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Resoconto dell'Assemblea

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XVIII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 132 di lunedì 25 febbraio 2019

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ETTORE ROSATO

La seduta comincia alle 11.

PRESIDENTE. La seduta è aperta.

Invito la deputata segretaria a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

MIRELLA LIUZZI, Segretaria, legge il processo verbale della seduta del 21 febbraio 2019.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Amitrano, Battelli, Benvenuto, Bonafede, Brescia,   Buffagni, Carfagna, Castelli, Castiello, Cirielli, Colucci, Comaroli, Davide Crippa, D'Inca', D'Uva, Del Barba, Del Re, Delmastro Delle Vedove, Delrio, Luigi Di Maio, Di Stefano, Durigon, Fantinati, Ferraresi, Fioramonti, Gregorio Fontana, Lorenzo Fontana, Fraccaro, Galli, Garavaglia, Gava, Gelmini, Giaccone, Giachetti, Giorgetti, Grande, Grimoldi, Guerini, Guidesi, Invernizzi, Lollobrigida, Lorefice, Losacco, Manzato, Micillo, Molinari, Molteni, Morelli, Morrone, Picchi, Rampelli, Rixi, Ruocco, Sarti, Carlo Sibilia, Spadafora, Tofalo, Vacca, Vignaroli, Villarosa e Raffaele Volpi sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.

I deputati in missione sono complessivamente sessantaquattro, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna).

Salutiamo i bambini e gli insegnanti del “Circolo Didattico Montessori” di Roma, che seguono i nostri lavori dalla tribuna. Benvenuti bambini (Applausi).

Discussione della proposta di legge: S. 871 - D'iniziativa dei senatori: Patuanelli e Romeo: Delega al Governo per l'adozione di disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi adottati in attuazione della delega per la riforma delle discipline della crisi di impresa e dell'insolvenza, di cui alla legge 19 ottobre 2017, n. 155 (Approvata dal Senato) (A.C. 1409) (ore 11,04).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge, già approvata dal Senato, n. 1409: Delega al Governo per l'adozione di disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi adottati in attuazione della delega per la riforma delle discipline della crisi di impresa e dell'insolvenza, di cui alla legge 19 ottobre 2017, n. 155.

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (Vedi calendario).

(Discussione sulle linee generali – A.C. 1409)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Avverto che la II Commissione (Giustizia) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire il relatore, deputato Eugenio Saitta.

EUGENIO SAITTA, Relatore. Grazie, Presidente, colleghi deputati e deputate. L'Assemblea avvia oggi l'esame della proposta di legge n. 1409, recante “Delega al Governo per l'adozione di disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi in attuazione della delega per la riforma delle discipline della crisi di impresa e dell'insolvenza”, di iniziativa parlamentare, approvata dal Senato, e della quale la Commissione Giustizia ha concluso l'esame il 17 Gennaio scorso senza modificarne il testo, non essendo stati presentati emendamenti.

Il provvedimento è volto a consentire al Governo di adottare decreti legislativi integrativi e correttivi dei decreti emanati in attuazione della delega per la riforma delle discipline della crisi di impresa e dell'insolvenza, di cui alla legge 19 ottobre 2017, n. 155. Secondo quanto espresso nella relazione illustrativa, l'esigenza dell'intervento normativo, di cui alla proposta di legge in esame, deriva dal fatto che l'adozione di decreti correttivi, non prevista dalla citata legge delega nel contesto di una riforma complessiva della disciplina dell'insolvenza e della crisi di impresa, destinata ad avere un impatto rilevantissimo sull'intero sistema imprenditoriale e sull'operato degli uffici giudiziari interessati, si impone come assolutamente necessario. L'articolo 1 specifica che la procedura di adozione dei decreti correttivi e integrativi, nonché i principi e i criteri direttivi, a cui il Governo dovrà attenersi, sono quelli già fissati dalla legge n. 155 del 2017 per l'esercizio della delega principale. Per l'emanazione dei decreti correttivi e integrativi è previsto il termine di due anni successivo alla scadenza del termine stabilito per l'entrata in vigore dell'ultimo dei decreti legislativi emanati nell'esercizio della delega principale. Al riguardo ricordo che, in attuazione della delega di cui alla legge n. 155 del 2017, è stato emanato il decreto legislativo n. 14 del 12 gennaio 2019. Tale decreto contiene disposizioni che entrano in vigore decorsi diciotto mesi dalla data di pubblicazione, tranne che per talune specifiche norme la cui data di entrata in vigore è stata invece fissata al trentesimo giorno successivo alla pubblicazione della stessa. L'articolo 2 infine reca le disposizioni finanziarie, specificando che, all'attuazione dei decreti correttivi e integrativi si provvede con le modalità e nel limite delle autorizzazioni di spesa già previste nella citata legge 19 ottobre 2017, n. 155.

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo, che però rinunzia al suo intervento. È iscritto a parlare il deputato Devis Dori. Ne ha facoltà.

DEVIS DORI (M5S). Grazie, Presidente, gentili colleghi, l'Assemblea avvia oggi l'esame della proposta di legge recante Delega al Governo per l'adozione di disposizioni integrative e correttive del codice della crisi di impresa e dell'insolvenza. Il testo, approvato dal Senato in prima lettura nella seduta del 29 novembre 2018, è composto da soli due articoli e ha un'unica finalità: rimediare alla mancata previsione, nella legge n. 155 del 2017, quindi nel corso della precedente legislatura, della delega per consentire al Governo l'adozione dei decreti legislativi integrativi e correttivi della riforma complessiva della disciplina della crisi di impresa e dell'insolvenza.

L'articolo 1 della presente legge specifica che le procedure, i principi e i criteri direttivi, cui il Governo deve attenersi nell'adozione dei predetti decreti, sono quelli già fissati con la legge n. 155 del 2017. Tra questi principi e criteri direttivi è opportuno ricordare: il superamento del concetto di “fallimento”: l'espressione “fallimento” infatti non deve più essere utilizzata e viene sostituita da “liquidazione giudiziale”; l'introduzione di una preventiva fase di allerta, finalizzata all'emersione precoce della crisi di impresa; la facilitazione all'accesso ai piani attestati di risanamento e agli accordi di ristrutturazione dei debiti; le modifiche alla normativa sulla crisi da sovra indebitamento; il riordino della disciplina dei privilegi e la previsione di garanzie reali non possessorie; il coordinamento ai contenuti della riforma delle disposizioni del codice civile nella parte relativa alle società. I decreti correttivi integrativi, di cui alla presente legge, dovranno essere emanati dal Governo entro il 14 agosto 2022. Al Governo infatti sono concessi due anni di tempo, considerata la complessità della materia, dalla data di entrata in vigore dell'ultimo decreto legislativo emanato nell'esercizio della delega principale; considerato che il decreto legislativo da considerare è il n. 14 del 2019, che entrerà in vigore, eccetto specifiche norme, il 14 agosto 2020, cioè diciotto mesi dalla data della sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, i decreti correttivi ed integrativi dovranno quindi essere emanati entro il 14 agosto 2022.

Il secondo e ultimo articolo della presente legge reca invece la clausola di invarianza finanziaria, prevedendo che, all'attuazione dei decreti correttivi e integrativi si provvede senza ulteriori oneri per la finanza pubblica.

Come MoVimento 5 Stelle, siamo fortemente convinti che il rilancio dell'economia e la stabilità dello stesso sistema nel suo complesso passi anche da un piano di riduzione della burocrazia che opprime le imprese e dallo snellimento di alcune procedure, soprattutto nella fase patologica della crisi e dell'insolvenza dell'impresa, come già fatto con l'emanazione del decreto legislativo n. 14 del 2019, per il quale è stato fatto, anche mediante numerose audizioni, un lavoro approfondito e condiviso in Commissione giustizia.

La riforma complessiva della disciplina dell'insolvenza e della crisi di impresa, a cui oggi noi aggiungiamo un tassello indispensabile, è per questi motivi destinata ad avere un forte impatto sull'intero mondo dell'impresa e, quindi, sull'intera economia del nostro Paese.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Sensi. Ne ha facoltà.

FILIPPO SENSI (PD). Grazie, Presidente. Come ricordavano i colleghi, la presente proposta di legge si compone di due soli articoli, di cui il secondo reca la consueta clausola di invarianza finanziaria. Il suo contenuto normativo è invece concentrato nel primo articolo, che abilita il Governo a emanare disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi con i quali è stata esercitata la delega per la riforma della legislazione sulla crisi di impresa. Si tratta, come appare evidente, di una sostanziale, mera integrazione della legge delega n. 155 del 2017, con la quale si è avviato il processo di riforma dell'intera legge fallimentare; processo che si è concluso proprio in questi giorni con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del nuovo codice della crisi e dell'insolvenza, una riforma poco nota ma rilevantissima per l'intero tessuto economico del nostro Paese, che avrà un impatto certamente molto significativo per aziende, creditori, fisco e che è figlia di un virtuoso percorso iniziato nella scorsa legislatura, con i Governi del centrosinistra, e poi concluso, con l'emanazione dei decreti delegati, da questo Governo.

Dico questo non solo e non tanto come orgogliosa rivendicazione del lavoro fatto negli anni scorsi, ma ricordando a tutti noi che la stella polare di chi governa e di chi porta la responsabilità della maggioranza non può non essere quella dell'interesse degli italiani, che viene prima e va oltre l'appartenenza di parte, la logica di “blocco purché sia”, il mors tua vita mea che tuttora spinge la vita politica. La legge delega n. 155 del 2017 aveva individuato, infatti, princìpi e caratteristiche generali della riforma poi attuata, senza inserire, tuttavia, la facoltà di intervenire successivamente con norme correttive o integrative nei limiti dei principi fissati, come da prassi, in caso di riforme così complesse. La legge in discussione oggi, qui, in Aula, colma opportunamente la lacuna e, ovviamente e coerentemente con il buon lavoro avviato dai nostri Esecutivi secondo quel principio di interesse superiore dei cittadini che ha guidato la nostra azione di Governo, il Partito Democratico non può che essere favorevole.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole D'Ettore. Ne ha facoltà.

FELICE MAURIZIO D'ETTORE (FI). Crisi dell'impresa e insolvenza: questo provvedimento rischia di passare - pur essendo un provvedimento di proroga ai fini dei decreti integrativi e attuativi non previsti, soprattutto quelli correttivi, nella legge delega - come un semplice passaggio, così come mi è sembrato dai vari interventi iniziali. Non è così.

Innanzitutto i principi e i criteri direttivi, che vengono ad essere mantenuti ai fini dell'attuazione e, in particolare, della correzione e integrazione, ancorché ci sia stato un dibattito nelle varie Commissioni con riguardo ad alcuni temi, non è sufficiente come atteggiamento. Probabilmente, anzi sicuramente, si doveva intervenire sulla legge delega. Perché la legge delega presenta una serie di difficoltà, e una serie di perplessità emergono dall'impianto, che è sistematico e che viene ad essere costruito sulla base della delega.

Sappiamo che la delega influisce su temi rilevantissimi, tant'è che, anche ai fini della organizzazione degli uffici, bisogna tenerne conto con riguardo ai profili attuativi, e lo dite voi stessi nella relazione al provvedimento. Ma, la legge delega vorrebbe superare il concetto di fallimento e utilizzare una procedura di liquidazione giudiziale come strumento del tutto particolare. Si introduce una fase preventiva di allerta, che ha creato un'allerta molto importante soprattutto nelle categorie professionali, nei commercialisti, che hanno detto che questa procedura di allerta può avere effetti devastanti. La previsione di insolvenze di minore portata con l'ipotesi delle tipizzazioni di diritto. L'introduzione di altri meccanismi di facilitazione, con riguardo in particolare alla parte relativa al risanamento della situazione dei debiti. Una rivisitazione della normativa sul concordato preventivo, che era necessaria. L'individuazione del tribunale competente in relazione alle tipologie e alle procedure concorsuali e alle dimensioni, con una riorganizzazione e una concentrazione, su questo tema, dei tribunali e delle sezioni di tribunali - alcune sezioni, cosiddette fallimentari - che dovrebbero essere cancellate, per essere concentrate in un solo tribunale centrale. Le garanzie agli acquirenti sugli immobili da costruire e le garanzie che riguardano una serie di altri profili.

Perché io mi soffermo sulla delega? Perché non capisco come potrete, con un provvedimento meramente correttivo e integrativo, influire sui principi e i criteri direttivi. Nel dibattito che io ho letto nelle varie Commissioni, voi questo pensate di poter fare. Beh, forse non lo potete e non lo potrete fare. Come al solito, c'è questo atteggiamento di rinvio, di proroga, dovuto anche poi al meccanismo, allo scorrimento che si è realizzato con riguardo all'attuazione, al decreto legislativo attuativo che non è stato poi pubblicato, problemi che sono nati anche dalle categorie professionali e non solo, anche dalla magistratura, con riguardo a molti profili.

Ma mi voglio soffermare e mi soffermerò poi, anche successivamente, sulla esdebitazione, ma qui mi sembra soprattutto che due siano i temi fondamentali: i sistemi di allerta e gli organismi di composizione della crisi.

Faccio questo intervento sperando che poi, in questa fase attuativa, correttiva, integrativa, mettiamo tutti i termini che vogliamo, ci possa essere da parte del Governo un'attenzione particolare su questi temi, che sono i fra i temi più delicati, ce ne sono una serie di temi.

Quello in materia di crisi d'impresa e di insolvenza non è un dibattito che nasce da poco tempo. Il precedente Governo ha provato in qualche modo ad affrontarlo e approcciarlo sulla base anche di criteri e principi che il Governo di centrodestra aveva fissato già dal 2006 con riguardo appunto a tutta la procedura fallimentare. È materia delicata, è materia che, in particolare in questo momento, influisce in maniera decisiva sull'assetto e sulla sopravvivenza delle imprese, così come per le piccole e medie imprese la procedura di esdebitazione diventa fondamentale; qual è l'approccio, qual è la costruzione, qual è la direzione che viene data a quell'istituto.

Sistemi di allerta: beh, i sistemi di allerta hanno creato subito grosse problematiche. Le misure di allerta possono essere funzionali alla tempestiva risoluzione della crisi, questa è la ratio sulla quale si è costruita la legge delega; al momento, però, almeno dalla lettura delle norme, sia nei principi e criteri direttivi, sia dalla prima attuazione che è rimasta poi, come dire, sospesa, non sembrano raggiungere questo risultato, soprattutto per l'obbligo di segnalazione. È chiaro che può essere un obiettivo, quello di fare emergere la crisi per tempo e cercare di risolverla senza indugiare, no? Senza poi provocare effetti irreversibili. Questa sicuramente è una prospettiva che può essere considerata, prima facie, una prospettiva di sicuro apprezzamento. Ma come funziona il meccanismo di segnalazione? Ci sono dei cosiddetti creditori pubblici qualificati. Chi sono i creditori pubblici qualificati? Agenzia delle entrate, INPS, Agenzia della riscossione, i quali, sostanzialmente, burocratizzano la procedura e, segnalando, dando l'allerta su una situazione di difficoltà, spogliano di fatto, si arriva a spogliare di fatto, il potere gestionale delle imprese, soprattutto sull'avvio delle procedure e così degli altri creditori.

Una volta attivata la procedura, la crisi è aperta in maniera automatica, l'impresa probabilmente è sottoposta a tutela, se così possiamo dire utilizzando un istituto di altro comparto del diritto civile, e rischia di perdere irreversibilmente credibilità e accesso al credito, le si crea intorno una sorta di deserto. Cioè cosa fa il creditore qualificato, l'Agenzia delle entrate, onde evitare di perdere i privilegi e di poter, in qualche modo, non ottenere poi soddisfazione, soprattutto i funzionari pubblici? Immediatamente danno l'allerta segnalando un momento di difficoltà. Le banche, gli altri soggetti che possono, come dire, aprire linee di credito, si bloccano. Si crea un deserto intorno all'impresa. È ciò che hanno segnalato subito tutti: da un lato, la ratio, la funzionalità dell'istituto può sembrare del tutto positiva, dall'altro, nella pratica, questo è il rischio attuale - anche in altri ordinamenti dove è stata attuata - che noi abbiamo.

Quindi l'impresa, che è segnalata, che è in una situazione di crisi, che ha questa segnalazione, questa allerta della crisi, cosa succede in quel momento? Chi è che più le dà credito? Tra gli altri creditori, chi è che si fida più di quell'azienda? Esagero, forse, nel rappresentarla? Sì, perché questo può essere il caso di molte aziende, che sono su una linea di difficoltà e hanno creato una prospettiva di risanamento. Inoltre, il creditore che ometta la segnalazione è sanzionato, appunto, con la perdita del privilegio. Qual è la conseguenza? Il creditore, l'erario - perché poi è soprattutto l'Agenzia delle entrate, l'INPS, l'agente alla riscossione - cosa fanno? È spronato a segnalare, no? Perché ha l'intenzione di tutelare il proprio credito, altrimenti perde il privilegio. La categoria dei privilegi viene meno, a quel punto io segnalo!

Quindi, il bene azienda, il potere gestionale, il potere di gestione, la stessa prospettiva dell'imprenditore viene ad essere rimessa ad un'ampia tutela esterna, facendo sottomettere l'imprenditore a questa procedura e, nel frattempo, tutte le sue prospettive, anche di risanamento, di ricostruzione, di ristrutturazione dell'azienda, possono essere inficiate.

In un momento di difficoltà come questo, di difficoltà di accesso al credito, è chiaro che questo meccanismo non aiuta, perché questo è un meccanismo che funziona in un momento economico positivo, di imprese che vanno bene. Ci può sempre essere l'azienda che va male e non paga, soprattutto i debiti nei confronti dell'Erario, del fisco, allora in quel momento si tende a intervenire, a dare in qualche modo una prospettiva per risolvere in maniera bonaria la crisi. Ma in un momento di difficoltà e di imprese che stanno tutte al limite, moltissime, in particolare quelle più piccole, istituire un sistema d'allerta come questo in questo momento storico - perché poi gli istituti giuridici vanno valutati nel momento storico in cui si applicano e al di là delle buone intenzioni del legislatore questo è l'effetto - volete che il creditore qualificato, cioè il creditore Erario, non attivi immediatamente la segnalazione? Che fa, perde il privilegio? Sta lì a contrattare, si mette a fare procedure concordate di definizione agevolata? Innanzitutto segnala, poi si vede se fa qualche procedura di agevolazione e soprattutto di concordato agevolato con l'impresa, anche se è probabile che non lo faccia.

Ma soprattutto, cosa può accadere? Che i terzi creditori che non riescono a riscuotere, o altri, siano incentivati alla delazione, nel momento in cui si vuole far fuori un concorrente che incappa in qualche piccola difficoltà. Così, il creditore qualificato deve segnalare, non può far finta di non sapere cosa sta accadendo. Quindi, si incentiva anche un meccanismo di delazione, da questo punto di vista, si crea una escalation cosiddetta cautelare, come dicono molti che hanno scritto in materia. Che vuol dire “cautelare”? I soggetti interessati saranno indotti a operare la stessa segnalazione anche in situazioni dubbie, al solo scopo di preservare le ragioni del credito. Cioè, al fine di cautelarmi ho tutto l'interesse - anche perché potrei perdere il privilegio in una fase successiva, qualora non ci fosse stata per tempo la segnalazione - posso essere indotto, o per delazione, quindi non potendo farne a meno, o comunque per questa necessità, a proporre iniziative cautelari. La segnalazione la fa l'agente della riscossione, allora lo fa anche l'INPS, lo fanno tutti, e quell'impresa che aveva una prospettiva di crescita, una prospettiva di ristrutturazione e di risanamento viene posta sotto il fanale di una procedura di questo tipo.

Chiaramente, siamo in un momento di difficoltà, e gli istituti giuridici e le norme non sono monadi, si inseriscono all'interno di un substrato economico-sociale, di un contesto storico definito, quindi l'effetto è che questa impresa esce dal mercato.

C'è chi preserva le ragioni del credito - e poi può darsi che alla fine non siano nemmeno soddisfatte -, di fronte allo sprofondamento dell'impresa e del bene azienda, che è connesso all'attività e al potere gestionale dell'imprenditore, però in questo modo uno si mette l'anima in pace, in particolare la parte pubblica, perché ha fatto la segnalazione e, quindi, non perde il privilegio e il funzionario zelante che burocratizza questa procedura non ha qualche sanzione.

