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Resoconto dell'Assemblea

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XVIII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 153 di lunedì 1° aprile 2019

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE FABIO RAMPELLI

La seduta comincia alle 14,05.

PRESIDENTE. La seduta è aperta.

Invito la deputata segretaria a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

ANNA RITA TATEO, Segretaria, legge il processo verbale della seduta del 25 marzo 2019.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Amitrano, Battelli, Benvenuto, Bonafede, Claudio Borghi, Brescia, Buffagni, Businarolo, Castelli, Castiello, Cirielli, Colucci, Comencini, Cominardi, Davide Crippa, D'Incà, D'Uva, Del Re, Delmastro Delle Vedove, Delrio, Luigi Di Maio, Di Stefano, Fantinati, Ferraresi, Fioramonti, Gregorio Fontana, Lorenzo Fontana, Fraccaro, Frailis, Galli, Garavaglia, Gava, Gelmini, Giaccone, Giachetti, Giorgetti, Grande, Grillo, Guerini, Guidesi, Invernizzi, Lollobrigida, Lorefice, Losacco, Manzato, Micillo, Molinari, Molteni, Morelli, Morrone, Occhionero, Parolo, Picchi, Rixi, Ruocco, Saltamartini, Carlo Sibilia, Sisto, Spadafora, Spadoni, Tofalo, Vacca, Valente, Vignaroli, Villarosa, Raffaele Volpi e Zoffili sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.

I deputati in missione sono complessivamente settantanove, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna).

Annunzio della presentazione di un disegno di legge di conversione e sua assegnazione a Commissione in sede referente.

PRESIDENTE. Il Ministro per i Rapporti con il Parlamento e la democrazia diretta, con lettera in data 29 marzo 2019, ha presentato alla Presidenza il seguente disegno di legge, che è stato assegnato, ai sensi dell'articolo 96-bis, comma 1, del Regolamento, in sede referente, alla XIII Commissione (Agricoltura):

"Conversione in legge del decreto-legge 29 marzo 2019, n. 27, recante disposizioni urgenti in materia di rilancio dei settori agricoli in crisi e di sostegno alle imprese agroalimentari colpite da eventi atmosferici avversi di carattere eccezionale e per l'emergenza nello stabilimento Stoppani, sito nel Comune di Cogoleto" (1718) - Parere delle Commissioni I, II (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per le disposizioni in materia di sanzioni), V, VI, VIII (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento), X, XI, XII e XIV e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

Il suddetto disegno di legge, ai fini dell'espressione del parere previsto dal comma 1 del predetto articolo 96-bis, è stato altresì assegnato al Comitato per la legislazione.

Modifica nella composizione della Commissione parlamentare per le questioni regionali.

PRESIDENTE. Comunico che il Presidente della Camera ha chiamato a far parte della Commissione parlamentare per le questioni regionali la deputata Enrica Segneri, in sostituzione del deputato Carlo Ugo De Girolamo, dimissionario.

Sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Simone Baldelli. Ne ha facoltà.

SIMONE BALDELLI (FI). Grazie, Presidente Rampelli. Giovedì, da Washington, il leader del MoVimento 5 Stelle e Vicepresidente del Consiglio, Luigi Di Maio, ha dichiarato che il MoVimento 5 Stelle voterà l'emendamento di Forza Italia, a prima firma della collega Zanella, sul revenge porn, nell'ambito dell'esame sul cosiddetto “codice rosso”.

Questa correzione di rotta, che, a nostro avviso, è intelligente e giusta, è stata possibile semplicemente grazie al fatto che quell'emendamento non è stato posto in votazione e non è stato respinto dalla maggioranza, che aveva dato, attraverso i relatori e il Governo, parere contrario; e non è stato posto in votazione grazie ai numerosi interventi delle deputate e dei deputati dei gruppi di opposizione; e non è stato posto in votazione anche grazie al fatto che alcune deputate dei gruppi delle opposizioni, comprese le deputate – anzi, forse a partire dalle deputate di Forza Italia – hanno invaso l'emiciclo e c'è stata, come Presidente lei sa, la sospensione dei nostri lavori e una conferenza dei capigruppo convocata dal Presidente Fico, all'interno della quale si sono aggiornati i lavori appunto a questa settimana.

Dico questo per ricostruire una storia che, diversamente, leggendo i profili ufficiali social del MoVimento 5 Stelle, sarebbe percepita, da chiunque la leggesse, in maniera completamente diversa, perché sui social del MoVimento 5 Stelle c'è scritto che: “noi vogliamo proteggere donne e bambini dalla violenza sessuale, aumentando le pene per gli stupratori e l'opposizione cosa fa? Festeggia e si batte il cinque” - vabbè, l'italiano, come sempre, è incerto – “perché sta bloccando la nostra legge contro la violenza su donne e minori. E, ancora: “lo vedete questo video? Una scena davvero triste, abbiamo una notizia per loro, non servirà a niente il loro ostruzionismo, perché questa legge verrà approvata e le donne italiane, i loro bambini e le loro famiglie saranno più protette e anche il tema del revenge porn lo stiamo già affrontando in modo serio con l'approfondimento che un tema così delicato merita”.

In buona sostanza, per chi non ascoltasse i TG o non leggesse i giornali, ma leggesse le notizie solo da questi profili, sembra che ci sia un'opposizione brutta, cattiva, favorevole agli stupratori, che vuole impedire che questa legge, così giusta e salvifica, venga approvata. Nulla di più falso. E tutto questo resta online anche dopo le dichiarazioni, doverose, giuste, che noi condividiamo, del leader del MoVimento 5 Stelle, Di Maio.

Ma soprattutto, Presidente, che cosa succede? Che il popolo del Movimento 5 Stelle giustamente si irrita e che cosa fa? Scrive cose di questo genere sui social: “sciatte figure, meglio se si trovano un marciapiede, è il loro naturale lavoro” - riferendosi alle deputate che hanno preso posizione in questa sede -… “per fare cagnara queste oche sono sempre pronte”… “che onorevoli signore, le lavandaie del mercato e dell'immondizia”… “vorrei che “violentavano” le donne che stanno festeggiando e le “moglie” e figli dei parlamentari signori uomini che festeggiano” (questo è chiaramente analfabeta, ma il concetto è chiaro)… “tutte queste mezze donne che festeggiano” - si riferisce alle deputate delle opposizioni – “sono a dir poco squallide, vi auguro di essere fra le vittime, forse solo allora vi renderete conto di quanto siete venduti”… “devono crepare nel peggiore dei modi, bastarde”… “come mai lo hanno bloccato? Forse a loro piace essere… ‘strupate'”… “se proteggete gli stupratori vuol dire che lo siete anche voi, fate schifo, tutti buffoni”. Questo per parlare delle parti sessiste, poi ci sono anche i difensori della democrazia, che dicono: “mi chiedo questo schifo di opposizione cosa ci fa nel Parlamento italiano, visto che non serve al popolo”… “speriamo che spariscano per sempre”… “sono completamente fuori di testa”… “in che mani siamo stati, si devono estinguere”… eccetera, Presidente, eccetera, eccetera, eccetera.

Allora, noi ci domandiamo - e su questo la presidente Gelmini scriverà al Presidente Fico -: è possibile che i vertici del MoVimento 5 Stelle non sentano il dovere, morale, politico, di prendere le distanze da questo schifo, da questa vergogna? Noi facciamo appello al buonsenso, all'equilibrio del Presidente della Camera e crediamo che un movimento degno di questo nome, come il MoVimento 5 Stelle dovrebbe provare ad essere, debba prendere le distanze da questa vergogna, da queste campagne di odio, che si basano su bugie e mistificazioni messe in campo in maniera scientifica per dipingere l'avversario come il peggiore dei mali e loro stessi come il migliore dei beni possibili.

Ecco, Presidente, tutto questo, nell'esprimere solidarietà alle colleghe e ai colleghi insultati da questa gentaglia, tutto questo, Presidente, dovrebbe terminare e non dovrebbe aver luogo in una democrazia degna di questo nome (Applausi dei deputati dei gruppi Forza Italia-Berlusconi Presidente e Partito Democratico).

PRESIDENTE. Non le sfuggirà che l'argomento che ha trattato è argomento tipico di battaglia e polemica politica, poco attinente con l'ordine dei lavori. Comunque, abbiamo ascoltato volentieri, anche per scaldare i motori della seduta odierna.

Discussione della proposta di legge: Massimo Enrico Baroni ed altri: Disposizioni in materia di trasparenza dei rapporti tra le imprese produttrici, i soggetti che operano nel settore della salute e le organizzazioni sanitarie (A.C. 491-A) (ore 14,18).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge n. 491-A: Disposizioni in materia di trasparenza dei rapporti tra le imprese produttrici, i soggetti che operano nel settore della salute e le organizzazioni sanitarie.

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (Vedi calendario).

(Discussione sulle linee generali – A.C. 491-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Avverto che la XII Commissione (Affari sociali) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire il relatore, deputato Nicola Provenza.

NICOLA PROVENZA, Relatore. Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, l'Assemblea avvia oggi l'esame della proposta di legge n. 491, recante: Disposizioni in materia di trasparenza dei rapporti tra le imprese produttrici, i soggetti che operano nel settore della salute e le organizzazioni sanitarie.

Prima di entrare nel merito del provvedimento, voglio sottolineare che esso è il risultato di un lavoro ampio, approfondito, svolto presso la XII Commissione affari sociali in un clima di collaborazione fra tutti i gruppi parlamentari. Nel corso dell'esame preliminare, iniziato l'11 settembre del 2018 presso la Commissione, ha avuto luogo un corposo ciclo di audizioni al fine di approfondire i temi connessi alla proposta di legge e di acquisire il punto di vista di diversi soggetti, quali Federazione degli ordini dei medici, degli infermieri e delle altre professioni sanitarie, sindacati degli operatori sanitari, associazioni e federazioni rappresentative delle aziende che si occupano della produzione e della distribuzione di farmaci e di dispositivi medici; inoltre l'Autorità nazionale anticorruzione, la Corte dei conti, esperti in sanità, associazioni e fondazioni che svolgono la propria attività in questo settore. Ampio spazio è stato poi dedicato alla fase dell'esame delle proposte emendative, che ha consentito di apportare notevoli miglioramenti al testo anche attraverso l'approvazione di emendamenti presentati dai gruppi di opposizione.

Il provvedimento in esame, dunque, è volto a perseguire l'importante obiettivo di realizzare la trasparenza dei dati di interesse collettivo nei rapporti tra le imprese produttrici e gli operatori sanitari. La trasparenza tesa alla prevenzione e al contrasto della corruzione è condizione di garanzia delle libertà individuali e collettive, nonché dell'esercizio effettivo, in quanto informato, dei diritti civili, politici e sociali. La proposta di legge, per il suo contenuto, ha un carattere sicuramente innovativo.

Va sottolineato che in altri ordinamenti sono già state approvate alcune iniziative che vanno nella medesima direzione. Ad esempio, in Francia una legge del dicembre 2011 ha imposto la trasparenza dei legami tra le industrie che operano nel settore della salute e gli altri attori coinvolti, quali i professionisti della salute, le società scientifiche, le associazioni e i media. Negli Stati Uniti nel 2010 è stata approvata una legge, entrata in vigore nel 2013, per accrescere la trasparenza delle relazioni finanziarie tra operatori, organizzazioni sanitarie e produttori farmaceutici, denominata Physician Payments Sunshine Act. Anche in Danimarca esiste una serie di norme concernenti obblighi e doveri nei rapporti tra professionisti sanitari e aziende del settore.

Passando, quindi, al contenuto della proposta di legge, l'articolo 1 qualifica il diritto alla conoscenza dei rapporti tra imprese e soggetti operanti nel settore della salute quale livello essenziale delle prestazioni. Più precisamente, per finalità di trasparenza, di prevenzione e contrasto della corruzione e del degrado dell'azione amministrativa, le disposizioni del provvedimento in esame intendono garantire il diritto alla conoscenza dei rapporti aventi rilevanza economica o di vantaggio intercorrenti tra le imprese produttrici di farmaci, strumenti, apparecchiature, beni e servizi, anche non sanitari, e i soggetti che operano nel settore della salute o le organizzazioni sanitarie. L'articolo 2 chiarisce le definizioni recate dal provvedimento, specificando dettagliatamente cosa si intenda per impresa produttrice, soggetti che operano nel settore della salute e organizzazione sanitaria. L'articolo 3 costituisce una delle disposizioni centrali del provvedimento, stabilendo quali azioni siano effettivamente soggette a pubblicità e chi debba adempiere agli obblighi previsti in materia di pubblicità.

In particolare, tale disposizione prevede che siano assoggettate a pubblicità le convenzioni e le erogazioni in denaro, beni, servizi ed altre utilità effettuate da un'impresa produttrice in favore di un soggetto che opera nel settore della salute, quando abbiano un valore unitario sopra i 50 euro o un valore complessivo annuo maggiore di 500 euro, e di un'organizzazione sanitaria, quando abbiano un valore unitario sopra i 500 euro o un valore complessivo annuo superiore a 2.500 euro. Faccio presente che tali valori minimi sono stati innalzati nel corso dell'esame in sede referente rispetto a quanto prevedeva il testo originario. Inoltre, sono sottoposti a pubblicità gli accordi che producono vantaggi diretti o indiretti consistenti nella partecipazione a convegni, eventi formativi, organi consultivi o comitati scientifici o nella costituzione di rapporti di ricerca, consulenza e docenza.

La pubblicità delle erogazioni e degli accordi è effettuata a cura dell'impresa produttrice mediante comunicazione dei relativi dati, da inserire in un registro pubblico telematico di cui dirò in seguito. L'articolo 4, poi, pone anche l'obbligo della comunicazione per le imprese produttrici delle partecipazioni azionarie, dei titoli obbligazionari e dei proventi derivanti da diritti di proprietà industriale o intellettuale. Per quanto riguarda le forme della pubblicità, l'articolo 5 prevede l'istituzione nel sito del Ministero della salute del registro pubblico telematico denominato Sanità trasparente. In tale registro sono pubblicate le comunicazioni e in sezioni distinte gli atti di irrogazione delle sanzioni di cui dirò successivamente.

Il registro è liberamente accessibile per la consultazione. Le comunicazioni sono consultabili per cinque anni dalla pubblicazione; decorso tale termine, sono cancellate. Con l'accettazione dell'erogazione o dei vantaggi da parte dei soggetti operanti nel settore della salute o di organizzazioni sanitarie ovvero con l'acquisizione di partecipazioni azionarie o obbligazionarie, nonché dei proventi derivanti da diritti di proprietà industriale o intellettuale, si intende prestato il consenso alla pubblicità e al trattamento dei dati. Le imprese produttrici sono comunque tenute a fornire un'informativa ai soggetti e alle organizzazioni, specificando che le comunicazioni citate sono oggetto di pubblicazione sul sito Internet del Ministero della salute.

È poi demandata a un decreto del Ministro della salute la definizione delle caratteristiche tecniche del registro pubblico telematico, nonché i requisiti e le modalità per la trasmissione delle comunicazioni e l'inserimento dei dati secondo determinati criteri previsti dalla proposta in esame, quali facilità di accesso, semplicità della consultazione, comprensibilità dei dati e omogeneità della loro presentazione.

L'articolo 5 prevede uno stanziamento al fine di assicurare l'attivazione e il funzionamento del registro denominato Sanità trasparente. L'articolo 6, invece, concerne le funzioni di vigilanza e stabilisce l'importo delle sanzioni da comminare in caso di omissione delle comunicazioni ovvero di comunicazioni non veritiere da parte dell'impresa produttrice. In caso di notizie incomplete nelle comunicazioni è stata introdotta, attraverso un emendamento approvato in Commissione, una possibilità di ravvedimento, in quanto è data all'impresa produttrice la possibilità di integrarle nel termine di 90 giorni; qualora l'integrazione non venga effettuata entro tale termine, si applica una sanzione amministrativa pecuniaria.

A seguito di un emendamento approvato in Commissione si prevede che all'impresa produttrice con fatturato annuo inferiore a un milione di euro le sanzioni si applichino in misura pari alla metà, purché tale impresa non sia collegata o controllata o vincolata da rapporti di fornitura o subfornitura con altre imprese produttrici. Con riferimento alle funzioni di vigilanza, esse sono attribuite, sempre all'articolo 6, al Ministero della salute, che si avvale del Comando carabinieri per la tutela della salute, cosiddetti NAS, e applica le sanzioni amministrative, mentre l'amministrazione finanziaria e il Corpo della Guardia di finanza, nell'ambito delle attività di controllo effettuate nei riguardi delle imprese produttrici, verificano l'esecuzione degli obblighi previsti dalla proposta in esame.

L'articolo 7, infine, reca disposizioni transitorie concernenti i termini temporali per l'avvio delle comunicazioni contemplate dal provvedimento in oggetto.

Nel corso dell'esame in Commissione è stato in qualche modo circoscritto un pregiudizio talvolta espresso da alcuni, un pregiudizio circa la volontà sottesa di criminalizzare la classe medica o comunque chi opera nel campo della salute.

È stato infatti ribadito, chiarito, assimilato, il fine proprio di tale proposta, che corrisponde alla volontà di incidere sul contesto culturale della salute, in modo tale che la trasparenza dei rapporti tra imprese e sanitari sia funzionale agli stessi operatori della salute, nell'ottica di migliorare il loro rapporto con i cittadini e rinsaldarne la fiducia, in taluni casi compromessa proprio da certa opacità. L'esame in Commissione si è svolto in un clima che definirò collaborativo, propositivo, sia da parte di tutte le forze di maggioranza che da parte delle forze di opposizione, e le diffuse modifiche apportate al testo, alcune delle quali anche sostanziali, sono state per la maggior parte ampiamente condivise.

Il cuore di questa proposta di legge è certamente rappresentato dalla prevenzione, dal contrasto alla corruzione e dal diritto alla trasparenza, in risposta a un clima generale di sfiducia nel Servizio sanitario nazionale, nonostante vi siano esempi virtuosi di medici, operatori della sanità, aziende pubbliche che quotidianamente sono al fianco degli ammalati, al fianco della sofferenza, e ai quali noi, oggi, da qui, guardiamo ancora una volta con estrema fiducia e riconoscenza. Purtroppo, però, questo clima che citavo in precedenza non è un clima virtuale, non è un clima percepito, è qualcosa di reale, ed è sufficiente osservare che soltanto nel 2017 vi siano stati 97 episodi di corruzione svelati da inchieste giudiziarie. L'OCSE rileva che un quinto dei soldi spesi in sanità in Europa finisce in sprechi, abusi o comportamenti illeciti.

Tenendo presente che nella legge di bilancio sono stati stanziati 115 miliardi per la sanità, se volessimo attenerci soltanto ai dati dell'OCSE, dovremmo dire che 20 miliardi verrebbero sostanzialmente sottratti, trafugati. L'idea è quella di restituire per reinvestire in sanità, e nella nostra sanità pubblica, queste risorse. La proposta di legge “sanità trasparente” nasce con lo scopo di impedire tutto questo, per restituire fiducia nel servizio sanitario, incentivando atteggiamenti di correttezza proprio attraverso la trasparenza. Allora - e mi avvio alla conclusione - chiamatela “Sunshine Act” - perché deriva anche da normative in corso e in attuazione negli Stati Uniti -, chiamatela “sanità trasparente”, chiamatela in qualsiasi modo, ma sappiate che ci troviamo di fronte ad una proposta di legge scritta in modo chiaro, in modo definito. Ed è proprio la chiarezza di questa proposta di legge che si pone in antitesi rispetto alle ombre, rispetto alle opacità che, nel settore della sanità - consentitemi - assumono purtroppo dei connotati inqualificabili. Quindi, dopo aver illustrato i contenuti della proposta di legge in esame e averne evidenziato le finalità, auspico che essa possa trovare apprezzamento e condivisione da parte di questa Assemblea. Chiudo dicendo che consegnerò a breve una relazione dettagliata.

PRESIDENTE. La ringrazio. Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo, il sottosegretario alla salute Bartolazzi.

ARMANDO BARTOLAZZI, Sottosegretario di Stato per la Salute. Presidente, confermo - perché ho partecipato personalmente ai lavori della XII Commissione - che questo è un disegno di legge veramente interessante e condiviso in maniera trasversale, quindi, la faccio breve: non posso che essere molto contento e spero che possa trovare anche in questa prestigiosa Aula la stessa trasversalità, lo stesso interesse apolitico.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Ubaldo Pagano. Ne ha facoltà.

UBALDO PAGANO (PD). Presidente, onorevoli colleghi, la proposta in discussione oggi in materia di trasparenza dei rapporti tra le imprese produttrici, i soggetti che operano nel settore della salute e le organizzazioni sanitarie è stato accolto con favore da tutto il gruppo del Partito Democratico della XII Commissione, che infatti negli scorsi mesi, come ha raccontato piuttosto puntualmente il relatore, si è dedicato con spirito di assoluta collaborazione al suo esame. La proposta ha riscosso favorevoli consensi anche da parte di altri soggetti auditi, che vanno ringraziati anche in questa sede per l'importante contributo che hanno fornito nel migliorare l'impianto originario della legge. La materia, nonostante sia già stata oggetto di diversi strumenti di soft law quali il codice sulla trasparenza e l'EPA o i vari codici deontologici degli ordini professionali, non è mai stata oggetto di una vera e propria regolamentazione organica di legge. Sebbene dunque sia apprezzabile lo sforzo compiuto dall'industria e dalle associazioni farmaceutiche di estendere nuove regole di condotta agli operatori del settore, innovare la materia con lo strumento della legge potrebbe certamente rendere i principi di etica professionale e trasparenza maggiormente cogenti e giovare alla loro effettiva applicazione, anche alla luce dell'introduzione di un sistema sanzionatorio, che ovviamente è un unicum che nei codici di autoregolamentazione non era prevedibile.

La proposta di legge, esplicitamente ispirata al “Sunshine Act” statunitense e ad altre leggi varate negli scorsi anni in diversi Stati europei, va a colmare un vuoto normativo nel nostro ordinamento, e si inserisce nel solco già tracciato da alcune leggi volte a promuovere le buone pratiche, la trasparenza delle pubbliche amministrazioni, e a contrastare il fenomeno corruttivo e l'opacità dell'azione pubblica, già approvate nella scorsa legislatura. Tra gli esempi più emblematici si può ricordare l'istituto dell'accesso agli atti della pubblica amministrazione, introdotto con la legge n. 241 del 1990, o la sua più compiuta estensione, ossia l'istituto dell'accesso civico, introdotto dal cosiddetto “decreto trasparenza” del 2013, il decreto legislativo n. 33 del 2013: strumenti volti a rendere più aperto e trasparente l'agire delle pubbliche amministrazioni che, da un lato, permettono ai cittadini di conoscere l'operato degli amministratori pubblici, ed esercitare così un maggiore e più diffuso controllo, dall'altro, impongono veri e propri obblighi di pubblicità nei confronti di tutti gli uffici ed enti pubblici. Insomma, negli scorsi anni il nostro Paese ha fatto alcuni importanti passi avanti nella lotta alla corruzione, e un chiaro esempio di questa volontà è rappresentato dall'istituzione dell'Autorità nazionale anticorruzione, che dal 2014, ormai, fornisce il suo fondamentale supporto alle amministrazioni pubbliche per contrastare e prevenire i fenomeni corruttivi, anche nel settore della sanità. È per questo che ringrazio il presidente dell'Anac, anche per il contributo che ha fornito nel corso dell'esame di questo provvedimento. Come detto, quindi, la proposta di legge oggi in discussione intende estendere regole di trasparenza più stringenti nel settore della sanità. Il suo obiettivo generale è quello di rendere esplicite e controllate le relazioni di interesse intercorrenti tra gli operatori del settore sanitario, le imprese produttrici di strumentazioni e apparecchiature e le stesse organizzazioni sanitarie. Il fine primario è ovviamente quello della promozione di pratiche e procedure all'insegna dell'etica e della trasparenza, nonché il conseguente scopo di contrastare i fenomeni di corruzione e conflitto di interessi, innanzitutto tramite attività di prevenzione. Insomma, il “Sunshine Act” vuole intervenire con maggiore efficacia sui comportamenti clientelari e scorretti, sia punendo chi li produce o li agevola sia tutelando coloro che li ostacolano o li denunciano. Non bisogna dimenticare, come ha sottolineato qualcuno in audizione, come proprio in ambito sanitario, rispetto a qualsiasi altro settore della pubblica amministrazione, i fenomeni corruttivi siano ancora più inaccettabili, perché comportano di fatto la sottrazione di risorse da destinare alla cura dei pazienti e talvolta la mancata possibilità di offrire servizi di cura per chi ne ha diritto e bisogno.

Se la principale causa dei fenomeni di corruzione in sanità risiede proprio nel cattivo funzionamento e nella mancanza di trasparenza della macchina amministrativa e tecnica di supporto alle cure, allora l'applicazione di questa legge potrà almeno parzialmente contribuire a ridurre i rischi connessi alla cattiva gestione e magari a disinnescare l'improvvisazione amministrativa, l'opacità dei processi e l'indifferenza di chi, con il proprio silenzio, accompagna i percorsi illeciti molto spesso perché privo di tutele. Combattere la pratica odiosa della corruzione è e deve continuare ad essere uno degli obiettivi principali delle azioni di tutti i Governi e del Parlamento. Per questa ragione abbiamo ritenuto doveroso – sottolineo: doveroso - offrire la nostra piena collaborazione e disponibilità a migliorare il testo in Commissione, partendo proprio dalle osservazioni raccolte in sede di audizioni.

La proposta di legge originaria, infatti, si fondava già su un buon impianto e disciplinava vari aspetti direttamente o indirettamente correlati alla materia. Il testo però, anche secondo l'opinione di molti soggetti auditi, presentava alcune criticità e partiva da un'idea un po' troppo severa e generalizzante nei confronti degli operatori del settore. In alcuni casi si rivelava troppo pervasivo della sfera di autonomia professionale di cui gli operatori sanitari dovrebbero godere a beneficio della salute pubblica, in altri casi, al contrario, risultava incerta ed eccessivamente superficiale nel definire elementi fondamentali come la relazione di interesse o le definizioni dei soggetti coinvolti, escludendo importanti categorie di imprese, soggetti e organizzazioni dall'ambito di applicazione della stessa. Tra questi le organizzazioni sanitarie private, i soggetti pubblici e privati che organizzano attività di formazione continua in medicina, gli ECM, i professionisti iscritti all'albo nazionale dei componenti delle commissioni giudicatrici di gara e gli intermediari delle organizzazioni sanitarie, come anche erano escluse le imprese che non operano nel commercio di farmaci e strumentazioni ma nelle attività di promozione di questi prodotti oppure le imprese che producono o commerciano prodotti nutrizionali, beni non propriamente assimilabili a quelli sanitari ma altrettanto rilevanti ai fini della presente legge.

Tutte queste lacune sono state fortunatamente colmate da un buon lavoro in Commissione, grazie a un atteggiamento di apertura nei confronti delle nostre proposte emendative. Ma forse è nell'articolo 3, riguardante la comunicazione dell'erogazione delle relazioni di interesse, che si riscontravano le maggiori criticità di tutta la proposta di legge. Innanzitutto, in relazione agli importi delle erogazioni in denaro o altre utilità in favore degli operatori del settore della salute e delle organizzazioni sanitarie ritenuti da tutti eccessivamente bassi, soprattutto rispetto alla complessità degli adempimenti richiesti e delle sanzioni previste. Erano previsti valori minimi unitari di 10 euro e valori annui complessivi superiori ai 100 euro per gli operatori, come anche valori annui maggiori di 1.000 euro per le organizzazioni. Con un po' di buonsenso quei valori sono stati rivisti al rialzo. Noi proponevamo che questo passaggio potesse essere fatto in un successivo momento tra le autorità che avrebbero potuto fare una verifica e una validazione anche del limite, ma in Commissione si è stabilito di aumentarli rispettivamente a 50 e 500 euro quali importi minimi per far scattare l'obbligo di comunicazione nel caso degli operatori sanitari e in 2.500 euro per le erogazioni e utilità in favore delle organizzazioni sanitarie. La modifica così fatta contribuisce comunque a evitare l'eccesso di burocratizzazione che si sarebbe verificato con importi così bassi e che avrebbe gravato prima sui soggetti interessati dalla normativa e poi sulle pubbliche amministrazioni competenti al trattamento dei dati. In secondo luogo, si dava una definizione di relazione di interesse troppo vaga e ambigua che non aiutava di certo ad individuare comportamenti illeciti. Anche questa è stata rivista e meglio inquadrata anche grazie ai suggerimenti avanzati dall'Anac, che più di chiunque altro conosce le logiche e le dinamiche del fenomeno corruttivo. Grazie poi all'approvazione di un emendamento, la partecipazione a titolo onorifico o gratuito a convegni, eventi e comitati non sarà più sottoposta agli obblighi di comunicazione introdotti per le reali relazioni di interesse.

