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Resoconto dell'Assemblea

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XVIII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 139 di lunedì 11 marzo 2019

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ETTORE ROSATO

La seduta comincia alle 14.

PRESIDENTE. La seduta è aperta.

Invito il deputato segretario a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

ALESSANDRO COLUCCI, Segretario, legge il processo verbale della seduta dell'11 febbraio 2019.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Amitrano, Battelli, Benvenuto, Bitonci, Bonafede, Boschi, Brescia, Buffagni, Carfagna, Castelli, Castiello, Cirielli, Cominardi, D'Uva, Del Re, Delmastro Delle Vedove, Delrio, Luigi Di Maio, Di Stefano, Durigon, Fantinati, Ferraresi, Fioramonti, Gregorio Fontana, Lorenzo Fontana, Fraccaro, Galli, Garavaglia, Gava, Gelmini, Giaccone, Giachetti, Giorgetti, Grande, Grimoldi, Guerini, Guidesi, Invernizzi, Liuni, Lollobrigida, Lorefice, Losacco, Maggioni, Manzato, Micillo, Molinari, Molteni, Morelli, Morrone, Picchi, Raduzzi, Rampelli, Rixi, Ruocco, Saltamartini, Serracchiani, Carlo Sibilia, Sisto, Spadafora, Spadoni, Tofalo, Vacca, Valente, Vignaroli, Villarosa, Raffaele Volpi,   Zoffili sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.

I deputati in missione sono complessivamente settantuno, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna).

Annunzio delle dimissioni di un Ministro.

PRESIDENTE. Comunico che, in data 8 marzo 2019, il Presidente del Consiglio dei ministri ha inviato al Presidente della Camera la seguente lettera: "Onorevole Presidente, informo la S.V. che il Presidente della Repubblica con proprio decreto in data odierna, adottato su mia proposta, ha accettato le dimissioni rassegnate dal professor Paolo Savona dalla carica di Ministro senza portafoglio. Con vivissima cordialità, firmato: Giuseppe Conte".

Sostituzione di un senatore componente della Delegazione presso l'Assemblea parlamentare dell'Iniziativa Centro Europea.

PRESIDENTE. Comunico che il Presidente del Senato ha chiamato a far parte della Delegazione italiana presso l'Assemblea parlamentare dell'INCE, la senatrice Papatheu, in sostituzione del senatore Cesaro, dimissionario.

Discussione del disegno di legge: S. 822 - Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea - Legge europea 2018 (Approvato dal Senato) (A.C. 1432-A) (ore 14,05).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato, n. 1432-A: Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea - Legge europea 2018.

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (Vedi calendario).

(Discussione sulle linee generali – A.C. 1432-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Il presidente del gruppo parlamentare del Partito Democratico ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.

La XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire il relatore, Presidente della XIV Commissione, onorevole Sergio Battelli.

SERGIO BATTELLI, Relatore. Grazie, Presidente, grazie colleghi. Mi accingo a illustrare questa avvincente ed esaustiva relazione sulla legge europea che, come tutti sanno, è uno dei due provvedimenti che compongono la cosiddetta sessione europea, volta a recepire gli atti normativi dell'Unione europea nel nostro ordinamento.

Ricordo che l'articolo 30, comma 3, della legge n. 234 del 2012 prevede che la legge europea, quale provvedimento immediatamente efficace nell'ordinamento giuridico, rechi essenzialmente disposizioni che modifichino o abroghino leggi dello Stato italiano che contrastano con il diritto dell'Unione europea, che siano oggetto di procedure di infrazione, ai sensi dell'articolo 258 TFUE, o che siano necessarie per dare altrimenti diretta attuazione del diritto dell'Unione europea e ai trattati internazionali conclusi nel quadro delle relazioni esterne dell'Unione medesima.

La legge europea per il 2018 è stata già approvata dal Senato ed è stata esaminata dalla nostra Commissione, componendosi oggi di 22 articoli.

Ne illustro sinteticamente il contenuto, rinviando alla documentazione predisposta dagli uffici per gli approfondimenti del caso e domando scusa se quel che dirò suonerà – per certi aspetti – come un elenco, però questa è una relazione e, quindi, di fatto la struttura non può essere che questa. Tuttavia, vorrei dare l'idea della varietà degli interventi e degli ambiti di pertinenza, anche per dare conto di quanto la normativa europea incida sui settori materiali della nostra vita.

Gli articoli 1 e 2 attengono, rispettivamente, al riconoscimento delle qualifiche professionali e alla professione dell'agente di affari in mediazione e sono volti anche ad archiviare la procedura d'infrazione 2018/2175.

Segnalo, in particolare, che all'articolo 1, modificato nel corso dell'esame in Commissione, sono ridefinite nozioni e procedure assai dettagliate, come per esempio quella di persona “legalmente stabilita” in uno Stato membro e come, per esempio, la procedura di rilascio della tessera professionale europea.

In base alla norma interna vigente, l'autorità competente deve segnalare al richiedente gli eventuali documenti mancanti e rilasciare ogni certificato che sia già in proprio possesso e che sia richiesto dalla disciplina in oggetto. La novella - come richiesto dalla Commissione europea - riformula quest'ultimo profilo, prevedendo che l'autorità competente rilasci ogni certificato di supporto richiesto dalla medesima disciplina.

Sempre a titolo di esempio, segnalo che l'articolo 1, comma 1, lettera d), riguarda la tessera professionale europea. In particolare, la novella di cui al numero 1) prevede che il termine di un mese, previsto per lo svolgimento della verifica - da parte dell'autorità competente - dell'autenticità e della validità dei documenti giustificativi, presentati ai fini del rilascio della tessera professionale europea, decorra, anziché dal ricevimento della domanda, dalla scadenza del precedente termine di una settimana dal ricevimento della domanda. Tale riformulazione rientra tra quelle richieste dalla Commissione europea nell'ambito della citata procedura d'infrazione 2018/2175.

L'articolo 2 limita e circoscrive le ipotesi d'incompatibilità dell'attività di mediazione con altre attività o professioni, novellando il comma 3 dell'articolo 5 della legge n. 39 del 1989.

Il nuovo articolo 3, introdotto nel corso del nostro esame referente, riguarda una questione annosa, quella dei lettori di lingua straniera nelle università. L'intervento proposto mira a riaprire il termine, scaduto al 31 dicembre 2018, differendolo al 31 ottobre 2019, previsto per il perfezionamento, da parte delle università statali, dei contratti integrativi di sede volti a superare il contenzioso in atto.

L'articolo 4 inerisce ai criteri di rilascio delle concessioni per rivendita di tabacco ed è volto a superare il caso EU – Pilot 8002/15/GROW.

L'articolo 5 attiene all'annosa questione dei ritardi nei pagamenti delle pubbliche amministrazioni ed è volto a superare la procedura d'infrazione 2017/2090. Preciso che questa disposizione riguarda solo un particolare profilo della tematica, vale a dire lo scarto temporale tra il collaudo dell'opera eseguita dall'appaltatore o la verifica di conformità dei prodotti o dei servizi forniti e l'emissione del certificato di pagamento, dalla quale decorrono i termini per eseguire il pagamento medesimo. La disciplina contenuta nel nostro codice dei contratti pubblici viene pertanto modificata per concentrare tutti gli adempimenti prodromici al pagamento così da poter adempiere tempestivamente alle obbligazioni e non danneggiare le imprese appaltatrici o fornitrici.

L'articolo 6 - anch'esso introdotto in sede referente qui alla Camera - reca modifiche al codice del consumo del 2005, volte ad adeguare la normativa interna alle disposizioni del Regolamento (UE) n. 2018/302, al fine di eliminare la possibilità di blocchi geografici ingiustificati nel commercio elettronico.

L'articolo 7 contiene una delega per l'adozione di nuove norme in materia di utilizzo dei vocaboli “cuoio”, “pelle” e “pelliccia” e di quelli da essi derivati o loro sinonimi (caso EU Pilot 4971/13/ENTR). Vi si abroga la legge n. 8 del 2013 ritenuta in contrasto con il principio di libera circolazione delle merci.

L'articolo 8 porta disposizioni sul mandato di arresto europeo, chiarendo che la legge n. 69 del 2005, che recepiva l'accordo quadro GAI sul mandato di arresto europeo costituisce anche attuazione dell'accordo tra l'Unione europea, da un lato, e Norvegia e Islanda dall'altro.

L'articolo 9 modifica il decreto legislativo n. 59 del 2011 in materia di esaminatori per patenti di guida.

L'articolo 10 è volto ad archiviare la procedura d'infrazione 2014/4187 in materia di diritti aeroportuali.

L'articolo 11 inerisce all'IVA applicabile ai servizi di trasporto e spedizione di beni in franchigia ed è volto a superare la procedura d'infrazione 2018/4000, attualmente allo stadio di messa in mora ex art. 258 TFUE. Con le modifiche in commento si esentano da IVA le predette prestazioni, a condizione che il loro valore sia compreso nella base imponibile, in luogo di essere concretamente assoggettato a imposta in dogana. Il Governo – nella relazione illustrativa al provvedimento – ricorda che, a parere della Commissione europea, le vigenti disposizioni di cui all'articolo 9, comma 1, numeri 2) e 4), del D.P.R. IVA confliggono con l'articolo 144 della direttiva 2006/112/CE sul sistema comune dell'IVA.

Sempre in materia fiscale, l'articolo 12 inerisce al testo unico sulla materia doganale e, disponendo la sostituzione integrale dell'articolo 84, per un verso, rinvia per i termini di notifica alle disposizioni dell'Unione europea e, per l'altro, dispone che quel termine è comunque di 7 anni se l'obbligazione doganale derivi da reati.

L'articolo 13 inerisce alle aste delle quote di emissioni di gas a effetto serra.L'articolo 14 è volto a eliminare una possibile procedura d'infrazione per aiuti di Stato, disponendo l'abrogazione dell'articolo1, comma 1087, della legge n. 205 del 2017, il quale erogava un contributo diretto all'Istituto italiano per l'Asia e il Mediterraneo (Isiamed).

L'articolo 15, modificato nel corso dell'esame in Commissione, attua direttamente la direttiva (UE) 2017/1564 in materia di diritto d'autore, al fine di garantire che le persone non vedenti, con disabilità visive o con altre difficoltà nella lettura di testi a stampa abbiano accesso ai libri e ad altri tipi di pubblicazioni - compresi gli spartiti musicali -, su qualsiasi supporto, anche in formato audio, e in formato digitale. A tal fine, si prevede un'eccezione al diritto d'autore e ai diritti connessi che, sostanzialmente, riprendono le previsioni della direttiva.

Ai sensi del nuovo comma 2-septies dell'articolo 71 della legge sul diritto d'autore, tali eccezioni non si applicano qualora siano già disponibili in commercio versioni accessibili di un'opera o di altro materiale, fatta però salva - secondo la modifica approvata in XIV Commissione - la possibilità di miglioramento dell'accessibilità o della qualità degli stessi.

L'articolo 16, a sua volta, attua direttamente la direttiva (UE) 2017/1572, che integra la direttiva 2001/83/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, per quanto concerne i princìpi e le linee guida relativi alle buone prassi di fabbricazione dei medicinali per uso umano.

L'articolo 17 adegua l'ordinamento interno ai regolamenti (UE) 2017/745 e 746 in tema di dispositivi medici e dispositivi medici diagnostici in vitro.

L'articolo 18 - introdotto anch'esso in sede referente qui alla Camera - è volto a dare riscontro a una procedura avviata con la messa in mora in ordine alla responsabilità per la sicurezza delle scorie nucleari. Si stabilisce, in proposito, la responsabilità in via principale dei titolari di autorizzazione alla gestione di impianti che producono scorie nucleari, prevedendo, inoltre, la responsabilità in via sussidiaria dello Stato.

Questa era la relazione introduttiva al provvedimento, grazie Presidente e grazie colleghi (Applausi).

PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Battelli, vedo che ha suscitato entusiasmo nell'Aula.

Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo, anche tutti e due.

LUCIANO BARRA CARACCIOLO. Sottosegretario di Stato per gli Affari europei. Perdonate il mio ritardo, ma in realtà - è una questione preliminare, che mi tocca porre e che mi riguarda - poco prima di venire qui, gli uffici del Segretario generale di Palazzo Chigi mi hanno comunicato che mi considerano senza delega e, di fatto, anche senza nomina, a seguito delle dimissioni di Savona, che, a mio parere, sono del tutto autonome dalla mia posizione. Per cui, io, finché non ho un chiarimento da parte degli uffici, perché sembrano aver deciso in questo senso, non ben chiaro per la verità, ho chiesto evidentemente di accertare questo aspetto preliminare, perché in tal caso non potrei essere il rappresentante del Governo, meno che mai sugli affari europei. Per cui, il mio ritardo è dovuto a questo, ma non posso fare a meno di esplicitarvi e di comunicarvi questa mia strana situazione.

PRESIDENTE. Grazie, signor sottosegretario. Le do una buona notizia, e cioè il Governo ha delegato lei a seguire questo provvedimento, quindi evidentemente la considerano ancora in carica.

È iscritta a parlare la deputata Rosalba De Giorgi… No, no, non esistono le repliche… onorevole sottosegretario, si accomodi… non è all'ordine del giorno questa discussione, perché se apriamo una discussione… se lei è il sottosegretario…

PIERO DE LUCA (PD). Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

PIERO DE LUCA (PD). Grazie, Presidente. Siamo un po' in difficoltà anche noi, come gruppo del Partito Democratico, perché accogliamo l'onestà intellettuale manifestata dal sottosegretario, però credo sia opportuno, a questo punto, che il Governo manifesti, come richiesto dallo stesso sottosegretario, qual è la situazione legata al dicastero, al Ministero delle politiche dell'Unione europea, perché ancora oggi non c'è chiarezza e non c'è certezza sulla titolarità del Ministero.

Il sottosegretario Barra Caracciolo, in una scorsa dichiarazione in Commissione, ha dichiarato che il Ministro Savona è ancora in carica ufficialmente, non si è dimesso. Oggi, qui, ci rappresenta la sua non conoscenza o consapevolezza del suo stato, legato alle sue deleghe o ancora alla sua presenza nel Governo; chiediamo che sia fatta chiarezza e di avere conoscenza, nel caso, della delega che il Governo ha ricevuto. Se il sottosegretario non ne è a conoscenza, forse sarebbe il caso che il Presidente del Consiglio lo informi, che quest'Aula, il Parlamento, abbia chiarezza su quello che è lo stato dell'arte, perché c'è una confusione enorme e, nel momento in cui discutiamo di legge europea, non è possibile che al Governo non si sappia chi rappresenta e chi è titolare del Dicastero delle politiche europee.

Per cui chiediamo chiarezza ai banchi del Governo prima di poter proseguire nel dibattito, perché c'è una confusione che sicuramente non agevola e non facilita il dibattito e non aiuta il nostro Paese ad affrontare le problematiche che il relatore ci ha rappresentato, che sono di assoluto rilievo e interesse per il futuro del Paese stesso, cioè evitare che l'Italia incorra in nuove procedure di infrazione o che se ne possano aprire di ulteriori.

Per cui chiediamo, se possibile, un chiarimento al Governo su chi lo rappresenta in questo momento, prima di procedere nel dibattito e nella discussione, perché francamente una cosa del genere non l'avevamo mai vista.

PRESIDENTE. Grazie, onorevole De Luca. Io ribadisco quello che ho detto prima: il sottosegretario Barra Caracciolo è designato dal Governo a seguire il provvedimento. Il suo intervento è legittimo, ma non aveva nulla a che fare con quanto stiamo facendo in quest'Aula, altrimenti non potrebbe neanche entrare e sedersi sui banchi del Governo. Abbiamo anche il sottosegretario Bartolazzi, che partecipa ai nostri lavori. Io, quindi, direi che noi proseguiamo, poi questioni di carattere più politico le risolviamo in altri luoghi, in altre sedi.

Do, quindi, la parola alla collega Rosalba De Giorgi. Prego.

ROSALBA DE GIORGI (M5S). Signor Presidente, onorevoli colleghi, quest'oggi la Camera è chiamata ad esaminare il disegno di legge atto Camera 1432, relativo alle disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea - Legge europea 2018, già approvato dal Senato della Repubblica nel dicembre del 2018 e successivamente modificato dalla Commissione politiche dell'Unione europea in sede referente.

Il provvedimento ha come scopo principale quello di adeguare periodicamente l'ordinamento nazionale a quello dell'UE attraverso, come si potrà verificare valutando il testo normativo, disposizioni modificative o abrogative di norme statali in contrasto con gli obblighi scaturenti dall'appartenenza dell'Italia all'UE, attraverso la concreta esecuzione di un accordo internazionale concluso nel quadro delle relazioni esterne dell'Unione europea, oppure attraverso norme finalizzate non solo a prevenire l'apertura di procedure di infrazione, ma anche a consentirne la chiusura e l'archiviazione; si vedano i casi di precontenzioso EU Pilot.

Si ricorda che al sistema EU Pilot si fa ricorso per evitare l'apertura formale di una procedura di infrazione ex articolo 258 TFUE, ed è la fase in cui sono impegnati la Commissione europea e gli Stati membri nello scambiarsi informazioni nel tentativo di risolvere i problemi in tema di applicazione del diritto dell'Unione europea o di conformità della legislazione nazionale alla normativa UE.

Ad ogni modo, per un'approfondita analisi dei contenuti che devono integrare la legge europea, diversa dalla legge di delegazione europea, si rimanda per esigenze di tempo e per una maggiore praticità, all'articolo 30, comma 3, della legge n. 234 del 2012, sulla partecipazione dell'Italia alla formazione e all'attuazione della normativa e delle politiche dell'Unione europea.

Detto che il disegno di legge in titolo è stato trasmesso privo del parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, facendo leva sulla procedura d'urgenza prevista dall'articolo 2, comma 5, del decreto legislativo n. 281 del 28 agosto 1997, va precisato che contiene 22 articoli, a loro volta suddivisi in 8 capi, che si occupano di temi eterogenei, rientranti nei seguenti settori: libera circolazione di persone, servizi e merci, giustizia e sicurezza, trasporti, fiscalità, dogane e aiuti di Stato, diritto d'autore, tutela della salute umana, ambiente.

Il provvedimento è suggellato dall'articolo 22, contenente la clausola che stabilisce che dall'attuazione della legge non debbano derivare conseguenze finanziarie, la cosiddetta invarianza finanziaria, clausola che è valida per tutte le disposizioni del disegno di legge, ad eccezione dell'articolo 4.

Passiamo adesso all'esame di ogni singolo articolo del provvedimento, di cui sarà richiamato il contenuto in modo sintetico, ma non superficiale.

Articolo 1 (Disposizioni in materia di riconoscimento delle qualifiche professionali, procedura di infrazione 2018/2175): la norma, sviluppata in un unico comma, apporta modifiche alla disciplina in materia di riconoscimento delle qualifiche professionali di cui al decreto legislativo 9 novembre 2007, n. 206. In particolare, fra le variazioni apportate spiccano quella relativa alle norme di individuazione delle pubbliche amministrazioni competenti a esaminare le richieste di riconoscimento di una qualifica professionale di cui all'articolo 5 del decreto legislativo n. 206 e quella relativa alla procedura di rilascio della tessera professionale europea. In questo caso, si prevede il rilascio da parte dell'autorità competente di ogni certificato di supporto previsto dalla disciplina in oggetto e che il termine di un mese, previsto per lo svolgimento della verifica dell'autenticità e della validità dei documenti giustificativi presentati ai fini del rilascio della tessera professionale europea, decorra anziché dal ricevimento della domanda dalla scadenza del precedente termine di una settimana dal ricevimento della domanda, così come richiesto dalla Commissione europea nell'ambito della citata procedura di infrazione n. 2018/2175 sulla base dell'articolo 4-ter della direttiva n. 2005/36/CE.

Un'altra norma che rientra tra quelle richieste dalla procedura di infrazione n. 2018/2175 è introdotta dalla novella di cui alla lettera e). Questa specifica che le autorità interne competenti devono prestare piena collaborazione con i centri di assistenza degli Stati membri ospitanti, centri che forniscono l'assistenza necessaria in favore dei cittadini europei che intendano ottenere il riconoscimento di una qualifica professionale nel medesimo Stato ospitante e, se richiesto, devono trasmettere, i medesimi centri, tutte le informazioni pertinenti ai singoli casi, fatte salve le disposizioni in materia di protezione dei dati personali. Segnalo, infine, la modifica apportata nel corso dell'esame in Commissione politiche dell'UE alla lettera f) dell'articolo con cui si disciplinano le misure che possono essere prescritte ai fini del riconoscimento della qualifica professionale dell'autorità competente dello Stato membro ospitante in caso di discordanza tra la formazione seguita dal professionista e quella richiesta nel medesimo Stato ospitante.

Articolo 2 (Disposizioni in materia di professione di agente d'affari in mediazione): questo articolo novella il comma 3 dell'articolo 5 della legge n. 39 del 1989, nel senso di limitare le incompatibilità dell'attività di mediazione con altre attività e professioni adeguatamente stabilite a una serie di ipotesi che viene così elencata: attività imprenditoriali di produzione, vendita, rappresentanza o promozione dei beni afferenti allo stesso settore merceologico per il quale si esercita l'attività di mediazione, attività svolta in qualità di dipendente di ente pubblico o privato e di istituto bancario finanziario o assicurativo, esercizio di professioni intellettuali afferenti al medesimo settore merceologico per cui si esercita l'attività di mediazione, situazioni di conflitto di interessi. Va ricordato che nell'ambito della procedura di infrazione n. 2018/2175 la Commissione europea ha rilevato che l'articolo 5 della legge n. 39 del 1989 limiterebbe in maniera decisa le attività che un agente immobiliare può svolgere, un'osservazione formulata alla luce del fatto che vi sono precise disposizioni che prevedono che i requisiti che comprimono l'accesso a una professione o il suo esercizio devono essere non discriminatori, proporzionati e giustificati.

Articolo 3: le disposizioni che andiamo a esaminare ruotano attorno all'annosa vicenda contrattuale degli ex lettori di lingua straniera da cui è sorto un contenzioso tuttora in atto. Con l'obiettivo di superare questa controversia, l'articolo 3 differisce dal 31 dicembre 2018 al 31 ottobre 2019 il termine che era stato inizialmente previsto per il perfezionamento da parte delle università statali dei contratti integrativi di sede, perfezionamento che ha come scopo non solo quello di definire la causa in corso ma anche di prevenire l'instaurazione di nuovo contenzioso nei confronti delle medesime università da parte degli ex lettori di lingua straniera. Il differimento è con tutta probabilità collegato al mancato intervento del decreto interministeriale che deve definire lo schema tipo in base al quale le università perfezionano i contratti integrativi di sede e a tal proposito si evidenzia che il differimento del termine per il perfezionamento dei contratti in oggetto segue quello originario del 31 dicembre 2017 e il successivo del 31 dicembre 2018.

L'articolo 4 apporta delle sostanziali modifiche ai requisiti necessari per il rilascio di concessioni finalizzate all'istituzione di rivendite ordinarie e speciali di generi di monopolio e per il rilascio o il rinnovo del patentino. Per quanto concerne il primo caso, vengono introdotti, in sostituzione del parametro della produttività minima, i requisiti della distanza non inferiore a duecento metri e della popolazione, nel rispetto del rapporto di una rivendita ogni 1.500 abitanti, mentre trova conferma il principio secondo cui è necessario contemperare l'esigenza di assicurare all'utenza una rete di vendita capillarmente dislocata sul territorio con l'obiettivo di perseguire l'interesse primario della tutela della salute consistente nel prevenire e controllare ogni ipotesi di offerta di tabacco al pubblico non giustificata dall'effettiva domanda.

Per ciò che riguarda il rilascio o il rinnovo dei patentini, l'articolo sopprime il richiamo al criterio della produttività minima mentre, per poter valutare la complementarietà e la non sovrapponibilità degli stessi rispetto alle rivendite, resta fermo il richiamo al criterio della distanza tanto per il rilascio quanto, per effetto della novella, per i rinnovi. La disposizione in esame è finalizzata alla chiusura del caso EU-Pilot 8002/15/GROW nell'ambito del quale la Commissione europea ha contestato il fatto che l'adozione di un criterio, che consenta l'apertura di nuove tabaccherie solo quando la produttività delle tabaccherie già esistenti abbia superato una certa soglia minima, contrasta con l'articolo 15 della direttiva n. 2006/123/CE.

Articolo 5: la norma di cui si tratta sostituisce interamente l'articolo 113-bis del decreto legislativo n. 50 del 2016, il codice dei contratti pubblici, e si sviluppa in quattro commi: il primo attiene agli acconti che devono essere versati all'appaltatore entro 30 giorni da ogni SAL, stato avanzamento dei lavori, a meno che sia espressamente concordato un termine diverso, mai superiore a 60 giorni; il secondo si riferisce al pagamento e, in particolare, la disposizione è volta a eliminare l'interruzione fra l'adempimento tecnico, costituito dal collaudo o dalla verifica di conformità, e il rilascio del certificato di pagamento da parte del responsabile del procedimento; il terzo, rifacendosi al comma 6 dell'articolo 4 del decreto legislativo n. 231 del 2002, ricorda che una procedura volta ad accertare la conformità della merce o dei servizi al contratto non può avere una durata superiore a 30 giorni dalla data della consegna della merce o della prestazione del servizio, salvo che sia diversamente ed espressamente concordato dalle parti; il quarto e ultimo comma disciplina le penali a carico dell'imprenditore, che devono essere pattuite in base a due criteri: uno che attiene alla tecnica di calcolo, cioè le penali devono essere commisurate ai giorni di ritardo nella consegna; l'altro di carattere proporzionale, vale a dire le penali devono essere adeguate all'importo complessivo o alle prestazioni del contratto. La modifica fa seguito all'impegno assunto dal Governo italiano di porre rimedio all'apertura della procedura di infrazione n. 2017/2090 in materia di pagamenti negli appalti pubblici. La procedura è allo stato del parere motivato e inerisce, più in particolare, alla disciplina dei termini di pagamento delle stazioni appaltanti pubbliche in favore degli appaltatori.

Articolo 6: questo di cui andiamo a occuparci è un articolo inserito nel disegno di legge in titolo nel corso dell'esame in sede referente e apporta una serie di modifiche al codice del consumo di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, allo scopo di adeguare la normativa interna alle disposizioni del regolamento n. 2018/302 del Parlamento europeo e del Consiglio del 28 febbraio 2018, regolamento, che va ricordato, è finalizzato a vietare il fenomeno denominato “Geo-blocking”, “blocco geografico ingiustificato”, fenomeno che si riferisce a una pratica utilizzata da venditori online per imporre limitazioni alle vendite transfrontaliere via Internet sulla base della nazionalità, del luogo di residenza o di stabilimento dei clienti. Tali pratiche, tra le altre cose, impediscono ai consumatori di accedere a siti web da altri Stati membri oppure concedono loro la possibilità di accedervi non permettendo, però, al cliente estero di finalizzare l'acquisto o chiedendogli di pagare con una carta di debito o di credito di un determinato Paese. Si è quindi in presenza di una discriminazione geografica che, si badi bene, può anche verificarsi quando i consumatori sono fisicamente presenti nel luogo in cui si concretizza la vendita ma viene loro impedito di accedere a un prodotto o a un servizio oppure la discriminazione può realizzarsi anche quando vengono imposti ai consumatori diverse condizioni di acquisto per ragioni di nazionalità o di residenza, situazioni che il regolamento provvede a impedire tramite l'applicazione di disposizioni che intervengono qualora non vi sia una giustificazione oggettiva per l'impiego di un trattamento diverso sulla base di nazionalità, luogo di residenza o di stabilimento.

L'articolo 7, introdotto nel corso dell'esame al Senato, delega il Governo ad adottare, entro il termine di dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge, un decreto legislativo che disciplini l'utilizzo dei termini “cuoio” e “pelle” e di quelli da essi derivati o i loro sinonimi, nel rispetto della legislazione dell'Unione europea nei settori armonizzati e per la risoluzione del caso EU Pilot 4971/13/ENTR.

Con il decreto legislativo in oggetto si provvede ad abrogare le disposizioni nazionali non più applicabili e ad adottare le necessarie disposizioni recanti sanzioni penali ed amministrative per le violazioni degli obblighi contenuti nello stesso decreto.

Articolo 8: la norma estende anche ai rapporti tra l'Italia e il Regno di Norvegia e a quelli tra l'Italia e la Repubblica d'Islanda l'ambito di applicazione delle disposizioni della legge 22 aprile 2005, n. 69, in materia di mandato di arresto europeo e procedure di consegna tra Stati membri. Il comma 4-bis prevede che le disposizioni di cui alla legge n. 69 costituiscono attuazione anche dell'Accordo tra l'UE e la Repubblica d'Islanda e il Regno di Norvegia del 28 giugno 2006. Viene specificato che l'Accordo di cui si tratta trova applicazione nei limiti in cui le sue disposizioni non sono incompatibili con i principi dell'ordinamento costituzionale in tema di diritti e libertà fondamentali, compreso il diritto al giusto processo. Ma, a tal proposito, va ricordato che, ad oggi, l'Italia non ha ancora provveduto al recepimento dell'Accordo in questione, come del resto è stato pure evidenziato lo scorso 16 luglio dal Consiglio dell'Unione europea.

Articolo 9: le disposizioni contenute nell'articolo in esame disciplinano i requisiti richiesti agli esaminatori di patenti di guida diverse da quella per gli autoveicoli, apportando una modifica alla lettera a) del punto 2.2 dell'allegato IV del decreto legislativo n. 59 del 2011. La modifica legislativa proposta si basa sul presupposto che, per condurre i veicoli diversi dalle autovetture, è necessaria una salda conoscenza di nozioni teoriche e pratiche di fisica, meccanica e dinamica, che certamente sono possedute da chi è in possesso di diploma di laurea in ingegneria. Pertanto, il possesso del titolo di studio, accompagnato dal corso di qualificazione iniziale che comunque devono obbligatoriamente frequentare i funzionari che intendono conseguire l'abilitazione di esaminatore, consentirebbe di assicurare i requisiti di competenza e affidabilità allo svolgimento delle funzioni in argomento richiesti.

L'articolo 10, introdotto a seguito di un emendamento durante l'esame in Commissione in Senato, è finalizzato a rimediare all'apertura della procedura di infrazione 2014/4187 in materia di regolazione del trasporto aereo che è allo stato della messa in mora. La disposizione novella il decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, sostituendone l'articolo 73. La modifica è tesa ad assegnare all'Autorità di regolazione dei trasporti, già istituita con l'articolo 37 del decreto-legge n. 201 del 2011, il cosiddetto Salva Italia, la funzione di regolatore indipendente dei rapporti di concessione anche quando sussista tra l'ENAC e il concessionario dei servizi aeroportuali un contratto di programma. La modifica legislativa viene proposta per venire incontro alle obiezioni della Commissione europea secondo cui l'ENAC non sarebbe idoneo a soddisfare i requisiti dell'autorità amministrativa indipendente cui deve essere demandata la competenza di risolvere le controversie tra autorità aeroportuale e gestori dei relativi servizi.

Con l'articolo 11 si punta a disciplinare il regime IVA applicabile ai servizi di trasporto e spedizione dei beni in franchigia, allo scopo di archiviare la procedura di infrazione 2018/4000, attualmente allo stadio di messa in mora ex articolo 258 TFUE. La Commissione europea ha formalizzato la costituzione in mora lo scorso 19 luglio. Con le modifiche in commento si esentano da IVA le prestazioni in oggetto, a condizione che il loro valore sia compreso nella base imponibile, in luogo di essere concretamente assoggettato ad imposta in dogana. Nella relazione illustrativa al provvedimento il Governo ha ricordato che, a parere della Commissione UE, le vigenti disposizioni di cui all'articolo 9, comma 1, numeri 2 e 4 del DPR IVA confliggono con l'articolo 144 della direttiva 2006/112/CE sul sistema comune dell'IVA.

L'articolo 12: in questo caso, ad essere novellato è l'articolo 84 del decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43, che reca il testo unico in materia doganale, con particolare riferimento ai termini di prescrizione dell'obbligazione doganale, al fine di garantire piena attuazione al nuovo codice doganale dell'Unione, il regolamento n. 952 del 9 ottobre 2013. Nel dettaglio, la nuova disposizione chiarisce che i termini per la notifica dell'obbligazione doganale avente ad oggetto diritti doganali sono disciplinati dalle vigenti disposizioni dell'Unione europea. Il comma 2 dispone che, qualora l'obbligazione doganale sorga a seguito di un comportamento penalmente perseguibile, il termine per la notifica dell'obbligazione doganale è di sette anni. Mentre il comma 3 precisa che la nuova disciplina si applica alle obbligazioni doganali sorte dal 1° maggio 2016, data di applicazione del nuovo codice doganale dell'Unione.

L'articolo 13 contiene disposizioni per la piena attuazione del regolamento UE n. 1031/2010 che disciplina i tempi, la gestione e altri aspetti della vendita all'asta delle quote di emissioni dei gas a effetto serra, con particolare riferimento al ruolo della Consob e alla possibilità, riconosciuta alle competenti autorità nazionali, di applicare sanzioni efficaci proporzionate e dissuasive qualora si sia in presenza di violazioni delle regole prescritte.

L'articolo 14, introdotto nel corso dell'esame in Commissione in Senato, abroga la disposizione inserita nella legge di bilancio per il 2018, all'articolo 1, comma 1087, che prevedeva l'assegnazione di un contributo pari ad un milione di euro per ciascuno degli anni 2018, 2019 e 2020 in favore dell'Istituto italiano per l'Asia e il Mediterraneo. Va precisato che l'abrogazione dell'articolo 1, comma 1087, della legge n. 205 del 2017, ha lo scopo ultimo di evitare una procedura di infrazione ai sensi del combinato disposto degli articoli 108, comma 2, e 258 TFUE.

L'articolo 15, dando attuazione alla direttiva UE 2017/1564, recepisce gli obiettivi del Trattato di Marrakech, introducendo eccezioni o limitazioni al diritto d'autore e ai diritti connessi per la realizzazione e la diffusione di copie in formati accessibili di determinate opere e di altro materiale protetto e per lo scambio transfrontaliero di tali copie, per gli utilizzi da parte delle categorie delle persone non vedenti, con disabilità visive o con altra difficoltà nella lettura di testi a stampa. A questo scopo la norma, novellando l'articolo 71-bis della legge n. 633 del 1941, aggiunge dodici nuovi commi che sostanzialmente riprendono le previsioni della direttiva.

L'articolo 16, l'articolo di cui passiamo ad esaminare le modifiche, fa parte del Capo VI che prevede: Disposizioni di tutela della salute umana. Oggetto della norma è la disciplina delle buone prassi di fabbricazione dei medicinali per uso umano. Le modifiche sono intese al recepimento della direttiva UE 2017/1572 della Commissione che vede come destinatari, da un lato, gli Stati e l'Agenzia italiana del farmaco e, dall'altro, i produttori e gli importatori di medicinali, ponendo una serie di obblighi a carico dei soggetti identificati in precedenza per assicurare la conformità delle operazioni alle buone prassi di fabbricazione e l'attuazione del sistema di garanzia della qualità farmaceutica.

L'articolo 17 designa il Ministero della Salute come autorità competente in materia di dispositivi medici e come autorità designata per l'attuazione dei regolamenti, consentendo così non di rimediare ad una procedura di infrazione ma di adeguare il nostro ordinamento interno ai regolamenti UE n. 745 e n. 746 del 2017 adottati nella stessa materia. Introdotto a seguito di un emendamento durante l'esame in Commissione al Senato, l'articolo 17 è volto a modificare tre decreti legislativi: il decreto legislativo n. 46 del 1997, il decreto legislativo n. 507 del 1992 e il decreto legislativo n. 332 del 2000.

L'articolo 18, introdotto nel corso dell'esame in sede referente alla Camera, novella il decreto legislativo n. 45 del 2014, introducendo l'articolo 1-bis che reca disposizioni sull'attribuzione delle responsabilità, sia in via principale sia in via sussidiaria, della sicurezza della gestione di combustibile esaurito o di rifiuti radioattivi. Il tutto allo scopo di superare gli appunti mossi dalla Commissione europea nell'ambito della procedura di infrazione n. 2018/2021 avviata contro lo Stato italiano per la mancata attuazione della direttiva 2011/70/Euratom che istituisce un quadro comunitario per la gestione responsabile e sicura del combustibile nucleare esaurito e dei rifiuti radioattivi. I profili di responsabilità richiesti sono tracciati nei cinque commi che costituiscono l'articolo di cui ci stiamo occupando. Il comma 1 provvede ad attribuire la responsabilità in via principale ai soggetti produttori di combustibile esaurito o di rifiuti radioattivi e ai soggetti titolari di autorizzazioni per attività o impianti connessi alla gestione di tali materiali. Il comma 2 dispone che, in mancanza di responsabili in via principale, è lo Stato ad esserlo in via sussidiaria; lo stesso comma individua anche i casi di esclusione della responsabilità sussidiaria dello Stato nel caso si sia di fronte al rimpatrio di sorgenti sigillate dismesse al fornitore o fabbricante e la spedizione del combustibile esaurito di reattori di ricerca ad un Paese in cui i combustibili sono forniti o fabbricati, tenendo conto degli accordi internazionali applicabili. I commi 3 e 4 delineano la responsabilità in via sussidiaria degli Stati in caso di spedizione dei materiali radioattivi; mentre il quinto riguarda la copertura degli oneri.

Con l'articolo 19 ci troviamo di fronte ad una nuova modifica legislativa che intende definire un caso EU Pilot evitando l'apertura di una procedura di infrazione nei confronti dell'Italia. Per raggiungere questo scopo la norma interviene sul decreto legislativo del 14 marzo 2014, n. 49, adottato in attuazione della direttiva 2012/19/UE sui rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche.

Articolo 20. Modificata nel corso dell'esame in sede referente, la norma del disegno di legge in titolo riguarda lo smaltimento degli sfalci e delle potature, ed è finalizzata alla chiusura del caso EU Pilot 9180/17/ENVI, concernente specifiche ed ulteriori esclusioni dalla normativa sui rifiuti, introdotte dal legislatore nazionale nell'articolo 185, comma 1, lettera f) del decreto legislativo n. 152 del 2006 (codice dell'ambiente), rispetto al testo della direttiva europea sui rifiuti. Va rilevato che l'articolo 20 reca una formulazione che contempera le esigenze del mondo agricolo con quanto rappresentato dalla Commissione europea nell'ambito della procedura di precontenzioso EU Pilot 9180/17/ENVI: in particolare esclude dalla nozione di rifiuto, oltre alla paglia e alle materie fecali dell'articolo 185 del decreto legislativo n. 152 del 2006, anche quel materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso, come gli sfalci e le potature effettuati nell'ambito delle buone pratiche colturali; l'esclusione si stabilisce anche per gli sfalci e le potature derivanti dalla manutenzione del verde pubblico di comuni e città metropolitane. Inoltre, si prevede che i materiali siano utilizzati in agricoltura, nella silvicoltura e per la produzione di biomassa con metodi che non danneggiano la salute umana.

Articolo 21. Premesso che lo scopo di questa norma è evitare una procedura di infrazione ai sensi del combinato disposto degli articoli 108, comma 2, e 258 del TFUE, l'articolo 21 abroga le disposizioni di cui ai commi 149, 150 e 151 dell'articolo 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità 2016), che riconoscono a taluni impianti alimentati da biomasse, biogas e bioliquidi sostenibili un ulteriore nuovo incentivo rispetto a quello da essi già goduto ai sensi della disciplina generale di sostegno delle fonti rinnovabili.

Articolo 22 (clausola di invarianza finanziaria). Come già accennato in apertura di discussione, l'ultimo articolo del disegno di legge di cui ci siamo occupati reca una clausola con cui viene stabilito che dall'attuazione della legge non debbano derivare conseguenze finanziarie. Tale disposizione non è valida solo per l'articolo 4 del disegno di legge.

Onorevoli colleghi, a chiusura di questo intervento mi permetto di rimarcare l'importanza di questo provvedimento che, come più volte evidenziato, con modifiche apportate ad alcune norme nazionali già vigenti tende ad evitare l'apertura di procedure di infrazione nei confronti del nostro Paese, procedure che la Commissione UE è solita avviare soprattutto per il mancato recepimento di direttive europee.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Occhionero. Ne ha facoltà.

GIUSEPPINA OCCHIONERO (LEU). Presidente, colleghe, colleghi, membri del Governo, la legge europea, insieme alla legge di delegazione europea che abbiamo già discusso e approvato in quest'Aula, è uno dei due principali strumenti che sono necessari per adeguare la nostra legislazione a quello che è l'indirizzo dell'Unione europea. In particolare, questo - l'abbiamo già sentito - allo scopo di evitare l'apertura o di porre rimedio, e quindi determinare la chiusura, delle procedure di infrazione che potrebbero colpire la nostra Italia.

È chiaro che non può e non deve essere un mero strumento burocratico, ma in realtà anche questo provvedimento è un modo che ci induce a riflettere su quella che dev'essere la posizione dell'Italia all'interno dell'Unione europea. È chiaro che il nostro Paese, da membro fondatore e da motore fondamentale nel processo di…

PRESIDENTE. Onorevole Occhionero, cambi il microfono. Ci provi, perché quello mi sembra veramente un po' in difficoltà.

GIUSEPPINA OCCHIONERO (LEU). Grazie. Dicevo, il nostro Paese, in realtà, da fondatore dell'Unione europea e da principale motore del processo di integrazione all'interno dell'Unione europea, nell'ultimo periodo è entrato a far parte di quelli che sono i Paesi euroscettici - il Gruppo di Visegrád per dirla con il loro nome - abbandonando così le nostre tradizionali relazioni privilegiate, in particolar modo con la Francia e con la Germania, per collocarsi all'interno di quello che è, secondo me e secondo noi, un giro di alleanze ben poco proficue per la nostra Italia. È una scelta che non solo si pone in netta contrapposizione con quella che è la nostra storia, ma che in realtà risulta anche autolesionistica, soprattutto se consideriamo la gestione dei flussi migratori, che proprio a causa dell'ostilità dei Paesi di Visegrád comportano il maggior carico di gestione solamente sull'Italia, che rimane da sola. L'Unione europea, secondo me, insieme alla questione dei migranti, è diventato il capro espiatorio che questo Governo sta usando per nascondere le proprie inadeguatezze, le proprie incapacità: una tattica che presto, come una foglia di fico messa proprio a riparare quelle che sono le incapacità del Governo, cadrà.

Certamente, noi riteniamo che comunque il modello europeo sia in crisi, che proseguire sulle ideologie di austerità non faccia bene all'Italia, che aumenti la disparità sociale e l'ostilità, la paura nei confronti del futuro, la precarietà, e che alimenti il senso di nazionalismo e di ostilità. Per cui riteniamo che questo Governo sia estremamente caratterizzato da una chiassosa rivendicazione in toni nazionalistici della sovranità dell'Italia conculcata dall'Unione europea, che poi è l'atteggiamento che fa più breccia nella gran parte della popolazione più disarmata politicamente e quindi più sensibile alla demagogia. Ebbene, questa per noi non è la giusta direzione: noi riteniamo che l'Europa debba necessariamente e presto riconquistare la propria missione, puntando nuovamente sul welfare, sulla costruzione di una giustizia sociale, di una crescita equilibrata e sostenibile. Questa è la missione che secondo noi l'Europa deve avere e l'Italia insieme all'Europa. Crediamo che per fare questo l'Italia debba avere un ruolo da protagonista, ma da protagonista all'interno di un insieme di alleanze proficue e produttive – costruttive - e non che ci conducano ad un isolamento assolutamente inutile e funesto per la nostra stessa Italia all'interno delle istituzioni europee.

La legge europea, come ho detto all'inizio del mio discorso, serve proprio per evitare l'apertura o per porre rimedio - e quindi chiudere - le procedure di infrazione. Voglio ricordare che lo scorso 24 gennaio l'Unione europea ha messo in mora l'Italia in altre ben 6 occasioni e le procedure di infrazione sono passate da 62 a 72. Non solo mi pare che questo Governo non voglia porre rimedio al problema dell'apertura di nuove procedure, ma in realtà non vi ponga rimedio, anzi, peggiori la situazione attraverso - per dirne una - il decreto-legge “sicurezza”, che in realtà viola ben tre direttive dell'Unione Europea: quella sull'immigrazione, le procedure, lo status e l'accoglienza.

Non so, vedremo anche più in là come intenderà questo Governo porre rimedio alla questione economica all'interno dell'Unione europea. Noi crediamo che comunque non sia assolutamente necessario continuare sul percorso di una stantia e inutile retorica contro l'Europa. Crediamo, come gruppo di Liberi e Uguali, che sia giusto stare accanto a chi soffre di più il prezzo di questa crisi economica, ma certo non accettiamo che questo Governo utilizzi l'Europa come una scusa, una mera scusa per non far fronte alle proprie incapacità e per cercare forse forme di assistenzialismo deboli, che in realtà sottoporrebbero poi gli strati più deboli della società, le fasce più povere, a diventare i clienti del potere politico.

Questo provvedimento, dunque, nel suo portato comunque migliora il quadro normativo dell'Italia attraverso l'adeguamento alla legislazione europea. Abbiamo cercato, anche con un emendamento, di risolvere un contrasto tra l'Italia e l'Europa in materia ambientale, soprattutto toccando il profilo della fauna. Lo facciamo perché crediamo che sanare questo contrasto eviti l'apertura di una nuova procedura di infrazione. Se nel complesso, dunque, questo provvedimento si pone sul giusto binario di adeguamento della legislazione italiana a quella europea, resta forte comunque la nostra preoccupazione di un piglio di questo Governo troppo aggressivo nei confronti dell'Europa. Noi crediamo, invece, che sia necessario avere un atteggiamento di costruzione, che possa far contribuire l'Italia ad una svolta sociale: noi lotteremo contro ogni tipo di atteggiamento che continuerà a contrastare con quella che per noi è un'idea fondamentale, cioè un'Italia più giusta in un'Europa più sociale.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Murelli. Ne ha facoltà.

ELENA MURELLI (LEGA). Presidente, la Legge europea 2018 è uno dei provvedimenti che compongono la cosiddetta sessione europea, volta a recepire gli atti normativi dell'Unione europea nell'ordinamento italiano. L'articolo 30, comma 3, della legge 24 dicembre 2012, n. 234, prevede che essa, quale provvedimento immediatamente efficace nell'ordinamento giuridico, rechi essenzialmente disposizioni che modifichino o abroghino leggi dello Stato italiano che contrastano con il diritto dell'Unione europea, che siano oggetto di procedure di infrazione ai sensi dell'articolo 258 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea o che siano necessarie per dare altrimenti diretta attuazione del diritto dell'Unione europea e ai trattati internazionali conclusi nel quadro delle relazioni esterne dell'Unione medesima.

Oggetto della Legge europea e quindi dei relativi lavori parlamentari non è l'intero settore normativo inciso dalle modifiche, ma singole disposizioni dell'ordinamento interno in contrasto con l'ordinamento europeo. Per quanto riguarda il numero delle procedure di infrazione, si rileva in via generale che esso sia decisamente ridotto, rimarcando peraltro che l'Italia risulta sotto la media degli Stati membri, con un numero di procedure pendenti inferiore a quello degli altri Paesi, come la Germania. In particolare, sono diminuite le procedure relative al mancato recepimento della normativa comunitaria, mentre sono lievemente aumentate le procedure connesse al non corretto recepimento, spesso in ragione della grande complessità tecnica delle normative da recepire. Il Governo però esprime ottimismo sulla futura tendenza alla riduzione del numero di infrazioni, anche perché c'è una Commissione che sta svolgendo esattamente questo compito, che è la struttura di missione per le procedure d'infrazione alla normativa UE costituita presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, che sta lavorando con ordine e velocemente, tanto che molte questioni sono state risolte attraverso il dialogo con la Commissione europea.