Il timore della segnalazione induce poi lo stesso imprenditore, di fatto, a invertire l'ordine dei privilegi rispetto ad altri creditori. Lo spinge, ad esempio, a onorare subito, che cosa? I debiti contributivi e previdenziali, è chiaro! Poi, altro effetto: paga subito i debiti contributivi e previdenziali, non paga tutti gli altri creditori, ovviamente, perché sa che la segnalazione, il sistema d'allerta, gli può arrivare direttamente dai creditori qualificati, dall'Erario.

Quindi che fa? Sicuramente paga subito i debiti - è anche corretto che lo faccia -, ma lavora per pagare soprattutto i debiti contributivi, fiscali e previdenziali a scapito degli altri creditori.

L'effetto di tale norma, quindi, non è alla fine la preservazione dell'azienda, ma il rafforzamento della tutela dei crediti dello Stato. Allora, vogliamo rafforzare la tutela dei decreti dello Stato in questo particolare momento storico? Rafforziamoli, e tutte le imprese che sono in una certa difficoltà si troveranno a dover reagire a questa situazione.

Ecco perché dico che bisognava intervenire sui principi e i criteri direttivi della delega! Noi presenteremo anche degli ordini del giorno in materia, chiedendo che la maggioranza - mi rivolgo qui al sottosegretario - accolga queste osservazioni. Li presenteremo su alcuni punti, ripeto, e ne cito alcuni: i sistemi di allerta, che mi sembrano fondamentali, la procedura di sdebitazione. Non so quanto si possa andare oltre, rispetto alla delega, su questi temi, o non contenere lo spazio direzionale dato dalla delega, quindi l'intervento - lo ripeto, voglio essere ripetitivo, perché è importante - forse poteva riguardare anche la delega.

Nella fase attuativa e correttiva, però, questa parte è fondamentale. In questo momento, agire in questo modo, con i sistemi d'allerta, allertare che quell'azienda può essere in crisi - e lo fa lo Stato per tutelare le ragioni dei crediti erariali - può comportare tutti gli effetti tecnici, economici ed aziendali che ho solo tracciato in linea di massima ma che potrebbero essere devastanti in questo momento.

Quindi, il principio, la ragione, la ratio normativa, la funzionalità di quel provvedimento rispetto alla delega, nell'attuazione in questo dato momento storico, in questo momento di difficoltà, di crisi dell'impresa, avrebbe un effetto devastante.

Gli organismi di composizione della crisi: anche su questo si potrebbe dire molto, ma voglio passare, visti anche i tempi, alla riforma della geografia giudiziaria. Oggi, qui a discutere questi provvedimenti siamo quelli che si occupano di questo tema, poi l'Aula al completo se ne occuperà, lo dico anche per i signori che sono a vederci, perché non è che siamo solo questi. Noi siamo coloro che discutono di questo tema, poi se discuterà ampiamente con l'esame degli emendamenti e degli ordini del giorno, e lo faremo. Ciò perché spesso i visitatori mi chiedono: ma quanti siete? Siamo quelli che si occupano di questo provvedimento e che “costruiscono” poi la discussione in Aula con il voto degli emendamenti e degli ordini del giorno su questo tema. La centralità del Parlamento per fortuna c'è sempre. Presidente, scusi se mi sono rivolto così, ma per chiarire, perché a volte amici che vengono a visitare me lo chiedono.

La riforma della geografia giudiziaria: chi di voi, durante la campagna elettorale, non è stato sollecitato dagli ordini professionali, dall'ordine giudiziario, in merito alle difficoltà che potrebbero emergere sulla base della concentrazione delle competenze in merito? Vi è una redistribuzione delle competenze in materia concorsuale. Non si può dire più “fallimentare”, togliamo la parola “fallimentare”, ma, per capirci, chi di noi ha studiato per anni sul fallimento - la parola “fallimento” socialmente rappresenta un disvalore - chiamiamole procedure fallimentari, procedure concorsuali, procedure alternative di liquidazione giudiziaria.

La riforma sottrae competenze ai tribunali circondariali per attribuirle a un numero ristretto, molto più ristretto, di uffici, ossia ai tribunali che già oggi sono sede delle sezioni specializzate in materia di imprese, presso i quali verranno istituite anche le sezioni specializzate nelle procedure concorsuali.

Ma i tribunali circondariali da sempre gestiscono tutte le procedure concorsuali e non hanno quel sentimento o identità di allerta.

Si allertano, perché conoscono i territori; si specializzano sulle direttive produttive ed aziendali dei luoghi; sanno quali sono le dinamiche sulle quali si svolgono poi le procedure di natura concorsuale e conoscono il substrato economico, sociale delle imprese in quel particolare territorio.

Lo fanno con modalità appropriate, si occupano con modalità appropriate di questi temi. Faccio un esempio di quanto potrebbe accadere in ordine a questa concentrazione: la sezione fallimentare - chiamiamola così, anche se non è l'uso corretto, ma per capirci - del tribunale di Arezzo, il mio collegio, non ci sarà più e ci sarà Firenze che deciderà tutto; e questo per altre sedi.

Si toglie cioè dalla competenza funzionale e dalla competenza territoriale, dalla capacità di comprendere quella che è la situazione locale, vale a dire quali sono le dinamiche economiche ed imprenditoriali, quali sono le difficoltà di un comparto produttivo rispetto ad un altro, quali sono le esigenze territoriali ed occupazionali in quel momento, quali sono i migliori correttivi e le modalità di approccio.

Al di là della formulazione e dell'impatto formale della disciplina, vi è tutta una parte di sensibilità che il giudice, ed in particolare il giudice radicato sul territorio, ha di comprendere e capacità di disvelare, anche all'interno della procedura. Anche, quindi, ai fini giudiziari, anche ai fini della preservazione dei livelli occupazionali, perché ne ha sensibilità, ne ha conoscenza, e nel contesto inserisce il testo normativo. Testo e contesto: non basta un testo, vi è il contesto nel quale ogni testo normativo trova attuazione ed applicazione. Trova l'applicazione formale, ma trova anche e si nutre, trova anche direzione e si nutre della realtà sociale in cui si opera; e quindi quel giudice di quel tribunale ha questa consapevolezza, questa capacità. Si dirà: va bene, ma tanto quel giudice al limite andrà a Firenze e potrà dire cosa sa di Arezzo. Ma non ha senso, nel momento in cui c'è una concentrazione di questo tipo, non ha alcun senso.

E quindi è solo una riorganizzazione degli uffici in realtà che bisogna operare. Carenze e ritardi ci sono nell'ambito delle procedure concorsuali, nell'ambito delle ferme e gelide statistiche dei Ministeri. Voi siete il cosiddetto Governo del popolo: ebbene, allora avete solo le statistiche ministeriali. Se no, voglio dire, lei fa il sottosegretario, era come Cosimo Ferri, l'amico Cosimo Ferri, che faceva prima il sottosegretario per la giustizia, guardava le statistiche, diceva e proponeva, con grande intelligenza e capacità giuridica - anche questo era un tema non di poco conto - e sensibilità, i suoi testi. Se voi guardate solo le tabelle, va bene; ma perché ci sono quei ritardi, perché ci sono quelle difficoltà? Che dovete calare nell'esigenza che dicevo prima, di attuazione di un testo in un contesto, non di un testo che è avulso dal contesto in cui viene ad essere applicato. Ebbene, se voi guardate a quei territori capirete che i ritardi, le carenze, comprese le carenze di organico, anche delle cancellerie, sono i veri temi su cui agire: su quelli si agisce e si evita che le procedure concorsuali si dilunghino o abbiano problematiche del tutto particolari, a volte in alcuni territori da attenzionare ma per altre ragioni. Ma non certamente nella maggior parte, stragrande parte di tutti i tribunali: facevo l'esempio di Arezzo, ne posso fare a decine su tutto il territorio nazionale, che sono anche poi capaci di giungere a soluzioni immediate e dove vi sono professionisti come, ad esempio, commercialisti, curatori, persone che conoscono bene la materia, che conoscono le aziende, le imprese, che sanno come operare in quei settori, che sanno come rispondere alle esigenze di quelle imprese, in un momento di difficoltà economica, imprenditoriale, di difficoltà e di crisi delle imprese.

Attuare in maniera formale quella delega, che può avere da un punto di vista giuridico e da un punto di vista di ratio normativa, una sua consistenza ed anche una sua giusta prefigurazione; ma non le ha rispetto al momento di crisi in cui ci troviamo, perché quella parte dal presupposto che vadano bene la maggior parte delle imprese, che tutto sia a posto, e che quindi in qualche modo ci può essere chi è in crisi e vediamo di risolverla, non diciamo che fallisce, liquidiamo. No, oggi quelle imprese rischiano, sono tutte al limite, tutte sul filo, moltissime sul filo. E quel filo, quel crinale su cui l'imprenditore si muove, è un crinale che se è distrutto, eliminato, se quel murettino di lato viene distrutto dalla norma, ci va di sotto, l'imprenditore, insieme a tutti i suoi dipendenti. E allora in questi momenti bisogna anche operare una valutazione diversa, e cominciare in modo più appropriato a rafforzare la dotazione organica dei tribunali circondariali, piuttosto che concentrare le competenze all'interno dei tribunali centrali, aggravando così ulteriormente uffici già oberati di lavoro ed in cronico ritardo nella definizione dei procedimenti.

Perché concentrandoli, non è che risolvete il problema, perché le stesse carenze negli uffici e delle dotazioni di organico, in particolare delle cancellerie, non è che se uno li sposta - faccio l'esempio sempre da Arezzo a Firenze - ha risolto il problema, perché aggrava Firenze, che non si occupa più solo delle procedure concorsuali dall'area fiorentina, ma anche di quella aretina e non solo, anche di altre aree. Comprendete quale può essere il risultato?

Non è una battaglia, come ci ha detto qualcuno in campagna elettorale - lo ricordo soprattutto agli amici del centrodestra - non è una battaglia, come ci diceva l'altra parte politica: voi combattete questa battaglia per interessi localistici. Che poi, se c'è un interesse localistico, non vedo perché quell'interesse non possa essere un interesse localistico che, replicato in più interessi locali, diventa un interesse generale. Non capisco perché, dato che come Arezzo, La Spezia o qualunque altro tribunale, questa concentrazione determina quest'effetto. Cioè, paradossalmente, la concentrazione determinerà ancor più ritardo nelle procedure, sempre di più, ed allontanerà il mondo professionale ed imprenditoriale, i magistrati da quella che è la conoscenza, l'humus nel quale poi la liquidazione giudiziaria, la procedura concorsuale si deve realizzare.

E chi conosce questa materia, l'ha vissuta nella sua attività professionale o nella sua attività politica, sa quant'è importante, perché quella fase non deve finire con la morte dell'impresa, se questa è l'idea della delega, ma deve finire, se possibile, con la rivitalizzazione dell'impresa, con la ricostituzione del potere gestionale dell'impresa, dell'occupazione, della possibilità di vivere, non di morire, in base alla procedura concorsuale.

Questo è il senso della prospettiva che dovrebbe nascere da quella delega, ma che non è in quella delega, perché poi l'impianto tecnico-normativo - ed ho fatto due esempi, ne potrei fare altri cinque, e li farò durante l'ulteriore discussione e in Aula, quando parleremo direttamente del provvedimento, e quando parleremo anche degli ordini del giorno -, queste norme distruggono quell'ultimo murettino, quell'ultimo baluardo che c'è su quel crinale, e mandano completamente giù l'impresa: prima, già con il sistema di allerta, e dopo, attraverso la natura delle procedure che si realizzano con quella delega; e soprattutto scollegando la procedura concorsuale dal magistrato e dal tribunale veramente competente, non solo in senso giuridico, ma competente nel senso che conosce e gli compete l'attività giudiziaria, perché quel territorio, quel tessuto imprenditoriale fa parte delle sue conoscenze.

Non c'è più il magistrato che arriva ed applica la legge in maniera formale ed asettica: in questo campo, in particolare visto l'intento del legislatore sulla delega - e quindi spero nelle correzioni, nei limiti dalla delega che non avete voluto toccare, nelle correzioni che introdurremo -, è evidente che il magistrato dobbiamo pensarlo come soggetto che in questo tipo di procedure, in particolare queste che toccano il tessuto vitale dei territori, le imprese, l'occupazione, il bene azienda, la gestione aziendale, deve conoscere, e dev'essere quindi aiutato a conoscere attraverso una struttura, un organico, degli uffici che possono farlo, un colloquio, una relazione con le categorie professionali del posto, una conoscenza delle dinamiche imprenditoriali. Pensate alle imprese familiari.

Non nel senso tecnico dell'impresa familiare dell'articolo 230-bis del codice civile, ma nel senso della gestione dell'impresa da parte di più soggetti, nel momento della successione nell'impresa, la morte dell'imprenditore e i meccanismi purtroppo non del tutto utili e ben strutturati che noi abbiamo in questo momento - bisognerebbe modificarli - nei quali ci sono più successori nell'impresa ai fini della normale successione ereditaria.

È una delle cause per le quali le aziende finiscono la loro attività e si disgregano, e dovrebbero essere qui fatti provvedimenti di altro tipo in materia civilistica. Ma, quando succedono queste cose e soprattutto ci può essere una procedura concorsuale di liquidazione dovuta al conflitto gestionale, chi meglio di un magistrato, che conosce queste situazioni, può risolverle?

Perché a volte quel conflitto generazionale in ordine alla successione nell'impresa, nella sovrapposizione con la successione ereditaria, può esser risolto, e lo può fare solo la sensibilità, la capacità, la vicinanza al territorio, alle situazioni, la conoscenza del magistrato di quel territorio, e quindi concentrare e spogliare queste sezioni fallimentari è non solo assurdo, ma in questo momento deleterio per la stessa attività imprenditoriale. È chiaro che, nel ridisegnare la geografia, quindi, si deve tenere conto del principio di prossimità. L'Italia è fatta di una realtà che, per evidenza geografica, richiede la vicinanza delle istituzioni, non il loro allontanamento.

PRESIDENTE. Collega D'Ettore, purtroppo ha solo 30 minuti, quindi deve arrivare alla conclusione.

FELICE MAURIZIO D'ETTORE (FI). Ho finito. Potevo avere un'ora, lo sa, Presidente. La concentrazione crea oneri e costi a carico dell'imprenditore e non aiuta le imprese. Quindi, spero, e mi rivolgo al Governo, che è qui presente - siamo pochi, ma ho spiegato perché, e saremo molti nelle prossime ore per approfondire questo provvedimento - che ci sia quanto meno sensibilità sugli impegni che noi chiediamo al Governo su questi temi e sulla geografia giudiziaria.

PRESIDENTE. Grazie, collega D'Ettore.

FELICE MAURIZIO D'ETTORE (FI). Grazie, Presidente, di avermi dato questo minuto in più.

PRESIDENTE. Cogliamo l'occasione anche per salutare gli studenti e gli insegnanti dell'Istituto tecnico commerciale statale “Jacopo del Duca”, di Cefalù, e del “Pietro Domina” di Petralia Sottana, sempre in provincia di Palermo. Grazie per essere intervenuti qui ai nostri lavori di oggi (Applausi).

È iscritto a parlare l'onorevole Maschio. Ne ha facoltà.

CIRO MASCHIO (FDI). Presidente, onorevoli colleghi, questo progetto di riforma del codice della crisi di impresa e dell'insolvenza è meno vistoso di altre norme e di altri progetti che mediaticamente sono molto più efficaci, ma, nella sostanza, ha un'influenza molto importante nel nostro tessuto economico. Quindi, è sicuramente un provvedimento che non va sottovalutato, va preso in attenta considerazione.

È pur vero che, nel 2018, c'è stata una flessione di circa il 6 per cento del numero complessivo dei fallimenti rispetto all'anno precedente, e quindi c'è un trend che è di leggera ripresa, ma stiamo parlando, comunque, di numeri molto importanti, e, per quanto riguarda Fratelli d'Italia, non siamo tra quelli che in questa materia vogliono buttare via il lavoro buono che è stato fatto nella precedente legislatura.

Riconosciamo anche noi che è stato fatto comunque un lavoro importante, che ha coinvolto tutte le forze politiche, tutte le categorie economiche, e che ha portato a un disegno complessivo di 390 articoli che vanno a riformare in modo importante la materia; e quindi, da questo punto di vista, anche noi ci approcciamo in modo costruttivo senza voler negare o cancellare tutto quello che di buono è stato fatto. Quindi, ovviamente, è giusto e normale che, con la breve proroga che c'è stata, sia stato approvato il decreto legislativo in attuazione della delega.

Detto questo, sicuramente rileviamo alcuni aspetti positivi.

Per quanto riguarda il superamento della dicitura di “fallimento” non ci appassiona più di tanto l'aspetto nominalistico, cioè che la stessa cosa che succede a un'impresa non la si chiami più fallimento, ma liquidazione giudiziale. Ci interessa di più la sostanza delle misure che si vanno ad introdurre, che possono accompagnare l'impresa e i creditori in queste fasi di difficoltà verso una soluzione migliore.

Da questo punto di vista, sono condivisibili le semplificazioni delle procedure, sono condivisibili le misure volte a garantire la continuità aziendale, mentre esprimiamo anche noi alcune critiche e alcune perplessità, quindi mettiamo sotto attenzione le procedure relative agli strumenti di allerta, che, effettivamente, auspico possano essere migliorati, poi, in questa fase di misure correttive e integrative previste da questa proposta di delega odierna, perché effettivamente ci sono alcuni strumenti che possono mettere in difficoltà, anziché sostenere, le imprese in questa fase.

Riteniamo anche che vada effettivamente adottata con cautela la riforma delle competenze territoriali e delle sezioni specializzate, perché, ovviamente, l'intenzione di affidare le procedure a delle sezioni specializzate con delle professionalità mirate specificamente, con esperienza particolare sulla materia concorsuale, è positiva, ma occorre tener conto delle reali condizioni dei tribunali oggi, e quindi valutiamo anche il rischio che un sovraccarico di queste sezioni specializzate possa rallentare, anziché snellire, la trattazione di queste controversie.

Sicuramente un'attenzione particolare va fatta anche nella revisione del modello delle crisi da sovraindebitamento: constatiamo tutti il fallimento della legge n. 3 del 2012, che non ha avuto fortuna, non ha avuto concreta attuazione.

E, quindi, nel rivedere questa procedura, occorre porre particolare cautela. La previsione dei due anni di delega riteniamo sia un termine eccessivamente lungo: noi auspicavamo tempi molto più stretti per intervenire rapidamente sulle modifiche che si rendessero necessarie rispetto al decreto legislativo n. 14 del 2019; quindi, non un termine così lungo di due anni, ma dei tempi molto più brevi, per dare prima possibile alle imprese, agli operatori dei tribunali, ai creditori, nei tempi più stretti possibili, delle certezze anche su quelle che saranno le procedure definitive con le quali dovranno ovviamente agire quotidianamente.

Un'ultima considerazione, che va al di fuori del merito specifico del provvedimento, su cui, ovviamente, torneremo anche nel prosieguo dei lavori, è di carattere politico più ampio: non basta cambiare nome al fallimento e chiamarlo liquidazione giudiziale, non basta migliorare e semplificare le procedure concorsuali, se non si interviene in modo efficace sulle cause che hanno portato e che portano le imprese a fallire.

Da questo punto di vista, riteniamo che la politica economica del Governo, il decreto dignità, il reddito di cittadinanza, le mancate flat tax, soprattutto per chi è oltre i 65 mila euro annui di fatturato di reddito, e la scarsità di misure e di interventi sulla burocrazia, che sono cause che mettono seriamente in difficoltà l'impresa, ecco, se non interveniamo sulle cause e sulle misure economiche che servirebbero oggi in Italia per non far fallire le imprese, potremo anche far cambiar nome al fallimento e chiamarlo liquidazione giudiziale, ma non avremmo aiutato le imprese a uscire dal rischio di fallire.

Da questo punto di vista, ovviamente, non solo e non tanto in questo provvedimento, in questa legge delega, ma, più in generale, sulla politica economica riteniamo che ci sia ancora molto da fare e che la strada che è stata presa porti, purtroppo, al rischio che siano molte più del dovuto le imprese che saranno interessate dalla liquidazione giudiziale perché soffocate da tasse, burocrazia, condizioni e norme sul lavoro e sull'accesso al credito e sulla lentezza dei pagamenti da parte anche dello Stato, che spesso hanno messo in ginocchio le imprese. Ecco, da questo punto di vista credo che ci sia ancora veramente molto da fare.