Un altro significativo problema sorgeva in merito alla frequenza delle comunicazioni delle relazioni di interesse che il comma 5 dell'articolo 3 stabiliva con cadenza trimestrale. Erano stati diversi soggetti, tra cui la stessa Corte dei Conti, a ritenere eccessiva la previsione della comunicazione trimestrale, soprattutto perché avrebbe richiesto un esagerato sforzo da parte di tutti i soggetti coinvolti e da parte delle stesse pubbliche amministrazioni. La nostra proposta di modifica della frequenza da trimestrale a semestrale è stata ampiamente condivisa e approvata dalla Commissione, anche se riteniamo ancora opportuno valutare l'idea di portare gli obblighi di comunicazione ad una cadenza annuale.

Per quanto ancora riguarda l'articolo 3, abbiamo provato a sollevare in Commissione il problema legato ai crediti ECM, educazione continua in medicina, ossia il processo attraverso il quale il professionista della salute si mantiene aggiornato per rispondere ai bisogni dei pazienti, alle esigenze del Servizio sanitario e al proprio sviluppo professionale. Tutti gli operatori del settore della salute sono obbligati per legge a conseguire almeno 50 crediti ECM all'anno o 150 nel triennio attraverso la partecipazione ad attività di aggiornamento professionale. Molto spesso, come segnalato da molte associazioni di categoria, la partecipazione a congressi o corsi di aggiornamento ha costi di trasferta e di soggiorno che, senza i contributi versati dai soggetti organizzatori, graverebbe su tutte le persone che vi partecipano. In Commissione abbiamo proposto un emendamento per esonerare dagli obblighi di pubblicità dell'erogazione delle relazioni di interesse le attività di formazione continua in medicina per permettere a medici, infermieri, operatori di partecipare senza ulteriori costi a loro carico alle attività più attinenti alla loro professione. Il nostro emendamento è stato bocciato e il testo che arriva oggi in Aula non tiene in dovuta considerazione le attività ECM che - è necessario ripeterlo - tutti gli operatori della salute sono obbligati a seguire. È per questo che vi rivolgiamo un ulteriore invito a riflettere sulla questione, affinché la legge si dimostri più sensibile nei confronti delle esigenze di tutti i professionisti che dedicano la loro vita alla nostra salute. In particolare vorrei sottolineare il fatto che, senza un intervento ad hoc, la legge potrebbe portare tutti i soggetti obbligati a conseguire crediti ECM a partecipare ad eventi e corsi più vicini geograficamente alla loro abituale residenza, invece che ad attività più attinenti alla loro professione. Questa eventualità provocherebbe un danno multiplo. Innanzitutto agli stessi professionisti che, per sostenere costi talvolta rilevanti di trasferta e soggiorno, parteciperebbero ad attività estranee alla loro specializzazione pur di accumulare i crediti necessari. Il secondo luogo, ignorare il tema potrebbe praticamente svuotare di senso la legge istitutiva dell'obbligo di conseguimento dei crediti ECM. In ultimo, sarebbe un danno per tutti i cittadini e per l'intero sistema sanitario perché ai professionisti non sarebbe permesso di aggiornarsi e acquisire nuove competenze e, dunque, metterle in pratica per offrire un'assistenza qualitativamente migliore.

Per quanto riguarda l'articolo 4, riguardante la comunicazione delle partecipazioni azionarie, abbiamo già segnalato in Commissione la necessità di un'ampia riformulazione. I motivi sono di facile intuizione. Gli obblighi sono molto pervasivi, sono basati su presupposti a volte poco realistici, provocherebbero innanzitutto un dannoso irrigidimento degli ambiti di collaborazione tra il settore pubblico e quello privato, andando di fatto a danneggiare un rapporto fondamentale ai fini delle attività di ricerca e sviluppo di nuovi prodotti farmaceutici e di strumentazioni sanitarie all'avanguardia. In più l'obbligo risulterebbe un vero e proprio dramma per gli operatori del settore in quanto di difficilissima gestione, applicazione ma soprattutto controllo.

In merito all'articolo 5, concernente il registro pubblico telematico, le nostre perplessità si concentravano non tanto sullo strumento giustamente individuato, quanto sulla previsione irrealisticamente ottimista della sua neutralità finanziaria: non è possibile immaginare un sistema complesso con obblighi che generano enormi quantità di dati e non prevedere in maniera contestuale una dotazione finanziaria per far fronte alle attività amministrative per gestirlo.

In questo caso, il nostro monito è stato ascoltato, seppur parzialmente, e si è modificato il comma 9, prevedendo uno stanziamento di 300 mila euro per il 2019, tutta la fase di startup, e 50 mila euro per gli anni successivi; risorse, lo voglio dire chiaro, che a noi sembrano comunque insufficienti per garantire l'istituzione di un registro che funzioni, le attività di aggiornamento e manutenzione, nonché quelle legate all'assunzione di nuovo personale da impiegare alla gestione dei dati connessi. Sarebbe auspicabile, quindi, chiedere una stima reale dei costi, magari alla Corte dei conti o alle stesse amministrazioni che dovranno occuparsi del registro e stanziare adeguate risorse in base a quelle stime, anche prevedendo un monitoraggio annuale di tali costi.

L'articolo 6 del testo originario, infine, partiva da un approccio eccessivamente rigido nei confronti dei professionisti della sanità e delle organizzazioni e imprese sanitarie sotto il profilo della vigilanza e dell'entità delle sanzioni, un approccio più punitivo che preventivo e contraddistinto da troppa poca flessibilità. L'articolo, peraltro, non specificava nemmeno quale organo avrebbe dovuto applicare le sanzioni previste nei casi di violazione di legge. Grazie all'attività emendativa e allo spirito di collaborazione che si è creato in Commissione, siamo riusciti a inserire elementi di flessibilità, soprattutto in favore delle imprese medio-piccole del settore, e ad abbassare notevolmente le sanzioni draconiane inizialmente previste per imprese che hanno un'organizzazione molto limitata.

Quindi, signor Presidente, possiamo ritenerci parzialmente soddisfatti del lavoro svolto in Commissione; ovviamente, restano ampi margini di miglioramento del provvedimento che ci auguriamo col cuore possano ridursi, fino alla sua definitiva approvazione nei prossimi giorni, ma, in attesa che queste ulteriori criticità possano essere risolte, sono certo che l'auspicio del relatore possa essere raccolto da tutti i gruppi parlamentari.

Ci tengo a sottolineare un fatto quasi inedito, in questo primo anno di attività parlamentare, ossia che quando c'è disponibilità alla collaborazione e si dà modo a tutti di contribuire e partecipare al miglioramento di una proposta di legge i risultati finali sono di gran lunga migliori e più condivisi, in un clima anche di ritrovata pacificazione nazionale, rispetto agli obiettivi di sistema sui quali non possiamo dividerci. Il mio auspicio è che questo atteggiamento di apertura e di ascolto non resti un'eccezione, ma possa rinnovarsi anche nel prossimo futuro, a incominciare da quando andremo ad approvare concretamente questo provvedimento (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Michela Rostan. Ne ha facoltà.

MICHELA ROSTAN (LEU). Grazie, Presidente. Colleghi, quando è cominciata la discussione in Commissione affari sociali sul provvedimento in esame, come già ha ben ricordato il relatore, abbiamo deciso, pur essendo all'opposizione, di provare a collaborare al buon esito della legge, in ragione di alcuni principi e, soprattutto, di alcuni obiettivi che ci sembravano e ci sembrano condivisibili. La trasparenza nei rapporti fra imprese produttrici e soggetti che operano nel settore della salute e le stesse organizzazioni sanitarie, ci sembra un obiettivo direi naturale in un sistema democratico, dove conoscere è un elemento irrinunciabile della libertà di azione, ma, soprattutto, della libertà di scelta. Le libertà individuali e collettive, in una democrazia moderna, si coniugano, soprattutto, alla conoscenza e producono consapevolezza, perché le persone hanno il diritto di scegliere e per questo hanno anche il diritto di sapere. Non è soltanto una questione che attiene al contrasto alla corruzione, come, invece, con molta enfasi è stato detto, facendo quasi adombrare una meccanica punitiva; è una questione che, a nostro giudizio, riguarda invece il diritto dei soggetti ad avere soprattutto relazioni e collaborazioni e il contestuale diritto delle persone a sapere, nel momento in cui compiono una scelta, come si strutturano le reti, tirando le loro convinzioni e, dunque, operando le loro scelte. Io credo che non si debbano mai temere la conoscenza e l'informazione che, al contrario, costruiscono società libere e, soprattutto, persone consapevoli.

Ebbene, normative come quella che stiamo affrontando – lo abbiamo già detto – del resto, esistono in molti Paesi occidentali; in Francia esiste una norma dal 2011 che impone un meccanismo di trasparenza di rapporti fra industria, economia della salute, professionisti della salute, società scientifiche e, perfino, associazioni e mass media; cioè, tutti gli attori del campo che stringono rapporti, relazioni e collaborazioni fra di loro sono tenuti a pubblicizzarli. Ma perché avviene tutto questo? Perché, in questo modo, si offrono alla pubblica opinione tutti gli elementi per scegliere, per capire e per orientarsi. Anche negli Stati Uniti, da qualche anno, esiste un meccanismo per garantire la trasparenza delle relazioni, soprattutto di natura finanziaria, tra operatori ed economia della medicina e della cura; si chiama Sunshine Act ed è una norma che non intende impedire le relazioni, ma portarle allo scoperto, mostrarle. Altri Paesi nei quali esistono normative di questo tipo sono il Portogallo e il Lussemburgo ed altri ancora si stanno aggiungendo e si stanno adeguando, nella consapevolezza che anche la facilità di relazioni, dettata da globalizzazione e nuove tecnologie, rende stringente questa esigenza di trasparenza.

L'obiettivo, sia chiaro, non è semplicemente punire, ma costruire banche dati, quindi, raccogliere informazioni e mostrarle, in modo da tirare fuori la relazione di eventuali benefici, di scambi, le collaborazioni da un'area di opacità, di detto e non detto, di allusioni e di sospetti che, questi sì, non fanno bene al rapporto fra soggetto che cura e soggetto che viene curato, rapporto che ha alla base, come elemento fondamentale, la fiducia, fiducia nella professionalità, fiducia nella buona fede, fiducia nella persona e fiducia nell'organizzazione.

Opportunamente, il testo di legge, al suo primo articolo, fa riferimento alla Carta costituzionale, si citano gli articoli 32 e 97 della Costituzione. Con il primo, sappiamo, si tutela la salute e si assume la trasparenza come parte integrante del diritto alla salute. Con il secondo, ci si riferisce alla pubblica amministrazione, indicando come, peraltro, le regole di trasparenza siano già nel corpo del nostro ordinamento. Sul diritto alla salute posto dalla Costituzione andrebbe, però, speso qualche impegno in più, anche da parte di questa maggioranza. Va bene indicarlo in una proposta di legge che si esprime sulla trasparenza dei rapporti fra i soggetti che operano nel settore, ma questo, che è uno dei diritti sociali più significativi, viene mortificato continuamente anche da un assetto istituzionale che non sempre fornisce quelle garanzie minime, quei diritti esigibili su tutto il territorio nazionale, a cui, invece, la nostra Carta costituzionale punta. I livelli essenziali di assistenza in ambito sanitario, individuati dal decreto del Presidente del Consiglio il 12 gennaio del 2017, includono anche il diritto all'informazione e alla conoscenza, soprattutto rispetto alle relazioni aventi rilevanza economica fra le imprese della salute e soggetti che operano nel settore. Definire nel dettaglio tali soggetti non è semplicissimo, ci prova l'articolo 2 della proposta che fa un elenco piuttosto preciso quando si parla di organizzazioni, ma lascia, a nostro giudizio, spazio a qualche difficoltà quando si individuano i soggetti singoli e, soprattutto, le individualità. Definire meglio, con più precisione i soggetti interessati avrebbe aiutato a gestire eventuali contenziosi e sicure difficoltà organizzative ed operative, considerando anche che ampliare troppo la platea non significa aumentare gli spazi di trasparenza, ma far crescere probabilmente la mole di informazioni e, quindi, introdurre, soprattutto, elementi di confusione. A carico di questi soggetti viene intestato l'obbligo di rendere pubbliche tutte le transazioni finanziarie entro, chiaramente, alcuni limiti.

Le soglie fissate nella proposta originaria a noi sono sembrate troppo basse; lo abbiamo subito detto ed evidenziato, 10 euro come singola transazione, 100 euro l'anno per i soggetti singoli significava raccogliere informazioni anche non significative caricando di burocrazia il sistema e, al tempo stesso, costruendo una nebulosa sovraffollata di informazioni che avrebbe ottenuto l'effetto contrario a quello auspicato: minore trasparenza nella fatica di orientarsi fra troppi dati in luogo di maggiore trasparenza che, invece, si persegue meglio con meno dati. Dunque, abbiamo presentato, in questo senso, diversi emendamenti per ritoccare al rialzo le soglie, sebbene in maniera non ancora del tutto soddisfacente, e nelle Commissioni tali limiti sono stati aumentati.

PRESIDENZA DELLA VICEPRESIDENTE MARIA ROSARIA CARFAGNA (ore 15)

MICHELA ROSTAN (LEU). L'adozione di una legge in materia è sicuramente un'esigenza del Paese e questo è chiaro. Tuttavia, non mancano nella proposta che stiamo esaminando elementi di criticità e molti di questi sono stati segnalati nel ricco e utile calendario di audizioni che già è stato ricordato. L'ordine nazionale dei medici ha rilevato, per esempio, che non si è all'anno zero nel nostro Paese nel settore della trasparenza. Infatti, esiste il decreto del Presidente della Repubblica n. 62 del 2013 con il codice di comportamento dei dipendenti pubblici ed esistono codici deontologici delle professioni che rappresentano già da tempo punti di riferimento su cui, peraltro, proprio gli ordini professionali vengono chiamati a vigilare. Il conflitto di interessi, prima ancora che dinamiche corruttive, deve essere la preoccupazione di tutti. Il codice di deontologia medica, come è stato fatto opportunamente notare soprattutto nelle audizioni, già prevede disposizioni in materia di conflitto di interessi. Infatti, il medico è tenuto a evitare qualsiasi condizione di conflitto di interessi subordinando alla sua deontologia professionale indebiti vantaggi economici o di altra natura. Mettere al centro, quindi, la salute e gli interessi del paziente e l'onestà intellettuale nel rapporto fiduciario sono già un cardine della professione e l'obbligo di dichiarare condizioni di conflitto di interessi nella ricerca scientifica, nella divulgazione scientifica e nello stesso lavoro operativo è già attivo ed è a carico degli iscritti a tutti gli ordini professionali.

Sui pubblici dipendenti, poi come detto, opera un apposito codice di comportamento che definisce un quadro chiaro di doveri, il primo dei quali è il perseguimento dell'interesse pubblico senza abusare della posizione e dei poteri di cui è titolare e orientando l'azione amministrativa alla massima economicità, efficacia ed efficienza. I dipendenti pubblici non possono, peraltro, chiedere né sollecitare per sé o per altri regali o altre utilità, salvo quelli di valore inferiore ai 150 euro effettuati in modo occasionale. C'è bisogno ora di una legge che intervenga con una normativa ulteriore? Nei termini proposti concentrarsi sulla trasparenza e sull'informazione è un obbligo a nostro giudizio, ma è soprattutto un'esigenza che si può comprendere nel senso che la trasparenza non è mai abbastanza e tutto quello che può servire a eliminare ogni dubbio su interessi personali va bene, naturalmente a patto che non venga fatto con uno spirito di criminalizzazione o di caccia a chissà quale meccanismo oscuro. Medici e operatori della salute rispondono alle loro coscienze in primis, rispondono alla scienza, alla fiducia del paziente, alla deontologia personale di categoria e anche a codici normativi esistenti e non avranno difficoltà a rispondere anche a questo nuovo obbligo. Alle istituzioni spetta il compito di promuovere, certo, normative che inducono alla trasparenza e alla correttezza ma anche a mettere in campo risorse per garantire servizi migliori e più efficienti, ricordandosi, per esempio, di finanziare la ricerca scientifica, che in questo Paese si affida molto agli investimenti privati e poco può fare affidamento su risorse pubbliche, o alla formazione e agli aggiornamenti professionali, che spesso sono collegati al settore privato per carenza di quello pubblico.

Trasparenza, dunque, mi piace ricordare, ma non criminalizzazione delle categorie; conoscenza e non demonizzazione delle relazioni; più di tutto, investimenti e miglioramento dei servizi, perché l'obiettivo finale - ricordiamocelo sempre - deve essere il cittadino che deve conoscere per scegliere ma anche avere a disposizione strutture e opportunità per scegliere meglio (Applausi dei deputati del gruppo Liberi e Uguali e di deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Bartolozzi. Ne ha facoltà.

GIUSI BARTOLOZZI (FI). Grazie, Presidente Carfagna. Sottosegretario Bartolazzi, colleghi, la proposta di legge introduce una serie di norme volte ad assicurare una maggiore trasparenza della pubblica amministrazione e, nello specifico, tra le imprese produttrici, le organizzazioni sanitarie e i soggetti che a vario titolo operano nel settore della salute. L'obiettivo finale è quello di contribuire a contrastare i fenomeni di corruzione e i conflitti di interesse, aumentando la trasparenza dei dati riguardanti i rapporti tra le imprese produttrici di beni e servizi sanitari e i professionisti che operano nell'area sanitaria o amministrativa nel settore della salute. Vero è che il conflitto di interessi e la corruzione costituiscono un aspetto in grado di influenzare costi, qualità della ricerca e dell'assistenza. È per questo motivo che la proposta di intervenire con alcune disposizioni normative al fine di conseguire maggiore trasparenza nei rapporti che si instaurano in un delicato e complesso ambito qual è quello della salute ci vede favorevoli ma continuiamo a nutrire diverse perplessità e questo nonostante che l'esame in sede referente in Commissione, grazie anche al contributo fattivo dei colleghi di Forza Italia, abbia migliorato in qualche modo il testo di legge, testo che, per come è strutturato e pensato, rischia di far passare una cultura di pregiudizio e di demonizzazione nei confronti di un settore e di molte professionalità, a cominciare da quella medica che quotidianamente opera nell'ambito della sanità.

In nome della trasparenza si interviene con previsioni e obblighi che non sempre rispettano i principi di proporzionalità e correttezza e in diversi passaggi si muovono ai limiti del rispetto delle vigenti norme sulla privacy. Non sempre il testo riesce a coniugare l'esigenza di trasparenza e il diritto incomprimibile alla protezione dei dati dei soggetti coinvolti. Nelle numerose audizioni che vi sono state in Commissione affari sociali la quasi totalità dei soggetti auditi ha valutato positivamente le finalità della legge nel voler contrastare i fenomeni corruttivi in ambito sanitario, anche se è emersa con forza l'esigenza di migliorare il testo e di dover contemperare dette finalità con il rispetto dei soggetti coinvolti. Il cuore del provvedimento prevede, infatti, l'obbligo per le imprese produttrici di rendere pubbliche tutte le transazioni finanziarie sopra un certo valore effettuate verso un soggetto che opera nel settore della salute, così come devono essere dichiarate anche le relazioni di interesse, dirette o indirette, consistenti nella partecipazione, anche a titolo gratuito od onorifico, a convegni, eventi formativi, comitati, commissioni, organi consultivi o comitati scientifici. Tutti questi dati vengono quindi caricati sul sito web del Ministero della salute nel registro pubblico telematico e mantenuti per cinque anni.

Ho premesso che il provvedimento che verrà all'esame dell'Aula è stato sotto alcuni aspetti migliorato e sono state eliminate evidenti criticità - alcune di queste - e questo grazie al contributo che anche il gruppo di Forza Italia ha portato al testo, laddove siamo riusciti fattivamente a far passare alcune modifiche e penso all'emendamento per il quale, a garanzia e a tutela degli interessati, i dati pubblicati nell'istituendo registro possono essere riutilizzati solamente alle condizioni previste dalla normativa di matrice europea sul riuso dei dati pubblici e comunque, ove si tratti di informazioni riferite a persone fisiche, in termini compatibili con gli scopi originari per i quali le stesse sono state raccolte dal Ministero della salute. E ancora, in merito alla pubblicazione per cinque anni nel registro pubblico telematico dei dati con la modifica apportata in Commissione in sede referente da noi proposta si fa comunque salvo il diritto dei medesimi soggetti a ottenere la rettifica, la cancellazione o l'integrazione dei propri dati. Una tutela importante per il soggetto interessato in linea e nel rispetto del quadro normativo europeo in materia di protezione dei dati personali, come previsto dal regolamento europeo n. 2016/679.

Mi auguro che l'esame dell'Aula consenta di migliorare ulteriormente il testo riuscendo così a contemperare efficacemente le esigenze di trasparenza con i diritti dei soggetti interessati. Come Forza Italia abbiamo presentato proprio degli emendamenti che vanno in questa direzione e, primo fra tutti, gli obblighi di pubblicità dei rapporti tra imprese e i soggetti operanti nel settore sanitario previsti dal testo devono sempre avvenire nel rispetto dei principi di proporzionalità, correttezza e minimizzazione, ma non sempre questo viene garantito. Inoltre, crediamo che dal previsto obbligo di comunicazione e pubblicità debba essere esclusa l'eventuale partecipazione a eventi formativi.

Non ci convince, infatti, che la semplice partecipazione di un medico ad un'attività formativa debba rientrare nel monitoraggio, e non l'obbligo di comunicazione nel registro. Vi è il rischio infatti che i professionisti che intendano aggiornarsi vi possano rinunciare per evitare che questi aspetti della propria vita professionale diventino liberamente consultabili on line. Così come crediamo che si debbano definire ed individuare le misure tecniche idonee a prevenire il rischio di riproduzione, cancellazione o alterazione dei dati resi pubblici tramite registro telematico, anche in questo caso per tutelare e garantire realmente i diritti dei soggetti interessati.

Un'ulteriore nostra proposta che spero che l'Aula possa accogliere, è quella di poter escludere la cosiddetta indicizzazione dei dati personali pubblicati sul sito del Ministero da parte di motori di ricerca generalisti, per evitare così la decontestualizzazione dei dati stessi: anche in questo caso a tutela stessa dei soggetti interessati, visto il rischio dell'indiscriminata reperibilità in rete delle informazioni contenute nel registro telematico suscettibili di determinare conseguenze negative.

Signor Presidente, concludendo, ci auguriamo che l'Aula possa migliorare sensibilmente un testo che lascia ancora qualche perplessità per come è costruito, anche se assolutamente condivisibile nelle finalità che si prefigge (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Zucconi. Ne ha facoltà.

RICCARDO ZUCCONI (FDI). Signor Presidente, il provvedimento di cui trattiamo promuove la trasparenza dei dati di interesse pubblico e riguardanti le transazioni finanziarie e le relazioni di interesse intercorrenti tra le imprese e i soggetti operanti nel settore della salute. Giova ricordare, com'è agli atti, che varie analisi approfondite sul conflitto di interesse sottolineano una situazione abbastanza problematica: in particolare citiamo la ricerca del CIPOMO, a cui hanno partecipato appunto 321 oncologi ospedalieri: come è noto emerge che gran parte di loro ha ricevuto pagamenti ed è in conflitto di interessi con l'industria; l'82 per cento rileva però come la maggior parte della formazione oncologica, e sappiamo quanto sia importante anche in questo campo, sia supportata dall'industria.

Trattando genericamente di questo provvedimento, diciamo che Fratelli d'Italia è naturalmente a favore di un provvedimento come questo, anche se abbiamo rilevato - e ho sentito altri interventi in merito - alcune criticità segnalate già in Commissione, e che permangono. Venendo sommariamente quindi ai vari articoli, che sono 7, del provvedimento, mi concentrerei in maniera particolare sul 3 e sul 4. L'articolo 3 disciplina la pubblicità delle erogazioni e degli accordi: vengono assoggettati a pubblicità le convenzioni ed erogazioni in denaro, beni e servizi o altre utilità effettuate da un'impresa produttrice in favore di un soggetto che opera nel settore della salute, quando abbiano un valore unitario sopra i 50 euro complessivo o annuo maggiore di 500 euro, di un'organizzazione sanitaria quando abbiano un valore unitario sopra i 500 euro o un valore complessivo annuo superiore a 2.500 euro. Qui abbiamo appunto rilevato dei problemi, di cui magari tratteremo poi quando parleremo anche degli emendamenti che il nostro gruppo ha presentato.

L'articolo 4 obbliga le imprese produttrici e costituite in forma societaria a comunicare al Ministero della salute, entro il 31 gennaio di ogni anno, i dati identificativi e il codice fiscale o la partita IVA; inoltre di quanti: a) siano titolari di azioni o di quote del capitale della società, ovvero di obbligazioni dalla stessa emesse, iscritti per l'anno precedente, rispettivamente, nel libro dei soci o nel libro delle obbligazioni; b) abbiano percepito dalla società, nell'anno precedente, corrispettivi per la concessione di licenze per l'utilizzazione economica di diritti di proprietà industriale o intellettuale.

Abbiamo poi gli altri articoli, il 5, il 6 e il 7, che sono praticamente attuativi.

In merito al provvedimento in generale, ci preme fin d'ora segnalare che le proposte di emendamento che avanzeremo sono finalizzate a rendere più facilmente applicabili le norme previste dalla proposta di legge, che correttamente ha la finalità di aumentare la trasparenza nel settore sanitario ed in particolare nei rapporti tra aziende produttrici e organizzazioni ed operatori sanitari. In particolare, le proposte sono volte ad escludere dall'ambito di applicazione dell'obbligo di comunicazione le attività che rientrano in un normale rapporto commerciale tra azienda ed operatore: è il caso delle iniziative che vengono promosse nell'ambito del rapporto contrattuale tra aziende produttrici e farmacie, ad esempio, e che riguardano l'erogazione di benefit per lo svolgimento di attività di pharmaceutical care o di prevenzione e promozione della salute. Tali attività sono del tutto trasparenti in quanto appunto contrattualizzate. Ad escludere dal suddetto obbligo la partecipazione a titolo gratuito a convegni, congressi, commissioni, in quanto la comunicazione riguarderebbe migliaia di eventi e di iniziative che fanno parte della normale attività di professionisti sanitari, senza che ciò ne comporti un condizionamento. Ad escludere dall'obbligo di comunicazione a carico dell'operatore sanitario dell'eventuale titolarità da parte di congiunti fino al secondo grado di parentela di azioni o di quote del capitale sociale o di obbligazioni di imprese produttrici i casi nei quali la partecipazione sia limitata a quote ridotte, non sia qualificata ai sensi del testo unico delle imposte sui redditi e abbia quindi mero carattere di investimento. In generale poi proporremo quindi modifiche per evitare che importi ancora così modesti (vedasi l'attuale articolo 3) generino una selva di segnalazioni poco gestibili e siano anche d'impaccio ad un sistema di relazioni che deve essere comunque consentito oggettivamente.

Segnalo in particolare che all'articolo 3, comma 1, dopo le parole “o altre utilità” abbiamo aggiunto le seguenti: “fatta eccezione per le attività che rientrano in un rapporto di tipo commerciale regolarmente contrattualizzate”; e poi al comma 2 le parole “anche a titolo gratuito ed onorifico” sono sostituite dalle seguenti: “dietro compenso”.

Sono altresì soggette a pubblicità le relazioni di interesse dirette o indirette, consistenti nella partecipazione, anche a titolo gratuito ed onorifico dietro compenso, a convegni, eventi formativi, comitati, commissioni, organi consultivi o comitati scientifici, ovvero nella costituzione di rapporti di consulenza, docenza o ricerca (questo è riformulato, chiaramente).

All'articolo 4, comma 7, dopo le parole “al comma 1” sono aggiunte le seguenti: “con esclusivo riferimento, per quanto riguarda la lettera a), a condizioni che configurino una partecipazione qualificata nelle società ai sensi di quanto previsto dall'articolo 67 del decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986”.

Insomma, in sostanza, ricordava il relatore i casi anche recentemente emersi di corruzione in questo ambito. Volevo informarlo però che nelle mie zone è recentissima una sentenza che ha visto assolvere parecchi medici pediatri che erano stati accusati anni prima di svolgere un'attività non proprio corretta e lecita nei confronti di alcune aziende produttrici di latte per bambini, quindi… Ecco, purtroppo questi medici hanno dovuto essere inquisiti naturalmente, per poi vedersi prosciolti; e voi potete ben capire che l'argomento è estremamente delicato, trattandosi tra l'altro in questo caso di medici pediatri, quindi con un rapporto fiduciario con le mamme molto particolare.

Noi ci auguriamo quindi, dichiarandoci in generale favorevoli al provvedimento, che tali emendamenti vengano riconsiderati ed accolti.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Panizzut. Ne ha facoltà.

