pure resta parte del suo compito, sicuramente parte del suo compito, ma diventa anzitutto lo sviluppo del pensiero critico, cioè la capacità di selezionare le informazioni che sono vere, prima di tutto, utili in secondo luogo. E questo è un compito importantissimo e delicatissimo, che cambia anche il senso della figura dell'insegnante, che non è più soltanto colui che conosce qualcosa e lo trasmette, ma è colui che insieme alla comunità educante aiuta i ragazzi a crescere da cittadini attraverso lo sviluppo del pensiero critico.

Ed ecco quindi che l'educazione civica diventa disciplina fondamentale, la disciplina delle discipline, diventa quello a cui tutti gli insegnanti hanno il diritto, prima che il dovere, di essere formati, perché è l'unico canale attraverso il quale l'insegnante oggi, nel 2019, può fare bene il proprio mestiere. A prescindere dalla disciplina che poi andrà ad insegnare, che si tratti di letteratura italiana, della matematica, di una lingua straniera, quello che più conta oggi è essere consapevoli del proprio ruolo, che è completamente nuovo rispetto al passato, e che è appunto non più soltanto trasmettere nozioni, ma aiutare lo sviluppo del pensiero critico. Siamo - ci dicono i filosofi della politica - nel tempo della democrazia cognitiva, nel quale cioè per essere cittadini bisogna conoscere il mondo nel quale ci muoviamo, e quindi a maggior ragione è importante il ruolo che in questo senso esercita la scuola.

Quindi nessun paternalismo. Ho sentito parlare giustamente di episodi di bullismo, di episodi che purtroppo finiscono sui giornali, nei confronti dei quali noi spesso ci poniamo come distanti, come qualcuno che ha qualche cosa da rimproverare ai nostri ragazzi, con quel paternalismo che di solito nasconde invece una mancanza di fondo: perché quegli episodi purtroppo sono il riflesso di una società che non ha avuto sufficienti maestri, persone in grado di accompagnare la crescita di questi ragazzi. Purtroppo quegli episodi sono il frutto di quello che noi adulti non abbiamo saputo fare a sufficienza, che si tratti della scuola, delle famiglie, della società intesa a 360 gradi. Ma neanche nessun giustificazionismo: ovviamente non c'è giustificazione per quello che accade, per quegli episodi, per quello per cui i nostri ragazzi oggi finiscono sulle pagine dei giornali. Ma c'è l'assunzione di un senso di responsabilità: finalmente la politica si assume una responsabilità, che è quella di dare linee guida e di tenere insieme la società, dalla scuola alle famiglie, passando naturalmente per le responsabilità individuali, in un'ottica però che sia la condivisione dei valori, e quindi la formazione dei cittadini.

E per questo tale percorso oggi assume un'importanza particolare. Come Partito Democratico abbiamo insistito affinché ci fosse un articolo dedicato alla Costituzione, perché naturalmente nessuna educazione civica si può fare a scuola se non si parte dalla Carta costituzionale, dalla nostra carta d'identità. Per sapere dove vuoi andare devi anzitutto sapere dove sei, o meglio chi sei, e la Carta costituzionale ci dice esattamente questo: chi è il cittadino italiano, quali sono i suoi diritti, quali sono i suoi doveri e qual è la grandezza di questa Repubblica, nella quale i padri costituenti che provenivano da famiglie politiche diverse, spesso anche in contrasto fra loro, trovarono un'intesa nello scrivere appunto una carta d'identità nella quale tutti i cittadini italiani possono e devono riconoscersi. Troppo poco la si insegna a scuola!

Ovviamente i programmi fanno sì che gli insegnanti spesso debbano inseguire quello che poi all'esame di maturità è richiesto sapere, spesso la ristrettezza dell'orario scolastico impedisce di ampliare invece quello che dovrebbe essere il giusto studio della Costituzione italiana. E allora queste 36 ore siano l'occasione per ricordare ai nostri ragazzi chi siamo, e quindi per stabilire insieme dove possiamo e dove vogliamo andare.

Poi, certo, è un'importanza cruciale - diceva bene la collega Aprea - il tema dell'educazione al digitale. L'avevamo inserito nella legge n. 107 del 2015 proprio perché ci rendevamo conto che l'educazione aveva un buco, un vulnus fondamentale: non si può fare scuola senza dedicarsi a quel pezzo che ormai non è più il virtuale, ma che fa parte della vita reale, a trecentosessanta gradi, non solo dei ragazzi ma anche degli adulti, e poi perché dal digitale passa il diritto fondamentale al lavoro, che è appunto l'articolo 1 della nostra Costituzione. Oggi noi sappiamo che i lavori che domani esisteranno non esistono, e passeranno da quelle competenze digitali che sempre di più devono essere sviluppate a scuola. E abbiamo bisogno di insegnanti che per primi ne siano resi edotti, che abbiano il diritto di essere formati a quel digitale che semplicemente non esisteva quando loro hanno vinto magari un concorso per diventare insegnante.

Quindi, prima di tutto il lavoro, lo sviluppo di competenze digitali che consentano ai nostri ragazzi di accedere al lavoro, quel diritto che gli è garantito dalla Costituzione, e poi l'essere cittadini. Non si può esercitare il diritto alla cittadinanza senza sapere che cosa si muove sopra la nostra testa, senza sapere che spesso quello che ci arriva come informazione dipende da algoritmi che sono stati scritti altrove, senza rendere accountable, cioè responsabili di quello che fanno, i grandi attori del digitale, i grandi monopolisti del digitale. Perché i nostri ragazzi lo facciano, c'è bisogno che sappiano come si muove la democrazia, come Facebook agisce, come Google agisce, come i grandi del web agiscono e rischiano di condizionare le loro scelte. Altrettanto importante è citare l'ambiente, la tutela dei beni culturali, il fatto cioè che siamo tutti responsabili e corresponsabili di quello che abbiamo ricevuto e che, quindi, dobbiamo riconsegnare alle generazioni che verranno; poco ci è stato insegnato, dobbiamo insegnarli oggi ai ragazzi.

Noi proporremo alcuni piccoli emendamenti in Aula a questa proposta, perché crediamo che tra i punti deboli ci sia anzitutto quello delle coperture. Una proposta così forte, così ampia, ha bisogno di una voce di spesa, ha bisogno che il Governo e il Parlamento dimostrino di voler davvero investire - e non solo a parole - sull'educazione civica. Quindi, noi proporremo di investire di più sulla formazione. Anche se si è preso dal fondo della legge n. 107 del 2015 per investire sulla formazione - ben venga -, proporremo però di aumentare gli stanziamenti.

Chiudo dicendo questo: questa legge mette insieme le responsabilità della politica, la responsabilità della famiglia e quella della società, credo sia per questo molto importante. Ricordiamoci, però, al netto di quello che oggi noi diremo e ripeteremo in quest'Aula, che la cosa più importante è quella che disse il Presidente Pertini: i ragazzi non hanno bisogno di sermoni, i ragazzi hanno bisogno di buoni esempi, e a volte la politica questi buoni esempi non li dà. Cominciamo dall'educazione civica qui dentro, e la faremo meglio anche nelle nostre scuole (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Toccafondi. Ne ha facoltà.

GABRIELE TOCCAFONDI (MISTO-CP-A-PS-A). Grazie, Presidente. Ringrazio anch'io il Governo, i colleghi. Il problema dell'educazione esiste da sempre, da quando l'uomo ha coscienza di sé e si è posto il tema dell'educazione delle nuove generazioni, è una cosa che quindi non scopriamo oggi, certo è, però, che oggi sono molte le pressioni e le sollecitazioni che riguardano i nostri ragazzi, soprattutto gli adolescenti. I ragazzi sono bombardati - dice qualcuno - da mille esigenze, da mille messaggi, da mille pressioni, e c'è chi - penso giustamente - da anni, da decenni, parla di emergenza educativa. Quindi, da una parte, le emergenze educative reali, concrete - i fatti di cronaca sono lì a dimostrarlo -, dall'altra, il tema dell'educazione, che è antico come l'uomo, potremmo dire. Ciò che fino a poco tempo fa era chiaro – questa, secondo me, è assolutamente una novità –, che oggi rischia non più di esserlo è invece comprendere che ciò che è importante nel percorso educativo – e, quindi, per la vita – non può essere spiegato semplicemente da un'ora di lezione, dai libri, da un'interrogazione, non può essere spiegato da una nozione, ma deve essere mostrato dalla testimonianza di chi vive tutti i giorni, cioè di adulti, di educatori.

Penso, certo, agli insegnanti, ma penso - e ci tornerò - anche - e negli ultimi tempi vorrei dire soprattutto - ai genitori. La scuola è sempre stata questo percorso, se ci pensiamo anche la scuola che abbiamo fatto noi, che abbiamo seguito noi: se ripensiamo al nostro percorso scolastico, non ci ricordiamo semplicemente e banalmente di cinque anni di percorso scolastico delle scuole superiori, non ci ricordiamo solo e soltanto delle interrogazioni, delle spiegazioni, non ci ricordiamo delle nozioni. Il percorso scolastico, come tutti i percorsi, non è un insieme di 5 mila ore svolte, ma è molto di più. Ci ricordiamo non semplicemente degli insegnanti che abbiamo avuto, ma, dopo decenni, ancora ci ricordiamo di insegnanti non banali, che non spiegavano semplicemente una lezione, ma appunto, come dicevo prima, mostravano in maniera di testimonianza ciò che vivevano. È con questa testimonianza di interesse alla vita dell'uomo che l'alunno è conquistato e allora impara, assimila, capisce e, alla fine, diventa adulto, si forma la coscienza critica. La scuola è un percorso educativo, e nel percorso educativo sono fondamentali gli adulti, ma adulti non banali, che accompagnino i ragazzi nella loro crescita e nel loro percorso. Separare l'istruzione dall'educazione ha creato una scuola nozionistica, burocratica, dibattuta per i contratti e le assunzioni, non per il livello educativo e per le necessità educative dei ragazzi, ed è finita per essere una scuola debole sulla crescita. Se a questo aggiungiamo, come dicevo poc'anzi, le difficoltà dei genitori, la loro difficoltà fino all'estremo di rischiare di diventare sindacalisti o avvocati dei ragazzi, di minare la base del rapporto scuola-famiglia, genitori-insegnanti, allora si capisce bene la difficoltà in cui ci troviamo in questo frangente. E i fatti di cronaca dimostrano in tutta la loro evidenza, quasi quotidiana, questa situazione.

Non possiamo, quindi, non interrogarci sul tema educativo come Paese, ed è assolutamente positivo che questa evidenza sia chiara a tutti i gruppi parlamentari. Fare un'ora di educazione civica può aiutare, se fatta bene, con risorse, assunzioni, formazione, ore dedicate, ma il vero tema, ribadisco, non è semplicemente di fare un'ora di lezione in più, è ripensare la scuola, ripensare anche il rapporto scuola-famiglia, rivedere il percorso scolastico come percorso educativo. Questo provvedimento ha il pregio di mettere questo percorso e questa necessità come prioritaria, comprende che centrali per questo percorso sono la scuola, ma anche la famiglia, che devono mettersi in gioco queste realtà. Si comprende che, per essere serio, il percorso deve essere valutato. Il problema è che a questa presa di coscienza non corrisponde un progetto che abbia gambe per correre; risorse, formazione dedicata, assunzioni, docenti dedicati e ore dedicate, un percorso educativo reale. Il rischio evidente è di non passare dalle parole ai fatti, per invarianza di spesa, ovvero per mancanza di risorse, e quindi la montagna rischia davvero di partorire, ma di partorire un topolino. Così resta un bel titolo sul giornale, questo è il rischio, ma si lascia tutta l'incombenza alle scuole, ai docenti e ai presidi, ai programmi attuali. Tante proposte di legge, su tutte cito quella dell'ANCI, su cui hanno raccolto migliaia di firme, chiedevano un impegno concreto e un cambio di direzione: c'è il cambio di direzione, ma non c'è un cambiamento reale e concreto della situazione.

PRESIDENTE. Concluda, onorevole.

GABRIELE TOCCAFONDI (MISTO-CP-A-PS-A). Le scuole non si tireranno indietro; come hanno sempre fatto, faranno la loro parte, ma stiamo perdendo un'occasione.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Fusacchia. Ne ha facoltà, per quattro minuti.

ALESSANDRO FUSACCHIA (MISTO-+E-CD). Grazie, Presidente. Ne approfitto per rispondere subito al sottosegretario dicendo che anch'io ho presentato degli emendamenti nello spirito di provare poi, in questa fase finale, a migliorare il testo unificato e ringrazio subito la collega Colmellere come relatrice e tutti i colleghi commissari per il lavoro di squadra che abbiamo fatto in Commissione.

Nel merito, il primo punto è che tutti sappiamo che la Costituzione è centrale. Per me Costituzione significa partecipazione democratica, partecipazione attiva. Quindi, la prima scommessa del testo è fare in modo che non venga percepito come insegnamento passivo ma che noi educhiamo alla cittadinanza attiva. Ciò significa ovviamente, quindi, non solo il voto ma tutto quanto comporta fra un'elezione e l'altra: quindi, il funzionamento delle istituzioni, come ci si può attivare nelle proprie comunità per essere cittadini con la “C” maiuscola e, soprattutto, significa anche che non stiamo parlando solo di regole ma stiamo parlando del fatto che dobbiamo trasferire, attraverso questo e non solo questo, quel senso di appartenenza a una comunità.

Essere cittadini oggi vuol dire sapere che esiste un'agenda per lo sviluppo sostenibile, non solo che c'è una Costituzione ovviamente materiale fondamentale. Noi stiamo lavorando, come +Europa, per inserire nella Costituzione, che poi diventa oggetto dello studio, con un'iniziativa che si chiama “Figli costituenti” per una volta lo sviluppo sostenibile.

Secondo, il digitale: è un tema centrale perché, se ci pensate, è drammatico che, quando parliamo di digitale e democrazia, adesso si parla solo di fake news; cioè, il digitale è diventato lo strumento con cui noi siamo preoccupati di un assalto alla democrazia. Ma un po' di anni fa il digitale è stato utilizzato - non voglio aprire quel capitolo con tutte le conseguenze del caso - per fare la Primavera araba. Quindi, forse, è stato uno strumento paradossalmente che serviva per arrivare alla democrazia.

Allora, che cosa ci sta succedendo collettivamente? Lo dico perché vorrei evitare che l'insegnamento del digitale e dell'educazione alla cittadinanza digitale diventi solo un insegnamento di paura e di capacità di spirito critico di difesa: quindi, è importante ovviamente aiutare i ragazzi a capire come si sta al mondo come cittadini digitali, ma sapendo che è una grande opportunità la partecipazione democratica.

Terzo punto, l'Europa e la cittadinanza europea: è un punto fondamentale. Abbiamo inserito l'inno e la bandiera italiana: mi sarebbe piaciuto vedere l'inno e la bandiera europea pure inseriti tra gli insegnamenti.

Quarto punto, è molto importante la parte del testo che riguarda l'attività extrascolastica, il coinvolgimento degli attori del terzo settore, il volontariato, le imprese. Vengo da una piccola provincia, ho 41 anni e, quindi, non sono cresciuto tre secoli fa: ho scoperto che si poteva fare l'imprenditore e lavorare in un'impresa quando sono arrivato all'università. Nessuna scuola mi aveva detto, essendo figlio di due impiegati e nipote di quattro contadini, che l'impresa poteva essere una cosa che potevi creare oltre che andarci a lavorare. Il contatto e la frequentazione di questi ragazzi, anche attraverso l'insegnamento, con i mondi che stanno là fuori e la possibilità di fare esperienze extrascolastiche immediatamente è fondamentale.

Concludo con due punti, Presidente. Uno, è chiaro che in questo Paese abbiamo oscillato, per quanto riguarda l'educazione civica e la cittadinanza, tra “facciamo l'ora ad hoc” oppure “inseriamo il principio che tutti i docenti devono farsene carico”. Il problema qual è stato e dove siamo arrivati? Al fatto che ovviamente o lo rendiamo obbligatorio in qualche modo oppure ci sarà sempre qualcos'altro di più urgente, ci sarà sempre ben altro di più importante.