Quindi, noi ci poniamo in modo costruttivo nei confronti di questa delega. Non voteremo contro; auspichiamo che nel prosieguo dei lavori si possano migliorare alcuni dei punti che abbiamo sottolineato, ma ricordiamo che ci collochiamo in un contesto più ampio e che questo inizio di governo sulla politica economica non ci conforta molto sul rischio che le imprese italiane possano continuare a fallire anche se cambiamo nome al fallimento.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - A.C. 1409)

PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore, deputato Saitta, e il rappresentante del Governo rinunciano alle repliche.

Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Organizzazione dei tempi di discussione dei progetti di legge di ratifica (ore 11,55).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione dei progetti di legge di ratifica nn. 1394-A e 1332.

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati all'esame dei progetti di legge di ratifica all'ordine del giorno è pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta del 21 febbraio 2019 (Vedi l'allegato A della seduta del 21 febbraio 2019).

Discussione del disegno di legge: Ratifica ed esecuzione dell'Accordo transattivo fra il Governo della Repubblica italiana e la Comunità europea dell'energia atomica sui princìpi governanti le responsabilità di gestione dei rifiuti radioattivi del sito del Centro comune di ricerca di Ispra, con Appendice, fatto a Bruxelles il 27 novembre 2009 (A.C. 1394-A).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge n. 1394-A: Ratifica ed esecuzione dell'Accordo transattivo fra il Governo della Repubblica italiana e la Comunità europea dell'energia atomica sui princìpi governanti le responsabilità di gestione dei rifiuti radioattivi del sito del Centro comune di ricerca di Ispra, con Appendice, fatto a Bruxelles il 27 novembre 2009.

(Discussione sulle linee generali – A.C. 1394-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Avverto che la III Commissione (Affari esteri) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire il relatore, deputato Paolo Formentini.

PAOLO FORMENTINI, Relatore. Grazie, Presidente. Colleghi deputati, il provvedimento in esame è volta a rendere esecutivo in Italia un accordo risalente al novembre 2009 necessario ai fini della chiusura di un contenzioso tra la Comunità europea dell'energia atomica, Euratom, e l'Italia in merito al riconoscimento delle responsabilità storiche dell'Italia relativamente allo smantellamento del Centro comune di ricerca CCR di Ispra.

Ricordo che l'istituto di Ispra, Varese, è uno dei quattro centri di ricerca istituiti dalla Comunità europea a seguito del Trattato Euratom del 1957 per promuovere lo sviluppo dell'energia nucleare a fini pacifici negli Stati membri. Il CCR di Ispra fu istituito nel 1959 con un Accordo concluso a Roma, nel luglio dello stesso anno, fra il Governo italiano e la Commissione dell'energia atomica al fine di istituire un centro comune di ricerca nucleare di competenza generale e si prevedeva la cessione da parte dell'Italia alla Comunità europea, in concessione per 99 anni, dell'area e delle strutture presenti all'epoca. Il centro fu inaugurato il 13 aprile 1959 e negli anni Sessanta e Ottanta fu utilizzato, a mezzo di specifici contratti, da soggetti italiani quali il Comitato nazionale per l'energia nucleare, CNEN, il Centro informazioni studi ed esperienze, CISE, l'Ente nazionale per l'energia elettrica, ENEL, e le istituzioni governative italiane per progetti di ricerca relativi al programma nucleare italiano.

Con la modifica delle scelte strategiche in campo nucleare, intervenuta in Italia dopo il 1987, la collaborazione italiana con il CCR di Ispra in tale ambito si è progressivamente ridotta e, con il passare degli anni, anche alcuni programmi europei di ricerca in campo nucleare, in particolare nel CCR di Ispra, sono stati indirizzati verso nuove tematiche, estranee al settore. Attualmente presso quello che nell'acronimo inglese viene denominato Joint Research Center, JRC, il terzo per grandezza dopo quelli di Bruxelles e Lussemburgo, si svolgono ricerche in settori non-nuclear. Quanto al campo nucleare, restano operative le attività relative alle salvaguardie nucleari e quelle di gestione dei rifiuti radioattivi e di conservazione in sicurezza delle installazioni nucleari.

La Commissione europea fin dal 1999, con l'approvazione del Consiglio e del Parlamento europeo, ha predisposto un programma tecnico, economico e temporale per la disattivazione degli impianti nucleari obsoleti e la gestione dei rifiuti radioattivi e del combustibile nucleare derivanti dalle passate attività di ricerca svolte presso i CCR, tra cui il CCR di Ispra. All'Italia è stato chiesto di partecipare alle attività di disattivazione e smantellamento ai fini della regolarizzazione delle responsabilità storiche sul sito.

L'intesa transattiva in esame è stata conclusa sulla base non tanto di un corrispettivo economico, bensì sull'impegno italiano a realizzare alcuni dei lavori di disattivazione e smantellamento del reattore presente nel CCR. Segnalo che non sarebbe stato possibile determinare analiticamente i corrispettivi economici di tali interventi anche in ragione del fatto che nella contrattualistica a suo tempo vigente non erano previste clausole per future attività di smantellamento. Dunque, l'intesa pone a carico dell'Italia alcune delle attività da effettuare consistenti essenzialmente nello smantellamento del reattore e nello smaltimento dei relativi rifiuti del tutto simili a quelli relativi ai siti nucleari italiani dismessi, svolte attualmente dalla Sogin Spa.

L'Accordo è composto da sei punti preceduti da un'introduzione che ripercorre le fasi principali del negoziato tra il Governo italiano, rappresentato dal MISE, e la Comunità europea dell'energia atomica. Nel punto 1 si individuano i servizi a compensazione degli oneri derivanti dalle pregresse attività di ricerca per il programma nucleare italiano svolte presso il CCR di Ispra. Il Governo italiano provvederà alla disattivazione dell'installazione del reattore Ispra 1 secondo modalità puntualmente esposte e a carico in parte dell'Italia e in parte del CCR. I dettagli di tali attività sono riportati nell'Appendice 1, che presenta un'analisi esaustiva e puntuale delle specifiche attività. Quanto al soggetto titolare degli atti autorizzativi del reattore Ispra 1 si tratta di quello individuato dal comma 537 dell'articolo 1 della legge n. 205 del 2017, ossia la Sogin Spa.

Al punto 2 si definisce la data limite del 2028 per il conferimento dei rifiuti radioattivi del CCR di Ispra al deposito nazionale, con costi a carico del CCR stesso. In caso di indisponibilità del deposito, dal 1° gennaio 2029 i rifiuti diverranno di proprietà italiana e le relative spese di gestione del deposito temporaneo del CCR di Ispra saranno a carico dell'Italia.

Passo, quindi, alle conclusioni e allego poi il testo.

PRESIDENTE. Proprio all'ultima riga.

PAOLO FORMENTINI, Relatore. Concludo formulando l'auspicio di una rapida conclusione dell'iter di approvazione di questo provvedimento di ratifica. L'Accordo, infatti, risolve definitivamente un negoziato protrattosi per alcuni anni, con una forte riduzione delle richieste formulate originariamente dalla Commissione europea.

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo che, però, vi rinunzia.

È iscritto a parlare il collega Baldelli. Ne ha facoltà.

SIMONE BALDELLI (FI). La ringrazio, Presidente. Perché occuparsi di questo tema, Accordo transattivo fra il Governo della Repubblica italiana e la Comunità europea dell'energia atomica sui principi governanti le responsabilità di gestione dei rifiuti radioattivi del sito del Centro comune di ricerca di Ispra? Lo smaltimento di questi rifiuti radioattivi costa circa 50 milioni di euro, di cui 5 milioni solo per la custodia passiva. Chi paga questi soldi? Questi soldi vanno a valere sulla componente tariffaria A2. Secondo quanto ci dice la Viceministro Castelli, il costo dell'operazione viene finanziato dall'aumento della componente tariffaria A2 ed esso non incide sulle bollette delle abitazioni. Riprendendo pedissequamente questa frase, persino la Commissione bilancio ci dice, nel parere favorevole emesso il 5 febbraio 2019: preso atto delle dichiarazioni del Governo che il costo dell'operazione viene finanziato dall'aumento della componente tariffaria A2, esso non incide sulle bollette delle utenze relative ad abitazioni.

Ecco, noi ci siamo posti il problema se ciò sia vero o no e, secondo noi, non è vero, perché diverse norme prevedono, per particolari utenze, l'esclusione dal pagamento delle componenti tariffarie A2 e A3 ma lo fanno esplicitandolo.

Ciò significa che se dobbiamo escludere le abitazioni dall'aumento della componente tariffaria A2, cioè quella parte degli oneri di sistema che pesa sulla nostra bolletta e della quale spesso e volentieri proprio i componenti del MoVimento 5 Stelle si riempiono la bocca quando vanno in TV a dire “che vergogna non si pagano i consumi ma si pagano i costi fissi”, ecco, sappiate che quello che dice la Viceministra Castelli probabilmente è una sonora balla.

Allora, io chiedo al sottosegretario Merlo di fare un colpo di telefono al Viceministro Castelli, di verificare se questa cosa è così, a meno che non abbia già una risposta in questa sede perché, se così non è, Forza Italia prevedrà un emendamento su questa norma volto ad esplicitare chiaramente l'esenzione per le utenze abitative. In buona sostanza, gestite lo smaltimento di rifiuti nucleari come volete, ma per quello che ci riguarda alle abitazioni non aumenta di uno 0,01 euro la bolletta della luce: è chiaro questo discorso?

Se questo discorso è chiaro, allora informatevi, cercate di capire come stanno veramente le cose e, a meno che il Governo non venga a chiarirci in maniera tabellare ed esplicita nel corso dell'esame del provvedimento che non ci saranno aumenti per le abitazioni e che comunque probabilmente ce ne saranno per imprese e studi professionali, eccetera, se non viene chiarito questo, Forza Italia farà un emendamento per proteggere gli utenti più deboli dall'aumento delle tariffe. Quindi, cercate di chiarire se questa cosa è così come noi riteniamo oppure è come ha detto il Viceministro Castelli, altrimenti noi daremo battaglia in Parlamento.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Billi. Ne ha facoltà.

SIMONE BILLI (LEGA). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, il provvedimento in esame chiude un Accordo del 2009 molto vantaggioso per il nostro Paese perché risolve definitivamente un lungo negoziato con la Commissione europea.

Presidente, a mio parere, è molto importante anche mettere in pratica e sviluppare ulteriormente tecnologie e competenze italiane per lo smaltimento dei reattori e dei rifiuti nucleari in modo da prendere parte alla dismissione delle centrali nucleari in tutta Europa e nel mondo. Infatti, pensate bene, che le centrali costruite negli anni Cinquanta e Sessanta stanno arrivando a fine vita. L'Italia può e deve giocare un ruolo in questa cosa. Si tratta solo di farsi trovare pronti e sfruttare al massimo le opportunità che ci troveremo davanti.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - A.C. 1394-A)

PRESIDENTE. Prendo atto che il relatore e il rappresentante del Governo rinunziano alla replica.

Il seguito del dibattito è rinviato quindi ad altra seduta.

Discussione della proposta di legge: Grande ed altri: Ratifica ed esecuzione dell'Accordo di dialogo politico e di cooperazione tra l'Unione europea e i suoi Stati membri, da una parte, e la Repubblica di Cuba, dall'altra, fatto a Bruxelles il 12 dicembre 2016 (A.C. 1332) (ore 12,06).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge n. 1332: Ratifica ed esecuzione dell'Accordo di dialogo politico e di cooperazione tra l'Unione europea e i suoi Stati membri, da una parte, e la Repubblica di Cuba, dall'altra, fatto a Bruxelles il 12 dicembre 2016.

(Discussione sulle linee generali – A.C. 1332)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Avverto che la III Commissione (Affari esteri) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire la relatrice, deputata Iolanda Di Stasio.

IOLANDA DI STASIO, Relatrice. Grazie, Presidente. Colleghi deputati, l'Accordo di dialogo politico e di cooperazione tra l'Unione europea e Cuba fatto a Bruxelles il 12 dicembre 2016 ed entrato in vigore in via provvisoria per le parti di competenza dell'Unione europea il 1° novembre 2017, è finalizzato a promuovere le relazioni tra l'Unione Europea e Cuba affinché raggiungano un livello che rispecchi i saldi legami storici, economici e culturali tra le parti.

Oltre a creare un solido quadro favorevole al rafforzamento del dialogo politico e della cooperazione bilaterale in un gran numero di settori, l'Accordo fornisce la base per un'azione comune su questioni internazionali in consessi multilaterali.

L'Accordo stabilisce, inoltre, i principi e gli obiettivi generali delle relazioni tra l'Unione Europea e Cuba e crea una struttura istituzionale per la sua gestione.

L'Accordo entrerà in vigore integralmente quando sarà ratificato da tutti gli Stati membri dell'Unione europea. Il Parlamento europeo ha ratificato l'Accordo il 5 luglio 2017. Il testo dell'Accordo di dialogo politico e di cooperazione si compone di 89 articoli suddivisi in cinque parti.

La parte prima, relativa alle disposizioni generali, sancisce i principi e gli obiettivi dell'Accordo, ribadendo l'impegno a favore di un sistema multilaterale solido nel pieno rispetto del diritto internazionale e dei principi sanciti dalla Carta delle Nazioni Unite.

La parte seconda, relativa al dialogo politico, ne definisce gli obiettivi tra i quali si segnala il rafforzamento del dialogo su temi di interesse comune, lo scambio di opinioni sulle rispettive posizioni nei consessi internazionali e il rafforzamento delle Nazioni Unite come fulcro del sistema multilaterale e stabilisce la gamma di settori strategici comuni che formerà l'oggetto del dialogo politico e segnatamente diritti umani, commercio illegale di armi, disarmo e non proliferazione delle armi di distruzione di massa, lotta contro il terrorismo, gravi crimini di portata internazionale, misure coercitive unilaterali, lotta contro la tratta di esseri umani, lotta contro la produzione, il traffico e il consumo di droghe illecite, lotta contro la discriminazione razziale, la xenofobia e l'intolleranza ad essa associate e sviluppo sostenibile.

La parte terza è dedicata alla cooperazione e dialogo strategico settoriale e si articola in sette titoli: il Titolo primo fissa gli obiettivi e le procedure di cooperazione, definendone altresì gli attori; il Titolo primo illustra, inoltre, i settori della cooperazione, nonché le risorse disponibili per il conseguimento degli obiettivi. Il Titolo secondo riguarda le questioni più propriamente connesse al dialogo politico e istituzionale, individuandone obiettivi e modalità di cooperazione per il loro raggiungimento. Il Titolo terzo, dedicato alla promozione della giustizia, sicurezza dei cittadini e immigrazione, stabilisce meccanismi di cooperazione nei seguenti settori: protezione dei dati personali, prevenzione e repressione del traffico di droga e armi leggere, misure antiriciclaggio, lotta contro la criminalità organizzata e il terrorismo, emigrazione e contrasto al traffico di esseri umani.

La parte quarta è dedicata allo sviluppo e alla coesione sociale e prevede la creazione di canali di collaborazione nel campo delle politiche economiche, commerciali, di bilancio e delle politiche sociali. Nel settore dell'istruzione le parti si impegnano a condividere le esperienze e le migliori prassi e a promuovere lo scambio di studenti, ricercatori e docenti e, inoltre, iniziative di cooperazione sono previste nel settore della sanità pubblica, della protezione dei consumatori, della cultura, del patrimonio culturale. In particolare, le parti si impegnano ad azioni di cooperazione volte a promuovere la partecipazione delle donne alla vita politica, economica, sociale e culturale; specifica attenzione è rivolta altresì ai programmi volti alla prevenzione e al contrasto della violenza di genere, nonché alla promozione della cooperazione tra le organizzazioni giovanili. Il Titolo quinto si occupa della cooperazione nel settore dell'ambiente e della lotta contro i cambiamenti climatici e prevede azioni di cooperazione che possono comprendere il trasferimento di tecnologie pulite, sostenibili e relativo know how. Il Titolo sesto si occupa dello sviluppo economico e prevede una serie di attività di cooperazione nei seguenti settori: agricoltura, sviluppo rurale e pesca, turismo sostenibile, scienza e altro.

Auspico, altresì, una rapida conclusione della proposta di legge di iniziativa della presidente della Commissione perché la sua approvazione si inserirebbe pienamente nell'importante stagione di intensificazione delle relazioni bilaterali italo-cubane sul piano culturale, economico-commerciale e sul piano della cooperazione, dal momento che l'Italia è presente con programmi bilaterali e con il finanziamento ad organizzazioni multilaterali e ad alcune organizzazioni non governative.

PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo rinunzia a intervenire.

Non essendovi iscritti a parlare, dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali, avvertendo che evidentemente non si darà luogo alle repliche.

Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione della proposta di legge: S. 510 - D'iniziativa dei Senatori: Giarrusso ed altri: Modifica dell'articolo 416-ter del codice penale in materia di voto di scambio politico-mafioso (Approvata dal Senato) (A.C. 1302-A); e dell'abbinata proposta di legge: Colletti ed altri (A.C. 766) (ore 12,12).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge, già approvata dal Senato, n. 1302-A: Modifica dell'articolo 416-ter del codice penale in materia di voto di scambio politico-mafioso; e dell'abbinata proposta di legge n. 766.

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi per la discussione generale è pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta del 21 febbraio 2019 (Vedi l'allegato A della seduta del 21 febbraio 2019).

(Discussione sulle linee generali – A.C. 1302-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Avverto che il presidente del gruppo parlamentare del MoVimento 5 Stelle ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.

Avverto, altresì, che la II Commissione (Giustizia) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire la relatrice deputata Piera Aiello.

PIERA AIELLO, Relatrice. Grazie Presidente, onorevoli colleghi, l'Assemblea avvia oggi l'esame della proposta di legge A.C. 1302-A, approvata dal Senato che modifica l'articolo 416-ter del codice penale in materia di voto di scambio politico-mafioso.

Ricordo preliminarmente che attualmente l'articolo 416-ter del codice penale punisce lo scambio elettorale politico-mafioso con la reclusione da sei a dodici anni. Il delitto è commesso da chiunque accetta la promessa di procurare voti mediante le modalità di cui al terzo comma dell'articolo 416-bis, cioè grazie all'intimidazione derivante dal vincolo associativo mafioso, in cambio dell'erogazione o della promessa di erogazione di denaro o di altra utilità (primo comma). La stessa pena si applica a chi promette di procurare voti con le modalità di cui al primo comma o al secondo comma. Il reato di voto di scambio politico-mafioso, invero, è uno dei reati più gravi che può essere commesso in una democrazia. Tale reato infatti attenta alle libertà del voto, all'effettiva rappresentatività delle istituzioni e all'esercizio della sovranità da parte dei cittadini. Il reato di voto di scambio politico-mafioso attenta alla vita stessa della democrazia.

Purtroppo, però, tale reato non è mai stato perseguito come avrebbe dovuto, a causa di una legislazione inizialmente definita dalla stessa dottrina “zoppa” e poi, con la novella del 2014, addirittura più favorevole al reo della precedente. Nell'Aprile del 2014, infatti, il Parlamento ha approvato la revisione dell'articolo 416-ter del codice penale, introdotto nel 1992 nel nostro ordinamento per sanzionare specificamente le condotte consistenti nello scambio elettorale politico-mafioso. Affinché tale articolo potesse risultare pienamente efficace a tutela dei principi di legalità democratica e rappresentatività delle istituzioni si poteva opporre una limitata, ma sostanziale integrazione del testo vigente. L'esito finale del dibattito è stato, invece, un intervento riformatore che, a giudizio di moltissimi operatori del diritto, non consegue affatto l'asserito obiettivo di apprestare un baluardo dissuasivo e repressivo efficace contro l'incidenza della criminalità organizzata nella vita pubblica e, nello specifico, politica. Non solo la nuova formulazione ha inopinatamente attenuato la pena rispetto al testo vigente da oltre vent'anni, ma la stessa qualificazione del reato, per come novellata, rischia di rendere inefficace la fattispecie per via di modifiche e di integrazioni intervenute nel corso dell'esame parlamentare, segnatamente alla Camera dei deputati. Particolarmente grave si rivela un aspetto della notifica operata con la legge 17 aprile 2014 n. 62, i cui effetti pericolosi cominciano a dispiegarsi anche in termini giurisprudenziali, vale a dire il riferimento dell'utilizzo della forma di intimidazione del vincolo associativo, di cui al terzo comma dell'articolo 416-bis. La Cassazione invero, con la sentenza n. 36382 del 28 agosto 2014, dopo aver statuito che la nuova norma era la norma più favorevole al reo, ha infatti stabilito che, in virtù della locuzione inserita nel nuovo testo, ossia il riferimento alle citate modalità mafiose, la riforma ha introdotto un nuovo elemento costitutivo nella fattispecie incriminatrice, tale da rendere, per confronto con la previgente versione, penalmente rilevanti condotte pregresse, consistenti in pattuizioni politico-mafiose che non abbiano espressamente contemplato tali concrete modalità di procacciamento dei voti. Vi è, dunque, il serio rischio - e nel caso di specie la certezza - che condotte prima penalmente rilevanti siano diventate giuridicamente non punibili. Tale inammissibile situazione richiede pertanto un drastico intervento correttivo, che riscriva integralmente l'articolo 416-ter, al fine di eliminare i gravi elementi di criticità che, inutilmente denunciati nelle Aule parlamentari durante la fase emendativa, stanno già emergendo nella sede applicativa.