MASSIMILIANO PANIZZUT (LEGA). Presidente, sottosegretario e colleghi, giunge oggi all'esame dell'Aula la legge che regolerà la trasparenza dei rapporti tra industria farmaceutica, dei dispositivi medici e dell'intero comparto sanitario. La Lega da sempre crede che l'unico modo per agire nel rispetto delle regole, nel lavoro, in politica e nella vita quotidiana, sia quello di seguire il principio della trasparenza: a maggior ragione in ambiti delicati come quello della sanità, riteniamo doveroso non discostarci da questa linea.

Nei mesi scorsi mi è capitato di leggere, attraverso i media nazionali anche di rilievo e specializzati nella trattazione di temi sanitari, che la Lega sarebbe stata contraria a questa proposta di legge, denominata Sunshine Act, che andiamo a discutere oggi, addirittura scrivendo che eravamo poco presenti ai lavori in Commissione. Noto che ogni occasione è buona per infangare il movimento che davvero sta dando una svolta a questo Paese. Personalmente, in modo scherzoso, preferirei che questo provvedimento venisse denominato non con un nome inglese, ma è evidente che ciò avviene in quanto ricalca la legge approvata negli Stati Uniti. Lo dico in modo simpatico per rimarcare ancora di più il nostro totale assenso ad una proposta ben strutturata e oggi indispensabile per regolamentare i rapporti tra le case farmaceutiche e i medici.

La Lega in Commissione è stata sempre presente e ha collaborato con i colleghi del MoVimento 5 Stelle, che ringrazio, nel tentativo di fugare gli eventuali dubbi e migliorare la proposta, rispetto alle finalità della legge e per rendere la norma il più possibile completa ed efficace. Abbiamo detto fin dal principio che rendere trasparenti i rapporti e regolarli in modo chiaro è giusto e doveroso, ci siamo sempre posti, però, un limite rispetto al quale non eccedere, perché non è nelle nostre intenzioni esasperare i soggetti interessati o trasformare questa regolamentazione di rapporti in una sgradita vessazione.

In poche parole, cosa si va a regolamentare? Intendiamo dare una risposta all'opacità dei finanziamenti erogati dall'industria sanitaria a medici, strutture ed operatori sanitari. Attraverso un database verranno tracciati i finanziamenti privati a tutti gli operatori del sistema sanitario nazionale e la dichiarazione sarà in capo alle multinazionali farmaceutiche o alle industrie dei dispositivi medici. Verranno pubblicati e riportati i dati relativi alle donazioni in denaro o in beni e servizi, che comprendono anche consulenze, convegni e altri tipi di vantaggi, di cui può godere un professionista, ovviamente in maniera assolutamente lecita. Si tratta di modifiche importanti, che non avranno oneri burocratici per i medici e infermieri o altre figure sanitarie, ma che acquisiranno rilievo anche per i diretti interessati. Quello che si vuole evitare è che i regali e la partecipazione a convegni o congressi medici possa essere interpretata come una sorta di compenso che lega il professionista agli organizzatori. È chiaro che una visione di questo tipo può minare la fiducia dei consumatori nei confronti di aziende e medici; ed è altrettanto evidente che porre dei tetti a costi o regolamentare le rendicontazioni attraverso metodi più trasparenti può rassicurare tutti rispetto a una partecipazione più responsabile e giusta.

Personalmente mi rifiuto di pensare che un medico possa prescrivere farmaci, magari di dubbia efficacia, solo perché riceve regalie o viene pagato per un soggiorno all'estero o per un congresso. Credo che siano già cambiate molte cose negli anni passati e voglio immaginare che il giuramento e il codice etico e deontologico dei medici siano sempre rispettati. In caso contrario, è evidente, comunque, che ci sono strumenti molto più efficaci rispetto ai deterrenti per colpire chi non si comporta onestamente.

Prima di concludere, vorrei fare un breve esempio per meglio chiarire il meccanismo di trasparenza al quale la cittadinanza potrà accedere per verificare i dati che vorrà. Poniamo il caso di un paziente al quale venga il dubbio di come mai il proprio medico continui a prescrivergli sempre lo stesso farmaco. Il paziente stesso potrà verificare sulla piattaforma digitale del Ministero della Salute se il suo medico abbia usufruito di benefit da specifiche case farmaceutiche ed eventualmente da quali. Non si tratta, ovviamente, di minare il rapporto di fiducia che deve esserci tra paziente e medico, che crediamo essere su un piano strettamente personale; si intende unicamente raccogliere i dati che possano garantire la totale trasparenza dei rapporti. Questa legge ha lo scopo di gettare le basi di una cultura più specifica, che riguarda la trasparenza. La trasparenza è uno strumento che garantisce soprattutto il professionista sanitario, il medico e anche le aziende che operano con grande professionalità in un settore così delicato. Entro sei mesi dall'entrata in vigore di questa legge, verrà istituito il registro pubblico telematico, denominato “Sanità trasparente” e verranno pubblicati, in distinte sezioni, tutti i dati risultanti dalle comunicazioni di aziende ed organizzazioni sanitarie. Per le aziende che omettono di fornire i dati, sono previste delle sanzioni in ordine proporzionale rispetto alla gravità dell'omissione ed al fatturato dell'azienda stessa, poiché è chiaro che reputiamo fondamentale l'obbligo di comunicazione dei dati. Ci auguriamo che questa proposta di legge tenga fede, nella sua applicazione, alle premesse: ricerca della trasparenza ma senza pregiudizi, con l'unica finalità di rendere migliore il sistema per tutti e soprattutto a garanzia e tutela della salute dei cittadini (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Bologna. Ne ha facoltà.

FABIOLA BOLOGNA (M5S). Grazie, Presidente. Colleghe deputate e colleghi deputati, con questa proposta di legge si sancisce il diritto all'informazione e alla prevenzione della corruzione, contrastando il conflitto di interessi e promuovendo la trasparenza dei dati di interesse pubblico riguardanti le transazioni finanziarie e le relazioni intercorrenti tra le imprese e i soggetti operanti nel settore della salute. Le disposizioni del provvedimento in esame intendono garantire il diritto alla conoscenza dei rapporti, aventi rilevanza economica o di vantaggio, tra le imprese produttrici di farmaci, strumenti, apparecchiature, beni e servizi anche non sanitari e i soggetti che operano nel settore della salute o le organizzazioni sanitarie per finalità di trasparenza, di prevenzione e contrasto della corruzione e del degrado dell'azione amministrativa.

Si tratta di un testo che ci permetterà anche un'evoluzione culturale. Per quanto riguarda il mondo sanitario, il Codice di deontologia medica, all'articolo 30, tratta il conflitto di interesse: il medico deve evitare ogni condizione nella quale il giudizio professionale, riguardante l'interesse primario, qual è la salute dei cittadini, possa essere indebitamente influenzato da un interesse secondario. Il conflitto di interesse riguarda aspetti economici e non, e si può manifestare nella ricerca scientifica, nella formazione e nell'aggiornamento professionale, nella prescrizione terapeutica e di esami diagnostici, e nei rapporti individuali e di gruppo con industrie, enti, organizzazioni e istituzioni, nonché con la pubblica amministrazione. Il medico deve essere consapevole del possibile verificarsi di un conflitto di interesse e valutarne l'importanza e gli eventuali rischi, prevenire ogni situazione che possa essere evitata, dichiarare in maniera esplicita il tipo di rapporto che potrebbe influenzare le sue scelte, consentendo al destinatario di queste una valutazione critica consapevole. Il medico non deve in alcun modo subordinare il proprio comportamento prescrittivo ad accordi economici o di altra natura per trarne indebito profitto per sé o per altri. All'articolo 31 del codice deontologico, ogni forma di comparaggio è vietata. In Italia, il 70 per cento dei medici si è reso disponibile a pubblicare i dati sulle erogazioni ricevute dalle imprese farmaceutiche. Questo è un segno di grande sensibilità da parte della maggioranza dei medici al tema della trasparenza. Il codice etico di Farmindustria, contempla tra le regole di comportamento i principi base relativamente ai rapporti con gli interlocutori: pubblica amministrazione, pubblici dipendenti e interlocutori commerciali privati. Non è consentito offrire denaro, doni o altre utilità a dirigenti, funzionari o dipendenti, né della pubblica amministrazione, né di interlocutori commerciali privati o ai loro parenti, sia italiani che di altri Paesi, salvo che si tratti di doni od utilità d'uso di modico valore.

Nei rapporti con i pubblici ufficiali o con gli incaricati di pubblico servizio è, altresì, vietato farsi indurre a dare o promettere indebitamente agli stessi denaro o altra utilità ai predetti soggetti. È fatto divieto di offrire o di accettare qualsiasi oggetto, servizio, prestazione o favore di valore per ottenere un trattamento più favorevole in relazione a qualsiasi rapporto intrattenuto con la pubblica amministrazione o con interlocutori commerciali privati.

Se Farmindustria utilizza un consulente o un soggetto terzo per essere rappresentata nei rapporti verso la pubblica amministrazione o verso interlocutori commerciali privati, si dovrà prevedere che nei confronti del consulente e del suo personale o nei confronti del soggetto terzo siano applicate le stesse direttive valide anche per i dipendenti di Farmindustria. Inoltre, Farmindustria non dovrà farsi rappresentare da un consulente o da un soggetto terzo quando si possano creare conflitti di interesse.

Sappiamo che anche il terzo settore si è nel tempo dotato di codici etici che rispondono ad un'esigenza di trasparenza e di informazione. È evidente che avere cognizione della possibilità di situazioni di conflitto di interesse diventi la principale misura per una strategia di prevenzione. Questo è emerso chiaramente durante il ciclo di audizioni in sede referente, con una generale condivisione delle finalità del provvedimento. Il registro pubblico telematico del Ministero della Salute, nel quale confluiranno i dati inviati dalle imprese produttrici, sarà liberamente accessibile per la consultazione e dotato di funzioni che permetteranno la ricerca e l'estrazione delle informazioni.

È stata introdotta anche una sanzione reputazionale, come diffusamente richiesto nel corso delle audizioni, prevedendo che siano pubblicati, sulla pagina del sito del Ministero, unitamente alle sanzioni, anche i nominativi delle imprese che non abbiano trasmesso le comunicazioni dovute, ovvero che abbiano fornito notizie false. Una sanità trasparente è la conditio sine qua non di una corretta gestione delle risorse, per garantire appropriatezza, efficienza ed efficacia e per la sostenibilità del nostro sistema sanitario. A livello di sistema, è cruciale la trasmissione all'opinione pubblica dell'impegno costante nello sviluppo di attività a tutela della salute pubblica e, a livello di singola realtà, il valore ruota intorno alla capacità di dimostrare che la professionalità delle persone che si occupano dei servizi sanitari, dalla ricerca alla gestione, è frutto di costante studio per il miglioramento dello stato di salute dei cittadini.

Questa proposta di legge permetterà di migliorare il rapporto di fiducia tra medico e cittadino, tra industria farmaceutica e cittadino, tra enti del terzo settore e cittadino, rilanciando una buona reputazione, evidenziata da servizi di qualità, innovazione, correttezza, trasparenza e responsabilità sociale (Applausi dei deputati dei gruppi MoVimento 5 Stelle e Lega-Salvini Premier).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Baroni. Ne ha facoltà.

MASSIMO ENRICO BARONI (M5S). Grazie, Presidente. È davvero di grande importanza essere qui, in occasione della discussione generale di questa proposta di legge, già presentata nella XVII legislatura, concernente disposizioni in materia di trasparenza dei rapporti tra le imprese produttrici, i soggetti che operano nel settore della salute e le organizzazioni sanitarie, più brevemente detta proposta di legge sulla sanità trasparente.

Inizio immediatamente con una citazione. “Poco importa il contenuto tecnico del farmaco, conta il conquibus cioè quello che può essere intascato”. Questa affermazione, Presidente, mette i brividi. Purtroppo, non è frutto di una fantasia, si tratta di un'intercettazione dei NAS di Parma durante l'operazione denominata, appunto, conquibus, avviata nel 2015 a seguito di una denuncia di un medico, che portò a nove misure cautelari interdittive applicate a medici e rappresentanti di farmaci, con altre 36 persone interessate da indagini e ben sette aziende coinvolte.

Tuttavia, la corruzione ha un antagonista che si chiama trasparenza, che è l'altra faccia della stessa medaglia ed è uno strumento che cambia l'equilibrio dei possibili o probabili comportamenti opportunistici che sono sempre ricompresi nei casi che poi vengono acclarati come casi di reato.

Il livello di corruzione, fortunatamente, è inversamente proporzionale al livello di trasparenza di un determinato Paese: dove c'è opacità si annida e prolifera la corruzione, si moltiplicano conflitti d'interesse eventuali, possibili comportamenti opportunistici, e si ottengono lauti guadagni.

La mia riflessione è quindi sarcastica, Presidente: può esistere una buona sanità senza una trasparenza totale?

Vediamo alcuni dati: la corruzione è una piaga così difficilmente quantificabile che l'associazione senza scopo di lucro Transparency International Italia, per realizzare una mappatura dei casi di corruzione italiani nel periodo 2017-2018, non ha avuto altra scelta che analizzare i casi riportati dai mass media.

I risultati del report confermano la percezione del grado di corruzione in Italia: 983 casi in un solo anno, quindi 2,6 al giorno, la maggioranza dei quali nella pubblica amministrazione, negli appalti pubblici e nel settore sanitario, con ben 129 casi, ossia quasi un caso ogni tre giorni.

Secondo Riparte il futuro, organizzazione no profit che si batte contro la corruzione, promuovendo la trasparenza e la certezza del diritto, se il Servizio sanitario nazionale non avesse perso più di un miliardo e mezzo di euro in frodi e illegalità che sono state accertate nel solo triennio 2010-2012, oggi l'Italia avrebbe potuto spendere quella cifra per cinque ospedali nuovi di zecca.

La Fondazione Gimbe ha analizzato i dati pubblicati dalle imprese farmaceutiche italiane aderenti alla disclosure code di EFPIA, relativi ai trasferimenti di valori effettuati nei confronti di operatori sanitari, organizzazioni sanitarie e area ricerca e sviluppo. L'ultimo report Gimbe ha analizzato i dati comunicati da 14 aziende selezionate, per un totale del 51 per cento dei trasferimenti di valore, che corrispondono a 288 milioni di euro in Italia. Questo è uno dei target che la proposta di legge si propone appunto - scusate il bisticcio di parole - di monitorare.

Per le restanti 185 aziende aderenti all'EFPIA abbiamo un'ulteriore quantità di denaro della stessa grandezza; quindi, abbiamo un totale di circa 580 milioni di euro che, in realtà, rientrerebbero all'interno dei trasferimenti di valore che già l'EFPIA riesce a monitorare, se leviamo circa un terzo di dichiarazioni anonime che, grazie alla legge sulla privacy, vengono oscurate, e quindi stiamo parlando di circa 200-250 milioni di euro a cui non è possibile avere accesso grazie al codice di autoregolamentazione a cui ha aderito Farmindustria.

Risulta che queste, nel 2017 hanno, quindi, trasferito 45,9 milioni ad operatori sanitari, 124 milioni di euro ad organizzazioni sanitarie, 117 milioni di euro alla ricerca e sviluppo, dato sconfortante se lo paragoniamo al Regno Unito, in cui i trasferimenti di valori totali sono sovrapponibili a quelli italiani con una piccola differenza: il Regno Unito prevede il 74,3 per cento del totale destinato a ricerca e sviluppo rispetto all'Italia che prevede solo il 41 per cento di questi trasferimenti di valore. Abbiamo circa, quindi, un 35 per cento che l'industria sanitaria ritiene più opportuno investire in sponsorizzazioni di altro tipo rispetto alla ricerca e sviluppo.

Questa proposta di legge si prefigge, in realtà, in maniera surrettizia, di creare le condizioni per rendere meno opportuno e meno profittevole l'idea di investire in sponsorizzazioni, ma bensì ricreare quelle condizioni per rendere assolutamente più profittevole investire in ricerca e sviluppo, e siamo indietro di un 35 per cento.

Tornando ai dati italiani, è emerso che agli operatori sanitari sono stati erogati 8 milioni di euro per gli eventi (sono quote di iscrizioni, viaggi, ospitalità) e altri 8 milioni di euro per servizi e consulenze, e parliamo solo della metà che abbiamo tracciato inizialmente, ovvero quei 288 milioni di euro.

È risultato che il tipo di organizzazione sanitaria a cui sono stati effettuati più trasferimenti sono società di servizi, società scientifiche e università.

Del totale dei trasferimenti alle organizzazioni sanitarie, 31,5 milioni di euro sono stati destinati ad erogazioni liberali e donazioni, quasi 80 milioni di euro ad accordi di sponsorizzazione ed eventi (quote di iscrizione, viaggi ed ospitalità) e 12,5 milioni di euro a servizi e consulenze.

Il mancato rilascio del consenso, come dicevo precedentemente, da parte degli operatori sanitari tuttavia ha creato questa zona d'ombra non indifferente e non ha permesso di rilevare altre informazioni utili, come, ad esempio, a quanti operatori un'azienda ha rivolto i suoi trasferimenti nell'arco di un anno. E questo sarà un dato che verrà monitorato dal data base del Ministero della salute secondo la proposta di legge.

Secondo Gimbe, infine, il valore totale dei trasferimenti in favore degli operatori sanitari potrebbe essere sottostimato, perché i trasferimenti relativi alla ricerca e sviluppo non sono monitorati dal codice di autoregolamentazione che ho precedentemente citato, e sono riportati, quindi, come dato cumulativo, che non permette di conoscere l'eventuale parte destinata agli operatori sanitari.

Pensiamo alle recenti inchieste di Report che hanno messo in luce alcuni finanziamenti che sono venuti fuori e che sono stati tracciati da parte dei giornalisti d'inchiesta che hanno utilizzato i Panama papers, e questo riguarda anche un famoso ospedale romano.

Se da una parte è ammirabile l'impegno preso da queste aziende, che, senza obblighi di legge - parliamo di circa 200 aziende - comunicano questi dati, che, però, non sono sommabili e non sono confrontabili tra di loro, dall'altra, però, si vedono questi punti deboli, per cui si rende più che mai necessario intervenire con un impianto normativo unificato nazionale, che non preveda una divisione, da questo punto di vista, in termini di regioni o regionalismo, e che, quindi, sia un protocollo standardizzato e completo, al fine di garantire un principio di trasparenza unitario, che significa combattere la corruzione, tutelare il diritto alla salute e, soprattutto, promuovere il diritto alla conoscenza dei cittadini.

Due parole per l'estero, signor sottosegretario e signora Presidente: la corruzione in sanità non è ovviamente un fenomeno solo italiano. Questa, probabilmente, estremamente simile proposta di legge è già in vigore in Francia, si chiama Transparence Santé, ed è proprio un data base visionabile anche da qui, anche dall'Italia, ma non replicabile al di fuori dei fini perseguiti dalla legge. Quindi, non è possibile scaricare il data base per altri usi che non siano la puntuale informazione del cittadino che richiede, attraverso dei campi e delle tendine, di poter fare delle interrogazioni, delle query, si chiamano così in linguaggio tecnico, all'interno dello stesso data base.

Ebbene, dopo lo scandalo del farmaco Mediator in Francia, che si stima abbia provocato la morte per valvulopatia cardiaca di 2 mila pazienti, è stata approvata questa legge, Transparence Santé, grazie alla quale chiunque può navigare e controllare l'entità delle erogazioni effettuate dalle industrie farmaceutiche e dall'industria sanitaria dei dispositivi medici.

Non è stata da meno, precedentemente ancora, la legge “Sunshine Act”, di matrice americana, emanata nel 2013, in risposta ai risultati dell'inchiesta di ProPublica, un'organizzazione no profit di giornalismo investigativo che fece emergere, tra il 2009 e il 2010, ben 320 milioni di dollari in favore di ben 18 mila medici. Se consideriamo che in Italia abbiamo circa 330 mila medici, capiamo bene il tipo di proporzione di un possibile ed eventuale ingiusto vantaggio che queste erogazioni, nel momento in cui dovessimo trasferire questi dati anche sul nostro Paese, possono aver creato anche all'interno di una contendibilità di carriera. ProPublica ha contribuito a innescare un dibattito sui legami tra industria e medici, in quanto i dati dimostrano che i medici possono essere influenzati, e i pazienti possono ricevere farmaci addirittura sbagliati rispetto ad altri che possono essere meno costosi. Il “Sunshine Act” obbliga le imprese farmaceutiche a dichiarare questi trasferimenti in favore solo dei medici, contrariamente alla legge francese e a questa proposta di legge, che allarga l'ambito di applicazione a tutte le figure sanitarie e a tutto il pubblico impiego che ha potere di influenza all'interno della pubblica amministrazione utilizzata nel settore sanitario.

Le conseguenze positive della trasparenza che è stata imposta in questi due Stati ha visto degli immediati cambiamenti all'interno delle politiche sanitarie di tipo privato: la GlaxoSmithKline ha dichiarato di avere eliminato i bonus elargiti ai suoi dipendenti addetti alle vendite in relazione al volume di prescrizione dei farmaci, e capite bene quanto è importante eliminare questi tipi di bonus elargiti al volume di prescrizione dei medici; AstraZeneca ha abolito i rimborsi per le spese di viaggio dei medici per i congressi internazionali, questo significa più risorse per ricerca e sviluppo. Allan Coukell, dirigente del Pew Prescription Project, un sistema di sorveglianza sulla sicurezza dei farmaci negli Stati Uniti, ha affermato che la trasparenza darà un grande aiuto per informare e proteggere i pazienti e per infondere maggiore fiducia. Probabilmente la trasparenza è un prerequisito della fiducia, se vogliamo ribaltare l'ordine del ragionamento di chi, in realtà, potrebbe avere un interesse a criminalizzare questo tipo di proposta. Per questa ragione, la pubblicazione dei trasferimenti di valore ha spinto alcune imprese a fissare un tetto massimo di spesa. George Dunston, fondatore di PharmaShine, nel 2011 gestiva proprio un database derivato dalle comunicazioni spontanee dei trasferimenti in denaro nel settore farmaceutico, e ha dichiarato che tra i suoi clienti c'erano istituzioni accademiche e mediche curiose di vedere se i dati forniti dall'industria avrebbero coinciso con quanto dichiarato direttamente dai loro staff. Sì, perché nella legge statunitense l'adempimento burocratico rispetto a queste dichiarazioni è in capo ai medici, mentre nella nostra proposta, quella italiana, e nella legge francese, l'adempimento è in capo all'industria sanitaria e alle imprese della stessa costellazione. Cosa possiamo fare in Italia? L'abbiamo già detto precedentemente, non mi ripeterò. Ci sono alcuni altri dati che sono meritevoli di essere menzionati, ovvero: questa legge ha un carattere morale, moralistico? Sì, ma non va inteso nel senso retrogrado del termine, perché se questa legge ha come finalità la prevenzione dei comportamenti opportunistici tramite la total disclosure, questa è sicuramente una delle finalità, anche se non l'abbiamo citata all'interno della legge. Viene richiamato indirettamente l'articolo 30 del codice deontologico - proprio attraverso la prevenzione dei comportamenti opportunistici che ho appena citato -, che non permette di subordinare un interesse secondario, economico o di profitto all'interesse primario e al mandato sociale del medico. Non dobbiamo dimenticare di citare il Protocollo Anac-Agenas, che ha visto più di 40 mila dichiarazioni pubbliche in materia di conflitti di interesse. In realtà si tratta di una dichiarazione che deve essere compilata dal medico, che lavora all'interno del Sistema sanitario nazionale, di ben diciassette pagine, ma non è previsto ovviamente alcun tipo di sanzione in caso di inadempimento in termini di legge. Vorrei terminare con qualche altro dato sottolineando che, per quanto riguarda i colleghi che mi hanno preceduto, la legge francese, grazie al rapporto della Corte dei conti francese sullo stato di attuazione della legge, relativa al primo anno di effettivo funzionamento, il 2014, ha visto 700 mila record. Questi record non sarebbero altro che dei campi che devono essere inseriti, devono essere compilati, e che prevedono il nome dell'industria che dovrà inserire i propri dati, l'eventuale nome del beneficiario dell'organizzazione sanitaria, l'eventuale codice unico dell'accordo siglato. Parliamo proprio di un accordo sostanziale e non di un astratto gentlemen agreement, e dell'eventuale montante del valore di trasferimento in beni o servizi o in elargizione di denaro. Facendo un breve calcolo, e rimanendo estremamente larghi, ogni campo, per essere inserito, richiederebbe manualmente non più di mezz'ora, e siccome lo stesso report della Corte dei conti afferma che sono 700 mila i record e che hanno interessato circa mille aziende, abbiamo un dato statistico per cui saranno richieste circa sette ore e mezzo di lavoro in media in più a settimana, per garantire una trasparenza pressoché totale, perché nella legge francese il montante era previsto a 10 euro. Questo avrebbe creato una trasparenza capillare, che sarebbe perfino arrivata in periferia, nel dibattito pubblico che riguarda anche un medico di periferia, che presumibilmente non credo prenda grandi soldi da parte dell'industria sanitaria e che potrebbe tranquillamente fregiarsi del fatto che non è interessato a prendere i soldi dall'industria sanitaria, o che comunque è assolutamente consapevole di che cosa implichi prendere determinati soldi dal punto di vista deontologico rispetto alla prescrizione dei farmaci in un momento in cui la fiducia tra un paziente e un medico di base è fortemente messa sotto attacco, anche purtroppo a causa dei numeri che ho citato precedentemente dei casi di corruzione, cioè che un caso di corruzione in sanità viene denunciato dagli organi di stampa almeno una volta ogni tre giorni.

Questa è una legge che quindi prevede la prevenzione della corruzione, che si prefigge una diminuzione del numero dei casi di corruzione in Italia proprio grazie a questa puntuale comunicazione. Abbiamo detto prima dei 700 mila record che hanno riguardato 180 mila medici in Francia, e in Francia i medici sono circa 220 mila: stiamo parlando che quindi l'80 per cento dei medici francesi sono tracciati nella stessa legge “Transparence Santé” francese. Questo significa che, se tutti sono tracciati, probabilmente è possibile creare un vero e proprio faro, una vera e propria luce che permetterà di tracciare all'interno di tutto il sistema sanitario, pubblico e privato, 50 sfumature di luce rispetto agli eventuali vantaggi di tipo diretto o indiretto che ogni professionista della salute potrà ricevere dall'industria sanitaria. È meglio trovarci, quindi, da questo punto di vista, in una condizione di poter risolvere, forse anche una volta per tutte, il problema dell'opacità, che porta a sacche di corruzione in Italia. Possiamo quindi uscire dal buio approvando questa legge, che salvaguarda l'indipendenza e l'integrità scientifica ad ogni livello del settore sanitario, e garantisce una sanità trasparente, etica, responsabile, aperta e vicina ai cittadini (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - A.C. 491-A)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore, onorevole Nicola Provenza.

NICOLA PROVENZA, Relatore. Presidente, soltanto per ringraziare tutti i colleghi che sono intervenuti, anche nel solco di una collaborazione che c'è stata già in Commissione, con l'auspicio di una condivisione anche nei lavori d'Aula.

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare la rappresentante del Governo, sottosegretario Bartolazzi.

ARMANDO BARTOLAZZI, Sottosegretario di Stato per la Salute. Grazie, Presidente. Anch'io ringrazio tutti gli onorevoli che sono intervenuti.

Vorrei dire – l'abbiamo già detto: non voglio essere ridondante – che questa è una proposta di legge estremamente importante. L'Italia è un po' indietro rispetto ai Paesi europei nell'attuazione di queste normative. Una cosa che volevo sottolineare è che l'approvazione della proposta di legge in esame consentirà di ricostituire il rapporto sano tra medico e paziente che rappresenta una delle vere priorità per il nostro Sistema sanitario nazionale e per il nostro Paese.

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione della mozione Braga, Muroni ed altri n. 1-00152 concernente iniziative in materia di cambiamenti climatici e per la promozione della candidatura dell'Italia quale Paese ospitante della COP 26 nel 2020 (ore 15,50).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Braga, Muroni ed altri n. 1-00152 concernente iniziative in materia di cambiamenti climatici e per la promozione della candidatura dell'Italia quale Paese ospitante della COP 26 nel 2020 (Vedi l'allegato A).

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione della mozione è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (Vedi calendario).

Avverto che sono state presentate le mozioni Colucci ed altri n. 1-00154, Ilaria Fontana, Lucchini ed altri n. 1-00155 e Mazzetti ed altri n. 1-00158 (Vedi l'allegato A) che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente. I relativi testi sono in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.

È iscritto a parlare l'onorevole Morassut, che illustrerà la mozione Braga, Muroni ed altri n. 1-00152, di cui è cofirmatario.

ROBERTO MORASSUT (PD). Grazie, Presidente. Il 15 marzo i giovani e gli studenti di tutto il mondo, sull'esempio della studentessa svedese Greta Thunberg, hanno invaso le piazze per chiedere ai rispettivi Capi di Stato un impegno più forte per contrastare i cambiamenti climatici e salvare il pianeta.

