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Resoconto dell'Assemblea

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XVIII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 143 di lunedì 18 marzo 2019

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE FABIO RAMPELLI

La seduta comincia alle 11,05.

PRESIDENTE. La seduta è aperta.

Invito la deputata segretaria a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

FEDERICA DAGA, Segretaria, legge il processo verbale della seduta del 15 marzo 2019.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Battelli, Benvenuto, Bianchi, Bonafede, Brescia, Buffagni, Businarolo, Castelli, Castiello, Cirielli, Colucci, Cominardi, D'Incà, D'Uva, Del Re, Delmastro Delle Vedove, Delrio, Luigi Di Maio, Di Stefano, Durigon, Fantinati, Ferraresi, Fioramonti, Gregorio Fontana, Lorenzo Fontana, Formentini, Fraccaro, Frusone, Galli, Garavaglia, Gava, Gelmini, Giaccone, Giachetti, Giorgetti, Grande, Grillo, Grimoldi, Guerini, Guidesi, Invernizzi, Liuni, Lollobrigida, Lorefice, Losacco, Maniero, Manzato, Micillo, Molinari, Molteni, Morelli, Morrone, Parolo, Picchi, Quartapelle Procopio, Rixi, Ruocco, Carlo Sibilia, Sisto, Spadafora, Tofalo, Vacca, Valente, Vignaroli, Villarosa, Raffaele Volpi e Zoffili sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.

I deputati in missione sono complessivamente settantadue, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna).

Discussione sulle linee generali del disegno di legge: S. 1018 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4, recante disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza e di pensioni (Approvato dal Senato) (C. 1637-A).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato, n. 1637-A: Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4, recante disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza e di pensioni.

(Discussione sulle linee generali – A.C. 1637-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari Forza Italia-Berlusconi Presidente, MoVimento 5 Stelle e Partito Democratico ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.

Avverto, altresì, che la XI Commissione (Lavoro) e la XII Commissione (Affari sociali) si intendono autorizzate a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire, facendo una piccola eccezione al protocollo, la relatrice di minoranza per la XI Commissione, d'accordo con i relatori per la maggioranza, deputata Debora Serracchiani.

DEBORA SERRACCHIANI, Relatrice di minoranza per la XI Commissione. Grazie, Presidente. Desidero innanzitutto ringraziare le relatrici per la maggioranza, l'onorevole Murelli e l'onorevole Nesci, per questa cortesia ma, purtroppo, per un problema familiare dovrò allontanarmi.

Noi abbiamo esaminato, in questa settimana, il cosiddetto “decretone”, che contiene due misure particolarmente importanti già annunciate nella manovra di bilancio che abbiamo approvato alla fine dello scorso anno, due misure importanti che sono state definite ormai come il “reddito di cittadinanza” e “quota 100”. È stato un esame complesso perché, nonostante il testo arrivasse, appunto, da una prima lettura al Senato e, quindi, fosse stato già ampiamente, in qualche modo, discusso dalla maggioranza, presentava alcune criticità che noi della minoranza abbiamo voluto puntualizzare e che, a nostro avviso, mettono a rischio anche la concreta attuazione delle misure. Purtroppo, devo onestamente riconoscere che, nonostante il lavoro complesso e lungo che ci ha portato anche a un'impegnativa seduta notturna, molte delle richieste che sono state avanzate dal Partito Democratico, ma mi permetto di dire un po' da tutte le opposizioni, non sono state assolutamente prese in considerazione. Di questo mi dispiaccio, anche perché credo che il lavoro fatto in precedenza e il lavoro fatto, appunto, in Commissione meritasse un atteggiamento diverso da parte della maggioranza.

Anche in questo caso, come nel caso del “decreto dignità”, partiamo da alcuni principi che non possono non essere condivisibili: non è forse condivisibile la lotta alla povertà? Non è forse condivisibile il principio di garantire una flessibilità in uscita per il pensionamento di categorie di lavoratori magari più fragili e deboli? Assolutamente sì. La risposta è sbagliata. Non è sbagliata tanto quantitativamente, perché le risorse ci sono ed effettivamente sono tante; se volete, è sbagliata dal punto di vista qualitativo e della modalità con cui si pensa di affrontare questi temi. Dirà meglio di me sul reddito di cittadinanza l'onorevole Carnevali, che ringrazio per il lavoro insieme a tutta la nostra Commissione, sia la Commissione affari sociali sia la Commissione lavoro, per la puntualità con cui siamo intervenuti e anche per la costante presenza, però devo dire che quello che emerge dall'esame di questo testo è che onestamente non riusciamo a capire qual è l'obiettivo che si vogliono prefiggere il Governo e la maggioranza. È forse la lotta alla povertà? Sono forse politiche attive del lavoro? Sinceramente non l'abbiamo capito, perché la misura è talmente ibrida e talmente difficile nella sua attuazione che oggettivamente ci lascia molto perplessi.

Dicevo dei principi, principi assolutamente condivisibili. È condivisibile la lotta alla povertà? Certo, ed è talmente condivisibile dal punto di vista del Partito Democratico che noi per primi abbiamo pensato di agire con una misura, nella scorsa legislatura, che è il reddito di inclusione e avremmo assolutamente voluto - e lo ribadiamo anche in questa sede - che al posto del reddito di cittadinanza, anche chiamandolo reddito di cittadinanza, si mettessero più soldi sul reddito di inclusione. Tutto questo non avviene ma, soprattutto, non avviene il rafforzamento delle politiche attive del lavoro.

Non è forse importante la flessibilità in uscita e il pensionamento anticipato di categorie di lavoratori? Ebbene sì. Quali lavoratori, però? Su chi deve ricadere la scelta? Noi diremmo sui lavoratori precoci, sui lavoratori gravosi, sugli usuranti, cioè su quelle attività lavorative per le quali inizi a lavorare da molto, molto giovane, 14, 15, 16 anni, oppure fai lavori particolarmente gravosi nell'attività fisica oppure fai lavori che sono particolarmente usuranti anche per il tipo di attività e per come viene svolta. Ebbene, di tutto questo nel testo del cosiddetto “decretone” non c'è nulla: non c'è nulla per i lavoratori precoci, anzi si è scelta la categoria - e perdonatemi se la definisco così e non vorrei ovviamente essere fraintesa - di più facile gestione, perché è una categoria marginale ed è una categoria costruita sulla carta: basta avere 38 anni di contributi e 62 anni di età e si va in pensione prima, ovviamente trascurando il fatto che ci sono tanti, ma tanti lavoratori italiani che hanno più anzianità contributiva o più anzianità anagrafica ma che, ciò nonostante, non potranno andare in pensione, non potranno andare in pensione perché non rientrano in quella cosiddetta “quota 100”.

Senza contare che si tratta di una misura cosiddetta “sperimentale”. Infatti, non si è mai vista una riforma delle pensioni che dura soltanto tre anni ma, soprattutto, quello che emerge dall'esame del “decretone” è che non si è affatto abolita la “Fornero”, che è pienamente in vigore, tant'è che per tutti quei lavoratori che non hanno 62 anni di età e 38 anni di contributi si applica pienamente, dal 1° gennaio 2019, l'allungamento dell'aspettativa della vita sia per le donne sia per gli uomini.

Tocco subito una delle più grandi iniquità che ha questa riforma, il fatto che si pensi soltanto a una categoria specifica di lavoratori e li si qualifica anche da un punto di vista di criteri: si tratta di uomini per lo più del nord e per lo più del pubblico impiego. E perché? Perché solo questi possono permettersi una continuità contributiva di 38 anni, solo questi sono quelli che potranno anticipare il loro pensionamento così come prevede “quota 100”; “quota 100” che ha un costo non banale: stiamo parlando di oltre 30 miliardi di euro in un triennio e parliamo di una platea che, tra l'altro, graverà pesantemente sulle prossime generazioni, perché andare in pensione a 62 anni con una finestra di soli tre anni e con l'aspettativa di vita, per fortuna, che si allunga significa pesare fortemente sul sistema pensionistico. Tra l'altro, stiamo mandando in pensione probabilmente quelli che hanno pensioni medio-alte, contrariamente a tutti gli annunci fatti dalla maggioranza, perché solo loro potranno permettersi di vedersi ridotta la pensione perché ovviamente riducendo l'anzianità contributiva e riducendo l'anzianità anagrafica è chiaro che si va in pensione con una pensione ridotta. Ma chi pagherà questa “quota 100”? La pagano tutti gli altri pensionati che prendono pensioni da 1.500 euro lorde in su e ai quali dal 1° gennaio 2019, nonostante quello che il precedente Governo aveva previsto e, cioè, l'entrata in vigore piena, come richiesto anche da tutti i sindacati nelle loro piattaforma unitaria, della indicizzazione delle pensioni questa indicizzazione è nuovamente bloccata. Quindi, quei pensionati continuano a pagare le pensioni di chi andrà in pensione con “quota 100” e - ripeto - non sono pensionati certamente che prendono pensioni alte, visto che stiamo parlando di 1.500 euro lordi, quindi poco più di 1.200 euro netti al mese.

Ma, come dicevo all'inizio, c'è una cosa più grave, e qui francamente non posso non ricordare quello che è accaduto, appunto, nel corso dell'esame in Commissione rispetto ai cosiddetti lavoratori precoci e a una particolare categoria di lavoratori: mi riferisco, in particolare, agli edili.

Il Partito Democratico aveva presentato un emendamento e, a dire il vero, anche la Lega aveva presentato un emendamento molto simile e questo emendamento era il frutto di un lavoro con il quale ci si era confrontati, sia con l'ANCE, quindi, con i costruttori, sia con i sindacati unitari, ed era una norma, una misura semplice nella sua attuazione, a nostro parere senza costi aggiuntivi per il bilancio dello Stato, che avrebbe dato una risposta immediata a una categoria, quella gli edili, particolarmente fragile e debole. Noi, oggi, abbiamo persone che a 65, a 67 anni salgono ancora sulle impalcature. Forse, avremmo dovuto guardare a queste persone con maggiore attenzione, dando loro una scelta prioritaria e se volete, come spesso dite, “privilegiata” nella flessibilità in uscita, una misura privilegiata determinata dal fatto che questo emendamento che noi abbiamo presentato prevedeva che le risorse che le imprese danno, sulla base della contrattazione collettiva, per i pensionamenti anticipati potessero - con una convenzione e in deroga a quanto avviene finora, con una convenzione con l'INPS, e tramite gli enti bilaterali - essere riconosciute come contribuzione volontaria proprio per il perfezionamento del montante contributivo di chi, appunto, ha un'attività contributiva discontinua; anche perché questi lavoratori raramente hanno 38 anni di contributi continuativi e, quindi, a queste persone si poteva e si doveva dare una risposta; invece, vengono penalizzate, come vengono penalizzati i lavori gravosi e usuranti.

Poi, dopo il danno, la beffa; ad un certo punto, in quella famosa notte, non solo viene respinto questo emendamento, sul quale addirittura il Governo e la maggioranza avevano dato, dapprima, un parere favorevole, per poi cambiare idea negli ultimi secondi prima dell'approvazione dell'emendamento stesso - non discuto qui del comportamento di tutti, ma credo che, insomma un'idea ce la siamo fatta -, ma, certamente, c'è un altro aspetto che non è trascurabile e rispetto al quale, sinceramente, dicevo, oltre al danno, la beffa: quando si è cercato di dare un segnale anche ai lavoratori precoci, su insistenza, senza ombra di dubbio, delle minoranze e del Partito Democratico in particolare, si è fatta una scelta, posso dire, “delirante”. Mi perdonerà la Presidenza se uso questo termine, ma vedersi piombare nell'aula della Commissione un'ipotesi nella quale il pensionamento anticipato dei lavoratori precoci veniva garantito attraverso la tassazione in capo alle famiglie italiane del lavoro cosiddetto domestico, trasformando questi datori di lavoro, cioè le famiglie italiane, in sostituti d'imposta e gravandoli di una tassazione, ebbene, dire oltre il danno anche la beffa mi sembra oggettivamente poco. Mi riferisco all'introduzione della cosiddetta colf tax che, vorrei ricordare a tutti, non significa che ci sono famiglie che possono permetterselo e che hanno il collaboratore domestico o maggiordomo, come qualcuno ha insinuato; qui stiamo parlando delle persone e delle famiglie, probabilmente le più fragili, che hanno persone in difficoltà, anziane o con disabilità e che hanno come unico aiuto quello della cosiddetta badante o della persona che assiste queste persone, con i cosiddetti lavori di cura, ebbene, su questo non c'è nulla. Spiegherà bene Elena Carnevali che non c'è nulla sul reddito di cittadinanza, ma, credetemi, non c'è nulla anche nel caso del pensionamento anticipato di cui tanto si parla; perché? Perché avete respinto tutti gli emendamenti che riguardavano la possibilità di sommare nel montante contributivo i cosiddetti periodi nei quali le donne, in particolare, si occupano dei lavori di cura e, soprattutto, la maternità; perché questo vostro decreto, questo vostro provvedimento è contro le donne, è assolutamente contro le donne, perché non consente loro un pensionamento anticipato. Basterebbe fare due conti: le donne in media hanno 25 anni di contribuzione continuativa, non di più, quando sono fortunate, e restano fuori da «quota 100», ma soprattutto gli abbiamo dato, anzi, gli avete dato, su nostra insistenza, un anno di proroga dell'”opzione donna”, tra l'altro cambiandone i criteri e diminuendo anche la platea delle donne che possono aderire ad “opzione donna”, quindi, anche qui, oltre al danno, la beffa. Ciò senza considerare che, non soltanto avete eliminato tutti gli emendamenti che chiedevano di riconoscere il periodo della maternità come periodo contributivo, ma, oggettivamente, avete trascurato ogni richiesta che chiedeva di fare una valutazione diversa rispetto ai montanti contributivi delle donne.

L'altro provvedimento prorogato soltanto per un anno è l'APE sociale, ma, anche qui, il cambiamento dei criteri non aiuterà le persone in difficoltà, anche perché, vorrei che fosse chiaro a tutti - perché dalle discussioni che sono emerse anche in sede di Commissione, a me pare che questa chiarezza non ci sia - che “quota 100” è complementare con APE sociale, perché, mentre “quota 100” riguarda i lavoratori che hanno un'anzianità contributiva continuativa, l'APE sociale riguarda quei lavoratori più fragili, di una categoria della quale ho parlato prima, che quella continuità contributiva non possono averla. Ebbene, rispetto anche a queste persone, le risposte sono sostanzialmente zero.

È una misura, quindi, iniqua? Sì. È una misura che costerà tantissimo agli italiani nei prossimi anni? Sì. È una misura che peserà tantissimo sulle nuove generazioni, a cui spesso fate finta di rivolgervi? Sì, perché in questa proposta non esiste neppure il fondo con cui garantire il perfezionamento dei montanti contributivi per i giovani, che restano i più fragili in vista di una pensione a cui, a queste condizioni, non arriveranno mai. Pregherei però, davvero, la maggioranza, e mi auguro che così sia negli interventi che verranno, di riconoscere che tutto quello che è stato promesso non è stato fatto: la “Fornero” non è stata abolita, la “Fornero” non è stata profondamente cambiata, la “Fornero” continua ad essere applicata, tant'è che tutti i calcoli che sono stati fatti anche con “quota 100” sono stati fatti con i criteri della “Fornero”. E senza considerare che nulla è stato previsto rispetto, appunto, come ho detto fin qui, a quelle persone che sono maggiormente in difficoltà.

Quindi, e concludo il mio intervento, io credo che la propaganda, prima o poi, debba avere una fine, lo dico al MoVimento 5 Stelle, come alla Lega, così come credo che debba terminare questa logica per cui gli interventi, i provvedimenti che vengono portati in Aula altro non sono che la somma di due campagne elettorali: io ho “quota 100”, tu hai il reddito di cittadinanza, disinteressandosi totalmente di quelli che sono i conti pubblici, di quelle che sono le esigenze e i bisogni dei cittadini, delle categorie più fragili e di quegli invisibili di cui, sostanzialmente, fate finta di nulla.

Io non so se vi siete resi conto anche dell'iniquità del cosiddetto “scalone”, perché qui ne abbiamo parlato poco, ma qui c'è uno “scalone” di cinque anni che fa impressione, che è contro ogni logica e facciamo subito un esempio; è stato fatto anche al Senato dal collega Nannicini e lo voglio riportare qui: due lavoratori che iniziano lo stesso giorno a lavorare, se uno compie gli anni, 62 anni, a dicembre del 2018, e un altro li compie a gennaio del 2019, vanno in pensione con cinque, dico cinque, anni di differenza. Uno entra nella “quota 100” e va in pensione prima, l'altro continuerà a lavorare per almeno altri cinque anni. Io non so se vi siete resi conto - oltre al fatto che questa misura è iniqua perché penalizza il Sud, perché penalizza il lavoro privato, perché penalizza le donne, perché penalizza i lavoratori precoci, perché penalizza i lavori gravosi, perché penalizza i lavori usuranti, perché assolutamente non tiene insieme il sistema pensionistico - della grave iniquità che c'è nello “scalone” di cinque anni. Penso che di tutto questo non vi siete avveduti, anche perché, come spesso ci avete detto, è meglio avere un consenso elettorale immediato che va all'incasso piuttosto che una visione del Paese e di quelle che sono le esigenze e i bisogni del Paese che, invece, hanno bisogno anche di tempi diversi, perché non si è mai vista una riforma delle pensioni che duri soltanto tre anni.

Per cui, per le ragioni che ho esposto, direi che il Partito Democratico ha lavorato, e tanto, per cercare di migliorare un testo che, però, la maggioranza non ha voluto assolutamente migliorare (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire la relatrice per la maggioranza per la XII Commissione, deputata Dalila Nesci.

DALILA NESCI, Relatrice per la maggioranza per la XII Commissione. Presidente, le Commissioni riunite XI e XII hanno lavorato all'esame del cosiddetto “decretone” che ha la finalità di introdurre il reddito e la pensione di cittadinanza, nonché “quota 100”, di cui poi relazionerà la mia collega Murelli. È un provvedimento importante che consentirà di dare rinnovata speranza all'Italia.

È innegabile che in questi anni non siano stati fatti molti passi in avanti per quanto riguarda le politiche sociali e attive del lavoro. Il pareggio di bilancio ad ogni costo, anche a scapito di diritti e servizi essenziali, la scure dell'austerity calata sugli italiani dalla vecchia classe politica hanno aggravato le disuguaglianze sociali ed economiche, e generato nell'opinione pubblica senso di impotenza, rassegnazione, quando non disagio ed indigenza. Sono, infatti, troppe le persone che in questi anni si sono viste costrette a rinunciare alle cure sanitarie, al cibo, alle spese per l'istruzione dei propri figli e a quelle per la cultura ed il tempo libero. Per molti cittadini italiani la qualità della vita è crollata drasticamente, vedendosi, in molti casi, obbligati persino ad emigrare. È nel Mezzogiorno infatti che avanza la “società sparente”, quella raccontata nel libro di Morrone: lo spopolamento desertifica interi paesi e territori, divide le famiglie. Come rilevato dal rapporto Svimez del 2018, un totale di 1 milione 183 mila residenti ha lasciato il Mezzogiorno in cerca di condizioni di vita e lavorative più favorevoli. La metà di questi - pensate - sono giovani di età compresa tra i 15 e i 34 anni, quasi un quinto laureati e circa il 16 per cento che si è trasferito all'estero, di cui quasi 800 mila non tornerà e non torna più nei suoi luoghi di origine.

Anche la Caritas ci dice che da prima della crisi ad oggi il numero di persone che non riescono a raggiungere uno standard di vita dignitoso è aumentato del 182 per cento: infatti, i dati ISTAT del 2017 ci dicono che 1 milione 778 mila famiglie, all'interno delle quali vivono circa 5 milioni di individui, erano in condizioni di povertà assoluta. Numeri imponenti. Dunque, se in tutta Europa calano i livelli di povertà, il nostro Paese risulta in totale controtendenza. Questo anche perché, come sappiamo, fino ad ora siamo stati uno dei pochi Paesi in Europa a non aver introdotto misure strutturali di sostegno al reddito.

E, dunque, veniamo al reddito di cittadinanza. Voglio evidenziare alcune delle novità rilevanti introdotte nel corso dell'esame del provvedimento in sede referente; poi, per i dettagli, chiedo di essere autorizzata a depositare una relazione scritta.

Il reddito di cittadinanza non è solo un “aiutino economico”, come è stato sostenuto dai detrattori di questa misura: il reddito e la pensione di cittadinanza sono costituiti da un beneficio economico che integra il reddito familiare, con un importo variabile da un minimo di 480 euro ad un massimo di 9.360 euro annui, a seconda della numerosità e composizione del nucleo familiare. Il reddito di cittadinanza poi può essere rinnovato, dopo un mese di sospensione prima di ciascun rinnovo; la sospensione, invece, non opera nel caso della pensione di cittadinanza. Ricordo che la richiesta può essere fatta tramite il sito ufficiale, www.redditodicittadinanza.gov.it, presso gli uffici postali, presso i CAF e gli istituti di patronato e di assistenza sociale. L'INPS, entro cinque giorni lavorativi dal ricevimento della domanda, verifica il possesso dei requisiti richiesti per l'accesso al reddito di cittadinanza, acquisendo le informazioni necessarie da tutte le pubbliche amministrazioni competenti; e, in ogni caso, il riconoscimento del beneficio economico avviene entro la fine del mese successivo alla trasmissione della domanda all'INPS.

Se si risulta beneficiari, il reddito o la pensione di cittadinanza verranno poi erogati tramite accredito nella carta del reddito di cittadinanza, che viene emessa e si può ritirare presso le sedi di Poste Italiane. Con la carta si potranno acquistare beni primari, come alimentari e farmaci, usufruire di agevolazioni per il pagamento di bollette elettriche e del gas, prelevare in contanti per un massimo di 100 euro al mese, anche se poi la suddivisione individuale del reddito di cittadinanza verrà stabilita con un decreto del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, fatta eccezione per la pensione di cittadinanza che, invece, potrà essere prelevata anche integralmente. Si potrà fare un bonifico mensile al locatore, oppure alla banca che ha concesso un mutuo; non sarà possibile pagare giochi che prevedono vincite in denaro o scommesse: questo al fine di prevenire e contrastare fenomeni di impoverimento e l'insorgenza del disturbo da gioco d'azzardo. L'importo della carta del reddito di cittadinanza dovrà poi essere speso entro il mese successivo, altrimenti ci sarà una decurtazione del 20 per cento, oppure una decurtazione totale delle somme non spese entro sei mesi, a meno che non si tratti di somme erogate a titolo di arretrati. Ovviamente, il beneficio va alle persone effettivamente indigenti, quindi va da sé che sicuramente verranno spesi questi soldi all'interno della carta.

Potrà beneficiare del reddito di cittadinanza chi, firmando un vero e proprio patto con lo Stato, si impegna a formarsi oppure a riqualificarsi professionalmente per trovare un lavoro: ecco il “patto per il lavoro”. Lo farà grazie ai navigator, ovvero tutor formati che, a stretto contatto con i centri per l'impiego, lavoreranno per offrirgli fino a tre proposte di lavoro, tenendo conto delle sue competenze ed esigenze familiari: se, per esempio, ha minori a carico, oppure si occupa di una persona disabile. Dunque, mentre un cittadino riceverà il reddito di cittadinanza che andrà ad integrare il suo reddito, se non sarà idoneo al lavoro verrà comunque responsabilizzato e, attraverso progetti di pubblica utilità presso i comuni, dedicherà del tempo alla sua comunità, ovvero per otto ore settimanali più altre otto se vorrà.

Quando si diventa beneficiario di reddito di cittadinanza o di pensione di cittadinanza, lo Stato si prende si prende cura di te e si prende cura dei tuoi bisogni multidimensionali: ecco il patto per l'inclusione sociale. La rete dei servizi sociali di comuni e regioni verrà potenziata, per accogliere meglio i cittadini in difficoltà; si prevede e si finanzia inoltre, in accordo con le regioni, l'adozione di un piano straordinario di potenziamento dei centri per l'impiego e delle politiche attive del lavoro. Ricordo, poi, che l'articolo 8 introduce una serie di incentivi per le imprese, incentivi a favore dei datori di lavoro privati che assumono a tempo pieno e indeterminato, anche mediante un contratto di apprendistato, i soggetti beneficiari del reddito di cittadinanza; incentivi a favore degli enti di formazione accreditati, qualora questi concorrano all'assunzione effettiva dei suddetti beneficiari; nonché dei beneficiari del reddito di cittadinanza che avviano un'attività lavorativa autonoma o di impresa individuale, oppure una società cooperativa entro il primo anno di fruizione del reddito di cittadinanza.

Altra categoria completamente dimenticata negli ultimi anni è quella dei pensionati minimi. Per ristabilire l'equità sociale persa, ai pensionati che vivono sotto la soglia di povertà andremo ad integrare la pensione, affinché venga loro garantita una vecchiaia dignitosa. Dopo anni di lavoro fatto e contributi versati, poi, è giusto permettere a chi ne ha diritto di godersi il meritato riposo, dando il via così ad un necessario ricambio generazionale, che gioverà a lavoratori ed imprese.

Dunque, la misura del reddito di cittadinanza porterà ad una riduzione della povertà assoluta, riduzione che sarà indotta dall'aumento di consumi e dai possibili effetti occupazionali che si innescheranno. Ci sarà, dunque, un aumento del PIL potenziale, riavviando la domanda interna. Tali effetti sono stati messi in risalto anche dall'ultimo rapporto del MEF del 2019 sul BES, il benessere equo e sostenibile. Dunque, una vera redistribuzione della ricchezza, e un aumento dell'inclusione sociale per le fasce più deboli della popolazione.

Attraverso il reddito di cittadinanza aiutiamo chi non ce la fa più, e contrastiamo quelle dinamiche di voto di scambio utilizzate ancora oggi da politici senza scrupoli che approfittano dell'ignoranza, dello stato di bisogno e della disperazione delle persone. Per rispondere alle strumentali polemiche delle ultime settimane, ad esempio, sottolineo che il reddito di cittadinanza contiene specifiche regole, ed anche sanzioni penali, che eviteranno a furbetti e criminali di accedere alla misura. Segnalo, infatti, che chi ha subito una misura cautelare personale o è stato condannato con sentenza non definitiva per mafia o terrorismo non potrà chiedere il reddito di cittadinanza, e le risorse derivanti da questo periodo di sospensione sono assegnate al Fondo di solidarietà per le vittime di mafia e di usura.

Le Commissioni riunite, poi, hanno anche introdotto un ulteriore requisito per accedere al reddito di cittadinanza, ossia l'assenza in capo a chi lo richiede di misure cautelari o di condanne definitive intervenute nei dieci anni precedenti la richiesta per i delitti che sono elencate all'articolo 7.

Sono state introdotte ulteriori disposizioni anti “furbetti” ed ogni illegittimo godimento da parte di soggetti non meritevoli: infatti, in particolare è stata introdotta l'ulteriore disposizione finalizzata a circoscrivere l'evenienza che genitori artatamente single, dunque non sposati e né separati o divorziati, ma di fatto conviventi, possano produrre ISEE che non rispecchiano il reale reddito del nucleo familiare; ovviamente, non verranno penalizzati quei nuclei in cui si dimostrerà che un genitore non compartecipa alle spese della famiglia.

In riferimento ai requisiti patrimoniali per accedere al reddito di cittadinanza, è stato precisato che si terrà conto anche dei beni immobiliari detenuti all'estero. Sottolineo che abbiamo potenziato il personale della Guardia di finanza per potenziare appunto le attività di controllo e monitoraggio sul reddito di cittadinanza e anche del personale dell'Arma dei carabinieri che avrà il compito di supportare l'ispettorato del lavoro nel contrasto del lavoro irregolare. Ricordo che, con un importante emendamento, abbiamo facilitato l'accesso al reddito di cittadinanza per i disabili incrementando il massimale della scala di equivalenza sino ad un massimo di 2,2 in presenza di componenti con disabilità, innalzando la soglia del patrimonio finanziario da 5 mila a 7.500 euro per ciascun componente con disabilità. Viene, inoltre, favorito l'accesso alla pensione di cittadinanza anche nei casi in cui uno o più componenti il nucleo familiare, pur avendo età inferiore ai 67 anni, siano in condizioni di disabilità grave o di non autosufficienza. Ci tengo a sottolineare che non si tratta di misure di per sé risolutive: stiamo, infatti, procedendo passo passo ad una vera rivoluzione politica ed economica, che andrà ad impattare sulla prosperità sostenibile della nostra Italia. Reddito di cittadinanza, pensioni di cittadinanza e “quota 100” rientrano in un più ampio piano strutturale che comprende anche importanti investimenti: penso al Fondo nazionale per l'innovazione, al Piano proteggi Italia per la messa in sicurezza del territorio italiano e il contrasto al dissesto idrogeologico, con il quale abbiamo stanziato undici miliardi; è in arrivo, poi, il decreto “sblocca-cantieri” per il rilancio degli investimenti pubblici, che anticipa la riforma del codice degli appalti. Ricordo che, per contrastare il lavoro precario, è già legge il cosiddetto “decreto dignità”. Stiamo, inoltre, lavorando all'introduzione del salario minimo orario per aiutare lo Stato a fare emergere il lavoro nero e a non permettere più che i nostri giovani, oppure padri e madri, siano sfruttati o sottopagati. Bisogna elaborare ulteriori e coraggiose politiche di investimento nei settori produttivi del nostro Paese. Mi riferisco alla necessità di finanziare la transizione energetica, per passare urgentemente da un sistema di politica economica lineare ad un sistema di economia circolare basata sulle fonti rinnovabili, le uniche sostenibili per la sopravvivenza della specie umana su questo pianeta. L'Italia potrà, ancora una volta, tornare ad essere protagonista e Paese leader di una rinnovata Europa, tracciando un percorso di sostenibilità ambientale, inclusione sociale e sostegno alle politiche del lavoro che rispettino la dignità della persona e delle sue esigenze relazionali.

È dal 2013 che, insieme a milioni di cittadini sognatori, sosteniamo l'urgenza di misure di sostegno al reddito, come il reddito di cittadinanza, appunto. Eppure, ci siamo riusciti perché quello che è mancato fino ad oggi non erano le risorse bensì la volontà politica.

È per questo che la nostra relazione di oggi non può che essere positiva, Presidente. Sosteniamo in maniera convinta i provvedimenti in esame che rappresentano quanto i cittadini ci hanno chiesto il 4 marzo scorso e continueremo a lavorare per poter portare a termine i nostri impegni con il popolo italiano. Per il resto, deposito la relazione scritta (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. Deputata Nesci, è autorizzata a depositare la restante parte del suo intervento.

Ha facoltà di intervenire la relatrice per la maggioranza della Commissione lavoro, deputata Elena Murelli.

ELENA MURELLI, Relatrice per la maggioranza per la XI Commissione. Grazie, Presidente. Buongiorno. Buongiorno, rappresentante del Governo, onorevoli colleghi. Mi scuso per la mia voce, ma il lavoro in Commissione la scorsa settimana è stato molto intenso e quindi, nel caso in cui mi debba soffermare per bere, me ne scuso ancora.

Ritengo anzitutto utile iniziare precisando alcune cose fondamentali sul reddito di cittadinanza che, come diceva la mia collega deputata relatrice Nesci, è una misura unica di contrasto alla povertà, alle disuguaglianze, all'esclusione sociale e alla garanzia del diritto del lavoro. Per i nuclei familiari composti esclusivamente da una o più persone di età pari o superiore ai 67 anni, esso si chiama pensione di cittadinanza. Il testo originario prevedeva l'esclusione dal beneficio dei nuclei familiari in cui siano presenti soggetti disoccupati che hanno presentato dimissioni volontarie negli ultimi dodici mesi. È stato approvato un emendamento della Lega che modifica tale disposizione, prevedendo l'esclusione del diritto al beneficio per il solo componente del nucleo familiare disoccupato a seguito di dimissioni volontarie nei dodici mesi successivi alla data delle dimissioni, fatte salve le dimissioni per giusta causa. In caso di licenziamento del beneficiario del reddito di cittadinanza entro 36 mesi dall'assunzione, termine introdotto con un emendamento al Senato, il datore di lavoro è tenuto alla restituzione della quota maggiorata delle sanzioni civili.

È stato approvato, poi, un emendamento della Lega, cosiddetto “anti furbetti”, introdotto al Senato dopo che i nostri bravi amministratori locali ce lo avevano segnalato, che prevede, in caso di separazione o divorzio avvenuto successivamente al 1° settembre, che il cambio di residenza sia certificato da apposito verbale della polizia locale.

Per contenere la platea di potenziali immigrati beneficiari del reddito di cittadinanza è stato approvato anche l'emendamento che precisa che i cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea devono produrre apposita certificazione, rilasciata dalla competente autorità dello Stato estero, tradotta in lingua italiana e legalizzata dall'autorità consolare italiana, come avviene per altri tipi di certificazione. Tale disposizione non trova applicazione nei confronti dei cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea aventi lo status di rifugiato politico, nonché nei riguardi dei cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea nei cui Paesi di appartenenza è oggettivamente impossibile acquisire le certificazioni. A tal fine, è previsto che, entro tre mesi, con decreto del Ministero del Lavoro e del Ministero degli Affari esteri venga stilato un elenco di Paesi dove non sarebbe possibile acquisire la documentazione necessaria per la compilazione della dichiarazione sostitutiva unica ai fini ISEE. Per non parlare della stretta sui controlli, con le nuove assunzioni di 100 ispettori della Guardia di finanza e 65 carabinieri.

Per quanto, invece, concerne la parte previdenziale, il decreto-legge è entrato in vigore il 28 gennaio scorso; siamo a metà marzo, è trascorso poco più di un mese e siamo già a più di 100 mila domande: segno questo non tanto e non solo del successo della misura contemplata all'articolo 14 - mi riferisco a “quota 100” - quanto piuttosto forse che il meccanismo “Fornero” era repressivo: esso, dall'oggi al domani, ha innalzato repentinamente l'età anagrafica di accesso alla pensione, allungando di parecchi anni la maturazione del diritto a pensione di vecchiaia ed eliminando le pensioni di anzianità, impedendo l'uscita a migliaia di lavoratori e lavoratrici, creando la piaga sociale degli esodati e bloccando il ricambio generazionale nel mercato del lavoro, senza nessuna gradualità, senza nessuna flessibilità in uscita. Con “quota 100”, invece, noi garantiamo proprio quella flessibilità di uscita dal mondo del lavoro. L'articolo 14 introduce in via sperimentale per il triennio 2019-2021 il diritto a conseguire la pensione anticipata in presenza del requisito anagrafico di almeno 62 anni e di almeno 38 anni contributivi. Siamo stati attaccati per il fatto di aver previsto la misura solo per tre anni, per il fatto che si tratta di una misura temporanea e che non abbiamo avuto coraggio di farla in previsione, ma non è così. Anzi, è esattamente l'opposto: abbiamo voluto scardinare la nefasta “legge Fornero”, introducendo una modifica che, per quanto, certo, fosse necessaria, volevamo fosse la platea dei richiedenti a confermarcelo, ed i numeri ci stanno dando ragione. Chi sono i beneficiari? Sono gli iscritti all'assicurazione generale obbligatoria e alle forme esclusive sostitutive della medesima gestite dall'INPS. Gli iscritti alla gestione separata di cui all'articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995 n. 335 possono conseguire il diritto alla pensione anticipata, definito pensione “quota 100”, al raggiungimento congiunto dei requisiti che ho illustrato. I soggetti iscritti a due o più gestioni previdenziali, che non siano già titolari di trattamento pensionistico a carico di una delle medesime gestioni, hanno, inoltre, la facoltà di cumulare i periodi assicurativi non coincidenti.

È definita diversamente la decorrenza della pensione anticipata in base all'assoggettamento o meno del rapporto di lavoro al pubblico o al privato o serva ancora alla gestione separata. Infatti, con riferimento ai lavoratori dipendenti da datori di lavoro privati e ai lavoratori autonomi, se essi hanno maturato i prescritti requisiti entro il 31 dicembre 2018, conseguono il diritto alla prima decorrenza utile del trattamento pensionistico dal 1° aprile 2019. Nel caso in cui essi maturino i prescritti requisiti a decorrere dal 1° gennaio 2019, conseguono il diritto alla prima decorrenza utile al trattamento pensionistico trascorsi tre mesi dalla maturazione dei requisiti. I lavoratori del settore pubblico, invece, sono soggetti a regole in parte diverse. Infatti, se essi hanno maturato i requisiti entro il 29 gennaio 2019, conseguono il diritto alla prima decorrenza utile del trattamento pensionistico entro il 1° agosto; mentre se essi conseguono i requisiti successivamente al 30 gennaio, ottengono il diritto alla prima decorrenza utile entro sei mesi dalla maturazione dei requisiti.

È importante sottolineare la cumulabilità delle diverse gestioni collegate a INPS: chi ha il requisito contributivo richiesto per la pensione “quota 100”, può anche non essere tutto ricompreso in una sola gestione.

Si fa presente che è stato inserito il divieto di cumulo con altri redditi da lavoro. Infatti, chi va in pensione con “quota 100” non può cumulare con i redditi da lavoro dipendente o autonomo nel periodo intercorrente tra la data di decorrenza della pensione e la data di maturazione, ad eccezione di quelli derivanti da lavoro autonomo occasionale, purché rimangano nel limite dei 5 mila euro.

Questo per permettere il ricambio generazionale. Nel caso in cui il soggetto che accede alla “quota 100” percepisca anche altri redditi derivanti da qualsiasi attività lavorativa, finanche quelle svolte all'estero, si avrà come conseguenza la sospensione dell'erogazione del trattamento pensionistico nell'anno di produzione dei predetti redditi. Qualora i pensionati percepiscano un qualsiasi tipo di ulteriore reddito eccetto quello derivante appunto dal lavoro occasionale fino a 5 mila euro, devono darne immediata comunicazione all'INPS. L'articolo 15, invece, tratta la pensione anticipata con sola anzianità contributiva. Qui è importante sottolineare la vera battaglia della Lega per abbattere la “legge Fornero”, bloccando la cosiddetta aspettativa di vita, cioè il cosiddetto adeguamento della speranza di vita, permettendo alle persone di andare in pensione anticipata con 42 anni e 10 mesi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne, conseguendo il diritto alla decorrenza del trattamento pensionistico trascorsi tre mesi dalla maturazione del predetto requisito senza attendere ulteriormente altri cinque mesi, come invece era stato legiferato dalla “legge Fornero”. All'articolo 16 è esteso, invece, per l'anno 2019, il regime sperimentale di cui all'articolo 1, comma 9, in materia di pensione anticipata con il solo calcolo contributivo per le donne che al 31 dicembre 2018 abbiano conseguito un'anzianità contributiva non inferiore ai 35 anni e un'età anagrafica non inferiore a 58 anni per le lavoratrici dipendenti e 59 anni se lavoratrici autonome. In proposito voglio ricordare a questa Assemblea che la cosiddetta “opzione donna” che vi ho appena illustrato la inserimmo nel nostro ordinamento nel lontano 2004 (legge 23 agosto 2004, Lega al Governo con Maroni Ministro del welfare) come misura sperimentale, ed è stata una misura di successo, che ha consentito a tante donne occupate di liberare posti di lavoro per dedicarsi ad esigenze familiari, e a tante altre disoccupate senza ragionevoli speranze di essere ricollocate nel mondo del lavoro per l'età avanzata di avere un dignitoso sostentamento tutt'altro che assistenziale.

Per questo motivo, proprio con l'articolo 16 del provvedimento intendiamo riproporre l'istituto dell'opzione donna per quelle che, in presenza appunto dei 35 anni di contributi e 58 anni di età, vogliano andare in pensione. Si stima che la misura interessi proprio una platea di circa 32 mila donne, ed è per questo che l'abbiamo rinnovata. In tal caso il diritto alla decorrenza del trattamento pensionistico si perfeziona trascorsi dodici mesi per le lavoratrici dipendenti e diciotto per quelle autonome. Anche per i cosiddetti lavoratori precoci, all'articolo 17, si dispone il blocco degli incrementi dell'età pensionabile per effetto dell'adeguamento alla speranza di vita dal 1° gennaio 2019 e fino al 31 dicembre 2026, introducendo la finestra di tre mesi dalla data di maturazione dei requisiti richiesti per il diritto alla decorrenza del trattamento pensionistico. È prorogata a tutto il 2019 la sperimentazione dell'Ape sociale, indennità riconosciuta fino al conseguimento dei requisiti pensionistici ai soggetti che si trovano in particolari condizioni svantaggiate.

Per fronteggiare invece la carenza di organico derivante dall'accesso anticipato alla pensione “quota 100” o alle altre forme pensionistiche previste dal nostro decreto, è stato prevista al Senato la possibilità di reclutamento del personale all'amministrazione giudiziaria in deroga all'obbligo di esperire, prima del concorso, le procedure di mobilità per il passaggio diretto del personale tra amministrazioni diverse (saranno circa 1.300 le unità di personale non dirigenziale in ingresso dal prossimo 1° luglio) e assunzioni, allo stesso modo, presso il Mibac - che abbiamo introdotto direttamente nell'esame nelle Commissioni proprio qui alla Camera -, in deroga alle disposizioni vigenti in materia di svolgimento delle procedure per la mobilità volontaria.

È stato inserito al Senato lo stop all'erogazione dell'assegno pensionistico per latitanti ed evasi. Ma la soddisfazione per questo provvedimento scaturisce anche da altri importanti interventi in materia pensionistica in esso contenuti, come la cosiddetta “pace contributiva”, di cui all'articolo 20 del provvedimento, cioè la possibilità di riscattare periodi scoperti da contribuzione, fino ad un massimo di cinque anni, beneficiando di rilevanti agevolazioni, come la detrazione fiscale del 50 per cento dell'importo pagato. Si tratta della facoltà riconosciuta ai lavoratori dipendenti e autonomi di coprire i periodi di buco contributivo precedenti la data di entrata in vigore del decreto in esame effettuando il versamento volontario degli oneri dovuti. Il versamento dell'onere può essere effettuato in un'unica soluzione oppure rateizzato senza applicazione di interessi, con rate mensili di importo non inferiore a 30 euro. In proposito segnalo un emendamento del Governo che estende da cinque a dieci anni il periodo di rateizzazione, raddoppiando da 60 a 120 il numero massimo di rate.

Abbiamo altresì previsto che il riscatto dei contributi possa essere pagato anche dal datore di lavoro, attingendo a premi di produzione, il quale potrà poi dedurre dal reddito d'impresa l'importo corrisposto. Il comma 6 dell'articolo 20, invece, estende la “pace contributiva” anche per il riscatto degli anni di laurea non coperti da contribuzione, prevedendo sempre la rateizzazione e la possibilità di portare in detrazione il 50 per cento dell'onere pagato. Con la modifica approvata durante l'esame delle Commissioni Lavoro e Affari sociali della Camera, abbiamo eliminato, per quanto concerne il riscatto agevolato del corso di laurea, il limite dei 45 anni. Non meno importanti sono le disposizioni sui Fondi di solidarietà bilaterali, di cui all'articolo 22, tese a consentire l'accesso alla pensione anche prima del raggiungimento di “quota 100”, con un minimo di 35 anni di contributi e 59 anni di età, purché sia previsto un accordo aziendale che stabilisca il numero di nuovi assunti nell'ottica di favorire il ricambio generazionale. Nello specifico, la norma prevede che detti fondi possano erogare un assegno straordinario per il soggetto al reddito dei lavoratori che raggiungano i requisiti di accesso alla pensione con “quota 100” entro il 31 dicembre 2021 previa sottoscrizione di accordi collettivi a livello nazionale o territoriale nei quali è stabilito, a garanzia dei livelli occupazionali, il numero dei lavoratori da assumere in sostituzione di coloro che accedono appunto alla pensione.

Proseguendo nella disamina dei principali interventi, consideriamo di grande rilievo anche la disposizione in materia di trattamento di fine servizio di cui all'articolo 23 del provvedimento. L'intervento sblocca il congelamento della buonuscita per tutti gli statali che intendano accedere al pensionamento, prevedendo per costoro la possibilità di richiedere una somma pari all'indennità di fine servizio maturata mediante finanziamento bancario agevolabile nell'importo massimo di 45 mila euro, grazie ad un emendamento della Lega approvato dalla Commissione, che ne ha elevato la soglia rispetto ai 30 mila previsti nel testo originario. Sempre in materia di TFS, un importante intervento di detassazione è recato all'articolo 24, che contempla per l'appunto una riduzione dell'aliquota in misura crescente rispetto al tempo fra la cessazione del rapporto di lavoro e la corresponsione della relativa indennità, fino a 3.750 euro. Infine, all'articolo 25, la norma sulla governance dell'INPS e dell'INAIL, tesa a porre fine a una gestione stile “padrone-padrone” dei più grandi enti previdenziali e assicurativi, con il ripristino del consiglio di amministrazione e l'introduzione della figura del Vicepresidente a fianco del Presidente. Non ultimo, l'articolo 26, in cui è stato prorogato al 1° maggio 2019 il termine entro il quale sono nominati il nuovo presidente e il nuovo direttore generale dell'ANPAL.

Concludo Presidente dicendo che il provvedimento che questa Assemblea si accinge a discutere e a votare non può che riempire me e il gruppo che rappresento di profonda soddisfazione. È un'ulteriore prova che questo Governo mantiene le promesse e passa dalle parole ai fatti. La “quota 100” era un punto del programma elettorale della Lega e un punto del contratto di Governo, e insieme al reddito di cittadinanza sono due punti essenziali, salienti del piano di riforme che questo Governo porta avanti, due punti fondamentali, sostanziali, imprescindibili, che con questo decreto garantiamo agli italiani. Anticipo i ringraziamenti alle componenti delle Commissioni XI e XII per il lavoro costruttivo svolto per il raggiungimento di questo ottimo risultato. Sono i ringraziamenti che poi estenderò anche alla fine dell'esame del decreto a tutta l'Assemblea (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier).

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire la relatrice di minoranza per la XII Commissione, deputata Elena Carnevali.

ELENA CARNEVALI, Relatrice di minoranza per la XII Commissione. Presidente, Governo, onorevoli colleghe e colleghi, abbiamo già detto del lavoro molto serio, puntuale, senza nessun atteggiamento di natura ostruzionistica, insieme a tutti i colleghi della Commissione Lavoro e della Commissione Affari sociali, che abbiamo fatto, spesso anche inceppato da titubanze e da grandi fatiche che abbiamo potuto constatare e che si sono palesate durante l'esame di questo provvedimento. Forse l'amarezza più grande sta nell'indisponibilità di fatto da parte della maggioranza di fare loro molti degli emendamenti, che abbiamo costruito, tra l'altro, non da soli ma innanzitutto prendendo atto delle audizioni svolte in Commissione e dei suggerimenti che sono venuti da molti settori della società, dalla società civile e dalla società produttiva di questo Paese. Devo dire che, nella maggior parte dei casi, queste proposte sono state quasi totalmente ignorate da parte di questa maggioranza.

Abbiamo già detto - lo diceva la collega Serracchiani - come questo provvedimento si occupa dei due pilastri che stanno all'interno del contratto di Governo e che hanno, quindi condizionato e subordinato la legge di bilancio 2019. Tratterò solo la questione del reddito di cittadinanza, essendo ampiamente già stata trattata la questione della cosiddetta finta quota 100 da parte della collega Serracchiani. Sgombriamo il campo - lo dico doppiamente con forza e lo dico anche con un certo disappunto - da chi, per difendersi, o in qualche modo giustificare la scelta di un provvedimento il cui obiettivo è condiviso, sostiene qui che fino ad oggi eravamo all'interno del deserto dei Tartari, cioè che non c'è stata alcuna volontà politica di preoccuparci della povertà.

Ci sono delle cose che sono incontrovertibili e mi sembra di capire che forse la dimensione economica è quella che più, in qualche modo, rende evidente l'investimento fatto di una misura strutturale. Ricordo qui un livello essenziale delle prestazioni che è stato introdotto dai precedenti Governi Renzi e Gentiloni e lo è, in particolare, dalla parte - e lo si vede, soprattutto - per le risorse economiche che erano state messe in campo: 3 miliardi di euro, considerando anche i 2,2 miliardi più il fondo PON proprio sull'inclusione sociale, e il 20 per cento del Fondo della povertà dedicato in particolare ai servizi.

Si può utilizzare e in qualche modo piegare la verità, però bisogna anche dire la verità sempre com'è e come è nella sua interezza, perché una cosa che viene omessa - è stata omessa e mi dispiace - nella relazione che ho sentito precedentemente, è che la copertura di cui parlerò, invece, per il reddito di cittadinanza e di quota 100, in particolare dipende per un miliardo e mezzo da soldi che voi prendete dal gioco d'azzardo. Questa è la verità e queste sono le cose che voi omettete, ma che invece vanno dette, in quanto saranno quelle le risorse che servono per finanziare in particolare il reddito di cittadinanza. Prova ne è che, quindi, di questi 17 miliardi di euro ne prevedete - quindi utilizzate - 2,2 miliardi, che vi sono stati lasciati e a cui vengono aggiunti 4,9 miliardi per il 2019, 5,9 per il 2020, 6,2 miliardi per il 2021.

Un lascito importante, quindi, quello che vi abbiamo consegnato anche per quest'anno, che è pari alla metà degli investimenti che sono stati messi in conto, mentre per i futuri anni un'altra cosa che non viene detta è che sono lì, messe in modo nominale, le risorse che serviranno per finanziare ciò, perché queste sono subordinate all'aumento della pressione fiscale, a una futura manovra di bilancio che non avrà uguali. Parliamo di 38 miliardi in tre anni per sostenere il reddito di cittadinanza e quota 100, che sono ipotecati dalla necessità, da un lato, di sbloccare le clausole di salvaguardia, dalla perdita del 25 per cento della base produttiva e dalla condizione di recessione tecnica in cui avete portato questo Paese.

Ci differenzia non solo una visione di carattere culturale, ma anche il modo con cui si costruiscono i provvedimenti che vengono poi portati qui all'esame del Parlamento. Noi non abbiamo fatto una scelta individuale, abbiamo voluto costruire una misura di contrasto alla povertà fatta, in particolare, in condivisione con le parti sociali e con quel network dell'alleanza contro la povertà che è stato un partner fondamentale per costruire il reddito di inclusione.

È una diversità rilevante sia di metodo che di merito, e, seppure di fronte a un investimento di risorse dedicate alla povertà che non ignoriamo di certo, l'equivoco di fondo è credere che la povertà e la disoccupazione siano la stessa cosa, o forse, ancora peggio, pensare che la povertà abbia un solo volto, che non esista la condizione di poveri e che dovremmo, forse, in particolare dedicarci a questo. Chiunque abbia impattato con i poveri conosce quanto sia dura la china per uscirne e quindi quanto sia difficile e faticoso il percorso. Ignorate che si può essere poveri, si può diventare poveri per molte cause, tra cui - sì - anche quella della perdita o dell'assenza di lavoro, oppure un reddito insufficiente per sostenere una vita dignitosa per sé e per il proprio nucleo familiare.

La formula che avevamo individuato del reddito di cittadinanza, che prevedeva un beneficio di natura economica alla sottoscrizione di un patto sociale e l'invio ai centri per l'impiego nel momento in cui chi si affacciava ai servizi comunali non aveva alcun problema di carattere e di natura problematica, aveva il vantaggio - poi lo vedremo - di non far confluire tutta la stima delle persone e dei nuclei familiari che sono inclusi in questo provvedimento del reddito di cittadinanza a tutti i centri per l'impiego. Il rafforzamento dei centri per l'impiego - lo dico ai colleghi - era sicuramente necessario. Del resto, abbiamo, anche qui, lasciato 600 milioni per sostenere, in particolare, il rafforzamento dell'Anpal. Tuttavia credo che l'errore culturale di fondo, di pensare che la condizione di povertà sia esclusivamente legata a una dimensione lavoristica - che è tra, l'altro, non detta solo dal Partito Democratico ma da tutti quelli che sono stati auditi - sia il vizio culturale di fondo e, a nostro giudizio, anche sbagliato di questa misura.

Vi ho già detto di come possono essere molti i fattori che portano le persone in condizioni di povertà; condizioni multifattoriali, dalla dipendenza alle condizioni di salute, all'età, alle condizioni di disabilità grave, alle condizioni personali di disagio, spesso, purtroppo, anche correlate tra loro. È vero che l'evoluzione tecnologica sta modificando profondamente l'organizzazione del lavoro in tutti i Paesi e il suo impatto sociale produce effetti sulla vita dei cittadini e sull'organizzazione delle imprese nella governance dei processi connessi, rendendo quindi necessario trovare nuove risposte. Voi avete fatto una scelta, legittima per chi governa, da noi e da molti auditi non apprezzata, frutto di quell'errore di fondo di questa misura ibrida messa in campo, che mette insieme strumenti assicurativi e tralascia, invece, misure di sostegno alla disoccupazione di lungo periodo, che sono escluse, mentre è possibile un sostegno reddituale fortemente generoso fino a 780 euro per soglie di reddito zero, tale da disincentivare - e tutti hanno questa preoccupazione - l'accettazione di una delle tre offerte.

C'è la bizzarria di questo rifiuto a un'offerta congrua di 878 euro mensili, che è pari allo stipendio di molti lavoratori di bassa qualifica - mi scuso per questa affermazione - o per i lavori part-time: due volte assurda perché vi hanno detto tutti che questo favorirà il lavoro sommerso e il lavoro nero. In più, ho provato a chiedere alle persone che lavorano nei centri per l'impiego, perché non partiamo dalla presunzione di pensare che conosciamo tutti; sono quindi andata a chiedere a chi li gestisce in un territorio come il Nord, dove i servizi dei centri per l'impiego sono molto più strutturati, dove sicuramente c'è anche una possibilità di avere, quindi, una disponibilità di lavoro forse maggiore rispetto a tanti territori nel Sud. Su questo convengo con le affermazioni sul lavoro della collega Nesci quando diceva che la povertà porta non solo a una deprivazione personale, a una condizione di vita non più dignitosa, a uno spopolamento di molti territori. Però temo che, proprio per il fatto che in questa legge di bilancio non solo avete infierito sul fatto di aver mortificato gli investimenti, di non aver messo niente in particolare sull'asse della crescita, sull'asse dell'occupazione, che questo problema della migrazione non si risolva di sicuro con questa misura del reddito di cittadinanza. Tra l'altro, ho il sospetto e la preoccupazione - che mi auguro non sia vera - che l'offerta congrua sia poi palesemente una foglia di fico, perché il rischio è che, per accedere al centro per l'impiego, tutte le statistiche ci dicono che attualmente solo il 4 per cento del totale annuo delle determinazioni avvengono lì: il 4 per cento. Noi presumiamo che questi siano in grado di offrire fino a tre offerte di lavoro per qualche milione di possessori di reddito di cittadinanza. La risposta è ovviamente no, e anche se i centri per l'impiego conoscessero al 100 per cento dei posti vacanti e li offrissero a tutti i 3 milioni di disoccupati, come ci dicono le statistiche ufficiali, non si capisce perché le aziende dovrebbero rinunciare alla selezione che fanno in base alle loro competenze.

Per come è organizzato il sistema produttivo, non siamo più nel dopoguerra, dove la ricostruzione, in particolare esigeva che la forza di lavoro fosse assegnata in base a una graduatoria di bisogni. Oggi sono le aziende che scelgono i loro collaboratori e non sono neanche obbligate a dichiarare l'offerta economica che fanno ai disoccupati in sede di colloquio. Non solo: le aziende quando chiedono del personale vogliono avere una rosa di nomi possibili da candidare per selezionare i soggetti che saranno poi assegnati. Quindi, la preoccupazione che si possa, come dire, rischiare di vivere di sussidio oppure di qualche lavoretto per cercare di arrotondare le entrate - e poi vedremo - è un rischio oggettivamente che lascia ancora molte perplessità.

A noi sembra anche molto velleitaria quest'architettura organizzativa bizantina, di un percorso che il nostro cittadino-utente deve fare del suo nucleo familiare. Guardate, basta leggere il testo dell'articolato per capire quanto sia disordinato, caotico, complicato, tarato sulle situazioni di povertà che molto probabilmente avete visto sui libri, oppure sono totalmente ignorate. Pensate che le persone siano da smartphone, dinamiche, interattive digitali, con una formazione adeguata al sistema produttivo, capaci di consultazioni quotidiane della piattaforma e capaci di passare dai CAF, ai post, all'INPS, ai centri per l'impiego più volte e forse poi arrivare ai servizi assistenziali. Guardate, io credo che voi avete la consapevolezza che alla povertà bisogna dare delle risposte complesse. Credo che in questo decreto – anzi, devo dirvi, purtroppo siamo quasi certi - che la complessità del percorso che avete individuato rischia di essere per molto tempo un esclusivo beneficio economico di cui poi vedremo, in fasi successive, se ci saranno tutte le condizionalità che avete incluso.

Ce l'hanno detto l'ISTAT, l'INPS, ce l'ha ricordato la collega Nesci: 5 milioni di poveri assoluti potenziali; sono 1,3 milioni nuclei familiari, pari a 2,7 milioni di persone e già questo dice molto, cioè stiamo parlando della metà delle persone in condizioni di povertà che non verranno incluse in questo provvedimento. Questo ve l'hanno detto e ve l'hanno consegnato 900 mila persone di età compresa tra i 18 e i 64 anni. Sono soggetti che sono attivabili, obbligati a scrivere il patto di lavoro, di cui 600 mila con licenza media o nessun titolo. Ecco, io credo che anche qui l'errore più grande sia stato quello di non investire in particolare sui servizi dedicati alla formazione, alla riqualificazione professionale, a mettere in campo le figure che sono adeguate al sistema produttivo perché si possano realmente emancipare dalla condizione di povertà. Avete cancellato e avete non voluto l'assegno di ricollocazione, che è uno strumento più utile soprattutto per poter ricollocare le persone che hanno più di un componente fragile.

Dopo averci raccontato che il reddito di cittadinanza era accompagnato dai lavoratori minacciati dalla globalizzazione e dalla transizione ecologica, scopriamo che per avere accesso al reddito di cittadinanza i robot non devono averci solo rubato il lavoro, ma devono anche averci rubato la casa. Si sceglie di non intervenire sui disoccupati, si sceglie di non intervenire prima che i disoccupati diventino realmente poveri e le risorse ci sarebbero state, distribuendole in modo diverso. Ve l'abbiamo detto con un emendamento che abbiamo discusso - approvato da tutte le minoranze - e che avete naturalmente respinto al mittente.

È evidente che la fretta è stata una cattiva maestra e che per molto tempo il reddito di cittadinanza, di sicuro fino alle europee e anche oltre, diventerà solo un mero beneficio economico. Non c'è altra spiegazione che la richiesta del consenso rispetto a questa scelta. Serve un lavoro, serve crescita occupazionale che deriva innanzitutto dall'aumento della produttività e dagli incentivi alle imprese, servono risorse economiche quelle che solo ora, “a babbo morto”, pensate di introdurre dopo aver fatto tabula rasa di ciò che avevate ricevuto in eredità. Di contro, vi ho già detto lo sblocco degli investimenti e la richiesta che abbiamo sentito in questi giorni, in particolare da parte dall'altro partner, di introdurre già da subito, nel 2019, 60 miliardi, la flat tax per le famiglie. C'è qualcosa che, alla fine, non funziona e la propaganda a un certo punto si misurerà e anzi sbatterà contro le condizioni economiche vere, reali di questo Paese. E, quindi, usciti dal kit della propaganda noi vedremo che per i requisiti e i criteri di accesso e per solo quei margini complessivi che sono stati messi in campo, alla fine - e questo lo vediamo, in particolare, per quel che riguarda le famiglie in condizioni di povertà, soprattutto per quel che riguarda le famiglie con minori e, in particolare, le famiglie con persone con disabilità - avete miseramente aggiunto 12,8 milioni di euro a fronte di oltre 7 miliardi per il reddito e la pensione di cittadinanza.

Ma veniamo, poi, al punto. Sono state introdotte alcune modifiche, in particolare all'articolo 1, con l'inserimento alla pensione di cittadinanza sempre per i nuclei con la presenza di persone con 67 anni, e qui non si capisce l'incongruità per cui la speranza di vita l'avete mantenuta qui e invece l'avete esclusa per i “quotati” e avete detto che possono anche essere incluse nel nucleo familiare persone con gravi disabilità. Ecco, è talmente esiguo ed è una foglia di fico che anche qui - e meno male che ogni tanto la Ragioneria fa un po' giustizia rispetto alle affermazioni che vi diciamo - alla fine questo incremento di 7.500 euro ai fini patrimoniali produce - cuba, come si dice in un linguaggio e in un gergo magari poco fine - qualcosa come 6,4 milioni di euro. Ma io non so se questo non produce una sorta di brivido nella schiena anche alla maggioranza e lo dico soprattutto anche con una certa amarezza e anche insoddisfazione, oltre che fatica, soprattutto dopo il fatto, in particolare, di aver istituito un Ministero della famiglia, dopo aver istituito un Ministero per la Famiglia con disabilità in particolare chi pagherà prezzo e pagheranno prezzo in particolare sono una serie di persone, non mi piace parlare di categorie.

Allora, cominciamo a capire chi pagherà prezzo. Chi paga pegno? Pagano pegno, in particolare, le famiglie con i figli e in particolare le famiglie numerose, perché come dice la relazione dell'Ufficio parlamentare di bilancio - e anche qui ogni tanto c'è un po' di giustizia, a parte, del resto, che l'Ufficio parlamentare di bilancio fa il suo mestiere, anche se ogni tanto non è particolarmente apprezzato da questa maggioranza - la volontà di assicurare 780 euro mensili e di aumentare i sussidi ai pensionati - e si parla, appunto, di sussidi e non di pensione, come avete enfaticamente chiamato la pensione di cittadinanza - ha portato a definire una scala di equivalenza per cui il 47 per cento dei beneficiari saranno single. Sul vessillo dei 780 euro la subordinata provoca, quindi, una ridistribuzione delle risorse, penalizzando le famiglie numerose e, guardate, in particolare, quell'1,2 milioni di bambini e di persone che vivono in condizioni di povertà, cioè i più esposti, non interrompendo, invece, quella povertà generazionale che avrebbe dovuto essere una responsabilità morale ed etica da parte di tutto il Parlamento. Chi paga ancora di più? A questo avete aggiunto - e lo si ricordava prima - questa bizzarria di inserire peraltro anche questa colf tax di cui poi parlerò quando arriveremo invece a chi paga pegno, cioè le famiglie con disabilità.

Poi, sulle persone straniere io l'ho interpretata così politicamente.

PRESIDENTE. Deve concludere.

ELENA CARNEVALI, Relatrice di minoranza per la XII Commissione. Sono stati appagati due obiettivi: da un lato, quella di, in particolare, selezionare e rendere più selettiva la platea delle persone straniere e, dall'altra, quella in qualche modo di garantire 780 euro.

Concludo su due questioni molto brevemente…

PRESIDENTE. Una, perché ha già esaurito il suo tempo.

ELENA CARNEVALI, Relatrice di minoranza per la XII Commissione. …e poi chiedo di lasciare agli atti la relazione. In particolare, vi devo dire sulle persone con disabilità. Guardate, io credo che quella sia la beffa più grande dopo aver promesso 400 milioni di euro che avete regalato alle persone e alle famiglie includendo nel computo in particolare le pensioni di invalidità, e, guardate, non è quello che può compensare questa scelta che cadrà al primo ricorso che verrà fatto dopo l'approvazione di questo decreto.

PRESIDENTE. Grazie…

ELENA CARNEVALI, Relatrice di minoranza per la XII Commissione. Per queste ragioni e per tante altre che lascerò nella relazione il nostro giudizio rimane critico. L'obiettivo è condiviso ma purtroppo, come spesso si dice, la ricetta è stata sbagliata (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Grazie, deputata Carnevali. È autorizzata a depositare la sua relazione.

Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo, sottosegretario Cominardi.

CLAUDIO COMINARDI, Sottosegretario di Stato per il Lavoro e le politiche sociali. Grazie, Presidente. Innanzitutto, tengo a ringraziare tutti coloro i quali hanno lavorato su questo provvedimento, ovviamente, le relatrici, sia di maggioranza che di minoranza, tutti i colleghi, sia di opposizione che di maggioranza, chiaramente, e così tutti i colleghi parlamentari che hanno lavorato fino a notte fonda.

Questo provvedimento è fondamentale e credo che sarà uno dei più importanti di questa legislatura, perché va a toccare la vita di tutte le persone; va a toccare la vita di chi ha un lavoro e teme di perderlo oppure lo sta cercando da molto tempo e di chi è nel mondo del lavoro da tanti anni, troppi, evidentemente, a causa di una legge, la legge Fornero, che ha innalzato in maniera eccessiva i requisiti pensionistici, i requisiti anagrafici e i requisiti contributivi, condannando tutti i lavoratori a lavorare fino ad un'età difficile da sostenere. Questo provvedimento è importante perché tocca la vita di tutti noi, ma, soprattutto, perché interviene dal punto di vista della sicurezza sociale, cioè interviene sia per quelle persone che effettivamente hanno un lavoro, però, vivono nella continua incertezza: di cosa accadrà se perderò il posto di lavoro, di cosa accadrà se non avrò alcun sostegno al reddito, cosa accadrà se la Naspi ad un certo punto verrà meno e non avrò il tempo materiale per trovare un altro lavoro? Questo è un qualcosa di epocale perché l'Italia non aveva mai investito così tanto nelle politiche sociali e, anche, nelle politiche del lavoro.

Si è detto che si sono in qualche modo mischiati vari temi, il tema del contrasto alla povertà e il tema del lavoro e delle politiche attive. In realtà sono due cose che stanno assieme; il fatto di includere, all'interno del programma del reddito di cittadinanza, il patto per il lavoro, il patto per la formazione e il patto per l'inclusione sociale, vuol dire che si cerca di vagliare la condizione di ogni singolo soggetto per poi orientarlo a quelli che sono i soggetti istituzionali preposti. Questo Governo ha avuto tutta la sensibilità anche per quanto riguarda i soggetti che, poi, dovranno occuparsi della presa in carico, nel caso in cui questi non potranno, per una serie di ragioni, sottoscrivere il patto per la formazione o il patto per il lavoro, perché, appunto, nella legge di stabilità si sono incrementati i fondi per i comuni che si occupano di questo tipo di servizi.

Parlando della questione di carattere pensionistico, devo dire che, quando si dice che le misure che sono state adottate sono rivolte soprattutto al Nord, sono rivolte soprattutto agli uomini, maschi, non si dice proprio il vero e cerco di spiegare il perché. Lo si vede dalle domande che sono state effettuate fino ad oggi per l'accesso alla quota 100: si parla di circa 100 mila domande e questo è già un risultato oggettivo che possiamo vedere con i nostri occhi, è un qualcosa di concreto, e se vediamo qual è la distribuzione su tutto il territorio nazionale, ci accorgiamo che le domande sono distribuite in maniera abbastanza omogenea, almeno fino a qualche tempo fa, e la percentuale maggiore di domande proviene appunto dal Sud. Quindi non è vero che quota 100 penalizza il Sud, non è assolutamente così, ed è comunque un valore molto simile a quello del Nord.

Per quanto riguarda invece il fatto che si penalizzino le donne, è vero che le donne magari non hanno mediamente una continuità contributiva come gli uomini, ma è vero anche che all'interno di questo provvedimento si è prevista anche la proroga di opzione donna che è una misura rivolta solo ed esclusivamente alle donne.

Poi, insieme a queste proposte, abbiamo il blocco dell'aspettativa di vita che, in qualche modo, dà una risposta ai cosiddetti lavoratori precoci.

Io sono d'accordo rispetto al fatto che il tema dei lavoratori precoci sia un tema importante; da parte mia ho sempre spinto affinché si facesse un qualche cosa di concreto il prima possibile e c'è anche un impegno da parte di questo Governo affinché nei prossimi provvedimenti - io non sono in grado di dire quando, perché sono una persona che non promette se non è convinto di quel che dice – ci sia un'azione rivolta anche a queste categorie di lavoratori, questo impegno sicuramente c'è. Però, oggi, abbiamo qualcosa che prima non esisteva, cioè la facoltà di andare in pensione con 62 anni di età anagrafica e 38 anni di contributi.

Fino a ieri non era così, fino a ieri bisognava aspettare quelli che erano i requisiti pensionistici, al netto dell'APE sociale che è stata comunque prorogata, bisognava aspettare i requisiti pensionistici della legge Fornero. Per cui è una risposta, sì, concreta e, lo ripeto, 600 mila persone nel giro di pochi giorni hanno fatto domanda; ciò vuol dire che, effettivamente, era un'esigenza del Paese. Questo, sicuramente, genererà un turnover positivo; positivo nel senso che io non so se per dieci persone o per cento persone che escono dal mercato del lavoro ne rientreranno cento, però c'è la garanzia che cento andranno in pensione e che qualcuno, non so se saranno 40, 50, 60 o 70, ma, qualcuno, entrerà e questo farà sì che chi ha una certa età e ne ha la necessità anche fisica o psicofisica, talvolta, avrà una finestra per uscire, avrà un periodo per uscire; è vero, è una proposta che ha una durata triennale, ma è un punto di partenza reale e nel contempo libererà dei posti per forza lavoro giovane. Noi, in Europa, siamo tra i Paesi con uno dei più alti tassi di disoccupazione giovanile, siamo tra i Paesi in cui purtroppo vi è un tasso di emigrazione giovanile molto, molto elevato e questo sicuramente darà la possibilità a queste persone di entrare nel mondo del lavoro e sicuramente di fornire delle competenze che prima non c'erano, perché dobbiamo svecchiare anche quella che è la forza lavoro. Avere un giovane in un'impresa vuol dire avere delle persone, dei giovani che possono portare competenze, quali la capacità di essere multitasking, la capacità di problem solving, l'essere bravi nel lavoro in team, l'essere avvezzi a quelle che sono le nuove tecnologie, quindi, a quelle trasformazioni anche dei processi produttivi all'interno delle aziende, proprio in questo periodo in cui si parla sempre più di Industria 4.0.

È stata fatta una serie di critiche rispetto ad alcune questioni più di dettaglio, come, per esempio, il fatto di aver penalizzato - io non sono d'accordo e cercherò di spiegare il perché - le famiglie numerose. Oggi, rispetto a prima, una famiglia numerosa potrà avere fino a 1.330 euro al mese, certo, avremmo voluto fare di più, tutti avremmo voluto fare di più, ma oggi avrà fino a 1.330 euro al mese. Ieri quanto aveva, mi domando? Non aveva 1.330 euro al mese (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

Sulla questione della disabilità, questo provvedimento, come ho avuto modo di dire sia nella discussione al Senato che qui alla Camera, non è un provvedimento specifico, ad hoc, per i disabili; questo Governo è già intervenuto in proposito, ha una sensibilità, ha un Ministero che prende quel nome, ma questa è anche una manovra economica, però, quello che voglio dire è che è una misura rivolta ai nuclei in povertà, specialmente in povertà assoluta, a tutti i nuclei, ai nuclei in cui vi è un disabile e ai nuclei in cui non vi è un disabile. Nel provvedimento stesso, però, chiaramente, si specifica che nei nuclei in cui vi è un disabile non vi è l'obbligatorietà di sottoscrivere i patti per il lavoro, ma vi è la possibilità per il disabile stesso di aderire qualora lo desiderasse e ci sono dei limiti più circoscritti e più limitati per l'accettazione delle proposte di lavoro nei 100 chilometri, diversamente dai nuclei in cui non vi è un disabile che dovranno, alla terza proposta, accettare un'offerta di lavoro che arrivi da tutto il territorio nazionale; noi l'abbiamo limitata nei 100 chilometri.