La proposta di legge che avevo presentato io e che è abbinata riflette un po' lo schema, che poi sono felice che sia stato ripreso abbastanza nella proposta finale, di cercare di rafforzare veramente l'autonomia e lasciare l'autonomia alle scuole, ma rendendolo obbligatorio e, quindi, con lo schema che la relatrice e altri colleghi hanno ampiamente descritto prima.

È chiaro che all'autonomia si associa la responsabilità. Ora, qui stiamo scrivendo una legge ma molto del futuro di essa verrà deciso da come verrà recepita dai presidi, dai dirigenti scolastici e dai docenti e qui dobbiamo assicurarci assolutamente che tale obbligo venga visto come uno stimolo e non come un vincolo. E qui entra il discorso che faceva prima la collega rispetto anche all'idea di provare, a breve, a recuperare risorse addizionali per evitare che venga visto solo come un vincolo.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

ALESSANDRO FUSACCHIA (MISTO-+E-CD). Concludo, Presidente, con un ultimo punto che mi sta particolarmente a cuore: la formazione dei docenti è fondamentale su questo. Abbiamo stabilito che si parte dalla ricognizione dei bisogni delle scuole, andiamo mirati, evitiamo di fare formazione a 360 gradi laddove non serve, ci concentriamo, ma curiamo molto la formazione dei docenti perché da questo dipenderà la qualità dell'attuazione della normativa.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Villani. Ne ha facoltà.

VIRGINIA VILLANI (M5S). Grazie, Presidente. Sottosegretario Giuliano, onorevoli colleghi, innanzitutto voglio ringraziare i colleghi della Commissione cultura per il grande lavoro svolto sempre in un clima collaborativo e cordiale e la relatrice, Angela Colmellere, per la grande disponibilità anche a cambiare spesse volte il testo.

Dunque, il testo della proposta di legge che stiamo esaminando, Atto Camera n. 682, costituisce la sintesi di circa quindici proposte di legge d'iniziativa parlamentare e di una proposta di legge di iniziativa popolare. Le varie proposte sono state rielaborate e armonizzate in un unico testo dal Comitato ristretto, successivamente approvato dalla VII Commissione cultura, scienza e istruzione.

Il testo nasce con lo scopo di prevedere in maniera obbligatoria l'insegnamento dell'educazione civica nel primo e secondo ciclo di istruzione e l'avvio di iniziative di sensibilizzazione al tema della cittadinanza responsabile nella scuola dell'infanzia. Scandisce in dodici articoli l'importanza dell'educazione civica per la formazione di cittadini responsabili attivi per la crescita sociale e culturale del Paese, un obiettivo che, già ipotizzato nei lavori preparatori della stessa Assemblea costituente nel 1947, fu concretizzato nel 1958 quando Aldo Moro introdusse l'educazione civica in appendice ai libri di storia. Da allora molte sono state le iniziative normative che periodicamente ne hanno sottolineato la necessità e l'importanza senza tuttavia mai prevederne una sistematicità e una valutazione autonoma.

Oggi, invece, appare quanto mai urgente poiché una grossa causa dello scollamento fra cittadino e politica è attribuibile proprio alla mancata conoscenza delle regole poste alla base del vivere comune e alla mancata condivisione dei valori espressi dalla nostra Costituzione.

Si rende, quindi, quanto mai necessario prevedere nelle scuole di ogni ordine e grado lo studio di elementi di educazione civica delle istituzioni italiane ed europee, dei diritti umani, dell'educazione digitale e ambientale, dell'educazione alla legalità.

Siamo stati tutti concordi, infatti, nel ritenere che la consapevolezza del proprio ruolo di cittadino italiano ed europeo e la conoscenza della Carta costituzionale italiana siano nozioni e competenze imprescindibili per uno studente al termine del percorso di istruzione secondaria frutto di un progetto di istruzione conforme ai dettami dell'articolo 34 della Costituzione italiana tanto che già da quest'anno il colloquio del nuovo esame di Stato del secondo ciclo dovrà tenere conto e accertare, tra le altre, le conoscenze e le competenze maturate nell'ambito delle attività di cittadinanza e Costituzione, così come previsto dagli articoli 12 e 17 del decreto legislativo n. 62 del 2017.

È giusto, quindi, organizzare tali conoscenze in maniera più sistematica. Del resto, le competenze sociali e civiche sono una delle otto competenze chiave europee, secondo le indicazioni del Parlamento europeo e riprese poi dalla raccomandazione del 22 maggio 2018, nella quale si fa riferimento ai valori comuni di un'istruzione inclusiva e alla dimensione europea dell'insegnamento.

Il testo unico proposto a quest'Aula sottolinea l'importanza dell'educazione civica in modo forte e concreto aprendo ad un'ottica europea e internazionale su cui è bene riflettere, considerata la complessità della situazione civica multiculturale e la realtà comunitaria in cui i nostri giovani si confrontano fin dai primi anni della loro formazione.

Soprattutto in questo particolare momento storico, politico ed economico, i nostri giovani hanno bisogno di conoscere il contesto e le regole su cui basare la loro convivenza civile. In tale ottica, la scuola ha il dovere di trasmettere regole sociali promuovendo e sostenendo l'acquisizione di modelli valoriali e comportamentali anche attraverso un insieme di metodi e strumenti formativi innovativi che si ispirino a nuovi modelli educativi cogestiti dalla scuola, dalla famiglia e dal territorio.

Tale contesto apre le porte all'educazione civica come disciplina che contribuisce a formare cittadini responsabili attivi, a promuovere la partecipazione piena e consapevole alla vita civica, culturale e sociale delle comunità nel rispetto delle regole, dei diritti e dei doveri.

Eppure, nonostante questo diffuso bisogno, i dati ci dicono che tale domanda di educazione civica non ha trovato ancora adeguato riscontro nelle nostre scuole. La grande maggioranza degli studenti, l'81 per cento, ritiene che la scuola dovrebbe occuparsi di più di questi temi, considerato che quasi due terzi degli studenti ha affrontato in modo superficiale o non ha affrontato affatto lo studio della Costituzione, il 61 per cento.

Sono proprio i licei le scuole che dedicano meno attenzione a queste tematiche. La percentuale di studenti che non seguono sistematicamente cittadinanza e Costituzione a scuola sale al 75 per cento nei licei scientifici e al 77 per cento nei licei classici.

Mentre sono gli istituti tecnici e professionali a dedicare maggiore attenzione all'educazione civica, anche grazie alla trattazione del diritto come materia curricolare. Questo a dimostrazione che fino ad oggi le competenze di cittadinanza sono sempre state marginali o affidate alla buona volontà di docenti appassionati o di dirigenti illuminati, segno di una progettualità mai uniforme su tutto il territorio nazionale. Il risultato di questa frammentazione è che molti dei nostri studenti non conoscono le più elementari regole su cui si fonda il vivere insieme agli altri, non sanno quali siano i loro doveri e i loro diritti, non hanno una cognizione delle istituzioni democratiche e dello spazio dell'azione pubblica, non conoscono i diritti umani e gli sforzi che donne e uomini hanno compiuto per la democrazia. Siamo consapevoli, però, che la democrazia non è qualcosa di scontato, ma il frutto di uno studio culturale e sociale che esige investimenti e azioni responsabili dei cittadini nel quotidiano.

Le scuole in questo percorso sono e devono essere stelle polari nel firmamento delle agenzie educative e la stessa educazione civica, assurta oggi con questa proposta al rango di disciplina autonoma, deve trovare la sua base scientifica, la sua stessa essenza nella conoscenza della Carta costituzionale e dei documenti su cui si fonda l'Unione europea; in questo contesto, vanno riconosciuti i contenuti e va impostato l'intero impianto disciplinare. La finalità è, dunque, quella di garantire lo sviluppo di un pensiero critico e di certe attitudini ai valori, le competenze necessarie per la partecipazione attiva alla vita pubblica come cittadini responsabili e critici, nonché lo sviluppo del rispetto di sé e degli altri per una maggiore comprensione reciproca.

Si deve puntare, quindi, all'acquisizione della responsabilità sociale e morale, alla costruzione di quei valori che tengano conto della pluralità dei vari punti di vista dentro la società e allo sviluppo di strategie efficaci per lottare contro razzismo e xenofobia. Questa è una condizione importante su cui riflettere, se si pensa che nella scuola italiana sono circa 800 mila gli allievi con cittadinanza non italiana, ovvero quasi il 10 per cento del totale degli studenti delle scuole statali: ragazzi che sono portatori di differenze di lingua, cultura, nonché di strumenti e di percorsi formativi, ma anche di opportunità future, seppure non partono sempre dalla stessa condizione. L'acquisizione di una consapevolezza e di una coscienza civica nei giovani permetterà un più lineare loro inserimento, così da fare in modo che si costituisca una ricchezza, come mostrano i percorsi di una scuola flessibile, plurale, attenta ai bisogni e alle identità dei vari allievi. La diversità, in questo modo, si tramuterà da difficoltà in risorsa.

Il testo sulla riorganizzazione dell'insegnamento dell'educazione civica va in questa direzione: le istituzioni scolastiche dovranno garantire la conoscenza della Costituzione italiana e delle istituzioni, anche al fine di promuovere i princìpi di legalità, cittadinanza attiva, digitale, sostenibilità ambientale, diritto alla salute e al benessere della persona. Nei prossimi anni, dunque, nel primo e nel secondo ciclo di istruzione, sarà attivato l'insegnamento trasversale dell'educazione civica e saranno obbligatoriamente avviate iniziative di sensibilizzazione al tema della cittadinanza responsabile, per un numero di ore annue non inferiore a trentatré - praticamente un'ora a settimana - e questa disciplina sarà oggetto di valutazione autonoma. Ovviamente, l'offerta didattica si concentrerà sulla Costituzione italiana, sulle istituzioni nazionali, dell'Unione europea, degli organismi internazionali, sulla storia della bandiera e dell'inno nazionale e quello europeo, l'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, l'educazione alla cittadinanza digitale, gli elementi fondamentali del diritto, con particolare riferimento al diritto del lavoro, l'educazione ambientale, la tutela del patrimonio artistico, delle identità, delle produzioni e delle eccellenze territoriali, l'educazione alla legalità, l'educazione al rispetto e alla valorizzazione del patrimonio culturale e dei beni pubblici comuni.

In Commissione cultura alla Camera, noi del MoVimento 5 Stelle ci siamo fortemente battuti affinché questo insegnamento venisse affidato ai tanti docenti di discipline giuridiche ed economiche presenti attualmente nelle scuole italiane. Secondo i dati dell'Ufficio statistiche e studi del MIUR del 18 febbraio 2019, più di 7 mila docenti abilitati in scienze giuridiche ed economiche inquadrati nei ruoli della nostra amministrazione non svolgono attualmente attività di docenza in materia. Si tratta degli insegnanti oggi impegnati dalle istituzioni scolastiche in attività di potenziamento e/o di sostegno, più spesso, comunque, in mere sostituzioni dei docenti assenti, determinando in tal modo anche una inequivocabile discriminazione tra gli stessi docenti curriculari ed extracurriculari e una forma grave di demansionamento per questi ultimi, la cui specifica competenza deve essere, invece, valorizzata e potenziata in un progetto che coinvolge trasversalmente l'intera azione educativa.

Siamo riusciti a raggiungere questo obiettivo solo in modo parziale, ma abbiamo ottenuto un primo e importante risultato: i docenti di discipline giuridiche avranno la priorità nello svolgimento dell'educazione civica per come disciplinata nel testo unico che stiamo discutendo. È un primo passo per garantire nel corso dei prossimi anni, anche a seguito di uno specifico monitoraggio, l'ampliamento dell'organico dei docenti della classe A046 in tutte le scuole secondarie di secondo grado e la possibilità che in ogni scuola le discipline giuridiche siano insegnate in maniera efficace con competenza e professionalità. Questi primi risultati ottenuti concorreranno altresì a comprendere l'importanza della presenza di insegnanti di discipline giuridiche ed economiche in ogni istituzione scolastica e sarà una svolta fondamentale per formare giovani cittadini attivi consapevoli e in grado di sviluppare una coscienza fin da piccoli.

È auspicabile, tuttavia, che nel dibattito parlamentare si riesca, come afferma il maestro Luciano Corradini, che da sempre si batte per l'introduzione dello studio dell'educazione civica e della Costituzione nelle scuole italiane, ad evitare due rischi: quello di rendere la legge troppo povera di una cultura educativa che aiuti i giovani a distinguere e a connettere a livello alto e motivante valori, diritti, doveri, principi con la vita, con la storia e con la cultura in senso ampio e quello, poi, di caricarla di tutte le educazioni relative a problemi e contenuti emergenti che non possono assolutamente occupare le trentatré ore previste durante l'anno.

Per questo motivo, abbiamo cercato in Commissione cultura di contribuire, con osservazioni e proposte, a definire modalità essenziali ed agibili, utili al potenziamento e al rilancio delle numerose ed efficaci azioni di attività di educazione alla cittadinanza già presenti nelle programmazioni delle scuole italiane. Siamo convinti, infatti, che il pieno esercizio dell'autonomia organizzativa, metodologica e di ricerca attribuita alle singole istituzioni scolastiche sia il contesto naturale per rilanciare e sviluppare azioni di educazione alla cittadinanza, utilizzando anche il monte ore facoltativo del curricolo locale per valorizzare questa disciplina attribuendola in maniera ottimale ai docenti adeguatamente formati o già in possesso di una solida formazione specifica.

E mi piace concludere con le parole – ancora – del maestro Luciano Corradini, che afferma: “Nel crescente bisogno di una buona politica e di una buona educazione civica, la Costituzione e lo studio dei suoi valori potrebbe essere usato come stetoscopio capace di farci percepire meglio i battiti del cuore malato del nostro tempo e come tecnigrafo utile a tracciare le coordinate entro le quali realizzare una possibile convivenza rispettosa dei diritti di tutti, pacifica, non violenta e unitaria” (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Mollicone. Ne ha facoltà.

FEDERICO MOLLICONE (FDI). Grazie, Presidente. Sottosegretario, onorevoli colleghi, innanzitutto per sottolineare che, come Fratelli d'Italia, con le colleghe Frassinetti e Bucalo, ci sentiamo, di fatto, non solo dei sostenitori, ma anche dei sottoscrittori e anche di aver contribuito concretamente allo svolgimento di questo testo di legge. Testo di legge che consideriamo fondamentale perché, troppo spesso, il disagio giovanile si sfoga nel ribellismo fine a se stesso oppure incanalando l'energia in atti di violenza e abuso. I casi di cronaca ci consegnano quotidianamente, anche recentemente, come è stato ricordato, tragici fatti e l'Istat conferma che un ragazzo su due ha subito casi di bullismo o cyber bullismo. La punta di questo iceberg è rappresentata dai gravi episodi di bullismo nei confronti dei docenti, compiuti anche da genitori. Per questi motivi, si è sentita l'esigenza di intervenire in modo definitivo e strutturato per introdurre nelle scuole l'insegnamento dell'educazione civica.