In Italia, centinaia di migliaia di ragazze e di ragazzi hanno dato vita a cortei e manifestazioni interpretando un messaggio potente di cambiamento e chiedendo con urgenza azioni concrete e radicali.

I cambiamenti climatici in atto, come dimostrato dalla comunità scientifica internazionale, riunita nell'Intergovernmental panel on climate change, sono determinati dall'attività umana, in particolare dall'uso dei combustibili fossili, e rischiano di compromettere in maniera irreversibile la sicurezza e la sopravvivenza stessa del pianeta e degli esseri viventi.

Eventi climatici estremi sono all'origine di conflitti e migrazioni di massa che sconvolgono la vita di milioni di persone, la distruzione delle risorse naturali e il livello di inquinamento degli oceani, del suolo e dell'aria e hanno impatti devastanti sulla salute umana e sulla qualità dell'ecosistema.

Secondo importanti pubblicazioni specialistiche, entro il 2100, varie zone del globo diverranno addirittura inabitabili, proprio a causa di abbinamento, letale per gli esseri umani, di umidità e calore, generati dai cambiamenti climatici.

I Paesi interessati da questi fenomeni potrebbero essere addirittura territori altamente popolati come la parte orientale di Cina e Stati Uniti, oltre che l'Amazzonia, l'India del nord e, per quanto riguarda le nostre coste, vaste zone dell'Africa.

Secondo l'ultimo rapporto dell'IPCC abbiamo soltanto undici anni a disposizione per evitare la catastrofe ambientale; l'organismo scientifico dell'ONU ha invitato tutti i legislatori e i Governi ad assumere misure senza precedenti nella storia recente: la riduzione delle emissioni di gas serra, in particolare di anidride carbonica, attraverso il ricorso alle energie rinnovabili, alla mobilità elettrica, all'efficienza energetica, al riciclo dei rifiuti e alla riduzione del consumo di carne, puntando alla rimozione della CO2 attraverso la riforestazione di vaste aree del pianeta fino a consigliare la cattura dell'anidride carbonica e il suo stoccaggio in depositi sotterranei. L'Accordo di Parigi sul clima, raggiunto il 12 dicembre 2015 nell'ambito della Conferenza sui mutamenti climatici COP 21 ed entrato in vigore il 4 novembre 2016, ha riunito per la prima volta 195 Paesi del mondo in un accordo globale giuridicamente vincolante per combattere il cambiamento climatico. L'Accordo ha definito un piano d'azione per contenere l'aumento della temperatura media globale ben al di sotto di 2 gradi centigradi rispetto al livello precedente alla rivoluzione industriale e di puntare a contenere tale incremento entro 1,5 gradi centigradi. L'Accordo ha poi definito un processo di monitoraggio e revisione periodica degli obiettivi, necessario a indirizzare i singoli contributi nazionali determinati volontariamente verso l'obiettivo condiviso di ridurre le emissioni climalteranti.

Nonostante la portata storica dell'Accordo di Parigi, siglato nel 2015, la strada per la sua attuazione procede con molta lentezza e fatiche per le resistenze degli Stati ad assumere decisioni coraggiose e capaci di superare un modello di sviluppo ormai insostenibile sotto il profilo ambientale ma anche sociale ed economico.

Nella recente COP 24, cioè la Conferenza delle parti della Convenzione internazionale sui cambiamenti climatici, tenutasi a Katowice, in Polonia, è stato fatto il punto sullo stato di avanzamento degli impegni assunti dai membri della comunità internazionale; elemento positivo è stato aver dotato l'Accordo del 2015 di linee guida (rulebook) per la sua attuazione dal 2020, mentre non sono stati concordati impegni sull'adozione di un quadro normativo vincolante e condiviso.

Lo scorso mese di dicembre Germanwatch ha pubblicato il Climate change performance index 2019, dal quale si evince che l'Italia esce dal gruppo dei Paesi migliori. Il nostro Paese presenta buone performance in tutti e tre gli indicatori quantitative - emissioni, rinnovabili e consumi energetici - posizionandosi al terzo posto nel G20. Tuttavia, il nostro Paese presenta un trend e delle prospettive di crescita del tutto insufficienti a rispettare gli impegni di Parigi, anche a causa della scarsa ambizione della SEN, strategia energetica nazionale, su cui si è completamente basato anche il piano integrato energia e clima predisposto dall'attuale Governo. Retrocedono con noi la Francia, in ventunesima posizione, e la Germania in ventisettesima, ma hanno fatto passi indietro anche Paesi solitamente molto virtuosi come la Norvegia e la Finlandia.

Il piano nazionale integrato per l'energia ed il clima, siglato dai tre Ministeri dello Sviluppo economico, dell'Ambiente e delle Infrastrutture e dei trasporti, è stato inviato in bozza a Bruxelles lo scorso 8 gennaio, avviando la procedura che porterà, entro dicembre 2019, alla fine dell'iter europeo, all'approvazione definitiva del piano nazionale integrato che avrà valore normativo vincolante e sanzionabile.

L'attuale proposta di piano nazionale integrato per l'energia e il clima appare, quindi, inadeguata per realizzare le ambizioni di un Paese come l'Italia che aspira a collocarsi come capofila nella transizione energetica ed intende sostenere il suo sistema di imprese a sviluppare maggiore competitività, a risparmiare nei costi energetici e ad autoprodurre l'energia di cui ha bisogno, nonché a sviluppare politiche efficaci di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici. Il piano contiene obiettivi nazionali inferiori a quelli già fissati in sede europea e necessari per rispettare i contenuti dell'Accordo di Parigi: il target di riduzione delle emissioni europee al 2030 è del 40 per cento, mentre quello fissato dal piano italiano si ferma al 37 per cento; l'obiettivo quantitativo di energia prodotta da fonti rinnovabili a copertura dei consumi finali lordi è previsto dall'Europa al 32 per cento, mentre l'Italia fissa un obiettivo più basso e si ferma a malapena al 30 per cento.

Nel piano adottato dal Governo italiano non si prevede alcun obiettivo di phase-out dai veicoli a benzina e diesel, manca un traguardo di lungo periodo e ogni impegno rispetto all'orientamento assunto al Parlamento europeo di arrivare alla carbon neutrality entro il 2050; si rivela, al contrario, in questo modo, come l'Italia sia stata riluttante su quest'ultimo punto in occasione proprio del Consiglio europeo dello scorso 22 marzo.

Infine, si evidenzia che la proposta di piano riporta un elenco articolato di misure senza la quantificazione di tutte le misure specifiche e delle relative coperture economiche, rendendo impossibile valutare l'effettiva adeguatezza degli strumenti prospettati in relazione agli obiettivi indicati.

Inoltre, la mancata attuazione della direttiva firmata il 16 marzo 2018 dal Presidente del Consiglio in carica, che prevedeva la costituzione presso il Consiglio dei ministri della Commissione nazionale per lo sviluppo sostenibile e l'indicazione di molte delle iniziative previste dalla strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile, approvata dal CIPE nel dicembre 2017, ha di fatto bloccato ogni sviluppo in tale direzione.

La portata e l'urgenza della crisi climatica richiedono quindi con forza, in Italia e in Europa, un più forte impulso all'affermazione di un nuovo modello di sviluppo fondato sulla sostenibilità ambientale, economica e sociale e sulla lotta alle disuguaglianze, anche generazionali, derivanti dall'esposizione agli impatti dei cambiamenti climatici.

La sostenibilità ambientale, ancora oggi percepita come vincolo, rappresenta al contrario, se interpretata in modo positivo e di concerto con gli attori economici e sociali, una straordinaria opportunità di sviluppo, innovazione e competitività per il tessuto industriale e produttivo.

L'Italia, nel contesto europeo, può giocare un ruolo da protagonista sui temi del cambiamento climatico e della tutela del paesaggio, del suolo, della transizione verso forme di energia sostenibili ed ecologiche coniugandole con il sostegno alle nuove tecnologie e alle azioni delle comunità locali, della società civile e delle istituzioni universitarie.

L'Italia può raccogliere la leadership nel contrasto dei cambiamenti climatici con un suo contributo importante e concreto, costruito in sinergia con gli altri partner europei, candidandosi con il massimo impegno ad ospitare la prossima Conferenza sul clima nel 2020, così come annunciato dal Governo italiano in occasione della COP 24 di Katowice.

Per questo motivo la nostra mozione chiede al Governo di impegnarsi a perseguire con la massima efficacia ogni azione utile per sostenere la candidatura dell'Italia quale Paese ospitante della COP 26 del 2020, coinvolgendo il Parlamento nel percorso da intraprendere per il raggiungimento di questo importante obiettivo; ad attuare politiche necessarie alla riduzione delle emissioni di gas a effetto serra e al raggiungimento degli impegni assunti a livello internazionale, attraverso un programma di azioni che siano finalizzate ad accelerare la transizione energetica per ridurre le emissioni di CO2 in tutti i settori produttivi, attraverso il miglioramento dell'efficienza energetica, l'utilizzo di fonti rinnovabili, il raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione e il progressivo superamento della dipendenza dai combustibili fossili; a realizzare una fiscalità ambientale che riduca fino ad azzerarli gli incentivi ai combustibili fossili e i sussidi ambientalmente dannosi; a investire in un piano strutturale di messa in sicurezza del territorio con politiche di prevenzione e mitigazione del rischio e di adattamento ai cambiamenti climatici; ad avviare un grande programma di investimenti pubblici orientati ai principi della sostenibilità ambientale, con azioni di riqualificazione energetica e messa in sicurezza sismica degli edifici pubblici e privati, politiche di rigenerazione urbana, di contrasto al nuovo consumo di suolo e all'abusivismo edilizio; ad accompagnare la transizione verso un modello di economia circolare, basato su un uso efficiente delle risorse naturali, su una corretta gestione dell'acqua, su un virtuoso ciclo dei rifiuti che punti alla riduzione della loro produzione e al recupero di materia ed energia; a favorire, infine, la transizione verso la mobilità elettrica, destinando il 50 per cento degli investimenti in infrastrutture per la mobilità sostenibile nelle città e per il trasporto pubblico collettivo e condiviso.

Ancora, la nostra mozione chiede al Governo di impegnarsi a modificare il piano nazionale integrato per l'energia e il clima, al fine di approvare nei tempi previsti uno strumento coerente con gli obiettivi europei e internazionali, stabiliti nell'Accordo di Parigi del 2015, in materia di contrasto ai cambiamenti climatici; in particolare, a fissare un target di riduzione delle emissioni al 2030, pari o, se possibile, superiore a quello europeo del 40 per cento e una quota di energia prodotta da fonti rinnovabili significativamente superiore al 32 per cento entro il 2030, oggi prevista a livello europeo; a quantificare tutte le misure specifiche e le relative fonti di copertura al fine di rendere possibile valutare l'effettiva adeguatezza degli strumenti prospettati in relazione agli obiettivi indicati; a sostenere a livello europeo la proposta di arrivare alla carbon neutrality entro il 2050.

Chiediamo, ancora, di impegnarsi ad attuare la strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile, rendendo pienamente operativa la Commissione nazionale per lo sviluppo sostenibile, già prevista, come detto in apertura, dalla direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri del 16 marzo del 2018 e ottemperando all'impegno dei singoli Ministeri di condurre un'analisi di coerenza tra le azioni programmate per il triennio successivo, i contenuti della strategia nazionale e i risultati della valutazione annuale della sua attuazione. Infine, chiediamo di sostenere le iniziative legislative volte a promuovere l'inserimento del principio dello sviluppo sostenibile in Costituzione (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Ilaria Fontana, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00155. Ne ha facoltà.

ILARIA FONTANA (M5S). Presidente, colleghe, colleghi, un importante punto di partenza, quando si parla di cambiamenti climatici, è la necessità di prendere atto di un'accelerazione che coincide esattamente, se seguiamo la linea del tempo, con l'evolversi dell'industrializzazione su questo pianeta. Sulla connessione del surriscaldamento globale con le attività umane ormai la scienza è pressoché unanime, possiamo dunque affermare che siamo dinanzi a un paradosso: quattro miliardi di anni fa le prime forme di vita nascevano quando gli ecosistemi del pianeta riuscivano a mettere sottoterra l'anidride carbonica, un processo tutt'altro che breve, oggi, invece - ed è qui il paradosso -, in un paio di secoli, l'uomo ha dissotterrato gran parte di quell'anidride carbonica, attraverso le estrazioni di petrolio e gas. Le conseguenze sono già sotto i nostri occhi e gli scenari sono tutt'altro che rosei: desertificazione, eventi meteorologici estremi, innalzamento dei livelli dei mari, diffusione di nuove e violente malattie, esodi di massa e crollo della biodiversità.

Non c'è più tempo, né servono ancora analisi e approfondimenti. Bisogna agire, decidere a diversi livelli, lasciandosi contaminare dalla pressione che si fa sempre più largo nella società civile, nei territori che si sentono, a ragione, più esposti alle conseguenze di questo fenomeno. “Il cambiamento climatico è la sfida chiave del nostro tempo. La nostra generazione è la prima a sperimentare il rapido aumento delle temperature in tutto il mondo e, probabilmente, l'ultima che effettivamente possa combattere l'imminente crisi climatica globale”. Queste sono le parole che il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha sottoscritto con altri Capi di Stato e di Governo in occasione della COP 24 a dicembre scorso, in Polonia.

Questo deve essere un impegno di tutti, portato avanti con forza, determinazione, resilienza, programmazione e lungimiranza. Non c'è più tempo, dicevamo, e molto probabilmente siamo l'ultima generazione in grado di invertire la rotta, prima che sia troppo tardi.

Nell'immaginario collettivo l'emergenza climatica è associata alla foto di un orso polare smagrito e alla deriva su una piccola lastra di ghiaccio. Ecco, forse dobbiamo rimodulare quelle immagini; se vengono meno i ghiacciai, se interi ecosistemi collassano, su quella superficie di ghiaccio alla deriva potrebbero finirci, e non solo metaforicamente, degli esseri umani. Il punto è proprio questo, gli impatti del surriscaldamento globale sono devastanti anche per l'uomo. Basta pensare alle centinaia di migliaia di persone costrette ad abbandonare la propria terra per le conseguenze della desertificazione, della siccità o, comunque, delle condizioni di vita estreme. In Europa, 400 mila persone muoiono ogni anno per malattie legate alla cattiva aria, in Italia sono 90 mila i morti da inquinamento atmosferico; sempre in Europa ci sono 68 mila chilometri di coste, 161 milioni di ettari di foreste, 54 mila chilometri di ghiacciai. Questo prezioso patrimonio è messo in pericolo dall'aumento della temperatura, un grado in media negli ultimi cinquant'anni, e dal consumo di suolo che ha divorato 19 milioni di ettari di territorio.

Bisogna fare di più, con un'azione rapida, decisiva e congiunta. Tutti insieme, ciascuno per la propria parte. I dati del Quinto Osservatorio nazionale sullo stile di vita sostenibile ce lo confermano: oltre il 90 per cento degli italiani è attento alla raccolta differenziata, crede che si debba potenziare il trasporto pubblico e si sente responsabile per le generazioni future. Insomma, i presupposti per cambiare marcia e riconvertire l'economia in chiave sostenibile ci sono tutti. Questo cambiamento è sentito come prioritario dai cittadini e non possiamo accettare che venga bloccato per interessi lobbistici, perché è in gioco il futuro di tutti noi.

Anche questa volta i giovani ci hanno insegnato qualcosa, hanno fatto da battistrada, sono scesi in tutte le piazze del mondo con i loro cartelli colorati, con i loro sorrisi, con la loro spensieratezza unita alla loro forza, con la loro sana e genuina verità stampata negli occhi e hanno chiesto ai Governi di tutto il mondo di fare di più, di mettercela tutta, di preoccuparci del loro futuro e noi ci siamo, ci sentiamo più forti, perché sappiamo di rappresentare la volontà di cambiamento espressa dai cittadini e, in particolare, dai più giovani che, evidentemente, sono più in grado di portare una visione a lungo termine. C'eravamo il 15 marzo in piazza al loro fianco, senza bandiere, ci siamo oggi e ci saremo domani per programmare un vero cambio di paradigma in tema di politiche ambientali.

Per decenni, questo Paese ha subito le conseguenze di scelte scellerate e di patti di potere con i signori delle fonti energetiche fossili che ancora fanno sentire il loro peso. Da quest'Aula, purtroppo, sono partite le peggiori politiche ambientali, basti pensare al cosiddetto “sblocca Italia” o al boicottaggio del referendum che ci avrebbe consentito, già nel 2016, di abbandonare le trivelle e virare in maniera decisa verso l'efficienza energetica e le eco-energie.

Come forza di Governo ci siamo fatti carico di avviare questa inversione di rotta. Stiamo investendo, nel periodo 2019-2033, 3,7 miliardi di euro per la mobilità sostenibile, ben 33 milioni per attrezzare il Paese con impianti di ricarica per i veicoli elettrici; stiamo incentivando l'acquisto di veicoli ecologici con sconti fino a 6 mila euro; abbiamo dato il via alla piattaforma italiana del fosforo che ci consente di trasformare in opportunità una criticità ambientale, anziché acquistarlo da altri Paesi lo sottraiamo ai fanghi, rendendoli così meno inquinanti; abbiamo stanziato 11 miliardi di euro per aprire i cantieri per l'ambiente, investendo finalmente in manutenzione, in prevenzione e mettendo in sicurezza il nostro territorio, contrastando il dissesto idrogeologico, anche da eventi atmosferici estremi. Lo stiamo facendo, in modo particolare, attraverso il piano che sospende le attività di ricerca e di estrazione di idrocarburi in un'ottica di sostenibilità ambientale, sociale ed economica. Basta favori alle lobby del petrolio. Stiamo rimodulando la politica energetica nella direzione della decarbonizzazione, una riconversione ecologica dell'economia che vuol dire sviluppo industriale collegato a scelte ecologiche, con un cambio di mentalità a favore della salute e del lavoro, tutto attraverso una transizione verso una conversione energetica e produttiva del sistema Italia. Tutto questo è racchiuso nel cuore del Piano nazionale integrato per l'energia e il clima 2030, presentato pochi giorni fa; un piano ambizioso che ha bisogno della collaborazione di tutti, con il cittadino al centro della transizione energetica. E non si dica che queste scelte mettono in pericolo i posti di lavoro, è un falso storico, una voce priva di fondamento; basti pensare che ogni miliardo nel carbon fossile genera 500 posti di lavoro, mentre quello stesso miliardo investito nel settore dell'efficienza energetica produce ben 15 mila nuovi occupati.

Quindi, è evidente che questa transizione, non solo non lascia indietro nessuno, ma produce ricchezza e benessere diffusi. Altro che petrolio, altro che carbone!

Stiamo anche avviando processi concreti con la riconferma dell'ecobonus e puntiamo sull'economia circolare, pilastri di un futuro sostenibile. Stiamo lavorando per favorire la transizione verso le energie rinnovabili nelle città, stiamo promuovendo la riqualificazione energetica degli edifici pubblici e privati, combattiamo il consumo di suolo, il nostro prezioso suolo che ci aiuta, tra l'altro, a contrastare gli effetti degli eventi meteorologici estremi e a ridurre la siccità. Il nostro piano prevede una progressiva riconversione ecologica del Paese, anche spostando gli incentivi dalle fonti inquinanti alle iniziative per l'efficienza e le energie pulite. Stiamo portando avanti, con forza e determinazione, quello che si configura come un cambio di mentalità prima che un cambiamento delle politiche.

Come forma parlamentare e come Governo, siamo consapevoli che ci sono tantissime cose da fare ma siamo sulla strada giusta, quella segnata dai cittadini e dalla scienza. La nostra mozione dice proprio questo: acceleriamo, corriamo più veloce possibile verso il futuro, ma che sia un futuro pulito e in grado di consegnare un pianeta migliore alle prossime generazioni; che il cambiamento climatico sia l'origine di un cambiamento culturale che renda più giusta e sana la nostra economia e la nostra società (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Mazzetti, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00158. Ne ha facoltà.

ERICA MAZZETTI (FI). Grazie, Presidente Carfagna, grazie a tutti, colleghe e colleghi presenti. Oggi i cambiamenti climatici sono evidenti, sono sotto gli occhi di tutti, ed è quindi un tema diventato imprescindibile e, di conseguenza, deve essere all'ordine del giorno dell'agenda di ogni Governo, mondiale, europeo, nazionale, ma anche di quella di tutti gli amministratori locali. Sui cambiamenti climatici per onestà intellettuale è doverosa una precisazione in premessa: l'uomo ha sicuramente contribuito ad accelerare un processo climatico che, però, deriva sicuramente da eventi ed elementi anche naturali. Ce lo dice la storia della terra: da sempre ove si desertifica si sono succedute ere di glaciazione. Ciò non toglie che ai giorni nostri manca spesso il rispetto ambientale e che non c'è ancora completa coscienza del problema, fermo restando che grazie allo sviluppo economico dei Paesi industriali e liberi del benessere, negli ultimi cinquant'anni la popolazione mondiale è raddoppiata, la disponibilità di cibo è cresciuta, la speranza media di vita è raddoppiata, così come la ricchezza pro capite. Non ci sono dubbi che le condizioni materiali dell'umanità, quantomeno fino a oggi, non hanno cessato di migliorare, ma la realtà percepita da molti è quella di un progressivo degrado, in particolare per quanto concerne le condizioni ambientali. Coscienza del problema e consapevolezza vanno ingenerate, usando ogni strumento possibile da parte di chi ci governa e di chi ci amministra con leggi e regolamenti mirati e con il sostegno a ogni attività virtuosa realizzata dalle agenzie e dalle associazioni operanti a ogni livello per rallentare tale processo.

Questa mozione nasce dall'esigenza di attuare una serie di azioni concrete da parte del Governo che affianchino quelli degli enti locali, delle agenzie educative, delle imprese, delle associazioni e dei cittadini, per realizzare un concreto, diffuso e definitivo cambio di tendenza rispetto a ogni atteggiamento umano che vada ad accelerare il fenomeno dei cambiamenti degli agenti climatici per la nostra vita sulla terra. È necessario partire dall'importante passo avanti compiuto con l'Accordo di Parigi, approvato il 12 dicembre 2015, per considerare che il percorso per contrastare il surriscaldamento globale è ancora molto lungo e accidentato e che, nel quadro della Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, l'Accordo ha compreso elementi per una riduzione progressiva delle emissioni globali di gas serra e si è basato, per la prima volta, su principi comuni validi per tutti i Paesi, senza distinzioni fra Paesi industrializzati e Paesi in via di sviluppo. Uno degli obiettivi principali è stato quello di orientare i flussi finanziari, privati e statali, verso uno sviluppo a basse emissioni di gas serra e a migliorare la capacità di adattamento ai cambiamenti climatici.

La Conferenza di Parigi è stato il primo di una serie di altri importanti appuntamenti dove, in particolare, sono stati decisi i criteri con cui misurare le emissioni di anidride carbonica e valutare le misure per contrastare il cambiamento climatico delle singole nazioni.

Il rapporto dell'IPCC ha confermato che un aumento medio della temperatura globale di almeno 1,5 gradi centigradi sui livelli preindustriali è ormai inevitabile, avverrà nei prossimi dodici anni e che per tenersi entro i tre gradi centigradi di aumento complessivo sarà necessario tagliare le emissioni di anidride carbonica del 45 per cento entro il 2020, cioè domani.

In mancanza di azioni radicali, la temperatura media aumenterà di oltre 2 gradi centigradi, portando eventi climatici più estremi e cambiando il clima di intere aree geografiche, con conseguenze per milioni di persone. Una tempestiva cooperazione internazionale, la solidarietà e un coerente e costante impegno a favore di un'azione comune rappresentano l'unica soluzione per onorare la responsabilità collettiva di preservare l'intero pianeta e la sua biodiversità per le generazioni presenti e soprattutto future. In questo quadro, gli impegni assunti dall'Italia in occasione di importanti appuntamenti internazionali sono sempre stati chiari e netti nella volontà di contribuire a un miglioramento delle condizioni climatiche e ambientali.

Tuttavia, nonostante i buoni proclami dei Governi passati e anche di quello attuale il nostro Paese risulta essere ancora molto carente sul fronte della riduzione delle emissioni di anidride carbonica da combustibile fossile e dall'emissione di biossido di azoto. È recente, infatti, la notizia che la Commissione europea ha deferito il nostro Paese alla Corte di giustizia dell'Unione europea per la ripetuta violazione dei limiti annuali di biossido di azoto nell'aria delle città e per il mancato adeguamento alle norme europee dei sistemi di trattamento delle acque di scarico di oltre 700 agglomerati e 30 aree sensibili dal punto di vista ambientale.

In quest'ottica, bisogna avere ben presente che senza modificare profondamente l'attuale sistema produttivo non sarà possibile mitigare il riscaldamento globale e va da sé che il sistema produttivo si modifica solo con interventi a monte, in primo luogo con una nuova politica energetica che favorisca l'utilizzo di tecnologie e fonti energetiche a bassa emissione di carbonio e definisca una vera e propria tabella di marcia di decarbonizzazione che riguardi tutti i settori attraverso investimenti pubblici, incentivi fiscali e, soprattutto, semplificazione. Un ambiente economico caratterizzato da un sistema fiscale leggero e foriero di crescita e di investimenti a lungo termine.

Il contributo alla mitigazione dei cambiamenti climatici non passa attraverso azioni isolate o solo dagli accordi decisivi e importanti che si sono sottoscritti a Parigi e nelle altre conferenze internazionali, ma ha senso in un'ottica di sistema in cui ognuno svolga il proprio ruolo specifico e coordinato fra gli enti locali, i cittadini e le loro forme organizzate, le regioni, lo Stato, l'Unione europea, le università e gli enti di formazione e, soprattutto, il Governo centrale e il legislatore. Queste sono scelte di programmazione del territorio volte a favorire uno sviluppo economico in chiave di sostenibilità, in alternativa a un modello basato sui combustibili fossili, su cui l'attuale Governo ha il dovere di dare segnali chiari e coerenti.

Un altro grande tema da porre all'attenzione è una nuova fiscalità ambientale quale imperativo delle prossime politiche economiche. Solo così l'Italia può collocarsi pienamente dentro al processo europeo disegnato con la nuova direttiva sull'economia circolare, spostando la tassazione dal lavoro all'inquinamento dei processi produttivi e dei prodotti dopo e durante il loro uso. La reindustrializzazione europea si può basare unicamente su imprese innovative ed efficienti sotto il profilo delle risorse. Il cambiamento deve iniziare con urgenza e incentivare i sistemi fiscali che avvantaggiano l'uso di risorse ambientali, rinnovabili e sostenibili per l'ambiente.

Un capitolo fondamentale riguarda, inoltre, la fiscalità ambientale in materia di beni e prodotti. In questo ambito, la direzione è quella di una revisione dell'imposta sul valore aggiunto, con l'obiettivo di orientare il mercato verso modi di produzione e consumi sostenibili prevedendo, ad esempio, un regime dell'imposta agevolato per i manufatti realizzati con una percentuale di materiale riciclato, spostando, cioè, la tassazione dal lavoro all'inquinamento. In questa prospettiva, l'Italia può svolgere una funzione trainante, e lo deve, a livello europeo, nella direzione di un'accelerazione della transazione energetica verso l'utilizzo di fonti rinnovabili e l'efficientamento energetico dei processi produttivi.

Però, attenzione, voglio precisare una cosa molto importante: togliere questa possibilità non significa rallentare il processo infrastrutturale e tecnologico, come molti vorrebbero. Questo è piuttosto un impegno dinamico finalizzato a concepire gli investimenti in grandi opere, come il treno ad alta velocità, l'ammodernamento delle reti ferroviarie, più concorrenziali e più convenzionate sotto il profilo dell'impatto ambientale; del trasporto su gomma, soprattutto per quanto riguarda le merci.

Un Paese responsabile, che guarda al progresso ed alla crescita economica, deve prevedere fra i suoi piani di investimento azioni che riguardino la rigenerazione delle grandi città, in un'ottica di efficientemente energetico, e della rete metro-ferroviaria e tramviaria; un coerente programma di gestione del ciclo dei rifiuti e la non trascurabile prospettiva di una sinergia fra lo Stato ed i privati.

L'obiettivo dev'essere quello di realizzare un'energia sicura, economica, efficiente e sostenibile, un'economia in espansione e, allo stesso tempo, sempre più decarbonizzata; un approccio neutrale nei confronti di tutte le fonti energetiche, che parta da un'analisi dell'intero ciclo di vita e che premi le fonti effettivamente in grado di assicurare maggiori vantaggi per l'ambiente, per la salute dei nostri cittadini e, soprattutto, per l'economia del nostro Paese.

