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Resoconto dell'Assemblea

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XVIII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 68 di lunedì 22 ottobre 2018

PRESIDENZA DELLA VICEPRESIDENTE MARIA EDERA SPADONI

La seduta comincia alle 15.

PRESIDENTE. La seduta è aperta.

Invito la deputata segretaria a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

AZZURRA PIA MARIA CANCELLERI , Segretaria, legge il processo verbale della seduta del 15 ottobre 2018.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Battelli, Benvenuto, Bonafede, Claudio Borghi, Brescia, Buffagni, Carfagna, Castelli, Castiello, Cenni,  Cirielli, Cominardi, Davide Crippa, D'Incà, D'Uva, Del Re, Delrio, Luigi Di Maio, Di Stefano, Durigon, Fantinati, Ferraresi, Fioramonti, Gregorio Fontana, Lorenzo Fontana, Fraccaro, Fugatti, Gagnarli, Galli, Gallinella, Garavaglia, Gava, Gelmini, Giaccone, Giachetti, Giorgetti, Grande, Guerini, Guidesi, Lollobrigida, Lorefice, Losacco, Manzato, Mazzetti, Micillo, Molteni, Morelli, Morrone, Picchi, Rampelli, Rixi, Ruocco, Spadafora, Tofalo, Vacca, Valente, Villarosa, Viviani e Raffaele Volpi sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.

I deputati in missione sono complessivamente sessantaquattro, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna).

Annunzio di petizioni (ore 15,05).

PRESIDENTE. Invito la deputata segretaria di Presidenza a dare la lettura delle petizioni pervenute alla Presidenza, che saranno trasmesse alle sottoindicate Commissioni.

AZZURRA PIA MARIA CANCELLERI, Segretaria, legge:

Annunzio di petizioni:

Andreas Pöder, da Lana (Bolzano), e altri cittadini chiedono l'abolizione degli obblighi vaccinali introdotti dal decreto-legge n. 73 del 2017 (141) - alla XII Commissione (Affari sociali);

Dario Bossi, da Montegrino Valtravaglia (Varese), chiede:

nuove norme in materia di comunicazioni concernenti le iscrizioni nel registro delle notizie di reato, da rendere agli indagati e alle persone offese ai sensi dell'articolo 335 del codice di procedura penale (142) - alla II Commissione (Giustizia);

l'esenzione dal pagamento dei diritti di segreteria per l'estrazione di copie del proprio fascicolo processuale (143) - alla II Commissione (Giustizia);

iniziative per assicurare che tutte le procure della Repubblica si dotino di un sito web e di un indirizzo di posta certificata e nuove norme in materia di presentazione delle denunce in via telematica e di elezione di domicilio presso un indirizzo di posta elettronica certificata (144) - alla II Commissione (Giustizia);

l'introduzione dell'obbligo di residenza in Italia per i membri del Parlamento (145) - alla I Commissione (Affari costituzionali);

Massimiliano Valdannini, da Roma, chiede:

l'accorpamento dei commissariati di polizia "Monte Mario" e "Primavalle", nel comune di Roma (146) – alla I Commissione (Affari costituzionali);

iniziative per garantire la gratuità della tenuta dei conti correnti per i titolari di assegni pensionistici di importo inferiore a 1.000 euro mensili (147) – alla VI Commissione (Finanze);

norme per l'immissione nelle Forze dell'ordine di personale di madre lingua non italiana (148) – alla I Commissione (Affari costituzionali);

interventi per la liberalizzazione del servizio di taxi e nuove norme in materia di noleggio di vetture con conducente (149) – alla IX Commissione (Trasporti);

l'abrogazione delle norme del decreto legislativo n. 564 del 1996 in materia di trattamento previdenziale dei lavoratori chiamati a ricoprire cariche sindacali (150) – alla XI Commissione (Lavoro);

Mimmo Di Garbo, da Milano, chiede iniziative per l'installazione di una targa commemorativa nel luogo della strage di Nassiryia (151) -alla III Commissione (Affari esteri);

Roberto Di Gaetano, da Vecchiano (Pisa), chiede nuove norme in materia di dipendenza del personale delle Forze armate cui sono attribuiti compiti in materia di documenti classificati (152) alla IV Commissione (Difesa);

Rinaldo Di Nino, da Cuneo, chiede l'abolizione del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro (153) alla I Commissione (Affari costituzionali);

Franco Brugnola, da Sabaudia (Latina), chiede la revisione dei criteri per la riorganizzazione sul territorio dei punti di primo intervento sanitario (154) – alla XII Commissione (Affari sociali);

Francesco Di Pasquale, da Cancello ed Arnone (Caserta), chiede:

iniziative per la creazione di nuovi organismi sovranazionali per il controllo della gestione delle risorse del pianeta e la soluzione delle controversie internazionali (155) - alla III Commissione (Affari esteri);

iniziative per l'abolizione del diritto di veto all'interno del Consiglio di sicurezza dell'ONU (156) - alla III Commissione (Affari esteri);

l'istituzione della Giornata della pacificazione nazionale (157) – alla I Commissione (Affari costituzionali);

nuove norme in materia di espulsione dei cittadini stranieri che commettono reati e altri interventi per contrastare il fenomeno dell'immigrazione irregolare (158) - alla I Commissione (Affari costituzionali);

iniziative per assicurare l'innalzamento dei redditi e il miglioramento dell'assistenza sanitaria a livello globale, anche al fine di assicurare il diritto di ciascuna persona di vivere dignitosamente nella propria nazione di origine (159) - alla III Commissione (Affari esteri);

misure per il riconoscimento di un reddito minimo garantito a tutti i cittadini italiani (160) - alle Commissioni riunite XI (Lavoro) e XII (Affari sociali);

iniziative affinché i più gravi reati contro l'ambiente e in materia di traffico di stupefacenti e associazione a delinquere siano dichiarati delitti contro l'umanità (161) - alla III Commissione (Affari esteri);

misure diverse a tutela del diritto alla prima casa (162) alla VIII Commissione (Ambiente);

che gli amministratori locali non possano candidarsi alle elezioni politiche (163) - alla I Commissione (Affari costituzionali);

Giacomo Pierini, da Firenze, chiede la creazione di un "cassetto digitale unico" del cittadino per tutte le comunicazioni e i rapporti con la pubblica amministrazione (164) - alla I Commissione (Affari costituzionali);

Salvatore Coscarelli, da Laino Borgo (Cosenza), e numerosi altri cittadini chiedono interventi urgenti per garantire la copertura telefonica mobile e l'accesso alla rete internet nel comune di Laino Borgo (165) - alla IX Commissione (Trasporti);

Simon Baraldi, da Bologna, chiede:

l'abolizione dell'accesso programmato ai corsi universitari (166) – alla VII Commissione (Cultura);

l'introduzione del reato di istigazione a pratiche alimentari idonee a provocare l'anoressia, la bulimia o altri disturbi del comportamento alimentare, nonché altre disposizioni in materia di prevenzione e contrasto dei disturbi alimentari (167) - alla XII Commissione (Affari sociali);

Mirko Antonio Spampinato, da Motta Sant'Anastasia (Catania), chiede:

modifiche alla disciplina delle graduatorie ad esaurimento dei docenti con titolo di specializzazione sul sostegno didattico ad alunni con disabilità (168) - alla XI Commissione (Lavoro);

l'elezione diretta del Presidente della Repubblica e che i giudici costituzionali siano eletti esclusivamente dalle supreme magistrature ordinaria ed amministrative (169) - alla I Commissione (Affari costituzionali);

nuove norme in materia di ordinamento, status e progressione di carriera degli ufficiali delle Forze armate (170) - alla IV Commissione (Difesa);

iniziative per la revisione del servizio di assistenza spirituale al personale delle Forze armate, a fini di piena garanzia della libertà religiosa del medesimo personale (171) - alle Commissioni riunite I (Affari costituzionali) e IV (Difesa);

Gabriele Pomar, da Palermo, chiede iniziative per innalzare il numero delle squadre partecipanti al campionato di serie B e per l'introduzione di nuovi criteri in materia di ripescaggio di società calcistiche (172) - alla VII Commissione (Cultura);

Alessia Marzolini, da Anzio, chiede modifiche diverse alle norme in materia di razionalizzazione e accorpamento delle classi di concorso a cattedre e a posti di insegnamento (173) - alla XI Commissione (Lavoro);

Titti Di Salvo, da Roma, e altri cittadini chiedono che il congedo obbligatorio di paternità diventi una misura strutturale e che la sua durata sia portata a dieci giorni nei primi cinque mesi di vita del neonato (174) - alla XI Commissione (Lavoro).

Discussione della mozione Conte ed altri n. 1-00061 concernente iniziative per il rilancio del Mezzogiorno (ore 15,12).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Conte ed altri n. 1-00061 concernente iniziative per il rilancio del Mezzogiorno (Vedi l'allegato A).

La ripartizione dei tempi riservati alla discussione è pubblicata nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta del 18 ottobre 2018 (Vedi l'allegato A della seduta del 18 ottobre 2018).

Avverto che sono state presentate le mozioni Pezzopane ed altri n. 1-00063 e Lollobrigida ed altri n. 1-00064, che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente (Vedi l'allegato A). I relativi testi sono in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.

È iscritto a parlare il deputato Federico Conte, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00061. Ne ha facoltà.

FEDERICO CONTE (LEU). Grazie, Presidente. La crisi del Mezzogiorno ha assunto ormai caratteristiche, come mai prima, di sistema. Sono riassumibili in pochi dati aggregati: la produzione del prodotto interno lordo pro capite del Mezzogiorno d'Italia, rispetto al nord del Paese, è del 55-56 per cento, poco più della metà. Dal 2008 ad oggi, si sono persi nel Mezzogiorno 500 mila posti di lavoro. Nello stesso periodo, il nord del Paese ne ha guadagnati 242 mila. C'è stata, in questi quindici anni, una evoluzione del tasso di occupazione, che vede la percentuale del Mezzogiorno al 44 per cento, quella del nord del Paese al 65 per cento.

Un dato di questo elemento aggregato che riguarda le donne è ancora più significativo: il 35 per cento delle donne meridionali è occupato rispetto al 62 del Nord del Paese. Ci sono circa 600 mila famiglie in cui tutti i componenti cercano lavoro nel Mezzogiorno d'Italia: 835 mila famiglie sono in condizione, come si dice, di povertà assoluta. C'è poi un fenomeno enorme, che è quello delle migrazioni: dal 2009 al 2015 sono andati via dal Mezzogiorno oltre un milione e 800 mila persone tra i 15 e i 34 anni, cioè la parte del Paese più produttiva, la parte giovane del Paese. Di questi, sono tornati soltanto un milione, mentre 800 mila sono rimasti fuori, lontano dal Mezzogiorno d'Italia. Gli istituti demografici ci dicono che, se questo trend continuasse, nel 2070 cinque milioni sarebbero i soggetti andati via dal Mezzogiorno.

Questo determinerebbe un innalzamento dell'età media del Mezzogiorno da 42 a 52 anni, rendendola una delle parti più vecchie d'Europa. Questi dati danno il segno evidente, Presidente, di una clamorosa diseguaglianza che riguarda il Paese, che viene sintetizzata nell'indice di Gini, cioè l'indice che misura la distribuzione del reddito e della ricchezza, con un dato molto semplice: l'Italia è al penultimo posto in Europa per capacità di distribuzione di ricchezza e reddito tra i propri cittadini (evidentemente, il Sud è all'ultimo posto). Si tratta di una violazione patente e insopportabile del secondo comma dell'articolo 3 della Costituzione, che vuole che lo Stato operi per rimuovere gli ostacoli alla libera espressione dei cittadini, che vuole che lo Stato operi per garantire diritti di eguaglianza.

Le cause di questa regressione del Mezzogiorno sono molteplici, risalenti, ma anche qui possiamo provare a dare un'indicazione sintetica. Sicuramente, l'affermazione in Italia delle logiche del mercato, di politiche liberiste che hanno badato ai poteri forti, alla parte più ricca del Paese e non alla parte più povera. Ha contribuito a questo la politica di austerity dell'Unione europea, l'idea, cioè, di porre al centro dell'azione politica dell'Unione la riduzione del debito e il consolidamento finanziario. L'Europa è nata e cresciuta sul modello tedesco, quello del rigore dei conti. La nostra Costituzione, invece, tiene in equilibrio economia, lavoro e democrazia, con un ruolo dello Stato importante, principale, che attraverso la cosiddetta regola keynesiana vuole negli investimenti per spesa produttiva, per infrastrutture, per sviluppo, la misura per combattere la crisi economica e la disoccupazione.

L'attrito, lo iato, tra questi due modelli ha messo in difficoltà il Paese, che non ha saputo reagire alla restrizione della spesa pubblica, soprattutto nelle parti del Paese in cui questa era più necessaria, nelle parti del Paese in cui più ce n'era bisogno. Questo ha coinciso, evidentemente, con lo spiegarsi del più grande fenomeno economico della storia dell'umanità, la globalizzazione, la cui curva calante, la cui curva discendente, evidentemente, ha lasciato sul terreno del Mezzogiorno costi elevatissimi. Che cosa significa questo? Significa che nel ripensare a un intervento a favore del Mezzogiorno, bisogna ripensare al ruolo dello Stato nel nostro Paese e nella parte più debole del suo stesso assetto territoriale. Un ruolo che riguardi la promozione di investimenti, che riguardi la creazione di condizioni di crescita e sviluppo, che riguardi l'erogazione di servizi. Per darci una misura, anche qui, di tipo oggettivo di quanto sia importante l'intervento dello Stato nell'economia meridionale, basti pensare che nel 2009 lo Stato spendeva 23 miliardi per investimenti (parlo della spesa in conto capitale, ma i parametri sono gli stessi anche per la spesa in conto corrente). Ventitré miliardi di investimenti del 2009 sono diventati 12 nel 2016, ancora di meno nel 2017.

Una riduzione drammatica che, evidentemente, ha ridotto anche la capacità di attrattiva del Mezzogiorno per investimenti esteri. Fatto lo stesso periodo di tempo, su 25 miliardi di euro provenuti dall'estero, solo cinque sono stati investiti nel Mezzogiorno. Per fare fronte a questa riduzione insopportabile della spesa pubblica nel Mezzogiorno, il Governo Gentiloni ha varato, con il decreto Mezzogiorno, la cosiddetta clausola del 34 per cento, che stabilisce un obbligo di destinazione del bilancio dello Stato a favore del Mezzogiorno del 34 per cento delle risorse. Non è una novità, ma una misura che fu utilizzata con successo dal Governo Ciampi (lì la soglia era stata fissata ancora più in alto, al 40 per cento) e che garantì in quel periodo un recupero del gap economico tra Sud e Nord molto significativo.

Questa regola, però, non è stata mai inverata, perché il Governo uscente - e con gravi responsabilità anche quello in carica - ancora non ha emesso i regolamenti attuativi che ne consentono la piena operatività nei capitoli di spesa. Non c'è la traccia, non c'è l'operatività di questa clausola nella legge di stabilità che ci apprestiamo a votare.

Vuole sapere l'importanza, Presidente, di questa clausola? La possiamo ricostruire andando a ritroso: se questa clausola fosse stata in vigore negli ultimi quindici anni, noi avremmo avuto che la riduzione del prodotto interno lordo del Mezzogiorno sarebbe stata del 5,4 e non del 10,7, cioè sarebbe stata della metà; che il tasso di occupazione sarebbe stato meno 2,8 e non meno 6,8. Dietro questi numeri ci sono 300 mila posti di lavoro, cioè non se ne sarebbero persi 500 mila, ma 200 mila. Stavo per dire solo 200 mila, se così ci si può esprimere: si rende conto che si tratta di un'intera popolazione, probabilmente di un'intera generazione.

Allora, è evidente che la leva pubblica, la leva dell'investimento pubblico, continua a essere quella che tiene su l'economia, altrimenti non ci spiegheremmo perché la previsione di prodotto interno lordo per l'anno prossimo del Sud è più 0,7. Negli scorsi anni, grazie alla resilienza degli imprenditori del Sud, è stata di un punto - o una alinea inferiore o superiore, a seconda dei momenti - di quella del Centro-Nord. Questa riduzione, evidentemente, graverà anche sui conti generali dello Stato, sui quali si andrà a esercitare la manovra che ci apprestiamo a votare. Si tratta di un dato che ha ricadute sul piano sociale per quanto riguarda le erogazioni di servizi, servizi essenziali, la sanità, le prestazioni socioassistenziali, per quanto riguarda l'istruzione, per quanto riguarda tutto ciò che è convivenza civile, che nel Mezzogiorno vive una condizione di degrado inaccettabile. Ciò riguarda le capacità reddituali, riguarda, evidentemente, la dignità delle persone.

PRESIDENTE. Concluda, onorevole.