Segnalo inoltre che, in sede di modifica dell'articolo 416-ter, è stato soppresso il meccanismo di collegamento della pena, al primo comma dell'articolo 416-bis nel medesimo codice penale. Tale meccanismo, voluto e studiato da Giovanni Falcone, collegando la pena per il voto di scambio politico-mafioso alla pena prevista per l'associazione mafiosa, sanciva il collegamento ontologico e sistematico tra le due fattispecie criminali. Secondo chi aveva predisposto le norme nel 1992, il collegamento tra la mafia e la politica è tale da richiedere la medesima pena sia per chi fa parte di un'associazione mafiosa sia per chi ne chiede i voti.

La proposta di legge approvata al Senato e modificata dalla Commissione giustizia durante l'esame in sede referente si prefigge pertanto di correggere gli elementi di criticità della disposizione vigente testé evidenziati, riscrivendo l'articolo 416-ter.

Ciò premesso, nel dar conto brevemente dell'esame del provvedimento in sede referente, rammento che la Commissione giustizia ha avviato, nel dicembre scorso, l'esame delle abbinate proposte di legge n. 1302, approvata dal Senato, e n. 766, Colletti, recanti “modifiche dell'articolo 416-ter del Codice penale in materia di voto di scambio politico-mafioso”, svolgendo un breve ciclo di audizioni, nel corso delle quali, oltre a professori universitari di diritto penale, sono stati ascoltati il primo presidente della Corte suprema di cassazione, Giovanni Mammone, il Procuratore generale della Corte suprema di cassazione, Riccardo Fuzio, e il Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, Federico Cafiero De Raho.

Al termine di tale fase istruttoria, la Commissione giustizia ha deliberato di adottare come testo base per il prosieguo dell'esame il testo della proposta di legge approvata dal Senato, alla quale, nel corso dell'esame in sede referente, è stata apportata un'unica modifica.

Nel passare all'illustrazione dei contenuti dell'articolo unico della proposta di legge n. 1032, segnalo che il nuovo primo comma dell'articolo 416-ter del Codice penale, ripristinando il collegamento logico-sistematico con l'articolo 416-bis, punisce con la stessa pena prevista per l'associazione mafiosa al primo comma dell'articolo 416-bis, vale a dire con la reclusione da 10 a 15 anni, l'accettazione, diretta o a mezzo di intermediari, della promessa del sostegno elettorale in cambio di erogazione del denaro, di qualunque altra utilità o della disponibilità a soddisfare gli interessi o le esigenze dell'associazione criminale (comma 1, articolo 1). Segnalo, a tal proposito, che, ai fini della configurazione del reato di voto di scambio politico-mafioso, il testo licenziato dal Senato prevedeva che la promessa di procurare voti dovesse provenire da soggetti la cui appartenenza all'associazione mafiosa di cui all'articolo 416-bis fosse nota alla persona che conclude l'accordo elettorale. Nel corso dell'esame in sede referente la Commissione giustizia ha ritenuto, anche all'esito delle audizioni svolte, di modificare tale disposizione al fine di scongiurare l'eventuale restringimento dell'area della punibilità per il fatto che la consapevolezza e l'appartenenza del soggetto prominente ai voti all'associazione mafiosa si acquisirebbe soltanto in conseguenza di una sentenza giudiziale. Pertanto, per ragioni di chiarezza del testo, si è invece previsto che i voti dovessero essere promessi o procurati da soggetti appartenenti ad associazioni mafiose, di cui all'articolo 416-bis del codice penale, oppure mediante la modalità mafiosa, di cui al terzo comma dell'articolo 416-bis. Pertanto, rispetto alla formulazione vigente, il nuovo primo comma della proposta di legge, dal punto di vista soggettivo, estende la punibilità anche ai casi in cui la condotta incriminata sia stata realizzata mediante il ricorso ad intermediari; estende la condotta penalmente rilevante, aggiungendo alla proposta di procurare voti con le modalità mafiose la promessa che provenga da soggetti appartenenti ad associazioni mafiose; amplia ulteriormente l'oggetto alla controprestazione di chi ottiene la promessa di voti, contemplando, non solo il denaro e ogni altra utilità, ma anche la disponibilità a soddisfare gli interessi e le esigenze dell'associazione mafiosa; inasprisce la pena, che passa dalla reclusione da sei a dodici anni, alla reclusione da dieci a quindici anni.

Fermo restando il contenuto e l'attuale secondo comma dell'articolo 416-ter, in base al quale la stessa pena si applica a chi promette di procurare voti con la modalità di cui al primo comma, al medesimo articolo del codice penale sono aggiunti due nuovi commi, un terzo comma che sostanzialmente prevede un'aggravante di evento.

Se infatti chi ha concluso l'accordo con il mafioso viene eletto, la pena prevista per lo scambio elettorale politico-mafioso è aumentata della metà, terzo comma dell'articolo 1; vi è un ultimo comma, che prevede l'irrogazione della pena accessoria dell'interdizione perpetua dai pubblici uffici in caso di condanna per il reato in questione.

In conclusione, solo restituendo alla disciplina del voto di scambio politico-mafioso la necessaria nettezza, univocità e dissuasività, sarà possibile perseguire efficacemente e, quindi, prevenire le condotte di grave inquinamento nella fase elettorale e di penetrazione della criminalità organizzata nel tessuto politico-istituzionale nazionale, che il gravissimo indebolimento del reato ha, invece, favorito ed incentivato.

Per tale ragione, auspico una pronta approvazione del testo in esame.

PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire successivamente.

È iscritto a parlare il deputato Gianluca Cantalamessa. Ne ha facoltà.

GIANLUCA CANTALAMESSA (LEGA). Grazie, Presidente. Colleghi, appare certamente necessaria la riforma dell'articolo 416-ter del codice penale, per rompere una volta per tutte il legame che spesso unisce il mondo della politica con quello della criminalità organizzata.

Il voto di scambio politico-mafioso è un drammatico fenomeno che determina conseguenze molto negative nel nostro sistema Paese: innanzitutto, comporta una perdita di fiducia dei cittadini verso le istituzioni; in secondo luogo, dà un enorme potere alle mafie perché concede loro visibilità e le riconosce potenti; infine, rende ricattabili tutti, non solo l'uomo politico corrotto, ma anche il partito o l'istituzione da lui rappresentata.

Quando le organizzazioni mafiose riescono a condizionare il consenso, la vita democratica del nostro Paese viene distorta. Le cronache continuano a riportare fenomeni di pesante inquinamento a livello locale, al sud e al nord, dove le mafie hanno da tempo radicato gran parte dei loro affari, peraltro sempre più prosperosi. È questa l'accusa che sta facendo emergere con forza il procuratore nazionale antimafia, il dottor Cafiero De Raho, secondo cui la mafia, fattasi imprenditrice, spara di meno ma corrompe di più, e sottolinea: la nostra zavorra sono mafia e corruzione, quest'ultima dilaga, ma quando ci sono corruzione e mafia l'economia va a fondo.

Questo perché, con i loro capitali immensi e sporchi, provenienti da droga, prostituzione, tratta e traffico di esseri umani, riduzione in schiavitù, traffico di armi, azzerano l'economia legale, inquinano il mercato, distorcono il sistema dei prezzi, eludono le tasse con false fatturazioni. L'economia basata sulla legalità non riesce più a competere ed è destinata a fallire e tutta l'economia va verso una deriva illegale.

Ormai non è solo la dazione del danaro la controprestazione che il politico mette in campo nello scambio corruttivo. Questa controprestazione può, infatti, concretizzarsi nella promessa di appalti, nell'acquisizione di forniture, nella concessione a imprese a partecipazione pubblica che favoriscono l'infiltrazione criminale nell'economia e nei lavori pubblici, nella promessa di posti di lavoro e di comportamenti omertosi a difesa di un sistema che ostacola l'azione delle forze di polizia sul territorio, nonché nel soddisfare più genericamente gli interessi delle associazioni mafiose o di singoli affiliati.

È necessario, allora, in questa sede, ricordare brevemente alcuni dati storici. Il reato di scambio elettorale politico-mafioso, come diceva anche prima la relatrice, è stato introdotto nel nostro codice penale con il decreto-legge n. 306 del 1992, convertito nella legge n. 356 dello stesso anno. Si trattava di un decreto-legge davvero necessario e urgente. Venne emanato l'8 giugno, a pochi giorni di distanza dalla strage di Capaci.

Con l'articolo sul voto di scambio si decise di intervenire per reprimere e stroncare il patto sporco tra mafia e politica nazionale e locale. Con lo stesso decreto-legge fu aggiunta, tra le finalità tipiche dell'associazione mafiosa, quella di impedire e di ostacolare il libero esercizio del diritto al voto, cuore della democrazia rappresentativa, mediante la possibilità di procurare voti a sé o ad altri in occasione di consultazioni elettorali.

Appare evidente la tutela del bene giuridico dell'ordine pubblico, messo in pericolo dal connubio tra mafia e politica, enunciata anche a livello costituzionale negli articoli 48 e 51 della Costituzione, secondo i quali il voto deve essere libero e l'accesso alle cariche elettive deve avvenire in condizione di effettiva uguaglianza e di correttezza delle consultazioni elettorali.

Durante la scorsa legislatura, con la legge n. 62 del 2014, la disciplina originaria del reato di scambio elettorale politico-mafioso, inizialmente configurata nell'ipotesi di colui che otteneva dalla mafia la promessa di voti in cambio della sola erogazione di denaro, è stata ampliata con la controprestazione di altra utilità e cioè di qualsiasi altro tipo di vantaggio diverso dal denaro, quale, ad esempio, l'assegnazione di appalti, assunzione di lavoratori e quant'altro.

Ma per migliorare la legge si è introdotto un elemento ulteriore, consistente nella modalità indicata nel terzo comma dell'articolo 416-bis del codice penale, così richiedendo un riferimento al metodo mafioso come precisa connotazione della promessa di procurare voti in cambio di denaro o di altra utilità.

La riforma dell'articolo 416-ter del codice penale, oggi in esame, è quindi solo l'ultima delle modifiche normative fatte al codice penale con lo scopo di giungere all'obiettivo di ridurre il più possibile le interpretazioni giurisprudenziali. Siamo orgogliosi perché in Commissione giustizia alla Camera il testo è stato ulteriormente migliorato grazie alle modifiche introdotte, in base alle quali chi prende i voti dai mafiosi rischia una condanna fino a 15 anni di carcere.

Seguendo anche le osservazioni degli esperti auditi, tra i quali il procuratore nazionale antimafia, abbiamo apportato alcune modifiche al testo approvato in Senato per eliminare l'inciso che aveva destato preoccupazione - ovvero “sia a lui nota” - e abbiamo reintrodotto, oltre all'appartenenza all'associazione mafiosa, anche le modalità mafiose come alternative per rendere più efficiente e più incisiva l'applicazione della legge e la possibilità di colpire duramente l'illecito rapporto tra mafia e politica.

In più, il reato viene esteso anche a chi riceve i voti da soggetti che agiscono mediante le modalità di cui al terzo comma dell'articolo 416-bis. Ciò serve a colpire chi riceve i voti da presunti mafiosi non ancora condannati in via definitiva, ma che comunque procacciano le preferenze secondo le modalità tipiche di Cosa Nostra, 'ndrangheta e Camorra. In questo modo la Commissione ha valutato che il testo sia maggiormente efficace nel perseguire la piaga della collusione tra politica e mafia.

In più, la nuova legge inserisce due aggravanti: le pene sono aumentate della metà se il candidato votato dai clan viene eletto, mentre per tutti i condannati scatterà l'interdizione perpetua dai pubblici uffici. In pratica, la formulazione del reato lega il voto di scambio con l'associazione a delinquere di stampo mafioso. In questo modo, si stabilisce un collegamento ontologico tra le due fattispecie criminali. Non è un caso, infatti, che nell'articolo 416-bis, tra i reati delle associazioni mafiose, si indichi anche impedire od ostacolare il libero esercizio del voto o di procurare voti a sé o ad altri in occasione di consultazioni elettorali. Il collegamento con l'articolo 416-bis ha soprattutto un effetto: l'inasprimento delle pene, che passano da un minimo di 6 a un massimo di 12 anni e da un minimo di 10 a un massimo di 15 anni di carcere.

Concludo, quindi, affermando che è davvero necessario avere leggi penali in grado di punire chi commette questo orrendo crimine per quanto riguarda entrambe le parti: chi offre e chi accetta lo scambio.

PRESIDENTE. Colgo l'occasione per salutare gli studenti e gli insegnanti di due istituti di Roma, che sono venuti a trovarci: l'istituto comprensivo Fratelli Bandiera e l'istituto comprensivo statale Carlo Evangelisti. Grazie di essere qui, bambini, e anche grazie ai vostri insegnanti (Applausi).

È iscritta a parlare l'onorevole Siracusano. Ne ha facoltà.

MATILDE SIRACUSANO (FI). Grazie, Presidente. Inizio questo intervento manifestando la mia personale delusione rispetto all'esame di una serie di provvedimenti, che presentano delle pericolose criticità, che però sono oscurate dall'ansia di portare a termine a tutti i costi iniziative legislative che assumono dei connotati trionfalistici di stampo puramente giustizialista, e, piuttosto che perfezionare il sistema entro il quale si perseguono i reati di mafia, determinano evidenti ambiguità, che espongono persone estranee ai reati a grossi rischi.

Questa è la cornice che racchiude il provvedimento che ci apprestiamo ad esaminare e votare, e cioè le modifiche dell'articolo 416-ter del codice penale in materia di voto di scambio politico-mafioso, che punisce con la pena della reclusione da 10 a 15 anni il conseguimento diretto o a mezzo intermediari della promessa del sostegno elettorale da parte di soggetti appartenenti ad associazioni criminali di stampo mafioso, in cambio dell'erogazione di denaro, di qualunque altra utilità o della disponibilità a soddisfare gli interessi e le esigenze dell'associazione.

Fermo restando il contenuto dell'attuale secondo comma dell'articolo 416-ter, sono aggiunti due nuovi commi: un terzo comma che prevede sostanzialmente un'aggravante di evento.

Se infatti chi ha concluso l'accordo con il mafioso verrà eletto, la reclusione prevista per lo scambio elettorale politico-mafioso è aumentata della metà. Un ultimo comma, poi, prevede l'irrogazione della pena accessoria dell'interdizione perpetua dai pubblici uffici in caso di condanna per il reato in questione. Tra l'altro, ricordiamo che questo effetto, cioè l'interdizione perpetua, oltre che alla condanna all'ergastolo, consegue alla condanna a pena non inferiore a cinque anni di reclusione.

Un elemento rassicurante, invece, rispetto ai rischi di cui parlavo inizialmente, era stato introdotto durante i lavori al Senato, tramite l'inserimento della locuzione “che sia a lui nota”, in riferimento alla consapevolezza del soggetto attivo, quindi il candidato, dell'effettiva appartenenza ad un'associazione mafiosa da parte del promittente dei voti. L'unico emendamento che poi è stato approvato in Commissione giustizia è stato l'emendamento 1.8, dell'onorevole Salafia, del MoVimento 5 Stelle, che ha eliminato quest'obbligo di notorietà, quindi si è modificata la struttura del reato di scambio politico-mafioso in modo che esso si perfezioni tramite l'accettazione diretta o indiretta, tramite intermediari, della promessa di voti da parte di soggetti appartenenti ad un'associazione mafiosa o che agiscono con modalità intimidatorie a prescindere dalla consapevolezza di tale appartenenza da parte del candidato. Forza Italia in Commissione ha appunto mosso obiezione rispetto a questo, in quanto l'intento ovvio è quello di evitare l'applicazione del dolo eventuale, soprattutto nei territori ad alto tasso di infiltrazione mafiosa, sulla base della considerazione che il candidato non poteva non sapere, fino alla responsabilità oggettiva. Tale formulazione, peraltro, rischia di ottenere un effetto contrario a quello desiderato, considerato che, come evidenziato dallo stesso procuratore generale della Corte di cassazione, se si opera un'interpretazione letterale e sistematica del testo, la disposizione rischia di avere un devastante effetto restrittivo, visto che è appartenente ad un'associazione di cui all'articolo 416-bis del codice penale solo chi è conosciuto tale da una sentenza giudiziale. Si è rammentato che sulla base di tale premessa il procuratore generale, nella nota depositata in sede di audizione, ha dichiarato: nell'ambito applicativo della norma ricadrebbero solo ed esclusivamente gli appartenenti ad un'associazione ex articolo 416-bis, evidentemente riconosciuti come tali solo attraverso l'accertamento giudiziale. In conseguenza, qualsiasi patto di scambio politico-elettorale stipulato dal politico con soggetto non formalmente appartenente non rientrerebbe nella fattispecie, vi sarebbe quindi una larghissima e preponderante quota di condotte penalmente rilevanti certamente e comunque molto più ampia di quella che oggi discende dal testo attuale e non trova limite nelle modalità mafiose dello scambio.

La ragione è semplice: sulle modalità mafiose si può argomentare e discutere, e le si possono anche ritenere immanenti, sull'appartenenza come qualificazione soggettiva è ben più difficile argomentare. Inoltre, da quali elementi il candidato dovrebbe ricavare la consapevolezza circa l'appartenenza o meno del soggetto ad un'associazione mafiosa? Da una sentenza di condanna o dalla voce del popolo? Pensate alle difficoltà dei giovani candidati che si affacciano per le prime volte a un'esperienza di campagna elettorale, soprattutto nei territori in cui è più alta l'incidenza delle infiltrazioni mafiose, che non hanno ancora maturato l'esperienza tale per discernere alcune circostanze. Durante le campagne elettorali sappiamo benissimo, Presidente, quante circostanze strane ci troviamo ad affrontare, quante invadenze, quante richieste, quante pressioni, ed è facile che sfuggano alcuni elementi. Con questa legge voi di fatto impedite l'esercizio della politica al Sud, non tanto per noi parlamentari, ma soprattutto per tanti consiglieri comunali e regionali, che da domani potranno essere iscritti sul registro degli indagati per mafia soltanto a causa del fatto che hanno incontrato una persona in campagna elettorale e non sapevano chi fosse, che non conoscevano e che non avrebbero mai voluto incontrare. Ciò perché non sapete, perché se aveste esperienza della politica svolta fuori dalla rete sapreste che in ogni campagna elettorale si incontrano centinaia di persone mai viste né conosciute fino ad allora. Si può essere indagati o condannati per mafia per questo? Avete un pregiudizio verso la politica che esce dalla rete, che sceglie le piazze reali invece che quelle virtuali, che incontra gli elettori guardandoli in faccia.

Concludo, Presidente, ricordando che il Presidente Conte, quando si presentò per la prima volta in Parlamento, parlò di presunzione di colpevolezza invece che di presunzione di innocenza: era un lapsus, probabilmente, però interpretava perfettamente il vostro approccio ideologico alla legislazione che riguarda la giustizia e la politica. Voi ritenete che siano tutti colpevoli fino a prova contraria, per quanto ci riguarda, invece, il vostro approccio è ingiusto e non è degno di un Paese che ha una cultura giuridica come l'Italia, e annulla secoli di conquiste sul tema dei diritti e delle garanzie per i cittadini. Ci dispiace soltanto che quando vi renderete conto di tutto questo potrebbe essere troppo tardi per porvi riparo (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Saitta. Ne ha facoltà.