Abbiamo un requisito, che è quello patrimoniale, immobiliare, finanziario - insomma i depositi bancari - che è più elevato per quelle famiglie in cui vi è un componente con disabilità, che era di 5 mila euro fino a prima che arrivasse il provvedimento qui alla Camera e si è innalzato, con le proposte che abbiamo portato in discussione, a 7.500 euro. Quindi, ciò vuol dire allargare le maglie, dare la possibilità a più nuclei familiari che hanno un disabile in famiglia di accedere a questa misura; così, lo stesso discorso vale sull'applicazione della pensione di cittadinanza. Quindi c'è stata un'attenzione per queste famiglie. Ovviamente, si può fare di più e si può fare molto di più. Io sono sicuro che questo Governo farà ciò in un provvedimento ad hoc, mirato sulle questioni che riguardano la disabilità. In questo, comunque, devo dire che si è lavorato molto con il sottosegretario Vincenzo Zoccano e con il Ministro Fontana, con il quale si è elaborata una proposta di sintesi, riportata all'interno di questo provvedimento, ovviamente con l'obiettivo di fare poi molte altre cose ancora nelle prossime nelle prossime occasioni utili.

In conclusione, mi sento di dire che, rispetto alle critiche che sono state avanzate a questo provvedimento, tutte legittime perché ciò fa parte anche del gioco delle parti, veramente mi aspetto che l'obiettivo sarà quello di portare ognuno il proprio contributo, mi sento di dire di sposare questa manovra, questo intervento, questa misura, che è stata avanzata perché, effettivamente, in questa occasione abbiamo veramente risposto agli ultimi, abbiamo veramente risposto a coloro i quali non hanno una lobby di riferimento, a coloro i quali non hanno voce perché non hanno modo di essere ascoltati, perché probabilmente non hanno un potere contrattuale, essendo persone cosiddette invisibili, salvo qualche realtà associativa; essi hanno poche persone che rappresentano i loro problemi e questo sicuramente è un qualche cosa che questo Parlamento, spero a breve, approverà. Questo intervento è un qualcosa che secondo me va a riprendere quelli che sono i fondamentali della nostra Costituzione italiana (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

Modifica nella composizione di un gruppo parlamentare.

PRESIDENTE. Comunico che la deputata Lucrezia Maria Benedetta Mantovani, proclamata il 15 marzo 2019, ha dichiarato, con lettera pervenuta in pari data, di aderire al gruppo Fratelli d'Italia.

Si riprende la discussione.

(Ripresa discussione sulle linee generali – A.C. 1637-A)

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Ettore Guglielmo Epifani. Ne ha facoltà.

ETTORE GUGLIELMO EPIFANI (LEU). Signor Presidente, signori del Governo, colleghe e colleghi, provo a fare qualche osservazione di premessa, prima di entrare nel merito di esame del decreto-legge che ci accingiamo oggi a discutere e poi a votare. Non c'è dubbio che il decreto-legge parta da due questioni sociali che sono particolarmente importanti. La prima è la necessità di una lotta alla povertà nel nostro Paese, una necessità centrale nelle politiche pubbliche e sociali dell'Italia. Noi dobbiamo ammettere il ritardo che ha il nostro Paese nel costruire e nell'aver costruito nel tempo politiche attente al fenomeno della povertà e questo malgrado da decenni tanti studiosi, tante parti, tanti soggetti, interni ed esterni al nostro Paese, ci segnalavano come il limite del nostro welfare fosse proprio quello di non essere attento alle questioni della povertà. Naturalmente, poi, la crisi, dal 2008 in poi, ha fatto il resto perché la povertà ha fatto in questi dieci anni un salto ulteriore rispetto alla condizione di tante persone che avevamo già come fattore endemico della condizione sociale di tante aree del nostro Paese. In modo particolare - e qui forse si è prestata poca attenzione anche nel decreto-legge - le caratteristiche di questa povertà sono cambiate in questi dieci anni. Ognuno di noi ha sempre associato l'idea del povero all'idea di una persona anziana: bene, tutte le statistiche - tutte - ci dicono che oggi il vero cuore della povertà sta esattamente tra i più giovani, sta tra i minori, sta tra le famiglie numerose e questo è il nuovo nucleo e la nuova caratteristica della povertà in Italia. Aggiungo - altra cosa di cui nessuno di noi immaginava la portata - che oggi si considera fattore emergente il cosiddetto lavoro povero, cioè persone, soprattutto giovani, che lavorano e dove, in ragione delle modalità del lavoro, delle ore di lavoro, delle condizioni del lavoro, arrivano ad avere redditi così bassi che non li tutelano dal rischio di stare e non uscire dall'area della povertà.

La seconda esigenza da cui parte la riforma, anch'essa condivisibile, riguarda il bisogno di rendere meno rigido il sistema di pensionamento della legge cosiddetta Fornero. Qui ne abbiamo parlato ed io ne vorrei parlare in termini responsabili ma seri, perché oggi è facile dire quello che non va nella legge cosiddetta Fornero ma è altrettanto evidente che se ognuno di noi riflette su quel momento, su quella fase di storia economica e sociale del Paese, dove eravamo aggrediti su tutti i fronti e nel quale maturò la riforma Fornero, bisogna pure sapere che essa è figlia di un frutto particolare di una stagione politica.

Vuol dire che questo giustifica la legge cosiddetta Fornero? No, non la giustifica, perché anche a distanza di tempo si vede qual è la contraddizione tipica di quella riforma: è una riforma troppo rigida. Un riforma rigida per la misura dell'innalzamento dell'età pensionabile, rigida perché pone situazioni uguali per condizioni diverse: questo è il limite della legge cosiddetta Fornero! Quando noi facemmo - io lo ripeto sempre - negli anni Novanta le grandi riforme sul sistema previdenziale, prima come accordi tra le parti sociali e poi in accordo con il Governo, noi ci premunivamo sempre di operare ogni innalzamento dell'età pensionabile con due criteri, il criterio della gradualità e il criterio dell'equità: aumentavi l'età, ma lo facevi gradatamente, in modo tale che potessi tu gestire al meglio le ricadute sociali di questo innalzamento dell'età. Voi non troverete in nessuno dei grandi avanzamenti di età introdotti negli anni Novanta questi salti, questi gradoni, queste cose per cui avevi persone che, da un giorno all'altro, si trovavano a dover lavorare, come è capitato a molte donne di alcune coorti di età, cinque o sei anni in più di quelli che non avresti immaginato il giorno prima.

In secondo luogo introducevamo l'equità. C'erano sistemi previdenziali troppo favorevoli, altri sfavorevoli. Si cercava di tenere assieme un principio di equità, perché nella logica di un sistema previdenziale pubblico le ragioni dell'equità non sono qualcosa che viene dopo, sono qualcosa che sostiene il senso della previdenza pubblica, altrimenti tanto vale affidarsi all'assicurazione privata e risolvere per altra strada il problema della tutela del proprio futuro. Bene: con la legge cosiddetta Fornero neanche la questione dell'equità fu affrontata.

Non sono, quindi, queste le questioni che ci dividono rispetto al decreto-legge, perché i due campi sociali sono corretti: l'individuazione delle due priorità è corretta. Quello che ci divide sono altre cose. La prima, di cui fino adesso non si è parlato: ma perché un aumento così considerevole (e ne do un giudizio positivo) di spesa sociale? Apro e chiudo una parentesi. Non è la prima volta, caro sottosegretario, perché dobbiamo pur dire che nel precedente Governo vi fu un'operazione di oltre 10 miliardi decisa per l'aumento delle retribuzioni dei lavoratori tra 1.200 e 1.500 euro: 10 miliardi, grosso modo, il costo dell'operazione che fate oggi. Quindi, la cifra in sé è importante, ma perché l'avete finanziata con il disavanzo? Perché? Non è una critica che rivolgo oggi: è esattamente la critica che vi abbiamo formulato durante la discussione della legge di bilancio. Perché un aumento della spesa corrente in disavanzo? Sapete in disavanzo cosa andava fatto e cosa bisogna fare?

Le spese per investimento! L'errore tragico che avete fatto con la legge di bilancio in autunno ce lo stiamo portando dietro; non crediate che il fatto di essere arrivati a zero come crescita di PIL è solo il frutto della congiuntura che rallentava. È il fatto che voi quella congiuntura che rallentava non l'avete voluta vedere e capire; vi siete illusi che così non fosse. Infatti, se voi fosse stati consci, consapevoli della durata e della durezza di quel percorso, avreste voi dovuto mettere al centro un disavanzo forte e una politica straordinaria di investimenti pubblici: non solo le grandi opere ma tante piccole opere di messa in sicurezza del territorio, di messa in sicurezza delle nostre città, di messa in sicurezza delle nostre campagne, di messa in sicurezza delle nostre scuole, dei nostri edifici pubblici, delle nostre case. È quello che è mancato: io questo rimprovero. Un'operazione così si può fare ma si finanzia con altri modi, con la fiscalità generale, con un disavanzo. E quando oggi vedo che Tria presenta un piano straordinario per gli investimenti, la prima cosa che mi viene da dire è: ma perché oggi? Perché non l'hai fatta nell'autunno? Fra l'altro, se lo avessi fatto in autunno, il PIL magari non sarebbe arrivato così in basso, non avremmo avuto quell'incertezza, non avremmo avuto quello spread, avremmo avuto una situazione diversa e non è un capriccio, perché, se il PIL sceso non si riprende, quando arriveremo al prossimo autunno, fare la manovra di bilancio sarà un'impresa complicatissima e lo sapete. Ma questo è il frutto di tale scelta: per questo non sono convinto e non ho capito perché non avete fatto per tempo le operazioni che bisognava invece fare. Voglio adesso arrivare alle due proposte. Molte cose sono state dette, non le aggiungo. Condivido molte cose ma non ne condivido altre. La prima cosa che voglio dire riguarda l'intervento sul reddito di cittadinanza. Ripeto che ha una portata importante: quando tu dai soldi a tante famiglie che sono in situazione di bisogno, tu devi dire che è una scelta giusta, una cosa giusta, una cosa che andava fatta, una cosa che deve essere fatta, una cosa che va apprezzata. Ma, anche in questo caso, conveniva smontare il REI e mettersi dentro la nuova logica? Il limite del REI è che era stato fatto troppo tardi e con poche risorse ma aveva una sua base che dimostrava di funzionare. Si è smantellato il REI e si inserisce una nuova modalità che tiene assieme l'intervento sulla povertà con l'intervento dell'avviamento al lavoro. Le due cose insieme è facile comporle? Avendo sentito molte delle audizioni che ci sono state alla Camera, ne voglio citare due, che vengono però da due soggetti particolarmente autorevoli nel campo della lotta alla povertà. La Comunità di Sant'Egidio ci ha detto che è un intervento troppo lavorista: che ruolo ha la formazione, la scuola, i territori, l'assistenza sociale, il Terzo settore? E la CEI, che cosa ci ha detto? Facendo con queste modalità non si sottostima troppo la povertà delle famiglie numerose con tanti minori a carico? E non sono due osservazioni che andavano prese con più attenzione e con più rispetto? Io credo di sì. Io poi ne aggiungo un'altra: ma, secondo voi, è facile tenere insieme la dimensione familiare dell'intervento, che è il caposaldo della riforma che voi proponete, con la dimensione individuale delle scelte delle libertà personali? A me è capitato di dirlo su un paradosso che abbiamo cercato di evitare ma non ci siamo riusciti. Una famiglia ha diritto al reddito di cittadinanza; un padre o una madre di quella famiglia, che ha un figlio disabile che non può stare da solo, decide di licenziarsi per assistere il proprio figlio; bene, se fa questa scelta, la famiglia perde il reddito di cittadinanza. Vi pare una logica? Perché devo mettere un limite alla scelta individuale quando sono in ballo questioni di vicinanza a una situazione drammatica? Perché devo mettere conflitto tra libertà individuale di chi vuole assistere il figlio invalido e la logica del reddito di cittadinanza che è puramente familiare? E guardate che questo dissidio, questo conflitto etico tra la scelta individuale e la dimensione familiare, noi lo ritroviamo in tanti piccoli passaggi pratici che renderanno complicata la gestione del processo. Non ci illudiamo, questa è una delle contraddizioni.

Io lo so che non è facile, perché la dimensione familiare della povertà è un dato vero, ma, attenzione, quando tu componi la dimensione familiare dell'assistenza e del sostegno alla scelta individuale, alla libertà individuale, non sempre questo ti porta poi ad avere le soluzioni migliori e spesso le soluzioni che trovi, come ho detto in Commissione, sono soluzioni da Stato etico dove qualcuno decide per te o qualcuno decide mettendoti in conflitto tra la tua coscienza e la situazione e la condizione di tutti i tuoi familiari. Questo è un limite forte che vedo nel processo di riforma. E la stessa cosa mi viene da dire per altri aspetti: perché ci vogliono dieci anni di residenza per accedere al reddito di cittadinanza? Perché bisogna condannare qualcuno a questa, per così dire, espiazione? Il REI prevedeva due anni di residenza. Noi abbiamo proposto cinque; tanto welfare locale prevede cinque anni; non si poteva arrivare a cinque anni tutti assieme? Perché dieci anni era intoccabile? È un simbolo, un simbolo ideologico di esclusione? Ma ha un senso concreto, ha un senso reale?

E ancora, avviamento al lavoro o avviamento a un processo di inclusione sociale? Chi lo decide? Come lo si decide? Chi accompagna queste persone al lavoro? A un certo punto eravamo in una situazione, voi lo sapete, in cui l'80 per cento di coloro che si dovranno dedicare a questo compito difficile erano tutti precari: precari i nuovi navigator, precari gran parte dei lavoratori dell'ANPAL, precari gran parte delle persone che dovevano essere assunte e ancora non lo sono state. Quindi, da questo punto di vista, vedo qui una parte consistente dei problemi di gestione di un processo come questo, per non parlare poi del lavoro gratuito fatto in quel modo, di affitti che sono considerati uguali sia che tu stai a Milano sia che tu vivi in un paese del Mezzogiorno: è evidente che sono piccoli aspetti che non inficiano naturalmente il valore di sostenere chi ha bisogno ma che porteranno a problemi e contenziosi, secondo me, di grande questione.

La seconda cosa che voglio dire riguarda le pensioni e sul tema voglio essere un po' più preciso. Noi abbiamo fatto di “quota 100” una specie di simbolo-simulacro ma guardate che “quota 100” è un riferimento molto arbitrario: è arbitrario nel numero ed è arbitrario negli addendi. Perché 100 e non 102? Perché 100 e non 98? Si assume 100. E perché 100 fatto da 62 e 38 e non da 60 e 40? O perché non da 65 e 35? Quindi si tratta, come dire, di una convenzione che si assume. Bene, che cosa vuol dire tale convenzione che si assume? Che resta fuori, da una scelta anche qui impegnativa e importante nei costi, una scelta di fondo che avesse e che abbia un senso perché un'operazione fatta in questo modo poteva essere realizzata facendo due scelte: aiutare i precoci, quelli che aiutammo negli anni Novanta, chi è andato a lavorare a 15 anni. Aiutare i precoci con una logica che aiuti coloro che hanno bruciato la loro vita giovane al lavoro. Oppure, l'altra scelta, che io preferisco di gran lunga, ossia aiutare coloro che sono arrivati vicino all'età di vecchiaia e non hanno contributi perché hanno carriere discontinue, perché in edilizia il lavoro è discontinuo, perché nella stagionalità il lavoro è discontinuo, perché nei campi il lavoro è discontinuo, perché il lavoro delle donne è discontinuo e voi troverete non a caso periodi più bassi di contribuzione nei lavori più pesanti: quelli andavano sostenuti, quella era la scelta da fare, non una “quota 100” che sceglie un triennio e, all'interno di esso, le persone sono facilitate e le altre persone restano al palo con i problemi che vi sono stati ricordati. Infatti, se dopo i tre anni di sperimentazione, non ci fossero più risorse o non ci fossero più questioni, noi creeremmo un gradone di 5 anni tra chi è nato in un mese o chi è nato il mese dopo; creeremmo di nuovo cioè condizioni di una disuguaglianza che cresce, non che si riduce: questo è quanto io critico dell'impianto.

Si poteva fare la scelta dei precoci oppure - io preferivo l'altra - quella di chi non ce la fa a 65 anni a salire su un'impalcatura ed è costretto a farlo ma questa è la scelta che andava fatta e questa scelta non si è fatta e qui trova un limite di fondo alla scelta, peraltro.

D'altra parte, poi, tutto si tiene: bene aver bloccato l'innalzamento per l'aspettativa di vita, ma dove l'avete bloccata? Su tutti? Solo sull'anzianità, non sulla vecchiaia, è ovvio, così che, quello che già è più sfigato perché fa il lavoro peggiore, il lavoro più pesante e non ha i contributi, si trova pure ad avere l'innalzamento per l'aspettativa di vita che cresce. Vi rendete conto del perché dico che non è equa e invece era equa e ragionevole un'altra scelta, che non si è voluta formulare? Quindi queste sono le critiche che io rivolgo a questo impianto. Guardate che non sono critiche pretestuose, sono critiche oneste. Ho già riconosciuto il valore della scelta che è stata fatta, l'importanza delle risorse che si mettono, del fatto di assumere un problema sociale come problema di attenzione, ma è evidente che queste questioni poi saranno destinate a riproporsi. E poi, naturalmente, vorrei legare anche una questione, perché adesso bisogna tra di noi essere chiari: perché si fa una scelta di sostenere la povertà? Che vuol dire? Io credo che voglia dire - e penso che conveniamo - distribuire delle risorse nei confronti di chi ha meno, togliere qualcosa - sia pure attraverso il disavanzo - a tutti e finanziare chi ha meno, quindi dai più ai meno, ma perché, con l'autonomia differenziata, volete fare negli stessi giorni esattamente il contrario? Perché con l'autonomia differenziata volete prendere 10 miliardi dalle regioni più arretrate e spostarli alle regioni più virtuose? Perché nell'autonomia differenziata si fa esattamente il contrario: si dà di più a chi è più ricco e si dà di meno a chi è più povero? Come mai sul terreno sociale si fa una scelta e sul terreno istituzionale la scelta opposta? C'è una logica che tiene assieme queste due cose o mi sbaglio? Mi sbaglio? Quindi, anche da questo punto di vista bisogna essere coerenti.

Infine, il metodo seguito. Si è lavorato in Commissione, è vero, è stato un lavoro serio, difficile, ma non si poteva prendere qualche emendamento con più attenzione? Se un settore intero, quello più colpito dalla crisi, il settore delle costruzioni, fa presente al Parlamento che è in condizione di avere una flessibilità di età pensionabile per quei muratori che a 65 anni non ce la fanno salire sull'impalcatura, perché abbiamo detto di no a quell'emendamento, dopo che tutti erano d'accordo in Commissione? Perché? C'è un motivo? Tutti d'accordo a chiederlo, e in Commissione è stato bocciato. Ha un senso? Si dice: costa qualcosa. Ma come costa qualcosa! Qui hai una cosa che costa 6 miliardi e quel qualcosa non si poteva fare, per persone che sono le più sfigate? Guardate che non ha senso, come non ha avuto senso quella roba sui disabili di cui parlavo prima. Se una madre si licenzia per assistere un bambino che non ce la fa a star da solo, deve togliere il reddito di cittadinanza a tutta la famiglia? Perché non è corretta? Sono piccole cose, ma spesso la qualità e la cifra delle cose sta esattamente in questi particolari, e questi particolari dimostrano che non si è voluto ascoltare quelle proposte che servivano a migliorare un testo e a far sì che un testo su cui ci possono essere opinioni diverse fosse un testo un po' più valutato con attenzione da parte di tutti. Queste sono le cose che volevo dire, spero di essere stato chiaro nei punti di valutazione, nei punti di critica e nell'indicare che cosa non va. Naturalmente spero poi che le cose funzionino, non è che spero che le cose non funzionino, ma attenzione - e questo deve valere per tutto, anche nel futuro -, quando tu parli di temi sociali, di condizioni delle persone, attenzione alle promesse che si fanno, alla possibilità di mantenerle e alla capacità di soddisfare quel bisogno che tu hai alzato, perché se poi le cose non dovessero andare nel senso positivo indicato, allora a quel punto la disgregazione sociale aumenta, la disperazione sociale aumenta e le tensioni sociali pure. Io non vorrei che una cosa nata per far bene poi finisca in realtà per creare contraddizioni sociali, delle quali il nostro Paese non ha assolutamente bisogno (Applausi dei deputati dei gruppi Liberi e Uguali e Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Sebastiano Cubeddu. Ne ha facoltà.

SEBASTIANO CUBEDDU (M5S). Signor Presidente, onorevoli colleghi, dopo la prima lettura ed il voto favorevole in Senato, il decreto legge n. 4 del 2019 è oggi è approdato in Aula alla Camera per la discussione. Ciò dopo giorni di scrupoloso ed appassionato esame in Commissioni congiunte Lavoro e Affari sociali, con l'ultima seduta iniziata di prima mattina e giunta al termine solo alle 5 e mezzo della mattina successiva, dopo aver proseguito i lavori per tutto il giorno e la notte. Quanto vissuto in questo percorso ha fatto maturare in me un convincimento, ed è il seguente: quando ciascuno di noi è chiamato ad impegnarsi per il bene comune, nessuno si tira indietro, nessuno si risparmia, e tutti - tutti! - sono disposti a dare il meglio di se stessi in favore del prossimo. Questo è quanto accaduto con il decreto-legge che ha introdotto in Italia il reddito di cittadinanza e la riforma pensionistica cosiddetta “quota 100”, oggi in sede di conversione in legge. È un provvedimento complesso, importante, e nello stesso tempo straordinario, forse tra i più importanti che si ricordino nella storia della nostra Repubblica. Sento di poterlo dire senza alcuna esitazione, per due motivi fondamentali: il primo è perché questo è un provvedimento che coinvolge ed impegna innumerevoli soggetti, in particolare il Ministero del lavoro, le regioni, i comuni, i centri per l'impiego, l'ispettorato, l'ANPAL, i CAF, i patronati, Poste Italiane, Agenzia delle entrate, carabinieri, finanzieri, e tante altre realtà, e voi tutti comprendete bene che mettere in moto tutti questi soggetti simultaneamente, sinergicamente, significa una cosa sola, cioè rimettere in moto il sistema Paese (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Il secondo motivo cui facevo cenno è che questo provvedimento legislativo orienta la nostra amata Italia verso i principi che si rinvengono negli articoli 1, 2, 3, 4, 36 e 38 della nostra Costituzione. Per comprendere bene la portata del decreto-legge n. 4 del 2019 bisogna infatti ripercorrere proprio gli articoli appena citati. Leggendoli non sfugge che, dopo la definizione data dall'articolo 1 (L'Italia è una Repubblica fondata sul lavoro) è il secondo articolo della Costituzione a far vibrare le nostre coscienze, laddove prescrive che la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. La mano che scrisse questo articolo fu quella di Giorgio La Pira, uno tra i più luminosi politici italiani, e con esso La Pira sintetizzò il patrimonio culturale nazionale, quel richiamo all'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà; espresse infatti la sintesi di uno dei più importanti principi che si rinvenivano tanto nella cultura laica quanto nella cultura cristiana. Ebbene, il reddito di cittadinanza ritrova le sue radici in particolare su questi due articoli, perché con esso, da un lato, si tende la mano verso le persone più in difficoltà, indigenti ed emarginate, con una misura unica così definita dall'articolo 1 del decreto-legge n. 4 del 2019, di contrasto alla povertà, per consentire ai cittadini più deboli di potersi rialzare, così contrastando le diseguaglianze e l'esclusione sociale; dall'altro lato, si riformano e promuovono i servizi per le politiche attive del lavoro come mai era accaduto in precedenza, per fare in modo che, dopo aver teso la mano come un padre fa con un figlio, i cittadini che beneficiano del reddito di cittadinanza siano in grado di potersi rialzare e camminare con le proprie gambe e con la propria recuperata indipendenza, attraverso la formazione, la ricerca occupazionale ed il lavoro, perché è attraverso il lavoro che si sviluppa e si realizza la personalità dell'uomo ed è la possibilità di avere un reddito al di sopra della soglia di povertà che ci consente di vivere dignitosamente in eguaglianza e libertà.

Proprio il secondo comma dell'articolo 3 della Costituzione ci ricorda che è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando, di fatto, la libertà e l'uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana, mentre nell'articolo 4 della Costituzione si legge ancora che la Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. L'articolo 36 della Costituzione codifica, invece, il principio di adeguatezza e proporzionalità della retribuzione, in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla propria famiglia un'esistenza libera e dignitosa, un'esistenza libera e dignitosa. Mentre ancora l'articolo 38, al secondo comma, contempla il diritto a che siano previsti e assicurati mezzi adeguati alle esigenze di vita. Il reddito di cittadinanza si muove in questa direzione, proprio secondo i richiamati principi della nostra Costituzione.

Ma anche la pensione di cittadinanza e la riforma pensionistica, cosiddetta quota 100, scaturiscono dai medesimi principi; prima di tutto il principio di solidarietà, attraverso un ricambio generazionale, assicurando certamente e comunque la sostenibilità del sistema previdenziale, ma consentendo di poter andare in pensione prima rispetto alla disciplina sino ad oggi vigente. Ciò permetterà di promuovere nuova occupazione e un'esistenza più serena per tutti coloro che hanno lavorato per tanti anni.

Signor Presidente, onorevoli colleghi, questo è un provvedimento legislativo davvero importante ed alto, e credo fermamente che sarà ricordato come la più importante riforma posta in essere da questa XVIII legislatura (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle), per la nobiltà degli intenti, perché rivolto prima di tutto verso le persone che si trovano in difficoltà e perché è in grado di dare una nuova speranza, perché in grado di muovere sinergicamente innumerevoli realtà istituzionali, e non, presenti nel nostro Paese.

Dinanzi a questo, dinanzi ai valori in campo, rispetto ai quali tutti certamente si riconoscono, vorrei che questo provvedimento legislativo fosse sentito come una riforma di tutti, votata da tutti, appartenente a tutti e a ciascuno di voi, indipendentemente dalla provenienza politica. Giorgio La Pira, riferendosi ai giovani, rammentava come fosse importante per il futuro immaginarli come le rondini e come la politica dovesse e debba promuovere la primavera in ogni provvedimento, perché le rondini devono poter volare verso la primavera. Ebbene, noi oggi credo stiamo promuovendo una nuova primavera. Quello che posso dirvi, e vado a concludere, è che sono onorato di aver potuto partecipare ai lavori di Commissione ed oggi poter intervenire in quest'Aula così prestigiosa su questo decreto-legge nel suo percorso di conversione. Anche solo vedere la luce del reddito di cittadinanza per me è valso il cammino fatto fino ad ora, e la vera vittoria per la politica italiana sarà poter dire che questa è stata la conquista non di una parte politica, ma del Parlamento italiano nella sua interezza. Ed allora viva il Parlamento italiano, viva la XVIII legislatura, viva l'Italia (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle - Congratulazioni)!

PRESIDENTE. Sospendiamo a questo punto la discussione sulle linee generali del provvedimento, che riprenderà alle ore 14.

La seduta, sospesa alle 13,05, è ripresa alle 14.

PRESIDENZA DELLA VICEPRESIDENTE MARIA EDERA SPADONI

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che non vi sono ulteriori deputati in missione alla ripresa pomeridiana della seduta.

I deputati in missione sono complessivamente settantadue, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Si riprende la discussione del disegno di legge n. 1637-A.

(Ripresa discussione sulle linee generali – A.C. 1637-A)

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Cantone. Ne ha facoltà.

CARLA CANTONE (PD). Grazie, Presidente. So benissimo che moltissime persone, uomini, donne, giovani e anziani, i poveri, quelli vecchi e quelli nuovi, aspettano sia la flessibilità in uscita dal lavoro attraverso la quota 100 sia un reddito di cittadinanza in grado di rispondere alla povertà che c'è ed è tanta. Aspettano questo decreto per due motivi: il primo, perché, dopo tanti anni di lavoro, spesso in posti faticosi, usuranti, disagiati, hanno bisogno di andare in pensione, di lasciare il lavoro; il secondo, perché la grave crisi economica e occupazionale ha creato maggiore povertà e disperazione sia fra le singole persone che nelle famiglie. Proprio per questo aspettano questi provvedimenti; però, vedete, se li aspettano esattamente come glieli avete promessi in campagna elettorale.

Tutti quelli che vi hanno votato, parlo del Governo, naturalmente, ci hanno creduto, hanno voluto crederci per la disperazione, la preoccupazione di non arrivare a fine mese anche quando lavori, perché con precarietà e bassi salari, anche se lavori, sei povero, perché, quando hai un disabile in famiglia, devi sopportare spese e sacrifici, perché la disabilità va rispettata ed aiutata con dignità e troppo poco si fa per i disabili. Noi proposte ne abbiamo fatte, lo sapete, perché, quando hai un disoccupato o due in famiglia che non trovano lavoro, perché a cinquant'anni non entri più nel mercato del lavoro, oppure perché sei giovane e ti offrono solo un lavoro dove esiste uno sfruttamento praticamente totale, senza rispetto per i tuoi diritti contrattuali, e gli esempi di giovani sfruttati sono veramente tanti; quando c'è tutto questo, sei portato a credere alle promesse e speranze, perché pensi e speri che tutto si avveri.

Se stai male credi a chi ti promette che starai meglio. Spero che almeno vi siate accorti che state deludendo le aspettative. Le fantasie stanno a zero: li state deludendo perché li avete illusi e le illusioni arrivano puntualmente alla fine. Non sono contenta della vostra caduta di credibilità su questi problemi, ma la vostra caduta non mi interessa, anzi, i capitomboli, dovreste saperlo, fanno male. Vi farete male, ma di questo non mi importa, è un problema di tutti, ma soprattutto vostro. Ciò che, invece, mi preoccupa, e mi preoccupa davvero, è che a farsi male saranno le persone, tante, che aspettano dal Governo il giusto aiuto che si meritano e che voi gli avete promesso.

Poveri, giovani, anziani, lavoratori, famiglie e imprese che non meritano di essere trattati così; al contrario, meritano aiuti concreti, non caramelle. E voi, come primo atto, in cambio di queste illusioni, avete smontato il REI e avete solamente dichiarato, con un'azione teatrale, di avere abolito la povertà. Praticamente avete raccontato che, siccome siete in grado di fare miracoli, la povertà non c'è più. Come fanno i prestigiatori, uno, due, tre et voilà, la povertà non c'è più. Un consiglio: non fate più queste sceneggiate perché danneggiate l'immagine del Parlamento e questo mi dispiace, visto che siamo seduti anche noi in Parlamento.

Capisco che, presi da un entusiasmo quasi infantile, vi siete fatti trascinare da un delirio di onnipotenza. Ve lo dico con affetto per il vostro bene, mi vien da dire: datevi una regolata! Lo dico soprattutto alle reclute: contenetevi, contenetevi! Pensate prima di fare e di parlare! Quando poi si eccede, succedono cose spiacevoli, non per voi, ma per chi ha bisogno di aiuto vero. Abbiamo incontrato nelle audizioni tutte le organizzazioni sociali, eravamo tutti insieme, le organizzazioni sindacali, il terzo settore, le professioni e le imprese, ci hanno chiesto non i miracoli, ma azioni mirate, immediate perché i problemi sono di ieri, non di domani. Hanno avanzato proposte e voi cosa avete fatto di quelle audizioni? Nulla, nulla di nulla, bel risultato di democrazia. Se il reddito di cittadinanza può avere un obiettivo importante allora va strutturato - ve lo abbiamo proposto con i nostri emendamenti -, va reso agibile, va adattato alle esigenze della povertà, alle esigenze di controllare che vada a buon fine, non può essere la tessera del pane di antica memoria. Ci vogliono controlli e dignità, aiuto reale ai poveri, a quelli veri. E aggiungo che grazie alla battaglia in Commissione lavoro e affari sociali avete dovuto ritirare - come vi è stato detto stamattina - l'inaccettabile proposta di aumentare i costi delle colf per le famiglie; avete dovuto fare marcia indietro. E noi su questo non stiamo zitti e lo diciamo; voi non lo ricordate più, ma stavate facendo un disastro, anzi dovete ringraziarci che vi abbiamo quasi impedito di tenere quella ignobile questione in piedi. E ancora la “quota 100” è certo un passo verso la reintroduzione di una flessibilità di accesso alla pensione, ma non sarà mai - ve lo abbiamo detto - in grado purtroppo di rispondere alle esigenze espresse dalle lavoratrici e dai lavoratori e soprattutto avrà una penalizzazione che non tutti potranno sopportare. So bene come lo spiegate, che non c'è la penalizzazione o la decurtazione perché andando prima in pensione i contributi sono inferiori e quindi i pensionati prenderanno una pensione più bassa. Ma cosa gli avete promesso? Che non c'è la penalizzazione? Che aiuto di flessibilità è, quando invece li penalizzate? La vostra “quota 100” inoltre è una opportunità solo per lavoratori con carriere continue e strutturate, ma per i lavoratori del centro-sud sarà impossibile perché trentotto anni di contribuzione non riescono ad averli, se non a 67, 68 anni, alcuni a 70. Non sarà accessibile per i lavori discontinui, per i settori caratterizzati da discontinuità: penso al settore edile, al settore agricolo e a tanti altri. Questi lavoratori e lavoratrici raramente raggiungono i 38 anni di contribuzione e al sud ce ne sono tanti - voi avete l'obbligo di conoscere la fotografia del mercato del lavoro almeno nei vostri collegi, altrimenti è un bel problema - ripeto: sono tanti e specialmente sono tante le donne in agricoltura e a queste donne non basta la piaga del caporalato, e neppure la “quota 100”. Attenzione! E poi ci sono anche i lavori usuranti. Capite le contraddizioni? Capite l'ingiustizia o non la capite? Temo che non la capite e questo è grave. E, se la capite, è ancora peggio perché non fate niente per sistemare queste donne.

Per le donne, se non si riconosce, sia per le lavoratrici dipendenti che autonome, il lavoro di cura, per loro la “quota 100” è una chimera, una presa in giro. Il lavoro pubblico - è stato detto stamattina dalle nostre due relatrici - lo trascinate, con finestre, oltre il limite della ragionevolezza.

C'è, poi, tutto il grandissimo tema dei lavoratori precoci, che grida vendetta e che voi ignorate, penalizzando tutto il Centro Nord e moltissimi lavoratori che, a 15 anni, erano già nelle fabbriche. Lo dico soprattutto ai colleghi della Lega: molti operai vi hanno votato e cosa gli raccontate ora che speravano in una modifica strutturale della “legge Fornero” e non lo avete fatto?

Vi abbiamo chiesto di dare la possibilità ai precoci di andare in pensione con 41 anni di contribuzione, a prescindere dall'età anagrafica, ma voi nulla, niente; così, chi ha 38 anni di contributi e 62 anni di età può andare in pensione, chi ha 40, 41 anni di contributi e 58, 59 o 60 anni di età deve continuare a lavorare. Ma non vi sembra assurdo? È un controsenso. Nelle grandi aziende, nelle piccole e medie aziende di tutto il Nord, Nord-Est e Nord-Ovest, i lavoratori e le lavoratrici hanno iniziato anche a 14 anni: sto pensando a tutte le fabbriche tessili e alle ragazze che, uscite dalla terza media, sono andate nei laboratori. Negli anni Settanta erano tantissimi i ragazzi e le ragazze apprendisti, poi diventati operai qualificati o specializzati e molti di loro sono stati per decenni alla catena di montaggio o con lavori ripetitivi perché così era l'organizzazione del lavoro. Ricordiamoci - lo dico alle reclute - del film-denuncia “La classe operaia va in paradiso”. Rivedetelo quel film, magari vi dice qualcosa, “ogni buco, un pezzo”, chi era alla catena di montaggio e, dopo trent'anni, trentacinque lì, era disperato. E non è mica demagogia. È storia, la storia del movimento lavorativo operaio del nostro Paese, di quegli operai che hanno fatto grande la nostra filiera industriale.

Perché questi lavoratori, se hanno più di 40 o 41 anni di lavoro, non possono andare in pensione? Perché? È una follia!

Auguri, quindi, le donne ringraziano, i precoci ringraziano, i discontinui e gli usurati pure. Agli anziani non viene applicata la rivalutazione, frutto di un'intesa fra le parti, prima del 3 marzo, per difendere il potere d'acquisto delle loro pensioni, e non estendete la quattordicesima. Eppure, spesso, le pensioni dei nonni, delle nonne e anche delle zie sono l'unico aiuto a figli e nipoti, privandosi di cure per se stessi e di assistenza vera per aiutarli. Ai giovani, invece di lavoro, gli offrite assistenza: avete fatto un capolavoro!

L'ultima ciliegina sulla torta - lo voglio ricordare anch'io - l'avete riservata ai lavoratori delle costruzioni, che hanno manifestato per il lavoro e per i loro diritti, il diritto di andare in pensione a un'età ragionevole per loro. Hanno manifestato venerdì, in piazza del Popolo, a Roma: erano 200 mila, venuti da tutta Italia. Forse, se qualcuno fosse venuto a quella manifestazione, avrebbe imparato qualcosa. Io c'ero: gli avete impedito di versare una parte di contributi all'INPS attraverso l'ente bilaterale, che non ha costi, contributi finalizzati al sostegno del pensionamento anticipato. Lo avete impedito, dichiarando inammissibili emendamenti che consentivano questo risultato e che molti di voi condividevano.

Ora rischiano di andare tutti a 67 anni, provate ad andare voi su un'impalcatura a 67 anni. Provate, provate perché i lavori in questo Paese non sono mica tutti uguali! Anche loro ringraziano e vi fanno i complimenti.

Concludo, veramente, ricordando le parole del Presidente Mattarella che, oggi, a Modena, ricordando l'assassinio da parte delle Brigate Rosse del professor Marco Biagi, avvenuto il 19 marzo 2002, ha sottolineato la grande importanza del ruolo della rappresentanza sociale e dei corpi intermedi, importanza che supera la, pur fondamentale, dimensione dell'ambito delle relazioni del lavoro perché riguarda anche la salute del tessuto democratico del nostro Paese. Cito le sue parole per dire al Governo che il rapporto con la rappresentanza sociale non si può esaurire con un'audizione che neppure viene rispettata, ma significa convocare il sindacato e le imprese e, soprattutto, incontri, e sentire e ascoltare ciò che propongono, ma bisogna tenerne conto. Se non se ne tiene assolutamente conto, per sentire davvero ciò che loro propongono, allora vuol dire che questa democrazia, ricordata dal Presidente Mattarella, per voi non conta. Complimenti (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico)!

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Eva Lorenzoni. Ne ha facoltà.

EVA LORENZONI (LEGA). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, l'Aula di Montecitorio è chiamata oggi a esaminare un disegno di legge di conversione di un decreto molto importante, che contiene al suo interno due provvedimenti cardine del patto di Governo: il reddito di cittadinanza e “quota 100”.

Più che entrare nel dettaglio delle disposizioni contenute nel provvedimento, di cui già abbondantemente hanno parlato i giornali, TV e gli stessi colleghi deputati in quest'Aula, preferisco soffermarmi sulle ragioni sottese alla scelta di queste due misure, sulla volontà politica da cui le stesse misure traggono origine e, in particolare, per quanto riguarda le pensioni.

Quando venne promulgata la “legge Fornero”, una legge scritta da burocrati e voluta dall'Unione Europea e, quindi, da altri burocrati, la Lega è salita immediatamente sulle barricate. Non abbiamo mai fatto mistero della nostra idea sulla “riforma Fornero” e siamo arrivati a raccogliere mezzo milione di firme di cittadini, giustamente inferociti, che chiedevano a gran voce la sua cancellazione.

Quando si fa politica - e ciò vale a tutti i livelli - non esiste soddisfazione più grande del vedere concretizzarsi una battaglia in cui si è creduto tanto. “Quota 100” per la Lega rappresenta proprio questo: il primo importante step di un'operazione che per noi ha origine da lontano: lo smantellamento della “legge Fornero”; una legge scritta male e che ha saputo partorire storture incredibili, come il blocco del ricambio generazionale nella pubblica amministrazione e nel mercato del lavoro e la nuova piaga sociale degli esodati, una legge che ha incrementato la disoccupazione giovanile e ha creato una miriade di problemi a milioni di italiani ma, soprattutto, una legge che muoveva da una volontà tecnica più che politica, una legge che ha sancito il trionfo della burocrazia sulla politica. La Lega votò contro; altri, invece, hanno preferito tacere.

“Quota 100” è, quindi, un esercizio di coerenza per la Lega e con essa sanciamo ufficialmente la fine di quella stagione, la stagione in cui la politica ha abdicato ai propri doveri, la stagione delle leggi ingiuste calate dall'alto e scritte da chi ha in testa solo i numeri e non considera la realtà delle cose, la stagione della strada più semplice per risolvere i problemi ovvero spremere i cittadini, in particolare coloro che avevano il sacrosanto diritto, dopo una vita passata lavorando, di godersi il meritato riposo (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier).

Sappiamo bene che questa cosa sta creando fastidio a molti ma i parlamentari della Lega sono stati eletti con un mandato ben preciso che abbiamo intenzione di rispettare, prescindendo dalle resistenze di chicchessia. Io comprendo che per qualcuno ciò che si dice in campagna elettorale vale solo fino al giorno prima del voto, ma non tutti siamo uguali fortunatamente.

“Quota 100” è una misura a lungo attesa dagli italiani che concede la facoltà, per ora in via sperimentale per tre anni, di andare in pensione avendo un minimo di 62 anni di età e almeno 38 di contributi.

Tengo a precisarlo, evidenziarlo e ribadirlo: non è un'imposizione per i lavoratori e le lavoratrici; è una facoltà, un'opzione, un canale di uscita flessibile e alternativo alle vigenti regole di accesso al sistema pensionistico resosi necessario per superare quelle rigidità e quel repentino innalzamento dei requisiti di accesso alla pensione introdotti dalla “legge Fornero” e che, nei fatti, avevano solo provocato danni. Si tratta della prima fase che consente al cittadino la libertà di scelta e, per il momento, va a coesistere con gli altri modi di accesso alla pensione.

Il provvedimento, oltre a rendere giustizia a coloro che hanno diritto ad andare in pensione se lo vorranno, avrà un importante beneficio di favorire finalmente il turnover, il ricambio generazionale, andando ad agire su un altro problema storico del Paese ovvero la disoccupazione giovanile. Viene da sé comprendere, infatti, come il ricambio sarà favorito dal pensionamento dei lavoratori più anziani e consentirà di mettere in moto un circolo virtuoso capace di rimettere in moto un mercato del lavoro divenuto in certe sue parti stagnante. Non è cosa da poco perché stiamo realmente ponendo le premesse per moltissimi giovani per accedere a un posto di lavoro, le premesse per costruirsi un futuro e una famiglia e per avere una tranquillità economica che a oggi per troppi ragazzi, intrappolati nelle more di un sistema a collo di bottiglia, rappresenta una specie di miraggio.

Certamente non si tratterà di un automatismo immediato. Infatti, non è matematico che per ogni persona che lascerà il mondo del lavoro ne entrerà immediatamente un'altra, ma è ragionevole ritenere che le aziende private dovranno necessariamente provvedere per rimpiazzare la forza lavoro in uscita e, a lungo andare, non escludiamo che un'uscita possa addirittura generare più di un ingresso. Si tratta di una scommessa, una scommessa a cui crediamo molto e non ci facciamo intimidire dalle critiche spesso pretestuose di coloro che a prescindere stanno attaccando questa riforma, perché a quelli che continuano a dirci che saranno le nuove generazioni a pagare per la riforma che stiamo portando avanti noi rispondiamo che, se i giovani oggi non dovessero trovare un posto di lavoro, non ci saranno future generazioni (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier).

Infine, per quanto riguarda il reddito di cittadinanza mi siano consentite alcune considerazioni. Questo provvedimento è il cavallo di battaglia del MoVimento 5 Stelle e la Lega, in diverse occasioni, non ha mancato di esprimere alcune perplessità. Idealmente preferiamo misure che favoriscano politiche attive di impiego piuttosto che interventi che possano apparire come assistenziali. Ciò nonostante non possiamo prescindere dal tenere in debita considerazione come esistano nutrite fasce di popolazione che si trovano, non per colpa loro, in oggettive condizioni di difficoltà. Dunque, non commetteremo gli errori dei Governi precedenti che hanno messo la polvere sotto il tappeto preferendo aiutare qualcun altro. Per questo motivo ci siamo assicurati, con i nostri emendamenti e con un proficuo confronto con l'altro gruppo di maggioranza, che il reddito di cittadinanza non finisca con il creare bamboccioni nullafacenti e assistiti bensì, attraverso i centri per l'impiego e il tutoraggio nonché attraverso l'attribuzione alle aziende che assumono i beneficiari del reddito di cittadinanza della rimanente quota del beneficio, sia uno strumento di sostegno per i bisognosi e, al contempo, un canale di occupazione per tanti altri giovani e meno giovani inoccupati o disoccupati.

Io ritengo che il buon lavoro svolto dal Governo e dalla Commissione abbia portato davvero al giusto compromesso rendendo la misura del reddito di cittadinanza una misura equilibrata e temporanea, volta realmente all'ingresso nel mondo del lavoro, e il combinato disposto con “quota 100” e i numerosi paletti anti-furbetto ci possono far dire di aver ottenuto un risultato positivo che nessuno ci vieterà di migliorare ulteriormente dopo la fase di rodaggio. “Quota 100”, infatti, favorirà l'uscita dei lavoratori più anziani, liberando spazi, mentre i paletti e il meccanismo del reddito di cittadinanza porteranno i beneficiari a doversi attivare per trovare un lavoro.

Concludo con una considerazione rivolta alle tante anime belle che criticano questi provvedimenti, che ci accusano di sprecare i soldi pubblici e che si indignano a comando. Negli scorsi anni, di certo non per volontà nostra, abbiamo buttato dalla finestra oltre 5 miliardi di euro annui per la cosiddetta “accoglienza”, figlia di un'inesistente politica di gestione dei flussi, soldi finiti principalmente nelle tasche di coloro che ne hanno fatto un vero e proprio business naturalmente a spese degli italiani. E, allora, mi chiedo: era questa la vostra idea di sostegno alle imprese e al lavoro? Noi ne abbiamo un'altra: francamente preferiamo mettere a disposizione sette miliardi di euro per aiutare la nostra gente, i nostri poveri e i nostri anziani (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier e del deputato Fatuzzo).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Carmela Bucalo. Ne ha facoltà.

CARMELA BUCALO (FDI). Grazie, signora Presidente. Sottosegretario e onorevoli colleghi, il reddito di cittadinanza, uno dei due pilastri di questo “decretone”, si è purtroppo rilevato per quello che era: un disastro annunciato. Lo avete osannato come una misura fondamentale a garanzia del diritto del lavoro e contrasto alla povertà. Ricordo ancora l'esultanza del Ministro Di Maio affacciato al balcone di Palazzo Chigi a proclamare l'abolizione della povertà entro l'anno 2018. Peccato, però! Peccato perché nei fatti è tutto il contrario.

Come Fratelli d'Italia, riteniamo che questa manovra, così strutturata, non può essere considerata una misura efficace di politica attiva per il lavoro, e soprattutto di inserimento nel mondo del lavoro. Sì, perché c'è il grosso rischio che degeneri invece in un assistenzialismo cronico, ma anche in un pericoloso incentivo al lavoro nero.

Abbiamo presentato molti emendamenti, che prevedevano misure organiche ed incisive a sostegno della famiglia, dei meno abbienti, ma anche dei disabili; vi abbiamo proposto di inserire la gratuità degli asili nido, agevolazioni per l'acquisto della prima casa per le giovani coppie. Niente da fare, la risposta è sempre la stessa: no. Abbiamo chiesto di agevolare le imprese che assumono con una decontribuzione fino a 20 mila euro, aiuti per chi avvia un'attività con un credito d'imposta del 30 per cento degli investimenti effettuati: li avete puntualmente dichiarati inammissibili.

Ma ritorniamo al reddito di cittadinanza. Il parametro della scala di equivalenza, ovvero l'insieme dei coefficienti che consente di calcolare l'ammontare mensile da corrispondere a famiglie che hanno più di un componente, è penalizzante proprio per i nuclei più numerosi. Il motivo è presto detto: avete voluto cambiare il metodo di attribuzione, danneggiando quindi proprio quelle famiglie che invece hanno più bisogno. Inoltre il beneficio non è collegato al territorio, ma è basato su scala nazionale; ma sappiamo tutti che la soglia di povertà varia a secondo del luogo di residenza, quindi è elementare, non si possono paragonare i costi che deve affrontare una famiglia che è residente in una grande città con quelli di una che vive invece in un paesino, e soprattutto in un paesino del Sud. Per non parlare di quei nuclei dove è presente un disabile, che rende complessa anche la più semplice attività quotidiana.

Il Ministro Di Maio aveva promesso che, grazie al reddito di cittadinanza e alle pensioni di cittadinanza, avrebbe aumentato la pensione di invalidità minima o l'assegno di invalidità. L'annuncio era presente anche in quella famosa lista delle cose fatte. Bene: non ho trovato in questo “decretone” niente di simile, quindi ancora una promessa disattesa.

L'assegno di invalidità resta a 285 euro al mese; ma non è tutto: nel calcolo dell'ISEE questo piccolo incentivo viene considerato alla stregua di un qualsiasi reddito. In Commissione gli emendamenti presentati, e non solo da parte nostra, sono stati numerosi in tal senso: alcuni di questi a favore proprio delle famiglie con disabili, che rischiavano di restare fuori dall'attribuzione del reddito di cittadinanza. Abbiamo combattuto, abbiamo vissuto momenti aspri, polemiche serrate: siete stati costretti a prenderne atto, ma non li avete accettati. No! Avete poi presentato un vostro emendamento, che ne assorbe anche due di Fratelli d'Italia a firma della collega Bellucci, prevedendo l'innalzamento del valore del patrimonio mobiliare e il parametro della scala di equivalenza per i nuclei dove sono presenti i disabili gravi. Magari, colleghi.

Sapete qual è la cosa incredibile, che questa maggioranza è stata capace di fare? Senza aspettare che l'emendamento venisse approvato, avete già postato la notizia come una vittoria del Governo! Quello che Fratelli d'Italia chiede oggi in quest'Aula si chiama rispetto: rispettate le opposizioni, rispettate il nostro lavoro, rispettate i ruoli, perché forse dimenticate che questi sono dei valori fondamentali della democrazia.

In Italia essere donna e madre lavoratrice non è per niente facile: anzi, purtroppo sono quelle che subiscono più di tutte l'esclusione sociale; e sto parlando di autolicenziamenti, che nella maggior parte dei casi sono sostenuti o comunque non ostacolati dal datore di lavoro. Parlate sempre di tutele delle fasce più deboli: bene, avete bocciato un nostro emendamento che garantiva alle lavoratrici madri di poter accedere al reddito di cittadinanza anche in presenza di dimissioni volontarie, e così facendo lo avete negato a tutte quelle donne che hanno difficoltà a conciliare la vita familiare con quella lavorativa, con sicurezza e con serenità.

Sì, perché nella maggior parte dei casi queste donne non si possono permettere di pagare degli asili nido o delle baby sitter, perché costano più di quanto loro guadagnano: quindi, aver bocciato questo emendamento è il simbolo del fallimento del vostro programma, l'emblema di una totale incapacità di intervenire proprio in quell'ambito a voi tanto caro e dove, in tempi non sospetti, vi siete autoproclamati paladini dell'inclusione sociale.

Ma andiamo a vedere cosa c'è dopo il reddito di cittadinanza: un provvedimento così complesso, che coinvolge INPS, centri per l'impiego, CAF, comuni, troppi enti da coordinare, che devono affrontare tanti problemi, che sembra un'impresa da supereroi; anzi, adesso arrivano questi supereroi navigator.

Vi risparmio le critiche, perché ce ne sono tante e arrivano puntualmente; non posso, però, non evidenziare come questo provvedimento, che prevede un eccezionale contributo da parte del sistema pubblico, dei centri per l'impiego, abbia bisogno di tempo per riuscire almeno a partire, tempo che invece scarseggia. Le scadenze le avete date voi, sono fissate, sono dietro l'angolo, e ancora gli uffici non sono formati e il personale è insufficiente. Eppure, avete stabilito che in pochissimo tempo questi centri devono prevedere i componenti del nucleo familiare esonerati dagli obblighi, stipulare il patto per il lavoro con chi ha i requisiti, offrire servizi di orientamento ai corsi di formazione, ma soprattutto favorire l'incontro famoso tra la domanda e l'offerta di lavoro. Ma scusate, signori del Governo, sottosegretario: con quale personale? Ma con quale personale, se le assunzioni sono state bloccate? E con quali strumenti, se noi consideriamo che in questo momento non esistono banche dati per l'incrocio tra la domanda e l'offerta e i software sono superati?

Non parliamo, poi, dell'ANPAL. Adesso dovete procedere all'assunzione di questi famosi 3 mila navigator, il cui compito è quello di accompagnare i percettori del diritto alla ricerca di un'occupazione: questo è l'ultimo prodotto della fabbrica di precari. Sì, perché le ricordo, sottosegretario, che i navigator già esistono: ci sono 600 lavoratori in forza proprio all'ANPAL, tutti contratti a scadenza; in Sicilia ci sono gli ex sportellisti, e tutti vantano un'esperienza decennale proprio nel campo delle politiche attive del lavoro.

Orbene, con un emendamento erano state chieste maggiori risorse proprio per avviare immediatamente la stabilizzazione di tutto il personale, emendamento che è stato puntualmente bocciato. E, allora, preferite continuare con questo paradosso che è tutto italiano: precari che vanno a formare altri precari, che dovranno guidare i poveri assoluti a cercare un lavoro!

E, poi, c'è anche la formazione. Ma forse sarebbe meglio non parlarne; e sa perché, signor Presidente e sottosegretario? Come lei ben sa, uno degli obblighi previsti dal beneficiario è che debba essere avviato ai corsi di formazione o riqualificazione professionale; eppure, il Governo ha bocciato un emendamento che prevedeva lo svolgimento di uno stage formativo presso le aziende che si dichiaravano disponibili. Lo stage: avete bocciato la possibilità di effettuare degli stage! Lo stage migliora la formazione e facilita l'inserimento nel contesto lavorativo (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia)! Avete detto ancora una volta “no”!

Ma davvero pensate che un simile provvedimento possa funzionare in una terra come il Meridione, dove il tasso di disoccupazione è altissimo e dove non esiste un flusso di posti vacanti adeguato per rendere reale quello che è scritto sulla carta? La famosa promessa dell'offerta, non un lavoro, ma addirittura tre posti di lavoro? Siete consapevoli che servono 2 milioni di posti di lavoro nuovi da creare subito?

Veda, signor Presidente, e anche sottosegretario, se la disoccupazione non fosse dovuta ad una strutturale mancanza di lavoro ma a un temporaneo problema causato dal mancato incontro di questa famosa domanda e offerta, la manovra avrebbe sì aiutato i nostri disoccupati. Ma il problema del lavoro nel Mezzogiorno è figlio di molti fattori: la carenza di investimenti pubblici, ritardi infrastrutturali, assenza ingiustificata di riforme strutturali per la realizzazione di investimenti produttivi per l'economia e per dare soprattutto fiducia agli investitori che hanno portato ad una desertificazione delle aziende con capacità produttiva.

Ecco perché il reddito di cittadinanza non servirà a nulla, perché è umiliante per chi ha lavorato per molti anni, per i tanti giovani lavoratori e i tanti laureati che, dopo molti anni di sacrifici, chiedono la giusta ricompensa lavorativa.

Il lavoro bisogna crearlo e per crearlo ci vogliono investimenti, politiche industriali e non bisogna finanziare le persone per stare a casa. Chi ha perso il lavoro non accetta l'elemosina dello Stato ma vuole che lo Stato gli restituisca ciò che gli è stato tolto in termini esistenziali e si chiama dignità, un valore che non può mai essere barattato per una manciata di euro, che non può essere oggetto di alcuna negoziazione e di alcuna trattativa.

Parlate di superamento della legge Fornero, di tutela dei lavoratori, ma di fatto avete continuato a bocciare emendamenti a tutela dei 6 mila esodati, uomini e donne che stanno vivendo una condizione di grave disagio sociale perché rimasti da anni senza reddito. Era un emendamento di giustizia sociale nei confronti di tali persone che, a parità di diritto rispetto a quelle già salvaguardate, non hanno potuto beneficiare delle precedenti manovre di salvaguardia: a causa di cosa? Di criteri e paletti temporali posti come condizione per l'accesso. Tra l'altro, le risorse finanziarie per coprire questa manovra esistono e avanzano anche dalle precedenti salvaguardie. Ancora una promessa non mantenuta e formalmente fatta dal Ministro Di Maio.

Bocciando l'emendamento, avete veramente condannato queste persone. Allo stesso modo, avete bocciato l'emendamento che tutelava una categoria dei lavoratori svantaggiati, gli edili, che hanno lavorato e lavorano sotto il sole e la pioggia: con esso si chiedeva la possibilità di avere risorse versate dalle imprese di appartenenza derivanti dalla contribuzione volontaria tramite apposite convenzioni con l'INPS e finalizzate al pensionamento anticipato.

Infine, signor Presidente, sono veramente soddisfatta che il Governo si è reso conto che con quota 100 ci sono gravi scoperture di organico ma solo nel Ministero per i Beni e le attività culturali: stiamo parlando di 11 mila unità. Bravi, perché diligentemente ed in modo immediato avete previsto il reclutamento attraverso concorsi pubblici e con modalità semplificate. Ma vi siete accorti di quello che c'è nella pubblica istruzione? Quanto tempo devono aspettare i lavoratori della scuola perché vi accorgiate anche di loro? In questo caso, non si parla di 11 mila posti, ma di 40 mila posti (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia). Questo è un disastro annunciato che, come prima conseguenza, porterà al blocco dell'attività scolastica e la risposta della vostra maggioranza, in Commissione, è stata: bocciato.

Avete bocciato un mio emendamento che riguardava il precariato storico ossia tutti coloro che possono vantare un periodo di servizio non inferiore a 36 mesi e vi ricordo che il precariato è stato da voi trattato al punto 22 del famoso contratto di Governo che recita: l'eccessiva precarizzazione degli insegnanti rappresenta uno dei punti fondamentali da affrontare per il rilancio della scuola anche attraverso una fase transitoria per eliminare l'abuso dei contratti a termine; così avete scritto e, quindi, stiamo parlando di un'altra promessa non rispettata.

E vi ricordo che la Corte di cassazione ha già condannato il MIUR per violazione della direttiva comunitaria n. 70 del 1999 per abuso dei contratti a termine ma capisco che la volontà è quella di continuare a pagare risarcimenti onerosi piuttosto che stabilizzare il personale. Concludo il mio intervento: da parte mia e del gruppo di Fratelli d'Italia esprimiamo massima solidarietà ai docenti precari costretti dal Governo, alla luce della bocciatura di tale emendamento, a continuare la loro battaglia tramite ricorsi perché chiedono un loro sacrosanto diritto e ogni anno, da settembre a giugno, consentono l'apertura delle scuole pubbliche e il regolare svolgimento dell'attività didattica (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Scoma. Ne ha facoltà.

FRANCESCO SCOMA (FI). Grazie, Presidente. Gentile Presidente, onorevoli colleghi, membri del Governo, benvenuti nell'età della poltrona: sì, perché dopo il paleolitico, il neolitico, l'età del medioevo o del brillante rinascimento o della rivoluzione industriale prende il via l'epoca in cui si viene pagati per stare a casa senza fare nulla. Nell'età della poltrona, battezzata anche l'epoca del cambiamento, regna la disoccupazione, regna il deficit, regna la povertà, continua a regnare la recessione. Sembra di vedere una puntata di Quark su un'epoca buia della storia ma purtroppo invece è la cruda realtà dei nostri sogni. Le infrastrutture che collegano l'Italia al resto d'Europa si bloccano e finiscono come merce di scambio politico; le imprese chiudono ogni giorno e la pressione fiscale opprime famiglie e imprenditori; l'export, punta di diamante del sistema impresa Italia, sta crollando giorno dopo giorno. Con il decreto in esame inaugurate un'era molto pericolosa: non solo comprate consenso aumentando la spesa pubblica ma soprattutto abituate i fannulloni alle sovvenzioni statali mortificando meritocrazia, impegno e sacrificio. Questo provvedimento è una spartizione di potere tra due partiti che stanno al Governo, partiti molto diversi, distinti, distanti e che hanno come denominatore unico, come si è visto palesemente ieri con la sceneggiata sulla TAV e oggi con la flat tax, la volontà di rimanere ben incollati sulle rispettive poltrone. Il nostro patto, cari colleghi della Lega, siglato dal centrodestra davanti agli italiani poco meno di un anno fa quando stavano per essere celebrate le elezioni politiche, non contemplava nulla di tutto questo: prevedeva zero assistenzialismo, zero parassitismo di Stato, meno tasse sulle famiglie, meno tasse sulle imprese, meno tasse sul lavoro. Quello giallo-verde invece, siglato in uno studio di consulenza dove il core business è l'e-commerce con le strategie di web-marketing, è una trappola mortale per la finanza pubblica, per il mercato del lavoro e per il nostro welfare. Il decreto-legge innescherà un meccanismo esplosivo sulla spesa pubblica; genererà comportamenti opportunistici; renderà permanente il welfare passivo, clientelare e assistenziale e produrrà almeno tre effetti devastanti al nostro mercato del lavoro. Il primo, un meccanismo spaventosamente costoso ed incrementale: una volta iniziato, quei soldi saranno come una droga che produce assistiti cronici. Il secondo effetto è che diminuirà il tasso di occupazione: chi mai accetterà un contratto a termine, part-time o saltuario a 800-1.000 euro, quando, grazie al reddito di cittadinanza, può avere una somma equivalente senza far niente e magari integrarla lavorando in nero? Terzo, aumenterà il salario minimo al quale una normale forza lavoro è disposta a prendere un impiego. Morale: il reddito di cittadinanza è un insulto a chi lavora 40 ore a settimana per poco più di quell'importo: penso ai militari, ai poliziotti, alla polizia penitenziaria, ai molti operai e impiegati che ne guadagnano a fatica 1.200, ai lavoratori part time che guadagnano 500 o 700 euro al mese.

Senza crescita, la torta da redistribuire diventa sempre più piccola, l'erogazione del sussidio richiederà pertanto l'emissione di un ulteriore debito. Ciò vorrà dire nuove spese per interessi, che creano distorsioni e che sottraggono risorse per la sanità e la scuola, beni pubblici normalmente utilizzati dalle fasce più deboli della popolazione; debito pubblico alle stelle per garantire la cambiale elettorale.

Presto metterete le mani in tasca agli italiani, altro che taglio delle tasse. Cari amici della Lega, prestando il fianco al vostro vicino di poltrona, finanziate il reddito di cittadinanza con soldi presi in prestito: è una scelta miope e folle. Vi prego di svegliarmi da questo brutto incubo in cui vi siete cacciati. Come fate a sostenere la tesi che la stabilità sociale che verrà assicurata dall'erogazione del sussidio sia più importante della stabilità finanziaria? Dove eravate nel 2011? Non avrete mica verso la memoria. Riuscite almeno a ricordarvi cos'è accaduto lo scorso autunno? Al solo annuncio di un possibile aumento del debito, lo spread ha superato quota 300, sebbene sia poi calato, ma è ancora su livelli superiori a quelli di un anno fa, con un impatto recessivo sul prodotto interno lordo.

L'esperienza di questi anni mostra che senza stabilità finanziaria non c'è crescita, e senza crescita non ci può essere stabilità sociale. Se veramente siete convinti che si possa promuovere la stabilità sociale senza crescere, commettete uno sbaglio che farà cadere il Paese in una crisi irreversibile. Ma in questo folle scenario non posso non soffermarmi sulla narrazione da campagna elettorale che incessantemente propinate in lungo e in largo nel Paese. Raccontate l'Italia come un Paese diviso tra un Sud che non vuole lavorare e un Nord che lavora ma non vuole pagare le tasse: è una boiata, una boiata che rischia di infettare velocemente il nostro Paese e di alimentare una frustrazione sociale molto pericolosa. C'è da fare molta attenzione al nuovo padronaggio assistenzialista che il MoVimento 5 Stelle sta configurando oggi nel Mezzogiorno. Bisogna creare crescita per vincere la disoccupazione che affligge l'Italia meridionale e non continuare imperterriti a spingere il piede sull'acceleratore dell'assistenzialismo, perché in questo modo il Paese finisce nel burrone. Per uscire da questa situazione serve tutto il contrario di quello che sta mettendo in campo il Governo. Solo negli ultimi dodici mesi avete fatto volare via dal nostro Paese 118 miliardi di euro. Erano i soldi di investitori italiani ed esteri messi su imprese e buoni del tesoro. Nel 2018 gli investitori esteri hanno tolto 36 miliardi dal debito pubblico italiano e 26 miliardi dalle imprese italiane, per metterli certamente altrove. A questo vanno aggiunti i 56 miliardi circa di capitali italiani che, sempre nel 2018, sono stati investiti oltre il confine. Totale: 118 miliardi. Ma non doveva essere un anno bellissimo, l'anno del boom economico? Una barzelletta che vi ridicolizza davanti al mondo intero. Cosa sarebbe l'Italia, se quei 118 miliardi stessero entrando anziché scappando? Quanti investimenti saremmo riusciti a fare senza aumentare il debito pubblico? Bellissimo, caro Presidente Conte, sarebbe se riuscissimo ad attrarre capitali anziché farli fuggire. Il fallimento del Governo giallo-verde è già oggi conclamato, la redistribuzione della ricchezza verso pensionati e disoccupati non potrà mai magicamente produrre crescita economica. Zero assoluto sulla scuola, zero assoluto sulla ricerca, zero sull'innovazione, zero per lo sviluppo del Mezzogiorno, dimenticato nel famoso contratto, zero sulla natalità, zero sull'occupazione femminile, zero per le donne con figli, zero redistribuzione fiscale a favore dei giovani, e tanto tanto debito pubblico in più gentilmente offerto alle generazioni a venire. Questo Governo regala comunque un'alternativa ai nostri giovani: morire di vecchiaia o morire di buffi. Saranno sempre loro a dover pagare. I dati diffusi dall'ISTAT la settimana scorsa confermano le più fosche previsioni: meno 7,3 per cento nella produzione industriale, meno 5,3 per cento negli ordinativi a dicembre 2018 nel confronto con dicembre 2017. Sono contrazioni che non si vedevano dal 2009, anno in cui il PIL italiano era crollato del 5 per cento.

Questi dati avvalorano la tesi che sosteniamo da mesi con forza, cioè che il MoVimento 5 Stelle sta imponendo al Governo i suoi pilastri originali tipici delle ideologie pauperiste del secolo scorso: una patrimoniale al 10-12 per cento, un forte aumento delle tasse sulla casa e l'introduzione dell'imposta sulla successione dal 45 al 60 per cento. Il solo immaginare di tale misure, unitamente a quelle già adottate con il “decreto dignità”, è bastato generare negli investitori, nei consumatori, nelle imprese e nelle famiglie una sfiducia così forte da innescare una nuova e devastante fase di recessione. Questo Governo ha ridotto l'Italia al fanalino di coda in Europa. Ancora una volta facciamo appello alla Lega affinché rispetti il patto siglato davanti agli italiani prima delle elezioni politiche, ma non per forza, il nostro appello non è appello eterno, non ci sarà per sempre. È giunta l'ora di prendersi le proprie responsabilità. Vi state rendendo complici di questo disastro, fermatevi finché siete in tempo, per il bene del Paese. Forza Italia è stata e sarà sempre attenta alle fasce più deboli della popolazione, i Governi Berlusconi lo hanno sempre dimostrato, prima con l'innalzamento delle pensioni fino a un milione delle vecchie lire poi creando ben oltre un milione 600 mila posti di lavoro. Noi sì che possiamo dire l'abbiamo fatto, noi sì che potremo dire agli italiani “ve l'avevamo detto” (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Davide Aiello. Ne ha facoltà.

DAVIDE AIELLO (M5S). Presidente, onorevoli colleghi, membri del Governo, oggi con la discussione generale si apre la fase conclusiva che ci porterà a convertire in legge il decreto contenente il reddito di cittadinanza e “quota 100”, un provvedimento di portata storica nella scena politica italiana. Questo Governo, e in particolare il MoVimento 5 Stelle, viene continuamente accusato di aver utilizzato detti provvedimenti per aumentare il consenso elettorale in vista delle elezioni europee, quindi di fare campagna elettorale. Noi il voto di scambio lo combattiamo con i fatti, e il reddito di cittadinanza è anch'esso uno strumento che contrasta il voto di scambio. I politici non potranno più far leva sulla povertà dei cittadini per estorcergli il loro voto, il lavoro sarà un diritto garantito e non più una merce di scambio, o ancor più una promessa elettorale. Non c'è niente di più indisponente per noi nel sentire illazioni del genere, Presidente. Tutti sanno che il reddito di cittadinanza è stato un obiettivo primario per il MoVimento 5 Stelle sin dalla sua nascita. Abbiamo il grande merito di aver introdotto nel dibattito politico italiano questo importantissimo strumento di contrasto alla povertà e all'esclusione sociale e anche e soprattutto di politica attiva del lavoro. Il reddito di cittadinanza ha sempre fatto parte della nostra storia, era il primo punto del nostro programma elettorale già nel 2013, quando è il MoVimento entrò per la prima volta in Parlamento. Per la sua adozione abbiamo sempre combattuto in questi anni, insieme a milioni di cittadini, e per questo lo abbiamo inserito nel contratto di Governo e reso reale in pochi mesi. A tal proposito, voglio ringraziare per tutto il lavoro svolto proprio colei che per anni si è impegnata affinché questa misura potesse diventare realtà e per tutti noi è considerata la mamma del reddito di cittadinanza: mi riferisco alla nostra senatrice Nunzia Catalfo.