FEDERICO CONTE (LEU). Rispetto a questo fenomeno non sono stati in grado di svolgere una funzione surrogatoria e integrativa neanche i finanziamenti provenienti dall'Unione europea, che purtroppo sono stati utilizzati con finalità di sostituzione dei fondi europei. Di qui il calo dell'aspettativa di vita dei cittadini meridionali da più 1 a meno 4, secondo l'indice dato; di qui la visione nuova che prospettiamo in questa mozione di un rilancio della questione meridionale a livello europeo, una nuova frontiera della questione meridionale come questione europea, che vede il Mediterraneo al centro di un progetto di investimenti…

PRESIDENTE. Deve concludere, onorevole.

FEDERICO CONTE (LEU). …che possano essere adottati dall'Unione europea come investimenti strategici per il suo stesso sviluppo e le proposte di seguito rassegnate.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Pezzopane, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00063. Ne ha facoltà.

STEFANIA PEZZOPANE (PD). Grazie, Presidente. Il Partito Democratico si presenta a questa discussione con una propria mozione, consapevole del momento importante, del tema decisivo che stiamo ad affrontare e decisa anche, come forza politica e come gruppo, a collaborare, a contribuire a dare indicazioni e costruire una nuova politica per il Sud. Noi riteniamo che ci siano tutti i tratti e tutti i numeri e le condizioni per delineare una nuova questione meridionale. La sfida è quella di una ricostruzione in quei territori, di un nuovo inizio; la sfida della scommessa, dell'investimento, soprattutto sulle giovani generazioni, sui nostri figli, sulle ragazze e sui ragazzi del Sud. La nostra è un'ambizione forte: quella di un riscatto, della salvezza di questo territorio, della distruzione delle mafie e delle camorre, di spezzare le catene del clientelismo. Insomma, il nostro approccio, qui ed ora, è quello di un approccio di valori e di concretezza.

Una canzone famosa diceva: sud, sud, nuje simm d'o sud, nuje simmo curte e nire, nuje simmo nate pe cantà e faticammo a faticà. Ed è proprio così, fatichiamo a faticare: c'è ancora questo problema, apparentemente insormontabile, di costruire le occasioni di lavoro. Come diceva Sandro Pertini, però - e ancora di più oggi, in questa speciale condizione politica che vive l'Italia - il problema del Mezzogiorno non può essere considerato soltanto un problema di quelle regioni, delle nostre regioni; deve essere considerato un problema nazionale, se lo si vuole veramente risolvere. Così Pertini diceva nel 1982, nel discorso agli italiani, ma, prima di lui, affermazioni analoghe sono state fatte da grandi meridionalisti.

Nella nostra mozione noi partiamo da alcuni dati, da alcuni dati storici, da alcuni dati che registrano una condizione economica e sociale importante.

Un primo dato è che il Mezzogiorno è comunque tornato a crescere dopo ben sette anni di crisi, ma, durante gli anni della crisi, il ritardo del Mezzogiorno si è comunque ampliato, ovvero la crescita non ha consentito di chiudere nemmeno parzialmente la forbice della differenza. Insomma, c'è ancora una persistente divergenza tra nord e sud e quello che incide particolarmente in questa divergenza e in questa persistente differenza è proprio il dato del mercato del lavoro, che nel Mezzogiorno è fortemente squilibrato a sfavore dei giovani. Inoltre, a definire questo differenziale vi sono molti altri elementi, molti altri dati: penso ai servizi sociali e alle infrastrutture. Nella mozione noi descriviamo punto per punto quali debbano essere gli interventi e i campi di intervento.

Sicuramente c'è un gravoso ed impegnativo tema relativo alla povertà. La povertà assoluta, infatti, è ulteriormente cresciuta nel corso del 2017 e proprio per questo nella precedente legislatura, abbiamo approntato delle misure che stanno dimostrando la loro importanza e la loro efficacia. Per il contrasto alla povertà, in particolare al sud, i Governi a guida del Partito Democratico hanno adottato specifiche misure, misure di cui siamo orgogliosi e che riteniamo debbano essere continuate e rafforzate. In particolare, con l'approvazione della legge n. 33 del 2017 e della sua disciplina attuativa, è stata introdotta, per la prima volta in Italia, la misura unica nazionale di contrasto alla povertà, cioè il reddito di inclusione che prevede anche l'attivazione di servizi personalizzati per la ricerca di occupazione. Ecco, noi siamo d'accordo con l'Alleanza contro la povertà, che mette insieme tante associazioni, che questa misura debba continuare e debba essere anzi rafforzata, che debba poter esplicitare tutti i suoi effetti positivi e che non si debba cambiare passo.

Inoltre, ricordo il lavoro prezioso che è stato fatto con il dicastero del Mezzogiorno, che ha operato per la costruzione del masterplan per il rilancio del sud posto in essere nel corso dell'ultima legislatura, così come con i patti per lo sviluppo che ne sono derivati, che sono lo strumento attuativo del masterplan, che hanno interessato le otto regioni e le città metropolitane del sud, che hanno consentito e stanno consentendo di promuovere interventi e di mobilitare risorse finalizzate alla crescita con l'obiettivo di una vera e propria politica della crescita delle aree del sud. Inoltre, voglio ricordare il decreto-legge 20 giugno 2017 n. 91, che prevede una misura molto importante, la misura “Resto al sud” che contempla forme di incentivazione per i giovani volte a promuovere la costituzione di nuove imprese. Poi, sono state introdotte le ZES, il credito di imposta e 95 miliardi di investimenti.

Ora, tutto questo deve essere, a nostro giudizio, incrementato e proponiamo alcuni punti di necessaria operatività del Governo. Certo, l'appello è a fare davvero e a fare con serietà. L'attuale esecutivo, infatti, sembra voler ridurre le politiche per il Mezzogiorno alla semplice e mera introduzione del cosiddetto “reddito di cittadinanza” che, a nostro giudizio, potrebbe persino peggiorare la situazione. E, d'altra parte, la marginalizzazione del sud, nell'attuale costruzione dell'assetto di Governo e del contratto di programma, è abbastanza chiara. Nel contratto di programma, infatti, solo al capitolo n. 25 ci sono poche righe dedicate al Mezzogiorno. “Con riferimento alle regioni del Sud - dice il contratto di programma - si è deciso, contrariamente al passato, di non individuare specifiche misure con il marchio Mezzogiorno, nella consapevolezza che tutte le scelte politiche previste dal presente contratto (con particolare riferimento a sostegno al reddito, pensioni, investimenti, ambiente e tutela dei livelli occupazionali) sono orientate dalla convinzione verso uno sviluppo economico omogeneo per il Paese, pur tenendo conto delle differenti esigenze territoriali con l'obiettivo di colmare il gap tra Nord e Sud”. Ebbene, noi non siamo d'accordo e riteniamo che ci voglia una politica specifica, che ci voglia una politica sicuramente rinnovata e che non ce la possiamo cavare con il reddito di cittadinanza.

Per questo - e a maggior ragione - nella nostra mozione impegniamo il Governo a presentare una relazione al Parlamento sull'andamento dei masterplan sottoscritti entro il 31 dicembre 2018.

Chiediamo, inoltre, di confermare le misure strategiche come “Resto al sud” e il credito d'imposta per gli investimenti effettuati al sud. Impegniamo il Governo a promuovere misure incentivanti per l'assunzione di giovani e donne da parte delle imprese che operano nel Mezzogiorno, anche attraverso misure di decontribuzioni pluriennali non inferiori al 50 per cento, in sintonia e in analogia con misure adottate dai precedenti Governi. Allo scopo di realizzare politiche realmente incisive contro la povertà, chiediamo esplicitamente di non smantellare il reddito di inclusione, anzi, visto e considerato che i beneficiari sono distribuiti in larga parte nelle regioni del Mezzogiorno, di dar vita a un rafforzamento di queste misure, incrementando l'ammontare del beneficio economico, allargando la platea dei beneficiari, favorendo l'occupabilità e il reinserimento nel mercato del lavoro (rafforzare i programmi di reinserimento sociale attraverso le istituzioni pubbliche).

Vogliamo anche - e anche questo è un tema della nostra mozione - che si prosegua nell'investimento per ampliare l'offerta per i servizi all'infanzia e per i servizi sanitari. In particolare, riteniamo si debba proporre un progetto straordinario per assicurare la disponibilità e l'accessibilità negli asili nido almeno al 33 per cento dei bambini del sud, come da parametri europei. Chiediamo al Governo di assicurare risorse pluriennali per la messa a norma e l'ammodernamento degli edifici scolastici, di assumere tutte le iniziative idonee per la lotta alle disuguaglianze territoriali in tema di formazione dei giovani e per il diritto all'istruzione, di incrementare le risorse del Fondo sanitario nazionale da destinare alle regioni del Mezzogiorno e di assumere tutte le iniziative utili al fine di sfruttare il vantaggio competitivo naturale che il Mezzogiorno possiede quale piattaforma strategica nel Mediterraneo per intercettare i flussi commerciali, dato che, per irrobustire il vantaggio logistico, è necessario un piano di investimenti pluriennali. E, poi, chiediamo di promuovere il vantaggio fiscale anche attraverso la realizzazione e il rafforzamento di zone economiche speciali.

Riteniamo, ancora, che si debba puntare sui giovani e sulle ragazze del sud, investire sulle loro risorse, intellettuali e culturali, rifinanziando anche gli incentivi all'autoimprenditorialità e all'autoimpiego. Inoltre, occorre sostenere il sistema produttivo meridionale attraverso una serie di azioni specifiche che indichiamo nella mozione; prevedere un piano di manutenzione straordinaria della viabilità minore e sbloccare interventi infrastrutturali di particolare rilievo per la Sicilia e per le altre regioni del sud, indicando alcune arterie di viabilità e di alta velocità come necessarie a mettere in condizione, le regioni del sud e i territori del sud, di vivere una condizione paritaria di accesso ai servizi. Occorre consolidare gli interventi previsti dalla legge 6 ottobre 2017 n. 158 - mi riferisco alla legge sui piccoli borghi - perché non c'è solo un problema del sud ma nel sud c'è anche il problema gravissimo delle aree interne colpite da fenomeni gravi di spopolamento, così come la questione delle periferie urbane nelle città del sud. Mai e poi mai bisogna tagliare le risorse del bando periferie; semmai - e certo in quelle città del sud dove fenomeni di degrado e di disagio sono espliciti ed esplicitati - vanno rafforzate e potenziate le misure da noi innescate, con i Governi a guida centrosinistra.

E poi un piano straordinario di interventi pubblici a sostegno dell'alfabetizzazione digitale e affiancato a questo piano straordinario riteniamo che si debba collocare un intervento speciale di assunzione di giovani esperti nel settore digitale all'interno della pubblica amministrazione, perché la nuova e piena cittadinanza digitale, in particolare al sud, ha bisogno di competenze per attuarsi, competenze necessarie anche per accompagnare tutte le misure poste in essere dagli ultimi Governi per rendere più efficiente la P.A. Quindi, non un reddito che disincentiva la voglia di lavorare, ma lavoro, progetti e premesse perché le risorse umane e intellettuali dei giovani del sud e di tutta la popolazione meridionale possano avere uno sbocco utile.

Inoltre, riteniamo che si debba accelerare lo sblocco delle risorse per i progetti in materia di edilizia scolastica e ritornare alla quota di investimenti non inferiore al 34 per cento destinati al Mezzogiorno, che veniva ricordata anche dal collega Conte.

Occorre inoltre promuovere ulteriori investimenti nell'ambito della manutenzione della gestione del territorio e del dissesto idrogeologico e dell'antisismica e rafforzare i presìdi di sicurezza. Sì, vogliamo parlare di sicurezza nel sud, non solo per la lotta contro la mafia, la camorra e tutti i poteri organizzati, ma anche per garantire ai cittadini quelle minime regole di possibilità di vivere in una comunità. Rafforzare, quindi, i presìdi di sicurezza e le piante organiche delle Forze dell'ordine e del personale degli uffici giudiziari, per un più efficace contrasto contro la criminalità.

Riteniamo che il Governo non solo non debba indebolire il quadro normativo di contrasto del caporalato, ma semmai debba attuare nella sua pienezza quella importante legge, così come si debbano promuovere investimenti per le filiere agroalimentari e per le produzioni di qualità del Mezzogiorno e promuoviamo, in questa mozione, anche la necessità di un intervento specifico per creare, come promozione specifica turistica del sud in collaborazione con le regioni meridionali e tra le regioni meridionali, progetti di promozione e pacchetti di incentivi finalizzati al turismo di ritorno rivolto agli italiani all'estero, con particolare attenzione alle aree interne del Mezzogiorno.

Insomma, è chiaro quello che il Partito Democratico ritiene di dover fare è affrontare il problema del Sud non come un problema di aggiungere soltanto risorse, ma quello di qualificare gli investimenti, che vanno sicuramente aumentati, tutti, a beneficio della collettività (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Wanda Ferro, che illustrerà anche la mozione Lollobrigida ed altri n. 1-00064, di cui è cofirmataria. Ne ha facoltà.

WANDA FERRO (FDI). Grazie, signor Presidente. Onorevoli colleghi, mi piace immaginare che il protagonista di un film che in questi giorni, tra parentesi, devo dire è di grande attualità, Ritorno al futuro, e che tutti abbiamo in qualche modo ricordato e visto sia, per una volta, Antonio Billia, il deputato che per primo coniò la definizione della Questione meridionale. Era il 1873, per intenderci, era la prima legislatura della nostra storia qui a Palazzo Montecitorio, sede del Parlamento dell'Italia unita, appena tre anni dopo la breccia di Porta Pia, c'era il Governo Lanza e, per finire con le citazioni storiche, Presidente, al suo posto c'era seduto un ligure, Giuseppe Biancheri, il più longevo dei Presidenti della Camera, un deputato che fece ben dieci mandati nell'arco di trentasette anni. E ora chiederei all'amico Antonio Billia, da protagonista di Ritorno al futuro, se facesse un salto in avanti di 145 anni, di cosa si meraviglierebbe oggi. Del fatto che la sede della Camera sia ancora la stessa? Non credo. Che, in qualche modo, troverebbe a sedere il Presidente, non in questo caso Fico? Mah, non credo. Che ci siano tante donne all'interno di questo Parlamento? Non penso, considerato che questo ormai è successo da oltre settant'anni. Sicuramente non potrebbe mai immaginare che, dopo un secolo e mezzo, siamo ancora qui a parlare del Sud, dei suoi problemi, di una Questione meridionale totalmente irrisolta, sempre più aperta, sempre più lontana dalla soluzione, ancor di più considerato che probabilmente, nella manovra di bilancio, al di là del reddito di cittadinanza, parleremo solo della ciclovia Brennero-Palermo, e certamente non tornerebbe indietro a raccontare che il suo intervento, 145 anni dopo, ha prodotto un unico risultato: il Ministero del Sud, e nessuno gli crederebbe.

Ecco, mi sento di affermare, con grande amarezza, con grande dispiacere, che la mancata soluzione dei problemi del Mezzogiorno d'Italia rappresenti la più grave macchia della storia d'Italia e della sua classe politica e nessuno si deve sentire escluso, però, a pensarci bene, il nostro deputato di fine Ottocento sarebbe colto da sorpresa dal fatto che oggi a dare le carte è un nuovo soggetto che decide sulle sorti del Paese, che aveva combattuto per renderlo forte e unico; questo nuovo soggetto è l'Europa. A riguardare nell'attualità dei report sulla questione del Sud si finisce con l'elaborazione di un cocktail con gli stessi componenti di sempre, assistenzialismo, deficit strutturale, forme di incentivazione alla crescita, ma, soprattutto, sviluppo industriale o vocazione turistica culturale? Restare aggrappati all'Europa dei padri o guardare al bacino del Mediterraneo?

Emanare leggi e provvedimenti shock ad effetto immediato oppure generare realmente un processo che sia nuovo e per una ripresa economica e sociale? Storico segmento di mercato, oggi di un nuovo sistema commerciale globale, oppure valorizzazione delle identità e delle tante specificità? Problema reale o soltanto bacino elettorale?

Teniamoci il più possibile alla larga, tutti quanti, dalle procedure assistenzialistiche, che siano espresse in maniera diretta o, piuttosto, sotto forma di reddito di qualche cosa, anche perché, se proprio dobbiamo parlare, appellarci alla cittadinanza per affermare i nostri diritti, sono tante le questioni da prendere in considerazione. Piuttosto che all'assistenzialismo, pensiamo ad una politica che possa assegnare maggiori traguardi nel merito soprattutto al Sud, un modo come un altro per frenare la fuga dei tanti giovani, dei tanti cervelli, delle tante risorse giovanili che, se avessero addirittura una condizione migliore, potrebbero restare e contribuire in maniera determinante alla crescita complessiva. Né accetteremo che i nostri giovani possono essere sostituiti da altro.