La Legge europea 2018 si compone di 20 articoli. Gli articoli 1 e 2 attengono rispettivamente al riconoscimento delle qualifiche professionali e alla professione dell'agente d'affari in mediazione. In particolare, all'articolo 1 sono ridefinite nozioni e procedure assai dettagliate, come, per esempio, quella di persona legalmente stabilita in uno Stato membro, per cui non occorre più che essa sia residente in quello Stato, o come, per esempio, la procedura di rilascio della tessera professionale europea, istituto previsto per le professioni di infermiere, responsabile dell'assistenza generale, farmacista, fisioterapista, guida alpina, agente immobiliare. Segnalo che l'articolo 1, comma 1, lettera d), riguarda la tessera professionale europea. In particolare, si prevede che il termine di un mese previsto per lo svolgimento della verifica da parte dell'autorità competente decorra, anziché dal ricevimento della domanda, dalla scadenza del precedente termine, posta per i primi adempimenti dell'autorità in una settimana dal ricevimento della domanda. Evidenzio che l'articolo 2 limita e circoscrive le ipotesi di incompatibilità dell'attività di mediazione con altre attività e professioni. Faccio presente che l'articolo 4 attiene all'annosa questione dei ritardi dei pagamenti delle pubbliche amministrazioni, rivolto a superare la procedura di infrazione 2017/2090. La questione dell'adempimento tardivo delle obbligazioni della pubblica amministrazione nei confronti di coloro che forniscono servizi di appaltatori è stata discussa in molte sedi e da molti anni. Questa disposizione riguarda, in particolare, solo una specifica tematica, vale a dire lo scarto temporale tra il collaudo dell'opera eseguita dall'appaltatore o la verifica di conformità dei prodotti o dei servizi forniti e l'emissione del certificato di pagamento, dalla quale decorrono i termini per eseguire il pagamento medesimo.

In particolare, la nuova formulazione dell'articolo 4 riordina invece la materia delle deroghe al principio sancito dal comma 1, il quale, come regola generale, lascia al richiedente la facoltà di scelta quale misura compensativa ai fini del riconoscimento della qualifica professionale tra l'effettuare un tirocinio di adattamento non superiore a tre anni oppure sostenere una prova attitudinale. L'articolo 3, invece, introdotto durante l'esame in sede referente alla Camera, differisce al 31 ottobre 2019 il termine previsto per il perfezionamento da parte delle università statali dei contratti integrativi di sede, volto a superare il contenzioso in atto nonché a prevenire l'instaurazione di un nuovo contenzioso nei confronti delle medesime università da parte degli ex lettori di lingua straniera. L'articolo 4 modifica i requisiti in base ai quali si procede all'istituzione di rivendite ordinarie e speciali di generi di monopolio, nonché di rilascio e rinnovo del patentino. In particolare, il comma 1, come modificato dall'esame al Senato, per quanto riguarda l'istituzione e il trasferimento di rivendite ordinarie, introduce, in luogo della produttività minima, i requisiti della distanza non inferiore a duecento metri e della popolazione, nel rispetto del rapporto di una rivendita ogni 1.500 abitanti, ed elimina di conseguenza la previsione relativa all'introduzione di un meccanismo di aggiornamento dei parametri di produttività minima per quanto riguarda l'istituzione di rivendite speciali.

Inoltre, introduce gli ulteriori requisiti - identici a quelli stabiliti per l'istituzione di rivendite ordinarie - nella distanza non inferiore a duecento metri e della popolazione, nel rispetto del rapporto di una rivendita ogni 1.500 abitanti, espungendo il riferimento a parametri certi, predeterminati ed uniformemente applicabili sul territorio nazionale, volti a individuare e qualificare le potenzialità della domanda di tabacchi riferibile al luogo proposto.

L'articolo 5, invece, introdotto al Senato, sostituisce interamente l'articolo 113-bis del decreto legislativo n. 50 del 2016 (codice dei contratti pubblici). La modifica fa seguito all'impegno assunto dal Governo italiano di porre rimedio all'apertura della procedura di infrazione in materia di pagamento degli appalti pubblici. Ancora ritorniamo sulla pubblica amministrazione, fatto importante, perché la procedura è allo stato del parere motivato, e afferisce, più in particolare, alla disciplina in termini di pagamento delle stazioni appaltanti pubbliche in favore degli appaltatori, quindi stabiliamo che il pagamento debba avvenire entro 30 giorni di calendario dalla data in cui tali adempimenti si compiono. Secondo la Commissione europea, la disciplina italiana attuale di fatto consente alle stazioni appaltanti pubbliche italiane di non rispettare tale termine.

L'articolo 6, inserito nel corso dell'esame in sede referente, reca alcune modificazioni del decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206 (codice del consumo), volto ad adeguare la normativa interna alle disposizioni del regolamento europeo, che rientra fra le iniziative proposte dalla Commissione europea nel maggio 2015 nel quadro della Digital Single Market Strategy al fine di migliorare l'accesso dei consumatori e delle imprese a beni e servizi online, finalizzato a vietare il fenomeno del cosiddetto geo-blocking ingiustificato, permettendo al consumatore di acquisire su siti di e-commerce in tutta Europa senza problemi nel reperire il prodotto, con disservizi, ovvero a prezzi maggiorati sul prodotto e servizio, nonché prezzi di consegna diversi.

L'articolo 7, introdotto nel corso dell'esame al Senato, delega il Governo ad adottare, entro il termine di dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge, un decreto legislativo che disciplini l'utilizzo dei termini “cuoio” e “pelle” e di quelli da essi derivanti o loro sinonimi nel rispetto della legislazione europea del settore, armonizzati.

L'articolo 8 estende l'ambito di applicazione delle disposizioni della legge 22 aprile 2005, n. 69, in materia di mandato di arresto europeo a procedure di consegna tra Stati membri, anche i rapporti tra Italia e Regno di Norvegia e quelli tra Italia e Repubblica d'Islanda. Il mandato di arresto europeo introdotto con la decisione quadro è un provvedimento giudiziario emesso da uno Stato membro della UE per consentire l'arresto e la consegna da parte di un altro Stato membro di un soggetto ricercato per l'esercizio dell'azione penale o dell'esecuzione di una pena ovvero di una misura di sicurezza. La finalità perseguita è quella di garantire agli Stati membri dell'Europa una rapida e agevole procedura di consegna dei ricercati.

L'articolo 9 interviene in materia di requisiti richiesti agli esaminatori di patenti di guida diverse da quelle degli autoveicoli, prevedendo, quale requisito alternativo alla titolarità di una patente di categoria corrispondente a quella per la quale l'esaminatore è chiamato a svolgere la propria attività, il possesso di un diploma di laurea in ingegneria del vecchio ordinamento o di laurea magistrale in ingegneria. La proposta di modifica in esame è molto importante perché risponde alle esigenze di valorizzare le formazioni professionali di almeno una quota di dipendenti che devono abilitarsi alla funzione di esaminatore. A ben vedere, infatti, il ventennale blocco del turnover ha impedito al Dipartimento dei trasporti, la navigazione e gli affari generali e il personale di assumere nuovo personale per sostituire i funzionari andati in quiescenza o dismessi. L'articolo 10, introdotto a seguito di un emendamento durante l'esame in Commissione in Senato, è volta a rimediare l'apertura della procedura di infrazione 2014/4187 in materia di regolazione del trasporto aereo. In particolare, la modifica è tesa ad assegnare all'autorità di regolazione dei trasporti (ART) la funzione di regolatore indipendente dei rapporti di concessione, anche quando sussiste tra l'ENAC e il concessionario dei servizi aeroportuali un contratto di programma; funge quindi da autorità terze in queste controversie.

L'articolo 11 disciplina il regime IVA applicabile al servizio di trasporto e spedizione di beni in franchigia, allo scopo di archiviare la procedura di infrazione attualmente allo stato di messa in mora; con le modifiche si esentano da IVA le predette prestazioni, a condizione che il loro valore sia compreso nella base imponibile in luogo di essere concretamente assoggettato ad imposta in dogana.

L'articolo 12, con particolare riferimento ai termini di prescrizione dell'obbligatorietà doganale, rimanda per i tempi di modifica della stessa alle vigenti disposizioni dell'Unione Europea.

Ove l'obbligazione doganale sorga a seguito di un comportamento penalmente perseguibile, il termine per la notifica dell'obbligazione doganale è fissato in 7 anni.

L'articolo 7 contiene disposizioni per la piena attuazione del Regolamento europeo (UE) n. 1031/2010. Lo European Union Emissions Trading Scheme è il sistema per lo scambio di quote di emissione di gas serra finalizzato alla riduzione di tali emissioni inquinanti nell'Unione europea. Il sistema si basa sull'assegnazione di quote degli impianti produttivi caratterizzati da rilevante impatto ambientale nell'atmosfera. Dal 2013 l'assegnazione avviene a titolo oneroso attraverso piattaforme d'asta gestite da mercati regolamentati ai sensi del Regolamento (UE) n. 1031/2010.

Come segnalato dal Governo nella relazione, ad oggi le aste si svolgono solo su due mercati, European Energy Exchange, con sede a Lipsia, e l'Ice Futures Europe, con sede a Londra, che si sono aggiudicati le gare d'appalto di tutte le piattaforme d'asta istituite dal Regolamento. Il numero di quote per ciascun Stato, per l'Italia è il GSE, gestore per i servizi energetici, che mette all'asta, è determinato prevalentemente sulla base delle emissioni storiche delle installazioni rientranti nello schema e presenti sul proprio territorio nazionale. Almeno la metà dei proventi delle aste di quote per gli impianti fissi e tutti i ricavi delle aste delle quote devono essere utilizzati dagli Stati membri in azioni volte a combattere il cambiamento climatico. I produttori di energia elettrica e gli impianti che si occupano di cattura, trasporto e stoccaggio di CO2 devono approvvigionarsi sul mercato delle quote necessarie per acquisire i permessi di emissione. Dal 3 gennaio 2018 la quota di emissione è classificata invece come strumento finanziario ai sensi delle disposizioni del pacchetto Mifid 2, direttiva europea 2014/65/UE e Regolamento (UE) n. 600/2014.

L'articolo 14, invece, introdotto nel corso dell'esame in Commissione al Senato, abroga la disposizione la quale aveva assegnato, come riportato sopra, un contributo pari a un milione di euro per ciascuno degli anni 2018, 2019 e 2020 in favore dell'Istituto italiano per l'Asia e il Mediterraneo. Con comunicazione del 4 aprile 2018 la Commissione europea ha rilevato che questo era un aiuto di Stato. Successivamente è stato riconosciuto, ma, naturalmente, questo aiuto di Stato non rispetta il de minimis, che, ricordo, deve essere compreso nel limite dei 200 mila euro nel triennio. Ecco perché, andando direttamente ad abrogare questo articolo 1, comma 1087, si evita la procedura di infrazione.

L'articolo 15, ulteriormente modificato durante l'esame alla Camera, reca disposizioni attuative della direttiva europea (UE) 2017/1564, che mira a garantire che le persone non vedenti, con disabilità visive o con altre difficoltà nella lettura di testi a stampa abbiano accesso ai libri e ad altri tipi di pubblicazioni, compresi gli spartiti musicali, su qualsiasi supporto, anche in formato audio e in formato digitale. I beneficiari dell'eccezione sono, appunto, indipendentemente da altre forme di disabilità, persone non vedenti; con una disabilità visiva che non può essere migliorata o con una disabilità percettiva e di lettura, compresi la dislessia o qualsiasi altro disturbo dell'apprendimento; con una disabilità fisica che impedisce loro di tenere o di maneggiare un libro oppure di fissare o spostare lo sguardo nella misura che sarebbe normalmente necessaria per leggere.

L'articolo 16 dispone, con riferimento ai profili relativi alle buone prassi di fabbricazione, alcune modifiche alla disciplina sui medicinali per uso umano. La direttiva europea impone che per i medicinali importati dall'estero, nonché per quelli sperimentali, il rispetto dei principi delle linee guida fissati sul territorio nazionale per la produzione dei medicinali per uso umano sia rispettato anche dagli altri Stati.

L'articolo 17, introdotto a seguito di un emendamento durante l'esame in Commissione in Senato, è volto a modificare tre decreti legislativi. In materia di dispositivi medici si prescrive, tra l'altro, che i dispositivi possono essere immessi in commercio o messi in servizio a condizione che rispondano ai requisiti ivi prescritti, siano correttamente forniti e installati, oggetto di un'adeguata manutenzione e utilizzati in conformità della loro destinazione.

Il decreto legislativo n. 507 del 1992 inerisce ai dispositivi medicali impiantabili attivi e recepisce la direttiva 90/385/CE. In materia di dispositivi medici e diagnostici in vitro si prescrive, tra l'altro, che i dispositivi possono essere immessi in commercio o messi in servizio unicamente se rispondono ai requisiti ivi prescritti.

L'articolo 18, introdotto nel corso dell'esame in sede referente alla Camera, vuole superare le censure mosse dalla Commissione europea nell'ambito della procedura di infrazione n. 2018/2021, che novella il decreto legislativo n. 45 del 2014, introducendovi l'articolo 1-bis, che reca disposizioni sull'attribuzione delle responsabilità - in via sia principale sia in via sussidiaria - della sicurezza della gestione del combustibile esaurito o dei rifiuti radioattivi.

L'articolo 19 apporta modifiche al decreto legislativo 14 marzo 2014, n. 49, adottato in attuazione della direttiva europea 2012/19/UE in considerazione delle non conformità riscontrate dalla Commissione europea nell'ambito del caso EU Pilot 8718/16/ENVI, al fine di garantire la corretta attuazione della citata direttiva sui rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche. La modifica legislativa in esame intende definire il caso evitando l'apertura di una procedura di infrazione nei confronti dell'Italia.

L'articolo 20, modificato nel corso dell'esame in sede referente, è relativo allo smaltimento degli sfalci e delle potature e risulta finalizzato alla chiusura del caso EU Pilot 9180/17/ENVI, concernente ulteriori esclusioni dalla normativa sui rifiuti introdotte dal legislatore nazionale nell'articolo 185. La norma esclude dall'applicazione della parte quarta del codice dell'ambiente, in materia di rifiuti, le materie fecali, la paglia nonché l'altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso quali, in un elenco che la norma medesima specifica avere un carattere esemplificativo e non esaustivo, gli sfalci e le potature ove effettuate nell'ambito delle buone pratiche colturali.

In virtù di una proposta emendativa approvata durante l'esame in Commissione, l'esclusione si stabilisce altresì per la categoria degli sfalci e delle potature derivanti dalla manutenzione del verde pubblico di comuni e città metropolitane, riproponendo per tale aspetto l'esclusione già prevista a legislazione vigente. Si prevede che i materiali siano utilizzati in agricoltura, nella silvicoltura o per la produzione di energia da tale biomassa, anche al di fuori del luogo di produzione ovvero con cessione a terzi, con metodi che non danneggiano l'ambiente e la salute umana. Questo emendamento è stato voluto dalla Lega a fronte delle segnalazioni ricevute dai nostri bravi amministratori. Quindi, la Lega in XIV Commissione è intervenuta con questa proposta emendativa, che ha escluso dalla categoria dei rifiuti speciali gli sfalci e le potature derivanti dalla manutenzione di verde pubblico, come previsto dal testo uscito dal Senato, considerando anche gli enormi costi che le amministrazioni pubbliche avrebbero dovuto sostenere in caso fossero trattati come rifiuti speciali. Inoltre, ha sottoposto alla necessità di normare in modo più stringente il riconoscimento delle qualifiche professionali per richiedenti esteri in merito a professioni sanitarie, ottenendo la predisposizione di un emendamento approvato, che ho citato esplicitamente, illustrato all'articolo 4. Concludo, Presidente, con una considerazione positiva sul lavoro che è stato fatto in questa legge europea sia sanando provvedimenti di infrazione sia considerando il caso specifico, evitando situazioni critiche per altre attività.

Il mio appello finale è agli organi europei a non prendere ulteriori decisioni di tipo legislativo o politico e non aprire ulteriori procedure di infrazione contro l'Italia, con la ratio che il 26 maggio ci sono le elezioni europee e cambieremo l'equilibrio. Si andrà verso un'Europa dei popoli, più federalista e più equa.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Sensi. Ne ha facoltà.

FILIPPO SENSI (PD). Presidente, signori del Governo, deputate e deputati, siamo qui in discussione sulle linee generali sulla cosiddetta legge europea. Mi permetta, Presidente, intanto di ringraziare il mio gruppo, quello del Partito Democratico, e in particolare il mio capogruppo in Commissione affari europei, Piero De Luca, per avermi dato questa opportunità di parola su questo provvedimento. Intanto il Ministro Savona “se n'è ghiuto, e soli ci ha lasciato”, in barba ad almeno tre o quattro leggi dello Stato e a un senso minimo di decoro e opportunità, ma tant'è. Come si dice: il mio ho provato a farlo. Hanno prevalso gli azzeccagarbugli, che tanto si portano delle parti di Palazzo Chigi, e buon lavoro, avanti un altro, sotto a chi tocca.

Saluto qui il sottosegretario, già sottosegretario, titolare di un account Twitter dal quale sono stato bannato per lesa maestà. Ora lui ci avvisa di essere stato bannato a sua volta dai suoi uffici. Io sono stato bannato per avere osato chiedere conto in audizione, in Commissione, di un articolo apparso su un blog del quale egli era titolare. Si vede che agli affari europei, luogo istituzionale che dovrebbe essere esempio di confronto, mediazione e diplomazia, sottratto a permali, dispettucci e capricci, qui da noi si è sviluppata una robusta allergia al succitato confronto: non un buon viatico alla discussione che abbiamo appena avviato in Aula.

Desidero porre, tuttavia, Presidente, qui il tema di chi sia oggi il titolare del Dicastero che sovrintende e promuove questo provvedimento, perché da uno stringato riferimento nel comunicato dell'ultimo Consiglio dei ministri e dalla lettura in Aula abbiamo appreso della nomina di Savona in Consob. Peccato che ancora adesso, se andate a controllare sul sito istituzionale di Palazzo Chigi, che non è esattamente un blog personale o la piattaforma di una setta, Savona figuri ancora come Ministro. Ragion per cui torno a chiedere: di cosa stiamo discutendo e con chi in questa sede? Chi è il Ministro? Il Premier? Il Ministro degli esteri?

Siamo di fronte a un interim o un a mistero glorioso? Siamo in una terra di mezzo, in un “già e non ancora” o siamo di fronte all'ennesima faida intestina, cui ormai siamo mitridatizzati con questo Governo? Esiste un Ministro ombra, o quantomeno l'ombra di un Ministro degli Affari europei? Già tenuti in non cale per un anno, oggi siamo all'anonima Affari europei, all'azione parallela, alla transustanziazione. Penso che il Parlamento, gli italiani dunque, non possano tollerare oltre questa situazione. La invito, perciò, Presidente, a fare presente la nostra richiesta formale al rappresentante del Governo di sapere chi sia il Ministro, chi sia la nostra - non solo del Partito Democratico ma di tutta l'Aula - controparte, per sapere chi abbiamo di fronte, vista anche l'ineffabile situazione in cui ci siamo trovati all'inizio dei nostri lavori.

Dicevamo della legge europea: a prima vista sembra essere un classico omnibus, una di quelle misure che si farciscono di tutto un po' e che quindi di solito deliziano i parlamentari e disgustano i cittadini, fatte di codicilli e sottintesi, di rinvii a legislazioni vigenti e interessi vestiti. Non avendo ancora maturato - lo ammetto, Presidente, e lo dico con rispetto e pudore - l'estasi dell'emendamento, che sacrosanta prende quando si finisce qui dentro in Parlamento - è il nostro lavoro, d'altra parte, e ci sforziamo tutti di farlo con coscienza e senso di responsabilità - vorrei provare, se mi consente, a situare questo provvedimento, a porlo in quel famigerato contesto - penso qui più a Natalino Irti che a Sciascia - che possa riconnettere senso e significato della nostra attività legislativa e, se volete, provare a rimettere in circolo quel principio di rappresentanza, che spesso, anche strumentalmente, diamo per interrotto. Ragion per cui la legge che oggi discutiamo - ripeto - risuona in quest'Aula per lo più ignorata da chi sta fuori da quest'Aula e, in questo intervallo, abita un paradosso, perché le scelte e le decisioni che in quest'Aula si prendono, hanno poi, come nel caso della legge in esame, un impatto diretto e concreto sulla vita minuta di chi fuori da quest'Aula vive, lavora, ama, si muove, cura, alleva e costruisce.

Parliamo infatti oggi di libera circolazione e di salute dei cittadini, di ambiente e di giustizia, di diritti e di molto altro ancora, questioni alte e centrali nella vita di ognuno di noi. Ma se rovesci il tiro e guardi a queste paginette ex parte populi, come dovremmo sforzarci tutti di fare e senza seguire la falsa moneta del populismo tanto in voga, allora queste stesse priorità, queste stesse urgenze potrebbero apparirci irte di insidie e trabocchetti, di diavoli e dettagli, lardellate di marchette e conflitti di interessi, di favori e aiutini, o anche solo concentrate, come potrebbe ammonirci sempre quello zeitgeist di cui sopra, su esotiche rarità, tristi tropici. Ma come? Noi moriamo di fame e voi - noi cioè – ve ne state lì a occuparvi dell'uso dei termini “cuoio”, “pelle” e “pelliccia” - mi riferisco all'articolo 5 - o dello smaltimento degli sfalci e delle potature (mi riferisco all'articolo 17)? Avete presente tutta quella frusta retorica antieuropeista sui centimetri degli ortaggi, mentre - come diceva il poeta - “il mondo cade a pezzi”? Spetta a noi, dunque, qui, ora, provare a mettere insieme questi pezzi, cercare di dare senso al nostro lavoro come cittadini davanti ai cittadini, come cittadini italiani ed europei davanti a cittadini italiani ed europei, sapendo che questo provvedimento che ingaggiamo, questa Europa di cui discutiamo e che tanto accalora noi qui dentro - e magari poco sempre noi lì fuori - possa essere prossima o inaccessibile, accogliente o remota, leggibile o astrusa anche grazie a noi. La stessa identica cosa assume un diverso significato “a seconda”: ecco il contesto!

Scriveva cinquant'anni fa Peter Handke “Appena scendo in strada, un pedone scende in strada; appena salgo in tram, un passeggero sale in tram”, non per scolorire i fatti in interpretazioni, diluire le cose, appunto, in giochi linguistici, ma per recuperare un po' tutti un metodo più nitido e onesto di guardare, all'Europa, per esempio, dicevamo. Che Europa è quella tratteggiata da questa legge? Un continente di lobby e di stecche, o una Unione che protegge e si fa carico? E guardate che in questa contrapposizione, nel suo falso movimento, sta la sfida che abbiamo davanti nei prossimi mesi. Non vi sto invitando - lo dico per suo tramite, Presidente, ai colleghi - ad affrontare questo provvedimento con uno spirito elettoralistico, in vista delle consultazioni del prossimo maggio, che pure tutti viviamo come un Big Bang e invece come un “solve et coagula”, e invece, piuttosto a sentire questo tempo che stiamo vivendo e dentro il quale ciò che stiamo esaminando può assumere un senso comune e condiviso: Europa o della perfettibilità. Capisco, è il solito problema: come rendere, non dico appealing, attraente e sexy un argomento come l'Europa, abusata lamentela che riguarda anche l'ambiente, prima almeno che arrivasse la piccola Greta a bigiare la scuola il venerdì contro il cambiamento climatico. Dici Europa e sbadigli. Un tempo funzionava così: dai per scontato, dimentichi Erasmus e Interrail, pensi a corridoi e panini rancidi, moquette, scali di aeroporto. Di recente la newsletter di un quotidiano, Il Foglio, uno di quei giornali, assieme a Radio Radicale, colpiti dai tagli scriteriati, anzi mirati come Sniper del Governo contro il pluralismo dell'informazione, dedicata proprio all'Europa, si è dovuta inventare un geniale “EU Porn” - EU come European Union, ovviamente - per provare a restituire colore al diafano incarnato dei temi che discutiamo.

Perché, Presidente, “sfalci” e “pellami” - articoli 5 e 17, ricordo - “farmaci” e “dogane”, non sono complotti o manine - possono anche esserlo - ma sono solo il volto quotidiano, l'aspetto comune, la normalità di questa Europa che bestemmiamo un po' negletta, della quale non ci accorgiamo quando la usiamo o attraversiamo, come fosse una periferia sconosciuta, ma di cui solo ci ricordiamo per eleggerla a capro espiatorio di tutto ciò che non ci va a genio.

Lo sporco sotto casa? È colpa dell'Europa. Lo straniero al supermercato? E di chi vuoi che sia la colpa? Dell'Europa, certo! L'aumento della tariffa? Tutta colpa dell'Europa. Uscire ai rigori? Sempre colpa dell'Europa. Ora, io non sono per l'attribuzione di colpe - non è il mio istinto -, preferisco piuttosto l'individuazione di responsabilità, che certo in sistemi complessi come i nostri spesso si sfarina, si nebulizza, si sgrana, ma che, tuttavia, risalendo e contestualizzando appunto è ancora possibile.

Detta male: il qui presente Governo è il responsabile di tanta collera, di tanta apatia, di tanta inedia europea, della malaise e dell'incattivimento, di questo fare brutto che ci ha portati a imputare all'Europa - neanche fosse il PD - colpevole di ogni scacco, di ogni impaccio, di ogni fallimento, dalla TAV, alla legge di bilancio, dall'immigrazione alle tasse, dal PIL al debito che grava sui nostri figli e sui figli dei nostri figli? Io non lo credo: “no”, io non credo che il Governo sia “il” responsabile di tutto ciò. Credo tuttavia che questo Governo, questa maggioranza, sia responsabile di tutto ciò, di perseguire con apparente sciatteria, ma in realtà con diuturna determinazione, la disarticolazione del progetto europeo - sì che ne è responsabile -, di appaltare alla dimensione europea l'incapacità, l'irresponsabilità, l'inefficacia che sono stati incapaci di mettere in campo in questo anno passato al balcone di Palazzo Chigi. È responsabile, sì, di rimandare, rinviare e rimandare decisioni che ci rendono non meno sovrani, ma più credibili e attendibili agli occhi dei nostri partner - è responsabile -, di vanificare nel giro di pochi mesi un lavoro paziente e ingrato che, con fatica indicibile di cui ho avuto il privilegio di essere testimone diretto, vedeva finalmente di nuovo l'Italia al posto che gli spettava nel consenso europeo, tra i fondatori, alla guida, non arrancare e maledire in coda o peggio tra gli appestati e i pesi morti: hai voglia se ne è responsabile! Di tutto questo e per il gravame che di tutto ciò si scarica e si scaricherà ogni giorno sui cittadini, sugli italiani, su ognuno di noi, io vi ritengo responsabile: sì che vi ritengo responsabili.

Badate, che nella ferocia rivendicata - lo ha fatto il Presidente del Consiglio qualche giorno fa, chissà magari per farsi coraggio, sventurato -, nella esibita determinazione di tutto questo loro girare a vuoto, di tutta questa cerea, fragorosa vanità, c'è esattamente il problema che avete, che abbiamo, “Houston”, con l'Europa, che fintanto che la tratterete come altro da noi e non come noi, come un pedone o un passeggero che facciamo finta non siamo noi, come un bouc émissaire al quale addossare in un meccanismo vittimario le nostre vergogne, non ne verrete a capo e questo con grave danno, nocumento e sciagura per tutti gli italiani.

Quella ferocia, la stessa della divisa usata non come segno di appartenenza ma di divisione, appunto, la stessa dell'insofferenza per i migranti, per l'altro che faccia eccezione rispetto alla banda, al clan, alla setta, alla tribù; l'intolleranza verso le mediazioni, il sindacato, i giornalisti, il Parlamento, le istituzioni; il fastidio verso l'esperienza e la competenza, la sufficienza verso il confronto, il dialogo, l'apertura; l'ostilità - sì -, l'ostilità verso le donne dell'osceno “Ddl Pillon”, che per noi rappresenta un attacco ai diritti contro cui combatteremo con ogni fibra, Presidente, con tutta la passione di cui siamo capaci. Tutto ciò, dicevo, è rivelatore di una visione dell'Europa che offre risposte profondamente sbagliate a interrogativi angoscianti, che dovrebbero unirci e non dividerci, sui quali dovremmo trovare punti di contatto e convergenza, e non subire l'oltraggio, la contumelia, l'arroganza che hanno dimostrato finora. No, l'Europa non ha bisogno di ferocia - ce n'è già troppa -, ha bisogno al contrario di comprensione, ascolto e di confronto, anche animato, anche radicale, e di valutazione comune dei problemi che abbiamo davanti per provare ad offrire soluzioni efficaci, come facciamo oggi, analizzando questa direttiva, di condivisione per risolvere i miei problemi, che sono i nostri problemi, di italiani dunque di europei. Non ha bisogno di pose allo specchio, del digrignare di denti, ha bisogno, al contrario, di pazienza e disciplina, di studio sugli sfalci e i pellami, di lavoro, di fatica - che fatica, come nella vita - nelle esistenze di ognuno di noi, con chi conosciamo appena, con chi amiamo, a casa o in condominio, in strada, in piazza, qui dentro. Questo, Presidente, non solo è il Palazzo, ma vedete questa è una piazza.

Il prossimo 21 marzo, Presidente, un grande europeo, che si chiama Romano Prodi, ha invitato ognuno di noi - non solo i Democratici, ma tutti noi italiani - a sventolare fuori dalle nostre finestre il vessillo dell'Europa, la bandiera blu stellata, come simbolo di appartenenza e di identità, di mitezza e rispetto di quella unione di minoranze che siamo, di diritti e pace, di libertà e welfare, di accoglienza e rispetto.

Il 21 marzo non a caso, il giorno di San Benedetto, patrono dell'Europa, la cui regola suonava come un avvertimento, un monito, non solo ai suoi fratelli, ma ad ognuno di noi, oggi, qui: nessun membro della comunità - recita la regola benedettina - segua la volontà propria, che non è un'apologia del collettivismo, l'elogio dell'indistinto, la negazione delle individualità, dei talenti personali, delle caratteristiche specifiche e delle differenze; al contrario, è un invito a metterli a bilancio comune, quei talenti, quelle personalità, quei caratteri, a farne ricchezza, nutrimento e patrimonio di tutti per tutti, a non disperdere questo sforzo, questa pazienza, nel testardo capriccio della volontà. Questo si decide qui, in quest'Aula, su questa direttiva, non di scambi e favori, questo si deciderà a maggio, non se vince Salvini o Macron, ma come possiamo dare una mano, hai bisogno di qualcosa? Come possiamo renderci utili, come possiamo aiutarci noi stessi e gli uni con gli altri.

Dieci anni fa - e mi avvio a concludere, Presidente - a Benedetto si aggiunse una giovane donna come patrona di Europa, si chiamava Edith Stein, filosofa, mistica, studiò fenomenologia, finì ad Auschwitz, dove sembrò finire l'umanità e l'Europa con essa. A Edith Stein, allieva di Husserl, era chiaro il concetto di empatia, ci lavorò da studiosa, lo levigò come una lente di Spinoza, lo fece splendere nelle tenebre dell'abisso dell'Europa. Ecco, di empatia abbiamo bisogno come il pane e la pioggia, non di ferocia - e lo dico per il suo tramite al Presidente del Consiglio -, empatia che significa proprio questo entrare in contatto prima ancora di vedere, di incontrare, di sapersi, di sentirsi dentro, insieme, risuonare dell'altro, con l'altro, con gli altri, questa vita della mente che non esenta, ma libera la fisica dei corpi e la contabilità degli ingressi e degli espatri, che non può essere l'unica aritmetica della nostra convivenza, della nostra società, della nostra civiltà e umanità. Sì, umanità: sapersi, sentirsi dentro, assieme, dunque. Di questa empatia abbiamo bisogno oggi, noi altri europei.

Quando la proclamò accanto a Benedetto, questa ragazza, Giovanni Paolo II disse: dichiarare oggi Edith Stein compatrona d'Europa significa porre sull'orizzonte del vecchio continente un vessillo di rispetto, di tolleranza, di accoglienza, che invita uomini e donne a comprendersi e ad accettarsi al di là delle diversità etniche, culturali e religiose, comprendersi e accettarsi, oltre le barriere, i muri e le frontiere, scendendo dentro di noi, facendo i conti con chi siamo per noi e per gli altri, per noi come altri, mentre come pedoni e passeggeri decidiamo di sfalci e pellami, articolo 5, articolo 17, emendiamo testi e contesti, cerchiamo di fare il nostro dovere in Italia, che è in Europa (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Battilocchio. Ne ha facoltà.

ALESSANDRO BATTILOCCHIO (FI). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, dopo la legge di delegazione europea, ci troviamo ora a discutere di un altro provvedimento, che mira ad adeguare il nostro ordinamento alla normativa europea: la legge europea 2018, approvata in prima lettura al Senato e che ha subito, nel corso dell'esame alla Camera, ulteriori modifiche; un provvedimento volto a porre rimedio al non corretto recepimento della normativa europea e a sanare le procedure di infrazione, coerentemente con la cornice generale prevista dalla legge n. 234 del 2012.

Come sempre, il provvedimento all'esame si configura come un articolato complesso, un disegno di legge omnibus, contenente temi molto eterogenei: è stato ricordato, si va dalla libera circolazione di persone, servizi e merci, alla giustizia, alla sicurezza, ai trasporti, alla tutela della salute umana e al diritto d'autore, dalle questioni ambientali ed energetiche, tra cui rilevano quelle connesse alle quote di emissione dei gas ad effetto serra, fino al regime dell'IVA, alla fiscalità e ai diritti doganali.

Tra le numerose disposizioni, sottolineo l'importanza di alcune di queste, relative al compiuto adeguamento ed al corretto recepimento di due direttive: una concernente le migliori procedure di fabbricazione dei medicinali ad uso umano, di cui all'articolo 16, e l'altra dà rilevante valore sociale in tema di limitazioni del diritto d'autore a beneficio delle persone non vedenti, in attuazione del Trattato di Marrakech, di cui all'articolo 15.

Così come particolarmente apprezzabile è la disposizione concernente l'attuazione di un accordo internazionale tra l'Italia ed il Regno di Norvegia ed Islanda in materia di mandato di arresto europeo, di cui all'articolo 8.

Vorrei soffermarmi anche su un'altra disposizione, che merita una particolare attenzione nell'esercizio della delega da parte del Governo in sede di attuazione, in quanto non si tratta solo di adeguare alcune norme, ma di regolamentare e riordinare l'intera materia: mi riferisco ad un tema che tocca uno dei nostri settori produttivi di qualità, il comparto cuoio e pelli, perché è prevista una delega generale. Io ho presentato come primo firmatario un ordine del giorno ed invito il Governo, fin da ora, a valutare con attenzione questo ordine del giorno, che mira a tutelare ovviamente i consumatori, ma anche le imprese operanti in questo settore così importante, e ovviamente l'obiettivo è anche quello di fare in modo che non si abbassino gli standard di qualità in quello che, ripeto, è uno dei nostri ambiti di eccellenza.

Però, al netto delle considerazioni relative a disposizioni specifiche, quantunque importanti, del provvedimento che ci accingiamo ad approvare, vorrei svolgere un breve ragionamento più generale e che riguarda come il nostro Paese si dispone nei confronti della normativa europea, sia nella sua fase ascendente, che discendente.

La legge europea non può costituire un mero atto burocratico da espletare al solo fine di evitare contenziosi o sanare irregolarità. Il passaggio in Parlamento non può in nessun modo essere considerato un adempimento d'ufficio, ma un momento di riflessione e di valutazione per il bene del nostro Paese, in quanto la legislazione europea influisce direttamente sulla vita quotidiana di tutti noi. L'Europa tante volte ci offre indirizzi per migliorare la nostra normativa, ma troppo spesso interviene senza considerare le specificità del nostro Stato, le nostre caratteristiche, i nostri usi e le nostre tipicità. Io ritengo, però, che la tecnocrazia vada combattuta attraverso il contraddittorio. L'impatto che questi provvedimenti avranno sulla nostra legislazione è notevole: solo apparentemente si tratta di procedure di mero adeguamento tecnico, che a volte si presentano come modifiche cavillose imposte dalla burocrazia, finendo anche per appesantire obblighi, vincoli ed oneri a carico delle nostre imprese.

Questa riflessione complessiva mi spinge, inoltre, anche sulla base della mia pregressa esperienza al Parlamento europeo, a condividere con i colleghi una riflessione su una realtà consolidatasi nel tempo, ossia la difficoltà ad incidere, da parte del nostro Paese, nella cosiddetta fase ascendente del processo normativo europeo, al momento della formazione delle direttive e dei regolamenti, ossia quando inizia la discussione che porterà poi alla redazione di atti che solo successivamente verranno approvati; una fase che spesso ha visto una presenza ed una incidenza italiana molto scarse rispetto ad altri Paesi membri. Sarebbe necessario, per tentare di recuperare questo gap, potenziare strutture e finanziamenti del Dipartimento degli affari europei, che, tra l'altro, in questa fase è particolarmente affannato in quanto privo del Ministro di riferimento.

Va rilevata una cronica fatica del sistema Italia nella fase in cui si impostano i negoziati per l'approvazione di direttive e regolamenti. Per i regolamenti, tali carenze diventano ancora più cruciali, in quanto non richiedono un loro recepimento e, dunque, in massima parte risulteranno direttamente vincolanti per gli Stati membri.

E ciò non va ascritto a demeriti dei nostri diplomatici o a particolari assi mitteleuropei ostili al nostro Paese, ma la ragione va, secondo me, ricondotta alla mancanza o all'insufficienza di un coordinamento fra le varie amministrazioni di Governo e le decisioni politiche dell'Esecutivo, il quale dovrebbe fornire indicazioni univoche e non contraddittorie. Una cattiva prassi non certo attribuibile a questo Governo, ma un modus operandi storico del nostro sistema Italia che ha fatto perdere al nostro Paese, appunto, nel tempo treni e opportunità.

Noi siamo e rimaniamo a favore di un'Europa che abbiamo fortemente contribuito a costruire. Siamo - e lo dobbiamo dire con orgoglio - uno dei sei Paesi che ha dato il via, a poche centinaia di metri da quest'Aula, a quei Trattati di Roma che hanno dato il via a questo sogno europeo che oggi è una solida realtà. Settant'anni di pace riconosciuti e suggellati anche dal premio Nobel del 2012.

Ma siamo anche consapevoli della necessità di una profonda revisione dei meccanismi e degli approcci dell'Unione, perché occuparsi dell'Europa significa anche occuparsi dei limiti e dei difetti della costruzione europea e di quel processo di armonizzazione che, evidentemente, ha avuto nei decenni molte criticità. Un'Europa che troppo spesso - è stato ricordato - anche a causa di una comunicazione fallace e di un blocco nord-europeo che si è allargato, anche perché ha avuto campo libero, è stata percepita come lontana, come distante, come un'entità troppo spesso senz'anima e senza cuore, caratterizzata più da una burocrazia autoreferenziale troppo appassionata a imporre ricette algebriche e regole anziché proiettata a lanciare un reale sforzo teso a promuovere politiche volte a creare un idem sentire per mezzo miliardo di cittadini.

Servono sicuramente meno burocrazia, meno paletti, meno uscite infelici di commissari, troppo legati alle dinamiche interne dei loro Paesi, a volte piccolissimi, e meno proclami monotematici su austerità dei conti, algoritmi e lezioni ai vari Stati. Servono, invece, misure e risorse adeguate nell'ambito del bilancio UE in favore di investimenti a livello europeo per aumentare competitività e sviluppo, con la previsione di un accesso alle risorse che superi l'approccio meramente punitivo. Sono indispensabili misure per dare maggiori opportunità ai talenti, alle competenze e a ridurre la crescente disoccupazione, in particolare dei giovani europei.

Le nuove sfide che l'Europa sta per affrontare sono sicuramente dirimenti per la sua stessa sopravvivenza e non possono essere sottovalutate: globalizzazione, innovazione digitale, nuova rivoluzione industriale, immigrazione, lotta al terrorismo, cambiamenti climatici, tutela dell'ambiente. L'Europa può e deve farcela ma deve cambiare marcia: ridare fiducia ai suoi cittadini e nuovo slancio alle sue stesse istituzioni, che dovrebbero essere caratterizzate da una maggiore democrazia a scapito di un'architettura attuale piuttosto elitaria che potrebbe essere superata anche mediante l'attribuzione di una funzione più propriamente legislativa al Parlamento europeo, in quanto unica tra le istituzioni comunitarie legittimata dal voto diretto dei cittadini. Il Presidente del Parlamento europeo, Tajani, ha lavorato molto in questa direzione e ci auguriamo che nella prossima legislatura a Bruxelles questo percorso possa continuare e il nostro Paese, proprio come nel 1957, deve essere tra i protagonisti di questa avventura 3.0. È necessario, summit dopo summit, settimana dopo settimana, far valere le ragioni del nostro Paese nel contesto europeo con la necessaria fermezza, con l'imprescindibile diplomazia e con la credibilità e l'esperienza che è assolutamente basilare in questi contesti.

Facciamo in modo che la discussione sulla legge europea, pertanto, non venga svolta da quest'Aula come uno stanco rituale per l'approvazione di un testo già licenziato dal Senato che, a sua volta, ha preso atto di una precedente impostazione del precedente Governo ma, al contrario, sia un momento per definire insieme le linee guida dell'azione, almeno per quello che riguarda le procedure di nostra competenza, per il futuro del nostro rapporto con l'Europa, avendo a mente una long term strategy che vada oltre gli schieramenti e le contingenze.

In questo dibattito siamo pronti a dare il nostro contributo propositivo e la nostra collaborazione conseguente, ma vorrei segnalare che nel merito del provvedimento all'esame ci rammarichiamo del fatto che la maggioranza di Governo, nel corso dell'esame in sede referente, non abbia accolto nessuna delle proposte emendative di Forza Italia, alcune delle quali sicuramente migliorative del testo. Ripresenteremo alcuni nostri emendamenti specifici e mirati su cui ci auguriamo si possa ulteriormente ragionare nel merito senza posizioni pregiudiziali.

In conclusione, Forza Italia ritiene questo provvedimento, unitamente alla legge di delegazione europea, uno strumento normativo di estrema importanza con particolare riguardo all'esigenza di sanare le procedure di infrazione aperte ma, soprattutto, di chiudere con celerità i casi di precontenzioso. Auspichiamo, tuttavia, che per il futuro si possa adottare un atteggiamento più attivo, finalizzato a prevenire infrazioni, soprattutto quelle che hanno particolare impatto per i cittadini e per le imprese. Auspichiamo, inoltre, un maggiore equilibrio tra le diverse fasi che caratterizzano i rapporti fra l'Italia e l'Unione europea e una maggiore autorevolezza nel difendere i nostri interessi in Europa.

Vorremmo, dunque, che la prossima legge europea rappresentasse un momento importante in cui il Parlamento nazionale, non sottomettendosi alle istituzioni comunitarie, possa compiere una seria verifica dell'incorporazione nel diritto nazionale della legislazione europea. Sappiamo che il Trattato di Lisbona ha conferito ai Parlamenti nazionali l'importante facoltà di intervenire sui profili della proporzionalità e della sussidiarietà, una concreta opportunità di coinvolgimento e di potenziale interazione.

Mi preme, infine, segnalare che proprio in tale direzione, sul rafforzamento delle prerogative parlamentari in materia di politiche UE, è particolarmente utile e urgente il lavoro che il Presidente e noi componenti della Commissione politiche dell'Unione europea stiamo portando avanti nell'ambito di una revisione delle procedure parlamentari e del Regolamento della Camera al fine di poter introdurre una serie di innovazioni davvero importanti. Quindi, prevediamo la possibilità di avere una sessione europea dei nostri lavori, prevediamo una nuova centralità strategica della Commissione XIV per tutte le procedure su atti aventi interesse comunitario, prevediamo ulteriori possibilità di controllo e di iniziativa dei singoli deputati sulle istituzioni comunitarie alla stregua di simili prassi esistenti in altri Paesi dell'Unione.

Credo, quindi, in conclusione che sia davvero necessario e utile un potenziamento sia del Dipartimento per le politiche europee sia delle competenze da attribuire alla Commissione politiche dell'Unione europea. Ciò costituirebbe un decisivo passo avanti in direzione di una più decisiva presenza italiana nella formazione del diritto europeo nella sua fase ascendente, a beneficio anche della fase successiva di recepimento della normativa comunitaria.

Noi siamo pronti con spirito propositivo e collaborativo a fare in questa direzione la nostra parte grazie (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Montaruli. Ne ha facoltà.

AUGUSTA MONTARULI (FDI). Grazie, Presidente. Eh sì, è avvincente il disegno di legge europea al di là delle battute e dell'ironia che l'hanno introdotta in quest'Aula stamattina. È avvincente, arrivando alla serietà, per quello che non dice. Cinque anni fa, quando l'Italia veniva coinvolta nella procedura di infrazione 2014/2143, in Italia fallivano 54 imprese al giorno, 2 imprese all'ora. Il 30 per cento di queste imprese fallivano a causa dei ritardi dei pagamenti della pubblica amministrazione. C'è poco di avvincente in questo: c'è tanto dramma concreto. La gran parte dei mancati e dei ritardi nei pagamenti, dei tributi da parte delle aziende, le cosiddette cartelle di Equitalia famose e dietro cui tutti noi ci strappiamo i capelli, erano dovuti all'inadempimento da parte della pubblica amministrazione. E così imprese chiuse, imprenditori falliti, mancati posti di lavoro, disoccupazione, tributi non pagati, debiti, talvolta anche imprenditori suicidati. Nei primi mesi del 2018, il 79 per cento delle imprese solo nel settore delle costruzioni, ancora nel 2018, ha subito un ritardo nel pagamento da parte della pubblica amministrazione. Lo voglio ricordare: oggi il termine è trenta giorni, sessanta in presenza di fatti eccezionali e nel comparto della sanità, eppure la media ancora l'anno scorso era di 168 giorni di ritardo, oltre cinque mesi anziché il mese previsto. Si calcola che si tratta di 31 miliardi di debito della pubblica amministrazione da pagare alle imprese. Nel 2017 e nel 2018 oltre il 62 per cento era di enti pubblici. Non vi sono stati scrupoli a scrivere nel disegno di legge europea le penali verso il mondo dell'imprenditoria che non adempie, giusto, ma si è toccato solo parzialmente il problema perché, invece, nei confronti della pubblica amministrazione non si è introdotto alcun tipo di correttivo, non si è pensato a un sistema di compensazione, non si è pensato a un sistema per il quale la pubblica amministrazione restituisse il maltolto alle tante imprese e al tessuto produttivo fallito non per inadempienza propria ma per inadempienza altrui, quella dello Stato. Vi devo ricordare che questa cosa non mi stupisce più di tanto perché i Ministeri, i vostri Ministeri, sono per il 98 per cento inadempienti nei confronti dei loro fornitori a causa di ritardi nei pagamenti. La crisi che noi tutti chiamiamo, noi tutti evochiamo e che molto spesso nelle campagne elettorali richiamiamo, che cerchiamo sempre di affrontare, è stata causata in parte dalla pubblica amministrazione.

E proprio perché viene dal pubblico, che dovrebbe dare l'esempio, è ancor più odiosa rispetto a tante altre motivazioni che avevano dato luogo e danno luogo ogni giorno a questa lotta all'interno del mercato e dell'economia. Insomma nel disegno di legge europea non si guarda in maniera complessiva al problema dei ritardi della pubblica amministrazione, nonostante vi sia stata una procedura di infrazione che si somma a quella che giustamente è stata toccata invece in modo parziale in tale disegno di legge: non abbiamo, non leggiamo nel provvedimento nulla di concreto rispetto al nostro tessuto produttivo per far rispettare i pagamenti e, quindi, per portare rispetto a chi non grava di un centesimo sul pubblico ma aspetta dal pubblico i centesimi dei lavori forniti e completati. Dietro a questa mancanza c'è mancanza di rispetto per chi produce, per chi offre lavoro, per chi è tessuto produttivo, per chi non grava ma dà risorse, per chi rafforza il nostro territorio, per chi tutti noi diciamo di voler difendere davanti alle ristrettezze dell'Unione europea ma nei confronti dei quali in questo specifico caso l'Unione europea si è certamente comportata meglio di noi stessi, perché l'Unione Europea ha fatto bene a punirci, ha fatto bene ad avviare una procedura di infrazione perché il problema dei mancati pagamenti da parte della pubblica amministrazione nei confronti dei privati è un problema che ancora adesso, nonostante la procedura di infrazione, ancora adesso, nonostante si sia obbligati a deliberare il disegno di legge, ancora adesso non andiamo ad affrontare. Lo dicevo prima: probabilmente la motivazione sta nel fatto banale che proprio i Ministeri sono i principali inadempienti. È ora di intervenire in maniera seria e noi siamo preoccupati per l'andamento economico dell'Italia, fortemente preoccupati. Tante volte diciamo che l'economia non va bene a causa dell'Unione europea ed è vero: vincoli sempre più stringenti, che limano le nostre capacità soprattutto artigianali, ci sono e noi dobbiamo cercare di limitarli nella maniera più intelligente possibile ma, mentre non ci occupiamo di pubblica amministrazione e privati che producono, la prossima settimana arriva in quest'Aula il reddito di cittadinanza e, ancora una volta, non diamo una risposta al settore produttivo, a coloro che, ho detto prima, non pesano un euro sulla collettività e che rischiano di diventare i nuovi poveri che chiederanno probabilmente il reddito di cittadinanza ma non è quella la risposta che vanno cercando. Chiedono soltanto rispetto e, se la pubblica amministrazione avesse fino ad oggi fatto la sua parte, non c'era bisogno di misure d'emergenza come quelle che voi vi accingete ad approvare.