Adesso una parola per i rifiuti. L'Italia è il Paese europeo con la più alta percentuale di riciclo della totalità dei rifiuti - urbani, industriali, eccetera - inclusi quelli minerali e questo anche grazie a modalità innovative di gestione dei rifiuti e sistemi avanzati per il loro recupero, ma oggi, ancora oggi, mentre vi sto parlando, il sistema del fine rifiuti è bloccato. Da un anno - un anno esatto - i nostri impianti di riciclo soffrono del blocco dell'autorizzazione. Forza Italia è stata l'unica a battersi affinché questa anomalia si risolva nelle more dell'entrata in vigore dell'applicazione delle direttive europee e della sentenza del Consiglio di Stato, che delega allo Stato l'emanazione delle linee guida e delle autorizzazioni conseguenti. Tuttavia, il Governo, l'attuale Governo giallo-verde, che tanto si definisce Governo dell'economia circolare, rimane sordo alle grida d'aiuto e oggi siamo in piena area emergenza rifiuti. Le discariche abusive nascono come funghi e la questione è ormai arrivata al pericolo per la popolazione, mentre gli impianti, gli impianti quelli veri - il termovalorizzatore e similari - non partono, e non abbiamo traccia di niente.

Con questa mozione, ennesimo tentativo da parte nostra di risolvere un problema gravissimo per la salute pubblica, noi impegniamo il Governo a farsi carico, fra i Paesi partecipanti alla Conferenza delle Nazioni Unite sul clima, dell'adozione di un codice che esiga un livello elevato di trasparenza, con solide norme vincolanti per tutte le parti al fine di misurare accuratamente i progressi e consolidare la fiducia tra le parti che partecipano al processo internazionale; ad adottare con urgenza interventi per favorire la riduzione dei limiti di biossido di azoto, anche per non incorrere in procedure di infrazione da parte dell'Unione europea; a proporre con la massima urgenza una norma transitoria, nelle more dell'applicazione della direttiva 2008/98 della Comunità europea, che consenta agli impianti al momento costruiti, ma fermi, di funzionare regolarmente, onde evitare di destinare ingenti quantità di rifiuti alle discariche; a garantire un'autonomia finanziaria degli enti locali, che impegnano risorse derivanti dalla tassazione alle imprese, in investimenti nel settore energetico-ambientale, per la riduzione delle emissioni di anidride carbonica nell'aria e per il miglioramento del trattamento della gestione del ciclo dei rifiuti e delle acque di scarico.

Infine, ma non di minore importanza, a prevedere un piano di investimenti pubblici finalizzato a promuovere un nuovo modello energetico-ambientale, fondato sulle seguenti priorità: efficienza dei consumi energetici nell'edilizia, nell'industria e nei trasporti attraverso la digitalizzazione delle reti, la diffusione della mobilità elettrica, lo sviluppo di tecnologie elettro-efficienti in ambito residenziale; impulso per le fonti rinnovabili e realizzazione di un programma nazionale per la mobilità urbana eco-sostenibile attraverso l'introduzione di incentivi fiscali per cittadini ed imprese, e di misure di semplificazione; riciclo e trasformazione in risorse dei rifiuti, la così tanto nominata economia circolare; dotare gli edifici pubblici, a partire dalle scuole, di impianti fotovoltaici e di efficienza energetica; d'intesa con le regioni, le province e i comuni, garantire il completamento della capacità di mercato finalizzato ad una maggiore diversificazione delle fonti di approvvigionamento, nonché il sostegno alla fonte idroelettrica, rinnovabile e programmabile al tempo stesso (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Gobbato. Ne ha facoltà.

CLAUDIA GOBBATO (LEGA). Presidente, colleghi, sottosegretario, con la discussione delle mozioni sui cambiamenti climatici la Camera si rende partecipe al dibattito mondiale in corso su come affrontare una delle maggiori minacce per l'umanità e la natura. La presentazione della nostra mozione è la dimostrazione che la lotta ai cambiamenti climatici non è solo una prerogativa della sinistra, ma anzi rappresenta un obiettivo importante per la Lega e per tutta la maggioranza.

Già nei giorni scorsi il Parlamento ha dato al Governo le direttive per intervenire nella riunione del 21 e 22 marzo del Consiglio europeo, ove uno dei temi cruciali da affrontare per il futuro dell'Unione europea è stato, appunto, il tema dei cambiamenti climatici. Per la prima volta anche i giovani e gli studenti di tutto il mondo hanno preso coscienza delle ripercussioni che il clima potrebbe avere sulla vita di tutti; infatti, il 15 marzo scorso, si sono svolte manifestazioni per chiedere ai rispettivi Governi di intervenire concretamente per salvare la Terra.

Ovviamente, il nostro pianeta, nella propria vita millenaria, ha attraversato un'alternanza tra periodi di siccità - con aumento della temperatura - e periodi di glaciazione, ma è altrettanto lampante - e ormai dimostrato scientificamente - che l'attività dell'uomo e la mancanza di provvedimenti in favore di un'attività industriale sostenibile hanno inciso in passato ed incidono oggi pesantemente sul clima e sull'innalzamento della temperatura del pianeta, con conseguenze tragiche. Si pensi allo scioglimento dei ghiacciai, alla crescita del livello dei mari, alle ondate di siccità, agli eventi atmosferici sempre più estremi negli impatti sulla fauna e l'agricoltura.

Le conseguenze del cambiamento climatico in atto sono sottolineate da diversi enti di ricerca ed organizzazioni mondiali, con allarmi ribaditi in più sedi internazionali per gli effetti ambientali, sociali ed economici sul genere umano. Il nostro Paese si presenta particolarmente vulnerabile. L'innalzamento della temperatura del Mare Mediterraneo e le conseguenti precipitazioni violente in determinati periodi dell'anno incidono pesantemente sulla fragilità del nostro territorio e sulle nostre coste, provocando esondazioni, straripamenti, alluvioni e danni ingenti agli ecosistemi, all'agricoltura e a tutto il sistema produttivo, richiedendo sostanziose risorse economiche per farvi fronte.

È ormai entrato nella coscienza di tutti che occorre effettuare tutti gli sforzi possibili per contenere le emissioni di gas serra, in quanto la maggiore o minore concentrazione di anidride carbonica è strettamente legata alla maggiore o minore temperatura globale, e la concentrazione di anidride carbonica in atmosfera sta aumentando, così come quella di altri gas serra, in particolare metano e ossido di azoto.

Anche la crescente antropizzazione del pianeta e il cambio d'uso del territorio contribuiscono all'aumento di concentrazione atmosferica di CO2 e mentre le emissioni sono in diminuzione in Europa, sono in aumento nelle economie emergenti. Chiaramente, il fenomeno dei cambiamenti climatici ha una natura globale dovuto ad una serie di fattori interconnessi: globali sono le responsabilità e globali devono essere anche gli sforzi per un intervento significativo, con risultati concreti e tangibili.

A dicembre scorso 16 Paesi europei, compresa l'Italia, in vista della Conferenza ONU sul clima, la COP24 a Katowice, in Polonia, hanno lanciato l'allarme per la crisi climatica globale, che mette a rischio gli ecosistemi e la stessa vita di intere popolazioni.

Gli esiti della Conferenza ONU a Katowice: 196 Paesi hanno firmato un regolamento che rende operativo l'Accordo di Parigi, che indica l'obiettivo di contenere l'aumento medio della temperatura globale nei 2 gradi rispetto ai livelli pre-industriali, concordando di rimandare al 2020 la presentazione da parte dei Paesi firmatari di piani climatici più rigidi. Si tratta di un obiettivo che cerca di raggiungere un equilibrio tra le emissioni derivanti dalle attività umane e la riduzione dei gas serra, prevedendone anche l'assorbimento da parte delle foreste, attraverso la riforestazione, e da parte del suolo attraverso lo stoccaggio in depositi sotterranei.

Ma una cosa è certa e riconosciuta da parte di tutti: per far fronte ai cambiamenti climatici occorrono soluzioni realistiche e concrete a tutti i livelli, dal nazionale, al regionale, al globale, assegnando la giusta attenzione anche alle opportunità economiche connesse all'obiettivo di riduzione delle emissioni di gas serra, in termini di nuova occupazione e competitività.

L'Europa si presenta come promotrice delle buone pratiche per limitare e mitigare i cambiamenti climatici, ma occorre anche supportare a livello europeo le aziende che hanno già messo in atto una transizione green e sostenere quelle aziende che manifestano l'intenzione di effettuare una transizione in tal senso, anche promuovendo lo scambio di buone pratiche.

Soprattutto, occorre garantire alle imprese europee tempi realistici e sostenibili, programmi elastici con obiettivi intermedi e non vincolanti, soglie minime che consentano di escludere le aziende più piccole, che contribuiscono in misura non significativa in termini di emissione. Si tratta di misure che occorre assumere da parte della Commissione europea per una transizione green, che assicura alle nostre imprese una programmazione a lungo termine certa e con obiettivi stabili, in grado di rendere fattibile l'adozione delle nuove opzioni tecnologiche che offre il mercato e permettere la pianificazione nel tempo degli sforzi economici e del costo di lavoro a carico dell'impresa. Infatti, bisogna tenere conto dei rischi a cui vanno incontro le imprese europee in caso di un eccessivo restringimento degli obiettivi, che può generare distorsioni della concorrenza globale e spiazzare l'industria europea, favorendo la delocalizzazione di attività produttive energy-intensive in altre macroregioni del mondo meno rispettose dell'ambiente, con il duplice effetto negativo di aumentare l'inquinamento globale e la disoccupazione nell'Unione Europea.

L'Italia ha firmato tutti gli accordi per la lotta ai cambiamenti climatici, a partire dal Protocollo di Kyoto, e l'accordo di Parigi è sicuramente lo strumento base di una strategia a lungo termine per un'economia prospera, moderna, competitiva e climaticamente neutra. L'Italia, nell'ambito delle politiche comunitarie e internazionali, si deve candidare ad ospitare i summit internazionali a partire da COP 26 del 2020, con lo scopo primario di farsi parte attiva delle misure per la responsabilizzazione internazionale a tutti i livelli sul tema dei cambiamenti climatici.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Muroni. Ne ha facoltà.

ROSSELLA MURONI (LEU). Grazie, Presidente. Gentili colleghi e colleghe, la Giornata mondiale della ribellione giovanile del Fridays for future, lanciata qualche mese fa da Greta Thunberg, registra numeri impressionanti ed è un segnale importante per il futuro dell'umanità; sono milioni i giovani e i cittadini che per la prima volta si sono riversati in più di 2.000 piazze di 123 Paesi per il Global strike for future. Io sono d'accordo - lo dico da ecologista -, ormai questi sono temi che non sono più di parte e i numeri lo dimostrano ed è necessario, per avanzare, che, sempre più, la lotta ai mutamenti climatici diventi cultura comune, questo è quello che assolutamente ci auguriamo.

Una marea umana è quella che abbiamo registrato in questi mesi di mobilitazione, che ha invaso l'Italia e devo dire che i nostri giovani e le nostre giovani sono scesi in piazza in 235 città, dimostrando una sensibilità che ha risuonato anche nelle parole del Presidente, Sergio Mattarella.

Oggi, non ci sono più alibi ed è evidente naturalmente che c'è un tema economico, ma il punto è proprio questo: quello che noi diciamo, non noi ecologisti, ma quello che ci racconta l'economia a livello globale è che il vero fattore di competizione e di mercato internazionale ormai a livello globale è proprio quello dell'innovazione ambientale, della sostenibilità ambientale, su cui ad esempio il continente europeo potrebbe davvero giocare un tema di innovazione economica, sociale e tecnologica.

Oggi non ci sono più alibi, per questo è importante accelerare il passo nelle politiche climatiche e definire delle strategie coordinate tra i diversi Paesi per rispettare gli impegni presi, a partire dall'Accordo di Parigi, e per mettere in campo politiche adeguate allo scenario che il cambiamento climatico ci impone già. Una sfida che deve raccogliere anche l'Italia, che purtroppo su questo fronte è indietro con le politiche governative. Guardate, lo è da anni; naturalmente, noi in questo momento abbiamo davanti la possibilità di una svolta, ma noi siamo indietro almeno di dieci anni rispetto alle nostre potenzialità, le potenzialità che in questi anni le nostre imprese hanno anche messo a servizio del Paese, sul fronte dell'innovazione tecnologica, ad esempio.

Eppure, nessuno, come l'Italia, sa quali sono le conseguenze del cambiamento climatico: l'Italia è considerata dagli scienziati, a livello internazionale, un hot spot del mutamento climatico, proprio perché nel nostro Paese stiamo conoscendo i fenomeni più estremi legati appunto al clima che cambia. Una sfida che l'Italia deve raccogliere e che invece in questi anni è stata piuttosto rallentata: basti pensare ai 16 miliardi di euro in sussidi diretti e indiretti, che ancora oggi vengono garantiti alle società petrolifere.

Quindi, per rispondere anche alla collega della Lega, non si tratta di piccole imprese, che semmai verrebbero messe in difficoltà da un cambio di politica sul mutamento climatico: è esattamente l'opposto, è la piccola e media impresa che è in grado di cogliere la sfida economica posta dal mutamento climatico, mentre sono le grandi società, a partire da quelle petrolifere, che spingono perché nulla cambi, perché il loro business non venga messo in discussione.

Per vincere questa sfida, invece, si deve intervenire da subito, agevolando la fiscalità alle fonti con minori impatti ambientali e all'innovazione, eliminando le barriere non tecnologiche che oggi limitano le fonti rinnovabili e la mobilità sostenibile ed elettrica. Le tecnologie già sono disponibili, le nostre imprese sono pronte e già installate su tutto il territorio abbiamo fonti importanti, come il fotovoltaico, l'eolico, il solare termodinamico; per lungo tempo il nostro Paese è stato assolutamente campione di queste fonti, sia dal punto di vista dell'insediamento, ma anche e soprattutto delle tecnologie.

Serve anche una carbon tax: non è più tollerabile che un'impresa faccia enormi profitti privati, scaricando i costi sociali, economici e ambientali del suo profitto sulla collettività. E, ancora: è urgente mettere a regime un sistema di raccolta e riutilizzo dei rifiuti, basato sul meccanismo di filiera, con investimenti che ci aiutino a superare la logica dell'incenerimento, da qui dobbiamo ripartire.

Così come serve prendersi cura del nostro mare. Proprio oggi il Ministro ha annunciato finalmente il varo del decreto “Salva mare”, su cui interveniamo - da quello che ho capito - solo per un piccolo pezzo, perché ancora da parte dell'alleato di Governo, della Lega, ci sono degli ostacoli per superare la plastica monouso.

Eppure, l'Unione europea su quello ci dà un indirizzo pressante e, proprio noi, che siamo la patria del Mater-Bi, possiamo su questo invece dettare l'agenda economica e politica dell'Unione europea.

Bisogna avere coraggio: dobbiamo uscire dall'economia della plastica consapevoli che nessuno, come il nostro tessuto produttivo, è in grado di cogliere la sfida, naturalmente accompagnando la transizione - nessuno vuole perdere posti di lavoro - ma noi sappiamo dove dobbiamo andare e dov'è il futuro.

Per questo è importante che questi temi siano cultura trasversale ed io questo lo credo assolutamente, fortemente e con convinzione.

Il clima è già cambiato - lo sanno bene le nostre comunità locali, violentemente colpite da questi cambiamenti - ed è del tutto evidente che sono le città l'ambito più a rischio per le conseguenze dei cambiamenti climatici perché è nelle aree urbane che vive la maggioranza della popolazione, dove l'intensità e la frequenza di fenomeni meteorologici estremi sta determinando danni crescenti a edifici ed infrastrutture, mettendo in pericolo vite umane.

Dal 2010 al 2016 le sole inondazioni hanno provocato in Italia la morte di oltre 145 persone e l'evacuazione di oltre 40 mila persone, secondo i dati del CNR; ecco, qui sì che servirebbe un bel “decreto sicurezza” per gli italiani e le italiane che vivono nelle aree a rischio.

L'analisi dei fenomeni nelle città evidenzia le conseguenze sulla vita delle persone dei fenomeni climatici, per cui negli ultimi sei anni sono stati 91 i giorni di stop alla mobilità collettiva nelle principali città italiane, così come 43 invece i giorni di blackout elettrici dovuti al maltempo. Rilevanti le conseguenze di alluvioni, trombe d'aria e piogge intense nei confronti di case, spazi pubblici, insomma della vita quotidiana delle persone. Dal 2013 al 2016 ben 18 regioni sono state colpite da 102 eventi estremi, che hanno provocato alluvioni o fenomeni franosi, generando l'apertura di 56 stati emergenziali.

Questa sì che è un'emergenza e il clima da noi già sta cambiando. Che l'Italia sia un Paese ad elevato rischio idrogeologico lo dimostrano i numeri: sono 7.145 i comuni italiani, l'88 per cento del totale, che hanno almeno un'area classificata come ad elevato rischio idrogeologico, corrispondente circa al 15,8 per cento del territorio nazionale, e sono oltre 7 milioni gli italiani che vivono o lavorano in queste aree.

Non bisogna dimenticare un altro effetto dei cambiamenti climatici, come denunciato da Greenpeace, Legambiente e dalle altre associazioni ambientaliste, che gli attuali flussi migratori siano già da inquadrare nel più ampio contesto della giustizia climatica. Sebbene sia difficile considerare i cambiamenti climatici come la sola causa di questi flussi migratori, è ormai accertato che gli impatti del cambiamento climatico sono una delle cause che spingono ogni anno milioni di uomini, donne e bambini ad abbandonare le proprie case, terre e comunità. Non a caso, l'ultimo rapporto pubblicato dall'ONU sul tema è molto chiaro nell'evidenziare i sempre più forti legami tra cambiamenti climatici, conflitti, fame nel mondo e migrazioni. Ecco, quando si dice ‘aiutiamoli a casa loro', vuol dire anche che dobbiamo cambiare casa nostra, dobbiamo cambiare il nostro modo di produrre e di consumare, perché questo sì che avrebbe un impatto importante sulla vivibilità, ad esempio, del continente africano.

La lotta ai cambiamenti climatici sta cambiando l'agenda delle decisioni e con la nuova governance approvata dall'Europa lo scorso anno è previsto che ogni Paese definisca, attraverso Piani nazionali, obiettivi di riduzione delle emissioni di CO2 al 2030, sulla base di una traiettoria di lungo termine in linea con gli obiettivi dell'accordo di Parigi, con politiche trasversali in grado di ridurre la domanda di energia e far crescere il contributo delle fonti rinnovabili e la capacità di assorbimento dei sistemi agroforestali.

Il nuovo quadro di riferimento europeo per le politiche climatiche ed energetiche prevede tre obiettivi al 2030: riduzione delle emissioni di gas serra di almeno il 40 per cento rispetto al 90, grazie all'aumento del 32 per cento delle rinnovabili e del 32,5 per cento dell'efficienza energetica; obiettivi, questi, Presidente, che, purtroppo, sono già largamente inadeguati per contribuire, come ci chiedono gli scienziati, a stare entro la soglia critica di 1,5 gradi di aumento della temperatura.

Di conseguenza, i piani nazionali risultano fortemente inadeguati, a partire - devo dirlo - da quello italiano, che risulta in piena continuità rispetto ai Governi precedenti. Invece, noi avremmo bisogno di uno scatto di coraggio; in sostanza, il nostro Piano è fondato sulla continuazione delle misure esistenti, con un phase out dal carbone nella produzione elettrica al 2025, già previsto dalla SEN, e con obiettivi nazionali inferiori a quelli europei, sia per la riduzione delle emissioni (37 per cento il taglio italiano di emissioni, 40 per cento quello europeo, che l'Europarlamento ha chiesto di portare al 55 per cento), che per le rinnovabili, che da noi soddisferanno il 30 per cento dei consumi finali lordi, mentre in Europa arriveranno al 32 per cento. Anziché, poi, considerare il gas un importante accompagnamento della transizione energetica, il Piano continua a guardare al gas e alle fonti fossili come energia del futuro: nel mix energetico del 2030 continueranno a pesare più delle rinnovabili, mentre il biogas fatto bene, ossia quello che deriva dagli scarti agricoli o da rifiuti, viene liquidato come fonte marginale; e il taglio reale dei consumi di energia primaria, calcolato in base ai consumi del 2016, sarà di appena il 7 per cento, secondo molte analisi.

Ecco, io credo che questo Piano sia anche carente dal punto di vista della mobilità sostenibile, su cui, invece, noi avremmo bisogno di un grande piano, che guardi proprio alla riconversione della nostra industria. Il Piano italiano, in conclusione, si limita solo a rispettare i requisiti minimi previsti dal nuovo sistema europeo di governance, in linea con l'attuale obiettivo climatico del 40 per cento al 2030, senza alcuna ulteriore ambizione.

A ulteriore testimonianza, la scorsa settimana, Presidente, il Consiglio europeo ha, di fatto, affossato la decarbonizzazione del nostro continente al 2050, la Francia e la Germania si sono trovate contrapposte, solo 8 nazioni insieme alla Francia hanno votato per raggiungere la decarbonizzazione al 2050, il nostro Paese è rimasto neutrale sostanzialmente, né il nostro Presidente del Consiglio, Conte, nella conferenza stampa ha ritenuto di dover spendere una parola sul fatto che, mentre si esalta Greta Tumberg, poi, quando si vota in Consiglio europeo, ci si limita a fare il minimo indispensabile. Un minimo indispensabile che i nostri figli non si possono certo permettere, visti i dati che ho raccontato e visto che tutti gli scienziati continuano a dire che abbiamo appena dodici anni per invertire la tendenza. E soprattutto, tutti noi sappiamo che non esiste un pianeta B (Applausi dei deputati del gruppo Liberi e Uguali).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Paola Deiana. Ne ha facoltà.

PAOLA DEIANA (M5S). Grazie, Presidente. Oggi ci troviamo qui riuniti, in questa Assemblea, per discutere di un problema di portata epocale, ossia i cambiamenti climatici. Si tratta di un fenomeno che sta alterando non solo i nostri sistemi terrestri, ma anche i nostri sistemi naturali marini, ed è proprio su questo tema che vorrei incentrare il mio intervento.

I nostri mari si stanno ammalando sempre più e la colpa è anche del cambiamento climatico causato dalle emissioni di gas serra prodotto dalle attività umane. A confermarlo sono numerosi studi. Scienziati da tutto il mondo hanno lanciato l'allarme ormai da tempo: gli ecosistemi marini sono soggetti a un crescente degrado, causato dall'aumento delle temperature e dalla concentrazione di anidride carbonica. Questo comporta serie conseguenze su flora e fauna, ma anche sulla vita delle comunità che vivono lungo le coste e, di riflesso, su tutti noi.

Le temperature sempre più elevate dell'acqua, i bassi livelli di ossigeno disciolto, l'acidificazione oceanica e costiera, le inondazioni e gli eventi meteorologici estremi: tutti eventi ai quali si deve porre con urgenza un freno, Presidente. Negli oceani si registra un incremento di temperatura media dell'acqua superficiale di circa 2 gradi nell'ultimo secolo. Può sembrare un piccolo aumento, ma per il pianeta e i suoi ecosistemi è un vero e proprio sconvolgimento.

Non a caso stiamo assistendo alla progressiva meridionalizzazione del mar Mediterraneo. Cosa significa, Presidente? In pratica, gli organismi marini, cosiddetti ad affinità subtropicale, tipici delle coste meridionali del Mare Nostrum, hanno ampliato o spostato il proprio areale verso regioni più settentrionali, dove in precedenza, a causa delle temperature troppo basse, erano assenti o molto rari.

E se le specie del Mediterraneo si trasferiscono più a nord, nelle nostre acque assistiamo al fenomeno della cosiddetta “tropicalizzazione”, vale a dire, Presidente, l'arrivo accidentale di specie provenienti da zone tropicali, che un tempo erano estranee al nostro mare e che causano non pochi problemi. Una volta entrate, trovano un clima e un habitat che consente loro la sopravvivenza. Presidente, si tratta delle cosiddette “specie aliene”: una volta entrate nel nostro mare non trovano competitori e si alimentano facilmente di specie autoctone, che ovviamente non le riconoscono come predatori naturali. Il combinato di tutti questi fattori può favorire l'attivazione di agenti patogeni e indebolire fortemente gli organismi marini, provocando nei casi più gravi eventi di mortalità massiva. Questo significa che il pescato è meno sicuro, meno ricco e meno abbondante. In poche parole, il nostro mare si impoverisce con tutte le conseguenze ecologiche, economiche e sociali del caso.

I cambiamenti climatici hanno un impatto sulla distribuzione, sulle abitudini migratori e sulle dimensioni degli stock ittici. Alcune specie si spostano dalle acque costiere poco profonde, dove le temperature aumenteranno più rapidamente, in acque più profonde e più fredde. Certe specie, presenti in mare aperto e negli oceani, sono colpite in modo drammatico, Presidente: è il caso degli sgombri, delle sardine e delle acciughe, ad esempio. Le fluttuazioni indotte dal clima influenzano importanti processi biologici, come il successo riproduttivo e le loro interazioni, ovviamente, nella catena alimentare.

Come se non fosse già sufficiente quanto illustrato, Presidente, deve sapere che un'altra conseguenza preoccupante causata dall'aumento di CO2 in atmosfera è la cosiddetta “acidificazione”. Cosa vuol dire, Presidente? Il PH medio delle acque superficiali dei mari è sceso da 8,21 a 8,10. L'acidificazione causa problemi di sviluppo alle larve ed al plancton, alla base, come sappiamo, delle catene alimentari, come avviene per le uova di tonno pinna gialla, la cui sopravvivenza è messa in forte pericolo dalla acidificazione, come se già non fosse sufficiente il sovra sfruttamento, Presidente, di questa popolazione.

Vado a conclusione, Presidente. L'equilibrio naturale del pianeta è fragile e i cambiamenti repentini legati alle attività umane stanno determinando un aumento delle temperature a livello globale.

Gli ecosistemi marini e terrestri cambiano forse irreversibilmente e siamo in grado di prevedere solo in parte le conseguenze di questi cambiamenti, per questo bisogna prendere coscienza dei rischi che stiamo correndo come specie, sensibilizzare i cittadini e continuare ad attuare - come già il MoVimento 5 Stelle sta facendo con tutte le sue energie in Parlamento e nel Paese - nuove politiche e spingere la comunità internazionale a varare regole riconosciute da tutti come necessarie e improcrastinabili, se vogliamo salvare la nostra specie, Presidente, partendo da quegli ecosistemi che, ricordiamo, hanno consentito fino ad ora a tutti di essere su questa Terra (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Licatini. Ne ha facoltà.

CATERINA LICATINI (M5S). Presidente, colleghi, vorrei cominciare esprimendo la mia soddisfazione nel poter contribuire, insieme a tutto il Parlamento, ad affrontare il tema cruciale del cambiamento climatico; un fenomeno in rapida evoluzione, dalle conseguenze sempre più preoccupanti. Non possiamo più ignorarlo ed è doveroso, dato il ruolo che rivestiamo, esaminare e approfondire le sue cause e le conseguenze, con l'obiettivo di mettere in atto iniziative concrete per contrastarlo e prevenire le conseguenze più dannose. Finora le azioni dei Governi, a livello nazionale e globale, sono state lente e poco incisive; segno che la classe politica nei decenni passati non ha compreso che a rischio non è semplicemente questa o quella specie animale o un determinato habitat, ma la sopravvivenza stessa della specie umana sul pianeta. La situazione, invece, è chiara alla comunità scientifica e ai cittadini, che animano ogni giorno di più manifestazioni e iniziative di volontariato ambientale in tutto il mondo per evidenziare l'urgenza di misure efficaci.

La vorticosa intensificazione delle attività economiche umane, l'utilizzo di combustibili fossili, il consumo indiscriminato delle risorse ambientali, la crescita della popolazione mondiale sono solo alcune delle cause che stanno provocando, sotto i nostri occhi, i drammatici effetti del cambiamento climatico, incidendo in modo irreversibile sull'incolumità dei cittadini, modificando negativamente la qualità della vita e della salute pubblica, minacciando l'esistenza stessa degli essenziali ecosistemi naturali. Le conseguenze sono sotto i nostri occhi: i dati del Consiglio nazionale delle ricerche, per esempio, spiegano come il 2018 sia stato l'anno più caldo mai registrato nell'ultimo secolo, superando il precedente record del 2015. Siamo in piena emergenza, questo non è un problema di secondaria importanza, ma richiede tutto il nostro impegno, e lo richiede adesso.

L'accelerazione del riscaldamento globale sta catalizzando inesorabilmente quella che viene definita la sesta estinzione di massa di specie animali e vegetali. Oltre alla perdita di biodiversità, l'aumento della temperatura media del pianeta provoca la variazione repentina delle precipitazioni, gli eventi climatici estremi come inondazioni e uragani, lo scioglimento dei ghiacciai, l'innalzamento del livello del mare, l'acidificazione degli oceani e il rischio di eventi catastrofici. A tal proposito, le cifre fornite dal rapporto ISPRA 2018 sono allarmanti: il 91 per cento dei comuni italiani è a rischio idrogeologico, il 16,6 per cento del territorio nazionale evidenzia un'alta pericolosità rispetto a frane e alluvioni, con il 4 per cento degli edifici italiani che si trova in aree ad alto rischio di frane e il 9 per cento che si trova in zone alluvionabili. Addirittura, il 21,1 per cento dei beni culturali e il 14,1 delle industrie e servizi si trovano in una zona a rischio idrogeologico.