In tutti questi anni ne sono state dette tante sul reddito di cittadinanza. Si è detto che non avremmo mai trovato le coperture finanziarie, che si tratta di una misura assistenzialista, che lascia i cittadini percettori del reddito cittadinanza comodamente seduti sul divano. Insomma, una serie di motivazioni sterili contro uno dei provvedimenti più grandi della storia politica italiana degli ultimi trent'anni. Il reddito di cittadinanza trova la sua giustificazione nella legge fondamentale della nostra Repubblica, ossia la nostra Carta costituzionale. Innanzitutto all'articolo 1: l'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro; all'articolo 3, secondo comma, che recita che è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese; e poi all'articolo 38, secondo comma, che sancisce il seguente principio: i lavoratori hanno diritto che siano previsti e assicurati i mezzi adeguati alle loro esigenze di vita, soprattutto in caso di disoccupazione involontaria.

Bene, questo è proprio quello che realizziamo grazie al reddito di cittadinanza: mettiamo al primo posto il lavoro, come diritto fondamentale di ogni cittadino; redistribuiamo la ricchezza, dando a tutti la possibilità di vivere un'esistenza dignitosa. Rimuoviamo gli ostacoli economici e sociali che limitano la libertà e l'eguaglianza dei cittadini. Diamo a tutti i cittadini la possibilità di entrare nel mondo del lavoro, di partecipare alla vita politica, economica e sociale del Paese in modo attivo, e diamo una risposta seria, concreta, organica e strutturale a tutte quelle persone che, essendo in difficoltà, hanno bisogno di un sostegno per poter vivere dignitosamente. Nessuno deve rimanere indietro: questo non è uno slogan acchiappavoti, ma è un obiettivo politico di una politica che tende la mano, tende la mano verso gli ultimi, verso i più poveri, i più deboli, gli emarginati, gli invisibili. Gli effetti positivi di questo decreto saranno molteplici. Innanzitutto, realizziamo una grande operazione di ridistribuzione della ricchezza, così come hanno confermato anche i vertici dell'Istat durante le audizioni in Commissione.

Questo permetterà un rilancio dei consumi, una spinta economica che, oltre ad aumentare il prodotto interno lordo del nostro Paese, darà ossigeno soprattutto alle piccole e medie imprese, che sono il vero motore dell'Italia. Altro aspetto è quello del contrasto alla povertà: in Italia ci sono cittadini che vivono sotto la soglia di povertà assoluta, sono circa 5 milioni. Questi cittadini adesso avranno accesso al reddito di cittadinanza, e questo consentirà loro di vivere una vita dignitosa e decorosa. Inoltre, saranno presi in carico dai centri per l'impiego, sui quali abbiamo stanziato un milione di euro in legge di bilancio per riformarli e rendere effettivo l'incontro tra domanda e offerta di lavoro.

I disoccupati italiani che nell'ultimo trimestre del 2018 si sono rivolti a un centro pubblico per l'impiego nella speranza di trovare un'occupazione sono stati appena il 20,8 del totale, con un calo di 4,5 punti rispetto allo stesso periodo del 2017; questo è il dato più basso dal 2004. Per troppo tempo i centri per l'impiego sono stati un'umiliazione per chi cercava lavoro in Italia, e questo dato evidenzia, ancora una volta, come sia di fondamentale importanza il nostro intervento per riformarli e renderli finalmente funzionanti. Grande impatto in questa vera e propria rivoluzione avrà l'assunzione di migliaia di navigator, che accompagneranno i beneficiari del reddito durante il loro reinserimento lavorativo. Tutto questo rientra in una nuova visione di Paese, quella di uno Stato che torna a essere vicino ai cittadini, a tutelare i loro diritti, requisito unico e imprescindibile per dare il via a un vero rilancio del mondo del lavoro.

All'interno del decreto trova spazio anche “quota 100”, con la quale permettiamo a centinaia di lavoratori di andare in pensione a 62 anni di età con 38 anni di contribuzione, e, grazie alla proroga di opzione donna, le lavoratrici che hanno maturato entro il 31 dicembre 2018 un'anzianità contributiva di 35 anni e un'età anagrafica minima di 58 anni, se lavoratrici dipendenti, o 59, se lavoratrici autonome, potranno andare in pensione, accedere alla pensione secondo le regole del sistema contributivo. Grazie a questo sistema, Presidente, liberiamo centinaia di migliaia di posti di lavoro sia nel settore pubblico che nel settore privato, realizzando un turnover che aprirà le porte del mondo del lavoro a centinaia di migliaia di giovani, che potranno finalmente vivere in autonomia, costruirsi un futuro, una casa e una famiglia con più serenità.

Concludo, Presidente, dicendo che questo è un provvedimento utile per i cittadini italiani; a beneficiarne non saranno solo coloro che in modo diretto avranno accesso a queste misure, ma l'intera società. Ancora una volta, se lo diciamo, lo facciamo. Abbiamo concretizzato anni di battaglie e ripristinato uno Stato che garantisce diritti, lavoro, dignità, equità e giustizia sociale a tutti (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle e di deputati del gruppo Lega-Salvini Premier – Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Fassina. Ne ha facoltà.

STEFANO FASSINA (LEU). Grazie, Presidente. Siamo di fronte, come è stato detto e, mi pare, riconosciuto non solo dai colleghi della maggioranza, ma anche da qualche collega dell'opposizione, a provvedimenti importanti; aggiungo anche, lo sottolineo, provvedimenti utili. Questo non vuol dire che sono provvedimenti compiuti o perfetti, ora dirò, ma certamente sono provvedimenti importanti e utili. Per la prima volta, con adeguate risorse, la lotta alla povertà è una priorità politica. È vero che anche nella scorsa legislatura si è intervenuto in modo significativo e, per quanto mi riguarda, condivisibile, attraverso il reddito di cittadinanza, per contrastare la povertà, ma certamente oggi siamo di fronte a un provvedimento che fa della lotta alla povertà una priorità politica.

Come è anche evidente che, per la prima volta da diciamo quasi trent'anni, con risorse consistenti si interviene in controtendenza sulla normativa pensionistica. E devo dire che ho apprezzato le parole misurate, non propagandistiche, del sottosegretario Cominardi, quando ha descritto il provvedimento, perché è evidente che non è la fine della povertà, è evidente che siamo molto lontani dalle promesse elettorali di cancellazione della “riforma Fornero”, ma è evidente che appunto ci sono delle discontinuità positive, che sarebbe – come dire? – sbagliato e anche, temo, autolesionistico non riconoscere.

Dopodiché, come ricordavo, ci sono problemi, problemi seri; ci sono problemi generali e problemi specifici. Affronto prima i problemi di carattere generale, che relativizzano la portata utile e importante dei due provvedimenti.

Il primo problema di carattere generale è lo scenario macroeconomico che abbiamo di fronte. Sono uno di quelli che ritiene che le misure di contrasto alla povertà debbano avere anche – anche – finalità di avvio al lavoro; poi, sappiamo bene che la povertà ha una dimensione multilaterale, multidisciplinare, multisettoriale, e credo che, da questo punto di vista, andrebbe riconosciuto che, nonostante qualche diciamo enfasi propagandistica, il reddito di cittadinanza mantiene l'impianto che stava dietro al REI, e cioè c'è un canale dedicato a coloro i quali non sono nelle condizioni di poter lavorare. C'è il patto di inclusione, che è altro rispetto al patto per il lavoro o al patto per la formazione, ma mi concentro sulla questione lavoro, perché appunto il cosiddetto reddito di cittadinanza ha una finalità lavoristica che condivido, perché continuo a ritenere che, nonostante le trasformazioni tecnologiche, nonostante la globalizzazione, nonostante tutto quello che volete, il lavoro rimane un insostituibile vettore di cittadinanza sociale e democratica, come indica l'articolo 1 della nostra Costituzione, che per me rimane un caposaldo imprescindibile e una bussola fondamentale per la navigazione politica.

Qual è il punto? Qual è il punto? Che il lavoro non c'è, il lavoro non c'è; non c'è in particolare nel Mezzogiorno. Questo è il primo rilievo fondamentale, di cultura economica e di cultura politica, che faccio alla maggioranza, e, in particolare, alla parte che più si è impegnata per il cosiddetto reddito di cittadinanza: il lavoro, quando non c'è, non si promuove con le politiche attive del lavoro. È una visione liberista, supply side, ritenere che, quando il lavoro non c'è, tu fai qualche sgravio contributivo e generi lavoro. Non funziona così, in Italia non abbiamo un problema di mismatching fra domanda e offerta di lavoro.

I centri per l'impiego hanno particolare senso quando c'è un mismatching, cioè ci sono imprese che domandano lavoro, ci sono persone che cercano lavoro, che offrono lavoro, e serve qualcuno per fare incontrare domanda e offerta. Ma, a parte i casi marginali, la condizione della nostra disoccupazione non è una condizione di disoccupazione fisiologica dovuta a un mismatching fra domanda e offerta.

A Reggio Calabria possiamo costruire, anzi, dobbiamo costruire un centro per l'impiego che abbia gli standard professionali e di efficienza di Amsterdam, ma la stragrandissima maggioranza delle persone che non trovano lavoro continueranno a non trovarlo perché il lavoro non c'è e non lo costruisci con le politiche attive per il lavoro, il mantra degli ultimi trent'anni. Il problema è ridurre il costo dell'offerta di lavoro: così si genera lavoro. Oggi c'è un'enfasi devastante sulla crescita trainata dalle esportazioni - tutti crescono dal traino delle esportazioni - con il risultato di avere una cronica carenza di domanda interna, che poi diventa stagnazione nell'Unione europea, nell'eurozona e recessione per quanto riguarda noi. Questo è il primo punto fondamentale – fondamentale – per il funzionamento del reddito di cittadinanza: senza politiche pubbliche per gli investimenti, in particolare nel Mezzogiorno, la componente lavoro rimarrà larghissimamente insoddisfatta, ed è evidente che, in questo quadro, una minima consapevolezza vi ha portato ad introdurre misure che fanno del lavoro un'attività quasi punitiva, perché ci sono una serie di condizioni che rendono punitiva l'attività di lavoro da dover svolgere per poter evitare di perdere il reddito di cittadinanza. Ci sono dei requisiti, anche di mobilità, che evidentemente non possono essere soddisfatti, perché i costi che sopporterebbe colui il quale si sottopone a quella mobilità sarebbero larghissimamente superiori al beneficio del reddito da lavoro che viene a poter guadagnare. Quindi, questo è un primo punto fondamentale.

Noi, sia durante la sessione di bilancio, sia nel passaggio al Senato e, poi, alla Camera vi abbiamo proposto per affrontare – non in modo risolutivo, per carità, perché la bacchetta magica non ce l'ha nessuno – e per declinare in modo virtuoso il rapporto tra reddito e lavoro vi abbiamo proposto, in un emendamento che a noi pareva ben strutturato, il “lavoro di cittadinanza”. Avete, nel testo, raccolto – o comunque, al di là dei suggerimenti nostri –, introdotto un riferimento importante, all'articolo 4, comma 15, per quanto riguarda la disponibilità a lavorare che deve essere data ai comuni, che dovrebbero attivare programmi di lavoro utili sul piano sociale, culturale, della solidarietà e quant'altro, ma è – come dire? – marginale e complementare, mentre nella proposta di programmi di lavoro di cittadinanza individuiamo delle risorse e una obbligatorietà, un vincolo stretto al lavoro che avrebbe consentito, a coloro i quali erano nelle condizioni di poter percepire il reddito di cittadinanza, di poter svolgere effettivamente un'attività utile. L'altro limite di contesto, che voglio sottolineare, ripeto in un quadro in cui considero utile e importante l'intervento sul sistema pensionistico, è il suo carattere effimero, temporaneo, una temporaneità che non può essere – come dire? – archiviata dicendo: “vediamo, la riproponiamo, ora è sperimentale e la mettiamo a regime”, perché la temporaneità si inserisce in un quadro di finanza pubblica che, come sapete, a partire dal prossimo anno è drammatico, è drammatico. Al di là delle promesse che sento ancora in queste ore su flat tax e quant'altro, lo scenario di finanza pubblica per il prossimo anno è drammatico e rende effimera quella misura – ripeto, importante e utile – fatta su “quota 100”.

Questi sono due aspetti, sia per quanto riguarda il reddito di cittadinanza, sia per quanto riguarda “quota 100”, che dovrebbero essere presi in considerazione. Vengo su alcuni punti specifici. Negli interventi che mi hanno preceduto, in particolare dalla collega Carnevali e dal collega Epifani, sono venuti riferimenti puntuali che io, senza ripeterli, faccio miei.

Sottolineo altri due o tre aspetti. Riguardo al reddito di cittadinanza abbiamo proposto emendamenti - lo abbiamo fatto durante la sessione di bilancio, lo abbiamo fatto in questi giorni in Commissione -: si può promuovere il lavoro, lasciando nell'assoluta precarietà coloro i quali devono promuoverlo? Perché non si avvia un piano di stabilizzazione delle lavoratrici e dei lavoratori di ANPAL che hanno un'esperienza seria, forte, competenze rilevanti e hanno superato enne volte, tre, quattro, cinque volte, prove selettive e hanno quindi il know-how per essere da subito utilizzati ai fini delle politiche attive per il lavoro? Perché non avviare un programma di stabilizzazione delle lavoratrici e dei lavoratori di ANPAL?

I navigator si possono aggiungere, ma si possono aggiungere con i tempi necessari, attraverso i canali di reclutamento che sono quelli ordinari e che consentirebbero appunto di aggiungere risorse, in un ambito che è drammaticamente carente e quindi va apprezzato l'impegno che è stato preso in termini di risorse per ristrutturare e potenziare i centri per l'impiego, dopodiché però partiamo da quello che abbiamo, stabilizziamo lavoratrici e lavoratori ANPAL.

L'altro punto specifico - e mi avvio a concludere - riguarda “quota 100”. Come sapete - e lo sapete perché in queste settimane, con una determinazione davvero straordinaria, sono venuti da voi, sotto al Ministero, a via Veneto, diverse volte - ci sono ancora 6 mila esodati da salvaguardare. Ora, un provvedimento importante, che flessibilizza, sebbene in misura temporanea, la legge sulle pensioni non può dimenticare questa coda di esodati, ai quali non voi, ma chi c'era prima, ha inferto una drammatica ingiustizia che abbiamo provato in tutti i modi a sanare, dal 2012 in poi. Sono state fatte otto salvaguardie, il problema è stato quasi completamente risolto, ma rimangono 6 mila di loro che non possono beneficiare di “quota 100”, perché non hanno sufficiente anzianità contributiva, che non possono beneficiare di “opzione donna”, perché anche in quel caso la contribuzione non è abbastanza, che non possono arrivare a 41 o 42 anni. E allora per queste persone, per le quali ricordo che una legge prevede risorse che sarebbero dovute rimanere disponibili, sebbene poi nell'ultimo scorcio della scorsa legislatura sono state sottratte, avevamo lasciato 700 milioni, quasi 800 milioni, risparmiati dalle salvaguardie precedenti che, secondo una legge che mi risulta essere ancora in vigore, si sarebbero dovuti utilizzare per finanziare la nona salvaguardia. Quei 750-760 milioni sono stati destinati ad altro nell'autunno del 2017. Il Governo dovrebbe recuperare quelle risorse e sanare questa clamorosa ingiustizia in quel quadro, perché stiamo parlando di persone che, senza nessuna colpa, si sono affidate alla legislazione allora in vigore, che gli è stata cambiata da un giorno all'altro, e ora si trovano senza nulla.

E infine un punto importante che non è un punto specifico ma che va preso in considerazione: in questi giorni è stato proposto dal MoVimento 5 Stelle, da altri partiti, dal Partito Democratico, un intervento sul salario minimo anche per affrontare uno dei problemi che è stato messo in evidenza, che è noto e, cioè, una sorta di competizione tra lavori poveri e, purtroppo, ce ne sono tantissimi di lavori poveri che alla fine del mese non consentono di raggiungere il livello massimo del reddito di cittadinanza. Voi lo sapete bene quante donne in particolare, non solo, ma quante donne lavorano nei servizi per poche ore al giorno e in un mese non arrivano a 780 euro.

Avete posto la questione del salario minimo: attenzione - lo dico a tutti -, perché il fine, ovviamente, è un fine condivisibile, ma l'innalzamento del salario minimo dovrebbe avere innanzitutto un canale che passi attraverso il contratto nazionale. Il contratto nazionale rischia di essere svuotato attraverso questa operazione: con riferimento al contratto nazionale firmato dalle organizzazioni maggiormente rappresentative, sarebbe utile una legge sulla rappresentanza sulla base di quanto è stato concordato, sottoscritto dalle principali organizzazioni datoriali e dalle principali organizzazioni di rappresentanza dei lavoratori; una legge sulla rappresentanza che dia valore erga omnes ai contratti nazionali di lavoro, in modo che tutti coloro che svolgono un lavoro subordinato abbiano un salario minimo definito attraverso la contrattazione che salvaguardi la funzione fondamentale non solo in campo economico, ma anche proprio nell'ambito costituzionale delle forze sociali. Poi, piuttosto che di salario minimo potremmo parlare di compenso minimo riservato a quelle attività che non sono organizzate attraverso il lavoro subordinato e che, invece, nell'ambito professionale, tantissimo nell'ambito professionale, necessitano di una legislazione di sostegno per innalzare i compensi.

Quindi, ci sono correzioni importanti da fare, ci sono errori da evitare, perché torno su un punto: anche nel testo, all'articolo 12, si sottolinea l'importanza delle politiche attive in termini di livelli essenziali delle prestazioni. Anche qua, attenzione: i livelli essenziali delle prestazioni devono riguardare le politiche attive per il lavoro, ma devono riguardare, in generale, tutte le politiche sociali perché, altrimenti, davvero rischiamo che con una mano si dà qualcosa e con l'altra si devasta, poi, il rapporto con le persone alle quali si dà. La cosiddetta autonomia differenziata, che parte senza definire i livelli essenziali delle prestazioni, rischia di travolgere gli effetti positivi che possono venire dal reddito di cittadinanza e, in particolare, in larghissima parte del Mezzogiorno. Quindi, attenzione a non utilizzare un provvedimento utile e importante come copertura per altri provvedimenti che, poi, alla fine, hanno effetti clamorosamente regressivi nei confronti non solo dei beneficiari del reddito di cittadinanza, ma anche della stragrande maggioranza di coloro che risiedono nelle regioni del Mezzogiorno. Chiudo, Presidente. Insisto: vanno fatte delle correzioni importanti, vanno fatte delle correzioni in termini di politica economica generale.

Auspichiamo che, al di là delle dichiarazioni di queste ore del Ministro Tria, il Documento di economia e finanza che va presentato entro la metà di aprile contenga gli investimenti pubblici, in particolare in piccole opere, in particolare nel Mezzogiorno, come scelta strategica per rianimare una fase difficile per la nostra economia e per affrontare nodi strutturali che esistono e che pesano. Quindi, questo come prima correzione fondamentale di contesto, utile a promuovere lavoro, che diventa lo sbocco per tanti del reddito di cittadinanza e utile anche a rendere meno effimera la portata dell'intervento sulle pensioni.

E, secondo, e ultimo: correzioni mirate. Prendete l'impegno - lo dico a lei, sottosegretario, tramite il Presidente -, prendete l'impegno, nella replica, ad ascoltare quello che non avete voluto o potuto ascoltare nel passaggio nelle Commissioni. Ci sono delle correzioni che non snaturano il provvedimento, che non sono insostenibili in termini di finanza pubblica. Vi sono stati ricordati i problemi che riguardano le famiglie che hanno dei portatori di handicap; vi sono stati ricordati i problemi specifici di settori come quello dell'edilizia, che soffre un ridimensionamento, non una crisi, perché una crisi è una parentesi, ma soffre un ridimensionamento strutturale drammatico. Sui problemi specifici che vi sono stati posti non solo dalle opposizioni, vi sono stati posti in modo non strumentale dalle opposizioni e dai diretti interessati, prendete l'impegno, in quest'Aula, a correggere, a intervenire su quei punti specifici con provvedimenti successivi nei prossimi interventi, perché da questi aspetti, poi, viene fuori un quadro che può cambiare, in modo rilevante, il senso dell'operazione che è stata fatta.

Ecco, noi aspettiamo, anche nelle prossime ore, di capire se vi è una disponibilità a riconoscere problemi che in questa sede sono stati evidenziati e se vi è la disponibilità ad affrontarli con la gradualità, con senso diciamo realistico delle possibilità di fare, ma che vi è una disponibilità a riconoscerli e a intervenire.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Caffaratto. Ne ha facoltà.

GUALTIERO CAFFARATTO (LEGA). Signor Presidente, onorevoli colleghi, membri del Governo, vi confesso che sono molto emozionato: oggi mi sento partecipe di un grande cambiamento, perché con questo provvedimento miglioriamo positivamente e di gran lunga la vita di milioni di nostri concittadini. Con “quota 100”, infatti, diamo la possibilità a chi vorrà - e mi pare siano tantissimi - di accedere alla tanto sognata pensione dopo moltissimi anni di faticoso lavoro, consentendogli finalmente di lasciargli fare ciò che vogliono fare in età avanzata, come, ad esempio, volontariato, od occuparsi dei propri nipoti, fare cioè i nonni. Vorrei invitare tutti a non dimenticarsi quanto sia utile ciò alla società, alle famiglie ed agli anziani stessi, ai quali, secondo studi, fare i nonni rappresenta un momento appagante della propria esistenza, con risvolti benefici anche sulla propria salute. I neopensionati potranno, magari, aiutare le varie associazioni di volontariato e, ad esempio - anzi, approfitto per ringraziarli - dare una mano a chi in questi giorni si è adoperato, giorno e notte, per spegnere i tanti incendi che si sono sviluppati sulle montagne del mio bel Piemonte, forse, per mano di qualche infame.

Prima di entrare nel vivo del mio intervento, vorrei, però, ancora ricordare a tutti coloro che oggi siedono in quest'Aula e che, a suo tempo, hanno votato a favore dell'infame “legge Fornero”, che noi della Lega quella schifezza non l'avevamo votata. Oggi potrebbero almeno avere la dignità di guardare negli occhi la gente e dirgli tre semplici paroline: scusateci, abbiamo sbagliato.

Io non ho dimenticato, nessuno di noi, qui, ha dimenticato e nemmeno il popolo italiano, fuori da quest'Aula, ha dimenticato e mai dimenticherà: 6 dicembre 2011, conversione in legge del decreto-legge n. 201, articolo 24, la data infelice che passerà alla storia come il giorno in cui il Governo Monti e la maggioranza che allora lo sosteneva hanno ferito il popolo italiano in maniera quasi mortale, con un provvedimento vigliacco, profondamente ingiusto qual è la “riforma Fornero”, un provvedimento venduto agli italiani e alla storia come “salva Italia” giustificando gli interventi da esso recati come necessari e urgenti, appunto per salvare il Paese. In realtà, invece - e tutti lo sappiamo - fu solo scelto di fare cassa a spese dei pensionati, unica categoria certa da poter spremere nell'immediato. Non si è scelto, invece, di colpire gli evasori, i furbi, i delinquenti, bensì i pensionati. Mi ricordo bene quel periodo in cui c'era il Governo dei tecnici, quelli bravi che piacevano tanto all'Europa e che dicevano di voler salvare l'Italia e che oggi magari sono a casa, a guardarci comodamente in poltrona, quelli che dicevano di salvare l'Italia ma che, in realtà, stavano facendo l'esatto contrario.

Per fortuna, oggi, finalmente, riusciamo a svoltare quella brutta pagina di politica del nostro Paese. Per fortuna, oggi, finalmente, possiamo ridare ai lavoratori e alle prossime generazioni di lavoratori la speranza di andare in pensione a un'età consona per potersi godere la propria vecchiaia e i propri nipoti. Per fortuna, oggi, finalmente, ridiamo dignità ai lavoratori precoci, a coloro che fanno lavori usuranti, alle donne e ai più deboli. D'ora in poi, andare in pensione diventerà una scelta, non più la rincorsa di una meta sempre più distante. Grazie a Matteo Salvini, alla Lega e a questa maggioranza di Governo, “quota 100” non è più una promessa, ma da oggi è una realtà. Non è un'imposizione, come fece la Fornero quando, dalla sera alla mattina, cambiò le regole di accesso alla pensione, ma un'opzione, una scelta: la libera scelta di andare in pensione dopo una vita passata a lavorare.

A oggi, sono già state presentate circa 100 mila richieste dai cittadini. È un risultato incredibile in così poche settimane, che sta a indicare che la strada intrapresa è quella giusta. Si può fare di meglio? Certo, si può sempre fare di meglio e siamo sempre a disposizione dei cittadini per fare di meglio, per ascoltare le loro esigenze e risolvere i loro problemi, stare tra la gente. Questo, per noi, è fare politica.

Vorrei, poi, sottolineare ciò che ha anche un bimbo capirebbe facilmente e che, invece, una parte dei colleghi di opposizione ha tentato di veicolare mentendo e sapendo di mentire. Con “quota 100” chi vorrà potrà andare in pensione senza nessuna – sottolineo, nessuna - penalizzazione. Il sistema contributivo vuol dire che accantono quanto verso: se vado in pensione prima vuol dire che smetto di versare e se smetto di versare vuol dire che non accantono più, quindi, percepirò un trattamento per quanto versato. Semplice, lineare, ovvio: la matematica non è mai un'opinione. Fortunatamente tantissimi italiani ormai vi conoscono e non vi permettono più di prenderli in giro. Si sono fatti fare i conteggi, hanno capito e hanno firmato la richiesta.

Con il nostro sistema pensionistico la pensione con “quota 100” non sarà cumulabile con altri redditi da lavoro perché vogliamo favorire quel ricambio generazionale che ci avete negato. Vogliamo dare ai giovani l'opportunità di entrare nel mondo del lavoro, guadagnare, farsi una famiglia, progettare il proprio futuro con maggiore serenità e senza la paura del domani. È una scelta che abbiamo voluto fare per vedere, per chi accede con “quota 100”, l'incumulabilità della pensione con redditi da lavoro oltre i 5 mila euro, cioè oltre l'occasionale e il saltuario per legge, fino al raggiungimento del loro sessantasettesimo compleanno, ciò per favorire il ricambio generazionale tra lavoratori anziani e lavoratori giovani.

Abbiamo ripristinato la cosiddetta “opzione donna” per le lavoratrici dipendenti a 58 anni, e a 59 anni per le autonome, con almeno 35 anni di contributi. Una misura - voglio ricordare - anche questa facoltativa e opzionale, perché la Lega non impone come la “Fornero” ma lascia scegliere. È una misura già introdotta nel sistema pensionistico da noi ben quindici anni fa e talmente piaciuta, nonostante le solite quanto infondate accuse di riduzione dell'importo pensionistico, che a gran voce, in questi anni, ci è stato chiesto di prorogarla e mantenerla. Abbiamo inserito il TFS per tutti i pensionati pubblici e non solo per quelli di “quota 100”: quindi, “sì” alla possibilità di aver subito l'anticipo del TFR fino a 45 mila euro, mentre oggi si aspettano da due a tre anni.

I provvedimenti che stiamo portando avanti sono infatti un atto di giustizia sociale, un atto concreto per la parità dei diritti, cosa che molti di voi, oggi fortunatamente seduti tra i banchi delle opposizioni, avete sempre blaterato - sì, “blaterato”: voglio usare questa parola - ma non avete mai portato a termine: solo e sempre chiacchiere. Invece, noi stiamo facendo fatti concreti mantenendo ciò che avevamo promesso con “quota 100”. Iniziamo a smontare la “legge Fornero”: dalle parole ai fatti. E - ripeto - iniziamo perché questo Governo andrà avanti fino in fondo.

Altra misura in cui crediamo è quella che riguarda i fondi di solidarietà. Le imprese in crisi o con esuberi possono decidere di utilizzare i fondi di solidarietà di settore per consentire l'uscita con tre anni di anticipo rispetto a “quota 100” e, quindi, a 59 anni e con 35 anni di contributi. Il Fondo con oneri a carico delle imprese paga l'anticipo pensionistico fino al raggiungimento dei requisiti con “quota 100”. La novità è che le imprese non devono pagare anche i contributi per gli anni mancanti alla pensione.

Negli ultimi anni abbiamo assistito a un progressivo allungamento dell'età pensionabile per adeguarla alla speranza di vita dei lavoratori. La “legge Fornero” con il tempo è diventata una diga di contenimento a un grosso bacino di lavoratori anziani che la percepiscono sempre con maggiore insofferenza, in particolare nella pubblica amministrazione dove il blocco del turnover e l'aumento dell'età pensionabile hanno aumentato l'età media dei lavoratori rispetto alla media europea. Per risolvere questo problema si è già intervenuti con il “provvedimento concretezza” per sbloccare il turnover e consentire un rapporto di uno a uno tra lavoratori in entrata e quelli in uscita. “Quota 100” continua in questa direzione e consentirà ulteriormente il ricambio generazionale attraverso l'assunzione di giovani in sostituzione di lavoratori che andranno in pensione. Nell'arco dei prossimi tre anni si cercherà di far defluire da questo collo di bottiglia un certo numero di lavoratori anziani così da rendere successivamente più agevole il raggiungimento del vero obiettivo che si è posto il Governo: 41 anni di servizio indipendentemente dall'età, ovvero “quota 41”.

Nel rapporto privato probabilmente non ci sarà un sicuro ricambio di uno a uno, ma si è voluto contribuire fornendo alle aziende un impulso positivo che può renderle più competitive, agili e più appetibili sul mercato del lavoro.

I dati in arrivo anche in relazione al grande afflusso di richieste ci consentono di dire che si può stimolare e sostenere il passaggio generazionale. È altamente probabile che un posto di lavoro consenta ai nostri giovani di farsi una famiglia e favorisca anche la natalità. “Quota 100” è una facoltà volontaria, un modo aggiuntivo per accedere alla pensione insieme a tutti gli altri accessi ordinari già previsti o regolati dalla “riforma Monti-Fornero”. Pertanto, si potrà continuare ad andare in pensione utilizzando indifferentemente la “legge Fornero”, “quota 100”, l'APE social, la pensione di anzianità, l'opzione donna o i provvedimenti previsti per i lavoratori precoci e quelli per le attività particolarmente usuranti.

Tra le norme che stiamo approvando si prevede, infine, anche che l'INPS effettui un monitoraggio mensile per l'anno 2019 e trimestrale per gli anni seguenti sul numero delle domande di pensionamento e fornisca al Ministero del Lavoro e a quello dell'Economia e delle finanze la rendicontazione degli oneri che ne derivano proprio per evitare scostamenti dalla spesa prevista.

L'articolo 25 del provvedimento disciplina la riforma della governance INPS, l'ente che gestisce le pensioni e l'assistenza, e quella dell'INAIL, l'Istituto nazionale assicurazione infortuni sul lavoro. Essa dispone il passaggio da una gestione accentrata nelle mani dei rispettivi presidenti a una più collegiale, con il ripristino dei consigli di amministrazione che erano stati aboliti molti anni fa e l'introduzione della figura del vicepresidente accanto a quella del presidente nel complessivo numero di cinque componenti. Basta con un uomo solo al comando.

Relativamente all'INPS ricordo che, in Commissione lavoro, è già avviato l'iter delle proposte di legge sulla riforma degli enti previdenziali nell'ambito della quale crediamo debba procedersi con lo scorporo della spesa assistenziale da quella previdenziale, come negli altri Paesi europei. Si farebbe finalmente luce sull'entità dei contributi versati dai lavoratori che dovrebbero essere utilizzati esclusivamente per le loro pensioni, mentre per l'assistenza si dovrebbe provvedere con la fiscalità generale.

Concludo, signor Presidente, affermando con orgoglio e tanta soddisfazione che, ancora una volta, la Lega di Matteo Salvini e questo Governo mantengono le promesse con fatti concreti e sotto gli occhi di tutti.

Questa è la verità, questa è la novità, questo è il vero cambiamento. Questo significa dimostrare di avere il contatto con la realtà e con il Paese, mentre prima c'erano Governi che mettevano nelle loro priorità le banche, le cooperative, le lobby, lo ius soli, le adozioni gay, il genitore 1 e il genitore 2. Noi no, no: noi ci occupiamo della vita quotidiana delle persone e dei problemi reali; il resto lo lasciamo agli altri, o a quel che resta degli altri. A dire la verità, fortunatamente è rimasto ben poco degli altri, ma per noi non è un problema (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Stefano Lepri. Ne ha facoltà.

STEFANO LEPRI (PD). Presidente, mi piacerebbe interloquire con i colleghi della maggioranza, cominciando a dire loro che non abbiamo, in questi mesi, avuto pregiudizio su questo decreto-legge. Su altri provvedimenti sì, perché fin da subito sembravano essere ispirati dal calcolo politico oppure dal posizionamento: in questo caso, abbiamo guardato a questa proposta con sguardo libero. Perché due istanze, che sono quelle che hanno ispirato questo decreto-legge, erano e restano vere: da una parte, la necessità di contrastare la povertà e di rendere anche più fluido il mercato del lavoro e più efficace; e, dall'altra, di andare incontro alle tante attese di persone che aspettano la pensione, che la guardano con sempre maggior attesa e anche con qualche fondamento di attesa.

Ma queste giuste intuizioni, valutazioni che avete fatto politicamente, le rivendicate, partono da un primo presupposto assolutamente errato: lo ha rappresentato la relatrice Nesci, che ha detto che non vi era un sistema di protezione universale per le persone in difficoltà. Non so se mente sapendo di mentire o semplicemente non sa - lo dico a lei come agli altri colleghi - ma voglio ricordare che invece non si parte da zero, e che chi continua a ripetere che si parte da zero e che non c'era un sistema universale di protezione semplicemente non sa o mente. Perché noi abbiamo fatto - pur in ritardo ma fatto - il reddito di inclusione, con una dotazione in quest'anno 2019 che avrebbe, se non fosse sostituito come verosimilmente sarà, coperto fino a 2 milioni e mezzo di persone in condizioni di povertà, 700 mila nuclei, con circa 3 miliardi di dotazione. Ma accanto a questo, sappiamo che c'è un'importante dotazione, seppure insufficiente, per le persone con invalidità, attraverso l'assegno di invalidità alle persone non autosufficienti: questi interventi valgono ben 15 miliardi di euro ogni anno. Così come l'assegno sociale di integrazione al minimo; e non è un caso che oggi fortunatamente le persone in condizioni di povertà non sono quelle avanti negli anni, esattamente perché c'è una misura di contrasto alla povertà che prima ho citato.

Senza dimenticare - ma sembra che non le conosciate bene e ve le ricordo - le tante misure varate anche in modo efficace nella scorsa legislatura, che hanno quasi completato il disegno di politica attiva del lavoro: per cui oggi chi perde il lavoro, in particolare i cassintegrati, ma anche coloro i quali lo perdono in via definitiva, ma possono e ce la faranno a trovare un nuovo lavoro, sono appunto in tal modo sostenuti.

Quando dite, quindi, “non c'era un sistema finora di protezione universale”, dite una frottola colossale; e vi prego, vi preghiamo di non ripeterlo più.

Detto questo, certo, si doveva fare di più, c'era ancora da fare dell'altro, e noi saremmo stati pronti a farlo: non a caso, anche nel nostro programma, avevamo individuato esattamente ciò che mancava per completare un disegno di protezione efficace nel nostro Paese. Che cosa sarebbe stato necessario, e che si poteva e che avreste dovuto e potuto fare, e se l'aveste fatto avreste trovato sicuramente il nostro appoggio? Anzitutto, avremmo dovuto estendere le politiche attive del lavoro anche ai disoccupati di lungo periodo. Vi è uno strumento che è previsto nel Jobs Act, che è l'assegno di ricollocazione, che opportunamente si sarebbe potuto estendere anche a chi ha più di 24 mesi di disoccupazione o a chi non ha mai cominciato a lavorare.

Si dovevano aggiungere risorse al reddito di inclusione, perché obiettivamente erano ancora insufficienti; e ciò era evidentemente una possibilità, che naturalmente con le risorse che avete aggiunto si sarebbe potuta esperire tranquillamente. Si doveva introdurre una misura universale di sostegno ai carichi familiari, perché questa è un'annosa carenza del sistema di protezione italiano, e qui abbiamo non da oggi proposto una misura universale come l'assegno unico e la dote unica per i carichi familiari. E si doveva continuare nell'eliminazione delle storture della legge cosiddetta Fornero, senza aprire quelle finestre, che poi richiudete subito, che determinano ingiustizie e che illudono le persone senza una riforma complessiva.

Ecco, è questo che si sarebbe dovuto fare, e che noi eravamo pronti a fare se avessimo avuto la fiducia degli italiani. Così non è stato e tocca a voi; tocca a voi, e che cosa avete fatto quindi, non avendo fatto ciò che invece serviva? Una misura contraddittoria, contorta, piena di buchi, piena di errori; ne ricordo una dozzina di questi errori, che porteranno, come poi avrò modo di concludere, ad un risultato purtroppo per gli italiani fallimentare, o comunque non soddisfacente.

Anzitutto il presupposto ideologico, perché di questo si tratta: voi mischiate insieme, fate davvero un “mischione” - mi consentite il termine poco corretto, ma sicuramente efficace - tra politiche attive del lavoro e contrasto alla povertà. Invece questi due interventi di politica di protezione vanno tenuti distinti, anche se non sono distanti evidentemente; ma la distinzione e la non distanza non deve coincidere (è difficile in pochi minuti argomentarlo) con la coincidenza, come invece è determinata con questa misura.

I risultati sono evidenti: avete corretto, ma non è abbastanza efficace, quella presa in carico nei confronti delle famiglie che hanno bisogni diversi, e quindi che hanno bisogno di un approccio multidimensionale più che di un lavoro: perché in non pochi casi avremo di fronte delle persone, dei nuclei familiari dove il lavoro non è la risoluzione della povertà, e dove sarà impossibile, non tanto per l'offerta sul territorio quanto per le loro difficoltà, per le loro condizioni di debolezza nelle capacità residue, sarà impossibile per loro, anche nel miglior mercato del lavoro, trovarlo e soprattutto svolgerlo. Quindi serviva un lavoro che era già stato bene impostato nel reddito di inclusione per un approccio ed una presa in carico multidisciplinare. Sarebbe servito - e qui davvero è incredibile - la presenza attiva del terzo settore, questa galassia straordinaria che è una peculiarità tutta italiana: è un mistero, l'avete assolutamente cancellata; in questa legge non si parla mai di volontariato, di associazionismo, quasi che sia un mostro da cui guardarsi. In realtà ve lo spiegheranno, e qualcuno tra voi probabilmente è anche esperto di servizi sociali, di protezione sociale, gli operatori sociali vi potranno dire quanto è importante il terzo settore nel contrasto alla povertà, nell'inserimento lavorativo, nella ricerca di borse lavoro e di altre opportunità per avere forme di sostegno, anche di tipo economico ma non solo. Ci spiegherete questa cancellazione, che sa tanto di ideologia e poco di concretezza.

Un secondo limite fa riferimento agli importi che sono evidentemente eccessivi, con degli effetti distorsivi che non ci inventiamo noi, ma che tutti gli auditi hanno rappresentato, dall'INPS alla Caritas, passando per la CEI, passando per il Forum del Terzo Settore: stiamo riportando esattamente le considerazioni che tutti in coro vi hanno fatto. Uno stipendio medio dei giovani oggi in Italia, degli under 30, è di circa 800-830 euro al mese. La domanda è, e tutti si faranno questa domanda: ma per 50 euro in più chi me lo fa fare a lavorare? Ci saranno evidenti effetti distorsivi: nel lavoro part time, nei lavori occasionali, nei lavori stagionali, molte persone si rifiuteranno di fare questi lavori, considerando più conveniente evidentemente poter stare sul divano ad aspettare il reddito di cittadinanza. Ma di più, perché voi direte “non è vero”: invece è esattamente così, e ve lo dimostro molto semplicemente, non è molto complicato.

A un certo punto, di fronte a queste obiezioni, vi siete inventati il rifiuto dell'offerta solo se non congrua in un emendamento che avete inserito al Senato. In sostanza, voi dite: solo se l'offerta è congrua, cioè se viene offerto un lavoro con almeno 800 e rotti euro al mese, allora non può essere rifiutato tale lavoro. Ma che cosa dite ai milioni di ragazzi che oggi in Italia lavorano magari part-time perché continuano a studiare e che guadagnano 700 euro al mese, magari pagati anche bene 10-12 euro l'ora? Ecco, quel tipo di lavoro non è considerato congruo, si potrà rifiutare se verrà offerto e si potrà continuare a dire: io attendo un lavoro congruo.

Voi state vendendo esattamente il paese dei balocchi: non avete idea di come funziona il mercato del lavoro e gli effetti sul mercato del lavoro si faranno sentire in modo drammatico. Quando vedrete nei campi solo i lavoratori stranieri, evidentemente non regolarizzati e sfruttati ancora di più, quando vedrete tutti i lavori occasionali fatti da persone magari irregolari, vi domanderete perché: è esattamente perché sono gli effetti delle distorsioni che saranno determinate da questo modello.

I nuclei familiari sono penalizzati: lo abbiamo detto anche qui e non lo dice solo il Partito Democratico ma l'hanno detto tutti gli auditi, perché la scala di equivalenza penalizza i carichi familiari di famiglie numerose. Allora il sottosegretario Cominardi ha detto: guardate che è vero, però noi diamo comunque di più di quello che si dà adesso. Indiscutibilmente ha ragione, però spiego a lei, sottosegretario Cominardi, come avreste potuto fare. Sicuramente lo sapete, ma di nuovo l'ideologia vi ha fregato o, meglio, la propaganda in questo caso. La propaganda era 780 euro, che è esattamente la cifra presa da qualche studio europeo che dice che quella è la soglia minima per poter campare. Quindi, presa quella come totem assoluto, si è detto il single può arrivare a 780 euro se vive in casa d'affitto e avete montato tutto il programma intorno, cioè i carichi familiari, su quella cifra; quando sarebbe stato molto più corretto tenere un po' più bassa la cifra da riconoscere al single in affitto o senza affitto così che la scala di equivalenza avrebbe potuto dispiegarsi esattamente come dovrebbe essere. Quindi mi aspetto, semmai siete convinti di quanto abbiamo detto, che voi votiate o la scala di equivalenza dell'ISEE, che da tutti è riconosciuta sufficientemente equa, ma, di più, noi abbiamo presentato un emendamento in cui vi chiediamo di votare la scala di equivalenza del disegno di legge Catalfo della scorsa legislatura. Era un disegno di legge che aveva una scala di equivalenza, noi non diciamo altro: applichiamo quella, che vi ha consentito di poter fare campagna elettorale dicendo che a un nucleo di due figli adolescenti voi avreste dato addirittura 2.000 euro al mese. Quanta propaganda, che è servita naturalmente, ma quanta falsità e quanta maldicenza laddove addirittura si dice che voi il voto di scambio non lo avete considerato.

Altro limite: le persone con disabilità. Le persone con disabilità non sono da questa misura assolutamente sostenute. Lo abbiamo detto in Commissione, lo abbiamo detto in ogni occasione e lo hanno detto le associazioni per la disabilità prese per il naso ancor di più dal fatto che il Ministro Di Maio, appena uscito dal balcone di Palazzo Chigi, aveva detto in un suo tweet o post che aveva già realizzato anche l'aiuto alle persone con disabilità avendo, secondo lui, aumentato le pensioni di invalidità. Naturalmente nessun aumento delle pensioni di invalidità ma di più, come ben sapete, nel calcolo dell'ISEE l'assegno d'invalidità viene considerato reddito e quindi addirittura una misura a tutti gli effetti risarcitoria, che tutte le sentenze e tutte le leggi ci dicono che non fa reddito in quanto misura compensativa del danno subito, ebbene in questo caso la considerate reddito e quindi in qualche modo rischiate di escludere persone e nuclei che godono appunto di tale beneficio.

Poi addirittura avete con tweet di ogni tipo venduto questa straordinaria riforma e anche il sottosegretario Cominardi ne ha fatto motivo di orgoglio. Io sarei stato un pochino più prudente.

Avete alla fine aumentato dello 0,1 - accidenti! - la scala di equivalenza nel caso di un nucleo con una persona con disabilità; l'effetto finale fa circa 12 milioni in più su una spesa di 14 miliardi. Quindi tutto il pacchetto del decreto-legge ammonta a 14 miliardi e avete stanziato 12 milioni di questi 14 miliardi e, udite udite, 12 milioni rispetto ai 15 miliardi che oggi valgono le pensioni di accompagnamento e di invalidità: quindi avete aggiunto meno di un millesimo a ciò che oggi viene stanziato e l'avete venduto come la rivoluzione. Finalmente il Governo giallo-verde si occupa della disabilità, dimenticando i 15 miliardi che oggi lo Stato spende e valorizzando questa briciola che avete messo in campo.

Parliamo anche dei centri per l'impiego che invece sono la carta nuova che avete voluto giocare pensando che dal loro potenziamento uscirà d'incanto la ricerca ma soprattutto la possibilità di trovare il lavoro che oggi manca, quasi che il problema sia solo un problema di fluidità nell'incontro tra domanda e offerta. In realtà avete montato un bel castello che è tutto da costruire. Vedo la sottosegretaria Castelli e quindi mi è venuto “castello” abbastanza naturalmente, così potrà magari anche ascoltarmi e potrò ricordarle il conflitto di competenze che c'è tra Stato e regioni che noi volevamo risolvere e che, invece, naturalmente con il blocco della bocciatura del referendum continua a esserci e questa volta lo scoprirete vivendo come sarà bello questo conflitto di competenza. Le piattaforme sono d'affari, i navigator sono tutti precari e le agenzie per il lavoro accreditato sono un'altra bella domanda perché in verità in Italia queste realtà funzionano abbastanza bene, meno che da altre parti ma ci sono ottime realtà accreditate, che fanno l'incontro domanda-offerta, e che sembrano messe anche lì quasi in un angolo e poco valorizzate. Invece sarebbe stato molto più semplice prendere esattamente il modello del Jobs Act, che prevede l'assegno di ricollocazione e il pagamento delle agenzie per il lavoro a risultato - se lo collochi bene, sei pagato; se non lo collochi, non sei pagato - ma tutto questo sembra quasi il frutto del demonio e quindi meglio gestire tutto attraverso un modello statalista ancora tutto da costruire.

E che dire anche della complessità dei requisiti, dei criteri d'accesso, dei motivi di esclusione. Ogni cambiamento di reddito determinerà l'esigenza di un ricalcolo cioè la differenza tra quanto dovuto e quanto ha incassato: una gigantesca macchina amministrativa il cui esito sarà la certezza di dare nuovo lavoro, sì, ma agli impiegati amministrativi, ai navigator e agli avvocati che si occuperanno molto e vi ringraziano di cuore dei tanti contenziosi che determinerete. È una nuova versione del moltiplicatore di Keynes che avete inventato: invece di fare le buche e ricoprirle, voi vi siete inventati nuove pratiche.

L'assegno di ricollocazione è un altro mistero: è un'ottima misura pensata esattamente nel senso di favorire l'incontro e di pagare solo a risultato. Bene sorprendentemente non l'abbiamo mai capito e continua a essere uno dei misteri della fede del provvedimento di cui neanche voi evidentemente avete conoscenza perché, quando vi facciamo questa domanda, non ci rispondete a conferma che non lo sapete ma questo è abbastanza normale in questa legislatura. L'assegno di ricollocazione viene dato solo ai disoccupati di lungo periodo ma no a chi beneficia della cassa integrazione guadagni della NASpI. Ebbene ve ne domandiamo la ragione: ma perché mai a persone che hanno perso il lavoro o che rischiano di perderlo, perché in cassa integrazione, non può essere dato l'assegno di ricollocazione? Il sottosegretario Cominardi, che su questo è stato cortese ed è intervenuto anche in aula, probabilmente nella replica ci potrà spiegare la ragione di quello che per noi resta un grande mistero.

Lavori utili: anche questo è uno dei tanti spot che in particolare il Ministro per le attività improduttive e per il lavoro perso ha lanciato. Quindi, a un certo punto, incalzato dalla difficoltà a giustificare tutti questi soldi dati un po' così ha detto: bene, se non trova il lavoro, la persona - in attesa che arrivi attraverso un dono divino questo incontro domanda-offerta - si darà da fare con i comuni che gli faranno fare qualcosa di buono, un lavoro utile.

E il modo con cui sarà costruito questo lavoro utile lo abbiamo capito - perché non c'è scritto da nessuna parte - da un intervento che appunto il Ministro Di Maio ha fatto un paio di mesi fa da Vespa. Lo cito, perché gli italiani possano capire come funzionerà. Di fronte a Vespa, che gli dice “ci spieghi, Ministro, come funzioneranno i lavori utili”, lui dice: ad esempio, un sindaco, invece di dover assumere un giardiniere o un archivista, può attingere da quelli che prendono il reddito di cittadinanza. Cioè, in sostanza state dicendo che sostituiremo - anzi, voi sostituirete - il lavoro stabile con i lavori utili. Giardinieri e archivisti vi ringrazieranno, e non posso che dire: geniale! Altro limite: prima incassi e poi con calma dichiari. Questo lo dico ad un collega che prima è intervenuto, il collega Aiello, che ha detto: giammai, noi non facciamo voto di scambio! Allora la invito, collega Aiello - se magari mi ascolta -, a considerare questa mia modesta considerazione. Funzionerà così: prima tu incassi, poi con calma dichiari la disponibilità al lavoro, dopo che l'INPS, l'ANPAL, i comuni e i centri per l'impiego attiveranno la macchina per proporti questo patto. Ma se questo centro per l'impiego non c'è - come succederà quasi dappertutto -, se le pratiche andranno a rilento - come sarà inevitabile -, se ci sarà una coda di domanda - come sarà inevitabile -, cosa succederà? Che le persone aspetteranno due, tre, cinque, sei mesi a firmare il patto per il lavoro, nel frattempo però incassano. Allora, se non c'è voto di scambio, noi facciamo una proposta molto semplice; c'è un emendamento: prima si firma il patto per il lavoro, e quindi ci si attiva, e poi si incassa il sussidio, così almeno tutta la propaganda del “non starà sulla poltrona” verrà finalmente meno. Ma anche qui naturalmente non ascolterete, perché è esattamente quello che volete, cioè dare subito i soldi e poi, del lavoro, chi se ne frega.

Parliamo della pensione di cittadinanza, che si sovrappone all'assegno sociale. Ma perché non avete pensato di unificare assegno sociale con pensione sociale? Perché è complicato, perché ci sono dei criteri diversi: in un caso l'ISEE, nell'altro il reddito. Ma vi faccio solo una domanda, perché se la fanno gli italiani e se la faranno le persone che incontreranno un vicino di casa a cui gli verrà detto: sai, Antonio, da domani prenderò la pensione di cittadinanza. Ma quanto prendi? 780 euro. E lui farà due conti e dirà: ma io ho versato vent'anni di contributi e prendo 800 euro di pensione! Ma che Stato è questo, che dà la stessa cifra a chi lavora e a chi non lavora per tante ragioni, o che magari ha messo da parte i suoi contributi non versandoli? E ancora, avete detto - e mi occupo, negli ultimi cinque minuti, di “quota 100”, non perché non ci fossero anche tante altre cose da dire ma perché tanti colleghi lo hanno detto già meglio di quanto avrei potuto fare io - che “quota 100” sarà senza penalizzazioni, come ha detto prima il collega della Lega che mi ha preceduto. È vero: in linea teorica, la decurtazione è proporzionale ai mancati contributi versati e ai maggiori anni di godimento, ma, in realtà, voi avete fatto propaganda, illudendo gli italiani che avrebbero incassato la pensione con la stessa cifra che avrebbero invece incassato cinque o sei anni dopo! In realtà, la penalizzazione c'è, eccome, del 10, del 15, del 20 per cento, a seconda di quanti anni prima si andrà in pensione! Certo, gli italiani se ne renderanno conto solo quando vanno a farsi il conto, ma voi state facendo propaganda, con spot di ogni tipo, dicendo che non ci sarà penalizzazione, quando invece questa c'è, eccome! E poi, alla fine, per dirla brevemente: questo è un grande bluff dove avevate annunciato di abbattere il palazzo, invece il palazzo della Fornero è tutto bello in piedi. Avete solo aperto una finestra nel palazzo, fate entrare un po' d'aria, la richiudete subito questa finestra.

È una finestra costosa, è una finestra ingiusta, perché saranno solo alcuni che ne beneficeranno, solo se sono vicini a quella finestra, se sono un po' distanti non prenderanno neanche un po' d'aria. Anzi, quella finestra sarà richiusa e sarà riaperta più tardi, perché solo alcuni ne beneficeranno, e l'esito sarà che quelli che arriveranno dopo beneficeranno di nulla o addirittura saranno penalizzati. In più, non fate nulla o quasi per chi ne aveva effettivamente bisogno: i giovani - parlo dei quarantenni - che non hanno periodi contributivi regolari e che quindi che arriveranno all'età della pensione con periodi contributivi che mancano, mentre avremmo dovuto, quello sì, cominciare a pensare davvero a questa piaga terribile. Oppure, nulla sui lavoratori precoci, nulla sugli usuranti, nulla o quasi sulle donne, perché “opzione donna” è semplicemente una cosa ridicola per come l'avete pensata, nulla sugli ultimi esodati, su cui abbiamo presentato emendamenti, ma anch'essi sono stati trascurati.

Allora concludo. Questo decreto - lo dico con tristezza, e davvero ritorno alle premesse, perché noi c'eravamo sulle premesse, ma evidentemente la ricetta è una ricetta che non funziona -, non affrancherà i disoccupati di lungo periodo, ma paradossalmente li renderà più attratti dall'assistenzialismo; non completa le politiche attive del lavoro, invece introduce ricette che sono al contempo raccogliticce e contraddittorie tra di loro; determinerà distorsioni sul mercato del lavoro, i cui effetti saranno drammatici, soprattutto nel caso dei lavori flessibili, dei lavori part time, dei lavori umili, dei lavori stagionali; non riforma strutturalmente il sistema pensionistico, ma si rivela un grande intervento spot che ipoteca il futuro dei nostri figli. Insomma, e concludo, è un, anzi il capolavoro della vostra propaganda, fatto però ingannando gli italiani (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Salutiamo gli studenti e i docenti dell'Istituto comprensivo Nereto-Sant'Omero-Torano, di Nereto, in provincia di Teramo, che stanno assistendo ai nostri lavori (Applausi).

È iscritta a parlare la deputata Ylenja Lucaselli. Ne ha facoltà.

YLENJA LUCASELLI (FDI). Presidente, credo che il dibattito che vede tutti quanti noi impegnati quest'oggi sia davvero molto importante, perché su questo tema, sulla propaganda - è stata definita così più volte - del reddito di cittadinanza in realtà noi giochiamo una partita importantissima, che è la partita del futuro del nostro Paese. Il gruppo di Fratelli d'Italia ha dimostrato in questo primo anno di legislatura di essere assolutamente responsabile rispetto ad alcune scelte: abbiamo evitato che il preconcetto potesse invadere le nostre decisioni in Aula e nelle Commissioni, quindi abbiamo fortemente sostenuto quei provvedimenti che ci sembravano giusti e doverosi per la nostra nazione e, con altrettanta forza e fermezza, abbiamo cercato di migliorare quei provvedimenti che secondo noi urtano invece la necessità di crescita di questo Paese. Lo abbiamo fatto senza davvero voler combattere semplicemente una battaglia ideologica, ma partendo da quella che è la realtà con la quale oggi dobbiamo fare tutti quanti i conti. E partendo non solo dalla storia che ci contraddistingue, ma soprattutto dalla declinazione di questa storia con la realtà dei fatti di oggi, dobbiamo dire che il reddito di cittadinanza è davvero soltanto una propaganda elettorale e una scommessa assolutamente già persa in partenza, quindi prima ancora che se ne possano iniziare a vedere gli effetti. Perché dico questo? Innanzitutto dobbiamo partire da un concetto, perché il sistema di welfare, quindi di aiuto alle fasce più deboli della nostra società, è una cosa assolutamente diversa e che deve essere necessariamente distinta da quello che invece è l'inserimento al lavoro e l'aiuto al lavoro dei nostri giovani e anche di persone meno giovani che il lavoro lo hanno perduto. È proprio in quest'ottica che Fratelli d'Italia ha voluto in maniera fortissima ribadire questo concetto.

Per noi il sostegno va dato pensando ai veri poveri, alle vere fasce deboli, ai veri bisognosi. E per noi quelle fasce sono i pensionati, gli ultrasessantenni senza reddito, l'invalido, le famiglie con i bambini. Ora mi rendo conto che, per un movimento politico che è contrario in maniera evidente a quello che, per esempio, sarà l'evento di Verona sulle famiglie, pensare alle famiglie può essere anacronistico, eppure è proprio intorno alla famiglia che si sviluppa la nuova società. Allora, forse, avremmo dovuto pensare a quelle fasce in maniera diversa, e, comunque, non inserendo all'interno di un unico provvedimento due questioni che sono assolutamente diverse e che, per le loro diversità, vanno affrontate in maniera singola e separata. Avremmo voluto poter parlare, per esempio, del lavoro di cittadinanza: per noi è essenziale che ci sia la possibilità per tutti di avere un lavoro ecco.

Però il punto in Italia non è l'incontro fra la domanda e l'offerta; il punto in Italia è che in questo momento non c'è il lavoro e il reddito di cittadinanza non aiuta a creare lavoro, e lo vedremo adesso nei numeri. Si propone, semmai, di aiutare, ove ce ne fosse stata la necessità, domanda e offerta, e però questo, di fatto, viene raccontato in maniera completamente diversa. Quello che veramente aiuterebbe la nostra economia è la riduzione delle tasse; è molto semplice, non ci vogliono grandi statisti per arrivare a una determinazione di questo tipo. Le imprese italiane oggi hanno difficoltà sui mercati globali perché non sono competitive, e questo si riversa, poi, sull'incapacità di assumere, di assorbire all'interno delle nostre aziende i nostri giovani. Il problema è il lavoro, ed è, quindi, soltanto rivolgendosi a chi quel lavoro lo produce che si può pensare davvero di dare un volano alla nostra economia e di far sì che i giovani lavoratori, così come i lavoratori più anziani che il lavoro lo hanno perso, lo hanno perduto, possano nuovamente essere reinseriti nel mondo del lavoro.

Parlando del mondo del lavoro, ho sentito parlare in quest'Aula degli 859 euro mensili, quindi di quello che dovrebbe essere il reddito di cittadinanza. Però quello che mi pare sia sfuggito ai più è un calcolo matematico davvero molto semplice, perché, quando si offrono 859 euro al mese e si fa riferimento - perché, nel silenzio e non essendoci nessuna disposizione diversa, devo immaginare che la norma faccia riferimento all'articolo 3 del decreto legislativo n. 66 del 2003 - alle 40 ore settimanali, allora, se si fa un brevissimo calcolo matematico, si capisce che, partendo da questo, il contratto previsto e tutelato dalle norme di legge verrà pagato 5 euro all'ora, poco più di 5 euro all'ora, che mi pare sia assolutamente al di sotto dei minimi.

Questo è un primo tema che probabilmente dovremmo affrontare. Quando è iniziata la discussione su questo provvedimento al Senato, Fratelli d'Italia ha posto l'attenzione e l'accento su moltissime questioni. Me ne viene in mente una su tutte, che è quella relativa alla possibilità, per esempio, per i condannati, per i detenuti, di poter accedere e richiedere il reddito di cittadinanza. Noi siamo stati combattuti su quegli argomenti e siamo rimasti assolutamente inascoltati in quella sede, sino a quando, poi, non si è visto che, di fatto, una delle prime persone che richiedeva quel reddito di cittadinanza era per l'appunto una persona condannata, e solo a quel punto e in quel momento si è deciso di tornare sui propri passi.

Allora, forse, anche in questo caso dovremmo rivedere quello che è stato scritto, dovremmo quantomeno dare dei parametri, perché un conto è rapportare gli 800 euro mensili a un part time, un conto è, invece, rapportarlo alle 36 o 40 ore settimanali. Questo mi pare semplicemente uno dei tantissimi punti che questo provvedimento non affronta, non ha affrontato in maniera seria, ma soltanto propagandistica.

Faccio un altro un altro esempio. Si dice che si offrono questi mille euro a persone che debbano potersi allontanare anche oltre i 250 chilometri dalla propria abitazione e, allora, mi chiedo quale persona, quale padre di famiglia, seppur giovane, sia disposto a trasferire famiglia, figli, con tutto quello che poi contorna una famiglia. Oggi sapete che il sistema non garantisce la possibilità di crescere dei figli andando a lavorare serenamente, perché non c'è un cuscinetto sociale che questo lo possa rendere possibile. Mi chiedo chi sarà veramente disposto a intraprendere questa strada. Di contro, poi, c'è un'altra questione. Quando quelle tre offerte arriveranno a un ragazzo della Puglia (io provengo da Taranto), quando un'azienda piemontese o un'azienda che ha la propria sede legale in Lombardia piuttosto che in Toscana, chiederà a un giovane del Sud di migrare per poter lavorare, questo è un altro grossissimo problema. Noi non abbiamo mai in realtà affrontato, questo provvedimento non ha in realtà mai affrontato proprio questa questione: perché noi dovremmo essere contenti nel sapere che i nostri giovani del Sud debbano necessariamente emigrare per trovare del lavoro? Noi non avremmo voluto il reddito di cittadinanza perché per noi è una mancia, è semplicemente un modo di dire: “non c'è altro da fare, accontentatevi”. Per noi, invece, c'è molto altro da fare, per noi i ragazzi possono essere aiutati, così come mi viene in mente che, secondo il provvedimento, basterà dare questi sei mesi di anticipo ad un giovane che decida di aprire un'attività in proprio. Però, anche qui, la matematica mi supporta e, facendo un calcolo matematico, si pensa o si immagina che un giovane possa aprire un'attività commerciale con poco più di 4 mila euro. Questo è davvero fuori da quella che è la realtà e se chi ha scritto questo provvedimento vivesse nella realtà, se avesse ascoltato i nostri giovani, saprebbe che per qualunque tipo di attività oggi 4 mila euro non rappresentano neanche, probabilmente, la cauzione di un affitto di un locale commerciale. Questi sono davvero pochissimi spunti, pochissimi temi che ci vedono assolutamente contrari a questo provvedimento, non per il concetto, non per l'ispirazione di base, perché come ho detto all'inizio noi siamo assolutamente per il welfare, bensì per la declinazione con la quale è stato scritto. Del resto, dovremmo pensare che, su 3 milioni di disoccupati, oggi, secondo il testo che stiamo esaminando, che hanno esaminato le Commissioni, bisognerebbe trovare tre offerte di lavoro, per cui dovremmo trovare in 18 mesi nove milioni di offerte di lavoro.

Capisco l'ottimismo, però poi ci vuole anche il realismo e il realismo è che in Italia nove milioni di proposte di lavoro in 18 mesi non ci sono, per cui stiamo raccontando semplicemente una fandonia, stiamo raccontando una balla - o meglio, state raccontando una balla - agli italiani, cercando di arrivare, probabilmente, allo scontro elettorale nella competizione delle europee, però questo poi avrà degli effetti. Quando si trattano materie così delicate, allora bisogna avere quanto meno la decenza di rispettare non solo gli elettori, ma prima di tutto i cittadini, perché di questo stiamo parlando: stiamo parlando del loro futuro, stiamo parlando del nostro futuro. Non c'è niente in questo provvedimento - neanche, in realtà, sul tema delle aziende -, non c'è niente che dia la possibilità di aiutare chi il lavoro lo crea a creare lavoro, né c'è la vera possibilità di aiutare chi ha veramente bisogno, cioè le fasce deboli.

Noi abbiamo proposto un gruppo di emendamenti davvero molto corposi su entrambi gli argomenti. Tuttavia, così come è successo rispetto a quello che dicevo prima, ovvero rispetto alla possibilità di dare il reddito di cittadinanza a dei condannati, noi speriamo davvero che ci sia la volontà di ascoltare, la volontà di discutere, perché questi sono temi che riguardano tutti, che non possono appartenere esclusivamente alla propaganda di questo o quell'altro movimento politico. Ciò che tocca la nostra società dalle basi appartiene a tutti e dovremmo avere il coraggio di discuterne e non di chiuderci dentro o dietro le nostre logiche, dietro i personalismi, perché siamo in quest'Aula per difendere innanzitutto un concetto, che è quello di Nazione.

Ecco, io credo davvero che - e con questo concludo - questo provvedimento non vada nel senso non solo voluto dagli italiani, ma nel senso giusto affinché i nostri ragazzi, affinché le persone che hanno davvero necessità di un supporto lo possano avere. Fratelli d'Italia voterà sicuramente in dissenso con questo provvedimento, che non ci piace, non ci piace in nessuna parte, non ci piace nella sua struttura fondante, non ci piace per la sua ideologia pervasa e per il suo propagandisno. Noi vogliamo poter parlare di riforme, che siano però riforme strutturate, che siano riforme che vadano davvero nel senso dell'aiuto dei nostri concittadini.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Renata Polverini. Ne ha facoltà.

RENATA POLVERINI (FI). Grazie, Presidente. Cercherò in questo tempo che mi è dato a disposizione di intervenire su un provvedimento molto complesso, con una stanchezza che ci trasciniamo ormai da questo fine settimana, cercando di essere meno confusa possibile nell'esposizione di quelle che sono le mie perplessità, le perplessità del gruppo di Forza Italia rispetto a questo provvedimento. È un provvedimento - come ho detto - molto complesso, il secondo provvedimento che la Commissione lavoro ha portato a compimento, il secondo provvedimento “bandiera” del MoVimento 5 Stelle e, in parte, anche della Lega di Matteo Salvini, come adesso si usa dire. Il primo provvedimento era il “decreto dignità”; lo abbiamo portato avanti insieme alla Commissione finanze. Questo secondo decreto, denominato “decretone”, lo abbiamo portato avanti invece con le Politiche sociali. Siamo al lavoro da due settimane per un provvedimento, anche questo, che è diventato un provvedimento omnibus, perché ci sono tante cose che, a mio modesto avviso, nulla hanno a che fare con la lotta alla povertà, la flessibilità in uscita, la disoccupazione e le politiche attive del lavoro.

Devo dire che sono state due settimane in parte sprecate, perché la prima l'abbiamo dedicata alle audizioni: abbiamo ascoltato tanti soggetti in così poco tempo, tanto da risultare anche offensivo per coloro che sono venuti nel tentativo di darci un suggerimento, un'indicazione, dandoci la possibilità di rendere migliore questo testo. Abbiamo visto respinte tutte le indicazioni che sono arrivate da tutte le parti sociali: datori di lavoro, lavoratori, rappresentanti delle associazioni, degli artigiani, così come da tutti coloro che sono arrivati; addirittura da chi si occupa da tempo dei poveri, quelli veri, che non trovano riscontro in questo provvedimento.

La seconda settimana l'abbiamo iniziata lunedì e l'abbiamo terminata all'alba di sabato. Stamattina entrando qualcuno mi ha detto: “So che si è arrabbiata molto”; parole pronunziate sia da funzionari della Camera ma soprattutto da colleghi; io non mi sono arrabbiata, ma abbiamo mostrato un'incapacità anche nell'organizzazione dei lavori della Commissione stessa; ci siamo dati degli orari che non venivano mai rispettati, ci siamo presi delle pause che sembravano brevi e che invece erano interminabili.

Devo dire che pensavamo di aver misurato la vostra incapacità di gestire situazioni complesse, la vostra confusione, la vostra impreparazione - se me lo consentite - su alcuni temi, la vostra approssimazione; pensavamo di averla misurata con il “decreto dignità”, ma oggi devo dire che, tutto sommato, era emerso molto meno di quanto non è emerso in questo provvedimento (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).

Ciò nonostante, vorrei ringraziare per la presenza il sottosegretario Cominardi, pregandolo di trasferire e rappresentare, magari al Ministro, che non ha sentito la stessa esigenza che sentì per il “decreto dignità” con la sua presenza anche in discussione generale, i miei ringraziamenti per la presenza comunque sua, che in qualche modo rappresenta il Ministero (uno dei due da lui appunto rappresentati).

Vorrei ringraziare soprattutto i presidenti Giaccone e Lorefice perché devo dire che, insieme alle relatrici, Nesci e Murelli, alle quali va comunque il mio ringraziamento e la mia solidarietà, che ho espresso loro in Commissione, come la esprimo oggi, hanno dovuto gestire e governare momenti complicati, con un Governo che si è mostrato sordo a qualsiasi sollecitazione, a qualsiasi suggerimento, a qualsiasi tentativo di migliorare il testo, non di stravolgerlo. Infatti, noi sappiamo come si sta all'opposizione e non pensiamo di dover stravolgere testi rispetto a convinzioni politiche, ad impegni di Governo, anzi direi di contratto, ma pensiamo che è nostro dovere provare a migliorare quel testo.

Ebbene, malgrado questo, malgrado il tentativo anche di persone che hanno una loro competenza su temi specifici - mi riferisco, in particolare, alla collega Noja e alla collega Versace sul tema della disabilità -, nulla è stato recepito, se non un emendamento, del quale ovviamente vado fiera e ringrazio, di Forza Italia, che consente di poter ricorrere al reddito di cittadinanza non soltanto ai percettori di Naspi, come prevedeva questo decreto, ma a quei lavoratori ancora più precari come i collaboratori, coloro che percepiscono la Dis-Coll. Questo è un decreto, come ho detto, che vede di tutto un po'.

Guardate, io mi ritengo una persona non molto intelligente, mediamente intelligente, ma ancora oggi faccio fatica a spiegare a chi mi chiede chi lo prenderà, chi saranno i beneficiari, quanto prenderanno, che cos'è questo beneficio economico, che cos'è il Patto per il lavoro, che cos'è il Patto per l'inclusione sociale, che cos'è questo percorso, nel quale ci si deve addentrare.

Faccio fatica a spiegargli tutto, tranne una cosa: che la carta con la quale potranno percepire questo beneficio altro non è che la carta berlusconiana, che nel 2004 scatenò una marea di critiche, che io ancora ricordo ed ho le ferite ancora sulla pelle. Perché quella carta sembrava veramente il simbolo di colui che vuole in qualche modo intercedere, un po' come faceva Maria Antonietta, con le brioche dal balcone.

Ecco, faccio fatica a chi me lo chiede a dirgli dove deve andare, se deve mettersi davanti a un computer, se deve andare alla posta, all'INPS, al centro per l'impiego, al CAF, al patronato; io faccio fatica a spiegare a queste persone tutte queste cose. Faccio fatica a dirgli che, se hai 9.360 euro di reddito a livello familiare, hai diritto a questo reddito di cittadinanza, faccio fatica a spiegare agli anziani che, se hanno 6.000 euro in banca, che molto spesso tengono per lasciare ai loro figli il frutto magari di tanti anni di lavoro, dei risparmi di una vita o della pensione, o se hanno 30 mila euro di immobili, oltre la casa dove vivono, non avranno diritto a nulla; faccio fatica a spiegare alle famiglie e ai pensionati di Roma, per esempio, che per il contributo di affitto avranno soltanto 280 euro, come le avranno in qualsiasi altro comune d'Italia, senza tener conto delle differenze del mercato immobiliare; faccio fatica anche a spiegargli che lo Stato entra talmente tanto dentro le loro vite che vuole sapere se hanno un'automobile di cilindrata superiore a 1.600, se hanno un motorino di cilindrata superiore a 250 e, addirittura - perché sono tante le famiglie italiane - se hanno una nave o un'imbarcazione. Insomma, io faccio veramente fatica a spiegare che non abbiamo dato il reddito di cittadinanza alla famiglia Spada semplicemente perché ci siamo accorti, in corso dei lavori in Commissione lavoro, che tante erano quelle falle nelle quali le persone non perbene, che per fortuna non sono la maggioranza, si infilavano e i tanti perbene invece, con i requisiti che abbiamo dato, probabilmente non avranno diritto ad alcun reddito (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).