Mentre le imprese, quelle vere però, facevano la fame, nel bilancio 2018 approvato con la legge 27 dicembre 2017, venivano stanziati tre bei milioncini di euro per il fantomatico Istituto Italiano per l'Asia ed il Mediterraneo, per la digitalizzazione, per un progetto, per carità, auspicabile di sostenimento del made in Italy: peccato tre milioni di euro; mentre le nostre imprese ancora ci chiedevano i soldi della pubblica amministrazione, nel 2017 - e quindi richiamo le responsabilità del precedente Governo – si stanziavano 3 milioni di euro, 1 milione di euro l'anno, per un istituto di cui credo nessuno di noi conosca, forse la storia, ma non quello che fa. Infatti, basta accendere il telefonino e andare su Internet, per vedere che il sito Internet è chiuso, l'Istituto è sparito e la grande attività per cui questi 3 milioni di euro dovevano essere di supporto, non di mantenimento, è sparita nell'etere, magicamente. Ohibò, sarà mica perché qualcuno dall'Unione europea, se non ce n'eravamo accorti noi, ha detto che quei soldini lì erano un finanziamento diretto che non poteva essere stanziato? Un aiuto di Stato? Ce ne fossero di aiuti di Stato per le imprese che soffrono, quelle vere, che producono; e invece un aiuto di Stato abbiamo avuto nei confronti di un ente di cui non sappiamo né arte né parte. E in questa legge europea - devo dire - si dà seguito al richiamo dell'Unione europea, e finalmente si dice al Governo precedente: ragazzi, avete fatto una cosa che non si poteva fare, quei 3 milioni non dovevano essere stanziati, e dimenticatevi l'Istituto Italiano per l'Asia e il Mediterraneo, semmai al di là della sigla ci fosse stata qualche attività meritoria da sostenere.

E scusatemi, permettetemelo, di ricordare le parole del, non dico compianto, ma ex senatore Esposito, bandiera del Partito Democratico, che disse all'epoca – ma lo cito solo per affetto, visto che è piemontese quanto me – che era una “marchetta” necessaria ad avere i voti in una manovra. Ecco, salutiamo la “marchetta”, tanti baci e saluti alla “marchetta”, perché questa “marchetta” era un aiuto di Stato non ammissibile e che oggi viene cancellato, ma comunque per il quale abbiamo fatto una figura barbina davanti all'Europa. Perché vedete, questa legge europea, alla fine - se c'è qualcosa di concreto, al di là dello snocciolamento dei singoli articoli che abbiamo tutti ben letto nei nostri ruoli istituzionali, paventando la nostra capacità oratoria in questa bellissima Aula -, è che ci dà lo specchio, la visione di tutti i nostri errori. Perché abbiamo uno Stato che, da una parte, non paga, che davanti alle imprese che producono, alle imprese che soffrono, le mette in crisi grazie ai suoi ritardi dei pagamenti; e davanti ad un ente che non aveva alcun senso e che non poteva essere finanziato, venivano invece stanziati 3 milioni di euro. Direte: spiccioli, però sintomatici di una certa pratica che dovrebbe essere abolita in questo Stato.

Ve lo dico perché io ho sentito – com'era l'introduzione? Avvincente – con avvincente passione tutti, tutti i vostri interventi. Ma, permettetelo, che anche nelle cose più piccole, mica crederemo che dietro alla diversa nomenclatura di cuoio e pellami ci sia un problema di sintassi da sottoporre all'Accademia della Crusca? Eh no, non c'è quello, cari amici del PD, c'è ben altro: c'è il divieto di porre l'obbligo di derivazione della nostra merce, un divieto che ci pone l'Europa; un divieto ingiusto perché, dietro quel cuoio, quel pellame che è stato oggetto di ironia, ci sono aziende, artigiani, che nel nostro Stato producono, ci lavorano, mantengono famiglie, figli, mandano i figli a scuola. Chiaro? Dietro quella nomenclatura, dietro quell'articolo che pare sia soltanto un problema di come chiamare il cuoio, le pellicce e il pellame, ci sono famiglie che mangiano, e a cui l'Europa ci dice che il loro prodotto non dev'essere obbligato a tenere l'etichetta “made in Italy”, e che il prodotto simile, ma non uguale a loro, non è obbligato ad indicare il Paese di provenienza. E, quindi, in quella quisquilia, in quell'articoletto che sembra quasi un gioco di parole, come se stessimo giocando ad un gioco di ruolo, c'è molto di più. Non è un gioco in scatola: ne va di un pezzo della nostra economia.

Ed è qui che avrei voluto sentire un pochino di orgoglio: perché, vedete, se andate a contattare, a chiamare, a interrogare il pedone tanto amato dai miei amici del PD, pure quel pedone vi dirà che è ingiusto che il nostro mondo produttivo sia messo così in ginocchio: che sia per la mancata etichetta del made in Italy, che è una certificazione della qualità, dell'artigianalità, della produttività del nostro territorio, del valore aggiunto dell'Italia nel mondo, del genio italiano nel mondo, o che sia un imprenditore che non ha ricevuto i soldi dalla pubblica amministrazione e che in questa legge non trova alcuna risposta ai propri debiti provocati da questo Stato (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - A.C. 1432-A)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore, onorevole Battelli.

SERGIO BATTELLI, Relatore. Presidente, giusto al volo. Intanto ringrazio i colleghi per gli interventi che ho sentito durante la discussione. Io ci tengo solo a precisare che la legge europea è una legge che nasce, che serve per sanare delle infrazioni e dei casi di EU Pilot, è una legge fondamentale che comunque va a sanare i problemi che sono nati da scelte fatte da Governi che ci hanno preceduto. Quindi, la volontà di questo Governo è sicuramente di andare a sanare il più possibile quelli che sono casi di contenzioso aperti, quindi di infrazioni e di Pilot; però, ripeto, questo non è un decreto, non è un provvedimento che nasce per altre finalità, quindi l'obiettivo di questa legge è sanare le infrazioni. Quello stiamo facendo, quello stiamo cercando di fare. Io, peraltro, mi riservo la discussione di domani per magari parlare più di tematiche precise riguardo a quelli che saranno sicuramente gli emendamenti, quindi io rimando a domani la discussione.

PRESIDENTE. Onorevole Battelli, non vorrei… Ma domani lei può dare solo i pareri, quindi… Abbiamo comunque molto apprezzato il suo intervento, avvincente, di introduzione.

Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo, signor sottosegretario. No, bene, non intende replicare.

Il seguito del dibattito è, quindi, rinviato ad altra seduta.

Discussione della proposta di legge: S. 535 - D'iniziativa dei senatori: Castellone ed altri: Istituzione e disciplina della Rete nazionale dei registri dei tumori e dei sistemi di sorveglianza e del referto epidemiologico per il controllo sanitario della popolazione (Approvata dal Senato) (A.C. 1354); e delle abbinate proposte di legge: Zolezzi ed altri; Massimo Enrico Baroni ed altri; Cecconi; Carnevali (A.C. 84-753-811-1229) (ore 16).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge, già approvata dal Senato, n. 1354: Istituzione e disciplina della Rete nazionale dei registri dei tumori e dei sistemi di sorveglianza e del referto epidemiologico per il controllo sanitario della popolazione; e delle abbinate proposte di legge nn. 84-753-811-1229.

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (Vedi calendario).

(Discussione sulle linee generali – A.C. 1354)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Avverto che il presidente del gruppo parlamentare Partito Democratico ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.

Avverto, altresì, che la XII Commissione (Affari sociali) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire il relatore, deputato Massimo Enrico Baroni.

MASSIMO ENRICO BARONI, Relatore. Presidente, sono davvero felice di essere qui, oggi, in occasione della discussione generale della proposta di legge che istituisce e disciplina la Rete nazionale dei registri dei tumori, dei sistemi di sorveglianza e del referto epidemiologico.

Questo disegno di legge istituisce un nuovo strumento, potenziato e indispensabile, per fare prevenzione, che è la migliore medicina che esista per battere sul tempo il cancro.

È in questa direzione che andava il “decreto Balduzzi”, che istituiva ufficialmente i sistemi di sorveglianza e dei registri di mortalità di tumori e di altre patologie, rinviando ad un decreto attuativo che non vide la luce prima di cinque anni. È in quel limbo di inerzia, nella scorsa legislatura, che il MoVimento 5 Stelle dovette farsi carico della richiesta di calendarizzazione in propria quota, in quota opposizione, presso la XII Commissione della Camera dei deputati, dell'atto Camera 3115, a mia prima firma, a cui vennero abbinate ben sei proposte di legge di tutti i colori politici. Ci vollero ben tredici sedute del comitato ristretto per arrivare al testo unificato, ma questa tenacia ebbe il merito di dare impulso all'emanazione, finalmente, nel 2017 dell'atteso decreto attuativo sul registro tumori nazionale. Lo scarno decreto, tuttavia, deluse le aspettative di pochi testardi componenti del comitato ristretto, che decisero che occorreva una norma di rango primario per una seria implementazione del provvedimento appena emanato. Di questa tenacia farò i ringraziamenti personali e doverosi a colleghi, anche di altre forze politiche, prima di licenziare il provvedimento. Forti di questa testardaggine, il 29 giugno 2017, proprio quest'Aula decise di approvare con voto unanime, in prima lettura, la proposta di legge che istituiva la rete nazionale dei registri dei tumori e dei sistemi di sorveglianza e del referto epidemiologico. Purtroppo, la proposta, trasmessa in Senato, in cinque mesi di lavori non concluse l'iter. Per tale ragione è stata subito ripresentata con forza dal MoVimento 5 Stelle, a prima firma della senatrice Castellone, medico oncologo, ricevendo per la seconda volta, con poche modifiche, l'approvazione unanime dell'Aula del Senato.

Occorre mettere le mani nel nucleo di sofferenza dei malati di patologie gravi, dei malati terminali e dei loro cari, malati che si sentono in pericolo di vita oppure un peso per le loro famiglie, e che a volte si costringono a dissimulare l'impatto psicologico che la diagnosi di male oscuro comporta su di loro e, di riflesso, sulle loro famiglie. “Il mendicante arabo ha un cancro nel cappello, ma è convinto che sia un portafortuna”, recitava Francesco De Gregori ricevendo la censura della RAI nel 1973. Ora ne possiamo parlare pubblicamente, possiamo entrare nella rappresentazione collettiva di questo dolore, e lo facciamo attraverso i dati. Secondo l'ISTAT, nel 2016, i tumori sono stati la seconda causa di morte dopo le malattie cardiocircolatorie, e ogni giorno hanno causato circa 490 decessi. Secondo il report “I numeri del cancro”, curato da Airtum, nel 2018, ogni giorno, ben 1.022 persone hanno ricevuto una nuova diagnosi di cancro. I registri tumori sono sorti spontaneamente in Italia negli anni Novanta, e sono per la maggior parte relativi ad una popolazione locale e per minor parte specializzati. L'Airtum ha accreditato fino ad ora 49 registri che raccolgono ed elaborano in forma anonima i dati oncologici con gli standard definiti dallo IACR e dall'NCR. Attualmente in Italia il 70 per cento della popolazione vive in aree monitorate dai registri tumori accreditati Airtum, ma non tutti hanno ricevuto gli opportuni e continuativi aggiornamenti, e in molti casi i dati risalgono a cinque anni prima. Orbene, l'obiettivo di questa legge è arrivare celermente al 100 per cento, passando da una copertura frammentaria del territorio, a volte basata su proiezioni, a un rilevamento dati completo e maggiormente aggiornato, affinché la sorveglianza epidemiologica oncologica sia espletata anche nelle aree territoriali non ancora coperte. Questa proposta di legge istituisce e disciplina per la prima volta il referto epidemiologico finalizzato al controllo sanitario della popolazione, il quale sarà il contenitore in cui confluiranno tutti i dati relativi ai malati di una popolazione a tutti gli eventi sanitari in uno specifico ambito temporale e territoriale, restituendo a specchio la fotografia dello stato di salute complessivo della comunità e mettendo in luce eventuali criticità di origine ambientale, socio-sanitaria o professionale.

I dati raccolti saranno uno strumento prezioso per ricercatori medici e scienziati per compiere indagini epidemiologiche, i cui esiti potranno essere utilizzati dal Ministero della Salute per riprogrammare e affinare di anno in anno le politiche sanitarie. Saranno altrettanto preziosi per i cittadini, che, attraverso la consultazione dei dati o grazie alle campagne informative del Ministero della salute, potranno espandere la propria consapevolezza di quanto, ad esempio, è incidente l'insorgere di una patologia grave in uno specifico territorio. Questa legge rivoluziona i tradizionali schemi di prevenzione e cura delle malattie oncologiche ed infettive, a beneficio di tutti i cittadini, passando dalla sanità d'attesa alla sanità di iniziativa. Il Governo avrà un anno di tempo per emanare il regolamento della Rete nazionale dei registri tumori e dei sistemi di sorveglianza - da pubblicare sul sito del Ministero della salute - e per emanare il decreto attuativo per il referto epidemiologico. Il MoVimento 5 Stelle presenterà inoltre un ordine del giorno che impegni il Governo a fornire risorse aggiuntive per implementare anche le numerose attività facoltative previste per la piena e celere attuazione degli obiettivi del provvedimento. Concludo - e la ringrazio, Presidente, per l'attenzione - con un appello: approvare il più presto possibile questa legge è di vitale importanza, non dobbiamo perdere l'opportunità di portare a casa questo potente strumento di prevenzione primaria, per battere sul tempo il cancro e salvare molte vite (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. Colgo l'occasione per salutare i bambini, che sono qui oggi insieme ai loro insegnanti, dell'Istituto comprensivo statale Castel San Giorgio, appunto di Castel San Giorgio, in provincia di Salerno (Applausi). Benvenuti, bambini. Oggi siamo in pochi perché stiamo facendo una discussione generale, altrimenti, negli altri giorni, l'Aula è molto più piena.

Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo.

ARMANDO BARTOLAZZI, Sottosegretario di Stato per la Salute. Presidente, volevo solo cogliere l'occasione per esprimere tutta la mia più piena soddisfazione per questa iniziativa, che ha visto già al Senato una piena condivisione d'intenti e quindi la trasversalità su un problema che chiaramente riguarda tutti, è un problema post-ideologico. Si tratta di uno strumento essenziale ed estremamente importante, non solo, come ha detto l'onorevole Baroni, per programmare meglio la prevenzione oncologica, ma anche per fare delle stime su dati reali di quelli che saranno gli impegni del Sistema sanitario nazionale per quanto concerne le spese sui farmaci innovativi. Quindi, spero che iniziative come queste, condivise da tutti, possano essere sempre più frequenti nelle nostre Commissioni.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Carnevali. Ne ha facoltà.

ELENA CARNEVALI (PD). Signor Presidente, rappresentante del Governo, colleghi, inizio col dire innanzitutto che condivido l'appello, la richiesta fatta dal relatore e anche dal sottosegretario, e mi auguro davvero che questo impegno non valga solo in una direzione ma che, invece, davvero ci sia una corresponsabilità, che quando parliamo di sanità davvero lo facciamo per entrambe le parti. Questo è un argomento molto delicato, perché va a toccare la sensibilità di ciascuno di noi. Credo che direttamente o indirettamente molti di noi hanno a che fare o hanno avuto a che fare con persone che hanno una patologia oncologica, con quello che ne comporta in termini di sofferenza, spesso in termini anche di speranza - questo non dobbiamo dimenticarlo -, e che coinvolge naturalmente non solo chi ha questa malattia ma anche i propri familiari. I dati dell'OMS ci dicono che è tra le principali cause a livello mondiale di malattie. Secondo le ultime stime, il numero di nuovi casi diagnosticati ogni anno raddoppierà, e nei prossimi 25 anni raggiungerà i 22 milioni, nel 2030. Si tratta quindi evidentemente di un'esigenza pressante, a cui tutti i Governi di tutto il mondo non possono sottrarsi.

Nel nostro Paese sono oltre 3.300.000 - il 5 per cento dell'intera popolazione - le persone che convivono con un tumore, e sono 373 mila i nuovi casi di cancro stimati nel 2018.

Questi dati vengono da Aiom o da Airtum. È evidente, quindi, che la lotta contro i tumori e la prevenzione in particolare deve essere una priorità del nostro Servizio sanitario nazionale, non solo per l'elevata incidenza, ma anche per l'impatto innanzitutto sulle persone, ma anche sociale ed economico. Prevenzione e stili di vita sono degli strumenti essenziali per combattere il cancro, ma oggi, con questo provvedimento, possiamo raggiungere e aggiungere in particolare un ulteriore strumento prezioso, la Rete nazionale dei registri dei tumori, che, quando sarà operativa ed efficace sull'intero territorio nazionale, ci permetterà di conoscere e di verificare l'incidenza dei tumori nei singoli territori, il tasso di mortalità, l'eventuale correlazione con i fattori ambientali, ma anche indagarne le cause, in modo da poter programmare al meglio gli interventi di prevenzione sanitari corretti.

Voglio ricordare - lo ha fatto già il collega che mi ha preceduto, Baroni - che la discussione su questo tema era già iniziata nella scorsa legislatura ed era stato approvato un testo analogo - con il contributo di molte colleghe della scorsa legislatura, Miotto, Donata Lenzi, Amato - a quello che, peraltro, attualmente è all'esame. Non è stato, come ricordava prima il collega Baroni, possibile concludere l'iter per lo scioglimento delle Camere. L'Italia resta uno dei Paesi con i sistemi sanitari migliori al mondo dal punto di vista dell'incidenza della spesa sugli effetti e sugli outcome che noi abbiamo. Dal lato dell'assistenza e dell'attenzione ai pazienti, però, rimangono ancora molte disparità, anche di trattamento, che sono dovute alle diverse gestioni all'interno delle singole regioni; determinano spesso tempi e qualità delle prestazioni profondamente diverse, a volte anche conflittuali.

É in questo difficile contesto che la presa in carico del paziente è il momento strategico, in grado di segnare in modo decisivo la qualità del suo percorso terapeutico. Naturalmente non siamo all'anno zero, i registri dei tumori operano già da molto tempo sul nostro territorio, dal 1967; tuttavia, purtroppo, come avviene a volte in sanità, non tutte le regioni o addirittura non tutte le province si sono dotate di uno strumento così importante, creando questa situazione eterogenea. Nel 2011 i registri dei tumori presenti erano solamente 29 e coprivano il 35 per cento della popolazione italiana. Ora, con il lavoro di chi è stato giudicato, devo dire, a mio giudizio, come sempre, con toni non sempre molto eleganti, con il lavoro degli ultimi anni, i dati esposti dal Ministero della Salute dicono che sono più di 41 milioni i cittadini, pari al 70 per cento della popolazione, che vivono in aree coperte da registri di tumori accreditati.

Tuttavia in molte aree non ci sono ancora, ed è per questo e con questo provvedimento che vorremmo riuscire ad incentivare ulteriori iniziative per nuovi registri che vengano poi accreditati e, soprattutto, che possano parlarsi tra di loro e che ci consentano di poter fare quella pianificazione e quella programmazione sanitaria, quella politica sanitaria, di cui abbiamo bisogno. Le informazioni raccolte nei registri dei tumori includono i dati anagrafici e sanitari essenziali per lo studio dei percorsi diagnostico-terapeutici, per la ricerca delle cause del cancro, per la valutazione dei trattamenti più efficaci, per la progettazione di nuovi interventi di prevenzione, proprio così, la prevenzione, e per la programmazione anche delle spese sanitarie. Pertanto, se si vuole sorvegliare l'andamento della patologia oncologica, occorre che qualcuno si assuma il compito di andare a ricercare attivamente le informazioni, codificarle, archiviarle, renderle disponibili per studi e per le ricerche. Sapere come sta una comunità e passare dalla statistica sanitaria all'epidemiologia consente di descrivere il profilo di salute di una popolazione, e quindi di fare buona programmazione, ed è questa la finalità che ha il disegno di legge che ci accingeremo a votare, spero nel più breve tempo possibile.

I registri dei tumori raccolgono, valutano, organizzano, archiviano in modo continuativo e sistematico le informazioni più importanti su tutti i casi di neoplasie e le relative variazioni territoriali e temporali attraverso misure di incidenza e di sopravvivenza per le diverse forme di neoplasie e di mortalità, fornendo così un indicatore fondamentale della qualità dei servizi diagnostici e terapeutici dei diversi territori. Inoltre, fornendoci dati anche di prevalenza a livello locale e stime di prevalenza a livello nazionale, i registri dei tumori sono strumenti di conoscenza essenziale per la programmazione e devono essere disponibili a tutti, in primis al Servizio sanitario nazionale, ma anche ai cittadini di questo Paese, che potranno finalmente sapere e conoscere se le disuguaglianze di trattamento e la sopravvivenza siano ricondotte a programmi di screening efficaci, a chi vive vicino ad aree, magari, contaminate o a chi lavora in un ambiente insalubre e corre rischi più seri e più alti di ammalarsi di tumore.

Il fattore tempo è determinante: occorre recuperare i ritardi del passato, al Senato è già stato fatto, allora, un lavoro egregio; è già stato preparato il terreno anche adesso, e quindi davvero l'auspicio è che si possa utilizzare e soprattutto di farlo in breve tempo. Voglio, però, adesso soffermarmi su due temi importanti. Apprezzo il fatto che il collega Baroni dica che con un ordine del giorno chiederà di poter mettere delle risorse stanziate ad hoc per il mantenimento delle reti nazionali dei registri. Senza risorse questa legge rimarrebbe sostanzialmente un contenitore vuoto e di nessuna utilità della collettività. E, quindi, siamo riusciti comunque a portare in quest'Aula un provvedimento che prevede risorse zero. Naturalmente, speriamo tanto che i decreti vengano poi emanati celermente, anche il regolamento previsto e i decreti attuativi, perché ci sia poi davvero un'attuazione concreta. Mi soffermo, però, su un ultimo punto, e colgo l'occasione in quest'Aula, perché oggi mi ha molto stupito, ho letto un'intervista della nostra Ministra Giulia Grillo, la quale dice, in riferimento alle liste d'attesa, che per il 90 per cento il problema è solo di governance e il 10 per cento, invece, è di personale. Lo dico perché noi tra poco, in questi giorni, cioè già da domani, in Commissione iniziamo il percorso per quello che viene chiamato il decretone per la finta quota 100. Ci sono i dati, sono ormai mesi e mesi che ce li stanno dicendo: tra il 2019 e il 2021 potrebbero essere 24 mila i medici che andranno in pensione, 4.500 con la cosiddetta quota 100. Per quel che riguarda altro personale sanitario, e mi riferisco agli infermieri, la FNOPI parla di 22 mila infermieri in meno da subito, con una carenza complessiva di 76 mila unità di personale infermieristico.

Per poter fare una cosa utile e giusta, come quella che stiamo approvando in quest'Aula, non è che si possa sempre farla con i fichi secchi o negando che il problema esista, perché qui ormai siamo alla negazione del problema. Anche piccole cose intelligenti, utili, necessarie, di buon senso, hanno visto, per l'ennesima volta, sia nel DDL sia per quel che vedremo, anche perché lo abbiamo già visto, lo speech sulle inammissibilità lo abbiamo già sentito, non sarà possibile considerare almeno le graduatorie triennali invece che annuali. Vorrei, e lo lascio qui testimoniato in quest'Aula, che qualcuno mi spiegasse qual è la ragione per cui non solo noi neghiamo il problema, ma cerchiamo di evitare anche di mettere in campo delle cose di buonsenso, come evitare i costi per fare dei nuovi bandi tra un anno, e non poter utilizzare le graduatorie in modo triennale, così il personale l'avremmo già a disposizione.

Noi parliamo di rete, parliamo di uno strumento, come quello su cui stiamo discutendo, però, poi, bisogna che i pazienti vengano curati, presi in carico, e fare ciò senza personale ritengo sia francamente molto complicato. Credo che sia ora e tempo.

Voi l'avete negata spesso la voce da parte dell'opposizione, a prescindere, devo dire spesso, purtroppo e volentieri, ma vedo che viene anche negata la voce dei professionisti della sanità. Credo che solo con un'alleanza forte del Sistema sanitario nel suo complesso, compresi i professionisti della sanità, noi raggiungeremo quegli obiettivi di salute che tanto vogliamo raggiungere anche con il provvedimento in esame, ma soprattutto per garantire quel diritto alla salute, quell'uguaglianza che la nostra Costituzione ricorda che deve valere su tutto il territorio nazionale (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Boldi. Ne ha facoltà.

ROSSANA BOLDI (LEGA). Grazie, Presidente. Arriva oggi nell'Aula della Camera, Presidente e colleghi, per la sua approvazione definitiva il disegno di legge che - come è stato già detto dai colleghi - istituisce la Rete nazionale dei registri tumori e dei sistemi di sorveglianza e che istituisce altresì il referto epidemiologico. Si mettono cioè in rete numerosi registri regionali e provinciali, creando un riferimento unico istituzionale presso il Ministero della salute per la raccolta e il trattamento dei dati. È un passaggio molto importante per la nostra sanità, se pensiamo che le statistiche, che spesso possono sembrare dati così freddi e così poco importanti, in questo caso ci dicono che qui, ogni giorno, in Italia circa mille persone ricevono una diagnosi di tumore maligno. I registri permettono la raccolta dei dati in modo omogeneo, secondo regole ben precise, perché solo in questo modo è possibile effettuare raffronti temporali, territoriali rispetto all'incidenza, alle cause, ai risultati delle terapie che possono permettere una corretta programmazione sanitaria ed un reale ed incisivo miglioramento, sia della prevenzione primaria, che di quella secondaria e delle terapie. Tengo a precisare, tuttavia, che siamo non alla fine, ma all'inizio di un percorso, anche dal punto di vista legislativo, perché all'approvazione qui nell'Aula della Camera di questo disegno di legge, sono sicura all'unanimità, così come è avvenuto nell'altro ramo del Parlamento, dovranno seguire l'emanazione di un regolamento (articolo 1, commi 2 e 3), un decreto del Ministero della salute (articolo 3), un decreto del Ministero della salute per l'istituzione e la disciplina del referto epidemiologico (articolo 4). Si prevede poi un aggiornamento, entro 180 giorni dall'entrata in vigore della legge, da parte di regioni e province autonome, dei loro sistemi di sorveglianza oncologica e questo deve essere fatto con particolare riferimento a quelle aree delle regioni o delle province autonome dove non sono ancora presenti registri o sistemi di monitoraggio.

Dico questo per rimarcare come anche la struttura burocratica sarà chiamata a fare la sua parte e a farla in fretta, questo perché un po' di esperienza parlamentare mi racconta che spesso, quando a un atto legislativo devono seguire decreti attuativi, i tempi diventano nebulosi, i sei mesi possono diventare un anno, qualche volta addirittura il decreto si perde nella nebbia e non succede più niente. Ecco direi che questo è un tema troppo importante per perdere anche solo un giorno rispetto alla reale operatività di questi registri e sono certa che ognuno degli enti interessati - parlo del Ministero, parlo delle regioni, parlo dei professionisti, parlo anche delle associazioni di pazienti che dovranno essere in qualche modo coinvolte nell'emanazione di questi provvedimenti -, penso e spero che tutti questi enti, tutte queste persone - perché poi alla fine sono persone che dovranno fare queste cose - sentano la responsabilità dello strumento che hanno in mano e lavorino al più presto per portarlo a soluzione. Si è parlato delle risorse: è vero questo provvedimento non ha risorse, ma io sono certa - il relatore Baroni ha detto che presenteranno un ordine del giorno – che, così come abbiamo trovato in legge di bilancio 300 mila euro per finanziare le spese del registro del “Sunshine Act”, troveremo da qualche parte anche i fondi per finanziare dei registri che servono a dei pazienti che hanno delle problematiche veramente importanti.

Non esiste famiglia italiana che non sappia che cosa significa avere un malato oncologico in casa o tra gli amici. Credo che questa debba essere la spinta assoluta a lavorare tutti a fare e a fare bene.

PRESIDENTE. Cogliamo l'occasione per salutare i bambini e i loro insegnanti dell'Istituto “Giugliano 5”, di Giugliano in Campania, in provincia di Napoli (Applausi).

Benvenuti qui a seguire questi lavori della nostra discussione generale: la presenza è ridotta perché si tratta di una discussione generale.

È iscritto a parlare l'onorevole Novelli. Ne ha facoltà.

ROBERTO NOVELLI (FI). Grazie, signor Presidente. Voglio iniziare questo mio breve intervento, auspicando che la condivisione che è stata così segnalata dall'onorevole Baroni e dal sottosegretario Bartolazzi su questa importante proposta di legge che riguarda la salute pubblica - è un auspicio anche di Forza Italia - si ampli sempre di più alle proposte della minoranza su tutti i temi che interessano la politica sanitaria e riguardano la prevenzione e la cura della salute degli italiani. La proposta di legge oggi all'esame dell'Aula istituisce e disciplina la Rete nazionale dei registri di tumori e dei sistemi di sorveglianza, integrando, rafforzando e completando la normativa in materia e quanto già previsto dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 2017.

Nella scorsa legislatura - è già stato detto - un testo simile era arrivato ad un passo dall'approvazione finale; approvato alla Camera si era arenato in Commissione al Senato, non riuscendo quindi a essere tradotto in legge. Seppure questo testo poteva essere migliorato e rafforzato su alcuni aspetti durante l'esame in Commissione, per senso di responsabilità - e in una norma come quella di cui stiamo discutendo il senso di responsabilità è molto importante -, abbiamo deciso insieme a tutti gli altri gruppi di non presentare emendamenti e questo proprio per consentire al provvedimento di poter essere tradotto in legge quanto prima ed evitare così un ulteriore rischioso passaggio al Senato, dilatando i tempi in modo non coerente con l'importanza - lo ripeto - di questo provvedimento di legge. Uno degli elementi di debolezza del testo è molto probabilmente la previsione dell'invarianza degli oneri e anche Forza Italia su questo argomento specifico presenterà ad adiuvandum un ordine del giorno che chiederà un impegno del Governo per poter finanziare quelli che sono poi i costi che le regioni dovranno sostenere per attivare i registri e tutto quello che è contenuto nella proposta di legge. Quindi sappiamo che non c'è nessuno stanziamento e tutte le amministrazioni dovranno provvedere all'attuazione della legge nell'ambito delle risorse finanziarie disponibili, ma noi siamo ottimisti che questi ordini del giorno poi ottengano i risultati sperati. In realtà sarebbe stato necessario prevedere un seppur minimo stanziamento di risorse, indispensabile a garantire la piena efficacia alle misure previste e lo ripeto ancora una volta per sottolineare sempre l'importanza che quanto abbiamo detto tutti quanti noi poi trovi compimento. Siamo comunque di fronte a un testo sostanzialmente condiviso e atteso: si istituisce la Rete nazionale dei registri tumori e dei sistemi di sorveglianza, nonché il referto epidemiologico, finalizzato al controllo sanitario della popolazione, un altro aspetto molto importante del contenuto di questa proposta di legge, con particolare attenzione alle aree più critiche del territorio nazionale. È vero che le aree critiche per quanto concerne i tumori sul territorio nazionale sono evocate spesso, ma in una visione di insieme forse non sono conosciute dettagliatamente e, molte volte, si parla anche a sproposito.

Ciò perché non si hanno dei dati che possono essere valutati dalla scienza perché vengano poi attivate tutte quelle procedure e quelle opere di prevenzione sanitaria che sono fondamentali per ridurre anche di un solo malato il problema dei tumori, che purtroppo - i dati sono già stati detti da chi mi ha preceduto - sono la seconda piaga come mortalità per quanto riguarda la sanità nazionale.

Vengono integrati, quindi, e messi in rete i diversi registri tumori, già operativi in molte regioni e in diverse province, creando così un riferimento istituzionale presso il Ministero della Salute, titolato alla raccolta e al trattamento dei dati; un ulteriore importante passo per la sanità pubblica, per i cittadini e per l'efficacia del nostro Sistema sanitario nazionale. Solo, infatti, la piena conoscenza di ciò che accade nelle emergenze sanitarie, nella loro completezza e complessità, può consentire una pianificazione ottimale degli interventi su tutto il territorio nazionale, per rendere più incisiva l'azione a tutela della salute e della vita dei nostri concittadini. È fondamentale la conoscenza della genesi di molte patologie e questo anche ai fini della prevenzione, del loro contrasto e della loro cura. Sotto questo aspetto, la messa a regime di registri e sorveglianze prevista da questa proposta di legge è decisiva in quanto sono elementi infrastrutturali indispensabili per il raggiungimento degli obiettivi di salute.

Voglio ricordare anche che nel nostro Paese i registri tumori - una nota vintage - sono nati cinquant'anni fa su base volontaria, per iniziative spontanee di singoli clinici, che posso anche definire visionari allora, epidemiologi ed operatori sanitari, che hanno inizialmente costituito nuclei di sorveglianza di dimensioni medio-piccole; per esempio, il registro dei tumori infantili del Piemonte è stato il primo registro ad essere costituito, nel 1967, ossia mezzo secolo fa. Probabilmente, quando è stato istituito, non è neanche stato valutato nella sua reale importanza e nella sua progressiva, futura importanza nel contesto di una sanità nazionale che incominciava a cercare quella che era un'omogeneità e una funzionalità di un sistema che doveva erogare, come la Costituzione prevede, delle cure in modo omogeneo e in modo strutturato a tutti i cittadini di questo Paese. A seguire, ne sono nati molti altri, a dimostrazione dell'utilità di un sistema di sorveglianza della malattia oncologica. I registri e i sistemi di sorveglianza sono strumenti indispensabili per la valutazione dell'efficacia degli interventi di prevenzione primaria in aree o popolazioni ad alto rischio e per indicare quali aree della prevenzione primaria rafforzare.

È anche importante che, all'interno di questa proposta di legge, venga posta anche una particolare attenzione per quanto riguarda i tumori rari, che forse, nella strutturazione complessiva, non erano attenzionati come avrebbero dovuto, e anche quel legame imprescindibile, ma a volte scarsamente individuabile, che c'è tra l'attività lavorativa, l'ambiente e la conseguenza sulla salute umana, in questo caso sull'emergere dei tumori.

Dopodiché, è emersa, nel tempo, l'esigenza di allargare il campo d'azione non solo ai tumori, ma di realizzare un valido ed efficace sistema di raccolta sistematica dei dati sanitari ed epidemiologici, necessaria a registrare tutti i casi di rischio per la salute o di una particolare malattia rilevante in una popolazione. Nel 2017 è stato, quindi, approvato il DPCM per l'identificazione dei sistemi di sorveglianza e dei registri di mortalità, di tumori e di altre patologie, che ha individuato trentuno sistemi di sorveglianza presso l'Istituto superiore di sanità e il Ministero della Salute e quindici registri di patologie di rilievo nazionale.

Ad oggi, il nostro Paese non ha una rete che tenga insieme tutti i registri esistenti. Naturalmente, i registri sono, come sempre, ad efficacia variabile, a seconda anche del peso e dell'importanza che le singole regioni hanno dato e stanno dando, sia nella costituzione, sia poi anche nell'utilizzo dei dati epidemiologici - che poi non sempre sono validati secondo criteri internazionali - dei registri stessi.

L'istituzione della Rete nazionale dei registri dei tumori e dei sistemi di sorveglianza prevista da questo provvedimento rappresenta, quindi, un'ulteriore tappa in questa direzione ed è un'importante occasione per poter superare le differenze territoriali ancora ben presenti nel nostro Paese, specie in un ambito quale quello della sanità pubblica; consente di creare un sistema integrato dei flussi provenienti dai registri tumori esistenti, evitando duplicazioni di banche dati sanitari. Questa è una delle condizioni necessarie per permettere serie politiche di prevenzione e di tutela della salute dei cittadini.

Sarà decisivo, al fine dell'effettiva attuazione della legge, che si realizzi una reale collaborazione e cooperazione tra il Ministero della Salute e i diversi sistemi regionali. Questo, poi, sarà compito di un decreto successivo individuarlo e regolamentarlo, ma è evidente che, in un Paese in cui esistono molte sanità che si differenziano, purtroppo non sempre in meglio, l'una rispetto all'altra, questo concetto di una collaborazione istituzionale tra il Ministero della Salute e i diversi sistemi regionali diventa, e diventerà, sostanziale, in questo ambito soprattutto. Questa sarà una delle sfide per il successo di questa legge.

Gli obiettivi e i benefici attesi sono molteplici e non riguardano solo la prevenzione, la diagnosi e la cura di importanti patologie, ma riguardano anche la verifica della qualità delle cure e la valutazione dell'assistenza sanitaria e della ricerca scientifica condotta sui temi oncologici; riguardano la programmazione sanitaria e il miglioramento dell'efficienza degli interventi.

La Rete nazionale dei registri tumori è decisiva per raccogliere, valutare ed organizzare in modo continuativo, sistematico le informazioni più importanti su tutti i casi di neoplasia e le relative variazioni territoriali e temporali. Inoltre, i registri tumori sono strumenti indispensabili per l'organizzazione e la valutazione dell'efficacia degli interventi di prevenzione primaria in aree o in popolazioni ad alto rischio e per indicare in modo dinamico quali aree della prevenzione primaria rafforzare; così come è importante la prevista attività di monitoraggio degli studi epidemiologici, volti all'analisi dell'impatto dell'inquinamento - come anticipavo poc'anzi - ambientale sull'incidenza della patologia oncologica.

È, peraltro, positivo il previsto coinvolgimento delle associazioni attive nel campo dell'assistenza socio-sanitaria e degli enti del terzo settore, che, in collaborazione con le istituzioni pubbliche, supportano la raccolta dei dati sui tumori.

Concludo anch'io, auspicandomi che questo primo passaggio, che troverà - ne sono certo - la condivisione dell'Aula, sia poi seguito dai decreti che vengono elaborati e pubblicati nel minor tempo possibile, che ci sia una reale volontà di collaborazione con il Ministero da parte di tutte le regioni e che questo primo, importantissimo, fondamentale passo per la tutela della salute e la prevenzione del rischio tumori, che riguarda, purtroppo, moltissime persone, possa essere davvero qualcosa che aiuterà in futuro a ridurre il rischio di conseguenze gravi per tutte le persone che, purtroppo, ne soffrono e ne soffriranno.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Zolezzi. Ne ha facoltà.

ALBERTO ZOLEZZI (M5S). Grazie, Presidente. Oggi arriva in Aula, per la seconda lettura, la proposta di legge, già approvata in prima lettura al Senato il 7 novembre 2018, dell'Atto Camera n. 1354. Al Senato è arrivata come proposta a prima firma della senatrice Castellone, che riprende le proposte Baroni, di istituzione della Rete dei registri tumori, e Zolezzi, di istituzione del referto epidemiologico, già approvate in prima lettura solo alla Camera nella scorsa legislatura.

Tanti nomi e tanti numeri, però per portare un tema che è stato condiviso in maniera davvero trasversale: ci sono stati lavori importanti e impegnativi anche nella scorsa legislatura, ci sono state tante audizioni e tanti incontri, c'è stato già lo stimolo a dati governativi, come un vero e proprio decreto del Presidente del Consiglio dei ministri.

Per cui, arriviamo ad un testo che ha impegnato già lo scorso Governo e che impegnerà adesso quello attuale per tutta la parte attuativa, un testo che riguarda temi decisamente condivisi e il nostro futuro.

Il DPCM del 3 marzo 2017 - va ricordato - intende ottimizzare l'utilizzo di tutti i dati sanitari raccolti spesso con un costo economico e di risorse umane piuttosto importante ma finora non è stato sempre accompagnato da pubblicazioni o studi di sistema territoriali o indirizzati in prospettiva alla diagnosi e alla programmazione sanitaria e, quindi, anche alla prevenzione di alcune malattie. Questo DPCM aveva portato all'identificazione di molti sistemi di sorveglianza nazionali e regionali, i registri di patologie nazionali e regionali o altri sistemi di sorveglianza. In tutto sono stati trovati ben 158 sistemi o registri di sorveglianza che comprendono tantissimi aspetti (non solo i tumori ma anche gli aspetti legati alle nascite e alle malformazioni congenite). Questi registri e sistemi hanno la finalità di prevenzione, di diagnosi, cura e riabilitazione, pianificazione sanitaria e anche di identificare eventuali fattori di rischio. Erano stati indirizzati alle regioni affinché individuassero un centro di riferimento regionale che coordinasse i vari dati dei sistemi di sorveglianza e dei registri ed era stata affrontata la questione, naturalmente importante, della gestione della privacy.

E arriviamo alla nostra proposta che, appunto, prosegue quest'azione importante di iniziare a coordinare e rendere omogenea ed efficace la raccolta dati. E arriviamo anche all'articolo 4 che istituisce il referto epidemiologico, chiaramente poi con una fase importantissima attuativa che sarà in capo al Ministero della salute. Questo referto intende e ha l'ambizione di conoscere e migliorare lo stato di salute della popolazione. Per referto epidemiologico si intende andare oltre la statistica. L'epidemiologia potrà avere un ruolo scientifico maggiore arrivando a definire una relazione dettagliata, appunto un referto, cioè una descrizione sanitaria che riguarda la valutazione dello stato di salute complessivo di una comunità esaminando, con dati epidemiologici, tutte le varie informazioni legate alla popolazione di un territorio, l'incidenza delle malattie, cioè le nuove malattie ogni anno, analizzando i vari dati dai registri in uno specifico ambito temporale e territoriale circoscritto e poi anche su un livello regionale e nazionale, analizzando, appunto, il numero e le cause dei decessi, rilevandoli dalle schede di dimissione ospedaliera, dalle cartelle cliniche e dai vari dati dei medici di famiglia. Dunque, si potrà individuare la diffusione e l'andamento di specifiche patologie e identificare eventuali criticità di ordine ambientale, professionale o socio-sanitarie. In prospettiva da un referto epidemiologico si potrà tendere a una vera e propria diagnosi, cioè passare da un referto a una diagnosi (questo chiaramente in prospettiva).

All'articolo 5, appunto, si dettaglia la fase attuativa per cui, acquisito il parere del garante per la protezione dei dati personali chiaramente già audito in particolare nella scorsa legislatura, entro dodici mesi dall'entrata in vigore della legge, con l'intesa della Conferenza Stato-regioni e province autonome, il Ministro della salute deve adottare un decreto per istituire il referto epidemiologico per il controllo sanitario della popolazione con particolare attenzione alle aree più critiche del territorio nazionale, al fine di individuare i soggetti preposti alla raccolta dei dati che confluiranno nel referto, disciplinare il trattamento, l'elaborazione, il monitoraggio continuo e l'aggiornamento periodico dei medesimi dati nonché la pubblicazione, con cadenza annuale, del referto epidemiologico. È un po' questo uno dei grossi limiti: non ci sono pubblicazioni periodiche di una serie di dati e si fa fatica a seguire l'andamento temporale, per cui si rischia di non capire se c'è qualcosa che sta succedendo in un territorio. Ci sarà chiaramente un controllo quantitativo e qualitativo dei dati, in particolare per quanto riguarda le patologie più frequentemente causa di morte. Ci sarà la necessità di pubblicazione nei siti anche online delle regioni e delle province autonome di questi dati per consentire, appunto, il massimo controllo e ci sarà una relazione annuale alle Camere.

Entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge - questo è l'articolo 6 - ed entro il 30 settembre di ogni anno il Ministero trasmetterà una relazione alle Camere sull'attuazione della legge con riferimento al grado di raggiungimento delle finalità per cui è stata istituita, sia per quanto riguarda la rete nazionale dei registri dei tumori e dei sistemi di sorveglianza di cui all'articolo 1 nonché sull'attuazione del referto epidemiologico di cui all'articolo 4. Nella relazione sarà fornita l'illustrazione del livello di attuazione della trasmissione dei dati da parte, appunto, dei centri di riferimento regionale di cui, appunto, all'articolo 2 del DPCM, che ho già citato prima, del novembre 2017. Il referto epidemiologico esiste già ed è stato attuato per la prima volta a Genova - mi risulta - grazie all'équipe del dottor Gennaro Valerio, grazie all'associazione internazionale ISDE dei medici per l'ambiente e anche all'aiuto importante del comune di Genova, della città metropolitana di Genova. Ha fornito dati di mortalità aggiornati al 2018 e consente di georeferenziare alcuni dati di età dei soggetti deceduti, individuando quartieri più critici, e può spingere a ulteriori studi, a modificare e a rimuovere eventuali fattori di rischio ambientale, professionale e comportamentale. Per adesso - chiaramente questa è una forma iniziale - il dato che ha ottenuto è solo quello relativo alla mortalità, però già su vari quartieri sono state evidenziati notevoli differenze e anche suggerimenti di miglioramento di alcuni aspetti. Anche nel Lazio esiste un portale regionale con molti dati di salute e si stanno attuando sistemi in Puglia e in Sicilia.

Questo provvedimento, dunque, consente di valorizzare tutto il settore e di far conoscere le possibilità di programmazione sanitaria e di risparmio economico oltre, chiaramente, di prevenire malattie e sofferenze. I dati raccolti potranno in futuro essere integrati da valutazioni costo-beneficio come quelle realizzate dalla società Ecba Project, che dettaglieranno le spese per le conseguenze di ciascuna scelta politica. Ricordo che sono stati stimati, da questa società privata ma anche da istituzioni di respiro molto più ampio come l'OMS, spese dai 48 ai 60 miliardi in Italia solo come esternalità sanitarie ambientali, il che vuol dire una quota importante anche di tutta la spesa sanitaria che tra pubblico - intorno ai 110 - e privato - intorno ai 40 - è pari a circa 150 miliardi di euro all'anno. Quindi, non c'è solo un aspetto di qualità di vita e di salute ma anche un aspetto di programmazione economica: spostare risorse per migliorare il servizio sanitario nazionale. Questa legge consentirà di programmare, di risparmiare, di evitare malati e morti, di guardare al futuro e, in particolare, a quello dei nostri bambini (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Bellucci. Ne ha facoltà.

MARIA TERESA BELLUCCI (FDI). Grazie, Presidente. Finalmente arriva in Aula questa proposta di legge che riguarda l'istituzione della Rete nazionale del registro dei tumori e finalmente arriva in Aula proprio perché, nella passata legislatura, purtroppo si è arenato e invece in questa forse vedrà la luce. Sottosegretario Bartolazzi, in particolare so bene che lei conosce l'eccellenza italiana nel campo dei tumori e mi piacerebbe parlare, in questa occasione, anche di questo, perché l'Italia è tra le nazioni in Europa in cui la cura dei tumori viene fatta nel migliore dei modi. Cioè, in Italia c'è la percentuale più alta di persone che sopravvivono alla diagnosi di tumore. Noi eroghiamo i migliori farmaci e anche le migliori prescrizioni. E, allora, in un'Italia in cui sempre troppo spesso si parla di ciò che non va, io credo sia fondamentale anche sottolineare i successi della nostra Italia e, soprattutto, dei nostri italiani e, soprattutto, di quegli operatori sanitari che, con così tanta dedizione, sacrificio e professionalità, fanno dell'Italia un'eccellenza a livello europeo ma anche a livello mondiale.