Risale proprio a novembre del 2018 la catastrofe consumata nella mia regione: un'apocalisse di acqua e fango travolse la Sicilia, giorni di piogge torrenziali, con accumuli pluviometrici impressionanti. Sono ancora aperte le ferite di chi ha visto scivolare via la propria casa, la propria famiglia, la propria storia. È ciò che è accaduto a Casteldaccia, un paese a pochi chilometri dalla mia Bagheria, dove morirono nove persone, tra cui due bambini di uno e tre anni, a causa dell'esondazione del fiume Milicia; oppure a Corleone, in cui morì il medico Giuseppe Liotta, travolto dal fango mentre andava a prestare servizio in ospedale. E ancora ciò che è accaduto a Cammarata, dove morirono due persone, o a Vicari, dove Alessandro Scavone ha perso la vita nel tentativo di portare soccorso ad un'altra persona.

Il 70 per cento dei paesi siciliani è a rischio idrogeologico. Considerando soltanto il 2018, questi fenomeni di dissesto hanno provocato, in Italia, 38 morti, due dispersi, 38 feriti e oltre 4.500 tra sfollati e senzatetto in 134 comuni. Non possiamo permetterci di perdere tempo, non possiamo ancora rimpallarci la responsabilità da una parte all'altra, non possiamo aspettare altre tragedie evitabili, perché ne saremmo tutti colpevoli. La sfida del cambiamento climatico, dunque, non è da sottovalutare e non si può ridurre alla mera partecipazione alle manifestazioni, seppure siano di notevole importanza. Il cambiamento climatico è un fenomeno che richiede interventi concreti e coordinati; non possiamo continuare a perdere tempo dietro parole o slogan, non sarebbe responsabile. L'Accordo di Parigi, firmato dall'Italia nel 216, è il faro che abbiamo deciso di seguire e che può rappresentare un'inversione di tendenza per limitare l'aumento della temperatura media globale al di sotto delle soglie quantificate come pericolose per la sopravvivenza della Terra, cioè a 1,5 gradi centigradi, ben al di sotto dei due gradi.

Raggiungere questi obiettivi si può e si deve, e dobbiamo essere consapevoli che, per farlo, vanno innanzitutto abbandonati i combustibili fossili. Dobbiamo puntare con decisione sull'energia rinnovabile e su nuovi modelli di efficienza e risparmio energetico. L'Italia ha iniziato questo ambizioso percorso perseguendo gli obiettivi del Quadro per il clima e l'energia 2030 e proponendosi sulla scena internazionale come traino di questa necessaria e fondamentale transizione. Lavoriamo per ottenere una riduzione delle emissioni di gas a effetto serra del 40 per cento almeno, per raggiungere una quota del 27 per cento almeno di energia rinnovabile e di efficienza energetica. Il cambiamento climatico è una sfida etica e politica al tempo stesso.

Il MoVimento 5 Stelle e il Governo hanno avuto la sensibilità di rispondere a questa sfida con strumenti e proposte concrete, elaborando, per esempio, uno strumento fondamentale per la politica energetica e ambientale del nostro Paese e dell'Unione europea per i prossimi dieci anni, una proposta di piano nazionale integrato per l'energia e il clima che sarà sottoposto al pubblico di dibattito attraverso la VAS, oltre a un confronto attraverso tavoli tematici di lavoro. Nell'ottica di voler dare il nostro contributo e di voler accompagnare il Governo nel percorso intrapreso, presentiamo questa mozione affinché sia possibile perseguire tutte le misure necessarie per gli obiettivi internazionali ed europei di riduzione delle emissioni, siano posti in essere interventi per la prevenzione del rischio e la messa in sicurezza del Paese dal rischio idrogeologico, favorendo anche ricerca e innovazione, e vengano promosse campagne di sensibilizzazione che accrescano nei cittadini e nei più giovani la consapevolezza sui rischi ambientali connessi al cambiamento climatico.

La crisi climatica, come ogni crisi, ci pone davanti a una sfida evolutiva, alla possibilità di affrontare un'evidente criticità ridefinendo il nostro modello di sviluppo e plasmando una società più intelligente e più sostenibile, in cui la tutela degli ecosistemi e della salute umana rappresenti anche l'opportunità per creare benessere e ricchezza diffusa. È una sfida che non possiamo non cogliere, perché stavolta non abbiamo “piani B”. Dunque, buon lavoro a tutti noi (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Chiazzese. Ne ha facoltà.

GIUSEPPE CHIAZZESE (M5S). Presidente, colleghe e colleghi, sono molto felice di poter tornare a parlare in quest'Aula, seppure da una specifica sfaccettatura, di un argomento a me molto caro, che ha segnato il mio modo di approccio alla quotidianità e anche la mia attività politica. Mi riferisco alla questione climatica e ai cambiamenti climatici che stanno già sconvolgendo il nostro pianeta. Non molto tempo fa, in un intervento di fine seduta, ho parlato di Greta Thunberg e dell'ultimatum che il panel delle Nazioni Unite ha dato al mondo intero: dodici anni – ripeto, soltanto dodici anni – per cambiare politiche e stili di vita prima della catastrofe climatica. Ho già sostenuto che l'argomento non ha colore politico, deve essere bandiera per tutti senza alcuna differenza. Il futuro è di tutti e per tutti dobbiamo volgere verso il cambiamento.

È bene, però, a questo punto, parlare anche di tematiche specifiche ed aprire a discussioni costruttive. Voglio, infatti, soffermarmi oggi sulla mobilità elettrica, che adopero giornalmente, tra l'altro, anche per i miei spostamenti. Bisogna, quindi, comunque porsi delle domande, a che punto è lo sviluppo della mobilità elettrica in Italia e perché fa fatica a prendere piede, nonostante i benefici per le nostre città, e quali sono i limiti al diffondersi su larga scala di quella che, nei prossimi anni, sembra essere oramai una rivoluzione annunciata. Infatti, i prossimi due anni saranno decisivi per lo sviluppo della mobilità elettrica, sia perché i principali costruttori automobilistici hanno fatto un ingresso proprio nel settore della mobilità elettrica sia perché comunque ci sarà un approccio di rottura rispetto al passato; è inevitabile, con soluzioni innovative che mettano assieme soggetti pubblici e privati.

Anche le tecnologie oramai sono mature, mancano però aspetti importanti come il supporto istituzionale in alcuni Paesi e soprattutto quel cambio di paradigma culturale che deve portare a preferire il cittadino a ricaricare la propria auto a casa o alla colonnina piuttosto che fare il pieno di gasolio o di benzina.

Oramai tutto il settore, anche controvoglia, comunque si è gettato a capofitto sull'elettrico, con ingentissimi investimenti in ricerca e sviluppo. Ciò porterà di fatto ad avere modelli più efficienti e anche più economici, che vadano oltre la ventina di modelli disponibili al momento in Italia. La diffusione dell'auto elettrica, è bene ribadirlo, creerà indubbi benefici a livello di riduzione di inquinamento atmosferico, essendo appunto questa tipologia di auto intrinsecamente più efficiente dell'auto termica. Ricordo un video di circa vent'anni fa in cui Beppe Grillo, di fronte allo stabilimento di Mirafiori, a Torino, definiva le auto a combustione interna delle stufe, delle stufe altamente efficienti, perché l'85 per cento della benzina che noi mettiamo nel serbatoio in realtà serve per scaldare l'ambiente - sembrerà incredibile - e soltanto il 15 per cento invece serve per il movimento. Invece le auto elettriche ribaltano assolutamente questa proporzione, quindi il 15 per cento viene dissipato - è normale, non sono macchine perfette - e l'85 per cento invece viene sfruttato per la mobilità. Inoltre, anche le auto elettriche daranno maggiore impulso a sistemi di guida autonoma, che tra l'altro porteranno anche ad una drastica riduzione degli incidenti. Anche considerando i dati di emissione dal pozzo alla ruota, quindi tutto il ciclo, le auto elettriche sono vincenti, e questo vantaggio aumenterà all'aumentare della componente rinnovabile nel mix energetico. Ad esempio, se prendiamo la Cina, che ancora crea elettricità dal carbone, lì magari il vantaggio sarà minimo, seppure l'auto elettrica, appunto nel ciclo pozzo-ruota, è sempre molto più efficiente dell'auto tradizionale, ma man mano che il mix energetico delle varie nazioni volgerà verso l'utilizzo di fonti rinnovabili, ecco allora che, a quel punto, l'auto elettrica diventerà ad impatto quasi zero. Però non possiamo pensare che il problema sia solo culturale, poiché se un cittadino di fatto compra un'auto elettrica e poi ha problemi a trovare una colonnina, succede che il problema non si risolve mai, e quel cambio culturale avviene con molta più difficoltà. Voglio concludere l'intervento, Presidente, riportando anche delle frasi particolarmente significative su questa tematica: una crisi, quella climatica, non può essere affrontata se non la si riconosce come tale, e noi dobbiamo modificare l'approccio alla vita ricordandoci che il mondo prima di tutto è casa nostra, e dobbiamo educare i nostri figli ad essere amanti dell'ambiente che li circonda. Noi, qui, come Parlamento, abbiamo il dovere di produrre normativamente in tal senso, tutti, a prescindere dal colore politico, poiché siamo la prima generazione ad avere piena coscienza che stiamo distruggendo il nostro pianeta e l'ultima che può fare qualcosa al riguardo (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. Salutiamo studenti e docenti della scuola primaria Direzione II° Circolo Didattico, di Termoli, che assistono ai nostri lavori della tribuna del pubblico (Applausi). È iscritto a parlare l'onorevole Rospi. Ne ha facoltà.

GIANLUCA ROSPI (M5S). Presidente, sottosegretario, colleghi, colleghe, siccità, deforestazione, consumo di suolo, eccessiva industrializzazione e aumento smisurato delle concentrazioni di CO2 sono solo alcuni dei cambiamenti che la nostra terra ha subito negli ultimi cinquant'anni. In un mondo che ha vissuto un lento e complesso processo geologico di formazione, oggi è evidente che le politiche inadeguate di alcuni Stati stanno compromettendo inesorabilmente l'equilibrio fisico e biologico della terra che abitiamo. Nelle epoche passate i cambiamenti climatici avvenivano molto lentamente, e per cause naturali, mentre oggi l'aumento della temperatura avviene in tempi rapidi e senza alcun controllo. Dovrebbero farci riflettere anche altri segnali, come l'esponenziale aumento delle concentrazioni di CO2 in atmosfera, il riscaldamento degli oceani e l'assottigliamento delle banchise polari artiche; tutte conseguenze che si ripercuotono anche in Italia con effetti drammatici. Oggi circa un quinto del territorio nazionale italiano viene ritenuto a rischio desertificazione, il 91 per cento dei comuni italiani - lo ricordava la collega poco fa - è a rischio idrogeologico, aumentano, anno dopo anno, le città soffocate dallo smog e invase dal traffico, con oltre 900 mila morti registrate ogni anno solo in Italia.

Signor Presidente, l'obiettivo prioritario di una buona politica deve essere quello di garantire alle generazioni future una società più equa e sostenibile. È arrivato il momento di investire in politiche che incentivino davvero sistemi ad elevata efficienza energetica e che sfruttino fonti energetiche rinnovabili. Oggi non è più concepibile investire nei combustibili fossili, bisogna frenare anche le politiche scellerate di alcune regioni, come la Basilicata, che vedono ancora nel petrolio l'unica risorsa possibile, questo è intollerabile. È vero, l'Italia ha un'elevata quota di produzione di energia rinnovabile, ma è altrettanto vero che gran parte di questa quota è dovuta agli investimenti nel settore idroelettrico che sono stati fatti nel passato, soprattutto nella Prima Repubblica. Questo non basta, dobbiamo fare ancora molto di più. In Italia è il settore civile ad assorbire oltre il 40 per cento del totale dei consumi di energia, seguito da quello dei trasporti, che incide per il 30 per cento, e il settore industriale, che incide per poco più del 20 per cento. Bisogna orientare le scelte del cittadino incentivando politiche di risparmio energetico. Oltre le misure di ecobonus e sisma-bonus, occorre promuovere anche la rigenerazione urbana sostenibile delle periferie cittadine e dei nostri quartieri. Le politiche e gli investimenti pubblici devono perseguire l'unica direzione percorribile in questo momento, quella della transizione dai combustibili fossili alle energie rinnovabili, promuovendo la generazione elettrica e del calore attraverso vettori più efficienti e più puliti per l'ambiente. Infine, signor Presidente, occorre impegnarsi verso sistemi di mobilità più efficienti e puliti, come mobilità elettrica e a idrogeno, che rappresentano il futuro. È opportuno inoltre attuare politiche per ridurre l'utilizzo da parte del cittadino della propria autovettura, optando per sistemi meno inquinanti come il car sharing, il ride sharing, il car pooling e l'utilizzo dei mezzi di trasporto pubblico. In ultimo, signor Presidente, voglio ricordare a quest'Aula che gli Stati Uniti, prima nazione al mondo per emissioni di CO2, nel giugno 2017 hanno annunciato l'uscita dall'Accordo di Parigi, Accordo firmato nel 2015 tra i maggiori Stati industrializzati e principali inquinatori di CO2 e che prevedeva azioni per la riduzione delle emissioni climalteranti; una decisione, a mio avviso, assurda. Il cambiamento climatico è e deve essere una battaglia che riguarda tutti, nessuno escluso, per questo, signor Presidente, il nostro Paese deve farsi carico di promuovere maggiormente la lotta al cambiamento climatico, allo sviluppo delle energie rinnovabili, anche e soprattutto nell'ambito delle politiche internazionali, per vincere una sfida globale che riguarda tutti noi (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ricciardi. Ne ha facoltà.

RICCARDO RICCIARDI (M5S). Signora Presidente, il cambiamento climatico c'è sempre stato, sono milioni di anni che c'è il cambiamento climatico in questo pianeta, il problema è che adesso lo stiamo accelerando in maniera irreversibile: un'unica specie umana sta portando tutto al collasso. Si parla spesso di futuro, e quando si parla di futuro sembra di parlare a generazioni che non esistono, a entità lontane, se però parliamo di cambiamento climatico adesso, e di futuro, dobbiamo andare negli ospedali dove nascono i bambini di oggi, negli asili, dove ci sono i bambini che stanno cominciando il loro percorso di vita, e dire a tutti loro che probabilmente, quando avranno la nostra età, questo mondo potrebbe non esistere più.

Questo è il futuro: non è una cosa tra secoli, tra millenni. Il Protocollo di Kyoto è stato firmato nel 1997: sembrava essere un importante passo per tutto il mondo. Da allora la situazione è peggiorata. Quindi forse bisogna capire che le domande che ci facciamo non sono poi così giuste, se le risposte che vengono sono quelle che ci dimostrano i dati. Quando si parla di campagne di sensibilizzazione nelle scuole, io mi domando quanto è efficace una campagna di sensibilizzazione nelle scuole rispetto a una campagna pubblicitaria molto glamour che dice di consumare carne con pupazzetti colorati e si capisce che gli allevamenti intensivi producono il 15 per cento dell'effetto serra di origine antropica? Qual è la proporzione e la forza che ha una campagna di sensibilizzazione rispetto a tali campagne pubblicitarie? E il problema è uno: è il sistema economico che esiste in tutto il mondo e che non è conciliabile con la tutela dell'ambiente, non è conciliabile se pensiamo, come è stato detto, che gli Stati Uniti emettono il 36,2 per cento dei gas serra presenti nell'atmosfera. Non è possibile andare allo stesso passo di questo sistema economico. Quando parliamo di incentivi, quando parliamo di efficientamento energetico, mi chiedo: chi deve pensare all'oggi o al domani, ma domani in senso vero, ossia a mettere insieme il pranzo con la cena, può pensare a rendere energeticamente efficiente la propria casa? No, non può farlo. Noi bisogna pensare che ci sono classi sociali che, per quanto si faccia sensibilizzazione, non hanno gli strumenti economici per poter inserirsi in un consumo virtuoso. Chi lo può fare il consumo virtuoso? Lo possiamo fare tutti. Una volta si diceva che se tutti facciamo un passo, il mondo cambia senza neanche che ce ne accorgiamo, cambia domani mattina. Però questo principio non è più valido e non abbiamo più tempo per fare questo discorso. Bisogna cambiare il paradigma economico a livello radicale: non è più tempo di ambientalismo riformista. Bisogna sovvertire un sistema e purtroppo il MoVimento 5 Stelle non è da solo in Italia ma è da solo in Europa perché non esiste una forza ambientalista come il MoVimento 5 Stelle al Governo di un Paese europeo. E se molti dicono che siamo nati dalla protesta, dall'indignazione, bè, io c'ero quando siamo nati: no, noi siamo nati dall'ambientalismo. Ripeto: siamo nati dall'ambientalismo e, se ora ci sono alcuni settori dell'ambientalismo che ci criticano perché magari hanno visto che in un anno non siamo riusciti a cambiare questo sistema in maniera radicale, io dico che il MoVimento 5 Stelle è da solo qui dentro. Pensiamo al TAV: o si sta con Greta o si sta con il TAV, perché il tunnel di costruzione del TAV emette un milione di tonnellate di CO2 all'anno e quindi o l'uno o l'altro (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). E noi siamo da soli: siamo da soli al Governo, siamo da soli in Europa, siamo da soli contro tutte le regioni d'Italia che negli anni hanno dato certificazione a impianti, autorizzazioni di tutti i tipi che noi oggi ci ritroviamo e non possiamo certo scavalcare istituzionalmente le regioni e dire che tali autorizzazioni sono state date in maniera un po' ballerina. Quindi, il Governo si trova contro tutti al Ministero e in Parlamento. Quindi dico agli ambientalisti: dateci fiducia per davvero perché noi siamo da soli e la sfida è difficilissima e la politica deve ritrovare un senso alto. La politica da sempre ha parlato ai posteri…

PRESIDENTE. Concluda.

RICCARDO RICCIARDI (M5S). Sì. Quindi dobbiamo davvero parlare ai posteri per entrare in quei libri di storia: il problema è che forse quei libri di storia fra qualche anno non ci saranno proprio (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole D'Ippolito. Ne ha facoltà.

GIUSEPPE D'IPPOLITO (M5S). Grazie, signor Presidente, rappresentante del Governo, colleghi deputati. La mozione in esame oggi guarda al futuro comune e riguarda un processo necessario per il pianeta: la vita, i nostri territori e la sicurezza di chi li abita.

Mi riferisco alla transizione energetica e ambientale verso uno sviluppo sostenibile e armonico sempre più sentito e voluto anche dalle nuove generazioni. Il clima sta mutando in maniera molto rapida con effetti impressionanti e l'alterazione profonda di equilibri naturali di grande importanza. Aumenta la sensibilità e la preoccupazione rispetto agli scenari del surriscaldamento globale e delle conseguenze di sistema. Da ultimo abbiamo assistito a numerose partecipate manifestazioni di giovanissimi che ai decisori politici hanno chiesto interventi immediati per fermare i cambiamenti climatici da cui derivano l'aumento della temperatura, la variazione repentina delle precipitazioni, l'innalzamento del livello del mare, l'acidificazione degli oceani e l'aggravamento delle condizioni di dissesto idrogeologico del territorio. Nella nostra mozione impegniamo il Governo, tra l'altro, al fine di promuovere campagne di sensibilizzazione, a sostenere la transizione dai combustibili tradizionali alle fonti rinnovabili; a favorire l'autoconsumo; a incentivare la realizzazione di piccoli impianti di energia pulita diffusi sul territorio; a sviluppare un modello di economia circolare; ad alimentare la cultura del riuso e del riciclo secondo la strategia rifiuti zero; a finanziare interventi per la prevenzione del rischio e la messa in sicurezza del Paese dal rischio idrogeologico. Proprio su questo ultimo aspetto ricordo che sono stati già compiuti passi significativi da parte del Ministro dell'Ambiente e del Governo: infatti ammontano a oltre 140 milioni di euro le risorse di recente destinate alle regioni Sicilia e Sardegna per fronteggiare il dissesto idrogeologico. Inoltre il Ministro Costa ha tracciato il punto politico a seguito della recente approvazione del primo programma stralcio manutenzioni per gli interventi a difesa del territorio. È la prima volta, ha spiegato il Ministro Costa, che viene approntato un programma finanziato e definito per la manutenzione del territorio. Nel merito le prime risorse disponibili ammontano a 50 milioni di euro, già a bilancio del Ministero dell'Ambiente, da utilizzare per gli interventi strutturali di manutenzione del territorio, per esempio il rimboschimento, il recupero naturalistico, la manutenzione delle opere idrauliche e forestali con particolare attenzione al reticolo idrografico minore e al territorio montano. Tali risorse vanno inquadrate nell'ambito di una programmazione complessiva di lungo periodo di oltre 6 miliardi destinati al contrasto del dissesto idrogeologico. Il Ministero è già operativo verso l'orizzonte cui si rivolge la nostra mozione e per la prima volta in Italia c'è una tale fermezza e lungimiranza in materia di dissesto idrogeologico. Non riporto per brevità i dati ISPRA già citati dalla collega Licatini ma sono tutti dati impressionanti: il numero di frane, il numero di comuni colpiti da pericolosità idraulica, i comuni interessati dal dissesto, le famiglie interessate dal dissesto, i beni culturali interessati dal rischio alluvioni.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

GIUSEPPE D'IPPOLITO (M5S). Per concludere, tra le regioni che sono colpite da tutti questi rischi, nessuno escluso, anzi con l'aggiunta del rischio sismico, vi è proprio la mia Calabria destinata a diventare un vero e proprio laboratorio a cielo aperto in scala 1 a 1 sugli effetti del riscaldamento globale e del cambiamento climatico. Signora Presidente, concludo rilevando come la fotografia di questi dati ci aiuta a renderci conto di come sia necessario proseguire sulla strada indicata dal Ministro verso la quale ci muoviamo con la piena contezza delle sfide politiche urgenti correlate al fenomeno del cambiamento climatico (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Intervento del Governo)

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il sottosegretario di Stato per l'Ambiente e la tutela del territorio e del mare.

SALVATORE MICILLO, Sottosegretario di Stato per l'Ambiente e la tutela del territorio e del mare. Grazie Presidente, solo per ringraziare i tanti deputati che oggi hanno finalmente messo al centro della discussione dei temi fondamentali: i cambiamenti climatici, il dissesto idrogeologico, l'economia circolare, il disegno di legge “salva mare” che, a breve, vedrà la luce. Tutto ciò, solo per far capire che questi temi sono propri del Governo, sono priorità del Governo e sono priorità, a quanto sento, anche del Parlamento intero. Esserci candidati alla COP 26 nel 2020 significa mettere insieme tutte queste priorità e farle diventare finalmente una discussione, che non riguarda soltanto, ovviamente, l'Italia, ma il mondo intero, perché non siamo soli e questo dibattito si affronta tutti quanti insieme. Esserci candidati appunto nel 2020 a COP 26 significa essere finalmente protagonisti e non più al traino di qualcun altro (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione della mozione Mandelli ed altri n. 1-00085 concernente iniziative volte a sostenere la candidatura di Milano a sede di sezione specializzata del Tribunale unificato dei brevetti (ore 17,20).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Mandelli ed altri n. 1-00085 concernente iniziative volte a sostenere la candidatura di Milano a sede di sezione specializzata del Tribunale unificato dei brevetti (Vedi l'allegato A).

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione della mozione è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (Vedi calendario).

Avverto che sono state presentate le mozioni Lollobrigida ed altri n. 1-00156, Molinari e D'Uva n. 1-00157 e De luca ed altri n. 1-00159 (Vedi l'allegato A) che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente. I relativi testi sono in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.

È iscritto a parlare il deputato Pierantonio Zanettin, che illustrerà anche la mozione Mandelli ed altri n. 1-00085, di cui è cofirmatario.

PIERANTONIO ZANETTIN (FI). Presidente, la ringrazio per la parola. Onorevole rappresentante del Governo, onorevoli colleghe e onorevoli colleghi, l'articolo 118 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea dispone che il Parlamento europeo e il Consiglio stabiliscano le misure per la creazione di titoli europei, al fine di garantire una protezione uniforme dei diritti di proprietà intellettuale nell'Unione e per l'istituzione di regimi di autorizzazione e di controllo centralizzati, deliberando in materia mediante regolamenti, anche con riferimento ai regimi linguistici che si applicano ai titoli brevettuali europei.

Sulla base di tali previsioni sono stati adottati il regolamento n. 1257/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento n. 1260/2012 del Consiglio del 17 dicembre 2012. Tali atti normativi si coordinano con l'Accordo sulla creazione del Tribunale unificato dei brevetti, detto anche TUB, firmato il 19 febbraio 2013 da venticinque Stati membri, tutti tranne Polonia e Spagna, mentre la Croazia non faceva all'epoca ancora parte dell'Unione europea, ratificato e reso esecutivo in Italia dalla legge 3 novembre 2016, n. 214. Tale Accordo, che è un trattato multilaterale connesso, ma non facente parte del diritto europeo, oltre a prevedere norme di diritto sostanziale sul brevetto europeo, introduce anche norme processuali, istituendo una giurisdizione comune per tutti i Paesi partecipanti all'Accordo, con competenza esclusiva sulle azioni di violazione, contraffazione, revoca, accertamento di nullità o non violazione dei diritti e dei brevetti europei.

L'introduzione del brevetto unitario, che sarà immediatamente efficace nei 25 Stati membri dell'Unione europea, è subordinata alla ratifica dell'Accordo in almeno 13 Paesi dell'Unione europea. Finora, hanno completato l'iter di ratifica e depositato lo strumento di ratifica 16 Paesi dell'Unione europea, mentre altri sono a buon punto, lasciando prefigurare un avvio del nuovo sistema con una ventina di Paesi dell'Unione europea. La ratifica dell'Accordo da parte di Francia, Germania e Regno Unito è condizione necessaria per l'entrata in vigore dell'Accordo stesso. La Germania ha completato l'iter parlamentare di ratifica, ma la Corte costituzionale federale tedesca ha chiesto al Presidente della Repubblica di sospendere la firma della legge di ratifica in attesa di un pronunciamento in merito a una eccezione di costituzionalità sollevata da un mandatario tedesco.

Al momento, risulta difficile definire un calendario per l'avvio del sistema del brevetto unitario e del TUB, ma si presume che tale avvio non potrà avvenire prima della metà del 2019. L'Italia, a sua volta, ha completato tutti gli adempimenti necessari all'avvio del TUB.

Il 10 febbraio 2017 ha depositato lo strumento di ratifica dell'Accordo presso il segretariato generale del Consiglio, il 20 febbraio 2017 ha firmato il protocollo per l'applicazione provvisoria, il 20 aprile 2018 ha depositato lo strumento di ratifica del protocollo sui privilegi e le immunità, infine, con il decreto legislativo 19 febbraio 2019 n. 18, è stato modificato il nostro codice della proprietà industriale, per adeguarlo alla nuova realtà in materia di diritti conferiti dal brevetto europeo, alla preminenza del brevetto europeo in caso di cumulo delle protezioni e per predisporre un regime transitorio verso il diritto ed il brevetto europeo, al fine di garantire l'applicazione della legislazione italiana alle cause riguardanti il brevetto europeo rilasciato per l'Italia pendenti fino alla data di entrata in vigore dell'Accordo e a quelle promosse dopo l'entrata in vigore dell'Accordo davanti all'autorità giudiziaria italiana.

Sebbene il TUB non faccia parte delle istituzioni dell'Unione europea, poiché frutto di un accordo multilaterale fra i Paesi aderenti, l'Accordo istitutivo prevede che il Tribunale applica il diritto dell'Unione nella sua integralità, ne rispetta il primato e coopera con la Corte di giustizia dell'Unione europea per garantire la corretta applicazione e l'interpretazione uniforme del diritto dell'Unione. L'eventuale mantenimento a Londra di una sezione della divisione centrale del Tribunale, nonostante dalla Brexit non derivino conseguenze automatiche per il TUB, potrebbe manifestare alcune anomalie nel quadro delle future relazioni tra l'Unione europea e il Regno Unito.