Come si fa a dire ad una persona alla quale si elargisce un beneficio, come lo chiamate voi, che deve prendere soltanto 100 euro in contanti, che deve con quella carta fare soltanto determinate spese. Insomma, io faccio fatica a dire che il nostro Paese sta tornando indietro in tema di diritti e di libertà delle persone, io faccio veramente fatica (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente). E come faccio a dirgli - lo dico alla collega Noja - che ai disabili è stata data - vogliamo dire una parola che si addice - un'elemosina rispetto a quella che è la differenza di costo della vita per accudire o accudirsi, se si è disabili? Io faccio fatica a dirgli che quello che voi state vendendo alle persone non è così.

Faccio fatica anche a dirgli che voi avete tolto il diritto individuale e l'avete assegnato alla famiglia: non perché io non voglia sostenere le famiglie, ma penso che non può ricadere su un intero nucleo familiare quello che ho definito, in più occasioni, un campo di rieducazione stile cambogiano. Perché tu la mattina devi prima dimostrare di avere tutti questi requisiti o di non avere quello che non è possibile avere, poi ti devi confrontare non si capisce bene se con un patto per il lavoro o un patto per l'inclusione sociale, almeno un componente della tua famiglia deve andare a fare lavori socialmente utili, devi accettare un lavoro, anche per le giovani mamme, molto distante da casa, e se soltanto uno dei componenti della famiglia commette anche una cosa semplice, si licenzia, perché vuole fare un'altra cosa, tutta la famiglia perderà il beneficio. Io faccio fatica a spiegare che in questo Paese siamo arrivati a tanto.

Faccio fatica anche a dirgli, quando mi chiamano da Messina, da Palermo, da Salerno, anche da Roma, che ci sarà un centro per l'impiego connesso con il mondo intero, nel quale tu arriverai, ci saranno delle banche dati con delle figure, i cosiddetti navigator, che individueranno immediatamente per loro un profilo giusto al quale affidarsi.

Quello che gli posso dire è di andare a un CAF o a un patronato, dove ci sono tante persone che già da diverse settimane stanno cercando di spiegare alle persone come ci si muove in questa giungla di requisiti, tanto che ci chiedevano, anche durante la Commissione lavoro, di mandargli gli emendamenti che passavano perché magari modificavano il testo o si poteva dare una risposta in più. Non so però per quale motivo avete, per esempio, previsto per i CAF un impegno economico - giustamente, perché i CAF faranno una fattura per quel lavoro specifico e saranno giustamente retribuiti - ma non avete dato risposta quando abbiamo detto se avevate intenzione di alzare il fondo patronati, perché assegnando dei punteggi, se il fondo rimane sempre quello, altro non è che la spartizione della stessa torta con un lavoro in più (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).

E, credetemi, ho sentito mia zia, che ha 89 anni, che mi chiedeva delle informazioni: le ho spiegato che dovrà imparare a leggere le mail, e lei mi ha detto che non sapeva nemmeno che cosa fossero; che dovrà imparare a leggere gli sms, che naturalmente noi le mandiamo, ma che non sa leggere; e dovrò anche spiegarle che l'ok è il contrario di ko e dovrà capire se è ok o se è ko, a 89 anni. Le è venuta la febbre, sta a letto: probabilmente, studiando, studiando, studiando, ha sudato talmente tanto, come accade quando fai gli esami, e si è sentita male.

Penso che voi stiate mettendo in campo quello che mise in campo Renzi con gli 80 euro: voi darete sicuramente, elargirete risorse, perché, come è stato detto bene negli interventi che mi hanno preceduto, intanto darete il beneficio, salvo poi attestare se ci sono realmente requisiti per farli tornare indietro, come è successo con Renzi quando gli spiegavamo che doveva intervenire sulla materia fiscale, quando, poi, invece, tanti dei percettori degli 80 euro, scattando con l'aliquota fiscale proprio sugli 80 euro percepiti, hanno dovuto restituire quanto avuto.

Insomma, io penso veramente che stiate facendo qualcosa che non va nella direzione dei bisogni del Paese. Io penso che bisognava mettere in campo, magari, maggiori risorse per quelli che sono i poveri veri; penso che bisognava mettere in campo la flessibilità in uscita reale per coloro che vogliono andare in pensione; penso che bisognava attivare politiche attive del lavoro, magari, guardando ai modelli che abbiamo già utilizzato e che hanno funzionato.

In questo Paese non dobbiamo inventarci nulla: sappiamo perfettamente, negli strumenti che abbiamo utilizzato negli anni, quali sono le cose che hanno funzionato e quali no.

Avete messo un impianto sanzionatorio da far paura: non so se, in questo Paese, conviene uccidere una donna o omettere un dato nella dichiarazione che si fa, perché siamo a sei anni se qualcuno omette un'informazione; e voi sapete perfettamente che un'informazione si può omettere anche per distrazione o perché non lo sai. Guardate, questa è una cosa di una gravità inaudita, in un Paese dove, purtroppo, se uccidi una donna te la cavi con poco più di sei anni.

Allora, io penso veramente che dovete riflettere su quello che state facendo, dovete riflettere anche sul principio di cittadinanza. Come ho detto in Commissione, io appartengo a quella scuola di pensiero che sa con chiarezza che in questo Paese la cittadinanza si assume venendo al mondo, perché basta che nasci da genitori italiani, in questo Paese, sei italiano.

La dignità si acquisisce con il lavoro, non con un beneficio che ti attribuisce lo Stato su una base di requisiti allucinanti o di un percorso di rieducazione che fa veramente paura. Voi, invece, non avete investito in questo: voi avete dato la possibilità di assumere, per esempio, Carabinieri e Guardia di finanza per i controlli e, poi, avete dovuto cedere con le regioni alle quali andavate ad intaccare delle prerogative costituzionali, passando da 6 mila a 3 mila navigator, peraltro che assumerete con un percorso che nulla ha a che fare con la pubblica amministrazione nella quale, per Costituzione, si entra per concorso, e che saranno più precari di quelli che dovranno, in qualche modo, accompagnare verso un nuovo lavoro.

Avete messo le mani all'interno di strumenti di derivazione contrattuale, come i fondi interprofessionali, cambiandone la natura. I sindacati non vi piacciono, volete fare da soli. Chi parla in nome delle imprese e dei sindacati dice sempre stupidaggini, a quello che dite voi, però sul loro patrimonio contrattuale e di strumenti che hanno costruito, addirittura, entrate a gamba tesa e ne cambiate la natura.

Insomma, io penso veramente che quello che state facendo – concludo su questo e vorrei brevemente passare alle pensioni - non è minimamente nella disponibilità dei giovani. Ciascuno di noi sa perfettamente che un giovane che vive a casa con i propri genitori o con qualunque altro componente della sua famiglia mai potrà accedere a questo percorso e, per fortuna direi, perché rimarrebbe molto deluso quando, andando nel primo centro per l'impiego, si accorgerebbe che nulla è come voi descrivete nel decreto stesso.

E, allora, io penso anche che sono state dette un sacco di bugie in tema previdenziale, perché, vedete, la quota ha un significato preciso nella legislazione del nostro Paese: la quota è la somma, indifferente, tra età di contributi e età anagrafica, che fa 100. Questa non è una “quota 100”: questa è la possibilità per una determinata, anzi predeterminata, categoria di lavoratori di accedere in anticipo alla pensione, pagandone un prezzo. Mi dispiace che si continui a dire che non è così, perché, vedete, come ho detto in Commissione, nella scorsa legislatura abbiamo lavorato tanto ed avevamo individuato un percorso di uscita che, sì, era penalizzante, fino a quando non arrivavi alla tua età pensionabile, quando, poi, recuperavi tutto ciò che lo Stato si era preso. Ma nemmeno questo avete voluto ascoltare: state dicendo agli italiani che andranno in pensione prima, che avete abrogato la “Fornero”.

Tutte balle: la “Fornero” sta lì, chissà se alla fine di questa sperimentazione rimarrà qualcosa, non è vero che vanno in pensione a 62 anni, perché andranno in pensione a 62 anni e tre mesi, a 62 e sei mesi, a 62 anni e nove mesi… La cosa vera è che andranno in pensione - e per loro sono contenta - persone che hanno avuto una vita meno dura nel campo del lavoro. Andranno in pensione, per la maggior parte, lavoratori dello Stato, pubblici dipendenti, maschi, perché 38 anni di contributi e 62 di età per le donne è difficile trovarli insieme, come è difficile trovarli per quelle categorie di lavoratori precoci o che fanno lavori gravosi, come è stato già ricordato, gli edili e tante altre categorie ancora. Allora, abbiate il coraggio di dire che fate un prepensionamento di tre anni, temporaneo.

Poi, mi dite: ma che c'entrano le assunzioni ai beni culturali con questo decreto? Posso giustificare alla giustizia e alla sanità, ma che c'entrano ai beni culturali?

Allora, guardate, avremo nei centri per l'impiego precari che si sommano ad altri precari, quelli di ANPAL Servizi, quelli che speriamo, come abbiamo detto in Commissione, che se trovano un lavoro a tempo indeterminato se lo prenderanno loro, che sono i cosiddetti navigator. Speriamo che le norme, così vaghe, che avete fatto anche per le assunzioni negli enti locali, nelle regioni e soprattutto nella sanità non creino il caos che rischiamo di avere, perché - badate bene - in quei settori andranno in pensione tante persone e se disgraziatamente il meccanismo, per come è scritto, si inceppa mettiamo a rischio non solo la macchina dello Stato, ma anche il Sistema sanitario nazionale, che è quello che a me sta particolarmente a cuore.

Vedete, “opzione donna”, APE social, TFS, tutte cose che c'erano - tutte cose che c'erano! - e che sono peggiorate rispetto a come erano state inventate e avete addirittura fatto qualcosa per cui arrossirebbero anche quelli della Prima Repubblica, che molto spesso richiamate - e mi riferisco in particolare al MoVimento 5 Stelle, Presidente - in quest'Aula, quando avete raddoppiato tutti gli incarichi nelle governance di INPS e INAIL, e in ANPAL. Avete raddoppiato la presidenza, inserendo il vicepresidente, avete raddoppiato i meccanismi di controllo, perché abbiamo il CdA e il CIV, che rimane. Ho sentito, da parte del sottosegretario, parlare delle proposte di legge che sono in Commissione, ma non ha fatto minimamente cenno a questo, ha parlato d'altro anche il collega della Lega, che parlava di dividere l'assistenza della previdenza: “Datemi un foglio che ve lo firmo qui. Ci divertiremo in Commissione Lavoro su questa proposta di legge e vedremo come farete”.

Ecco, io concludo veramente perché non voglio fare la lista delle “marchette” che avete fatto, come ai patronati all'estero, come all'ufficio stampa delle regioni a statuto speciale. Dico soltanto che Forza Italia ha un'idea diversa dell'Italia e degli italiani. Pensa che la cittadinanza si acquisisce alla nascita, che la dignità la dà il lavoro, che bisogna investire sui giovani e sulle imprese. Penso, e ho capito perché stiamo discutendo della flat tax in queste ore: stiamo discutendo della flat tax in queste ore perché Matteo Salvini ha la necessità evidentemente, nella settimana in cui si vota sul “caso Diciotti”, sulla sfiducia a Toninelli e si vota su questo decreto, quello del reddito di cittadinanza, di dire al suo popolo, quello del nord, che ci sarà un secondo tempo, che questo è solo il primo tempo del contratto di governo. E, allora, noi di Forza Italia saremo qui, come siamo adesso, per vedere cosa sarete in grado di mettere in campo, se ci sarà il secondo tempo di questo Governo (Applausi dei deputati dei gruppi Forza Italia-Berlusconi Presidente e Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Nicola Provenza. Ne ha facoltà.

NICOLA PROVENZA (M5S). Grazie, Presidente. Gentili colleghe e gentili colleghi, membri del Governo, il cosiddetto “decretone” ha la finalità di introdurre due misure necessarie per il Paese: il reddito e la pensione di cittadinanza, nonché “quota 100”.

Abbiamo avvertito da subito la necessità di contrastare e colmare le diseguaglianze, poiché la crescita delle diseguaglianze rappresenta un problema economico, non soltanto un problema sociale. Si tratta, dunque, di un provvedimento necessario, che restituirà dignità e favorirà l'inclusione sociale, una misura che fornirà una possibilità a chi è stato cancellato dal radar di una politica troppo spesso ottusa e qualche volta - consentitemi - irresponsabile.

Il welfare non deve rappresentare un costo: il welfare deve rappresentare realmente un mezzo per lo sviluppo economico e il nostro Paese in questo momento storico ha bisogno di speranza, di una speranza che si nutra, però, di azioni concrete ed efficaci. Questo provvedimento si muove in tale direzione e rappresenta una vera e propria riforma del welfare. Le politiche sociali e attive del lavoro hanno subito - e questo è molto evidente - un arresto e questo non è più sostenibile. Questa misura tende una mano finalmente - lo sottolineo: finalmente - a milioni di cittadini abbandonati dallo Stato che hanno perso la possibilità di progettare il proprio futuro. L'Italia, quindi, è in controtendenza rispetto all'Europa, dove i livelli di povertà mediamente sembrano diminuire. L'urgenza del provvedimento deriva proprio dall'esigenza di contrastare la progressiva deprivazione sociale che colloca l'Italia tra i Paesi europei con il più alto tasso di incremento dei soggetti a rischio di esclusione sociale ovvero di famiglie in povertà assoluta e questa è una realtà che tocchiamo con mano ogni giorno di più. In questi ultimi anni, infatti, la deprivazione sociale ha costretto troppe persone a rinunciare alle cure sanitarie, alla sana alimentazione, all'istruzione, alla cultura, al tempo libero, in una sola parola alla dignità. Uno Stato, per non dover soccombere a un'economia di mercato, deve saper regolamentare e intervenire sulla distribuzione dei redditi, migliorando le condizioni di vita dei propri cittadini e consentendo loro di accedere ai servizi fondamentali, e in questo momento penso soprattutto all'istruzione - lo ripeto: all'istruzione - e alla sanità.

Aiutiamo, quindi, milioni di cittadini ed è a loro che è rivolto in questo momento il nostro pensiero. Aiuteremo milioni di cittadini consentendo loro di reinserirsi nel mondo del lavoro e a costruirsi un futuro più stabile e dignitoso e nel frattempo con questo provvedimento sosteniamo i consumi. Inoltre - e questo mi piace sottolinearlo anche in quest'Aula - il reddito di cittadinanza nasce per contrastare il ricatto politico e il voto di scambio (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle), impedendo a una politica senza scrupoli di sfruttare la disperazione delle persone. Lo abbiamo detto in campagna elettorale e il 4 marzo abbiamo avuto una risposta: “sì” a un voto libero e a un voto senza ricatti morali.

Certo nel lavoro delle Commissioni, la XI e la XII, ci sono state diverse modifiche a questo provvedimento e molte significative nel corso dell'esame in sede referente. Cito brevemente alcune che si riferiscono all'articolo 7 e all'articolo 10. L'articolo 7, in particolare, disciplina il sistema sanzionatorio correlato all'istituzione del reddito di cittadinanza e stabilisce le cause di decadenza ovvero la riduzione del reddito di cittadinanza stesso. In riferimento al sistema sanzionatorio e dei controlli, le Commissioni riunite per l'esame in sede referente hanno raggiunto due importanti disposizioni: la prima è finalizzata a disciplinare la sospensione del beneficio nei confronti del richiedente e del beneficiario cui è applicata una misura cautelare nonché al condannato con sentenza non definitiva per uno dei reati previsti dall'articolo 7, comma 3. Tale sospensione si applica anche ai latitanti e a chi si è sottratto volontariamente all'esecuzione della pena. Le risorse derivanti dal periodo di sospensione sono assegnate al Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso, delle richieste estorsive e dell'usura, dei reati internazionali violenti, nonché agli orfani di crimini domestici e agli interventi in favore delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata. La seconda disposizione invece incrementa di 65 unità il contingente di personale dell'Arma dei carabinieri, al fine di rafforzare l'attività di contrasto al lavoro irregolare nei confronti dei percettori del reddito di cittadinanza che svolgano attività lavorativa in violazione delle disposizioni vigenti.

Per quanto concerne l'articolo 10, che si occupa del monitoraggio dell'attuazione del reddito di cittadinanza, su tale articolo, con un emendamento approvato in Commissione, si disciplina in maniera più articolata l'attività di coordinamento, monitoraggio e valutazione del reddito di cittadinanza; in particolare si prevede che il Ministero del lavoro e delle politiche sociali sia responsabile della valutazione del reddito di cittadinanza. La valutazione è operata secondo un progetto di ricerca approvato nell'ambito di un comitato scientifico, appositamente istituito con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, presieduto dal medesimo Ministro o da un suo rappresentante, e composto, oltre che da un rappresentante dell'ANPAL, da un rappresentante dell'Istituto nazionale per l'analisi delle politiche pubbliche, nonché da esperti indipendenti.

È stato un lavoro importante quello che ha impegnato il Governo e soprattutto i parlamentari, e ha permesso di raggiungere e di giungere ad un testo che rispondesse pienamente alle esigenze del Paese. Io, in questa sede, vorrei ringraziare tutti i colleghi delle Commissioni riunite, soprattutto coloro i quali hanno dimostrato la volontà di migliorare il provvedimento nell'interesse primario dei cittadini più in difficoltà. Il MoVimento 5 Stelle, anche in questa occasione, ha mantenuto una coerenza di fondo nel portare a termine una misura a sostegno dei più fragili e dei più bisognosi, nella convinzione che, su certi temi, l'intero arco costituzionale dovrebbe convergere senza rendere i bisogni primari dei cittadini terreno di scontro politico sterile e strumentale. È sembrato spesso di assistere ad un tentativo di delegittimazione costante ed aprioristica di questo provvedimento, ed è sembrato che questa fosse una nota stonata in un dibattito pubblico nel quale questa misura - e tutti voi, colleghi, lo sapete perfettamente - ha un impatto sociale importantissimo in questo momento storico.

In quest'ottica, il reddito di cittadinanza rappresenta la misura innovativa di contrasto alla povertà e di politica attiva del lavoro più importante degli ultimi vent'anni, soprattutto perché parte da una considerazione: che la diseguaglianza è il primo impedimento alla produttività. La diseguaglianza determina aumento dei crimini: non a caso i Paesi più diseguali sono quelli dove la criminalità ha più incidenza.

È utile quindi ribadire - e mi avvio alla conclusione - che il cuore del reddito di cittadinanza è legato alla formazione e al reinserimento lavorativo. Siamo di fronte ad una vera azione di governo integrato, che vede le interconnessioni, che traccia misure trasversali per il lavoro, per l'innovazione, per la formazione e per la diminuzione dei costi di gestione.

PRESIDENTE. La invito a concludere.

NICOLA PROVENZA (M5S). Vado a concludere, Presidente, e la ringrazio per questo tempo accessorio che mi concede. Perché le parole chiave che rappresentano le linee guida di questa misura restano sempre “formazione” e “reinserimento lavorativo”: al centro il cittadino e le imprese, per un rilancio concreto del nostro Paese; e in questo senso decreto-legge “dignità”, reddito di cittadinanza, “quota 100”, incentivi ed attenzioni per le piccole e medie imprese si pongono in una relazione dinamica e sinergica con questo provvedimento. Tutto ciò va a delineare in maniera plastica una misura economica più ampia, frutto di una scelta politica ragionata e precisa, e che riguarda una priorità che noi abbiamo scelto su tutte: il lavoro, la dignità del lavoro, perché nessuna persona può essere privata della dignità del lavoro (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Gianluca Benamati. Ne ha facoltà.

GIANLUCA BENAMATI (PD). Grazie, Presidente. Guardi, io vengo dalla Commissione attività produttive, ma ho chiesto al mio gruppo di poter intervenire quest'oggi, questo pomeriggio ormai, perché il tema che trattiamo oggi è un tema che è sicuramente molto importante, ma è, forse, potrei dire il cuore del contratto di Governo giallo-verde, è la ragione vera per cui questa maggioranza ha raggiunto un accordo parlamentare e ha dato vita a un Governo per onorare queste promesse elettorali. Potrei dire che questo decreto-legge è il segno di questa legislatura, sicuramente della prima parte di questa legislatura; poi vedremo se ce ne sarà una successiva.

Io vorrei fare una riflessione, perché ho sentito cose molto interessanti in questo dibattito. Io sono convinto che questo decreto potrebbe essere chiamato il decreto delle occasioni perdute. Vedete, l'ultimo intervento, che ho seguito con molta attenzione perché aveva delle parole, dei concetti, esprimeva delle speranze, delle attenzioni, che peraltro condivido su larga parte… Perché il lavoro è – e deve rimanere – l'elemento principale non solo di qualunque battaglia contro la povertà, ma dell'esistenza di una persona, della sua realizzazione personale, del suo essere civile, del suo essere persona posta all'interno della società, del suo essere cittadino. E, allora, se il tema del lavoro, così come riconosciuto dall'articolo 1 della nostra Costituzione, è quello essenziale, il reddito di cittadinanza poteva essere l'occasione di un dibattito serio – serio – su cosa significa il lavoro oggi, su quali sono le prospettive del lavoro domani.

Il tema del lavoro, lo sappiamo, è un tema di quantità: diminuisce, c'è un grande spostamento di ricchezza e di lavoro da Occidente ad Oriente, il lavoro diminuisce nelle società occidentali; c'è una rivoluzione tecnologica: la digitalizzazione della manifattura, l'Internet delle cose, i sistemi analitici di big data, che permettono ed anzi richiedono una diminuzione del lavoro per unità di prodotto, un frazionamento anche spesso del lavoro. Cambia il modo di lavorare, cambia la natura, cambiano i tempi, cambia la competenza che è richiesta a chi lavora e la capacità di formarsi per affrontare nuove sfide.

Questo è il domani: il lavoro dei saperi, il lavoro della formazione. E siccome cambia il lavoro, dovrà cambiare anche il welfare accessorio, il sistema di protezione sociale per i lavoratori. In questo, il reddito di cittadinanza poteva essere l'occasione di un dibattito: non c'è stato, si è spento, da un lato sull'ambizioso credo di essere sempre i primi a realizzare le cose, e dall'altro, sulla negazione di tutto ciò che è stato fatto in precedenza. Vorrei informare quest'Aula che sui temi del lavoro e del contrasto alla povertà – è già stato detto meglio di me dai colleghi che mi hanno preceduto, ma lo voglio dire ancora –, la XVII legislatura questi temi li ha visti trattati, ci siamo interrogati su questo, non abbiamo solo fatto Industria 4.0: abbiamo aperto il capitolo di come cambia il lavoro e come deve cambiare il welfare ad esso associato. Quando abbiamo rinnovato il contratto di lavoro, il contratto a tutele crescenti, che, peraltro, non è stato toccato in questa legislatura salvo peggiorarlo col “decreto dignità”, abbiamo anche introdotto una modifica nei sistemi di ammortizzazione sociale, di assistenza ai lavoratori: siamo passati da un sistema basato sostanzialmente sul legame fra l'azienda e il lavoratore, le casse, le casse di integrazione, speciale, ordinaria, in deroga, alla NASPI, che è un ammortizzatore che è focalizzato sulla persona, sulla sua capacità, sul suo percorso. Guardate, non state inventando niente: gli strumenti c'erano, in campo.

Così come non si può pensare che solo il lavoro sia una risposta alla povertà, perché vi sono fasce di povertà che non sono intercettate dal lavoro, perché si può essere in condizioni di non avere la capacità lavorativa, si possono avere situazioni in cui il disagio è tale per cui serve l'aiuto dello Stato, serve l'aiuto degli altri, insieme al welfare locale, perché informo quest'Aula che l'Italia gode anche di un sistema basato sugli enti locali, di forte welfare locale. Infatti, noi chiediamo sempre che questo tipo di misure di lotta alla povertà passino attraverso le realtà locali, che conoscono la vera situazione delle persone. Noi abbiamo messo in campo forse, come ha detto qualcuno del mio gruppo che mi ha preceduto, troppo tardi, troppo timidi, ma abbiamo messo in campo misure per il contrasto alla povertà, come il reddito di inclusione. Su questa doppia linea si poteva sviluppare un ragionamento: l'azzeramento, la costruzione sovra-articolata non porta bene. Allora, se io leggo questa passione, leggo l'incipit di questo decreto, là dove c'è la necessità e l'urgenza per cui si fa un decreto di questa natura, io vedo che lo scopo - è già stato detto dai colleghi di maggioranza – è quello avere una misura di contrasto – cito, per non sbagliare - “una misura di contrasto alla povertà, alla disuguaglianza e all'esclusione sociale…” omissis tesa “…all'inserimento sociale dei soggetti a rischio di emarginazione nella società e nel mondo del lavoro…”, garantendo “…così una misura utile ad assicurare un livello minimo di sussistenza, incentivando la crescita personale e sociale dell'individuo”. Bene, se questo era lo scopo, l'obiettivo, il reddito di cittadinanza non lo coglierà per una molteplicità di fattori, non ultima l'esiguità delle risorse. È già stato detto dalla relatrice di minoranza, la risposta in termini di povertà che si potrà avere: la metà, forse la metà dei poveri saranno interessati dalla misura.

Ma l'altro tema è la molteplicità dei fini, che qui viene evocata come una virtù: non sono sinergiche queste realtà; non sono sinergiche, richiedono strumenti e attuazioni diverse. Avere un sistema ibrido che ha, da un lato, la politica attiva del lavoro nel patto del lavoro, dall'altro, il contrasto alla povertà nel patto per l'inclusione sociale e fa anche, per così dire, una scorribanda nei campi, negli spazi della previdenza con la pensione di cittadinanza, l'insieme, il mélange di tutto questo, a risorse quali quelle presenti, non è – non è – certezza di un ottimo risultato. È certezza di raggiungere alcune persone, alcuni cittadini, una massa di cittadini, ma non di scalfire il problema perché peraltro si cancella, si tolgono i fondi al reddito di inclusione; si sovrappone il reddito alla NASPI (e su questo dirò qualcosa); si interviene in modo scoordinato sul sistema pensionistico che, peraltro, anche qui stiamo andando a toccare.

Mi occupo solo per un attimo, per dovere anche d'ufficio, dei temi del lavoro. Brutta questa distinzione negativa tra disoccupati, tra chi ha il reddito di cittadinanza e chi no; chi se ne va con la NASPI e con gli altri ammortizzatori; tra chi ha 780 euro, un personal trainer, può ricevere tre offerte di lavoro e un assegno di ricollocamento, che è un assegno che è in grado di dare accesso a prestazioni formative importanti. Per contro, abbiamo coloro che non ce l'hanno, che hanno cifre inferiori che, ovviamente, vanno a scalare con il tempo che passa senza trovare lavoro e a cui tagliamo anche l'assegno di ricollocamento, perché glielo congeliamo. Ditemi voi se questa non è una discrasia che crea un disoccupato “premium” e un disoccupato poveretto, affidato al buon cuore di chi passa.

Sui 780 euro, sull'entità della cifra è già stato detto molto e non mi soffermo perché sarebbe una questione che ci porterebbe lontano, ma dico anche che c'è un'altra disparità che interessa le aziende e che diventerà evidente perché lo è già. Solo chi non ascolta le persone, chi non ha contatti con il mondo del lavoro non si rende conto di questo. Giustamente, se qualcuno percepisce il reddito di cittadinanza e viene assunto sono previsti sgravi; le aziende hanno sgravi che sono collegati alla durata del periodo di percepimento del reddito di cittadinanza, quindi alla diminuzione di quel periodo; possono arrivare sino a 780 euro mensili gli sgravi alle aziende per un minimo di cinque mensilità per un disoccupato senza particolare formazione o a 390 con un minimo di sei mensilità per chi ha invece un percorso formativo alle spalle. Guardate che ci sono aziende che attendono il reddito per assumere e per fare uno screening tra coloro che devono assumere; ci sono aziende che hanno tempi determinati che non rinnovano - in questo caso il decreto dignità li aiuta perché ha ridotto i tempi - perché semplicemente aspettano gli sgravi per reddito di cittadinanza.

Poi adesso, se il Ministro Tria ripulisce i fondi di bilancio, attendiamo tutti con ansia il tema del decreto crescita che darà altri incentivi alle aziende e faremo una politica generalizzata di incentivazione alle assunzioni, ma oggi questo è il quadro.

Per questo - dicevo - si è persa un'occasione vera di discussione in quest'Aula a partire dal tanto fatto per operare sul molto da fare. Questo non è uno strumento efficace di politica attiva del lavoro: è, piuttosto, qualcosa che crea una dipendenza e forse questo era il fine che si intendeva raggiungere.

Su quota 100: anche qui, su quota 100 non dirò molto perché è già stato detto tanto da persone che hanno conoscenza del settore più di me. Però, anche su questo scusate: il Paese per vent'anni ha dibattuto un problema storico, ossia come coniugare l'aumento dell'aspettativa di vita e il calo demografico con la capacità contributiva dei lavoratori.

Informo quest'Aula che abbiamo un sistema a ripartizione per le pensioni: i lavoratori attuali pagano le pensioni di coloro che sono in pensione. Ora, non è che la “Fornero” sia stata il primo e unico esempio di intervento. Cito Dini, cito le proposte del Ministro Maroni con gli scaloni, perché il problema lo possiamo nascondere, ma c'è. Allora, sulla “legge Fornero” avremmo potuto fare un ragionamento vero e nella XVII Legislatura se n'è parlato e molte questioni sono state trattate: sono stati trattati gli esodati, i sistemi volontari di pensionamento, i sistemi tagliati sulle esigenze femminili come opzione donna. In quest'Aula, non si parla mai di cosa succederà a un giovane trentenne e alla sua pensione, quando avrà la fortuna di andarci. Eppure, sapete, vota anche il ragazzo trentenne. Vi informo che vota anche il ragazzo trentenne anche se è un po' rassegnato da questo punto di vista e, quindi, noi cosa andiamo a fare invece di aprire questo file seriamente? Apriamo la finestra.

Qualcuno, prima di me, ha detto bene: apriamo una finestra e chi c'è vicino prende aria, cioè facciamo una roba sperimentale per tre anni che pagheranno tutti. Tutti, è già stato detto: i pensionati con trattamenti più elevati, più benestanti potranno permettersi la riduzione del trattamento pensionistico; penalizziamo gli usuranti; penalizziamo le donne; riduciamo la indicizzazione, anzi cancelliamo l'indicizzazione sopra i 1.500 euro lordi.

Concludo, Presidente. Vede, se queste misure - lo dico così - sono misure che dovrebbero nell'immaginario di qualcuno sostenere la crescita, una crescita che non c'è, una crescita che latita, una crescita che manca, allora no, non siamo in questa fattispecie. Un'assunzione per ogni pensionato non è all'orizzonte, l'aumento dei consumi nemmeno; quello che è all'orizzonte è un appuntamento elettorale, e noi sappiamo che quando c'è un appuntamento elettorale due cose non ci mancano: un barcone da fermare e una promessa da regalare. Oggi la promessa è dei 60 miliardi di sgravi sulla flat tax.

Concludo veramente, Presidente, con un motto: evitiamo di farci troppo del male, perché questo Paese non ne ha mica tanto bisogno (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Sospendiamo a questo punto la seduta per una pausa tecnica. La seduta riprenderà alle ore 17,25. La seduta è sospesa.

La seduta, sospesa alle 17,10, è ripresa alle 17,25.

PRESIDENTE. La seduta è ripresa È iscritta a parlare la deputata Alessandra Locatelli. Ne ha facoltà.

ALESSANDRA LOCATELLI (LEGA). Presidente, onorevoli colleghi, inizio la mia esposizione con un breve quadro della situazione e del contesto nazionale all'interno del quale si innesta oggi a mio avviso la misura di contrasto alla povertà che ci accingiamo a convertire in legge dello Stato. Mi limiterò in seguito a due brevi considerazioni: la prima rispetto al confronto con la precedente misura di inclusione al reddito e al riscontro avuto con l'attuazione della stessa; la seconda considerazione la svolgerò per parlare delle correzioni apportate in sede di Commissioni riunite a questo provvedimento, grazie alle quali abbiamo potuto ampliare e rendere più flessibile e andare incontro il più possibile al riequilibrio della stessa misura, in virtù delle richieste legittime avanzate da associazioni ed enti che sono stati ascoltati in fase di audizioni.

Il contesto in cui si è costruito l'innovativo strumento del reddito di cittadinanza si sviluppa attraverso un percorso di introduzione di misure di protezione sociale e di progressive politiche proattive. In Italia, come in molti altri Paesi, il consenso all'uso di politiche di attivazione è crescente, e si diffonde facilmente, perché l'indebolimento del mercato del lavoro negli ultimi anni ha trascinato nella crisi e nella disoccupazione molte persone, determinando in modo conseguente e penalizzante l'esclusione dei più fragili. Le misure di protezione sociale e l'erogazione di benefici sono sempre più spesso vincolati ad obblighi che riguardano la definizione di percorsi di inserimento lavorativo con l'affiancamento di una consulenza personalizzata e qualificata. Questo significa che le persone escluse a vario titolo dal mercato del lavoro vengono in un certo senso forzate ad attivarsi. Questo è ovviamente una forzatura positiva, che detta le basi per una collaborazione per una fuoriuscita da una condizione precaria e marginale nel mercato del lavoro. Per le persone più fragili, con disabilità e non autosufficienza, si tratta di percorsi di accompagnamento ancora più specifici, ma che prendono forma sempre all'interno del medesimo contesto normativo. Anche la congruità dell'offerta si inquadra perfettamente in un contesto di integrazione tra politiche passive e attive di welfare, e questo proprio in considerazione dei diversi profili dei soggetti e anche nel rispetto di eventuali limiti legati alle disabilità e alla non autosufficienza. Di tutto questo si sta parlando all'interno della strutturazione della nuova legge che istituisce il reddito di cittadinanza e la pensione di cittadinanza. Un'ulteriore considerazione da evidenziare fa riferimento al controllo e al doveroso apparato sanzionatorio, che sono azioni indispensabili per garantire la legittimità degli accessi e la correttezza dei requisiti, sia per l'erogazione dei contributi sia per l'attivazione dei patti di lavoro rispetto agli sviluppi delle traiettorie e delle proposte fatte. Ritengo semplicemente che questo percorso in termini di tentativo sia iniziato in precedenza, con l'istituzione del reddito di inclusione. L'intuizione del precedente Governo andava probabilmente nella direzione che ho appena espresso nell'inquadramento del contesto, ma i limiti evidenti degli sviluppi che la misura poi ha avuto sono noti a tutti. Parlo, per esempio, del fatto che non siano mai stati implementati i centri per l'impiego e che i progetti personalizzati di inclusione lavorativa siano stati solo calati sulle spalle degli assistenti sociali, in tempi peraltro molto brevi concessi loro per l'attuazione della misura stessa e senza purtroppo avere i riscontri sperati. La forte frammentazione territoriale rispetto all'attivazione delle misure di sostegno al reddito ha certamente indotto l'attuale Governo a sviluppare un testo più completo, più ampio, in merito al reddito di cittadinanza, favorendo lo stanziamento di più risorse e ampliando conseguentemente la platea dei beneficiari. Abbiamo spesso sentito parlare del REI quale misura di inclusione sociale e di sostegno al reddito, abbiamo anche sentito dire mesi fa che, attraverso una proposta di legge più aggiornata, avremmo potuto estendere la platea del REI, destinare più fondi alla misura stessa, alzare le risorse destinate ai nuclei.

Insomma, chi ha istituito il REI avrebbe voluto, in sostanza, trasformarlo nel reddito di cittadinanza. Ma questo non è possibile, il reddito e la pensione di cittadinanza sono nati con una spinta diversa, più innovativa e di più ampie vedute. Ci sono sicuramente parti che è possibile migliorare, è evidente, ma non potevamo limitarci ad una modifica del REI, perché non era sufficiente e non era nemmeno corretto nella logica, perché è sostanzialmente diverso e più limitato nella sua concezione. Teniamo sempre conto che, in questi anni di istituzione del REI, nei nostri comuni non sono arrivati i segnali di successo sperati, in particolare rispetto ai percorsi di inclusione lavorativa, e che nessuna riorganizzazione dei centri per l'impiego è stata intrapresa. L'esigenza di introdurre il reddito di cittadinanza e la pensione di cittadinanza si legano direttamente anche al bisogno dei cittadini più fragili di attivare un accesso più equilibrato e in linea con quello degli altri beneficiari.

Includere e agevolare le persone con disabilità o non autosufficienza, che con il REI non godevano di nessuna attenzione in più, rende la misura del reddito di cittadinanza ancora più utile e meno discriminante nei criteri di accesso e di ottenimento del beneficio rispetto, per esempio, alle discrepanze economiche dovute alle maggiori spese per assistenza personale, spostamenti e molto altro, che tocca sostenere a chi ha una disabilità fisica, sensoriale o mentale. Ci siamo occupati di ascoltare associazioni, quali, per esempio, la FISH e la FAND, solo per citarne alcune tra le più rappresentative, e di studiare le risposte più adeguate alle loro istanze. È chiaro che c'è ancora molto lavoro da fare, ma abbiamo superato alcune criticità rispetto alla penalizzazione delle persone con disabilità e al nucleo familiare di appartenenza, rendendo più flessibili i criteri di accesso e più adeguati i livelli reddituali.

Abbiamo, per esempio, tenuto conto delle difficoltà di chi non è autosufficiente e dei suoi familiari, modificando per loro il limite di rifiuto sull'offerta congrua. Abbiamo anche recepito le istanze di alcune associazioni che hanno evidenziato il tema della mobilità e del tetto patrimoniale, perché chi è costretto ad acquistare mezzi speciali per spostarsi spende molto di più e ha diritto ad un limite diverso e incrementato rispetto alle altre persone. Abbiamo accolto la richiesta di molti rappresentanti del mondo della disabilità che hanno chiesto di poter far domanda di pensione di cittadinanza anche per chi convive in via esclusiva con persone gravemente disabili e non autosufficienti, anche se non sono più giovani di 67 anni. Abbiamo modificato il parametro della scala di equivalenza che individua il limite di accesso in modo da incrementarlo, rendendo flessibile e più ragionevole l'impatto per i nuclei con casi di disabilità grave e non autosufficienza, tenendo conto, per esempio, della maggiore necessità di risparmio dovuta anche a tutte le precauzioni che una famiglia preoccupata per il futuro del proprio figlio disabile è tenuta a gestire in virtù del gravoso tema del “dopo di noi”.

Abbiamo adottato con favore tutti i correttivi che potevamo, con l'intenzione, per il futuro, di migliorare ancora e di non fermarci al reddito di cittadinanza e alla pensione di cittadinanza, ma di lavorare al fianco del Ministro per la disabilità, Lorenzo Fontana, per una riflessione mirata sul tema delle politiche per la disabilità stessa. Abbiamo posto l'attenzione anche sulle assistenti sociali e il duro compito che ogni giorno affrontano nei nostri comuni, agli sportelli dei servizi sociali, con un carico di lavoro e un numero di utenti da seguire che spesso le mette in difficoltà, ma siamo consapevoli che al primo posto ci siano i principi fondamentali della giustizia sociale e che a guidare il loro operato siano la passione e la dedizione per un ruolo che spesso resta nell'ombra, ma che è la chiave di volta per garantire risposte e soluzioni ai cittadini più fragili.

Prima di concludere, Presidente, mi accingo a citare che, a tutela della dignità di tutti e della correttezza delle erogazioni dei contributi di integrazione al reddito, sono previsti controlli e pene molto pesanti e certe per chi abusa, per esempio, del beneficio di integrazione al reddito e fa dichiarazioni mendaci.

I termini sanzionatori sono indispensabili e rigorosi, al fine di garantire equità e giustizia nell'utilizzo e nell'erogazione delle risorse. In corso di approvazione presso le Commissioni riunite sono stati votati anche due emendamenti in particolare sul potenziamento degli agenti della Guardia di finanza e dei carabinieri. Non sono stati concessi sconti sulle pene per i truffatori e, inoltre, è prevista la non concessione del beneficio a chi è condannato in via definitiva e a chi è coinvolto in reati di stampo mafioso.

Ritengo che l'obbligo da parte dello Stato di garantire la piena trasparenza e la legittimità della fruizione del reddito e della pensione di cittadinanza siano tanto importanti quanto lo è l'istituzione della misura stessa. Ho sentito molte critiche sul reddito di cittadinanza, soprattutto molte congetture, ma vorrei chiarire che, pur essendo perfettibile, questa misura di sostegno alla povertà sostituisce la precedente senza indugi, affrontando il tema della povertà in modo più efficace e mirato. L'intreccio effettivo tra i bisogni dei nuclei in difficoltà e l'attivazione dei percorsi di accompagnamento all'inclusione sociale, lavorativa ed economica è il cuore pulsante del provvedimento. Stiamo parlando della possibilità di un progressivo recupero, in termini sociali, di quei soggetti che ancora non sono caduti totalmente nella disperazione e nella miseria, ma che sono a un passo dal baratro.

Stiamo parlando di una giusta misura per tutti e che, seppure ancora con qualche imperfezione, deve arrivare il prima possibile ad essere erogata e attivata in tutto il Paese. Ho sentito, poi, molte critiche provenire dai banchi dell'opposizione, in particolare dal PD, e durante la nottata trascorsa insieme non sono mancate esternazioni spiacevoli e lezioni di morale. Ci tengo, allora, a precisare, per suo tramite, Presidente, ai colleghi del PD che non si devono sorprendere quando sulla loro strada incontrano un Governo che fa quello che dice, che porta avanti gli impegni presi in campagna elettorale con i cittadini e trova sempre un accordo, anche su temi difficili. È difficile spiegarlo, a chi pensa di far politica e governare stando seduto in una scrivania, che noi la pensiamo diversamente.

Noi stiamo in mezzo alla gente, a disposizione e a servizio del popolo. E per concludere, quindi, ci tengo a ribadire che con il reddito di cittadinanza e la pensione di cittadinanza stiamo introducendo delle misure di integrazione al reddito che, nei limiti economici e di complessità delle proposte che sviluppano, abbiamo cercato di migliorare il più possibile nel corso dei lavori, soprattutto per tutelare e garantire con un'attenzione più ampia i disabili e gli anziani che, con la precedente misura, non godevano di nessun vantaggio e di nessuna maggior considerazione. Erano stati dimenticati, ma noi, così come lo avevamo promesso, così lo abbiamo fatto (Applausi dei deputati del gruppo Lega-Salvini Premier).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Bellucci, che non è presente in Aula; si intende che vi abbia rinunziato. È iscritto a parlare il deputato Zangrillo. Ne ha facoltà.

PAOLO ZANGRILLO (FI). Grazie, Presidente. Il decreto-legge del 28 gennaio 2019, n. 4, recante disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza e di pensioni, sottolinea con vigore, nel suo incipit, la straordinaria necessità ed urgenza di prevedere misure di contrasto alla povertà, alla diseguaglianza e esclusione sociale, e, al tempo stesso, la ridefinizione del modello di benessere collettivo attraverso una riforma complessiva delle strutture dedicate alle politiche attive del lavoro. Il nostro Paese, seconda potenza industriale in Europa e settima al mondo, conta oggi - sono stime Istat - più di 5 milioni di persone che vivono sotto la soglia di povertà e soffre di un livello di disoccupazione sopra il 10 per cento, che, nel caso della popolazione dei giovani, supera il 30 per cento.

Siamo ultimi in Europa e di fronte ad un ciclo economico di carattere recessivo. Alla luce di ciò, non si può non condividere l'obiettivo dichiarato dal decreto-legge di cui ci stiamo occupando: povertà e lavoro sono priorità assolute per le politiche di governo dell'Italia. In altre parole, stiamo legiferando su una materia che attiene strettamente alla possibilità di creare i presupposti per un futuro di speranza e di prospettiva per milioni di nostri concittadini, ai quali abbiamo il dovere di garantire le condizioni per una cittadinanza degna. Mi sono trattenuto su queste premesse per sottolineare il dovere del legislatore a seguire un approccio meditato, capace di una lettura il più possibile oggettiva ed onesta del contesto, disponibile ad accogliere e valorizzare i contributi di tutti i soggetti che possono concorrere a definire soluzioni efficaci per queste due emergenze, povertà e lavoro, che affliggono la nostra popolazione.

Mi dispiace dover constatare, signor Presidente, che, giunti quasi alla fine di un percorso molto sofferto, oggi, in Aula, avviamo una discussione che descrive un provvedimento assolutamente inadeguato a fornire risposte credibili sia sul metodo, che nel merito, costruito perseguendo non tanto l'urgenza di offrire una prospettiva sulla lotta alla povertà e alla disoccupazione, ma piuttosto con la malsana e ingannevole volontà di offrire una narrazione efficace ad alimentare effimero consenso in prospettiva elettorale.

Partendo dal metodo, va subito chiarito che la confusione tra povertà e politiche attive del lavoro, mischiate insieme nel provvedimento che stiamo discutendo, fa emergere l'incapacità del legislatore proponente a mantenere distinti, sia nell'analisi, che nella ricerca delle soluzioni, due problemi che richiedono approcci dedicati. È pur vero che la condizione di povertà e l'assenza di lavoro trovano la loro sintesi virtuosa nella dignità della persona, perché è proprio attraverso il lavoro che l'individuo allontana la condizione di povertà e consolida autostima, indipendenza, libertà, dignità dell'essere, ma risulta necessario garantire una corretta distinzione sia sotto il profilo delle attività che dei soggetti coinvolti, di misure volte al superamento della povertà rispetto a quelle di inclusione lavorativa. Non lo dico io, ma tutti i soggetti auditi nelle scorse settimane hanno raccomandato la necessità di non confondere i temi, esortandoci ad evitare semplificazioni e ricette onnicomprensive.

Questa maggioranza, sorda a consigli e ammonimenti, prigioniera di promesse inesaudibili e ossessionata dal termometro del consenso, in un'infinita stagione elettorale, ci propone la ricetta del reddito di cittadinanza. Stiamo parlando, signor Presidente, di uno strumento ibrido, come lo hanno definito le sigle sindacali audite, che, in modo improprio, individua nella povertà il criterio di accesso a politiche attive del lavoro. Stiamo parlando di un intervento molto complesso e articolato, che, per avere un minimo di probabilità di successo, richiede un contributo eccezionale da parte dei soggetti pubblici che concorrono alla sua realizzazione: INPS, Poste, Guardia di finanza, regioni, comuni, CAF, patronati, tanto per citarne alcuni, e che individua nei centri per l'impiego lo snodo essenziale per realizzare l'incontro tra la condizione di povertà e disagio verso politiche attive del lavoro.

Il beneficio economico previsto nella disciplina del reddito di cittadinanza, inteso a sostituire l'attuale sistema del reddito di inclusione, si colloca nella fascia più alta dei valori oggi ricorrenti nei sistemi di sostegno al reddito vigenti in Europa: 780 euro, modificabili in ragione della composizione del nucleo familiare e condizionati alla sussistenza di molteplici requisiti di accesso. Di fronte ad una tale previsione non si può non richiamare l'attenzione di un legislatore evidentemente distratto. Va, infatti, ricordato che oggi, in Italia, il 30 per cento dei contribuenti dichiara un reddito inferiore ai 10 mila euro annui, percentuale che al Sud si eleva al 40 per cento. Detto in altri termini, ci sono più di 10 milioni di italiani che lavorano e si sostengono con un reddito in linea con i valori del reddito di cittadinanza. Se a ciò aggiungiamo che nelle previsioni del decreto in discussione è sancito che un titolare di reddito di cittadinanza può rifiutare proposte di lavoro di valore inferiore agli 850 euro mensili, beh, è legittimo domandarsi a quale schema di equità sociale si sia ispirato il legislatore. Tutto ciò senza tralasciare che il percorso per l'attivazione del reddito di cittadinanza presuppone la necessità che i molteplici attori pubblici coinvolti siano tra loro connessi, garantendo quella interoperabilità che lo stesso decreto richiede per verificare la sussistenza e la permanenza dei requisiti di accesso al beneficio.

Per essere chiari, signor Presidente, qui non si allude alla possibilità che oggi non siamo ancora preparati a garantire un adeguato sistema informativo di supporto al dialogo tra INPS, Poste, regioni e comuni, stiamo piuttosto denunciando la certezza che tutto ciò è di là da venire, necessitando, peraltro, l'impiego di ingenti risorse finanziarie, ad oggi stanziate solo in minima parte.

Ma è sui centri per l'impiego che inesorabilmente crolla anche la più generosa apertura di credito verso la credibilità del provvedimento in questione. Nel disegno governativo i centri per l'impiego rappresentano lo snodo essenziale, il crocevia obbligatorio per la realizzazione delle politiche attive del lavoro. In quelle strutture, infatti, nella narrazione del decreto, si realizza l'incontro tra domanda e offerta di lavoro, finalizzata ad aggredire la disoccupazione, prevedendo persino tre offerte di lavoro per ciascun titolare di reddito di cittadinanza. Ecco, di fronte a questo racconto fantastico, ci sentiamo in diritto di chiedere conto al Ministro del Lavoro di tanta spudoratezza. È pur vero che Luigi Di Maio, non avendo mai avuto esperienze di lavoro prima di fare il parlamentare e poi guidare il Paese dalla tolda di Vicepremier, intuitivamente possa avere un'idea molto vaga della realtà dei centri per l'impiego, ma essendo persona accorta e sempre sensibile al giudizio del popolo, ha tenuto a raccontarci che, nelle more della costituzione del “decretone”, si è premurato di farsi un giro per l'Europa, perché - come i saggi sanno - prima di inventarsi qualcosa è utile imparare dagli altri e magari copiare da chi ha già vissuto esperienze simili a quelle in cui ci si vuole imbarcare. E così il Ministro ci ha puntualmente edotti sul fatto che il percorso di strutturazione dei centri per l'impiego nostrani si ispira all'eccellente esperienza dei colleghi tedeschi, che oggi godono di un sistema di collocamento pubblico in grado di avviare al lavoro almeno il 20 per cento della popolazione in cerca di occupazione. È assai probabile che nel viaggio in Germania del nostro Ministro del Lavoro qualcosa sia andato storto: o era molto distratto, o è arrivato tardi alla riunione. Allora, signor Presidente, vale la pena fare un po' di chiarezza: In Germania insistono 2.500 centri per l'impiego, che occupano 110 mila dipendenti, tutti a tempo indeterminato, dipendenti con un livello di scolarità e preparazione professionale adeguati al ruolo. Il 90 per cento sono laureati assunti con un processo di formazione dai 12 ai 18 mesi, in ragione delle responsabilità che vanno a ricoprire nell'organizzazione. Ancora, per rendere questa struttura operativa ed efficiente sono stati investiti molti miliardi di euro, soprattutto sul versante delle piattaforme informatiche dedicate a far dialogare i diversi soggetti implicati nel processo di avviamento al lavoro a partire dalle imprese. Tutto ciò ha impegnato il Governo per cinque anni prima che il sistema andasse a regime, in un Paese, la Germania, con il 4 per cento di disoccupazione. Venendo a noi, la situazione in cui versano i centri per l'impiego italiani descrive uno scenario decisamente diverso: oggi l'Italia conta meno di 600 centri per l'impiego che occupano 8 mila persone, in parte precari, con un livello di scolarità modesto (solo il 21 per cento sono laureati) e dotati di uno skill professionale prevalentemente amministrativo. È per queste ragioni che allo stato attuale queste strutture intermediano non più del 2 per cento degli avviamenti al lavoro, non potendo peraltro contare su alcuna moderna ed aggiornata piattaforma informatica, men che meno di collegamento con chi il lavoro lo può offrire e cioè le imprese. Il confronto con la realtà consolidata ed efficiente della Germania è impietoso. Forse, il Ministro del Lavoro, Di Maio, di ritorno dai suoi viaggi studio, qualcosa ha intuito ed è perciò che, invece di rappresentarci lui in persona la sua visione, ha preferito delegare a questo ingrato compito il professor Parisi, studioso italo-americano del Massachusetts, fresco di nomina alla presidenza di ANPAL. Nelle scorse settimane, durante l'audizione in Commissione lavoro, il professore ha estratto l'asso dalla manica: “Tranquilli, ragazzi, per i centri per l'impiego italiani abbiamo pronta la soluzione: i navigator”. Per la verità, il professore li ha descritti come delle specie di avatar. Vede, signor Presidente, se non fosse che stiamo trattando di un'emergenza drammatica, per il nostro Paese ci sarebbe da ridere. I navigator - prima o poi sapremo quanti saranno, oggi il numero oscilla - verranno assunti in parte da ANPAL, in parte dalle regioni, ci sarà per loro un bel contratto da Co.co.co. ed è evidente che Di Maio si è ravveduto sul tema della precarietà: ora che deve assumere i navigator, utilizza il contratto più precario previsto nella disciplina del lavoro. Ma la rivelazione più straordinaria è che questi avatar avranno il compito di supportare e accompagnare i disoccupati che si affidano ai centri per l'impiego nella ricerca di occupazione. Per dirla in maniera più sintetica: dei precari che aiutano disoccupati nella ricerca di un lavoro stabile. Non credo, signor Presidente, che ci sia bisogno di aggiungere altro.

Nelle settimane passate, nei lavori in Commissione, Forza Italia ha offerto con energia, impegno, contenuti, disponibilità al confronto, il suo contributo alla correzione di un decreto-legge che è pensato e scritto strizzando l'occhio all'elettore, piuttosto che affrontare con serietà e cognizione due emergenze - povertà e disoccupazione - che rendono fosco il futuro del nostro Paese. Aiutare gli ultimi, supportare autenticamente chi soffre una drammatica situazione di disagio non si risolve, purtroppo, con una semplice dazione di danaro accompagnata da un racconto fantastico. È necessaria una visione, occorre l'onestà e la disponibilità a comprendere che il solo supporto economico non restituisce né indipendenza né libertà né dignità dell'essere.

Avevamo avuto modo già durante la discussione sul “decreto dignità” di richiamare il legislatore proponente ad allargare l'orizzonte, a proporre uno schema di relazione tra pubblico e privato capace di attrarre e motivare le imprese, vero motore della crescita, vero motore del progresso e dello sviluppo. Solo attraverso un'autentica partnership tra pubblico e mondo dell'impresa può prendere avvio e realizzarsi un percorso di superamento della povertà attraverso l'inclusione sociale e lavorativa. Ma, dunque, anche immaginando che domani mattina i centri per l'impiego siano pienamente operativi ed efficienti, che cosa intermedieranno se il lavoro non c'è? Ecco perché povertà e disoccupazione non si sconfiggono con un decreto, con i selfie, con le dirette Facebook sui lavori di Commissione. È francamente frustrante stare in Commissione e non ricavare mai la sensazione che vi sia una reale disponibilità all'ascolto di una voce differente. In fondo, il confronto autentico e la capacità di raccogliere i contributi di chi non la pensa come te è anche un modo per condividere una responsabilità davanti ai cittadini, davanti alle nostre persone. Ma anche questa volta, come con il “decreto dignità”, il Governo ha voluto fare da sé: sarà una magra consolazione, ma, a questo punto, si assuma tutta la responsabilità dello scempio che sta realizzando (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).

PRESIDENTE. Salutiamo gli studenti e i docenti dell'Istituto comprensivo statale “Antonibon” di Nove, in provincia di Vicenza, che stanno assistendo ai nostri lavori (Applausi). È iscritto a parlare il deputato Perconti. Ne ha facoltà.

FILIPPO GIUSEPPE PERCONTI (M5S). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, nel nostro Paese ci sono circa 5 milioni di persone che vivono al di sotto della soglia della povertà assoluta e sono oltre 300 mila le domande già pervenute a Poste italiane e nei CAF per richiedere il reddito e la pensione di cittadinanza. Numeri che fanno ben capire quanto fosse urgente e necessario introdurre anche in Italia forme di sostegno al reddito, come d'altronde già accade da anni nella maggior parte dei Paesi europei. Entro subito nel merito. Per poter ricevere il reddito di cittadinanza è necessario rispettare diversi requisiti sia di residenza che patrimoniali: devi aver risieduto in Italia per almeno dieci anni, di cui gli ultimi due in via continuativa; avere un ISEE inferiore a 9.360 euro all'anno; un patrimonio immobiliare diverso dalla prima casa, anche all'estero, di valore inferiore a 30 mila euro; avere un patrimonio mobiliare di 6 mila euro, che può arrivare fino a 25 mila euro se all'interno della famiglia ci sono più persone con disabilità. Le persone che riuniranno questi requisiti potranno avere un'integrazione al proprio reddito. In particolare, se una persona vive da sola e non ha immobili di proprietà, potrà ricevere fino a 780 euro al mese, una cifra che può aumentare fino ad un massimo di 1.380 euro se la famiglia è numerosa e composta anche da persone con disabilità. Il reddito non è assistenzialismo, ma un percorso, una misura di politica attiva che guarda alla formazione, al reinserimento nel mondo del lavoro e del contesto sociale. Bisognerà infatti sottoscrivere degli accordi: se si è subito in condizione di lavorare bisognerà siglare il patto per il lavoro con un centro per l'impiego o con un'agenzia per il lavoro.

Se occorre, invece, formarsi, verrà sottoscritto il patto per la formazione con gli enti di formazione bilaterale, enti interprofessionali o aziende. Per quelle persone che, invece, non sarà possibile reinserire nel mondo del lavoro, bisognerà firmare un patto per l'inclusione. I beneficiari del reddito di cittadinanza saranno tenuti a partecipare anche a progetti utili alla collettività, predisposti dai comuni, fino a 16 ore settimanali. Inoltre, sono stati predisposti degli incentivi per le imprese che assumeranno i beneficiari del reddito di cittadinanza: sgravi per un massimo di diciotto mensilità e, comunque, non inferiori a cinque. Per le imprese del Mezzogiorno è previsto addirittura un doppio bonus.

Grazie all'attento lavoro fatto in questi giorni nelle Commissioni lavoro e affari sociali della Camera, il decreto relativo al reddito di cittadinanza e “quota 100” è stato ulteriormente migliorato, con un occhio di riguardo ad alcune categorie anche più di altre che in questi anni hanno subito la crisi e le politiche di austerity dei precedenti Governi. Tra gli emendamenti al “decretone” ci sono quelli sui centri per l'impiego e i navigator, per i quali sono stati stanziati 340 milioni in tre anni. Grazie all'accordo tra Governo e regioni, abbiamo sbloccato le 3 mila assunzioni di navigator, che dovranno accompagnare i percettori del reddito nella ricerca di un'occupazione.

Prevista entro 15 giorni dalla conversione in legge del decreto è l'adozione di un piano straordinario di potenziamento dei centri per l'impiego. Sono previste anche norme a sostegno delle famiglie con disabili e per i cosiddetti working poor, ossia chi ha un lavoro, ma guadagna pochissimo. Anche questi ultimi potranno entrare a pieno titolo nelle politiche attive per l'occupazione previste nel programma del reddito di cittadinanza.

C'è tanto altro nel decreto: c'è la pensione di cittadinanza, che consentirà a molti dei nostri nonni di uscire da una situazione di indigenza; c'è “quota 100”, che permetterà a chi è stato bloccato dalla “legge Fornero” di godersi il meritato riposo dopo anni di lavoro; e c'è “opzione donna”, che riconosce alle donne la possibilità di andare prima in pensione. Si tratta di misure che finalmente guardano ad una parte della popolazione italiana che è stata a lungo dimenticata dalla politica.

Il reddito di cittadinanza è un provvedimento che serve al Paese: serve a chi è in difficoltà, serve ai giovani, troppo spesso costretti a lasciare l'Italia per cercare una realizzazione professionale altrove, serve alle imprese, serve all'intero sistema.

Mi rivolgo a lei, Presidente, e a voi colleghi, perché mi auguro che tutti possiate riconoscere che la politica seria deve dare risposte a chi chiede aiuto. Spero, quindi, che tutti possiate votare questo provvedimento, perché in questo Parlamento, nei prossimi giorni, si deciderà da che parte stare; noi abbiamo scelto di stare dalla parte dei cittadini.

Presidente, prima di concludere, volevo fare una piccola battuta a titolo personale ai colleghi del PD: io ho sentito il vostro segretario appena eletto dichiarare che volgerà la sua azione politica, anche quella del vostro partito presumo, nei confronti dei 5 milioni di poveri e dei giovani che cercano lavoro. Io vi chiedo: come fate a non votare per questo provvedimento? Come fate (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle)?

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Viscomi. Ne ha facoltà.

ANTONIO VISCOMI (PD). Grazie, Presidente. Sa, molti anni fa, in una ricerca di sociologia giuridica, fu formulato un teorema, il teorema della cosiddetta copertura amministrativa delle leggi. Secondo questo teorema, l'introduzione, da parte di una norma di legge, di nuove funzioni amministrative non accompagnate da una puntuale definizione e da un rafforzamento dei sistemi burocratici chiamati a darne attuazione produce effetti perversi. In particolare, per un verso, rende impossibile portare a compimento le funzioni assegnate dalla nuova legge e, per altro verso, fa perdere efficienza ed efficacia alle funzioni già svolte sulla base delle vecchie leggi. Un teorema di buonsenso, forse anche al limite dell'ovvio, ma, se analizzato nella prospettiva di questo teorema, a me pare che il decreto, anzi il “decretone”, come piace chiamarlo alla maggioranza governativa, violi in modo evidente i criteri fondamentali di una buona legge, esponendosi al rischio di non mantenere ciò che promette e, quindi, di risolversi in pura narrazione comunicativa.

Ora, sia chiaro, non parlo del rispetto di canoni formali di legiferazione e neppure di una questione meramente quantitativa di risorse disponibili, ma piuttosto, come abbiamo più volte ripetuto inascoltati in Commissione, di una confusione concettuale che invalida la stessa architettura istituzionale del sistema reddito di cittadinanza. A guardarlo bene, il “decretone”, sembra di trovarsi di fronte a uno di quei quadri il cui disegno si comprende con sufficiente facilità quando si guarda da lontano, ma, poi, evapora velocemente quanto più ci si avvicina alla tela. È così anche per quel sistema, costantemente alla ricerca di un equilibrio tra dimensione familiare e situazione individuale, tra politiche proattive e istanze repressive, tra competenze amministrative da distribuire e competenze professionali da riscoprire, tra perdurante mitologia delle piattaforme digitali e dei sistemi informativi che tutto risolvono, e la drammatica realtà della frammentazione amministrativa e delle critiche condizioni organizzative delle agenzie chiamata ad operare sulle stesse piattaforme. Basta leggere l'articolo 6, comma 7, del decreto; dovendo individuare i soggetti chiamati a svolgere le attività connesse alle piattaforme, l'articolo ricorda esplicitamente l'INPS, il Ministero del Lavoro con gli enti controllati, vigilati e in house, l'ANPAL, i centri per l'impiego, i comuni, ma conclude poi con un rinvio generico alle altre amministrazioni interessate. Verrebbe da dire: ma come, state scrivendo una legge che considerate il cuore del vostro programma di governo e non avete nemmeno il quadro completo delle amministrazioni che saranno chiamate a darne attuazione (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico)?

Ovviamente, la questione non è avere un elenco nominativo, ma acquisire completa chiarezza su chi fa cosa, quando, come, dove e perché, nell'ambito di un sistema amministrativo multilivello che è costituzionalmente condizionato e che si vuole fare operare su una piattaforma digitale comune, che, poi, da sempre, o almeno a partire dal Sistema informativo lavoro, introdotto nella seconda metà degli anni Novanta dal “pacchetto Treu”, è lo scoglio reale che ha portato al naufragio di ambiziosi interventi riformatori, che per funzionare davvero richiederebbero un'agenzia, un sistema, una strategia univoca, se non proprio unica.

E oltremodo ambizioso è l'intervento di cui stiamo parlando; all'articolo 1, comma 1, del decreto, vi è la norma manifesto: ‘Il sistema “Rdc” è misura fondamentale di politica attiva del lavoro, posta a garanzia del diritto al lavoro, misura fondamentale di contrasto alla povertà, alla diseguaglianza e all'esclusione sociale. Misura fondamentale” - cito sempre testualmente – “diretta a favorire il diritto all'informazione, all'istruzione, alla formazione e alla cultura e tutto questo attraverso politiche volte al sostegno economico e all'inserimento sociale dei soggetti a rischio di emarginazione nella società e nel mondo del lavoro”.

A ben vedere, dunque, l'incerta architettura istituzionale che segna il sistema reddito di cittadinanza non è un tratto occasionale, facilmente emendabile, ma trova radice profonda nella stessa incertezza concettuale di una misura alla quale si affidano, anzi, sulla quale si riversano confusamente funzioni plurime e diversificate, quanto ad attori, competenze, vincoli, risorse, strategie e finalità ultime. È questo il vero punto debole del sistema RDC, che è costretto geneticamente, strutturalmente e funzionalmente nel dilemma di fondo tra strumento di contrasto alla povertà e strumento di politica attiva del lavoro, tra competenze dei servizi sociali e dei comuni e competenze delle agenzie che governano il mercato del lavoro, tra vincoli reddituali di carattere familiare e politiche di attivazione necessariamente individuali.

E che questo sia un problema serio è confermato dagli emendamenti della maggioranza nelle Commissioni riunite, laddove è stato introdotto il comma 10-bis nel corpo dell'articolo 11. Il comma 10-bis istituisce che cosa? La più tradizionale - cito testualmente – “cabina di regia come organismo di confronto permanente tra i diversi livelli di governo”. Previsione, questa, che conferma quello che stiamo dicendo da tempo, ma non risolve i problemi di una governance multilivello, condizionata, come ricordavo prima, da previsioni costituzionali molto chiare in ordine alla distribuzione delle competenze tra tutti gli attori istituzionali interessati.

Provo, ora, a fare solo due esempi, due, fra i tanti possibili e di maggior dettaglio, per segnalare alcune delle contraddizioni che segnano il sistema RDC, derivanti proprio da questa irrisolta confusione originaria di funzioni, attori, competenze, vincoli, risorse, strategie e finalità.

La prima è relativa alla tensione che è stata introdotta tra la dimensione familiare e la sfera individuale e che pure sta portando a quella sorta di fuga dalla famiglia anagrafica, segnalata ripetutamente in questi ultimi giorni dai mass media. La dimensione familiare definisce il perimetro per stabilire l'esistenza o meno delle condizioni di accesso al beneficio economico del reddito, nonché il relativo importo globale; al contempo, però, gli obblighi conseguenti all'inserimento del nucleo nel sistema del reddito assumono una dimensione individuale, tant'è che il beneficio economico è suddiviso per ogni singolo componente, non si comprende ancora se in parti uguali, come previsto esplicitamente per la sola pensione di cittadinanza, o no, e l'erogazione è condizionata dalla dichiarazione di immediata disponibilità, dall'adesione ad un percorso personalizzato.

Addirittura, l'articolo 4, comma 6, impone al richiedente che non sia sottoposto agli obblighi connessi al Patto per il lavoro di individuare un componente del nucleo che lo sostituisca nel primo incontro con i servizi, stabilendo così una sorta di intercambiabilità dei componenti del nucleo familiare. Ma, cosa succede se un singolo componente non effettua la predetta dichiarazione o non sottoscrive il patto? Ebbene, l'articolo 7, comma 5, dispone la decadenza dal reddito e, sembrerebbe, la decadenza dal beneficio per l'intero nucleo, atteso che altrove, in particolare nell'articolo 2, comma 3, è previsto chiaramente che le dimissioni volontarie privano della quota parte del reddito il solo componente del nucleo familiare disoccupato volontariamente. Insomma, le colpe di uno ricadono tendenzialmente su tutti i componenti del nucleo familiare.

Guardate, non è una sorta di responsabilità oggettiva a preoccuparmi, quanto piuttosto il fatto che si trascura di considerare che, il più delle volte, le famiglie in condizioni di povertà estrema rappresentano ambienti ideali per l'insorgere di dinamiche conflittuali, in cui la responsabilità reciproca è oscurata dal disagio di una difficile quotidianità; non è un problema giuridico, ma è un problema serio di contemperamento tra libertà del singolo componente di effettuare le proprie scelte e responsabilità dello stesso componente nei confronti del nucleo familiare.

Vorrei segnalare un secondo esempio, per evidenziare la tensione interna al sistema, derivante da una non chiara distinzione di ruoli e di competenze. In relazione all'articolo 4, comma 5-quater, introdotto in Commissione con emendamento delle relatrici, il punto in questione è il seguente: l'interfaccia primaria del richiedente o del beneficiario del reddito è il centro per l'impiego, la cui funzione propria dovrebbe essere quella di agevolare l'incontro tra domanda e offerta del lavoro; dico “dovrebbe”, perché, come è ben noto, credo, non tutti i centri per l'impiego riescono a svolgere questa funzione, per ragioni di varia natura, che qui non è il caso di approfondire, ma che, però, non sembra neppure aver approfondito chi ha redatto la norma. Ora, da un punto di vista generale, è quindi del tutto evidente che il decreto ritiene necessario aggredire la condizione di povertà anzitutto come condizione creata dall'assenza di lavoro e, dunque, appunto, come condizione individuale e non già come situazione di disagio familiare, relazionale, personale e professionale.

Dal punto di vista particolare, non è però da escludere che proprio le condizioni di disagio siano tali da rendere impossibile, se non inutile, la stessa ricerca di lavoro. Per questo il comma 5-quater prevede una sorta di transizione dai servizi per l'impiego ai servizi sociali: l'operatore del centro per l'impiego che ravvisa la presenza, nel nucleo familiare, di particolari criticità - cito sempre testualmente -, per il tramite della piattaforma digitale, invia il richiedente ai servizi competenti per il contrasto della povertà dei comuni, motivando le ragioni che l'hanno a ciò determinato, dopodiché, i servizi comunali, a livello territoriale, si attivano per la valutazione multidimensionale e per le misure conseguenti.

Sembrerebbe tutto simmetrico: vado al centro per l'impiego, parlo con l'operatore, l'operatore si rende conto che è un problema più ampio, mi invia ai servizi sociali dei comuni e così via. E, però, non è proprio così, perché le competenze amministrative e le competenze professionali dell'operatore del centro per l'impiego non sono istituzionalmente rivolte a verificare le condizioni di criticità familiari, tanto da poter addirittura motivare il rinvio ai servizi competenti per il contrasto alla povertà.