EUGENIO SAITTA (M5S). Presidente, colleghi deputate e deputati, oggi iniziamo in Aula la discussione sulla riforma dell'articolo 416-ter del codice penale. Si tratta di un importante provvedimento, sicuramente un altro importante passo verso la legalità. Oltre alla legalità, noi andiamo a tutelare anche la democrazia stessa, perché voglio ricordare che l'articolo 416-ter del codice penale tutela la libertà di voto, la libera formazione del voto, che è proprio l'elemento fondante della nostra democrazia. Questo provvedimento è un provvedimento di iniziativa parlamentare, si trova qui alla Camera oggi in seconda lettura, e colgo anche l'occasione per ringraziare i colleghi senatori per l'egregio lavoro svolto. Questo progetto di legge è stato fortemente voluto dal MoVimento 5 Stelle nel nostro progetto proprio di legalità e rafforzamento degli istituti giuridici che tutelano la legalità e la democrazia. Abbiamo già fatto un importantissimo passo con la legge anticorruzione, la nostra “legge spazza corrotti”, e oggi interveniamo su un istituto che permette di allontanare dalle istituzioni i mafiosi e i condizionamenti mafiosi.

Il reato dello scambio elettorale politico-mafioso è stato introdotto nel nostro ordinamento nel 1992, fu uno di quegli istituti fortemente voluti dal giudice Falcone, ed è un istituto che dalla sua introduzione nel nostro ordinamento ha avuto un'autorevole giurisprudenza, ma era anche un istituto che andava a sanzionare, andava a punire solo ed esclusivamente lo scambio che avveniva a mezzo denaro, non vi era la possibilità di punire lo scambio attraverso le altre utilità. Nel 2014 si è intervenuti in riforma di questo istituto, ed è stato introdotto anche l'elemento delle altre utilità come controprestazione, sicuramente uno degli elementi positivi, ma nel complesso la riforma è risultata di più difficile applicazione, di più difficile interpretazione rispetto alla stessa legge del 1992. Di conseguenza, oggi ci ritroviamo a intervenire nuovamente in riforma dell'articolo 416-ter, sulla base anche delle indicazioni che ci sono pervenute dalla Cassazione immediatamente dopo la riforma del 2014. Il nostro fine è quello di rendere l'istituto più efficace e meno controverso dal punto di vista interpretativo.

In Commissione abbiamo apportato anche alcune modifiche al testo che ci è pervenuto dal Senato, modifiche che sono state basate anche sui rilievi che hanno fatto gli auditi. Tra gli elementi che abbiamo introdotto con questa riforma vi è sicuramente un apprezzamento nell'ottica dell'estensione della portata incriminatrice della norma. Infatti, il procuratore generale della Cassazione, Riccardo Fuzio, in sede di audizione ha specificato che l'aspetto maggiormente positivo della proposta è quello dell'estensione della portata incriminatrice della norma dal punto di vista soggettivo, poiché essa, assai opportunamente, estende l'incriminazione anche se la condotta è stata realizzata a mezzo di intermediari. È noto che statisticamente è questa la modalità più frequente di commissione del reato, ma anche una delle opportunità più larghe di impunità della disciplina del 2014, ed è appunto opportuno porvi rimedio. Non solo. A tale estensione si collega anche - ancora una volta opportunamente - l'ampliamento del disposto normativo, nel quale si ricomprendono non solo il denaro e altre utilità ma anche la disponibilità a soddisfare gli interessi o le esigenze delle associazioni criminali.

Un ulteriore elemento di novità è quello inerente alla definizione della parte promittente i voti: la quale non viene individuata più solo nel soggetto che promette di procurare voti con le modalità di cui al terzo comma dell'articolo 416-bis del codice penale, ma anche nel soggetto che promette di procurare voti da parte di soggetti appartenenti ad associazioni di cui all'articolo 416-bis. Quest'ultimo punto è stato modificato da un nostro emendamento presentato in Commissione giustizia, sulla base dei rilievi fatti in audizione da parte del procuratore nazionale antimafia, Federico Cafiero De Raho e del procuratore generale alla Cassazione, Riccardo Fuzio. Infatti, nel testo pervenutici dal Senato si prevedeva la punibilità del reato a condizione che fosse nota l'appartenenza dei soggetti all'associazione di cui all'articolo 416-bis. Tale riforma potenzialmente poteva limitare la portata applicativa dello stesso articolo, e per tale motivo l'abbiamo riscritto con il nostro emendamento, eliminando la dicitura “sia a lui nota”, e quindi abbiamo riesteso la portata della norma.

Altri elementi di novità sono l'aggravio di pena, nel caso di condanna si passa dagli attuali 6-12 anni ad una pena che va dai 10 ai 15 anni; ancora, l'aumento di pena della metà nel caso in cui il candidato che ha accettato la promessa di voti venga poi eletto; ed infine l'interdizione perpetua dai pubblici uffici, nel caso di condanna.

In conclusione, Presidente, con questa riforma dell'articolo 416-ter prevediamo l'inasprimento delle pene ed una maggiore chiarezza del dettato normativo, ai fini di rendere la norma di più facile applicazione. È facile dire: “la mafia ci fa schifo”: nessuno in quest'Aula, o nessuno fuori potrebbe dire il contrario. È difficile poi attuare soprattutto in norme questo concetto; ma sicuramente questa riforma è doverosa, ed è un primo, importante passo verso l'obiettivo, che è quello di allontanare i mafiosi ed allontanare i condizionamenti delle organizzazioni criminali dalle istituzioni pubbliche. Fuori chi si pone come antistato dalle scelte dello Stato, che devono riguardare la libertà di tutti (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Sensi. Ne ha facoltà.

FILIPPO SENSI (PD). Presidente, la proposta di legge in discussione interviene per modificare l'articolo 416-ter del codice penale, quello che punisce - come diceva il collega poc'anzi - lo scambio elettorale politico-mafioso: una norma molto importante, perché è finalizzata a tutelare il buon funzionamento del meccanismo democratico dalle influenze e infiltrazioni della criminalità organizzata, assai pervasiva purtroppo, capillare addirittura, in molte realtà del nostro Paese.

Il Partito Democratico è sempre stato in prima fila nella battaglia contro i poteri criminali organizzati, e anche sotto il profilo in esame, quando ne ha avuto la responsabilità, ha introdotto novità importanti e significative. La norma oggi vigente in materia è, infatti, figlia di una riformulazione introdotta nella scorsa legislatura, con la legge n. 62 del 2014, con la quale furono recepiti le indicazioni e i suggerimenti dei magistrati, delle associazioni antimafia, degli esperti, che invitavano a rendere più limpido e chiaro il testo e ad inasprire il trattamento sanzionatorio. Ricordo che il relatore della proposta di legge allora alla Camera dei deputati fu l'onorevole Stefano Mattiello del Partito Democratico, ben noto, per essere un esponente di Libera, l'associazione di don Ciotti che si batte da sempre per la legalità, per la crescita della società civile, contro ogni forma di criminalità organizzata.

Il lavoro di allora produsse una buona legge, che nel tempo, grazie anche al lavoro di affinamento nella sua interpretazione prodotto dalla giurisprudenza, ha dissipato dubbi e incertezze, consentendo di pervenire ad un assetto che a noi pare ragionevole ed equilibrato, e che tale, peraltro, è stato giudicato anche dagli esperti che sono stati ascoltati in Commissione giustizia. Va sottolineato, in particolare, che alcuni dubbi che si erano palesati in origine, in particolare per la scelta che venne fatta allora di legare la punibilità del reato al procacciamento di voti “mediante le modalità di cui al terzo comma dell'articolo 416-bis”, ovvero attraverso i metodi tipici delle organizzazioni mafiose, sono stati definitivamente dissipati dalle più recenti sentenze, che hanno chiarito come tale requisito non sia strettamente necessario laddove il procacciatore di voti si sia presentato come esponente o membro di una cosca mafiosa: in tale caso infatti la modalità di procacciamento può dirsi presunta.

Questa premessa, Presidente, appare doverosa, perché l'intervento legislativo oggi all'esame dell'Aula è stato giustificato dai promotori, ma anche dalla relatrice, proprio con i dubbi anzidetti, cioè con la necessità di chiarire aspetti applicativi della fattispecie che, in realtà, sono già stati fugati.

E questa è anche la ragione di fondo per la quale il Partito Democratico ha già avuto modo di esprimere tutte le proprie perplessità sulla modifica, che anziché conseguire l'obiettivo di perseguire con efficacia reati così gravi, rischia paradossalmente di trasformarsi in una fonte di confusione, ambiguità e incertezza, tutte cose di cui francamente non si sente il bisogno nella lotta contro la criminalità organizzata. E la cosa paradossale, appunto, è che di ciò appare essersi resa conto anche la maggioranza, che, dopo aver approvato un testo al Senato che modificava profondamente la fattispecie, è poi tornata precipitosamente indietro, qui alla Camera, reintroducendo dalla finestra ciò che al Senato aveva fatto uscire dalla porta, ovvero proprio il procacciamento di voti mediante le modalità di cui all'articolo 416-bis.

Per dare un senso ad una legge che, come appare evidente da quanto detto, senso non ne ha, è rimasta, peraltro, l'introduzione nella fattispecie, in alternativa alle modalità mafiose, dell'appartenenza all'associazione mafiosa da parte del promittente i voti come requisito per l'integrazione del reato: una precisazione inutile, perché la giurisprudenza, come sopra visto, era già pervenuta al medesimo risultato. Ma forse - e c'è di più - anche rischiosa: legare ad una circostanza oggettiva la punizione di un reato di pericolo, nel quale dunque non è neppure necessario che l'accordo sia portato a consumazione, e per il quale è prevista una pena draconiana, come più oltre dirò, apre infatti interrogativi molto seri. Basti ipotizzare il caso in cui un candidato faccia un accordo per il procacciamento di voti con un soggetto che immagina capace di raccoglierli, magari perché molto conosciuto, e di cui però non abbia alcuna consapevolezza che appartiene ad una cosca: l'accordo non viene eseguito, ma il candidato viene eletto lo stesso. Si scopre poi che c'era stato un accordo iniziale, ancorché poi disatteso, e che il promittente i voti, per quanto incensurato e noto, in realtà era affiliato alla mafia: in tal caso il reato per cui dev'essere punito il candidato eletto passa da un massimo edittale di pena pari a 3 anni di reclusione – quello previsto per il voto di scambio normale senza criminalità organizzata di mezzo – a 22 anni e mezzo. Ripeto, da 3 anni a 22 anni e mezzo. Il tutto per la circostanza oggettiva, non conosciuta dal candidato, dunque non coperta dal dolo del reo, che il promittente era in realtà un mafioso: una conseguenza assurda ed irragionevole, che, come abbiamo chiesto in Commissione, ci auguriamo venga smentita e dissipata in Aula, magari anche attraverso l'approvazione di un emendamento correttivo che elimini l'inciso ambiguo dalla fattispecie e ripristini il testo così com'è oggi. Una conseguenza, peraltro, la cui irragionevolezza dipende anche da un aumento spropositato della pena per il reato, che, secondo la proposta all'esame, andrebbe punito addirittura più severamente dell'appartenenza all'associazione mafiosa.

Per tutti questi motivi, cari colleghi, continuiamo ad esprimere al dunque le nostre forti riserve e perplessità su questa iniziativa legislativa, e ci auguriamo vivamente che la maggioranza sia disponibile a migliorare il testo in Aula.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la collega Ferro. Ne ha facoltà.

WANDA FERRO (FDI). Presidente, è proprio vero che quando si fa politica non la si fa certamente con la morale, ma sicuramente non la si fa senza. Ricordo a me stessa che l'articolo 416-ter del codice penale, come modificato dalla legge 17 aprile 2014, n. 62, prevede: “Chiunque accetti la promessa di procurare voti mediante le modalità di cui al terzo comma dell'articolo 416-bis in cambio dell'erogazione o della promessa di erogazione di denaro o di altra utilità è punito con la reclusione dai quattro a dieci anni”. Prevede inoltre, al secondo comma, che la stessa pena - da quattro a dieci anni - si applichi soprattutto a chi intende promettere e procurare i voti. Il disvalore del fatto reato è quindi nell'accordo tra il politico e il mafioso, le cui corrispettive prestazioni sono da un lato il procacciamento dei voti attraverso il ricorso al metodo mafioso, dall'altro la promessa o l'effettiva erogazione di denaro o di altra utilità. Un tale accordo, così come è evidente, incide negativamente sulla libera morale dei cittadini di esprimere il proprio voto e di contribuire all'elezione democratica di propri rappresentanti nelle istituzioni. Ma non solo: se il candidato che ha stipulato il patto viene eletto, si crea una situazione di condizionamento dell'attività politica ed amministrativa a danno di tutta la collettività.

Dico fin da adesso che il gruppo di Fratelli d'Italia, da sempre impegnato a difesa delle democrazia e della libertà dei cittadini dal condizionamento mafioso, condivide pienamente le finalità di questa proposta di legge e lo ritiene migliorativo rispetto alla normativa attuale: soprattutto alla luce delle modifiche apportate in Commissione giustizia anche a seguito dell'importante contributo attraverso le audizioni, come quelle del procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho.

Ricordo che una proposta di riforma della norma sul voto di scambio politico-mafioso è contenuta nella relazione finale della commissione presieduta dal procuratore Nicola Gratteri e incaricata dal Governo di elaborare delle proposte normative in tema di lotte, anche patrimoniali, alla criminalità organizzata, che giace, ahimè, nei cassetti del Governo fin dal 2014. Più volte è stato sottolineato che è cambiato un po' il meccanismo e l'approccio: una volta erano i mafiosi che si rivolgevano ai politici; oggi sono proprio i politici, spesso, a rivolgersi a quella parte di mafia. Questa proposta prevede, ovviamente, l'inasprimento del trattamento sanzionatorio, intervenuto, di fatto, con l'aumento delle pene edittali del 416-bis introdotte dalla legge n. 69 del 2015, e, dall'altro, la previsione di un'estensione della fattispecie, per punire anche l'accordo che impegna non l'intera organizzazione, ma un suo appartenente.

La proposta che arriva oggi in Aula va in quella direzione e, come dicevo, è per molti migliorativa rispetto alla norma vigente, ad esempio introducendo la punibilità anche quando l'accordo politico-mafioso è stipulato tramite intermediari, così come è utile precisare che la controprestazione da parte del mafioso non debba essere soltanto l'erogazione o la promessa di denaro o di altra utilità, ma anche la più generica disponibilità a soddisfare gli interessi o le esigenze dell'associazione mafiosa.

Sono aspetti che noi condividiamo, li condividiamo in pieno, così come condividiamo l'aumento delle pene previste nel terzo comma, che si applica nel caso in cui un politico, che ha stretto l'accordo di scambio, venga effettivamente eletto nella relativa consultazione elettorale. Il lavoro fatto dai colleghi in Commissione giustizia alla Camera ha consentito di correggere la norma che, in effetti, devo dire, nella sua formulazione in Senato, apriva un vulnus nella sua effettiva efficacia. Prevedere, infatti, che l'accordo dello scambio elettorale politico-mafioso potesse intervenire solo con soggetti appartenenti alle associazioni mafiose, escludendo dalla fattispecie l'accordo con un soggetto, che si avvale della modalità mafiosa, ma che non è organico all'associazione, avrebbe di molto ridotto la possibilità di perseguire il reato in sede processuale, soprattutto per la difficoltà di dimostrare, in caso, ovviamente, anche di eventuali processi, che chi accetta la promessa dei voti abbia consapevolezza di trattare con un condannato in via definitiva per il 416-bis.

È corretto, quindi, configurare il reato anche qualora il soggetto non sia stato già condannato per associazione mafiosa, ma si sia impegnato a procacciare i voti avvalendosi di modalità mafiose. Ciò serve ad evitare qualunque forma di ambiguità e a rendere più solida la portata della norma nel contrasto al voto di scambio politico-mafioso, all'inquinamento delle competizioni elettorali, alle infiltrazioni nelle pubbliche amministrazioni da parte della criminalità organizzata attraverso il contributo di politici corrotti. Un segnale altrettanto positivo è quello che ci giunge con la collega Aiello all'interno della stessa Commissione antimafia della quale facciamo parte, dove auspichiamo che, al più breve, tra i tanti comitati, venga insediato anche questo, che, ovviamente, avrà la possibilità di analizzare aspetti più specifici anche rispetto alle proprie competenze. Per questo noi riteniamo - torno, ovviamente, alla discussione precedente della norma che stiamo discutendo, così come arriva in Aula - che sia da parte nostra più che condivisibile, in quanto valida ed efficace. Per questo certamente Fratelli d'Italia si dirà a favore, certi che soltanto chi potrà in futuro negare veramente quello che sarà il consenso alla mafia potrà liberamente, in qualche modo, esercitare quel ruolo nobile della politica che troppo spesso, per alcuni casi, ha messo tutti quanti sullo stesso piano, generalizzando e mortificando la politica, i partiti e le istituzioni.

Rispetto anche a quello che ha detto il collega relatore nel suo intervento, auspichiamo, ovviamente, di liberare le istituzioni, ma, soprattutto, che le istituzioni si liberino da un certo bacino che troppo spesso vede anche quella politica non voler liberare la gente dal bisogno, e troppo spesso il bisogno porta la gente a fare delle scelte sbagliate. Grazie, Presidente, grazie ovviamente per aver condiviso un percorso comune che ogni tanto in quest'Aula si registra rispetto, credo, a dei temi che non possono essere di una parte rispetto all'altra, ma che sono i temi che interessano al popolo italiano.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Ascari. Ne ha facoltà.

STEFANIA ASCARI (M5S). Grazie, Presidente. L'articolo 416-ter è una fattispecie di reato inserita nel libro secondo, al Titolo V, reati contro l'ordine pubblico del codice penale, subito dopo l'articolo 416-bis, che tratta l'associazione di tipo mafioso, a cui è strettamente legata. Si tratta di un articolo che è stato introdotto nel nostro ordinamento dal decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, con lo scopo di contrastare i legami elettorali politico-mafiosi. La vigente formulazione dell'articolo 416-ter sanziona lo scambio elettorale politico-mafioso con la reclusione da sei a dodici anni. Il delitto è commesso da chiunque accetta la promessa di procurare voti mediante le modalità di cui al terzo comma dell'articolo 416-bis, cioè grazie all'intimidazione derivante dal vincolo associativo mafioso, in cambio dell'erogazione o della promessa di erogazione di denaro o di altra utilità.

La stessa pena si applica chi promette di procurare voti con le modalità di cui al primo comma. La scorsa legislatura ha visto un'intensa attività parlamentare attorno alle modifiche di questo articolo, senza, tuttavia, pervenire ad una formulazione soddisfacente, risultando, quindi, un'occasione mancata per descrivere in maniera efficace le condotte attraverso cui le associazioni mafiose o i singoli appartenenti ad esse intervengono nelle competizioni elettorali politiche e amministrative per condizionare o dirottare il voto verso partiti o candidati che accettano di scambiare promesse di voti con promesse di vantaggi o altre utilità per il mafioso procacciatore.

La legge 17 aprile 2014, n. 62, ha modificato l'originaria formulazione assai ristretta, ma ha suscitato non poche critiche, nonostante abbia avuto il merito indiscusso di aggiungere il termine “altre utilità” all'oggetto dello scambio politico-mafioso. In tal modo è stata eliminata una grave lacuna nel testo della norma che limitava la perseguibilità solo alla promessa o all'effettiva erogazione di denaro in cambio di voti, escludendo, quindi, tutti quei casi in cui venivano promesse utilità diverse, ad esempio posti di lavoro, raccomandazioni, sostegno politico o altri concreti e specifici vantaggi. Si tratta, evidentemente, di una norma sussidiaria, che lascia ferme le più gravi ipotesi del concorso esterno o della corruzione in senso stretto, quando ne ricorrano i presupposti. Le critiche sono state forti durante l'iter di discussione della legge n. 62 del 2014, soprattutto da parte del MoVimento 5 Stelle, in particolare in relazione alla riduzione della pena edittale, che passava da 7-12 anni a 4-10 anni, parametri, poi, per fortuna successivamente aumentati nuovamente, ma anche in relazione all'introduzione del metodo mafioso come mezzo per procurarsi il voto.

Elemento, questo, che escludeva dalla fattispecie tutti quei comportamenti privi di intimidazioni, ma utili all'ottenimento del voto, essendo noto come la mafia ottenga consenso con la corruzione o la promessa di favori o di raggiungere il politico per fare, ottenere vantaggi, e, grazie alla modifica oggi, anche attraverso intermediari. Inoltre, la giurisprudenza ha avuto modo di intervenire in merito, sottolineando queste distorsioni. L'attuale formulazione del 416-ter ha posto non pochi problemi al potere giudiziario, rendendo difficile la perseguibilità dell'accordo del politico con chi promette voti in cambio di vantaggi.