Il negoziato per la realizzazione di una protezione brevettuale europea ha subìto diverse battute di arresto; ampiamente dibattuti sono stati i temi della tutela giurisdizionale e, soprattutto, del regime di traduzione linguistica dei brevetti. La posizione dell'Italia, inizialmente indisponibile ad accettare il trilinguismo, inglese, francese e tedesco, previsto dai regolamenti e dell'Accordo istitutivo, è successivamente mutata, conducendo il 2 luglio 2015 all'adesione, alla cooperazione rafforzata e all'avvio del processo di ratifica dell'Accordo stesso alla luce degli interessi nazionali. Si è infatti ritenuto che l'adesione alla cooperazione rafforzata consenta agli operatori innovativi italiani che puntano all'internalizzazione di avvalersi dei brevetti europei con effetto unitario. Con la ratifica dell'Accordo, infatti, l'effetto unitario, grazie al quale i brevetti avranno efficace protezione in tutti gli Stati parte della cooperazione rafforzata, e la competenza del TUB si estendono anche all'Italia, con ricadute positive sulla sua attrattività verso investimenti esteri ad elevato contenuto di innovazione. Attualmente, le imprese italiane, non avendo la possibilità di avvalersi del sistema di brevetto unitario, possono accedere solo ad una protezione brevettuale nazionale in Italia e in ciascuno degli altri Paesi membri dell'Unione europea, con costi a carico delle imprese stimati in oltre 9 milioni di euro annui.

L'analisi di impatto della Commissione europea, richiamando un'analisi di impatto dell'EPO, European Patent Office, sugli effetti del sistema brevettuale unitario, evidenzia che il brevetto valido nei 28 Stati membri costa circa 36 mila euro, di cui 23 mila euro solo per costi di traduzione. L'avvio del brevetto unitario conduce a un risparmio evidente di circa il 70 per cento dei costi richiesti per la validazione di un brevetto per 20 anni nei 25 Paesi aderenti al progetto. Il nuovo sistema consente, infatti, la registrazione di un brevetto unitario presso l'Ufficio europeo dei brevetti, da cui discende una protezione uniforme in tutta l'Unione europea, garantendo alle imprese la possibilità di depositare, tramite un'unica procedura, un titolo di proprietà intellettuale valido in tutti i Paesi membri, con evidenti risparmi in termini di costi vivi e burocratici.

In ogni caso, la questione del trilinguismo è rimasta aperta nelle risoluzioni sulla partecipazione dell'Italia al sistema brevettuale europeo, approvate dal Parlamento nella scorsa legislatura. Si è impegnato il Governo a promuovere e a tutelare, per quanto di competenza, il multilinguismo in tutte le sedi decisionali dell'Unione europea, in coerenza con le previsioni dei trattati e con i principi di democraticità delle istituzioni dell'Unione. È di tutta evidenza che insediare una delle sedi del TUB a Milano, come richiesto dalla mozione Mandelli che stiamo discutendo oggi, favorirebbe questa prospettiva. Il brevetto unico europeo riveste una particolare rilevanza per il lavoro di ricerca delle imprese e dei centri universitari italiani, nonché dei professionisti italiani, per cui un sistema di mediazione e di gestione delle controversie legali a livello unificato, sistema dal quale in precedenza gli operatori economici italiani erano esclusi, potrebbe apportare grandi benefici. Lo European patent system è un'opportunità per le nostre imprese, soprattutto per quelle che innovano. Il sistema imprenditoriale italiano è incline alla creazione e all'invenzione. L'Italia, infatti, è il quarto Paese europeo per numero di brevetti depositati annualmente, per una quantità superiore al 10 per cento del totale europeo di 1,8 milioni di brevetti depositati.

L'Italia è stata il Paese in cui si è registrata, negli ultimi anni, la crescita più elevata delle richieste di brevetto rispetto a tutta l'Unione europea, pari al 4,3 per cento, contro una media del 2,6, e si evidenzia una tendenza positiva che si conferma per il terzo anno consecutivo. Dalla Lombardia proviene il maggior numero di richieste italiane di registrazione di brevetti all'Ufficio europeo di competenza. Infatti, solo nel 2017 sono state 1.424 le domande presentate, ma le domande di brevetto sono anche numerose nel nordest del Paese. La Lombardia si posiziona al dodicesimo posto in Europa nella classifica delle richieste di brevetti. Secondo il report annuale delle statistiche relative alle domande di brevetto ricevute e ai brevetti concessi dallo European Patent Office, in Italia i settori tecnologici più attivi nei nuovi brevetti sono: movimentazione, sistemi di trasporto e container, trasporti e tecnologia medicale. Tuttavia, la crescita più accentuata tra tutti i settori tecnologici italiani è quella proveniente dai cosiddetti “sistemi di misurazione” - più 31 per cento - seguita da macchine tessili e della carta - 23 per cento - e dal farmaceutico (18 per cento).

Il TUB, che sostituirà gradualmente le giurisdizioni nazionali per le controversie in materia brevettuale, si articolerà su due livelli: il tribunale di primo grado e la corte d'appello, cui si affiancherà la cancelleria. In particolare, per il tribunale di primo grado sono previste diverse divisioni in diversi Stati membri. Le divisioni centrali dovrebbero avere sede a Londra, Parigi e Monaco di Baviera. In particolare, sotto la giurisdizione della sezione distaccata di Londra dovrebbero ricadere le dispute legate alla chimica e alle scienze biologiche, mentre a Monaco di Baviera saranno assegnati i casi relativi all'ingegneria meccanica, mentre nella competenza della sede centrale di Parigi rientreranno tutti gli altri casi. La corte d'appello avrà invece sede in Lussemburgo.

Alla luce dell'esito del referendum britannico la mozione in esame chiede di sostenere concretamente la candidatura di Milano, già sede di una divisione locale del tribunale unificato brevetti, e in possesso di tutti i requisiti logistici e delle competenze giurisdizionali, professionali e imprenditoriali, a sede della sezione specializzata sulle controversie in tema di metallurgia e chimica farmaceutica. Quanto ai benefici che potrebbero derivare alla città di Milano per tale assegnazione, un delicato e dettagliato report del 2012, realizzato da FTI per conto della The City of London Law Society, ha stimato tra 569 milioni e 1.968 milioni di sterline per anno le perdite dirette dell'indotto per l'economia inglese qualora la sede distaccata fosse collocata al di fuori della Gran Bretagna. Rammentiamo che la città di Milano e la regione Lombardia hanno già individuato una sede di 850 metri quadrati in via Barnaba 50.

Questo era avvenuto anche nella sfortunata vicenda dell'assegnazione dell'Agenzia europea del farmaco, poi assegnata ad Amsterdam. Una sede lombarda per l'EMA era già pronta, mentre quella olandese è ancora in costruzione e i costi a carico dell'Unione sono lievitati già del 34 per cento. Il trasferimento da Londra ad Amsterdam dell'Agenzia europea del farmaco non si sta rivelando una passeggiata, come pure le istituzioni olandesi continuano a far credere. A farne le spese potrebbe essere l'operatività immediata dell'EMA, come la stessa ha denunciato pubblicamente pochi mesi fa. Secondo la stessa EMA la collaborazione a livello internazionale sarà temporaneamente ridimensionata per concentrarsi principalmente sulle richieste relative ai prodotti e sull'integrità della catena di approvvigionamento. L'impegno dell'EMA in altre questioni di salute pubblica globale sarà rivisto caso per caso.

Nel febbraio 2019 il Governo italiano ha deciso di ricorrere contro l'assegnazione dell'EMA ad Amsterdam, cioè contro il regolamento (UE) 2018/1718 che stabilisce la collocazione della nuova sede. La decisione di impugnare la decisione del Regolamento UE - ha spiegato la Farnesina nel suo comunicato - riflette e si ricollega al ricorso presentato un anno fa dall'Italia, che è ancora pendente alla Corte di giustizia dell'Unione europea. È opportuno che il Governo persegua fortemente tale decisione, anche perché un'azione concertata su entrambi i fronti può facilitare l'assegnazione di almeno una delle due sedi. L'assegnazione all'Italia di una sezione della divisione TUB servirebbe di raccordo dando maggiore coesione tra nord e sud Europa.

Per questi motivi Forza Italia ha presentato questa mozione, che sosteniamo con convinzione e impegno. Non dobbiamo, quindi, lasciarci sfuggire questa occasione di crescita e di sviluppo del Paese e per questo Forza Italia ha presentato questa mozione, che stiamo discutendo oggi in quest'Aula, con l'auspicio che il Governo sappia coglierne il valore.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Zucconi, che illustrerà la mozione Lollobrigida ed altri n. 1-00156, di cui è cofirmatario.

RICCARDO ZUCCONI (FDI). Grazie, signor Presidente. L'argomento è particolarmente importante, infatti è stato detto tante volte in quest'Aula che la questione della tutela dei brevetti e del know-how per una nazione come l'Italia è essenziale; per questo abbiamo presentato questa mozione. Premetto che l'Unione europea ha adottato i regolamenti nn. 1257 e 1260, entrati in vigore il 20 gennaio 2013, con cui si è istituita una tutela brevettuale unitaria e definito il regime di traduzione applicabile, e che la questione di tutela dei brevetti si è recentemente, lato sensu, riproposta anche in occasione dei dibattiti sull'approvazione del Memorandum per la “Via della Seta”. Segnalo altresì che laddove, poi, si richieda un'azione, come è stato fatto in quell'occasione, non si possano poi proporre discriminazioni nell'ambito UE. In altre parole, quando si chiede di adoperarsi e di agire in modo contestuale agli altri Paesi dell'Unione europea, non si possono poi proporre discriminazioni da una parte (cioè da una parte si chiede un comportamento e dall'altra poi.su ciò credo che il fatto di Amsterdam sia abbastanza indicativo, ma ci torneremo). Ricordo, inoltre, che il 19 febbraio 2013 è stato firmato a Bruxelles l'Accordo istitutivo del tribunale unificato dei brevetti - da qui in avanti TUB -, secondo cui il tribunale sarebbe diventato operativo soltanto previa ratifica da parte della Francia, del Regno Unito e della Germania, ossia dei tre Stati membri che nell'anno successivo alla ratifica hanno depositato il maggior numero di brevetti europei.

Ad oggi sono sedici gli Stati membri che hanno ratificato l'Accordo e, dei tre la cui adesione è vincolante, la Francia ha ratificato l'Accordo poco dopo la firma, mentre la ratifica da parte del Regno Unito è avvenuta solo il 26 aprile 2018; la legge di ratifica tedesca è tuttora sospesa a causa di un ricorso costituzionale. Siamo però in una fase dove per vari motivi è ancora possibile fare una forte trattativa in merito.

Il TUB rappresenterà il foro competente per la risoluzione delle dispute sulla contraffazione e per le cause di revoca o annullamento dei brevetti. La struttura sarà costituita dal registro, dalla corte di prima istanza, a sua volta suddivisa in divisioni centrali, locali e regionali, e infine dalla corte di appello.

Secondo l'Accordo le divisioni centrali dovrebbero avere sede a Parigi, Londra e Monaco di Baviera, mentre la corte di appello avrà sede in Lussemburgo. In particolare, sotto la giurisdizione della sezione distaccata di Londra dovrebbero ricadere le dispute legate alla chimica e alle scienze biologiche - codici A e C della classificazione internazionale dei brevetti - mentre a Monaco di Baviera saranno assegnati i casi relativi all'ingegneria meccanica; nella competenza della sede centrale di Parigi rientreranno tutti gli altri casi.

L'Italia ha adottato tutti gli atti di competenza nazionale relativi al TUB ed è pronta a partire la divisione locale italiana che sarà a Milano presso una sede di 850 metri, ubicata in via San Barnaba 50.

A seguito del processo di fuoriuscita del Regno Unito dall'Unione europea, Brexit, si rende necessario individuare, a nostro avviso, una diversa sede sul territorio di un altro Stato membro. Va tenuto conto che l'Italia è il quarto Stato europeo per numero di brevetti depositati annualmente, per una quantità superiore al 10 per cento del totale europeo, di 1,8 milioni, a testimonianza della forte vocazione del nostro sistema industriale all'innovazione e alla creatività, essendo stato il criterio quantitativo sempre determinante per la scelta della sede principale e delle due sezioni della stessa sede principale, con relativa ripartizione di competenze per materia. Per tali ragioni l'Italia e Milano in modo particolare, la cui vocazione nelle materie di competenza della suddetta sezione del TUB è internazionalmente riconosciuta, risultano senza possibilità di smentita la sede naturale di questa sezione del TUB.

A ciò si aggiunge, inoltre, il dato che la sede individuata per la divisione locale di Milano per dimensioni e caratteristiche strutturali risulterebbe adeguata anche nell'ipotesi di assegnazione di una sezione specializzata della divisione centrale del tribunale e che tale richiesta, già formulata dal precedente Governo, deve ora trovare un rinnovato slancio, anche a seguito della mancata assegnazione all'Italia e a Milano della sede dell'Agenzia europea del farmaco (EMA) assegnata ad Amsterdam per sorteggio e ivi mantenuta nonostante i lunghissimi ritardi connessi alla predisposizione della sede fisica indicata nel dossier. Inoltre si aggiunge che il Regno Unito ritiene invece di voler mantenere sul proprio territorio tale sede, opponendo la natura di trattato multilaterale dell'Accordo sul Tribunale unificato ed il già avvenuto deposito dello strumento di ratifica. Tenuto conto di contro che è bene ribadire che il Tribunale unificato dei brevetti è chiamato ad applicare il diritto europeo, e i giudici della sezione, nonché gli avvocati e i consulenti costituiti nei giudizi, dovranno essere cittadini dell'Unione europea, e appare quindi irricevibile la richiesta britannica di mantenimento della sezione a Londra. Tutto ciò premesso Fratelli d'Italia vuole impegnare il Governo ad attivarsi con decisione in tutte le sedi competenti e in concomitanza con i negoziati finali sulla Brexit per ottenere l'assegnazione all'Italia e alla città di Milano della sezione distaccata del Tribunale unificato dei brevetti in tema di metallurgia, scienze biologiche e chimica farmaceutica, ad oggi assegnati a Londra.

In conclusione, noi abbiamo letto anche la mozione della maggioranza, e ci auguriamo che, a fronte della scarsa e conclamata incapacità di questo Governo a gestire le necessarie alleanze nell'ambito dell'Unione europea, si riesca ad operare unitariamente per il raggiungimento invece di questo importante risultato nazionale.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Sensi, che illustrerà anche la mozione De Luca ed altri n. 1-00159, di cui è cofirmatario.

FILIPPO SENSI (PD). Presidente, mi permetto, se lei lo consente, di illustrare la mozione con la quale il gruppo del Partito Democratico si impegna a sostenere la candidatura di Milano a sede della sezione specializzata delle controversie in materia di metallurgia, life sciences e chimica farmaceutica del Tribunale unificato dei brevetti, sezione al momento assegnata a Londra.

Viviamo giorno per giorno i palpiti e le angustie nelle quali la sciagurata decisione dell'allora Governo conservatore britannico di sottoporre a referendum la Brexit dall'Unione europea ha precipitato il Paese: angustie che dopo oltre mille giorni da quel voto non solo non sono finite, ma nei prossimi giorni, se possibile, si intensificheranno, oggi stesso, con conseguenze assai gravi non solamente sul Regno Unito, ma su tutti i Paesi dell'Unione, Italia compresa. De te fabula narratur, verrebbe quasi da dire, Presidente, pensando alle rovinose conseguenze che spesso scaturiscono da decisioni che vorrebbero tutelare in maniera propagandistica prima gli inglesi, o traduco, prima gli italiani, e che finiscono per essere l'esatto contrario: un atto di autolesionismo da incubo, che ha danneggiato e danneggia per primi gli inglesi, per primi gli italiani, che avrebbe voluto difendere. Non si fidi, Presidente, di chi promette scorciatoie e anni bellissimi, l'abolizione della povertà o tasse talmente piatte da essere rimaste a terra, e la fatica del Governo non sia un'esimente, una scusa, un pretesto per chi ha così tanto promesso, così poco realizzato; talmente poco da riprovarci con le stesse identiche promesse, disattese, al prossimo giro di giostra elettorale di qui a due mesi scarsi.

Tra le conseguenze non secondarie di questo divorzio, i cui estremi devono ancora essere negoziati nel dettaglio ed in corsa, c'è tuttavia anche la riallocazione di agenzie ed organismi di stanza a Londra, che (vedremo quanto consensuale sarà questa separazione) saranno redistribuite tra le città dell'Unione. Come già successo per l'Agenzia del farmaco, che, solo per un disgraziato insulto del caso, sfuggì qualche mese fa all'assegnazione alla migliore sede candidata, Milano: come diceva il leggendario Freak Antoni (chiedo licenza, Presidente), la fortuna è cieca ma la sfiga ci vede benissimo.

Niente affatto sfiduciati da quello scacco torniamo a proporre Milano come sede del Tribunale unificato dei brevetti, disciplinato da un Accordo istitutivo promulgato dal Parlamento e dal Consiglio dell'Unione europea il 17 dicembre 2012, e ratificato dall'Italia con la legge n. 214 del 3 novembre 2016. Ricordo, Presidente, che la legge n. 201 del 2017, del 4 dicembre 2017, ha inoltre ratificato il protocollo sui privilegi e le immunità del Tribunale unificato dei brevetti, necessario per conferire ad esso uno status giuridico in territorio italiano; ratifiche che sono arrivate nel corso della passata legislatura, dopo anni di ritardi, ed hanno dato piena attuazione agli accordi sul Tribunale unificato dei brevetti.

Come funziona il tribunale? Si articola su due livelli; non vorrei annoiarvi, ma è importante illuminarne l'organizzazione interna, con il tribunale di primo grado e la corte d'appello cui si affianca la cancelleria. Per il tribunale di primo grado sono previste diverse divisioni: la divisione centrale, con sede a Parigi e sezioni specializzate a Londra per i brevetti chimici e farmaceutici e a Monaco per i brevetti meccanici; e le divisioni locali o regionali.

Le divisioni locali sono istituite presso ciascuno Stato contraente su sua richiesta. Sono considerate large division, per volume di affari, quelle istituite in Francia, Germania, Italia, Gran Bretagna e Olanda; small division quelle dei rimanenti Stati contraenti. Le divisioni regionali sono invece istituite tra due o più Paesi, e destinate a trattare casi di diversa localizzazione entro la regione di competenza che può riguardare anche Paesi non confinanti tra loro: per adesso c'è solo una corte regionale baltica per Svezia, Estonia, Lituania e Lettonia, ed un'altra per Bulgaria e Romania. Fin qui il tribunale di primo grado.

La corte d'appello sarà unica, e avrà sede in Lussemburgo. Presso la corte d'appello vi è inoltre il registry, la cancelleria, con sottosezioni nelle varie divisioni locali. È previsto anche un centro di mediazione ed arbitrato che avrà sede a Lisbona.

Badi bene, Presidente, che il Tribunale unificato non rientra nell'architettura istituzionale dell'Unione europea: è un organismo definito da un Accordo intergovernativo tra 25 Stati membri dell'Unione, ma ad oggi non ha ancora iniziato a funzionare perché mancante della ratifica da parte della Germania, come ricordavano i colleghi. Per l'entrata in vigore dell'Accordo è infatti necessaria la ratifica di almeno 13 Stati firmatari, inclusi i 3 con il maggior numero di brevetti europei, cioè Germania, Francia e Regno Unito. Nel testo dell'Accordo, inoltre, che determina anche le varie sedi del Tribunale, è menzionata esplicitamente la capitale britannica: di conseguenza il futuro della sezione di Londra richiede una revisione dell'Accordo stesso all'unanimità.

Tornando ai rilievi fatti in apertura di intervento, le complesse vicende relative all'entrata in vigore della Brexit, indipendentemente dalle sue condizioni di applicazione, al momento in corso di definizione, pongono il problema della sede centrale nella capitale britannica. È comunque compito del Tribunale l'applicazione del diritto comunitario in materia, per cui il mantenimento della sede londinese risulterebbe perlomeno incongruo, diciamo così.

A Milano, Presidente (le do questa notizia), è già stata individuata una sede prestigiosa, ampia e perfetta alla bisogna come sede della divisione locale del Tribunale; e sottolineo che la sede assegnata alla divisione locale risulterebbe, per dimensioni e caratteristiche strutturali, adeguata anche nell'ipotesi di assegnazione di una sede specializzata della divisione centrale del Tribunale unificato, quale quella attualmente stabilita a Londra, in particolare in materia chimica e farmaceutica.

Ricordo in conclusione che con il venir meno della Gran Bretagna dal mazzo europeo, l'Italia dall'attuale quarto posto passerebbe al terzo per numero di brevetti presentati annualmente, con una percentuale superiore al 10 per cento sul totale europeo di 1,8 milioni. Ce n'è d'avanzo, insomma, Presidente, per impegnare il Governo a sostenere in tutte le sedi competenti la candidatura di Milano quale sede della sezione specializzata delle controversie in tema di metallurgia, life sciences e chimica farmaceutica del Tribunale unificato dei brevetti, al momento assegnata a Londra; e a concludere quanto prima l'accordo per la sede locale con le autorità comunitarie competenti, al fine di dimostrare l'effettiva capacità dello Stato italiano di tenere fede agli impegni presi (giuro, Presidente, non citerò la TAV), premessa indispensabile per l'assegnazione della sezione centrale specializzata. Questo è l'auspicio e l'impegno per Milano che, a nome del Partito Democratico, le consegno perché ne faccia tesoro (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Rizzone. Ne ha facoltà.

MARCO RIZZONE (M5S). Presidente, onorevoli colleghi, la mozione Mandelli di cui discutiamo oggi tratta un tema in realtà già sollevato molte volte dal MoVimento 5 Stelle in questa sede istituzionale. Il 9 gennaio scorso in X Commissione, in seno all'Atto n. 56 della Camera inerente lo schema di decreto legislativo per l'adeguamento, il coordinamento ed il raccordo della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento dell'Unione europea n. 1257 del 2012, relativo all'attuazione di una cooperazione rafforzata nel settore dell'istituzione di una tutela brevettuale unitaria, e alle disposizioni dell'Accordo su un Tribunale unificato dei brevetti, io stesso, da relatore di maggioranza, ho indicato nelle premesse al parere l'auspicio che si possa arrivare all'assegnazione all'Italia della sede del Tribunale unificato dei brevetti, che attualmente spetta al Regno Unito.

Nella seduta n. 114 del 25 gennaio, sempre a nome del MoVimento 5 Stelle, i colleghi Angela Ianaro e Riccardo Olgiati hanno presentato un'interpellanza urgente al Governo, la n. 2-00237, in ordine alla promozione della candidatura di Milano quale sede della sezione della divisione centrale del Tribunale unificato dei brevetti (TUB) oggi assegnata a Londra. In tale occasione il sottosegretario per gli affari esteri e la cooperazione internazionale, Ricardo Antonio Merlo, ha già preannunciato l'impegno del Governo a fare il possibile per ottenere il trasferimento del TUB in Italia, sostenendo la candidatura di Milano.

Sempre sullo stesso tema è inoltre già prevista la discussione nelle Commissioni III e X della risoluzione n. 7-00077, cofirmata dal sottoscritto, insieme ai colleghi della Lega, Simone Billi e Giorgia Andreuzza, a conferma della compattezza della maggioranza e del vivo interesse della stessa per l'argomento.

Ciò premesso, cerchiamo di capire meglio il contesto in cui tutti questi atti si collocano, onde individuare meglio le finalità e le prospettive. Partiamo sottolineando l'importanza della tutela dei marchi e dei brevetti. Come sapete, il MoVimento 5 Stelle è molto attento ai temi dell'innovazione tecnologica e della tutela del made in Italy e intende attuare una politica volta a favorire l'attività di impresa. La tutela dei brevetti e dei marchi è fondamentale per le imprese italiane, in particolar modo per le piccole e medie imprese. L'attribuzione di diritti di proprietà intellettuale infatti consente alle nostre aziende di proteggere i risultati degli investimenti in ricerca, permette un più facile accesso alle risorse finanziarie e dà la possibilità di valorizzare il proprio know-how, traendone un vantaggio economico, con significative ricadute su tutto l'ecosistema produttivo e sociale. Siamo convinti che la crescita economica del Paese passi anche da qui e riteniamo pertanto importante che, su tutto ciò che ruota intorno a questi temi, il Governo ponga la massima attenzione. Brevettare in Europa: vediamo di fare un po' il quadro della situazione; per proteggere un'invenzione in Europa, oggi si possono utilizzare i singoli brevetti nazionali, concessi dalle autorità nazionali, in Italia dall'Ufficio italiano brevetti e marchi, oppure si può chiedere con un'unica domanda un brevetto europeo, concesso centralmente dall'Ufficio dei brevetti europeo (EPO), che riunisce i 28 Stati membri dell'UE e altri 10 Paesi firmatari della Convenzione sul brevetto europeo. Dovendo tuttavia essere convalidato in ogni Stato in cui si vuol far valere, il brevetto europeo rimane uno strumento potenzialmente molto costoso. I requisiti di convalida infatti sono diversi da Paese a Paese e possono portare ad ingenti spese dirette e indirette, come ad esempio i costi di traduzione o le tasse di rinnovo nazionali, che aumentano al crescere del numero di Paesi in cui si convalida. Il fatto che un brevetto, valido nei 28 Stati membri dell'Unione europea, costi circa 36 mila euro, di cui 23 mila solo per le traduzioni, induce molti a brevettare le proprie invenzioni soltanto in pochi Paesi, esponendole così maggiormente al rischio di essere copiate. Inoltre, non esistono attualmente una procedura centralizzata di mantenimento in vita del brevetto, né rimedi giurisdizionali in caso di controversia, che rimangono quindi di competenza nazionale. Il legislatore ha dunque cercato di ovviare a queste problematiche attraverso una serie di interventi, tra cui l'istituzione del brevetto europeo con effetto unitario, al fine di aumentare la competitività degli attori economici europei che fanno della ricerca scientifica e dell'innovazione il loro punto di forza. Andiamo verso dunque il brevetto unitario europeo, ma si tratta di una strada tortuosa. Il brevetto unitario consentirà al titolare di ottenere automaticamente, con una sola procedura centralizzata, una protezione brevettuale uniforme in tutti i 26 Paesi membri dell'Unione Europea partecipanti alla cosiddetta cooperazione rafforzata, senza la necessità quindi di ottenere la convalida in ciascun Paese. Il brevetto unitario non sostituirà, ma si affiancherà, alla tutela brevettuale nazionale ed europea esistente. Evidenti sono i vantaggi dello snellimento delle pratiche burocratiche in termini economici; secondo le istituzioni europee, infatti, i costi di traduzione e amministrativi dovrebbero ridursi di circa l'80 per cento, con una singola tassa annuale di rinnovo da corrispondere direttamente all'Ufficio europeo dei brevetti, al posto delle numerose tasse di rinnovo da pagare ai diversi uffici nazionali. L'introduzione del brevetto unitario europeo costituisce dunque un grande miglioramento in termini politici, giuridici e pratici, tuttavia l'iter di attivazione sembra essere una corsa a ostacoli. Il brevetto unitario sarà operativo soltanto dopo l'entrata in vigore dell'accordo istitutivo del tribunale unificato dei brevetti (TUB), ovvero quando quest'ultimo sarà ratificato da almeno 13 Stati membri, tra cui Germania, Gran Bretagna e Francia, i tre Paesi europei in cui si depositano più brevetti. Allo stato attuale sono sedici i Paesi che l'hanno ratificato, tra cui l'Italia e la Francia. Il processo di ratifica sta registrando dei ritardi in alcuni Stati membri aderenti; in particolare, in Germania la firma della legge di ratifica da parte del Presidente della Repubblica è stata bloccata dalla Corte Costituzionale Federale, a seguito di un'eccezione di costituzionalità sollevata da un privato cittadino. Anche il recesso del Regno Unito dalla UE, la cosiddetta Brexit, sta rallentando l'iter, in quanto sono sorti seri dubbi se uno Stato non membro dell'Unione europea possa essere un Paese contraente dell'accordo sul TUB. Andiamo a vedere un attimo la panoramica delle sedi del TUB; il tribunale unificato dei brevetti è infatti un nuovo tribunale sovranazionale specializzato nelle controversie in materia di brevetti, è istituito sulla base di un accordo multilaterale sottoscritto da 25 Stati membri dell'Unione europea, con lo scopo principale di ridurre i costi delle litigation e assicurare che il sistema brevettuale europeo funzioni più efficacemente.