A seguito di ogni episodio grave e disdicevole che accade, si sente ripetere che bisognerebbe affrontare il problema a partire dalle scuole e, pertanto, riteniamo, sottosegretario, che sia arrivato il momento in cui si debba passare dalle parole ai fatti, come si dice, e che questo possa avvenire solo se si interviene in modo efficace e strutturato. Fratelli d'Italia ha, quindi, contribuito a scrivere questo testo di legge e a sostenerne le ragioni, e rivendica l'introduzione delle disposizioni sull'educazione soprattutto nella parte che riguarda l'articolo 3, per quanto riguarda la conoscenza ovviamente della Costituzione e delle istituzioni dello Stato italiano e dell'Unione europea, ma soprattutto dell'inno e della bandiera. Non è un richiamo retorico al “Dio, Patria, Famiglia”, fermo restando che per noi valori mazziniani restano assolutamente contemporanei e validi, ma proprio in un'ottica di integrazione positiva, bisogna fare in modo che alle nuove generazioni di figli di immigrati - che seguono tutto il percorso scolastico e che si vogliono integrare e vogliono conoscere la nostra storia e amare la nostra patria - questo deve essere insegnato e trasmesso come valori positivi. Troppo spesso, vediamo ancora calciatori italiani delle squadre italiane non cantare l'inno, o, nelle scuole, anche in occasioni ufficiali, intere scolaresche non conoscere l'inno a memoria. Ripeto, non è solo un richiamo, e non ci sarebbe niente di male, ai valori risorgimentali, ma semplicemente, se si vuole proporre un'integrazione positiva, e noi crediamo ad un'integrazione positiva, bisogna ovviamente insegnare la cittadinanza italiana, insegnare l'inno, la storia della nostra bandiera e la nostra storia; e anche su questo forse dovremmo, con la Commissione cultura, trovare un punto d'incontro a difesa dell'insegnamento della storia nella scuola.

Il testo è frutto di una sintesi di numerose proposte di legge, come sappiamo, d'iniziativa parlamentare, tra cui una presentata da Fratelli d'Italia, a prima firma della collega Frassinetti, mia e della collega Bucalo, ed è diretta - come specifica nelle sue disposizioni - alla formazione di cittadini responsabili e attivi, per la crescita sociale e culturale della nazione.

Pur mantenendo la specificità delle singole discipline, sarà importante utilizzare una metodologia didattica capace di coinvolgere e di motivare gli studenti. L'insegnamento dell'educazione civica, per raggiungere appieno l'obiettivo che ci siamo prefissi, dovrà avere la caratteristica della concretezza e contemporaneità, affiancando all'insegnamento teorico esperienze concrete in modo da fornire agli studenti gli strumenti per una comprensione approfondita delle diverse realtà.

L'articolo 3, in particolare, specifica gli ambiti di riferimento, indicando anche lo studio della Costituzione, l'istituzione dello Stato italiano, dell'Unione europea, come abbiamo ricordato, la storia della bandiera e dell'inno nazionale, specifici riferimenti all'educazione, alla sostenibilità e alla cittadinanza digitale, il rispetto e la valorizzazione del patrimonio culturale e dei beni comuni. È prevista, inoltre, la tutela del patrimonio ambientale, dell'identità delle produzioni e delle eccellenze territoriali e agroalimentari. Questa trasversalità è importante e fondamentale, sottosegretario e colleghi, perché anche insegnare la corretta alimentazione, la corretta produzione, il concetto di filiera agroalimentare e il concetto di made in Italy e di produzione di qualità, insegnare ai ragazzi come si mangia correttamente, l'alimentazione, sono tutte forme di identità che vanno assolutamente insegnate e trasmesse. E bisognerà ringraziare il corpo docente, perché noi andiamo a caricare di una ulteriore competenza, che necessiterà di formazione dei nostri docenti.

La trasversalità, come indica la disposizione di legge, è un requisito necessario; l'educazione alla cittadinanza consapevole non può ridursi alla semplice conoscenza di nozioni del diritto pubblico e dell'economia, ma trasformarsi in un momento di allenamento del protagonismo della società. Ci definiamo in base a quello che eravamo. In tempi così difficili per le identità nazionali, la riscoperta delle proprie radici, quali appunto la bandiera tricolore, l'inno e il nostro patrimonio culturale, è certamente una risposta alla domanda del “chi siamo”. E noi diamo a questa domanda la risposta che diede Tönnies, il sociologo tedesco, sul concetto di comunità: la scuola deve trasmettere questa appartenenza ad una medesima comunità, che ha una medesima aspirazione fondamentale; e per noi questi sono concetti che vanno trasmessi attraverso l'educazione civica. La conoscenza, nello specifico, dei rischi del mondo digitale e un aumento della consapevolezza della navigazione è vitale e lo scenario in cui ci muoviamo è preoccupante: nel 2014, uno studio del Corecom Lombardia aveva fatto emergere il numero impressionante di almeno 70 mila studenti lombardi, l'8 per cento del totale, in qualche modo colpito da fenomeni di cyberbullismo e cattiva web reputation.

I casi di cronaca ci hanno spiegato con una tragica efficacia la tragedia che si può nascondere sul web: penso ai casi conosciuti del gioco suicida della Blue whale o ai rischi del deep web e dei crimini informatici. Come sappiamo e come ci insegnano i tecnici informatici, il web che noi conosciamo è solo la punta dell'iceberg di Internet, nel deep web ci si trova veramente di tutto, dalle armi, alla droga, a pratiche illegali.

Passiamo otto ore al giorno sui social network e molte di più su Internet, i costituzionalisti hanno iniziato a parlare di un nuovo diritto, il diritto ad essere connesso, persino il diritto ad avere un account. Come legislatori non possiamo non tenerne conto, la sfida da vincere è costruire una forma di pedagogia delle principali attività digitali. Maria Montessori diceva che, se v'è per l'umanità una speranza di salvezza e di aiuto, questo aiuto non potrà venire che dal bambino, perché in lui si costruisce l'uomo. Bambini e ragazzi formati come cittadini saranno uomini migliori, che possono costituire la spina dorsale della nazione con un profondo spirito di curatela, oggi si direbbe con un anglismo community care, ma noi preferiamo di cura della comunità, della casa che è l'Italia, nella consapevolezza di un rapporto positivo con il mondo naturale e i simboli della propria identità.

Su questo e proprio a margine di questo provvedimento, concludiamo con un ulteriore appello, che potrà sembrare indiretto, ma in realtà è molto diretto, e che riguarda proprio il “conoscere per deliberare”: noi riteniamo che l'educazione civica, che deve partire dalle scuole, poi debba arrivare ad essere praticata da queste Aule, anche proprio difendendo i principi fondamentali della libertà di espressione e di chi la Costituzione del “conoscere per deliberare” l'ha sempre praticata, e facciamo riferimento ovviamente a Radio Radicale, di cui trasmettiamo questa diretta proprio per dimostrare la nostra solidarietà a Radio Radicale (Il deputato Mollicone avvicina al microfono l'altoparlante del telefono cellulare)

PRESIDENTE. Però, così rende difficile fare il suo intervento…

FEDERICO MOLLICONE (FDI). Vorrei fare un appello e concludo con questo appello perché il sottosegretario Giuliano riferisca al sottosegretario Crimi e al Ministro Di Maio che noi approviamo una legge e voteremo a favore dell'educazione civica nella scuola, ma il Governo cominci a riscoprire i valori della libertà di espressione previsti dalla Costituzione (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Casciello. Ne ha facoltà.

LUIGI CASCIELLO (FI). Grazie Presidente, sottosegretario, onorevoli colleghi e onorevoli colleghe, sentirsi comunità significa condividere valori, prospettive, diritti e doveri; significa pensarsi dentro a un futuro comune, da costruire insieme; significa responsabilità, perché ciascuno di noi è, in misura più o meno grande, protagonista del futuro del nostro Paese; vuol dire anche essere rispettosi gli uni degli altri; vuol dire essere consapevoli degli elementi che ci uniscono e, nel battersi, come è giusto, per le proprie idee, rifiutare l'astio, l'insulto e l'intolleranza, che creano ostilità e timore.

Sono queste le parole del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nell'ultimo discorso di fine anno e credo che non ci sia e non ci fosse alcun modo più efficace per sottolineare l'importanza di un provvedimento condiviso, che vede al centro anche la proposta di legge di Forza Italia che porterà all'introduzione dell'insegnamento dell'educazione civica nella scuola primaria e secondaria. Trentasei ore che sicuramente, però, potevano e dovevano essere sostenute finanziariamente in maniera più cospicua, più importante. Trentasei ore che dovranno essere sostenute anche con la formazione dei docenti, perché, il mondo è cambiato, con la scuola che vive la contraddizione di essere il primo luogo in cui esplodono ansie e attese, ma che per prima, la stessa scuola, paga contraddizioni e malesseri, finendo per non riuscire a governare e ad evadere domande che troppo spesso nascondono un'inadeguatezza, un sentirsi non accolti, distanti e diversi; sentimenti che albergano nel cuore e nell'animo dei nostri ragazzi, perché a volte, anche da parte della scuola, la mancanza è proprio quella di non saper dare una risposta forte, completa.

Ma in fondo non c'è nulla di più inutile di una risposta ad una domanda che non ci si pone. E allora, per porsi veramente le domande fino in fondo, riteniamo che questa priorità dell'educazione civica non può e non poteva essere rinviata, o peggio demandata ad un altrove indefinito nel quale ci si arriva ormai svuotati, parlo sempre dei nostri ragazzi, dei nostri studenti, quasi sempre disaffezionati, disinteressati a tutto ciò che rimanda ad un interesse civico prima ancora che a un dovere civico. Ed è per questo che un'educazione alla cittadinanza attiva, un accompagnare verso un corretto uso degli strumenti informatici e dei telefoni mobili, tutto ciò che riconduce al mondo del digitale non può prescindere da questo percorso formativo interdisciplinare, che dovrà contribuire a rendere più consapevoli e più appassionati i nostri studenti, i nostri ragazzi.

Di qui l'urgenza di una Carta dei diritti e dei doveri dell'adolescente digitale. Ma non può esserci un'educazione al nuovo, ad un convivere in una società che, nel cambiare, migliorare, rendere straordinari e più efficaci i mezzi del comunicare, perde, però, troppo spesso il senso di quel suo stesso comunicare, se non si parte dalla memoria di ciò che si è, di ciò di cui siamo fatti, di ciò che fa di un gruppo una comunità, una comunità un popolo, di un popolo che si riconosce in uno Stato, in una nazione, in una patria. Ed è per questo che diventa quindi fondamentale non confinare lo studio della Costituzione in un insegnamento specialistico, come accade adesso per l'insegnamento del diritto in istituti tecnici e professionali.

Nella Costituzione così potranno imparare i nostri ragazzi, gli potrà esser detto e potranno magari in tanti scoprire, contrariamente a quanto oggi accade con un sistema omologante ed omologato, per esempio che l'informazione è un diritto, che i partiti e i sindacati sono corpi intermedi e fondamentali della vita politica del Paese, e che non sono corpi estranei al Paese e nemici del Paese. Magari, come dicevo, sarà importante e fondamentale individuare delle risorse; non vorremmo che questa si tramutasse in un'altra occasione perduta. Però noi ci crediamo, abbiamo dato il nostro contributo fondamentale, crediamo e speriamo nella stesura fondamentale e definitiva della legge.

Diciamo perché la Costituzione: perché è nella Costituzione che si può trovare la strada, si può trovare la strada per un nuovo percorso civico. Sicuramente potremmo avere, forse, dei cittadini più consapevoli, perché la consapevolezza nasce dalla conoscenza. Potremmo fare in modo che i nostri ragazzi sappiano di più, conoscano la Costituzione; certamente non potremo, con l'educazione civica, pensare di fare anche dei nostri ragazzi dei ragazzi più buoni, perché la consapevolezza nasce dalla conoscenza e la bontà nasce da altro, e questo non compete allo Stato e non compete a noi. Certo, dobbiamo fare la nostra parte, sperando che con la consapevolezza, con l'educazione ai principi costituzionali, con l'educazione civica, insomma, sia più facile ricostruire il tessuto connettivo e comunitario di questo Paese, troppo spesso avvelenato da metodi e sistemi omologanti, come dicevo prima, e campagne contro tutto ciò che riconduce allo Stato e alla politica.

E concludo dicendo che naturalmente mi auguro che l'insegnamento dell'educazione civica non porti ad un costante e poi magari definitivo ridimensionamento dell'insegnamento della storia. Oggi leggevo su La Repubblica – che non è tra i quotidiani che preferisco, ma riesco ancora a distinguere il buono e il bello, talvolta – un articolo interessantissimo, naturalmente ben scritto da uno dei maggiori scrittori italiani, che diceva che il rischio è che si trasformi l'insegnamento della storia nella versione dei fatti, sostituire ciò che siamo, la nostra memoria, con ciò che ci conviene e con ciò che relativamente è più opportuno per i nostri obiettivi (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Rossi. Ne ha facoltà.

ANDREA ROSSI (PD). Presidente, onorevoli colleghi, gentile sottosegretario, sembra evidente a tutti noi come ormai l'educazione civica, a sentire il dibattito, sia centrale nella crescita dell'individuo, diritti e doveri, rispetto dell'altro. Non affronterò, in questi pochi minuti, le dinamiche delle istituzioni scolastiche, bensì mi soffermerò sulla necessità e sul bisogno che le nostre comunità avvertono di accrescere l'impegno e il senso civico a difesa del bene comune, che ricordiamo essere patrimonio di tutti. È innegabile, infatti, che, a fronte di un aumento complessivo del grado di istruzione generale della popolazione e della maggior capacità di accedere ai percorsi di educazione e formazione, il livello di consapevolezza e di senso civico dei cittadini non sempre si attesti di pari passo.

In questo breve intervento, quindi, voglio ricordare dal mio punto di vista l'importanza dell'iniziativa dell'ANCI, mossa da diversi sindaci italiani, a partire e su stimolo del primo cittadino di Firenze, Dario Nardella, dell'estate scorsa, che ha chiesto di farsi parte attiva attraverso una raccolta firme con una legge di iniziativa popolare per l'educazione alla cittadinanza tra i banchi di scuola, che ha raccolto in un tempo limitato diverse decine di migliaia di adesioni e che metteva a valore i temi dello studio della Costituzione e del principio di uguaglianza, di educazione alla legalità, di educazione al rispetto dell'altro, di educazione ambientale, educazione digitale e educazione alimentare. Un'iniziativa questa che è stata da stimolo, perché parte proprio da chi rappresenta la prossimità dello Stato e ne coglie i bisogni e i sentimenti; sindaci che tutti i giorni comprendono i bisogni delle associazioni di volontariato di far conoscere le loro iniziative, promuovere un impegno attivo dei cittadini; sindaci che tutti i giorni comprendono le difficili dinamiche che coinvolgono le scuole italiane, gli adolescenti, con crescenti episodi di bullismo e di cyber bullismo, e rappresentano, per istituzioni scolastiche e famiglie, un punto di riferimento; sindaci che si sentono offesi quando il patrimonio pubblico viene sporcato e vilipeso; sindaci, e potrei andare avanti, che nel loro impegno costante e quotidiano, non sempre valorizzato sia dal punto di vista istituzionale sia economico, rappresentano un architrave straordinario di valore e difesa delle istituzioni del nostro Paese.

E in questa iniziativa popolare c'è una chiara richiesta dei primi cittadini italiani di rafforzare la più importante agenzia educativa dopo la famiglia, qual è la scuola, e di far crescere, attraverso la scuola, nelle giovani generazioni un rinnovato senso civico sul tema della legalità, del rispetto delle regole, della convivenza civile e sui valori costituzionali, come ci ricordava anche prima la collega Ascani, che vanno ricordati anche a pochi giorni dalla celebrazione di una data straordinaria per il nostro Paese come il 25 aprile. E, all'indomani di quella data storica e simbolica, tutta la storia del secondo dopoguerra, dall'esercizio del voto da parte delle donne alla scelta della forma repubblicana, alla nascita dell'Assemblea costituente assieme alla Costituzione che grazie ad essa venne varata, rappresenta un periodo in cui si incardinarono i princìpi cardine del nostro vivere politico e sociale, l'importanza data alla famiglia, ai partiti, ai sindacati, a quei corpi intermedi che sono la spina dorsale del nostro Paese come le associazioni e le organizzazioni, in nome del principio costituzionale di sussidiarietà. Sono solo alcune delle colonne fondamentali del nostro sistema, un'architettura che va conosciuta in ogni sua parte e più in dettaglio dai giovani di oggi, i quali rischiano di dare per scontata o misconoscere la significativa eredità che proviene dai nostri padri.