Ribadisco, la legge richiede esplicitamente all'operatore del centro di essere capace di ravvisare, nel nucleo familiare dell'interessato, la presenza di particolari criticità che rendono difficoltoso l'avvio di un percorso di inserimento al lavoro. Il punto è di così estrema delicatezza, anche a motivo dello stigma socialmente o soggettivamente percepito come negativo che potrebbe derivare dal rinvio del disoccupato dal centro per l'impiego ai servizi sociali, che, non a caso, si prevede di definire, in sede di Conferenza unificata, i princìpi e i criteri generali da adottare in sede di valutazione. Ma è soluzione, questa, più attenta ai profili formali di riparto delle competenze amministrative che di adeguamento delle competenze professionali degli operatori.

Insomma, non solo di nuove assunzioni necessitano i centri per l'impiego, ma di una più significativa revisione dei profili professionali, in coerenza con l'incremento di funzioni determinato dalla legge. È questo il punto di snodo reale.

Tutte le politiche di attivazione presuppongono la presa in carico della singola situazione e per questo richiedono operatori professionali altamente specializzati. Non la disoccupazione ma il disoccupato, non la povertà ma il povero e il disoccupato e il povero considerati nella loro concreta condizione storica. Questo è l'orizzonte operativo delle politiche di attivazione. Qualcuno lo dica, per favore, a chi ritiene, con molta astrattezza, che la questione importante sia solo quella di assumere personale e non la concreta qualificazione professionale del personale assunto per la quale serve a poco ricorrere alla suggestione della lingua inglese.

Insomma - e mi avvio a concludere - credo risulti del tutto evidente la radicale ambiguità dell'architettura istituzionale del sistema RDC. Lo abbiamo visto per quanto riguarda i rapporti tra nucleo familiare e singolo individuo e lo abbiamo visto per quanto riguarda i rapporti tra servizi per il lavoro e servizi sociali, quelli di competenza delle regioni e questi dei comuni, ma si tratta di profili essenziali per consentire il buon funzionamento di un'ambiziosa misura che pretende di essere al contempo strumento fondamentale di politica attiva del lavoro, di contrasto alla povertà, alla diseguaglianza, all'esclusione sociale nonché ancora misura fondamentale diretta a favorire il diritto all'informazione, all'istruzione, alla formazione e alla cultura.

Ma per essere veramente tale e assicurare i risultati promessi la misura fondamentale in questione avrebbe necessità di essere sostenuta da una visione chiara dell'ordinamento come sistema, da una realistica valutazione dei sistemi amministrativi, da una profonda consapevolezza della complessità delle situazioni reali. Purtroppo, non lo è e l'abbiamo detto come gruppo del Partito Democratico più volte in Commissione e continueremo a dirlo in quest'Aula. Siamo stati inascoltati prima e temo che saremo inascoltati anche ora (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Carlo Fatuzzo. Ne ha facoltà.

CARLO FATUZZO (FI). Signora Presidente, leggerò i titoli dei capitoli che potrei teoricamente svolgere e vi tranquillizzo che starò nei tempi previsti: “Berlusconi”, “inabili”, “donne in pensione a 67 anni”, “pensione di cittadinanza fantasma”, “opzione donna”, “riscatto dal 1° gennaio 1996”, “Istat 2012-2019 e 2019-2020-2021”, “finestre”, “speranze di vita”, “uomini in pensione a 67 anni”, “assegno sociale a 67 anni”, “impossibilità di presentare ricorso sul reddito di cittadinanza”, “mancata presenza dei pensionati nell'INPS” e ora vado a svolgere i singoli capitoli o quelli che riuscirò a svolgere relativamente a questo decreto-legge che, se fosse per me, lo lascerei in eternità in Parlamento perché è un decreto-legge - e diventerà legge, lo so - e so anche che non è quello che i cittadini troveranno rispetto alle loro speranze, ai loro desideri e ai loro diritti.

Primo punto, Berlusconi: che c'entra Berlusconi, mi direte voi? Ebbene, è dal 2002 che non è stata approvata una legge così importante soprattutto per gli inabili - ripeto: soprattutto per gli inabili (non solo, ma soprattutto per gli inabili) - come la finanziaria del 2002 di Silvio Berlusconi e del Governo da lui presieduto come Presidente ed emanazione di Forza Italia. Nel 2002 il cosiddetto “milione al mese” che venne presentato nella trasmissione di Bruno Vespa, che tutti si ricordano con la lavagna, ha stabilito - e non come promessa ma come fatto che è tuttora in vigore, legge in vigore - che quando un inabile al 100 per cento, con o senza accompagnamento, arriva all'età di 60 anni - ripeto: all'età di 60 anni e altro che 67 anni del decreto di cittadinanza - ha diritto, se non ha altri redditi, a portare la propria pensione di inabilità, che attualmente prima di quell'età è di 289 euro al mese, a 650 euro al mese (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).

Tanto è vero che oggi non esiste un solo inabile in Italia al 100 per cento, con o senza accompagnamento, che prenda meno di 650 euro al mese dal 1° gennaio 2019, non certo per questa legge, che non è ancora in vigore, ma per la legge del 2002 - bilancio - promossa da Silvio Berlusconi e da Forza Italia in primis. Mi direte: ma non è vero; è la famosa cosiddetta “pensione fantasma”, che io continuo a ripetere. Allora, avete stabilito che la misura dell'assegno di cittadinanza e della pensione di cittadinanza sia di 780 euro al mese. Li avete divisi in 500 euro di base e 280 di rimborso dell'affitto per chi è giovane o, comunque, con età inferiore a 67 anni e avete cambiato le cifre a 630 euro al mese più 150 di rimborso di affitto, senza dirci qual è la differenza e perché. Ma non è questo importante: l'importante è che un inabile e un cittadino che ha lavorato almeno 15 anni e ha la pensione contributiva - e i 15 anni ci sono tutti, perché se non ci sono minimo 15 o 20 anni di contributi non ha diritto - al compimento del sessantesimo anno di età, se non ha altri redditi, ha diritto già oggi - e dal 2002 ad oggi - a 650 euro al mese. Voi a coloro che sono proprietari della propria casa o hanno l'usufrutto o sono ospitati come donazione in casa di un figlio o di altri dareste come pensione di cittadinanza 630 euro al mese, quando oggi come oggi già hanno questi 650 euro al mese più i 12 euro della tredicesima pesante, 672 euro al mese. Passo al prossimo discorso, questo, comunque, vuol dire chiaramente che tantissima gente si attenderà un aumento di una qualunque pensione che è inferiore a 650 euro al mese con l'aumento a 780 euro che voi dite, ma non avverrà o perché non pagano l'affitto di casa o perché ci sono poi gli aumenti previsti dalla legge rispetto a questi 650 euro al mese, che sono la quattordicesima - altri 50 euro al mese e diventano 700 - e la tredicesima pesante e diventano 712. E, soprattutto, avete fatto finta di dimenticare che nell'anno ci sono dodici mesi e nel reddito di cittadinanza giustamente ci sono dodici mesi di reddito di cittadinanza a 780 euro al mese, ma nelle pensioni che l'INPS paga o per assistenza o per pagamento di contributi ci sono tredici mesi all'anno, c'è la tredicesima che è pari a un qualunque mese. Di questo voi non tenete conto e non vi rendete conto, quindi, che ci saranno tanti cittadini che si attenderanno di avere 780 euro al mese per tredici mesi ma, invece, si accorgeranno che già oggi ne prendono di più.

Donne a 67 anni. Allora, la “legge Fornero” ha portato tutte le donne - dico tutte le donne - qui presenti e fuori dal Palazzo, in tutta Italia - e ci saranno 25 milioni di donne e anche un po' di più perché sono un po' più degli uomini - le quali tutte - tutte - avranno la pensione, vuoi di contributi, vuoi di assistenza, a 67 anni. Questa mattina - evoi non ci crederete – molto vicino al Palazzo mi ha fermato una donna delle pulizie e mi ha detto – credendo che io possa fare ma io non posso fare nulla e lo so bene perché voi potete fare tutto ma io al momento non posso fare nulla –: “Fatuzzo, ma è possibile che dobbiamo lavorare fino a 67 anni?” Ed è quello che ha stabilito la “Fornero” che le ha portate da 60 a 67 anni in una notte e tali sono rimaste adesso (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente). Io dico che chi ha sempre detto che la “Fornero” deve essere demolita e cancellata va bene e sono felice che ve ne rendete conto, ma fatelo e non continuate a dire: “Voi avete votato la ‘legge Fornero'!” (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente). Sì, l'hanno votata ma voi la state tenendo lì bella in caldo e presente in ogni momento della giornata.

Opzione donna: ah, che generosità! Le donne possono andare in pensione con 35 anni di contributi e 57 anni di età: beh, sai, facciamo 58, che non se ne accorgono. E avete stabilito - come Governo, non voi qui presenti, lo so, lassù dove si puote ciò che si vuole - l'”opzione donna” a partire dai 68 anni per le donne dipendenti, 69 autonome; ma gli togliete il 40 per cento della pensione. Cosa vuol dire? Che io donna, disperata perché ho la madre ammalata a casa, ho il fratello, ho il figlio inabile, ho il marito che devo per forza restare a casa, io accetto anche di prendere mezza pensione e pur di prendere quella mezza rinuncio per tutta la mia vita a mezza pensione: questo si chiama, dalle mie parti - in qualche caso, non dico in questo, deciderete voi -, ricatto. Non è possibile, non è possibile che si costringa la gente che ha fame perché deve restare a casa, fame di poter aiutare i propri familiari, e voi la costringete a prendere quel poco che viene, anche se è poco, perché altrimenti non possono stare a casa, sono costrette; oppure, peggio ancora, sono licenziate. Questo è l'”opzione donna”.

Il riscatto dal 1° gennaio 1996 è un capolavoro. Io ho letto, la prima volta che ho visto il testo: il Governo decide di consentire di riscattare i periodi non lavorati, cioè di pagare adesso i contributi relativi ai periodi in cui sono stato disoccupato o non ho lavorato perché non trovavo lavoro o sono stato licenziato, e posso pagare oggi fino ad un massimo di cinque anni. Ah, - ho detto - finalmente, che bella notizia, posso parlar bene del Governo, di chi sta lavorando. Poi sono andato a leggere con attenzione: c'è scritto che questo lo possono fare solo gli italiani che hanno… Italiani o non italiani, tutti coloro che hanno lavorato solamente a partire dal 1° gennaio 1996: il che vuol dire che prima di 35 anni, a partire da oggi, nessuno potrà beneficiare di questa legge, perché attualmente, per non avere nessun contributo prima del 1° gennaio 1996, voleva dire che quando ho cominciato a lavorare avevo almeno 15, 16, 17, diciamo 18 anni; dal 1996 ad oggi quanti anni sono passati, onorevole Polverini? Sono 19 anni nel 2000, e dal 1996 al 2000 ce ne sono 14, 14 più 19 fanno… Quanto fanno? 19 più 14 fa 33: quindi fra 33 anni voi pagherete la pensione con la possibilità di pagare questi 5 anni arretrati, ma intanto però prendete i soldi del riscatto subito; quindi paga subito che vedrai che fra 34 anni io Salvini, io Di Maio ti darò la pensione (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente). Beh, lunga vita al Governo, naturalmente.

L'Istat è un altro capitolo. La Fornero e il Governo della Fornero hanno portato via da 100 a 150 euro al mese di pensione a tutti coloro che hanno la pensione superiore a tre volte il trattamento minimo, 1.500 euro lorde circa. Facciamo anche solo 100 euro al mese: sono 1.300 euro all'anno; arrotondiamo a 1.500, per i conti. Ogni anno, 1.500 euro di meno, ogni anno, tutti gli anni, ad ogni pensionato. Ve lo faccio breve il conto: sono 5 miliardi all'anno. Allora, da quando è entrata in vigore la legge cosiddetta Fornero, anno 2012: 2012, 2013, 2014, tu conta, Polverini…

RENATA POLVERINI (FI). Conto, conto.

CARLO FATUZZO (FI). …ogni dito sono 5 miliardi; 2012, 2013, 2014, 2015, 2016, 2017, 2018, 2019: sono otto anni per 5, sono 40 miliardi che i pensionati si sono visti sottrarre dalla pensione che stanno riscuotendo, per l'Istat non pagato. Ci aspettavamo che rimborsaste questa somma, non quella spruzzatina che è stata data dal precedente Governo, che veramente neanche la voglio dire, qualche 10 euro al posto di questi 40 miliardi; che poi continuano, ogni anno sono 5 miliardi che non escono, e quindi che restano a disposizione. Ma, non contenti di questo, si è deciso: nei prossimi tre anni altri 2 miliardi 300 milioni di Istat pagata solo parzialmente a tutti coloro che hanno da cinque volte il trattamento minimo in su.

Le speranze di vita sono la vergogna dell'Italia: cioè solo in Italia esiste la possibilità di dire “io, siccome faccio le mie statistiche (a crederci) che dicono che tu vivrai due anni di più, ti tolgo subito i primi due anni di pensione, me li tengo in tasca; poi se tu riesci a vivere due anni di più, bene, auguri, se non ce la fai sono cavoli tuoi”, SCT, si diceva da militare.

Assegno sociale a 67 anni. La Fornero ha portato l'assegno sociale da 65 anni a 67 anni: insomma, che dobbiamo morire poveri comunque è chiaro, è evidente, ma mi aspettavo che il Governo cancellasse almeno questo incremento. No, non è stato cancellato, nessuno… Ma lo so che non potete fare tutto, sottosegretario, lei è stato attento a fare il massimo possibile; però la verità è questa, la gente si aspettava che venisse cancellata la legge cosiddetta Fornero.

Non c'è possibilità di presentare ricorso, arriverà “OK” o “KO” sul cellulare. Brava, ha ragione l'onorevole Polverini, quando prima ha detto “bisognerà comprare il computer ed insegnare alla nonna…”: perché se arriva OK vuol dire che mi danno il reddito di cittadinanza o la pensione fantasma, che non esiste, lo ripeto, di cittadinanza; se mi danno KO vuol dire che non me lo danno questo reddito di cittadinanza, devo presentare ricorso. No no, basta, è finita, chiusa là, morta là.

Concludo con la non presenza dei pensionati nell'INPS. Ho chiesto in Commissione: inserite nel consiglio… Nella Commissione nostra, lavoro e affari sociali e di assistenza; colgo l'occasione in finale per ringraziare per la correttissima conduzione delle Commissioni i colleghi Giaccone… Pardon, prima Lorefice e poi Giaccone, prima le donne, naturalmente; e le colleghe Murelli e Nesci. In Commissione io ho detto: metteteci un consigliere d'amministrazione in rappresentanza dei pensionati all'INPS, Istituto nazionale della previdenza sociale. E che c'entrano i pensionati con l'INPS? Non se ne parla neanche. No, sempre no, soltanto no. Ecco perché io continuo a dire “pensionati all'attacco”, amici cari: perché i pensionati ci sono; magari qualcuno vorrebbe che sparissero dalla circolazione (lo dico in senso buono, lo so che non lo volete). Però si rompono, si incavolano i pensionati: sarebbe bene che entrassero nel consiglio di amministrazione dell'INPS. E quindi io concludo, sempre sperando nel futuro, le speranze non le perderò mai: viva i pensionati, pensionati, all'attacco (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente)!

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Celeste D'Arrando. Ne ha facoltà.

CELESTE D'ARRANDO (M5S). Presidente, colleghi, membri del Governo, oggi siamo in Aula dopo un lungo percorso di ascolto e coinvolgimento di tutte le realtà. Questo è uno dei provvedimenti cardine del MoVimento 5 Stelle, che incide radicalmente sia nelle politiche attive del lavoro che dell'inclusione sociale, e che dà una risposta reale e concreta alle persone in povertà assoluta.

Ridare dignità alle persone è uno degli scopi del reddito di cittadinanza: in particolare l'articolo 4, che disciplina il patto per il lavoro e il patto per l'inclusione sociale, dispone che il reddito di cittadinanza sia subordinato alla dichiarazione da parte dei componenti il nucleo familiare maggiorenni, di immediata disponibilità al lavoro, nonché all'adesione ad un percorso personalizzato di accompagnamento all'inserimento lavorativo e all'inclusione sociale, che prevede attività al servizio della comunità, di riqualificazione professionale, di completamento degli studi, nonché altri impegni individuati dai servizi competenti finalizzati all'inserimento nel mercato del lavoro e all'inclusione sociale. La disposizione esonera da tali obblighi i beneficiari della pensione di cittadinanza, i componenti con disabilità, fatta salva ogni iniziativa di collocamento mirato, nonché la possibilità per i componenti con disabilità di manifestare la loro disponibilità al lavoro, con le percentuali previste dalla legislazione vigente in materia di collocazione al lavoro dei disabili.

Al riguardo, nel corso dell'esame in sede referente è stato ulteriormente precisato che, ferma restando la volontaria adesione da parte del componente con disabilità ad un percorso personalizzato di accompagnamento all'inserimento lavorativo e all'inclusione sociale, tale percorso deve comunque tener conto delle condizioni e necessità specifiche dell'interessato. È importante, inoltre, la novità introdotta volta a garantire che gli operatori dei centri dell'impiego, qualora ravvisino condizioni di criticità nell'avviamento al lavoro, inviino motivatamente il richiedente al competente servizio di contrasto alla povertà attivato dai comuni onde attivare una valutazione multidimensionale dei bisogni. Tale novità risponde alla necessità di assicurare l'intervento adeguato anche nelle situazioni complesse di disagio sociale. Si prevede, inoltre, che i comuni predispongano le procedure amministrative utili per l'istituzione, nell'ambito delle proprie competenze, di progetti relativi a settori culturali, sociali, artistici, ambientali, formativi e di tutela dei beni comuni. La partecipazione a tali progetti, ove attivati, presso il comune di residenza è obbligatoria per i beneficiari del reddito di cittadinanza. Con riferimento a tali progetti, i beneficiari sono tenuti a mettere a disposizione nell'ambito del patto per il lavoro o del patto per l'inclusione sociale un numero di ore compatibile con le loro attività e comunque non superiore ad otto ore settimanali. Inoltre, in sede referente, sono state aggiunte due disposizioni rilevanti. La prima riguardante i cosiddetti working poors ossia coloro che appartengono alla categoria delle persone con difficoltà che, pur avendo un'occupazione, si trovano a rischio di povertà e di esclusione sociale a causa del livello troppo basso del loro reddito: anch'essi verranno considerati in stato di disoccupazione. La seconda disposizione, invece, nell'ottica di semplificare le procedure, prevede che la convocazione dei beneficiari del reddito di cittadinanza da parte dei centri dell'impiego possa essere effettuata anche con mezzi informali quali messaggistica telefonica o posta elettronica, secondo modalità da definirsi in conferenza unificata.

L'articolo 6 istituisce il sistema informativo composto da due piattaforme digitali rispettivamente presso l'ANPAL e presso il Ministero del Lavoro e delle politiche sociali al fine di consentire l'attivazione e la gestione dei patti per il lavoro e dei patti per l'inclusione sociale e per le finalità di analisi, monitoraggio, valutazione e controllo e prevede la stipula di convenzioni con la Guardia di finanza per le attività di controllo e per il monitoraggio delle attività degli enti di formazione. Le piattaforme rappresentano strumenti di condivisione delle informazioni nel rispetto della riservatezza dei dati personali sia tra le amministrazioni centrali e i servizi territoriali sia nell'ambito di questi ultimi tra i servizi per il lavoro e i servizi sociali. Al riguardo le Commissioni congiunte, in sede referente, hanno contemplato anche la necessaria implementazione e interoperabilità attraverso il sistema di cooperazione applicativa con i sistemi informativi regionali del lavoro. Sono state altresì introdotte diverse modifiche volte a rafforzare il coordinamento con i comuni nell'ambito delle piattaforme digitali. Presidente, oggi siamo di fronte al più grande investimento mai fatto in Italia per il contrasto alla povertà e di politica attiva del lavoro. Una misura che tra le tante finalità punta a garantire i livelli essenziali delle prestazioni, supportando i servizi minimi, ad esempio, in ambito socio-sanitario oppure socio-assistenziale ed è proprio nelle modalità di azione che abbiamo previsto per il reddito di cittadinanza che si trova la più grande novità vale a dire un percorso personale individualizzato. In questo modo intendiamo, infatti, sviluppare le competenze specifiche di ogni persona. Ognuno di noi ha determinate predisposizioni, interessi e capacità che devono essere valorizzate. La riuscita di una politica pubblica dipende anche dalla capacità di coinvolgimento, che questa ha, della cittadinanza, sull'abilità a far sentire le persone coinvolte in un progetto che le riguarda in prima persona e che mette al centro dello stesso l'individuo. Noi vogliamo farlo attraverso i centri per l'impiego. Anche su questo punto si sono concentrate gran parte delle critiche perché tali strutture per anni sono state abbandonate al proprio destino e sono servite solo a fini burocratici. Nel nostro decreto-legge abbiamo considerato questo aspetto stanziando risorse economiche e prevedendo professionalità per invertire la tendenza. Dai centri per l'impiego riformati partirà, infatti, il percorso individuale di reinserimento con il supporto di figure esperte del settore che si occuperanno di sostenere, formare ed indirizzare chi ha fatto richiesta.

Con un emendamento governativo, voluto anche a livello parlamentare, guardiamo nello specifico alle persone con disabilità, andando a rendere maggiormente flessibili i criteri di accesso e aumentando così la platea. Nello specifico, i nuclei familiari dove vi sono persone con disabilità di età inferiore ai 67 anni possono, sulla base delle modifiche apportate al testo, richiedere la pensione di cittadinanza. Inoltre abbiamo aumentato la soglia del patrimonio mobiliare da 5.000 a 7.500 euro: questo perché, per esempio, le persone con disabilità spesso utilizzano veicoli adattati che hanno un valore economico elevato. Inoltre siamo intervenuti anche sulla scala di equivalenza, aumentando il massimale fino a 2,2.

Infine chiudo, Presidente, rivolgendo il mio sguardo ai più giovani, il futuro del Paese. Su di loro siamo purtroppo abituati a leggere ogni giorno dati e fenomeni allarmanti. L'impossibilità di essere indipendenti, di trovare un lavoro, di creare una famiglia e magari avere figli sono tutti fattori che alimentano drammaticamente i fenomeni di emarginazione. Negli anni sono cresciuti intere generazioni di giovani senza speranze, disilluse al punto tale da rinunciare a mettersi in gioco, a rischiare per portare avanti un progetto o un'idea che avevano in mente schiacciati dal contesto socio-economico che ci circonda. Oggi con il mio intervento voglio portare il grido d'aiuto di migliaia di giovani in uno dei luoghi più importanti della democrazia italiana: la richiesta disperata di nostri concittadini che non hanno alcuna intenzione di rimanere a casa a non fare nulla ma che desiderano più di ogni altra cosa di costruire il proprio percorso. Oggi abbiamo la possibilità di fornire un aiuto concreto anche a loro, di ridare speranza a tante famiglie reinserendole in un percorso virtuoso. Un gran numero di problemi che riguardano il nostro Paese sono, infatti, collegati tra loro: l'abbandono scolastico, i fenomeni di abuso di alcol e droga. Non sono questioni a sé stanti rispetto alla nostra società. Sono il risultato dell'incapacità che c'è stata finora di ascoltare chi chiedeva di essere aiutato. Così come il drastico calo delle nascite non è frutto del disinteresse delle nuove generazioni ad avere un proprio nucleo familiare: è purtroppo la naturale conseguenza della situazione di ristrettezza economica che viviamo e dell'aver ignorato per anni il problema dal punto di vista politico. Pertanto chiudiamo definitivamente l'epoca della politica che considera bamboccioni i nostri ragazzi e mettiamo al centro del dibattito le loro necessità e i loro bisogni. Noi siamo pronti a farlo con il provvedimento che introduce il reddito di cittadinanza. Siamo di fronte ad un nuovo e diverso modo di garantire l'inclusione sociale, di creare opportunità di lavoro, di rispondere a reali e concrete esigenze dei cittadini: quelle richieste che sono state inascoltate da tanti, troppi anni e che invece il MoVimento 5 Stelle conosceva e che infatti ha inserito in cima alla propria agenda politica. Abbiamo saputo comprendere i reali bisogni delle persone e trasformare un ideale in un provvedimento normativo concreto. Si sta per chiudere un percorso importante e come MoVimento 5 Stelle sono e siamo orgogliosi di aver dato il nostro contributo (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Romina Mura. Ne ha facoltà.

ROMINA MURA (PD). Signora Presidente, sottosegretario Cominardi, colleghe e colleghi, con il reddito di cittadinanza e con l'abolizione della legge Fornero sarebbe dovuta partire - scusatemi se uso il condizionale ma ho molti dubbi - la rivoluzione sociale promossa e promessa da Lega e MoVimento 5 Stelle. È stata questa la narrazione in campagna elettorale e questo è il pilastro di quel contratto di Governo in cui c'è tutto e il contrario di tutto, eccetto la politica, la sintesi e una chiara visione del futuro del Paese. Come dimenticare Luigi Di Maio che dal balcone di Palazzo Chigi annuncia l'abolizione della povertà con piglio esultante e inquietante visto che i balconi, nella simbologia storica del nostro Paese, non sono, fra gli elementi architettonici, quelli più piacevoli da ricordare. Dichiarò: oggi è una giornata storica in cui in poco più di venti minuti il Consiglio dei ministri ha deciso di fondare un nuovo modello di welfare State. È sì, Ministro Di Maio, aveva ragione sul fatto che quella giornata sarebbe diventata e diventerà e passerà alla storia. In appena venti minuti, infatti, avete condannato il Paese a una nuova stagione di incertezze e crisi vanificando i passi in avanti, i sacrifici delle famiglie e la rinnovata credibilità del Paese innanzi all'Europa e a tutto il mondo. E proprio così, quel giorno non lo dimenticheremo, e, a partire dal prossimo anno, ogni qualvolta andremo alla cassa del supermercato a pagare gli alimenti per i nostri bambini, le uova, lo zucchero, ogniqualvolta andremo alle Poste a pagare la bolletta dell'energia elettrica, ogni qualvolta le mamme e i papà compreranno le scarpe da ginnastica per i loro bambini, si ricorderanno di voi, perché pagheranno quell'IVA che voi andrete ad aumentare il prossimo anno e l'altro ancora a causa di questo scellerato provvedimento che avete fatto (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

E più di noi, quella giornata la ricorderanno i più giovani, visto che, sulle loro spalle e sul loro futuro, sarà scaricato l'aumento del debito pubblico determinato dalle vostre scelte: un furto di futuro e prospettiva che, badate, non serve e non servirà per finanziare scuole sicure, non servirà per abbattere le tasse universitarie o per aumentare la sicurezza nei luoghi di lavoro, non servirà per abbattere il divario digitale e migliorare il trasporto pubblico locale o per curare e proteggere i territori più fragili, per frenare lo spopolamento o la desertificazione produttiva. Un provvedimento, ahimè, che non sconfiggerà definitivamente e strutturalmente la povertà nel suo significato più vero quale fenomeno complesso, che nasce dal disagio sociale, dalla dispersione scolastica, dal basso livello di istruzione e formazione, dalla disoccupazione di lungo periodo, dalla disabilità, dalla condizione di chi vive nelle periferie, lontano dai servizi.

E questo provvedimento non servirà a rendere più equo il nostro sistema pensionistico. Avete indebitato il Paese, le generazioni più giovani in particolare, in nome di una continua e svilente rincorsa elettorale, che voi, Lega e Cinquestelle, state facendo sulla pelle del Paese, dei nostri connazionali più fragili, dei giovani, delle donne. Abbiamo provato a dirvelo in tutti i modi nei lavori delle Commissioni, e con noi hanno provato a farsi ascoltare da voi soggetti e associazioni che, ogni giorno e da sempre, si occupano di povertà e di poveri. Certo che dobbiamo dare risposte esaustive e prospettive a cinque milioni di nostri connazionali che vivono in una situazione di indigenza, la maggior parte dei quali - ve lo ricordo, perché voi l'avete dimenticato nel fare il provvedimento - vivono nelle famiglie numerose, vivono nelle periferie urbane e rurali delle nostre regioni. Quando la povertà assume proporzioni tali, diventa un problema di coesione e tenuta sociale, lo sappiamo bene noi, tant'è che, a partire dal 2017, nel sistema di welfare locale che già esiste - ha ragione il collega Benamati a sottolinearlo, perché i nostri comuni, anche quelli più piccoli, hanno sistemi di welfare che rispondono ai bisogni e alle esigenze dei cittadini -, dal momento in cui la povertà è diventata di tali proporzioni, abbiamo innestato in quel sistema la prima misura universale di lotta alla povertà. Lo abbiamo fatto noi, e voi avevate la possibilità di disporre di un sistema sociale di intervento sulla povertà improntata a un principio che vi sfugge, quello della sussidiarietà, dove chi è più vicino al cittadino, chi è più vicino ai bisogni ha il ruolo di maggiore protagonista. Potevate partire da qui, ve lo abbiamo detto in tutti i modi: aumentate le risorse, ampliate la platea, introducete strumenti più efficaci per rilevare e misurare la povertà di donne e bambini, chiamatelo pure reddito di cittadinanza, chiamatelo come volete, ma salvaguardate un meccanismo o parti del meccanismo che ormai sono rodate e che si apprestano a funzionare a regime. Invece no, avete voluto cancellare ogni traccia del recente passato, con arroganza e atteggiamento distruttivo, senza mai entrare nel merito, e, cosa peggiore, avete estromesso da questo sistema i comuni e il Terzo settore, relegandoli a passacarte, anche se poi, a causa delle tante falle di questo sistema - perché ci sono, è scritto nelle premesse di questo provvedimento - proprio i comuni e il Terzo settore dovranno andare a supplire, ed i comuni lo dovranno fare, sì, in questo caso, senza risorse umane e finanziarie, perché, fra le altre cose, fra i tanti emendamenti che abbiamo presentato in Commissione, noi chiedevamo appunto un aumento di risorse umane attraverso l'affievolimento dei vincoli di spesa sul personale che vigono per i comuni proprio per consentire loro di assumere personale, dal momento in cui voi rimanderete ai comuni diversi casi di bisogno e di povertà.

Attraverso questo provvedimento, poi, avete fatto un altro danno - lo hanno detto bene i miei colleghi e io ci torno velocemente -, perché avete istituzionalizzato una commistione fra strumenti per combattere la povertà e politiche attive per il lavoro, che, da un lato, anestetizzerà la povertà senza risolverne le cause profonde, dall'altro inciderà solo marginalmente sul mercato del lavoro, arrecando in alcuni casi - lo diceva bene il collega Lepri - distorsioni che potrebbero veramente creare gravi danni alle dinamiche del futuro. Perché la povertà è qualcosa di complesso, come è stato detto bene. Non è automatico che chi ha un lavoro non sia povero, perché spesso chi lavora è povero, così come chi ha 25 anni, è disoccupato o non ha mai lavorato magari ha bisogno di strumenti di supporto, di orientamento per inserirsi nel mercato del lavoro. Questa cosa è talmente vera che su Il Sole 24 Ore di oggi vengono pubblicati i dati che supportano questa riflessione: su 63.814 domande presentate ai CAF - questo è un campione rappresentativo rispetto a tutte le domande presentate ai CAF - solo 4 mila under trenta hanno fatto la richiesta del reddito di cittadinanza. Questo cosa ci dice? Ci dice che probabilmente, come ci hanno detto in tanti durante le audizioni, per quanto riguarda il reddito di cittadinanza, prevarrà l'aspetto assistenziale rispetto a quello di misura per reinserirsi e inserirsi da nuovo nel mondo del lavoro. Questa riflessione de Il Sole 24 Ore ci dice anche che le politiche attive per il lavoro sono altra cosa: sono quelle costruite nei territori. Non ci possono essere politiche attive del lavoro valide ovunque, quindi non ci possono essere politiche del lavoro che valgono su tutto il territorio nazionale. Vi inviterei ad andare a vedere diverse regioni italiane, anche la Sardegna, che sulle politiche attive del lavoro hanno fatto un grande percorso e hanno raggiunto importanti risultati.

E, ancora, per riuscire a inserire i giovani - di cui avete parlato tanto oggi - nel mondo del lavoro, ricordate che, oltre al contrasto alla povertà e alle politiche attive per il lavoro, occorre intervenire sul cuneo fiscale, occorre costruire percorsi di formazione e istruzione mirati, occorre lavorare sulla perequazione infrastrutturale, sia quella materiale che immateriale.

E, poi, per parlare di “quota 100” molto velocemente, sempre in campagna elettorale e non solo, ricordiamo che l'altro Vicepremier, Matteo Salvini, diceva: piaccia o non piaccia all'Europa, smonteremo la legge Fornero. Non è andata così: un annuncio che tale è rimasto, perché “quota 100” non cancella la riforma Fornero, perché “quota 100” non è una riforma strutturale, ma è una finestra, come è stato detto bene, che partirà dal 2019 per chiudersi nel 2021. È una riforma che andrà a creare penalizzazioni rispetto alla sostenibilità del sistema previdenziale, per i giovani in particolare, che poi sono quelli che rischiano di non avere, quando arriveranno a un'età pensionabile, la possibilità di accedere a una pensione dignitosa.

Rispetto al sistema pensionistico, rispetto alla scelta di attenuare gli effetti negativi della riforma Fornero - perché questo state facendo con “quota 100” -, avete fatto un percorso completamente diverso rispetto a quello che abbiamo fatto noi: noi abbiamo dato la priorità ai lavoratori fragili, abbiamo dato la priorità ai lavoratori precoci, ai lavoratori che nella loro vita hanno svolto attività gravose e usuranti, abbiamo scelto di salvaguardare gli esodati con quattro salvaguardie, voi avete scelto un'altra strada.

E sugli esodati, vi ricordo che - perché anche su questo si sono sprecati i tweet, gli annunci, le dichiarazioni - tanti comitati sono venuti a chiederci di inserire la nona salvaguardia in questo decretone. Niente, anche questo è stato messo all'angolo, non è stato considerato.

Su “opzione donna” - vado velocissima perché credo che il mio tempo stia quasi per terminare - avete fatto un'altra operazione peggiorativa dei diritti e delle prerogative delle donne, perché “opzione donna” ultima versione, quindi quella che voi avete previsto con termine ultimo 31 dicembre 2018, quindi aperta e accessibile dalle donne che entro quella data abbiano raggiunto i requisiti previsti in termini di età e di contribuzione, va letta nel combinato disposto con “quota 100”, perché “quota 100” taglia le donne dalla possibilità di accedere all'anticipazione pensionistica. Perché? Perché prevede un'alta contribuzione, mentre le donne, come sappiamo, hanno in media un'anzianità contributiva di 25 anni, premia principalmente gli uomini del Nord, che vengono dalla grande industria e dai comuni. E, quindi, quota 100, abbinata con opzione donna ultima versione, penalizzerà le donne due volte: una perché si riducono le platee delle possibili beneficiarie, visto che avete chiuso la possibilità di aderire al 31 dicembre 2018, nonostante anche qui con diversi emendamenti abbiamo proposto di arrivare almeno al 2021, così come per quota 100; e, poi, le penalizzate ulteriormente perché, mentre con quota 100 gli uomini andranno in pensione senza penalità, ma sulla base dei contributi versati, le donne, invece, avranno una decurtazione laddove andranno in pensione con opzione donna.

Badate, sulle donne vorrei utilizzare l'ultima parte del mio intervento, anche perché questo Governo da un anno, da quando è in carica, non si è dimostrato molto attento e sensibile ai diritti delle donne, alla necessità di costruire politiche di genere, politiche di pari opportunità; e questo è molto grave in un Paese in cui lavora solo il 49 per cento di donne, in cui le donne hanno una retribuzione inferiore a quella degli uomini di oltre il 30 per cento, in cui le pensioni sono agganciate, ovviamente, alla retribuzione e al fatto che le donne non hanno carriere continuative, che spesso devono essere interrotte. Eppure, nonostante questo sistema strutturale di deficit rispetto ai diritti delle donne, voi avete, anche in questo caso, chiuso totalmente la possibilità di migliorare, anche per quanto riguarda la sfera pensionistica, lo status delle donne.

In diversi interventi oggi avete citato due questioni: una è il voto di scambio e l'altra è quella del mantenimento delle promesse in campagna elettorale. Ve lo dico veramente con molto rispetto: badate che la più grande operazione di voto di scambio che io abbia visto da quando sono in politica, non da tantissimo, ma neanche da poco, l'avete fatta voi con il reddito di cittadinanza (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico), perché voi avete preso il consenso soprattutto nel Mezzogiorno perché avete promesso il reddito di cittadinanza. E, adesso, quella promessa la dovete mantenere, perché gli elettori già vi stanno dando dei segnali, che spero voi abbiate colto…

PRESIDENTE. Collega, le chiedo di rivolgersi alla Presidenza e, ovviamente, di usare un tono appropriato.

ROMINA MURA (PD). Mi scusi, ha ragione. Lo avrebbe dovuto dire anche prima, quando hanno citato Zingaretti e si sono rivolti a noi, Presidente. Comunque, va bene.

Quindi, dicevo, adesso quella promessa la dovete mantenere, perché - e chiudo davvero - se non la mantenete, il vostro consenso elettorale crollerà, ma la cosa che mi preoccupa di più è che quando tu, quando noi, quando chi esercita il potere legislativo, chi gestisce la cosa pubblica, illude e poi delude, la tenuta sociale di un Paese può entrare a rischio. Per cui, siccome amo il mio Paese e amo la mia terra, la Sardegna, che, ahimè, a marzo 2018 vi ha dato tanto consenso, spero che voi abbiate ragione; arrivo a questo, perché amo talmente questo Paese che spero che voi abbiate ragione.

E ricordate - non sono solita fare citazioni, ma oggi questa mi piace tanto - che, come diceva Kennedy, chi ha cercato stupidamente di ottenere il potere cavalcando la tigre, ha finito poi per essere divorato (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico e del deputato Fatuzzo).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Bilotti. Ne ha facoltà.

ANNA BILOTTI (M5S). Presidente, sottosegretario, onorevoli colleghi, il provvedimento di cui oggi discutiamo è per me e per il MoVimento 5 Stelle di un'importanza tale che trovo difficoltà a nascondere l'emozione che nutro nel vederlo finalmente approdare in quest'Aula.

A chi in campagna elettorale mi chiedeva quale considerassi il faro della mia azione politica rispondevo istantaneamente “giustizia ed equità sociale”, che non vuol certo significare che ogni persona sia dotata degli stessi mezzi, ma che quelli necessari debbano essere garantiti a tutti.

A tal proposito mi preme sottolineare con forza alcuni concetti fondamentali: avere accesso ai mezzi necessari è un diritto che uno Stato deve garantire, non certo una concessione; e soprattutto, coloro i quali si affidano alle istituzioni per vedersi garantiti i mezzi minimi non sono necessariamente fannulloni o scalda divano. Dovrebbe ricordarlo bene chi, durante questi mesi, ha utilizzato questi epiteti nei confronti di persone che hanno sofferto e soffrono da anni anche a causa delle loro decisioni politiche sciagurate (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Nei mesi che hanno preceduto l'approvazione di questo provvedimento abbiamo assistito ad una grandissima disinformazione, che non ha danneggiato il MoVimento 5 Stelle come forza politica, ma i possibili fruitori di questa misura di inserimento nel mondo del lavoro con supporto ai redditi familiari. Abbiamo assistito al trionfo dei luoghi comuni, su tutti quello di un Sud fannullone che sarebbe costituito da persone geneticamente dedite all'ozio, che avrebbero compiuto una sorta di assalto alla diligenza nel momento in cui questo provvedimento fosse diventato legge.

Abbiamo assistito ad una marea di previsioni sempre nefaste, ovviamente poi puntualmente sconfessate dai fatti, come è accaduto proprio con i dati sulle prime richieste di reddito di cittadinanza. Nessun assalto alla diligenza, nessun intoppo; solo un flusso ordinato e civile di cittadini che chiedono allo Stato di fare, forse per la prima volta dopo diversi anni, lo Stato e di aiutarli a tornare parte attiva della società, dopo averli abbandonati per anni. Ma sono due per me, signor Presidente, le cose intollerabili: innanzitutto la demonizzazione della povertà, la visione di chi purtroppo è in difficoltà come una sorta di colpevole, di responsabile della situazione in cui si trova, e affronta la vita con un atteggiamento che nella migliore delle ipotesi è di compatimento nei suoi confronti.

Non è così, la povertà è una condizione e, come tale, il legislatore ha il dovere di affrontarla. La seconda cosa per me intollerabile è la scarsissima considerazione che molti dimostrano di avere di quello stesso popolo che rappresentano (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). A fronte di un provvedimento che si prefigge di dare a chi è in difficoltà il mezzo per superarla con il suo impegno, sono mesi e mesi che sento il dibattito pubblico concentrarsi solo ed unicamente su un unico aspetto, offuscando tutto il resto: i furbetti. Ora, a riprova del fatto che questo rappresenta un aspetto molto importante, abbiamo posto diversi paletti per evitare e prevenire la possibilità che chi non ha diritto possa fare domanda di accedere al reddito di cittadinanza, ma esiste qualcuno qui dentro che non pensi all'italiano medio come a una persona che unicamente si ingegna per fregare se stesso ed il prossimo? È davvero questo il concetto che avete dei cittadini che vi onorate di rappresentare? E, soprattutto, è questo il concetto che avevate sempre avuto oppure avete iniziato ad averlo dopo il 4 marzo? Perché disgraziatamente, signor Presidente, a fronte di questo preconcetto ce n'è un altro, che rappresenterebbe, a dire degli scettici, uno dei tantissimi pericoli che l'introduzione di questa misura porterebbe con sé, e cioè la circostanza che chi non guadagna almeno 780 euro al mese potrebbe addirittura pensare di non andare più a lavorare per percepire il reddito di cittadinanza.

Tralasciando il fatto che questo non è possibile, perché l'erogazione del reddito di cittadinanza, come sappiamo tutti, è legata a degli obblighi precisi, primo fra tutti la sottoscrizione della disponibilità immediata al lavoro, voglio fare una domanda provocatoria: e seppure fosse così, è normale che in un Paese come l'Italia nel 2019 ci sia ancora chi è costretto ad andare a lavorare per percepire una somma che non gli permette di condurre una vita dignitosa? Le stesse persone che mettono in evidenza questa problematica sono quelli che l'hanno creata. Dov'erano prima queste persone che ora conoscono tutte le ricette per risolvere i problemi che loro stessi hanno creato (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle)?

La verità, signor Presidente, è che i cittadini hanno bisogno di lavoro e lavoro dignitoso, hanno bisogno di salari adeguati e di uno Stato che gli sia finalmente amico; di certo non hanno bisogno delle solite inutili chiacchiere. Ce lo siamo forse dimenticati che quella Carta costituzionale di cui ci ricordiamo all'occorrenza e che, invece, dovrebbe sempre e comunque essere il nostro faro all'articolo 4 definisce il lavoro come un diritto-dovere che deve contribuire al progresso della società, ma, contemporaneamente, deve soddisfare delle aspirazioni personali? Ci siamo dimenticate - come sostiene una persona a cui sono profondamente legata culturalmente - che non siamo venuti al mondo esclusivamente per lavorare? Forse quello che spaventa è che molto probabilmente l'introduzione di questa misura costituirebbe un fortissimo deterrente per coloro che ancora ragionano nell'ottica del “vai pure via, perché tanto, se vai via tu, arriva qualcuno che ha più fame di te”. E, tanto per rimanere in termini di fame, signor Presidente, mi sovviene un detto della mia terra, che molto probabilmente può dare il polso di quale sia il vero problema, la nuda verità. Questo detto recita: “'O sàzio nun crére a 'o diùno”, qualora ci sia necessità di tradurlo significa: “Il sazio, chi ha la pancia piena, difficilmente può comprendere le vicissitudini di chi ha la pancia vuota” (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

Se provo ad immedesimarmi, non oso immaginare quale possa essere la difficoltà di chi la pancia non c'è la piena da oggi, ma per sua fortuna l'ha sempre avuta piena. È esattamente questo che è successo in questi anni in Italia, signor Presidente: una politica troppo lontana dalla gente ha creduto che i propri interessi coincidessero con quelli dei cittadini. Il 4 Marzo ha detto che non è così, i cittadini hanno chiesto a noi di rispondere ai loro bisogni, di realizzare quello che inutilmente chiedevano da anni senza essere ascoltati. Lo stiamo facendo e per questo oggi è un giorno importante e quei cittadini oggi hanno vinto una grande battaglia, possono finalmente pensare ad un futuro diverso da quello terribile che quelli con la pancia piena avevano deciso per loro. Grazie, signor Presidente e grazie a tutti i cittadini onesti che hanno combattuto con noi questa battaglia (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Angela Schirò. Ne ha facoltà.

ANGELA SCHIRO' (PD). Grazie, signora Presidente, sottosegretario, colleghe e colleghi, quasi 6 milioni di cittadini italiani iscritti all'AIRE, che è l'Anagrafe degli italiani residenti all'estero, e altre centinaia di migliaia di nostri connazionali, che anche se non iscritti hanno dimora…

PRESIDENTE. Scusi collega Schirò. Colleghi, per favore! Prego.

ANGELA SCHIRO' (PD). …e domicilio all'estero, dove vivono e lavorano spesso con le loro famiglie, meriterebbero una maggiore attenzione e sensibilità da parte dello Stato italiano, delle sue istituzioni, dei Governi, che troppo spesso si dimenticano della loro esistenza, dei loro problemi e quindi delle loro esigenze e dei loro diritti. Non mi soffermo sull'importanza che questa presenza così rilevante di cittadini italiani nel mondo rappresenta per il nostro Paese: ce lo ripetiamo sempre con grande retorica, ma ce lo dimentichiamo altrettanto rapidamente, proprio quando dovremmo tutelare i loro diritti. Esempio emblematico di questa dimenticanza è proprio il decreto su reddito e pensione di cittadinanza. Sono state introdotte misure - così si spera - importanti in materia di welfare, assistenza e previdenza, con l'impiego di ingenti risorse per aiutare teoricamente le persone, i cittadini italiani, ma non solo, che vivono difficoltà economiche ed esistenziali. Eppure è mancata la sensibilità di capire che alcune di queste misure avrebbero potuto sostenere e tutelare anche i nostri connazionali emigrati, soprattutto i giovani che, per vari motivi, hanno deciso di andarsene all'estero. Invece i provvedimenti adottati escludono implicitamente e ingiustamente i nostri emigrati. È irragionevole, per esempio, applicare il vincolo dei due anni di residenza continuativa al momento della presentazione della domanda anche ai nostri giovani e meno giovani lavoratori andati all'estero per trovare la fortuna e il lavoro che non hanno trovato in Italia. Infatti, questi nostri connazionali, se dovessero decidere di rientrare in Italia dopo uno sfortunato tentativo di ricerca di lavoro all'estero, o comunque dopo un'esperienza negativa all'estero - e ci sono - non potrebbero usufruire del reddito di cittadinanza, pur avendone diritto, perché prive di reddito, solo perché non fanno valere i due anni di residenza in Italia, avendo vissuto gli ultimi anni all'estero. Abbiamo cercato di correggere questa evidente iniquità nei loro confronti, con i nostri emendamenti, ma Governo e Parlamento non hanno recepito il valore giuridico e solidale della nostra rivendicazione. Lo stesso dicasi degli anziani emigrati soprattutto in Paesi dell'America Latina, i quali, rientrando in Italia per motivi economici e umanitari - basti pensare al Venezuela - volessero richiedere la pensione di cittadinanza; anch'essi non potranno far valere i due anni continuativi di residenza in Italia al momento della domanda.

Insomma, una restrizione concepita da questo Governo per escludere i lavoratori immigrati da Paesi terzi dalla possibilità di richiedere il reddito e la pensione di cittadinanza, che già di per sé è una cosa molto grave e discriminatoria, si ritorce invece proprio sui nostri giovani e anziani emigrati italiani.

Questa smemoratezza dell'esistenza degli italiani all'estero e dei loro diritti si è manifestata anche nella predisposizione della norma “quota 100”, che praticamente non potrà essere fruita anche dai futuri titolari di pensione in regime internazionale, i quali non potranno cessare il lavoro, come richiesto dalla norma, per il semplice fatto che il misero pro rata italiano non consentirebbe loro di sopravvivere. Sarebbe stato più logico e giusto prevedere l'esclusione dei richiedenti “quota 100” in regime di convenzione dal vincolo della cessazione del rapporto di lavoro.

Infine, avevamo chiesto con i nostri emendamenti l'aumento dell'importo minimale delle pensioni in convenzione, che attualmente è di circa 12 euro mensili, una vera miseria, per ogni anno di contribuzione versata in Italia (vedesi legge n. 335 del 1995): anche questa richiesta, per aiutare i nostri pensionati poveri che vivono all'estero, è stata respinta. Direi allora che la collega Nesci ha ragione quando dice che i nostri connazionali all'estero non torneranno più in Italia, visto che lo Stato ha deciso di non prendersi cura di loro e di non tendere la mano a coloro che desiderano tornare in Italia perché sono in difficoltà.

Vede, sottosegretario Cominardi, lei dice che grazie a questo provvedimento - si riferiva a “quota 100”- anche molti giovani emigrati all'estero avranno la possibilità di inserirsi nel mondo del lavoro; peccato davvero, perché questo è esattamente quello che ci saremmo augurati. Vorrei ribadire che i giovani che sono all'estero potrebbero essere indotti a tornare in Italia non per la misura assistenziale del reddito di cittadinanza, ma piuttosto per il fatto che l'iscrizione all'elenco degli aventi diritto apre le porte anche al percorso di immissione o reimmissione al lavoro e, quindi, significherebbe aprire per loro prospettive di futuro nel nostro Paese; questo significa concretamente prendersi cura delle persone, soprattutto dei tanti che per necessità e per dignità sono andati all'estero. Non smetteremo quindi di denunciare la scarsa sensibilità dimostrata finora da questo Esecutivo nei confronti del mondo dell'immigrazione e continueremo a sollecitare uno spirito di collaborazione, con l'obiettivo prioritario di ripristinare equità e diritti dei nostri connazionali, troppo spesso dimenticati da questo Governo, che evidentemente li considera cittadini di “serie B” (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Gilda Sportiello. Ne ha facoltà.

GILDA SPORTIELLO (M5S). Grazie, signora Presidente, 4.916.786 persone sono tutte quelle persone che potranno richiedere il reddito di cittadinanza, 4.916.786 persone che oggi vivono sotto la soglia di povertà, che non riescono a permettersi quelle spese minime per vivere un'esistenza accettabile, che non hanno la certezza di poter pagare l'affitto a fine mese e che non possono, di fatto, fare quelle scelte che per altri sono semplici o date per scontate. Oggi stiamo parlando del più grande investimento di contrasto alla povertà mai fatto in questo Paese da decenni: redistribuire circa 7 miliardi di euro a chi attualmente vive in una situazione di grave difficoltà. Queste risorse serviranno a fare in modo che quasi 6 milioni di persone potranno uscire da condizioni di marginalità; è una scelta politica chiara, precisa, che dovrebbe essere sostenuta da ogni parte, perché niente è più naturale in una società che redistribuire le risorse tenendo conto dei bisogni di chi è più in difficoltà. Invece, ha sollevato critiche feroci, ma chi ha criticato questo provvedimento e perché tutto questo accanimento? Da esponenti politici di quasi tutti i partiti abbiamo sentito dire che il reddito di cittadinanza incentiva a non lavorare, che chi percepirà il reddito vivrà una vita in vacanza, addirittura il reddito è un metadone, che è un modo per comprare la gente e, infine, che il livello troppo elevato del beneficio scoraggerà il disoccupato a cercare un impiego, considerato che lo stipendio medio di un under 30 al suo primo impiego è di 830 euro netti mensili, nella migliore delle ipotesi. Ma, di fronte a tutto questo, non bisognerebbe forse scandalizzarsi per il fatto che alcuni lavoratori percepiscono degli stipendi così bassi (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle)?

In queste dichiarazioni si svela il modo di pensare di una classe politica che in questa occasione ha etichettato i cittadini come fannulloni, nullafacenti, furbi; l'idea è che se ti trovi in una situazione di difficoltà è perché, prima, a scuola e, poi, magari nella ricerca di un lavoro, non ti sei impegnato abbastanza e, quindi, sei anche colpevole della situazione in cui ti trovi. Ma davvero crediamo ancora che chi nasce in una famiglia di disoccupati abbia le stesse possibilità e le stesse condizioni di partenza di chi nasce in una famiglia di benestanti? Purtroppo, non è così e ce lo dicono chiaramente i dati sulla povertà minorile: più di un milione di minori, figli di disoccupati, di famiglie monoreddito o i cui genitori hanno un livello di istruzione basso, non possono godere di un'alimentazione adeguata, di un'abitazione riscaldata e non ha il minimo necessario per vestirsi, per comunicare, per informarsi e per istruirsi. La realtà è che non si parte tutti dalla stessa linea e uno Stato deve pensare innanzitutto a chi rimane indietro e deve pensare a colmare le differenze.

A queste dichiarazioni di esponenti politici che, purtroppo, ho sentito oggi, anche in quest'Aula, hanno fatto da accompagnamento le posizioni di giornalisti che si sono affrettati per intervistare le persone che faranno richiesta del reddito, quasi appartenessero a una specie rara, quasi come se, solamente ora, si fosse scoperto che in Italia così tante persone vivono sotto la soglia di povertà. Ebbene, benvenuti nella realtà. Ma perché tutto questo accanimento? E non parlo di quello contro il MoVimento 5 Stelle, ma di quello contro le persone che usufruiranno del reddito di cittadinanza. Me lo sono chiesta varie volte, perché non riesco a credere che possa esserci questa violenza morale e verbale contro una condizione di povertà. Poi, ho provato a darmi una risposta, perché la povertà non conviene soltanto se la vivi, ma, se con la povertà fai profitto e mantieni un controllo sociale, allora, sì, che la povertà conviene (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle), conviene a tanti, a chi può continuare a chiedere voti, promettendo un lavoro, a chi vuole persone sfiduciate da tutto che sfogano la loro rabbia per un sistema ingiusto verso chi, magari, vive una condizione peggiore della loro, chi preferisce una società ricattabile, costretta a svendere la propria fatica per un lavoro sfruttato e sottopagato, conviene anche a quelle amministrazioni che continuano a usare il lavoro come strumento di ricatto sociale, avviando progetti, magari poco prima della campagna elettorale, che hanno come solo effetto l'aumento del lavoro precario e sottopagato nelle pubbliche amministrazioni, ma che, scaduto il progetto, dimenticano i lavoratori che hanno, di fatto, partecipato; ogni riferimento alla regione Campania è puramente voluto (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Abbiamo sentito pontificare tutti sul lavoro, in questi mesi, tutti coloro che hanno governato fino a oggi e che ci hanno parlato di lavoro. Ma come vivono, oggi, milioni di lavoratori in Italia, persone che pur non essendo pagate ogni mese continuano a farlo, nella speranza che almeno quello stipendio un giorno arriverà? Uomini e donne che hanno il terrore di lasciare un lavoro non dignitoso; non possono farlo, perché hanno paura che la prossima occasione, se si ripresenterà, si ripresenterà dopo mesi e non è possibile pensare di rimanere fermi tutto questo tempo. Quanti vanno a lavorare, percependo 4 euro all'ora. E su questo voglio ricordare che interverrà un'altra importantissima riforma, che è quella sul salario minimo garantito, una misura che si accompagnerà al reddito di cittadinanza e che va verso la medesima direzione. Qualcuno dice che questo è stato un provvedimento affrettato, forse lo dice chi non conosce l'emergenza che si vive in tutta Italia, lo ripeto, in tutta Italia, non solo al Sud, e questo ci tengo a dirlo, perché in queste settimane anche questo non ci siamo fatti mancare, una narrazione antimeridionalista di chi ha sostenuto che un esercito di persone avrebbe votato il MoVimento 5 Stelle, al Sud, proprio e solo per avere il reddito di cittadinanza, una tesi smontata poi dai primi dati che, invece, ci dicono che Lombardia e Piemonte, insieme alla Campania e alla Sicilia, sono tra le prime regioni per numero di richieste.

Qualcuno dice che potevamo fare di più; sicuramente avremmo voluto fare di più, perché è vero che ci sono persone che attualmente non rientreranno tra i beneficiari del provvedimento e che ne avrebbero bisogno, ma dovevamo necessariamente fare i conti con le risorse disponibili. Comunque, il reddito di cittadinanza resta una rivoluzione a tutti i livelli, economica, sociale e culturale, una rivoluzione che oggi compie solamente il primo passo di un percorso dal quale non si potrà tornare più indietro. Quale Governo avrà il coraggio, in futuro, di eliminare questa misura?

In questo dibattito mediatico a cui abbiamo assistito non ho sentito, però, la domanda cruciale: perché nel 2019 esistono, in un paese come l'Italia, 5 milioni di persone che vivono sotto la soglia di povertà? La risposta è perché lo Stato e le politiche messe in atto negli anni passati hanno clamorosamente fallito. Con la meccanizzazione del lavoro, gli effetti della globalizzazione e l'esplosione della crisi del 2008, la classe politica avrebbe dovuto riflettere su quanto tutto questo sarebbe ricaduto sulle classi sociali più povere. Invece, ha fatto l'esatto contrario, lo Stato sociale è stato smantellato e ci ritroviamo di fronte ad una sanità sempre meno accessibile ed efficiente, dove le differenze regionali pesano ancora troppo. Abbiamo assistito a una crescente precarizzazione del mondo del lavoro, culminata poi con il Jobs Act, approvato proprio nel momento in cui c'era più bisogno di certezze e di tutele per chi pagava anche il prezzo delle delocalizzazioni. Non dimentichiamo, poi, la riforma Fornero che ha lasciato nel limbo migliaia di lavoratori, oppure il taglio continuo alle risorse dei comuni che si sono ritrovati a non sapere come gestire le persone che, in tutta Italia, ogni giorno, fanno la fila di fronte agli uffici per le politiche sociali. Si è innescata una reazione a catena micidiale che ha investito tutti i lavoratori, dal manifatturiero fino ai commercianti.

Oggi, il Paese tutto restituisce qualcosa a questi cittadini, non solo in termini economici, ma soprattutto attraverso i servizi incentrati sulle persone, sul loro reinserimento sociale e lavorativo. C'è chi scommette sul fallimento del reddito, concentrandosi sull'inefficienza di queste strutture, come se la colpa della situazione in cui si trovano i centri dell'impiego fosse, non di chi avrebbe dovuto occuparsene finora, ma di chi adesso sta provando a riformarli. Oggi, facciamo quello che si sarebbe dovuto fare almeno quindici anni fa.

Oggi, istituiamo una misura che non è assistenziale, ed è importante ripeterlo; il reddito di cittadinanza non è assistenzialismo, ma è un diritto per un Paese che voglia dirsi veramente civile e democratico, il diritto a non subire le congiunture economiche negative del mercato, il diritto a rivendicare la propria esistenza dignitosa all'interno di una società, il diritto a poter ritrovare la fiducia in uno Stato che si rende finalmente presente.

Garantire un reddito minimo a queste persone non è un atto di generosità che facciamo come Stato, è solo una piccola restituzione di quello che lo Stato ha tolto con i tagli alla sanità, alla scuola, alle politiche sociali, non costruendo le piccole infrastrutture necessarie e manifestando la sua assenza in zone dove la sua presenza era più che mai necessaria.

Il MoVimento 5 Stelle non è nato col fine di governare un Paese, né di riformarlo, è nato per mettere in atto una rivoluzione innanzitutto culturale, una rivoluzione che oggi passa anche dal reddito di cittadinanza, una rivoluzione culturale che deve continuare a essere sempre il nostro orizzonte, il senso del nostro essere qui, in questo momento, la motivazione che non dobbiamo mai tradire (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Ubaldo Pagano. Ne ha facoltà.

UBALDO PAGANO (PD). Presidente, onorevoli colleghi, l'idea di introdurre una forte misura di contrasto alla povertà, al pari di tutte le democrazie più avanzate, non può che trovarci d'accordo. Quindi, prevengo l'obiezione e riconosco che, probabilmente, abbiamo provveduto troppo tardi all'istituzione di un reddito di inclusione; potevamo farlo prima, potevamo investire più risorse. Però, vorrei sommessamente rammentare a chi mi ha preceduto che quasi la metà di quelle risorse, che mettete a copertura di questa misura, le avete ereditate dal Governo precedente. Per questo abbiamo offerto la nostra totale disponibilità a lavorare su questo decreto, proponendo modifiche utili a renderlo più efficace e a dare risposte concrete al grave problema della povertà nel nostro Paese. Nostro malgrado ci siamo scontrati con tutti i vostri “no”.

Il problema vero di questo provvedimento è che non fornisce le soluzioni che milioni di italiani in stato di povertà o disoccupati si sarebbero aspettati. Siete partiti da una misura di contrasto della povertà e siete arrivati a proporre uno strumento ibrido, che confonde mezzi e obiettivi, propri di politiche profondamente differenti, sovrapponendo la povertà e la mancanza di lavoro. Il risultato è una misura con risorse sottostimate rispetto a quello che voi dicevate e al bisogno reale, tanti obiettivi, ma poche, pochissime possibilità di realizzarli. Dovevate abolire la povertà e avete partorito un provvedimento che non migliora le condizioni dei cittadini in difficoltà, ma le stabilizza.

Volevate aiutare gli ultimi ma ve ne siete andati via, via via dimenticando che siete partiti da nobili intenti, che riconosciamo, ma vi siete persi per strada perché nel frattempo le priorità elettorali hanno scalzato quelle reali. Doveva essere un reddito minimo garantito, uno strumento di giustizia sociale, un modo per dare speranza a chi oggi non ha la possibilità di vivere un'esistenza dignitosa. Avete scritto una legge affinché il beneficio fosse erogato il prima possibile, rimandando a un indefinito futuro le risposte alle tante domande di cui vi eravate fatti carico. Doveva essere una misura di contrasto alla povertà ed è diventata una pseudopolitica per il lavoro. Volevate dare futuro ai giovani ma nel decreto non c'è quasi nulla per aiutarli a investire nella loro formazione, a creare competenze e professionalità richieste dal mercato del lavoro di domani. Volevate dare una prospettiva ai meno fortunati e alle persone fragili ma state dando loro la sicurezza di una condizione stabile di deprivazione economica ed esclusione sociale. Volevate risolvere le storture del mercato del lavoro ma il rischio, con questa legge, è di crearne di peggiori. Dovevate trovare una soluzione al lavoro nero ma la legge quasi non ne fa menzione. Tutto ciò avviene dilapidando un'enorme quantità di risorse pubbliche finanziate a debito - che sia messo agli atti - che pagano i cittadini di oggi e che graveranno sulle generazioni future. Questo provvedimento, dunque, era l'occasione per far fare un passo in avanti a questo Paese in termini di contrasto alla povertà, ma è diventato - e questo è un fatto - l'occasione buona per provare ad accrescere il consenso giusto in tempo per le scadenze elettorali di maggio.

Sono molti, moltissimi gli aspetti deleteri di questa legge. Abbiamo cercato di creare un dialogo nei lavori in Commissione, di cercare la via della collaborazione responsabile, di proporre modifiche che potessero rendere il reddito di cittadinanza una misura efficace. Lo abbiamo fatto con spirito cooperativo e nell'interesse dei tanti cittadini cui questa misura era rivolta. Invece, non ci avete mai dato ascolto, respingendo tutte le nostre sostanziali proposte senza nemmeno prenderle in considerazione e, anzi, facendo in taluni momenti finta di avere a cuore i bisogni di quelli a cui provavate a dare sollievo e, in realtà, andando avanti come dei treni lanciati ad alta velocità.

E, allora, oggi il reddito di cittadinanza, così com'è, è uno strumento che vuole realizzare almeno due obiettivi: il contrasto alla povertà e la crescita occupazionale, obiettivi nobili per carità di Dio e l'abbiamo ripetuto in tutte le sedi e lo ribadiamo per l'ennesima volta. Il rischio, però, che questo strumento si rilevi un fallimento su entrambi i fronti è molto alto perché né si è badato a considerare la povertà nella sua complessità né si danno risposte di carattere strutturale al problema del lavoro. A cominciare dal fenomeno della povertà, non siamo stati gli unici a segnalarvi le gravi mancanze di questo provvedimento e tutti gli auditi durante i lavori in Commissione hanno ribadito le medesime cose: in Italia ci sono oltre 5 milioni di poveri, meno della metà beneficerà del reddito di cittadinanza e moltissimi di questi riceveranno poche risorse rispetto al bisogno reale.

Quanti tra i soggetti ascoltati dalle Commissioni in queste settimane hanno cercato di dirvi che le vostre soluzioni non centrano il punto, non colpiscono al cuore il problema dei cittadini in condizioni di povertà assoluta? Siete andati dritti per la vostra strada coi paraocchi e coi tappi per le orecchie, come al solito peraltro, e avete trattato la povertà come un fenomeno unicamente dipendente dalla mancanza di lavoro nonostante in tanti abbiamo cercato di spiegarvi che la povertà non dipende solo dall'occupazione, che la povertà è un fenomeno estremamente complesso, che assume forme e intensità diverse e che dipende da decine di fattori che molto e spesso nulla hanno a che fare con l'assenza di lavoro. Avete fatto finta di non sentire che molte persone hanno bisogno di cure e assistenza, di politiche sociali, sanitarie, abitative, di un sistema integrato di interventi multidimensionali che si sostanzi in percorsi specifici e personalizzati di cura e di reinserimento sociale. Siete andati ancora diritti per la vostra strada senza accorgervi che così facendo state lasciando indietro davvero gli ultimi, tutti quei cittadini che hanno bisogno e necessità diverse dalla ricerca di un'occupazione e mi riferisco, in special modo, alle donne, ai minori, ai portatori di handicap e ai loro familiari, a tutte quelle persone che si trovano in una situazione dolorosa e che non sono nella condizione di entrare nel mondo del lavoro.

A tutti loro non viene data un'ulteriore risposta: vengono presi e abbandonati nei centri per l'impiego che, nessuno sa come, dovranno cercare di dare soluzione a problemi che nemmeno hanno mai sfiorato.

Pur di abbattere il REI e di issare la bandiera comunicativa del reddito di cittadinanza state smontando un sistema che iniziava a dare i suoi frutti e che è stato faticosamente organizzato coinvolgendo i servizi sociali professionali e gli enti territoriali, un sistema che impiegava migliaia di professionisti del settore socio-sanitario che in questi anni sono stati assunti attraverso procedure a evidenza pubblica, come prevede peraltro la Carta costituzionale, per la presa in carico di tutte quelle persone che oggi dite di voler aiutare.

Da domani tutto quello sforzo diventerà inutile e quelle migliaia di professionisti si avvieranno a un futuro incerto. Il significato di questa scelta è piuttosto chiaro: ossessionati dalla comunicazione, avevate la necessità che il reddito di cittadinanza fosse visto e vissuto come una pioggia di denaro che arriva direttamente dal Governo centrale in pieno stile dirigista. Per far ciò però state togliendo ai comuni e agli enti di prossimità ogni ruolo e funzione, nonostante siano loro i soggetti che storicamente e operativamente sono i più idonei a fornire cura e assistenza alle persone in difficoltà, il naturale punto di approdo per valutare la condizione del cittadino in stato di povertà e provvedere alla sua cura e ai suoi bisogni specifici.

Ridimensionate i comuni ma nel frattempo addossate loro la responsabilità di mettere in piedi un'enorme rete di progetti di utilità sociale - quanto è evocativa questa parola! - senza mai chiarire chi e come potrà organizzarli, con l'impiego di quale personale e fornendo quale supporto logistico a quest'esercito di persone.

Cosa dire, poi, delle categorie più fragili? A gennaio avevate promesso 400 milioni da dedicare ai disabili in questo provvedimento, ma ve ne siete ricordati solo qualche giorno fa stanziandone niente poco di meno che 13 milioni di euro.

I dati ci dicono che la povertà colpisce più facilmente le famiglie numerose, le più esposte al rischio di esclusione sociale, le più vulnerabili al rischio di deprivazione economica. Ebbene, avete deciso di mantenere una scala di equivalenza bloccata che non tiene assolutamente conto di questa realtà e che, anzi, penalizza proprio le famiglie con più di quattro componenti, appunto quelle più bisognose di aiuto, colpendo in particolare i minori.

Proprio ai minori viene tolta tutta quella rete di assistenza ad oggi garantita dai servizi territoriali che assicura loro la possibilità di ricevere servizi educativi e sociali cruciali per un pieno ed effettivo reinserimento in una società del futuro.

E il mio pensiero va anche ai colleghi pentastellati perché quando ci rammentano della vita reale e dei valori del passato dovrebbero ricordarsi che quelle frasi e quelle parole le dicevano i loro alleati di Governo e proprio a loro, agli alleati di Governo, avete ceduto decidendo consapevolmente di discriminare gli esseri umani perché evidentemente qualcuno è convinto che la povertà e i poveri non sono tutti uguali (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico). Infatti, un povero senza la cittadinanza italiana non vale quanto un indigente italiano! Ricordatevelo, perché questa è la ratio che avete scritto, nero su bianco, in questo provvedimento. Ma così facendo, non avete solo smarrito la vostra anima, ma avete tradito la nostra Carta costituzionale e i valori a fondamento della nostra comunità.

Anche sul fronte del lavoro ci sarebbe molto da dire e i presupposti di un fallimento dell'obiettivo della crescita occupazionale sono evidenti a tutti. Innanzitutto, perché quello che proponete purtroppo non ha nulla a che vedere con una politica strutturale del lavoro ma è la solita cura palliativa, un mix di strumenti con un'efficacia estremamente limitata nel tempo che poco ha a che fare con una soluzione a lungo termine del mercato occupazionale.

Eravate giustamente partiti dalla riforma dei centri per l'impiego, un intervento necessario per favorire l'incontro tra domanda e offerta di lavoro. Il miliardo di euro, però, che inizialmente avete stanziato in realtà in corso d'opera, si è più che dimezzato; e nessuno ha ancora chiarito come intendete organizzare i centri per l'impiego, nessuno ha capito che ruolo avranno i navigator, a parte la sonorità del termine inglese, quali funzioni svolgeranno, da chi e come saranno coordinati.

Avete invaso il campo delle competenze regionali senza nemmeno avere premura di confrontarvi preventivamente con le regioni, ma raggiungendo un accordo - o meglio, un finto accordo in extremis - che molto probabilmente sarà rimesso in discussione, facendo sorgere contenziosi e rallentando tutto il processo di riforma dei centri per l'impiego. Avete imposto un sistema di processi e strutture che creerà un enorme caos a livello amministrativo e gestionale, scaricando sulle amministrazioni pubbliche territoriali una marea di nuovi adempimenti e controlli, senza prevedere alcuna risorsa aggiuntiva né la dotazione di nuovo personale; anzi, provando a prenderci un po' in giro, prevedendo l'assunzione - chissà poi perché - di personale nel comparto dei beni culturali, di 100 operatori della Guardia di finanza e forse 180 carabinieri.