Quando la norma venne concepita, nel 1992, si era nel bel mezzo di una guerra tra Stato e anti-Stato, durante la quale hanno perso la vita decine e decine di uomini tra le istituzioni e innumerevoli altre vittime innocenti. Come ricordato, la mafia da allora è profondamente cambiata: l'ala sanguinaria e stragista, per quanto mai sopita, ha lentamente lasciato spazio a un'ala meno aggressiva, ma non per questo meno pericolosa. Le analisi prodotte dalle diverse Commissioni parlamentari di inchiesta sul fenomeno mafioso che si sono succedute nel corso delle varie legislature hanno delineato un quadro molto chiaro su questo.

La relazione conclusiva sull'attività svolta dalla Commissione antimafia della XVII legislatura, approvata nel febbraio del 2018, infatti recita chiaramente che: “si registra, come elemento costante e consolidato in tutti i territori e in tutte le organizzazioni, la riduzione progressiva delle componenti violente e militari del metodo mafioso. Esse cedono il passo alla promozione di relazioni di scambio e collusione nei mercati illegali e, ancor più, legali”. Si legge, ancora, nella relazione che: “questa evoluzione impone un ripensamento delle politiche antimafia mirato maggiormente ai fattori di contesto ovvero alle condizioni politiche, sociali ed economiche che favoriscono la genesi e la riproduzione delle mafie, in uno scenario in cui risultano sempre più stretti gli intrecci tra criminalità mafiosa, corruzione, criminalità economica e dei colletti bianchi”.

La mafia dei territori tradizionali del Mezzogiorno si è espansa notevolmente e ormai è presente in maniera stabile, con radicamenti profondi, anche al centro e nord Italia e all'estero.

L'organizzazione criminale è sempre più flessibile e meno riconoscibile. In gergo tecnico ha adottato strutture volte alla mimetizzazione e all'inabissamento nella società, alla continua ricerca di legami con il mondo politico e imprenditoriale. E, soprattutto, si fa sempre più chiaro agli investigatori il massiccio investimento di proventi illeciti nell'economia legale, attraverso l'aiuto compiacente di imprenditori, professionisti e, in taluni casi, anche di soggetti istituzionali deviati.

In questo contesto, il legame tra mafia e corruzione è sempre più stretto, rappresentando spesso l'uno l'altra faccia dell'altro, e la politica è uno dei principali interlocutori della mafia, potendo disporre delle finanze pubbliche ai diversi livelli, sia locale sia regionale quando non addirittura nazionale.

Come la stessa relazione conclusiva della Commissione antimafia richiamata ha intelligentemente riportato, in cambio i clan offrono consenso elettorale, reti di relazioni e finanziamenti occulti. Nella gran parte dei casi di illegalità si osserva, infatti, un forte intreccio tra i boss della criminalità organizzata e i vertici politici delle istituzioni territoriali. È per questo che è fondamentale spezzare questo legame e, per farlo, è necessario ricercare una formulazione migliorativa dell'articolo 416-ter.

Al fenomeno dello scambio politico-mafioso è strettamente legato il tema delle infiltrazioni della mafia nelle articolazioni territoriali dello Stato. Si tratta di un fenomeno particolarmente noto e pervasivo che non coinvolge solo il sud Italia ma che negli ultimi anni si è espanso in tutto il Paese. La pericolosità di questa patologia è talmente grave che da anni esiste una legislazione specifica ad essa dedicata contenuta principalmente nel testo unico sugli enti locali.

Alle riconosciute infiltrazioni della mafia nei comuni segue lo scioglimento dell'ente locale e l'invio di commissari governativi con il compito di ripristinare la legalità, compito arduo specialmente in determinate situazioni ove la legalità è ampiamente disattesa se non addirittura sconosciuta.

Ma lo scioglimento per mafia di un comune non può che rappresentare una sconfitta per lo Stato, nel senso che lo Stato è ormai arrivato troppo tardi quando la mafia già ha messo le mani sulle istituzioni locali.

A maggior ragione, il contrasto del voto di scambio deve essere lo strumento per prevenire queste infiltrazioni all'origine.

Il fenomeno dello scambio elettorale politico-mafioso, come dimostrato da inchieste giornalistiche e giudiziarie recenti, è un fenomeno particolarmente pervasivo nel nostro ordinamento. Si tratta di un fenomeno particolarmente grave che per la sua natura pregiudica fortemente il buon andamento dei nostri meccanismi democratici.

L'influenza nella scelta dei rappresentanti del popolo a diversi livelli territoriali comporta, infatti, distorsioni evidenti nella gestione della res publica, portando nei tavoli decisori soggetti che, anziché operare nell'interesse e per il bene dei propri cittadini, svolgono il ruolo affidatogli all'interno delle istituzioni repubblicane nell'interesse delle associazioni criminali e sono ovvie le drammatiche conseguenze per la tenuta democratica delle istituzioni.

Infatti, quasi puntualmente, a ogni tornata elettorale, in questo Paese, vengono lanciate accuse di brogli e di scambi elettorali da varie forze politiche senza distinzione e, sfortunatamente, i processi giudiziari, a cui abbiamo assistito in questi mesi, non fanno altro che confermare queste accuse.

Dunque, il nuovo testo vuole intervenire per eliminare ambiguità e inconcepibili limiti attraverso una formulazione che ricomprende, in maniera univoca e chiara, tutto il fenomeno criminale dello scambio elettorale politico-mafioso.

Non è più possibile rimandare. Di fronte a noi abbiamo un bivio: lasciare che le mafie prosperino nell'immobilismo degli strumenti legislativi per il contrasto oppure aggiornare le norme per rendere più efficace l'azione contro la criminalità organizzata.

È tempo di propendere per la seconda scelta in nome della legalità e nell'interesse dei cittadini e degli imprenditori onesti. Basta occasioni mancate! Adesso operiamo davvero per il cambiamento (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

(Repliche - A.C. 1302-A)

PRESIDENTE. Prendo atto che la relatrice, onorevole Aiello, rinunzia alla replica.

Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

VITTORIO FERRARESI, Sottosegretario di Stato per la Giustizia. Grazie, Presidente. Il Governo condivide un intervento sull'articolo 416-ter del codice penale in quanto previsto dal contratto di governo e in quanto si vuole contrastare, con fermezza e con responsabilità, chi vuole sovvertire l'ordine costituzionale del Paese e, soprattutto, chi lo vuole fare inquinando il principale strumento di democrazia previsto dallo stesso.

Quindi, voglio fare solo alcune precisazioni e qui, ovviamente, nessuno vuole impedire l'esercizio della politica, tantomeno al Sud, e nessuno vuole creare un qualcosa che possa essere totalmente al di fuori delle prerogative e della responsabilità dei singoli cittadini che si candidano, anche in terre di mafia, a essere eletti nelle istituzioni, ma si vuole porre l'attenzione al contrasto di questi fenomeni e, soprattutto, all'attenzione che questi cittadini che si candidano devono avere per il senso di responsabilità - e come si diceva, appunto, anche di nobiltà - che comporta ricoprire questi incarichi nei confronti della Repubblica e della democrazia.

È per questo che, come Governo, ci sentiamo semplicemente di puntualizzare alcune cose rispetto a tutti gli interventi che sono stati - direi - molto completi ed esaustivi.

Essenzialmente, noi condividiamo un intervento che possa arrivare a un inasprimento sanzionatorio, perché è tale la gravità di questo tipo di comportamenti e, soprattutto, perché queste associazioni criminali ovviamente vanno a toccare il cuore vivo della democrazia del Paese e vanno a toccare il sistema con cui l'ordinamento si organizza e, soprattutto, porta avanti scelte importanti per il Paese stesso, che non possono essere assolutamente inquinate da personaggi che hanno a che fare con la corruzione e, a maggior ragione, con le associazioni criminali di stampo mafioso.

Vogliamo garantire un ampliamento della possibilità di accertamento di questi reati che, ovviamente, non vuol dire togliere il dolo - e ci mancherebbe - ma garantire la massima portata di un intervento che possa dare la possibilità ai magistrati, anche in situazioni difficili, di accertare questo tipo di comportamenti. L'abbiamo fatto ovviamente dando parere favorevole sull'emendamento che prevedeva l'alternatività - e qui voglio chiarificarlo - tra l'appartenenza e le modalità nell'articolo 416-bis, perché di alternatività si tratta.

È un intervento che va a chiarificare l'indirizzo della giurisprudenza, che non vuol dire che prima alcuni tipi di fattispecie o di condotte non erano previste ma semplicemente si va a scolpire - perché secondo me è necessario come legislatore farlo - il fatto che alcune condotte, in particolar modo quelle degli intermediari o degli interessi o le esigenze delle associazioni mafiose che sono espresse nel testo, siano solidificate da una norma di legge che quindi, appunto, possono essere applicate da parte dei magistrati anche con riferimento esclusivo al dato letterale della norma e non solo per indirizzo giurisprudenziale.

Il fatto che il problema sia stato motivo di discussione giurisprudenziale e motivo di problemi e critiche non è un dato positivo: lo è il fatto che si voglia solidificare tale indirizzo giurisprudenziale. Il fatto negativo è che siano stati creati questi problemi, cosa che noi non vogliamo fare, anzi vogliamo proprio chiarire e riportare la norma a una specifica coincidenza con l'indirizzo giurisprudenziale. Dall'altra parte, invece, vogliamo senz'altro fare in modo che vi sia una particolare attenzione da parte dei cittadini e dei magistrati, soprattutto di chi si candida ad amministrare la cosa pubblica a questo tipo di condotte. Quindi si tratta di una chiarificazione degli indirizzi giurisprudenziali solidificandoli nella norma; di un accertamento che sicuramente ha una possibilità più ampia di essere portato avanti; un inasprimento sanzionatorio; tutto per coronare una norma che ci deve contraddistinguere nella lotta alla criminalità organizzata di stampo mafioso che deve portare all'intervento, che tutti noi auspichiamo, ovvero respingere le associazioni criminali di stampo mafioso fuori dalle istituzioni, fuori dalla politica, fuori dal cuore pulsante della democrazia ossia i momenti di elezione dei suoi rappresentanti. È un motivo d'orgoglio, secondo me, del Governo ma, come ho visto, di tutti ovviamente in Parlamento e di tutti i rappresentanti che prenderanno parte alla discussione che spero sia proficua e costruttiva nei prossimi giorni e nelle prossime settimane in quest'Aula.

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta. Sospendiamo ora la seduta che riprenderà alle ore 14.

La seduta, sospesa alle 13,15, è ripresa alle 14.

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, il deputato Zoffili è in missione a decorrere dalla ripresa pomeridiana della seduta.

I deputati in missione sono complessivamente sessantacinque, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna.

Discussione della proposta di legge: Molinari ed altri: Modifica all'articolo 4 del testo unico in materia di società a partecipazione pubblica, di cui al decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175, concernente le partecipazioni in società operanti nel settore lattiero-caseario (A.C. 712-A).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge n. 712-A: Modifica all'articolo 4 del testo unico in materia di società a partecipazione pubblica, di cui al decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175, concernente le partecipazioni in società operanti nel settore lattiero-caseario.

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta del 21 febbraio 2019 (Vedi l'allegato A della seduta del 21 febbraio 2019).

Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali ma, preso atto dell'assenza del Governo, sospendiamo la seduta per cinque minuti che spero siano sufficienti al Governo per arrivare.

La seduta, sospesa alle 14,02, è ripresa alle 14,05.

PRESIDENTE. Riprendiamo la seduta. Il rappresentante del Governo non è ancora arrivato, ma mi dicono che è in arrivo, quindi riprenderemo la seduta alle ore 14,20.

La seduta, sospesa alle 14,06, è ripresa alle 14,20.

PRESIDENTE. Bene, dichiaro ripresa la seduta. Mi sembra che la formazione sia al completo.

(Discussione sulle linee generali – A.C. 712-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Avverto che la XIII Commissione (Agricoltura) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire il relatore, deputato Marzio Liuni.

MARZIO LIUNI, Relatore. Grazie, Presidente. Il provvedimento oggi all'esame dell'Assemblea, in relazione al quale è stata disposta, lo scorso 2 ottobre, la procedura di urgenza, ai sensi dell'articolo 69 del Regolamento, si compone di un unico articolo ed è volto ad aggiungere un nuovo comma all'articolo 4 del decreto legislativo 19 agosto 2016 n. 175, Testo unico sulle società partecipate. Il comma che si intende aggiungere prevede che le disposizioni dell'articolo 4 del Testo unico non si applicano alla costituzione, né all'acquisizione o al mantenimento di partecipazioni aventi per oggetto sociale prevalente la produzione, il trattamento, la lavorazione e l'immissione in commercio del latte, in qualsiasi modo trattato e dei prodotti lattiero-caseari. Il testo originario della proposta, sia nel titolo che nel corpo dell'articolato, si riferiva anche ai prodotti alimentari in genere. Tale riferimento è stato opportunamente soppresso a seguito dell'approvazione, in sede referente, di tre identici emendamenti presentati dai deputati appartenenti ai gruppi MoVimento 5 Stelle, Partito Democratico e Fratelli d'Italia. Ricordo che le disposizioni recanti l'articolo 4 del Testo unico, sul quale la proposta interviene, prevedono il divieto, per le amministrazioni pubbliche, di costituire anche indirettamente società aventi per oggetto l'attività di produzione di beni e servizi non strettamente necessari per il proseguimento delle proprie finalità istituzionali, nonché di acquisire o mantenere partecipazioni, anche di minoranza, in tali società. Il comma 9 del medesimo articolo prevede, inoltre, che, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministero dell'Economia e delle finanze o dell'organo vigente delle amministrazioni partecipate possano essere disposte l'esclusione totale o parziale del divieto di cui all'articolo 4, con riferimento a singole società, purché motivate in relazione alla misura e alla qualità della partecipazione pubblica, agli interessi pubblici connessi e al tipo di attività svolta. In forza di ciò, il sindaco del comune di Brescia, in qualità di organo di vertice dell'amministrazione partecipante, ha avanzato la richiesta di esclusione dall'applicazione della disposizione dell'articolo 4 del Testo unico alla società Centrale del latte di Brescia Spa. Tale richiesta è stata approvata con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri il 31 ottobre 2017. Nell'ambito del procedimento esitato con l'adozione del DPCM, è stato chiarito, ai fini della verifica del rispetto dei vincoli teleologici richiesti dalla legge per consentire l'esclusione dell'applicazione dell'articolo 4, che il comune di Brescia detiene una percentuale maggioritaria nel capitale sociale della Centrale del latte di Brescia Spa.

Per quanto riguarda la funzionalità dell'attività sociale rispetto alla finalità istituzionale del comune, il decreto evidenzia che il mantenimento della partecipazione è funzionale all'esercizio dei controlli qualitativi estesi a tutte le attività dell'azienda, a ogni prodotto e fase della lavorazione. Viene, inoltre, riconosciuto il ruolo di presidio in ambito sanitario e di controllo degli alimenti svolto dalla Centrale del latte di Brescia, funzionale dunque al perseguimento della finalità istituzionali della stessa amministrazione pubblica.

Questo è, dunque, il fondamento dell'iniziativa legislativa all'esame che, muovendo dalla necessità di mantenere inalterato il patrimonio di storia, tradizioni, qualità e innovazione, espresso dalle centrali del latte, intende restituire alle pubbliche amministrazioni le funzioni di garanzia e controllo sulla filiera lattiero-casearia, venuta meno a seguito dell'approvazione del testo unico sulle società partecipate. Ciò in virtù del riconoscimento del ruolo di garanzia svolto dalla Centrale del latte a tutela della salute dei consumatori e dell'ambiente e certamente funzionale al perseguimento delle finalità pubbliche svolte dall'ente amministrativo.

Prima di concludere, faccio presente che ad oggi risultano partecipate da soggetti pubblici, in aggiunta alla Centrale del latte di Brescia, le seguenti centrali del latte: quella di Alessandria e Asti, la Centrale del latte di Roma e la Centrale del latte Italia. Risultano, altresì, effettuare la propria attività nel settore lattiero-caseario, sempre secondo il MEF, anche ventuno società cooperative, con partecipazioni anche minime da parte degli enti locali di riferimento, oltre a qualche altro soggetto di ordine per lo più locale.

Venendo ai lavori svolti dalla Commissione in sede referente, sono state complessivamente dedicate all'esame della proposta quattro sedute, due sedute sono poi state dedicate allo svolgimento di audizioni informali: sono stati, in particolare, auditi i rappresentanti delle organizzazioni agricole (Confagricoltura, CEA, Copagri, Alleanza delle cooperative italiane agroalimentari e Coldiretti) e i magistrati della Corte dei conti.

Segnalo, infine, che tutte le Commissioni chiamate ad esprimere un parere - Affari costituzionali, Bilancio, Attività produttive, Politiche dell'Unione europea, Commissione bicamerale per le questioni regionali - si sono espresse in senso favorevole.

PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire successivamente.

È iscritto a parlare il deputato Luciano Cillis. Ne ha facoltà.

LUCIANO CILLIS (M5S). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi e colleghe, le tematiche correlate alla corretta gestione dei beni primari, delle derrate alimentari che quotidianamente mettiamo sulle nostre tavole, sono comune argomento di discussione tra la gente, gli esperti e i politici.

La vertenza riguardante la crisi del prezzo del latte ovi-caprino che nasce nella terra di Sardegna e si allarga a macchia d'olio in tutto il territorio nazionale, da nord a sud, ne è una chiara dimostrazione. Purtroppo, quello che molto spesso si fa è lasciare che il mercato si autobilanci, che la parte forte della contrattazione stritoli e lasci morire la parte debole. Il legislatore può dare gli strumenti per riequilibrare i rapporti di forze in campo.

Ponendo nuovamente l'atto l'attenzione dovuta sulla crisi del prezzo del latte ovi-caprino, il gruppo parlamentare del MoVimento 5 Stelle, con la risoluzione Cadeddu, si è mosso in tempi non sospetti. Prima che milioni di litri di latte, frutto del duro lavoro dei pastori, andassero a colorare di bianco le strade sarde, ci eravamo mossi per supplire alle evidenti carenze che il legislatore aveva lasciato con il decreto ministeriale 7 aprile 2015. Abbiamo finalmente equiparato il latte ovi-caprino al latte vaccino, abbiamo posto le basi per una seria tracciabilità dell'intera filiera, sia per il latte nazionale, che per quello estero. Abbiamo previsto la dichiarazione obbligatoria sul registro telematico degli ingressi dai Paesi comunitari e non, dei prodotti lattiero-caseari di tutte le categorie merceologiche e posto l'obbligatorietà della dichiarazione dei formaggi in stagionatura a partire dal trentesimo giorno.

Tutto questo permette di avere una limpidità e una trasparenza dei dati, che si trasforma in maggiore sicurezza da parte del consumatore e in reale potere contrattuale del produttore primario, dall'altra parte. Abbiamo semplicemente concretizzato una promessa elettorale.

Presidente, spostiamo ora l'obiettivo sulla tematica del latte bovino e sui dati che attualmente si hanno a disposizione, i quali delimitano un quadro in chiaroscuro. L'indirizzo produttivo del latte vaccino italiano vede principalmente tre sbocchi: da una parte, secondo i dati Agea, circa il 9 per cento dell'intera produzione italiana, equivalente a 1 milione 109 mila tonnellate, ha come target il consumo alimentare fresco, il 48 per cento, pari a 5 milioni 764 mila tonnellate, come formaggi DOP, mentre il restante 43 per cento, pari a 5 milioni 81 mila tonnellate, per altri impieghi industriali. L'Italia, nel complesso, non risulta essere autosufficiente per i consumi e ricorre a 1 milione 696 mila tonnellate di latte estero, con un tasso di autoapprovvigionamento pari a circa l'88 per cento.

I sistemi aziendali ad oggi presenti in Italia si possono di suddividere in quattro macro-gruppi: le aziende diffuse nel nord Italia, con una consistenza del capitale bovino superiore a 150 vacche di razza Frisona, la cui produzione viene indirizzata per il latte alimentare e per i formaggi DOP; le aziende dell'area del parmigiano reggiano, con una consistenza aziendale di 50-100 vacche, il cui latte viene indirizzato per la produzione dell'omonima DOP; le aziende piccole, con meno di 30 vacche di razza bruna o pezzata rossa, diffusa sull'arco alpino e appenninico, per la produzione di formaggi tipici; ultima, ma non meno importante, quella delle aziende medie con 50-100 vacche, il cui latte viene indirizzato per il latte alimentare e per i formaggi a pasta filata, diffusa maggiormente nel sud Italia.