Anche le battaglie per i grandi diritti civili o a favore dei lavoratori nei decenni successivi vanno raccontate e descritte in base chiaramente alle capacità intellettive e all'età anagrafica degli alunni, altrimenti il rischio è di consegnare loro un'idea di politica e di istituzioni vuote, che non sono portatrici di valori fondamentali, ma che possono tranquillamente essere gestite, si pensi al diritto di elettorato passivo-attivo, attraverso una piattaforma on line.

Restituire, quindi, dignità all'educazione civica significa fondamentalmente e personalmente riuscire a dare piena dignità a quella cultura europea che è fatta non solo di cervelli in fuga o di mercato del lavoro globale, ma anche di quella complessa eredità giuridica e storica che ci proviene dai grandi traguardi europei conquistati nel tempo.

Ma soprattutto, e chiudo, Presidente, nel momento che le forze politiche sostengono in modo trasversale questa proposta, viene in noi la consapevolezza, e lo ricordo e lo torno a ripetere a tutte le forze politiche qui rappresentate e presenti in quest'Aula, a partire dal mio gruppo, che noi, proprio noi, portiamo una grande responsabilità, quella di essere da esempio. Dobbiamo essere noi i primi interpreti, nel confronto politico, nel nostro agire quotidiano di membri di Governo e forze di opposizione, dei contenuti portanti e principali di questa proposta di legge. Noi siamo interpreti della Costituzione e abbiamo il dovere, con questa proposta, di promuovere l'educazione civica e di contribuire a fare crescere cittadini consapevoli e rispettosi (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Pella. Ne ha facoltà.

ROBERTO PELLA (FI). Grazie Presidente e cari colleghi, vorrei esprimere innanzitutto un sincero apprezzamento per la rapidità con cui il provvedimento è stato inserito nelle discussioni nell'Assemblea; e un ringraziamento alla relatrice, onorevole Colmellere, per l'impegno profuso nella sintesi e nell'unificazione del testo delle numerose proposte giunte all'esame della VII Commissione e lo spirito di dialogo costruttivo che ha contraddistinto il suo operato, e per aver accolto diverse delle mie richieste inserite nella proposta di legge.

L'obiettivo di questa proposta è introdurre l'insegnamento trasversale dell'educazione civica come materia autonoma, nella convinzione che possa contribuire a formare cittadini responsabili e attivi, e a promuovere la partecipazione piena e consapevole alla vita civica, culturale e sociale delle comunità, nel rispetto delle regole, dei diritti e dei doveri. L'educazione civica vorrà, infatti, declinare nelle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado la conoscenza della Costituzione italiana e delle istituzioni comunitarie, per sostanziare in particolare condivisione e promozione dei principi di legalità, cittadinanza attiva e digitale, sostenibilità ambientale, diritto alla salute e al benessere della persona.

Tutti i contenuti della nostra Costituzione sono da valorizzare, a partire dai principi generali. Con riferimento all'articolo 118, ultimo comma, recepito nella riforma costituzionale del 2001, si riconosce l'autonomia e l'iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, e sulla base del principio di sussidiarietà, si prevede per le istituzioni l'obbligo di favorire i cittadini attivi. Tali iniziative saranno positive e fruttuose solo se, fin dai bambini, i cittadini del futuro potranno godere di insegnamenti atti a formare consapevolezza e a sviluppare senso civico e del dovere: costruire alleanze e dialogo, contrastare e respingere i comportamenti dannosi del bene comune.

Lo scorso 22 maggio 2018 il Consiglio dell'Unione europea ha adottato la raccomandazione sulla promozione dei valori comuni, di un'istruzione inclusiva e della dimensione europea dell'insegnamento, con cui gli Stati membri sono stati chiamati, fra l'altro, a proseguire nell'attuazione degli impegni della Dichiarazione di Parigi, in particolare promuovendo l'educazione alla cittadinanza attiva e all'etica, nonché un clima di apertura in classe, per favorire comportamenti tolleranti e democratici, nonché competenze sociali, civiche e interculturali. La comprensione del contesto europeo, la comprensione delle origini, dei valori e del funzionamento dell'Unione devono rientrare tra i contenuti dell'insegnamento attraverso progetti e iniziative, traendo giovamento anche dagli strumenti e dai fondi messi a disposizione dall'istituzione stessa. Su tutti, vorrei ricordare la rilevanza dei programmi di gemellaggio e di mobilità a tutti i livelli, finalizzati all'apprendimento, allo scambio e all'arricchimento tra gli studenti.

Mi sta particolarmente a cuore il tema della promozione della salute e del benessere, inserito proprio all'interno di questo insegnamento, per il cui inserimento ringrazio la relatrice Colmellere, per la sensibilità dimostrata: non solo i dati preoccupanti su inattività fisica, stili di vita sedentari, cattiva alimentazione ed obesità infantile ci devono allarmare, bensì dobbiamo adoperarci perché nasca presso i nostri figli la consapevolezza dei rischi per la salute legati a tali comportamenti, così come la volontà di dare impulso, attraverso la propria azione, alla garanzia di una migliore qualità di vita e di una migliore cura del territorio e delle sue risorse.

Come vicepresidente vicario dell'ANCI, l'Associazione nazionale comuni italiani, vorrei qui ricordare l'iniziativa popolare dell'Associazione dei comuni italiani, che ha raccolto nei mesi scorsi oltre 100 mila firme a sostegno della propria proposta: 100 mila cittadini che si esprimono a favore di tale provvedimento è un segnale inconfondibile, che va valorizzato e capitalizzato. I nostri territori nutrono grandi aspettative rispetto a questo provvedimento: per questo è importante aver inserito, all'articolo 8 del tes, la possibilità che, accanto agli istituti scolastici, le amministrazioni comunali possano promuovere iniziative complementari a supporto dell'azione svolta in ambito scolastico, al fine di accrescere il senso di responsabilità nel rapporto intergenerazionale con tutti i concittadini e di sperimentare con gli studenti simulazioni di attività istituzionali e di governo a livello locale, di natura politica e amministrativa.

Allo stesso modo, la costituzione di reti, anche di durata pluriennale, con altri soggetti istituzionali, con il mondo del volontariato e del terzo settore, con particolare riguardo a quelli impegnati nella promozione della cittadinanza attiva, sarà fondamentale per garantire efficacia e massima capillarità degli effetti dell'insegnamento scolastico, così come recita la formulazione in essere: “I comuni possono promuovere ulteriori iniziative in collaborazione con le scuole, con particolare riguardo alla conoscenza del funzionamento delle amministrazioni locali e dei loro organi, alla conoscenza storica del territorio e alla fruizione stabile di spazi verdi e spazi culturali”.

La coesione sociale del nostro Paese non possiamo pensare che possa essere affidata alla sola responsabilità delle famiglie e alla spontaneità di percorsi non istituzionalizzati. La scuola è già un luogo molto attivo su questo tema: sempre di più dovrà esserlo per esplicare un patrimonio fondamentale per poter realizzare se stessi e la propria natura di cittadini. Per questo occorre che la materia sia autonoma e abbia una propria valutazione. Ad esempio, lo scorso 23 aprile ANCI ed ANA, l'associazione degli alpini, hanno siglato un protocollo d'intesa in materia di protezione civile, sicurezza urbana e valorizzazione della cultura e della memoria storica dei territori che hanno avuto come protagonisti gli alpini: con riguardo alla formazione nelle scuole delle nuove generazioni, saranno codificate attività di divulgazione su temi e vicende storiche riguardanti gli alpini e sul senso civico e la cura dei beni pubblici che accomunano la missione di entrambe le associazioni. Questo esempio per dire che molte sono le energie e le competenze in campo disponibili a supportare tale insegnamento anche nei luoghi extrascolastici, e favorevoli alla contaminazione, tramite attività pratiche, delle nozioni scolastiche in ambienti esterni.

Uno dei punti fondamentali della proposta che da oggi dibatteremo è senza dubbio l'educazione alla cittadinanza digitale: il conseguimento di abilità e conoscenze digitali come strumenti di valutazione critica delle informazioni e dell'attendibilità delle fonti dei dati, così come di norme comportamentali da osservare nell'ambito dell'utilizzo delle tecnologie digitali e dello sviluppo di una consapevolezza della potenzialità e dei profili di criticità per il benessere psicofisico e il contrasto dei fenomeni, sempre più precoci, di cyber bullismo.

Voglio, quindi, esprimere un grande plauso al lavoro tenace, convinto sulla proposta della mia presidente, Mariastella Gelmini, costantemente perseguito fin dalla sua attività svolta in qualità di Ministro dell'Istruzione; e della collega presidente di gruppo qui al mio fianco, onorevole Aprea, che ugualmente lo ha saputo portare avanti con forza, e soprattutto anche per le grandi qualità maturate quando ha ricoperto il suo ruolo di Viceministro con il Governo Berlusconi. Per questo il gruppo di Forza Italia ha saputo inoltre contribuire con ulteriori spunti e approfondimenti, grazie alle proposte a firma Battilocchio, Brunetta e del collega Casciello, che è appena intervenuto.

Solo pochi mesi fa è stata approvata la legge sulla promozione dell'educazione fisica e sull'educazione motoria nella scuola primaria, che mi ha visto primo cofirmatario dopo il proponente, nuovamente il collega di Forza Italia onorevole Marin. I primi anni della formazione scolastica sono infatti fondamentali per l'apprendimento di corretti stili di vita, volti ad assicurare una crescita armoniosa, uno stato di salute e benessere psicofisico completo per lo sviluppo della persona e la gestione delle emozioni. L'apporto che questo Parlamento sta dando, attraverso l'approvazione di questi provvedimenti, dimostra la capacità di ascolto e di interpretazione della realtà, che l'istituzione ha come mandato principe.

Per concludere, un'ora a settimana di educazione civica è importantissima per costruire modelli positivi di cittadinanza, base indispensabile per il vivere comune di uno Stato moderno e democratico come l'Italia. La capacità di riflessione, di comportamento, di impegno che rende la convivenza civile sempre più ricca di valori e di benessere sarà una competenza fondamentale per la crescita di un alunno e per il suo operato all'interno della società. L'auspicio è, quindi, che, anche attraverso questa proposta applicata nel luogo dedicato all'educazione per antonomasia, ossia le scuole dei nostri territori, si possa realizzare una società più equa e armonica, più accogliente e sostenibile per le giovani generazioni, con l'ausilio e la forza importante delle amministrazioni comunali e dei loro sindaci (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente – Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Piccoli Nardelli. Ne ha facoltà.

FLAVIA PICCOLI NARDELLI (PD). Presidente, la proposta di iniziativa popolare dell'ANCI per l'introduzione dell'insegnamento scolastico dell'educazione civica, come poco fa il mio collega Pella ha ricordato, risponde a una domanda che viene da lontano, che trova nell'idea di cittadinanza attiva, di valori civici condivisi, la sua forza, e noi ne capiamo appieno la portata.

Per questo, quella proposta di legge di iniziativa popolare è stata affiancata dalle altre sedici proposte di legge di iniziativa parlamentare, che portano la firma pressoché di tutti i gruppi politici presenti in questo Parlamento. Questa è la riprova evidente che c'è condivisione su quella che è una responsabilità psicopedagogica e politica da tutti noi avvertita, che viene dalla promulgazione stessa della Costituzione. Settant'anni di riflessioni, di ricerche e di sperimentazioni non sono però, purtroppo, bastati a fare chiarezza e a portare ai risultati che tutti noi abbiamo auspicato. L'ordine del giorno di Aldo Moro, che è stato ricordato dall'onorevole Aprea, e che risale all'11 dicembre 1947, è stato votato all'unanimità dall'Assemblea costituente, e chiedeva che la nuova Carta costituzionale trovasse senza indugio adeguato posto nel quadro didattico delle scuole di ogni ordine e grado, per rendere consapevole la giovane generazione delle raggiunte conquiste morali e sociali, eccetera. Quell'ordine del giorno è unanimemente considerato, Presidente, il principio originatore della funzione democratica della scuola nel nostro Paese. Da quel primo ordine del giorno molti sono stati gli interventi, le proposte, i programmi varati e sperimentati, le leggi approvate e poi, purtroppo, spesso disattese, da quella, la prima, del 13 giugno 1958, voluta proprio da Moro stesso, in quell'anno Ministro della Pubblica istruzione, che in nel suo decreto precisava che cosa si dovesse intendere per educazione civica, e citava: lineamenti essenziali della Costituzione, diritti e doveri dei cittadini, lavoro e sua organizzazione e tutela, organizzazioni sociali di fronte allo Stato, nozioni generali sull'ordinamento dello Stato e principi della cooperazione internazionale, che sono, se poi noi andiamo a guardare, più o meno quello che sono gli argomenti sviluppati con grande cura e con grande attenzione - devo dire - nell'articolo 3 di questa nostra legge. Da quel testo, naturalmente, fino ad arrivare alla proposta fatta da Guido Gonella, che aveva proposto una locuzione diversa: aveva proposto di chiamarla “educazione civile” invece di “civica”, allargando in questo modo il senso e il significato di quel termine; fino a Sturzo, che avvertiva, a suo dire, che se la Costituzione cade dal cuore del popolo, se non entra nella coscienza nazionale anche attraverso l'insegnamento e l'educazione scolastica, verrà a mancare il terreno sul quale sono fabbricate le nostre istituzioni e ancorate le nostre libertà. Naturalmente si arrivò poi, nel 1979 - anche qui è stato già ricordato -, alle retromarce sul pur minimo spazio orario da dedicarle, fino a quella trasversalità, contestata per la sua vaghezza, che significava di fatto indebolire il testo di Moro. Lo aveva riconosciuto Don Milani, dicendo: un'altra materia che non fate - cito testualmente - è educazione civica; qualche professore si difende dicendo che la insegna dentro altre materie, se fosse vero sarebbe bello; e conclude: dite piuttosto che è una materia che non conoscete, voi avete più in onore la grammatica che la Costituzione. Ricordare il compito della scuola in proposito fu anche un intervento del Presidente Napolitano: è importante - diceva - che la Carta costituzionale venga sistematicamente insegnata e analizzata nelle scuole italiane, per offrire ai giovani un quadro di riferimento indispensabile per costruire il loro futuro di cittadini consapevoli dei propri diritti e dei propri doveri. Si arrivava così fino alla legge n. 169 del 2008, a firma Gelmini, che univa cittadinanza e Costituzione. La cittadinanza è un termine - si dice - che indica un complesso di status e di ruolo che il singolo vive ed esercita nella società; la Costituzione è, nel nostro contesto normativo, la legge fondamentale della Repubblica italiana, in costante interazione con tutte le istituzioni in ambito nazionale e internazionale. Il legame proposto dal testo della legge n. 169 del 2008 riconosce una forte relazione fra i due principi che si legittimano e si arricchiscono a vicenda.

Purtroppo, accanto ai 138 articoli della Costituzione si sono via via sommati molteplici contenuti di un'educazione civica dall'ambito che rischia di essere troppo largo e indefinito. È una tentazione, Presidente, molto difficile da combattere, vista l'urgenza, per l'insorgere di comportamenti devianti all'interno della scuola, di cui molto hanno parlato oggi i colleghi che mi hanno preceduta.

Abbiamo visto in questi giorni, nei lavori della Commissione cultura, che la volontà unanime di far bene si è scontrata, da un lato, con la difficoltà oggettiva di un curricolo scolastico troppo carico di materie, e, dall'altro lato, con la scarsità di risorse economiche a fronte di un investimento necessariamente oneroso.