State approvando un provvedimento che vuole perseguire l'obiettivo della crescita occupazionale, senza nemmeno stabilizzare il personale già impiegato in ANPAL, nonostante le rassicurazioni che voi avete fatto loro in tutti gli incontri che avete avuto in queste settimane; e assumendo circa 3 mila persone con contratti di collaborazione biennale (lo chiarisco a chi non è avvezzo alla materia, quindi contratti precari per definizione), e soprattutto, cosa più grave, attraverso procedure di selezione che sono ancora ignote a tutti: si sa solo che saranno celeri, ma di questa celerità non si sostanzia null'altro.

Avete tolto l'assegno di ricollocazione proprio a quelle persone che sono più pronte a rientrare nel mondo del lavoro, e le state costringendo a ricominciare tutto da capo. Mettete in difficoltà le imprese, che avrebbero preferito di gran lunga interventi più incisivi sui percorsi di formazione dei giovani e dei disoccupati: molte di loro sono più che favorevoli a creare occupazione, ma il tessuto industriale e manifatturiero italiano ha un estremo bisogno di personale con competenze e qualifiche specifiche, e invece troppo poco si è previsto per accrescere il capitale umano disponibile in termini di competenze e formazione utili alle logiche produttive del mondo di oggi e di domani.

Insomma, in conclusione state mettendo in campo uno strumento che, nella migliore delle ipotesi, funzionerà in due modi totalmente opposti: come manodopera a bassa qualificazione sostitutiva di buona e stabile occupazione in quei territori, principalmente collocati nelle aree a Nord del Paese, con un tessuto economico più dinamico e performante; come una politica meramente assistenzialista nei territori dove l'economia è stantia o addirittura depressa, ossia in tante zone del Sud Italia, per le quali nulla è stato realmente fatto in termini di investimenti pubblici.

La sensazione, onorevoli colleghi, è che abbiate sacrificato le potenzialità di questa misura perché vi siete fatti prendere in ostaggio dalla necessità di erogare il reddito prima delle elezioni del maggio prossimo, e così stiamo approvando una legge che distribuisce denaro pubblico mesi e mesi prima che possano essere realizzate le strutture operative che dovrebbero aiutare a trovare un impiego strutturale.

Questa misura non inciderà in modo significativo sulla distribuzione del reddito, né ad invertire la sua polarizzazione, né a garantire la libera scelta del lavoro in opposizione al ricatto della precarietà; ed in quest'Aula, insolitamente semideserta per l'importanza del provvedimento in esame, mi piace pensare che almeno le mie parole restino agli atti a futura memoria, quando arriverà il momento di dirvi: ve l'avevamo detto (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Enrica Segneri. Ne ha facoltà.

ENRICA SEGNERI (M5S). Presidente, rappresentanti del Governo, colleghi deputati, per anni il dramma della povertà è stato decisamente ignorato da tutti i Governi che ci hanno preceduto. La verità è che, se nella scorsa legislatura si è parlato di povertà, sia nel dibattito pubblico che in quello politico, è stato solo grazie alla grande battaglia portata avanti dal MoVimento 5 Stelle (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

Il precedente Governo è intervenuto solo parzialmente, in modo del tutto insoddisfacente, tramite il cosiddetto reddito di inclusione: una misura meramente assistenziale, su cui furono investite pochissime risorse.

Si trattava infatti di importi erogati che non arrivavano nemmeno a toccare i 500 euro mensili, coinvolgendo tra l'altro una platea di cittadini molto esigua, mentre il reddito di cittadinanza, misura da sempre di primaria importanza nel programma politico del MoVimento 5 Stelle e voluta fortemente dal Governo del cambiamento, è un provvedimento che si propone di ridare dignità a oltre 5 milioni di persone, investendo risorse per 7 miliardi di euro. Non dimentichiamo infatti di sottolineare che il reddito di cittadinanza è in assoluto il provvedimento più oneroso all'interno della manovra del popolo: questo a significare quanto il Governo sia attento alle necessità ed ai bisogni degli ultimi.

La crisi economica internazionale ha colpito in modo così significativo l'Italia, che l'ha portata ad essere, tra i Paesi europei, quello con il più alto tasso di incremento di soggetti a rischio di esclusione sociale. I dati ISTAT fanno emergere che nel nostro Paese ci sono 5 milioni di persone che vivono sotto la soglia di povertà assoluta; una cifra che addirittura supera i 9 milioni, se prendiamo invece come riferimento la povertà relativa, elevatissima nelle famiglie di operai. La situazione è ancora più drammatica se si considera che, nella fascia giovane della popolazione, si registra un tasso di disoccupazione del 30,2 per cento.

Guardando invece ai pensionati, l'INPS segnala che ci sono oltre 2 milioni di persone che hanno redditi da pensione inferiori ai 500 euro al mese; tra questi, 1,14 milioni sono donne. Numeri che peggiorano di anno in anno, e che hanno portato l'Italia ad essere ventesima tra i Paesi dell'Unione europea per disuguaglianza.

In tale quadro, il reddito di cittadinanza si pone come misura unica di politica attiva del lavoro, di contrasto alla povertà, alla disuguaglianza e all'esclusione sociale. In piena attuazione dell'articolo 38 della nostra Costituzione, questo provvedimento si pone l'obiettivo di favorire le condizioni che rendono effettivo il diritto al lavoro e alla formazione, attraverso politiche dirette al sostegno economico e all'inserimento sociale dei soggetti a rischio di marginalità nella società e nel mondo del lavoro. Una misura soprattutto proattiva, che si poggia sul grande progetto di riqualificazione dei centri per l'impiego, sulla interoperabilità delle banche dati e sulle politiche attive del lavoro: i beneficiari del reddito di cittadinanza dovranno infatti dichiarare l'immediata disponibilità al lavoro, e dovranno aderire ad un percorso personalizzato di accompagnamento all'inserimento lavorativo o all'inclusione sociale. Il programma comprenderà, accanto a specifici percorsi formativi e di ricerca attiva del lavoro, anche progetti per la comunità, riqualificazione professionale, completamento degli studi. Al rispetto delle suddette condizioni sono tenuti tutti i componenti del nucleo familiare maggiorenni, non occupati e non frequentanti un regolare percorso di studio o di formazione.

Per quanto concerne la richiesta, il riconoscimento e l'erogazione del beneficio, esso può essere richiesto presso gli uffici di Poste Italiane o mediante apposito sito o presso un centro di assistenza fiscale. Il riconoscimento da parte dell'INPS avviene entro la fine del mese successivo alla trasmissione della domanda. Il beneficio viene attribuito mediante una card che consente, oltre che il soddisfacimento delle esigenze previste, di effettuare prelievi in contanti entro un limite mensile pari a 100 euro per singolo individuo; la cifra sarà più alta per i nuclei più numerosi.

Con l'articolo 6 del decreto-legge abbiamo previsto l'istituzione del sistema informativo del reddito di cittadinanza: ci saranno quindi due piattaforme digitali, rispettivamente presso l'ANPAL e presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, che agevoleranno l'attivazione e la gestione dei patti per il lavoro e dei patti per l'inclusione sociale. Le piattaforme permetteranno di condividere le informazioni nel rispetto della riservatezza dei dati personali, tra le amministrazioni centrali e i servizi territoriali e tra i servizi per il lavoro e i servizi sociali.

In Commissione poi abbiamo aggiunto anche la necessaria intesa della Conferenza unificata, e abbiamo anche sottolineato l'implementazione e l'interoperabilità attraverso il sistema di cooperazione applicativa con i sistemi informativi regionali del lavoro. Sono state anche introdotte diverse modifiche volte a rafforzare il coordinamento con i comuni nell'ambito delle piattaforme digitali. Siamo dunque convinti che il reddito di cittadinanza sia la misura giusta per realizzare il cambiamento, in quanto supera il reddito di inclusione: infatti il principio che determina il nostro provvedimento è innanzitutto quello del reinserimento dei cittadini disoccupati nel mondo del lavoro. Il reddito di cittadinanza è pensato soprattutto per garantire una continuità economica a chi affronta periodi di assenza dal lavoro. Tale misura risulterà utile anche per contrastare il lavoro nero. Abbiamo individuato con precisione e chiarezza le condizioni di accesso al beneficio e predisposto dei sistemi di monitoraggio e un apparato sanzionatorio in modo che possano ricevere il reddito di cittadinanza le persone che ne abbiano effettivamente diritto e bisogno. Grandissima importanza riveste, all'interno del decreto-legge, anche la cosiddetta pensione di cittadinanza, destinata a chi vive sotto la soglia di povertà assoluta. In sostanza un pensionato con determinati requisiti, ossia un ISEE inferiore a 9.360 euro, un valore del patrimonio immobiliare diverso dalla casa di abitazione non superiore a 30 mila euro e un valore del patrimonio mobiliare fino a un massimo di 8 mila euro, potrà richiedere l'integrazione fino a 780 euro mensili. Inoltre, se pensiamo ai nostri genitori, non possiamo non parlare di un'altra parte fondamentale del decreto-legge: l'introduzione di quota 100. Sono circa 100 mila le domande già arrivate per l'accesso alla pensione con quota 100: segno che migliaia di persone aspettavano questo strumento perché da anni bloccate da una riforma sbagliata come la legge Fornero (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). L'uscita di queste persone dal mondo del lavoro consentirà un ricambio generazionale prezioso che agevolerà i nostri giovani a trovare lavoro qui in Italia senza più essere costretti ad andare all'estero. Con tale provvedimento dunque gettiamo con orgoglio le basi per un nuovo Stato sociale, realizzando uno statuto delle garanzie non solo del lavoro ma del concetto stesso di cittadinanza (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Noja. Ne ha facoltà.

LISA NOJA (PD). Grazie, signora Presidente. Onorevoli colleghe e colleghi, membri del Governo, stiamo esaminando il provvedimento che contiene le due misure bandiera della maggioranza: il reddito di cittadinanza e quota 100. Non credo che nessuno in quest'Aula possa dichiararsi contrario alle finalità dichiarata dalla prima di queste misure, il reddito di cittadinanza: favorire misure di contrasto alla povertà, alla disuguaglianza e all'esclusione sociale. Però, colleghi, vedete il problema è che le modalità attraverso cui la misura del reddito di cittadinanza viene realizzata tradiscono completamente tali finalità. I miei colleghi hanno descritto molto bene una serie di tradimenti. Io mi concentrerò su quello che ritengo il tradimento più grave delle finalità: quello che è stato consumato ai danni delle persone con disabilità. Mi dovete consentire di fare un po' di cronistoria del provvedimento perché in quest'Aula mi sembra che ci sia un'amnesia temporanea. Quando la legge di bilancio è arrivata in Aula, il Partito Democratico vi ha fatto una proposta: vi ha proposto di potenziare il reddito di inclusione, come veniva chiesto da tutte le associazioni che si occupano di povertà, e, con i denari che venivano risparmiati dalla mancata realizzazione del reddito di cittadinanza, per come l'avevate pensato, vi abbiamo proposto di implementare una misura universale per la non autosufficienza. Ci avete detto di no e, mentre ci dicevate di no, pubblicate su tutti i social network un bel manifesto in cui, tra le cose fatte, grazie alla legge di bilancio, indicavate l'aumento universale delle pensioni di invalidità. Il 3 gennaio il Vicepremier Di Maio dichiarava: le pensioni minime a 780 euro come le pensioni di invalidità a 780 euro partiranno tra febbraio e marzo. I soldi però non c'erano - lo sapevamo noi e lo sapevate voi - e quindi è partita la seconda fase della propaganda. L'altro Vicepremier Matteo Salvini, il 9 gennaio, diceva: senza fondi per le pensioni di invalidità non voteremo il reddito di cittadinanza. Lo stesso giorno il Ministro per la famiglia e le disabilità, Lorenzo Fontana, risvegliatosi dal grande sonno, dichiarava: senza risposte concrete alle richieste del mondo della disabilità e delle famiglie questa bozza non avrà il nostro supporto.

Il 10 gennaio l'onorevole D'Uva dichiarava: abbiamo rifinanziato il Fondo per i disabili e integreremo le pensioni di invalidità fino alla soglia dei 780 euro; lo prevede la bozza di decreto che sarà approvata a breve. Bene, abbiamo dovuto attendere il 13 febbraio perché il sottosegretario alla disabilità, Zoccano, dovesse dichiarare che l'aumento delle pensioni di invalidità non c'era e dovesse dire: “con un certo imbarazzo…” - vi riporto le sue parole - “…chiedo ai cittadini con disabilità e alle loro famiglie di avere ancora un po' di pazienza”. Presidente, attraverso di lei, mi rivolgo al sottosegretario Cominardi, che è stato con noi in Commissione in maniera eroica: voi avete detto per tre mesi bugie gravi, perché sono bugie che avete detto a persone in difficoltà e cinicamente noi potremmo essere anche soddisfatti della figuraccia che avete fatto ma non lo siamo, perché, quando le istituzioni mentono ai cittadini, creano una sfiducia in tutte le istituzioni che è una ferita per la democrazia. Dopo queste bugie ci saremmo aspettati che, per lo meno, il provvedimento fosse equo nei confronti delle persone con disabilità: diciamo non vantaggi ma almeno giustizia. Ecco, come si traduce la giustizia? Voi prevedete che la pensione di invalidità, che dovevate aumentare, non la aumentate ma la conteggiate ai fini del reddito delle famiglie: una misura, cioè, che viene riconosciuta alla persona con disabilità va a incidere sulla misura del reddito di cittadinanza che verrà riconosciuta alla famiglia di cui fa parte. Sapete di quanto è diminuito il reddito di cittadinanza? Di 3750 euro l'anno. Tutte le associazioni vi hanno chiesto di rivedere questa iniquità: non lo avete fatto. Ma non solo, non avete avuto neanche la decenza di prevedere un parametro specifico che valorizzasse adeguatamente la presenza di una persona con disabilità nel nucleo familiare. Perdonatemi, ma se voi pensate di cavarvela con l'emendamento farsa che avete presentato tre giorni fa, avete sbagliato (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico). Quell'emendamento si limita a prevedere un correttivo applicabile al coefficiente massimo che tradotto in soldoni vuol dire dare 50 euro in più al mese non, come volete far credere, a tutte le famiglie che hanno una persona con disabilità ma, sapete a quali famiglie? Alle famiglie con almeno quattro componenti maggiorenni o alle famiglie con almeno tre maggiorenni e due minorenni. Nemmeno una famiglia con tre figli, di cui uno disabile, prenderà i 50 euro al mese. Questo è quello che avete fatto. E la dimostrazione di quanto sia residuale quell'ipotesi sta nel fatto che voi su quella misura mettete 6 milioni: tante poche sono le famiglie che verranno avvantaggiate di questo coefficiente che ci mettete 6 milioni. Avete annunciato con la grancassa che tutte le famiglie che hanno una persona con disabilità potranno accedere alla pensione di cittadinanza: no, non è così. Voi avete accolto solo una delle richieste fatte da tutte le associazioni, che si erano trasformate in emendamenti di tutte le opposizioni, prevedendo che una famiglia in cui ci sono due genitori ultrasessantasettenni, che hanno a carico un figlio con disabilità, potranno avere accesso alla pensione di cittadinanza: grazie, grazie davvero. E sapete quanto è residuale quell'ipotesi? Sei milioni di euro: di questo stiamo parlando. Avete rigettato la sequenza di tutti gli emendamenti che noi del PD, ma con tutte le opposizioni, vi abbiamo presentato per richiedervi di valorizzare la presenza delle persone con disabilità in una famiglia, riconoscendo un principio - posso dirvi - elementare cioè che, a parità di reddito, una famiglia che ha un componente con disabilità è più povero. Io ho provato a spiegarvelo in Commissione: una persona con disabilità non può vivere in una casa senza ascensore; ha bisogno di un bagno più grande; ha bisogno spesso di fare lavori di ristrutturazione per poter rendere quel bagno accessibile; ha bisogno di macchine più grandi; ha bisogno di adattare quelle macchine: la vita è più costosa. Avete accettato gli emendamenti? No. Ma c'è di più: avete rigettato anche quasi tutti gli emendamenti che non vi costavano niente, che non aumentavano di un euro il costo della misura. Vi faccio due esempi: uno è l'emendamento che ha presentato la collega Versace, che vi chiedeva di prevedere che, in una famiglia in cui un componente si dimette dal lavoro per curare una persona con disabilità o una persona che ha una malattia grave, quelle dimissioni non venissero considerate ai fini della perdita del beneficio del reddito di cittadinanza. Vi abbiamo spiegato che era importante, perché quando in una famiglia nasce un bambino con disabilità, quella famiglia è sconvolta, ha bisogno di tempo per organizzarsi, e spesso uno dei due genitori è costretto a lasciare il lavoro. Avete accettato questo emendamento? No. Non avete accettato neanche un mio emendamento che vi chiedeva, per le famiglie che hanno un bambino con disabilità, di prevedere che i genitori non potessero essere mandati ad accettare un lavoro a più di 30 chilometri di distanza. È vero che il caregiver è esonerato dal patto di lavoro, ma l'altro genitore, se deve andare a 100 chilometri di distanza per lavorare, vuol dire che ogni giorno deve fare un'ora e mezza ad andare e un'ora e mezza a tornare dal posto di lavoro. Cioè, voi lasciate solo il caregiver con il proprio figlio, e non capite l'importanza di avere due genitori vicini. Anche a quello avete detto di no, che era a costo zero, non vi costava niente. Avete detto di no a tutti. Scusi, Presidente, posso chiedere di abbassare la voce? Perché io starei intervenendo…

PRESIDENTE. Colleghi, chiedo ovviamente a tutti di abbassare il tono della voce. Prego.

LISA NOJA (PD). In Commissione avete dimostrato che voi non avete la più pallida idea di qual è la vita di una persona con disabilità e, mi spiace dirlo, avete anche dimostrato una certa indifferenza, perché non avete accettato nemmeno un emendamento. Noi ripresenteremo tutti gli emendamenti. So che in quest'Aula ci sono tante persone sensibili, anche nella maggioranza, credo e temo che porrete la questione di fiducia per togliervi dall'imbarazzo di dover dire di no a degli emendamenti che, posso dirvi, non sono neanche di buon senso, sono di umanità, sono di semplice umanità (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

Noi, ad ogni parere negativo che avete dato a questi emendamenti vi abbiamo chiesto di spiegarci la ragione, e tutte le volte la risposta che ci è stata data è che questo Governo e questa maggioranza sono molto sensibili al tema della disabilità e che ci penserete. Colleghi, ve lo dico col cuore: la disabilità non è un tema, la disabilità, anzi le disabilità - imparate anche questo - sono tante condizioni diverse, con tanti bisogni diversi a cui occorre dare una risposta. Ecco, la misura della vostra sensibilità al tema - come lo chiamate voi - della disabilità, ai bisogni delle persone con disabilità, dei cittadini con disabilità in questo provvedimento, sapete quanto cuba? Dodici, tredici milioni di euro. Cioè, su 11 miliardi che voi appostate il primo anno, alle persone con disabilità dedicate lo 0,1 per cento: questa è la misura della vostra sensibilità. Ma c'è di più: la misura della vostra sensibilità l'abbiamo misurata - scusate il gioco di parole - nella notte tra venerdì e sabato, quando, alle 2 di mattina, avete presentato un emendamento - per fortuna vi abbiamo costretto a ritirarlo - in cui prevedevate che una persona anziana o una persona con disabilità con un badante dovesse diventare il sostituto d'imposta, cioè dovesse pagarsi un commercialista per fare una trattenuta alla fonte. Sapete qual era la sanzione prevista per ritardi o errori? Il 30 per cento. Questa è la misura della vostra sensibilità. Allora, ve lo dico veramente con tutto il rispetto e col cuore: questa sensibilità, se è così, potete tenervela (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico). Tenetevela, perché non serve a nulla. Voi avete istituito un Ministero delle disabilità, e quando noi ci siamo detti preoccupati delle aspettative che questo Ministero poteva creare, in quest'Aula il sottosegretario Zoccano ci ha invitato ad essere intelligenti, e ci ha detto: cercate di essere intelligenti, capite, sarà una voce forte e univoca che parlerà per le persone disabili in Consiglio dei ministri. Bene, ad oggi quella voce è muta, l'unica volta che ha parlato è stata per chiedere alle persone con disabilità di avere ancora un po' di pazienza.

Voi oggi siete al Governo, a voi non è richiesto di fare vaghe dichiarazioni di umanità, di solidarietà, di sensibilità, a voi è chiesto di dare risposte ai bisogni delle persone, anche ai bisogni delle persone con disabilità, ma, prima di tutto, vi è richiesto di dire la verità, vi è richiesto di smettere di bandire i bisogni delle persone a fini propagandistici. Noi, fino ad ora, abbiamo visto solo propaganda - consentitemi di dirlo - cinica e spesso crudele. Correggetevi, perché su questo noi non vi daremo tregua (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Rosa Menga. Ne ha facoltà.

ROSA MENGA (M5S). Grazie, Presidente. Colleghi, rappresentanti del Governo, il provvedimento che approda oggi in quest'Aula ha la finalità di introdurre due misure necessarie e non più differibili per il nostro Paese: il reddito e la pensione di cittadinanza e “quota 100”. Si tratta di una vera e propria riforma del welfare, ma ancor più si tratta del tentativo di ricucire un doloroso strappo nel rapporto tra lo Stato e i suoi cittadini, tra chi governa e legifera e chi, dell'intensa attività che viene svolta anche all'interno di quest'Aula, vorrebbe vedere gli effetti al di fuori, ripercussioni positive e concrete sul proprio vivere quotidiano. Il MoVimento 5 Stelle ha sempre avuto ben chiara la necessità di ricostituire questo rapporto di fiducia, e d'altronde è stato questo il senso di portare i cittadini all'interno delle istituzioni. Ma oggi può farlo mantenendo la più ambiziosa delle sue promesse, quella di istituire appunto un reddito e una pensione di cittadinanza per tutti coloro che oggi in Italia vivono al di sotto della soglia di povertà.

In tanti erano pronti a scommettere contro questo provvedimento, e anche oggi, che è realtà, anziché essere salutato con entusiasmo da chi dovrebbe schierarsi dalla parte degli ultimi, viene strumentalmente dipinto come ciò che non è, ossia come una misura assistenzialista, un incentivo al lavoro in nero. Ma guardi, Presidente, questi pregiudizi sulla nostra misura di sostegno al reddito e di reinserimento sociale e lavorativo non ci stupiscono, sono figli di un altro pregiudizio, quello verso il popolo italiano, pregiudizio ben più grande e più inopportuno per tutti noi che qui lo rappresentiamo. Pregiudizio, tra l'altro, più volte malcelato, come nell'ottobre 2007, quando l'allora Ministro dell'Economia, Padoa-Schioppa, definì bamboccioni i figli che vivevano ancora a casa con i genitori, come se fosse una loro scelta, quegli stessi figli che tre anni più tardi, l'allora Ministro della Pubblica amministrazione, Brunetta, avrebbe voluto obbligare, per legge, ad uscire di casa a 18 anni, o che, nel febbraio 2012, venivano descritti come fermi nella loro illusione di trovare il posto fisso, magari nella stessa città e accanto a mamma e papà, dall'allora Ministro del Lavoro, Fornero, spalleggiata dall'ex Premier Mario Monti, che sottolineava come il posto fisso fosse monotono, quasi come se si trattasse di un concetto démodé. No, Presidente, le storie che noi conosciamo non sono affatto quelle di figli fannulloni, ma di giovani, spesso anche laureati, che faticano a trovare un lavoro che consenta loro di raggiungere la tanto ambita indipendenza economica (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Oppure sono storie di meno giovani che magari, da un giorno all'altro, hanno perso il lavoro con il quale mantenevano la loro famiglia e faticano a trovarne un altro; oppure ancora sono storie di anziani che, dopo aver lavorato una vita intera, faticano ad arrivare a fine mese con la propria pensione minima. Chi ignora queste storie ignora, oggi, 5 milioni di italiani (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Ma è a loro che noi, invece, abbiamo voluto guardare con questo provvedimento, e mentre noi parliamo sono già oltre 121 mila le domande per il reddito di cittadinanza sinora pervenute tramite Poste Italiane.

Le Commissioni Lavoro e Affari sociali della Camera hanno concluso l'esame degli emendamenti al disegno di legge di conversione del decreto, questo sforzo congiunto di maggioranza e opposizioni per apportare modifiche migliorative del testo fa seguito a quello compiuto in Senato, dove erano già stati introdotti molti elementi di novità. Mi limito a citarne i principali. Abbiamo introdotto ulteriori misure anti-furbetti, in particolare prevedendo un aumento del 20 per cento delle maxisanzioni per chi lavora in nero, o la decadenza del reddito per quei nuclei familiari in cui c'è un lavoratore con contratto Co.co.co. che non invia le comunicazioni obbligatorie.

Inoltre, chi rilascia dichiarazioni false, oltre a risponderne penalmente, come già previsto, verrà escluso per cinque anni dall'accesso al reddito di cittadinanza. Vi sarà un'ulteriore stretta per i cambi di residenza successivi a separazioni e divorzi avvenuti dopo il 1° settembre 2018; in questi casi dovrà essere un verbale della polizia municipale a certificare l'avvenuto cambio di residenza. Abbiamo avuto un'attenzione altissima per le famiglie con minori o con disabili. I genitori di figli minorenni, anche se separati, saranno tenuti ad accettare un'offerta di lavoro solo se entro i 250 chilometri dalla loro residenza; limite massimo che viene ulteriormente ridotto per quei familiari di persone disabili e portato a 100 chilometri dalla loro residenza. Per gli stranieri che vorranno accedere al reddito sarà obbligatorio presentare la certificazione reddituale e patrimoniale del proprio nucleo familiare rilasciata dallo Stato di provenienza, ma saranno, ovviamente, esentati i rifugiati politici e chi proviene da Paesi dai quali non è possibile ottenere la certificazione.

Un'offerta di lavoro sarà ritenuta congrua, e quindi scatterà l'obbligo di accettarla, solo se il salario sarà di almeno 858 euro al mese, cioè il 10 per cento in più del beneficio massimo percepito da un singolo con il reddito di cittadinanza, pari a 780 euro al mese.

Altro capitolo fondamentale, gli incentivi per le imprese: quelle che assumeranno i percettori del reddito di cittadinanza beneficeranno degli sgravi contributivi già previsti, anche in caso di contratto di apprendistato, e non solo per contratti a tempo indeterminato.

Tutela della privacy, altro tema fortemente sentito soprattutto dal MoVimento 5 Stelle, che aveva già voluto una carta del reddito di cittadinanza esattamente identica a qualsiasi altra Postepay, onde evitare qualsiasi forma di discriminazione. Ma, per recepire le osservazioni fatte in audizione dal Garante della privacy, è stato previsto che il reddito di cittadinanza venga gestito con un sistema informatico che garantirà la protezione della privacy dei beneficiari e lo Stato potrà controllare i soli importi complessivamente spesi e prelevati con le card, ma non le singole spese.

Passando ora alle modifiche sin qui introdotte nel corso dell'esame in Commissioni congiunte in questa Camera, cito anche in questo caso le principali: non ci sarà spazio per chi ha guai con la giustizia, il reddito andrà a chi ne ha davvero diritto (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). È stata prevista, infatti, la sospensione dell'erogazione del beneficio per i richiedenti a cui è applicata una misura cautelare, per i condannati, anche con sentenza non definitiva, se si tratta di reati di tipo mafioso o terroristico o di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, e per i latitanti. Inoltre, per i condannati, sempre per reati gravi, non sarà invece in alcun modo possibile accedere al beneficio. Le risorse recuperate a seguito della sospensione andranno ad un fondo, un fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso, delle richieste estorsive, dell'usura e dei reati internazionali violenti, nonché agli orfani dei crimini domestici e agli interventi in favore delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata.

È previsto un sostegno alle famiglie con persone con disabilità. Si facilita l'accesso alla pensione di cittadinanza anche nei casi in cui uno o più componenti, pur avendo età inferiore ai 67 anni, siano in condizione di disabilità grave o di non autosufficienza; prima di questa modifica, per accedere alla pensione di cittadinanza era necessario che tutti i componenti del nucleo rispettassero il requisito anagrafico dei 67 anni di età. È stata anche innalzata la soglia del patrimonio finanziario da 5 mila a 7.500 euro per ciascun componente con disabilità e viene aumentato il massimale della scala di equivalenza sino a un massimo di 2,2. In caso di genitori single, se i figli sono minori, ai fini del calcolo ISEE farà parte del nucleo familiare anche l'altro genitore, sebbene non convivente o non sposato, ma questo paletto salta nel caso che uno dei due genitori risulti coniugato o abbia avuto dei figli con un'altra persona o se non sia in possesso della potestà genitoriale.

Ancora, abbiamo previsto un aumento delle forze in campo per l'attività di controllo e monitoraggio sui beneficiari del reddito di cittadinanza, con 100 assunzioni di nuovi ispettori della Guardia di finanza e 65 assunzioni nel Corpo dei carabinieri, che avranno il compito di coadiuvare l'ispettorato del lavoro nel contrasto al lavoro irregolare anche in merito al lavoro svolto dai percettori del reddito di cittadinanza.

Infine, sono state previste norme a sostegno dei cosiddetti working poor, e questo è molto importante da sottolineare, per tutte quelle persone che, pur avendo un lavoro, guadagnano pochissimo.

Anche questi ultimi potranno entrare a pieno titolo nelle politiche attive per l'occupazione previste nel programma del reddito di cittadinanza. Presidente, milioni di italiani ripongono speranza in questo provvedimento e nell'operato di tutti noi, e io credo nel popolo italiano: è un popolo generoso, è un popolo laborioso, non chiede che il lavoro, una casa e di poter curare la salute dei suoi cari; non chiede, quindi, il paradiso in terra, ma chiede quello che dovrebbe avere ogni popolo. Ma queste, a onor del vero, non sono parole mie: a pronunciarle fu Sandro Pertini nel suo messaggio di fine anno agli italiani nel 1981, anche se oggi risuonano più attuali che mai (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle - Congratulazioni).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Jessica Costanzo. Ne ha facoltà.

JESSICA COSTANZO (M5S). Presidente, rappresentanti del Governo, onorevoli colleghe e colleghi, quello che ci apprestiamo a varare in quest'Aula è il più grande esperimento recente di redistribuzione delle risorse, è l'esempio di come una politica tesa alla solidarietà non è più solo un'utopia, ma sta diventando realtà.

La missione della politica, infatti, dovrebbe essere quella di prendere di petto le urgenze, le disuguaglianze sociali; però, c'è un'emergenza primaria nel nostro Paese e si chiama povertà. Qualcuno dirà che la povertà è sempre esistita, certamente, però sono i numeri a parlare, perché negli ultimi anni siamo passati da un milione di poveri, di persone che vivono al di sotto della soglia di povertà assoluta, a 5 milioni di poveri.

Ebbene, Presidente, anche guardando il problema da un altro punto di vista, in un contesto dove il lavoro è sempre più flessibile e, oltretutto, è difficile cristallizzarlo in contesti e in schemi ben definiti, è difficile anche prevedere un welfare sociale, uno Stato sociale che preveda delle misure, come gli ammortizzatori sociali o i sussidi, che siano veramente in grado di rispondere alle diverse esigenze di questi 5 milioni di persone.

Oltretutto, dobbiamo considerare che esistono inevitabilmente delle forme e delle nuove forme di povertà persistenti; questo è dovuto anche a un ventennio di scelte politiche che hanno guardato inevitabilmente solo alla liberalizzazione.

Infine, non dobbiamo scordare che all'orizzonte si staglia la rivoluzione tecnologica, che inevitabilmente porterà la sottrazione di manodopera e di posti di lavoro. È per questo che l'introduzione di un aiuto generalizzato, che parta dalla situazione economica personale e non dall'appartenenza ad una classe professionale o ad una classe sociale, era fondamentale.

Il reddito di cittadinanza e la pensione di cittadinanza sono, infatti, un aiuto a chi oggi non è riuscito a trovare nello Stato forme adeguate di sostegno per vivere un'esistenza dignitosa. E nonostante ciò, Presidente, siamo stati attaccati ripetutamente, da settimane, mesi ed anni, con critiche che, in alcuni casi, sicuramente potevano essere prevedibili, in altri casi, decisamente spropositate.

In particolare, ci hanno accusato di confondere il problema della povertà con il problema dell'occupazione. Bene, a questi commentatori, agli analisti che pretendono dal reddito di cittadinanza di trovare la soluzione verso i problemi dei livelli occupazionali, vorrei ricordare due cose: che nella platea dei beneficiari del reddito di cittadinanza e della pensione di cittadinanza ci sono quelle persone che lavorano già, ma che guadagnano troppo poco. Sono i cosiddetti working poors, sono 1,2 milioni di persone e, da adesso in poi, anche lo Stato sarà al loro fianco, grazie, appunto, all'emendamento che ha permesso di inserire un'offerta congrua, ovvero un'offerta di lavoro con una retribuzione che deve essere minimo di 858 euro.

Ed è la prima forma di salario minimo, oltre al provvedimento che ci stiamo apprestando a varare nuovamente come un nuovo un appiglio e una nuova soluzione.

La seconda categoria riguarda quelle persone che inevitabilmente, per diverse cause, per diverse esigenze, non possono lavorare, non sono nelle condizioni di poterlo fare, e sono i minorenni, sono i disabili, sono i pensionati, sono le persone che, magari, hanno perso il lavoro ad un soffio dal ricevere la pensione. Bene, alla stragrande maggioranza di queste persone, quindi, dell'intera platea dei 5 milioni di poveri, andranno le risorse del reddito di cittadinanza e della pensione di cittadinanza, perché è una misura ad ampio raggio, comprende soluzioni diverse per problemi diversi.

Il sostegno economico sappiamo che è una delle componenti fondamentali del reddito di cittadinanza, ma esistono poi anche tante altre misure complementari, come l'efficientamento dei centri per l'impiego, i percorsi formativi e di riqualificazione e gli incentivi alle aziende e agli enti formativi, proprio per permettere quello che non è mai successo: l'incrocio tra domanda e offerta di lavoro.

Tuttavia, di recente, proprio negli ultimi giorni, nelle ultime notti, durante l'intenso confronto che è avvenuto tra maggioranza e opposizione in Commissione, abbiamo anche approvato degli emendamenti migliorativi che vanno a rafforzare l'intero provvedimento. Per esempio, abbiamo facilitato l'accesso alla pensione di cittadinanza nei nuclei familiari dove sono presenti dei disabili gravi o persone non autosufficienti sotto i 67 anni di età; abbiamo aumentato la soglia del patrimonio finanziario, passando da 5 mila a 7.500 euro per ogni componente con disabilità e la scala di equivalenza fino ad un massimo di 2,2; abbiamo permesso, poi, l'accesso automatico a programmi di distribuzione alimentari per le persone indigenti. Infine, abbiamo permesso di riscuotere la pensione di cittadinanza non solo tramite la card, ma anche in contanti.

C'è poi una misura, Presidente, di cui voglio sottolineare l'importanza: quota 100. Ecco, l'urgenza di questa misura è rappresentata effettivamente dal numero di proposte, di richieste e di domande che sono state effettuate in pochissimi giorni, in pochissime settimane; stiamo sfiorando le 100 mila domande e questo dimostra come ci fosse un'emergenza, un'urgenza di un ricambio generazionale all'interno del mercato del lavoro.

Questo rappresenta il primo tassello per superare la legge Fornero; sappiamo che l'obiettivo del MoVimento 5 Stelle e di questo Governo è quello di scardinare la riforma Fornero, arrivando poi ai quota 41; erano presenti nel nostro programma elettorale, non ce ne siamo dimenticati, facevano parte dei 20 punti per migliorare la qualità della vita degli italiani.

Oltretutto, prevediamo anche assunzioni all'interno del Sistema sanitario nazionale e degli uffici giudiziari, proprio per andare a sanare le conseguenze che deriveranno dal turnover e, quindi, dalle conseguenze di quota 100.

A chi ci accusa di voler approvare questo provvedimento in troppo poco tempo, perché non c'è un tempo sufficiente per poter efficientare i centri per l'impiego, ma soprattutto di farlo per meri scopi elettorali in vista delle elezioni europee, ebbene, Presidente, ricordiamo che, in questo Paese, ci sono dei tempi ben precisi e sono i tempi dei poveri; i tempi dei poveri non possono rispondere né alle elezioni europee e, tanto meno, agli analisti economici (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). I tempi dei poveri sono quelli del qui ed ora, non è possibile più rinviare, c'è un'urgenza, c'è un'emergenza e non è più possibile attendere.

Tuttavia, vediamo da certe reazioni che occuparsi dei poveri sembra quasi essere un investimento irrazionale, poco doveroso e, in questo caso, cito un famoso filosofo polacco, uno dei grandi pensatori dell'ultimo secolo, teorizzatore anche della teoria della società liquida, Zygmunt Bauman; ecco, lui sosteneva che la logica individualistica e consumistica e, quindi, perseguire il proprio interesse personale, prevale sulla preoccupazione per il bene pubblico e inevitabilmente i poveri vengono eliminati, vengono emarginati, vengono schiacciati.

Ebbene, nel suo saggio La solitudine del cittadino globale, Bauman sosteneva che, dopo il fallimento delle ideologie, l'introduzione del reddito di cittadinanza avrebbe determinato nuovi criteri etici per la vita della società, sostituendo il principio della competizione con quello della condivisione; adottato nella forma di sovvenzione, avrebbe potuto configurarsi come misura rivoluzionaria, in grado di resuscitare o rivitalizzare le istituzioni appassite della Repubblica e della cittadinanza.

Ebbene, Presidente, io credo che sia proprio così. In realtà, questo provvedimento dà fastidio perché, oggi, la povertà è diventata un tabù (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle), ma con questo provvedimento e con una certa dose di coraggio stiamo gettando le basi per creare una società basata sulla coesione sociale, sul diritto all'esistenza e all'autodeterminazione dei cittadini (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Maria Pallini. Ne ha facoltà.

MARIA PALLINI (M5S). Grazie, Presidente. Con una gioia che non posso nascondere, prendo la parola in quest'Aula per esprimere tutto il mio vivo apprezzamento per il traguardo che stiamo tagliando oggi, con l'approdo, alla Camera dei deputati, del decreto contenente, tra l'altro, il reddito di cittadinanza. In questo mio intervento, infatti, in qualità di cittadina italiana, prima, e, poi, di portavoce del MoVimento 5 Stelle, voglio parlare soprattutto di questa importantissima misura che, lungi dall'essere di natura assistenziale, rappresenta una vera e propria misura economica, di contrasto alla disoccupazione e, al tempo stesso, di rilancio del mondo del lavoro.

Il reddito di cittadinanza è un nostro storico cavallo di battaglia, un provvedimento che il MoVimento ha pensato con il cuore, tanti anni fa, per liberare i cittadini italiani dalla morsa della povertà e della disperazione, quando lo Stato non tendeva loro una mano concreta, quando essere invisibili e fragili era una condizione all'ordine del giorno per centinaia di migliaia di uomini e donne, uomini e donne che avevano la sola colpa di essere in difficoltà, di aver perso un lavoro, di non riuscire a ricollocarsi facilmente in un sistema le cui opportunità erano maglie sempre più strette, che rischiavano di stritolare. La politica ha abbandonato per anni queste persone, ma, oggi, non è più così.

Il MoVimento non ha mai avuto dubbi su questo; era necessario e giusto utilizzare questo strumento per risollevare le sorti di questi italiani, dandogli la tranquillità necessaria per condurre una vita dignitosa e, nel frattempo, rimettersi in gioco con coraggio. Abbiamo dato vita al reddito di cittadinanza affinché nessuno restasse, mai più, indietro, in una società consumistica dove lo status economico vale più dei meriti faticosamente conquistati e delle storie personali, tutte preziose e da valorizzare.

Ricordo che all'interno di questo decreto trovano spazio anche altri due importanti provvedimenti che vanno a ristabilire quel principio di equità e quei diritti cancellati in questi anni; sto parlando della pensione di cittadinanza, che farà in modo che i nostri pensionati non debbano vivere mai più sotto la soglia di povertà, non debbano più fare la fila alla Caritas per un pasto caldo o rinunciare alle cure mediche; potranno semplicemente vivere la propria vecchiaia, come è giusto che sia, in maniera dignitosa. E di “quota 100”; in questi anni abbiamo sentito praticamente tutte, dico tutte, le forze politiche parlare di superamento della “Fornero”, quelle stesse forze politiche che hanno votato quella sciagurata legge che, oggi, iniziamo davvero a superare (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle), permettendo a chi ne ha diritto di godersi il meritato riposo, dopo anni di sacrifici, e dando la possibilità ai giovani di subentrare al loro posto e di portare il loro entusiasmo, le loro idee e le loro competenze in un mondo del lavoro che cambia a velocità elevatissime.

È per questo che oggi, con l'approdo in Aula di questo decreto, signor Presidente, credo sia doveroso ringraziare tutti coloro che, in questi anni e più di recente, hanno consentito che si arrivasse a questo risultato (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle), in primis, i tantissimi cittadini che hanno tenuto duro nonostante vivessero in completa solitudine le loro difficoltà, quegli stessi cittadini che hanno marciato insieme a noi per chiedere con forza di essere ascoltati, per chiedere che questo strumento venisse realizzato, poi il Ministro Di Maio, che ha voluto fortemente che questo provvedimento fosse tra i primi atti del Governo del cambiamento. Ringrazio tutti i componenti della Commissione lavoro alla Camera, di cui sono capogruppo per il MoVimento 5 Stelle, i colleghi della Commissione affari sociali e delle Commissioni al Senato; ringrazio, infine, ogni singolo parlamentare, per aver offerto, in queste settimane, un importante contributo di idee e di proposte migliorative del testo.

Come abbiamo sempre ripetuto, il reddito di cittadinanza è una misura fondamentale ed era vitale per queste persone in difficoltà che partisse al più presto. Al contempo, qualsiasi testo può essere migliorato, grazie al lavoro parlamentare, ed è quello che abbiamo fatto con grande senso di responsabilità, pensando sempre per prima cosa all'interesse dei cittadini (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Ecco perché, grazie all'infaticabile impegno messo in campo dalle Commissioni lavoro e affari sociali della Camera, abbiamo introdotto novità importantissime, a tutto vantaggio di quelle categorie di persone che più di altre hanno vissuto sulla loro pelle le conseguenze di una drammatica crisi e delle politiche di austerity messe in campo come risposta, purtroppo inadeguata, dai Governi che si sono succeduti negli anni.

Innanzitutto va chiarito che il reddito di cittadinanza, proprio perché è finalizzato a combattere in maniera attiva la disuguaglianza e l'esclusione attraverso l'introduzione di misure di sostegno economico e di reinserimento sociale, sarà elargito esclusivamente agli aventi diritto. I furbetti, dunque, sono stati avvisati e per rendere ancora più efficaci i controlli e i monitoraggi abbiamo previsto, con gli emendamenti, nuove assunzioni di finanzieri e carabinieri che aiuteranno a tal scopo.

Non solo: sarà fondamentale, come ben si sa, la figura del navigator, chiamato ad accompagnare il beneficiario del reddito nella ricerca di una nuova occupazione in linea con le sue competenze e in sinergia con quelli che sono i centri per l'impiego. A tal fine, il decreto contiene anche l'accordo tra Governo e regioni su centri per l'impiego e navigator, con uno stanziamento di 340 milioni in tre anni e lo sblocco di 3 mila assunzioni. Abbiamo previsto anche norme a sostegno delle famiglie con disabili e per i cosiddetti working poor, ossia chi ha un lavoro ma guadagna pochissimo. Anche questi ultimi potranno entrare a pieno titolo nelle politiche attive per l'occupazione previste nel programma del reddito di cittadinanza. Lo abbiamo sempre detto e lo mettiamo finalmente in pratica: nessuno deve rimanere indietro (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle)!

Queste sono soltanto alcune delle proposte migliorative con cui il decreto è stato emendato. A chi ancora oggi polemizza chiedendosi perché fare un decreto simile rispondo che c'era, e c'è, l'urgenza di porre rimedio al fatto che l'Italia è collocata, nel 2019, tra i Paesi europei con il più alto tasso di incremento dei soggetti a rischio di esclusione sociale, ovvero famiglie in povertà assoluta che, secondo i più recenti dati Istat, sono oltre un milione 700 mila e al cui interno vivono ben 5 milioni di persone. Chiedo, quindi, a tutti quei detrattori del reddito di cittadinanza presenti in quest'Aula: vogliamo o non vogliamo contrastare la progressiva deprivazione sociale nella nostra nazione (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle)? Chiedo ai convinti europeisti presenti in quest'Aula: nel pilastro europeo dei diritti sociali, approvato di recente, è contemplato o no il diritto a un reddito minimo che garantisca una vita dignitosa, l'accesso a beni e servizi e incentivi alla reintegrazione nel mercato del lavoro?

E, allora, salutiamo questa giornata come un momento importante per il nostro popolo: al di là degli steccati ideologici o delle bandiere politiche, abbiamo scritto una bella pagina con il contributo di tutti. Penso, ad esempio, alle sessantacinque audizioni svolte al Senato, alle interessanti memorie, tra le quali particolarmente rilevante è stata quella del Garante della privacy.

Non mi dilungo sugli aspetti tecnici del provvedimento ma mi piace ricordare qui ancora qualche novità che lo rende più efficace e inclusivo: abbiamo stabilito che anche per il reddito di cittadinanza, e non più solo per la pensione, potrà essere presentata domanda ai patronati, oltre che ai CAF. Ulteriore norma che semplifica le procedure è quella secondo la quale i beneficiari del reddito potranno essere chiamati dai centri per l'impiego anche tramite un messaggio o una semplice mail. Come potete facilmente constatare, sono tutti interventi al testo che si sposano alla perfezione con le esigenze di quella fetta di popolazione italiana che attendeva da anni uno strumento simile.

Per questo concludo, Presidente, dicendo senza temere di essere smentita: benvenuto reddito di cittadinanza! Questo è un giorno storico per questo Paese e, quindi, dal cuore mi sento di dire soltanto e ancora: grazie a tutti per questo risultato (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle)!

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - A.C. 1637-A)

PRESIDENTE. Le relatrici hanno espresso l'intenzione di non intervenire in fase di replica.

Pertanto, ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo, il sottosegretario Claudio Cominardi.

CLAUDIO COMINARDI, Sottosegretario di Stato per il Lavoro e le politiche sociali. Grazie, Presidente. Ho ascoltato con attenzione e difatti sono stato fin dalla mattinata ad ora e vorrei precisare che tutto quello che è stato fatto dai Governi precedenti, sia di centrodestra, per esempio per quanto riguarda l'innalzamento delle pensioni a un milione di lire, sia quello che è stato fatto per esempio dal Governo scorso con il REI, che è stata comunque una prima misura di contrasto alla povertà, io non lo demonizzo affatto e riconosco, diciamo, la bontà di queste azioni. Però, oggi possiamo dire che per quanto riguarda le pensioni che solo nei nuclei in cui vi sono i requisiti di povertà tendenzialmente assoluta si potrà arrivare a una cifra di 780 euro mensili, che si attesta a circa un milione e mezzo di lire o poco meno.

Per quanto riguarda il REI invece se pensiamo alle famiglie numerose per quanto riguarda le famiglie con sei componenti con il REI si arrivava a 538 euro e con il reddito di cittadinanza ci sarà uno sforzo ulteriore e si arriverà alla cifra di 1.330 euro, aumentata con la modifica del massimale del quoziente nella scala di equivalenza a 1.380 euro qualora ci fosse un componente disabile. Quindi, nessuno vuole demonizzare ciò che in passato è stato fatto e, quindi, spero che ci sia lo stesso approccio anche per quanto riguarda questo provvedimento.

Per “quota 100” e reddito di cittadinanza parlano i numeri: per quanto riguarda “quota 100” diversamente rispetto a quanto si è detto le domande sono distribuite su tutto il territorio nazionale. In percentuale ci dicono che al nord sono il 38,2 per cento le domande, al centro il 21,6 mentre nel sud e nelle isole il 40 per cento. Le domande alla data del 15 marzo sono 93.533 e a breve raggiungeranno 100 mila. Le domande per il reddito di cittadinanza sono attorno a 500 mila e anche qui molto distribuite sul territorio nazionale: la Lombardia addirittura per numero di potenziali beneficiari è la prima-seconda regione e sebbene via via questi dati cambino sensibilmente tuttavia è sempre o la prima o la seconda regione per numero di potenziali percettori.

Il disegno del reddito di cittadinanza è un disegno articolato ma è un disegno che contempla tutta una serie di soggetti. È per quello che io auspico e sono convinto che con tutte le difficoltà del caso, perché nessuno dice che rivoluzioniamo i centri per l'impiego in tre o quattro mesi quando questi, purtroppo, non sono stati finanziati a dovere, perché se abbiamo il 7 o l'8 per cento rispetto ai dipendenti dei centri per l'impiego della Germania ci sarà un motivo. Quindi, siamo partiti da una situazione molto difficile, però già il fatto di investire un miliardo di euro strutturali sulla formazione dei dipendenti esistenti, sulle nuove assunzioni, sulle dotazioni informatiche, sulla logistica e sulle infrastrutture sicuramente è un qualcosa di importante e ne vedremo concretamente i benefici. Noi partiamo da 8 mila dipendenti ai quali si aggiungeranno 4 mila ulteriori dipendenti con l'impegno di questo Governo, preso durante la Conferenza Stato-regioni in una trattativa con le regioni, di stabilizzare anche i 1.600 a tempo determinato e in più si aggiungeranno i tremila navigator - la prima tranche, definiamola così - e altri 3 mila attraverso concorsi regionali. Quindi, si passerà da 8 mila a 18 mila e ciò vuol dire più del doppio del personale.

Ma non sono gli unici soggetti di questo programma e di questo progetto perché ci saranno anche le agenzie private per il lavoro che avranno un ruolo di sostegno e di supporto. Ci sarà un sistema di tipo integrato, così come ci saranno i comuni per quanto riguarda la presa in carico e voglio rimarcare il fatto che questo Governo in legge di bilancio ha stanziato delle importanti risorse per quanto riguarda l'incremento del Fondo per la lotta alla povertà e l'inclusione sociale: più 117 milioni per il 2020, più 145 milioni per il 2021. E il ruolo del Terzo settore, anche se non è citato esplicitamente, chiaramente se i comuni avranno maggiori risorse, saranno soggetti che io sono convinto saranno coinvolti ed avranno un ruolo anche loro.

Gli incentivi. Perché parlo di incentivi: per dire che non ci sono solo agenzie private per il lavoro, non ci sono solo i centri per l'impiego, non ci sono solo i comuni, ma ci sono anche i soggetti privati come le imprese, che avranno degli importanti incentivi perché prenderanno in sostanza il reddito di cittadinanza, prendendo la differenza rispetto a quanto il percettore di reddito ha percepito nei mesi precedenti prima di iniziare la sua nuova occupazione, avendo comunque una base minima di 5 mensilità a prescindere. E ci sono anche dei progetti per l'autoimprenditorialità, cioè per il soggetto che decide di aprire una propria attività, e quindi avere a disposizione delle mensilità in una quota unica. Altri soggetti sono anche gli enti di formazione, che anch'essi avranno la possibilità di beneficiare degli incentivi.

Siamo intervenuti anche rispetto ai controlli: anche in questo caso sono molte le parti in campo, sia per i controlli sia anche per quelli che sono coinvolti nello strutturare, nel mettere a sistema questa proposta. C'è il soggetto che deve accogliere le domande, c'è chi deve vagliare i requisiti dei potenziali beneficiari per l'appunto, chi si deve occupare dell'erogazione del reddito. Per questa ragione abbiamo coinvolto, anche con delle convenzioni, con delle trattative, i CAF e i patronati: hanno avuto un ruolo importante ovviamente, lo sanno tutti, anche le regioni e gli enti più di prossimità, l'INPS, le Poste. E poi sulla partita dei controlli, le convenzioni con la Guardia di finanza, le 100 assunzioni nella Guardia di finanza, così come le 65 per quanto riguarda il Nucleo operativo dei carabinieri, che opera all'interno dell'Ispettorato nazionale del lavoro, così come i mille spettatori dell'Ispettorato nazionale del lavoro. Poi, all'interno sempre degli stessi controlli, ci sono anche gli obblighi del programma del reddito di cittadinanza e le sanzioni, come per esempio una delle ultime introdotte durante la discussione, quella relativamente ai cambi di residenza.

Io ho sentito molte contestazioni, alcune sinceramente… Veramente, lo dico con tutta la volontà di non fare alcuna polemica: ho sentito delle contestazioni un po' contraddittorie tra loro. Sinistra, centrosinistra ci dicono che il reddito di cittadinanza è una misura discriminatoria, perché in sostanza non lo diamo agli extracomunitari; destra, centrodestra ci dicono l'esatto opposto, che il reddito di cittadinanza lo prenderanno solo gli immigrati: ma non è vero, lo dicono i numeri. Destra e centrodestra ci dicono che il reddito di cittadinanza è per i fannulloni che stanno sul divano a girarsi i pollici; sinistra, centrosinistra ci dicono che quello che abbiamo fatto, attraverso le sanzioni, attraverso una serie di obblighi importanti contro i cosiddetti furbetti, è sproporzionato e spropositato.

E ancora, qualcuno ci dice che il reddito di cittadinanza è rivolto al Sud, perché al Nord non serve; altri dicono invece che “quota 100” privilegia il Nord e non il Sud: come dicevo poc'anzi, i numeri ci dicono tutt'altro. Difatti i numeri, come dicevo poc'anzi, i dati ci dicono che la Lombardia è la seconda regione per numero di richiedenti, e ci dicono anche che per “quota 100” le domande provengono in egual modo sostanzialmente tra Nord e Sud.

Poi ci viene anche detto - sostanzialmente destra e centrodestra, soprattutto - che il reddito di cittadinanza è assistenzialismo e che la povertà si sconfigge con il lavoro; sinistra e centrosinistra ci dicono: la povertà si deve trattare diversamente, e non con le politiche attive ed i centri per l'impiego. Quindi forse, forse come spesso accade, la verità sta nel mezzo: quello che abbiamo voluto fare con questa operazione è di occuparci di 5 milioni di invisibili e dar loro la possibilità, per chi ne ha, di formarsi e rientrare nel mondo del lavoro; chi invece ha altro tipo di difficoltà, di poter fare un percorso con i comuni, con i servizi sociali, con i comuni che comunque, dicevo poc'anzi, avranno maggiori risorse, di occuparsi anche di queste persone. Cioè, non ci siamo dimenticati di nessuno.

Infine, è stato anche detto che questo provvedimento è stato fatto in fretta per le elezioni europee; però, nel contempo, ci è stato detto che il Rei per costruirlo, per studiarlo, per concretizzarlo ci sono voluti degli anni. Io mi domando se questa operazione l'avessimo fatta dopo qualche anno, tre anni e mezzo, quattro anni, quattro anni e mezzo, sicuramente ci sarebbe stato qualcuno che ci avrebbe detto: l'avete fatto per le elezioni, perché lo avete fatto a fine legislatura. Io penso, piuttosto, che la verità è un'altra: che i poveri non possono aspettare (Applausi dei deputati dei gruppi MoVimento 5 Stelle e Lega-Salvini Premier). Non possono aspettare perché hanno aspettato abbastanza, perché abbiamo delle raccomandazioni europee… A proposito di Europa, perché non è che possiamo sempre recepire quelle che sono le indicazioni dell'Europa o i diktat dell'Europa quando ci dice… E, in quel caso, il Governo e il Parlamento purtroppo sono stati celeri con il cosiddetto decreto “salva Italia”, che, a regime, porterà in pensione le persone a 70 anni: non ci si può fare una colpa per il fatto che noi stiamo cercando di intervenire nonostante tutte le difficoltà di carattere economico, perché adesso delle possibilità ci sono. Le cosiddette, appunto, raccomandazioni, di cui parlavo prima, dell'Europa, per contrastare la povertà in maniera concreta, a proposito del fatto che non si può più aspettare, son del 1992. Del 1992! Quindi veramente questo Parlamento, quando avrà approvato il provvedimento… Perché io veramente accolgo con sincerità il contributo di tutti: ve lo posso assicurare, che io ascolto sempre con interesse, perché ho ascoltato molti interventi dove si è mostrata competenza nella materia. Però, dico, dovremmo essere orgogliosi del lavoro che stiamo portando avanti, tutti, come Parlamento.

Per quanto riguarda il capitolo pensioni, anche in questo caso ho sentito parlare della questione lavori usuranti. Io mi domando come mai… Esiste la cosiddetta categoria dei lavori usuranti, che sono altra cosa rispetto ai lavori gravosi; ma perché, per esempio, molti lavori non sono mai stati considerati – penso ai muratori, ai carpentieri in particolare – tra i lavori usuranti? Io credo che il Governo si debba prendere l'impegno, sono sicuro che lo farà, di ristabilire quelle che sono le commissioni sui lavori usuranti, perché sono tantissimi i lavori usuranti, ed è difficile comprendere quanto una determinata professione, per quanti anni, influisce non solo sulla speranza di vita, ma influisce anche sulla qualità della vita. Questo Governo, sono sicuro, agirà in questo senso.

Però, mi domando se questi ragionamenti sono stati fatti prima di approvare la legge “Fornero”, per esempio, perché un muratore con le leggi previgenti, prima della conversione in legge poi di questo provvedimento, effettivamente un lavoratore edile è costretto ad andare in pensione a 67 anni di età; ora, con “quota 100” ci potrà andare con 62 anni di età. Sono 5 anni di differenza, è una risposta concreta anche questa (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

I cosiddetti lavoratori precoci. Molti di questi, tra l'altro, hanno fatto lavori usuranti, faticosi, perché i precoci sono coloro i quali hanno cominciato a lavorare presto, 14, 15, 16, anni. Io rientro in quella categoria, tra l'altro, quindi ho tutta la sensibilità; così come rientro nella categoria di quelli che hanno sensibilità per i lavori usuranti, l'edilizia, ma non c'è solo l'edilizia chiaramente, perché io ho visto mio padre spaccarsi le ossa a lavorare in cantiere, per quarant'anni, avanti e indietro da Brescia a Milano. So che cosa vuol dire, perché molti hanno fatto questo intervento, ma io ve lo assicuro che lo so (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle). Se siamo intervenuti nel blocco dell'aspettativa di vita fino al 2026, ciò dà proprio una risposta ai lavoratori precoci, a chi ha cominciato presto.

Così come dà una risposta anche “quota 100”, perché chi ha 62 anni di età e 38 di contributi potrà andare in pensione. Così come abbiamo, in qualche modo, valorizzato una parte del lavoro che è già stato svolto dal Governo precedente, non lo nego. L'Ape social non l'ha inventata questo Governo: c'era già, l'abbiamo prorogata. “Opzione donna” c'era già e l'abbiamo prorogata. Quindi, nessuno veramente vuole dileggiare o vuole contrastare tutto ciò che è stato fatto nel passato. Così anche per il Rei, che non è stato completamente distrutto: una buona parte del Rei rimane vivo e vegeto. E con questo voglio dire che relativamente ai cosiddetti lavori lavoratori precoci, e “quota 41”, anche in questo senso, il Ministro del Lavoro, Luigi Di Maio, si è impegnato per dare una risposta a questi lavoratori. Io capisco il fatto che ci si aspetta sempre di più di quello che si fa, ma io credo che questo Governo si è impegnato tantissimo, in questi pochi mesi, per dare delle risposte concrete.

Adesso non voglio uscire dal seminato: però, penso ai truffati delle banche, ai risparmiatori truffati; penso a tutta una serie di iniziative che sono state fatte anche in tema di ambiente, anche in tema di investimenti pubblici e, in questo caso, anche in tema di tutele e diritti perché si è rivisto in parte anche il Jobs Act con il “decreto dignità”; anche in tema di delocalizzazioni, i cosiddetti prenditori, perché ho sentito ancora, in Commissione, dei colleghi dire che noi chiamiamo gli imprenditori “prenditori”. Non è vero: penso che gli imprenditori, soprattutto chi ha piccole e medie imprese, chi si sporca ancora le mani sul luogo di lavoro, chi fa fatica assieme ai propri dipendenti magari anche a tirare fino a fine del mese, sono questi i veri eroi. I “prenditori” sono altri: sono quelli che prendono e sono aziende spesso enormi che esercitano anche delle forti pressioni e sono anche forti lobby. Lo sappiamo, l'abbiamo visto, negli anni, quali favori alcune grosse imprese hanno ricevuto dai Governi e quelle più in difficoltà sono le piccole e medie imprese proprio per questo. I “prenditori” sono quelli che prendono i soldi, i finanziamenti pubblici dalle tasse di tutti i cittadini e poi se ne scappano all'estero con quegli stessi soldi pubblici, facendo concorrenza sleale a chi già oggi decide di rimanere in Italia e valorizzare il made in Italy. Io credo che ci sia una bella differenza e penso che l'abbiamo spiegato anche bene, in questo senso.

Concludo dicendo che quello che stiamo facendo ora è qualcosa di storico, perché veramente ci rivolgiamo a una platea importante - lo dicevo stamattina, ma ci tengo a rimarcarlo - di persone che veramente non hanno voce, non vengono ascoltate perché non hanno lobby di riferimento. C'è qualche disperato, ogni tanto, che ti scrive via mail, ma spesso queste richieste d'aiuto, queste grida d'aiuto sono cadute nel nulla, perché ovviamente i poveri non si possono organizzare, fanno fatica, così come coloro i quali magari fanno fatica a uscire dal mondo del lavoro: perché chi, purtroppo, non è ricco e vede il traguardo della pensione sempre più allontanarsi non ragiona con la spensieratezza di chi ha tanti soldi e può dire: smetto di lavorare quando voglio.

Quindi, credo che effettivamente questo è uno dei tanti interventi del popolo e per questo sono orgoglioso di averne fatto parte, con tutti voi e per questo vi ringrazio (Applausi dei deputati dei gruppi MoVimento 5 Stelle e Lega-Salvini Premier).

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Colleghi, non abbiamo ancora finito. C'è un altro provvedimento, quindi, chiedo a chi vuole uscire di farlo in silenzio, così anche gli altri colleghi riescono a intervenire.

Discussione della proposta di legge: De Maria ed altri: Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sullo stato della sicurezza e sul degrado delle città (A.C. 696-A); e delle abbinate proposte di legge: Lupi ed altri; Gelmini ed altri; Rampelli ed altri (A.C. 1169-1313-1604) (ore 20,45).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge n. 696-A: Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sullo stato della sicurezza e sul degrado delle città; e delle abbinate proposte di legge nn. 1169-1313-1604.

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta del 13 marzo 2019 (Vedi l'allegato A della seduta 13 marzo 2019).

Ricordo che la Commissione propone la reiezione della proposta di legge.

(Discussione sulle linee generali – A.C. 696-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Avverto che il presidente del gruppo parlamentare del Partito Democratico ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.

Avverto, altresì, che la I Commissione (Affari costituzionali) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire il relatore per la maggioranza, presidente della I Commissione, deputato Giuseppe Brescia.

GIUSEPPE BRESCIA, Relatore per la maggioranza. Grazie Presidente, onorevoli colleghi, comunico all'Aula che il 13 marzo scorso la Commissione affari costituzionali ha deliberato di riferire in senso contrario sulla proposta di legge n. 696, che istituisce una Commissione parlamentare di inchiesta sullo stato della sicurezza e sul degrado delle città. Meritano di essere chiariti i motivi che hanno portato la maggioranza a tale scelta. Serve un chiarimento capace di andare oltre all'usuale destino avverso delle proposte di legge in quota opposizione: un destino che conosco bene alla luce dell'esperienza della scorsa Legislatura, quando una mia proposta di legge in materia di editoria fu bocciata da quest'Aula. Comprendo dunque perfettamente l'amarezza dell'ex relatore, Marco Di Maio, ma è un'amarezza che potrà essere facilmente superata con un dialogo franco sulle precisazioni che intendo porre all'Assemblea. In primo luogo è unanimemente riconosciuto il valore del lavoro svolto nella scorsa Legislatura dalla Commissione d'inchiesta sulla sicurezza e sul degrado delle città e delle periferie. In poco più di un anno la Commissione monocamerale, istituita solo qui alla Camera, fece un lavoro di ascolto e di analisi enorme, impreziosito da sopralluoghi e incontri diretti sul territorio che hanno cercato di avvicinare le istituzioni ai cittadini. Non avrei difficoltà a citare uno per uno i venti componenti di quella Commissione, dal presidente Causin ai vicepresidenti Castelli e Morassut in poi, e a ringraziarli per l'eredità lasciata al Paese: un documento di circa ottocento pagine con dati e mappature uniche che assegnano ancora oggi compiti e riflessioni al Parlamento e al Governo. La Commissione, onorevole Di Maio e cari colleghi, lavorò in un clima diverso da quello che ha accompagnato la proposta di legge in esame. Già in fase di discussione parlamentare, nel 2016, le forze politiche che oggi rappresentano la maggioranza si espressero sull'atto istitutivo della Commissione con un'astensione collaborativa. Favorimmo un clima di concordia politica, consapevoli della centralità del tema delle periferie e della necessità di un impegno e un impulso politico diverso rispetto al passato, un clima che non trovo nelle dichiarazioni rese mercoledì scorso da diversi esponenti del Partito Democratico né nei lavori preparatori della proposta di legge. Non c'era allora nessun approccio competitivo, nessuna voglia di rivalsa o protagonismo politico e soprattutto non c'era allora nessuna illusione o imposizione che solo con una Commissione d'inchiesta si sarebbero potuti risolvere tutti i problemi. Le Commissioni d'inchiesta, anche in virtù dei poteri ad esse assegnati dall'articolo 82 della Costituzione, rappresentano la forma più alta e visibile dell'azione ispettiva di ogni singola Camera o del Parlamento nel suo insieme. Una loro proliferazione, a parere di chi parla, sminuirebbe il senso e la portata di quell'istituto e soprattutto depotenzierebbe l'attività delle Commissioni permanenti che, nelle materie di propria competenza, possono già promuovere approfondite attività conoscitive, pur senza ovviamente intaccare i poteri dell'autorità giudiziaria. Pongo all'Aula dunque alcuni interrogativi. La finalità di una Commissione d'inchiesta è solo quella di sottolineare il pubblico interesse del tema di cui si occupa? E il pubblico interesse è maggiore se la Commissione è bicamerale? Insomma deve esserci per forza una Commissione d'inchiesta sulle periferie per garantire l'attenzione che il tema merita? La maggioranza ha una risposta chiara anche perché sul tema delle periferie non ci sono segreti o misfatti da portare alla luce. Ci sono sicuramente responsabilità politiche e istituzionali da chiamare continuamente in causa e sollecitare anche nei confronti dell'Esecutivo. Bisognerà seguire il percorso delle nuove convenzioni che consentiranno a 97 tra comuni e città metropolitane di mettere in cantiere investimenti per oltre 1,5 miliardi di euro per la riqualificazione urbana delle periferie. È un merito del Governo e della maggioranza aver legato l'erogazione delle risorse alla rendicontazione dello stato di avanzamento dei lavori da parte degli enti locali: certezze e trasparenza di spesa delle risorse sono un obbligo morale per dare risposte certe ai cittadini e non alimentare sfiducia verso le istituzioni. Merita interesse e attenzione il programma “Cultura Futuro Urbano”, promosso dal Ministro Bonisoli. È un piano da 25 milioni di euro fino al 2021 che investe sulla cultura come motore di miglioramento economico e sociale. Saranno oltre 100 i progetti finanziati che coinvolgeranno le scuole e le biblioteche dei quartieri periferici e il recupero di opere pubbliche incompiute.

Investire sulla cultura significa migliorare attraverso la bellezza la vivibilità delle periferie. Il programma si pone una sfida socialmente affascinante e determinante: la collaborazione tra istituzioni pubbliche e private e Terzo settore, un fattore capace di creare una vera comunità. Infine, con l'ultima legge di bilancio sono stati assegnati altri 7,5 milioni di euro al Fondo sport e periferie, risorse in precedenza destinate ad opere infrastrutturali e poi non assegnate o non utilizzate. Queste sono solo alcune delle prime azioni su cui il Parlamento potrà esercitare una legittima e doverosa azione di stimolo e proposta. Ogni singolo parlamentare potrà farlo direttamente nelle Commissioni permanenti e non necessariamente in una nuova Commissione bicamerale d'inchiesta. Faccio un esempio concreto che mi riguarda e mi interessa personalmente. Nella scorsa legislatura la Camera istituì la Commissione d'inchiesta sul sistema di accoglienza, di identificazione ed espulsione e sulle condizioni di trattamento dei migranti e sulle risorse pubbliche impegnate, io sono stato vice presidente di quella Commissione e rivendico ancora oggi il valore delle attività che insieme agli altri commissari abbiamo svolto. Sono noti a quest'Aula e al Governo l'interesse e la sensibilità personale per i temi dell'immigrazione, ma non credo che la soluzione dei problemi in materia di immigrazione, anche dei problemi lasciati insoluti dal decreto-legge n. 113 del 2018, passi da una nuova Commissione d'inchiesta bicamerale. Non per questo credo che il Parlamento debba smettere di occuparsi del tema, anzi, la Commissione Affari costituzionali, che presiedo, avvierà nelle prossime settimane per l'appunto un'indagine conoscitiva. La posizione dell'attuale maggioranza costituisce dunque un dissenso sul metodo, non sul merito, e d'altronde a parlare è la storia delle ultime legislature. Analizzando la storia delle circa novanta Commissioni d'inchiesta promosse dal 1948 in poi, emerge come dal 2006 l'istituzione di Commissioni bicamerali d'inchiesta abbia sostanzialmente riguardato esclusivamente la Commissione antimafia - ormai quasi una quindicesima Commissione permanente - e la Commissione d'inchiesta sui rifiuti, una tendenza brevemente interrotta nella scorsa legislatura a fronte di gravissimi fatti sociali ed economici come i misfatti registrati nel sistema bancario e finanziario, che enormi perdite e danni hanno arrecato a moltissimi cittadini, e a fronte della doverosa ricerca di verità sul caso Moro. Al riguardo, permettetemi di concludere questo intervento con un pensiero commosso al ricordo della strage di via Fani, avvenuta il 16 marzo di 41 anni fa, e con l'augurio di poter ritrovare nel dibattito che seguirà quegli elementi di apertura al dialogo che hanno contraddistinto l'attività politica e istituzionale del grande statista pugliese.

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il relatore di minoranza, deputato Marco Di Maio.

MARCO DI MAIO, Relatore di minoranza. Presidente, è un peccato che la maggioranza parlamentare che sostiene questo Governo non abbia voluto cogliere l'opportunità e la mano tesa che l'opposizione, in questo caso, in particolare il gruppo del Partito Democratico, ha rivolto a Lega e MoVimento 5 Stelle per avviare assieme, o meglio per proseguire insieme, un lavoro cruciale per il nostro Paese, perché ciò di cui stiamo parlando è qualche cosa che è una priorità a prescindere dai colori politici: una Commissione d'inchiesta sullo stato delle periferie e il degrado della città è infatti un problema che riguarda tutti, sia dal punto di vista squisitamente politico - ci sono città piccole e grandi amministrate da tutte le forze politiche presenti in questo Parlamento - che soprattutto come cittadini e rappresentanti delle istituzioni.