Sono addirittura tre milioni le persone che dopo la diagnosi ancora vivono e sono 900 mila - il 27 per cento - gli italiani che possono ritenersi guariti dopo una diagnosi di tumore e mi permetto di dire che io faccio parte di questi e quindi ancora di più sono felice oggi, in Aula, di pensare, di credere e di vivere una sanità italiana che, in termini di tumori, è una vera eccellenza. Però, come hanno detto prima i colleghi che mi hanno preceduto, purtroppo si muore ancora tanto di tumori: tutti noi, nelle nostre famiglie, tra i nostri parenti, abbiamo perso dei cari a causa del tumore. Come hanno detto prima, in Italia, il tumore è la seconda causa di morte dopo le malattie cardiovascolari e troppe ancora sono le persone che ne soffrono: mille persone hanno una diagnosi di carcinoma maligno infiltrante. Tante sono le persone che muoiono: 485 persone sono morte oggi, perché ogni giorno muoiono 485 persone; 177 mila e più sono le persone che sono morte nel 2017 e allora sì che il Registro nazionale dei tumori rappresenta e ha un ruolo strategico. Ha un ruolo strategico perché sarebbe un asset fondamentale per il monitoraggio e, quindi, per far sì che la ricerca ma anche la prevenzione, la cura e il trattamento possano essere i più puntuali possibile. D'altronde, in molte nazioni del nord Europa, quasi tutte, il registro dei tumori è una realtà a livello nazionale nella sua interezza e, invece, purtroppo in Italia soltanto il 60 per cento della popolazione abita in aree dove è presente il Registro nazionale dei tumori. È così inspiegabile perché, da una parte, siamo un'eccellenza e, dall'altra, non abbiamo tale strumento diffuso ovunque della nostra Italia, dal punto più a nord a quello più a sud passando ovviamente per le isole. È quasi incredibile come possiamo essere un'eccellenza quando ci manca tale strumento. Penso, immagino che saremo i primi al mondo nella cura del tumore se avessimo anche questo strumento. E, allora, per questo certamente sarebbe indispensabile introdurlo. È importante anche perché, oltre ad intervenire nella prevenzione, nella ricerca, nella cura e quindi nel trattamento, sarebbe anche fondamentale per far sì che si potesse, giustamente, studiare la correlazione tra inquinamento ambientale e incidenza dei tumori. Sarebbe uno strumento fondamentale per la Terra dei Fuochi: per quei novanta comuni che purtroppo sono dilaniati da una situazione di inquinamento ambientale. Ma sarebbe anche uno strumento fondamentale nell'Ilva di Taranto e sarebbe fondamentale averlo in altri luoghi proprio per poter incidere in quella correlazione.

E, allora, io chiedo al Governo proprio di impegnarsi per far sì che tale strumento possa avere l'iter più celere possibile; ancor di più perché, mi permetto di dire, che purtroppo la sanità vede tagli ancora in questa legge di bilancio, con meno 600 milioni di euro che fanno sì che la nostra sanità non venga sostenuta; essa vede sì anche una difficoltà nella diminuzione del personale: prima si diceva quanto il turnover sia una questione drammatica, di cui il Governo non si sta prendendo giustamente cura. Mi permetto, però, di sottolineare anche agli esponenti del PD che sono nove anni che il contratto dei dirigenti medici non viene rinnovato e, quindi, quello che oggi viene sottolineato come un problema non è un problema di oggi e solo dell'attuale Governo ma anche di chi lo ha preceduto e non ha saputo affrontare con la giusta priorità e la giusta rilevanza quello che è un problema fondamentale e quella che è una tutela essenziale, la salute pubblica, sancita dall'articolo 32 della Costituzione, quella che dovrebbe essere tutelata in ogni dove e che dovrebbe essere la priorità di qualsiasi legislatore, di qualsiasi politico. Quindi, un problema che c'è da tempo; un problema che oggi è facile sottolineare a parole, ma che in ogni momento della propria esistenza in questo Parlamento bisognava difendere con i fatti.

E allora, certamente questo è un progetto di legge importante, perché prevede il radicamento nazionale; un progetto di legge importante anche perché dà attenzione al Terzo Settore, a quel mondo del volontariato che così tanto fa per patologie come quelle tumorali. Perché certamente gli operatori della sanità sono estremamente importanti ma, nello stesso tempo, lo è quella moltitudine di volontari che assiste, dal punto di vista sociale, psicologico, chi ha una patologia tumorale e che quindi viene compromesso non soltanto dal punto di vista organico, ma vive un momento di grande crisi dal punto di vista relazionale, emotivo, psicologico e quindi vede in quei volontari e in quelle realtà un punto di riferimento, un sostegno, un supporto attraverso il quale poter combattere una delle battaglie della propria vita che può essere assolutamente vinta se uniti e sostenuti da una comunità e da persone che ci aiutano a poter andare avanti.

E, allora, quel mondo del Terzo settore certo che deve essere riconosciuto, è bene che venga riconosciuto in questa proposta di legge, perché così tanto ha fatto, anche in termini di ricerca, di prevenzione, di cura e di supporto e, quindi, mi gioisco del fatto che ci sia questa previsione e questa attenzione.

Ma poi successivamente, ovviamente, mi duole constatare che, come per molte misure, come per molte leggi che ci troviamo qui ad approvare, c'è una nota drammaticamente dolente: quella della mancanza dei fondi. Anche qui, all'articolo 7, viene detto che le amministrazioni interessate ad attuare la proposta di legge dovranno farlo senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, cioè senza fondi specifici. E, allora, come al solito, rischiamo che una legge così bella possa diventare di forma, ma non di sostanza, perché lasceremo soli tutti quegli operatori, tutte quelle amministrazioni che dovranno farsene carico, carico senza essere aiutate e, probabilmente, anche laddove riuscissero a raggiungere degli obiettivi sicuramente con grande difficoltà nella loro totalità.

E, allora, dato che questo è uno dei provvedimenti in cui diversi gruppi politici sono così uniti, c'è un sentire comune, un unico obiettivo, sarebbe molto bello che tutti insieme potessimo prevedere il sostegno economico, che potessimo veramente, fino in fondo, sostenere il registro dei tumori, ma che potessimo dare una risposta concreta fino in fondo a quelle migliaia di persone che hanno una malattia tumorale e che aspettano dal Parlamento una risposta, nella forma e nei fatti, per raggiungere un successo: quello che loro cercano di fare ogni giorno della loro vita, cercando di combattere il male più terribile, quello che potrebbe portare alla morte. Ma siccome loro ci riescono, allora io credo che noi potremmo dare l'esempio che anche questo Parlamento è in grado di sconfiggere l'indifferenza e, invece, di poter portare un sostegno concreto economico a un provvedimento così importante. Confido in lei, sottosegretario (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Bellucci, anche - mi permetto - per la sua testimonianza. È iscritto a parlare l'onorevole Cecconi. Ne ha facoltà.

ANDREA CECCONI (MISTO-MAIE). Grazie, Presidente. Non ho molto tempo e quindi non vi ripeto quello che già molti miei colleghi hanno detto quest'oggi, in discussione generale, sull'importanza del provvedimento, su quante cose prevede e su quanto si sentisse la mancanza, in questo Paese, di un registro, che noi stiamo cercando di inserire, con un lavoro lungo, che va avanti dalla scorsa legislatura.

Voglio dire soltanto due cose. La prima, raccontando un aneddoto personale, per dire in che situazione oggi ci troviamo, nonostante alcune regioni, alcune province e alcune aziende facciano già, in maniera autonoma, un loro registro, che ovviamente non viene divulgato e non parla con altri registri. Io mi trovavo, un giorno, a parlare con un direttore generale di una grande ASL, dove si stava attuando una grande riorganizzazione sanitaria, di cui tutto il territorio nazionale negli ultimi anni ha dovuto affrontare l'imponenza, e si decideva di chiudere degli ospedali in alcuni territori, di aprire o chiudere degli ambulatori in altri. La mia domanda rispetto a come il direttore generale, insieme alla regione, cercava di organizzare è stata: ma voi avete qualche dato, state facendo una valutazione sulle zone, sui territori dove state incidendo, se è più necessario avere degli ambulatori oncologici, se ci sono delle particolari patologie, se ci sono dei bambini che soffrono patologie particolari? E la risposta del direttore generale è stata: ma non abbiamo assolutamente bisogno di guardare quei dati, basta aprire la finestra, guardarsi intorno e vedere quello che la natura offre, anzi che la malattia offre. Ecco, questa è la risposta di un direttore generale, che non era affatto lungimirante e che non considerava il dato una cosa importante. Noi viviamo in un mondo dove i dati ormai ci raccontano tutto; diamo numeri su tutto, anche troppi numeri, se vogliamo, a volte anche sfalsati.

Però credo che, quando una cosa si può misurare, debba essere necessariamente misurata perché con il numero, con la misura noi possiamo organizzare, con una misura noi possiamo decidere dove meglio investire o dove meglio disinvestire, dove c'è più bisogno in questo caso e dove c'è meno bisogno. In una situazione in cui le risorse sono limitate è bene avere una programmazione attenta, e solo i numeri, soltanto questo strumento ci possono dare una visione a livello nazionale di quello che sta succedendo in merito alla salute dei nostri cittadini; e non solo riguardo ai tumori: anche ad altre patologie croniche che incidono nella popolazione.

L'altra cosa che volevo dire a proposito, che molti hanno sollevato, è quella che questa legge viene approvata senza ulteriori risorse. Ecco, io credo che se ci fossero state le risorse sarebbe stato sicuramente un bene; però non ci si può trincerare dietro al fatto che non vengono messi i soldi per non fare nulla. Non credo che sia una difficoltà estrema per le regioni, le ARS e le aziende sanitarie, che quei dati già li raccolgono, che hanno uffici di statistiche interni perché già li devono avere per legge, che già archiviano cartelle e dati e patologie secondo dei criteri che sono standardizzati a livello nazionale. Io credo che non ci si possa nascondere dietro al fatto che non si stanno mettendo i soldi per non far partire questo registro dei tumori, che è un elemento importante e che le aziende sono chiamate a stilare in concerto… Il Ministero ovviamente è chiamato a farle concertare attraverso le regioni, per darci una mappa attenta di quello che succede. I soldi sono importanti, i soldi sono necessari per fare tante cose: ecco, io credo che da questo punto di vista anche senza soldi si possa fare un buon lavoro.

Per concludere, voglio dire che io credo, come è successo nella passata legislatura e come oggi, ai nostri giorni è successo al Senato, che questa legge passi all'unanimità in questo Parlamento, senza ulteriori modifiche e senza chissà quale ostruzionismo o volontà di fermarne il processo. Io di questo sono francamente entusiasta: credo che quando si parla di sanità, di tutela della salute dei cittadini, e quando in mezzo non si mettono aspetti di partito, soldi o diatribe politiche, si trova sempre un accordo, si trova sempre una soluzione adatta per dare una risposta al nostro territorio e ai nostri malati; che purtroppo, come è stato ripetuto anche da tanti miei colleghi, sono tanti, hanno bisogno e hanno bisogno di una sanità attenta sul territorio (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Rizzo Nervo. Ne ha facoltà.

LUCA RIZZO NERVO (PD). Presidente, sottosegretario, colleghi, con l'avvio della discussione e il voto lungo questa settimana di questa iniziativa legislativa, che ha trovato una volta tanto, come è stato già ricordato, l'impegno condiviso e la volontà unanime di tutte le forze politiche presenti in questo Parlamento, che peraltro su questo tema hanno presentato pressoché tutte diverse, ma convergenti proposte di legge; con questa norma, dicevo, si rafforza la strategia di prevenzione e di ricerca, di sorveglianza, di diagnosi precoce, di efficace presa in carico delle patologie oncologiche nel nostro Paese. Perché la lotta contro il cancro vede diversi protagonisti, diversi ambiti, diverse professionalità, diverse competenze, diverse risorse, ma la necessità che tutte queste siano sinergiche per concorrere al risultato, e che conseguentemente ogni attore di questa sfida sia messo nelle migliori condizioni di operare.

Non è stato così fino ad oggi per quel che riguarda i registri tumori, che sì sono esistenti da decenni in varie regioni italiane, ma in modo disomogeneo, per lo più volontaristico, con una difficoltà enorme nel reperimento dei dati, nella loro uniformità, limitando così la propria efficacia come strumento di lettura aggiornata e condivisa della patologia oncologica nel nostro Paese. L'epidemiologia ha infatti bisogno, per offrire tutte le sue enormi potenzialità, di essere sistemica.

Con questa norma, che si pone l'obiettivo di realizzare la Rete nazionale dei registri tumori, si dà un contributo significativo nella direzione dell'organicità di approccio, della comparabilità dei dati e degli esiti, della certezza di utilizzo delle informazioni e di una lettura nazionale dell'incidenza della mortalità e della sopravvivenza in ambito oncologico. Le informazioni raccolte dai registri dei tumori includono infatti i dati anagrafici e sanitari essenziali per la ricerca delle cause del cancro, per la valutazione dei trattamenti più efficaci a partire da quelli farmacologici, specie per quelli più innovativi, per la progettazione di interventi di prevenzione con particolare riferimento agli screening di popolazione, ancor così disomogenei anch'essi nel nostro Paese, infine per la programmazione, non meno importante, della spesa sanitaria.

L'esigenza di questo sistema efficace di raccolta sistematica di dati anagrafici sanitari è già stata accolta tempo fa dal legislatore: ricordiamo infatti il decreto-legge Balduzzi, che considerava fondamentale il riconoscimento dei registri dei tumori in Italia ai fini della prevenzione, della diagnosi, della programmazione sanitaria e della verifica della qualità delle cure. E quindi sette anni dopo si colma un vuoto che appare finanche strano, se si pensa a quanto il nostro Paese abbia performance avanzate nell'ambito della ricerca, della prevenzione e della presa in carico terapeutica della malattia oncologica. Sembra impossibile pensare che il nostro Paese, così all'avanguardia su farmaci e terapie rivolte ai malati oncologici (basti pensare al Piano nazionale dell'oncologia 2011- 2013, al Piano di prevenzione nel campo oncologico 2014-2018) non abbia una legge che istituisca il Registro dei tumori, che accomuni i dati dei vari Registri regionali; che non si sia data fin qui una base di informazioni scientificamente aggregate, certe e comuni a tutto il Paese. Eppure è così: i registri dei tumori operano da tempo nel nostro Paese, ma come purtroppo spesso avviene in sanità, non tutte le regioni e all'interno delle singole regioni non tutte le province si sono dotate di uno strumento così importante, creando una situazione - ripeto - eterogenea.

C'è stata un'accelerazione nel momento in cui si è istituita l'Associazione italiana registri tumori, che già dal 1997 ha lavorato per creare registri dei tumori. In questi anni, grazie anche a questo importante impulso, si è potenziata la presenza dei registri tumori: se infatti nel 2010 i registri presenti in Italia erano 29 e coprivano solo il 35 per cento della popolazione, ora sono 49 i registri accreditati e coprono circa il 70 per cento della popolazione, come veniva ricordato nella relazione introduttiva. Questa legge può dare un impulso ulteriore per colmare il gap residuo in tempi rapidi.

Quindi siamo di fronte ad un esito importante: un esito, quello della prossima approvazione, auspicata, di questa norma, che non sarebbe potuto essere tale e in tempi così rapidi, a meno di un anno dall'avvio di questa legislatura, se non poggiasse sull'importante lavoro realizzato nel corso della scorsa legislatura, con l'approvazione di un testo unificato da parte della Camera dei deputati che purtroppo non ha visto, per ragioni di tempo, la definitiva approvazione in Senato. Oggi realizziamo finalmente ed unanimemente questo obiettivo condiviso, oggi offriamo al sistema di lotta al cancro una freccia in più al proprio arco.

E quanto sia necessario ce lo dicono i dati, che sono già stati ricordati: mille nuove diagnosi di tumore ogni giorno, oltre 370 mila ogni anno. Non solo è necessario tenere alta la guardia, ma è fondamentale accelerare il passo e farlo innanzitutto nell'ambito della prevenzione e della diagnosi precoce. È infatti da sottolineare l'importanza della Rete dei registri tumori come strumento utile per verificare anche l'efficacia della prevenzione secondaria, attuata attraverso gli screening sanitari programmati dal Ministero della salute e ricompresi nei livelli essenziali di assistenza: screening organizzati, cioè interventi di sanità pubblica che prevedano l'offerta attiva e periodica esente da ticket di un test diagnostico di provata efficacia ad una popolazione di soggetti sani, con determinate caratteristiche anagrafiche. Ebbene, ad oggi solo il Veneto, l'Emilia-Romagna, il Friuli-Venezia Giulia, la Toscana, la Lombardia e l'Umbria hanno attivi e pienamente funzionanti tutti e tre gli screening di popolazione; altri vi sono, ma non in una piena funzionalità, secondo le modalità previste dai LEA.

Io vengo da una regione fortunata, che è stata artefice delle sue fortune come l'Emilia-Romagna. L'Emilia-Romagna ha attivato il primo screening di popolazione nel 1996, seguito da un secondo nel 1997 e nel 2005 dal terzo, e dal 2012 offre sempre gratuitamente alle donne emiliano-romagnole selezionate per caratteristiche un test genetico per la verifica di un rischio eredo-familiare di tumore alla mammella. Un sistema di prevenzione che negli anni ha dato i suoi esiti, e che oggi vede ridotta l'incidenza dei carcinomi ad alto rischio, un aumento proprio grazie allo screening dei carcinomi a basso rischio e delle lesioni precancerose, e conseguentemente un calo della mortalità nelle patologie tumorali per le quali sono attivi tre screening di popolazione.

Ma l'Italia è lunga e attraversata da straordinarie diseguaglianze di salute, e appunto sappiamo che questa straordinaria risorsa di prevenzione non è nella disponibilità di ogni cittadino italiano, che ne ha diritto come prevedono i LEA; e comunque anche in un contesto virtuoso come l'Emilia-Romagna in questi anni è stato assai complesso, per la mancanza di una normativa di riferimento, intersecare i dati fra i vari centri screening di prevenzione oncologica e registri tumori. Chi ha lavorato in campo oncologico e della prevenzione oncologica ha agito spesso sulla base della volontarietà e del buon senso per implementare le informazioni sanitarie dei registri tumori, senza specifiche tutele ad esempio rispetto alla complessa normativa sulla privacy. Oggi, anche da questo punto di vista, dotarsi di una Rete nazionale riconosciuta può consentire un salto di qualità importante.

E a proposito di diseguaglianze di salute, un altro aspetto fondamentale di questa norma è la previsione del referto epidemiologico di popolazione: uno strumento utile a rilevare informazioni sullo stato di salute della popolazione residente in una determinata zona, a identificare i determinanti di salute, altresì a individuare i fattori di carattere sociale, economico e ambientale che abbiano una rilevanza scientificamente definita nel determinare una maggiore incidenza delle diverse patologie oncologiche, o, ad esempio, una minore adesione ai sistemi di prevenzione secondaria.

Il referto epidemiologico si basa sull'esame di tutti i deceduti e dei nuovi malati diagnosticati in una specifica comunità, come può essere un gruppo di lavoratori o residenti in particolare aree in un ben definito periodo di tempo. Confrontando i dati osservati con i dati attesi potremmo sapere quale fenomeno è più frequente del previsto. È uno strumento che riconosce come è fondamentale sostenere e monitorare gli studi epidemiologici attraverso uno studio integrato delle matrici ambientali e umane. I dati che emergeranno dovranno essere validati scientificamente secondo gli standard qualitativi previsti in sede internazionale. Uno strumento, il referto epidemiologico, che, ancorché sia da specificare meglio nella sua reale attuazione, può consentire di individuare in tempo criticità di origine ambientale, lavorativa e socio-sanitaria e di intervenire su di esse, insomma uno strumento che toglie alibi all'eventuale inazione sulle criticità, specialmente del decisore pubblico.

Un altro importante aspetto contenuto nella proposta di legge - è stato già sottolineato dalla collega Bellucci - è il coinvolgimento delle associazioni di promozione sociale che operano in ambito oncologico e sanitario, con le quali si prevede la possibilità di stipulare accordi. Si tratta di un riconoscimento né banale né retorico, e, se reso attuativo, in grado di fornire un surplus di conoscenze e di informazioni. Si riconosce infatti una competenza ulteriore, diversa e complementare, si riconosce una fase nuova nel rapporto fra associazionismo in ambito sanitario e programmazione sanitaria, oltre la sola advocacy, oltre al tribunale dei diritti del malato - pur attività fondamentali -, perché qui vi è il riconoscimento di una conoscenza specifica e peculiare di un'esperienza utile ad una co-progettazione, in linea con quanto si è voluto determinare con il codice del Terzo settore; una co-progettazione possibile anche nell'ambito dell'epidemiologia oncologica, parimenti a come sta avvenendo più complessivamente in ambito sanitario, con un riconoscimento dell'associazionismo sanitario come uno dei determinanti possibili sulla strada della personalizzazione dei percorsi di cura e della loro efficacia.

Fondamentale, inoltre, è la prevista relazione annuale alle Camere per monitorare l'attuazione di questa legge, affinché l'obiettivo contenuto in questa norma non rimanga un auspicio ma diventi un obiettivo politico concreto e urgente, per questo monitorato nella sua implementazione, rendendo evidenti le responsabilità di una sua realizzazione o meno. Dopo tanto giubilo, infine, qualche preoccupazione, che è comune a quelle che sono state sollevate dai miei colleghi, che è necessario esplicitare in termini preventivi affinché, ove possibile, si intervenga in sede di attuazione, a garanzia dell'efficacia reale di ciò che stiamo per votare.

Le risorse. Questa proposta di legge contiene la formula che accelera e semplifica ogni iter legislativo, laddove indica che tutti gli ottimi intendimenti della legge siano sottoposti ad una clausola di invarianza finanziaria, cosicché le amministrazioni interessate provvedano all'attuazione della presente legge nell'ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, e comunque senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. Certo è un fatto che può apparire dovuto e finanche scontato, certo un fatto che si inserisce nella ben più ampia riflessione sulla spesa sanitaria italiana, sul suo essere fra le più basse d'Europa, sul rischio concreto di un definanziamento del Sistema sanitario nazionale, con tutte le conseguenze del caso, ma anche, nel caso di specie, è davvero difficile immaginare un'efficace implementazione della rete dei registri dei tumori a iso-risorse. Servono professionalità specifiche e diverse nell'ambito dell'epidemiologia oncologica, serve un investimento straordinario sulle risorse tecnologiche e sulla loro capacità di dialogo e interscambio di informazioni, serve sostenere un processo di realizzazione dei registri dei tumori laddove non vi siano, e, come detto, stiamo parlando di oltre il 30 per cento del Paese. Bisogna sostenere le professionalità - è stato sottolineato da qualcuno - in un'epoca di blocco di turnover, di mancati rinnovi contrattuali, di effetti della cosiddetta “quota 100” sul personale sanitario e della crescente preoccupazione espressa dai professionisti in questo senso.

Segnalo alla collega Bellucci che il mancato rinnovo contrattuale del personale medico, essendo che riguarda gli ultimi 9 anni, attiene alla responsabilità pressoché di tutti, ma segnalo altresì che noi, nel periodo in cui abbiamo avuto l'onore della responsabilità di Governo, abbiamo rinnovato quantomeno il contratto del comparto. E mi auguro, auspico, che l'impegno condiviso che ha portato a formulare in maniera unanime, non solo senza opposizione ma con la convergenza di tutte le forze politiche, questa proposta di legge, si rinnovi anche in sede di sessione di bilancio, per garantire le risorse necessarie a implementare il registro dei tumori.

Ulteriori preoccupazioni vi sono sull'ultimo articolo e prima, sul comma che rimanda le modalità di trattamento dei dati ad un regolamento sotto la responsabilità del Ministero della Salute. Più precisamente, sono rimandi al suddetto regolamento l'individuazione e la disciplina dei dati che possono essere inseriti nella rete e le modalità relative al loro trattamento, i soggetti che possono avere accesso alla medesima rete, i dati che possono essere oggetto dell'accesso stesso e le misure per la custodia e la sicurezza dei predetti dati. Insomma, come spesso avviene, è da questo regolamento attuativo, dalla definizione in esso del rapporto di interscambio fra regioni e Ministero, ad esempio, dagli spazi di autonomia riservati agli uni e agli altri, che deriverà o meno l'attuazione concreta della rete nazionale dei registri tumori e la sua efficacia. Bene che vi sia una data: 12 mesi; speriamo non diventi un oggetto di un futuro “decreto milleproroghe”. Qui vi è però il nodo fondamentale, anche in riferimento agli obblighi, pur giusti, posti in capo alle regioni, nell'articolo 8. Ritengo infatti che un'attuazione vera degli obiettivi di questa legge sia possibile solo se riusciremo a realizzare una reale cooperazione fra i sistemi regionali e il Ministero. Diventano allora fondamentali i provvedimenti che il Ministero adotterà, il metodo attraverso cui li realizzerà, coinvolgendo le regioni affinché esse siano pienamente protagoniste del salto di qualità. Penso che, laddove fatta l'intesa vi sia un'inazione da parte delle regioni, sia finanche giusto il potere sostitutivo dello Stato, ma è fondamentale lavorare sulla cooperazione fra i diversi ambiti di responsabilità coinvolti in questo processo; è necessario fare delle intese, l'esito di questa cooperazione è efficace, non lo strumento difensivo con cui eventualmente scaricare responsabilità sull'altro attore istituzionale.

Questo se vogliamo davvero, realmente, raggiungere gli obiettivi, diversamente rimarranno parole sulla carta. Al netto di queste sottolineature preoccupate rispetto a questi elementi, vi è soddisfazione per il lavoro che ci ha portato a questo testo e alla volontà unanime di approvarlo quanto prima possibile, vi è la felice verifica di un comune intendimento delle forze parlamentari intorno ad un obiettivo di salute così importante come la lotta ai tumori, vi è l'apprezzamento per una collaborazione istituzionale, purtroppo piuttosto inedita per quest'Aula nel corso di questa legislatura. Vi è, sopra ogni altra considerazione, la consapevolezza di dotare il sistema di prevenzione oncologica di uno strumento utile e necessario (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Lapia. Ne ha facoltà.

MARA LAPIA (M5S). Presidente, onorevoli colleghi, onorevoli colleghe, oggi, dopo tanto tempo, abbiamo l'opportunità di discutere in quest'Aula dell'istituzione della rete nazionale del registro dei tumori. La sua approvazione sarà senza timore di smentita un passo importante e fondamentale nella lotta contro il cancro. L'azione di raccolta dei dati epidemiologici di tutti i tumori appare particolarmente necessaria per ciò che rappresenta oggi una delle principali cause di morte del nostro Paese, che ha ancora altissimi costi sociali e sanitari, ma che possono essere in parte evitati. Negli anni abbiamo assistito al moltiplicarsi, grazie all'iniziativa di istituzioni come le regioni, della nascita di questo strumento nelle varie aree del Paese, tuttavia si è sempre ravvisata la necessità di una disciplina unitaria, con regole armonizzate e linee guida precise, per fornire alla ricerca scientifica dati molto più precisi e privi di dispersione. Un primo passo lo si è fatto nel 2017. Negli ultimi due decenni la conoscenza epidemiologica sul fenomeno dei tumori in Italia si è accresciuta grazie al contributo dell'Associazione italiana registri tumori.

Essa, nel pieno rispetto delle linee guida internazionali prodotte dall'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro di Lione, braccio scientifico dell'Organizzazione mondiale della sanità in tema di tumori, ha validato, accreditato e diffuso ad oggi dati che garantiscono la copertura di oltre il 70 per cento della popolazione nazionale.

L'Associazione nazionale registri tumori, in uno studio condotto con l'Associazione italiana di oncologia medica, ha redatto i numeri del cancro per l'anno 2018: sono state 373.300 le diagnosi di tumore; rispetto al 2017, vi è stato un aumento di circa 4.300 diagnosi. Ogni giorno, in sostanza, in Italia mille persone ricevono la cattiva notizia di essere affette da una forma di neoplasia.

L'Associazione ha supportato i registri dei tumori attraverso le attività di formazione, anche a distanza, di ausilio finalizzato alla qualità della registrazione e di misurazione della validità dei dati raccolti. Ha, altresì, creato e curato la manutenzione di una banca dati centralizzata con una continua attività di pubblicazione e diffusione di dati scientifici sulla frequenza, sul carico e sulla sopravvivenza per i tumori in Italia.

Tuttavia, alcune regioni - Sardegna, Sicilia, Veneto e altre - hanno adottato normative che prevedono l'estensione della copertura dei dati all'intera popolazione regionale o quasi, ma ciascuna di esse ha adottato un proprio modello organizzativo; ciò, a volte, ha prodotto delle disomogeneità e queste discrepanze risultano essere lesive della qualità della raccolta dei numeri sul cancro e del loro utilizzo.

L'adozione di una normativa nazionale, invece, anche secondo il Piano oncologico nazionale 2011-2013 e il Piano nazionale di prevenzione 2014-2018, non descriverà solo il fenomeno tumorale in base alle sue variazioni territoriali e temporali; oltre a tenere in considerazione le misure di incidenza delle neoplasie e della mortalità, sarà un ottimo strumento per valutare l'efficacia di interventi di prevenzione primaria e secondaria, come ad esempio gli screening in aree o popolazioni ad alto rischio. E quando dico “aree a rischio”, penso alla Sardegna, alla Campania e alla Terra dei fuochi, alla Sicilia e a Gela, alla Puglia e a Taranto, a Brescia e a Piombino.

Basti pensare che in Sardegna, la mia terra, vi è un tasso di mortalità di dieci persone ogni 10 mila abitanti; dati spaventosi, rilasciati dall'Istat nel 2018. Solo nello scorso anno, sempre in Sardegna, vi è stato un aumento delle diagnosi di circa 300 unità: un dato in crescita che deve farci riflettere profondamente. Sempre in Sardegna, a proposito dei registri regionali dei tumori, ne esistono già alcuni operativi, come quello di Nuoro e quello di Sassari, accreditati sia a livello nazionale che internazionale. Tuttavia, non risultano essere aggiornati, e per questo necessiterebbero di ulteriore implementazione; alcuni dati risalgono addirittura a circa cinque anni fa. Inoltre, non esiste ad oggi un registro che raccolga i dati della Sardegna meridionale, nonostante l'Istat e l'Associazione italiana registri tumori dicano chiaramente che l'isola, più di altre regioni, ne avrebbe strettamente bisogno.

A ciò si aggiunge il fatto che le aziende sanitarie facciano ancora grande fatica ad implementare lo strumento dello screening tumorale per ogni tipo di tumore, fatto gravissimo. Per questo, come ho più volte sostenuto, sono convinta che la regione Sardegna, al pari delle altre regioni, dovrebbe operare per implementare il percorso diagnostico, terapeutico e assistenziale e potenziare la realizzazione di reti oncologiche.

Tutto ciò al fine di ridurre le disparità di accesso ai servizi di qualità, garantendo a chiunque le migliori cure oncologiche. In questo modo, con l'implementazione dello screening e l'istituzione di una rete nazionale del registro dei tumori, si potrà, ad esempio, capire in quali aree la prevenzione dovrà necessariamente essere rafforzata. La Sardegna è senza dubbio una di queste. È chiaro come sarà fondamentale, accanto a tale strumento, predisporre reti oncologiche regionali, al fine di migliorare i percorsi diagnostici-terapeutici per tutti i pazienti affetti da neoplasia. Lo stesso da solo non avrebbe la giusta efficacia.

La nuova disciplina sul registro dei tumori sarà anche un punto di riferimento importante per la valutazione dei livelli essenziali di assistenza, i cosiddetti LEA, nelle regioni. Questa diventa una responsabilità che non potrà più essere rimandata, divenendo primario interesse per amministratori ed operatori sanitari.

Ci sono delle criticità, Presidente, colleghi, legate a fattori ambientali, ed è inutile negarlo. Nel Sulcis, nel Guspinese, a Furtei, a Portovesme, Porto Torres e in altre località sarde la mortalità e l'incidenza delle patologie tumorali, nonché quelle malformative e degenerative, risulta superiore alla media. A dirlo è lo studio “Sentieri” elaborato dall'Istituto superiore della sanità. Un quadro, quello legato ai profili ambientali per le patologie tumorali, che ha un profilo di un'emergenza che non possiamo far finta di non vedere.

La politica che compie scelte legate alla produzione energetica ed industriale, alla bonifica dei luoghi e alla riconversione delle vecchie industrie ha una forte responsabilità, alla quale non deve e non può sottrarsi. Un sardo su tre rischia malattie legate all'inquinamento, e questi sono studi, dati, numeri, non solo previsioni. Vi è una correlazione tra patologie e ambiente, non facciamo più finta di nulla; è in quest'ottica che vanno ripensate politiche di sviluppo, è sul binomio salute e ambiente che va rivista la proiezione delle scelte ad ogni livello. Lo dice l'articolo 32 della Costituzione, quando sancisce il sacrosanto diritto alla salute. Non si possono più minimizzare gli impatti ambientali, nel modo più assoluto.

In ultimo, Presidente, e non per importanza, il dato legato al cancro infantile: è stato stimato, sempre nello studio “Sentieri, che per i fattori di inquinamento è stato registrato un aumento di circa il 9 per cento in più per i tumori infantili, un argomento che a me sta molto a cuore, Presidente.

Dovremmo chiederci cosa stiamo lasciando a loro, ai nostri figli, che tipo di Paese e di ambiente negli anni scorsi e ancora oggi stiamo costruendo per loro. Per anni, per troppi anni si è sacrificata la salute di chiunque in nome di un'idea di sviluppo completamente errata.

Concludo, Presidente, dicendo che mi sento orgogliosa, oggi, di poter discutere finalmente in quest'Aula uno strumento importante come il registro nazionale dei tumori. Il mio sarà, senza ombra di dubbio, un voto più che favorevole, non appena avremo l'opportunità, spero entro la settimana, di licenziare il provvedimento. Lo devo come mamma, come cittadina prima ancora che come deputata, alla mia terra, ai miei figli, ai figli della mia isola e alla mia nazione, ed al futuro che nessuno, nessuno può loro negare.

Credo che il momento della svolta sia arrivato. Chiudo con una frase alla quale è difficile attribuire una paternità certa, ma che hanno pronunciato molti ricercatori ed esperti come Umberto Veronesi: non chiamatelo male incurabile, perché il cancro si può curare (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Ianaro. Ne ha facoltà.

ANGELA IANARO (M5S). Presidente, onorevoli colleghi, il testo della proposta di legge attualmente in esame, d'iniziativa del MoVimento 5 Stelle, è stato approvato in sede redigente al Senato il 7 novembre scorso.

Finalmente, dunque, ci accingiamo a completare un iter che consentirà di dotare il nostro Paese di uno strumento di fondamentale importanza per il monitoraggio, e quindi la prevenzione, delle malattie oncologiche.

La proposta di legge in esame, infatti, prevede di istituire e regolamentare una Rete nazionale dei registri dei tumori e dei sistemi di sorveglianza dei sistemi sanitari regionali, identificati per ciascuna regione e provincia autonoma, ai sensi del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 3 marzo 2017, con le seguenti finalità: coordinamento, standardizzazione e supervisione dei dati alimentati direttamente dai flussi dei registri delle regioni e delle province autonome, nonché validazione degli studi epidemiologici.

Il fine di questa proposta è, dunque, il rafforzamento della capacità di prevenzione delle patologie tumorali e dello studio dei fattori di incidenza, soprattutto in campo ambientale.

Tutte le proposte meritano attenzione in quest'Aula, ma, quando alcune, come queste, sono legate alla salute, trovano una corsia preferenziale nelle menti, nei cuori e nel sostegno che meritano.

Il cancro è una guerra che va vinta sul campo in modo efficace e determinante; il cancro non guarda in faccia a nessuno, bambini, donne, giovani o anziani.

Nessuno può dirsi estraneo, nessuno può dire di non averci mai avuto a che fare, direttamente o indirettamente, attraverso il dolore di una persona cara che è andata via o di amici. E spesso, mentre una vita si spegne, consumata dal tumore, anche una parte di noi muore con lei, nell'assistere impotenti ad una sofferenza dinanzi alla quale non si può far più nulla, quando si arriva all'ultimo stadio, quello terminale. E non esistono guerre senza strategie: ecco perché questa proposta di legge, per la prima volta, nel nostro Paese, getta le basi per conoscere il nemico e combatterlo con le sue armi, che sono l'individuazione e la diffusione, un binomio che vede delle variabili a seconda dei territori di appartenenza. L'esame delle patologie tumorali diventa così, a tutti gli effetti, un problema sociale e, come tale, deve essere affrontato: non più la persona lasciata da sola a combattere contro il proprio male, ma assistita attraverso esami clinici e diagnostici, sottoposta a cure adeguate e soprattutto curata prima, analizzando nel dettaglio il nesso tra patologia ed ambiente, quali e quante patologie interessano una determinata regione e quali patologie altre regioni.

Con questa proposta metteremo in rete i dati dei registri regionali e dei sistemi di sorveglianza, così da incrementare al massimo le attività di monitoraggio e di prevenzione dei tumori su tutto il territorio nazionale, per poi intervenire sui possibili fattori ambientali scatenanti e promuovere campagne di prevenzione mirate. È una forma di prevenzione primaria, nuova, che va supportata perché - e ne sono certa - darà risultati eccezionali, ma soprattutto attendibili perché verificati e validati. Una maggiore e migliore raccolta di dati, circoscritta ad aree, consentirà di non lasciare più le persone sole con il proprio dramma esistenziale e la sofferenza delle famiglie, di capire il tumore per combatterlo e sconfiggerlo a 360 gradi. Perché ci si ammala di cancro al colon maggiormente in un luogo rispetto ad un altro? Perché in un determinato territorio, come la mia terra, la mia Campania, l'insorgenza delle patologie tumorali si abbassa considerevolmente rispetto ad altri luoghi? Da anni sentiamo lo slogan che prevenire è meglio che curare, parliamo di una prevenzione fatta di esami diagnostici, di modifiche dello stile di vita, a volte fondendo pregiudizi e dettami medici insieme, senza distinguere dove inizia il pregiudizio e dove finisce il consiglio medico. La scienza è andata avanti in materia di cure contro il cancro, la prevenzione è rimasta ferma ai soli esami diagnostici, senza tener conto del territorio e dell'ambiente circostante. Non può continuare ad essere così, è fondamentale conoscere quanto incida sulla comparsa della patologia tumorale una vita trascorsa dove l'aria è satura di veleni, dove la terra è intrisa di residui tossici industriali, che contaminano le acque che poi irrigheranno i campi coltivati. L'arma più preziosa è la prevenzione e questa Rete nazionale dà la possibilità di studiare i dati di incidenza, mortalità e correlare la patologia oncologica ai fattori ambientali. Noi, oggi, avviamo le basi perché cresca un altro ed ulteriore aspetto della prevenzione, quello territoriale, che passa attraverso l'acquisizione dei dati, la statistica locale, le patologie più diffuse, l'anagrafica di chi ne è colpito, la localizzazione esatta della fascia di persone interessate. Più dati vuol dire maggiore ricerca, maggiore e migliore ricerca vuol dire migliore qualità delle cure. Lo dobbiamo a chi non ce l'ha fatta, a chi è stato sconfitto da questa terribile malattia e consentitemi uno spunto personale: sento di doverlo anche a chi, come me, ha speso la propria vita al servizio della scienza e della ricerca. Questo momento di impegno parlamentare mi onora grandemente perché è il punto d'incontro tra le competenze maturate nel percorso professionale con l'esperienza parlamentare. Oggi parlo in doppia veste: di scienziata, da sempre impegnata nella lotta contro il cancro; e di deputata della Repubblica; fondendo i due ruoli per far pervenire il forte messaggio della proposta.

Occorre, dunque, prevenire, indagare, raccogliere i dati in una maniera rigorosa che la stessa proposta fissa scrupolosamente perché nulla va lasciato al caso quando si tratta di salute umana. Grazie alla Rete nazionale dei registri tumori potremo disporre di dati pubblici, validati scientificamente, che saranno aggiornati costantemente di anno in anno, su diffusione, tipologia dei tumori e tassi di mortalità.

È lecito, dunque, chiedersi perché non si sia potuto disporre fino ad ora di una rete nazionale così concepita; sembra assurdo, ma è così. In un mondo dove il marketing la fa da padrone, dominando le nostre vite, dove gli orientamenti dei nostri gusti e scelte sono acquisiti costantemente dai colossi delle multinazionali e delle industrie, in una società dove nessuna campagna commerciale globale è lanciata senza uno studio preventivo circa la persona e il suo potere di acquisto sul proprio territorio non si capisce perché, allora, le indagini che riguardano l'essere umano, inteso come titolare del diritto alla salute, non debbano trovare anche per le proprie cure, come per la spesa commerciale, il nesso individuo-ambiente. Qualcuno potrebbe rispondere che potrebbero bastare i dati già disponibili delle regioni, dotatesi da tempo dei registri tumorali, in realtà non tutte le regioni - come abbiamo già ascoltato precedentemente - e le province italiane possiedono un registro dei tumori aggiornato e validato secondo gli standard internazionali.

Questa proposta di legge fissa dei criteri precisi circa l'acquisizione dei dati che devono essere validati scientificamente secondo gli standard qualitativi previsti in sede internazionale dall'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro, dall'Organizzazione mondiale della sanità, relativi a casi diagnosticati di neoplasie. Tali criteri devono essere trattati allo scopo di produrre i dati di incidenza, mortalità, sopravvivenza, tipologia e prevalenza dei tumori; contribuire a capire le eventuali differenze nell'accesso alle cure erogate al paziente oncologico in relazione alle condizioni socio-economiche, all'area geografica di provenienza; effettuare analisi statistico-epidemiologiche anche con riferimento ai tumori rari; fornire, a livello nazionale e regionale, un'informazione continua e completa alla popolazione, anche attraverso la pubblicazione dei dati nel sito Internet istituzionale del Ministero della Salute.

Ricordo, infine, che saranno stipulati accordi di collaborazione gratuita con università, centri di ricerca pubblici e privati e associazioni specializzate. Colmeremo finalmente una lacuna del nostro sistema sanitario nazionale. Ogni anno sarà disponibile una fotografia aggiornata e dettagliata dello stato di salute dei nostri territori.

Concludo sottolineando che il Registro dei tumori nazionali darà anche una forte spinta alla ricerca scientifica e a un migliore e più razionale utilizzo dei farmaci antitumorali, particolarmente quelli innovativi. Con l'istituzione di un referto epidemiologico, infatti, sarà possibile disciplinare l'elaborazione costante dei dati raccolti, che saranno analizzati con rigore scientifico, perché la lotta contro il cancro è una lotta senza ideologie, è una lotta senza bandiere, senza colori politici, è una lotta di civiltà e di umanità, che possiamo e dobbiamo vincere (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Bologna. Ne ha facoltà.

FABIOLA BOLOGNA (M5S). Grazie, Presidente, colleghe deputate e colleghi deputati, con questo progetto di legge si istituisce la Rete nazionale dei registri tumori e dei sistemi di sorveglianza e si istituisce anche il referto epidemiologico, si integrano e si mettono in rete i diversi registri tumori, sia quelli già esistenti in molte regioni e in alcune province del territorio nazionale, e sia quelli che si dovranno predisporre nelle regioni che non ne sono ancora dotate. Si crea, inoltre, un riferimento istituzionale presso il Ministero della Salute per la raccolta e il trattamento dei dati. In questo modo, si provvede a semplificare e razionalizzare gli obblighi informativi nell'ambito di un sistema integrato ed unico di flussi di dati, evitando duplicazioni e sovrapposizioni di banche e dati sanitari.

Non possiamo che esprimere soddisfazione per il voto unanime dell'Aula del Senato su questo disegno di legge e ora ci accingiamo a confermare questo voto alla Camera.

Con questa legge rafforziamo la capacità di prevenzione delle patologie tumorali e la possibilità di studio dei fattori di incidenza. soprattutto in campo ambientale. I tumori rappresentano il 27 per cento dei decessi in Italia, la seconda causa di decesso dopo le malattie cardiovascolari. I registri tumori devono rappresentare un censimento puntuale della popolazione e rilevare la possibile correlazione della malattia oncologica con l'esposizione a fattori di rischio, quali gli inquinanti ambientali o specifici comportamenti individuali o sociali, abitudini o stili di vita, mutazioni genetiche ed epigenetiche; essi, quindi, svolgono un'importante funzione di orientamento delle scelte sanitarie, promuovendo l'adozione di provvedimenti finalizzati alla rimozione primaria dei possibili fattori di rischio di malattia e ad interventi di prevenzione secondaria.

Attualmente sono attivi 47 registri tumori generali, 3 registri tumori specialistici e 3 registri per tumori infantili. I dati raccolti provengono per il 48 per cento dei registri dal nord, per il 25 per cento dal centro e per il 16 per cento dal sud.

La Rete nazionale prevede il coordinamento, la standardizzazione e la supervisione di tutti i dati, alimentati direttamente dai flussi di registri delle regioni e delle province autonome, e la validazione degli studi epidemiologici. Le regioni dovranno procedere all'inserimento tempestivo dei dati, quale adempimento obbligatorio per i livelli essenziali di assistenza.

La Rete rappresenta anche uno strumento che tende a diminuire le differenze di flussi di dati tra nord e sud, con conseguente riduzione del divario organizzativo, tecnologico ed assistenziale tra le regioni.

Questa legge sarà importante per rilevare le differenze nell'accesso alle cure erogate al paziente oncologico, in relazione alle condizioni socio-economiche e all'area geografica di provenienza, per migliorare la qualità dell'assistenza sanitaria e per agire sulle cause di inquinamento ambientale, valutando anche l'efficacia dei programmi di screening oncologici, sia quelli tradizionali che quelli sperimentali, attivi e operativi presso le regioni e le province autonome.

Una particolare attenzione viene prestata alle analisi statistico-epidemiologiche dei tumori rari, che spesso sono curabili ma devono essere diagnosticati in maniera tempestiva.

Importante è la valutazione dell'incidenza di fattori di carattere professionale sulla diffusione di patologie oncologiche e il monitoraggio di trattamenti con farmaci dichiarati innovativi, al fine di fornire nuove evidenze scientifiche sul loro grado di efficacia.

La consapevolezza dell'importanza della ricerca e della partecipazione di tutti gli attori che operano da anni nel settore oncologico e che possono fornirci un valore aggiunto si evidenzia nella possibilità della stipula, da parte del Ministro della salute, di accordi di collaborazione a titolo gratuito con università, con centri di ricerca pubblici e privati, con enti ed associazioni scientifiche ed anche con enti del terzo settore, associazioni attive nel campo dell'assistenza socio-sanitaria e con enti ed associazioni attivi nella valutazione dell'impatto della patologia oncologica e della quantificazione dei bisogni assistenziali, e nell'informazione e comunicazione sui rischi per la popolazione, purché tali soggetti siano dotati di codici etici e improntino la loro attività alla massima trasparenza.

Il referto epidemiologico, che entro 12 mesi dalla data di entrata in vigore della legge il Ministero della salute dovrà adottare con un decreto, ci permetterà un controllo sanitario della popolazione, con particolare attenzione alle aree più critiche del territorio nazionale; ci permetterà di avere i dati corrispondenti allo stato di salute complessivo della comunità, relativi ai malati e a tutti gli eventi sanitari in uno specifico ambito temporale e in un ambito territoriale, attraverso la valutazione dell'incidenza delle malattie, del numero e della causa dei decessi, per individuare la diffusione e l'andamento di specifiche patologie ed identificare eventuali criticità di origine ambientale, professionale o socio-sanitaria.

Grazie alla Rete nazionale dei registri tumori avremo dati pubblici, validati scientificamente e costantemente aggiornati, su diffusione, tipologia dei tumori e tassi di mortalità. Questo ci permetterà una programmazione puntuale degli interventi in ambito sanitario e ambientale.

I dati saranno a disposizione dei nostri ricercatori e contribuiranno all'avanzamento scientifico per garantire una prevenzione sempre più efficace, e diagnosi, cura e monitoraggio delle terapie sempre più efficienti, con una omogenea condivisione di strumenti e metodologie su tutto il territorio nazionale per garantire le medesime opportunità a tutti i cittadini (Applausi).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - A.C. 1354)

PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore, deputato Massimo Enrico Baroni, rinunzia alla replica.

Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

ARMANDO BARTOLAZZI, Sottosegretario di Stato per la Salute. Grazie, Presidente. Nel ringraziare tutti gli interventi, chiaramente altamente condivisibili e che hanno dato numerosi spunti di riflessione, io non posso fare altro che rinnovare il mio impegno personale e quello del Dicastero che rappresento, per portare a termine questa importante proposta di legge e per avere l'opportunità di darne piena attuazione.

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Sospendiamo brevemente la seduta, che riprenderà alle ore 17,55.

La seduta, sospesa alle 17,45, è ripresa alle 17.55.

Discussione della proposta di legge: Iezzi ed altri: Distacco dei comuni di Montecopiolo e Sassofeltrio dalla regione Marche e loro aggregazione alla regione Emilia-Romagna, nell'ambito della provincia di Rimini, ai sensi dell'articolo 132, secondo comma, della Costituzione (A.C. 1171-A); e dell'abbinata proposta di legge: Bignami e Vietina (A.C. 1019).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge n. 1171-A: Distacco dei comuni di Montecopiolo e Sassofeltrio dalla regione Marche e loro aggregazione alla regione Emilia-Romagna, nell'ambito della provincia di Rimini, ai sensi dell'articolo 132, secondo comma, della Costituzione; e dell'abbinata proposta di legge n. 1019.

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta del 6 marzo 2019 (Vedi l'allegato A della seduta del 6 marzo 2019).