Ecco perché, pur ribadendo quello che in settanta anni si è raccolto in termini di riflessione, consapevolezza e condivisione su questa materia, non possiamo dirci soddisfatti dei risultati prodotti. Anzi, i rischi di un ritorno all'indietro appaiono molto forti: molte ottime sperimentazioni sono in corso da tempo e rischiano oggi di essere vanificate, senza i necessari approfondimenti. Negli anni, è stato l'ambito storico-umanistico a farsi carico dell'insegnamento della materia negli istituti superiori, riducendo il tempo a disposizione spesso per l'insegnamento della storia contemporanea, e portando con sé un impoverimento evidente per tutti coloro che si occupano di scuola. Oggi si parla di ambito economico-giuridico, ma questo può valere solo per un numero limitato di indirizzi scolastici. Inoltre, abbandonare la dizione “Cittadinanza e Costituzione” lascia intatti, a mio avviso, i problemi che non siamo riusciti a risolvere. Per questo sosteniamo fortemente l'opportunità di una formazione ad hoc per i nostri insegnanti, sosteniamo la necessità di un orario ben definito dedicato all'insegnamento di questa materia, soprattutto per la scuola secondaria, e sosteniamo l'inopportunità di caricare l'educazione civica di ogni emergenza educativa comparsa nel quadro scolastico. Accettiamo la trasversalità come male minore di fronte alle difficoltà, per ora irresolubili, di un affidamento curricolare.

Ci sono nella legge, Presidente, contributi pregevoli: l'articolo 6, laddove prevede possibili accordi di rete con università, con enti di ricerca; l'articolo 7, che coinvolge la famiglia, riconoscendo l'esigenza di un'alleanza che è fondamentale per raggiungere determinati risultati. Sono sicuramente dei contributi pregevoli, ma riconosciamo anche, tutti insieme, Presidente, gli elementi di fragilità di questa proposta di legge: l'articolo 2, laddove al comma 4 parla di contitolarità dei docenti della classe; il comma 5, che individua per ciascuna classe un docente con compiti di coordinamento a cui non sono dovuti i compensi in base al comma 7; e soprattutto l'articolo 11, che è la vera cartina di tornasole del senso di questo provvedimento, laddove si dice che il Ministero dell'Istruzione indice annualmente, con proprio decreto, un concorso nazionale, eccetera, ma soprattutto laddove dice che presenta, con cadenza biennale, alle Camere una relazione sull'attuazione della presente legge, anche - dice - nella prospettiva dell'eventuale modifica dei quadri orari che aggiunga l'ora di insegnamento di educazione civica. Naturalmente, l'articolo 11 trova il suo riscontro in questo che era l'obiettivo vero della legge, per tutti noi, perché all'articolo 12 precisa che dall'attuazione delle disposizioni della presente legge non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

PRESIDENTE. Concluda.

FLAVIA PICCOLI NARDELLI (PD). È evidente quali sono i limiti di questa proposta di legge, ma noi continuiamo a pensare che è un provvedimenot importante. Voteremo quindi favorevolmente su questa legge, pur riconoscendo che va chiesto con forza, almeno per la scuola secondaria superiore, che ci sia un maggiore recupero di risorse per un insegnamento curricolare affidato alla responsabilità disciplinare storico-giuridico (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Ciampi. Ne ha facoltà.

LUCIA CIAMPI (PD). Presidente, sottosegretario, colleghe e colleghi, oggi - mi hanno ormai preceduto tutti i colleghi - proseguiamo un percorso che è iniziato 70 anni fa. Quindi, oggi non inventiamo niente: perfezioniamo, non arriviamo certamente all'obiettivo pieno perché restano ancora inattuate delle necessità a mio parere e a nostro parere. Comunque sia la sintesi a cui la relatrice, onorevole Colmellere che ringrazio, è arrivata dopo un lavoro non facile, data la numerosità delle proposte che sono intervenute, credo che sia al momento accettabile da parte di tutti i gruppi e anche dal gruppo del Partito Democratico. Non ci fermeremo qui naturalmente perché l'obiettivo da raggiungere è ancora più alto: tutti hanno ricordato e lo voglio ricordare anch'io il decreto del Presidente della Repubblica del 1958, quello fortemente voluto dall'allora Ministro della Pubblica istruzione Aldo Moro, che istituiva l'insegnamento dell'educazione civica affidato all'insegnante di storia, un insegnamento ancillare alla storia, senza valutazione propria, senza autonomia, per un monte ore di un'ora ogni due settimane. Quindi era una necessità allora, probabilmente una necessità finanziaria anche allora, che però portava dentro di sé tutta quanta la necessità di educare la gioventù, i giovani delle nostre scuole ai valori fondanti della nostra comunità nazionale. Molti passaggi legislativi sono stati ricordati oggi in quest'Aula, in particolare dall'onorevole Aprea ma ora anche dall'onorevole Piccoli Nardelli, ma direi che ecco mi sembra utile ricordare la legge n. 169 del 2008 dell'onorevole Gelmini, che ha introdotto il grande cambiamento dell'insegnamento della cittadinanza e Costituzione, del binomio C&C, che si poneva obiettivi più alti e che, in realtà, per tanti motivi ha finito per rendere vuoto l'insegnamento dell'educazione civica perché, quando si affida a tutti insieme, spesso nella pratica succede che poi nessuno la pratica.

Dunque la necessità di dare alla disciplina dell'educazione civica uno status di autonomia con propria valutazione credo che sia una sintesi superiore che riesca a far fare un passo avanti alla nostra comune volontà, di tutti i gruppi, di raggiungere l'obiettivo. È diventato urgente il recupero di una dimensione educativa che formi i giovani ai principi che consentono lo sviluppo civile della società, la cura dei legami di coesione sociale, mentre si assiste da anni a un progressivo indebolirsi del rispetto reciproco e del senso di responsabilità. Nella scuola il lavoro degli insegnanti è sempre più difficile e l'apprendimento degli studenti più faticoso. Non possiamo più rinviare l'obiettivo di insegnare ad essere cittadini facenti parte di una comunità. Qualunque esperienza di cittadinanza ha il suo legame fondante con la storia della comunità, perciò questo legame deve essere declinato attraverso il valore della memoria, l'affermazione dei valori della pace, della libertà e della fratellanza nella coscienza dei giovani. La scuola, già molto attiva su questi temi, è il luogo dove si formano i cittadini che apprendono il vivere consociato in modo responsabile.

Perciò è necessario acquisire adeguata consapevolezza dei temi nuovi che si affacciano a stimolare il bisogno educativo come l'educazione ambientale, quella digitale, strumenti indispensabili per nuove forme di cittadinanza. Fin dalla scuola dell'infanzia e poi nelle scuole di ogni ordine e grado è necessario apprendere la dimensione della cittadinanza, con i suoi diritti e i suoi doveri, che accompagna lo sviluppo individuale. Si tratta di utilizzare prima di tutto materiali come la Dichiarazione universale dei diritti umani e la Costituzione italiana. Sono materiali antichi, del 1947, datano quegli anni, ufficialmente citati, celebrati, che si danno spesso per conosciuti ma non sono per lo più letti o approfonditi. La Costituzione in particolare è una specie di giacimento etico, culturale e politico, che ha la caratteristica di fondare in una visione unitaria i diritti umani e l'identità nazionale, il valore delle autonomie e l'apertura verso il sovranazionale, la scuola come istituzione di promozione della persona. Ora ci accingiamo a riaffrontare con realismo, credo, e con impegno il problema dell'educazione civica dalla scuola dell'infanzia ai due cicli scolastici: tutti i gruppi parlamentari hanno espresso la stessa esigenza. Ci siamo chiesti a chi affidare questo insegnamento. È stata individuata la trasversalità, vale a dire il concorso di tutti gli insegnanti di tutte le aree a garanzia di interdisciplinarietà e di multidisciplinarietà. Credo che la trasversalità dell'insegnamento dell'educazione civica sia quasi inevitabile e scontata nella scuola dell'infanzia. In quella primaria di primo e secondo grado, la mia personale convinzione è che ci debba essere una differenziazione. Ciononostante, credo che la sintesi a cui siamo arrivati mi consenta personalmente di votare favorevolmente sul provvedimento in esame ma ritengo che nella scuola secondaria di secondo grado sia necessario un insegnamento adatto con un insegnante abilitato. Quindi sono convinta che sia necessario un affidamento ai docenti abilitati dell'area economico-giuridica ma anche, perché no, letteraria, storico-filosofica. Io stessa sono un'insegnante di storia e filosofia e ho sempre insegnato l'educazione civica. Proporre un'ora settimanale di educazione civica come disciplina autonoma con propria valutazione è certamente positivo, purché non a scapito della storia. Voglio riprendere quanto detto dall'onorevole Casciello perché alla storia non deve essere diminuito niente se mai aumentato, anzi in questa legislatura ho sofferto quando è stato sottratto all'esame di maturità il tema di storia. Pur essendo presente nel saggio breve, è stato eliminato come traccia il tema generale di storia. La storia deve mantenere tutta quanta la sua dignità. Seppure è vero che l'educazione civica…

PRESIDENTE. La prego di concludere.

LUCIA CIAMPI (PD). Mi permetta di concludere, Presidente.

PRESIDENTE. Si avvii alla conclusione, onorevoli Ciampi.

LUCIA CIAMPI (PD). Sì, mi avvio alla conclusione. Dovrebbe essere una disciplina autonoma, dicevo, secondo me, con una propria valutazione e lo sarà naturalmente nell'ambito dell'orario e senza costi aggiuntivi. Ritengo che i punti critici del testo siano due e su essi bisogna puntare la nostra attenzione. Le risorse: è necessario fare uno sforzo di investimento sulla scuola; bisogna investire, non spendere; bisogna investire nella scuola, dare quindi un'autonomia a questa disciplina assolutamente importante…

PRESIDENTE. Però deve veramente concludere, onorevole Ciampi.

LUCIA CIAMPI (PD). E bisogna tener di conto delle esigenze della scuola stessa, che è un po' spaventata - io lo dico - di queste trentatré ore da fare in più nell'ambito dell'orario e dell'organico dell'autonomia. Credo che sia necessario che il Ministero dia delle linee guida capaci di sollevare i dirigenti scolastici da problemi di carattere pratico (Applausi).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - A.C. 682-A ed abbinate)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare la relatrice, onorevole Angela Colmellere.

ANGELA COLMELLERE, Relatrice. Va bene così, grazie. Ringrazio ancora tutti per il lavoro fatto e per le considerazioni che ho sentito oggi.

PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire successivamente.

Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Sospendo brevemente la seduta, che riprenderà alle ore 18,05.

La seduta, sospesa alle 18, è ripresa alle 18,05.

Discussione della proposta di inchiesta parlamentare: Sabrina De Carlo ed altri: Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulla morte di Giulio Regeni (Doc. XXII, n. 36-A); e dell'abbinata proposta di inchiesta parlamentare: Palazzotto ed altri (Doc. XXII, n. 17).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di inchiesta parlamentare Doc. XXII, n. 36-A: Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulla morte di Giulio Regeni; e dell'abbinata proposta di inchiesta parlamentare Doc. XXII, n. 17.

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi per la discussione sulle linee generali è pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta del 18 aprile 2019 (Vedi l'allegato A della seduta del 18 aprile 2019).

(Discussione sulle linee generali – Doc. XXII, n. 36-A ed abbinata)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Avverto che il presidente del gruppo parlamentare MoVimento 5 Stelle ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.

Avverto, altresì, che le Commissioni II (Giustizia) e III (Affari esteri) si intendono autorizzate a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire la relatrice per la Commissione affari esteri, l'onorevole Sabrina De Carlo, che interverrà anche a nome del relatore per la Commissione giustizia. Prego, onorevole De Carlo.

SABRINA DE CARLO, Relatrice per la III Commissione. Grazie, Presidente. Colleghi deputati, rappresentante del Governo, sono trascorsi più di tre anni da quando il corpo di Giulio Regeni venne ritrovato martoriato in una strada di periferia nei pressi de Il Cairo. Da allora, è iniziata una lunga e complessa indagine tra Egitto e Italia sostenuta dalle tante manifestazioni di solidarietà verso la coraggiosa famiglia del giovane ricercatore friulano espresse nelle piazze o in ogni genere di mezzi di informazione, al fine di chiedere verità e giustizia sulla sua morte.

Da parte delle autorità e dei media egiziani sono pervenute versioni contraddittorie e inverosimili su cosa sia successo realmente a Giulio. Nelle pieghe dell'inchiesta giudiziaria non sono mancati i risvolti macabri, con ulteriori morti e vessazioni nei confronti di coloro che hanno provato, in Egitto, a fare chiarezza sulla vicenda.

In tutto questo tempo non è stato possibile fare piena luce su nessuno dei punti fondamentali ovvero su chi abbia torturato, ucciso, su chi abbia tradito Giulio e chi ne protegga tuttora gli assassini e, soprattutto, in quale contesto e per quali finalità sia maturata la decisione di trucidare in modo così orrendo un giovane cittadino italiano, su cui si è scatenato tutto il male del mondo.

La Camera dei deputati, per impulso del Presidente Roberto Fico, si è coraggiosamente attestata su una consapevolezza che questa battaglia vale sempre più di qualsiasi convenienza politica. Questa scelta di campo si è concretizzata nella decisione, adottata con l'assenso di tutti i gruppi parlamentari, di sospendere le relazioni di questa Assemblea con il Parlamento egiziano per deplorare i mancati progressi delle indagini sulla morte di Giulio Regeni.

L'appello per accertare le responsabilità sull'assassinio è stato raccolto anche dal Parlamento europeo che, il 13 dicembre scorso, ha adottato una risoluzione nella quale si riafferma l'impegno dell'Assemblea ad esercitare pressioni sulle autorità dell'Unione europea affinché si attivino con le loro controparti egiziane per accertare la verità sulla morte del giovane studioso. Gli eurodeputati hanno ricordato anche che l'Egitto ha nuovamente respinto la richiesta della procura italiana di identificare gli agenti coinvolti nella scomparsa e morte di Giulio. Il Presidente della Camera Roberto Fico, con una lettera indirizzata il 23 gennaio scorso ai suoi omologhi dei Parlamenti degli Stati dell'Unione europea, ha sollecitato concreti gesti di solidarietà da parte delle Assemblee parlamentari dei Paesi europei per contribuire al percorso di ricerca della verità e giustizia per questa tragica vicenda.

In questi ultimi giorni, abbiamo tutti registrato un passaggio significativo ad esito del bilaterale svoltosi a Pechino tra il Presidente del Consiglio Conte e il Presidente egiziano al-Sisi, nel contesto di un confronto finalizzato ad una exit strategy politica rispetto all'escalation militare in Libia. Il Presidente Conte, mosso anche dalla lettera accorata e composta che i genitori di Giulio hanno indirizzato, non ha esitato a porre al Presidente egiziano il tema dello stallo in cui da ormai troppo tempo versa l'inchiesta, aggiungendo inoltre che l'Italia non può avere pace fino a quando non avrà la verità, confermando così la volontà italiana di non venire mai meno all'impegno di arrivare a una verità giudiziaria che sia plausibile e che abbia riscontri oggettivi e inoppugnabili.

Tutto ciò premesso, anche per il mio legame personale alla regione e ai luoghi in cui Giulio è nato, è cresciuto e dove vive la sua famiglia, sono davvero onorata di poter rappresentare a quest'Aula l'esito del lavoro positivo e costruttivo svolto dalle Commissioni riunite giustizia e affari esteri di questo ramo del Parlamento rispetto alla proposta di inchiesta parlamentare sulla morte del nostro connazionale. Un provvedimento con cui ci auguriamo di potere conseguire risultati utili anche all'operato della magistratura italiana, in una doverosa logica di leale collaborazione tra i poteri dello Stato, tanto più rispetto ad una vicenda che chiama fortemente in causa il nostro interesse nazionale e l'esigenza di salvaguardare la dignità del nostro Paese.

La Commissione d'inchiesta, infatti, anche grazie allo scrupoloso lavoro di riformulazione del testo, cui hanno contribuito con spirito costruttivo tutti i gruppi parlamentari, non si sovrapporrà all'attività della magistratura italiana, cui spetta in modo precipuo ed esclusivo il compito di accertare le responsabilità dell'assassinio.