Il dato che deve farci fermare a riflettere maggiormente è la redditività che queste aziende riescono a portare a casa per litro di latte munto. Mediamente, i costi di produzione differiscono tra aziende che producono latte a destinazione consumo alimentare e quelle destinate alla produzione di formaggi, anche solo di pochi centesimi, e sono inversamente proporzionali alla consistenza e al numero di capi presenti in stalla.

Grazie all'economia di scala possibile su alimentazione e spese veterinarie diventa vertiginosa la differenza tra la remunerazione che queste tipologie di produzione riescono a ottenere. Il prezzo che spunta un latte generico per il consumo alimentare, mediamente, nel 2017, è di 38,58 centesimi, in grado di ripagare a stento i costi di produzione, rispetto al prezzo ottenuto nello stesso anno dal latte destinato alla produzione di parmigiano reggiano, pari circa a 63,97 centesimi.

Questi indici sono il frutto di molteplici fattori che si sommano a dare un quadro a tinte fosche: frammentazione del sistema produttivo, costi di produzione più elevati rispetto ai concorrenti esteri, polverizzazione del sistema di trasformazione, rapporti interprofessionali conflittuali e sbilanciati a sfavore della parte agricola, elevato potere contrattuale della GDO, elevata concorrenza della materia prima estera per autoapprovvigionamenti dell'industria nazionale. Qual è il risultato? In circa trent'anni hanno chiuso più di 100 mila aziende, impoverendo interi comprensori agricoli che con questa attività mantenevano viva l'economia di ampie aree rurali.

La proposta di legge che ci apprestiamo a discutere in quest'Aula mira a dare una risposta sostanziale per tagliare le distanze tra le stalle e, quindi, tra i produttori di una determinata area e i consumatori che in quell'area vivono, fornendo la partecipazione del pubblico nelle aziende che hanno come oggetto sociale prevalente la produzione, il trattamento, la lavorazione e l'immissione in commercio del latte, comunque trattato, e dei prodotti lattiero-caseari.

Le centrali del latte, che tradizionalmente sono la bandiera del territorio su cui operano tramite la partecipazione del pubblico, rappresenterebbero uno straordinario strumento per tagliare la forbice di differenza di prezzo pagato alla stalla e il prezzo che il consumatore paga allo scaffale. In termini industriali, una volta remunerate le spese gestionali della struttura, l'allevatore potrà vedere assottigliato il delta di guadagno rispetto al prezzo di vendita.

Riaprire il rapporto dell'economia locale ai produttori locali, rendere il consumatore conscio dell'acquisto che si accinge a fare: il più grande gesto politico, in fondo, lo si fa scegliendo di finanziare direttamente, con le proprie scelte alimentari, i produttori locali. Questi obiettivi indispensabili da raggiungere, utilizzando anche le amministrazioni locali come baluardo pubblico nella gestione e supervisione di un'attività agricola tra le più deboli e indispensabili per il presidio, la cura e la manutenzione delle aree rurali, è una giusta visione del bene comune. La risposta che le amministrazioni locali devono fornire in termini di bilancio ai cittadini è il migliore strumento di controllo di una sana gestione, cosa che in passato, purtroppo, aziende agroalimentari italiane, apparentemente forti e in piena salute, non hanno assicurato, portando sul lastrico non solo gli azionisti e gli investitori in genere, ma anche i produttori primari.

In ultima analisi, vi è da sottolineare il precedente fissato con l'adozione dell'istanza del sindaco di Brescia, con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 31 ottobre 2017 per la totale esclusione dell'articolo 4 del decreto legislativo n. 175 del 2016 alla Società del latte di Brescia, con il quale veniva riconosciuta alla Società del latte bresciana la fondamentale valenza di presidio e di controllo degli alimenti, che risulta funzionale al proseguimento della finalità istituzionale della stessa amministrazione.

La proposta di legge in discussione ricalca un principio espresso dalla succitata deroga e punta, quindi, a restituire alla pubblica amministrazione la funzione di garanzia e di controllo della filiera lattiero-casearia, che la riforma Madia ha, invece, fatto venir meno.

Non lasciamo che le logiche di mercato, che sempre più equiparano i beni di consumo e i prodotti primari alle commodities, prima devastino il mercato nazionale impoverendo intere aree a vocatura agricola e poi determinino scelte e decisioni di carattere strategico attraverso la dipendenza alimentare: un lusso che una nazione come la nostra, che sull'eccellenza e l'unicità del comparto primario e del valore aggiunto che solo questi nostri prodotti riescono ad avere, ha fondato un inimitabile brand made in Italy agroalimentare.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Spena. Ne ha facoltà.

MARIA SPENA (FI). Presidente, come è noto, il testo sulle partecipate stabilisce il divieto per le amministrazioni pubbliche di acquisire o mantenere partecipazioni in società che abbiano come oggetto sociale la produzione di beni e servizi, salvo che per talune speciali eccezioni, in considerazione degli interessi pubblici coinvolti, dell'attività condotta e della tipologia di partecipazione. Queste eccezioni devono essere riconosciute con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri su istanza dell'amministrazione interessata. La proposta che oggi andiamo ad esaminare supera questa procedura, escludendo da questo divieto il settore lattiero-caseario, cioè, in pratica, le centrali del latte, promuovendo possibili future partecipazioni. Ad oggi risultano partecipate da soggetti pubblici la centrale del latte di Brescia, quella di Roma, quella di Alessandria e di Asti. Secondo le relazione, le centrali del latte hanno lo scopo di assicurare il controllo igienico del latte, e si sono distinte negli anni per la capacità di innovazione e la sensibilità verso le nuove tecnologie. Il gruppo di Forza Italia ha presentato emendamenti per ampliare la portata della norma anche in altri ambiti della produzione alimentare, mentre in quella sede si è votato affinché la norma rimanesse limitata al solo settore lattiero-caseario. Giustamente è stato osservato che i consumatori italiani sono sempre più alla ricerca di un prodotto genuino, legato al proprio territorio, e le centrali del latte per l'appunto garantiscono ogni giorno la distribuzione alle comunità locali di un prodotto sicuro ad un prezzo controllato, ma la mano pubblica garantisce anche qualcos'altro, la certezza del prezzo corrisposto al produttore, un problema diventato drammaticamente evidente con la rivolta dei pastori sardi e che ha riguardato, sia pure in tono minore, anche altre regioni d'Italia come il Lazio e la Toscana.

Quelli che non conoscono né le fatiche di coloro che lavorano nel settore primario né l'importanza di mantenere vitale tale settore, che è proprio quello che garantisce il cibo sulle nostre tavole tutti i giorni, sono gli stessi che lamentano che i pastori sardi si sarebbero dovuti adattare alle leggi di mercato e pagare il prezzo della loro sovrapproduzione, mentre l'intervento del Governo drogherebbe il mercato caricandone il costo su tutti i cittadini. Il problema, invece, sta nel fatto che ogni litro di latte viene pagato soltanto 60 centesimi. Ciò vale anche per il riso, per la frutta, per i salumi e per i formaggi, va persino peggio per chi coltiva pomodori, è in crisi l'agrumicolo ed è crollato il prezzo del grano. Uno studio Coldiretti rivela che per ogni euro di spesa in prodotti agroalimentari freschi soltanto 22 centesimi finiscono nelle mani di chi ha zappato, di chi ha lavorato la terra e colto i suoi frutti. Tale valore scende, secondo Ismea, addirittura a 2 centesimi nel caso di quelli trasformati, dal pane ai salumi fino al formaggio. Il mondo delle campagne è strozzato dalle politiche del mercato globale: a guadagnarci non è mai l'agricoltore, non è mai il contadino. Anche le aste online al doppio ribasso, che strangolano gli agricoltori con prezzi al di sotto dei costi di produzione, vanno bloccate con norme nazionali. Sono pratiche commerciali sleali, che danneggiano gli agricoltori, nonostante il codice etico firmato l'anno scorso tra il Mipaaft e le principali catene della distribuzione. A dicembre 2018 è stato raggiunto un accordo dal Parlamento europeo, dal Consiglio e dalla Commissione europea per mettere al bando le pratiche commerciali sleali lungo la catena agro-alimentare. Circola una bozza di decreto-legge che interviene nel settore ovicaprino, ma anche nella crisi dell'agrumicolo e della dell'olivicoltura, bisognerà ampliarlo anche al settore del grano. È previsto in questo decreto anche di incrementare il fondo indigenti per l'acquisto e la distribuzione gratuita di prodotti del settore ovicaprino, bisognerebbe ampliare l'intervento al settore agrumicolo.

La mano pubblica nel settore agroalimentare, ben lungi dall'essere dannosa, può invece sostenere i prezzi e i redditi delle aziende agricole mediante interventi come il ritiro delle eccedenze per la loro redistribuzione, assicurando il giusto prezzo ai produttori, come fa appunto il progetto di legge in esame, ma a condizione che si conservino quei termini di efficienza e di innovazione che osserviamo nelle centrali del latte e anche in altri settori. Per questo, il gruppo di Forza Italia preannuncerà chiaramente un sostegno a questa proposta di legge.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Morassut. Ne ha facoltà.

ROBERTO MORASSUT (PD). Presidente, la proposta di legge in discussione prevede una deroga, di fatto generale, per la partecipazione pubblica nel settore lattiero-caseario e dei prodotti alimentari in genere dalle indicazioni del testo unico per le partecipate approvato nel 2016, che, a sua volta, come tutti sanno e ricordano, aveva escluso queste aziende dal campo della gestione pubblica. Le motivazioni di quella scelta non erano improvvisate, e non erano un tributo ideologico ad un europeismo dei vincoli o delle privatizzazioni; venivano da una lunga evoluzione legislativa, non solo italiana, almeno di un decennio, che nasceva anche sulla base della concreta esperienza, e dei dati di fatto, della constatazione che l'impegno pubblico attraverso gli enti locali e le loro emanazioni operative nel settore alimentare rappresentava ormai, nella maggior parte dei casi, un freno alla crescita del mercato, in molti casi una condizione impropria di monopolio in un settore decisamente non strategico, e in altri casi addirittura un ostacolo anche ad una migliore qualità del prodotto e dei suoi derivati. Questa è in gran parte la storia di molte delle centrali del latte e delle aziende municipalizzate di questo settore degli anni Novanta, tranne rari casi o eccezioni, e l'azienda di Brescia di cui si è parlato in Commissione era ed è in qualche modo tra queste eccezioni.

Lo stato delle aziende pubbliche o partecipate nel settore del latte o alimentare era caratterizzato, tranne rare eccezioni, da negatività di bilancio, da forti passività, debiti che gravavano sulle economie pubbliche. Avendo io vissuto per diversi anni le vicende politiche e amministrative del comune di Roma, sono testimone diretto di quanto ha riguardato nello specifico la vicenda della Centrale del latte di Roma, forse una delle più grandi e forse una delle più antiche. Come la gran parte delle aziende partecipate o interamente pubbliche di produzione e distribuzione del latte in Italia, era sorta - mi scuserà questa brevissima parentesi storica, ma essenziale - agli inizi del secolo per esercitare un controllo pubblico ed in primo luogo sanitario sulla produzione del latte, la cui lavorazione da parte delle aziende agricole o di semplici allevatori non sempre garantiva la distribuzione di un prodotto sano, sterilizzato e pastorizzato. Fino agli anni Sessanta, nelle campagne italiane, ma non solo, una delle malattie infantili o dell'adolescenza più diffuse era la cosiddetta brucellosi, altrimenti conosciuta come febbre maltese, che proprio deriva da un consumo o contatto con un latte di mucca esposto all'azione di batteri di vario tipo per la mancanza di un'accorta lavorazione di pastorizzazione e sterilizzazione. Come è noto, la pastorizzazione è un procedimento in primo luogo termico, che viene applicato ad alcuni alimenti per debellare i rischi di virosi, di proliferazioni batteriche, senza incidere però sul valore nutritivo dell'alimento stesso. Benché questa parola, come è evidente, tragga origine dal nome del noto biologo e chimico francese Louis Pasteur, che per primo l'applicò nel procedimento alla birra e al vino, la pastorizzazione del latte iniziò ad essere effettuata alla fine dell'Ottocento in modo sempre più esteso e sistematico anche per combattere la tubercolosi. È sulla spinta di queste scoperte e della crescente urbanizzazione delle città italiane che fu necessario in qualche modo contare su una regia pubblica e su un controllo della produzione del latte. A Roma, nei primi anni del secolo, durante la sindacatura Nathan, fu quindi avviato il primo nucleo di servizio pubblico del settore in una città che era cresciuta di 600.000 abitanti in poco meno di trent'anni, dopo la presa di Porta Pia.

La popolazione era per larga parte proveniente dalle campagne dell'intorno, e l'approvvigionamento del latte seguiva le linee dell'inurbamento. Ho fatto questa parentesi non per tediare chi ascolta e chi assiste, ma per ricordare che il senso della funzione pubblica in termini di gestione diretta del latte e dei suoi derivati è una cosa del Novecento, della prima metà del Novecento, maturata e sviluppatasi per ragioni sociali e sanitarie prima ancora che economiche; e come tutte le iniziative pubbliche a scopo sociale, non era mirata ad un obiettivo di realizzazione di un profitto o di un vantaggio economico per la collettività, ma finalizzata a scopi di protezione dai rischi generali di carattere sociale. È un settore pubblico sorto quindi per essere in qualche maniera un costo; e in quell'epoca aveva evidenti finalità strategiche, perché quel costo, in ultima analisi, serviva a scongiurare rischi importanti e generatori di costi ancor più gravi in termini sanitari ed assistenziali.

Sta di fatto che (per restare brevemente alla Centrale del latte di Roma, che è un'esperienza abbastanza topica e particolare, che in questa discussione possiamo assumere appunto ad un esempio delle grandi aziende pubbliche del settore) essa giunse alla fine degli anni Novanta ad essere un'azienda decotta, schiacciata dai debiti generati anche da anni di clientelismo e saccheggio da parte dell'occupazione di potere dei partiti e delle loro correnti interne, un'azienda che ormai non aveva più lo scopo di tutela sanitaria di quasi un secolo prima e nemmeno riusciva più, a causa dei suoi debiti, a tutelare la rete degli allevatori e dei produttori del territorio cui era storicamente legata. Per questo si decise di venderla, dopo un referendum popolare, e sottoporla alla prova del mercato.

La Corte dei conti (è stato richiamato) nella sua relazione depositata in audizione in Commissione agricoltura, sottolinea oggi con grande nettezza ed evidenza la necessità di considerare che le esigenze di tutela sanitaria non rientrano più, né potrebbero, nelle competenze di un'azienda di settore, ma afferiscono, come è naturale, alle competenze specifiche e specializzate del Sistema sanitario nazionale, attraverso l'Istituto superiore di sanità, le ASL ed i poteri vigilanti rispettivi dei Ministeri competenti.

Il carattere strategico dell'impegno pubblico, in questo come in altri settori, è invero molto discutibile, anzi anche abbastanza inesistente, stante il fatto che non sussistono più oggi le esigenze di tutela sanitaria dell'inizio del secolo scorso, e che queste sono comunque garantite più efficacemente dallo Stato nel suo complesso. Tornare ad una gestione pubblica o diretta, incentivarla, non ha altro significato alla fine che quello di inviare un illusorio segnale di tutela dei bacini produttivi locali e regionali, nell'astratta credenza che la presenza di un soggetto pubblico possa tutelarli nel mercato della concorrenza di competitori più agguerriti sul prezzo e sull'organizzazione, grazie ai ben noti effetti della globalizzazione sul costo del lavoro e della produzione in altre aree nel mondo o in Europa, soprattutto in Europa. Si tratta in realtà di illusorie credenze e di miraggi, che rischiano presto di infrangersi sulla dura realtà dei conti di aziende pubbliche che in questo settore - tranne rari casi, ripeto, come ho già detto - sono quasi tutte andate incontro a gravi rovesci, trascinando con sé proprio i sistemi regionali e locali di produttori ed allevatori.

Comprendiamo gli argomenti e le preoccupazioni esposti in audizioni dalle organizzazioni di impresa e della cooperazione del settore lattiero-caseario. E del resto, lo stesso testo unico, al comma 9 dell'articolo 4 (quindi il testo in discussione che si chiede di modificare), già lascia aperte le porte del servizio pubblico a quelle realtà e a quelle aziende che, come nel caso di Brescia, dovessero dimostrare, fatti e numeri alla mano, la propria virtuosità, sia in termini di risultati economici performanti sia in termini di efficacia dei risvolti sociali e sanitari e di sicurezza pubblica.

In realtà, tutta la filosofia dell'ordinamento attuale in materia di aziende di pubblico servizio si muove nella direzione di favorire una logica di mercato e di concorrenza incardinata sulla base del miglior servizio per gli utenti, ma lascia aperta sempre la discrezionale scelta dei comuni di restare attivi con proprie aziende o di affidare loro in house determinati servizi pubblici o di investire in determinati servizi pubblici, se essi dimostrano di garantire costi e qualità adeguati e convenienti. Come si vede, è una logica molto pragmatica, nient'affatto ideologica, e che parte dal merito, almeno nei presupposti parte dal merito.

Bisogna stare quindi molto attenti a non scadere in un ideologismo opposto, di segno opposto. Oggi generalizzare ed estendere a tutti, senza distinzioni, aprendo le porte erga omnes, le opportunità previste dal comma 9 dell'articolo 4 del testo unico per le società partecipate, senza una garanzia statistica del reale stato di salute delle aziende che si chiedono in deroga o della convenienza degli eventuali investimenti per l'ingresso o reingresso del pubblico nel settore attraverso municipalizzate, ci fa rischiare molto: ci fa rischiare di riesumare - scusate l'espressione - dei cadaveri aziendali, la cui esperienza è stata sostanzialmente superata dai fatti e dalla storia. Ed è questo il caso della Centrale del latte di Roma, privatizzata nel 1998, virtualmente restituita al comune da una sentenza del Consiglio di Stato, con tutti i gravami che essa avrebbe prodotto, di debiti e di accolli vari; quindi, tornata ai privati ed oggi in balìa della latitanza di una giunta che nella capitale sta distruggendo tutto il settore del comparto dei servizi pubblici, dai trasporti ai rifiuti (ma questa è una considerazione politica che qui trova e deve trovare uno spazio limitato).

In secondo luogo - e ho concluso - si rischia con questo provvedimento di moltiplicare i nuovi “poltronifici” e di aggiungere alla biada altra biada alla famelica e mai doma bulimia di posti da gestire delle correnti partitiche, sindacali, delle lobby di interessi, che ormai dominano il campo sconfinato delle nomine pubbliche, spesso e volentieri fuori da ogni valutazione di merito.

In terzo luogo, si corre il rischio di aprire un varco ad ulteriori deroghe (e segnali ne abbiamo avuti tanti nella discussione di questa legge e anche del testo unico del 2016) ad altri settori, dove si cercherà di favorire il ritorno, l'ingresso del pubblico, la qual cosa anche sottolinea con chiarezza la Corte dei conti nella sua audizione.

Infine, nessuna garanzia di un sano investimento pubblico nella situazione attuale deriva dall'esame delle concrete e residuali esperienze di municipalizzate e di società partecipate pubbliche nel settore lattiero-caseario, tranne - ripeto - le rare e già citate eccezioni. E, quindi, è forte il rischio di investimenti non redditizi, che si trasformano e si configurano di fatto come dei trasferimenti assistenziali a settori non produttivi.

Nel settore alimentare, invece, dovrebbe esercitarsi in modo speciale la natura tipica degli enti locali regionali, la capacità di programmazione e di fare politiche di scala territoriale. Si parla di nuove regioni, di nuove competenze, di autonomie differenziate, corroborate, ma mai si giunge nella discussione politica italiana alla concretezza dei problemi, al vero tarlo del regionalismo italiano, nel quale la funzione di indirizzo, di controllo, di programmazione dei sistemi regionali, e quello alimentare ed agricolo è tra i principali, non viene esercitata nella misura dovuta, ma le regioni tendono sempre a competere con i comuni e le province per gestire le cose, non per programmarle. È qui, invece, che andrebbe esercitata la funzione pubblica, per dare risposte alle preoccupazioni dei settori, delle aziende, dei produttori e degli allevatori; preoccupazioni legittime: offrire regole, programmi, pianificazioni, indirizzi, matrici legislative, politiche di settore, e non carrozzoni clientelari e burocratici, per magari acquistare la produzione, per soddisfare un mercato locale ristretto ed assistito, e poi distruggere il prodotto, come spesso è accaduto.