Una Commissione parlamentare d'inchiesta ha gli stessi poteri di indagine dell'autorità giudiziaria e può quindi andare a scavare nella profondità dei problemi che attanagliano le nostre città da Nord a Sud, capire quali sono le criticità e individuare possibili soluzioni, proseguire un lavoro già avviato. È un impegno prezioso per il nostro Paese che credevamo e ritenevamo utile riproporre anche in questa legislatura, ed è anche per questo motivo che abbiamo scelto nella quota dei provvedimenti all'esame della Camera che possono essere indicati dall'opposizione di proporre al Parlamento proprio questo testo. Un testo che aveva trovato, peraltro, un consenso trasversale nella scorsa legislatura, e che in questa legislatura è firmato anche da molte forze politiche, tra cui anche un autorevole membro di questo Governo, come il sottosegretario all'economia, Laura Castelli, che è tra i firmatari della proposta di legge del collega De Maria che avrebbe istituito questa Commissione d'inchiesta.

La proposta della Commissione nasce anche dal buon lavoro che ricordava il presidente Brescia - che ho apprezzato nei toni del suo intervento -, dal buon lavoro che ha ricordato, che è stato svolto dalla medesima Commissione nella precedente legislatura, arrivando ad approvare all'unanimità - uno dei rari casi in cui si è votato qualcosa all'unanimità nella precedente legislatura - la relazione conclusiva della Commissione, con oltre 700 pagine che analizzavano criticità, offrivano spunti di lavoro, davano delle possibili soluzioni da approfondire però ulteriormente. Tra le tracce di lavoro indicate la Commissione aveva individuato come linee di intervento la rigenerazione urbana, ossia l'insieme - cito testualmente - dei programmi complessi che privilegiano l'intervento in comprensori già costituiti, al fine di rendere vivibile e sostenibile lo spazio urbano, di soddisfare la domanda abitativa e di servizi, di accrescere l'occupazione e migliorare la struttura produttiva, di rassicurare la maggior parte della popolazione che risiede proprio nelle aree periferiche.

Accanto a queste si sono poi individuate in quel documento una serie di iniziative volte a migliorare la vivibilità e la sicurezza delle nostre città tramite l'uso di tecnologie innovative, politiche per la sicurezza integrata, interventi di assistenza sociale, valorizzazione della rete del volontariato e altri interventi di grande rilievo. A tutto questo si era poi collegato in parallelo il massiccio investimento fatto dal Governo Renzi per il rammendo - così lo avevamo definito - delle città e periferie: un piano da oltre 2 miliardi di euro di investimenti non stanziati da questo Governo, ma, come ricordavo, dal precedente, destinati, tramite bandi e progetti, e non a pioggia, a 120 città capoluogo e città metropolitane. Complessivamente questo programma interessava direttamente e indirettamente circa 350 comuni italiani, e vedeva impiegati, oltre ai fondi programmati, stanziati e assegnati dallo Stato, anche investimenti di altri enti pubblici e privati: complessivamente si andava attorno a una cifra vicina ai 4 miliardi di euro di lavori complessivi, tra stanziamento dello Stato e stanziamenti di altri enti, che avrebbero potuto migliorare la qualità della vita nelle nostre città. È un programma che questo Governo e questa maggioranza, probabilmente per il solo fatto di mettere da parte tutto ciò che è stato fatto dal precedente, hanno tentato di bloccare, senza preoccuparsi di valutare la fattibilità, l'utilità e l'efficacia di quel programma di interventi, ed è stata solo l'insistenza delle forze di opposizione, dei sindaci interessati, di tanti cittadini, a convincere il Governo a cambiare rotta e a rientrare parzialmente sui propri passi. Dico “parzialmente” perché ancora queste risorse non sono state erogate e nel frattempo si è perso tempo: i lavori non sono partiti, mentre potevano essere già partiti in molte realtà, non c'è la certezza di quando e come quelle risorse saranno erogate, si stanno siglando le nuove convenzioni con tutte le città, quando già erano state firmate delle convenzioni con il precedente Governo e con i sindaci, che non sono semplicemente i sindaci, sono anche i rappresentanti dei cittadini, e non sappiamo quando questi soldi potranno effettivamente arrivare nelle casse dei comuni, che nel frattempo però dovranno trovare risorse proprie per far partire i lavori.

PRESIDENZA DELLA VICEPRESIDENTE MARIA ROSARIA CARFAGNA (ore 20,55)

MARCO DI MAIO, Relatore di minoranza. Nel contempo si è persa anche una parte dei finanziamenti pubblici e privati collegati a quei finanziamenti statali, o quantomeno, anche qui, si sono persi mesi, e forse si perderanno anni, visto che non sempre chi ha disponibilità di investimenti privati è disposto ad investire quei soldi in qualsiasi fase dell'anno e del tempo. Si è creato un ginepraio in cui a rimetterci sono stati solo i comuni e le città coinvolte e in questo programma, a danno ovviamente di cittadini e imprese. Ci aspettavamo che dopo il caos prodotto con il bando periferie, solo parzialmente risolto, si fosse imparata la lezione, si fosse capito che le periferie meritano un'attenzione concreta, e per questo, nelle quote delle proposte di legge riservate all'opposizione, anziché proporre leggi che sarebbero state divisive, che avrebbero potuto mettere in difficoltà il dibattito parlamentare, che avrebbero magari anche fatto scoppiare contraddizioni interne alla maggioranza, abbiamo preferito partire con una proposta di legge che andasse incontro al favore di tutti i gruppi e cogliere una sensibilità che ritenevamo diffusa nella maggioranza, che proprio nelle periferie delle nostre città in campagna elettorale è andata a raccogliere voti promettendo maggiormente attenzione, investimenti, soluzioni di problemi, di questioni legate alla sicurezza.

Purtroppo tutto questo non è avvenuto, ancora una volta si sono tradite le promesse, e per lo più ci si è anche, da un certo punto di vista, presi gioco del lavoro parlamentare, perché noi abbiamo cominciato l'iter di questo provvedimento, di questa proposta di legge, il 10 ottobre del 2018 in Commissione affari costituzionali (e avevo avuto l'onore di essere nominato relatore). Abbiamo rimandato per diverse settimane l'avanzamento dell'iter; poi, finalmente, abbiamo adottato il testo base con l'accordo sostanziale di tutti i gruppi di maggioranza e opposizione, si sono anche presentati degli emendamenti, abbiamo aperto la fase emendativa. Forze della maggioranza hanno avanzato delle proposte di modifica del testo per dettagliare meglio la funzione della Commissione, per ampliarne il raggio d'azione. Con pazienza abbiamo cercato di limare gli emendamenti, di capire, anche nel dialogo informale tra i gruppi e con il Governo, come potevano essere riscritti, di dare tempo alla maggioranza di risolvere le proprie contraddizioni interne.

Lo abbiamo fatto sempre rispettosamente, senza mai tentare di fare facile polemica almeno su questo punto, e avremmo avuto sicuramente molte occasioni per poterlo fare, ma abbiamo preferito avere un approccio costruttivo. Siamo andati avanti di rinvio in rinvio per settimane, al fine solo di assecondare le esigenze interne ai gruppi di maggioranza; poi, improvvisamente, a due giorni dalla conclusione dell'iter in Commissione, la maggioranza è venuta nell'aula della Commissione affari costituzionali e ci ha detto che non era più intenzionata ad andare avanti sul provvedimento. Ovviamente, da relatore, ho subito rassegnato le dimissioni non appena è stato bocciato un emendamento a cui avevo dato parere favorevole; poi, però, non è stato spiegato nulla sulle effettive ragioni di quel diniego, salvo l'intervento di oggi del presidente Brescia, che, evidentemente, non ha responsabilità dirette, essendo stato un dialogo tra i partiti di maggioranza, e fino a quel punto aveva molto correttamente svolto il proprio ruolo di presidente. La verità, probabilmente, è che delle periferie e delle nostre città, come già si era dimostrato con il tentato blocco dei fondi per le periferie già stanziati, lo ripeto, con contratti firmati, con convenzioni firmate, probabilmente importa poco o nulla.

Prevalgono le logiche che hanno portato questa maggioranza a essere ostaggio delle sue contraddizioni, arrivando al punto di gettare nel cestino anche quelle proposte di legge che da Regolamento sono riservate all'opposizione. Viene quindi espropriato, da un certo punto di vista, il Parlamento nella sua funzione; si nega la possibilità di lavorare nel concreto su queste proposte, sui punti che erano nell'agenda della Commissione d'inchiesta, e si sconfessa persino ciò che le stesse forze di maggioranza hanno proposto, perché, voglio ricordare, e mi accingo a concludere questo intervento, che questa proposta di legge era firmata anche da autorevoli esponenti della maggioranza e del Governo. Ovviamente, non ci fermeremo qui: continueremo a battere su questo punto, a chiedere il rispetto degli impegni, a evidenziare la necessità di sbloccare le opere che sono già finanziate e che sono già programmate, di dare una mano concreta ai territori. Si parla molto della TAV, sulla quale non abbiamo capito, alla fine, quale sarà l'intenzione del Governo, ma da quando c'è questo Governo sono tantissime, purtroppo, le opere che sono bloccate, tra cui anche quelle che riguardano città e periferie.

Credo che della schizofrenia di questa maggioranza gli italiani si stiano accorgendo. Dopo avervi dato fiducia con parole che hanno speculato su paura, rabbia, rancore e insicurezza, di fronte alla mancanza di fatti e risultati gli italiani progressivamente vi abbandoneranno sempre di più, e, come sempre, il tempo si rivelerà galantuomo.

PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire successivamente.

È iscritto a parlare l'onorevole De Maria. Ne ha facoltà.

ANDREA DE MARIA (PD). Grazie, Presidente. L'onorevole Marco Di Maio nel suo importante intervento ha già detto molto, ha già illustrato un punto di vista che condivido pienamente; quindi voglio, anche da primo firmatario della proposta di legge, sottolineare alcuni elementi che già venivano ricordati. Il primo è questo: perché sarebbe stato importante istituire una Commissione bicamerale d'inchiesta sulle nostre periferie, sulle situazioni di disagio e di insicurezza che vivono i cittadini delle nostre periferie? Perché queste realtà delle nostre città, del Paese, presentano problematiche specifiche che meritano di essere approfondite, perché in queste realtà alcune contraddizioni e alcuni conflitti si manifestano in modo particolarmente acuto e complesso - pensiamo a tutto il tema delle politiche di integrazione - e perché nelle periferie italiane si vive un contesto di disagio sociale, di conflitto sociale che un'istituzione come la nostra non può non vedere e non deve sottovalutare.

Evidentemente, però, la maggioranza ha paura che di questo si discuta, soprattutto si discuta di quello che effettivamente la maggioranza e il Governo, dopo tante promesse, stanno facendo per le periferie italiane, o meglio, non stanno facendo per le periferie italiane.

Qui è stata citata da chi è intervenuto prima di me, dal collega Brescia, la Commissione d'inchiesta monocamerale della Camera, che, peraltro, ha lavorato in un tempo molto breve, perché è stata istituita in corso di legislatura. Sono uno dei venti commissari, e quindi ringrazio per l'apprezzamento che è stato qui manifestato. Segnalo che, proprio in quella sede, fra i commissari che hanno lavorato in quella sede, si era ragionato di strutturare in questa legislatura un lavoro più organico e, in particolare, di prevedere una Commissione bicamerale. Quindi, diciamo che proprio il lavoro che è stato qui ricordato e a cui tanti di noi, tanti di quei venti, hanno dato un contributo, aveva portato a questa proposta di legge e allo spirito di proseguire un lavoro costruito insieme in una Commissione bicamerale.

Devo dire che, se forse c'è un tema che meritava l'attenzione della nostra istituzione, uno strumento più efficace del lavoro delle Commissioni permanenti, credo fosse proprio quello delle periferie italiane; d'altra parte, veniva adesso ricordato, purtroppo questa maggioranza sulle periferie ha iniziato male, mettendo in discussione quel bando per le periferie molto importante negli interventi che conteneva, con realizzazioni già in corso d'opera, che era stato finanziato nella legislatura precedente, e quindi le risorse di cui si parlava prima sono risorse che avevano stanziato il precedente Governo e la precedente maggioranza di Governo, tornando in parte indietro su questa azione di attacco al bando periferie solo per una contestazione fortissima che era venuta da tutti gli enti locali e dall'ANCI nell'insieme delle sue espressioni, anche di appartenenza politica.

A cosa serve una Commissione? Una Commissione, sostanzialmente, ha due grandi temi da mettere in campo: certo, prima di tutto approfondire le questioni, conoscerle meglio, studiarle; e poi - e questa è un po' l'eredità che ci aveva lasciato anche la Commissione precedente - costruire prima di tutto un insieme di proposte di legge, di ragionamenti su proposte di legge, da mettere a disposizione del Parlamento, che consentano di costruire un'attività legislativa più efficace su un tema in questo caso così importante, come le periferie, che una Commissione affronta.

Per esempio, noi avevamo iniziato a ragionare, e avremmo potuto farlo in questa nuova Commissione bicamerale, di come riformare le normative urbanistiche per mettere al centro la qualità urbana; di come riformare tutta la normativa che regola il rapporto fra pubblico e privato negli interventi urbanistici, sempre a favore della qualità urbana; della normativa che riguarda l'edilizia residenziale pubblica; di una verifica dell'efficacia di interventi a tutela della sicurezza dei cittadini messi in atto - penso ai Daspo -, anche questi, nella scorsa legislatura; di come promuovere politiche più efficaci che coinvolgano l'associazionismo e chi promuove la coesione sociale nelle politiche di sicurezza e di integrazione, e così via.

E, poi, la Commissione deve verificare quello che il Governo sta facendo su un tema in questo caso così delicato come quello delle periferie. Evidentemente, di questo non si vuole che il Parlamento si occupi davvero; non si vuole che avanzi proposte di legge, forse perché delle periferie e dei cittadini che vi abitano ci si occupa solo in campagna elettorale, ma non poi nell'attività concreta, vera, legislativa.

E, poi, lo dicevo prima, probabilmente non c'è la volontà di avere un'attenzione, un faro del Parlamento su quello che si fa per le periferie italiane e su quello che il Governo mette in campo per le periferie italiane. Penso che, con la scelta che avete fatto, quando voteremo definitivamente in Aula si sprecherà un'occasione per i cittadini delle nostre periferie.

Noi abbiamo ritenuto, comunque, di proseguire con l'iter della proposta di legge: avete i numeri e la maggioranza per bocciarla, ma abbiamo deciso comunque di portarla in Aula, perché vogliamo dare il segno di un'opportunità che viene persa, e la vogliamo lasciare anche per una riflessione futura, perché si fa sempre in tempo a tornare sui propri passi e a cambiare una scelta, che noi riteniamo molto sbagliata, come quella che questa maggioranza sta facendo.

E, soprattutto, non smetteremo di impegnarci per le periferie italiane e per i cittadini che vi abitano, per sostenere il fatto che finalmente le risorse del bando periferie vengano impegnate; per ragionare su come, dopo quel bando, si possano mettere in campo ulteriori iniziative; perché riteniamo che più della propaganda debbano contare i fatti, l'azione concreta; perché ci sono aree delle nostre città che soffrono e, rispetto a questa realtà, le nostre istituzioni avrebbero il dovere di esserci e di essere presenti.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Calabria. Ne ha facoltà.

ANNAGRAZIA CALABRIA (FI). Presidente, onorevoli colleghi, l'istituzione di una Commissione parlamentare d'inchiesta sullo stato della sicurezza e sul degrado delle città rappresenta uno degli impegni più significativi e anche più qualificanti che contraddistingue l'azione di una maggioranza parlamentare attenta all'evoluzione delle dinamiche sociali e di sicurezza dei centri abitati.

Istituire una Commissione che fotografi la realtà del Paese, che ne faccia una mappatura precisa e che possa suggerire al Parlamento e al Governo una serie di azioni che siano finalizzate, sia sul piano della sicurezza che su quello della prevenzione e della rigenerazione urbana, a migliorare la qualità della vita delle persone che abitano nelle nostre città, è un dovere che abbiamo nei confronti di tutti i cittadini; una responsabilità che questa maggioranza parlamentare ha deciso di non assumersi, avendo il coraggio di votare, in Commissione affari costituzionali, un emendamento interamente soppressivo della proposta di legge in esame, presentato dal presidente della citata Commissione, qui, presente, Giuseppe Brescia, nonché relatore del provvedimento.

Quanto accaduto in Commissione non rappresenta soltanto una mancanza di rispetto del corretto rapporto tra maggioranza e opposizione e una evidente lesione dei diritti dell'opposizione, ma si spinge ben oltre; rappresenta, infatti, una vera e propria rottura di equilibrio tra potere esecutivo e potere legislativo, tra Governo e Parlamento; si tratta di un unicum in negativo della storia parlamentare che non può e non deve in alcun modo passare inosservato e che, al contrario, abbiamo il dovere di denunciare con fermezza e con responsabilità. Perché non esistono motivazioni plausibili per non istituire una Commissione parlamentare d'inchiesta su un tema così importante e strategico per il Paese.

Buona o cattiva che sia una proposta di legge, il Parlamento ha diritto di discuterla e le opposizioni hanno diritto di mantenere le loro prerogative. Nel momento in cui, invece, si innesca un meccanismo perverso che mira a non far discutere alle opposizioni il contenuto delle proposte di legge, la Presidenza deve fornire una risposta, guardando anche al Regolamento. Ed è un vero e proprio paradosso, se consideriamo che certe forzature procedurali sono poste in essere proprio dal gruppo del MoVimento 5 Stelle che, nella precedente legislatura, era solito, invece, sbandierare le più svariate argomentazioni a tutela delle minoranze parlamentari.

Tutto questo è l'ennesima dimostrazione del fatto che i diritti delle opposizioni, in questa Camera, contano “zero”, proprio perché ci troviamo di fronte a una maggioranza sorda dinanzi alle nostre richieste e alle nostre prerogative.

Dunque, onorevoli colleghi, il mio appello si rivolge, prima di tutto, ai banchi della maggioranza; è fondamentale che non si verifichino mai più situazioni in cui l'opportunismo politico sopravanzi i diritti dell'opposizione, con un atteggiamento di chiusura e di prepotenza che vi sta portando sulla strada sbagliata, lontano dalla realtà e da quelle che sono le vere priorità di questo Paese. Perché, vede, caro presidente Brescia, ancorché le sue parole siano state pacate e certamente cortesi, di dialogo, è chiaro che, poi, quelli che contano sono i fatti e i fatti sono che, ad oggi, voi dimostrate un atteggiamento di totale chiusura e di totale prepotenza.

E c'è di più, perché con la reiezione della proposta di legge in esame si interrompe un percorso importante, intrapreso durante la precedente legislatura; in quel caso, la Commissione stessa ha svolto un ruolo fondamentale di studio e di monitoraggio delle nostre città, avviando un percorso che sarebbe, non solo necessario, ma doveroso proseguire. E, a tal proposito, vorrei ricordarvi che, come poi ben si espresse la Commissione parlamentare di inchiesta sullo stato della sicurezza e del degrado delle città italiane e delle loro periferie, nella sua relazione conclusiva, approvata nella seduta del 14 dicembre del 2017, è indispensabile rafforzare gli strumenti parlamentari e governativi per promuovere e gestire le politiche urbane.

A tal riguardo, la stessa Commissione - ed è stato ben spiegato testé dal collega De Maria che ringrazio per il lavoro che ha fatto durante la scorsa legislatura e anche per i lavori che aveva in programmazione per questa - suggerì al Parlamento di rendere permanente l'esperienza utilmente sperimentata, istituendo nella XVIII legislatura una Commissione bicamerale per le città e per le periferie.

È, dunque, evidente come, in questo caso, si stia violando la volontà espressa da un organismo istituzionale, quale la Commissione d'inchiesta parlamentare, chiudendo in un cassetto il lavoro svolto con dedizione da parlamentari e anche da professionisti.

Il degrado delle città italiane non è certo un elemento di novità, sia per chi le abita che per chi le amministra, tuttavia, sugli aspetti problematici legati al modello di integrazione, alla qualità del contesto urbano, alla qualità dei servizi, alle condizioni di sicurezza, alla criticità del welfare, dal punto di vista della convivenza civile e della proposta educativa, non è mai stata svolta una riflessione sistematica. L'istituzione di una Commissione parlamentare rappresenterebbe di sicuro una buona occasione per poter intraprendere un percorso importante in tal senso.

E senza infingimenti, l'esigenza e l'urgenza per il nostro Paese di mettere al centro dell'azione politica il tema delle città e anche delle periferie nasce da quanto è accaduto e sta accadendo in Europa, in modo particolare in Francia, in Belgio e in Germania, dove è sempre più chiaro che il disagio individuale e sociale, che matura all'interno delle aree urbane degradate, in cui la disoccupazione giovanile è altissima e in cui lo Stato è completamente arretrato, diventa il terreno di coltura ideale per il fondamentalismo, il terrorismo e anche per mettere a punto un disegno stragista dal punto di vista individuale.

Ma, senza andare troppo oltre, basta soffermarsi per un attimo sullo stato di degrado che sta vivendo ormai da troppo tempo la capitale d'Italia, Roma, e non solo in periferia. Soprattutto negli ultimi anni, un po' alla volta, Roma sta perdendo i pezzi del proprio volto. È una città che sta registrando un vero e proprio tracollo socioeconomico, che è evidente ormai; è sufficiente guardarsi intorno per comprendere che la città più bella del mondo prende forma tra buche, rifiuti, erbe infestanti sui marciapiedi, animali di ogni specie; basti pensare al caso dei cinghiali che rovistano tra i rifiuti e che non solo rappresentano un serio pericolo per la sicurezza e l'incolumità di tutti i cittadini, ma che hanno anche un impatto disastroso per le aree agricole. Ci sono, inoltre, fermate della metropolitana chiuse da mesi, come nel caso della stazione Repubblica della metro A, con ricadute negative sulla vita dei cittadini, dei residenti e dei turisti e con ripercussioni sul fronte economico per i commercianti della zona che stanno registrando un pesantissimo calo di volume negli affari. Senza dimenticare le gravissime conseguenze sull'incolumità dei romani causate dalla caduta di alberi e le tante opere di valore che sono completamente abbandonate al degrado; penso, ad esempio, alle sorti dello stadio Flaminio che, come tutta la zona circostante, versa in uno stato avanzato di abbandono e di incuria da quasi otto anni, con gli interni devastati dalle infiltrazioni e da altri danneggiamenti, con le aree verdi circostanti ormai diventate boscaglia.

Su tutto questo troneggia il problema della spazzatura che è ormai fuori controllo anche nel centro. Per tutta risposta il comune e AMA vogliono realizzare un nuovo impianto di compostaggio nell'area a nord di Roma, a Cesano, in un territorio già saturo in termini di siti per la raccolta, lo stoccaggio e lo smaltimento dei rifiuti e altamente a rischio in termini di inquinamento ambientale ed elettromagnetico a causa della presenza delle antenne di Radio Vaticana e del sito per lo stoccaggio di rifiuti radioattivi all'interno del Centro ENEA Casaccia. A ciò si aggiunge il tema ancora non risolto delle occupazioni abusive anche in riferimento al patrimonio residenziale pubblico costituito da 48.325 alloggi di proprietà ATER e da oltre 20 mila di Roma Capitale. Si tratta di un problema che si intreccia inevitabilmente a quelli della legalità e della sicurezza nelle periferie. In via Castelleone, nella zona di Santa Cornelia, ad esempio, si è creato un insediamento abusivo, al cui interno vivono decine di persone non residenti e non censite dal comune di Roma capitale. L'insediamento è sorto in un terreno privato, all'interno del quale il proprietario ha realizzato una serie di costruzioni tra immobili, garage e prefabbricati che sono stati trasformati in abitazioni improvvisate. All'interno dell'insediamento vige una condizione di totale illegalità e non è un caso isolato. A Roma esistono delle vere e proprie enclave del degrado, delle zone franche in cui vige il completo disconoscimento dello Stato e della legge, dove possono maturare le condizioni per eventi drammatici. Le cronache dello scorso anno ci hanno consegnato la terribile vicenda di Desirée Mariottini, una ragazza uccisa all'interno di uno stabile occupato a San Lorenzo. Questo non è più tollerabile ed è ancora troppo lungo l'elenco degli stabili occupati, basti pensare a quelli indicati come priorità dallo stesso Viminale: l'ex scuola in via Cardinal Capranica, lo stabile in via dell'Impruneta, l'ex INPS in via Tuscolana, un palazzo in viale del Caravaggio o, ancora, il caso del Selam Palace in via Arrigo Cavaglieri, occupato dal 2006. Questi immobili divengono dei veri e propri fortini del terrore, dei veri e propri mercati della droga, dove gli immigrati clandestini spesso vendono la morte ai nostri figli. Ecco, questo non è più tollerabile.

Accanto alla complessità dei grandi centri urbani è di maggiore rilievo la condizione di vita di quindici, lo ripeto, quindici milioni di italiani che oggi vivono nei contesti delle periferie delle grandi città, luoghi che sul piano della sicurezza, della qualità della vita, della qualità dell'integrazione, dei servizi sociali e delle infrastrutture sono assolutamente inadeguati e indecorosi. Alla grande stagione di investimenti e di riqualificazione dei centri storici delle nostre città, se si fa eccezione per alcuni casi particolari che dovrebbero comunque essere presi a modello, non è corrisposto un eguale impegno nella rigenerazione urbana delle periferie, ragione per cui è quasi la regola che ci si possa trovare in situazioni completamente differenti a pochissimi chilometri di distanza. Tali differenze sono molto spesso scandalose nella qualità abitativa, nei trasporti, nei servizi, nelle scuole e nelle strade e sono spesso la ragione della rabbia e della disperazione di moltissimi cittadini. Dunque, è proprio dalla necessità di comprendere a fondo questi fenomeni che il gruppo di Forza Italia ha presentato una proposta di legge, di cui è prima firmataria la nostra capogruppo, che intende istituire una Commissione parlamentare d'inchiesta su questo fenomeno a partire dal degrado delle città e delle loro periferie e a partire dalle aree metropolitane, con particolare attenzione alle implicazioni sociali e della sicurezza legate anche a una maggiore presenza di residenti stranieri.

Le periferie sono, però, una realtà articolata e complessa e non possono essere descritte unicamente come luoghi di stazionamento dell'immigrazione irregolare, di campi rom e di persone senza fissa dimora che si dedicano alla criminalità predatoria, a furti in abitazioni, a furti di autoveicoli, scippi o borseggi. Le periferie non possono neanche essere descritte solo come luoghi di occupazione abusiva di immobili pubblici o privati e nemmeno unicamente come discariche a cielo aperto oppure luoghi dove sussiste una dispersione scolastica quasi dell'80 per cento e una disoccupazione giovanile di oltre il 50 per cento né possono essere considerate solo così se consideriamo che possono essere delle aree residenziali prestigiose, dotate di servizi, di aree verdi e abitate da persone nate lì o che pure per scelta decidono di abitarvi. In altri casi, invece, sono il risultato di un processo di urbanizzazione residenziale e pensiamo a Scampia a Napoli, a Corviale a Roma, Zen a Palermo, la Diga a Genova e San Paolo a Bari. Le periferie sono anche luoghi dove si localizzano numerose attività produttive, centri commerciali, logistici e industriali e sedi decentrate delle università. La riqualificazione di queste aree appare essenziale per migliorare la qualità di vita dei residenti offrendo loro servizi, un efficace controllo da parte delle forze dell'ordine, scuole, aree verdi e palazzi condominiali che non rappresentino nella loro forma e ampiezza il segnale più evidente che si è in un'area di minor benessere e di maggiore emarginazione.

Alla luce di quanto detto a nome del gruppo di Forza Italia chiedo a voi che sedete sui banchi della maggioranza di tornare sui vostri passi, di ripartire da una Commissione che possa sancire finalmente un cambio di rotta e che sia in grado di consegnare ai nostri figli luoghi più sani e più vivibili. Quali siano i motivi che vi abbiano spinto a denigrare un provvedimento di tale importanza sono a noi sconosciuti e perciò dovrete darne conto a quest'Aula e a tutti i cittadini. Come vi ripetiamo da tempo, un Paese che non punta sulle infrastrutture, sulle città, sul miglioramento della qualità della vita delle persone è un Paese che non ha molta strada da fare. Con la responsabilità che dovrebbe contraddistinguere questo Parlamento votiamo subito per l'istituzione di una Commissione parlamentare d'inchiesta finalizzata ad affrontare i problemi relativi alle condizioni di sicurezza e allo stato di degrado delle città e delle loro periferie con l'auspicio che tale iniziativa, alla luce del lavoro svolto in precedenza, possa incontrare l'unanime consenso di tutte le forze politiche.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Mollicone. Ne ha facoltà.

FEDERICO MOLLICONE (FDI). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, la proposta di legge che inizia oggi il proprio iter di approvazione prevede appunto, come abbiamo ascoltato, l'istituzione di una Commissione bicamerale d'inchiesta parlamentare sullo stato della sicurezza e sul degrado delle città. Fratelli d'Italia, nonostante il contesto politico in cui questa arriva in Aula, voterà convintamente a favore. Rivendichiamo, inoltre, di aver presentato una proposta di legge ora abbinata a prima firma del Vicepresidente Fabio Rampelli, già componente della Commissione in esame nella scorsa legislatura. Dunque, organizzare le città, le politiche urbane e il riequilibrio fra centro e periferia sono diventate questioni di vitale importanza per il legislatore. La Commissione bicamerale d'inchiesta, già istituita nella XVII legislatura, è uno strumento utile per la nostra azione di miglioramento della vita dei cittadini e del benessere della nazione.

Più della metà della popolazione mondiale vive nelle città. Per la prima volta nella storia dell'umanità il numero di persone che vive in un contesto urbano ha superato quello di chi vive nelle campagne ed è un dato storico in costante aumento. Secondo gli analisti entro il 2050 il 70 per cento della popolazione vivrà in una città. L'80 per cento dell'economia mondiale passa per le città. Per esempio, il solo corridoio Boston-New York-Washington, assieme a Los Angeles, forma il 30 per cento dell'economia statunitense.

Pensiamo, poi, solo al ruolo di Milano, di Torino e di Genova. Le periferie urbane hanno superato la definizione classica di ambito lontano rispetto al nucleo storico delle città o come polarità opposta rispetto al centro. Sono ormai una condizione trasversale che, oltre a riferirsi all'espansione esponenziale dei contesti urbani negli ultimi due decenni, comprende tutte quelle zone più densamente popolate dove sono riscontrabili fenomeni di degrado, di marginalità e di povertà. Le periferie sono anche il luogo del disagio sociale, come sappiamo, e i meccanismi di mercato che hanno determinato l'espansione periferica non hanno trovato una modalità di realizzazione dell'edilizia residenziale con problemi sociali e di decoro. Secondo Federcasa sono giacenti attualmente più di 650 mila domande di famiglie in possesso dei requisiti per accedere a un'abitazione pubblica; nel contempo più di 49 mila abitazioni dell'edilizia residenziale pubblica risultano occupate abusivamente, pari al 6,4 per cento dell'intero patrimonio nazionale. Dall'altra, vi sono le condizioni del patrimonio abitativo. Secondo Casa Italia il patrimonio edilizio in condizioni mediocri o pessime costituisce una quota significativa di quello esistente nelle città italiane: Napoli e Reggio Calabria 40 per cento, Roma 20 per cento, Milano 10 per cento.

La condizione delle periferie riguarda anche i temi della sicurezza, dell'ordine pubblico e dell'integrazione della popolazione straniera. Infatti, esistono interi spazi pubblici sottratti allo Stato, con gravi fenomeni di illegalità che riempiono le cronache dei nostri giornali. La stessa occupazione di immobili rende estremamente incerto il controllo del territorio in quanto può servire da copertura ad attività criminali come lo spaccio di stupefacenti e la ricettazione. Pensiamo, poi, al pericoloso fenomeno dei roghi tossici, particolarmente presenti a Roma, Napoli, Torino e in parte anche a Milano e su cui Fratelli d'Italia si è battuta e si batte quotidianamente. A Roma non passa giorno senza il quale non sia avvisato un nuovo rogo tossico con rischi ambientali e sanitari elevatissimi. Anche il tema ambientale non è da sottovalutare ed è legato sicuramente al degrado delle periferie. Un caso concreto che i colleghi del MoVimento 5 Stelle anche se non di Roma dovrebbero conoscere bene perché è assurto alle cronache nazionali è il TMB Salario, un impianto di trattamento meccanico-biologico dei rifiuti situato nel III municipio di Roma praticamente in mezzo a un complesso abitato sulla Salaria. Uno stabilimento che stava desertificando il territorio: chi ha potuto ha lasciato il proprio quartiere e gli altri sono rimasti tra case invivibili e deprezzate, attività commerciali in bilico e un tessuto economico e sociale in progressivo appassimento. ARPA Lazio ha rilevato criticità nell'impianto sottolineando come di fatto quell'impianto per il trattamento meccanico-biologico somigliasse ormai più a una discarica. Ora un incendio - e non certo il sindaco Raggi - ne ha provocato la chiusura e, quindi, ha temporaneamente risolto il problema.

La Commissione avrebbe avuto - e speriamo appunto in un ravvedimento operoso, come si dice in gergo, della maggioranza - fra le proprie mansioni anche il monitoraggio delle connessioni che possono emergere tra disagio urbano e radicalismo religioso. I casi di cronaca ci hanno consegnato uno spaccato ricco di complessità in cui i temi della periferia si mischiano a casi di radicalizzazione individuale. A Roma, nelle periferie come Centocelle, abbiamo avuto esempi di galassia diffusa delle moschee non registrate e quindi abusive ma basta anche scendere alla stazione Termini e andare nel rione Esquilino dove ce ne sono più di dieci. Gli analisti non collegano direttamente i fenomeni ma -come ci insegna la teoria sociologica della finestra rotta -dove esiste il degrado è più probabile che si generi illegalità e violenza.

Arriva la fatidica domanda sul che fare, ma questa domanda voi pare non esservela posta. La ricucitura fra gli spazi della politica passa per un approccio che preveda un'analisi su vari livelli, dagli aspetti umani a quelli propriamente urbanistici, un miglioramento dell'ambiente urbano, del punto di vista sociale, ambientale e fisico che di per sé può essere considerato rigenerazione urbana. Solo per questi due termini voi dovreste votare a favore su questa proposta perché attraverso l'analisi sociologica e politica e il monitoraggio e la vigilanza sul degrado delle periferie è possibile stilare una mappa della necessità di rigenerazione urbana.

Le periferie sono anche i luoghi dove sono localizzati gran parte degli spazi produttivi e di lavoro, dai grandi complessi per uffici ai centri logistici e industriali, alle aree di ricerca e innovazione ai poli commerciali. C'è una vita pulsante che ormai riguarda anche le iniziative culturali che costituiscono punti di riferimento di grande interesse per creare circuiti virtuosi di riqualificazione urbana come gli spazi museali dell'Hangar Bicocca a Milano, del teatro Tor Bella Monaca, che è un esempio di successo di aggregazione comunitaria all'interno di una zona estremamente periferica e difficile a Roma, o della Città della scienza di Bagnoli a Napoli. Le città che sopravvivono in tempi di crisi sono quelle che realizzano incubatori di attività produttive, città capaci di sperimentare tipologie abitative che stanno al passo con la domanda in evoluzione, città che danno risposte concrete a chi le vive e a chi è pronto ad investire. Bilbao, Berlino, Amburgo e molte altre città europee sono state capaci di cavalcare lo spirito del tempo e diventare città cantiere, in continua sperimentazione. Un esempio? Ad HafenCity, ad Amburgo, i magazzini portuali sono stati convertiti in edilizia residenziale ed implementati da un efficiente sistema di infrastrutture e servizi.

La rigenerazione urbana può rilanciare interi spazi lasciati a se stessi nel degrado, e rilanciarli per attirare talenti e valore economico. La rigenerazione urbana, soprattutto, distrugge ed annienta il concetto stesso di periferia, creando delle città policentriche dove non esiste più soltanto un centro e appunto la periferia, ma esistono le città policentriche, dove in ogni quartiere c'è la piazza, ci sono i portici, ci sono i punti di aggregazione, c'è la riqualificazione urbana, c'è la rigenerazione di edifici abbandonati o mal costruiti. Grazie alla diffusione del consenso per gli obiettivi di contenimento del consumo di suolo - tema su cui dovreste avere sensibilità, o così almeno avete detto in campagna elettorale -, la sensibilità appunto sta aumentando, ma non è corrisposto, almeno finora, un altrettanto significativo incremento delle pratiche di riconversione del dismesso.

Per quanto quello del riuso e del recupero di spazi industriali ed immobili inutilizzati nei contesti urbani sia identificato come il mercato del futuro, secondo i calcoli del World Economic Forum stimato per 1.600 miliardi di dollari, oggi resta ancora enorme, almeno nel nostro Paese, la differenza tra il respiro del dibattito e l'incidenza delle pratiche reali. Non si rigenera in Italia, e voi, che avevate inserito tante buone pratiche nel vostro programma elettorale e anche nel contratto di Governo, voi che avete un sindaco di Roma che ha sottoscritto un protocollo d'intesa con gli architetti e con la regione per la rigenerazione urbana, poi non attivate uno degli strumenti principali per capire e prevenire il degrado e fare una mappa del degrado delle periferie.

Le periferie non possono essere lasciate nella marginalità dell'azione amministrativa, ma devono riguadagnare la loro corretta collocazione nell'ambito dei nuclei metropolitani a cui appartengono, e devono essere rilanciate sotto un profilo economico e produttivo. L'architetto Léon Krier - di cui forse non avrete mai letto nulla, ma è stato molto apprezzato anche a Roma, quando la giunta di centrodestra ha sviluppato un masterplan per la prima volta nella capitale di rigenerazione urbana, pensate un po', di Tor Bella Monaca - scrive al riguardo che “le città sono l'immagine del nostro valore materiale e spirituale: non sono solo espressioni dei nostri valori ma danno loro una materialità”. Krier pone soprattutto l'attenzione su come la città sia il principale modello di sviluppo umano: “Le città determinano il modo in cui usiamo o sprechiamo la nostra energia, il nostro tempo e le risorse del globo”.

Questo concetto, il concetto che abbiamo provato a portare come buon governo nella capitale con il masterplan di Tor Bella Monaca, di rigenerazione urbana, e come è stato fatto in Inghilterra proprio da Krier, e come viene fatto anche in altri luoghi e in altre città europee; la rigenerazione urbana, dicevo, serve proprio - dopo l'analisi appunto delle periferie, del degrado, della disgregazione sociale - a capire dove bisogna intervenire.

Oggi voi, compite questo atto di arroganza istituzionale, facendo incardinare un provvedimento e annunciandone il voto contrario; voi, quelli della famosa scatoletta di tonno, quelli dello streaming ovunque e dovunque tranne quando governate: andate a vedere, adesso, nelle Commissioni la scena triste dello streaming che deve essere autorizzato ogni volta quando ci sono audizioni o Commissioni di particolare interesse, invece che esserci sempre, come sarebbe legittimo aspettarsi dai portavoce dei cittadini, del popolo. Voi, tutti questi rappresentanti di questa maggioranza dei cittadini, arrivate all'assurdo che, pur essendoci un provvedimento che istituisce una Commissione bicamerale d'inchiesta, quindi uno strumento di vigilanza massimo della cittadinanza, che fate?

Fate incardinare il provvedimento e poi lo boicottate e voterete contro. Questo è un simbolo: voi, gli stessi che ci avete fatto votare la modifica dell'articolo 71 della Costituzione per permettere addirittura un referendum popolare propositivo, che letto così sembra ovviamente corretto e giusto, ma che poi nasconde un retropensiero, che è quello di eterodirigere una volontà generale di tipo russoiano che non ha nulla a che vedere con il consenso popolare, e che anzi inquieta un po'. Ecco, voi, il Movimento 5 Stelle, oggi, perché resti agli atti dell'amministrazione, della Camera, e perché poi daremo ovviamente notizia di questo ai cittadini, non impedite di proseguire un lavoro ottimo che era stato fatto a livello trasversale nella scorsa legislatura, e che ha permesso appunto di denunciare… All'epoca governava il Partito Democratico, e lo strumento della Commissione serviva a denunciare le politiche fallimentari del Governo in quel territorio; quindi era anche uno strumento di vigilanza della realizzazione del risanamento e della coesione sociale nelle periferie, che sono ovviamente i territori più sensibili.

Quindi implicitamente, non volendo una Commissione bicamerale d'inchiesta, non volete che nessuno disturbi il manovratore, e cioè questo Governo singolare, il Governo più pazzo del mondo, che è d'accordo su tutto e d'accordo su niente; e che al contrario non vuole essere disturbato per non far vedere che tra qualche mese il reddito di cittadinanza avrà fallito, che non ci sarà il controllo delle strade, che lo spaccio continuerà indisturbato, che ci sarà un'immigrazione comunque aggressiva e una mancata integrazione. Il tema della disintegrazione sociale, che già abbiamo visto in stato avanzato in Francia con l'immigrazione di seconda e terza generazione, sta arrivando anche qui da noi, e presto avremo territori nelle nostre periferie che non saranno più controllabili, dove la legge dello Stato italiano non varrà più nulla, e magari, come succede già in Francia, vigerà la sharia.

Concludo, colleghi, quindi con un appello, un appello alla redenzione perché… E speriamo e faremo in modo di intervenire anche sui colleghi della Lega; speriamo appunto che questo Parlamento possa approvare uno strumento che serve ad aiutare le persone, che serve a risanare le nostre periferie e le nostre città.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - A.C. 696-A)

PRESIDENTE. Avrebbe facoltà di replicare il relatore di minoranza, Marco Di Maio, ma ha esaurito il tempo a sua disposizione.

Ha facoltà invece di replicare il relatore per la maggioranza, il presidente della Commissione affari costituzionali, onorevole Brescia. Il presidente Brescia rinunzia.

Prendo atto che il rappresentante del Governo rinunzia alla replica.

Il seguito il seguito del dibattito è quindi rinviato ad altra seduta.

Interventi di fine seduta.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Fatuzzo. Ne ha facoltà.

CARLO FATUZZO (FI). Signora Presidente Mara Carfagna, dopo avere trascorso la notte venerdì, tra venerdì e sabato lavorando in Commissione per il cosiddetto decretone, mi sono dovuto fermare a Roma, perché poi dovevo essere qui il lunedì mattina. Sono stato quindi da mia sorella Anna Maria e mio cognato Fabio a passare il fine settimana. E la domenica sera, cosa facciamo stasera? Guardiamo il film. No, guarda, mi risulta che c'è un incontro di tennis dove c'è una giovanissima tennista canadese, la quale incontrerà la numero 1 al mondo. E così siamo rimasti incollati davanti alla televisione, perché? Perché è successo un fatto che a mio parere è degno di nota in questa importante Aula che da noi frequentata: e cioè questa giovanissima ragazza, che non è italiana, è una ragazza canadese di origine romena. Si chiama Bianca Andreescu ed è arrivata come la dilettante, quella che nessuno conosce al mondo e, con alterni risultati, prima ha vinto il primo set, poi ha perso, poi ha vinto, poi aveva i crampi, non ce la faceva. Con la forza di volontà, oltre alle tecniche e alla capacità, è arrivata a vincere il torneo, a battere la prima al mondo e merita veramente che si affermi la bontà che c'è e la capacità che c'è e le cose buone che ci sono in questo mondo, non solamente quelle che purtroppo abbiamo sentito in questi ultimi giorni. È un esempio che fa capire soprattutto quanto le donne non abbiano niente da invidiare agli uomini, anzi siamo noi che dovremmo invidiare certe situazioni…

PRESIDENTE. Concluda.

CARLO FATUZZO (FI). …così decise. Viva i pensionati! Pensionati all'attacco!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Galantino. Ne ha facoltà.

DAVIDE GALANTINO (M5S). Grazie, Presidente. È dell'ultima settimana la notizia di un carabiniere e un agente della polizia locale che, a pochi giorni e pochi chilometri di distanza l'uno dall'altro, hanno scelto il luogo di lavoro e la pistola d'ordinanza per decidere di porre fine alla loro vita. Le riporto qualche titolo: Tragedia in caserma: brigadiere dei carabinieri si suicida. Mancavano pochi mesi alla pensione; Si suicida con un colpo di pistola quarantenne della polizia penitenziaria. Dietro questi titoli di giornale si nascondono episodi drammatici messi in atto dalla stessa arma, la pistola. Sono storie complesse e drammi familiari a cui non possiamo che essere vicini. Dal 2010 al 2016 si contano 315 suicidi; 36 solo nel 2016. Sono dati allarmanti che devono far tenere alta l'attenzione della politica. La tutela della salute delle nostre donne e dei nostri uomini deve continuare a essere una priorità del Governo perché i numeri ci rivelano che forse dobbiamo accelerare ed è importante rimanere vicini ai nostri cittadini con le stellette, alle loro famiglie continuando ad offrire l'aiuto qualificato e professionale degli psicologi e psichiatri, perseguendo l'obiettivo di potenziare la cultura psicologica in ambito militare. Non dimentichiamo che dietro il sistema difesa lavorano donne e uomini diversi con una propria famiglia, un proprio vissuto, con le proprie difficoltà personali. Non dovremo mai abbassare l'attenzione sul sostegno agli altri: nessuno deve rimanere indietro. Ogni volta che qualcuno si toglie la vita è una sconfitta per tutti. Riflettiamo (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

Ordine del giorno della prossima seduta.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.

Martedì 19 marzo 2019 - Ore 10,30:

1. Discussione congiunta:

Comunicazioni del Presidente del Consiglio dei ministri in vista del Consiglio europeo del 21 e 22 marzo 2019.

Comunicazioni del Presidente del Consiglio dei ministri in relazione al Documento di intesa tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica popolare cinese sulla collaborazione all'interno del progetto economico "Via della Seta" e dell'iniziativa per le vie marittime del XXI secolo.

(ore 15,30)

2. Seguito della discussione del disegno di legge:

S. 1018 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4, recante disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza e di pensioni (Approvato dal Senato). (C. 1637-A)

Relatrici: MURELLI (per la XI Commissione) e NESCI (per la XII Commissione), per la maggioranza; SERRACCHIANI (per la XI Commissione) e CARNEVALI (per la XII Commissione), di minoranza.

3. Seguito della discussione della proposta di legge:

DE MARIA ed altri: Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sullo stato della sicurezza e sul degrado delle città. (C. 696-A)

e delle abbinate proposte di legge: LUPI ed altri; GELMINI ed altri; RAMPELLI ed altri. (C. 1169-1313-1604)

Relatori: BRESCIA, per la maggioranza; MARCO DI MAIO, di minoranza.

La seduta termina alle 21,45.

TESTI DEGLI INTERVENTI DI CUI È STATA AUTORIZZATA LA PUBBLICAZIONE IN CALCE AL RESOCONTO STENOGRAFICO DELLA SEDUTA ODIERNA: DALILA NESCI E ELENA CARNEVALI (A.C. 1637)

DALILA NESCI, Relatrice per la maggioranza per la XII Commissione. (Relazione – A.C. 1637). Le Commissioni riunite XI e XII, le Commissioni riunite XI e XII, hanno lavorato all'esame del cosiddetto “Decretone” che ha la finalità di introdurre il Reddito e la Pensione di Cittadinanza nonché Quota 100.

Un provvedimento importante che consentirà di dare rinnovata speranza all'Italia.

È innegabile che in questi anni non siano stati fatti molti passi in avanti per quanto riguarda le politiche sociali e attive del lavoro.

Il pareggio di bilancio ad ogni costo -anche a scapito di diritti e servizi essenziali-, la scure dell'austerity -calata sugli italiani dalla vecchia classe politica-, hanno aggravato le disuguaglianze sociali ed economiche e generato, nell'opinione pubblica, senso di impotenza, rassegnazione, quando non disagio ed indigenza.

Sono, infatti, troppe le persone che in questi anni si sono viste costrette a rinunciare alle cure sanitarie, al cibo, alle spese per l'istruzione dei propri figli e a quelle per la cultura ed il tempo libero. Per molti cittadini italiani la qualità della vita è crollata drasticamente, vedendosi -in molti casi- obbligati persino ad emigrare. E' nel Mezzogiorno infatti che avanza “La società sparente” (quella raccontata nel libro di Emiliano Morrone con Francesco Saverio Alessio); lo spopolamento desertifica interi paesi e territori, divide le famiglie. Come rilevato dal Rapporto Svimez 2018 (dal 2000 al 2016) un totale di 1 milione e 183 mila residenti ha lasciato il Mezzogiorno in cerca di condizioni di vita e lavorative più favorevoli: la metà di questi sono giovani di età compresa tra i 15 e i 34 anni, quasi un quinto laureati; circa il 16% si è trasferito all'estero, e quasi 800 mila, tra questi, non torna più nei suoi luoghi di origine.

Anche la Caritas ci dice che -da prima della crisi- a oggi il numero di persone che non riescono a raggiungere uno standard di vita dignitoso è aumentato del 182%. Infatti i dati Istat del 2017, ci dicono che 1 milione e 778 mila famiglie, nelle quali vivono circa 5 milioni di individui, erano in condizione di povertà assoluta. Numeri imponenti. Dunque se in tutta Europa calano i livelli di povertà, il nostro Paese risulta in totale controtendenza. Questo anche perché, come sappiamo, fino ad ora siamo stati uno dei pochi Paesi in Europa a non aver introdotto misure strutturali di sostegno al reddito.

E dunque veniamo al Reddito di cittadinanza, voglio evidenziare alcune delle novità più rilevanti introdotte nel corso dell'esame del provvedimento in sede referente, per i dettagli depositerò la relazione scritta. Il RdC non è solo “un aiutino” economico, com'è stato sostenuto dai detrattori di questa misura.

Il Reddito e la Pensione di cittadinanza sono costituiti da un beneficio economico che integra il reddito familiare con un importo variabile (da un minimo di 480 euro ad un massimo di 9360 euro annui), a seconda della numerosità e composizione del nucleo familiare. Il Rdc può essere rinnovato, previa sospensione della sua erogazione per un periodo di un mese prima di ciascun rinnovo. La sospensione, invece, non opera nel caso della Pensione di cittadinanza

Ricordo che la richiesta può essere fatta:

- tramite il sito ufficiale www.redditodicittadinanza.gov.it;

- presso gli uffici postali;

- presso i CAF (Centri di assistenza fiscale) e gli Istituti di patronato e di assistenza sociale.

L'INPS entro cinque giorni lavorativi dal ricevimento della domanda, verifica il possesso dei requisiti richiesti per l'accesso al RdC, acquisendo le informazioni necessarie dall'Anagrafe tributaria, dal Pubblico Registro Automobilistico e dalle altre amministrazioni pubbliche. In ogni caso il riconoscimento da parte dell'INPS avviene entro la fine del mese successivo alla trasmissione della domanda all'Istituto.

Se si risulta beneficiari, l'accredito del Reddito o della Pensione di Cittadinanza verrà tramite accredito nella “Carta RdC” che viene emessa e si può ritirare presso le sedi di Poste Italiane. Con la Carta si potranno:

- acquistare beni primari (alimentari e farmaci);

- usufruire di agevolazioni per il pagamento di bollette elettriche e del gas;

- prelevare in contanti massimo 100 euro al mese (la suddivisione individuale del Rdc verrà stabilità con un Decreto del Ministero del Lavoro) fatta eccezione per la pensione di cittadinanza che potrà essere prelevata anche integralmente;

- fare bonifico mensile al locatore oppure alla banca che ha concesso un mutuo,

- non sarà possibile pagare giochi che prevedono vincite in denaro o scommesse, questo al fine di prevenire e contrastare fenomeni di impoverimento e l'insorgenza del disturbo da gioco d'azzardo (DGA);

- l'importo della Carta RdC dovrà essere speso entro il mese successivo altrimenti ci sarà una decurtazione del 20% oppure una decurtazione totale delle somme non spese entro 6 mesi (a meno che non si tratti di somme erogate a titolo di arretrati).

Potrà beneficiare del RdC chi, firmando un vero e proprio Patto con lo Stato, si impegna a formarsi oppure a riqualificarsi professionalmente per trovare un lavoro (Patto per il Lavoro). Lo farà grazie ai Navigator ovvero tutor formati che -a stretto contatto con i Centri per l'impiego- lavoreranno per offrirgli fino a tre proposte di lavoro, tenendo conto delle sue competenze ed esigenze familiari (se ha per es. minori a carico o se si occupa di una persona disabile). Dunque mentre un cittadino riceverà il RdC che andrà ad integrare il suo reddito, se non sarà idoneo al lavoro verrà comunque responsabilizzato e attraverso progetti di pubblica utilità presso i Comuni dedicherà del tempo alla sua comunità, ovvero per 8 ore settimanali (più altre 8 se vorrà). Quando si diventa beneficiario di RdC o di Pensione di Cittadinanza, lo Stato si prende cura di te e si prende cura dei tuoi bisogno multidimensionali (Patto per l'inclusione): la rete dei Servizi Sociali di Comuni e Regioni verrà potenziata per accogliere meglio i cittadini in difficoltà. Si prevede e si finanzia, inoltre, in accordo con le Regioni l'adozione di un Piano straordinario di potenziamento dei centri per l'impiego e delle politiche attive del lavoro.

Ricordo che l'art.8 introduce una serie di incentivi:

- a favore dei datori di lavoro privati che assumono, a tempo pieno e indeterminato, anche mediante contratto di apprendistato soggetti beneficiari del Reddito di cittadinanza,

- a favore degli enti di formazione accreditati, qualora questi concorrano all'assunzione dei suddetti beneficiari,

- nonché ai beneficiari del Rdc che avviano un'attività lavorativa autonoma o di impresa individuale o una società cooperativa entro i primi 12 mesi di fruizione del RdC.

Altra categoria completamente dimenticata negli ultimi anni è quella dei pensionati minimi. Per ristabilire l'equità sociale persa, ai pensionati che vivono sotto la soglia di povertà andremo ad integrare la propria pensione, affinché venga garantita una vecchiaia dignitosa. Dopo anni di lavoro fatto e contributi versati poi, è giusto permettere a chi ne ha diritto di godersi il meritato riposo dando il via, così, ad un necessario ricambio generazionale che gioverà a lavoratori e imprese.

Dunque la misura del RdC porterà ad una riduzione della povertà assoluta, riduzione che sarà indotta dall'aumento di consumi e dai possibili effetti occupazionali che si innescheranno. Ci sarà dunque un aumento del PIL potenziale, riavviando la domanda interna: tali effetti sono stati messi in risalto anche dall'ultimo rapporto del MEF 2019 sul benessere equo e sostenibile (BES). Dunque una vera redistribuzione della ricchezza e un aumento dell'inclusione sociale per le fasce più deboli della popolazione. Attraverso il RdC aiutiamo chi non ce la fa più e contrastiamo quelle dinamiche di voto di scambio utilizzate ancora oggi da politici senza scrupoli che approfittano dell'ignoranza, dello stato di bisogno e della disperazione delle persone.

Per rispondere alle strumentali polemiche delle ultime settimane, ad esempio, sottolineo che il Reddito di Cittadinanza contiene specifiche regole ed anche sanzioni penali che eviteranno a furbetti e criminali di accedere alla misura. Segnalo infatti che, chi ha subito una misura cautelare personale o è stato condannato con sentenza non definitiva per mafia o terrorismo non potrà chiedere il reddito di cittadinanza. Le risorse derivanti dal periodo di sospensione sono assegnate al Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime di mafia, dell'usura, dei reati internazionali violenti nonché agli orfani di crimini domestici. Le Commissioni riunite hanno introdotto un ulteriore requisito per accedere al RDC ossia l'assenza, in capo al richiedente, di misure cautelari o di condanne definitive, intervenute nei 10 anni precedenti la richiesta, per i delitti disciplinati nel provvedimento all'esame all'articolo 7.

Sono state introdotte ulteriori disposizioni anti-furbetti ed ogni illegittimo godimento da parte di soggetti non meritevoli. In particolare è stata introdotta l'ulteriore disposizione finalizzata a circoscrivere l'evenienza che genitori artatamente “single”, dunque non sposati e né separati o divorziati ma di fatto conviventi possano produrre ISEE che non rispecchiano il reale reddito del nucleo familiari.

In riferimento ai requisiti patrimoniali per accedere al RDC è stato precisato che si tiene conto anche dei beni immobiliari detenuti all'estero.

Sottolineo che abbiamo potenziato il personale della Guardia di Finanza per potenziare le attività di controllo e monitoraggio sul reddito di cittadinanza e dei Carabinieri che avranno il compito di supportare l'Ispettorato del Lavoro nel contrasto del lavoro irregolare.

Ricordo che con un importante emendamento abbiamo facilitato l'accesso al RdC per i disabili: incrementando il massimale della scala di equivalenza (sino ad un massimo di 2,2) in presenza di componenti con disabilità, innalzando la soglia del patrimonio finanziario da 5000 a 7500 euro per ciascun componente con disabilità. Viene inoltre favorito l'accesso alla pensione di cittadinanza anche nei casi in cui uno o più componenti il nucleo familiare, pur avendo età inferiore ai 67 anni, siano in condizione di disabilità grave o di non autosufficienza.

Ci tengo a sottolineare che non si tratta di misure di per sé risolutive: stiamo infatti procedendo passo passo ad una vera rivoluzione politica ed economica che andrà ad impattare sulla prosperità sostenibile della nostra Italia.

Reddito di Cittadinanza, Pensioni di Cittadinanza e Quota 100 rientrano in un più ampio piano strutturale che comprende anche importanti investimenti: penso al Fondo Nazionale per l'Innovazione, al Piano “Proteggi Italia” per la messa in sicurezza del territorio italiano e il contrasto al dissesto idrogeologico con il quale abbiamo stanziato 11 miliardi, è in arrivo poi il decreto sblocca-cantieri per il rilancio degli investimenti pubblici, che anticipa la riforma del codice degli appalti. Ricordo che per contrastare il lavoro precario è già legge il c.d. Decreto Dignità; stiamo inoltre lavorando all'introduzione del salario minimo orario per aiutare lo Stato a far emergere il lavoro nero e non permettere più che i nostri giovani oppure padri e madri siano sfruttati o sottopagati.

Bisogna elaborare ulteriori e coraggiose politiche di investimento nei settori produttivi del nostro Paese: mi riferisco alla necessità di finanziare la transizione energetica per passare urgentemente da un sistema di politica economica lineare ad un sistema di economia circolare basata sulle fonti rinnovabili, le uniche sostenibili per la sopravvivenza della specie umana su questo Pianeta. L'Italia potrà -ancora una volta- tornare ad essere protagonista e Paese leader di una rinnovata Europa tracciando un percorso di sostenibilità ambientale, inclusione sociale e sostegno alle politiche del lavoro che rispetti la dignità della persona e delle sue esigenze relazionali.

E' dal 2013 che, insieme a milioni di cittadini sognatori, sosteniamo l'urgenza di misure di sostegno al reddito come il RdC. Eppure noi ci siamo riusciti, perché quello che è mancato fino ad ora non erano le risorse, ma la volontà politica! È per questo che la nostra relazione di oggi non può che essere positiva Presidente. Sosteniamo in maniera convinta questi provvedimenti che rappresentano quanto i cittadini ci hanno chiesto il 4 marzo scorso, continueremo a lavorare per portare a termine i nostri impegni con il popolo italiano.

Dopo questa doverosa premessa s'illustra di seguito l'articolato evidenziando le novità più rilevanti introdotte nel corso dell'esame del provvedimento in sede referente,

L'articolo 1 istituisce il reddito di cittadinanza (RdC) quale misura unica di contrasto alla povertà, alla disuguaglianza e all'esclusione sociale, a garanzia del diritto al lavoro, nonché a favorire il diritto all'informazione, all'istruzione, alla formazione, alla cultura attraverso politiche volte al sostegno economico e all'inserimento sociale dei soggetti a rischio di emarginazione nella società e nel mondo del lavoro.” Il RdC assume la denominazione di “pensione di cittadinanza” nel caso di nuclei familiari “composti esclusivamente da uno o più componenti di età pari o superiore a 67 anni, adeguata agli incrementi della speranza di vita fermi restando gli stessi requisiti di accesso e le stesse regole di definizione previsti per il reddito di cittadinanza, salva differente previsione.

Con un rilevante emendamento del Governo, approvato in sede referente, all'articolo 1 è stata introdotta l'ulteriore disposizione secondo la quale la Pensione di cittadinanza può essere concessa anche nei casi in cui il componente o i componenti del nucleo familiare di età pari o superiore ai 67 anni, convivano esclusivamente con una o più persone in condizione di disabilità grave o di non autosufficienza e di età inferiore al predetto requisito anagrafico.

L'articolo 2 disciplina i requisiti dei beneficiari, disponendo al comma 1 che il RdC sia riconosciuto ai nuclei familiari che, al momento della presentazione della domanda e per tutta la durata del beneficio posseggano cumulativamente taluni requisiti di cittadinanza, residenza e soggiorno, reddituali e patrimoniali e del godimento di beni durevoli.

A riguardo si evidenzia che proprio sui requisiti per accedere al RDC, nl corso dell'esame in Commissione, sono state introdotte ulteriori disposizioni o modificazioni finalizzate a circoscrivere ogni possibile furbizia ed ogni illegittimo godimento da parte di soggetti non meritevoli. In particolare è stata introdotta l'ulteriore disposizione finalizzata a circoscrivere l'evenienza che genitori artatamente “single”, dunque non sposati e né separati o divorziati ma di fatto conviventi possano produrre ISEE che non rispecchino il reale reddito del nucleo familiari.

In riferimento ai requisiti patrimoniali per accedere al RDC è stato precisato che si tiene conto anche dei beni immobiliari detenuti all'estero.

Le Commissioni riunite hanno introdotto un ulteriore requisito per accedere al RDC ossia l'assenza, in capo al richiedente, di misure cautelari o di condanne definitive, intervenute nei 10 anni precedenti la richiesta, per i delitti disciplinati nel provvedimento all'esame all'articolo 7. Tale integrazione si è resa necessaria onde evitare il paradosso che il soggetto al quale è stato revocato il beneficio ai sensi del successivo articolo 7 possa comunque richiedere il beneficio perché in possesso dei requisiti patrimoniali o reddituali previsti dall'articolo 2.

Infine sempre in riferimento all'articolo 2, laddove al comma 8 si precisa che il Rdc è compatibile con il godimento della NASpI (sussidio di disoccupazione) e di altro strumento di sostegno al reddito per la disoccupazione involontaria, è stata aggiunta l'ulteriore compatibilità con l'indennità di disoccupazione per i lavoratori con rapporto di collaborazione coordinata.

In riferimento a requisiti reddituali e patrimoniali, il nucleo familiare deve possedere:

- un valore ISEE inferiore a 9.360 euro (ai sensi del successivo comma 6non sono inclusi in tale valore gli importi percepiti a titolo di sostegno per l'inclusione attiva, di reddito di inclusione ovvero delle misure regionali di contrasto alla povertà; tali trattamenti assistenziali devono comunque essere comunicati entro 15 giorni);

- un valore del patrimonio immobiliare, come definito a fini ISEE, diverso dalla casa di abitazione, non superiore 30.000 euro;

- un valore del patrimonio mobiliare, come definito a fini ISEE, non superiore a 6.000 euro, accresciuto di euro 2.000per ogni componente il nucleo familiare successivo al primo, fino ad un massimo di euro 10.000, incrementato di ulteriori euro 1.000 per ogni figlio successivo al secondo; (tali valori, secondo quanto approvato al Senato sono ulteriormente incrementati di euro 5.000 per ogni componente con disabilità del nucleo familiare); Con emendamento governativo l'incremento per ogni componente in condizione di disabilità è passato da 5.000 euro a 7.500 per ogni componente in condizione di disabilità grave o di non autosufficienza,

- un valore del reddito familiare inferiore 6. 000 euro annui, moltiplicato per il corrispondente parametro della scala di equivalenza indicato al successivo comma 4 (pari ad 1 per il primo componente del nucleo familiare ed è incrementato di 0,4 per ogni ulteriore componente di età maggiore di anni 18 e di 0,2 per ogni ulteriore componente minorenne, fino ad un massimo di 2,1) Tale valore incrementato fino a 7.560 euro ai fini dell'accesso alla Pensione di cittadinanza e fino a 9.360 euro nei casi in cui il nucleo familiare risieda in abitazione in locazione, come da dichiarazione sostitutiva unica (DSU) ai fini ISEE. Sempre con emendamento del Governo è stato modificato il parametro della scala di equivalenza succitato, prevedendo che sia incrementabile fino al massimo di 2,2 (non dunque 1,1) nel caso in cui nel nucleo familiare siano presenti componenti in condizione di disabilità grave o di non autosufficienza, come definite a fini ISEE.

L'articolo 3 disciplina il beneficio economico del RdC il quale si compone di: - un'integrazione del reddito familiare fino alla soglia di 6.000 (moltiplicata secondo il paramento indicato all'articolo 2 comma 4), incrementata fino ad euro 7. 560 nel caso di pensione di cittadinanza;

- di un sostegno alle spese correlate all'abitazione di residenza e precisamente alla locazione, fino ad un massimo di 3.360 euro annui (1.800 nel caso di pensione di cittadinanza), o al muto fino ad un massimo di 1.800 euro annui.

Il suddetto beneficio economico è esente dall'Irpef, non può essere superiore ad una soglia di 9.360 euro annui, e inferiore a 480 euro annui e decorre dal mese successivo a quello della richiesta e il suo valore mensile è pari ad un dodicesimo del valore su base annua. (commi 4 e 5) Il beneficio economico del Rdc è riconosciuto per il periodo durante il quale il beneficiario si trova in una delle condizioni previste dall'articolo 2 e, comunque, per un periodo continuativo non superiore ai diciotto mesi . Il Rdc può essere rinnovato, previa sospensione della sua erogazione per un periodo di un mese prima di ciascun rinnovo. La sospensione non opera nel caso della Pensione di cittadinanza (comma 6). Il comma 7 demanda ad un successivo decreto la definizione delle modalità di erogazione del RdC suddiviso per ogni singolo componente maggiorenne del nucleo familiare a decorrere dal nuovo affidamento del servizio di gestione della Carta Rdc (ex art. 5, c. 6), mentre la Pensione di cittadinanza è suddivisa in parti uguali tra i componenti il nucleo familiare. I commi da 8 a 12 disciplinano le variazioni della condizione occupazionale da parte di uno o più componenti il nucleo familiare nel corso dell'erogazione del Rdc e dei requisiti e condizioni che comportano una rideterminazione del relativo beneficio economico.

In riferimento alle comunicazioni relative alla variazione della condizione occupazionale e dei requisiti o condizioni patrimoniali e reddituali, le Commissioni in sede referente hanno introdotto alcune modifiche finalizzate a semplificare il regime delle comunicazioni, demandando all'INPS la definizione delle relative modalità operative e privilegiando il sistema delle Piattaforme digitali quale luogo ove fare le necessarie comunicazioni. A riguardo assume rilievo la novella volta a specificare che la perdita dei requisiti si verifica anche nel caso di acquisizione del possesso di somme o valori a seguito di donazioni, successione o vincite che determinino il superamento delle soglie patrimoniali richieste all'articolo 2. Tale ultima variazione deve essere comunicata entro 15 giorni dall'acquisizione.

Il comma 14, infine, disciplina i casi di interruzione della fruizione del beneficio prevedendo che qualora l'interruzione dipenda da ragioni diverse dall'applicazione di sanzioni, il beneficio può essere richiesto nuovamente per una durata complessiva non superiore al periodo residuo non goduto; mentre qualora dipenda dal maggior reddito l'eventuale successiva richiesta del beneficio equivale a prima richiesta.

L'articolo 4 disciplina il Patto per il lavoro e il Patto per l'inclusione sociale e dispone che RdC sia subordinato alla dichiarazione, da parte dei componenti il nucleo familiare maggiorenni, di immediata disponibilità al lavoro nonché all'adesione ad un percorso personalizzato di accompagnamento all'inserimento lavorativo e all'inclusione sociale che prevede attività al servizio della comunità, di riqualificazione professionale, di completamento degli studi, nonché altri impegni individuati dai servizi competenti finalizzati all'inserimento nel mercato del lavoro e all'inclusione sociale.

La disposizione all'esame, al comma 2, esonera da tali obblighi/condizioni i beneficiari della Pensione di cittadinanza ovvero i beneficiari del Rdc titolari di pensione diretta o comunque di età pari o superiore a 65 anni, nonché i componenti con disabilità, fatta salva ogni iniziativa di collocamento mirato. In Senato è stata introdotta l'ulteriore previsione che i componenti con disabilità possano comunque manifestare la loro disponibilità al lavoro, con le percentuali previste dalla legislazione vigente in materia di collocazione al lavoro dei disabili. A riguardo nel corso dell'esame in sede referente è stato ulteriormente precisato che, ferma restando la volontaria adesione da parte del componente disabile ad un percorso personalizzato di accompagnamento all'inserimento lavorativo e all'inclusione sociale, tale percorso deve comunque tener conto delle condizioni e necessità specifiche dell'interessato.

Sono altresì esonerati coloro che siano già occupati o frequentino un regolare corso di studi. Nel corso dell'esame in sede referente è stato soppresso il generico riferimento a corsi di formazione che avrebbero potuto includere anche corsi della durata limitata (anche di 1 ora a settimana) e dunque non idonei a giustificare l'anzidetto esonero. Contestualmente, al successivo comma 3, che esonera anche i componenti del nucleo familiare che abbiano carichi di cura valutati in relazione alla presenza di minori di tre anni di età oppure componenti con disabilità grave o non autosufficienza, se ne demanda l'identificazione alla Conferenza unificata.

Ai fini della valutazione preliminare rispetto alla stipulazione di uno dei Patti, il richiedente è convocato dai centri per l'impiego ovvero, a seconda delle caratteristiche dei membri del nucleo familiare, dai servizi comunali competenti per il contrasto della povertà (commi 5 e 11). A riguardo le Commissioni in sede referente hanno sostituito l'intero comma 5 ampliando e meglio definendo le caratteristiche o i requisiti di coloro che saranno chiamati a stipulare il Patto per il lavoro ossia coloro che sono disoccupati da più di due anni, che percepiscono la Naspi o altro ammortizzatore sociale o ne hanno terminato la fruizione da non oltre un anno, coloro che hanno già sottoscritto, negli ultimi due anni, un patto di servizio presso i centri dell'impiego o coloro che non abbiano già sottoscritto un patto personalizzato. A prescindere dal possesso di tali caratteristiche i soggetti di età pari o inferiore a 29 anni, ai quali sia stato riconosciuto il beneficio, sono comunque convocati dai centri per l'impiego entro 30 giorni.