Esso avrà un'ampia ed esclusiva competenza di tutela ad effetto unitario e, nei casi di violazione e di convalida dei brevetti europei, consentirà di tutelare le idee depositate in tutti i Paesi UE aderenti all'accordo, anziché Paese per Paese, con un notevole risparmio di tempo e di denaro. Una volta operativo, dunque, il tribunale unificato dei brevetti sarà investito di un crescente numero di dispute legali, diventando uno dei massimi tribunali di tutela della proprietà intellettuale a livello internazionale, sostituendo gradualmente le giurisdizioni nazionali per le liti relative ai brevetti. È dunque facile capire come la localizzazione delle sedi possa avere risvolti economici positivi da tenere seriamente in considerazione. Il tribunale unificato dei brevetti si articola su due livelli: il tribunale di primo grado e la Corte d'Appello, cui si affianca la cancelleria. Per il tribunale di primo grado sono previste diverse divisioni: la divisione centrale, articolata in tre sedi (Parigi, Monaco di Baviera, per i brevetti meccanici, e Londra per i brevetti chimici e farmaceutici) e poi ci sono le divisioni locali o regionali. Le divisioni locali sono istituite presso ciascuno Stato contraente su sua richiesta. L'Italia ha adottato tutti gli atti di competenza nazionale necessari ed è dunque pronta a far partire la divisione locale italiana già prevista a Milano. Tale sede, per dimensioni e caratteristiche strutturali, risulterebbe adeguata anche nell'ipotesi di assegnazione di una sezione specializzata della divisione centrale del tribunale unificato dei brevetti. Per quanto riguarda le divisioni regionali, per il momento, sono state istituite solo una Corte regionale baltica per Svezia, Estonia, Lituania e Lettonia e un'altra per Bulgaria e Romania. La Corte d'appello sarà unica e avrà sede in Lussemburgo. Presso la Corte d'Appello vi è la cancelleria, con sottosezioni nelle varie divisioni locali. È previsto poi anche un centro di mediazione e arbitrato che avrà sede a Lisbona. In Italia ancora niente. Arriva la Brexit e non tutti i mali vengono per nuocere. È chiaro infatti che, se da un lato, la cosiddetta Brexit costituisce un duro colpo per l'Europa, di cui ci rammarichiamo, dall'altro, essa può diventare per l'Italia un'occasione, un'occasione per iniziare a recuperare quella centralità nel contesto europeo, che aveva in origine come Paese fondatore. La richiesta di spostare la sede del tribunale unificato dei brevetti da Londra a Milano rientra dunque in questa logica. Se si esclude il Regno Unito, l'Italia è il terzo Paese europeo per numero di brevetti depositati annualmente, oltre il 10 per cento del totale europeo. Tra i criteri di attribuzione delle tre sedi della divisione centrale previsti dall'accordo, il parametro quantitativo è stato determinante, per cui, considerando anche che siamo il primo Paese europeo per numero di controversie, venendo meno la sede britannica, l'Italia risulterebbe in pole position come possibile sostituta. Chiediamoci dunque perché candidare Milano: Milano ha sicuramente tutte le carte in regola per ospitare importanti istituzioni europee e internazionali e non solo per quanto concerne gli aspetti logistici. La sede del TUB, oggetto del trasferimento, sarebbe quella specializzata nelle controversie relative all'ambito delle life sciences, settori come quello farmaceutico, chimico, biotech, nei quali l'Italia è leader a livello di ricerca scientifica e industriale, senza ovviamente dimenticare la tradizione giuridica, nel campo della tutela della proprietà intellettuale, che vanta il nostro Paese. In particolare, si rileva come la Lombardia risulti essere prima in Italia per il numero di richieste di registrazione di brevetti all'ufficio europeo di competenza, con il 32,7 per cento delle domande; Milano, con il 20,4 per cento risulta essere la prima città italiana, seguono Torino con il 7,4 e Bologna con il 6,5. Nella regione inoltre si effettuano circa il 50 per cento delle sperimentazioni cliniche in Italia. Sono presenti 56 facoltà universitarie medico- scientifiche, centinaia di centri di ricerca e di trasferimento tecnologico, diciannove istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, dodici istituti del CNR e nove cluster tecnologici, che costituiscono un ecosistema unico nel panorama nazionale. Andiamo quindi all'analisi costi-benefici. L'accordo istitutivo del TUB infatti pone a carico dello Stato ospitante i costi attinenti al suo funzionamento, motivo per cui sarà necessario fare una valutazione degli oneri finanziari, ma rimangono fuor di dubbio gli effetti positivi che si produrrebbero a livello di indotto: si tratterebbe infatti di servizi avanzati di alto valore economico; secondo alcune stime, ospitare a Milano la sezione centrale specializzata del TUB porterebbe almeno mille posti di lavoro e potrebbe valere 350 milioni di euro annui in volume d'affari, un enorme impatto sull'economia locale. Andiamo quindi ad analizzare le questioni giuridiche. Siamo sicuri che la Brexit porti al trasferimento della sede del TUB?

L'imminente uscita del Regno Unito dall'Unione europea fa emergere il tema della compatibilità dell'attuale struttura dell'Accordo istitutivo del TUB con il sistema comunitario. È sensato lasciare una delle sedi più importanti del TUB nel Regno Unito e, dunque, se la Brexit fa il suo corso, fuori dall'Unione europea? A onor del vero, va ricordato che l'istituzione del Tribunale unificato nasce da un'iniziativa di alcuni Stati membri dell'Unione europea, ma tecnicamente non si tratta di un atto dell'Unione europea. Il TUB nasce, infatti, nell'ambito di un accordo multilaterale di cooperazione rafforzata, a cui hanno aderito solamente 25 Paesi dell'Unione europea. La Spagna, ad esempio, non ha aderito. Non è, quindi, così scontato che il Regno Unito venga automaticamente escluso per il solo effetto della Brexit.

Va evidenziato come la stessa ratifica finale da parte del Regno Unito sia avvenuta dopo il referendum popolare sulla permanenza del Regno Unito nell'Unione europea. Ciò conferma la volontà degli inglesi di continuare a far parte del sistema del brevetto europeo, anche in caso di piena attuazione della Brexit. Il TUB, in realtà, non solo non rientra nell'architettura istituzionale dell'Unione europea, ma non ha ancora iniziato a funzionare, perché manca ancora la ratifica dell'accordo istitutivo da parte della Germania, che è necessaria per l'entrata in vigore dell'Accordo.

Inoltre, occorre tenere presente che nel testo dell'Accordo, che determina anche le varie sedi del TUB, è menzionata esplicitamente anche la capitale britannica. Ciò implica che per mettere in discussione la sezione di Londra è necessario rivedere l'accordo stesso, riapprovandolo all'unanimità. La configurazione delle relazioni future post Brexit tra Unione europea e Regno Unito in materia di tutela della proprietà intellettuale potrebbe giocare un ruolo importante in questa partita e purtroppo non mancano pressioni da parte di alcuni Paesi nordici e di diversi ambienti imprenditoriali per una permanenza britannica nel sistema anche dopo la Brexit.

Da un punto di vista politico, riteniamo inopportuno che un cittadino o un'impresa europea, per una controversia su un brevetto unitario europeo, debba costituirsi in un Paese che ha deciso di uscire dall'Unione europea e che non riconosce il primato del diritto europeo e le relative norme procedurali e sostanziali. Il Tribunale unificato dei brevetti è chiamato, infatti, ad applicare integralmente ed esclusivamente il diritto europeo, cooperando con la Corte di giustizia dell'Unione europea per garantire la corretta applicazione e l'interpretazione uniforme del diritto dell'Unione. Per tale motivo, anche se dalla Brexit non dovessero derivare conseguenze automatiche per il TUB, è evidente come il mantenimento a Londra di una sezione della divisione centrale del Tribunale costituirebbe una anomalia; una scelta che sarebbe, dunque, inappropriata perché in grado di apportare incertezze nell'ordinamento giuridico e nelle future relazioni tra l'Unione europea e il Regno Unito.

Anche sotto un profilo meramente pratico, dovendo i giudici della sezione essere cittadini dell'Unione europea, appare più che sensato che la sezione specializzata della sede del Tribunale unificato sia dislocata in uno Stato membro dell'Unione europea. Indubbiamente, per l'Italia, questa evenienza, per quanto, come si è detto, ancora non scontata, costituisce un'occasione unica di crescita, di prestigio internazionale e di indotto occupazionale.

Siamo convinti che sia giunto il momento di far sentire la voce dell'Italia in Europa, chiedendo che la sezione della divisione centrale del TUB, competente per i brevetti chimici e farmaceutici, abbia sede a Milano. Dopo la delusione dell'EMA, la European Medical Agency, assegnata, alla fine, ad Amsterdam con un sorteggio, ci sembra il minimo.

In conclusione, alla luce di tutte queste considerazioni giuridiche, economiche e politiche, come già evidenziato attraverso gli altri atti che ho citato prima, ci auguriamo un deciso intervento da parte del Governo e della diplomazia, con l'obiettivo di candidare Milano, qualora ciò si renda possibile, a diventare una sezione centrale del Tribunale unificato dei brevetti, che si accinge a diventare una importante istituzione internazionale in grado di dar lustro ad un Paese come il nostro, che vanta una lunga tradizione e grandi risultati nel campo dell'innovazione e della ricerca scientifica (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.

Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire successivamente.

Il seguito del dibattito è rinviato, dunque, ad altra seduta.

Interventi di fine seduta.

PRESIDENTE. Passiamo agli interventi di fine seduta.

Ha chiesto di parlare l'onorevole Ciampi, che però non è presente in aula: si intende che vi abbia rinunziato.

Ha chiesto di parlare l'onorevole Sensi. Ne ha facoltà.

FILIPPO SENSI (PD). Grazie, Presidente. Mentre il Governo si divide su tutto o quasi, anzi no, su poltrone e quote di potere mi pare, invece, di registrare un solido idem sentire tra Lega e 5 Stelle, i dati economici di oggi fotografano un vero e proprio lunedì nero, ahimè, ahinoi, dell'economia italiana. Breve cronaca: l'indice Markit della manifattura italiana segna oggi il peggioramento mensile più sensibile da maggio 2013, la produzione è diminuita per l'ottavo mese consecutivo, i nuovi ordini si sono contratti al tasso più veloce in quasi sei anni. Meglio l'Istat? I dati sull'occupazione di oggi? Senza ricorrere al rosario dei numeri, sintetizzo con Francesco Seghezzi, mi perdonerà: la recessione si sta traducendo nel mercato del lavoro con un grosso calo tra i lavoratori dipendenti e un aumento della disoccupazione e il rallentamento dell'occupazione giovanile. A chiudere i dati OCSE, freschi di giornata: il reddito di cittadinanza? I suoi effetti sulla crescita dovrebbero essere scarsi, in particolare, a medio termine. Il provvedimento - continua l'OCSE - rischia di incoraggiare l'occupazione informale –traduco: il lavoro nero – e di creare trappole della povertà. Per inciso, sottovoce: Gurría ha ricordato oggi che il vituperato Jobs Act ha fatto aumentare l'occupazione di tre punti percentuali, dal 2015 ad oggi. Meglio “quota 100”? Macché. Per l'istituzione internazionale, la misura rallenterà l'occupazione tra gli anziani e aumenterà la disuguaglianza intergenerazionale e il debito pubblico. Concludo, Presidente. Markit, Istat, OCSE, non Soros, Belfagor o la Spectre: l'anno sarà pure bellissimo, come dice quello, ma questo lunedì per il Governo è proprio una me… memorabile sveglia.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Di Stasio. Ne ha facoltà.

IOLANDA DI STASIO (M5S). Grazie, Presidente. Presidente, intervengo nuovamente in quest'Aula per denunciare quanto sia avvenuto nella mia città, Afragola. Tre giorni fa, in una normale serata, un uomo è stato affiancato da un'auto e, in pochi secondi, è stato aperto il fuoco. Nove colpi esplosi, per ben nove volte il rumore di una pistola ha rimbombato per le nostre vie, mentre i suoi assassini fuggivano tra la folla e per strada non rimanevano altro che un corpo ed una città sotto shock. Vendette, faide tra famiglie criminali, inchieste per camorra. Camorra: è questa la parola chiave per tutto quello che sta avvenendo ad Afragola, dallo scorso dicembre.

Questo omicidio si va ad aggiungere ad una lunga serie di esecuzioni camorristiche che insanguinano il Paese. Non è Gomorra, non è una serie TV o l'ennesimo sceneggiato televisivo che romanza questi avvenimenti, è un male che interessa tutti noi, è una battaglia che siamo chiamati tutti a combattere. Il solo incremento delle forze dell'ordine presenti sul territorio è evidente che non sia bastato. Agli agenti che presidiano le strade di Afragola va, come sempre, il mio più sentito ringraziamento, ma non è sufficiente.

Lunedì scorso ho presentato un'interrogazione al Ministro Salvini, per avere risposta agli impegni presi. Afragola necessita di una risposta, ora! La criminalità organizzata deve sentire di avere dall'altra parte un nemico forte e temibile, che è lo Stato, proprio quello che sto invocando in quest'Aula, Presidente. È la camorra che deve avere paura dello Stato, e non viceversa (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

Ordine del giorno della prossima seduta.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.

Martedì 2 aprile 2019 - Ore 11:

1. Svolgimento di interrogazioni .

(ore 14)

2. Seguito della discussione del disegno di legge:

Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere.

(C. 1455-A)

e delle abbinate proposte di legge: BARTOLOZZI ed altri; CIRIELLI ed altri; ASCARI ed altri; ANNIBALI ed altri; FOTI e BUTTI. (C. 1003-1331-1403-1457-1534)

Relatrice: ASCARI.

3. Seguito della discussione della proposta di legge:

MASSIMO ENRICO BARONI ed altri: Disposizioni in materia di trasparenza dei rapporti tra le imprese produttrici, i soggetti che operano nel settore della salute e le organizzazioni sanitarie. (C. 491-A)

Relatore: PROVENZA.

4. Seguito della discussione delle mozioni Braga, Muroni ed altri n. 1-00152, Colucci ed altri n. 1-00154, Ilaria Fontana, Lucchini ed altri n. 1-00155 e Mazzetti ed altri n. 1-00158 concernenti iniziative in materia di cambiamenti climatici e per la promozione della candidatura dell'Italia quale Paese ospitante della COP 26 nel 2020 .

5. Seguito della discussione delle mozioni Mandelli ed altri n. 1-00085, Lollobrigida ed altri n. 1-00156, Molinari e D'Uva n. 1-00157 e De Luca ed altri n. 1-00159 concernenti iniziative volte a sostenere la candidatura di Milano a sede di sezione specializzata del Tribunale unificato dei brevetti .

La seduta termina alle 18.10.

TESTI DEGLI INTERVENTI DI CUI È STATA AUTORIZZATA LA PUBBLICAZIONE IN CALCE AL RESOCONTO STENOGRAFICO DELLA SEDUTA ODIERNA: NICOLA PROVENZA (A.C. 491-A)

NICOLA PROVENZA, Relatore. (Relazione – A.C. 491-A). Onorevoli Colleghi! L'Assemblea avvia oggi l'esame delle proposta di legge n. 491, recante disposizioni in materia di trasparenza dei rapporti tra le imprese produttrici, i soggetti che operano nel settore della salute e le organizzazioni sanitarie.

Prima di entrare nel merito del provvedimento, voglio sottolineare che esso è il risultato di un lavoro ampio e approfondito svolto presso la XII Commissione (Affari sociali), in un clima di collaborazione tra i vari gruppi parlamentari. Nel corso dell'esame preliminare, iniziato l' 1l settembre 2018, presso la Commissione ha avuto luogo un nutrito ciclo di audizioni, al fine di approfondire i temi connessi alla proposta di legge in oggetto e di acquisire il punto di vista di diversi soggetti quali: Federazioni degli ordini dei medici, degli infermieri e delle altre professioni sanitarie; sindacati degli operatori sanitari; associazioni e federazioni rappresentative delle aziende che si occupano della produzione e della distribuzione di farmaci e di dispositivi medici; l'Autorità nazionale anticorruzione; la Corte dei conti; esperti di sanità e associazioni e fondazioni che svolgono la propria attività in questo settore.

Ampio spazio è stato dedicato, poi, alla fase dell'esame delle proposte emendative, che ha consentito di apportare notevoli miglioramenti al testo, anche attraverso l'approvazione di emendamenti dell'opposizione.

Il provvedimento in esame, dunque, è volto a perseguire l'importante obiettivo di realizzare la trasparenza dei dati di interesse collettivo nei rapporti tra le imprese produttrici e gli operatori sanitari. La trasparenza, tesa alla prevenzione e al contrasto della corruzione, è condizione di garanzia delle libertà individuali e collettive nonché dell'esercizio, effettivo in quanto informato, dei diritti civili, politici e sociali.

La proposta di legge, per il suo contenuto, ha un carattere sicuramente innovativo. Va sottolineato che in altri ordinamenti sono state già approvate alcune iniziative che vanno nella medesima direzione. Ad esempio, in Francia, una legge del dicembre 2011 ha imposto la trasparenza dei legami tra le industrie che operano nel settore della salute e gli altri attori coinvolti quali i professionisti della salute, le società scientifiche, le associazioni e i media. Negli Stati Uniti, nel 2010 è stata approvata una legge (entrata in vigore nel 2013) per accrescere la trasparenza delle relazioni finanziarie tra operatori, organizzazioni sanitarie e produttori farmaceutici, denominata Physician Payments Sunshine Act (PPSA), dopo che un sondaggio nazionale aveva rilevato che circa 1'84 per cento dei medici riceveva benefici dai produttori di farmaci, dispositivi, prodotti e forniture mediche. Anche in Danimarca esiste una serie di norme concernenti obblighi e doveri nei rapporti tra professionisti sanitari e aziende del settore.

Passando al contenuto della proposta di legge oggi all'esame dell'Assemblea, che si compone di sette articoli, faccio presente che l'articolo I qualifica il diritto alla conoscenza dei rapporti tra imprese e soggetti operanti nel settore della salute quale livello essenziale delle prestazioni ai sensi dell'articolo 117, comma 2, lettera m), della Costituzione, in attuazione dei principi contenuti negli articoli 32 (Tutela della salute) e 97 della Costituzione (Efficienza ed imparzialità della pubblica amministrazione). Più precisamente, per finalità di trasparenza, di prevenzione e contrasto della corruzione e del degrado dell'azione amministrativa, le disposizioni del provvedimento in esame intendono garantire il diritto alla conoscenza dei rapporti, aventi rilevanza economica o di vantaggio, intercorrenti tra le imprese produttrici di farmaci, strumenti, apparecchiature, beni e servizi, anche non sanitari, e i soggetti che operano nel settore della salute o le organizzazioni sanitarie.

Viene fatta salva l'applicazione delle disposizioni del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 62 del 2013, recante il codice di comportamento dei dipendenti pubblici - che definisce i doveri minimi di diligenza, lealtà, imparzialità e buona condotta che i pubblici dipendenti sono tenuti a osservare.

L'articolo 2 chiarisce le definizioni recate dal provvedimento, specificando dettagliatamente cosa si intende per: "impresa produttrice", "soggetti che operano nel settore della salute", "organizzazione sanitaria".

L'articolo 3 costituisce una delle disposizioni centrali del provvedimento, stabilendo quali azioni siano effettivamente soggette a pubblicità e chi debba adempiere agli obblighi previsti in materia di pubblicità. In particolare, tale disposizione prevede che siano assoggettate a pubblicità le convenzioni e le erogazioni in denaro, beni, servizi ed altre utilità effettuate da un'impresa produttrice in favore: di un soggetto che opera nel settore della salute, quando abbiano un valore unitario sopra i 50 euro o un valore complessivo annuo maggiore di 500 euro; di un'organizzazione sanitaria, quando abbiano un valore unitario sopra i 500 euro o un valore complessivo annuo superiore a 2.500 euro. Faccio presente che tali valori minimi sono stati innalzati, nel corso dell'esame in sede referente, rispetto a quanto prevedeva il testo originario.

Inoltre, sono sottoposti a pubblicità gli accordi tra le imprese produttrici e i soggetti che operano nel settore della salute o le organizzazioni sanitarie che producono vantaggi diretti o indiretti consistenti nella partecipazione a convegni, eventi formativi, organi consultivi o comitati scientifici o nella costituzione di rapporti di ricerca, consulenza, docenza. La pubblicità delle erogazioni e degli accordi è effettuata a cura dell'impresa produttrice mediante comunicazione dei relativi dati, da inserire in un registro pubblico telematico, di cui dirò in seguito. La comunicazione riporta una serie di dati del beneficiario dell'erogazione o della controparte dell'accordo (quali il nominativo o la ragione sociale, il codice fiscale o la partita IVA) nonché dati relativi all'erogazione o all'accordo medesimo, tra cui la data, la natura e l'importo. La comunicazione viene eseguita entro il semestre successivo a quello in cui sono stati effettuati l'erogazione o l'accordo.

L'articolo 4, poi, pone in capo alle imprese produttrici costituite in forma societaria l'obbligo di comunicare al Ministero della salute, entro il 31 gennaio, i dati identificativi dei soggetti che operano nel settore della salute e delle organizzazioni sanitarie che siano titolari di azioni o di quote del capitale della società ovvero di obbligazioni dalla stessa emesse, iscritti per l'anno precedente, rispettivamente, nel libro dei soci o nel libro delle obbligazioni, ovvero che abbiano percepito dalla società corrispettivi per la concessione di licenze per l'utilizzazione economica di diritti di proprietà industriale o intellettuale.

La comunicazione deve indicare, per ciascun titolare, il valore per le azioni o quote del capitale e per le obbligazioni, nonché i proventi da azioni, quote di capitale e obbligazioni percepiti dal titolare nel corso dell'anno; deve anche indicare i proventi da diritti di proprietà industriale o intellettuale percepiti dal titolare nell'anno. Nella comunicazione è altresì indicato se il valore complessivo delle azioni o delle quote costituisca una partecipazione qualificata, ai sensi dell'articolo 67, comma 1, lettera c), del testo unico delle imposte sui redditi, intendendosi come tali le partecipazioni, i diritti o titoli che rappresentino, complessivamente, una percentuale di diritti di voto esercitabili nell'assemblea ordinaria superiore al 2 o al 20 per cento, ovvero una partecipazione al capitale od al patrimonio superiore al 5 o al 25 per cento, secondo che si tratti di titoli negoziati in mercati regolamentati o di altre partecipazioni.

Infine, si stabilisce che, qualora le suddette condizioni si verifichino nei riguardi del coniuge, del convivente o di un parente fino al secondo grado - con esclusivo riferimento a una partecipazione qualificata in relazione alle azioni, quote del capitale od obbligazioni - del soggetto che opera nel settore della salute, alla comunicazione dei dati è tenuto quest'ultimo.

Per quanto riguarda le forme della pubblicità, l'articolo 5 prevede l'istituzione, entro sei mesi dall'entrata in vigore del provvedimento in esame, nel sito internet istituzionale del Ministero della salute, del registro pubblico telematico denominato "Sanità trasparente". In tale registro citato sono pubblicate le suddette comunicazioni e, in sezioni distinte, gli atti di irrogazione delle sanzioni, di cui dirò successivamente. Il registro è liberamente accessibile per la consultazione ed è provvisto di funzioni che permettono la ricerca e l'estrazione dei dati; le comunicazioni sono consultabili per cinque anni dalla pubblicazione: decorso tale termine, sono cancellate. A seguito di un emendamento approvato in Commissione, si prevede che i dati pubblicati nel registro pubblico telematico possano essere riutilizzati solo alle condizioni previste dal decreto legislativo n. 36 del 2006, che ha dato attuazione alla direttiva 2003/98/CE, relativa al riutilizzo di documenti nel settore pubblico. Con l'accettazione dell'erogazione o dei vantaggi da parte dei soggetti operanti nel settore della salute o di organizzazioni sanitarie ovvero con l'acquisizione di partecipazioni azionarie od obbligazionarie nonché dei proventi derivanti da diritti di proprietà industriale od intellettuale, si intende prestato il consenso alla pubblicità e al trattamento dei dati. Le imprese produttrici sono comunque tenute a fornire un'informativa ai soggetti e alle organizzazioni, specificando che le comunicazioni citate sono oggetto di pubblicazione sul sito internet del Ministero della salute. Sono fatti salvi i diritti degli interessati di cui al Regolamento UE 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, concernente il trattamento dei dati personali, nonché le forme di tutela di natura giurisdizionale e amministrativa ivi previste. Sono poi demandati a un decreto del Ministro della salute, da emanare entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge, sentite l'Agenzia per l'Italia digitale, l'Autorità nazionale anticorruzione, l'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (AGENAS) e il Garante per la protezione dei dati personali, le caratteristiche tecniche del registro pubblico telematico nonché i requisiti e le modalità per la trasmissione delle comunicazioni e l'inserimento dei dati, secondo determinati criteri, previsti dalla legge stessa (quali: facilità di accesso, semplicità della consultazione, comprensibilità dei dati e omogeneità della loro presentazione).

L'articolo 5 prevede uno stanziamento al fine di assicurare l'attivazione e il funzionamento del registro denominato "Sanità trasparente".

L'articolo 6 concerne le funzioni di vigilanza e le sanzioni da comminare in caso di omissione delle comunicazioni ovvero di comunicazioni non veritiere da parte dell'impresa produttrice. E' stabilito, quindi, l'importo dalla sanzione amministrativa pecuniaria da comminare in caso di omissione di una comunicazione relativa a un'erogazione effettuata da parte di un'impresa ovvero a fronte di un'omissione, da parte delle imprese produttrici costituite in forma societaria, dei dati identificativi degli eventuali operatori sanitari in possesso di azioni, quote od obbligazioni.

In caso di notizie incomplete nelle comunicazioni, è stata introdotta, attraverso un emendamento approvato in Commissione, una forma di "ravvedimento operoso", in quanto è data all'impresa produttrice la possibilità di integrarle nel termine di novanta giorni. Qualora l'integrazione non venga effettuata entro tale termine, si applica una sanzione amministrativa pecuniaria.

Salvo che il fatto costituisca reato, il pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria è altresì previsto nell'ipotesi in cui l'impresa produttrice fornisca notizie false nelle comunicazioni. A seguito di un emendamento approvato in Commissione, si prevede che all'impresa produttrice con fatturato annuo inferiore a un milione di curo, le sanzioni stabilite ai sensi dell'articolo 6 si applichino in misura pari alla metà degli importi definiti dal medesimo articolo, purché tale impresa non sia collegata o controllata o vincolata da rapporti di fornitura o subfornitura con altre imprese produttrici.

Con riferimento alle funzioni di vigilanza, esse sono attribuite, sempre dall'articolo 6, al Ministero della salute, che si avvale del Comando carabinieri per la tutela della salute (cosiddetti Nas) e applica le sanzioni amministrative, mentre l'amministrazione finanziaria e il Corpo della Guardia di finanza, nell'ambito delle attività di controllo effettuate nei riguardi delle imprese produttrici, verificano l'esecuzione degli obblighi previsti, informando il Ministero della salute in caso di accertamento di irregolarità od omissioni affinché eserciti le funzioni di vigilanza e applichi le predette sanzioni amministrative.

L'articolo 7, infine, reca disposizioni transitorie, concernenti i termini temporali per l'avvio delle comunicazioni contemplate dal provvedimento in oggetto.

Sanità Trasparente (relazione in Aula). Nel corso dell'esame in Commissione è stato circoscritto il pregiudizio, espresso da taluni, circa la volontà sottesa di criminalizzare la classe medica o comunque chi opera nel campo della salute. É stato infatti ribadito, chiarito e assimilato il fine proprio di tale proposta che corrisponde alla volontà di incidere sul contesto culturale della salute in modo tale che la trasparenza dei rapporti tra imprese e sanitari sia funzionale agli stessi operatori della salute, nell'ottica di migliorare il loro rapporto con i cittadini e rinsaldarne la fiducia in taluni casi compromessa proprio da certa opacità.

L'esame in commissione si è svolto in un clima collaborativo e propositivo sia da parte di tutte le forze di maggioranza sia da parte delle opposizioni e le diffuse modifiche apportate al testo, alcune delle quali anche sostanziali, sono state, per la maggior parte, ampiamente condivise.

Il cuore di questa proposta di legge è certamente rappresentato dalla prevenzione, dal contrasto alla corruzione e dal diritto alla trasparenza, in risposta ad un generale clima di sfiducia nel Servizio Sanitario Nazionale, nonostante vi siano esempi virtuosi di medici, operatori della sanità ed aziende pubbliche che quotidianamente sono al fianco dei malati e della sofferenza ed ai quali guardiamo con estrema fiducia e riconoscenza.

Purtroppo questo clima non è virtuale o soltanto percepito. È sufficiente osservare che soltanto nel 2017 vi sono stati 97 episodi di corruzione svelati da inchieste giudiziarie.

L' Ocse rileva che un quinto dei soldi spesi in sanità in Europa finisce in sprechi, abusi o comportamenti illeciti. Pensate che nella legge di bilancio sono stati stanziati 115 miliardi per la sanità. Se volessimo attenerci ai dati Ocse, circa 20 miliardi verrebbero "trafugati". La proposta di legge Sanità Trasparente nasce con lo scopo di impedire tutto ciò e restituire fiducia nel servizio sanitario, incentivando atteggiamenti di correttezza attraverso la trasparenza.

Chiamatela Sunshine act o Sanità Trasparente. Chiamatela in qualsiasi modo, comunque ci troviamo di fronte ad una proposta di legge scritta in modo chiaro e definito.

La chiarezza di questa proposta di legge va proprio in antitesi rispetto alle ombre ed alle opacità che nel settore della sanità assumono purtroppo connotati inqualificabili.

Dopo aver illustrato i contenuti della proposta di legge in esame e averne evidenziato le finalità, auspico che essa possa trovare apprezzamento e condivisione da parte di quest'Assemblea.