(Discussione sulle linee generali – A.C. 1171-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Avverto che la I Commissione (Affari costituzionali) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire il relatore, deputato Igor Giancarlo Iezzi.

IGOR GIANCARLO IEZZI, Relatore. Grazie, Presidente. Sarò velocissimo. La seguente proposta di legge prevede il distacco e il trasferimento di due comuni, Montecopiolo e Sassofeltrio, dalla provincia di Pesaro e Urbino, quindi dalla regione Marche, alla provincia di Rimini, cioè alla regione Emilia-Romagna. Si tratta di due comuni piccoli che in totale hanno circa 2 mila 500 abitanti, con una particolarità: che in parte fanno parte dell'Alta Valmarecchia, i cui comuni, in totale sette, già nel 2009 si sono trasferiti in Emilia-Romagna. Quindi, rimangono questi due comuni di cui stiamo discutendo, Montecopiolo e Sassofeltrio.

Il procedimento che stiamo adottando è quello previsto dalla nostra Costituzione e, in particolare, dall'articolo 132, secondo comma, che richiede in particolare due condizioni: la prima è che vengano fatti dei referendum e che siano approvati dalla maggioranza delle popolazioni interessate e questi referendum si sono svolti nel lontano 2007 e hanno ottenuto sia il quorum per quanto riguarda l'affluenza sia la maggioranza di “sì” (quindi, sono passati oramai quasi dodici anni); il secondo criterio che dev'essere soddisfatto dell'articolo 132, secondo comma, della Costituzione, è il parere delle regioni interessate. Il parere della regione Emilia-Romagna c'è già stato e il parere della regione Marche non c'è stato, nonostante sia stata a più riprese interpellata nel 2014 e nel 2015, in due date, a luglio e a ottobre, e anche recentemente nella nostra legislatura. Infatti, dalla I Commissione in sede referente la regione Marche è stata interpellata qualche mese fa per l'ennesima volta e ci ha risposto dicendo che oramai sono passati dodici anni e non è più possibile capire quale sia il sentimento della popolazione. A questo proposito faccio presente che nella legislatura passata, nella XVII legislatura, sono state svolte delle audizioni informali all'interno della I Commissione secondo le quali il parere delle regioni interessate non può essere un parere vincolante, nel senso che non ci può essere una sorta di diritto di veto in caso di non espressione. Quindi, dopo 12 anni e varie richieste di parere alla regione Marche riteniamo che sia stato assolto il principio di leale collaborazione tra istituzioni diverse.

Poi, l'articolo 2 entra nel merito di come si deve svolgere il distacco. Quindi, è prevista la nomina, nel comma 1, di un commissario straordinario, che deve essere nominato entro 30 giorni da parte del Ministero dell'interno, sentite ovviamente le due regioni interessate, l'Emilia-Romagna e le Marche, e sentita anche la provincia di Rimini, che devono rispondere entro dieci giorni. Il comma 3 dell'articolo 2 prevede la partecipazione alle attività connesse al trasferimento ovviamente anche dei sindaci di Montecopiolo e Sassofeltrio con poteri consultivi e il comma 4 prevede gli adempimenti previsti in capo al commissario. Il commissario entro 180 giorni dovrà provvedere al trasferimento di tutte le funzioni e nel caso in cui i 180 giorni non dovessero bastare è previsto un ulteriore termine ma, comunque, in ogni caso non si può andare oltre l'anno. Quindi, entro un anno - come termine massimo - dovrà essere assolto tutto il trasferimento dei due comuni e delle loro funzioni dalle Marche all'Emilia-Romagna.

Il comma 5 è un comma tecnico che prevede il trasferimento per quanto riguarda il collegio elettorale di competenza, quindi da un collegio che ha a che fare con le Marche a un collegio che ha a che fare con l'Emilia-Romagna. Il comma 6 dispone in ordine al trasferimento degli atti e degli affari amministrativi pendenti al momento dell'entrata in vigore della legge. Il comma 7 dell'articolo 2 rinvia per la rimodulazione dei trasferimenti erariali al decreto-legge n. 2 del 2010, che prevede l'attribuzione dei fondi in maniera proporzionale al territorio e alla popolazione di competenza. Il comma 8, invece, reca la clausola di neutralità finanziaria, secondo la quale l'attuazione del provvedimento non deve comportare oneri. Inoltre, abbiamo specificato che le amministrazioni interessate provvedono alle attività derivanti dall'attuazione del provvedimento nell'ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente. L'articolo 3 è ovviamente quello che prevede la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale.

Durante il dibattito in Commissione sono stati accolti tre emendamenti: uno segnalato dalle opposizioni, un'osservazione segnalata dalla Commissione bicamerale per gli affari regionali e una condizione segnalata dalla Commissione bilancio. Ecco io credo, svolta la mia relazione tecnica, che, al di là del giudizio che poi le forze politiche possono dare sul provvedimento, sia importante dare un giudizio perché dopo dodici anni da un referendum credo che i cittadini a questo punto meritino una risposta il prima possibile.

PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo si rimette alle valutazioni fatte dal relatore e rinunzia al suo intervento.

È iscritta a parlare la deputata Simona Vietina. Ne ha facoltà.

SIMONA VIETINA (FI). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, il 27 marzo 2017 è giunta all'esame di quest'Aula la proposta di legge che prevede il distacco dei comuni di Montecopiolo e Sassofeltrio dalla regione Marche per essere annessi alla regione Emilia-Romagna. Un giusto intervento soprattutto nei confronti della volontà dei cittadini che, purtroppo, ha subito un'evidente e - permettetemi di dirlo - ingiustificata e brutale battuta d'arresto del suo iter di approvazione. Oggi se questa legge fosse stata approvata avremmo potuto dibattere circa gli effetti della stessa e invece no: ci troviamo qui allo stesso punto di partenza di un anno fa.

Mi preme sottolineare che ci sono motivi geografici, storici, culturali e motivazioni dettate dalla realtà della vita quotidiana alla base della volontà delle popolazioni di Montecopiolo e Sassofeltrio di staccarsi dalla regione Marche per passare all'Emilia-Romagna, nel territorio della provincia di Rimini. Queste popolazioni da sempre si sentono riminesi per storia e tradizioni: i loro dialetti sono quelli della Val Conca a Sassofeltrio e dell'Alta Valmarecchia a Montecopiolo. I loro territori di riferimento per le attività economiche e per i rapporti amministrativi, sanitari e scolastici sono quelli della provincia di Rimini.

Il gruppo di Forza Italia, sin dall'inizio della presente legislatura, si è dimostrato sensibile e responsabile di fronte alla volontà dei cittadini presentando una proposta di legge a prima firma del collega Bignami, che ho condiviso e sottoscritto senza esitazione, proprio al fine di prevedere il distacco dei comuni di Montecopiolo e Sassofeltrio dalla regione Marche per passare all'Emilia-Romagna. Faccio riferimento alla volontà dei cittadini poiché con il referendum del 24 giugno 2007 gli abitanti dei due comuni interessati hanno scelto, a larghissima maggioranza, di staccarsi dalla regione Marche. Nello specifico, il consenso del comune di Montecopiolo è stato dell'84 per cento e in quello di Sassofeltrio ancor più alto: l'87,28 per cento. Un'espressione democratica della volontà popolare che ha dovuto attendere oltre dieci anni per essere riconosciuta.

Al chiaro esito del referendum purtroppo non è seguito un adeguato intervento legislativo da parte del Governo allora in carica.

L'8 settembre 2007, infatti, è scaduto il termine entro cui il Ministro dell'Interno avrebbe dovuto presentare al Parlamento il disegno di legge ordinario, come chiaramente espresso dall'articolo 132, secondo comma, della Costituzione, per la modifica dei confini delle regioni coinvolte. Nessun disegno di legge ordinario è stato da allora presentato dai Ministri dell'Interno succedutisi fino ad oggi, evidenziando dunque una evidente mancanza di rispetto nei confronti dei cittadini, che è stata successivamente confermata dalla battuta di arresto che ha conosciuto l'iter di approvazione della proposta di legge nella scorsa legislatura. Non è certo questa la sede idonea per attribuire responsabilità su quanto accaduto in questi ultimi anni, ma di certo la maggioranza parlamentare che era seduta in questi banchi ha assunto un atteggiamento di superficialità nei confronti della volontà palesata dai cittadini dei comuni interessati.

Tale atteggiamento è ancora più grave alla luce della legge 3 agosto 2009, n. 117, che ha disposto il distacco dei confinanti comuni della Valmarecchia (Casteldelci, Maiolo, Novafeltria, Pennabilli, San Leo, Sant'Agata Feltria e Talamello) dalla regione Marche e la loro aggregazione alla regione Emilia-Romagna. Con il passaggio dei comuni della Valmarecchia all'Emilia-Romagna si sono creati ulteriori disagi, venendo a mancare i riferimenti di importanti servizi necessari per i cittadini di Montecopiolo e Sassofeltrio. Oggi, dunque, alla luce di quanto accaduto in questi dieci anni accogliamo con soddisfazione il nuovo approdo in Aula della presente proposta di legge proprio perché vi è un interesse nazionale cui dare seguito nel rispetto della Costituzione per mettere fine ad anni di ingiustizia e disagi per la popolazione dei comuni di Montecopiolo e Sassofeltrio. Va anche evidenziato che il passaggio dei due comuni non comporterà impegnativi trasferimenti amministrativi di ospedali, caserme, scuole che invece hanno interessato il passaggio degli altri sette comuni della Valmarecchia. A ciò si aggiunge un dato importante che non può essere trascurato: il consiglio provinciale di Rimini e la I Commissione bilancio, affari generali e istituzionali del consiglio della regione Emilia-Romagna nel 2008 e nel 2012 hanno espresso, sempre all'unanimità, parere favorevole per l'aggregazione dei due comuni alla regione Emilia-Romagna e anche la Comunità montana Alta Valmarecchia, composta dai sette comuni già citati, ha deliberato all'unanimità in favore del passaggio dei due comuni. Inoltre, in data 16 aprile 2012, anche il consiglio della regione Emilia-Romagna all'unanimità ha espresso parere favorevole alle richieste dei cittadini dei comuni di Montecopiolo e Sassofeltrio. La regione Marche, nonostante le diverse sollecitazioni da parte dei sindaci, nonché le numerose manifestazioni presso la sua sede da parte dei comitati promotori dei referendum, si è espressa con nota protocollo 20/AC/2012, a firma dell'assessore Antonio Canzian, comunicando agli stessi che la regione non adotterà provvedimenti. Nel corso dell'esame del provvedimento nella precedente legislatura, la presidenza della Commissione affari costituzionali della Camera, con lettera del 12 novembre 2014, dell'8 luglio 2015 e del 21 ottobre 2015 ha richiesto alla presidenza del consiglio regionale delle Marche l'espressione del predetto parere. Nella riunione del 12 gennaio 2016, l'ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, della Commissione affari costituzionali, viste le reiterate richieste di espressione del parere ed in considerazione del considerevole lasso di tempo trascorso dalla prima di tali richieste, ha ritenuto che, essendosi la Commissione pienamente attenuta al principio di leale collaborazione, sussistessero le condizioni per proseguire nell'iter legislativo. È stato peraltro ritenuto opportuno procedere allo svolgimento di un'audizione informale di esperti al fine di acquisire la loro opinione in ordine al citato orientamento di procedere nell'esame delle proposte anche in assenza del parere di una delle regioni coinvolte.

Nella seduta del 10 marzo 2016, il presidente ha riferito che tutti gli esperti ascoltati in audizione hanno convenuto che la mancata espressione del parere da parte della regione interessata non può costituire, alla luce del dettato costituzionale, motivo ostativo alla prosecuzione dell'iter parlamentare. È stata richiamata la giurisprudenza costituzionale e in particolare la sentenza n. 33 del 2011 che ha evidenziato come “la previsione di un parere quale espressione del principio di leale collaborazione esiga che le parti della relazione si conformino, nei rispettivi comportamenti, a tale principio; pertanto, chi richiede il parere deve mettere il soggetto consultato nelle condizioni di esprimersi a ragion veduta, concedendo un ragionevole lasso di tempo per la formulazione del giudizio, mentre il soggetto consultato deve provvedere diligentemente ad analizzare l'atto e ad esprimere la propria valutazione nel rispetto del termine dato”. Inoltre, è stato evidenziato che, sempre secondo la Corte costituzionale, anche in mancanza della previsione di un termine per l'espressione del parere, debba escludersi che l'organo consultato possa, rifiutandosi di rendere il parere, procrastinare sine die il termine, perché in tal modo si verrebbe a configurare un potere sospensivo o addirittura di veto, inconciliabile con la natura della funzione consultiva, secondo la sentenza n. 225 del 2009. Alla luce di tutto ciò, onorevoli colleghi, è evidente come non vi sia alcun ostacolo giuridico, sociale ed economico per non procedere all'esame della presente proposta di legge. Non mi resta dunque che auspicare, a nome del gruppo di Forza Italia, una rapida approvazione della presente proposta di legge nel rispetto della volontà dei cittadini che, oltre dieci anni orsono, si espressero democraticamente nel rispetto della Costituzione (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cecconi. Ne ha facoltà. Approfitto per salutare solo un momento i bambini dell'Istituto Comprensivo statale “Don Lorenzo Milani” di Potenza che sono venuti a seguire i nostri lavori (Applausi). Oggi siamo solo in discussione sulle linee generali e per questo la presenza è così rada: di solito siamo tutti presenti. Prego, onorevole Cecconi.

ANDREA CECCONI (MISTO-MAIE). Grazie Presidente, ringrazio anche la collega che mi ha preceduto per la disamina attenta di tutti i passaggi del provvedimento dalla passata legislatura ad oggi. Sono passati ormai dodici anni dal referendum che avvenne a Montecopiolo e Sassofeltrio per il passaggio dalle Marche all'Emilia-Romagna; sono passati molti anni. Va sottolineato che non sono gli unici comuni che stanno attendendo così tanti anni perché il Parlamento faccia una legge per il passaggio - ce ne sono tanti in Veneto, alcuni in Piemonte, alcuni in Lombardia - e Montecopiolo e Sassofeltrio si sono mossi a seguito del passaggio dell'Alta Valmarecchia che avvenne qualche anno fa. Ricordo anche che di queste leggi parlamentari ne sono state fatte attualmente, dalla nascita della nostra Repubblica, soltanto due: quella appunto dell'Alta Valmarecchia e quella di Sappada, che è stata fatta a conclusione della legislatura precedente. Ora è importante dare risposta ai cittadini, seppur in ritardo di dodici anni, e dopo la battuta d'arresto avvenuta nella XVII legislatura, dove già si era affrontato in parte l'argomento in Commissione e si era iniziato ad affrontarlo anche qui in Aula, dopodiché le speranze di questi cittadini si sono rese vane con l'inerzia del Parlamento, anzi di questa Camera nel non approvarlo e non trasmetterlo al Senato. Ora, dopo dodici anni, possono essere cambiate tante cose a livello di comune, anzi di piccoli comuni, perché stiamo parlando di due piccoli comuni.

Ciò che ovviamente non cambia è la localizzazione geografica dei due comuni, che sono ovviamente confinanti con l'Emilia-Romagna, ma quasi nella valle della Romagna, né cambia la storia di questi comuni, che storicamente facevano già parte della Romagna; non cambia neanche l'economia di questi comuni, dove i figli, i bambini, vanno a scuola in Emilia-Romagna, dove i cittadini usufruiscono del servizio sanitario romagnolo piuttosto che del servizio sanitario marchigiano, lavorano in Emilia-Romagna, parlano il romagnolo e hanno la tendenza culinaria propria della Romagna piuttosto che delle Marche e di Pesaro, da cui io provengo.

Detto questo, l'excursus storico l'ha svolto la collega prima di me, raccontando che c'è stata un'inerzia lunga da parte della regione Marche nel non dare un parere rispetto alla cessione dei suoi due comuni, cosa che ovviamente è anche comprensibile. La regione Emilia-Romagna ha deliberato immediatamente la sua annessione; la regione Marche ha tentennato a lungo, tanto da rendere vano anche questo procedimento amministrativo. I due sindaci del comune, sia di Montecopiolo, sia di Sassofeltrio, si sono anche recentemente espressi favorevolmente al passaggio.

Per concludere l'argomento vorrei comunque citare degli avvenimenti recenti, di cui sono stato partecipe rispetto al comune soprattutto di Sassofeltrio, anzi, penso che se non nella giornata di domani, entro la settimana verrà annunciata in aula una petizione raccolta appunto dai cittadini di Sassofeltrio proprio per chiedere a quest'Aula di non procedere all'approvazione della legge, quindi al passaggio e alla trasmissione al Senato; inoltre, vi è la deliberazione da parte del consiglio comunale di Sassofeltrio nel mese di febbraio, che ha bocciato la proposta della minoranza di proporre al Parlamento il blocco.

Io credo che noi il lavoro, dalla passata legislatura a questa legislatura, l'abbiamo svolto minuziosamente, ascoltando tutti i pareri, richiedendo pareri anche più volte alle regioni e ai comuni. Quindi, credo che noi dobbiamo deliberare al più presto affinché quest'Aula faccia il suo lavoro e lasciare poi il tempo al Senato affinché i cittadini possano, eventualmente, attraverso una petizione o con la nomina del nuovo sindaco di Montecopiolo, che è in scadenza, quindi nel mese di maggio seguirà una nuova elezione, chiedere ulteriormente il parere. Tuttavia, bloccarsi oggi rispetto a questo passaggio sarebbe uno sfregio nei confronti della democrazia diretta dei cittadini, ovvero della richiesta dei cittadini che, ben dodici anni fa, ci hanno chiesto di intervenire.

Io credo quindi che, senza indugiare ulteriormente, noi dobbiamo provvedere ad approvare, magari anche all'unanimità, il passaggio di questi due comuni dalla regione Marche all'Emilia-Romagna e passare lo “scettro” al Senato affinché svolga le dovute valutazioni anche l'altra Camera, provvedendo, se necessario, al dovuto passaggio (Applausi dei deputati del gruppo Misto-MAIE-Movimento Associativo Italiani all'Estero).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - A.C. 1171-A)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore, deputato Igor Giancarlo Iezzi.

IGOR GIANCARLO IEZZI, Relatore. Solo una un minuto, davvero velocissimo. Ovviamente, dodici anni sono tanti; ovviamente, all'approssimarsi della discussione in Commissione e soprattutto della discussione in Aula si è aperto anche un dibattito sui giornali locali, nella popolazione. Dopo dodici anni è possibile anche cambiare idea, ma io credo che lo strumento reale per verificare se c'è stato un cambio di idea non siano ovviamente le petizioni popolari, bensì, eventualmente, un ulteriore referendum. Stanti le cose adesso, quindi con due referendum che da dodici anni aspettano compimento, io credo che, davvero, questo Parlamento, che ha tutto il diritto di dire di no, abbia però il dovere di dire qualcosa. Dopo dodici anni, credo che il Parlamento abbia il dovere di dire qualcosa a questi cittadini che aspettano una risposta da troppo, troppo tempo.

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore il rappresentante del Governo. Non ritiene di farlo. Il seguito del dibattito è quindi rinviato ad altra seduta.

Discussione delle mozioni Aprea ed altri n. 1-00117 e Ascani ed altri n. 1-00136 concernenti iniziative per lo sviluppo della formazione tecnologica e digitale in ambito scolastico (ore 18,20).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Aprea ed altri n. 1-00117 e Ascani ed altri n. 1-00136 concernenti iniziative per lo sviluppo della formazione tecnologica e digitale in ambito scolastico (Vedi l'allegato A).

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (Vedi calendario).

Avverto che sono state presentate le mozioni Frassinetti ed altri n. 1-00137 e Melicchio, Belotti ed altri n. 1-00138, che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalle mozioni all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente. I relativi testi sono in distribuzione (Vedi l'allegato A). È iscritta a parlare la deputata Valentina Aprea, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00117. Ne ha facoltà.

(Discussione sulle linee generali)

VALENTINA APREA (FI). Presidente, sottosegretario Giuliano, colleghe e colleghi, la mozione che discutiamo affronta un tema urgente e non più procrastinabile, che attiene all'istruzione del terzo millennio e alle sue caratteristiche. L'urgenza è dettata dal fatto che, come testimoniano i rapporti economici nazionali ed internazionali, in particolare lo studio Ambrosetti nella persona di Valerio De Molli, stiamo vivendo nel periodo a più alto tasso di innovazione di tutta la storia dell'umanità; siamo nel mezzo di una rivoluzione tecnologica in cui l'innovazione e la scienza offrono opportunità mai viste prima. Questo è sicuramente il periodo più innovativo della storia dell'umanità; un'era che sarà ricordata come un punto di svolta per lo sviluppo di tecnologie che renderanno possibile l'impossibile: insomma, Presidente, qualcosa da far tremare le vene ai polsi. Tra due anni ci saranno più di 3 milioni di robot industriali nel mondo, il triplo di quelli che esistevano dieci anni fa; nell'era digitale le imprese riescono a raggiungere in tempi rapidissimi milioni di consumatori. A livello globale, la televisione ci ha impiegato 28 anni per raggiungere i 50 milioni di consumatori, i computer ci hanno impiegato la metà del tempo, i cellulari 12 anni, Internet 7, Facebook 3, WeChat un solo anno. Il cambiamento è in continua accelerazione e aumenta esponenzialmente ciò che non sappiamo di non sapere.

L'avanzamento tecnologico sta generando rilevanti trasformazioni anche sulla natura delle professioni, animando un intenso dibattito che ruota attorno ad alcune domande alle quali è difficile dare una risposta univoca, certa e predittiva. Quale sarà l'impatto della tecnologia sul mondo del lavoro? La tecnologia sta distruggendo o creando occupazione? Come cambierà il lavoro nei prossimi anni? Emergeranno nuove professionalità? La storia ci insegna che quando tecnologia ed innovazione aumentano la produttività, il mercato fa nascere nuovi bisogni e professionalità a maggiore valore aggiunto e di migliore qualità, liberando una gran parte di lavoratori da occupazioni faticose, ripetitive e rischiose.

È quindi indispensabile studiare accuratamente i profili che nell'imminente futuro saranno soggetti ad un processo di obsolescenza delle competenze, per mettere in azione attività di formazione o definire i settori a maggiore impatto e sviluppo, con l'obiettivo di creare nuove figure professionali e preparare le generazioni future - sottosegretario, come lei sa bene - ad adeguarsi ad un mercato del lavoro che non è destinato a sparire, ma a trasformarsi. Nell'analisi del rapporto uomo-macchina, piuttosto che di distruzione del lavoro si dovrebbe parlare infatti di trasformazione del lavoro.

Il nostro Paese deve saper cogliere appieno i benefici della quarta rivoluzione industriale, attuando iniziative sistematiche per lo sviluppo delle smart city, fornendo ai lavoratori le competenze digitali per le mansioni del futuro. Questo significa che un tema cruciale diventa la formazione delle nuove generazioni affinché siano preparate ad un mercato del lavoro diverso. Questo lo scenario: ma quanto tempo abbiamo, sottosegretario Giuliano, ancora per cambiare i nostri sistemi educativi e renderli più efficaci rispetto alla quarta rivoluzione industriale? Sembrerebbe davvero poco, se è vero che, come emerge dal The Future of Jobs Report 2018, che ha coinvolto gli strateghi esecutivi nonché i responsabili delle risorse umane di un campione di aziende riconducibili a 12 settori industriali, 20 economie che valgono il 70 per cento del PIL mondiale, 15 milioni di lavoratori impiegati, presentato al World Economic Forum del 2019, entro il 2022 le aziende 4.0 adotteranno tecnologia cloud, intelligenza artificiale, analisi big data, connessioni mobile ad alta velocità, realtà aumentata, impiego di droni, distribuzione online e, successivamente al 2022, anche robot umanoidi. Tutto ciò porterà, entro il 2022, a cessare di esistere 75 milioni di posti di lavoro, che potranno essere eseguiti da macchine, mentre allo stesso tempo altri 133 milioni verranno creati in ruoli più adatti alla divisione del lavoro tra umani, macchine ed algoritmi, con un aumento netto di 58 milioni di nuove opportunità lavorative.

E, ancora, in pochi anni ci sarà anche in Italia una crescente domanda di lavori in cui vi è un alto impiego di tecnologie: analisti di dati, sviluppatori di software e applicazioni, esperti di social ed e-commerce, esperti di automazione, ingegneri robotici e tanti nuovi ruoli in qualità di specialisti in intelligenza artificiale.

Ma quante e dove sono già le competenze, che è il tema centrale per lo sviluppo dell'intelligenza artificiale? Secondo un report pubblicato nel 2017 da Tencent, il colosso cinese dietro WeChat, nel mondo le persone con competenze in ambito dell'intelligenza artificiale sono tra le 200 mila e le 300 mila, a fronte di una richiesta di milioni, e diversi segnali fanno pensare che la maggior parte di loro siano in Cina, dove il Governo, in piena accelerazione, si appresta a introdurre l'insegnamento - l'insegnamento, colleghi! - dell'intelligenza artificiale anche nelle scuole superiori. Analizzando invece la distribuzione in Occidente, si osserva una vera e propria concentrazione: ci sono gruppi che lavorano sull'intelligenza artificiale e start up negli hub occidentali di San Francisco, New York e Londra, in Europa tengono il passo Parigi e Berlino, mentre Milano e Roma hanno soltanto pochissimi centri di ricerca: ci sono, ma sono molto pochi.

Avere un bacino ristretto significa scarsità di profili intermedi, middle management, che fanno da raccordo tra chi entra nel mondo del lavoro con nuove competenze e le esigenze delle imprese; una scarsità che rallenta la crescita dei giovani, rende più difficile il loro inserimento in azienda, rischia di frenare i possibili benefici dell'intelligenza artificiale per le aziende e i cittadini di un Paese, al punto, appunto, che molti Governi stanno pensando di annoverare tra le priorità strategiche dei loro programmi proprio le politiche scolastiche, le politiche attive per attrarre talenti in queste competenze e, comunque, sicuramente investire su queste competenze. Per non parlare poi dei rapporti OCSE, che ci richiamano al fattore di rischio che hanno i Paesi dell'OCSE.

In particolare, l'Italia è il Paese europeo con il più alto tasso di skill mismatch e presenta un indice di fattore di rischio superiore alla media.

Insomma, per colmare il gap di competenze determinato dall'adozione di nuove competenze, le aziende punteranno, tra le strategie future prevalenti, sull'assunzione di interi nuovi staff di lavoratori in possesso delle competenze per l'utilizzo delle nuove tecnologie. Questo lo dobbiamo sapere: cioè, giustamente, le imprese, per stare sul mercato, licenzieranno quelli che le competenze non ce l'hanno, ma ricercheranno comunque lavoratori con competenze per l'utilizzo delle nuove tecnologie.

Insomma, le trasformazioni della quarta rivoluzione industriale (intelligenza artificiale, robotica e biotecnologia), se governate da scelte pubbliche oltre che private, tempestive e innovative, possono favorire una nuova era del lavoro, migliorare, anziché sostituire, le condizioni e le opportunità del lavoro, migliorare i prodotti e il modo in cui un'azienda sta sul mercato, aggiungere valore per i clienti migliorando la qualità della vita.

Viceversa - e questo è il punto di criticità -, se ignorate, queste trasformazioni allargheranno le lacune di competenze, creeranno nuovi e maggiori disuguaglianza e polarizzazione. Si badi bene, non ci salverà essere europei o occidentali, perché il progresso non ha confini, e questa volta, questa parte di progresso non nasce dall'Europa, o perlomeno ci sono delle punte di eccellenze, ma non si sviluppano qui, nel nostro continente. Anche perché, per chi conosce il sistema scolastico italiano, sa che difficilmente - naturalmente se non cambia il sistema, sottosegretario - noi potremo favorire nei nostri giovani l'acquisizione delle dieci skills ritenute fondamentali. Quali sono ce l'ha indicato con precisione sempre questo rapporto The future of jobs report 2018, e, tra l'altro, saranno indispensabili già a partire dal 2020, cioè da domani, per gestire, coordinare e lavorare: rimandano a capacità di problem solving in situazioni complesse, pensiero critico, creatività, gestione delle persone, coordinarsi con gli altri, team working skills - ormai anche le operazioni non si fanno più solo tra medici ma tra medici, ingegneri, biomedici eccetera - intelligenza emotiva, capacità di giudizio, prendere decisioni, negoziazione, flessibilità.

Queste competenze dovranno essere affrontate, insegnate e soprattutto allenate nei percorsi di istruzione scolastica e accademica, per non avere degli analfabeti di ritorno, al termine degli studi superiori, e per non farne dei disoccupati da formare nuovamente con nuovi costi per la collettività.

Mi pare, Presidente, che non ce lo possiamo permettere di diplomare, licenziare dei nostri studenti secondo una misura, un parametro, che ci siamo dati e che risale al Novecento, al secolo scorso, e poi scoprire che questi ragazzi sono analfabeti di ritorno, hanno bisogno di nuovi corsi di formazione, di un nuovo investimento pubblico e, quindi, nuovi costi per la collettività.

Ma adesso c'è un allarme. Perché l'allarme? Perché stasera qui discutiamo questa mozione? Perché abbiamo voluto, come Forza Italia, chiedere al Parlamento, alla Camera dei deputati, di fermarsi a riflettere su questa questione?

La scuola italiana da quest'anno è frequentata da Centennials, la generazione che non ha conosciuto il mondo senza Internet. Quindi, se prima avevamo a che fare con i Millennials, e quindi il problema era più nelle scuole superiori, era più riferito a quei giovani che andavano ad affrontare il mondo del lavoro e il mercato del lavoro, che intanto cambiava, adesso il problema ce l'abbiamo in casa; anche se è un'opportunità, non è un problema, perché questa generazione non ha conosciuto il mondo senza Internet, quindi è naturalmente nativa digitale.

Gli alunni che frequentano il primo anno della scuola dell'infanzia concluderanno gli studi superiori nel 2034, quelli che frequentano la prima classe della scuola primaria nel 2031: non possiamo far finta di non vedere quanto anche a scuola questi bambini così piccoli, i Centennials, siano diversi anche dai loro fratelli maggiori, che erano Millennials, e quanto siano a loro agio nella navigazione in Internet, con tutti gli strumenti digitali, con le tecnologie che oggi sono a disposizione di tutti i cittadini.

Per cui, a noi decisori politici spetta avere visione, assumere scelte e soprattutto atteggiamenti diversi da quelli che solitamente si hanno di fronte alle tecnologie.

Allora, cosa dice Adams, scrittore di fantascienza, anche se qui il problema è che non stiamo più parlando di fantascienza? Ve lo voglio dire perché mi è sembrato particolarmente interessante. Dice Adams, scrittore di fantascienza: ho trovato una serie di regole che descrivono la nostra reazione alle tecnologie (e potremmo fare qui, anche subito, perché siamo in pochi, una verifica se reagiamo in questo modo); tutto ciò che è nel mondo quando sei nato è normale e ordinato ed è parte integrante di come il mondo funziona, cioè lo si accetta; tutto ciò che viene inventato tra quando hai quindici anni e trentacinque anni è nuovo, eccitante e rivoluzionario e, probabilmente, ci puoi costruire sopra la carriera; qualunque cosa inventata dopo i trentacinque anni è contro l'ordine naturale delle cose.

Purtroppo la scuola, che ha anche una classe docente che ha un'età molto superiore anche ai 35 anni, reagisce in questo modo. Non dappertutto, non in tutti i casi, però il digital divide che abbiamo adesso nelle scuole tra i docenti cinquantenni e i ragazzini Centennials è veramente esagerato, quindi ora non ce lo possiamo più permettere.

Soprattutto, la classe politica e le istituzioni di questo Paese non possono accettare che ci siano delle scelte personali come “mi piace, non mi piace, lo voglio fare, non lo voglio fare”, ma deve diventare un must per la scuola italiana quello di accettare, studiare e apprendere attraverso le tecnologie.

Ed ecco il coding, arriviamo al coding. Che cos'è il coding? È la programmazione informatica, che è diventata negli ultimi anni una nuova lingua che permette di dialogare con il computer per assegnargli compiti o comandi in modo semplice, che permette agli studenti, giocando a programmare, di imparare ad usare la logica, a risolvere i problemi e sviluppare il pensiero computazionale.

Cioè significa insegnare - e quindi apprendere - ad organizzare i dati elementari alla macchina robot e quindi organizzare dei dati elementari per la macchina, per avere risposte a problemi complessi. Quindi l'input, che non è una cosa che si apprende per magia, è un esercizio, è un allenamento di cui chi ha fatto le scuole come me, chi è andato alla scuola dell'infanzia e alla scuola primaria nel secolo scorso, 50 anni fa - mi sono regalata un po' di anni in meno - non aveva bisogno semplicemente perché non c'era questo linguaggio, non c'era questa necessità. Il coding, insomma, è una materia fondamentale per le nuove generazioni di studenti per alfabetizzarli ai linguaggi delle tecnologie, dominarle e rappresenta la quarta abilità di base della scuola, in continuità e non in contrapposizione con le abilità tradizionali del leggere, scrivere e far di conto. Quindi, non basta più leggere, scrivere e far di conto, ma ci vuole questa quarta abilità. Ad onor del vero, dal 2014 il MIUR ha avviato sperimentazioni nelle scuole dell'infanzia e primarie del nostro Paese. Oggi bisogna fare un salto di qualità; lasciare la sperimentazione e avviarci ad una generalizzazione dell'introduzione di queste modalità di studi e di apprendimento. La Gran Bretagna, la Finlandia, l'Estonia, altri Paesi europei hanno già inserito la materia del coding tra quelle obbligatorie a partire dalla scuola primaria, come pure nei Paesi più avanzati sul piano tecnologico ed economico: USA, Cina e India. Non vi parlo, poi, delle regioni più avanzate del mondo - ho avuto modo di vedere recentemente come si studia a Dubai, perché capite bene che lì gli apprendimenti sono tutti veicolati attraverso le tecnologie - ma segnalo che alcune regioni del mondo hanno già deciso “carta zero”.

Non dico che dobbiamo azzerare completamente questa modalità di apprendimento, ma neanche ignorare che esistono le modalità di apprendimento attraverso le tecnologie. L'UNESCO ha più volte cercato di attirare l'attenzione sulla necessità, peraltro, di favorire l'accesso delle bambine agli studi matematici e scientifici sin dai primi anni di scuola; quindi, anche questo è un altro problema, al fine del superamento degli stereotipi che le vogliono meno portate per gli studi scientifici e meno adatte allo studio di queste materie. Invece, voi sapete che proprio le STEM, Science, Technology, Engineering e Mathematics, sono ritenute i saperi fondamentali per essere cittadini del terzo millennio, a maggior ragione le bambine, le donne, quindi va sviluppata l'alfabetizzazione alle nuove tecnologie, anche e soprattutto delle bambine, affinché possano accedere alle professioni del nuovo millennio. Quindi, ciò significa che noi dobbiamo generalizzare questo apprendimento in tutte le scuole, perché non possiamo permetterci questa volta di favorire alcune aree del Paese piuttosto che alcuni tipi di scuola o continuare a citare le scuole e ad indicare, ad esempio, a modello le scuole più eccellenti: sottosegretario, lei ne ha governata una per molti anni al Nord, ma ce ne sono tante altre al Sud.

Non vale più l'idea di avere una scuola eccellente dove tutti andiamo in pellegrinaggio e in processione a vedere quanto sono bravi e quanta tecnologia usano. Adesso abbiamo bisogno di effettuare, come dicevo, la generalizzazione. Allora, che impegni ci sentiamo di chiedere al Governo? Noi abbiamo indicato una data, che è il 2022, perché il World Economic Forum ci ha detto che già da domani mattina nelle aziende succede quello che abbiamo detto. Noi abbiamo dato più tempo proprio perché ci riferiamo, in questo caso, ai bambini della scuola dell'infanzia e della scuola primaria, però attenzione, perché se già i centennials di oggi finiranno nel 2031 e nel 2034, figuriamoci quelli che cominceranno il loro percorso di studi fra due o tre anni: saremo in ritardo mostruoso su tutto quello che succederà intorno a noi, però, se intanto ci impegniamo da oggi, 2019, magari ce la facciamo, sottosegretario.

Quindi, obbligatorietà dello studio del coding: che cosa comporta questo? Innanzitutto considerare lo studio del coding e la dotazione nelle classi degli strumenti tecnologici a tal fine necessari come i nuovi aspetti degli ambienti per l'apprendimento in sostituzione degli arredi tradizionali, quali le lavagne di ardesia, la tradizionale organizzazione degli spazi con banchi e sedie non modulabili, a valutare, di conseguenza, la dotazione di arredi e nuovi spazi non più rigidi, la fornitura di strumenti hardware avanzati quale componente essenziale e obbligatoria dell'aula del terzo millennio. A impegnare a tal fine - questa è un'altra cosa secondo me molto possibile - quota delle risorse finanziarie attualmente destinate a interventi di edilizia scolastica al fine di avviare su tutto il territorio nazionale, in tutte le scuole dell'infanzia e primarie, dall'anno scolastico 2022/2023, lo studio obbligatorio del coding.

Perché dico che è possibile, sottosegretario? Perché in regione Lombardia lo abbiamo già sperimentato. Con fondi pubblici nel 2012 e con l'aiuto dell'Indire, del direttore Biondi, noi abbiamo fatto una misura che era per metà statale e per metà regionale, e abbiamo, noi di regione Lombardia, destinato fondi dell'edilizia scolastica al progetto di Generazione Web. Quindi, fondi statali e fondi regionali. Allora c'era il Ministro Profumo, che fu un grande promotore, devo dire, allora, di queste politiche, e la regione Lombardia investì dagli 80 ai 100 milioni di euro per favorire non solo, se volete, lo strumento tecnologico, ma l'ambiente di apprendimento, quindi i fondi dell'edilizia scolastica. Quindi, un concetto più ampio, che va certamente a insistere su come utilizzare lo strumento tecnologico nella classe, però prima ancora l'ambiente e poi, certamente, prevedere percorsi di formazione tecnologica, la tecnicalità.

Il digital divide non lo possiamo più colmare con i corsi di formazione generici dove studiano tutti, dove si invitano i professori universitari - per carità, non ho niente contro i professori universitari - ma dobbiamo aiutare gli insegnanti ad avere familiarità con le tecnicalità di queste forme di insegnamento e apprendimento, quindi serve una massiccia formazione tecnologica per il personale educativo e docente delle scuole dell'infanzia e primarie, al fine di sensibilizzarle alle nuove metodologie didattiche digitali, attraverso cui veicolare gli apprendimenti e raggiungere gli obiettivi delle indicazioni nazionali.

Tra l'altro, come il sottosegretario sa bene - quindi sfondo una porta aperta - ci sono le case produttrici di tecnologie al mondo - tutte, non ne scelgo nessuna, tutte - che da tempo si stanno focalizzando sui percorsi didattici, per cui realtà aumentata, realtà virtuale, possibilità di fare il coding attraverso i tablet e tutto quello che, ripeto, prima non c'era. Penso alle applicazioni didattiche. Già quando ho governato io in regione Lombardia, nel 2012, queste cose - se penso solo anche al 2012 - molte cose non c'erano: oggi ci sono tutte. Quindi far finta che non ci siano, che non ci sia la tecnologia nel campo della didattica, è un grave errore perché nel resto del mondo - e oggi il mondo si connette molto facilmente - tutto questo viene già utilizzato.

Quindi varrebbe la pena, sottosegretario, introdurre nel circuito mondiale della didattica anche delle scuole italiane, perché noi non è che possiamo essere sempre autoreferenziali: questi ragazzi saranno lavoratori nel mondo di domani, che non ha più i confini; li avremo per altre cose i confini, ma non certo per l'apprendimento o per il lavoro.

Infine, serve promuovere e favorire iniziative volte all'alfabetizzazione e allo sviluppo dell'apprendimento del coding nelle scuole secondarie di primo e secondo grado, come l'iniziativa “Programma il futuro”, che è attiva nelle scuole italiane dall'anno scolastico 2014/2015, che ha l'unico limite di essere un programma sperimentale: quindi ha funzionato dove è stato accolto dalle scuole, ma varrebbe la pena veramente implementarlo.

Quindi, tutto questo per dire, sottosegretario, che se noi in questi giorni lanciamo un messaggio univoco dalla Camera dei deputati di tutte le forze politiche sul fatto che è bene guardare anche a queste forme di metodologia didattica e che il Governo si impegna, da una parte, a sostenere un'edilizia scolastica più avanzata, quindi a mettere dei vincoli precisi quando vengono assegnati dei finanziamenti per l'edilizia, e anche a fare dei corsi di formazione, partendo dai docenti della scuola dell'infanzia e della scuola primaria, penso che facciamo una cosa buona e, soprattutto, possiamo contare sull'effetto contagio, che è quello che ho sperimentato in regione Lombardia ma che mi piacerebbe fosse l'effetto di tutta l'Italia (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Ascani, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00136. Ne ha facoltà.

ANNA ASCANI (PD). Grazie Presidente, oggi discutiamo in quest'Aula delle mozioni che fanno finalmente tornare all'ordine del giorno un tema che nella scorsa legislatura avevamo affrontato in modo organico forse per la prima volta, cioè il tema del digitale nella scuola, della “cittadinanza digitale”, di come far sì che tutto quello che esiste nella quotidianità, al di fuori degli ambienti di apprendimento, entri a far parte di quell'apprendimento e possa in qualche modo arricchire la vita degli studenti, degli insegnanti e di tutti coloro che vivono attorno al sistema scuola italiano.

Ci siamo detti più volte, da più parti - poi diciamo che c'è chi nei fatti è riuscito ad essere conseguente e chi invece, una volta trovatosi a scrivere la legge di bilancio ha un po' cambiato prospettiva - che la risposta ha tempi complessi, come quelli che stiamo vivendo, tempi nei quali - lo diceva prima la collega Aprea - trovare lavoro si fa più difficile, anche perché il lavoro cambia e le competenze richieste sono sempre più complesse, ci siamo detti che è importante investire in educazione, che l'unica strada attraverso la quale il nostro Paese può sopravvivere alla competizione globale con Paesi che sono demograficamente immensamente più sviluppati del nostro e che, in prospettiva, lo saranno ancora di più non è investire sulla quantità, ma sulla qualità, investire appunto sulle competenze, investire sull'educazione.

Con questo spirito, all'interno della legge n. 107 del 2015, aveva trovato spazio il Piano nazionale Scuola digitale; il sottosegretario Giuliano lo sa bene - allora aveva un altro incarico e seguì lo sviluppo di questo Piano da un altro punto di vista - e sa bene che questo Piano comprende 35 azioni, che si suddividono in tre azioni fondamentali. L'investimento, prima di tutto, in formazione: non avremo mai una scuola nella quale si fa il coding, si insegna la programmazione, si insegna il nuovo linguaggio del pensiero computazionale, se non aiutiamo gli insegnanti ad essere i primi attori di questo processo. Per questo, noi abbiamo voluto introdurre 8.000 animatori digitali, così che ce ne fossero in tutte le scuole italiane, in grado di fare in qualche modo da punti di riferimento della comunità scolastica e poi abbiamo voluto inserire nella formazione, in un anno e mezzo di realizzazione, 140 mila persone, di cui 85 mila insegnanti.

Questo è l'investimento più importante di quel Piano nazionale Scuola digitale, un Piano sul quale il Governo precedente ha investito un miliardo e mezzo di euro e che oggi avrebbe bisogno non dico di altrettanti fondi, ma quasi, per essere ulteriormente implementato. Perché? Perché non c'è solo la formazione degli insegnanti, ma c'è anche il tema enorme delle infrastrutture. Infrastrutture significa ambiente ed apprendimento, ma significa anche investimento in edilizia scolastica e in questo ci sono molti passi in avanti da fare, perché purtroppo le strutture delle nostre scuole, anche quando si ha la buona volontà dei dirigenti scolastici, degli insegnanti, della comunità educativa tutta, di aprirsi alle nuove modalità dell'apprendimento e dell'insegnamento, purtroppo sono strutture che non sempre consentono di aprirsi ai nuovi linguaggi dell'insegnamento e quindi abbiamo bisogno di un investimento molto corposo in edilizia, investimento che ad oggi purtroppo non è ancora stato sbloccato. Questo è un tema che non ci riguarda direttamente all'interno di questa mozione, ma sono troppi i comuni che attendono di vedersi sbloccati i fondi che si erano faticosamente conquistati attraverso i mutui BEI, attraverso dei procedimenti di finanziamento anche piuttosto complessi e che oggi non si vedono arrivare quei fondi.

Infine, i contenuti: formazione, infrastrutture, contenuti, questa era la terza direttrice del Piano nazionale Scuola digitale, quella sicuramente più complessa, quella sulla quale l'investimento è ancora tutto da fare, perché bisognerà cominciare a chiedersi quanti di questi contenuti devono essere autoprodotti dalle scuole, come si fa a mettere in rete quei contenuti che le scuole producono, come si fa ad arricchirsi vicendevolmente con quello che accade nelle scuole italiane. Molte scuole si stanno organizzando, lo stanno facendo anche grazie a quel maggior grado di autonomia che gli è stato dato attraverso la legge n. 107 del 2015, però in questo il Ministero si deve sicuramente assumere una responsabilità in più, anche perché, nonostante i passi in avanti, nonostante oggi si possa dire che il 77 per cento delle scuole italiane ha fatto iniziative di coding - di queste però alcune scuole hanno fatto magari un'ora di coding, non le sessanta che si considerano essere una quantità accettabile per poter parlare di apprendimento effettivo del linguaggio computazionale - nonostante l'80 per cento della scuola abbia degli ambienti digitali, nonostante le connessioni siano arrivate quasi ovunque - anche se ancora c'è un tema di gap e anche questo aspetto è importantissimo soprattutto nelle aree meno sviluppate del Paese - c'è però una resistenza di fondo, cioè l'idea che in fondo a scuola il digitale non debba entrare, che in fondo la scuola debba rimanere legata ad una modalità di apprendimento e di insegnamento che appartiene al secolo scorso e che purtroppo è completamente slegata invece dalla contemporaneità, dalla vita nella quale i nostri ragazzi si muovono e a maggior ragione si muoveranno nell'età adulta. Questo perché tutte le statistiche ci dicono che nei prossimi cinque anni il 60 per cento dei lavori cambierà radicalmente e questo cambiamento includerà alcune competenze che sono strettamente legate alla programmazione, al coding, ai nuovi linguaggi del pensiero computazionale.

L'Europa si è fatta carico di queste esigenze, introducendo un'iniziativa secondo me particolarmente lodevole, che ha coinvolto per il 45 per cento scuole italiane - quindi le scuole italiane hanno risposto – che è la settimana europea del coding: si terrà anche quest'anno ad Ottobre e speriamo che ancora di più le scuole italiane siano coinvolte e vogliono anzi proporre delle loro iniziative per far sì che questa settimana funzioni. L'Europa sta dicendo sempre di più che tutte le scuole d'Europa devono in qualche modo includere nei loro programmi più che l'ora di coding, perché il coding non è una disciplina, ma è un linguaggio trasversale, attraverso il quale si insegnano le singole discipline, tanto che - ci dicono gli esperti - non è neanche necessario avere le tecnologie, si può fare ad esempio con i mattoncini Lego il coding, il pensiero computazionale, però deve poter esserci in tutte le scuole italiane almeno un elemento col quale si insegna questo tipo di linguaggio, proprio perché il lavoro sta cambiando, perché il mondo esterno sta cambiando.

Allora, l'Europa ci sta invitando a fare questo e noi in questo potremmo essere più avanti degli altri perché appunto il coding non è l'informatica - e qui forse facciamo spesso anche noi confusione nel raccontarci il processo di sviluppo digitale della scuola come se si dovessero aumentare le ore di informatica -, ma è l'apprendimento di un nuovo linguaggio e quindi del pensiero computazionale. Il coding è legato al cosiddetto problem solving, cioè alla capacità di risoluzione dei problemi attraverso l'utilizzo della logica.