E, allora, alcune tematiche come le infrastrutture, dove noi chiediamo: 50 per cento per il Nord e il 50 per il Sud, non c'è bastato il 34 che ci è stato assicurato dal sottosegretario all'ultimo question time; il lavoro, lo stato sociale, l'ambiente, la salute sono cose così scontate che non dovrebbero essere motivo di dibattito, né di una mozione, né di una discussione in Aula. Sarebbe un po' come ripartire dalla lettura dell'alfabeto ad ogni lezione universitaria, ma purtroppo rimangono ancora essenziali e centrali, in una sorta di analfabetismo dei diritti fondamentali al quale il Sud è condannato, ahimè, ormai da troppo tempo.

Le ragioni, le radici e, soprattutto, i rimedi del così evidente squilibrio tra le condizioni oggettive del Sud e il resto dell'Europa – perché noi stiamo parlando dell'Europa – non si trovano neanche sulle tabelle degli studi più approfonditi così come, tra le righe, dei diversi rapporti – in questi giorni, tanti sono stati pubblicati, anche sulle varie testate nazionali – a cadenza periodica, in un periodo, tra l'altro, che vede un mare di problemi e di crisi economica e sociale all'interno dell'area dell'Unione, il che potrebbe quasi quasi condurci e indurci a pensare che forse stiamo perdendo soltanto del tempo, ma è dalla vita reale che si possono trovare gli spunti per una più approfondita riflessione. Ad esempio, perché non prevedere subito delle agevolazioni fiscali per indirizzare nelle regioni del Sud quella migrazione di pensionati che ha interessato, per esempio, il Portogallo, per le sue esenzioni di imposte decennali, oppure la Tunisia, per un regime fiscale agevolato? Inserire subito, quindi, una possibilità del genere diretta ai nostri pensionati darebbe anche una qualità di vita sostenibile, una qualità, perché il Sud offre importanti opportunità, come storia, tradizione, arte, clima e paesaggio (Applausi del deputato Fatuzzo).

Vogliamo, poi, prendere atto, una volta per tutte, che noi siamo circondati da Paesi come l'Albania, la Svizzera, la Serbia, il Montenegro, la Slovenia, che offrono una tassazione totalmente agevolata rispetto a quello che noi offriamo alle nostre aziende e ai nostri imprenditori? In sintesi, ogni genere di agevolazione che interessa il Sud aumenterebbe la competitività aziendale, favorendone la crescita e, ovviamente, una grande risorsa per l'occupazione giovanile.

È chiaro che non bisognerà mai abbassare la guardia rispetto alla lotta alla criminalità organizzata che, però, badate bene, non è erede di quel brigantaggio che era presente nell'Unità d'Italia o, meglio, quella forma di crimine-ribellione che nella mia Calabria, come in tante altre regioni del Mezzogiorno e in più parti d'Italia, aveva due distinte matrici, una certamente delinquenziale, ma un'altra, quella dai risvolti rivoluzionari a sfondo politico e sociale. A pensarci bene, lo Stato e la parte criminale, da due terreni di battaglia diversi e con differenti strumenti, hanno sconfitto e cancellato la matrice rivoluzionaria, togliendo alle popolazioni meridionali ogni sorta di soluzione differente.

Altro tema importante è quello della pubblica amministrazione, sia in termini di efficienza e di efficacia, la battaglia alla corruzione. Del resto, un reale processo di cambiamento ha bisogno di ogni tassello e che ogni tassello sia messo al proprio posto.

Ma poi, ammesso che davvero questo Governo - e vogliamo crederci - intenda non certo sfidare l'Europa, ma puntualizzare a Bruxelles alcune specificità di casa nostra, dobbiamo avere la capacità di recuperare il senso di quello che era il vero obiettivo di tutte le regioni Obiettivo 1, oggi di convergenza. Quello ovviamente di realizzare il completamento delle aree e delle vie, delle strade, delle reti portuali, aereoportuali, dell'alta velocità ferroviaria, dell'eliminazione ancora in molte regioni dei passaggi a livello, delle zone economicamente speciali e quindi delle ZES, delle infrastrutture tecnologiche in zone dove non passa assolutamente la banda larga. Perché non andiamo a spendere veramente i fondi per le cose a cui dobbiamo richiamarci per crescere? Io credo che questo ci dovrà finalmente essere concesso.

L'Italia è un Paese che corre a più velocità: l'Europa lo deve comprendere e accettare, ma prima dobbiamo essere noi a segnare la differenza. A fine Ottocento era un concetto già chiaro a tutti, in termini politici ed economici: era chiara la sproporzione, così come quelle diversità che non siamo riusciti purtroppo a riqualificare, né può consolarci che esista un “Sud del Sud”. E allora se riguardiamo al passato, abbiamo vissuto decenni di mancata modernizzazione del Sud, colpevole magari del vantaggio di qualche altra zona del nostro Paese. Poi è stato il turno di una modernizzazione apparentemente non determinante. E infine siamo entrati tutti in una sorta di rassegnazione.

E allora, Presidente, vado veramente a concludere. Oggi, le condizioni sono cambiate: se non si risolleva l'Italia, ma in particolare il Sud dell'Italia, certamente esso trascinerà il nostro Paese, ma anche l'Europa, in quelle tensioni già generate da un mercato che preme dall'Oriente e da un'immigrazione che preme dal Nord Africa. Concludo, come avevo iniziato, e mi chiedo se oggi Antonio Billia, risalendo nuovamente a bordo della DeLorean per viaggiare nel tempo, per ritornare a quel 1873, potrebbe dire: ma quale questione meridionale, quella ormai è una cosa di secondaria importanza, qui c'è una questione molto più importante, si rischia di far saltare il banco (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia e di deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Domenico Furgiuele. Ne ha facoltà.

DOMENICO FURGIUELE (LEGA). Presidente, onorevoli colleghi, i dati pubblicati dall'ISTAT, relativi all'anno 2017, evidenziano ancora un grave divario tra Nord e Sud del Paese in termini di produttività delle imprese e benessere degli abitanti. Il tasso di disoccupazione del Mezzogiorno è il triplo rispetto a quello del Nord, il doppio rispetto a quello del Centro Italia. L'economia delle regioni meridionali soffre ancora degli effetti della crisi e sconta ormai atavicamente un forte ritardo non solo rispetto al resto dell'Europa, ma anche al resto dal Paese. Si registra un peggioramento del saldo migratorio del Mezzogiorno: negli ultimi 16 anni hanno lasciato il Meridione più di 1 milione di residenti, di cui la metà giovani fra i 15 e i 34 anni, quasi un quinto laureati, il 16 per cento addirittura si è trasferito all'estero. Particolarmente significativo risulta poi il dato relativo all'immatricolazione del 25 per cento degli studenti universitari meridionali proprio nelle facoltà del Nord: questo certamente non perché gli studenti meridionali credano che le università del Nord siano migliori, ma fondamentalmente perché le università del Nord risiedono in dei luoghi che danno più opportunità dal punto di vista economico, e soprattutto dal punto di vista dei servizi e dell'occupazione.

La mozione sulle politiche di rilancio del Mezzogiorno deve essere oggi un modo per avviare concretamente un dibattito approfondito, ma non infinito, su un corpus di misure realmente efficaci, specie sul fronte della migrazione delle competenze al Nord o addirittura verso i Paesi dell'Unione europea o extracomunitari. Se vogliamo davvero adoperarci affinché si dia vita ad un cambiamento visibile che investa i giovani, le infrastrutture e gli investimenti, dobbiamo convergere sulla consapevolezza che il Sud non può essere più un problema solo del Sud. Ce lo chiedono gli elettori che ci hanno dato fiducia, e ce lo chiede la nostra coscienza di parlamentari, di membri del Parlamento. Da calabrese non accetterò mai l'idea di un Parlamento e di Commissioni competenti dal punto di vista legislativo che si impegneranno a fare la stessa cosa che è stata fatta fino a poco tempo fa, cioè poco o nulla. È finito il tempo degli studi e delle diagnosi, dei dibattiti, dei talk sul Meridione d'Italia: ora bisogna parlare di misure concrete da varare, con velocità e con spirito costruttivo.

D'altro canto, le evidenze degli indicatori ISTAT e Svimez sono chiare, li conosciamo tutti quanti: essi tra l'altro ci dicono di un peggioramento del mercato del lavoro, e con esso anche della conseguente crescita della povertà. Non possiamo ignorare la povertà: se ne facciano una ragione i sostenitori di quell'Europa burocratica, decadente e senza cuore che purtroppo anche qui dentro non sono pochi. Che senso ha parlare di Europa solidale - lo chiedo anche ai colleghi delle opposizioni -, se non possiamo incrociare i bisogni delle fasce deboli? Nell'Europa che vorremmo, il Sud deve essere protagonista.

In questo senso procedono le politiche dell'Esecutivo che appoggiamo, nella consapevolezza però che molto dovrà essere fatto nei prossimi mesi, soprattutto nella convinzione che artefici di quella crescita dovranno essere proprio quei giovani che oggi continuano a scappare e ad andare via. Dobbiamo metterci in testa che, perché il Sud cresca, occorre non solo un cambio di passo, ma una visione lungimirante che ci consenta di traguardare nuove vie di sviluppo, nuovi orizzonti strategici. La competizione non può essere giocata al nostro interno, ma dobbiamo avere la capacità di elevare la nostra visuale, guardando al Mezzogiorno come baricentro e snodo fondamentale del Mediterraneo, collocato nel quadrante mondiale dei traffici commerciali tra lo Stretto di Gibilterra e Suez: è inimmaginabile ancora che ad oggi i porti del Mediterraneo vengano considerati Rotterdam, Anversa e Amburgo (Applausi dei deputati del gruppo Lega-SalviniPremier).

Ecco, questo deve essere il nostro orizzonte, per questa ragione dobbiamo ribaltare la percezione di Sud periferia, per acquisirne una tutta nuova, fondata sulla centralità della piastra logistica euro-mediterranea del Mezzogiorno d'Italia: un sistema intermodale interno ed esterno, che sappia ripensare la collocazione del Sud nel contesto internazionale e mondiale. Qui il porto di Gioia Tauro deve tornare centrale nelle politiche di sviluppo! Abbiamo bisogno di ripensare visione e strategia, di concretizzare progetti funzionali non al soddisfacimento di micro-interessi, ma di focalizzarli in piani strategici, capaci di perseguire concretamente questi nuovi orizzonti. Abbiamo bisogno di accelerare l'esecuzione delle opere in corso, e se necessario prevedere cantieri aperti H24 (Applausi dei deputati del gruppo Lega-SalviniPremier).

Bisogna passare dalla programmazione all'attuazione. Dai dati dell'Agenzia per la coesione territoriale, non ancora resi pubblici, emerge che appena il 20 per cento delle risorse sono in fase di esecuzione, mentre il restante 80 per cento è racchiuso in un limbo di fase di programmazione o di avvio di progettazione. Tutto questo è intollerabile e frustrante! È necessario concentrare risorse sui macro-obiettivi della coesione, ridimensionando la logica del passato, dei mille rivoli e dell'indefinita programmazione di spesa: su 40 miliardi di stanziamenti complessivi per i Patti per il Sud, stiamo parlando di 27 miliardi di euro ancora senza programmazione e senza progettazione, di 5 miliardi appena in affidamento e di 9 miliardi in esecuzione; ma molto spesso si tratta di progetti vecchi e finanziati con risorse precedentemente affidate e affidabili a cicli produttivi precedenti. In questa direzione, il Governo deve farsi carico in modo deciso di valutare compiutamente il reale stato di attuazione dei Patti, proponendo, laddove si rendesse necessario, strumenti attuativi in grado di intervenire su efficacia ed efficienza della spesa. Servono progetti strategici, interregionali, mediterranei, per unire le sponde, per rendere il Sud cerniera e perno del Mediterraneo. Serve funzionalizzare le infrastrutture interne, renderle intermodali, per connetterle con il resto del mondo: questo dev'essere fatto! Serve rendere convenienti a livello fiscale gli investimenti nelle aree industriali del Mezzogiorno: obiettivi alti per connettere il Sud con il resto del Mediterraneo, dell'Europa e del mondo. Con questa visione dobbiamo puntare a definire la nuova programmazione dei fondi strutturali e di coesione, ed al contempo rimodulare quanto non speso e ancora pianificabile nell'attuale programma 2014-2020.

In quest'ottica, mi permetto di riprendere un concetto di responsabilità meridionale. Abbiamo speso ingenti risorse? Forse le abbiamo sprecate? Non abbiamo più molte opportunità: ora o mai più, dobbiamo porci come asticella quella del riequilibrio infrastrutturale, sociale e culturale. Deve essere un riequilibrio da misurare e compensare in termini economici e fiscali.

Penso ad un piano intermodale di sistema per il Sud, da realizzare con capitali pubblici e privati, facendo ricorso a percorsi di ingegneria finanziaria innovativi, a partire dal project financing, mai concretamente attuato al Sud. Penso alla internazionalizzazione delle università del Sud, in partnership con le più grandi università al mondo. Penso a zone franche di riequilibrio, zone economiche speciali capaci di riequilibrare e riallineare la competitività. I trasporti, l'interconnessione, l'intermodalità sono leve e strumenti di intervento decisivi, non solo in termini microeconomici o settoriali, ma anche in senso macroeconomico ai fini dello sviluppo economico generale. Occorre recuperare competitività strategica, non in chiave semplicemente regionale, bensì in un'ottica di sistema integrato. Perché l'Italia sia più forte è necessario che ci sia un Sud sempre più forte. La continuità, la prossimità, la funzionalità territoriale delle infrastrutture, a supporto delle catene logistiche e globali, nel senso delle relazioni spaziali e funzionali tra porti, aeroporti, collegamenti ferroviari e stradali, è la strategia che dobbiamo perseguire con forza e determinazione.

E il mio pensiero, da calabrese, torna ancora al porto di Gioia Tauro e alle altre realtà del Sud. È lì il futuro e continua ad essere lì il futuro. Colleghi onorevoli, abbiamo avuto la fiducia dei cittadini per attuare un reale cambiamento di prospettiva delle politiche fin qui seguite. Il 4 marzo scorso il Sud non ha votato per avere ancora politiche assistenziali, ma per spezzare le catene che ad esse lo legavano (Applausi dei deputati del gruppo Lega-SalviniPremier).

PRESIDENTE. Saluto gli studenti e i docenti dell'Istituto Comprensivo “Foligno 4”, che assistono ai nostri lavori dalle tribune (Applausi). È iscritta a parlare la collega Elvira Savino. Ne ha facoltà.

ELVIRA SAVINO (FI). Grazie signora Presidente. Nella manovra, come nel resto del dibattito interno alla maggioranza, risuona assordante, a nostro avviso, il silenzio in merito ad una qualsiasi strategia per il Sud. Anzi, a guardar bene, l'unica misura adottata è il mancato rifinanziamento del bonus per il Sud. Il Mezzogiorno non può essere liquidato come il buco nero d'Italia e può invece costituire - anzi, deve costituire - una punta di diamante per il rilancio economico e sociale del nostro Paese, in Europa e sul piano internazionale.

Il rilancio del Sud richiede interventi organici razionali, improntati a logiche di valorizzazione delle risorse umane e materiali già presenti sul territorio, volti a consentire alla realtà locale di esprimere appieno le sue grandi potenzialità endogene. All'opposto appaiono deleterie misure emergenziali, assistenziali e puntiformi, le quali rappresentano la riedizione di interventi già rivelatisi fallimentari in passato, protese, al massimo, al fine poco lusinghiero di incassare i dividendi politici o elettorali di breve periodo.

Sembrano invece maturi i tempi, anche a livello culturale, per abbandonare i vecchi paradigmi e affidare al Sud e alla sua popolazione, a cominciare dai giovani e dalle donne, gli strumenti per affrancarsi da sé dai vincoli burocratici ed economici che ne soffocano lo sviluppo e rilanciarsi nell'ottica di principi liberali, moderni e meritocratici.

In questa prospettiva da tempo Forza Italia ha individuato una serie di problematiche strutturali, da risolvere in via prioritaria, attraverso soluzioni e proposte di intervento, elaborate in modo non autoreferenziale o astratto, ma grazie al confronto serio e costante con le realtà locali, con gli amministratori del territorio, con autorevoli studiosi di ambito economico, giuridico e politologico, nonché con le esperienze più virtuose registrate a livello europeo e internazionale.

Il piano strategico di Forza Italia prevede cinque fondamentali capitoli di intervento: le imprese, il lavoro, i diritti, le infrastrutture e la governance istituzionale.

Con riguardo alle imprese, il tessuto imprenditoriale del Sud è in sofferenza, evidentemente, rispetto al resto del Paese, però ha grandi potenzialità di sviluppo. Benefici sicuri e rilevanti deriverebbero, a nostro avviso, dall'azzeramento dell'Ires, almeno per le quattro regioni dell'obiettivo convergenza, ossia Calabria, Campania, Puglia e Sicilia, per un valore di 2 miliardi all'anno, che dovrebbe essere coperto mediante la riallocazione di fondi europei oggi male investiti.