Importante è inoltre la novità volta a garantire che gli operatori dei centri dell'impiego, laddove ravvisino condizioni di criticità nell'avviamento al lavoro, inviino motivatamente il richiedente al competente servizio di contrasto alla povertà attivato dai Comuni, onde attivare una valutazione multidimensionale dei bisogni. Tale novità risponde alla necessità di assicurare l'intervento adeguato anche nelle situazioni complesse di disagio sociale.

Gli obblighi inerenti al Patto per il lavoro e al Patto per l'inclusione sociale - relativi alla ricerca attiva del lavoro, all'orientamento lavorativo, alla formazione o riqualificazione professionale, alle accettazioni delle offerte di lavoro congrue, alla partecipazione a progetti dei comuni - sono definiti dai commi 8, 9 e 15 e dal comma 9-bis.

Più nel dettaglio il comma 8 per la nozione di offerta di lavoro congrua, fa rinvio ai criteri attualmente posti dal D.M. 10 aprile 2018, relativi alla coerenza (dell'offerta) con i profili professionali, alla tipologia contrattuale ed alla misura della retribuzione proposte. In riferimento alla distanza dal luogo di lavoro, i criteri di congruità sono posti dal comma 9 e comprendono l'intero territorio italiano al crescere della durata del godimento del Reddito di cittadinanza ed in relazione al numero di offerte rifiutate. Ai fini della valutazione della congruità della distanza, rileva anche la circostanza che nel nucleo familiare siano presenti componenti con disabilità o figli minori.

Ai sensi del comma 10, qualora sia accettata un'offerta relativa ad un luogo di lavoro situato ad oltre duecentocinquanta chilometri di distanza dalla residenza del beneficiario, il medesimo continua a percepire il Reddito di cittadinanza, a titolo di compensazione delle spese di trasferimento sostenute, per i successivi tre mesi dall'inizio del nuovo impiego, elevati a dodici mesi nel caso in cui siano presenti nel nucleo familiare componenti di minore età ovvero componenti con disabilità.

Riguardo ai progetti comunali, il comma 15 prevede che i comuni predispongano le procedure amministrative utili per l'istituzione - nell'ambito delle proprie competenze - di progetti relativi a settori culturali, sociali, artistici, ambientali, formativi e di tutela dei beni comuni. La partecipazione a tali progetti, ove attivati presso il comune di residenza, è obbligatoria per i beneficiari del Reddito di cittadinanza. Con riferimento a tali progetti, i beneficiari sono tenuti a mettere a disposizione, nell'ambito del Patto per il lavoro o del Patto per l'inclusione sociale, un numero di ore compatibile con le altre loro attività e comunque non superiore ad otto ore settimanali. Resta fermo il carattere facoltativo della partecipazione per i soggetti che rientrino nelle fattispecie summenzionate di esclusione o esonero dagli obblighi in oggetto. A riguardo, come richiesto dalla Regioni, le Commissioni, in sede referente, hanno rinviato ad un successivo decreto, da adottarsi previa intesa in sede di Conferenza unificata, la definizione delle modalità attuative per l'istituzione degli anzidetti progetti comunali. E' stata inoltre soppressa la disposizione, introdotta al Senato, secondo la quale gli oneri derivanti dalle assicurazioni INAIL e per responsabilità civile dei beneficiari del Rdc partecipanti ai progetti a titolarità dei comuni sono a carico della misura del Rdc.

In riferimento a tale articolo si segnalano inoltre due rilevanti disposizioni aggiuntive.

La prima volta a specificare che, ai fine del provvedimento all'esame, si considerano in stato di disoccupazione anche i lavoratori dipendenti o autonomi il cui reddito è talmente basso che non consente alcuna detrazione. S'interviene dunque sui cosiddetti “working poors” ossia su coloro che appartengono alla categoria dei lavoratori poveri, cioè coloro che, pur avendo un'occupazione, si trovano a rischio di povertà e di esclusione sociale a causa del livello troppo basso del loro reddito.

La seconda disposizione aggiuntiva invece, nell'ottica di semplificare le procedure, prevede che la convocazione dei beneficiari del RDC da parte dei centri dell'impiego possa essere effettuata anche con mezzi informali, quali messaggistica telefonica o posta elettronica, secondo modalità da definirsi in Conferenza unificata.

L'articolo 5 disciplina le modalità di richiesta, riconoscimento ed erogazione del RdC. La richiesta (commi 1-2) può essere fatta dopo il quinto giorno di ciascun mese, sulla base del modulo predisposto dall'INPS e può essere presentato presso gli uffici postali abilitati, mediante modalità telematiche, presso i Centri di assistenza fiscale e, secondo quanto introdotto in Senato, anche presso gli istituti di patronato e di assistenza sociale qualora la domanda riguardi la Pensione di cittadinanza. A riguardo si segnala che nel corso dell'esame in sede referente è stata estesa anche ai patronati la possibilità di ricevere le domande di RDC. Le domande sono comunicate all'INPS entro dieci giorni lavorativi dalla richiesta.

L'INPS entro cinque giorni lavorativi dal ricevimento della domanda, verifica il possesso dei requisiti richiesti per l'accesso al RdC, acquisendo le informazioni necessarie dall'Anagrafe tributaria, dal Pubblico Registro Automobilistico e dalle altre amministrazioni pubbliche. In ogni caso il riconoscimento da parte dell'INPS avviene entro la fine del mese successivo alla trasmissione della domanda all'Istituto (comma 3).

Il RdC è erogato attraverso la Carta Rdc (comma 6), la cui emissione, in sede di prima applicazione e fino alla scadenza del termine contrattuale, avviene tramite la già vigente Carta acquisti (utilizzata anche per il REI). La consegna della Carta Rdc presso gli uffici del gestore del servizio integrato avverrà esclusivamente dopo il quinto giorno di ciascun mese e permetterà di soddisfare le esigenze previste per la carta acquisti, nonché di effettuare prelievi di contante entro un limite mensile non superiore a 100 euro per un individuo singolo (moltiplicato per il parametro della scala di equivalenza determinato in base alla composizione del nucleo familiare), nonché di effettuare un bonifico mensile per la locazione o il pagamento del mutuo. A seguito di modifica intervenuta in sede referente l'erogazione della Pensione di cittadinanza può invece avvenire con modalità diverse rispetto a quelle descritte, mediante gli strumenti ordinariamente in uso per il pagamento delle pensioni (comma 6-bis). Si demanda ad un successivo decreto l'individuazione di ulteriori esigenze da soddisfare attraverso la Carta Rdc, nonché diversi limiti di importo per i prelievi di contante. Al fine di prevenire e contrastare fenomeni di impoverimento e l'insorgenza del disturbo da gioco d'azzardo (DGA) è vietato utilizzare il beneficio economico per giochi che prevedono vincite in denaro o altre utilità. Secondo quanto modificato in Senato si prevede che le movimentazioni delle carte RdC, prive dei dati identificativi dei beneficiari, possono essere utilizzate per fini statistici e di ricerca scientifica.

Infine, al comma 7si dispone che ai beneficiari del Rdc si applicano le agevolazioni relative alle tariffe elettriche riconosciute alle famiglie economicamente svantaggiate, consistenti in uno sconto sulla bolletta (cd “bonus elettrico”) e alla compensazione per la fornitura di gas naturale (c.d. bonus gas).

L'articolo 6 istituisce il sistema informativo del Reddito di cittadinanza, entro il quale operano due piattaforme digitali, rispettivamente presso l'ANPAL e presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, al fine di consentire l'attivazione e la gestione dei Patti per il lavoro e dei Patti per l'inclusione sociale e per finalità di analisi, monitoraggio, valutazione e controllo. Le piattaforme rappresentano strumenti di condivisione delle informazioni, nel rispetto della riservatezza dei dati personali, sia tra le amministrazioni centrali e i servizi territoriali sia, nell'ambito di questi ultimi, tra i servizi per il lavoro e i servizi sociali. In Senato è stata aggiunta l'ulteriore disposizione che demanda ad un successivo decreto, sentito anche il Garante della privacy e l'Anpal, il piano tecnico di attivazione delle piattaforme, anche al fine di individuare modalità specifiche del trattamento dei dati a tutela degli interessati. A riguardo le Commissioni, in sede referente, hanno aggiunto anche la necessaria intesa della Conferenza unificata e contemplato la necessaria implementazione e interoperabilità attraverso il sistema di cooperazione applicativa con i sistemi informativi regionali del lavoro.

Sono state altresì introdotte diverse modifiche volte a rafforzare il coordinamento con i comuni nell'ambito delle piattaforme digitali.

Il comma 6, prevede che il Ministero del lavoro e delle politiche sociali stipuli convenzioni con la Guardia di finanza per le attività di controllo e per il monitoraggio delle attività degli enti di formazione. Per tali finalità la Guardia di finanza può accedere al sistema informativo istituito dall'articolo in esame nonché, secondo una modifica introdotta in sede referente, al Sistema informativo unitario dei servizi sociali (SIUSS). Il comma 7 reca una clausola di invarianza degli oneri a carico della finanza pubblica ed una norma di chiusura, sempre di carattere finanziario, specificando che gli eventuali oneri delle attività dei comuni sono a valere del Fondo per la lotta alla povertà.

A riguardo si evidenzia la rilevante disposizione introdotta nel corso dell'esame in sede referente che, sopprimendo l'anzidetta invarianza finanziaria, consente invece, dal 1 ottobre 2019, l'assunzione straordinaria di 100 ispettori della Guardia di finanza, al fine di potenziare le attività di controllo e di monitoraggio previste in tale disposizione.

L'articolo 7 disciplina il sistema sanzionatorio correlato all'istituzione del RdC e stabilisce le cause di decadenza ovvero di riduzione del RdC e prevede alcune sanzioni penali in materia, oltre a prevedere alcuni obblighi di comunicazione e di controllo da parte delle amministrazioni coinvolte.

Il comma 1 punisce con la reclusione da due a sei anni chiunque, al fine di ottenere indebitamente il RdC, rende o utilizza dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero omette informazioni dovute. Il comma 2 prevede che l'omessa comunicazione della variazione del reddito o del patrimonio, anche se proveniente da attività irregolari, o di altre informazioni, dovute entro i termini ivi richiamati e rilevanti ai fini della revoca o della riduzione del beneficio, è punita con la reclusione da uno a tre anni. In caso di condanna definitiva per i reati indicati ai commi precedenti nonché per altri reati (es. il reato di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche). Il comma 3 dispone la revoca del RdC con efficacia retroattiva (con obbligo di restituzione) e prevede che il beneficio non possa essere richiesto decorsi dieci anni dalla condanna. Il comma 4 stabilisce la revoca (retroattiva) del beneficio anche per i casi in cui l'INPS accerti la non corrispondenza al vero delle dichiarazioni e delle informazioni poste a fondamento della domanda ovvero l'omessa comunicazione di qualsiasi intervenuta variazione del reddito, del patrimonio e della composizione del nucleo familiare.

Il comma 5 dispone invece la decadenza (senza efficacia retroattiva) qualora uno dei membri del nucleo familiare non effettui la dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro, non sottoscriva il Patto per il lavoro ovvero il Patto per l'inclusione sociale, non partecipi alle iniziative di carattere formativo o di riqualificazione o ad altra iniziativa di politica attiva o di attivazione, non aderisca ai progetti dei comuni, rifiuti tre offerte di lavoro congrue, ovvero, indipendentemente dal numero di offerte precedentemente ricevute, rifiuti un'offerta congrua dopo l'eventuale rinnovo del beneficio, non effettui le comunicazioni relative alla variazione della condizione occupazionale, non presenti una DSU (dichiarazione sostitutiva unica ai fini dell'ISEE) aggiornata, sia trovato, nel corso delle attività ispettive svolte dalle competenti autorità, intento a svolgere attività di lavoro dipendente o di collaborazione coordinata e continuativa, non debitamente comunicate. Il comma 6 precisa che la sanzione di decadenza si applica anche nel caso in cui il nucleo familiare abbia percepito il beneficio economico in misura maggiore rispetto a quanto gli sarebbe spettato, per effetto di dichiarazione mendace in sede di DSU ovvero in sede di altro atto nell'ambito della procedura di richiesta del beneficio. I commi 7-9 prevedono alcune riduzioni (in misura crescente) del beneficio economico e l'eventuale successiva decadenza (non retroattiva) per le ipotesi di mancata alle convocazioni (effettuate dai servizi competenti), sempre che non sussista un giustificato motivo. La decadenza è prevista per il terzo caso di mancata presentazione, per mancata partecipazione alle iniziative di orientamento, di mancato rispetto degli impegni previsti nel Patto per l'inclusione sociale relativi alla frequenza dei corsi di istruzione o di formazione da parte di un componente minorenne ovvero alla tutela della salute (impegni di prevenzione o cura individuati da professionisti sanitari).

Il comma 10 specifica che l'irrogazione delle sanzioni (diverse da quelle penali) ed il recupero dell'indebito competono all'INPS e che gli indebiti sono riversati all'entrata del bilancio dello Stato, ai fini della riassegnazione al Fondo per il RdC. Ai sensi del comma 11 la domanda per il RdC può essere di nuovo presentata dal medesimo richiedente ovvero da altro membro del nucleo familiare, dopo diciotto mesi dalla revoca o decadenza oppure dopo sei mesi, nel caso in cui facciano parte del nucleo familiare soggetti minorenni o con disabilità.

Il comma 12 dispone gli obblighi di comunicazioni tra i centri per l'impiego, i comuni e l'INPS sui fatti suscettibili di dar luogo alle sanzioni e il comma 13 dispone che la mancata comunicazione costituisce responsabilità disciplinare e contabile per il soggetto responsabile.

In Senato sono state introdotte due ulteriori disposizioni. Il comma 15-bis che estende ai casi di impiego, in forma di lavoro subordinato, di soggetti beneficiari del Reddito di cittadinanza, da parte di datori privati, senza la preventiva comunicazione di instaurazione del rapporto, la maggiorazione, nella misura del venti per cento, di alcune sanzioni amministrative pecuniarie, maggiorazione già prevista nell'ordinamento (per la medesima fattispecie di mancata comunicazione) con riferimento ad altre categorie di lavoratori. Il comma 15-ter, al fine di consentire un'efficacie vigilanza, attribuisce al personale dirigenziale ed ispettivo dell'Ispettorato nazionale del lavoro la possibilità di accedere a tutte le informazioni gestite dall'INPS e alle banche dati di altre amministrazioni (individuate nell'allegato A), sentito il Garante della privacy. Si demanda quindi ad un successivo provvedimento dell'Ispettorato nazionale del lavoro l'individuazione delle categorie di dati da trattare e le modalità del loro trattamento. In sede referente, in riferimento alle attività di controllo, è stata rinviata all'Intesa in Conferenza unificata la definizione del ruolo e delle responsabilità in capo ai Comuni. L'articolo 7-bis introduce invece disposizioni sanzionatorie, con riferimento, in particolare, ai casi di infedele asseverazione o visto di conformità.

Si segnala che, proprio in riferimento al sistema sanzionatorio e dei controlli, le Commissioni riunite per l'esame in sede referente, hanno aggiunto due importanti disposizioni.

La prima è finalizzata a disciplinare la sospensione del beneficio nei confronti del richiedente e del beneficiario cui è applicata una misura cautelare nonché al condannato con sentenza non definitiva per uno dei reati previsti dall'articolo 7 comma 3. Tale sospensione si applica anche ai latitanti e a chi si è sottratto volontariamente all'esecuzione della pena. In tali casi di sospensione si applica quanto previsto dall'articolo 3, comma 13, ossia il parametro della scala di equivalenza di cui al comma 1 del medesimo articolo 3 non tiene conto di tali soggetti. I provvedimenti di sospensione sono adottati con effetto non retroattivo e il giudice invita l'indagato o l'imputato a dichiarare se percepisce il beneficio del RDC. Per dare immediata esecutività alla sospensione l'autorità giudiziaria è tenuta a comunicare all'INPS la sospensione entro 15 giorni. Nel caso di revoca della sospensione il ripristino del diritto al beneficio deve essere richiesto dall'interessato e decorre dal momento della domanda e non ha effetto retroattivo degli importi maturati durante la sospensione. Le risorse derivanti dal periodo di sospensione sono assegnate al Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso, delle richieste estorsive e dell'usura, dei reati internazionali violenti nonché agli orfani di crimini domestici e agli interventi in favore delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata.

La seconda disposizione incrementa invece di 65 unità il contingente di personale dell'Arma dei carabinieri al fine di rafforzare l'attività di contrasto al lavoro irregolare, nei confronti dei percettori del reddito di cittadinanza che svolgono attività lavorativa in violazione delle disposizioni vigenti.

L'articolo 8 introduce una serie di incentivi per favorire la ricollocazione del percettore del Rdc. In particolare, al comma 1, si prevede l'esonero dal versamento dei contributi previdenziali e assistenziali a carico del datore di lavoro privato (specifica introdotta in sede referente) e del lavoratore, ferma restando l'aliquota di computo delle prestazioni previdenziali, per il datore di lavoro che assuma a tempo pieno e indeterminato, anche mediante contratto di apprendistato, soggetti beneficiari di Rdc, anche attraverso l'attività svolta da un soggetto accreditato. L'esonero, che non riguarda premi e contributi dovuti all'INAIL, spetta nel limite dell'importo mensile del Rdc percepito dal lavoratore all'atto dell'assunzione, per un periodo pari alla differenza tra diciotto mensilità e le mensilità già godute dal beneficiario stesso e, comunque, per un importo non superiore a 780 euro mensili e per un periodo non inferiore a cinque mensilità. Nel caso di licenziamento del beneficiario di Rdc, effettuato nei trentasei mesi successivi all'assunzione, il datore di lavoro è tenuto alla restituzione dell'incentivo fruito, maggiorato delle sanzioni civili, salvo che il licenziamento avvenga per giusta causa o per giustificato motivo. La norma richiede anche che il datore di lavoro, contestualmente all'assunzione del beneficiario di Rdc, stipula, presso il centro per l'impiego, ove necessario, un patto di formazione, con il quale garantisce al beneficiario un percorso formativo o di riqualificazione professionale. Il medesimo esonero, ma per importi pari alla metà, è riconosciuto, sulla base del comma 2, al datore di lavoro che assuma il beneficiario di Rdc che ha seguito un percorso formativo o di riqualificazione professionale, gestito da enti di formazione accreditati o Fondi paritetici interprofessionali per la formazione continua che hanno stipulato presso i centri per l'impiego e presso i soggetti accreditati uno specifico Patto di formazione. La restante metà dell'importo mensile del Rdc percepito dal lavoratore all'atto dell'assunzione è riconosciuta all'ente di formazione accreditato che ha garantito al lavoratore assunto il predetto percorso formativo o di riqualificazione professionale, sotto forma di sgravio contributivo applicato ai contributi previdenziali e assistenziali dovuti per i propri dipendenti sulla base delle stesse regole valide per il datore di lavoro che assume il beneficiario del Rdc. L'esonero contributivo per l'assunzione di un beneficiario di Rdc spetta solo per incrementi occupazionali netti del numero dei dipendenti a tempo indeterminato, come previsto dal comma 3. Nel caso di avvio di un'attività autonoma o di impresa individuale, il comma 4 dispone l'erogazione al beneficiario di Rdc di un importo addizionale pari a sei mensilità di Rdc, in un'unica soluzione. Il comma 5 subordina la fruizione degli incentivi al possesso, da parte dei datori di lavoro, del Documento unico di regolarità contributiva (DURC) e al rispetto degli obblighi di assunzione relativi alle categorie protette di cui all'articolo 3 della legge n. 68 del 1999, e il comma 6 prevede che le agevolazioni siano riconosciute entro i limiti e secondo le disposizioni dei Regolamenti (UE) 1407/2013, 1408/2013 e 717/2014, concernenti i cosiddetti aiuti de minimis da parte degli Stati membri, con riferimento anche al settore agricolo e al settore della pesca e dell'acquacoltura. Infine, sulla base del comma 7, le agevolazioni in esame sono compatibili e aggiuntive rispetto all'esonero contributivo disposto dall'articolo 1, comma 247, della legge di bilancio per il 2019 per le assunzioni nel Mezzogiorno nel biennio 2019-2020. Se la fruizione di tale ultimo esonero è stata esaurita, al datore di lavoro la fruizione del beneficio disposto dall'articolo in esame è concessa sotto forma di credito di imposta.

L'articolo 9 dispone che, fino al 31 dicembre 2021, il beneficiario del Rdc riceva l'Assegno di ricollocazione previsto dalla normativa vigente. Nella fase di prima applicazione e comunque non oltre il 31 dicembre 2021, il beneficiario del RdC tenuto a stipulare, ai sensi del precedente articolo 4, comma 7, il Patto per il lavoro con il centro per l'impiego, decorsi 30 giorni dalla data di liquidazione della prestazione, riceve dall'ANPAL l'assegno di ricollocazione (AdR) (di cui all'art. 23 del D.Lgs. 150/2015 –da spendere presso i centri per l'impiego o presso i soggetti accreditati (comma 1). La norma in esame non concerne i soggetti che siano tenuti a stipulare il Patto per il lavoro esclusivamente ai sensi del successivo comma 12 del suddetto articolo 4 (casi di bisogni connessi alla situazione lavorativa o bisogni complessi e multidimensionali). A pena di decadenza dal beneficio del Rdc, entro 30 giorni dal riconoscimento dell'AdR i suddetti soggetti devono scegliere il soggetto erogatore del servizio di assistenza intensiva, che ha una durata di sei mesi, prorogabile di ulteriori sei mesi qualora residui parte dell'importo dell'assegno; se entro 30 giorni dalla richiesta, il soggetto erogatore scelto non si attiva nella ricollocazione del beneficiario, questo deve rivolgersi ad altro soggetto erogatore (comma 2). I commi da 3 a 6 dettano disposizioni, circa gli elementi che devono essere previsti dal servizio di assistenza alla ricollocazione e circa le modalità operative e l'ammontare dell'AdR. In particolare, il comma 3 dispone che il servizio di assistenza alla ricollocazione deve prevedere:

- l'affiancamento di un tutor al soggetto beneficiario, con l'onere per quest'ultimo di svolgere le attività individuate dal tutor e di accettare l'offerta di lavoro congrua ai sensi di quanto previsto dal provvedimento in esame all'art 4;

- il programma di ricerca intensiva della nuova occupazione e la relativa area;

- l'obbligo per il soggetto erogatore del servizio di comunicare al centro per l'impiego e all'ANPAL il rifiuto ingiustificato, da parte della persona interessata, di svolgere una delle attività individuate dal tutor, o di una offerta di lavoro congrua, al fine dell'irrogazione delle sanzioni previste dal decreto in esame all'art. 7;

- la sospensione del servizio nel caso di assunzione in prova, o a termine, con eventuale ripresa del servizio stesso dopo l'eventuale conclusione del rapporto entro il termine di sei mesi.

Il SIUPL (Sistema informativo unitario delle politiche del lavoro istituito dall'ANPAL per il coordinamento dei centri per l'impiego) dà immediata comunicazione dell'utilizzo dell'AdR presso un soggetto accreditato al centro per l'impiego con cui è stato stipulato il Patto per il Lavoro (o a quello nel cui territorio risiede il beneficiario) (comma 4). Si dispone (comma 5) che il Consiglio di amministrazione dell'ANPAL (previa approvazione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali) definisce le modalità operative e l'ammontare dell'assegno sulla base di determinati principi previsti dalla normativa vigente. Gli esiti della ricollocazione sono oggetto dell'attività di monitoraggio e valutazione comparativa dei soggetti erogatori del servizio. Si dispone (comma 6) che l'ANPAL monitori l'andamento delle risorse, fornendo relazioni mensili al Ministero del lavoro e delle politiche sociali ed al Ministero dell'Economia e delle Finanze sulla base delle quali (tenendo anche conto della percentuale di successi occupazionali), l'ANPAL sospende l'erogazione di nuovi assegni quando si manifesti un rischio, anche prospettico, di esaurimento delle risorse. Il finanziamento dell'assegno di ricollocazione è a valere sul Fondo per le politiche attive del lavoro, istituito dall'art. 1, c. 215, della L. di stabilità n. 147/2013 per la realizzazione di iniziative, anche sperimentali, volte a potenziare le politiche attive del lavoro, tra le quali la sperimentazione regionale del contratto di ricollocazione.

Al comma 6-bis, al fine di consentire all'Istituto nazionale di statistica di procedere all'effettuazione delle rilevazioni e delle previsioni statistiche e di ogni altra che si renda necessaria, anche a supporto delle attività di monitoraggio previste dal presente decreto, si apportano modifiche alla legislazione vigente. A riguardo si segnala l'ulteriore disposizione, introdotta nel corso dell'esame in sede referente, secondo la quale per i trattamenti di dati personali, effettuati per fini statistici e di interesse pubblico rilevante, nel programma statistico nazionale sono specificati i tipi di dati, le operazioni eseguibili e le misure adottate per tutelare i diritti fondamentali e le libertà degli interessati, qualora non siano individuati da una disposizione di legge o di regolamento. Il programma statistico nazionale, adottato sentito il Garante per la protezione del dati personali, indica le misure tecniche e organizzative idonee a garantire la liceità e la correttezza del trattamento, con particolare riguardo al principio di minimizzazione dei dati, e, per ciascun trattamento, le modalità, le categorie dei soggetti interessati, le finalità perseguite, le fonti utilizzate, le principali variabili acquisite, i tempi di conservazione e le categorie dei soggetti destinatari dei dati.

Infine, si dispone (comma 7) la sospensione fino al 31 dicembre 2021 dell'erogazione dell'assegno di ricollocazione ai disoccupati percettori di NASpI e disoccupati da più di quattro mesi.

L'articolo 9-bis. Introdotto durante l'esame al Senato, apporta modifiche alla legge relativa a gli istituti di patronato e di assistenza sociale. La prima modifica riguarda uno dei requisiti dei soggetti promotori, e cioè che essi abbiano sedi proprie di istituti di patronato in almeno quattro Paesi stranieri, anziché otto; la seconda modifica incide sui casi di scioglimento, in particolare riduce la quota di percentuale di attività rilevante svolta, minore allo 0,75 (anziché 1,5) del finanziamento totale; l'ultima modifica, incide sempre nei casi di scioglimento, in particolare, laddove prevede che l'istituto non dimostri di svolgere attività, oltre che a livello nazionale, anche in almeno quattro (anziché otto) Stati stranieri, con esclusione dei patronati promossi dalle organizzazioni sindacali agricole.

L'articolo 10 attribuisce al Ministero del lavoro e delle politiche sociali la responsabilità del monitoraggio dell'attuazione del Reddito di cittadinanza e prevede che il medesimo Dicastero, sulla base delle informazioni rilevate nelle piattaforme di cui all'articolo 6, di quelle fornite dall'INPS e dall'ANPAL, nonché delle altre informazioni disponibili in materia, pubblichi un relativo Rapporto annuale. Si prevede altresì che il Ministero possa avvalersi anche dell'Istituto Nazionale per l'Analisi delle Politiche Pubbliche (INAPP, ex ISFOL) per lo svolgimento dei compiti in oggetto. L'articolo reca inoltre una clausola di invarianza degli oneri a carico della finanza pubblica.

Con emendamento approvato in Commissione si disciplina in maniera più articolata l'attività di coordinamento, monitoraggio e valutazione del Rdc. In particolare si prevede che il Ministero del lavoro e delle politiche sociali è responsabile della valutazione del Rdc. La valutazione è operata secondo un progetto di ricerca approvato nell'ambito di un Comitato scientifico, appositamente istituito con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, presieduto dal medesimo Ministro, o da un suo rappresentante, e composto, oltre che da un rappresentante dell'ANPAL e da un rappresentante dell'Istituto nazionale per l'analisi delle politiche pubbliche (INAPP), nonché da esperti indipendenti. Ai fini della valutazione della misura può essere individuato un campione rappresentativo di beneficiari, corrispondente a non più del 5 per cento dei nuclei beneficiari, all'interno del quale possono essere selezionati gruppi di controllo tramite procedura di selezione casuale, per i quali prevedere deroghe agli obblighi di cui all'articolo 4 per tutta la durata della valutazione, fatti salvi gli obblighi di dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro e di accettazione di un'offerta di lavoro congrua. Al campione di beneficiari identificati ai fini della valutazione del Rdc possono essere somministrati questionari di valutazione, il cui contenuto è approvato con il decreto di cui al secondo periodo. I dati raccolti mediante i questionari di valutazione sono utilizzati al solo fine di elaborazione statistica per lo svolgimento delle attività di valutazione previste dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Sono altresì messe a disposizione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali da parte dell'INPS, dell'ANPAL e del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ulteriori informazioni, riguardanti la condizione economica e sociale, le esperienze educative, formative e lavorative, nonché le prestazioni economiche e sociali, individuate con il decreto di cui al secondo periodo. Una volta entrata a pieno regime la misura del Rdc, i dati individuali anonimizzati, privi di ogni riferimento che ne permetta il collegamento con gli interessati e comunque secondo modalità che rendono questi ultimi non identificabili, raccolti ai fini della valutazione, potranno essere altresì messi a disposizione di università ed enti di ricerca, ai soli scopi di ricerca e di valutazione, previa presentazione di un documentato progetto di ricerca autorizzato dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Ai componenti del Comitato non è corrisposto nessun compenso, indennità o rimborso di spese. Le amministrazioni interessate provvedono all'attuazione del presente comma con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente. Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali è altresì responsabile del coordinamento per l'attuazione del Rdc e a tal fine istituisce, nell'ambito della direzione generale competente, un apposito servizio di informazione, promozione, consulenza e supporto tecnico.

L'articolo 11 modifica il D.Lgs. 147/2017 "Disposizioni per l'introduzione di una misura nazionale di contrasto alla povertà", istitutivo del Reddito di inclusione, misura che, ai sensi dell'articolo 13 del decreto in esame, non potrà più essere richiesta a decorrere dal mese di marzo 2019, e che, a decorrere dal successivo mese di aprile 2019 non sarà più riconosciuta. A coloro ai quali il Reddito di inclusione è stato riconosciuto in data anteriore al mese di aprile 2019, continueranno ad essere erogati il beneficio economico per la durata inizialmente prevista, fatta salva la possibilità di presentare domanda per il Rdc, ed il progetto personalizzato, sottoscritto dai componenti il nucleo familiare beneficiario del ReI. Conseguentemente, dal 1° aprile 2019, viene quasi completamente abrogato il Capo II del D. Lgs. 147/2017, dedicato al ReI, misura nazionale di contrasto alla povertà, mentre rimangono in vigore il Capo III, dedicato al riordino delle prestazioni assistenziali finalizzate al contrasto alla povertà e il Capo IV, dedicato al rafforzamento del coordinamento degli interventi in materia di servizi sociali. All'interno del Capo II soltanto gli articoli 5, 6, 7 e 10 non vengono abrogati, ma subiscono tuttavia modifiche funzionali all'istituzione del Rdc.

In sede referente sono state apportate ulteriori modifiche al D.Lgs. 147/2017 e, segnatamente, è stata aggiunta l'ulteriore disposizione finalizzata ad un utilizzo sinergico delle risorse per la distribuzione alimentare agli indigenti. Inoltre al fine di agevolare l'attuazione del Reddito di cittadinanza, è costituita nell'ambito della Rete di contrasto alla povertà una cabina di regia come organismo di confronto permanente tra i diversi livelli di governo. La cabina di regia, presieduta dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali, è composta anche dai responsabili per le politiche del lavoro nell'ambito delle giunte regionali e delle province autonome, da un rappresentante dell'ANPAL e da un rappresentante dell'INPS. La cabina di regia opera, anche mediante articolazioni in sede tecnica, secondo modalità che saranno definite con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, e consulta periodicamente le parti sociali e gli enti del Terzo settore rappresentativi in materia di contrasto alla povertà. Ai componenti della cabina di regia non è corrisposto alcun compenso, indennità o rimborso di spese.

Sempre all' articolo 11, al fine di ridurre i rischi per gli operatori e i professionisti attuatori del Rdc, in sede referente è stata introdotta la necessità di elaborare, nell'ambito di apposite linee guida, misure di sicurezza volte a prevenire e gestire gli episodi di violenza, modalità di rilevazione e segnalazione degli eventi sentinella da parte degli enti di appartenenza, nonché procedure di presa in carico della vittima di atti violenti.

L'articolo 11-bis, inserito durante l'esame al Senato, prevede che i fondi paritetici interprofessionali nazionali per la formazione continua possano finanziare, in tutto o in parte, piani di formazione o di riqualificazione professionale previsti dal Patto di formazione di cui all'articolo 8, comma 2, del decreto-legge in esame. A tal fine, l'articolo 11-bis integra l'articolo 118, comma 1, della legge n. 388 del 2000 (legge finanziaria 2001), recante la disciplina dei suddetti fondi. La norma in esame propone inoltre di includere, tra le finalità generali dei medesimi fondi, la promozione dei percorsi formativi o di riqualificazione professionale per i soggetti disoccupati o inoccupati. Il testo vigente del suddetto articolo 118, comma 1, stabilisce che i fondi paritetici possono finanziare, in tutto o in parte, piani formativi aziendali, territoriali, settoriali o individuali concordati tra le parti sociali, nonché eventuali ulteriori iniziative propedeutiche e comunque direttamente connesse a detti piani concordate tra le parti.

Articolo 12 reca la quantificazione e la copertura delle maggiori spese derivanti dalle disposizioni che introducono il Reddito e la Pensione di cittadinanza e degli incentivi alle assunzioni, nonché dell'erogazione temporanea del Reddito di inclusione.

In particolare, ai fini dell'erogazione del beneficio economico del Rdc e della Pensione di cittadinanza (di cui agli articoli 1, 2 e 3), degli incentivi alle assunzioni (di cui all'articolo 8), nonché dell'erogazione del Reddito di inclusione (ai sensi dell'articolo 13, comma 1), sono autorizzati limiti di spesa nella misura di 5.894 milioni di euro nel 2019, di 7.131 milioni di euro nel 2020, di 7.355 milioni di euro nel 2021 e di 7.210 milioni di euro a decorrere dal 2022, da iscrivere su apposito capitolo dello stato di previsione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, denominato “Fondo per il reddito di cittadinanza”. Su apposito conto corrente di Tesoreria centrale sono trasferite annualmente all'INPS le risorse necessarie per le finalità di cui al comma 1 e per le attività di cui ai commi 9 e 10, ad eccezione delle risorse necessarie per le finalità di cui all'articolo 13, comma 1 (relativo alle modalità di erogazione del Reddito di inclusione). Da detto conto corrente, il soggetto incaricato del Servizio integrato di gestione della carta acquisti e dei relativi rapporti amministrativi preleva le risorse necessarie all'erogazione del beneficio, previa stipula di apposita convenzione con l'INPS (commi 1 e 2).

I commi 3 e 4, autorizzano in favore dell'ANPAL SpA, rispettivamente, spese per la stipula di contratti di collaborazione e per la stabilizzazione di personale già dipendente con contratto a tempo determinato, mediante l'espletamento di procedure concorsuali riservate per titoli ed esami, in particolare, nel primo caso, al fine di selezionare e formare figure professionali con il compito di seguire personalmente il beneficiario del reddito (o della pensione) di cittadinanza nella ricerca del lavoro nella formazione e nel reinserimento professionale. Con riferimento alla misura di cui al comma 3 si stanziano 200 milioni di euro per l'anno 2019, 250 milioni di euro per l'anno 2020 e 50 milioni di euro per l'anno 2021, mentre per la misura di cui al comma 4, prima parte, si prevede 1 milione di euro a decorrere dal 2019.

Con il comma 5, invece, sono stanziate risorse per le attività dei centri di assistenza fiscale di cui all'articolo 5, comma 1, nonché per le attività legate all'assistenza nella presentazione della DSU a fini ISEE, affidate ai predetti centri di assistenza fiscale, Il costo della misura di cui alla disposizione in esame è quantificata in 20 milioni di euro per il solo anno 2019. Il successivo comma 6, in deroga a quanto disposto dall'articolo 1, comma 399, della legge 30 dicembre 2018, n. 145 (Legge di bilancio per il 2019), a decorrere dall'anno 2019 autorizza una spesa di 50 milioni di euro annui per l'assunzione di personale da assegnare alle strutture dell'INPS, nei limiti delle sue dotazioni organiche al fine di dare piena attuazione alle disposizioni contenute nel decreto in esame.

Il comma 7, stanzia 2 milioni di euro annui, a decorrere dal 2019, per l'adeguamento e la manutenzione dei sistemi informativi del Ministero del lavoro e delle politiche sociali per le attività di competenza di cui all'articolo 6 (con il quale si istituiscono due piattaforme digitali per la attivazione e la gestione dei Patti per il lavoro e per l'inclusione sociale), nonché per attività di comunicazione istituzionale sul programma Rdc. Durante l'esame al Senato è stato aggiunto il comma 7-bis, recante un'autorizzazione di spesa in favore dell'INAIL, per l'assunzione di personale. In sede referente tale autorizzazione di spesa è stata incrementata da euro 5.549.500 ad euro 6.549.500.

Lo stanziamento è posto a valere sul Fondo destinato ad assunzioni di personale a tempo indeterminato, da parte delle pubbliche amministrazioni nazionali, in aggiunta alle facoltà assunzionali previste a legislazione vigente. Le assunzioni di cui al presente comma 7-bis sono effettuate mediante i concorsi pubblici unici, per esami o per titoli ed esami, in relazione a figure professionali omogenee, previsti dall'articolo 1, comma 300, della L. 30 dicembre 2018, n. 145.

Il comma 8, introduce alcune modifiche all'articolo 1 della legge30 dicembre 2018, n. 145 (legge di bilancio). In particolare: al comma 255, viene modificata la denominazione del “Fondo per il reddito di cittadinanza” in “Fondo da ripartire per l'introduzione del reddito di cittadinanza” al comma 258, primo periodo, invece, con riferimento alle risorse destinate al potenziamento dei Centri per l'impiego, viene rimodulata la quantificazione degli oneri in 480 e 420 milioni di euro, rispettivamente per gli anni 2019 e 2020 (anziché 1 miliardo di euro per ciascuno dei due anni); inoltre, si precisa che la quantificazione dell'onere per il funzionamento dell'ANPAL, pari a 10 milioni di euro, è posto a carico del Fondo per il reddito di cittadinanza al comma 258, terzo periodo, infine, la disposizione attribuisce la copertura degli oneri previsti per il potenziamento dei centri per l'impiego per l'anno 2020, pari a 160 milioni di euro, nell'ambito delle risorse del Fondo per il reddito di cittadinanza.

Al fine di rispettare i limiti di spesa annuale, si prevede (comma 9) che l'INPS, al momento della concessione del beneficio accantoni somme per un ammontare di risorse pari alle mensilità spettanti nell'anno, per ciascuna annualità in cui il beneficio è erogato, a valere sul conto di tesoreria di cui al comma 2. All'inizio di ciascuna annualità è altresì accantonata una quota pari alla metà di una mensilità aggiuntiva per ciascun nucleo beneficiario nel programma da oltre sei mesi, al fine di tener conto degli incentivi di cui all'articolo 8. In caso di esaurimento delle risorse disponibili per l'esercizio di riferimento ai sensi del comma l, con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, da adottarsi entro trenta giorni dall'esaurimento di dette risorse, è ristabilita la compatibilità finanziaria mediante rimodulazione dell'ammontare del beneficio. Nelle more dell'adozione del decreto di cui al secondo periodo, l'acquisizione di nuove domande e le erogazioni sono sospese. La rimodulazione dell'ammontare del beneficio opera esclusivamente nei confronti delle erogazioni del beneficio successive all'esaurimento delle risorse non accantonate.

E ‘previsto un monitoraggio relativo alla erogazione dei benefici previsti dal presente decreto (pensione e reddito di cittadinanza nonché incentivi di cui all'articolo 8): entro il 10 di ogni mese, l'INPS invia un rendiconto al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e al Ministero delle Economia e delle Finanze in ordine alle mensilità erogate nel mese precedente e le risorse accantonate, segnalando il raggiungimento del 90% delle risorse disponibili (comma 10). Se, infine, dal suddetto monitoraggio, dovessero risultare minori oneri, le somme derivanti dalla accertata disponibilità di tali risorse confluiscono nel Fondo per il reddito di cittadinanza di cui all'articolo 1, comma 255 della l. 30 dicembre 2018, n.145 (legge di bilancio per l'anno 2019), con conseguente rideterminazione dei limiti di spesa di cui al comma 1, per essere poi destinati al potenziamento dei centri per l'impiego.

L'accertamento di tali disponibilità avviene in Conferenza di servizi con cadenza quadrimestrale ed il Ministro dell'Economia e delle Finanze è autorizzato ad apportare con propri decreti, su proposta del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, le occorrenti variazioni di bilancio (comma 11).

Al finanziamento dei livelli essenziali delle prestazioni sociali, di cui all'articolo 4, comma 13, ivi inclusi eventuali costi per l'adeguamento dei sistemi informativi dei comuni, in forma singola o associata, per effetto di quanto previsto dal presente decreto, si provvede mediante l'utilizzo delle risorse residue della quota del Fondo per la lotta alla povertà e alla esclusione sociale di cui all'articolo l, comma 386, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (comma 12).

Con un rilevante emendamento, presentato a seguito degli accordi raggiunti con le Regioni, al fine di rafforzare le politiche attive del lavoro e di garantire l'attuazione dei livelli essenziali delle prestazioni in materia, si prevede l'adozione di un Piano straordinario di potenziamento dei centri per l'impiego e delle politiche attive del lavoro; il Piano ha durata triennale e può essere aggiornato annualmente. Esso individua specifici standard di servizio per l'attuazione dei livelli essenziali delle prestazioni in materia e i connessi fabbisogni di risorse umane e strumentali delle regioni e delle province autonome, nonché obiettivi relativi alle politiche attive del lavoro in favore dei beneficiari del Rdc. Oltre alle risorse già a tal fine destinate dalla legge di bilancio 2019, utilizzabili anche per il potenziamento infrastrutturale dei centri per l'impiego, per l'attuazione del Piano è autorizzata una spesa aggiuntiva nel limite di 160 milioni di euro per l'anno 2019, di 130 milioni di euro per l'anno 2020 e di 50 milioni di euro per l'anno 2021. Al fine di garantire l'avvio e il funzionamento del RdC nelle fasi iniziali del programma, nell'ambito del Piano sono altresì previste azioni di sistema a livello centrale, nonché azioni di assistenza tecnica presso le sedi territoriali delle regioni, d'intesa con le medesime regioni, da parte del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e dell'ANPAL, anche per il tramite dell'ANPAL Servizi Spa. A questo fine, il Piano individua le regioni e le province autonome che si avvalgono delle azioni di assistenza tecnica, i contingenti di risorse umane che operano presso le sedi territoriali delle regioni, le azioni di sistema e le modalità operative di realizzazione nei singoli territori. Con successive convenzioni tra l'ANPAL Servizi Spa e le singole amministrazioni regionali e provinciali individuate nel Piano, da stipulare entro trenta giorni dalla data di adozione del Piano, sono definite le modalità di intervento con cui opera il personale dell'assistenza tecnica. Nelle more della stipulazione delle convenzioni, sulla base delle indicazioni del Piano, i contingenti di risorse umane individuati nel Piano medesimo possono svolgere la propria attività presso le sedi territoriali delle regioni. Nel limite di 90 milioni di euro per l'anno 2019, di 130 milioni di euro per l'anno 2020 e di 50 milioni di euro per l'anno 2021, a valere sulle risorse del Piano di cui al quarto periodo, è autorizzata la spesa a favore dell'ANPAL Servizi Spa, che adegua i propri regolamenti a quanto disposto dal presente comma, per consentire la stipulazione, previa procedura selettiva pubblica, di contratti con le professionalità necessarie ad organizzare l'avvio del RdC, nelle forme del conferimento di incarichi di collaborazione, per la selezione, la formazione e l'equipaggiamento, nonché per la gestione amministrativa e il coordinamento delle loro attività, al fine di svolgere le azioni di assistenza tecnica alle regioni e alle province autonome previste dal presente comma. Nell'ambito del Piano, le restanti risorse sono ripartite tra le regioni e le province autonome con vincolo di destinazione ad attività connesse all'erogazione del RdC, anche al fine di consentire alle medesime regioni e province autonome l'assunzione di personale presso i centri per l'impiego. Per le finalità del Piano le regioni, le province autonome, le agenzie e gli enti regionali, o le province e le città metropolitane sono autorizzati ad assumere, con aumento della rispettiva dotazione organica, a decorrere dall'anno 2020 fino a complessive 3.000 unità di personale, da destinare ai centri per l'impiego, e a decorrere dall'anno 2021 ulteriori 4.600 unità di personale, compresa la stabilizzazione delle unità di personale di cui all'accordo sul documento recante Piano di rafforzamento dei servizi e delle misure di politica attiva del lavoro, sancito nella riunione della Conferenza unificata del 21 dicembre 2017, per complessivi oneri nel limite di 120 milioni di euro per l'anno 2020 e 304 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2021. Con il Piano straordinario sono definiti anche i criteri di riparto delle risorse di cui al presente comma tra le regioni e le province autonome. A decorrere dall'anno 2021, con successivo decreto possono essere previste, sulla base delle disponibilità del Fondo di cui all'articolo 1, comma 255, della legge 30 dicembre 2018, n. 145, risorse da destinare ai centri per l'impiego a copertura degli oneri di funzionamento correlati all'esercizio delle relative funzioni.

Allo scopo di garantire i livelli essenziali delle prestazioni in materia di servizi e politiche attive del lavoro, le regioni e le province autonome, le agenzie e gli enti regionali, o le province e le città metropolitane attuano il piano di rafforzamento dei servizi per l'impiego. Le assunzioni finalizzate al predetto piano di rafforzamento dei servizi per l'impiego non rilevano rispetto ai limiti, anche di spesa, previsti per i rapporti di lavoro a tempo determinato dalle vigenti disposizioni legislative e in ordine all'incidenza sul trattamento economico accessorio non opera il limite vigente.

Infine si prevede che al finanziamento dei livelli essenziali delle prestazioni sociali ivi compresi eventuali costi per l'adeguamento dei sistemi informativi dei comuni, singoli o associati, nonché gli oneri per l'attivazione e la realizzazione dei progetti dei Comuni, e quelli derivanti dalle assicurazioni INAIL e per responsabilità civile dei partecipanti ai medesimi progetti, si provvede mediante l'utilizzo delle risorse residue della quota del Fondo per la lotta alla povertà e all'esclusione sociale, destinata al rafforzamento degli interventi e dei servizi sociali, con il concorso delle risorse afferenti al Programma operativo nazionale Inclusione relativo all'obiettivo tematico della lotta alla povertà e della promozione dell'inclusione sociale in coerenza con quanto stabilito dall'Accordo di partenariato 2014-2020 per l'impiego dei fondi strutturali e di investimento europei.

L'articolo 13 stabilisce che “dal l° marzo 2019, il Reddito di inclusione non può essere più richiesto e, a decorrere dal successivo mese di aprile, non è più riconosciuto, né rinnovato” e che, se riconosciuto in data anteriore al mese di aprile 2019, il beneficio continua ad essere erogato per la durata prevista e secondo le modalità disciplinate dalla disposizioni istitutive (più specificamente, ai sensi dell'art. 9, D.Lgs 147/2017), salva la possibilità di far domanda per il Reddito di cittadinanza e fermo restando la incompatibilità di contemporanea fruizione del Reddito di cittadinanza e del Reddito di inclusione nell'ambito dello stesso nucleo familiare (comma 1).

A seguito di un emendamento approvato dalle Commissioni viene specificato che le richieste presentate ai comuni entro i termini previsti, ai fini del riconoscimento del beneficio, devono pervenire all'INPS entro i successivi sessanta giorni. Inoltre sono fatte salve le richieste del Rdc presentate sulla base della disciplina vigente prima della data di entrata in vigore della legge di conversione all'esame. I benefìci riconosciuti sulla base delle predette richieste sono erogati per un periodo non superiore a sei mesi pur in assenza dell'eventuale ulteriore certificazione, documentazione o dichiarazione sul possesso dei requisiti, richiesta in forza delle disposizioni introdotte dalla legge di conversione del presente decreto ai fini dell'accesso al beneficio.

Il comma 2, che fa salve le potestà attribuite alle Regioni a statuto speciale e alle province di Trento e Bolzano dai rispettivi statuti speciali e dalle relative norme di attuazione, è stato sostituito in sede referente prevedendo che le disposizioni del provvedimento all'esame sono applicabili nelle regioni a statuto speciale e nelle province autonome di Trento e di Bolzano compatibilmente con i rispettivi statuti e le relative norme di attuazione, anche con riferimento alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3.

Sempre in riferimento alle province autonome di Trento e Bolzano è stata aggiunta l'ulteriore disposizione che consente a dette province di provvedere all'erogazione di servizi destinati ai beneficiari del reddito di cittadinanza nell'ambito della propria competenza legislativa e relativa potestà amministrativa, perseguendo le finalità del presente decreto. Inoltre si consente alle medesime province di prevedere, a decorrere dall'anno 2020, misure aventi finalità analoghe a quelle del Rdc, adottate e finanziate secondo i propri ordinamenti, comunicate al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, affinché le stesse non siano computate ai fini dell'accesso, della quantificazione e del mantenimento del Rdc. Per tale finalità sono autorizzati 19 milioni di euro annui a decorrere dal 2020.

ELENA CARNEVALI, Relatrice di minoranza per la XII Commissione. (Relazione – A.C. 1637). Egregio Presidente, Governo e onorevoli colleghe e colleghi, la premessa è che tratterò insieme alla collega Serracchiani la relazione di minoranza soffermandomi principalmente sugli argomenti riferiti alla XII Commissione. Il provvedimento in esame tratta due questioni importanti: incidere sulla riduzione delle disuguaglianze sociali e sul contrasto alla povertà introducendo meccanismi di flessibilità in uscita dal lavoro.

Due interventi pilastro del “contratto di programma” che hanno condizionato la costruzione della legge di bilancio 2019.

Si tratta dell'introduzione del reddito di cittadinanza e della c.d. Quota 100 con gli aggiustamenti in corso d'opera nel passaggio tra Senato e Camera e relativo approdo in Aula.

Sgombriamo il campo dall'idea che prima di questo intervento non sia stata messo in campo, nel nostro paese, alcuna misura di contrasto alla povertà strutturale e continuativa. Un livello essenziale, il Reddito di inclusione, finanziato con 3 mld di euro all'anno, considerando le risorse del PON europeo del 2019, ed una infrastruttura sociale e di servizi a cui abbiamo dedicato il 20 per cento delle risorse del Fondo Povertà.

Non siamo certo andati sul balcone di Palazzo Chigi ad annunciare di avere eliminato la povertà, non solo per pudore e per decenza ma perché era un dovere della Repubblica rispondere agli effetti di una crisi economica senza precedenti e all'esclusione di famiglie e persone da una vita dignitosa.

Prova ne è che dei 17 mld di euro per i prossimi tre anni per il RDC, oltre alle risorse già stanziate dai Governi Renzi e Gentiloni pari a circa 2,2 mld, voi avete aggiunto: 4.9 per il 2019, 5,9 mld nel 2010, e 6,2 mld per il 2021.

Certo, noi ce ne siamo ben guardati dal prenderli dal gioco d'azzardo, perché per il finanziamento del RDC, 1,5 miliardi per tre anni provengono dal gioco d'azzardo.

Un lascito importante che è pari quasi alla metà dell'importo stanziato da questo Governo per l'anno in corso, mentre per gli anni futuri le risorse sono nominalmente finanziate ricorrendo all'aumento della pressione fiscale e da una futura manovra di bilancio che non avrà eguali.

38 mld di euro in tre anni per sostenere RDC e la finta “quota 100”, ipotecati dalla necessità di sboccare le clausole di salvaguardia, dalla perdita del 25% della base produttiva da recuperare e dalla condizione di recessione “tecnica” in cui avete riportato il paese.

Ci differenzia dalla maggioranza, la scelta di individuare e costruire una misura di contrasto alla povertà fatta in totale solitudine, senza una consultazione con le parti sociali e senza condivisione con il network di Alleanza contro la povertà, partner fondamentale per il Reddito di Inclusione.

Una diversità rilevante di metodo e di merito. Seppur in presenza di un grande investimento di risorse dedicate al contrasto alla povertà che non ignoriamo, l'equivoco culturale di fondo è credere che povertà e disoccupazione siano la stessa cosa. O anche peggio, che la povertà abbia un solo volto. Più che di povertà dovremmo parlare di poveri, delle persone, non della condizione in sé. Chiunque abbia impattato realmente con i poveri conosce quanto sia duro risalire la china dell'autostima innanzitutto. Ignorate che si può essere poveri o diventarlo per molte cause, tra le quali l'assenza di lavoro o di un reddito insufficiente a sostenere una vita dignitosa per sé e per il nucleo familiare. Ma non sono le sole.

Molti fattori possono condurre le persone ad una condizione di povertà assoluta, spesso legati a situazioni di multi – problematicità: dipendenza, condizioni di salute, età, disabilità, condizioni personali di disagio, piuttosto che lunghi periodi di disoccupazione. L'evoluzione tecnologica sta modificando profondamente l'organizzazione del lavoro in tutti i Paesi. Il suo impatto sociale produce effetti sulla vita dei cittadini, nella organizzazione delle imprese, nella governance dei processi connessi, rendendo obbligatorio individuare nuove risposte.

Voi avete fatto una scelta che, seppur legittima, da noi e da molti degli auditi è stata criticata o non apprezzata. Frutto dell'errore di fondo: gli strumenti assicurativi e di sostegno alla disoccupazione di lungo periodo sono esclusi, mentre è possibile un sostegno reddituale fortemente generoso, fino a 780 euro per soglie a reddito zero, tale da disincentivare la ricerca e l'accettazione di una delle tre offerte o la bizzarria del rifiuto di un'offerta congrua a 878 euro mensili che è pari allo stipendio di molti lavori di bassa qualifica o di lavoratori part-time. Due volte assurda perché favorirà il lavoro sommerso e nero. Così' come l'offerta di lavoro congrua è palesemente una foglia di fico dietro cui si cela il rischio della più completa inefficacia di questo intervento: veramente qualcuno può credere che i CPI che intermediano, a detta di tutte le statistiche, attorno al 4% del totale annuo delle intermediazioni di lavoro, siano in grado di offrire fino a 3 offerte di posti di lavoro a qualche milione di possessori di RDC?

La risposta ovviamente è NO! Non è possibile. Anche se i CPI conoscessero il 100% dei posti vacanti e li offrissero ai circa 3 milioni di disoccupati, come ci dicono le statistiche ufficiali, non si capisce perché le aziende dovrebbero accettare gli invii fatti dai CPI e rinunciare a selezionare le persone in base alle competenze che servono loro. Non siamo più nel dopoguerra dove la ricostruzione esigeva che la forza lavoro fosse assegnata in base ad una graduatoria di bisogno. Oggi, giustamente, sono le aziende che scelgono i loro collaboratori. E non sono neanche obbligate a dichiarare l'offerta economica che faranno ai disoccupati in sede di colloquio. Non solo, una azienda quando richiede del personale vuole avere una rosa di possibili candidati proprio per effettuare una selezione tra i segnalati: quale è la soglia per considerare che sia stata fatta l'offerta congrua? Laddove ci sono pochi posti di lavoro e molti percettori di reddito, come avverrà? Sulla carta l'accesso al RDC e subordinato al rispetto della condizionalità che non avverranno. Il rischio è di incentivare ii vivere di sussidio per un po', con qualche lavoretto per arrotondare le entrate e poi si vedrà.

Così, a noi, sembra velleitaria sia per l'architettura organizzativa bizantina sia per il percorso del nostro cittadino/utente e del suo nucleo familiare. Basta leggere il testo dell'articolato per scoprire quanto sia disordinato, caotico e complicato, tarato su chi le situazioni di povertà le ha viste sui libri o gli sono totalmente ignare. Persone da smartphone, dinamiche, interattive digitali con formazione adeguata al sistema produttivo, capaci di consultazioni quotidiane di piattaforme e capaci di passare da CAF, Poste, Inps, CPI più volte, Agenzia delle entrate e poi forse ai servizi assistenziali.

La lotta alla povertà ha bisogno di risposte complesse e plurime e di chiarezza su percorsi e su chi si prende in carico il nucleo familiare. Dei 5 milioni di poveri assoluti, i beneficiari potenziali stimati sono 1,3 milioni di nuclei familiari pari a 2,7 milioni di persone. Già questo dice molto: la metà viene appunto esclusa.

Di questi, 900 mila, in età compresa tra i 18-64 anni, sono soggetti “attivabili” al patto di lavoro, e tra di loro 600 mila hanno licenza media o nessun titolo.

L'assegno di ricollocazione, strumento più utile per accompagnare alla riqualificazione persone che sono fuori dal mercato del lavoro, è stato escluso. “Dopo averci raccontato che il RDC era destinato ai lavoratori minacciati dalla globalizzazione, dalla transizione tecnologica, scopriamo che per avere accesso al RDC, i robot devono averci rubato anche la casa!” (Cit. sen. Nanninici).

Si sceglie di non intervenire prima che i disoccupati diventino poveri, eppure le risorse ci sarebbero state, ridistribuendole in modo diverso. Lo abbiamo proposto con i nostri emendamenti che prevedevano di incrementare di 2,5 miliardi le risorse sul reddito di inclusione – portandole a oltre 4,5 miliardi e finanziando così le garanzie del reddito dei disoccupati oltre l'attuale Naspi. Sarebbe stato un utile incentivo anche per i centri accreditati privati ma anche questo, respinto al mittente. E' evidente che la fretta è stata cattiva maestra e che per molto tempo il reddito di cittadinanza si tradurrà in mero beneficio economico, certamente oltre le elezione Europee.

Non c'è altra spiegazione a tale fretta se non ragioni di consenso. Ma per emanciparsi dalla condizione di povertà non si può vivere di solo sussidio. Serve il lavoro e serve la crescita occupazionale che deriva innanzitutto dall'aumento di produttività e dagli incentivi alle imprese: servono riforme economiche, quelli che solo ora - a babbo morto - pensate di introdurre dopo aver fatto tabula rasa di ciò che avete ricevuto in eredità.

Di contro il blocco degli investimenti, in un paese che ha visto dimezzarsi, ripeto dimezzarsi, (meno 51%) l'occupazione nel comparto dell'edilizia e delle costruzioni a causa della crisi economica: i più penalizzati da “quota 100”.

Ma veniamo agli articoli dal 1 a 13 che riguardano RDC e pensione di cittadinanza. Tutti sono stati modificati nel passaggio in commissione per una “manutenzione ordinaria”, alcune volte straordinaria - insufficiente come per Anpal CPI - altre con delle migliorie e relativi inserimenti delle richieste dell'Anci e delle Regioni, con i quali siete arrivati al limite della rottura dei rapporti istituzionali.

E' interesse di tutti anche delle minoranze che il “sistema RDC” funzioni, per l'attenzione primaria alle persone, ed è per questo che stigmatizziamo la volontà della maggioranza di non aver inserito le modifiche sostanziali necessarie a correggere le iniquità e “i paradossi” che si produrranno. Nei mesi precedenti al decreto, numerosi sono stati gli appelli a non commettere l'errore, il vizio malefico in Italia, di interrompere e cestinare gli strumenti dedicati al contrasto alla povertà già in essere. Sarebbe bastato cambiare nome, corrispondendo all'esigenza politica di introdurre il famigerato RDC, mettere le risorse necessarie per ampliare platea e beneficio, rafforzare risorse umane e strumentali dei centri per l'impiego, irrobustire gli istituti assicurativi per la disoccupazione ed avreste raggiunto lo scopo politico, anzi un doppio vantaggio politico (RDC e rimozione del REI), valorizzando il rodaggio del sistema già in essere senza disorientare i beneficiari ed i servizi predisposti. Ma l'arroganza e la spinta demolitrice è più forte della saggezza e del buon senso.

Il passaggio in commissione è stato caratterizzato dall'introduzione di alcune modifiche al testo del Senato che non hanno modificato ne l'impianto né la visione approvata in CDM. Riguardano principalmente: all' art 1 la concessione della pensione di cittadinanza anche nei casi in cui i componenti del nucleo familiare di età pari o superiore ai 67 anni, ai quali incomprensibilmente avete lasciato l'adeguamento alla speranza di vita esclusa invece ai “quotati 100”, che convivano esclusivamente con persone con disabilità grave.

La “pensione” di cittadinanza diventa sovrapponibile all'assegno sociale, dove i criteri per l'accesso rimangono diversi con il paradosso di dare la stessa cifra a chi ha versato contributi previdenziali, perché ha lavorato. Pensate che questo sia un incentivo a tornare al versamento dei contributi? Lavoratori artigiani, donne dalle carriere discontinue, operatori del commercio e tante altre categorie di lavoratori per cosa si sono affaticati? Questa è una altra grave iniquità, un paradosso senza precedenti. Per garantirne il mantenimento – non avete voluto modificare né criteri né requisiti, solo un marginale ed esiguo correttivo, che “cuba” miseramente 6.4 milioni di euro a fronte di quasi 7 mld di euro spesi per il RDC e PDC. Saranno quindi ben poche, anzi pochissime le famiglie a beneficiare di questo correttivo.

È merito delle opposizioni se sono state inseriti, ma avendo respinto gli “emendamenti collegati” ha il sapore più di una beffa più che di una volontà di corrispondere alle esigenza reale di chi, spesso, con genitori anziani e con disabili adulti, affronta e sostiene il peso del carico assistenziale e di cura di congiunti con disabilità.

Le altre modifiche riguardano: l'aumento da 5000 a 7500 € sul valore del patrimonio mobiliare per persone con disabilità ai fini della pensione di cittadinanza, il contrasto agli atteggiamenti opportunistici, il pagamento della pensione in contanti, la possibilità di cumulare il reddito di cittadinanza non solo con la Naspi ma anche la Dis-coll e l'inserimento dei working poor al RDC per l'offerta congrua, l'assunzione di GDF e carabinieri, per attività di controllo, l'accordo con le regioni per i c.d. “Navigator” ridotti di numero e distribuiti tra CPI e Anpal.

Cosa faranno e quale profilo e modello contrattuale avranno i Navigator ancora con certezza non lo sappiamo. Sappiamo invece che non è personale stabilizzato, almeno quello di Anapal. Le vere e certe assunzioni annunciate dalla maggioranza, saranno quelle delle forze dell'ordine (Guardia di Finanza e Carabinieri) deputati ai controlli sul RDC anziché alla sicurezza pubblica e quelli dei centri per l'impiego.

Le altre assunzioni, soprattutto al sud e nelle aree più svantaggiate o più colpite dalla crisi per assenza di imprese e di possibilità lavorative sono molto aleatorie. I gravi vizi che contiene il “reddito di cittadinanza” sono rimasti del tutto inalterati e sono legati agli effetti dei requisiti e criteri per l'accesso. Riguarda in particolare l'art 2 e l'azione di puro belletto con la modifica del coefficiente massimale, portato da 0,1 a 0,2 solo in presenza di persone con disabilità che produce un beffardo ed esiguo aumento di 6,4 milioni di euro.

Con che faccia andrete ed andrà il Ministro Fontana dalle associazioni familiari e da quelle che rappresentano le persone e famiglie con disabilità? Perché è una scelta scientifica e cattiva oltre che punitiva, esclusivamente fatta nei loro confronti. La scelta di introdurre, solo per il reddito di cittadinanza e pensione di cittadinanza, una scala di equivalenza inventata e “tarlata”, diversa dalla quella presente nel nostro ordinamento per l'accesso a tutte le altre prestazioni assistenziali. Anche questo è il paradosso di questo decreto. Chi paga pegno? sono le famiglie con figli ed in particolare quelle numerose. Come la relazione dell'Ufficio parlamentare di bilancio conferma: “la volontà di assicurare ai monocomponenti una soglia di 780 euro mensili, di aumentare i sussidi ai pensionati- sussidi appunto non pensioni come enfaticamente viene chiamata la “pensione di cittadinanza” - ha portato a definire una scala di equivalenza che svantaggia i nuclei più numerosi”. Il 47% dei beneficiari sarà così per “single”.

Il vessillo dei 780 euro diventa così la “subordinata” per la ridistribuzione delle risorse residue, con l'introduzione di una scala di equivalenza diversa rispetto alle altre prestazioni assistenziali che “penalizza” le famiglie numerose e con figli con buona pace della denatalità, oramai record pessimo a livello mondiale, e della trasmissione generazionale della povertà in cui versano più di 1,2 milioni di bambini, i più esposti alla condizione di povertà.

Diversamente dalla scala ISEE che per quantificare il beneficio economico del ReI spettante a ciascun famiglia, viene “tarata” secondo il numero e la tipologia dei suoi componenti (adulti, bambini, persone con disabilità) e che avvantaggiava il 53% delle famiglie, oggi si riducono al 27%.

Chi paga pegno? Pagano le persone straniere.

Vengono così appagati i due obbiettivi diversi ma convergenti delle due forze politiche di maggioranza: il “mantra” dei 780 euro per il “Movimento” e penalizzare le famiglie straniere per la Lega, perché ritenute più povere e più numerose, e poco importa se con la regola del do ut des, si sacrificano i diritti e la tutele dei minori, la necessità di garantire eguali opportunità - come fossero “beni di scambio” negoziabili da un “contratto”.

Al rischio di incostituzionalità dei requisiti di residenza, necessari per l'accesso al beneficio economico con la richiesta “cumulativamente” del permesso di lungo periodo - come nel Rei- si aggiungono 10 anni di residenza in Italia di cui gli ultimi due continuativi. E per essere certi di ottenere la riduzione della platea al Senato si è aggiunto il c.d. Lodo “Lodi” per i requisiti patrimoniali.

Pagano le persone con disabilità. Oltre alla scelta scellerata di punire minori e famiglie, l'accanimento di questo governo del cambiamento include anche le persone con disabilità, avendo aggiunto ai fini del reddito familiare, il computo della pensione di invalidità.

Pagano un prezzo salato le persone con disabilità e le loro famiglie.

Sarete costretti a rimediare all'ingiustizia al primo ricorso, ma nessuno si dimenticherà che dopo aver costituito un Ministero della famiglia in difesa delle famiglie dei disabili, rimarranno solo l'enfasi e le parole, e qui lo dico con grandissimo rammarico – per il sottosegretario Zoccano. Mai ci saremmo aspettati tale assurdità.

Non basta di certo a compensare il computo di 3750 euro della pensione di invalidità ai fini del calcolo del reddito familiare, quel” pannicello caldo dell'incremento” dell'0,1, al coefficiente massimo della scala di equivalenze che diventa 2,2 e che si traduce in circa 50 euro mensili, perché le persone disabili la matematica la conoscono bene.

Avete dato per fatto – ce lo ricordiamo il Vice ministro Di Maio? Con elenco delle cose fatte? Compreso l'aumento delle pensioni di invalidità e la promessa di 400 milioni di euro in più? Bene, questo governo benevolmente investe 6,4 milioni di euro, su 7 miliardi di euro totali perché senza modificare i criteri ed i requisiti talmente stringenti, i beneficiari saranno ben poche le famiglie.

L'assurdo di questo insignificante aumento dell'0,1 finisce per avvantaggiare solo le famiglie con 4 componenti adulti o se nel caso di una coppia, almeno tre dei membri siano maggiorenni.

Ci vuole una bella dose di spudoratezza per prendere di mira le famiglie di persone con disabilità, pensando di inserire l'aumento del 15% dei sostituti d'imposta, cioè le famiglie, sul lavoro degli assistenti alla persona e colf, (una colf-tax). Solo la nostra fermezza, quasi fisica, ha impedito anche questo capolavoro!

Pagheranno le donne, italiane e straniere, avendo una speranza di vita più lunga, dedite al lavoro di cura e con carriere lavorative intermittenti.

Pagano pegno gli invisibili. Perché sono esclusi da questo decreto le persone in povertà estrema ed i senza fissa dimora che vivono ai margini delle città, nelle stazioni, coloro che approdano nelle mense degli enti messi in campo dalle diocesi, dal terzo settore o dagli enti locali.

Una scelta incomprensibile oltre che discriminatoria, lasciando sulle spalle dei soli enti locali ed organizzazioni del terso settore, la responsabilità etica ed economica di organizzare servizi. E' per altro il terzo settore il grande assente di questo decreto,

A meno che si pensi che il Daspo (decreto Sicurezza), la migrazione tra diversi contesti urbani ed il rimpallo delle responsabilità siano la soluzione del problema. Totalmente trascurati gli appelli della FioPSD (Fed. Italiana organizzazione persone senza fissa dimora) fatti nostri con gli emendamenti - poi respinti – come quello di riconoscere la residenza fittizia (fissare la residenza in una via fittizia territorialmente non esistente ma equivalente in valore giuridico (Circolare Istat n. 29/1992)) tra i requisiti per accesso al RDC.

Questo decreto comporterà un grande lavoro agli avvocati, per tante anomalie incluse, compresa la richiesta che sia il lavoratore e non l'impresa o azienda a comunicare l'effettiva contrattualizzazione, come avviene per tutti gli altri lavoratori.

Agli invisibili di questo provvedimento si aggiungono gli enti locali ed il terzo settore. Il sistema di governance pensato in questo decreto, ridimensiona i soggetti che sul territorio si sono sempre occupati di contrasto alla povertà. Tutti in fila ai centri per l'impiego a cui viene affidata anche la valutazione multidisciplinare, in virtù di una visione lavoristica della povertà, per poi rimettersi in fila e tornare ai servizi degli enti locali. Un controsenso che renderà ininfluenti ed aleatorie tutte le condizionalità inserite nel decreto legge. Rimane un mistero come sia possibile realizzare LSU, portandoli da 8 fino a 16 ore settimanali senza il terzo settore. L'obbligo dei lavori socialmente utili, si trasforma miracolosamente in opzione per gli enti locali come si evince alla lettera d) del comma 1 articolo 7 sulle sanzioni.

Sanzioni, per altro fuori da ogni logica, che porteranno la pena, detenzione da 3 a 6 anni persino più elevata a quelle previste per le fattispecie delittuose di falso commesse da un pubblico ufficiale.

Chiudo sull'art 14-bis inserito al Senato che altro non è che una raccomandazione, nulla di più, per prevedere il ricambio del turn over in sanità. Si tratta di una mera raccomandazione senza modificare il tetto di spesa assunzionale del 1,3 per cento sulla spesa del livello 2004, ad invarianza di spesa e risorse, senza aumento delle borse di specialità che possa davvero far fronte all'esodo di 40 mila “pensionati” medici e 22 mila infermieri. L'ottusa maggioranza ha respinto il mio emendamento che chiedeva di poter garantire la validità delle graduatorie per 3 anni, consentendo di evitare l'aggravio burocratico e amministrativo oltre che la riduzione costi.

Un governo ed una ministra della salute lontani anni luce dalla realtà quando affermano sulle liste d'attesa che solo per il 10 per centro del problema è legato alla carenza del personale.

Ma la propaganda si può fare anche sulla pelle dei lavoratori e tanti compresi quelli della sanità sanno bene di cosa stiamo parlando.