Sembra incredibile ma, mentre l'Italia scende nelle classifiche OCSE purtroppo per le competenze di base di matematica e di italiano, resta stabile, se non addirittura sale, per quello che riguarda il problem solving, cioè i nostri ragazzi, forse anche perché abituati a vivere in un Paese piuttosto complesso dal punto di vista delle strutture burocratiche, sembrano più portati dei loro coetanei del resto d'Europa all'apprendimento del problem solving. Quindi, se la scuola italiana facesse un investimento serio sul coding, portando le scuole di ogni ordine e grado ad avere quelle famose 60 ore, questo potrebbe significare per i nostri ragazzi avere una marcia in più rispetto ai loro coetanei del resto d'Europa e quindi poter competere su quella percentuale enorme di lavori che stanno cambiando e che cambieranno, avendo addirittura più possibilità degli altri, cosa che, rispetto a tutto quello che abbiamo intorno in questo momento, sarebbe assolutamente auspicabile, sorprendente e ci darebbe un vantaggio competitivo che fino a qui non abbiamo certamente avuto. Non solo questo era il Piano nazionale Scuola digitale e non solo questo è il coding, perché acquisire competenze che riguardano il pensiero computazionale significa anche poter sciogliere gli algoritmi che governano la contemporaneità - la mia collega parlava prima di robot, di intelligenza artificiale - significa quindi poter essere a 360 gradi cittadini digitali. Parleremo a breve nella nostra Commissione di educazione civica ed io spero che, nel discutere di educazione civica, si voglia discutere anche di educazione civica digitale, cioè si voglia cominciare a porsi il problema di quella che gli studiosi chiamano “algorithmic accountability”, cioè di come noi governiamo gli algoritmi che ci governano, di quanto noi ci chiediamo chi è responsabile per quegli algoritmi che decidono la lista con la quale le nostre ricerche appaiono sul web, che decidono molte delle cose che ci circondano, che probabilmente decideranno le liste d'attesa negli ospedali e molte altre cose in futuro, perché si va in quella direzione. A maggior ragione, c'è bisogno di cittadini digitali, che siano in grado di sciogliere quegli algoritmi, di comprenderli e soprattutto di capire chi è responsabile per quella automazione, chi è responsabile per quegli algoritmi; accountability significa questo: rendere conto.

Se noi ci adattiamo ad una democrazia tutta fondata sugli algoritmi con l'illusione che la tecnica possa essere esonerata dalla responsabilità e dalla rendicontazione, ci arrendiamo ad una società meno democratica, con cittadini che hanno meno possibilità di incidere sul proprio futuro, sul proprio presente, sulla democrazia del loro Paese.

Allora, è particolarmente importante rendersi conto che insegnare il pensiero computazionale è, in qualche modo, fare educazione civica nelle nostre scuole; per quanto strano possa sembrare è l'apprendimento di un linguaggio che fa parte dell'essere cittadini.

Quindi, a maggior ragione, l'impegno che noi chiediamo al Governo con la nostra mozione è proprio questo: investire economicamente, naturalmente, ma anche dal punto di vista culturale sul coding, rendendoci conto che non c'è nessun percorso di accesso alla cittadinanza oggi che non passi anche per il digitale.

Dico un'ultima cosa che ci riguarda: noi abbiamo a che fare con i Centennials, che sono nativi digitali. Abbiamo a lungo parlato, anche in quest'Aula, delle caratteristiche dei nativi digitali e spesso ci impressioniamo perché i bambini del nostro tempo sono particolarmente bravi nell'utilizzo degli strumenti che hanno a che fare con le nuove tecnologie. Ci impressioniamo quando un bambino piccolo è in grado di cercarsi da solo un video sul web e, quindi, ci facciamo l'idea che questi bambini abbiano innate delle competenze digitali, cioè che siano, di per sé, perché sono nati in questo mondo, capaci di orientarsi in quel mondo digitale. E non ci poniamo il problema, invece, del fatto che quella complessità in cui sono immersi interroga, molto di più di quanto noi pensiamo, il loro essere cittadini.

Quindi, non dobbiamo illuderci del fatto che, essendo nativi digitali, abbiano innate le competenze di cittadinanza che hanno a che fare col muoversi nel web, ma anzi dobbiamo sentirci doppiamente responsabilizzati verso questa generazione e dobbiamo, soprattutto, abbattere quel muro, che per noi ancora esiste, tra ciò che è reale e ciò che è virtuale. Infatti, per i ragazzi di questa generazione il reale è un'unica cosa che comprende anche il virtuale, che comprende tutto ciò che è digitale e, quindi, a maggior ragione, il loro linguaggio nel futuro sarà sempre di più il linguaggio computazionale. Sempre di più avranno a che fare, nella vita quotidiana, nelle azioni quotidiane, nelle piccole, grandi cose della vita, con il coding, con la programmazione e, più che con il saper programmare, con il sapere cosa sta dietro quella programmazione.

Se vuoi essere un cittadino consapevole devi sapere quali sono i meccanismi che ti governano e il posto che deve aiutarti a comprendere il mondo che ti circonda - da che mondo è mondo - è la scuola. Abbiamo una responsabilità storica importantissima: questa mozione sia il primo passo per un percorso condiviso all'interno di questo Parlamento in cui, quota parte, ciascuno si prende una responsabilità nei confronti dei cittadini di oggi e di domani, perché la cittadinanza sia reale, consapevole e responsabile. Questo è il passaggio storico che abbiamo di fronte: non sottovalutiamolo perché riprenderlo tra dieci anni potrebbe davvero essere troppo tardi (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico e di deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Bucalo, che illustrerà la mozione Frassinetti ed altri n. 1-00137, di cui è cofirmataria.

CARMELA BUCALO (FDI). Grazie, Presidente, sottosegretario Giuliano, colleghi. Oggi con la presente mozione, di cui sono anche una delle promotrici, come Fratelli d'Italia, puntiamo a difendere, valorizzare e, quindi, a migliorare il sistema scolastico, che - ricordo a me stessa e anche a tutti i colleghi presenti - rappresenta l'identità e l'unità culturale della nazione. Una scuola che non può e non deve rimanere ancorata a vecchie tradizioni strutturali, ma che si evolve, allineandosi ad un apprendimento moderno e più dinamico.

Essere al passo con i tempi significa riuscire a ridurre nel periodo possibile parte del divario che esiste con nazioni quali la Svezia, la Finlandia, la Danimarca, che attualmente rappresentano le eccellenze in ambito di sistemi innovativi di istruzione.

Rispondiamo già da oggi alle sfide di domani, poiché è nostro compito, ma è anche un nostro dovere indirizzare scelte e decisioni per una più concreta crescita didattica. Siamo nell'era dell'Industria 4.0, figlia della quarta rivoluzione industriale, sopraggiunta dopo la rivoluzione informatica, partita negli ultimi decenni del Novecento ed è ancora in piena evoluzione.

Parlo dell'integrazione delle nuove tecnologie nei diversi processi produttivi, un cambiamento già in stadio avanzato, con continui stravolgimenti in tutti gli ambiti della vita quotidiana che, di fatto, stanno radicalmente modificando il lavoro dell'uomo. La tecnologia odierna è in grado di fare cose che fino a poco tempo fa sembravano impensabili in molti settori e, secondo le stime OCSE, l'avvento della robotica e dell'intelligenza artificiale stanno determinando mutamenti strutturali che interessano ogni categoria, mutamenti riguardo soprattutto il lavoro; operai specializzati, responsabili di area, dai tecnici e magazzinieri dalle commesse dai negozi e ai manager d'azienda; quindi, non è difficile ipotizzare una vera e propria sostituzione di questi ruoli occupazionali. E tutto ciò cosa fa? Alimenta la preoccupazione che si possa veramente creare quella che era la disoccupazione tecnologica profetizzata già dall'inizio del Novecento da Keynes; ovviamente, il mercato del lavoro, però, non è un soggetto statico e le nuove tecnologie o, più precisamente l'automazione, non riusciranno mai a sostituire del tutto l'uomo, creando oggi i presupposti adatti, cioè sfruttando a dovere l'avvento dell'Industria 4.0, si potranno quindi trarre, invece, enormi benefici; in concreto, sto parlando delle nuove attività e, di conseguenza, dei nuovi posti di lavoro, in alcuni casi che possono essere superiori anche a quelli che il mercato sta proponendo oggi. È naturale, quindi, che le aziende, negli anni a venire, saranno costrette ad assumere personale in possesso di competenze tecniche e qualificate per gestire i nuovi sistemi; persone capaci di costruire e programmare robot, e in grado di predisporre sempre nuovi hardware e software per i più svariati impieghi.

Dunque, non è utopistico prevedere che la carenza di lavoro si avrà solo con una insufficienza di competenze. Di fronte a tutto questo, è logico che cambierà anche il sistema di reclutamento, basato quindi su nuove competenze sempre più specifiche, sempre più aggiornate; risolvere problemi in contesti complessi nel minor tempo possibile sarà esigenza primaria, ma attenzione, perché potrebbe anche crearsi un disequilibrio tra domanda e offerta di lavoro, ma soprattutto questo disequilibrio non è dal punto di vista quantitativo, ma sarà solo qualitativo, cioè una sostanziale differenza tra le competenze richieste dalle imprese e quelle che, invece, saranno offerte dai lavoratori.

Alla luce di tutto ciò e secondo autorevoli studi di effettuati, l'Italia è digitalmente in forte ritardo rispetto al resto degli altri Paesi industrializzati e solamente il 30 per cento delle imprese dispone di personale con le competenze adeguate, e nella maggior parte dei casi la formazione è stata fatta in azienda. Per il nostro Paese, quindi, è necessario avviare subito un percorso di digitalizzazione in grado di abbattere questo gap; è, dunque, quanto mai necessario, ritengo, ed urgente; e per guidare questo mutamento, sia generazionale e sia soprattutto occupazionale, e, quindi, adeguare o, meglio ancora, formare i nuovi lavoratori di domani, la scuola rappresenta veramente il vero motore e, nello specifico, deve essere altamente specializzata fin dalla base. Quindi, istruzione e formazione avranno un ruolo chiave e insostituibile in quella che è la crescita dei cittadini del domani, e per fare ciò nel migliore dei modi si dovranno adeguare i percorsi didattici, sviluppare l'alfabetizzazione alle nuove tecnologie. L'obiettivo è quello di riuscire a raggiungere un elevato grado di conoscenza, capace di consentire ai nostri giovani di saper affrontare vivere in un mondo basato su tecnologie sofisticate e intelligenze artificiali.

Uno dei modi per arrivare preparati e quindi affrontare le problematiche è quello di iniziare a insegnare ai bambini, così come ai ragazzi, a gestire i nuovi meccanismi attraverso l'apprendimento della programmazione informatica e solo in questo modo riusciremo a scongiurare che alla fine del percorso scolastico gli studenti si trovino veramente in grossa difficoltà nell'inserimento in un mondo che è totalmente cambiato. Sarà, dunque, indispensabile per la scuola mettersi al passo con i tempi, accettare, affrontare e vincere questa che è veramente una sfida affascinante del nuovo millennio.

La mondializzazione degli scambi, la globalizzazione delle tecnologie e l'avvento, cioè, di una società altamente informatizzata richiede anche uno sforzo di adattamento di quelli che sono i sistemi dell'istruzione e, quindi, in primis di chi? Proprio gli insegnanti e tutti gli operatori della formazione in generale. Saranno, dunque, indispensabili nuovi modi di insegnamento, la sostituzione, soprattutto, di quello che è il rapporto passivo insegnante-allievo ma, soprattutto, un moderno e più confidenziale approccio dell'allievo con il mondo interattivo. Questa è la vera innovazione e da qui la necessità di puntare su nuovi metodi di insegnamento che permettano di sviluppare quello che è il pensiero computazionale come il coding, che consente di imparare la base della programmazione informatica, insegnare a dialogare con i computer, a impartire alle macchine comandi in modo semplice e intuitivo. Il coding agevola l'uso dei mezzi informatici, consente agli studenti di interagire in modo semplice e immediato, ad allenare la mente usando la logica e a risolvere problemi concettuali attraverso i mezzi digitali. Un insegnamento che si avvalga delle nuove tecnologie potrebbe anche diventare una seconda possibilità soprattutto per i ragazzi che non hanno avuto successo con il sistema scolastico classico e anche favorire lo sviluppo e l'abilità di tutti i ragazzi e di tutte le persone svantaggiate.

La scuola italiana, quindi, da subito - e partendo dalle primarie - deve incrementare la sperimentazione in modo d'allinearsi alle altre nazioni europee, dove la programmazione informatica è già stata inserita tra le materie obbligatorie. Così facendo oltre alle abilità tradizionali, quindi leggere, scrivere e contare, nell'insegnamento moderno andremo ad aggiungerne una quarta: la programmazione informatica. Chiaro. Anche se non ce n'è bisogno il coding incentiva le competenze scientifiche ma non riduce il pensiero umano, creativo e fantasioso. Infatti, l'elemento di continuità tra la scuola prima dell'era digitale e quella contemporanea resta e deve restare comunque quella ancorata a una base di cultura letteraria e filosofica. Infatti, in alcun modo bisogna intaccare o ridurre l'importanza che hanno nella nostra tradizione scolastica le materie umanistiche, che sono e restano i pilastri su cui si basa cultura e identità.

Infine, un aspetto non secondario legato all'inserimento del coding è la capacità di elevare o rafforzare le interconnessioni fra la scuola e l'impresa, permettere di rafforzare e rinnovare la formazione professionale iniziale e continua. Ribadiamo: l'obiettivo è di mettere gli studenti, senza distinzione alcuna, in grado di affrontare gli attuali cambiamenti tecnologici trasformandosi da consumatori passivi di tecnologie e servizi ad attori attivamente partecipi del loro sviluppo. Così come è avvenuto per la rivoluzione industriale, anche questa è destinata a diventare l'ennesima tappa dell'evoluzione umana. Riteniamo, pertanto, necessario e urgente porre la tematica al centro del dibattito politico affinché il sistema dell'istruzione nel suo complesso si prepari ad affrontare l'importante sfida in modo strutturale e adeguato.

Ecco perché, sottosegretario, si chiede: di introdurre entro il 2020/21 l'obbligatorietà dello studio della programmazione informatica nelle scuole primarie e superiori di primo e secondo grado, ma nel rispetto dell'autonomia organizzativa e didattica di ciascuna istituzione scolastica; a prevedere obbligatoriamente percorsi formativi all'interno dell'alternanza scuola-lavoro anche attraverso la collaborazione con università, associazioni, organismi del terzo settore e imprese, con l'obiettivo finale di trasmettere agli studenti il pensiero computazionale e la logica della programmazione, indispensabili per qualunque professionalità vorranno essi esercitare, dando così vita a quello che è un circolo virtuoso in grado di contribuire, in modo significativo, alla creazione della cosiddetta “cittadinanza digitale”; infine, a incrementare la formazione obbligatoria dei docenti sull'innovazione didattica e lo sviluppo della cultura digitale per l'insegnamento, l'apprendimento e la formazione delle competenze lavorative, così come previsto dal PSND (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Azzolina. Ne ha facoltà.

LUCIA AZZOLINA (M5S). Grazie, Presidente. Sottosegretario, onorevoli colleghi e colleghe, “non essere solo un consumatore di tecnologia, ma crea tu stesso la tecnologia: utilizza un'ora del tuo tempo per apprendere una nozione in più, perché la tecnologia riguarda ogni ambito della nostra vita, è il modo migliore per sviluppare competenze che ti torneranno utili per il tuo futuro ed è anche il modo migliore per costruire il futuro del nostro Paese. Siamo sempre stati un popolo di inventori e pertanto, che tu sia un ragazzo che mette mano per la prima volta a un computer o una ragazza che invece sta lavorando sodo alla prossima invenzione dirompente, contiamo su di te e su tutti i giovani per mantenere il Paese sempre all'avanguardia”.

Queste sono le parole con cui il Presidente Obama ha lanciato, nel 2014, la settimana di educazione all'informatica negli Stati Uniti. Ebbene, Presidente, io credo che i tempi siano maturi affinché queste parole possano essere rivolte anche ai nostri ragazzi, affinché questo Governo possa dunque avviare un processo strutturato di scolarizzazione del linguaggio di programmazione digitale dopo i primi passi mossi nel 2014 con il progetto “Programma il Futuro”. Ed è il motivo per cui oggi ci troviamo in quest'Aula a discutere una serie di mozioni sul coding. Lo facciamo focalizzando l'attenzione sul mondo scolastico proprio perché, come sostenuto da Obama, sono i ragazzi di oggi i futuri cittadini del mondo digitale che si troveranno a vivere e a intervenire in una realtà sempre più complessa e ricca di sfide non sempre facili.

Il pensiero computazionale è, innanzitutto, una lingua e come ogni lingua serve a comunicare. Potremmo definirlo linguaggio universale che parla ai nostri tempi, tempi complessi e affascinanti, di possibilità sconfinate ma anche di rischiose derive, come avviene sempre più spesso con i tristemente noti episodi di cyberbullismo. Cyberbullismo, cioè molestie verbali realizzate mediante strumenti elettronici: sms, foto, video, chat, mail, da soggetti anonimi che, celandosi dietro la tecnologia e credendosi erroneamente invisibili, possono comunicare in modo aggressivo 24 ore su 24. Sono tempi in cui ce ne rendiamo conto facilmente: la libertà illimitata ha sempre più bisogno di consapevolezza, di maturità, di padronanza e degli anticorpi della conoscenza; tempi in cui gli oggetti inanimati hanno preso a parlare con noi e, soprattutto, a comprendere quel che noi diciamo loro. Ecco, dunque, il motivo per cui l'informatica viene giustamente trattata come una lingua vera e propria e che, come tale, possiede i suoi idiomi, le sue regole e i suoi meccanismi che poi si traducono nei programmi che ogni giorno affollano i nostri schermi computerizzati e che, appunto, consentono ai nostri dispositivi di interagire con noi, di dialogare costantemente con noi.

Ma il ragionamento computazionale è anche e soprattutto, come dice il termine stesso, una forma di pensiero: è l'applicazione del linguaggio informatico alla sfera pratica, l'astrazione che diventa codice per districarsi nella vita reale, per produrre effetti tangibili e concreti sulle nostre vite. Mai come in campo informatico la commistione tra teoria e pratica è in grado di manifestare visivamente i suoi effetti catturando così l'attenzione dei ragazzi e stimolandoli attraverso la concretizzazione dinamica delle teorie in fatti visibili.

In tutto questo il coding è - potremmo dire - la palestra in cui allenare il proprio pensiero computazionale. Un processo logico creativo che consenta di scomporre un problema complesso in tante parti diverse per poi affrontarlo più semplicemente, un pezzetto alla volta, così da giungere alla soluzione del problema generale.

È una delle regole del metodo cartesiano, dell'opera Discorso sul metodo di Descartes, uno dei più grandi filosofi e matematici del 1600, precipuamente quello dell'analisi, cioè la scomposizione di un fatto complesso nei suoi elementi semplici al fine poi di fare sintesi, risolvendo il problema. Con il coding, quindi, anche i bambini possono riuscire a risolvere i problemi degli adulti e diventare essi stessi soggetti attivi della tecnologia, creando un piccolo videogioco o delle storie in pochissimo tempo, sviluppando, insomma, un vero e proprio codice di programmazione. Ecco perché è così importante la sua presenza tra le mura scolastiche. Io stessa ne apprezzai molto l'efficacia fin da quando, all'università, al corso di filosofia della scienza, ebbi modo di studiare dei testi sullo sviluppo del pensiero computazionale, gli algoritmi per esempio, e rimasi affascinata dalla potenza di quelle teorie e dall'impatto dirompente che avrebbero potuto avere sugli studenti. E proprio per predisporre le menti dei nostri ragazzi a ragionare in termini computazionali sono state lanciate in tutto il mondo iniziative finalizzate ad avvicinarli alla programmazione e stimolare il loro pensiero creativo: ecco che la creatività si intreccia dunque alle sequenze logiche, nel binomio inscindibile di teoria e pratica che, come detto, molto può offrire in termini di stimolo e di spinta alle nuove generazioni di studenti. Esattamente per questi motivi, vista la carenza, sempre più preoccupante, di laureati in discipline scientifiche, il potenziamento dei percorsi di coding nelle scuole potrebbe rendere più accattivante l'approccio alla dimensione dei numeri e delle scienze. Secondo i dati OCSE, infatti, solo il 25 per cento dei laureati italiani ha conseguito una laurea nell'ambito STEM (scienze, tecnologia, ingegneria e matematica), mentre la richiesta da parte delle imprese di tali competenze è molto alta. Come emerge da una ricerca del Sistema Excelsior, per un laureato su tre, in Italia, c'è un forte distacco tra domanda e offerta. Il coding nelle istituzioni scolastiche potrebbe ridurre questo disallineamento. Dunque, siamo di fronte alla creazione di una nuova sintassi, di un nuovo rapporto dinamico tra pensiero logico e creativo che formi il linguaggio che parliamo con sempre più frequenza e funga da agente attivo dei grandi cambiamenti sociali, economici e comportamentali, traducendosi in competenze di cittadinanza digitale, essenziali per essere utenti consapevoli delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione ed esercitare appieno i propri diritti di cittadinanza.

A fronte di tutto questo, cosa sta facendo il nostro Paese per promuovere il coding nelle scuole? Dal 2014, come detto, abbiamo il progetto Programma futuro che nell'ultimo anno ha coinvolto 131 mila classi e oltre 2 milioni di studenti. Questo progetto è stato poi seguito nel 2015 dall'assegnazione dell'incarico relativo al coordinamento di Europe code week. L'Italia ha chiuso il 2018 con più di 20 mila eventi di coding nella mappa di code week, più di quelli organizzati in tutto il resto d'Europa. Al 15 gennaio 2019, Programma futuro ha visto registrati 51.744 iscritti, tra cui 35 mila insegnanti di scuola statale e 10 mila studenti di età maggiore ai 14 anni. Chiaramente questi sono numeri e devono essere migliorati.

A questo scopo il MoVimento 5 Stelle ha depositato una mozione che si pone una serie di obiettivi. Abbiamo detto che il pensiero computazionale è assimilabile al linguaggio: ebbene, per ottenere una assimilazione efficace dei suoi codici e delle sue strutture, esattamente come avviene per le lingue del mondo, occorre iniziare fin dai piccoli. Il MoVimento 5 Stelle chiede, dunque, al Governo di impegnarsi ad attivare percorsi di sostegno e formazione per il personale educativo e docente delle scuole dell'infanzia e primaria al fine di integrare nei moduli didattici delle scuole dell'infanzia e nelle scuole primarie il pensiero computazionale, la creatività digitale, il coding, la cittadinanza digitale. Si chiede poi di promuovere gli elementi fondamentali per rafforzare la capacità di analisi e risoluzione dei problemi e l'utilizzo dei metodi e degli strumenti del pensiero computazionale sia attraverso tecnologie digitali sia attraverso attività di unplugged per stimolare un'interazione creativa tra digitale e manuale anche attraverso esperienze di making, robotica educativa e Internet delle cose. Ma ci si concentra anche sull'incentivazione di percorsi di consapevolezza delle norme sociali e giuridiche in termini di diritti della rete: educazione all'uso positivo e consapevole dei media e della rete anche per il contrasto all'utilizzo di linguaggi violenti, alla diffusione del cyberbullismo, alle discriminazioni.

Il MoVimento 5 Stelle crede fermamente che gli ambienti di apprendimento vadano migliorati e che occorra una sensibilizzazione alle nuove metodologie didattiche e digitali. Fin dal suo ingresso in Parlamento l'attenzione alla digitalizzazione nelle scuole è stata altissima. Ricordo, in questa sede, come uno dei primi emendamenti firmati dal MoVimento 5 Stelle e approvati nella scorsa legislatura abbia proprio previsto l'introduzione nelle scuole di una biblioteca virtuale nazionale di testi multimediali di e-book da usare gratuitamente come libri di testo digitali. Tuttavia, restiamo altrettanto convinti, Presidente, che a questo passaggio vadano associati ambienti di apprendimento degni di questo nome, in cui consentire lo svolgimento di una didattica cooperativa il più possibile personalizzata e capace di offrire presenza, attenzione e ascolto alle esigenze di ogni singolo studente portatore dei suoi bisogni e delle sue peculiarità. E dunque se, da un lato, occorre sicuramente investire nel potenziamento della preparazione digitale dei nostri ragazzi, dall'altro, ciò non può prescindere dalla riduzione del numero degli alunni per classi. Nelle classi sovraffollate, cosiddette “pollaio”, Presidente, possiamo anche introdurre le migliori tecniche di studio e i migliori strumenti di apprendimento ma se poi a svolgerle devono essere contemporaneamente trenta-trentacinque ragazzi, con un solo docente a disposizione si capisce bene come si tratti di un'occasione sprecata e di uno specchietto per le allodole.

Respingiamo, dunque, la logica secondo cui la scuola possa crescere anche a prescindere dalla lotta al sovraffollamento negli ambienti scolastici, ma invitiamo quest'Aula a lavorare unita nella stessa direzione: avere studenti stimolati, appassionati, ma anche ben seguiti e accompagnati con la dovuta attenzione nel percorso di studio. Ricordo che nel nostro Paese esiste una maglia nera, anzi nerissima, che ha un nome specifico: dispersione scolastica. In vent'anni, abbiamo perso tre milioni di studenti: tre milioni di alunni che non hanno conseguito il diploma. Beh, io non credo che l'Italia abbia rispettato in pieno l'articolo 34 della Costituzione e non penso possa permettersi ancora di sopportare i costi sociali e umani che ne derivano. Tuttoscuola ha fatto i conti e ha scoperto che questo spreco generazionale ci è costato 5 miliardi e 520 milioni solo prendendo in esame i cicli scolastici 2009-2014 e 2014-2018. Queste sono le macerie di un presente che non rappresenta una solida base per nessun futuro. Dobbiamo dire ai nostri studenti che conviene studiare. La disoccupazione tra chi ha solo la licenza media è quasi doppia rispetto a chi è arrivato al diploma e quasi il quadruplo di chi si è laureato. L'istruzione incide sulla salute, riducendo i costi per la sanità; comporta meno criminalità e meno costi per la sicurezza di tutti noi. Ogni euro risparmiato sull'istruzione oggi costituirà uno spreco di risorse pubbliche domani.

A questo punto, Presidente, vorrei concludere rivolgendomi proprio i nostri ragazzi, il futuro del nostro Paese. Tutto ciò che oggi riuscite a far compiere ai vostri dispositivi e ai vostri smartphone attraverso un app, lo potete ottenere solo se qualcun altro lo ha già pensato e programmato prima di voi. Ma cosa succederebbe se foste voi a voler far svolgere ai dispositivi qualcosa di nuovo, che nessuno ha mai pensato prima? Cosa succederebbe se voleste essere, a vostra volta, degli inventori? Dovreste innanzitutto conoscere voi per primi il linguaggio dei dispositivi e, in secondo luogo, stimolare il vostro pensiero creativo, provocarlo, allenarlo a percorrere strade inesplorate, in una parola a osare, diventare degli inventori, sfidare le leggi di oggi per scrivere quelle di domani, sfruttare, insomma, le tecnologie per oltrepassare le colonne d'Ercole del conosciuto e migliorare così la nostra vita e quella degli altri fino ad essere non solo dei consumatori passivi, ma i veri attori della rivoluzione digitale. Il 14 marzo ricorrerà il primo anniversario della scomparsa di uno degli astrofisici più influenti della storia, Stephen Hawking; prendete spunto dal suo coraggio, ragazzi, e ricordate il suo messaggio più importante: l'intelligenza altro non è che la capacità di adattarsi al cambiamento (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Casciello. Ne ha facoltà.

LUIGI CASCIELLO (FI). Grazie, Presidente. Signor sottosegretario, colleghi e colleghe, io penso che siamo - ed anche gli interventi di oggi lo confermano - in un tempo in cui non abbiamo più tempo. Se pensate che per passare dalla stampa a caldo al fotolito ci sono voluti cinque secoli, dal 1448 con Gutenberg, in Italia il primo giornale stampato con fotolito fu La Stampa nel 1978, cinque secoli e trent'anni; nel 1992, per restare nello stesso ambito, che è estremamente vicino al nostro ragionamento, quindi meno di vent'anni, si passò alla stampa digitale. Poi negli ultimi vent'anni ancora i passi e gli avanzamenti tecnologici sono stati acceleratissimi, mostruosi: hanno cambiato la vita di ciascuno, hanno cambiato il modo in cui ci si informa, hanno cambiato il modo in cui ci si forma.

Ecco perché la mozione presentata da Forza Italia, con prima firmataria l'onorevole Aprea, ci sembra una strada da percorrere per fare in modo che possa accadere quanto… Ascoltavo poco fa l'intervento della collega Azzolini, che probabilmente, alla fine, dimenticava di citare ancora Obama, che diceva appunto, come diceva la collega Azzolini, di non acquistare un nuovo videogioco, di non scaricare una nuova app, invitava, Obama, ma a disegnarne una nuova.

Il punto è proprio quello: dobbiamo creare delle condizioni affinché i nostri ragazzi non siano soggetti passivi, ma dei soggetti attivi tecnologicamente. Ecco perché il coding deve attraversare tutto il sistema educativo, deve diventare un criterio educativo. Per diventare un criterio educativo e perché questo accada, chiaramente non basta solamente una mozione, una mozione dell'anima, una mozione di intenti: serve un impegno forte del Governo perché si investa in questo settore. Perché non credo che possano bastare solamente dei corsi professionali: sono fondamentali gli aggiornamenti per il corpo insegnante, sicuramente, ma perché non ci si consegni anche ad un equivoco al quale troppo spesso soggiacciamo tutti… Lo ascoltavo anche in altri interventi: l'idea che le nuove generazioni, poiché sono naturalmente predisposte alle nuove forme tecnologiche, ne siano anche padrone. Quando vediamo un bambino che istintivamente muove il dito su uno smartphone, immaginiamo che quello sia il suo ambito, ma è come una sorta di effetto Chernobyl: è un effetto del tempo nel quale viviamo, ed è naturale per il bambino avere una familiarità con quello strumento; ma il rischio è che senza la formazione, senza un'educazione, senza un processo educativo non si diventi mai padroni, veri di quel sistema.

Ecco perché bisogna pensare in maniera algoritmica, ovvero trovare una soluzione e sviluppare: questo dev'essere il coding. Questo significa avviare un processo reale, che possa cambiare e possa metterci in una condizione in cui non si subisce il nuovo che avanza. E, tra l'altro, dal punto di vista educativo, soprattutto nelle scuole primarie, l'approccio ludico può essere fondamentale;è attraverso il gioco, ma non un gioco che a sua volta gestisce i bambini.

Alcune famiglie nei giorni scorsi mi chiedevano allarmate, alcuni genitori mi chiedevano allarmati… Io ho la fortuna che i miei figli, piccoli ancora, non siano diventati dei grandi fruitori di questo gioco, e quindi avevo anche difficoltà a livello… Fortnite, credo, o qualcosa di simile: è possibile intervenire dal punto di vista legislativo per frenare l'uso smodato di questo tipo di gioco? Immagino di no, immagino di no: possiamo fare già poche cose, già la nostra condizione di parlamentari, soprattutto di chi come me è alla sua prima esperienza, si scontra tra ciò che immaginava di poter fare e ciò che, invece, può fare. Immaginare di poter intervenire sicuramente non si può; ma si può intervenire - lo ripeto quasi come un mantra - in un criterio e su un criterio educativo. Ma per fare questo servono le risorse. Quando io sento… Lo dicevamo anche nell'ultimo question time con il Ministro Bussetti, che non c'è una scuola del Nord e una scuola del Sud continuo a pensare che probabilmente viviamo in Paesi diversi. È certo che c'è una scuola del Nord e una scuola del Sud, e la mia preoccupazione è che con il nuovo che avanza ineluttabilmente ed inevitabilmente chi è rimasto indietro dal punto di vista strutturale, ma sicuramente non dal punto di vista della conoscenza e dell'impegno, rischi di restare ancora più indietro.

Per questo, nella mozione presentata dall'onorevole Aprea, diventa fondamentale il tema delle risorse, delle risorse finanziarie da individuare probabilmente anche nelle risorse destinate all'edilizia, nella programmazione. Bisogna non solo cambiare passo, bisogna cambiare sguardo: perché se cambiamo sguardo e capiamo che, come dicevo al principio, non c'è più tempo, il tempo che avanza non avrà il sopravvento nelle sue modalità e nei suoi positivi passi avanti dal punto di vista tecnologico. Però, quella tecnologia o la dominiamo, o la facciamo nostra, o saremo definitivamente dominati. Questa è una responsabilità che nei confronti delle nuove generazioni… La mia generazione è stata scavalcata, ha dovuto fare i conti con la fretta e con il tempo che avanzava nelle nuove tecnologie; i nostri figli sono istintivamente fruitori, ma non sono padroni: al momento, la tecnologia è più avanti delle nostre generazioni, della capacità di far propri i criteri che muovono le nuove tecnologie. E, allora, siccome il rischio è di ritrovarsi in un horror da fantascienza, dove la macchina possa prendere il sopravvento, l'unico modo è che si faccia in fretta. Ora lo vogliamo fare con il coding, questo termine inglese che, in fondo, non ha ancora una trasposizione letterale italiana: in teoria, si chiamerebbe programmazione; io dico che a fianco alla programmazione è il tempo di mettere anche due parole, “intervento immediato”. (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Gallo. Ne ha facoltà.

LUIGI GALLO (M5S). Presidente, sottosegretario Giuliano, colleghi in quest'Aula che stanno seguendo questo dibattito, io non vorrei ripetere le affermazioni, tutte interessanti, il ricco dibattito che si è svolto in questa seduta, oggi; vorrei solo aggiungere qualche elemento in più, partendo da un punto che è il cuore anche della mozione presentata dal MoVimento 5 Stelle: che noi, quando parliamo di alfabetizzazione digitale, cultura digitale, stiamo parlando, prima che del cittadino che deve trovare occupazione, del cittadino che deve far valere i propri diritti e deve rispettare i propri doveri in un ambiente che è cambiato. Questo dobbiamo rinforzarlo e ricordarlo, perché oggi l'alfabetizzazione digitale è quello che rende di nuovo il cittadino pieno, attivo ed informato, e senza questi presupposti qualsiasi altra cosa poi rischia di essere un problema, una deriva da affrontare.

E poi, è anche il cittadino che è inserito all'interno di un panorama internazionale, che deve affrontare delle sfide importanti, come quelle dell'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile.

Noi, oggi, parliamo di futuro, ma potremmo non avere un futuro in cui parlare di sviluppo, se non interveniamo in maniera seria sui cambiamenti climatici, su quello che sta accadendo nel nostro mondo, perché quei cambiamenti, quegli interventi, dal punto di vista ambientale producono delle grosse trasformazioni, fino a cancellare specie vegetali, specie animali e qualcuno dice anche la specie umana. Quindi, è chiaro che abbiamo delle sfide da affrontare, e la tecnologia può essere un nostro alleato o un nostro nemico, se non siamo capaci di utilizzarla. Dobbiamo anche dire che cosa sta facendo questo Governo. Ora, con la legge di bilancio sono stati fatti dei primi passi. È vero che esistono gli animatori digitali - sono stati inseriti gli animatori digitali, si parlava prima di 8 mila animatori digitali -, ma questi animatori sappiamo che sono risorse della scuola, cioè sono docenti che fanno già il loro grande lavoro, hanno già il loro grande impegno, e a cui viene chiesto un impegno ulteriore, e, come sappiamo, spesso all'interno della scuola un impegno ulteriore non è adeguatamente retribuito per quell'impegno e per quella importanza. E noi abbiamo trovato una prima risposta a questo, e abbiamo detto: prendiamo 120 docenti esperti, li distacchiamo, quindi non fanno più quel lavoro impegnativo da docente giorno per giorno, di frontiera, e avremo, in media, almeno sei coordinatori digitali per ogni regione capaci di lavorare e aiutare tutte le risorse che sono all'interno della scuola a fare un lavoro comune, qualificato, che spinga su queste competenze, skill, che sono digitali, ma anche, come si diceva prima, competenze creative, di intelligenza emotiva. Noi, sempre come MoVimento 5 Stelle, abbiamo fatto tre importanti ricerche previsionali, che elenco: abbiamo fatto “Lavoro 2025”, una ricerca sulla “Cultura 2030”, e “Turismo 2030”. Ora, se andiamo ad analizzare i dati di questa ricerca, ci dicono che queste sono le tre competenze importanti per il futuro. Cioè, in un'epoca in cui comunque si ridurranno una serie di lavoratori e di occupazioni, quali sono quelli che avranno delle possibilità in più? Chi sviluppa competenze creative, chi sviluppa competenze relazionali, comunicative ed emotive e chi sviluppa competenze digitali, che si vanno a intrecciare a tutte le altre. In questo studio, che ha coinvolto undici esperti, tra cui De Kerchove e Odifreddi, si arriva a queste conclusioni, ed è importante ricordarlo in quest'Aula. Dobbiamo fare un po' più rete col patrimonio che questo Paese ha, perché noi abbiamo un ente pubblico come INDIRE, con decine e decine di ricercatori al suo interno, specializzati sulla didattica. Questo ente sta studiando, da anni, quali sono le espressioni più qualificate, le scuole più virtuose in questo campo, infatti ha fatto una mappa di 600 scuole che si chiama “Avanguardie educative”. Vogliamo valorizzare queste scuole? Vogliamo metterle al centro, come Governo, in modo che queste scuole, con i loro docenti, con i loro dirigenti, diventino un faro per tutte le scuole? Parliamo di formazione, allora queste scuole, che fanno delle esperienze importanti, possono portare le loro competenze anche all'esterno. Ricordiamo che ci sono diverse metodologie didattiche innovative che sono prese ed elencate all'interno di questi gruppi di scuola.

E quando si parla, per esempio, di ambienti di apprendimento, non posso non citare una realtà nata proprio dalla forza dei nostri dirigenti e dei nostri docenti senza che abbiano preso un euro in più, perché hanno voluto semplicemente portare una nuova modalità a vantaggio dei bambini, e parliamo delle rete “Scuola senza zaino”. Perché parliamo di questo anche all'interno della mozione? Perché quando si parla di intervenire sugli ambienti di apprendimento non dobbiamo pensare che intervenire sugli ambienti di apprendimento significhi portare un bel po' di tecnologia, metterla in giro e pensare di aver finito il proprio lavoro, che dopo è tutto come prima, cioè sostituiamo una lavagna con una LIM e pensiamo di aver risolto il nostro problema.

Sappiamo benissimo che abbiamo vissuto anche questo tipo di fase, in cui poi la LIM o altri strumenti tecnologici sono diventati strumenti che non sono stati utilizzati, è bastata la rottura di un cavo per portare la LIM all'interno di uno sgabuzzino. Quindi, sappiamo benissimo che non basta questo, è necessario intervenire con una grossa motivazione all'interno della scuola, all'interno degli operatori scolastici. Noi diciamo che un'attenzione ci deve essere anche attraverso équipe pedagogiche ed educative che possono supportare il lavoro, grande, che fanno scuole, dirigenti e docenti, perché queste équipe possono avere uno sguardo d'insieme su tutto quello che accade in una classe e in una scuola, e possono avviare quei processi di miglioramento che si possono fare con la tecnologia, come si possono fare modificando il modello organizzativo, come si possono fare modificando i metodi didattici. Quindi, la formazione è il fulcro di questa trasformazione che noi vogliamo fare.

In ultimo, non dobbiamo dimenticare che ci sono pericoli nell'uso della tecnologia - anche qualcun altro ne ha fatto cenno -, esiste ormai una vera e propria realtà di dipendenza patologica che viene chiamata nomofobia. La nomofobia - non solo in Italia, ma anche nel resto del mondo - ha prodotto anche suicidi, ha prodotto anche delle morti. Qualcuno ricorda forse il fantomatico gioco Blue Whale, che è stato diffuso in tanti altri posti, e questo è legato a una sottovalutazione del fenomeno tecnologico e della capacità di produrre una certa dipendenza, che non può essere più sottovalutato, ma va affrontato insieme a tutte le altre tematiche che sono state già citate da chi mi ha preceduto.

Quindi, noi, oggi, dobbiamo mettere al centro le persone che sono all'interno del mondo scolastico, dobbiamo mettere al centro il fatto che abbiamo qualcosa di più da valorizzare della nostra mente, perché abbiamo anche il corpo dei nostri bambini e bambine che sono nelle scuole, abbiamo le loro emozioni che vanno valorizzate e messe in micro-reti territoriali, in distretti territoriali, culturali ed educativi da coinvolgere. Quello che serve è sempre di più non solo l'hardware, ma fornire il software agli studenti, cioè fornire gli strumenti critici e creativi per affrontare un mondo sempre più complesso e progettare il futuro che ci attende (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Mollicone. Ne ha facoltà.

FEDERICO MOLLICONE (FDI). Presidente, sottosegretario, onorevoli colleghi, negli anni che viviamo l'avanzamento tecnologico ha portato un nuovo modo di intendere il mercato del lavoro. La tecnologia non è mai neutrale, e quella a cui stiamo assistendo è una vera e propria rivoluzione del paradigma stesso della società. Ad oggi, il 90 per cento di tutti i lavori necessita di una conoscenza di base di abilità informatiche, e nei prossimi anni l'alfabetizzazione della tecnologia dell'informazione diventerà un requisito essenziale per il mantenimento di moltissimi settori dell'economia.

Dobbiamo, come legislatori e rappresentanti, avere la capacità di innovare, di guardare oltre l'orizzonte, oltre gli steccati e pensare in termini del futuro per anticiparlo e trarne vantaggi.

La McKinsey profetizza in uno studio un impatto dell'automazione sul 50 per cento dei lavori esistenti; è necessario, quindi, un riassetto generale, se non vogliamo che esistano delle profonde asincronie fra i curricula scolastici e il mercato del lavoro.

Come dice Hadi Partovi, il futuro del lavoro può essere incerto, ma una cosa è certa: le scienze informatiche saranno in grandissima richiesta e ogni studente in ogni scuola dovrà avere l'opportunità di apprenderle.

La presente mozione, che ha presentato la collega Bucalo, vuole introdurre nei percorsi didattici l'alfabetizzazione delle nuove tecnologie, il cosiddetto coding, a partire dalle scuole elementari fino a raggiungere una formazione che consenta ai cittadini di saper affrontare un sistema come quello che si prospetta nell'immediato futuro, basato su sempre più sofisticate tecnologie e intelligenze artificiali.

Oltre alle abilità tradizionali, quali il leggere, lo scrivere e il far di conto, se ne dovrà aggiungere una quarta, la programmazione informatica, come ci suggeriscono gli informatici europei e italiani. L'universo è matematica, ci ricorda Galileo Galilei, e per questo iniziamo con il coding, ma, come Fratelli d'Italia, proponiamo e proporremo di arrivare a una stabilizzazione dell'insegnamento dell'informatica intesa in senso più ampio. Colleghi, il coding crea fruitori e cosiddetti operai specializzati di informatica.

L'informatica, la programmazione informatica e lo studio dell'informatica, crea e forma i creatori. Ma iniziamo intanto dal coding, siamo già in ritardo, come è stato detto, e pensiamo in modo ulteriore.

E proprio l'informatica si completerebbe, tra l'altro, con una visione umanistica che Fratelli d'Italia ovviamente difende.

Vogliamo precisare che l'introduzione di questa nuova materia, che indubbiamente incentiva le competenze scientifiche, non deve in alcun modo ridurre l'importanza che hanno nella nostra tradizione scolastica le materie umanistiche, che sono i pilastri su cui si basano la nostra cultura e la nostra identità. Pensate che 17 Paesi europei hanno introdotto il coding nei propri curricula scolastici, è ormai un requisito chiave nella competizione del mercato del lavoro.

Chiediamo, quindi, al Governo di introdurre, come è stato chiesto anche dalla collega, entro il 2020 l'obbligatorietà dello studio della programmazione informatica nelle scuole primarie e superiori di primo e secondo grado, nel rispetto dell'autonomia organizzativa e didattica di ciascuna istituzione scolastica; a prevedere obbligatoriamente percorsi formativi anche all'interno dell'alternanza scuola-lavoro - e quale strumento migliore potrebbe essere utile allo scopo - attraverso la collaborazione con le università, associazioni e organismi del Terzo settore e imprese, con l'obiettivo finale di trasmettere agli studenti il pensiero computazionale e la logica della programmazione, indispensabile per qualunque professionalità vorranno essi esercitare; ad incrementare la formazione obbligatoria dei docenti sull'innovazione didattica e lo sviluppo della cultura digitale per l'insegnamento, l'apprendimento e la formazione delle competenze lavorative, così come previsto dal famigerato Piano nazionale per la scuola digitale.

Sottosegretario - mi rivolgo a lei tramite la Presidenza - il piano digitale che veniva magnificato dalla collega Ascani del Partito Democratico, in realtà, come abbiamo avuto modo di vedere anche in Commissione, risulta essere per gran parte inapplicato; è proprio sulla digitalizzazione e sull'innovazione che dobbiamo fare uno sforzo con l'attuale Governo, se di cambiamento si tratta, per accelerare, e per questo abbiamo presentato anche nell'ambito di un altro provvedimento, che poi vedremo e analizzeremo anche in Aula sulla promozione della lettura, anche l'accesso e la realizzazione del Piano digitale scolastico per l'editoria digitale, che ad oggi rimane inapplicato, e su questo ci siamo confrontati proprio con lei in Commissione.

Quindi, concludendo, vanno bene queste mozioni, il coding, Fratelli d'Italia rilancia anche con la programmazione informatica, che è quello che chiedono gli informatici, ma ponete attenzione come Governo alla piena realizzazione del Piano digitale, per il futuro dei nostri figli, per far risparmiare i soldi alle nostre famiglie e per far sì che questa transizione da analogico a digitale sia veramente una rivoluzione positiva e non una iattura (Applausi dei deputati dei gruppi Fratelli d'Italia e Forza Italia-Berlusconi Presidente).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.

(Intervento del Governo)

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo.

SALVATORE GIULIANO, Sottosegretario di Stato per l'Istruzione, l'università e la ricerca. Grazie, Presidente, e ringrazio tutti voi, per il tramite del Presidente, per l'interessante discussione.

È evidente che la mia storia personale, prima, e quello che sono chiamato oggi a fare in qualità di sottosegretario mi trovano particolarmente favorevole e ben predisposto riguardo alle tematiche da voi sollevate.

Mi piacerà aggiungere solo una cosa: parlo per esperienza diretta e mi rivolgo a donne e uomini di scuola, perché in quest'Aula, e soprattutto coloro che hanno firmato, che hanno proposto queste mozioni, sono donne e uomini di scuola, e quindi parlano anche per esperienza diretta. Mi permetto di aggiungere che il coding, e sottolineo e sottoscrivo tutte le caratteristiche, tutte le motivazioni e tutti gli elementi di importanza che avete sottolineato, lo definisco innanzitutto un metodo.

Ed è questo che rafforza e rende ancora più cogente la necessità di arrivare alle mozioni che oggi qui sono state ampiamente discusse. Non lo dico io, ma lo dice una letteratura scientifica mondiale, universalmente accettata un po' da tutti: nel 2034, 2035, quando verranno a concludere il ciclo coloro che oggi si rivolgono ad un sistema educativo, non solo quello italiano, ma in tutto il mondo, il 60-75 per cento delle professioni che si faranno nel 2035 non sono state ancora inventate.

Un altro dato, sempre della letteratura scientifica universalmente accettata da tutti, è che è vero che non sono state ancora inventate, ma già a partire dai prossimi anni buona parte delle professioni che attualmente esistono e quelle che verranno inventate avranno a che fare con il digitale.

Quindi, al di là delle competenze specifiche che il coding e che la programmazione porta con sé e porta agli alunni, ma porta anche ai docenti, consentitemi di dire, il vero valore aggiunto - e ve lo dico da uomo di scuola, parlo per esperienza diretta - è il metodo.

E questo lo si può sperimentare agevolmente, anche e soprattutto noi adulti; noi che, rispetto a un quattordicenne o un quindicenne che frequenta il nostro sistema di educazione e di formazione, apparteniamo al Mesozoico anche in termini di creatività, di pensiero divergente, eccetera. Basterà pochissimo, pochi minuti, almeno mezz'ora, e noterete come anche il nostro metodo di approccio, di pensare, di risolvere i problemi, cose che sono emerse dalla vostra discussione, cambia e ne ha un vantaggio e un beneficio.

Quindi, Presidente, per il suo tramite, voglio ringraziare tutti i firmatari, tutti gli intervenuti a proposito delle mozioni di cui abbiamo discusso questa sera, perché ritengo che sia giunto il momento, non più rinviabile, di cambiare, di introdurre le metodologie; sono emerse dai vostri interventi, le metodologie didattiche innovative. E per un semplice motivo: perché - e chiudo con questa frase che a me piace tanto e la ripeto sempre - se un nostro antenato tornasse in vita, non riconoscerebbe la propria città; se tornasse nella sua classe, la troverebbe identica. Nel frattempo, è cambiato il mondo, non possiamo più aspettare (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta

Sospendo la seduta, che riprenderà tra 5 minuti.

La seduta, sospesa alle 19,55, è ripresa alle 20.