I vantaggi di questa misura sono presto detti: il carattere automatico e diretto del beneficio, l'assenza dell'intermediazione burocratica, niente infiltrazioni della criminalità organizzata, attrazione degli investimenti e delle imprese internazionali e italiane - che oggi purtroppo delocalizzano in altri Paesi -, piena compatibilità con i Trattati europei.

Sempre con riguardo alle imprese, un altro nodo nevralgico riguarda l'estrema difficoltà che riscontrano nel Mezzogiorno le piccole e medie imprese relativamente all'accesso al credito. Questo ovviamente ne impedisce lo sviluppo. Da questo angolo visuale, è necessario rafforzare il Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese, destinando il 45 per cento delle risorse, adesso conferite da Cassa depositi e prestiti, all'uso esclusivo delle piccole e medie imprese del Mezzogiorno. In questo modo esse potranno ottenere finanziamenti per gli investimenti, necessari a rinnovarsi, a crescere e a competere sul mercato.

Per quanto riguarda il lavoro, è centrale innanzitutto al Sud il tema dei giovani. Al Sud ci sono un milione 800 mila NEET, under 35, che non lavorano e non cercano un lavoro. Due donne su tre sono disoccupate. Esiste un elevato tasso di dispersione scolastica e un basso numero di studenti che conseguono la laurea.

Si dovrebbe prevedere l'istituzione di un conto giovani per il Mezzogiorno, a valere sui fondi europei, destinato agli under 35 e alle donne under 40, da utilizzare per l'alternanza scuola-lavoro, per ricerca e sviluppo in università e in azienda, formazione e orientamento all'occupazione, impiego e auto-impiego. L'obiettivo è finanziare una formazione effettiva, attiva e on the job, realmente calibrata sullo sviluppo delle professionalità e sul collocamento lavorativo.

Sempre sul fronte lavoro, un tema cardine è poi quello delle donne. Nel Mezzogiorno solo il 31 per cento delle donne ha un lavoro. Per mitigare in modo efficace e concreto tale problema, per ogni nuova assunzione di una donna, a tempo pieno o parziale, con contratto almeno annuale, si dovrebbe riconoscere all'impresa che effettua l'assunzione un credito di imposta, pari al costo relativo al contributo Irpef. Molti studi autorevolissimi, svolti a livello europeo e internazionale, dimostrano ormai, come è noto, al di là di ogni ragionevole dubbio, che più donne occupate significano più crescita, perché una donna che lavora è una donna che consuma e che ha bisogno di altre donne che l'assistano, quando lei è occupata al lavoro. Quindi, si crea inevitabilmente un circolo virtuoso, di cui beneficia tutto il sistema.

Ancora, sul decisivo fronte del lavoro, occorre constatare come la fascia di età tra i trenta e quarantanove anni oggi sia clamorosamente ignorata da qualsiasi misura occupazionale. Bisognerebbe istituire un apposito assegno, pari almeno a 800 euro mensili, erogati per una durata di dodici mensilità, anche non continuative, a beneficio di chi sia in stato di disoccupazione da oltre ventiquattro mesi e non percepisca alcun sostegno al reddito. La misura dovrà essere riconosciuta solo se agganciata a percorsi di reinserimento nel mercato del lavoro e a prestazioni lavorative. Quest'assegno sarebbe un vero incentivo al lavoro, anziché a oziare sul divano, e funzionerebbe come una dote, che il lavoratore porta con sé all'interno dell'impresa. A livello infrastrutturale, invece, una forte criticità attiene per esempio al Sud alle strutture idriche. È una cosa della quale si parla poco, ma importantissima. Esse al Sud risalgono a più di trent'anni fa e le perdite nella rete al Sud si aggirano intorno al 45 per cento, a fronte del 26 per cento al Nord. È giunto il momento di riammodernare il sistema infrastrutturale, attraverso una rete e un sistema di micro-invasi. Il costo di questo intervento è stimato intorno ai 5 miliardi, che è decisamente inferiore alle perdite e alle sanzioni europee che gestiamo attualmente. Gli obiettivi, oltre a salvaguardare le risorse idriche, sono quelli di assicurare gli approvvigionamenti alle famiglie e alle imprese del Sud, nonché di consentire il rilancio di un settore strategico fondamentale per le regioni del Mezzogiorno, che è l'agricoltura.

Una seconda criticità infrastrutturale riguarda poi le linee dell'alta velocità. Come è noto, l'alta velocità si ferma a Salerno e, da lì in poi, non è più servito quel territorio. Ma anche il servizio ferroviario ordinario, oltre all'alta velocità, è altamente inefficiente. Basti pensare che in Sicilia sono 429 le corse regionali giornaliere, contro le 2.396 della Lombardia. La media di età dei convogli passa dai diciannove anni del Meridione ai tredici del nord Italia, con una media nazionale di sedici anni, con comprensibili ed evidenti ripercussioni negative, sia sulla velocità degli spostamenti - che al Sud sono evidentemente elefantiaci - che sul comfort e la qualità di vita dei passeggeri.

Da questo punto di vista, è necessario un piano strategico per rilanciare la mobilità al Sud e anche, soprattutto, come dicevo prima, l'alta velocità.

Con riferimento ai diritti, invece, un primo allarme riguarda gli asili, come è stato detto anche in precedenza. In particolare, la copertura dei servizi di asili nido e nido per l'infanzia nel Meridione è scarsissima, copre soltanto il 7 per cento circa dei bambini, a fronte di una media nazionale del 20 per cento ed europea del 40 per cento. In questa prospettiva è necessario assolutamente stanziare dei fondi per realizzare strutture e servizi pubblici di asili nido, affidando magari l'operazione a una SGR pubblica, come, ad esempio Invimit e Cassa depositi e prestiti immobiliare, e prevedendo costi contenuti del servizio in base al reddito per chi ne fruisce. I vantaggi sono enormi e si colgono su due piani: da un lato, i benefici occupazionali immediati per le donne madri lavoratrici, che avrebbero finalmente la possibilità di affidare i loro bambini a strutture dedicate a costi contenuti o anche nulli, dall'altro lato i benefici sociali e culturali per la nostra società, di medio lungo periodo, sotto il profilo della crescita demografica e della natalità, sia sotto il profilo dell'affermazione del ruolo della donna lavoratrice, che abbiamo detto prima essere appunto una questione fondamentale.

Parlando di diritti poi, è impossibile non parlare del diritto alla salute. Le forti disomogeneità territoriali nelle prestazioni sanitarie hanno una creato nel tempo una situazione di costante lesione al Sud del diritto alla salute, che, voglio ricordare, è costituzionalmente riconosciuto. Quindi è necessario un piano integrato finalizzato a ristabilire la piena osservanza dell'articolo 32 della Costituzione, da svilupparsi sui seguenti versanti: l'introduzione immediata dei costi e dei fabbisogni standard nella sanità; l'istituzione di un'agenzia nazionale che controlli in modo più stringente l'operato dei singoli servizi regionali e delle province autonome, assicurandone l'efficienza e l'efficacia anche con funzioni sostitutive o eventualmente commissariali; l'introduzione immediata del reddito di salute, cioè di un bonus sanità da attribuire in base all'ISEE ai residenti nelle regioni dove è minore l'aspettativa di vita.

Nel capitolo dei diritti rientra anche il dossier sulle pensioni. Sul territorio nazionale, come si è detto, esistono forti disomogeneità fra Nord e Sud anche relativamente all'aspettativa di vita, con differenziali anche di quattro anni. In Campania, per fare un esempio, nel 2017 gli uomini sono vissuti 78 anni e le donne 83; nella provincia autonoma di Trento, 81 anni gli uomini e 83 le donne. La maggiore sopravvivenza si è registrata proprio delle regioni del Nord Est, dove la speranza di vita è stata per gli uomini di 81 anni e per le donne di 85. Invece, nelle regioni del Mezzogiorno, 79 anni per gli uomini e 84 per le donne. Alla luce di questo dato, evidentemente clamoroso e allarmante, occorre rimodulare i criteri anagrafici di accesso alla pensione calcolandoli su base regionale e anche in ragione della speranza di vita. Non può essere trascurato poi il diritto all'ambiente, che dovrebbe stare a cuore a questa maggioranza, che va declinato con maggior vigore sul piano della mobilità sostenibile, pubblica e privata. Il trasporto pubblico al Sud è ancora fortemente legato allo spostamento obsoleto su gomma, come è noto, ed è prestato con servizi e con mezzi ormai superati. Anche le auto private, purtroppo, al Sud sono per la maggior parte ad elevato indice inquinante; quindi per promuovere l'ambiente ed il trasporto green, sicuri benefici verrebbero dalla scelta di azzerare l'IVA per l'acquisto di tutti gli autoveicoli elettrici e la compensazione del 50 per cento per gli enti locali nell'acquisto di vettori per il trasporto pubblico locale a basso impatto ambientale, come gas, metano o auto elettriche.

A livello istituzionale, invece, parlando adesso di governance, che è l'ultimo tema che noi abbiamo affrontato nella nostra mozione, la governance degli investimenti e della gestione dei fondi di coesione nazionali ed europei è ad oggi evidentemente troppo complessa, dispersa fra una miriade di istituzioni, livelli territoriali, procedimenti, che creano ritardi e inefficienze. Proponiamo di accentrare tutte le competenze in un unico soggetto, la Cassa per le infrastrutture e i diritti del Sud, Caid, che funga da collettore, gestore e controllore unico dei fondi nazionali ed europei e delle attività, e che tra l'altro assorba la vecchia Agenzia per la coesione. Per alimentare la Cassa si dovrebbe modificare l'attuale sistema della quota De Vincenti e, sul modello della quota Ciampi, prevedere che ad essa sia le amministrazioni centrali che le società partecipate pubbliche conferiscano il 45 per cento dei propri stanziamenti ordinari in conto capitale.

Infine, sono inattuate dal 2001 parti importanti della Costituzione, quale l'indicazione dei LEP, cioè i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, non in alcune zone sì e in altre no, e l'istituzione del Fondo di perequazione, articolo 119 della Costituzione, indispensabile per consentire ai territori con minore capacità fiscale per abitante il finanziamento integrale delle funzioni pubbliche che gli sono attribuite. In particolare, sono rimasti purtroppo lettera morta quelli che erano dei condivisibili criteri enunciati nella legge sul federalismo fiscale, la n. 42 del 2009, che avrebbe potuto presiedere alle misure perequative: capacità fiscale, densità demografica, sviluppo infrastrutturale, gettito dei tributi, stato dei servizi. Oltre agli evidenti riflessi negativi sulle popolazioni, la mancata attuazione di queste previsioni di perequazione preclude alle regioni del Sud di sfruttare le virtualità autonomistiche speciali consentite dall'articolo 116, terzo comma, della Costituzione. È chiaro infatti che nessuna condizione ulteriore di autonomia può essere acquisita senza le relative risorse, ed è altrettanto chiaro che queste risorse non saranno mai sufficienti nelle realtà in questione senza l'effettiva attuazione di un fondo perequativo; è un cane che si morde la coda. L'autonomia senza il supporto delle risorse è solo un fantasma, sia per l'esercizio delle funzioni attribuite direttamente dalla Costituzione sia, a maggior ragione, per quelle ulteriori funzioni che le regioni volessero eventualmente intestarsi ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione stessa.

Quindi, concludendo, tutti questi punti sono stati sviluppati dai parlamentari di Forza Italia in una serie di proposte di legge che sono state già depositate e che saranno poi ripresentate come impegni all'interno delle mozione che stiamo presentando. Noi ci auguriamo che il Governo inizi seriamente a prendere consapevolezza della questione meridionale, perché è una questione nazionale tout-court e ad andare oltre una logica assistenzialistica, che è quella alla quale purtroppo abbiamo assistito finora, oppure di trascurare il tema per quanto attiene ad azioni veramente di prospettiva, di visione e strutturali, e di offrire quelle risposte concrete che purtroppo il Mezzogiorno d'Italia attende da troppo tempo (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente)

PRESIDENTE. Avverto che è stata testé presentata la mozione D'Uva e Molinari n. 1-00065, il relativo testo è in distribuzione (Vedi l'allegato A).

È iscritta a parlare la collega Conny Giordano. Ne ha facoltà.

CONNY GIORDANO (M5S). Presidente, destinare risorse al Sud non vuol dire toglierle al Nord, bensì significa riuscire a proiettare l'intero Paese nel futuro, e di certo non possiamo guardare al futuro se nel presente vi sono cittadini che hanno meno lavoro e meno servizi. Non a caso, nel contratto di Governo è esplicitato che tutte le scelte politiche previste sono orientate dalla convinzione verso uno sviluppo economico omogeneo per il Paese, pur tenendo conto delle differenti esigenze territoriali, con l'obiettivo di colmare il gap tra Nord e Sud, un divario che non ha fatto altro che accrescersi in questi decenni: secondo i dati Istat relativi al 2017, il tasso di disoccupazione nel Mezzogiorno è pari a tre volte quello del Nord. Tutto ciò ha contribuito ad un vero e proprio esodo. Negli ultimi sedici anni, infatti, hanno lasciato il Meridione 1.883.000 residenti, di cui la metà giovani, tra i 15 e i 34 anni, con elevato titolo di studio. Ciò quindi ci obbliga a liberarci dagli stereotipi che vedono un Sud meno operoso. Non è così. I giovani del Sud hanno studiato ed hanno voglia di lavorare, ma purtroppo, e non per colpa loro, hanno meno possibilità e meno servizi. Oggi abbiamo finalmente l'occasione di cambiare pagina, progettando un futuro diverso in virtù dei nuovi lavori che verranno a crearsi. Possiamo riuscirci anche grazie all'Europa, attraverso la politica di coesione, che però non può essere uno strumento risolutivo delle problematiche, se non è accompagnata da investimenti nazionali adeguati; investimenti che possono riuscire anche a potenziare le capacità di progettazione da parte delle amministrazioni, rendendo tutti i soggetti coinvolti più consapevoli delle opportunità e delle procedure da attivare tramite fondi europei.

L'Italia, infatti, è seconda nell'Unione Europea per fondi strutturali ricevuti, ma è sestultima su ventotto per utilizzo dei fondi. Nel periodo di programmazione 2014-2020, possiamo contare su oltre 73 miliardi di euro, di cui oltre 42 provenienti dal bilancio dell'Unione europea; di questi, abbiamo impegnato finora il 37 per cento, ma solo il 3 per cento del totale sono stati già spesi, ovvero la metà rispetto alla media dell'Unione europea. Il nostro obiettivo deve essere, quindi, quello di utilizzare in modo più corretto ed efficiente i fondi comunitari, in primo luogo quelli destinati alle regioni del Mezzogiorno. In virtù di ciò, è necessario potenziare l'Agenzia di coesione territoriale, in modo che questa possa sostenere le amministrazioni e monitorarle, verificando lo stato effettivo della programmazione attuativa.

È chiaro a tutti che per riuscirci dobbiamo necessariamente cambiare passo, ragion per cui, tra gli altri impegni contenuti nella nostra mozione, si impegna il Governo: a potenziare e rendere più efficaci le misure di incentivazione degli investimenti nel Mezzogiorno, soprattutto in settori innovativi, tenendo in considerazione quanto espresso dall'articolo 7-bis del decreto-legge n. 243 del 2016, che prevede che gli stanziamenti delle amministrazioni centrali siano proporzionali alla popolazione di riferimento; a rispettare il principio di territorialità dell'assegnazione delle risorse per il Mezzogiorno e quello della destinazione territoriale, nel caso di fondi strutturali che risultino utilizzabili in base al meccanismo del disimpegno automatico, ovvero in seguito a riduzione del co-finanziamento nazionale o a riprogrammazione.

Mi avvio alla conclusione. Siamo ben consapevoli della difficoltà di questo compito, ma non possiamo più esimerci. È chiaro, infatti, che questo dislivello tra nord e sud danneggia l'intero Paese, influendo anche nei mercati economici nazionali. Per questo, ora più che mai, è necessario mostrare unità di intenti e seguire ciò che è scritto all'interno del contratto di Governo, provando a realizzare quegli obiettivi che lo stesso Ministro Savona ha definito come un vero e proprio new deal. Solo in questo modo riusciremo a superare questo dislivello, dando all'Italia infrastrutture, servizi sanitari, istruzione, università e centri di ricerca degni del nostro Paese, facendolo ritornare nuovamente tra le grandi potenze mondiali e liberandolo, così, dal ricatto dello spread (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la collega Giuseppina Occhionero. Ne ha facoltà.

GIUSEPPINA OCCHIONERO (LEU). Grazie signor Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, membri del Governo, che esista una questione meridionale, nel senso politico ed economico del termine, credo sia fuori da ogni discussione. E c'è un grande divario tra il nord e il sud della nostra penisola nel campo delle attività umane e nella produzione, sia sotto forma di genere, che di quantità di misura. E questo, se si pensa a quanto stretti sono i legami tra il benessere di un popolo e la sua anima, ci porta inevitabilmente a percepire una sproporzione tra nord e sud e una profonda diversità tra nord e sud anche in termini di abitudini, di tradizioni e di tutto quello che è il mondo intellettuale e morale. Insomma, abbiamo davanti a noi, signor Presidente, soprattutto noi che giungiamo dal sud, in particolare io che provengo dal mio piccolo Molise, terra ahimè martoriata in tanti, troppi settori, ci ritroviamo, di fronte a noi, una fotografia drammatica, rispetto alla quale non possiamo rimanere né silenti e né inerti.