La Commissione, come recita l'articolo 1, chiarirà soprattutto le circostanze che hanno portato alla morte di Giulio e verificherà fatti, atti, condotte commissive e omissive che abbiano costituito o costituiscano ostacolo, ritardo o difficoltà all'accertamento giurisdizionale, anche al fine di valutare eventuali iniziative normative per superare, nel caso di specie e per il futuro, simili impedimenti, nonché per incrementare i livelli di protezione delle persone impegnate in progetti di studio e di ricerca all'estero, in funzione di prevenzione dei rischi per la loro sicurezza e incolumità.

Voglio, a questo punto, riconoscere ai colleghi di maggioranza il contributo positivo rispetto alla necessità che le Commissioni riunite svolgessero opportuni approfondimenti istruttori, al fine di giungere alla migliore formulazione possibile del testo, che, senza nulla togliere alle prerogative della Commissione e al suo legittimo mandato, scongiurasse ogni conflitto potenziale tra Parlamento e magistratura e, di conseguenza, ogni rallentamento all'attività della Commissione.

Come più volte è emerso nel corso dell'esame in sede referente, l'ulteriore impostazione del provvedimento non si discosta dal modello delle proposte di inchiesta parlamentare, certamente però, data la delicatezza e l'elevata politicità del tema, appare tutt'altro che formale la previsione, di cui al medesimo articolo 1, in merito al fatto che la Commissione riferisca alla Camera alla fine dei propri lavori o anche nel corso di questi, ove se ne ravvisi la necessità o l'opportunità.

Quanto alla composizione, è bene segnalare a quest'Aula che l'articolo 2 fissa in 20 il numero dei deputati componenti, nominati dal Presidente della Camera in proporzione ai gruppi parlamentari e assicurando comunque la presenza di un rappresentante per ciascun gruppo parlamentare. Sono definiti, inoltre, i criteri per l'elezione dei membri dell'ufficio di presidenza della Commissione, composta dal presidente, due vicepresidenti e due segretari.

Sui poteri e sui limiti della Commissione, l'articolo 3 stabilisce che la Commissione procede alle indagini e agli esami con gli stessi poteri e le stesse limitazioni dell'autorità giudiziaria e ha facoltà di acquisire copie di atti e documenti relativi a procedimenti e inchieste in corso presso l'autorità giudiziaria o altri organismi inquirenti, o relativi a indagini e inchieste parlamentari, anche se coperti da segreto.

Per il segreto di Stato e per i segreti d'ufficio, professionale e bancario trovano applicazione le norme vigenti. La Commissione garantisce il mantenimento del regime di segretezza e stabilisce quali atti o documenti non devono essere divulgati.

L'articolo 4 obbliga i componenti della Commissione, il personale addetto alla stessa e ogni altra persona che collabora con la Commissione, e chi compie o concorre a compiere atti di inchiesta oppure ne viene a conoscenza per ragioni d'ufficio o di servizio, al segreto per tutto quanto riguarda gli atti e i documenti di cui all'articolo 3.

L'articolo 5, comma 1, prevede che l'attività e il funzionamento della Commissione siano disciplinati da un regolamento interno, approvato dalla medesima Commissione. Le sedute saranno pubbliche, tuttavia la Commissione può deliberare di riunirsi in seduta segreta. Il comma 2 prevede che la Commissione fruisca di personale, locali e strumenti operativi messi a disposizione del Presidente della Camera dei deputati. Il comma 3 dell'articolo 5 disciplina le spese per il funzionamento della Commissione, poste a carico del bilancio interno della Camera dei deputati, che sono stabilite nel limite massimo di 80 mila euro per l'anno 2019 e 60 mila euro per l'anno 2020.

Al riguardo, segnalo che nel corso dell'esame in sede referente, con un emendamento largamente condiviso, è stata ridotta la durata della Commissione da 18 a 12 mesi, comunque prorogabili, e di conseguenza la dotazione finanziaria per l'anno 2020, nell'ottica di promuovere l'efficienza e la speditezza dei suoi lavori.

In questa sede, mi preme dare atto della specifica ottima collaborazione che si è instaurata con i gruppi di opposizione, perché, come è emerso nelle dichiarazioni di voto rese al termine dell'esame in sede referente, siamo tutti consapevoli dell'arduo compito che ci attende, degli ostacoli e delle difficoltà cui la Commissione andrà incontro, ma anche del fatto che si tratta di un passaggio doveroso, condiviso e sentito in modo unanime dai gruppi, che, istituendo la Commissione d'inchiesta, si sono resi interpreti di una sensibilità ancora molto viva nel Paese e di un primato etico irrinunciabile per un Paese come il nostro, che è la protezione dei diritti umani e delle libertà fondamentali.

Auspico, pertanto, che l'istituzione della Commissione d'inchiesta sia approvata con un largo consenso, nel segno dell'obiettivo condiviso della ricerca della verità per Giulio e come testimonianza concreta della serietà e dell'impegno dell'Italia per i diritti fondamentali dell'uomo e per la solidità dei nostri valori democratici.

È una giornata importante, una svolta decisiva che abbiamo atteso da troppo a lungo. Lavoreremo con impegno, al fine di poter dare ai genitori di Giulio e all'intero Paese le risposte che per anni ci sono state negate, consolidando sempre più la nostra posizione nettamente contraria a qualsiasi violazione dei diritti umani.

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo, sottosegretario Di Stefano.

MANLIO DI STEFANO, Sottosegretario di Stato per gli Affari esteri e la cooperazione internazionale. Grazie, Presidente. Come ho più volte ribadito, perseguire un'efficace collaborazione giudiziaria per fare piena luce sulla morte di Giulio Regeni è una priorità per il nostro Governo. È stato ribadito in tutte le occasioni utili e ci rammarichiamo soprattutto per il fatto che la cooperazione giudiziaria, che è quella che ovviamente ci interessa di più, non stia procedendo come da noi auspicato in questi tre anni che sono trascorsi.

Quando ci saranno soluzioni e risultati concreti sulle indagini in corso, potremo anche avere una accelerata nuova alle relazioni tra Italia ed Egitto, che oggi stiamo mantenendo ovviamente rallentate proprio per dare un segnale anche da questo punto di vista, ma che sono di enorme potenziale. Ovviamente stiamo continuando, al di là dell'attività parlamentare, a rappresentare con tutti i nostri mezzi questa fermezza in tutte le occasioni possibili e con tutti i livelli istituzionali possibili: in ultimo, giusto per citarne un paio, a margine del Vertice Unione europea - Lega Araba del 25 febbraio, quando il presidente Conte ha evidenziato, utilizzando proprio queste parole, una forte inquietudine per l'assenza di sviluppi sul caso; e soprattutto a Pechino, sabato scorso, quando nell'incontro tra il Presidente al-Sisi e il Presidente Conte si è ribadita questa preoccupazione e il Presidente Conte ha detto testualmente: l'Italia non può avere pace fino a quando non avrà la verità sul caso Regeni.

Ovviamente, ed è anche il motivo per il quale tutto sembra essere rallentato, non è una verità di facciata quella che ci interessa, è una verità giudiziaria, è una verità concreta che ci porti a dei responsabili, ed è quindi per questo che ovviamente vediamo di buon auspicio la nascita di questa Commissione di inchiesta nei perimetri tracciati dalla relatrice, che ovviamente sono quelli possibili per non intralciare il lavoro anche della magistratura e degli altri organismi coinvolti.

Credo che, però, sia importante che da questa discussione, come dalla votazione che seguirà, ma in generale dall'azione delle nostre istituzioni italiane, emerga una coesione, una unità dell'azione nazionale su questo tema. Ed è, quindi, importante notare l'incasellamento delle cose, quindi l'interruzione dei rapporti parlamentari e, comunque, tutta l'attività che il Parlamento ha fatto tramite il Presidente Fico, la auspicabile nascita della Commissione d'inchiesta in questi giorni e l'azione del Governo, sia tramite il Presidente Conte, sia tramite, di fatto, tutti i Ministri che hanno visitato l'Egitto nell'ultimo periodo, da Di Maio a Moavero, e la diplomazia stessa, ovviamente, che stanno ribadendo questi concetti a tutti gli incontri possibili.

Di fatto, quella che si sta cercando di attuare è una strategia coordinata, che possa mettere l'Egitto davanti all'evidenza del fatto che un partner anche per loro strategico - non dimentichiamo l'importantissima gestione del petrolio egiziano da parte dell'ENI, che è per loro una fonte di necessità, anche - come l'Italia, possa essere coeso nella ricerca della verità su un tema che li riguarda direttamente, possa portare, nel minor tempo possibile, alla verità che tutti auspichiamo e che soprattutto dobbiamo alla verità come principio base, ma alla famiglia Regeni soprattutto, a una madre e a un padre che non possono certamente pensare di non avere certezze e verità sulla morte del loro figlio.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Sut. Ne ha facoltà.

LUCA SUT (M5S). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, sottosegretario, “chiunque voglia sinceramente la verità è sempre spaventosamente forte”: lo scriveva Dostoevskij nel suo Diario di uno scrittore, la raccolta di scritti in cui l'autore russo rifletteva sull'attualità del suo tempo, arrivando - pensate - a determinare la riapertura di alcuni processi dell'epoca, di cui, con grande acume, aveva fatto emergere le incongruenze.

Oggi, 29 aprile 2019, per la morte di Giulio Regeni, a distanza di oltre tre anni dalla sua uccisione, un processo che ne ricerchi ed accerti moventi e responsabilità non è ancora neanche iniziato. In compenso, ci troviamo a fare i conti con il colpevole ritardo delle istituzioni e delle autorità de Il Cairo, chiamate a far luce sulla barbara uccisione di un cittadino italiano impegnato sul suolo egiziano in attività di ricerca universitaria e mai più tornato. Dal giorno del ritrovamento del corpo di Regeni si sono susseguite rassicurazioni, strette di mano, dichiarazioni di intenti volte a migliorare la cooperazione giudiziaria possibile tra procura egiziana ed italiana, fino ad arrivare al “Regeni è uno di noi” detto da al-Sisi lo scorso anno, fino ad arrivare anche al recentissimo incontro di Pechino tra il Presidente egiziano ed il nostro Premier Giuseppe Conte, in cui ha trovato spazio un ulteriore e ennesimo appello delle istituzioni italiane affinché si giunga a una verità giudiziaria per la morte di Giulio Regeni. Una verità plausibile e suffragata da riscontri oggettivi e inoppugnabili. Non avremo pace, come ribadito dal nostro Presidente del Consiglio, finché l'Egitto non darà seguito alle parole con i fatti, perché la nostra richiesta di verità non è un mero rituale, come doverosamente sottolineato da Conte, ma l'espressione di un sentire comune del popolo italiano, del suo Governo e di questo Parlamento. Più di una volta ci siamo illusi di trovarci di fronte ad uno spiraglio di verità, di passaggio della crepa di quel muro di sostanziale silenzio che da anni ci separa dalla risoluzione di quel che i media chiamano caso Regeni, ma che è molto più di un caso: è una ferita tutt'oggi aperta, inferta dalla lama dell'assassinio feroce nei confronti di un cittadino italiano ed europeo verso cui siamo in debito di verità. Verità per i suoi familiari, che continuano a lottare affinché giustizia sia fatta, e a cui tengo far giungere la mia più sentita solidarietà umana e istituzionale; verità per quell'Italia che crede ancora nei diritti fondamentali della persona, sanciti anche dall'Unione europea, a cui ci siamo appellati, attraverso il nostro Presidente Fico, in occasione del recente incontro a Vienna, in virtù di quell'Europa unita che dobbiamo e vogliamo essere. Quell'Europa, mi preme sottolineare, che di recente ha deplorato l'inadeguata collaborazione di alcuni Paesi del Nord-Africa e del Medio Oriente nelle attività di investigazione e giustizia bilaterale scaturite a seguito dell'uccisione di cittadini europei, tra cui il nostro Giulio Regeni. Verità perché, in quanto rappresentante del MoVimento 5 Stelle in questo Parlamento, mi sento portatore delle istanze di un Paese che non si è rassegnato e ha creduto nella possibilità che comuni cittadini come noi potessero partecipare, non solo da elettori, al percorso decisionale sulle scelte collettive del Paese. Così come non ci siamo arresi di fronte all'irrisione di chi ci diceva che certi modus operandi in Italia non si potessero cambiare e che questo MoVimento non sarebbe arrivato lontano.

Allo stesso modo, oggi crediamo che il fitto groviglio di interessi ed equilibri che ci separano dalla verità per Giulio Regeni possa sciogliersi grazie alla determinazione congiunta di tutte le forze in campo. Giulio Regeni, permettetemi, era un mio corregionale, lui dalla provincia di Udine e io da quella di Pordenone. Quattro mesi fa, nell'anniversario della sua sparizione, ero presente anch'io nel suo comune natale, Fiumicello, alla fiaccolata commemorativa di cui voglio farmi testimone, ricordandone la civile e composta richiesta di giustizia, espressa secondo i tratti tipici della mia terra, poco teatrale nei modi, quanto fattiva nelle azioni.

Colleghi, oggi siamo riuniti in quest'Aula per far sentire al Paese, all'Europa e a Il Cairo tutta la nostra determinazione, perché la Commissione d'inchiesta che chiediamo di istituire non è un pro forma, non è una mossa mediatica, come qualcuno probabilmente scriverà, non è un tentiamo tutto il tentabile della serie “non si sa mai”.

No, la nostra proposta di legge non è una formalità parlamentare, né il ripetersi di un'iniziativa già tentata con un nulla di fatto nella scorsa legislatura. Questo è un atto con cui la parte dell'emiciclo che rappresento tra i banchi della maggioranza chiede di esercitare una prerogativa concessa dall'articolo 82 della Costituzione; prerogativa attraverso cui vogliamo che alla fine di questi dodici mesi di attività della Commissione venga messo nero su bianco tutto ciò che si frappone tra noi e la verità sulla morte di Regeni. E non saranno i rapporti commerciali con l'Egitto a fermarci, come ribadito dal nostro Ministro degli esteri Moavero qualche mese fa. Il messaggio che vogliamo lanciare è che l'Italia non ci sta a questo atteggiamento da politica dei due forni da parte del Cairo ed è pronta a fare quanto in suo potere, anche affiancandosi per via parlamentare al lavoro dell'autorità giudiziaria.

Siamo di fronte a un'iniziativa che si inserisce in un contesto generale di ricerca delle responsabilità che fa da contraltare alle resistenze finora mostrate dal Paese in cui Giulio ha trovato la morte. Ci avevano detto inizialmente che questa era avvenuta a seguito di un incidente stradale, poi che il suo omicidio era maturato per questioni di droga, scenario prontamente smentito dagli esami tossicologici condotti sul povero corpo di Giulio, o ancora nell'ambito di una relazione omosessuale. Abbiamo sentito davvero troppo sulla morte di Regeni, ma ancora più assordante delle parole è il silenzio che ne è seguito in termini di azioni concrete a sostegno delle indagini.

Esprimo, dunque, soddisfazione politica a nome del MoVimento 5 Stelle per la quasi compattezza di questo Parlamento che si è espresso ai fini dell'istituzione della Commissione d'inchiesta con cui quest'Aula rigetta la coltre di fumo che sta coprendo moventi e circostanze dell'assassinio di un giovane ricercatore. Commissione che lavorerà con alto senso delle istituzioni, unitamente all'iniziativa che gli altri organi dello Stato potranno intraprendere a favore della verità, in sinergia - questo ce lo auguriamo - con quell'Europa che assieme a noi vorrà fare fronte comune (Applausi di deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Zanettin. Ne ha facoltà.

PIERANTONIO ZANETTIN (FI). La ringrazio, Presidente, per la parola. Onorevole rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, onorevoli colleghe, la morte di Giulio Regeni è una tragedia sconvolgente, un dramma umano che ha colpito un giovane ricercatore italiano assai brillante, vittima innocente di una storia forse più grande di lui. Insieme a lui sono stati colpiti la sua famiglia, la comunità dove era nato e cresciuto e l'intero nostro Paese. Voglio subito dire che della storia di Giulio un particolare mi ha sempre profondamente colpito: la sua prima esperienza è stata quella di sindaco dei ragazzi del comune di Fiumicello, in provincia di Udine, dove era nato. Una figura, quella di sindaco dei ragazzi, che tanti comuni italiani hanno istituito per avvicinare i giovani alla politica e alle istituzioni. Giulio è quindi il prodotto della cultura di un territorio del profondo Nordest, dove si tramandano, di generazione in generazione, l'impegno civico e la passione civile, uniti all'apertura al mondo globale e all'ansia di nuovi saperi ed esperienze.