Per queste ragioni, non nascondiamo - pur non avendo una pregiudiziale contrarietà - perplessità su un provvedimento che, pur rispondendo, così, vagamente, ad un'esigenza, ad un impulso di un importante settore dell'economia nazionale e locale, non sembra andare nella direzione giusta per dare risposte a queste domande, e rischia anzi di creare nuovi problemi e riproporne di antichi che pensavamo superati.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Mollicone. Ne ha facoltà.

FEDERICO MOLLICONE (FDI). Presidente, onorevoli colleghi, rappresentante del Governo, il provvedimento a prima firma Molinari oggi in esame è di cruciale importanza per il sistema nazionale italiano, perché conferma il concetto dell'interesse nazionale anche in un comparto come quello dell'agricoltura, oggi agli onori delle cronache proprio per la battaglia del latte e dei pastori sardi, a cui è andato da subito il nostro sostegno convinto, anche attraverso l'azione infaticabile del collega Deidda e ovviamente del presidente Meloni.

Fratelli d'Italia, quindi, esprime la propria posizione favorevole a questa legge, a questo provvedimento, che intende ridisegnare il contesto delle partecipazioni pubbliche per riattribuire le funzioni di controllo sulla filiera lattiero-casearia, garantendo così produttori e consumatori, anche alla luce del parere della XIV Commissione, quella delle politiche dell'Unione europea, che ha confermato l'esistenza di un vincolo di diritto interno rispetto a quello comunitario. Non che questo ci avrebbe fatto cambiare idea. Siamo convinti, anche proponendo più volte, come abbiamo fatto, la preferenza nazionale in Costituzione, che, in qualsiasi ambito ci dovesse essere una prevalenza dell'interesse nazionale, questo viene certamente prima di quello europeo.

Valutiamo, pertanto, positivamente lo spirito del provvedimento, che muove dalla necessità di mantenere inalterato il patrimonio di storia delle centrali del latte, restituendo loro la dovuta centralità rispetto alle storture del mercatismo e del legislatore poco accorto.

Gli enti locali, causa le ristrettezze di bilancio della nuova architettura della “legge Madia”, sono stati costretti, nel corso del tempo, a dismettere le proprie quote in numerose aziende che garantivano servizi di altissima qualità, fra cui proprio la produzione lattiero-casearia. Le centrali del latte svolgono una funzione fondamentale in ambito sanitario e di controllo degli alimenti, checché ne dica il collega Morassut, in linea con il perseguimento delle finalità istituzionali della stessa amministrazione pubblica.

Negli scorsi anni, la Centrale del latte di Roma, che appunto Morassut ha citato come esempio, ha rischiato di essere privatizzata, ed è stata privatizzata, proprio nel tentativo di dismettere le quote del comune di Roma, proprio con le giunte di centrosinistra, collega Morassut, quindi è singolare che ora la sinistra, che per decenni ha teorizzato una sorta di socialismo del mercato, passi ora ad essere per il capitalismo socialista. Proprio questo esempio che lei ha fatto ha creato, in realtà, a norma delle sentenze che ci sono state, un contenzioso infinito, tant'è vero che ancora oggi, collega Morassut, noi stiamo pagando la scelta sbagliata delle vostre giunte sulla Centrale del latte di Roma, che, essendo una delle più grandi, è anche una delle più esemplari.

Ciò avrebbe, probabilmente, comportato una ristrutturazione del comparto con ricadute sui lavoratori e sull'intero sistema economico che compone la filiera.

La Centrale del latte di Roma, nel 2016, ha conseguito un utile netto di 5,1 milioni, con ricavi per 115 milioni. Nonostante questo, anche sul Campidoglio il problema dell'eccessivo ribasso dei prezzi del latte ovino, contro il quale in questi giorni gli allevatori in Sardegna stanno mettendo in atto plateali proteste, ha creato il problema, ad esempio, a novembre, di un grosso stock di latte ovino di proprietà di Roma Capitale, quello prodotto nelle aziende agricole di Castel di Guido e Tenuta del Cavaliere, che è rimasto invenduto. Nessuna azienda, colleghi, dell'industria del settore lattiero-caseario, infatti, ha risposto all'avviso pubblico lanciato dalla giunta guidata da Virginia Raggi lo scorso novembre, attraverso il quale veniva, sostanzialmente, messo all'asta un quantitativo di 20 mila litri. Troppo alta era, evidentemente, per gli attuali prezzi sul mercato, la cifra posta a base d'asta per le offerte, ossia 0,75 euro al litro. Oggi, infatti, aziende proprietarie di caseifici di pecorino romano pagano il latte di pecora non più di 60 centesimi al litro. Pertanto, questo stock è rimasto invenduto e sono dovuti andare in affidamento diretto. Il comune di Roma si trova, come dicevamo e come raccontavamo prima, proprio in queste settimane, di fronte a una complessa negoziazione per riottenere il controllo delle società e garantire la normalizzazione.

Quindi, questo provvedimento, al contrario di quanto sostenuto dal collega del Partito Democratico, in realtà, aggiunge un fattore di chiarezza inedito nella proprietà di questo piccolo gioiello industriale e di tutte le centrali del latte italiane.

Fratelli d'Italia esprime, pertanto, sostegno a questo provvedimento, la propria solidarietà ai pastori e ai produttori in mobilitazione per il prezzo del latte, costretti, praticamente, a lavorare per pagare i debiti.

Abbiamo presentato un emendamento con il collega De Carlo, che sosteniamo e difendiamo, proprio per prevedere, inoltre, che le aziende pubbliche impegnate nella produzione lattiero-casearia siano obbligate all'acquisto di solo latte di produzione italiana, perché, ad oggi, così non è garantito neanche questo, proprio per quelle privatizzazioni selvagge che ci sono state in passato, paradossalmente, garantite da giunte di centrosinistra.

Vogliamo difendere le produzioni locali e le eccellenze per tutelare la pregiata qualità alimentare e l'economia di tante famiglie colpite dalla concorrenza sleale.

Ribadiamo, pertanto, il nostro voto favorevole al testo e invitiamo le forze di maggioranza a sposare il nostro emendamento in favore dei piccoli produttori (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - A.C. 712-A)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare, se lo ritiene, il relatore, onorevole Liuni.

MARZIO LIUNI, Relatore. Solo due puntualizzazioni. Ringrazio tutti i colleghi per aver espresso - quasi tutti - un commento positivo a questa modifica dell'articolo 4 proprio perché ne hanno capito il senso.

Una puntualizzazione per il collega Morassut: questa modifica non toglie la possibilità alle amministrazioni pubbliche che oggi sono proprietarie di quote di venderle, per cui non va, sostanzialmente, a cambiare niente. In più - forse, perché lei non è un tecnico -, si chiamano “vacche”, non si chiamano “mucche”: “mucche” è un'invenzione pubblicitaria.

PRESIDENTE. Onorevole Liuni, parli con me, che sono molto interessato sull'argomento.

MARZIO LIUNI, Relatore. Si chiamano “vacche”: è un termine agronomo, tecnico, si chiamano “vacche”; solo che sembra brutto, sembra un termine brutto, spregiativo e, allora, si usa il termine “mucche”. Però, visto che parliamo di agricoltura, non bisogna vergognarsi a chiamarle con il loro nome: si chiamano “vacche”.

PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire successivamente.

Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Ordine del giorno della prossima seduta.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.

Martedì 26 febbraio 2019 - Ore 11:

1. Svolgimento di interrogazioni .

(ore 14)

2. Seguito della discussione della mozione Molinari, D'Uva, Gadda, Nevi, Luca De Carlo, Muroni ed altri n. 1-00124 concernente iniziative volte a vietare l'utilizzo dei pesticidi e dei diserbanti nelle produzioni agricole, favorendone lo sviluppo con metodo biologico .

3. Seguito della discussione della proposta di legge (previo esame e votazione delle questioni pregiudiziali di costituzionalità presentate):

S. 5-199-234-253-392-412-563-652 - D'INIZIATIVA POPOLARE; D'INIZIATIVA DEI SENATORI: LA RUSSA ed altri; GINETTI e ASTORRE; CALIENDO ed altri; MALLEGNI ed altri; GINETTI ed altri; GASPARRI ed altri; ROMEO ed altri: Modifiche al codice penale e altre disposizioni in materia di legittima difesa (Approvata, in un testo unificato, dal Senato). (C. 1309-A)

e delle abbinate proposte di legge: MOLTENI ed altri; GELMINI ed altri; D'INIZIATIVA DEL CONSIGLIO REGIONALE DEL VENETO; MELONI ed altri. (C. 274-580-607-1303)

Relatori: TURRI e ZANETTIN, per la maggioranza; VERINI e CONTE, di minoranza.

4. Seguito della discussione della proposta di legge:

S. 690 - D'INIZIATIVA DEI SENATORI: PATUANELLI ed altri: Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema bancario e finanziario (Approvata dal Senato). (C. 1353)

e delle abbinate proposte di legge: ZANETTIN ed altri; RAMPELLI ed altri; RUOCCO ed altri; BRUNETTA. (C. 654-772-793-905)

Relatore: MANIERO.

5. Seguito della discussione delle mozioni Lollobrigida ed altri n. 1-00113 e Magi e Schullian n. 1-00121 concernenti iniziative per il contrasto all'immigrazione clandestina e alle organizzazioni criminali straniere, con particolare riferimento alla cosiddetta mafia nigeriana .

6. Seguito della discussione della proposta di legge:

S. 536 - D'INIZIATIVA DEI SENATORI: BOTTICI ed altri: Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sui fatti accaduti presso la comunità "Il Forteto" (Approvata dal Senato). (C. 1160)

e delle abbinate proposte di legge: MUGNAI; MELONI ed altri. (C. 390-1005)

Relatori: BARBUTO, per la II Commissione; ZIELLO, per la XII Commissione.

7. Seguito della discussione della mozione Delrio ed altri n. 1-00106 concernente iniziative a sostegno del comparto automobilistico e del relativo indotto, anche al fine di favorirne l'evoluzione tecnologica e la tutela dei livelli occupazionali .

8. Seguito della discussione della proposta di legge:

S. 871 - D'INIZIATIVA DEI SENATORI: PATUANELLI e ROMEO: Delega al Governo per l'adozione di disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi adottati in attuazione della delega per la riforma delle discipline della crisi di impresa e dell'insolvenza, di cui alla legge 19 ottobre 2017, n. 155 (Approvata dal Senato). (C. 1409)

Relatore: SAITTA.

9. Seguito della discussione dei progetti di legge:

Ratifica ed esecuzione dell'Accordo transattivo fra il Governo della Repubblica italiana e la Comunità europea dell'energia atomica sui princìpi governanti le responsabilità di gestione dei rifiuti radioattivi del sito del Centro comune di ricerca di Ispra, con Appendice, fatto a Bruxelles il 27 novembre 2009. (C. 1394-A)

Relatore: FORMENTINI.

GRANDE ed altri: Ratifica ed esecuzione dell'Accordo di dialogo politico e di cooperazione tra l'Unione europea e i suoi Stati membri, da una parte, e la Repubblica di Cuba, dall'altra, fatto a Bruxelles il 12 dicembre 2016. (C. 1332)

Relatrice: DI STASIO.

10. Seguito della discussione della proposta di legge:

S. 510 - D'INIZIATIVA DEI SENATORI: GIARRUSSO ed altri: Modifica dell'articolo 416-ter del codice penale in materia di voto di scambio politico-mafioso (Approvata dal Senato). (C. 1302-A)

e dell'abbinata proposta di legge: COLLETTI ed altri. (C. 766)

Relatrice: PIERA AIELLO.

11. Seguito della discussione della proposta di legge:

MOLINARI ed altri: Modifica all'articolo 4 del testo unico in materia di società a partecipazione pubblica, di cui al decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175, concernente le partecipazioni in società operanti nel settore lattiero-caseario. (C. 712-A)

Relatore: LIUNI.

La seduta termina alle 15.

TESTI DEGLI INTERVENTI DI CUI È STATA AUTORIZZATA LA PUBBLICAZIONE IN CALCE AL RESOCONTO STENOGRAFICO DELLA SEDUTA ODIERNA: PAOLO FORMENTINI (A.C. 1394-A)

PAOLO FORMENTINI, Relatore. (Relazione – A.C. 1394-A). Illustre Presidente, colleghi deputati, il provvedimento in esame è volto a rendere esecutivo in Italia un accordo risalente al novembre 2009, necessario ai fini della chiusura di un contenzioso tra la Comunità europea dell'energia atomica (Euratom) e l'Italia in merito al riconoscimento delle responsabilità storiche dell'Italia relativamente allo smantellamento del Centro comune di ricerca (CCR) di Ispra.

Ricordo che l'istituto di Ispra (Varese) è uno dei quattro centri di ricerca istituiti dalla Comunità europea a seguito del Trattato Euratom del 1957 per promuovere lo sviluppo dell'energia nucleare a fini pacifici negli Stati membri.

Il CCR di Ispra fu istituito nel 1959 con un Accordo, concluso a Roma nel luglio dello stesso armo, fra il Governo italiano e la Commissione dell'energia atomica al fine di istituire un Centro comune di ricerche nucleari di competenza generale, che prevedeva la cessione da parte dell'Italia alla Comunità europea, in concessione per novantanove anni, dell'area e delle strutture presenti all'epoca.

Il centro fu inaugurato il 13 aprile 1959 e negli anni Sessanta-Ottanta fu utilizzato, a mezzo di specifici contratti, da soggetti italiani - quali il Comitato nazionale per l'energia nucleare (CNEN), il Centro informazioni studi ed esperienze (CISE), l'Ente nazionale per l'energia elettrica (ENEL) e le istituzioni governative italiane - per progetti di ricerca relativi al programma nucleare italiano.

Con la modifica delle scelte strategiche in campo nucleare, intervenuta in Italia dopo il 1987, la collaborazione italiana con il CCR di Ispra in tale ambito si è progressivamente ridotta e, con il passare degli anni, anche alcuni programmi europei di ricerca in campo nucleare, in particolare nel CCR di Ispra, sono stati indirizzati verso nuove tematiche estranee al settore.

Attualmente, presso quello che nell'acronimo inglese è denominato Joint Research Centre - JRC, il terzo per grandezza dopo quelli di Bruxelles e Lussemburgo, si svolgono ricerche in settori non-nuclear.

Quanto al campo nucleare restano operative le attività relative alle salvaguardie nucleari e quelle di gestione dei rifiuti radioattivi e di conservazione in sicurezza delle installazioni nucleari.

La Commissione europea, fin dal 1999, con l'approvazione del Consiglio e del Parlamento europeo, ha predisposto un programma tecnico, economico e temporale per la disattivazione degli impianti nucleari obsoleti e la gestione dei rifiuti radioattivi e del combustibile nucleare derivanti dalle passate attività di ricerca svolte presso i CCR. Tra cui il CCR di Ispra; all'Italia è stato chiesto di partecipare alle attività di disattivazione e smantellamento ai fini della regolarizzazione delle responsabilità storiche sul sito.

L'intesa transattiva in esame è stata conclusa sulla base non tanto di un corrispettivo economico bensì sull'impegno italiano a realizzare alcuni dei lavori di disattivazione e smantellamento del reattore presente nel CCR.

Segnalo che non sarebbe stato possibile determinare analiticamente i corrispettivi economici di tali interventi anche in ragione del fatto che, nella contrattualistica a suo tempo vigente, non erano previste clausole per future attività di smantellamento.

L'intesa pone a carico dell'Italia alcune delle attività da effettuare, consistenti essenzialmente nello smantellamento del reattore e nello smaltimento dei relativi rifiuti del tutto simili a quelle relative ai siti nucleari italiani dismessi, svolte attualmente dalla Sogin s.p.a.

L'Accordo è composto da 6 punti, preceduti da una introduzione che ripercorre le fasi principali del negoziato tra il Governo italiano, rappresentato dal MISE, e la Comunità europea dell'energia atomica.

Nel punto 1 si individuano i servizi a compensazione degli oneri derivanti dalle pregresse attività di ricerca per il programma nucleare italiano svolte presso il CCR di Ispra.

Il Governo italiano provvederà alla disattivazione dell'installazione del reattore Ispra 1 secondo modalità puntualmente esposte e poste a carico in parte dell'Italia e in parte del CCR. I dettagli di tali attività sono riportati nell'Appendice 1, che presenta un'analisi esaustiva e puntuale delle specifiche attività.

Quanto al soggetto titolare degli atti autorizzativi del reattore Ispra 1, si tratta di quello individuato dal comma 537 dell'articolo l della legge 205/2017, ossia la Sogin S.p.a.

Al punto 2 si definisce la data limite del 2028 per il conferimento dei rifiuti radioattivi del CCR di Ispra al Deposito nazionale. con costi a carico del CCR stesso. In caso d'indisponibilità del deposito, dal 1° gennaio 2029 i rifiuti diverranno di proprietà italiana e le relative spese di gestione nel deposito temporaneo del CCR di Ispra saranno a carico dell'Italia.

Il punto 3 definisce i criteri di accettazione dei rifiuti al Deposito nazionale nonché le clausole riguardanti il rischio economico derivante dalla loro eventuale modifica.

Al punto 4 viene stabilito che le Parti possano concludere contratti specifici che descrivano in dettaglio lo scopo delle attività previste nonché gli aspetti tecnici e legali, prevedendo comunque la prevalenza di quanto stabilito nell'Accordo transattivo.

Al punto 5 viene disposto che l'Accordo transattivo è regolato dal diritto dell'Unione europea. integrato, ove necessario, dal diritto italiano. Sono indicate le procedure di mediazione, con la possibilità di rivolgersi, in caso di disaccordo, al Tribunale di prima istanza della Corte europea di giustizia per la nomina del mediatore.

Il punto 6 istituisce un Comitato misto di gestione composto da tre rappresentanti per ciascuna Parte, allo scopo di controllare l'attuazione della transazione e, in particolare, di gestire le interfacce tra le attività di disattivazione di cui al punto 1 e le altre attività del CCR di Ispra.

L'Accordo è completato dall'Appendice 1 che si articola in paragrafi dedicati alla descrizione ed allo stato dell'impianto, alle coordinate per il trasferimento della titolarità degli atti autorizzativi al soggetto individuato dal Governo italiano, al mantenimento in sicurezza del reattore e alla sua disattivazione, alla gestione dei rifiuti da essa provenienti, all'accesso al sito e alla sicurezza sul lavoro.

Venendo ai contenuti del disegno di legge, ricordo che l'articolo 3, dedicato alle disposizioni finanziarie, stabilisce che all'attna7ione dell'Accordo si provvede ai sensi dell'articolo 1, commi 541 e 542, della legge n. 205 del 2017 (legge di bilancio 2018). Il comma 2 contiene, pertanto, la clausola d'invarianza finanziaria ove viene precisato che l'attuazione della legge non deve comportare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

Al riguardo, segnalo che, nel corso dell'esame presso la Commissione affari esteri e comunitari, è stato approvato un emendamento aggiuntivo del comma 1-bis dell'articolo 3: poiché, come appena menzionato, dall'attuazione del provvedimento in esame non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, si è ritenuto opportuno specificare che ai componenti del Comitato misto di gestione, previsto dal punto 6 dell'Accordo al nostro esame, non spetti alcun compenso, indennità, gettone di presenza, rimborso spese o altro emolumento comunque denominato.

I richiamati commi 541 e 542 della legge di bilancio 2018 prevedono, rispettivamente, che la copertura degli oneri derivanti dall'attribuzione a Sogin S.p.A. dello smantellamento del reattore Ispra I sia garantita mediante il ricorso agli introiti della componente tariffaria A2 sul prezzo dell'energia elettrica, demandando ad un'apposita delibera dell'Autorità per l'energia elettrica-ARERA, la determinazione delle modalità di rimborso alla Sogin, a copertura degli oneri relativi alle attività.

Ricordo infine che nella relazione tecnica gli oneri derivanti dall'Accordo sono stimati in circa 45 milioni di euro; a tale importo vanno aggiunti i costi sostenuti dal CCR per le attività di custodia passiva dell'impianto, valutati in circa 5 milioni di curo.

Concludo formulando l'auspicio di una rapida conclusione dell'iter di approvazione di questo provvedimento di ratifica: l'Accordo infatti risolve definitivamente un negoziato protrattosi per alcuni anni con una forte riduzione delle richieste formulate originariamente dalla Commissione europea.