Quello che a scuola abbiamo imparato a trattare nei temi di italiano, ossia la questione meridionale, è diventata negli ultimi tempi davvero un problema spinoso delle pubbliche amministrazioni, sia a livello locale, che regionale, che nazionale. E allora, l'ha detto prima il collega Conte, assistiamo ogni giorno ad uno spopolamento dai contorni sempre più spropositati, che riguarda il sud e che vede quasi 2 milioni di giovani andare verso il nord o altrove.

Questo mi fa pensare che è come se assistessimo alla cancellazione dalla cartina geografica di una città metropolitana grande quanto Milano. E' inaccettabile per noi, soprattutto per noi che veniamo e proveniamo e amiamo il nostro sud.

E allora tutti gli indicatori sociali ed economici ci rappresentano, in maniera schietta e ineludibile, una situazione del Mezzogiorno di grave e profonda arretratezza, sia economica che sociale. Dal 2008, la crisi ha acuito queste profonde differenze fra nord e sud e abbiamo assistito a diverse aree dell'Italia meridionale sistemarsi con dei minimi standard, in termini di livello di vita economica e sociale, troppo al di sotto di un valore accettabile per noi.

In questo quadro, le misure messe in atto dal Governo sono poche, forse sono più chiacchierate che effettivamente realizzate, e sono sproporzionate e inadeguate, soprattutto se si pensa al reddito di cittadinanza, tanto sbandierato da questo Governo come misura pronta ad indirizzarsi verso il sud nella risoluzione del grave problema della disoccupazione. Per noi, forse, il reddito di cittadinanza è semplicemente un'inadeguata mancia, una misura caritatevole e assistenziale, che, anziché lenire le profonde differenze e il disvalore che c'è tra il nord e il sud, non fa altro che diventare appannaggio di quei pochi furbi, o forse non pochi, e non di coloro che sono realmente i bisognosi di una misura integrativa economica, ma non così inadeguata come quella del reddito di cittadinanza.

Purtroppo, signor Presidente, il dramma è costituito dal fatto che i giovani ci hanno creduto, in questa ancora di salvataggio, e ci hanno creduto soprattutto i giovani del sud, la risposta elettorale lo ha dimostrato, è stata molto positiva. Ma cosa racconterete a questi giovani, quando magari fra due anni si renderanno conto che nel sud non ci sono più aziende, non c'è più produzione, che la sanità non funziona, con il costo del denaro praticamente prossimo allo strozzinaggio, cosa racconterete a questi giovani quando vedranno che al nord il costo del denaro è più basso, che al nord la sanità funziona, che al nord sono garantiti i servizi minimi essenziali a prescindere dall'appartenenza alle fasce di reddito, cosa racconteremo ai nostri giovani e come giustificherete, voi, Governo che in realtà nulla è cambiato, o meglio, qualcosa forse è sicuramente peggiorato in termini di investimenti nel sud da parte di aziende, da parte di giovani che non riusciranno a trovare questo fantomatico lavoro.

E allora noi pensiamo questo: è necessaria un'azione decisiva, forte, imponente, da parte di questo Governo, perché, altrimenti, lo scenario del Mezzogiorno sarà sempre più drammatico e per noi imbarazzante.

Abbiamo assistito, in questi mesi, al tour della Ministra Lezzi nelle aree del Mezzogiorno: la Ministra suggeriva alle amministrazioni locali di utilizzare i fondi provenienti da Bruxelles e a realizzare progetti per invogliare i nostri giovani a rimanere nel sud. Sì, certo, lodevoli le intenzioni, ma poi nella pratica quali sono gli atti concreti che il Governo intende mettere in atto? Quali? A noi sembra che non ce ne siano, che non ci siano misure di investimento in piani occupazionali, che possano rilanciare il nostro Meridione e porlo al centro del Mediterraneo, così come la storia rivendica.

E allora di ben altre misure abbiamo bisogno noi del sud e soprattutto avremmo bisogno di riaffermare i concetti di cittadinanza e di legalità. Ma io mi chiedo: come facciamo ad aspettarci risposte in termini di legalità da un Governo che si è affrettato a riproporre la triste politica dei condoni edilizi e fiscali? Io non lo so, ma siamo molto preoccupati.

E per questo, consapevoli di questa drammatica fotografia e nel nostro spirito di gruppo politico che non si limita a declamare i problemi, ma che cerca tutti i giorni con fatica e impegno a porre una soluzione a questi annosi problemi, abbiamo portato all'attenzione di quest'Aula la mozione Conte, attraverso la quale noi pensiamo che sia necessario mettere in campo un'azione più decisiva anche da parte dell'Unione europea. E anche qui mi chiedo come sia possibile che questo Governo, che è così generoso ad aprire contenziosi con Bruxelles, non abbia portato sul tavolo dell'Unione europea i problemi legati al nostro Mezzogiorno.

Come mai questo contenzioso non interessa al nostro Governo? Eppure, il nostro Sud continua a subire le negatività delle politiche irrazionali di austerità che hanno smorzato ogni forza di investimento e spento ogni barlume di ripresa economica del nostro Sud. Certo, alcune volte le amministrazioni del Sud hanno trovato dei grossi limiti nell'utilizzo dei fondi strutturali, ed è per questo, proprio per evitare il blocco di tali iniziative economiche, che puntano sulla crescita e sullo sviluppo, che noi abbiamo pensato che, attraverso la nostra mozione, si possa guidare il Governo attraverso azioni pratiche, quali, ad esempio, la costituzione presso la Cassa depositi e prestiti di un fondo in cui far convogliare le risorse europee integrate anche dalle spese di compartecipazione dello Stato, e che le regioni possano, in questo modo, destinare ai comuni e agli enti locali le risorse attraverso piani di investimento.

E, allora, le iniziative che abbiamo voluto indicare attraverso questa mozione vogliono porre un freno alla deriva che ogni giorno vede il Meridione allontanarsi dal nostro Paese Italia e che lo confina in una posizione sempre più relegata di intollerante e insopportabile arretratezza, sia in termini di qualità dei servizi che di istruzione che di occupazione, ma anche di aspettative di vita, già troppo inferiori rispetto a quelle del Nord.

E, allora, chiediamo anche per questo che si adottino iniziative normative volte a presentare in allegato al DEF un monitoraggio di tutte le ricadute nel Mezzogiorno che hanno i provvedimenti, soprattutto quelli agevolativi, di fiscalità agevolata del Nord, proprio per vedere se è possibile attuare dei piani che consentano di riallineare gli standard del Meridione a quelli della media nazionale. Quello che ci preoccupa è assistere a forme di autonomia da parte dei governi del Nord che pretendono di avere autorità e potere in spregio a quello che è, poi, il fondamento del nostro sistema democratico, il riequilibrio delle risorse e il criterio di proporzionalità all'interno del Paese. E, allora, noi non vogliamo e chiediamo al Governo che non si presti a trasferire alle regioni, a nessuna regione, poteri e forza finché i livelli essenziali anche del Sud, in termini di diritti civili e sociali, non siano garantiti, così come statuito dalla nostra Costituzione.

Sono diversi gli impegni che con questa mozione noi vorremmo che il Governo assumesse; in particolare, puntiamo sull'istruzione, sull'università, perché riteniamo che, attraverso un piano che voglia portare sviluppo alla cultura, si possa rilanciare il nostro Meridione. Noi pensiamo che il Meridione sia una terra ricca di patrimonio, di bellezza, di talenti, che deve essere sfruttata e deve essere portata al centro del Mediterraneo, al centro dell'Europa, perché senza Meridione non c'è Europa e non c'è futuro.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Bucalo. Ne ha facoltà.

CARMELA BUCALO (FDI). Grazie, Presidente. Negli ultimi venti anni il divario nel PIL pro capite tra il Sud Italia e le regioni del Nord-Ovest e del Nord-Est si è ampliato. Secondo dati Eurostat 2018, la Sicilia e la Calabria sono le regioni con più inoccupati dell'intera Europa. Gli standard occupazionali siciliani sono alla pari o, addirittura, sono sotto il livello delle regioni nordafricane. Dati drammatici, che servono a farci riflettere e, soprattutto, a incentivare le politiche destinate al Sud, poiché in questi anni il costo più alto lo hanno pagato e ancora continuano a pagarlo le nuove generazioni. Un Sud che si trova in una posizione geograficamente privilegiata, ma poco sfruttata. In un'epoca di globalizzazione, la politica economica italiana ha trasformato il Meridione da preziosa risorsa in una terra che non produce, pregiudicando, quindi, il suo già precario tessuto economico; e, a oggi, ha perso già quasi un terzo della capacità produttiva.

La Sicilia da sempre è stata una piattaforma al centro dei traffici del Mediterraneo, ma la mancanza di infrastrutture le impedisce di intercettare i grandi flussi commerciali, che crescono in maniera esponenziale. Politicamente, avere puntato tutto sui porti più lontani dai flussi mercantili è stato un errore clamoroso: si sarebbero dovuti attrezzare anche gli scali geograficamente meglio posizionati, e sto parlando di Augusta, Gioia Tauro e Taranto, proprio per captare parte di quella ricchezza che va a depositarsi sulle coste del Mare del Nord o sulle coste spagnole o greche. Ultimamente, però, qualcosa sta cambiando: il bacino produttivo del centro Europa inizia a guardare i porti del Sud Italia, proprio perché questi consentono un risparmio almeno di 7 o 8 giorni di navigazione. Quindi, potenzialmente sono più competitivi di quelli nord-europei sulle rotte che vanno verso l'Asia. Un vantaggio, sì, però che deve essere sfruttato, e sfruttato subito, poiché i Paesi che controllano l'Unione Europea, e sto parlando della Germania, sto parlando dell'Olanda, del Belgio, della Francia, non vedono di buon occhio uno sviluppo dei porti dell'Italia meridionale, in quanto ciò metterebbe a rischio gli enormi interessi legati a una catena di fornitura diventata ormai parte integrante della filiera dell'industria manifatturiera.

La situazione economica e sociale del Meridione è tale da richiedere provvedimenti immediati, e non una politica pitocca del tozzo di pane; iniziative di natura strutturale, a medio e lungo termine, coerenti con una visione strategica, in grado di trasformare finalmente il Sud in una componente organica, e non surrogale dello sviluppo del Paese. E allora cosa bisogna fare? Modificare il piano strategico della portualità, che è limitata, soprattutto ai porti del Sud, a puro trasbordo da nave a nave; attrezzare i porti e i retroporti del Meridione, favorendo l'intermodalità, perché i grandi investitori internazionali parlano di porti, ma solo se sono collegati alle grandi arterie di comunicazione. E, infine, realizzare la rete ferroviaria: parlo dell'alta velocità, dell'alta capacità.

E infine - chiudo, signor Presidente - incoraggiare gli scambi con l'Africa, continente ricchissimo e in una fase di grande esponenzialità, ed è distante dalla Sicilia solo 140 chilometri. Chiudo veramente nel dire: da sempre le infrastrutture sono la colonna portante di un Paese: Strade, aeroporti e porti determinano maggiore efficienza e diventano motori di produttività; quindi, non c'è sviluppo senza infrastrutture (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Losacco. Ne ha facoltà.

ALBERTO LOSACCO (PD). Presidente, lo diceva poco fa anche il collega della Lega: il Mezzogiorno è l'area del Paese che più ha determinato l'esito elettorale alle politiche del 4 marzo; oltre un elettore su due ha, di fatto, votato per le forze politiche che sostengono questo Governo. E, a distanza di otto mesi, è tempo di primi bilanci sul lavoro dell'Esecutivo per quest'area che ha tributato un così grande consenso. Senza dubbio le speranze e le attese suscitate da quel voto hanno posto l'asticella delle aspettative molto in alto. Alla prova dei fatti, vediamo che anche lo spread, tra promesse e risultati, segna una forbice enorme, grande quasi quanto quella sui nostri titoli di Stato, purtroppo.

Del resto, era chiaro sin dall'inizio, con l'assenza della parola “Mezzogiorno” dalla prima stesura del cosiddetto contratto di Governo, e poi con il pessimo rimedio, con quel capitolo numero 25, che invito davvero a leggere, perché rappresenta la premessa di tutto ciò che stiamo vedendo in questi giorni. Il Pd e i Governi a guida PD possono avere commesso tanti errori, ma una cosa, per onestà intellettuale, non può essergli contestata, ed è quella di avere iniziato a restituire centralità alla questione meridionale.

Il Masterplan, i Patti per il Sud, le ZES, le misure come “Resto al Sud”, la decontribuzione, il credito d'imposta hanno fatto sì che il Sud nel 2016, dopo ben sette anni, iniziasse a risalire la china. Sapevamo che c'era e c'è tanta strada da recuperare, sappiamo delle difficoltà sociali che ci sono, ma il Mezzogiorno non è solo numeri e questione economica: è una questione ben più complessa che investe molti aspetti, alcuni delicati anche sotto il profilo della democrazia.

E al Sud stiamo vedendo cadere come birilli le promesse fatte in campagna elettorale. “Ilva, la chiuderemo”, avevano detto e, mangiandosi la faccia, questo Governo ha invece seguito la strada dei Governi precedenti e l'ha tenuta aperta; “I lavori della TAP saranno stoppati e cancellati per sempre in quindici giorni” è stato sentenziato in campagna elettorale, ma ne sono trascorsi 240 e anche questo Governo si appresta a tenere fede agli accordi internazionali, fortunatamente; sul petrolio lucano si mantiene l'ambiguità, perché consapevoli che le promesse sulle quali si è consolidato il consenso sono impossibili da mantenere. E il silenzio sulla Xylella? Si può davvero non affrontare un tema così drammatico?

Inoltre, le categorie che più soffrono l'assenza occupazionale nel Mezzogiorno sono i giovani e le donne. Ebbene, la manovra di bilancio che questo Governo si appresta a varare dimentica completamente queste ultime; non ci sono le donne, se non attraverso la conferma dell'opzione donna introdotta dai nostri Governi, ma fortemente penalizzata da una quota 100 che riguarderà al 78 per cento gli uomini. Mancano misure per colmare il gap di genere nel mondo del lavoro che nel Mezzogiorno raggiunge numeri tra i peggiori d'Europa; mancano misure concrete per l'occupazione giovanile come, ad esempio, l'abbattimento del cuneo fiscale per le neoassunzioni a tempo indeterminato.

Sulla sanità è stato confermato il superticket, che grava soprattutto sulle regioni meridionali, il cui superamento era stato annunciato in pompa magna appena un mese fa dalla Ministra Grillo. Inoltre, l'impegno ad eliminare il numero chiuso nelle facoltà di medicina senza un adeguato sostegno alle facoltà avrà ripercussioni gravi, in particolare sulla didattica e sulla qualità complessiva dei laureati degli atenei del sud dove maggiormente si profila l'aumento degli iscritti.

E meno male che c'è stata la protesta dei sindaci guidati da Antonio Decaro, altrimenti avremmo assistito allo scippo totale dei fondi per le periferie, quelli che, con una partita di giro, si volevano ricollocare a favore delle regioni settentrionali.

La verità è che, in un pericoloso gioco d'azzardo, si sta puntando tutto sul reddito di cittadinanza, come se quella fosse l'unica politica possibile per il Mezzogiorno e in nome di questo alla Lega viene lasciata la libertà di fare ciò che vuole.

Leggeremo come sarà scritta questa norma, ma sapete già che, per le condizioni del Mezzogiorno e per come si articola la povertà, il modello che si sta raccontando rischia solo di determinare un inefficace dispendio di denaro pubblico, perché la povertà non è mai un fatto solo economico: è una condizione sociale ed è anche una povertà nelle relazioni, che richiede un complesso dispositivo di intervento.

Nel frattempo, cosa si intende fare con le ZES e con le zone retroportuali? Ci sono già i progetti sul tavolo? E cosa pensa di fare il Governo per la cultura? Matera 2019 è alle porte. Oltre alle passerelle, cosa l'Esecutivo sta portando ad un evento che deve essere di portata internazionale? Si sosterrà la promozione della lettura e una campagna di alfabetizzazione digitale? E, da barese, chiedo: il Governo ha un'idea sul futuro della Fiera del Levante o si aspetta la vetrina con la prossima inaugurazione?