Credo che nessuno in Italia possa contestare la necessità che si debba fare piena luce sulle responsabilità di chi si è macchiato di un crimine così atroce e ingiustificato. Oserei dire che è una questione di dignità nazionale, se queste parole hanno ancora un senso in Italia, oltre che di giustizia sostanziale. Ma la domanda da porsi è la seguente: chi ha il dovere di accertare queste responsabilità? La magistratura, innanzitutto. Su questo versante, però, credo non si possano formulare rilievi all'operato della procura di Roma, che, guidata dal dottor Pignatone, ha profuso il massimo impegno. Il procuratore di Roma solo poche settimane fa ha ammesso: la collaborazione con la procura generale del Cairo ha avuto alcuni esiti positivi, ma non ha finora consentito l'acquisizione di prove certe di colpevolezza.

Dal punto di vista giudiziario la situazione potrà essere sbloccata solo da elementi nuovi che dovessero essere acquisiti e trasmessi dall'autorità egiziana. Sul fronte giudiziario siamo, quindi, in una posizione di stallo assoluto. Ci si poteva forse aspettare di più dai vari Governi che si sono succeduti in questi tre anni, ma mi pare che i risultati prodotti siano fallimentari, e certamente non all'altezza dei sempre roboanti propositi dei politici di turno che si sono occupati della vicenda: risalgono a poche ore fa le imbarazzanti dichiarazione di impotenza del Premier Conte, dopo l'ennesimo faccia a faccia col Presidente egiziano.

A distanza di oltre tre anni dai fatti, è stato richiamato in Italia e poi rispedito al Cairo l'ambasciatore, sono stati minacciati di morte i diplomatici e ritorsioni, il Presidente Fico ha annunciato nel novembre scorso la sospensione dei rapporti di questa Camera con il Parlamento egiziano, ma tutte queste iniziative sono rimaste senza esito concreto. In questo quadro, ahimè sconfortante, quali risultati concreti potrà ottenere la Commissione d'inchiesta che stiamo discutendo oggi in questa Aula? Pochi, temo; tuttavia spes ultima dea. Forza Italia non si opporrà certamente al varo di questa Commissione, a patto però che essa non si risolva solo in un'iniziativa velleitaria e propagandistica ed in uno spreco di energie e risorse pubbliche.

La Commissione parlamentare d'inchiesta, assolutamente lodevole nelle intenzioni di chi la propone, non dovrà costituire nemmeno un alibi per l'inerzia o l'incompetenza di un Governo incapace di costruire una rete di alleanze internazionali ed una credibile politica estera. Infatti l'accertamento delle responsabilità sulla morte di Giulio, in concreto e realisticamente, potrebbe avvenire solo in un quadro di cooperazione internazionale; ma oggi l'Italia si trova isolata, balbettante ed umiliata come non mai nel quadrante libico e nel Medio Oriente: incompetenza e superficialità ci hanno privato di un ruolo e collocato ai margini di ogni tavolo che conta.

Nel dibattito in Commissione abbiamo proposto emendamenti nel merito migliorativi del testo; con due finalità: la prima, evitare sovrapposizioni ed interferenze con l'attività di indagine della procura di Roma; la seconda, estendere gli accertamenti anche all'ambito universitario nel quale Giulio si è trovato ad operare. Non può essere infatti sottaciuto in quest'Aula l'ambiguo e non ancora chiarito ruolo che hanno avuto l'Università di Cambridge e la tutor di Giulio, professoressa Abdel Rahman. Ricordo, per chi in quest'Aula magari ha seguito la vicenda senza approfondire alcuni dettagli, che la docente, di origini egiziane, nella sua pagina Facebook usata fino al 2013 aveva pubblicato il simbolo delle quattro dita dei Fratelli Musulmani, fuorilegge in Egitto ed oppositori del governo di al-Sisi. Credo quindi che proprio per dare credibilità al lavoro della Commissione d'inchiesta sia necessario procedere - come dire? - a 360 gradi, senza trascurare nessun dettaglio.

Questi nostri emendamenti sono stati riproposti per l'esame in Aula. Oggi, dalle pagine di la Repubblica, il Presidente Fico ha invitato le forze politiche a non dividersi su questa iniziativa parlamentare. Forza Italia non rimane certamente insensibile a questo appello, tuttavia il nostro voto finale sarà evidentemente legato anche all'atteggiamento tenuto dalla relatrice e dalla maggioranza sulle nostre proposte emendative, che, come dicevo sopra, attengono a problematiche non di poco momento.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Formentini. Ne ha facoltà.

PAOLO FORMENTINI (LEGA). Presidente, nelle prossime ore approveremo l'istituzione della Commissione d'inchiesta sulla morte di Giulio Regeni, a più di tre anni dalla sua scomparsa: una Commissione d'inchiesta che ha trovato il consenso pressoché unanime delle forze politiche. Devo qui dare atto del grande lavoro svolto dalle Commissioni congiunte affari esteri e giustizia, lavoro che ha voluto scongiurare il rischio che vi fossero delle sovrapposizioni con l'attività della magistratura, consci che alla verità si perverrà tramite la via giudiziaria e che è quindi necessario un continuo dialogo con l'Egitto.

Mi sia concesso in quest'Aula esprimere l'auspicio che i lavori si possano svolgere in modo proficuo, utilizzando al meglio gli strumenti e le risorse nei tempi che ci siamo dati, evitando strumentalizzazioni e giungendo all'accertamento dei fatti senza che vi siano linee di indagine precostituite.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ungaro. Ne ha facoltà.

MASSIMO UNGARO (PD). Presidente, colleghi, il Partito Democratico chiede l'istituzione immediata della Commissione d'inchiesta sulla morte e le cause della morte di Giulio Regeni e per questo motivo non presenteremo emendamenti, per non ritardare di un solo secondo l'istituzione di questa Commissione.

Giulio era un cittadino italiano, un cittadino italiano all'estero, ma soprattutto un ricercatore universitario che studiava all'università di Cambridge, come migliaia di ragazzi, dei nostri ragazzi che appunto avanzano negli studi e nelle ricerche fuori dall'Italia. Rappresentava un'Italia migliore, di cui andare fieri. Aveva la mia età. Poteva comodamente rimanere nel suo college a Cambridge a scrivere la sua tesi, e invece ha deciso di andare sul campo a studiare le cause, i perché, i motivi della “primavera araba”, un movimento che cercava appunto di introdurre la democrazia, la giustizia sociale, i diritti umani in una regione del mondo martoriata troppo spesso da regimi oppressivi e corrotti.

L'omicidio di Giulio è stato commesso in Egitto tra fine gennaio e febbraio del 2016, oltre tre anni fa. Giulio appunto era un dottorando: fu rapito il 25 gennaio 2016, nel giorno del quinto anniversario della rivoluzione del 2011 di piazza Tahrir (Tahrir Square). Il suo corpo venne ritrovato il 3 febbraio. Le condizioni del corpo mostrarono che era stato sottoposto a tortura, a un pestaggio pesantissimo: più di due dozzine di fratture ossee, fra cui sette costole, le due braccia, le due gambe, due scapole, decine di coltellate, decide di bruciature di sigaretta su tutto il corpo. I sospetti fanno presupporre un coinvolgimento degli apparati di sicurezza della Repubblica Araba d'Egitto, forse allertati dalle sue interazioni con i sindacati dei venditori ambulanti del Cairo in circostanze ancora tutte da verificare.

Noi chiediamo verità e giustizia per Giulio Regeni, per accertare i colpevoli della sua morte e con lui le centinaia di giornalisti dissidenti e oppositori che ogni giorno scompaiono nelle carceri di al-Sisi (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico e di deputati del gruppo Liberi e Uguali), incarcerati senza un processo, ad un ritmo ben superiore che all'epoca di Mubarak. Verità quindi anche per Giulio e per la società egiziana, la sua richiesta di democrazia e di sviluppo libero!

La vicenda legata al suo rapimento, alla sua tortura e alla sua morte ci tocca quindi da vicino, perché siamo tutti consapevoli del dolore che la perdita di un ragazzo così giovane può causare alla sua famiglia. Lo Stato deve fare tutto il possibile per identificare i responsabili e fare chiarezza: abbiamo una chiara responsabilità morale e politica di indagare, per chiarire esattamente che ruolo ha avuto la Repubblica Araba d'Egitto nella morte di un nostro connazionale.

Come ho sottolineato nella lettera ai genitori di Giulio lo scorso 27 aprile, senza una risposta concreta, vera e definitiva la dignità del nostro Paese e delle istituzioni che anche noi rappresentiamo risulterebbe gravemente mortificata: noi non possiamo accettarlo! La difficoltà nella ricerca della verità e della giustizia è sotto gli occhi di tutti: apprendiamo con sconcerto che il processo sul caso non risulta ancora aperto ufficialmente al Cairo, le autorità egiziane si sono dimostrate estremamente poco collaborative, mentre la procura di Roma ha iscritto nel registro degli indagati lo scorso dicembre cinque funzionari degli apparati di sicurezza della Repubblica Araba d'Egitto. Diciamolo chiaramente, diciamolo in quest'Aula: la Repubblica Araba d'Egitto, diretta dal generale-faraone al-Sisi, ci sta prendendo in giro (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico)!

Ricordiamoci che all'inizio la polizia egiziana aveva avallato ipotesi improbabili, lo dicevano alcuni colleghi poc'anzi: dall'incidente d'auto al ritrovamento gratuito, casuale dei documenti di Giulio, per nascondere o giustificare quella che sembra essere sempre di più un'azione coordinata dei servizi segreti. È proprio alla luce di questo che crediamo che la Commissione d'inchiesta potrà essere il terzo pilastro fondamentale nelle attività di investigazione, insieme all'inchiesta della procura di Roma e alla via diplomatica bilaterale. La battaglia per la verità per Giulio Regeni non deve e non dovrà mai ridursi ad una vicenda privata dei legali della famiglia di Giulio: Paola e Claudio, non vi lasceremo soli.

La tutela dei diritti umani dev'essere un asse portante della nostra politica estera, nel solco del multilateralismo della Carta dei diritti umani dell'ONU che abbiamo abbracciato dal 1948. Giulia è stato rapito, torturato ed ucciso senza un processo, e ancora oggi la sua storia chiede giustizia: evitiamo quindi proclami retorici o strumentalizzazioni politiche.

Ma oltre alla difesa dei diritti umani, come Paese dobbiamo interessarci alle sorti dei popoli che si affacciano sul Mediterraneo: proprio come faceva Giulio, che appunto è andato fino in Egitto a studiare un Paese che chiedeva democrazia, diritti e giustizia sociale. Non è per la ricerca della pace universale o per perseguire una politica estera etica, ma ne va del nostro interesse nazionale: in passato troppo spesso come europei, come Paesi europei siamo stati troppo clementi con regimi che professavano di combattere il terrorismo, di mantenere l'ordine, mentre invece attuavano abusi terribili verso i loro concittadini.

La stabilità che loro promettevano era fittizia, effimera, perché senza democrazia; ma senza democrazia, senza diritti e senza Stato di diritto non ci può essere pace duratura.

Abbiamo potuto osservare in questi anni esattamente i risultati dei regimi di Gheddafi in Libia, di Ben Ali in Tunisia, Mubarak in Egitto e di Assad in Siria, per questo dobbiamo sostenere la giovane democrazia in Tunisia anche con aiuti economici, osservare cosa accade in Algeria, agire in chiave multilaterale per riportare pace e stabilità in Libia sostenendo il Governo legittimo di al-Serraj, agire contro la violazione dei diritti umani nei campi e nei centri di detenzione in Libia (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico) e, nel caso egiziano, esercitare la massima pressione politica e diplomatica per contenere una deriva autoritaria preoccupante, in un Paese dove di fatto non esiste libertà di espressione, non esiste libertà di manifestazione, dove scompaiono decine di persone ogni giorno, dove non esistono limiti alle operazioni delle forze di sicurezza, come dimostrato solo qualche giorno fa dall'estensione del mandato del generale al-Sisi fino al 2030, con un referendum indetto in una settimana e con l'88 per cento dei consensi: un risultato poco attendibile: al-Sisi già si vede come Nasser, ma altro non è che una copia peggiore del Presidente Mubarak, e l'Occidente democratico non può stare a guardare.

Come Italia, invece, rimaniamo indifferenti, ci isoliamo, chiudiamo i porti, chiudiamo, non guardiamo, ma ne pagheremo care le conseguenze. Aprire i porti è un obbligo morale e legale che noi abbiamo verso chi scappa dalla guerra e dalla carestia (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico e di deputati del gruppo Liberi e Uguali). Capisco l'atteggiamento della Lega, anzi capisco la loro proposta culturale retrograda di isolamento che lederà i nostri interessi; e infatti oggi sono totalmente assenti in Aula, assenti durante tutti i lavori di oggi, non so cosa significhi questo, appunto, per il dopo elezioni. Ma chiedo invece a voi, del MoVimento 5 Stelle, che so essere i principali autori della richiesta dell'istituzione di questa Commissione d'inchiesta, quindi sensibili a queste tematiche, e che capite che è importante interagire nel nostro Mediterraneo: come potete stare a guardare davanti all'atteggiamento e al comportamento del vostro alleato? Eppure in recenti dichiarazioni il nostro Premier Conte si è detto impotente, lamentando l'assenza di strumenti reali e concreti per riportare giustizia per Giulio e che era impossibile intervenire perché non ci si può sostituire alla magistratura egiziana. Eppure ci sono molte leve su cui agire, partendo appunto dal ruolo dominante di ENI nell'estrazione del gas nel mare d'Egitto, lo diceva poc'anzi il sottosegretario Manlio Di Stefano, però non ho ben capito a cosa alludesse esattamente, forse può specificare perché ha nominato l'ENI: forse, essendo un ruolo strategico quello che gioca in quel Paese, potremmo esercitare una pressione un pochino più forte sull'Egitto. Mentre con una mano chiediamo verità all'Egitto, con l'altra gli vendiamo armi, acquistiamo sempre più beni: il nostro import dall'Egitto sta crescendo ogni anno di più. Le partecipate di Stato come Leonardo e Fincantieri partecipano alla Fiera internazionale degli armamenti de Il Cairo, convocata da al-Sisi, per poi vedere al-Serraj assediato appunto dai mercenari del generale Haftar, che sappiamo sostenuto dal suo amico compare generale al-Sisi. Dopo tre anni dalla morte di Giulio non possiamo fare sconti al Cairo, abbiamo bisogno di verità subito, collaborazione immediata. Vediamo un Governo immobile, che sta fermo, e forse troppi attori vorrebbero che la vicenda si insabbi, passi, venga dimenticata per tornare appunto al business as usual, come troppe volte in passato. Invece, con questa Commissione d'inchiesta l'Italia dice: no, no e no, non lasceremo nessuno indietro, non ci dimenticheremo di Giulio e, con lui, di tutte le vittime della violenza di Stato!

Quindi, l'istituzione della Commissione non è un gesto di testimonianza del Parlamento ma un'azione concreta per aiutarci a chiarire come proteggere i nostri ragazzi che studiano e lavorano all'estero, troppe volte vittime di terrorismo: di Stato, come nel caso Di Giulio, o religioso, come nel caso di Antonio Megalizzi, ucciso a Strasburgo nel 2018 mentre dava voce al suo impegno europeista; o di Valeria Solesin, volontaria di Emergency uccisa al Bataclan, a Parigi, nel 2015; o Fabrizia Di Lorenzo, studentessa modello vittima dell'attentato ai mercatini di Natale di Berlino nel 2016; mentre il nostro pensiero va a Silvia Romano, tuttora imprigionata in Kenya (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico e di deputati del gruppo Liberi e Uguali), sperando che torni presto sana e salva a casa.