Discussione della proposta di legge: Gallo ed altri: Modifiche all'articolo 4 del decreto-legge 8 agosto 2013, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 ottobre 2013, n. 112, nonché introduzione dell'articolo 42-bis della legge 22 aprile 1941, n. 633, in materia di accesso aperto all'informazione scientifica (A.C. 395-A).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge n. 395-A: Modifiche all'articolo 4 del decreto-legge 8 agosto 2013, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 ottobre 2013, n. 112, nonché introduzione dell'articolo 42-bis della legge 22 aprile 1941, n. 633, in materia di accesso aperto all'informazione scientifica.

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta del 7 marzo 2019 (Vedi l'allegato A della seduta del 7 marzo 2019).

(Discussione sulle linee generali – A.C. 395-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Avverto che il presidente del gruppo parlamentare del MoVimento 5 Stelle ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.

Avverto, altresì, che la VII Commissione (Cultura) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire il relatore, deputato Paolo Lattanzio.

PAOLO LATTANZIO , Relatore. Grazie Presidente. Sottosegretario, colleghe e colleghi l'open access o accesso aperto è quella forma di accesso libero e immediato e ai risultati ai dati della ricerca scientifica che per noi rappresenta la base di un'apertura completa della società che possa prevedere e ampliare le forme vigenti di accesso alla ricerca, open appunto. Il principio che è a base dell'open access è che i risultati delle ricerche che siano finanziate con fondi pubblici devono essere pubblicamente disponibili. Il termine open access è anche, al tempo stesso, comunemente utilizzato per indicare il movimento che promuove la libera circolazione e l'uso non restrittivo dei risultati della ricerca e del sapere scientifico.

Chiariamo subito, sgombrando il campo da alcuni potenziali equivoci o strumentalizzazioni, che open access non significa accesso gratis all'informazione, bensì accesso aperto e ciò ha dei significati politici evidentemente rilevanti perché non significa parlare di violazioni del copyright, che anzi viene tutelato in quanto diritto di paternità a beneficio dei autore. Open access è accesso libero, immediato dei risultati, tanto definitivi quanto provvisori, della ricerca scientifica e accademica, prevalentemente laddove questa sia finanziata con fondi pubblici e questa apertura, questa pubblicità dei lavori scientifici deve essere intesa a beneficio di cittadini, istituzioni, mass media.

È bene, dunque, sottolineare che le politiche di apertura dei dati della ricerca tengono conto degli aspetti relativi alla protezione della vita privata e delle informazioni di rilevanza nazionale sensibili per sicurezza nazionale. A garanzia dell'open access possiamo porre l'idea di openess ossia una filosofia caratterizzata da trasparenza e accesso libero alla conoscenza e all'informazione basati su collaborazione e cogestione, ossia in netto contrasto con le logiche commerciali di centralizzazione, oligopolio e protezionismo in ambito scientifico ed accademico L'openess è una filosofia metodologica che, nell'ambito della ricerca e dell'innovazione, permette una fortissima interazione tra gli utenti per raggiungere dei risultati importanti come in due casi emblematici, che sono quello dell'open source con riferimento al software per cui i detentori dei diritti rendono pubblico il codice sorgente, favorendone il libero studio e l'eventuale successiva modifica e miglioramento e, appunto, l'open access.

Ancora, l'accesso aperto indica innanzitutto quella che è una filosofia di gestione dei risultati della ricerca scientifica, dei dati parziali e dei rispettivi metadati che è orientata a garantire un maggiore, migliore, capillare e tempestiva fruibilità della conoscenza prodotta. È bello pensare la ricerca scientifica come un bene culturale patrimonio di tutti, un bene comune. La conoscenza e, in generale, i lavori scientifici sono anch'essi, in un certo qual modo, un patrimonio collettivo culturale e i tentativi di privatizzazione non possono che impoverire lo sviluppo e la crescita del nostro Paese. L'accesso aperto determina, dunque, un passo avanti in relazione allo sviluppo del comparto culturale, accademico e scientifico. Parliamo di una tipologia di sviluppo che la Corte Costituzionale ha riconosciuto come una finalità di interesse generale, il cui perseguimento fa capo alla Repubblica in tutte le sue articolazioni, basti pensare all'articolo 9 della nostra Costituzione, anche al di là del riparto di competenze per materia tra Stato e regioni.

La cultura e la ricerca scientifica e tecnica sono dunque volani per garantire solide basi costituzionali di pluralismo e democrazia che si consolidano per l'appunto attraverso una informazione libera ed accessibile a tutti. Non è banale dunque specificare che la ripubblicazione in accesso aperto deve essere considerata una norma di ordine pubblico, come avviene ad esempio nella normativa francese dove questo concetto è esplicitato, e che dovrebbe essere considerato un diritto irrinunciabile in capo ad autori della ricerca. In quest'ottica, ci rendiamo conto che il tema dell'open access si riconnette anche al diritto di uguaglianza, alla libertà di informazione, alla libertà ad informarsi e, al tempo stesso, alla libertà di essere informati, in una società dove l'informazione è potere e dove dunque l'accesso ad una conoscenza di qualità, di cui si possa fruire in maniera diretta e semplificata, può aiutare, auspichiamo che possa aiutare a limitare la formazione di disuguaglianze e riparare nel tempo a quelle asimmetrie informative tipiche di chi non ha potuto avere l'accesso ad un'informazione credibile di qualità e sostanziata.

Spiegare che cosa sia l'open access è un passaggio quanto mai fondamentale per capire quanto la presente proposta di legge trascenda la mera dimensione tecnica ossia non è un tema tutto accademico ed universitario e vada invece ad operare concretamente su di un piano sociale e culturale. Nel breve tempo, permette, da un lato, di scardinare le restrizioni alla libertà nella circolazione della ricerca scientifica imposte da un sistema di fatto basato sull'oligopolio, dall'altro, permette di adeguare i tempi di ripubblicazione alle tempistiche indicate dall'Unione europea e a cui l'Italia fino ad oggi si è inspiegabilmente sottratta, penalizzando la ricerca scientifica e la crescita culturale del Paese.

Nel lungo periodo, invece, questa legge si pone come obiettivo quello di ampliare il bacino di utenza in grado di fruire dei contenuti prodotti dalla ricerca scientifica almeno in parte finanziata con fondi pubblici, aprendo a ricercatori, ai laboratori, alle università, ai centri di ricerca nonché ai media e ai cittadini la possibilità di accesso. Proprio questi ultimi cittadini, così come le altre categorie di non addetti ai lavori, saranno in grado di strutturare un proprio personale bagaglio di conoscenze che siano solide, attendibili, tecniche, tracciabili e verificate. Tale obiettivo si allinea perfettamente con quella che è l'origine del movimento dell'open access, nato con l'avvento di Internet e cresciuto in maniera esponenziale soprattutto attraverso il mondo universitario.

Mi piace evidenziare che si tratta di un movimento culturale che è nato dal basso grazie al lavoro di giovani, soprattutto ricercatrici e ricercatori, innovatori, amanti del sapere libero e circolare. A tal proposito mi sembra opportuno citare un breve passaggio del famoso “Guerrilla open access Manifesto” di Aaron Swartz attivista dell'Open Access, morto suicida nel 2013, che recitava: “Tutti voi, che avete accesso a queste risorse, studenti, bibliotecari o scienziati, avete ricevuto un privilegio: potete nutrirvi al banchetto della conoscenza mentre il resto del mondo rimane chiuso fuori. Ma non dovete - anzi moralmente non potete - conservare questo privilegio solo per voi, avete il dovere di condividerlo con il mondo”.

Lo scenario in cui ci muoviamo è innanzitutto di respiro europeo; sono importanti le tre dichiarazioni fondative: di Budapest 2002, di Berlino 2003 e di Messina 2004, che hanno permesso di raccogliere circa 71 atenei italiani ma, allo stesso modo, spostandoci sul piano europeo, è fondamentale fare riferimento alla raccomandazione sull'accesso all'informazione scientifica n. 417 del 2012, in cui la Commissione, dopo aver ricordato che le politiche di accesso aperto sono volte ad assicurare l'accesso gratuito ai dati di ricerca e a ripubblicazioni scientifiche oggetto di valutazione inter pares, nonché a consentire l'utilizzo e il riutilizzo dei risultati della ricerca scientifica, ebbene, la Commissione evidenzia che tali politiche dovrebbero applicarsi a tutte le ricerche che beneficiano di finanziamenti pubblici. La Commissione suggerisce una maggiore integrazione di tutti gli attori sociali perché si possa lavorare a questo obiettivo; la raccomandazione della Commissione europea quindi cerca di creare un allineamento virtuoso fra i Paesi dell'Unione europea e sottolinea per la prima volta la valenza sia dei dati che delle pubblicazioni, inoltre si suggerisce un miglioramento del livello di informazione, fornendo ai ricercatori indicazioni più precise su come conformarsi alle politiche di accesso aperto, con particolare riferimento alla gestione dei diritti di proprietà intellettuale, un tema per noi molto importante.

La Commissione Europea raccomanda dunque di provvedere affinché la messa a disposizione in modalità open access delle pubblicazioni prodotte nell'ambito di attività di ricerca finanziate con fondi pubblici avvenga il prima possibile e comunque - indicazione europea - non più di sei mesi dopo la pubblicazione e di dodici mesi nel caso di pubblicazioni nell'area delle scienze sociali ed umane.

La Commissione ha, altresì, raccomandato di provvedere affinché gli organismi di finanziamento della ricerca responsabili della gestione dei finanziamenti pubblici e le istituzioni accademiche che li ricevono definiscano politiche istituzionali per la diffusione delle pubblicazioni scientifiche. A conferma del pubblico interesse, la Commissione ha giustamente ritenuto di chiamare in causa anche gli Stati membri. Il programma dell'Unione Europea Horizon 2020, ad esempio, ha vincolato alla pubblicazione di tutti gli articoli prodotti grazie a questo finanziamento in formato open access.

L'open access può, inoltre, incrementare la trasparenza della scienza e la sua apertura alla società e ai cittadini. La Commissione, ancora, ha raccomandato agli Stati membri di adottare nei loro programmi nazionali l'approccio all'accesso aperto come un “mezzo fondamentale per migliorare la circolazione delle conoscenze e l'innovazione in Europa”. Parliamo della raccomandazione (UE) n. 790 del 2018.

In un articolo apparso lo scorso 13 settembre 2018 il quotidiano inglese The Guardian, da sempre molto sensibile ai temi dell'open access, ci ricordava che metà della ricerca mondiale è in mano a sole cinque aziende, a cinque case editrici: Reed Elsevier, Springer, Taylor & Francis, Wiley-Blackwell e l'American Chemical Society. Le biblioteche devono, quindi, pagare cifre esorbitanti, ma le devono pagare tre volte: la prima volta pagano il proprio ricercatore che svolge la ricerca; la seconda volta pagano il ricercatore che fa da referral degli articoli scientifici; la terza volta pagano la casa editrice quando acquistano la rivista frutto del lavoro dei loro stessi ricercatori. Va da sé che un sistema di questo tipo non può essere consono alla valorizzazione della conoscenza come bene pubblico, ma esistono dei problemi anche al di fuori del contesto accademico.

Basti pensare ad una persona malata che desideri leggere articoli medici e fare una scelta informata sulle possibilità di cura che ha di fronte; ebbene, in questo caso, senza un accesso libero e tempestivo alla conoscenza scientifica questa lettura, questo studio è impossibile. Le ricadute negative della mancanza di accesso libero o di un accesso libero rimandato troppo in avanti nel tempo sono davvero forti: nel mondo dei media impatta con scarsissimo approfondimento di tematiche importanti; in ambito sociale inibisce la possibilità di approfondimento se non si appartiene a circuiti accademici privilegiati; in ambito pubblico ed economico può portare lo Stato ad investire risorse in ricerche che hanno già dimostrato di non produrre risultati soddisfacenti. Questi sono solo alcuni dei motivi palesi per cui è necessario accelerare ed incentivare quella che è la creazione di una vera scienza aperta, di un accesso aperto a tutti, nella direzione della quale già molte ricercatrici e ricercatori di atenei italiani, devo dire, si stanno molto impegnando ed hanno dimostrato grande interesse.

In relazione alle modalità con cui è possibile pensare all'accesso aperto, esistono due grandi vie sulle quali non mi dilungherò. La green road che prevede l'auto-archiviazione degli articoli, e la golden road, ossia la possibilità di pubblicare direttamente su riviste open access. Tema che va ad aprire, a scoperchiare un tema di grande attualità sul quale il gruppo che rappresento, ma tutta la Commissione cultura, ha già iniziato a dibattere, che è quello della valutazione della ricerca universitaria, grande tema aperto che aleggia sempre anche quando si parli di open access.

La presente proposta di legge nasce con lo scopo di allineare il nostro Paese ai passi e ai progressi fatti da molti altri Paesi europei negli ultimi anni in materia di open access. Si sceglie sicuramente una via ragionata e concordata sia in Commissione sia con gli stakeholder: penso al mondo dell'editoria. Ciò a differenza di quanto avvenuto in Germania, dove invece abbiamo assistito ad uno scontro radicale fra quello che è il mondo delle grandi case editrici e le università tedesche. In Italia, invece, abbiamo scelto una via decisamente più conciliante e aperta e basata sull'ascolto.

In particolare, si intende offrire a scienziati e ricercatori la possibilità di condividere le proprie ricerche e, al tempo stesso, di accedere alla letteratura scientifica in modo libero e aperto. Come già ribadito, la nostra attenzione è rivolta anche ai cittadini; ed è necessario segnalare che l'open access facilita anche un'importante accelerazione per quel che riguarda la divulgazione della scienza, ossia quelle attività fondamentali di comunicazione al grande pubblico del sapere scientifico, quindi per i non addetti ai lavori. Crediamo che attraverso l'open access le idee, i saperi e la conoscenza possano circolare prima e maggiormente, innestando un più rapido processo di crescita da cui l'intera società può trarre beneficio, con effetti positivi evidenti anche sulla qualità della ricerca, sulle sua pubblicità e sulla trasparenza del comparto universitario.

Ci riferiamo ad ogni modo ad una innovazione che implica indubbiamente un cambiamento del sistema ed è proprio questa la condizione che ha provocato molte resistenze nel nostro Paese da parte soprattutto, devo dire, delle grandi case editrici internazionali ma anche del mondo universitario, troppo spesso autoreferenziale e poco propenso al cambiamento e sordo alle necessità di innovazione che viene da esperienze internazionali e dal mondo delle tecnologie, molto spesso più impegnato a gestire un potere - torno a dire - autoreferenziale che non a lavorare per la diffusione delle accessibilità della ricerca su cui lavorano i propri ricercatori con fondi pubblici.

Il nostro lavoro in Commissione è stato orientato proprio alla ricerca di una riforma che possa finalmente dare uno scossone al sistema italiano, allineando al tempo stesso il nostro Paese a una posizione decisamente più avanzata sul tema delle altre realtà europee, sulle quali si è già detto.

Venendo all'articolato, la presente proposta di legge consta di un solo articolo ed interviene sul decreto-legge 8 agosto 2013 n. 91, convertito con modificazioni dalla legge 7 ottobre 2013 n. 112. Interveniamo sull'articolo 4 “Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo delle biblioteche e degli archivi e per la promozione della recitazione e della lettura”, ai commi 2, 2-bis e 3.

La presente proposta dunque rende decisamente più articolato e al tempo stesso sviscera il quadro normativo di riferimento per l'attuazione e la concretizzazione di un sistema italiano di accesso aperto alla conoscenza e alla informazione scientifica, sciogliendo i nodi che il legislatore fino ad oggi - responsabilità di tutta la politica - non aveva inteso affrontare alla luce dei nuovi fenomeni globali pur in corso da molti anni e che riguardano la ricerca scientifica e le raccomandazioni europee

L'intervento è così articolato: l'articolo 1, comma 1, lettera a, che modifica il comma 2 dell'articolo 4 del decreto-legge n. 91 del 2013, ridefinisce e amplia l'ambito di applicazione e dell'accesso aperto, specificando che si fa riferimento ai risultati e ai dati anche parziali della ricerca quando documentati in pubblicazioni scientifiche, in atti di convegni o in materiali audio e video inerenti alla ricerca e alla divulgazione scientifica, o comunque pubblicati su periodici a carattere scientifico.

Questo intervento dà la possibilità di esplicitare, di rendere pubbliche, palesi e trasparenti anche quell'insieme di ricerche non ancora terminate, quindi quei dati negativi al work in progress della scienza, che noi sappiamo essere assolutamente importante. Anzi, è bene sottolineare che l'intervento legislativo avviene sulle procedure di ripubblicazione e non sulle regole interne della comunità scientifica come a volte è stato sostenuto in maniera faziosa in alcuni casi. Anzi, è proprio la comunità scientifica ed accademica oggi che spinge a livello globale per questo cambiamento, che parla di due cose molto semplici: libertà e diritto di accesso rispetto al controllo oligopolista di alcune grandi case editrici.

Altro punto essenziale è la specifica puntuale delle soglie di finanziamento pubblico al raggiungimento della quale si applicheranno le nuove norme. Allora, si stabilisce che queste norme varranno per ogni ricerca scientifica finanziata con almeno il 50 per cento da fondi pubblici, una quota pari o superiore al cinquanta per cento.

È importante anche sottolineare come tali misure sono adottate per quei soggetti che ripubblicheranno online, in maniera gratuita, per fini non commerciali, inserendo così una forte garanzia per gli editori italiani e, soprattutto, per la salvaguardia e tutela del mercato editoriale italiano, per il sapere dei tecnici e di chi si occupa, dal punto di vista tipografico editoriale, del lavoro di editing, che accompagna le pubblicazioni scientifiche.

Viene poi eliminato il parametro per cui le opere scientifiche, gli atti di convegno e i materiali audio e video debbano essere pubblicati soltanto su periodici che abbiano un numero minimo di uscite annue, che in passato erano due. Elemento essenziale di allineamento con i parametri dettati a livello europeo è la puntualizzazione del periodo di embargo per la ripubblicazione nel caso della cosiddetta green road, che in Italia adottiamo. Finalmente infatti riduciamo i tempi di ripubblicazione, che diventano di un massimo di sei mesi, dalla prima pubblicazione in ambito scientifico tecnico e medico rispetto ai 18 precedenti, mentre per le pubblicazioni delle aree umanistiche e delle scienze sociali il limite massimo di embargo è fissato a dodici mesi, dimezzando quindi quello precedente dei 24. Riducendo i tempi di embargo e conformandoli a quelli europei credo appaia ancora più evidente quanto tempo la politica abbia fatto perdere alla ricerca del progresso, confinando scoperte e i saperi scientifici entro recinti troppo stretti, per una scienza che deve necessariamente essere aperta.

L'articolo 1, comma 1, lettera b), va a sostituire il vecchio comma 3 dell'articolo 4 del decreto legge n. 91 del 2013 di cui sopra. Esso dispone l'adozione, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, di un decreto da parte del MIUR, di concerto con il MiBAC, indirizzato a diverse azioni.

Si vuole adottare, innanzitutto, una serie di strategie coordinate destinate a rendere interoperabili le banche dati e questo è un passaggio importante sul quale mi soffermo. Infatti, non si parla di semplice unificazione di banche dati, ma si intende parlare proprio di interoperabilità al fine di rendere possibile il dialogo fra loro di tutte quelle - ottime in molti casi - situazioni che già abbiamo in singole università o in centri di ricerca, al fine di far parlare fra di loro i sistemi già esistenti.

Al tempo stesso, s'intende rafforzare l'intenzione di creare un sistema unico centralizzato che, essendo basato sull'interoperabilità, permetta di rendere accessibili attraverso un unico motore di ricerca tutti i dati pubblicati in open access e gli articoli scientifici in questo modo rilasciati.

Venendo alla conclusione, un altro dei punti chiave e sicuramente importanti, oltre a quello dell'apertura, dell'accorciamento dei tempi di embargo, riguarda la possibilità di spingere a favorire la divulgazione scientifica attraverso l'accordo di servizio fra il MISE e la RAI, il servizio radiotelevisivo nazionale, affinché non ci sia, come erroneamente detto in passato, un intervento bensì un supporto.

Spendo un'ultima parola perché questa proposta di legge va a toccare il codice del diritto d'autore istituendo di fatto, in Italia, la possibilità e il diritto di ripubblicazione degli articoli scientifici per i ricercatori e le ricercatrici (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo.

SALVATORE GIULIANO, Sottosegretario di Stato per l'Istruzione, l'università e la ricerca. Sarò brevissimo. Grazie, Presidente, e onorevoli. Innanzitutto, voglio ringraziare il presidente della Commissione cultura, scienza e istruzione, l'onorevole Gallo, tutti i commissari e il relatore, l'onorevole Lattanzio, per il proficuo lavoro svolto presso la Commissione di merito.

L'avvento di Internet e delle riviste elettroniche ha rappresentato una straordinaria possibilità di divulgazione dell'informazione scientifica. Se è vero che la conoscenza è una risorsa, l'open access può concorrere non solo ad accelerare la ricerca ma anche ad aumentare le opportunità di ricerca multidisciplinari, di collaborazione multistituzionale e multisettoriale, nonché può favorire la commercializzazione e la generazione dei prodotti applicati della ricerca scientifica.

Per di più, può indubbiamente incrementare la trasparenza della scienza e la sua apertura alla società e ai cittadini, in coerenza con quanto riconosciuto dalla nostra Carta costituzionale che, all'articolo 9, prevede che la Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica e, all'articolo 33, dispone che l'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento.

Già da più di un decennio l'accesso libero all'informazione scientifica è un obiettivo prioritario a livello globale alla luce dei dimostrati benefici. Ricordo come la Commissione europea, già nel 2012, ha adottato la raccomandazione sull'accesso all'informazione scientifica e sulla sua conservazione.

La Commissione ha evidenziato che l'accesso aperto ai dati della ricerca scientifica migliora la qualità dei dati, riduce la necessità di duplicazione delle attività di ricerca, accelera il processo scientifico, contribuisce alla lotta contro le frodi scientifiche.

La Commissione ha per questo invitato gli Stati membri a provvedere affinché l'accesso aperto alle pubblicazioni prodotte nell'ambito di attività di ricerca finanziate con fondi pubblici avvenga quanto prima possibile, raccomandando di provvedere affinché gli organismi di finanziamento della ricerca responsabili della gestione dei finanziamenti pubblici alla ricerca e le istituzioni accademiche che ricevono finanziamenti pubblici definiscano politiche istituzionali per la diffusione delle pubblicazioni scientifiche e l'accesso aperto alle stesse. Successivamente, è intervenuta la raccomandazione n. 2018/790 del 2018, appunto, che, nel sostituire la precedente, ne ha sostanzialmente confermato i principi.

La questione, come è noto, è stata affrontata e introdotta nel nostro ordinamento dall'articolo 4 del decreto-legge n. 91 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 112 del 2013. Il citato decreto, come manifesto, è intervenuto sull'argomento per la promozione dell'accesso aperto ai risultati della ricerca finanziata per una quota pari o superiore al 50 per cento con fondi pubblici.

Per ottimizzare le risorse disponibili e facilitare l'utilizzo da parte dei ricercatori e dei cultori delle informazioni scientifiche aggiornate, il Ministero per i beni e le attività culturali e il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca sono stati impegnati a sviluppare strategie coordinate per l'unificazione delle banche dati che gestiscono l'anagrafe nazionale della ricerca, il deposito legale dei documenti digitali e la documentazione bibliografica.

Oggi si rende necessaria una messa a punto di un'innovazione della normativa che è lo scopo della presente proposta di legge che il Governo sostiene convintamente. Difatti, la disseminazione e la divulgazione dei risultati più recenti delle scienze è uno dei componenti essenziali dell'equità di un sistema di ricerca scientifica che voglia aspirare a essere giusto. L'accessibilità dei contenuti ha, quindi, un fondamentale valore per lo sviluppo della ricerca e la possibilità di realizzare concreti progressi.

I cultori delle discipline agli esordi della loro carriera scientifica, quindi non ancora strutturati nel sistema accademico della ricerca, e coloro i quali sono in genere interessati a una determinata disciplina e vogliono rimanere aggiornati sugli sviluppi di questa devono poter agevolmente accedere a una conoscenza scientifica di qualità.

Quello a favore dell'open access è un movimento nato dal basso della rete Internet, volto a conseguire un'effettiva armonizzazione tra la ricerca e la più ampia partecipazione all'informazione - ribadisco - di qualità.

A questo movimento in Italia ci si è gradualmente mostrati maggiormente sensibili e questa proposta di legge è il frutto di questa rinnovata e recente sensibilità.

Al di là del problema sistemico e delle resistenze di una parte dell'editoria e del mondo accademico più conservatore, sono fermamente convinto che una legislazione più efficace e precipua può incoraggiare l'open access anche in Italia, così da scongiurare una condizione pericolosamente stagnante.

Voglio evidenziare, in tal senso, alcuni passaggi che considero particolarmente significativi di questa proposta di legge: mi riferisco alla previsione secondo cui il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, insieme al Ministero per i beni e per le attività culturali, dovrà adottare strategie coordinate per realizzare l'interoperabilità delle banche dati rispettivamente gestite; dovrà promuovere la creazione di un'infrastruttura nazionale per la diffusione e il ricorso all'accesso aperto alle pubblicazioni scientifiche adottando linee guida per rendere interoperabili le banche dati delle università e degli enti pubblici di ricerca, anche adottando i software di gestione già esistenti e promuovendone la creazione di nuovi; dovrà, inoltre, promuovere e favorire la creazione e l'adozione di sistemi ad accesso aperto, istituendo - e sottolineo - sistemi premiali per le università e gli enti pubblici di ricerca.

Auspico, quindi, che il dibattito in quest'Aula e, più in generale, in Parlamento sia proficuo e positivo per una migliore sistemazione e un più approfondito studio del testo e che quanto prima questa proposta diventi legge, nell'interesse principale della comunità scientifica e, più in generale, di tutta la collettività (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Casciello. Ne ha facoltà.

LUIGI CASCIELLO (FI). Grazie, Presidente, e ringrazio anche i colleghi che hanno permesso l'inversione degli interventi. Il provvedimento, pur limitandosi a prevedere l'accesso libero ai dati e ai progetti relativi a ricerche finanziate con fondi pubblici, si ispira essenzialmente al principio dell'accesso libero a tutte le informazioni e, quindi, a nostro parere, a una mancata disciplina di restrizioni legate alla proprietà individuale.

Il provvedimento è indubbiamente accolto con favore dal mondo della ricerca o, comunque, da parte di esso, che ne individua, però, alcune criticità e problematiche di tipo giuridico e di tipo organizzativo.

Andrebbe, a nostro parere, attentamente valutata la questione dei finanziamenti e delle risorse necessarie a sostenere l'accesso aperto: a carico di quali enti o di quali soggetti dovranno ricadere gli oneri in open access da realizzare mediante il gold road, cioè con pubblicazione immediata? Sarebbe, quindi, opportuno prevedere che tali risorse fossero aggiuntive rispetto al costo del progetto di ricerca in sé o che nei bandi fossero esplicitati i finanziamenti all'open access del prodotto della ricerca.

Rimane, inoltre, il problema del funzionamento del sistema a livello internazionale, che è motivo di denuncia da parte dei ricercatori italiani che sostengono che, mentre in Italia si fa ricerca, all'estero si fa innovazione. L'approccio dovrebbe, quindi, essere più coordinato a livello internazionale.

Da considerare, poi, lo specifico aspetto delle modalità della valutazione della ricerca in Italia, basato su sistemi bibliometrici. Bisogna tener conto del fatto che gli autori delle ricerche non pubblicano per ritorni economici, ma soprattutto spinti dal desiderio di accrescere la propria reputazione, soprattutto anche accademica.

A causa del sistema di valutazione basato su indici bibliometrici come l'impact factor o rating di riferimento, i ricercatori ambiscono a pubblicare in sedi editoriali di prestigio i cui editori non permettono facilmente di adottare la strada della pubblicazione immediata, del gold road.

Non solo: se una rivista ha un impatto e una diffusione internazionale più ampia ha costi più alti e di conseguenza chiede necessariamente remunerazioni maggiori per rientrare di questi costi. Appare evidente che ciò avrebbe ripercussioni sui costi delle ricerche per quanto riguarda la possibilità di pubblicazione immediata. Inoltre l'eventuale possibilità di pubblicare in riviste ad accesso aperto di qualità a costo molto più basso, dotato di altro modello di finanziamento, i cui costi non ricadono sul ricercatore e sui fondi di ricerca, non viene utilizzata proprio a causa degli attuali meccanismi della valutazione della ricerca. Non ultimo se l'editore ha sede all'estero - nella ricerca è facile che accada - non è detto che applichi la normativa italiana con quel che ne consegue per i ricercatori che, come già detto, pubblicano soprattutto per la fama scientifica prima che per motivi direttamente economici.

Per completare il quadro non si può comunque non dedicare parte del discorso al settore editoriale. Il mercato editoriale internazionale non si è ancora assestato. L'editoria scientifica italiana presenta invece delle specificità che la portano in parte a distinguersi dal settore europeo e internazionale: primo tra tutti l'aspetto delle dimensioni e delle necessità di considerare le differenze tra piccole e medie imprese editoriali e grandi gruppi. Quindi, va tenuto presente anche il peso di quanto viene editato dalle università. Da considerare con attenzione anche le differenti prassi editoriali tra discipline. In Italia l'editoria di ricerca riguarda soprattutto le discipline delle scienze sociali e umanistiche, con un fatturato importante, una vivace attività di export e costi contenuti. Appare quindi, a nostro avviso, auspicabile un approccio soft law, valutando le possibili ripercussioni in merito alla praticabilità delle politiche a favore dell'accesso aperto: un impatto sui costi e sui finanziamenti e contemporaneamente in un'ottica europea di scelte condivise nel contesto europeo delle politiche della ricerca, tenendo conto degli aspetti giuridici, economici e organizzativi. L'intervento normativo dovrebbe, quindi, tenerne conto e valutare le conseguenze considerando il suo impatto non solo sulla ricerca, ma anche sull'editoria. Tra l'altro, riteniamo che andrebbe chiarito quali sono i filtri adeguati e le forme di certificazione mirate in merito all'attendibilità delle riviste e delle ricerche pubblicate. La proposta ha abolito il requisito del numero minimo di due pubblicazioni annue previste dalla normativa vigente per definire una pubblicazione scientifica. Sarebbe, inoltre, auspicabile la previsione di un sistema che garantisca che i dati pubblicati abbiano affrontato un controllo di qualità e rispettino standard e attendibilità scientifica. Tra l'altro, ci fa piacere sottolineare - di questo ringraziamo l'intera Commissione e, in particolare, la maggioranza - che sia stata accolta la proposta emendativa di Forza Italia a prima firma dell'onorevole Saccani Jotti, perché prima era prevista una disposizione per accompagnare le politiche di accesso aperto all'informazione scientifica con un intervento in materia di divulgazione in forma scientifica a favore della collettività attraverso il canale radio-televisivo pubblico, la RAI. La formulazione, tra l'altro, proponeva di affidare ad una commissione, da istituire presso il Ministero dello Sviluppo economico, il compito di selezionare le migliori forme di diffusione della più recente informazione culturale e scientifica. Il problema è che questa proposta non trovavamo convincente, per usare un eufemismo, perché poneva non poche perplessità per la composizione, la collocazione istituzionale, l'efficacia di un simile organismo a fronte della complessità e dell'importanza culturale e sociale della comunità scientifica. Piuttosto che introdurre nuovi organismi con compiti assai delicati abbiamo preferito, per favorire l'interazione tra mondo della ricerca e società, puntare su una responsabilizzazione e valorizzazione del sistema della ricerca pubblica italiana in linea con le politiche dell'Unione europea e nazionali sul rapporto tra scienza e società, in particolare sulle università presenti sul territorio nazionale e sugli oltre venti enti nazionali di ricerca tra cui, per citarne alcuni, il CNR, l'Istituto di fisica nucleare, l'Istituto di geofisica e vulcanologia, l'Agenzia nazionale per l'energia e lo sviluppo sostenibile, l'ENEA, istituzioni pubbliche già attive sul fronte alla divulgazione scientifica che possono contribuire al dibattito pubblico su temi fondamentali per il futuro dell'umanità come l'energia, i cambiamenti climatici, il rapporto tra scienza ed etica nella biomedica, nella biomedicina aumentando la consapevolezza dell'importanza della scienza per lo sviluppo economico-sociale e stimolando anche i giovani ad impegnarsi in questo settore.

Abbiamo poi puntato, nella proposta emendativa accettata, su un potenziamento specifico degli spazi dedicati alla divulgazione scientifica nella programmazione del servizio pubblico radiotelevisivo da definire nel contratto nazionale di servizio tra il Ministero dello Sviluppo economico e la RAI, società concessionaria, assicurando il coinvolgimento del Ministero dell'Università e della ricerca che, tra l'altro, non era previsto nella proposta iniziale di legge. Riteniamo che l'approvazione dell'emendamento abbia contribuito per questo aspetto specifico ad una norma equilibrata che accompagna le politiche dirette a favorire l'accesso aperto e adatte alla ricerca scientifica, volte a ridurre i costi della ricerca, aumentare la qualità dei dati scientifici e accelerare il progresso scientifico, con ulteriori strumenti di valore culturale, sociale ed educativo e di sviluppo della consapevolezza civile. Tra l'altro, ci auguriamo che nel dibattito che si svolgerà in Aula possano essere rivisti i giudizi negativi della maggioranza e del Governo su altre proposte emendative che saranno sottoposte all'Aula in modo anche da superare le ulteriori criticità che riteniamo accompagnino la proposta di legge.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Piccoli Nardelli. Ne ha facoltà. Usi l'altro microfono.

FLAVIA PICCOLI NARDELLI (PD). Spegniamo questo. Benissimo. Presidente, Governo, colleghi, la proposta di legge A.C. 395 del MoVimento 5 Stelle a firma Gallo che propone modifiche all'articolo 4 della legge 7 ottobre 2013 n. 112 in materia di accesso aperto all'informazione scientifica e alla legge in materia di diritto d'autore, secondo il proponente, interverrebbe per garantire il libero accesso alla ricerca scientifica finanziata con risorse pubbliche, per potenziare la divulgazione scientifica in RAI, per modificare il diritto d'autore. Obiettivi troppo ampi, da un lato, e una lettura eccessivamente semplicistica, dall'altro, a nostro avviso, a fronte di una tematica, quella dell'open access, che da più di vent'anni almeno accompagna la riflessione sulla società della conoscenza e sui suoi contenuti, in sintesi sui processi sociali di gestione della conoscenza stessa dai modi in cui viene prodotta e utilizzata a come viene distribuita, con due scuole di pensiero contrapposte, Presidente. L'una vede nella conoscenza la principale risorsa sul mercato gestita secondo logiche di tipo industriale, che prevede leggi sulla libera concorrenza, sui brevetti, sulla proprietà intellettuale sia che si tratti di beni immateriali, codici, licenze d'uso, sia che si tratti di forme di conoscenza utilizzate all'interno di prodotti fisici, gli smartphone, per esempio. Dall'altra parte la scuola di pensiero che considera, invece, la conoscenza come il risultato di uno sforzo condiviso e collettivo, tesa a favorire la libera circolazione della conoscenza anche sul terreno delle pubblicazioni scientifiche, dei libri, degli articoli, dei paper, delle relazioni a convegni, letteratura grigia compresa, e di tutte quelle opere che nuove tecnologie aiutano a produrre in forme innovative. Le due concezioni si sono contrapposte e intrecciate in questi anni. La prima ha visto la progressiva estensione dei termini legali della durata del copyright, che oggi arriva fino a settant'anni dalla morte dell'autore; ha visto favorire concentrazioni editoriali sempre più massicce; ha sostenuto la diffusione di strumenti di misurazione dei risultati accademici basati su indici bibliometrici proprietari come l'impact factor; ha dovuto, infine, constatare l'aumento rapidissimo dei prezzi degli abbonamenti delle riviste scientifiche, cresciuti in maniera molto superiore all'inflazione.

L'altra concezione della conoscenza ha investito sull'open access, l'accesso aperto alla letteratura scientifica, con l'obiettivo di rendere le pubblicazioni scientifiche consultabili da chiunque in formato digitale a costi nulli o fortemente ridotti e con modalità di gestione dei diritti di proprietà intellettuale che le rendano liberamente riproducibili.

Noi, Presidente, sosteniamo che il tema è molto complesso, perché prevede interventi che riguardano autori, editori, scienziati, studiosi, lettori comuni, pubblico di non specialisti, bibliotecari, committenti e anche i finanziatori. Ricordiamo anche che il tema ha ormai una storia lunga alle spalle, in sede europea e in sede italiana: dalla Dichiarazione di Berlino ad oggi (vuol dire 2003-2019) il movimento internazionale nato in ambito accademico per promuovere la libera disponibilità online dei contributi scientifici ha fatto molta strada. Oggi quella dichiarazione, ripresa per l'Italia dalla Dichiarazione di Messina, è stata sottoscritta da oltre 70 fra università ed enti di ricerca italiani. Nell'ultimo decennio l'Unione europea ha impresso un'accelerazione molto netta alla promozione dell'accesso aperto: ne hanno parlato i miei colleghi prima di me, la Commissione ha sviluppato un'articolata politica a favore dell'open access applicandola ai progetti e ai programmi di ricerca Horizon 2020 e al Settimo programma quadro della Comunità europea per la ricerca e lo sviluppo tecnologico, chiedendo agli Stati membri di attuare precise misure a favore dell'accesso aperto.

L'azione europea ha avuto una prima tappa nella raccomandazione della Commissione sull'accesso all'informazione e sulla sua conservazione, la raccomandazione n. 417 del 2012, che chiedeva già allora di assicurare quanto prima possibile un accesso aperto alle pubblicazioni preferibilmente subito, e comunque non più di 6 mesi dopo la loro data di pubblicazione, periodo esteso a 12 mesi nel caso delle pubblicazioni nell'area delle scienze sociali e umane. Sono sempre questi i termini che tornano: 6 mesi per la parte scientifica, 12 mesi per la parte umanistica. La Commissione spingeva ulteriormente, subordinando il finanziamento dei progetti europei di ricerca al deposito degli articoli su archivi aperti; faceva sua la legislazione sul diritto d'autore, prevedendo il rimborso delle spese sostenute per la pubblicazione dei contributi in riviste open access, in base naturalmente alla golden road.

Nella XVII legislatura, in ottemperanza a quanto previsto da quella raccomandazione, il decreto-legge cosiddetto Bray sul valore cultura, convertito poi nella legge 7 ottobre 2013, n. 112, riprendeva il testo della raccomandazione europea. Su quel testo intervennero le Commissioni cultura del Senato prima e della Camera poi. Si modificava il testo del decreto-legge che prevedeva l'obbligatorietà del deposito dei risultati delle ricerche indicate in archivi elettronici entro 6 mesi, come dicevamo prima, come stabilito dalle raccomandazioni della Comunità europea, prevedendo 18 e 24 mesi per le pubblicazioni scientifiche e per quelle umanistiche. Al contempo si introduceva il comma 2-bis, che escludeva l'applicazione delle disposizioni di cui al comma 2 quando i diritti sui risultati scientifici fossero tutelati come diritti di proprietà industriale, la cui protezione fosse aggiunta attraverso il brevetto. Infine il comma 3, nel testo come modificato dal Senato, disponeva che al fine di facilitare il reperimento e l'uso dell'informazione culturale-scientifica, nonché di ottimizzare le risorse disponibili, il Mibac, in quel caso, e il MIUR adottassero strategie coordinate per l'unificazione delle banche dati che rispettivamente gestiscono.

La versione finale della norma sull'accesso aperto, che è quella tuttora vigente, era depotenziata rispetto al testo iniziale del decreto-legge, Presidente. Le resistenze erano nate non solo dall'editoria specializzata, che guardava con grande diffidenza all'accesso aperto, ma soprattutto da una porzione consistente del mondo scientifico, che continuava a preferire il sistema tradizionale di pubblicazione, percepito come maggiormente garante dell'autorevolezza delle riviste scientifiche che selezionano gli articoli da pubblicare. Per questo motivo non sono mancate le critiche di alcuni importanti esponenti del movimento open access.

Alcune notazioni si impongono. In questi anni si è fatto più evidente che l'open access sfrutta le potenzialità del web in termini di immediatezza di diffusione, di impatto e di gratuità; che proprio grazie alla rete si può pubblicare in open access sulle riviste ad accesso aperto, la golden road, e su archivi aperti, la green road.

Sono entrate nel mercato molte riviste ad accesso aperto, completamente finanziate da enti o da pubblicità, ed è d'altra parte cresciuto in questi anni il numero di istituzioni che si sono dotate di archivi elettronici aperti. In questo secondo caso, sono gli autori stessi che ripubblicano o archiviano i propri contributi in modalità aperta: è un modo, evidentemente, per riappropriarsi dei contributi da parte delle istituzioni che li hanno prodotti e finanziati.

D'altra parte un ampio dibattito riguarda anche le norme dettate dall'Anvur per la valutazione della ricerca scientifica e le regole previste dalle procedure di abilitazione scientifica nazionale. Gli autori spesso scelgono editori che pubblicano in modalità classica, come dicevamo prima, per veder garantito maggiore controllo sull'editing, pur potendo oggi conciliare tale modalità con la pubblicazione ad accesso aperto. Infatti, sempre più editori propongono politiche contrattuali che consentono il deposito degli archivi su piattaforme ad accesso aperto: ogni editore, Presidente, è classificato in base ad un colore, verde, blu, giallo o bianco, a connotare regimi che vanno da minori restrizioni (verdi) a maggiori restrizioni (bianco), per quelli che ammettono o vietano l'archiviazione o la pre-archiviazione o la post-archiviazione dei dati. Sempre più spesso anche le riviste tradizionali optano per un sistema ibrido, offrendo la cosiddetta opzione aperta. Oggi l'affermazione del modello di open access impone agli autori maggiore consapevolezza sui diritti che possono esercitare sui prodotti della propria attività intellettuale: è l'autore che deve trattenere per sé alcuni diritti, per consentirsi la possibilità di riutilizzi per motivi scientifici o per ragioni didattiche.

Un ulteriore punto desidero sottolineare, Presidente, che emerge dalla raccomandazione della Commissione europea: è necessario garantire da parte degli Stati nazionali una pianificazione finanziaria che assicuri infrastrutture elettroniche adeguate all'interoperabilità, alla diffusione e alla conservazione. Le forti spinte verso l'open access a livello nazionale si sono moltiplicate nel corso degli anni, sia col decreto direttoriale n. 197 del 2014 del MIUR relativo al programma Sir, che prevede l'obbligatorietà del deposito delle copie digitali di prodotti della ricerca in un apposito repository per le pubblicazioni scientifiche, che col bando PRIN del 2017, che impone a ciascun responsabile di unità progettuale di garantire l'accesso gratuito ed online ai risultati ottenuti.

L'ultima significativa spinta viene però dalla raccomandazione della Commissione europea n. 790 del 2018, quindi recentissima, che definisce obiettivi concreti, dà indicatori per misurare i progressi dell'open access, stabilisce i piani di attuazione ed espone la pianificazione finanziaria associata. Gli Stati membri, in base a questa raccomandazione, devono garantire una serie di indicazioni. Mi fermo solo a due. Tutte le pubblicazioni scientifiche derivanti dalla ricerca sostenuta da finanziamenti pubblici siano messe a disposizione in accesso aperto a partire al più tardi dal 2020. E la seconda: indipendentemente dal canale di pubblicazione, l'accesso aperto alle pubblicazioni, eccetera eccetera, sia concesso non appena possibile, preferibilmente al momento della pubblicazione e comunque non oltre i 6 mesi dalla data di pubblicazione, al più tardi entro 12 mesi per le scienze sociali ed umane; quindi ribadendo e riconfermando quello che già era presente nella raccomandazione del 2012.

In conclusione, Presidente, noi condividiamo le finalità della proposta di legge a prima firma Gallo; come si è ampiamente dimostrato, la normativa vigente è il frutto del lavoro del Governo a maggioranza del Partito Democratico nella scorsa legislatura; risponde a norme europee che noi condividiamo; ed è per questo motivo che in Commissione cultura abbiamo contribuito con nostri emendamenti alla definizione di questo testo di legge. Alcuni significativi emendamenti, tra quelli da noi presentati, sono stati prima bocciati nei lavori della Commissione per essere però poi riproposti nel testo finale come emendamenti del relatore, del che non posso non rallegrarmi, visto il buon senso di alcune delle indicazioni offerte.

Il nostro lavoro emendativo si è concentrato, ed è stato accolto, mi fa piacere dirlo, soprattutto sul comma 3-bis proposto dal MoVimento 5 Stelle per aumentare la divulgazione scientifica all'interno dei programmi della RAI.

Il testo della proposta di legge Gallo inizialmente stabiliva l'istituzione di una commissione - il testo è quello della prima proposta - per la divulgazione dell'informazione scientifica al fine di selezionare le migliori forme di diffusione della più recente informazione culturale e scientifica a favore della collettività da trasmettere attraverso il canale radiotelevisivo pubblico.

Il testo - vi ho dato soltanto tre righe centrali del testo - era comunque evidentemente discutibile, a nostro avviso, per le ambiguità di interpretazione che consentiva. La proposta emendativa del Partito Democratico ha voluto salvare gli obiettivi previsti, evitando i rischi di un indebito controllo sull'informazione scientifica.

L'ultima versione del provvedimento, frutto delle modifiche proposte dal relatore, ne amplia ulteriormente la portata, pur rimanendo all'interno delle norme già previste dal contratto nazionale di servizio, stipulato in base all'articolo 45 del decreto-legge n. 177, del 2005, della RAI con il MISE, che viene rinnovato ogni cinque anni.

Il testo finale del provvedimento propone quattro commi aggiuntivi - Presidente, vado veloce - per coprire i costi della realizzazione della manutenzione di un'infrastruttura nazionale, utilizzando per il 2019 risorse che provengono dall'autorizzazione di spesa relativa al reclutamento da parte del MIUR di nuove unità di personale amministrativo, per il 2020 mediante corrispondente riduzione dell'incremento del Fondo per il funzionamento delle istituzioni scolastiche, dal 2021 mediante corrispondente riduzione del Fondo speciale di parte corrente, utilizzando parte dell'accantonamento di pertinenza del MIUR.

La proposta del MoVimento 5 Stelle infatti prevede un finanziamento di 1 milione di euro per quest'anno e di 200 mila euro annuali a partire dal 2020, a nostro avviso troppo poco per garantire una pianificazione finanziaria che tenga conto delle necessità prospettate.

Infine, il provvedimento in esame inserisce un articolo, il 42-bis, nella legge n. 633 del 1941, sul diritto d'autore, disponendo che l'autore di un'opera scientifica pubblicata in un periodico, che sia il risultato di una ricerca finanziata con fondi pubblici per una quota almeno pari al 50 per cento, ha il diritto, purché senza fini commerciali, di renderla disponibile gratuitamente al pubblico nella rete Internet, in archivi elettronici istituzionali o disciplinari con accesso aperto, dopo che essa è stata messa a disposizione gratuita del pubblico da parte dell'editore o comunque dopo un periodo non superiore a sei mesi dalla prima pubblicazione a titolo non gratuito, quando si tratta di opere delle aree disciplinari scientifiche eccetera eccetera. Nell'esercizio di tale diritto l'autore deve indicare gli estremi della prima edizione e specificare il nome dell'editore. Il comma 2 dispone che l'autore rimane titolare del suddetto diritto anche qualora abbia ceduto in via esclusiva i diritti di utilizzazione economica della propria opera all'editore o al curatore. Dispone, altresì, che le clausole contrattuali pattuite in violazione delle previsioni del comma 1 sono nulle. Si tratta naturalmente di previsioni volte a tutelare l'autore.

Come pare evidente, Presidente, molto è stato già fatto, per cui alcune delle disposizioni presenti nel testo dell'atto Camera 395, a firma dell'onorevole Gallo, appaiono pleonastiche rispetto ad alcune delle norme vigenti, come al contratto di servizio della RAI, per esempio.

Noi quindi condividiamo l'obiettivo dell'intervento legislativo, ma segnaliamo che lo strumento è inadeguato in questi termini a guidare una transizione che tenga conto delle dinamiche del mercato e soprattutto dei criteri di valutazione della ricerca che condizionano i ricercatori. Bisognava forse, a nostro avviso, avere più coraggio, allargando gli orizzonti del provvedimento anche in relazione alle iniziative intraprese dall'Unione europea. E siamo convinti che sarà necessario un attento monitoraggio nella fase di applicazione delle nuove disposizioni, per evitare effetti indesiderati, quali possibili aumenti, ad esempio, del costo di pubblicazione in open access. Quindi, il provvedimento rimane, a nostro avviso, un'occasione mancata rispetto ad aspetti che l'open access porta con sé, sia a proposito - come dicevamo - della valutazione delle opere scientifiche per le carriere universitarie sia per quanto riguarda le norme relative alla proprietà intellettuale riconosciuta dal diritto d'autore.