Sulle infrastrutture, mi chiedo: l'alta velocità arriverà a Reggio? La superstrada n. 106, la Jonica, sarà ammodernata usando i soldi già stanziati? Sul dissesto idrogeologico, che fine faranno i progetti di “Italia Sicura”? E sulla legalità? Dopo il sondaggio di Libera o il video inquietante che girava sui social di quel preadolescente barese che si fa chiamare Giovanni Malavita, questo Governo pensa ancora che sia utile e sufficiente fare una passeggiata a Bari con un Ministro che indossa la felpa della polizia? Si crede davvero che, al di là delle questioni che andrà a verificare la magistratura, si possa smontare un modello come quello di Riace senza per questo fare un favore a tutti quelli che si arricchiscono attraverso lo sfruttamento della disperazione?

A settembre, il Ministro Di Maio è stato a Foggia per parlare di caporalato; quali misure sono state messe in campo per contrastare un fenomeno che colpisce soprattutto il Sud e che riflette un sistema agricolo che, assieme a tante eccellenze, si basa su un modello produttivo arcaico, che compete al ribasso sul prezzo del prodotto e non sulla qualità dei prodotti?

In questi otto mesi, il silenzio è stato imbarazzante e gli atti che sono stati posti in essere sono imbarazzanti ancora di più.

Potete anche bocciare le nostre mozioni, ma quel voto non riuscirà a nascondere la vostra irresponsabilità verso questa parte del Paese che ha riposto grande fiducia, una fiducia che, giorno dopo giorno, questo Governo tradisce sempre di più (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la collega Ylenja Lucaselli. Ne ha facoltà.

YLENJA LUCASELLI (FDI). Presidente, grazie. Io comincio dalla definizione di “questione meridionale”, perché la locuzione, che indica nella storiografia italiana la situazione di difficoltà del Mezzogiorno d'Italia rispetto ad altre regioni, ha una storia molto lunga. Nasce, come diceva la mia collega, nel 1873 e, ad oggi, non è stata ancora risolta e, quindi, questo dovrebbe farci pensare che probabilmente in questa storia, nella storia d'Italia, nella storia che nasce nel momento in cui l'Italia viene unita, non c'è stata, in realtà, la capacità di risolvere la questione meridionale.

Oggi, è diventato un luogo comune, è una frase fatta, una frase comune per quella parte di politica che non si preoccupa di trovare la soluzione, come se fosse, quella della questione meridionale, quella del Sud, una condizione voluta dal destino e alla quale ci si può semplicemente arrendere.

E chi, però, da quei territori viene sa bene che, quando si parla di Sud, non si parla di Sud in generale. Il Sud non è un'unica entità; il Sud sono tante regioni con le loro specificità e con le loro diversità, diversità che vanno affrontate in maniera capillare ma soprattutto in maniera diversa, perché non c'è un'unica questione meridionale. C'è, come hanno detto molti colleghi, una questione nazionale, perché se il Sud fallisce, se le regioni del Sud falliscono, allora fallisce tutta l'Italia perché la questione meridionale è la questione italiana.

Quindi, io partirei da questo, partirei dalla consapevolezza che ogni regione ha dei suoi problemi e che ognuno di quei problemi va affrontato in maniera diversa. È per ciò che questo Governo ha immaginato di avere un Ministro e un Ministero per il Sud. Eppure, pur avendo il Ministro e il Ministero per il Sud, di fatto le questioni non vengono affrontate e non si parla di quelle che possono essere le vere soluzioni alle condizioni.

E, allora, per una volta, mentre abbiamo sentito sciorinare dati assolutamente negativi, a me piace, invece, evidenziare quelli positivi, perché io sono pugliese e, quindi, mi viene facile parlare della mia Puglia, della mia regione.

Il Sud ha una vocazione e penso alla Puglia e la Puglia ha una vocazione, che è indubbiamente quella turistica. Dunque, mentre in Italia si accorpano Ministeri come quelli dell'agricoltura e del turismo, posizione che Fratelli d'Italia non ha assolutamente condiviso, in realtà invece la Puglia cresce e aumenta le presenze turistiche nei suoi territori e nei suoi stabilimenti del 75 per cento. E, allora, penso che magari potrebbe essere questo un motivo di orgoglio e, quindi, un punto sul quale focalizzare la propria attenzione.

Ora, è chiaro che i problemi del Sud ci sono e sono reali. È inutile mettersi la benda davanti agli occhi: abbiamo necessita di infrastrutture, abbiamo bisogno di una nuova sanità, di un ridisegno di quella sanità, abbiamo bisogno di rivedere le nostre scuole, abbiamo bisogno di riportare la cultura della Magna Grecia lì dove quella cultura è nata e si è sviluppata. E, però, questo è solo l'inizio, perché noi abbiamo bisogno di avere un'idea.

E, allora, se è vero come è vero che la questione meridionale è rimasta assolutamente identica a se stessa in tutta la storia d'Italia, allora forse oggi dovremmo poter immaginare e dovremmo avere la capacità di immaginare qualcosa di nuovo e di diverso, dovremmo cambiare rotta, dovremmo pensare in un modo diverso, dovremmo avere la forza di cambiare le nostre idee e di non immaginare più soltanto il Meridione come un problema da risolvere e da affrontare – e, probabilmente, alle volte, anche da dimenticare - ma dovremmo invece considerarlo come un'opportunità; e, fino a quando non ci sarà la capacità, la voglia e la forza di modificare quella visione che si ha del sud del nostro Paese, che si ha delle regioni che sono al sud dell'Italia, allora, fino a quando non si avrà quella capacità, in realtà il problema non verrà risolto.

Il Sud deve necessariamente essere considerato come una risorsa: non può essere considerato come nulla di diverso.

Allora, vedete, l'idea di Fratelli d'Italia è stata quella di presentare una mozione nella quale si mettono in evidenza tutti i problemi, ma si mettono in evidenza anche tutte le possibili risorse e le possibili risposte che si possono dare. È un articolato molto complesso perché si passa dalle – e ho quasi concluso – questioni fiscali, alle questioni culturali, alle questioni della sanità. Tutto questo, però, passa da un unico comun denominatore – e con questo concludo, Presidente – che quando parliamo di Sud, stiamo parlando non soltanto di un'area geografica ma di persone e, quando si parla di persone, dobbiamo inevitabilmente sapere che parliamo di capacità e di possibilità di rinnovarsi e rinascere (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. Non essendovi altri iscritti a parlare, dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

Prendo atto che il Governo si riserva di intervenire in sede di replica.

Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione della proposta di legge: Molteni ed altri: Inapplicabilità del giudizio abbreviato ai delitti puniti con la pena dell'ergastolo (A.C. 392-A); e dell'abbinata proposta di legge: Morani (A.C. 460) (ore 16,45).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge n. 392-A: Inapplicabilità del giudizio abbreviato ai delitti puniti con la pena dell'ergastolo; e dell'abbinata proposta di legge: n. 460.

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta del 19 ottobre 2018 (Vedi l'allegato A della seduta del 19 ottobre 2018).

(Discussione sulle linee generali – A.C. 392-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Avverto che il presidente del gruppo parlamentare Forza Italia ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.

Avverto, altresì, che la II Commissione (Giustizia) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire la relatrice, deputata Anna Rita Tateo.

ANNA RITA TATEO, Relatrice. Grazie, Presidente. La presente proposta di legge, nel novellare alcune disposizioni del codice di procedura penale, mira a rendere inapplicabile il rito abbreviato ai delitti puniti con la pena dell'ergastolo, con conseguente inapplicabilità dello sconto di pena connesso a tale rito. Per questi delitti, infatti, che creano un grave allarme sociale – si pensi, ad esempio, alla devastazione, alla strage, all'ipotesi di omicidio aggravato o di sequestro di persona aggravato – non sembra giustificabile, da parte del legislatore, la scelta di consentire all'imputato il ricorso al rito abbreviato in ragione di esigenze puramente deflattive, avendo, in più di un'occasione, destato sconcerto nell'opinione pubblica l'applicazione di pene notevolmente ridotte rispetto a quelle previste dal codice penale.

Nell'ambito della giustizia penale differenziata, il giudizio abbreviato, disciplinato dagli articoli da 438 a 443 del codice di procedura penale, si inserisce nel solco dei procedimenti speciali deflattivi del dibattimento, in virtù del quale il processo viene definito in sede di udienza preliminare con decisione assunta allo stato degli atti delle indagini preliminari, che hanno qui piena valenza probatoria. È un giudizio di tipo volontario, presupponendo una richiesta da parte dell'imputato. Infatti, allo stesso è riconosciuto un vero e proprio diritto a rinunciare al contraddittorio per la prova, in cambio di un apprezzabile effetto premiale in caso di condanna. La premialità consiste nel fatto che se l'imputato viene condannato, si opera una riduzione della pena nella misura di un terzo per i delitti e, invece, della metà per le contravvenzioni.

Con la proposta di legge in esame si intende, di fatto, ritornare alle origini del rito abbreviato, ove non era consentito l'accesso al rito in questione a quei procedimenti relativi a delitti per i quali era prevista la pena dell'ergastolo. Sicuramente, la questione relativa al rapporto tra giudizio abbreviato e reati puniti con la pena dell'ergastolo è stata oggetto di ampio dibattito. Ricordo la legge 16 febbraio 1987, n. 81, la quale prevedeva, con eccesso di delega da parte del legislatore, che in caso di condanna alla pena dell'ergastolo, questa veniva sostituita con la pena di reclusione di anni trenta. Tale questione veniva affrontata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 176 del 1991 che, nel pronunciarsi sulla disposizione originaria, di cui all'articolo 442, comma 2, del codice di procedura penale, aveva dichiarato l'illegittimità della norma nella parte in cui individuava in modo fisso, vale a dire in trent'anni di reclusione, la pena da sostituire all'ergastolo. In particolare, la Corte affermava che, una volta riconosciuta la commistione tra giudizio abbreviato e diminuzione della pena e, quindi, l'impraticabilità del primo in mancanza della possibilità di operare la seconda, il venir meno di quest'ultima per effetto della dichiarazione di illegittimità costituzionale, rende di per sé inapplicabile il giudizio abbreviato quale disciplinato dagli articoli da 438 a 443 del codice di procedura penale, ai processi concernenti delitti punibili con l'ergastolo. Successivamente, solo con le modifiche introdotte dalla legge n. 479 del 1999, la cosiddetta legge Carotti, è stata ripristinata la possibilità di applicare il rito abbreviato anche ai delitti puniti con la pena perpetua, concedendo uno sconto di pena così consistente, a prescindere dalla gravità della condotta.

Entrando, ora, nel dettaglio della proposta di legge, così come modificata dalla Commissione di merito, osservo che il testo si compone di cinque articoli, attraverso i quali si modificano gli articoli 429, 438, 441-bis e 442 del codice di procedura penale.

L'articolo 1 modifica l'articolo 438 del codice di procedura penale, prevedendo l'introduzione di un comma-bis, ossia non è ammesso il giudizio abbreviato per i delitti per i quali la legge prevede la pena dell'ergastolo; prevede la riformulazione del comma 6, per cui, in caso di inammissibilità della richiesta di rito abbreviato, ai sensi del comma 1-bis o rigetto, ai sensi del comma 5, l'imputato può riproporre la richiesta fino a che non siano formulate le conclusioni nel corso dell'udienza preliminare; prevede anche l'introduzione di un ulteriore comma, 6-ter, ossia, in caso di inammissibilità della richiesta di rito abbreviato dichiarata in udienza preliminare, ai sensi del comma 1-bis, il giudice, all'esito del dibattimento, se ritiene che il fatto accertato non è punibile con l'ergastolo, applica la riduzione di pena connessa al negato rito speciale. In questo modo il provvedimento in esame recepisce la pronuncia della Corte costituzionale che, con la sentenza n. 23 del 1992, ha affermato che quando l'accesso al rito abbreviato sia stato ingiustamente negato, comunque il condannato ha diritto alla riduzione di pena prevista dall'articolo 442, secondo comma.

L'articolo 2, invece, modifica l'articolo 441-bis del codice di procedura penale, che disciplina ipotesi di nuove contestazioni del pubblico ministero nel corso del giudizio abbreviato. Il provvedimento, avendo inserito un comma 1-bis, specifica che se le nuove contestazioni del pubblico ministero riguardano un delitto punito con l'ergastolo, il giudice revoca l'ordinanza con cui è stato disposto il rito abbreviato e il procedimento penale prosegue nelle forme ordinarie.

L'articolo 3 interviene, anche con finalità di coordinamento, sull'articolo 442, comma 2, del codice di procedura penale, relativo all'entità della pena applicabile in caso di giudizio abbreviato conclusosi con sentenza di condanna. La riforma elimina le attuali previsioni sulla trasformazione, rispettivamente della pena dell'ergastolo, in reclusione di anni trenta, e della pena dell'ergastolo con isolamento diurno in ergastolo, stante l'esclusione del rito speciale per i reati puniti con tale pena. L'articolo 4 modifica l'articolo 429 del codice di procedura penale. Nel decreto che dispone il giudizio, infatti, è inserito un comma 2-bis. Il provvedimento prevede che se all'esito dell'udienza preliminare l'originaria imputazione per delitto punito con l'ergastolo viene derubricata dal GUP con il decreto di rinvio a giudizio, lo stesso giudice deve avvisare l'imputato della possibilità di richiedere, entro 15 giorni, il rito abbreviato. Il rito si svolgerà, in base al richiamato articolo 458 del codice di procedura penale, in camera di consiglio, dinanzi allo stesso giudice dell'udienza preliminare.

Infine, l'ultimo articolo, il n. 5, della proposta di legge, prevede l'entrata in vigore della riforma il giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale e la sua applicabilità ai fatti commessi successivamente a tale entrata in vigore.

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo.

JACOPO MORRONE, Sottosegretario di Stato per la Giustizia. Mi riservo di intervenire dopo.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Valentina D'Orso. Ne ha facoltà.

VALENTINA D'ORSO (M5S). Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, la proposta di legge a prima firma Molteni ed altri, abbinata alla proposta a prima firma Morani ed altri, oggi all'esame dell'Assemblea, attraverso una novella del codice di procedura penale mira a rendere inapplicabile il rito abbreviato ai delitti per i quali la legge prevede la pena dell'ergastolo. L'articolo 438 del codice di procedura penale prevede infatti che l'imputato possa chiedere che il processo sia definito all'udienza preliminare allo stato degli atti. L'articolo 442 del codice di procedura penale, al comma 2, specifica che, in caso di condanna, alla pena dell'ergastolo è sostituita quella della reclusione di anni 30 e, alla pena dell'ergastolo con isolamento diurno, è sostituita la pena dell'ergastolo.

La questione del rapporto tra giudizio abbreviato e reati puniti con la pena dell'ergastolo ha dato da sempre adito ad un ampio dibattito, non solo nelle Aule parlamentari, sin dalla redazione del codice di rito approvato nel 1988 ed entrato in vigore nel 1989. Per poter meglio comprendere la ratio della riforma che oggi esamineremo e discuteremo, occorre ripercorrere le tappe più significative di questo dibattito ed illustrarne le ragioni.

La disposizione originaria dell'articolo 442, comma 2, del codice di procedura penale - lo abbiamo già detto - individuava in modo fisso in 30 anni di reclusione la pena da sostituire all'ergastolo. Tuttavia, come sin da subito rilevato dalla Corte costituzionale, investita della questione già nel maggio del 1990 e dunque proprio all'indomani delle prime applicazioni di quella norma, con la sentenza n. 176 del 1991, la suddetta previsione doveva essere censurata sotto il profilo dell'illegittimità costituzionale per eccesso di delega, in quanto la legge delega n. 81 del 1987 per l'adozione del codice di rito del 1989 era formulata in modo chiaro, nel senso di far ritenere che la previsione del giudizio abbreviato riguardasse solo i reati punibili con pene detentive temporanee o pecuniarie, essendo la diminuzione di un terzo concepibile solo se riferita a reati punibili con una pena quantitativamente determinata, e non quindi reati punibili con l'ergastolo. Inoltre, così si esprimeva sempre la Corte Costituzionale in quella sede: “Se il legislatore delegante avesse inteso estendere il giudizio abbreviato anche ai delitti punibili con l'ergastolo, avrebbe dovuto espressamente indicare il criterio sulla base del quale operare la sostituzione della pena”. La Corte dichiarava così l'illegittimità costituzionale della norma, sottolineando, al contempo, che una volta riconosciuta la connessione tra giudizio abbreviato e diminuzione della pena, e quindi l'impraticabilità del primo in mancanza della possibilità di operare la seconda, la riduzione, il venir meno di quest'ultima, per effetto della dichiarazione di illegittimità costituzionale, rende di per sé inapplicabile il giudizio abbreviato quale disciplinato dagli articoli da 438 a 443 del codice di procedura penale ai processi concernenti i delitti punibili con l'ergastolo.

Ciò a dimostrazione che, stante l'attuale configurazione del nostro sistema giudiziario penale e processuale, già allora il giudice di legittimità si poneva il problema dell'inapplicabilità del giudizio abbreviato ai delitti puniti con la pena dell'ergastolo. Tanto più che la finalità che il legislatore intendeva perseguire espressamente con l'introduzione di tale rito era quella deflattiva.