La libertà di ricerca e l'impegno civico non devono essere minati dal timore della violenza, lo dobbiamo alla loro memoria prima di tutto. La Commissione serve anche ad indagare su cosa è successo esattamente a Giulio, anche con riferimento alle istituzioni britanniche, a cominciare dall'Università di Cambridge, ateneo presso il quale stava conseguendo il dottorato. Infine, dobbiamo anche difendere l'onorabilità di Giulio, fugando ogni dubbio di una sua collaborazione con i servizi o con movimenti sovversivi. Giulio era solo animato dalla ricerca della verità, la verità di capire cosa stava accadendo in quel Paese, chi afferma il contrario ne infanga la memoria; nella ricostruzione della verità questo passaggio è di dovuta importanza.

Lo dobbiamo ai genitori di Giulio, ai ricercatori italiani che portano alto il nome dell'Italia in tutto il mondo, al nostro Paese e alle milioni di persone torturate, imprigionate e assassinate ingiustamente o senza processo. Chiediamo giustizia per Giulio Regeni (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Liberi e Uguali).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Boldrini. Ne ha facoltà.

LAURA BOLDRINI (LEU). Signora Presidente, signor sottosegretario, colleghe e colleghi, voglio innanzitutto esprimere la mia soddisfazione per il fatto che finalmente approda all'esame dell'Assemblea la proposta di istituire una Commissione d'inchiesta sulla morte, sull'uccisione di Giulio Regeni: l'istituzione era stata avanzata dal nostro gruppo il 28 maggio 2018, dunque a inizio legislatura.

Non è stato facile, colleghe e colleghi, lo sappiamo. Non è stato facile da parte delle Commissioni giustizia e affari esteri concludere i lavori su questo punto, perché da settori interni alla maggioranza erano emersi dubbi, perplessità e, almeno all'inizio, scarsa convinzione nell'aderire a questa proposta. Ma alla fine, signora Presidente, ci siamo riusciti, e questo è ciò che conta.

Ora mi auguro che, dopo questo avvio in discussione generale, l'Assemblea sia chiamata presto, senza ritardo, a pronunciarsi con un voto. Perché riteniamo necessario istituire una Commissione parlamentare d'inchiesta? Non certo - lo ribadisco di nuovo, in Commissione più volte l'ho sottolineato - per interferire nel lavoro che sta svolgendo la magistratura italiana, perché la procura di Roma ha agito e sta agendo con determinazione e anche scrupolo e merita per questo l'apprezzamento del Parlamento; ma i magistrati italiani hanno dovuto fronteggiare ostacoli di ogni tipo da parte delle autorità egiziane, è stato anche menzionato: tentativi di depistaggio, costruzione di prove false, intimidazioni nei confronti delle persone e delle associazioni che in Egitto collaborano con la famiglia Regeni. Infine, il rifiuto da parte degli inquirenti de Il Cairo di iscrivere nel registro degli indagati, come richiesto dalla procura di Roma, alcuni agenti dei servizi egiziani individuati come coinvolti in questa drammatica vicenda.

È evidente quindi che, accanto a una questione di natura prettamente giudiziaria, emerge da questa vicenda anche un tema di carattere politico e istituzionale nei rapporti tra Italia ed Egitto, quel tema politico e istituzionale che ha portato il Presidente della Camera, Roberto Fico, a sospendere le relazioni con il Parlamento egiziano, una decisione che il nostro gruppo ha apprezzato e condiviso.

Qual è la questione politica e istituzionale è presto detto. La posta in gioco in questa drammatica vicenda è duplice: la prima e più importante questione riguarda una domanda di verità e giustizia che dobbiamo alla memoria di quel ragazzo, alla sua famiglia e ai suoi amici. Ancora una volta, il 27 aprile scorso, Paola e Claudio Regeni si sono rivolti al Presidente del Consiglio con una lettera aperta dicendo: “Presidente Conte, si ricordi di Giulio mentre stringerà la mano del generale al-Sisi e pretenda, senza ulteriori dilazioni o distrazioni di sorta, la verità sulla sua uccisione”. Le istituzioni non possono essere insensibili di fronte a questa domanda.

La seconda questione riguarda la dignità del nostro Paese, proprio così: la dignità del nostro Paese. Come può uno Stato sovrano e libero accettare che un proprio concittadino venga sequestrato, venga torturato - è stato detto, il giovane collega Ungaro lo ha precisato nei dettagli, difficile anche da ripetere - e ucciso in un'altra nazione con il coinvolgimento di un apparato dello Stato locale senza alzare la voce? Senza alzare la voce! Dico di proposito, colleghi e colleghe, “alzare la voce”, perché le affermazioni di generica solidarietà, o peggio comprensione, suonano offensive, se da esse poi non discendono atti concreti. Suonano umilianti!

E, allora, la tanto in voga sovranità del nostro Paese non si tutela certamente chinando la testa di fronte a chi ci nega il diritto di appurare la verità. Bisogna esigere il rispetto e anche il Parlamento ha un ruolo da svolgere in questa direzione.

L'articolo 82 della Costituzione dice che ciascuna Camera può disporre inchieste su materie di pubblico interesse e, in questa vicenda, c'è un interesse pubblico da tutelare perché il sequestro e poi la barbara uccisione di Giulio Regeni hanno rappresentato non solo un gesto vile e spietato nei confronti di un ragazzo perbene, di un ragazzo curioso, della meglio gioventù, un rappresentante della meglio gioventù del nostro Paese, animato dai valori che sono propri della nostra Costituzione, ma anche un'offesa alla dignità del nostro Paese, perché la vita di questo nostro giovane connazionale è stata spezzata non da una banda di criminali comuni ma da appartenenti alle forze di sicurezza di un Paese che credevamo amico: è tutta un'altra storia.

Dunque, la mancanza di collaborazione da parte delle autorità giudiziarie de Il Cairo suona anch'essa come offesa alla dignità del nostro Paese e alle sue istituzioni. Ecco perché c'è un interesse pubblico da tutelare, come prevede l'articolo 82 della Costituzione.

Per questo, oltre agli aspetti giudiziari sui quali la procura di Roma sta lavorando alacremente, dalla vicenda emergono elementi che meritano un lavoro di ricostruzione storica, di analisi del contesto politico, come il lavoro tipico di una Commissione d'inchiesta: proprio questo fa una Commissione d'inchiesta.

La Commissione dovrà per questo avere un rapporto con gli inquirenti italiani che sia improntato non soltanto al dovuto rispetto ma anche al principio generale di leale collaborazione tra i poteri dello Stato.

E allora vorrei cogliere, infine, quest'occasione rivolgendomi al sottosegretario per chiedere che anche dai componenti dell'Esecutivo, sottosegretario, venga un atteggiamento più severo nei confronti del Governo egiziano.

Lo scorso febbraio si è tenuto a Sharm el-Sheikh il vertice tra l'Unione europea e la Lega Araba. In quel contesto, si è svolto anche un incontro bilaterale tra il Presidente Conte e il Presidente egiziano al-Sisi. Le cronache hanno riferito che il nostro Presidente del Consiglio ha ricordato nel colloquio la necessità di giungere alla verità sulla morte di Regeni e che poi la conversazione si è rivolta verso problemi economici e, in particolare, su questioni attinenti all'energia. Stesso format, diremo, nei giorni scorsi a Pechino, nell'incontro tra il Presidente Conte e il Presidente al-Sisi.

Ecco, io non vorrei che scadessimo nel rituale, cioè che i nostri esponenti politici e istituzionali, quando si recano in visita ufficiale in Egitto, dicono in premessa qualche parola sul caso Regeni per poi passare ad argomenti considerati di maggiore interesse. Ci vuole un atteggiamento più rigoroso e servono atti e gesti concreti, come chiedono giustamente i genitori di Giulio.

A conclusione del vertice di Sharm el-Sheikh, il Presidente egiziano al-Sisi, durante la conferenza stampa finale, ha dichiarato che – cito - l'Egitto non accetta lezioni sui diritti umani dall'Europa, che l'applicazione della pena di morte è radicata nella cultura del suo Paese e che il rispetto dei diritti umani è subordinato all'obiettivo della stabilità e di preservarci dal caos e da collassi.

Allora, vedete, colleghi e colleghe, signora Presidente, vengono in mente le parole pronunciate dal Presidente Mattarella il 25 aprile scorso, a Vittorio Veneto, quando ha detto che non bisogna barattare la libertà con promesse di ordine perché ciò porta gli avvenimenti a prendere una piega tragica e distruttiva, ed è quanto sta accadendo in Egitto. Non possiamo non tenerne conto: non possiamo non tener conto dell'ultimo rapporto di Amnesty International che sull'Egitto dice che, tra le altre cose, le autorità - sottolineo: le autorità - hanno fatto ricorso a tortura e altri maltrattamenti, a sparizioni forzate ai danni di centinaia di persone, oltre a compiere impunemente decine di esecuzioni extragiudiziali.

E non possiamo non tener conto che la recente riforma costituzionale varata in Egitto non solo consente ad al-Sisi di rimanere al potere fino al 2034, ma concentra ancora di più i poteri nelle mani delle Forze armate e dell'Esecutivo. È in questo contesto, in un Paese che stringe sempre di più la morsa sui diritti delle persone, che si è consumato il feroce omicidio di Giulio Regeni. Lo so, colleghi e colleghe, lo so che l'Egitto è un Paese importante e non ignoro gli interessi economici ed energetici italiani in quel Paese, ma se anteponessimo tutto questo al rispetto dei diritti umani, potremmo anche salvare qualche commessa, ma perderemmo l'anima, l'anima di un Paese (Applausi dei deputati dei gruppi Liberi e Uguali e Partito Democratico) che, dal dopoguerra ad oggi, è conosciuto e apprezzato nel mondo - lasciatevelo dire da chi ha lavorato tanti anni fuori - apprezzato nel mondo per essere gelosamente attaccato ai valori di democrazia e libertà. E, allora, una rigorosa e seria inchiesta sull'omicidio di Giulio Regeni sarà una prova, ulteriore, che la Camera a quei valori è profondamente legata (Applausi dei deputati dei gruppi Liberi e Uguali e Partito Democratico).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - Doc. XXII, n. 36-A ed abbinata)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare la relatrice per la Commissione affari esteri, onorevole De Carlo.

SABRINA DE CARLO, Relatrice per la III Commissione. Grazie, Presidente. Soltanto per ringraziare i colleghi, per i loro interventi. Evito di replicare alle provocazioni avanzate da alcuni componenti delle opposizioni, perché non le ritengo opportune in un momento importante come questo, un momento che abbiamo atteso da tanto tempo, e voglio ricordare che, durante la scorsa legislatura, ad esempio, la proposta di istituire una Commissione d'inchiesta era stata avanzata, purtroppo si era arenata, noi siamo contenti di essere riusciti a raggiungere questo traguardo. Mi riservo ovviamente di valutare domani gli emendamenti proposti e di discuterli, ovviamente, nella seduta di domani. Ringrazio tutti.

PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire successivamente. Il seguito del dibattito è quindi rinviato ad altra seduta.

Annunzio di una questione pregiudiziale di costituzionalità.

PRESIDENTE. Avverto che, a norma dell'articolo 40, comma 1, del Regolamento, è stata presentata la questione pregiudiziale di costituzionalità Migliore ed altri n. 1, riferita alla proposta di legge costituzionale n. 1585 ed abbinate, recante modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari, che sarà iscritta all'ordine del giorno della seduta di domani e sarà esaminata e posta in votazione prima di passare all'esame degli articoli del provvedimento.

Ordine del giorno della prossima seduta.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.

Martedì 30 aprile 2019 - Ore 14:

1. Seguito della discussione della proposta di legge:

BALDELLI ed altri: Modifica all'articolo 12 del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, concernente l'esercizio di funzioni di prevenzione e accertamento delle violazioni in materia di sosta da parte dei dipendenti delle società concessionarie della gestione dei parcheggi e delle aziende esercenti il trasporto pubblico di persone. (C. 680)

Relatore: BALDELLI.

2. Seguito della discussione della proposta di legge:

RUOCCO ed altri: Disposizioni per la semplificazione fiscale, il sostegno delle attività economiche e delle famiglie e il contrasto dell'evasione fiscale.

(C. 1074-A)

Relatrice: RUOCCO.

3. Seguito della discussione dei disegni di legge di ratifica:

Ratifica ed esecuzione dei seguenti Accordi: a) Accordo tra la Repubblica italiana e la Repubblica di Serbia inteso a facilitare l'applicazione della Convenzione europea di estradizione del 13 dicembre 1957, fatto a Belgrado il 9 febbraio 2017; b) Accordo tra la Repubblica italiana e la Repubblica di Serbia inteso a facilitare l'applicazione della Convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale del 20 aprile 1959, fatto a Belgrado il 9 febbraio 2017. (C. 1538-A)

Relatore: COIN.

Ratifica ed esecuzione dei seguenti Trattati: a) Trattato di estradizione tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica del Kenya, fatto a Milano l'8 settembre 2015; b) Trattato di assistenza giudiziaria in materia penale tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica del Kenya, fatto a Milano l'8 settembre 2015. (C. 1539-A)

Relatrice: SURIANO.

Ratifica ed esecuzione dei seguenti Trattati: a) Trattato di assistenza giudiziaria in materia penale tra la Repubblica italiana e la Repubblica del Kazakhstan, fatto ad Astana il 22 gennaio 2015; b) Trattato di estradizione tra la Repubblica italiana e la Repubblica del Kazakhstan, fatto ad Astana il 22 gennaio 2015. (C. 1540-A)

Relatrice: DI STASIO.

Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica di Serbia sulla cooperazione nel settore della difesa, fatto a Belgrado il 16 dicembre 2013. (C. 1541-A)

Relatrice: DI STASIO.

4. Seguito della discussione della proposta di legge costituzionale (previo esame e votazione della questione pregiudiziale di costituzionalità presentata):

S. 214-515-805 - D'INIZIATIVA DEI SENATORI: QUAGLIARIELLO; CALDEROLI e PERILLI; PATUANELLI e ROMEO: Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari (Approvata, in un testo unificato, in prima deliberazione, dal Senato). (C. 1585)

e dell'abbinata proposta di legge costituzionale: D'UVA ed altri. (C. 1172)

Relatori: MACINA e IEZZI, per la maggioranza; MIGLIORE e MAGI, di minoranza.

5. Seguito della discussione della proposta di legge:

S. 881 - D'INIZIATIVA DEI SENATORI: PERILLI ed altri: Disposizioni per assicurare l'applicabilità delle leggi elettorali indipendentemente dal numero dei parlamentari (Approvata dal Senato). (C. 1616)

Relatori: D'AMBROSIO, per la maggioranza; UNGARO, di minoranza.

6. Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge:

CAPITANIO ed altri; GELMINI ed altri; DADONE ed altri; BATTILOCCHIO ed altri; TOCCAFONDI ed altri; COMAROLI ed altri; GELMINI; MURA ed altri; SCHULLIAN ed altri; PELLA; D'INIZIATIVA POPOLARE; FRASSINETTI ed altri; NESCI ed altri; LATTANZIO ed altri; FUSACCHIA; BRUNETTA e APREA; MISITI: Introduzione dell'insegnamento scolastico dell'educazione civica.

(C. 682-734-916-988-1166-1182-1425-1464-1465-1480-1485-1499-1536-1555-1576-1696-1709-A)

Relatrice: COLMELLERE.

7. Seguito della discussione della proposta di inchiesta parlamentare:

SABRINA DE CARLO ed altri: Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulla morte di Giulio Regeni. (Doc. XXII, n. 36-A)

e dell'abbinata proposta di inchiesta parlamentare: PALAZZOTTO ed altri. (Doc. XXII, n. 17)

Relatori: POTENTI, per la II Commissione; SABRINA DE CARLO, per la III Commissione.

La seduta termina alle 19.