Sono questi, Presidente, i motivi per cui, pur apprezzandone le motivazioni, il Partito Democratico non può riconoscersi in questo articolato (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico e di deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Basini. Ne ha facoltà.

GIUSEPPE BASINI (LEGA). Onorevole Presidente, onorevoli colleghi vicini e lontani, negli ultimi duecento anni c'è stato un cambiamento profondo non solo nella scienza e nelle sue regole ma nella diffusione dei risultati scientifici. Ad esempio, l'enorme aumento non solo degli addetti alla ricerca, ma della specializzazione ha provocato ovviamente dei cambiamenti profondi, se si pensa che all'inizio della rivoluzione industriale non si poteva neanche parlare di rapporti tra università, perché era tra singoli professori che ci si parlava e ci si diffondevano reciprocamente i risultati. La chiara fama era l'unico criterio per prendere in considerazione o no un elaborato scientifico. È chiaro che la cosa non poteva durare, dato l'enorme aumento delle pubblicazioni scientifiche, e così entrò in funzione la figura, per quei tempi nuova, del referee, dello scienziato sotto contratto di quella società editrice che certificava la validità o meno di un certo lavoro. È rimasta abbastanza famosa negli ambienti accademici l'orgogliosa e forse anche un pochino arrogante risposta di Albert Einstein a una rivista che gli comunicò di aver mandato un suo lavoro a un referee. Einstein finse di non capire di cosa si trattasse e scrisse che, non avendo lui autorizzato la diffusione privata di copie prima di quella pubblica, ritirava l'articolo da quella rivista per mandarlo a un altro. Einstein se lo poteva permettere, ma in generale la regola di avere dei referee non era sbagliata, perché una totale anarchia nelle pubblicazioni non riuscirebbe a distinguere tra chi presenta, ad esempio, una seria, approfondita e lunga ricerca sul cancro da chi propone - e c'è stato - di curare il cancro con il bicarbonato.

Allora le riviste scientifiche hanno in effetti un ruolo, perché non è solo una questione di diffusione, ma è una questione di diffusione e di certificazione. Di diffusione perché generalmente uno scienziato va a guardare gli articoli pubblicati da una rivista di gran nome, perché la possibilità di perdere il suo tempo nel leggere qualcosa senza validità è diminuita, perché effettivamente le riviste di gran nome fanno una selezione utile attraverso i referee, e le più quotate ne hanno addirittura due, che possono diventare tre se il parere dei due è discorde. Tuttavia, il sistema non è perfetto. Anzitutto c'è il problema della diffusione dopo la pubblicazione. Perché? Perché sono diventate così tante le riviste, soprattutto le riviste specializzate, quelle cioè che, ad esempio, in fisica non parlano di fisica in generale ma di astrofisica o di fisica nucleare, delle basse energie o di tecnologie nucleari, che solo i Paesi estremamente ricchi e le istituzioni universitarie o scientifiche estremamente ricche possono permettersi di fare una grande quantità di abbonamenti, che sono costosi. Quindi anzitutto c'è un blocco alla diffusione dovuto alla maggiore o minore ricchezza di un laboratorio o di una università, e non è cosa da poco, perché il ricercatore, se l'istituzione di cui fa parte non paga l'abbonamento, semplicemente non trova la pubblicazione, non la può leggere. Non solo, c'è anche un blocco a monte, non solo quello a valle.

Non vi citerò i nomi né il nome della rivista, ma è rimasto abbastanza conosciuto nell'ambiente scientifico che due accademici di grande valore, due scienziati importanti, come abbiano mandato un articolo scientifico con firme false - non con i loro veri nomi - a una rivista scientifica celebrata, e la rivista ha respinto l'articolo.

Qualche mese dopo lo hanno mandato con le loro vere firme ed è stato accettato con tutti gli onori. Cosa vuol dire questo? Che, in realtà, la tendenza è a comportarsi come i saggi di Salamanca, che bocciarono il progetto di Cristoforo Colombo perché, sostanzialmente, credevano ancora al modello tolemaico della terra piatta. Salamanca è sempre in agguato. Allora, dico che questo progetto di legge non è sbagliato, anzi, è da appoggiare, perché non incide sulla parte buona dell'attuale sistema, e cioè quello di riviste con referee e che permettono a chi si vuole informare, a chi lavora nel settore, di non rischiare di sprecare il 90 per cento del suo tempo a leggere l'articolo di cui solo dopo un'analisi critica si accorge che non valeva nulla. D'altro canto, permette dopo un certo periodo di tempo, io trovo ragionevole, sei mesi o un anno, a seconda del settore, di pubblicarlo, perché, se, ad esempio, mi trovo a dover presentare un lavoro scientifico in televisione, lo posso fare se ho ceduto tutti i miei diritti a una rivista? Forse no. Se sono un istituto scientifico che ha pagato tanti soldi per fare un esperimento, molti di più di quelli che spende la rivista, perché fare un esperimento oggi è una cosa costosissima nel campo, ad esempio, delle particelle elementari; insomma, che io non abbia nessuna proprietà su una cosa che ho finanziato io non è giusto. Quindi, credo che il modello di open access dopo la pubblicazione su una rivista specializzata sia un ottimo compromesso, mentre; invece, credo poco – credo poco – alla pubblicazione in open access prima, perché il numero di castronerie che verrebbero diffuse, probabilmente, crescerebbe esponenzialmente. Quindi, trovo il provvedimento di legge bilanciato, ragionevole. Vorrei solo aggiungere una cosa: credo che sia opportuna questa legge, che sostanzialmente inibisce la possibilità per una rivista di fama di farti firmare un contratto capestro nel quale o tu accetti che il copyright sia loro o non te lo pubblicano, però forse dovremmo fare anche qualcosa di più. Infatti, la funzione di certificazione è indubbiamente utile, ma le nazioni che non hanno uno strumento di certificazione sono in balia di coloro che ce l'hanno. L'Italia ha avuto, per decenni e decenni, una rivista, che era Il Nuovo Cimento, che era la nostra rivista nazionale scientifica, divisa in tanti tipi a seconda delle discipline, che effettivamente svolgeva questa azione per l'Italia. Il Nuovo Cimento non c'è più, nel senso che si fuse in una più grossa realtà chiamata Europhysics Letters, però non sarebbe male - questo è solo un auspicio, non riguarda questa legge - che un domani l'Italia non si limitasse all'open access dopo la pubblicazione, ma si dotasse, in futuro, con una spesa che non è enorme, comparata soprattutto alle grandi spese che l'Italia fa in ricerca, per avere di nuovo uno strumento nazionale di diffusione certificata degli articoli scientifici. Termino solo con un'ultima cosa, che riguarda non solo questa legge, che trovo buona da votare e penso che possano votarla tutti, ma riguarda anche il dibattito al punto precedente, quello sulla tecnologia informatica insegnata nelle scuole.

Credo che sia molto giusto farlo, ma non a detrimento delle discipline tradizionali, perché, è vero, l'informatica è un linguaggio, ma come conoscere l'inglese senza sapere chi era Jefferson o Shakespeare ti può aprire la strada ad un bar, non l'università, allo stesso modo non avere conoscenze di filosofia o di storia non ti permette, probabilmente, di utilizzare quello strumento bene. Studiare lo strumento è più che giusto, sono favorevole anche a quello, ma attenzione che non diventi l'oggetto principale dell'insegnamento, perché è pericolosissimo (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Mollicone. Ne ha facoltà.

FEDERICO MOLLICONE (FDI). Grazie, Presidente. La proposta di legge che qui oggi dibattiamo vuole riformare le disposizioni in materia di accesso aperto all'informazione scientifica, il cosiddetto open access. Prendo spunto dalle parole di uno dei maggiori attivisti per l'accesso libero alla scienza, il giovane e compianto programmatore Aaron Swartz: l'informazione è potere, ma, come per ogni tipo di potere, c'è chi vorrebbe tenerla per sé. L'intera eredità scientifica e culturale del mondo pubblicata nel corso dei secoli in libri e riviste è sempre più digitalizzata e resa inaccessibile da parte di una manciata di società private. Infatti - aggiunge Swartz - abbiamo iniziato a vedere il potere centralizzarsi in siti come Google, questa sorta di portinai che ti dicono dove trovi in Internet, dove vuoi andare.

Ma, nonostante questo, nonostante siamo d'accordo con questi principi, e quindi il principio dell'uso della rete come luogo di libertà, Fratelli d'Italia si asterrà, e lo diciamo subito, su questa proposta di legge, perché riteniamo che lo spirito della proposta sia condivisibile, ma le nuove norme non trovano la giusta misura nel contesto nazionale. Valutiamo, inoltre, che la diversione dei fondi dedicati alla realizzazione delle disposizioni presenti sia non adatta, e inadeguata rispetto alle urgenze che affliggono il mondo della scuola, della ricerca e delle università. La valutazione della V Commissione (Bilancio) evidenzia come la disposizione riduca inoltre di 0,2 milioni di euro per il 2020 l'incremento del fondo per il funzionamento delle istituzioni scolastiche inserito nella legge di bilancio.

Non possiamo dibattere di open access e scienza aperta mentre migliaia di operatori della scuola vivono in completa precarietà, senza, quindi, trovare fondi altri. Per intenderci, colleghi, se c'è questa forte volontà, da parte della maggioranza e del Governo, di realizzare questo nuovo sistema in ottemperanza anche alle normative europee, e quindi di favorire l'open access, forse si potevano trovare altri fondi piuttosto che andarli a togliere alle nuove assunzioni del MIUR o andarli a togliere ai fondi per l'istituzione scolastica. Quindi, questo dimostra che, nella frenesia di fare, partendo pure da impostazioni condivisibili, e lo abbiamo detto in Commissione e lo abbiamo ripetuto qui, poi si arriva a risultati non buoni per la scuola italiana. E questo lo dimostra perché dove si prendono i soldi è importante.

Chiediamo, quindi, ai colleghi della maggioranza di tenerne conto anche nel corso dell'ulteriore dibattito. Inoltre, in merito alle misure di potenziamento dell'informazione da realizzare nell'ambito del contratto di servizio con la RAI anche con l'intervento di università ed enti pubblici di ricerca, andrebbero acquisiti elementi volti a suffragare la realizzabilità di tali iniziative da parte dei soggetti interessati nell'ambito delle risorse già esistenti. Vigileremo, quindi, sull'attuazione della legge per evitare che nei vari programmi di intrattenimento si divulghino informazioni non corrette e che i soldi delle tasse di tutti noi siano spesi per produrre programmi che diffondono, magari, pseudoscienza o strane tesi sui vaccini. E qui un altro inciso è doveroso: è singolare che la forza politica che in passato, quando era opposizione e, talvolta, anche in alcuni segmenti attuali, nonostante poi le recenti notizie di cronaca, si era battuta per la liberalizzazione, per l'abolizione dei vaccini, e con posizioni talvolta oltre la scienza, sia la stessa forza politica che oggi, invece, promuove la divulgazione massima del sistema scientifico accessibile a tutti. Probabilmente si tratta di una redenzione verso la scienza, e ne siamo contenti. Il provvedimento riforma in maniera sostanziale proprio i temi, come abbiamo visto, dell'open access, ovvero la scienza aperta. Un po' di italiano, anche se si tratta di una materia internazionale. La normativa ora vigente prevede, tra l'altro, che i soggetti pubblici preposti all'erogazione e alla gestione dei finanziamenti della ricerca scientifica adottino le misure necessarie per la promozione dell'accesso aperto ai risultati della ricerca finanziata per una quota pari o superiore al 50 per cento con fondi pubblici, come abbiamo sentito anche dal relatore.

Quando documentati sui periodici a carattere scientifico che abbiano almeno due uscite annue, l'accesso aperto si realizza sia tramite la pubblicazione da parte dell'editore al momento della prima pubblicazione sia tramite la ripubblicazione in archivi elettronici istituzionali o disciplinari secondo le stesse modalità, entro diciotto mesi dalla prima pubblicazione per le pubblicazioni per certe aree disciplinari.

La norma qui in discussione rinnova parte dell'articolo 4 del disegno di legge n. 91 del 2013, estende a quanto già previsto nel testo vigente della disposizione, con riferimento a periodici a carattere scientifico, prevedendo che la promozione dell'accesso aperto ai risultati della ricerca scientifica finanziata per una quota pari o superiore al 50 per cento con fondi pubblici avvenga in modo tale che anche le pubblicazioni scientifiche, gli atti di convegni e materiali audio e video, legati alla ricerca e alla divulgazione scientifica, siano accessibili gratuitamente da parte dell'utente.

A questa disposizione si aggiunge anche la riduzione dei termini decorrenti dalla prima pubblicazione previsti nel testo vigente per la ripubblicazione del materiale negli archivi elettronici istituzionali o disciplinari, in particolare da 18 a 6 mesi, per le aree disciplinari tecnico-scientifiche, e da 24 a 12 mesi per le aree umanistiche. Prevedevate inoltre, e lo ha sottolineato la collega Piccoli Nardelli, addirittura di istituire una Commissione per la divulgazione dell'informazione scientifica, con il compito di individuare le migliori forme di diffusione, letterale, dell'informazione culturale e scientifica attraverso i canali del servizio pubblico radiofonico, televisivo e multimediale, e si afferma che lo sviluppo della cultura corrisponde a finalità di interesse generale e che la ricerca scientifica deve essere considerata non solo una materia ma anche un valore costituzionalmente protetto dagli articoli 9 e 33 della Costituzione, rilevante a prescindere da ambiti di competenza rigorosamente delimitati.

Anche qui, colleghi della maggioranza, io capisco che siete una costola della sinistra e che forse la sinistra, nel corso della storia, ci abbia abituato ai Minculpop; faccio riferimento alla sinistra e anche ad altri regimi precedenti: Minculpop è diventata un'espressione che li comprende tutti ma potremmo anche parlare dei Soviet, parlare insomma di una visione unica, di un pensiero unico che porta a singolari anomalie, per cui volevate istituire una Commissione di controllo dei contenuti sulla Rai - ma davvero - e poi, invece, il vostro Ministero di riferimento, il MiBAC, abolisce il Consiglio nazionale sul cinema, che invece i colleghi del Partito Democratico avevano pensato bene di istituire per orientare gli indirizzi nel cinema e lo hanno fatto anche nello spettacolo dal vivo. Noi fummo contrari sia all'uno e all'altro, però, avete questa tendenza a emulare chi vi ha preceduto e, quindi, tutt'altro che Governo del cambiamento.

Se la libertà della scienza deve essere totale, così come dite, come prevede anche l'Unione europea, non si capisce perché poi la stessa libertà non la garantiate anche nella diffusione; volevate una Commissione che controllasse i contenuti, ma è una singolare aporia.

Durante il dibattito in Commissione ho voluto evidenziare la necessaria cautela nell'affrontare il tema della divulgazione delle informazioni scientifiche, evidenziando i rischi connessi alla possibile propagazione di tesi non verificate e prive di fondamento; in tempi come i nostri, dove persino la verità scientifica è messa in discussione, esiste un vero pericolo nella diffusione di false informazioni e la mancanza di attenzione verso la centralità della competenza scientifica nella ricerca e nell'istruzione.

Un esempio, per avere un riferimento concreto: la BBC, nel 2010-2011 commissionava un esame della comunicazione scientifica all'interno del trust e rispondeva alle raccomandazioni, introducendo procedure per garantire l'indipendenza della comunicazione scientifica. Ritengo d'altra parte positivo il tentativo di scardinare il vigente regime di pubblicazione che, a volte, è servito a costruire carriere più che a servire la scienza e l'esempio che il collega Basini ha ricordato è esemplare in questo.

Non possiamo, dopotutto, non tenere conto della peculiarità del mercato editoriale italiano in campo scientifico, molto diverso da quello di altri Paesi europei; in sostanza, quello che abbiamo provato anche a cercare di farvi recepire in Commissione, ma l'avete respinto, è che, in Italia, magari il sistema editoriale, anche quello scientifico, è diverso da quello europeo e da quello internazionale e, quindi, probabilmente, sui tempi si poteva trovare una sintesi e dargli una transizione migliore. Questo era il senso del nostro emendamento, che abbiamo riproposto in Aula; sicuramente non verrà approvato, ma era anche un'attenzione verso un tema, quello della transizione del mercato verso una logica e una filosofia, come abbiamo sentito dal relatore, che sostanzialmente condividiamo. E, quindi, è quella della filosofia dell'accesso, che in realtà non può essere garantita in Italia con gli stessi tempi.

Al di là di questo, pensiamo che sia importante arrivare a una applicazione di questa legge che rispetti anche la transizione del mercato editoriale. Vedete, io sono tra i più estremisti dell'innovazione e ne parleremo tra qualche giorno con il testo di legge abbinato al testo Piccoli Nardelli, sulla promozione della lettura; lì, grazie anche poi alla proposta che è stata fatta da un altro collega in Commissione, ci sarà anche un'indagine conoscitiva sull'innovazione digitale, avremo modo di vedere i ritardi sul piano digitale della scuola, sull'editoria scolastica; sono temi di estrema attualità e correlati a questo, però, poi ci vuole coerenza. Non potete stringere e obbligare gli editori italiani a dei tempi europei e senza transizione e, poi, invece, non attivarvi perché il Piano nazionale digitale sia realmente applicato. E sappiamo tutti qual è la truffa editoriale, digitale che oggi abbiamo, non per colpa degli editori, ma perché non c'è stata una reale transizione, non ci sono stati fondi sufficienti; quindi, forse dovremmo lavorare, e dovreste lavorare su questo fronte perché la vera innovazione, come è stato ricordato anche prima, con una bella citazione, dal sottosegretario Giuliano, avviene nelle classi, avviene nella scuola che è la prima base, la prima fabbrica della conoscenza, per cui se non cambia la scuola non cambia il mondo. Quindi, dobbiamo assolutamente batterci per una vera innovazione che rispetti la tradizione e rispetti ovviamente il lavoro altrui.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Melicchio. Ne ha facoltà.

ALESSANDRO MELICCHIO (M5S). Grazie, Presidente. Rappresentante del Governo, colleghe e colleghi, con l'open access vogliamo continuare su quella strada del cambiamento che ci vede opporci a ogni tipo di oligopolio, in questo costo gli oligopoli del sapere, li citava prima il relatore.

Nell'attuale sistema, le pubblicazioni servono principalmente alle istituzioni e ai ricercatori per valutare, e soprattutto, a essere valutati, e le pubblicazioni scientifiche servono, più che da organi di diffusione della cultura e della scienza, da piattaforme di controllo dell'accesso alla conoscenza. E, anche in questo senso, l'open access potrebbe far funzionare meglio il sistema della ricerca migliorando le infrastrutture della comunicazione. Cosa ancora più importante, apre le porte alla speranza: con l'accesso aperto, si apre alla possibilità di riparare molte delle iniquità e delle ingiustizie che sono proprie della barriera della conoscenza che separa il “centro” del sapere dalle periferie finora escluse.

D'altronde, l'open access, come nuovo sistema di archiviazione e diffusione di conoscenze, nasce proprio sotto una triplice spinta di democratizzazione della condivisione dei risultati della ricerca e della possibilità di innovare le modalità di trasmissione dei risultati della ricerca scientifica, di una velocizzazione dei processi di pubblicazione e come reazione ai crescenti costi di abbonamento alle riviste più prestigiose, la cosiddetta serials pricing crisis.

In realtà, il sistema attuale di comunicazione scientifica presenta più di qualche incrinatura ed è essenziale per poter pensare e proporre soluzioni alternative nell'interesse prima di tutto di una scienza più efficace per il bene della società intera.

I prezzi - sempre più alti - di abbonamento alle riviste sono costi che influenzano in modo negativo il fattore di impatto entro le comunità scientifiche e che aumentano il digital divide fra Paesi info-ricchi e paesi info-poveri.

Anche in Italia, comunque, Paese collocato entro la sfera dei Paesi ricchi o sviluppati, la ricerca scientifica è gravata da pesanti problematiche che rendono poco fluida la comunicazione dei processi di ricerca tra comunità e il riutilizzo dei risultati che dovrebbero, invece, essere messi a disposizione nel modo più ampio possibile.

È innegabile come negli anni Cinquanta gli editori commerciali siano riusciti a trasformare i periodici scientifici in un big business. La cosiddetta “crisi dei periodici” è un dato di fatto: denunciata dai bibliotecari, benché spesso negata dagli editori commerciali, ci accompagna ormai da un lungo periodo, anche se si è presa coscienza della gravità del problema nell'ultimo decennio.

La storia della comunicazione scientifica ha messo in evidenza la criticità del forte legame instauratosi fra autori, editori commerciali e organi accademici nel corso dei secoli e la necessità di un cambiamento per contrastare la crescita dei costi degli abbonamenti e delle licenze di accesso alle pubblicazioni scientifiche. Un'analisi di Jean-Claude Guédon mise in evidenza alcuni concetti fondamentali per comprendere l'attuale modello della comunicazione scientifica: primo fra tutti, esso non è nato con finalità commerciali né in un ambiente commerciale è stato sviluppato, ma è stato semplicemente adottato e adattato dagli editori per poter essere sfruttato economicamente; in secondo luogo, le nuove tecnologie consentono a università e centri di ricerca di farsi carico dei processi necessari alla pubblicazione dei contributi scientifici che in passato avevano incautamente delegato a soggetti esterni.

Ma io vorrei anche invitare a ragionare sulle singole parole che compongono il cuore di questa proposta: “open access”. Perché “open”? Perché il valore dell'apertura e della condivisione è fondamentale. Forse non tutti sanno che Tim Berners Lee nel 1989 aveva ideato il protocollo “http”, ciò che tecnicamente fa funzionare il web, come strumento interno di scambio di documenti fra i gruppi di lavoro del CERN di Ginevra, dove allora lavorava. Riuscite a immaginare la nostra vita oggi se Berners Lee e il CERN avessero deciso di tenere chiuso, com'era inizialmente, il web invece di aprirlo e renderlo disponibile per tutti noi?

E, allora, la parola “open” ci dice che i ricercatori collaborano, la conoscenza viene condivisa e la scienza viene organizzata. Riguarda l'intero ciclo della ricerca e tutti gli attori coinvolti, accresce le potenzialità della scienza creando più trasparenza, apertura, connessioni di rete e collaborazione. Ma, soprattutto, “open” ha a che fare con l'idea del bene comune, così caro al MoVimento 5 stelle, con la logica della condivisione per il progresso e per il bene di tutti, con l'idea che la conoscenza di ogni genere venga condivisa appena possibile, che è opposta alla logica della competizione sfrenata. C'è una definizione canonica che dice: “Scienza aperta significa dati e testi che possono essere liberamente usati, modificati e condivisi da chiunque per qualsiasi fine”, ma soprattutto “la scienza aperta dipende da menti aperte”, come disse Neelie Kroes, ex vicepresidente della Commissione europea nel 2014, che rafforzò il suo concetto sostenendo anche che l'informazione scientifica ha il potere di migliorare la nostra esistenza ed è troppo importante per essere tenuta sotto chiave. Inoltre, ogni cittadino dell'Unione europea ha diritto di accedere e trarre vantaggio dalla conoscenza prodotta.

I benefici, quindi, sono tutti per la scienza stessa che diventa più trasparente, verificabile e riproducibile, oltre che più rapida ed efficiente, e contribuisce, quindi, a un'accelerazione del processo di creazione della conoscenza come per la società intera, intesa come cittadini, aziende e amministratori che possono prendere decisioni più obiettive sulla base dei dati, insegnanti e professionisti che possono tenersi aggiornati, operatori sanitari e medici che possono curarci meglio, imprese che, usufruendo dei risultati della ricerca e combinandoli con le loro specifiche competenze, possono offrire prodotti più innovativi.

Quindi, è proprio in quest'ottica che la conoscenza è un bene comune e la comunicazione scientifica è una grande conversazione: quindi, più è aperta più è ricca! Le idee circolano prima e le idee circolano di più perché sono accessibili a tutti.

La creazione di conoscenza risulta più accelerata e anche le citazioni dei lavori scientifici crescono in modo esponenziale perché va da sé che un accesso libero si traduce in un numero maggiore di lettori e, quindi, di potenziali riutilizzatori. Avremmo una scienza più solida perché basata sui dati anziché sulla loro interpretazione, più trasparente perché ci sarebbe un controllo maggiore sulla validità di questi dati, più interdisciplinare perché lo stesso set di dati può essere interpretato da ricercatori di diverse discipline, più riproducibile perché i dati sono a disposizione di chiunque voglia ripetere l'esperimento, cosa che è alla base della scienza stessa.

La seconda parola di questo binomio, “access”, rimanda, invece, all'idea di accesso alla conoscenza. Voglio far notare, per inciso, che la ricerca è un processo incrementale, ovvero un ricercatore prosegue da dove gli altri sono arrivati. Avere accesso ai risultati non è quindi accessorio ma necessario. In caso contrario, invece, rischieremmo di reinventare la ruota ogni giorno. Ma un esempio può essere fatto con l'incidente nucleare di Fukushima dell'11 marzo 2011. Il giorno successivo alcuni grandi gruppi editoriali resero disponibili gratuitamente gli articoli sulla contaminazione nucleare ma questo significava che fino al giorno prima questi articoli erano chiusi a doppia mandata dietro riviste i cui abbonamenti, dell'ordine di migliaia di dollari all'anno, nemmeno l'Università di Harvard poteva più permettersi.

Forse non tutti sanno che, per restare agli esempi, Einstein scrisse la teoria della relatività mentre lavorava ad un ufficio brevetti. Se non avesse avuto accesso a quelle informazioni necessarie per la sua ricerca, credete che avremmo potuto ugualmente beneficiare del suo genio allo stesso modo? Oggi nessuno studioso potrebbe accedere come poteva fare lui - e qualcuno addirittura lo descrive come un grande assemblatore - all'informazione scientifica se non è afferente a istituti di ricerca che spendono decine se non centinaia di migliaia di euro in abbonamenti a riviste.

Bisogna, comunque, sottolineare che l'accesso aperto non è un modo di pubblicare più economico o, come molti credono, di seconda classe. Si tratta semplicemente di un modo per mettere a disposizione di tutta la comunità accademica in rete i risultati della ricerca per un confronto aperto e utile a una crescita collettiva in termini di progresso scientifico e tecnologico. “Ed è la stessa Europa che ce lo chiede”, per citare i membri di diverse forze politiche a noi opposte che usano questa frase solo quando conviene. Noi vogliamo andare proprio nella direzione indicata dalla raccomandazione europea in questo campo - e i miei colleghi l'hanno citata più volte - che è la raccomandazione n. 790 del 2018 che, nel sostituire la precedente (del 2012), ne ha sostanzialmente confermato i principi. Per quanto riguarda i tempi entro cui deve avvenire la ripubblicazione online a titolo gratuito, la raccomandazione ha specificato che gli Stati membri dovrebbero garantire che l'accesso aperto alle pubblicazioni derivanti da ricerche sostenute da finanziamenti pubblici sia concesso non appena possibile, preferibilmente al momento della pubblicazione e, comunque, non oltre i sei mesi dalla data di pubblicazione e, al più tardi, entro dodici mesi per le scienze sociali e umane.

Con questo testo recepiamo proprio tale raccomandazione ma nel farlo ci scontriamo con chi vuole proteggere quella lobby che si è ancora una volta arroccata su pretesti anacronistici e costi di stampa sempre più elevati, benché siano sempre più marginali nell'era dell'informazione digitale. Si è tentato, infatti, di farci passare per censori e questo testo è stato accusato in maniera ingiusta da un senatore del Partito Democratico - e magari lo invito a leggere meglio il testo dopo che la Camera lo avrà licenziato - di voler controllare l'informazione quando, invece, basterebbe leggere il testo della proposta di legge. Infatti, si va nella direzione dell'apertura massima all'informazione e semmai verso una maggiore diffusione dei risultati scientifici e non certo di censura. Siamo stati accusati di voler soffocare le informazioni attraverso il taglio dei finanziamenti pubblici all'editoria.

Quale risposta più efficace di questa? Ancora una volta con malafede siamo di fronte al fatto compiuto che smentisce la falsità di chi ancora una volta pensa di fare politica raccontando frottole. Non si tratta di redenzione: più probabilmente quello sul MoVimento 5 Stelle era un giudizio precedente sbagliato. Quando diciamo che finanziare l'informazione con soldi pubblici vuol dire controllarla ed asservirla a quei partiti che ne permettono l'erogazione, stiamo invece facendo un'operazione di libertà ossia stiamo cercando di rendere maggiormente accessibile l'informazione affinché si abbia la possibilità di scegliere cosa pubblicare, guardando ai propri lettori e non a chi l'ha finanziata. In altre parole stiamo emancipando l'informazione dal controllo del padrone e, invece, la stiamo legando alla qualità; stiamo favorendo chi fa buona informazione e riesce per questo a raccogliere i proventi dai suoi lettori. Affossiamo chi invece non si cura della qualità della sua informazione perché tanto i soldi gli arrivano attraverso finanziamenti pubblici e si può permettere di sprecare carta e inchiostro per scrivere oscenità: ne abbiamo visti tanti purtroppo di esempi negli ultimi mesi e settimane da parte di entità che si fanno chiamare “giornali” e che arrivano finanche al paradosso di definirsi “liberi”, nonostante elargiscano gratuitamente insulti razzisti. Dobbiamo superare il paradosso che il pubblico finanzi la ricerca e, quindi, la produzione di articoli scientifici e poi lo stesso pubblico debba, attraverso università ed enti pubblici di ricerca, pagare per accedervi tramite abbonamenti a riviste. La situazione che si delinea è la seguente: viene sovvenzionata la ricerca effettiva; viene pagato l'editore per organizzare la validazione dei risultati effettuata comunque da pari dei membri del mondo accademico che per questa attività non percepiscono alcun compenso; il ricercatore oltre a non essere pagato per il contributo pubblicato spesso contribuisce economicamente alla pubblicazione stessa; la biblioteca del ricercatore acquista il periodico con l'articolo pubblicato per poterlo mettere a disposizione della comunità scientifica. Ciò significa sostanzialmente pagare per avere accesso ai risultati di ricerca prodotti da se stessi. Questo è perlomeno uno spreco di risorse. I ricercatori italiani sono tra i più citati al mondo anche se poi le politiche dei Governi precedenti li hanno portati ad emigrare in altri Paesi per lavorare e non hanno eguali in termini di produttività e pubblicazioni per ricercatore ma l'Italia è al ventisettesimo posto tra i Paesi che spendono di più in ricerca in percentuale sul prodotto interno lordo al netto delle spese per la difesa, al di sotto della media dei Paesi dell'OCSE e al di sotto della media dei Paesi dell'Unione europea a 28. Siamo molto lontani con il nostro 1,3 per cento dall'obiettivo europeo del 2020 che punta al 3 per cento in tutta l'Unione europea e lontanissimi dal podio di Israele (4,3 per cento), Corea del Sud (4,2 per cento) e Svizzera (3,4 per cento) e il rischio è non riuscire ad attrarre fondi continuando a lasciare andare i ricercatori e non riuscire a mantenere quel ruolo nel campo dell'innovazione che, pur con tutte le difficoltà, siamo riusciti a guadagnarci grazie alla valenza dei nostri ricercatori. Ma se l'Italia destina solo l'1,3 per cento del PIL alla ricerca, non è solo lo Stato a investire poco ma anche le imprese: brevettiamo poco e dovrebbe fortemente venire il dubbio che sia anche una questione di accesso alle informazioni della ricerca. Ribadiamo quindi con forza la nostra intenzione: rendere disponibile maggiormente e gratuitamente la letteratura scientifica validata per supportare l'attività di ricerca e le sue ricadute sociali; la disseminazione della conoscenza è incompleta se l'informazione non è resa largamente e prontamente disponibile alla società. Dal primo periodo scientifico moderno - comunemente identificato con la pubblicazione delle Philosophical Transactions of the Royal Society iniziata nel 1665 - fino al giorno d'oggi, quando la nuova era digitale ci sta conducendo molto velocemente verso nuovi cambiamenti, la comunicazione scientifica è passata attraverso molte fasi con una sorta di andamento ciclico.

Con l'avvento delle reti e delle tecnologie digitali stiamo vivendo una trasformazione dei mezzi di comunicazione paragonabile a quella stimolata dall'invenzione della stampa tipografica ma in un lasso di tempo molto più breve. Oggi le tecnologie dell'informazione legate all'utilizzo delle reti e del digitale offrono tutti gli strumenti necessari a sostenere il cambiamento. Le resistenze sono da ricercarsi nelle prassi consolidate della comunicazione scientifica e nelle paure che sempre accompagnano le iniziative rivoluzionarie, oltre che all'opposizione presente in questo Parlamento sempre per la difesa di questo o quell'interesse di bottega, pratiche che hanno portato il Paese al declino. Ma il nostro scopo non può che essere quello di rimuovere ogni barriera economica, legale o tecnica all'accesso dell'informazione scientifica. Ciò al fine di garantire il processo scientifico e tecnologico a beneficio di tutta la collettività. È una missione del MoVimento 5 Stelle e continueremo sulla strada della condivisione, dell'inclusione della partecipazione e in questo senso la libera circolazione della letteratura scientifica, non più chiusa dietro abbonamenti inavvicinabili o diritti troppo restrittivi, rende il lavoro scientifico utile in due sensi: primo perché è disponibile per un numero maggiore di persone; secondo perché queste persone sono libere di utilizzarlo e riutilizzarlo. Tutto questo è fondamentale per noi. E una opposizione fondata su concetti antiquati quando non condizionata da elementi esterni non potrà certamente farci cambiare idea. Oggi siamo fieri di poter porre le basi per una scienza più solida che sia al contempo maggiormente legata alla società e all'innovazione (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Bella. Ne ha facoltà.

MARCO BELLA (M5S). Grazie, Presidente. Grazie sottosegretario, grazie colleghi che ancora siete presenti al termine una giornata veramente, penso, pesante e lunga ma sicuramente affascinante. Adesso cercherò un pochino di trarre le conclusioni della proposta di legge in esame perché abbiamo avuto sollecitazioni veramente interessanti dai colleghi e più che dire quello che è la nostra proposta di legge, che in fondo è già stato espresso molto bene dai colleghi che mi hanno preceduto, cercherò di dire quello che in realtà non è, quello che potrebbe sembrare. Il primo punto che vorrei veramente affrontare è quello dei finanziamenti. È stato detto della nostra proposta di legge che ci sono 200 mila euro per incrementare l'accesso aperto. Voi sapete che io ero un docente universitario: quando ero nel mio dipartimento, buona parte del budget andava nell'acquisto di riviste di chimica, di abbonamenti a riviste scientifiche. Quindi era ben oltre 200 mila euro. Quindi se la proposta riesce in qualche modo a ridurre la spesa degli abbonamenti, già di per sé comporterà un notevole vantaggio per la finanza pubblica e sicuramente può dare più finanziamenti all'università anche se in modo indiretto. Ricordiamo che nella nostra proposta sono previsti due modi di accesso: è prevista la gold road ovvero su riviste che già di per sé sono open access e ed è prevista anche la pubblicazione in quelli che io chiamo database istituzionali e l'onorevole Mollicone immagino chiami archivi strutturati (preferisco le parole inglesi che sono un pochino più compatte). Il ricercatore può scegliere una delle due vie: può pubblicare sulle riviste migliori che preferisce, dopodiché, scegliendo la via del database istituzionale, può avere la divulgazione della sua ricerca. In realtà, Presidente, i ricercatori vogliono divulgare la propria ricerca: soltanto che adesso lo fanno a volte in maniera impropria. Per esempio quello che fanno i ricercatori è ricorrere a un database privato come ResearchGate, a volte infrangendo anche il copyright e ancora, se ResearchGate usato male può avere dei profili di illegalità, pensiamo al database Sci-Hub dove praticamente si può trovare qualsiasi articolo scientifico in maniera in questo caso del tutto illegale.

Noi dobbiamo favorire l'accesso aperto in maniera legale proprio per limitare l'accesso aperto in maniera illegale, che comunque avverrebbe. I ricercatori potrebbero benissimo pubblicare sulla loro pagina Facebook i lavori scientifici e sarebbe veramente difficile riuscire a sanzionare questo fenomeno.

Sull'open access c'è un punto: perché i ricercatori difficilmente pubblicano sull'open access? L'open access nasce negli ultimi quindici anni; forse qualcuno ha iniziato a pubblicare, come me, prima di quindici anni e allora è rimasto sulle riviste tradizionali. Un mito, la mitologia dell'open access qual è? È quella che l'open access è di minore qualità. In particolare questa mitologia in un certo senso è stata anche alimentata da un esperimento del 2013 di un giornalista scientifico, Johannes Bohannon: lui cosa ha fatto? Ha scritto un articolo con un programma, che di fatto permette di scrivere un articolo in maniera automatica – ovviamente, l'articolo non aveva alcun senso - e l'ha mandato a qualcosa come 300 riviste open access. Bene: 150 di queste riviste lo hanno accettato, senza rendersi conto che c'erano degli errori veri e propri.

Questo è vero ed un fenomeno che sicuramente esiste è quello dell'open access di tipo predatorio. Qual è lo scopo di questo tipo di riviste? Non è la diffusione della conoscenza, bensì è semplicemente prendere dei soldi dai ricercatori per pubblicare e questo si realizza in realtà in due modi. Chi si rivolge alle riviste open access di tipo predatorio? Essenzialmente chi vuole, per esempio, pubblicare pseudoscienza, ovvero delle cose che non hanno una solidità scientifica, sapendo benissimo che pubblicando su quelle riviste loro, dietro pagamento, accetterebbero qualsiasi cosa. Il secondo tipo di persone che si rivolgono alle riviste di tipo predatorio sono i ricercatori che fanno quella che si chiama la vanity press, ovvero più pubblicazioni; essi hanno una lunga lista di pubblicazioni ma, di fatto, la qualità di quello che pubblicano è molto, molto bassa. Purtroppo la vanity press è sicuramente stata incrementata da alcune politiche dell'Agenzia nazionale della valutazione della ricerca - dall'Anvur - nella quale la valutazione viene essenzialmente fatta in maniera automatica e viene visto il più della ricerca senza guardare la qualità: viene vista la quantità. In realtà, la valutazione dovrebbe riguardare essenzialmente la qualità: cos'è il contenuto della ricerca, non il contenitore.

La nostra proposta, di fatto, assolutamente non avvantaggia la cattiva scienza e le riviste predatorie, anzi, con il fatto che si può accedere alla rivista migliore possibile e poi il contratto del ricercatore viene considerato nullo, egli può, dopo sei mesi, diffondere la sua ricerca. In fondo è quello che tutti i ricercatori vogliono: avere una diffusione più ampia possibile della ricerca, la pubblicazione e rendere pubblico qualcosa che hanno scoperto.

Infine, ci sono altri aspetti. Questa è la garanzia della qualità, ma un altro aspetto che sicuramente è stato citato durante il dibattito è quello per cui una rivista più prestigiosa chiede più soldi. In realtà non è così: non c'è questa correlazione, se non molto, molto vaga. Anzi, la rivista che chiede più soldi per pubblicare è proprio quella più scarsa, perché quella non ha bisogno di selezionare i suoi lettori. La rivista prestigiosa è molto selettiva nel selezionare gli articoli, perché tanto sa che gran parte dei suoi guadagni derivano dall'avere un'audience che sia estremamente selezionata e critica; la rivista che non è critica non ha problemi e pubblica qualsiasi cosa.

Interessante è stata anche una sollecitazione da parte della collega Piccoli Nardelli, la quale dice che questo è un tema complesso. È assolutamente vero, ma proprio perché è un tema complesso, noi lo dobbiamo affrontare. L'Unione europea ce lo impone e noi stiamo semplicemente seguendo quello che stanno facendo gli altri Paesi europei: se non fosse complesso, non avrebbe senso questa proposta.

Infine c'è un ultimo aspetto, che è quello per cui la nostra proposta ha avuto risalto dalla stampa nazionale. Questo è un argomento settoriale, seppur estremamente importante. In Italia, quando si tocca la televisione e si parla di scienza in televisione, allora lì si accendono tutte le lampadine possibili. Una criticità rilevata, ipotetica criticità rilevata, era che c'era una commissione che avrebbe addirittura scelto le pubblicazioni open access da divulgare. È ovvio, in Italia vengono prodotte centinaia di migliaia di pubblicazioni scientifiche (questi sono i numeri); ci dev'essere qualcuno che possa selezionarle, quindi una commissione è semplicemente uno strumento. Il problema forse è stato che questa commissione era nel MiSE, ma il contratto di servizio della RAI è proprio nel MiSE, quindi è naturale che la commissione fosse nominata dal MiSE. In ogni caso, abbiamo ritenuto opportuno che questa commissione fosse nominata sia dal MiSE, sia dal MIUR. Quindi ci sarà una commissione che sceglierà le pubblicazioni più belle, le cose più belle che vengono fatte in Italia e più utili da divulgare per il pubblico.

Infine, vista anche l'ora, cerco di concludere brevemente - vedo che annuisce, Presidente - anche per le persone della Camera che sono qui ad aiutarci. Effettivamente, quello che mi ha molto sorpreso è che si è parlato di scienza, della RAI, ma quando questa critica è venuta era circa la fine di ottobre: era Halloween, era quel periodo lì. Qualcuno ha detto: ebbene, è Halloween; mettetevi un camice e vestitevi da scienziati, perché in Italia non c'è nulla che fa più paura della scienza.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - A.C. 395-A)

PRESIDENTE. Avrebbe facoltà di replicare il relatore, nel caso avesse tempo a disposizione. Non ne ha, però gli concedo un minuto per una replica. Un minuto.

PAOLO LATTANZIO, Relatore. Presidente, giusto due puntualizzazioni. Come ha giustamente sostenuto poco fa il collega Casciello. L'ultimo emendamento, quello che riguarda la RAI, che abbiamo accolto, era un emendamento identico sia di Forza Italia, sia del Partito Democratico, accettato da entrambe le forze di opposizione in seguito ad una riformulazione (questo per cronaca, perché in alcuni momenti forse sono state dette delle cose poco precise su questo). Quando c'è stata una riformulazione del relatore, è stata una riformulazione in seguito ad un'indicazione arrivata dalla Commissione affari costituzionali ed è stato un emendamento di natura meramente tecnica, volto a semplificare il rapporto fra il Mise e il MIUR.

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il Governo, se lo ritiene. Grazie. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Interventi di fine seduta.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il collega Fatuzzo. Ne ha facoltà. Mi raccomando, onorevole Fatuzzo: lei sa a cosa mi riferisco.

CARLO FATUZZO (FI). Presidente, lo so a cosa si riferisce. Mi ha telefonato questa mattina la signora Luisa da Voghera: arrabbiatissima. Mi ha detto: sono tre anni che ho chiesto l'aumento di pensione per la maternità e sono tre anni che non ho ricevuto alcuna risposta. Questo è inammissibile, Presidente: dopo tre anni una risposta deve essere data ad un pensionato. I pensionati non sono pensionati di serie Z: hanno gli stessi diritti di tutti gli altri cittadini.

Mi auguro che tramite il suo importante incarico si possa porre fine a questa grave, gravissima ingiustizia e questa volta desidero accontentarla.

PRESIDENTE. La ringrazio molto, onorevole Fatuzzo. Grazie anche per la sua segnalazione.

Ha chiesto di parlare l'onorevole Casa. Ne ha facoltà.

VITTORIA CASA (M5S). Presidente, voglio ricordare oggi in quest'Aula l'attore palermitano Pino Caruso, scomparso nei giorni scorsi. Volto storico della televisione e del teatro, negli ultimi anni si era dedicato alla scrittura, pubblicando racconti e aforismi. Maschera siciliana di una comicità mai volgare, Caruso ci ha fatto conoscere il suo registro arguto, mai sguaiato, la realtà del nostro tempo. Nella sua Palermo ha saputo rivitalizzare la tradizione del teatro, reinventando il celebre Festino di Santa Rosalia e facendo comprendere che l'arte e la cultura sono un baluardo contro la violenza che distrugge territori e vite. Ricordo come dopo la stagione delle stragi mafiose del 1992, grazie alla manifestazione “Palermo di scena”, da lui diretta, la città di Palermo comincia ad essere al centro della scena culturale italiana ed europea, ospitando grandi nomi dell'arte, tra i più pregevoli del nostro tempo, come Dario Fo, Sakamoto e Carmelo Bene, solo per citarne alcuni. La scomparsa di Pino Caruso lascerà un vuoto nel panorama artistico e culturale siciliano e italiano, ma, come accade per ogni grande attore, la sua impronta resterà viva nelle nostre menti (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. La ringrazio onorevole Casa, anche per questo ricordo.

Ha chiesto di parlare l'onorevole Tasso. Ne ha facoltà.

ANTONIO TASSO (MISTO-MAIE). Presidente, prendo la parola per denunciare un gravissimo episodio intimidatorio accaduto qualche ora fa a Monte Sant'Angelo, una cittadina di grande pregio storico e culturale in provincia di Foggia, appartenente al collegio elettorale dove ho avuto l'onore di essere stato eletto. Il sindaco, Pierpaolo D'Arienzo, e l'assessore al bilancio, Generoso Rignanese, hanno ricevuto minacce di morte espresse attraverso un teschio umano - francamente stentavo a crederci quando mi hanno comunicato questa notizia -, un teschio umano contenuto in una busta e accompagnato da un biglietto con minacce per i due rappresentanti delle istituzioni e per le loro famiglie. Questo macabro fardello è stato rinvenuto dietro la porta della delegazione comunale della frazione denominata Macchia, a qualche chilometro da Monte Sant'Angelo. Naturalmente si attende che le forze dell'ordine facciano luce su questo orrido episodio, che racchiude disprezzo verso coloro che non sono più con noi e profanazione, vilipendio verso le spoglie di esseri umani, che andrebbero rispettate.

In ogni caso, desidero esprimere ferma condanna per questo gesto vile, e la solidarietà mia e dei cittadini che rappresento al sindaco D'Arienzo ed all'assessore Rignanese. Questi atti intimidatori non fermeranno i rappresentanti delle istituzioni, a tutti i livelli, che si battono quotidianamente per il miglioramento civile e morale del proprio territorio. Questo sia chiaro e lo si sappia.

PRESIDENTE. La ringrazio, onorevole Tassone, la Presidenza si associa alle sue ferme parole.

Ordine del giorno della prossima seduta.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.

Martedì 12 marzo 2019 - Ore 11:

1. Svolgimento di una interpellanza e interrogazioni .

(ore 14)

2. Seguito della discussione del disegno di legge:

S. 822 - Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea - Legge europea 2018 (Approvato dal Senato). (C. 1432-A)

Relatore: BATTELLI.

3. Seguito della discussione della proposta di legge:

S. 535 - D'INIZIATIVA DEI SENATORI: CASTELLONE ed altri: Istituzione e disciplina della Rete nazionale dei registri dei tumori e dei sistemi di sorveglianza e del referto epidemiologico per il controllo sanitario della popolazione (Approvata dal Senato). (C. 1354)

e delle abbinate proposte di legge: ZOLEZZI ed altri; MASSIMO ENRICO BARONI ed altri; CECCONI; CARNEVALI. (C. 84-753-811-1229)

Relatore: MASSIMO ENRICO BARONI.

4. Seguito della discussione della proposta di legge:

IEZZI ed altri: Distacco dei comuni di Montecopiolo e Sassofeltrio dalla regione Marche e loro aggregazione alla regione Emilia-Romagna, nell'ambito della provincia di Rimini, ai sensi dell'articolo 132, secondo comma, della Costituzione. (C. 1171-A)

e dell'abbinata proposta di legge: BIGNAMI e VIETINA. (C. 1019)

Relatore: IEZZI.

5. Seguito della discussione delle mozioni Aprea ed altri n. 1-00117, Ascani ed altri n. 1-00136, Frassinetti ed altri n. 1-00137 e Melicchio, Belotti ed altri n. 1-00138 concernenti iniziative per lo sviluppo della formazione tecnologica e digitale in ambito scolastico .

6. Seguito della discussione della proposta di legge:

GALLO ed altri: Modifiche all'articolo 4 del decreto-legge 8 agosto 2013, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 ottobre 2013, n. 112, nonché introduzione dell'articolo 42-bis della legge 22 aprile 1941, n. 633, in materia di accesso aperto all'informazione scientifica. (C. 395-A)

Relatore: LATTANZIO.

La seduta termina alle 21,55.