Nella relazione al progetto preliminare, nell'introduzione al Libro VI, nel presentare i procedimenti speciali, si sottolineava come fosse diffuso il convincimento che ad essi è affidata in gran parte la possibilità di funzionamento del procedimento ordinario, che prevede meccanismi di formazione della prova particolarmente garantiti, e quindi non suscettibili di applicazione generalizzata, per evidenti ragioni di economia processuale; e come in tale ottica, soprattutto al rito abbreviato, fosse affidata la funzione di evitare il passaggio alla fase dibattimentale di un gran numero di procedimenti, secondo uno schema di deflazione comune a tutti i sistemi processuali che si ispirano al modello accusatorio. Non possiamo tacere le perplessità manifestate persino dal senatore Vassalli nell'intervento in Aula il 19 novembre del 1986, quando così affermava: “Ho qualche intima riserva sul fatto che in questo caso si dia al condannato il premio della riduzione di un terzo della pena, solo perché egli consente di procedere al giudizio nell'udienza preliminare”.

Successivamente, fu solo con la legge n. 479 del 1999, cosiddetta legge Carotti, che venne ripristinata la possibilità del ricorso al rito abbreviato anche con riferimento ai reati punibili con la pena dell'ergastolo, senza prevedere, peraltro, come il giudice dovesse ridurre, in applicazione della diminuente premiale, la pena dell'ergastolo quando questa forse inflitta cumulativamente all'isolamento diurno.

Sono dunque intervenuti su tale materia gli articoli 7 e 8 del decreto-legge n. 341 del 2000, stabilendo che quando il reato cui si riferisca il rito abbreviato è punibile con il solo ergastolo, viene comminata la pena della reclusione ad anni 30, mentre nel caso in cui sia prevista la pena dell'ergastolo con isolamento diurno il beneficio sanzionatorio conseguente alla scelta del giudizio abbreviato si concretizza nella comminatoria del solo ergastolo.

Attualmente non vi sono reati per i quali è precluso l'accesso al rito abbreviato. Dunque, dopo le modifiche apportate dalla cosiddetta legge Carotti, il giudizio abbreviato può essere chiesto anche per i delitti più gravi puniti con la pena dell'ergastolo, con la conseguenza che, in virtù di una mera scelta processuale insindacabile dalle altre parti, la pena in genere è automaticamente ridotta o sostituita. Rispetto al testo originario del codice del 1988, inoltre, il giudizio abbreviato ha subito modifiche molto rilevanti, che ne hanno definitivamente compromesso il già precario equilibrio e accentuato tutte le contraddizioni. Nel 1988 l'istituto si poneva come alternativa al dibattimento, ma la sua adozione necessitava del consenso del pubblico ministero. Poi, sempre con la legge cosiddetta Carotti - già citata - è stata eliminata la necessità del consenso del pubblico ministero, ed è stato strutturato il giudizio abbreviato come una modalità semplificata di svolgimento del dibattimento all'interno dell'udienza preliminare, attribuendo al giudice un limitato potere d'integrazione probatoria. Inoltre, a differenza di quanto avviene nel cosiddetto patteggiamento, la parte civile, allo stato attuale, non gode di alcun diritto alla prova. Si è, in altre parole, accentuato, con l'introduzione di tale automatismo, il carattere premiale dell'istituto a discapito di qualsiasi bilanciamento rispettoso della funzione general-preventiva della pena.

Con la disciplina in vigore è venuto a scomparire qualsiasi limite di natura oggettiva per l'applicabilità di questo rito speciale ed abbiamo così assistito inermi alla definizione anticipata e premiale anche di processi aventi ad oggetto imputazioni per reati molto gravi e crimini efferati, alcuni dei quali hanno avuto anche una certa risonanza mediatica, suscitando sdegno e scalpore tra l'opinione pubblica oltre che tra gli stessi parenti delle vittime.

L'esperienza processuale di questi anni dimostra inoltre come tale giudizio non abbia neppure sortito l'effetto di deflazione sperato, che ne aveva favorito l'introduzione nell'ordinamento. Oggi si ricorre ad esso quando non vi è alcuno spazio difensivo, quando si ritiene che il materiale investigativo raccolto dal pubblico ministero possa offrire addirittura spazi difensivi maggiori di quelli dibattimentali. Se infatti consentire la scelta del giudizio abbreviato risponde, in via generale, ad esigenze deflattive, ciò non sembra accettabile per reati che, in ragione della loro gravità ed efferatezza, il codice penale punisce tanto severamente e che creano un grave allarme sociale nell'opinione pubblica. Inoltre, ciò non pare più ragionevole a fronte di modifiche legislative dirette a garantire, per quanto possibile, la parità tra tutte le parti coinvolte nel processo penale. Mentre con l'avvento delle investigazioni difensive nell'ambito del rito abbreviato si decide oggi sulla base di un fascicolo che non contiene più soltanto gli atti assunti dal pubblico ministero, ma contiene altresì anche le risultanze delle indagini difensive, la parte civile non può fare altro che rimanere invece inerme a guardare.

Anche alla luce di tutte queste considerazioni si è riaccesa l'esigenza, in verità mai sopita del tutto, di rivedere tale istituto processuale, di capire se sia ancora oggi ragionevole, o quantomeno opportuno, uno sconto di pena di siffatta natura senza alcun tipo di valutazione e in spregio del principio di parità delle parti. Non si può infatti continuare a trascurare del tutto il ruolo della persona offesa, della parte civile. Quest'ultima non può diventare un attore non protagonista nel processo penale, proprio in quei processi aventi ad oggetto i delitti più gravi puniti con la pena dell'ergastolo. A poco serve dire - anzi, non è rispettoso per le vittime - che se essa non svolge le proprie difese all'interno del processo penale, ha l'alternativa e può svolgere un processo civile, tra l'altro a proprie spese, perché più grave è il reato commesso, più gravi sono le conseguenze e più alto il costo di un processo civile, oltre la lunghezza dei tempi processuali. Spesso nella grande maggioranza di processi decisi con questo rito, il soggetto autore del reato condannato non risarcisce nulla perché nullatenente, o non risarcisce in misura congrua il danno economico riconosciuto in via provvisionale. Ecco perché tale riforma si pone quale misura necessaria, stante la connotazione dell'attuale ambito processuale italiano, ove è usuale il ricorso a questo rito soprattutto nei casi di evidente e conclamata colpevolezza dell'imputato. Sono poche le assoluzioni con i processi decisi con rito abbreviato, così come si è avuto modo di constatare anche durante l'indagine conoscitiva sull'atto in esame, avvenuta durante i lavori della Commissione di merito.

Bisogna aggiungere altresì che all'interno del nostro ordinamento ci sono già altri due riti alternativi rispetto al processo ordinario, il cosiddetto patteggiamento e il decreto penale di condanna, che comunque comportano una valutazione da parte del pubblico ministero e sono esclusi per determinate tipologie di reato. Non si vede, quindi, per quale ragione non si possa fare altrettanto per il rito abbreviato.

Queste le ragioni per cui, nel corso degli ultimi anni, sono state presentate ed esaminate dal Parlamento diverse proposte di legge, volte a rendere inapplicabile il rito abbreviato ai delitti per i quali la legge prevede la pena dell'ergastolo, soprattutto nelle ultime due legislature.

Nella XVI legislatura, una proposta di legge in tale direzione è stata presentata dai deputati Lussana ed altri (A.C. 668), che è stata approvata alla Camera, con modifiche, nel febbraio 2011. Il testo è stato poi quasi integralmente riscritto dal Senato ed il provvedimento, così modificato, ha interrotto però il proprio iter in Commissione giustizia alla Camera nell'ottobre 2011.

Nella scorsa legislatura, è stata incardinata la proposta di legge A.C. 1129, a firma Molteni ed altri, dal contenuto analogo all'attuale proposta di legge A.C. 392, sempre a firma Molteni, oggi all'esame dell'Assemblea. La proposta, approvata con modifiche dalla Camera il 29 luglio 2015, è stata poi assorbita al Senato dalla riforma del processo penale, approvata con legge n. 103 del 2017. Successivamente, la Camera ha avviato l'esame della proposta di legge Molteni ed altri (A.C. 4386), che riproduceva i contenuti dell'A.S. 2032 e che è stata approvata con modifiche dall'Assemblea il 29 novembre 2017. Il provvedimento non ha però concluso l'iter al Senato.

Così, in data 27 marzo 2018, è stata presentata la proposta di legge, a firma Molteni (A.C. 392), all'esame, seguita da analoga proposta a firma Morani ed altri (A.C. 460) del 3 aprile 2018. L'atto oggi all'esame dell'Aula era nato, dunque, da un'iniziativa della Lega Nord, sulla quale si era svolto un approfondito dibattito, all'esito del quale era stata presentata una nuova formulazione, che ampliava il perimetro dell'intervento normativo originariamente proposto, formulazione condivisa anche dall'allora maggioranza.

In particolare, anche alla luce delle riflessioni di alcuni autorevoli processualisti, si era ritenuto preferibile, sul piano tecnico-giuridico, ritornare alla soluzione adottata dal legislatore in occasione della riforma del nuovo codice di procedura penale del 1989 e che aveva superato il vaglio della Corte costituzionale, proprio con riferimento alla sentenza n. 176 del 1991 già citata.

La presente proposta di legge intende, quindi, stabilire l'impossibilità di ricorrere a tale rito per i delitti più gravi puniti con la pena dell'ergastolo. Si vuol far sì che per certi reati, per cui la legge prevede la pena in astratto appunto dell'ergastolo - si parla di stragi, femminicidi efferati e altri gravi atti che riguardano il terrorismo -, si celebri il processo di fronte al giudice naturale, che è la Corte di Assise, e non dinanzi a un giudice monocratico, con le piene garanzie, sia per l'imputato sia per le persone offese, di partecipare all'accertamento della verità, purché si accertino le responsabilità e venga comminata una pena che sia proporzionata alla gravità del fatto.

Il provvedimento, come modificato dalla Commissione di merito ed oggi all'esame dell'Assemblea, si compone di cinque articoli, attraverso i quali modifica gli articoli 429, 438, 441-bis e 442 del codice di procedura penale.

Non mi soffermerò sulle specifiche disposizioni, ma ritengo che sia degna di attenzione la previsione in forza della quale, in caso di inammissibilità della richiesta di rito abbreviato, dichiarata in udienza preliminare in base al comma 1-bis, il giudice all'esito del dibattimento applica, se ritiene che il fatto accertato non è punibile con l'ergastolo, la riduzione di pena connessa al negato rito speciale (nuovo comma 6-ter). In base al comma 6-ter, occorre dunque, quando all'imputato sia contestato un delitto punito con l'ergastolo, svolgere tutto il dibattimento prima che il giudice possa, in sede di condanna, accertare l'eventuale commissione di un diverso reato e riconoscere lo sconto di pena.

Sull'applicabilità della riduzione di pena all'esito del dibattimento, il provvedimento recepisce, tra l'altro, le pronunce della Corte costituzionale, che, con la sentenza n. 23 del 1992, ha affermato che, quando l'accesso al rito abbreviato sia stato ingiustamente negato, il condannato ha diritto alla riduzione di pena prevista dall'articolo 442, secondo comma. Tale necessario correttivo intende superare l'eventuale erronea valutazione operata dal PM nella fase delle indagini e dell'udienza preliminare, facendo sì che la discrezionalità di quest'ultimo non precluda definitivamente, all'imputato condannato, il beneficio della riduzione della pena.

Dai contenuti della proposta di legge emerge, quindi, che la preclusione dell'accesso al rito abbreviato, per chi ha commesso un delitto punito con la pena dell'ergastolo, non sarebbe assoluta, poiché per l'imputato residuerebbe la facoltà di richiedere il giudizio abbreviato, qualora il giudice dà al fatto una definizione giuridica diversa da quella enunciata nell'imputazione, tale da rendere ammissibile il giudizio abbreviato.

In conclusione, pare necessario evidenziare che il nostro sistema è stato pensato come riabilitativo, contemplando e promuovendo con forza, all'articolo 27, terzo comma, della Costituzione, il principio per cui le pene devono tendere alla rieducazione del condannato.

Ma il principio della rieducazione della pena, in un sistema basato sul principio del giusto processo, di cui all'articolo 111 della Costituzione, si può dire concretamente attuato, se vengono anche fatti valere i principi di parità delle parti, tra cui anche la parte civile, oltre che i principi di certezza della pena e di proporzionalità della condanna alla gravità del fatto di reato.

Il rito abbreviato, nato come misura deflattiva, introdotto per ridurre i carichi pendenti degli uffici giudiziari, è finito invece con l'essere sfruttato, o meglio abusato, per i crimini più gravi contro la persona.

Qui non si vuole demonizzare il rito abbreviato. Si vuole lavorare per migliorarlo e renderlo veramente una misura concretamente funzionante in senso deflattivo, ma al tempo stesso una misura aderente ai princìpi del nostro ordinamento giuridico. Sicché, anche nell'ottica di prevenzione generale, la stessa misura deve servire a distogliere la generalità dei consociati dal compiere fatti socialmente dannosi e, in ottica special-preventiva, deve servire ad evitare che un determinato soggetto compia in futuro altri reati.

Infine, nel rispetto dei principi costituzionali che presiedono al funzionamento del processo penale, tale riforma vuole anche dare una risposta a coloro che sono state vittime di gravissimi fatti di reato e che, per il tramite dei loro familiari rimasti in vita, si ritrovano un sistema giustizia spesso ahimè inefficiente, sia sotto il profilo di una adeguata condanna riparativa sia sotto il profilo di una giusta pena per il reo. Alcuni familiari di vittime, auditi in Commissione, hanno affermato di vivere un ergastolo, ovvero di essere imprigionati in un dolore perpetuo, che nessuna sentenza di condanna potrà mai affievolire. Riteniamo che non si possa aggiungere a tale sofferenza anche quel senso di impotenza e, perché no, di ingiustizia a cui le stesse persone offese sono sottoposte, allorquando lo Stato pare rinunciare alle sue prerogative, in nome dell'economia processuale.

Ebbene, uno Stato che si dica vicino ai cittadini non può rimanere sordo e muto davanti a quella sofferenza, ma di quella sofferenza deve farsi in qualche modo carico, così come uno Stato, che abbia come precipuo obiettivo la rie-educazione del reo, deve legittimamente chiedersi se un istituto, che preveda un'automatica, secca e consistente riduzione di pena, spesso proprio in relazioni ad una colpevolezza conclamata e comunque accertata, che preveda uno sconto, un premio, che sia del tutto sganciato da qualsiasi presa di coscienza o condotta riparatoria da parte dell'autore di odiosi reati, possa davvero dirsi orientato alla rieducazione, o non strida piuttosto fortemente con tali finalità e, dunque, in definitiva, con i nostri principi costituzionali. Ebbene, con la proposta di legge in esame, quest'Aula è chiamata a riportare entro i confini costituzionali il rito abbreviato (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Pierantonio Zanettin. Ne ha facoltà.

PIERANTONIO ZANETTIN (FI). La ringrazio, Presidente, per la parola. Onorevole rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, comprendo bene le ragioni di chi sostiene questa legge. Non posso negare di essermi sinceramente commosso, quando in Commissione giustizia ho ascoltato le parole di alcuni congiunti di vittime di gravi omicidi, le stesse persone alle quali alludeva la collega D'Orso. Le loro testimonianze mi hanno toccato nel profondo dell'anima e ho compreso l'umanità e sincerità che le ispira. Probabilmente, a parti invertite, proverei anche io gli stessi sentimenti.

L'obiettivo della certezza e della effettività della pena è condiviso da me, nella stessa misura dei congiunti delle vittime che abbiamo ascoltato in Commissione giustizia. Noi, al pari di loro, ci indigniamo quando, per effetto di decisioni strampalate o per cavilli giuridici o certo buonismo di facciata, vediamo gli autori di gravissimi fatti di sangue in libertà, solo dopo pochi mesi dal reato commesso e, magari, senza aver manifestato alcun rimorso.

L'obiettivo comune va perseguito, tuttavia, onorevoli colleghi, in modo giuridicamente corretto, evitando clamorosi errori che portano fuori strada l'ordinamento e costituiscono un rimedio addirittura peggiore del male. Come legislatori, abbiamo il dovere di cercare, con perizia tecnica e buonsenso, un delicato equilibrio tra le ragioni del cuore e la astratta razionalità dei principi giuridici, evitando soprattutto di strumentalizzare, per biechi calcoli elettorali, il dolore delle vittime. Oltre che dei sentimenti delle persone offese, il legislatore deve tenere conto anche di esigenze e valori diversi, come, ad esempio, i tempi della giustizia, soprattutto in un sistema nel quale la ragionevole durata dei processi ha valore costituzionale.

Nel corso dell'istruttoria in Commissione abbiamo audito professori universitari ed altri tecnici del diritto, e tutti gli auditi - ripeto tutti, nessuno escluso - hanno evidenziato severe critiche al testo della proposta di legge in esame, soprattutto sotto il profilo costituzionale, con specifico riferimento al principio di uguaglianza sancito dall'articolo 3. Non credo valga la pena oggi entrare troppo nei tecnicismi della giurisprudenza della Corte costituzionale, credo che tutti i presenti alle audizioni, che oggi siedono qui al mio fianco in quest'Aula, possano, in scienza e coscienza, concordare che le conclusioni degli auditi sono state pressoché unanimi: il testo al nostro esame presenta eclatanti profili di illegittimità costituzionale, e se approvato finirà in breve tempo annullato dalla Corte costituzionale. Lo hanno sottolineato tutti i docenti universitari che abbiamo ascoltato, lo hanno confermato i rappresentanti del Consiglio nazionale forense e delle Camere penali, lo ha infine ribadito il rappresentante dell'Associazione nazionale magistrati. Se questo è l'incontrovertibile dato di partenza, come perseguire gli obiettivi di certezza ed effettività della pena, che anche noi condividiamo, rispettando nel contempo i principi costituzionali? È questa la domanda che come gruppo di Forza Italia ci siamo posti. La stessa domanda l'abbiamo rivolta a Carlo Nordio nel corso della sua audizione, e ricorderete certamente, onorevoli colleghi, che proprio il procuratore Nordio ha suggerito, per evitare le attuali distorsioni dell'ordinamento, di operare delle modifiche normative non sul piano penale sostanziale né su quello processuale, ma piuttosto sul processo di esecuzione della pena comminata con rito abbreviato, agendo su quegli istituti premiali che in tanti casi finiscono per svilire nel concreto il carattere sanzionatorio della pena irrogata. Obiettivamente non è stato agevole declinare tale principio nell'attività emendativa, ma ci siamo riusciti.

Proprio per migliorare il testo ed in un'ottica di leale collaborazione parlamentare, abbiamo proposto alla maggioranza emendamenti che operavano sotto tre direttrici principali. Va sottolineato che tutti gli emendamenti da noi proposti escludevano in radice problematiche di natura costituzionale. Vi abbiamo innanzitutto proposto di mantenere il rito abbreviato eliminando la riduzione di un terzo della pena, agendo invece sulla liberazione anticipata, che si può ridurre a quindici giorni per i condannati all'ergastolo, tranne che si fosse proceduto con il rito abbreviato, nel qual caso rimane di 45 giorni, come è già oggi, per ogni semestre di pena scontata. In questo modo, si conservava il rito, si eliminava la riduzione del terzo, ritenuta eccessiva, e si introduceva comunque un incentivo per optare per il rito, ma avete detto: “no”. Vi abbiamo anche proposto di mantenere il rito, eliminando però la riduzione di un terzo della pena in caso di condanna all'ergastolo per reati più gravi indicati dall'articolo 4-bis della legge n. 354 del 1975, prevedendo anche in questo caso di agire sull'istituto della liberazione anticipata e per incentivare comunque il rito, e avete detto ancora “no”. Vi abbiamo infine proposto di agire sugli istituti della “legge Gozzini” (liberazione condizionale, semilibertà, licenza e liberazione anticipata) limitandoli per i condannati per pene che comportano l'ergastolo che abbiano optato per il rito abbreviato; vi abbiamo anche proposto che la concessione di tali benefici fosse preceduta da un interpello delle parti offese, proprio per venire incontro a quelle esigenze di sensibilità umana che ricordava la collega D'Orso, e avete ribadito il “no” secco. Che spiegazione ci è stata data? Per la maggioranza il testo base all'esame dell'Aula corrisponde - cito testualmente, risulta anche dal resoconto - ad una scelta politica, quindi non tecnica. Traduco: chi se ne frega della costituzionalità, per dirla con lo slang del capitano? La ritengo una risposta del tutto superficiale ed inaccettabile, soprattutto se si considera la delicatezza della materia e tenuto che conto che in gioco ci sono valori di rango costituzionale così elevato. Ci si prende gioco dei sentimenti delle persone che stanno soffrendo quotidianamente come vittime dei reati. Ho l'impressione che la vera ratiolegis di questa proposta sia solo un po' cinico calcolo politico: la ricerca di un pugno di voti in più, nella perenne campagna elettorale del Governo giallo-verde. Cosa andate a dire a quelle stesse vittime dei reati che abbiamo ascoltato in Commissione, quando il testo da voi votato sarà dichiarato incostituzionale dalla Corte costituzionale? Come spiegherete loro che le sentenze di condanna erogate sulla base dell'esclusione del rito abbreviato saranno annullate e i dibattimenti dovranno iniziare da capo?

Sosterrete forse che la Corte costituzionale non viene eletta dal popolo e quindi il suo giudizio non ha valore?

Il testo in esame non considera inoltre il carattere deflattivo del rito abbreviato. Ormai, sia nel civile che nel penale, la soluzione del giudice monocratico è stata condivisa in chiave di efficienza e razionalità del sistema giustizia, afflitto, come sappiamo tutti, da ritardi inammissibili ed insufficienza di risorse umane e materiali. Il rito abbreviato, come credo dovrebbe essere noto a tutti, consente di accelerare di molto i processi, anche per i reati di maggior allarme sociale, nei quali gli imputati sono spesso detenuti, evitando così le scarcerazioni per decorrenza termini, che costituiscono un rischio allarmante proprio nei processi più complessi con un gran numero di imputati. Peraltro è anche interesse delle parti offese che il processo sia celebrato in tempi ristretti, sia con riferimento all'ansia di conoscere i responsabili dei reati sia per ottenere le conseguenti pronunce in sede di risorgimento danno. Ritengo sia superfluo sottolineare a Governo e relatrice che la ragionevole durata del processo è ormai da tempo principio di rango costituzionale e diritto comune, considerate le pronunce in materia della Corte europea dei diritti dell'uomo.

Che senso ha quindi trasferire tutti quei processi, che oggi vengono celebrati davanti al GUP, in altri tribunali, in sede collegiale, dinanzi dirittura alle Corti d'Assise, scomodando anche i giudici popolari? Vi rendete conto che assurdo aggravio di costi ed organizzativo comporterebbe per gli uffici giudiziari italiani? La questione, ricorderete, onorevoli colleghi, è stata particolarmente evidenziata nella sua audizione dal dottor Minisci, per l'Associazione nazionale magistrati, che evidentemente può vantare una concreta esperienza all'interno dei nostri tribunali. Proprio il dottor Minisci ha anche sottolineato le notevoli difficoltà che si incontreranno nel gestire i maxi processi di criminalità organizzata, se non sarà più possibile fare accedere al rito abbreviato i collaboratori di giustizia che rendono dichiarazioni auto o etero accusatorie o i rei confessi. Lo stralcio di tali posizioni è spesso essenziale per celebrare poi con maggiore efficacia il dibattimento nei confronti della pluralità degli imputati. Il dottor Minisci è un pubblico ministero molto esperto, ha in passato svolto inchieste molto delicate, quello che dice va valutato con serietà. Trovo allora sorprendente che la denuncia di un magistrato di questo calibro circa i problemi che questa nuova normativa comporterà ai processi della criminalità organizzata ed antimafia passi sotto silenzio, e che il MoVimento 5 Stelle non trovi nulla da ridire. Capisco che il MoVimento 5 Stelle di Governo è ormai abituato ad applicare con una certa elasticità i granitici pensieri e i principi per i quali si è sempre battuto e per i quali ha ottenuto tanti consensi nell'ultima campagna elettorale (penso alle grandi opere infrastrutturali o ai condoni), ma almeno sul fronte antimafia non avevo colto fino ad ora sbavature rispetto alla originaria intransigenza. Per questo mi sorprendo e non comprendo se quella di oggi è solo una svista o invece un primo segnale di un suo allentamento morale sui temi dell'antimafia e della lotta alla criminalità organizzata. A sua volta, chi parla, anche per la recente esperienza diretta quale componente della VII commissione del Consiglio superiore della magistratura, non può che essere sensibile alle tematiche organizzative degli uffici giudiziari. Queste problematiche, tutt'altro che trascurabili, non possono più essere ignorate dal Parlamento. Anche il legislatore deve prendere consapevolezza di una cultura dell'organizzazione giudiziaria, la cui applicazione negli ultimi anni ha consentito di ottenere notevoli progressi nello smaltimento dell'arretrato, sia in sede civile che penale, con indubbi vantaggi per gli utenti del pianeta giustizia. E a tale proposito chiedo ai colleghi del Partito Democratico come l'ex Ministro Orlando, che tanto si è speso negli ultimi anni per una politica giudiziaria deflattiva, politica che, come avete compreso, io personalmente giudico positiva e condivido, possa votare un testo come questo. Approvare questa proposta di legge significherebbe per lui contraddire il buon lavoro svolto al Ministero. Trovo infatti incomprensibile che il PD ora insegua la maggioranza giallo-verde sul piano del populismo giudiziario. Rivolgo a voi, colleghi del PD, la stessa domanda che l'avvocato Brezigar, che abbiamo udito come rappresentante delle Camere penali, ha rivolto alla Commissione giustizia: cosa è cambiato in questi pochi anni, da quando al Ministero era istituita la commissione presieduta dal presidente emerito della Cassazione, Canzio, che nei suoi lavori proponeva di incentivare il rito abbreviato? Come si spiega questa vostra regressione culturale? Va considerato ancora che la proposta di legge in esame parte dell'assunto errato che il giudizio abbreviato è un beneficio per l'imputato colpevole, che così ottiene uno sconto di pena immeritato ed eccessivo. Ma quest'ottica non è corretta.

In realtà, l'abbreviato è un diritto anche dell'indagato innocente, che sceglie il rito perché appare chiaro che le accuse formulate dal pubblico ministero non reggono e il fascicolo del pubblico ministero è privo di riscontri.

L'innocente ha tutto il diritto ad aspirare a un rapido proscioglimento e ad evitare la gogna mediatica di un pubblico dibattimento. La proposta della maggioranza, quindi, andrà ad incidere negativamente, non solo sulla condizione degli imputati colpevoli, ma anche sul diritto di difesa degli imputati innocenti. E questa reformatio in peius, per noi che ci proclamiamo con orgoglio liberali e garantisti sempre, è inaccettabile.

Per tutto questo abbiamo detto, anche se resteremo soli, che continueremo ad alzare la voce. Lo abbiamo fatto esattamente una settimana fa, da questi banchi, parlando di un'altra proposta di legge, quella sui reati contro il patrimonio culturale, e lo ribadiamo anche oggi: il delirio sanzionatorio al quale stiamo assistendo non è degno del Paese che ha dato i natali a Cesare Beccaria.

E a chi, fuori da questa Aula, si dice da ora pronto ad accusarci di aiutare, per esempio, gli autori di femminicidio o di altri crimini odiosi, risponderemo che quella critica è frutto solo di ignorante demagogia. Chi dovesse formularla, ignora il diritto, ignora o finge di ignorare che, già oggi, può essere comminata la pena dell'ergastolo a seguito del giudizio abbreviato; ignora o finge di ignorare che il testo di legge che voi proponete, comunque e in ogni caso, non riguarderà gli omicidi semplici, che non sono puniti con l'ergastolo, ma con la pena della detenzione non inferiore ad anni 21; ignora o finge di ignorare che solo gli omicidi aggravati possono essere puniti con l'ergastolo; ignora o finge di ignorare che, nella maggior parte dei casi concreti, quelli giudicati nei nostri tribunali, quelli di cui abbiamo esperienza come avvocati, in caso di omicidio, le attenuanti generiche, se ritenute anche soltanto equivalenti alle contestate aggravanti, comportano l'esclusione della condanna all'ergastolo.

E, allora, onorevole Presidente e onorevoli colleghi, vale la pena scassare un sistema così delicato come il processo penale, per inseguire un pugno di voti o per un titolo in più nell'edizione serale dei TG?

Noi siamo un po' all'antica e restiamo tra quelli che pensano che non ne valga la pena. Siamo, comunque, onorevole Presidente, degli inguaribili ottimisti e, convinti delle nostre buone ragioni, speriamo che, alla fine, ragionevolezza e buonsenso possano prevalere sulla demagogia.

Per questo riproporremo in Aula i nostri emendamenti, confidando che Governo e relatrice, re melius perpensa, li possano apprezzare come un sincero contributo alla soluzione del problema, nel rispetto - lo ripetiamo e lo ribadiamo - della nostra Costituzione.

Restiamo, infatti, convinti che, in quest'Aula, tutte le forze politiche considerino la certezza e l'effettività della pena degli obiettivi condivisi e che ci distingua soltanto la modalità giuridica più idonea al loro conseguimento. Facciamo un ultimo sforzo: tentiamo, quindi, tutti insieme, di non gettare il bambino, il rito abbreviato, con l'acqua sporca, l'eccessiva riduzione di pena per i condannati (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Ingrid Bisa. Ne ha facoltà.

INGRID BISA (LEGA). Grazie, Presidente. Rappresentante del Governo, onorevoli colleghe e colleghi, la proposta di legge che rende inapplicabile il giudizio abbreviato ed il conseguente sconto di un terzo della pena in caso di condanna nei procedimenti relativi a tutti i reati punibili con l'ergastolo vede come primo firmatario l'attuale sottosegretario, onorevole Nicola Molteni.

Attualmente, vi è la possibilità, nel nostro ordinamento, di applicazioni di tale rito anche in caso di delitti di sangue particolarmente efferati, tra cui l'omicidio volontario o la strage.

Con l'attuale assetto normativo viene previsto, per il solo fatto che l'imputato abbia scelto il rito abbreviato, uno sconto di pena secco, insindacabile, da parte del giudice. Questo aspetto, se lo sommiamo al meccanismo del bilanciamento delle circostanze e dell'applicazione dello sconto di pena proprio del rito abbreviato, porta spesso a condanne decisamente irrisorie rispetto alla gravità, all'efferatezza e alla crudeltà di alcuni delitti.

L'obiettivo della nostra proposta di legge è, quindi, quello di rafforzare la tutela delle vittime e delle parti offese, escludendo la possibilità di riconoscere a chi commette un crimine feroce lo sconto di pena, sconto che sarebbe possibile solo per la scelta di un rito processuale.

La proposta di legge, nel testo modificato dalla Commissione di merito, si compone di cinque articoli, attraverso i quali si modificano gli articoli 429, 438, 441-bis e 442 del codice di procedura penale. Il rito abbreviato, quindi, a quali reati sarà precluso? L'approvazione dei nostri emendamenti in Commissione ha meglio ridefinito e migliorato l'ambito processuale e di applicazione. Con l'aggiunta del comma 1-bis, all'articolo 438 del codice di procedura penale, viene esclusa l'applicazione del rito abbreviato nei procedimenti per delitti per i quali la legge prevede la pena dell'ergastolo. Un catalogo ampio, nel quale rientrano, tra gli altri, i reati di violenza sessuale, omicidio, prostituzione minorile, strage, tratta di persone e sequestro di minori, o a scopo estorsivo, o con morte dell'ostaggio.

Si è ridefinito che, in caso di inammissibilità o di rigetto della richiesta di giudizio abbreviato, questa possa essere riproposta fino alla formulazione delle conclusioni in udienza preliminare.

Inoltre, in linea con le ultime pronunce della Corte costituzionale, si stabilisce che il giudice, se all'esito del dibattimento ritenga, a fronte di una riformulazione del capo di imputazione da parte del pubblico ministero, che per i fatti contestati sia ammissibile il giudizio abbreviato, applicherà la riduzione della pena. Il nostro testo modificato lascia, inoltre, all'imputato la possibilità di richiedere il rito abbreviato quando al capo di imputazione verrà data una qualificazione giuridica diversa, sostanzialmente una derubricazione dell'imputazione di reato formulata dal pubblico ministero. Tale derubricazione, quindi, non prevederà più la pena dell'ergastolo, rendendo ammissibile il rito oggetto di discussione nella proposta di legge oggi all'esame. In ultimo, si stabilisce che le nuove disposizioni si applicheranno ai fatti commessi successivamente all'entrata in vigore della legge.

Ma cosa prevede nel dettaglio il testo al nostro esame? L'obiettivo è quello di riscrivere la disciplina del rito abbreviato introdotta nel 1999 dalla cosiddetta legge Carotti. Con la proposta di legge in esame si intende ritornare all'assetto normativo all'entrata in vigore della legge 16 dicembre 1999, n. 479, sopracitata, ove non era consentito l'accesso al rito in questione agli imputati nei procedimenti relativi a delitti per i quali era prevista la pena dell'ergastolo.

Si legge, nella relazione illustrativa della proposta di legge Molteni, che il rito alternativo può essere chiesto anche per i delitti più gravi, puniti con la pena dell'ergastolo. La conseguenza sta nel fatto che, in virtù di una mera scelta processuale, insindacabile dalle altre parti, la pena in genere è automaticamente ridotta di un terzo. Più in particolare, la pena dell'ergastolo è sostituita, per effetto dello sconto conseguente all'applicazione del rito abbreviato, dalla reclusione di anni 30; quella dell'ergastolo con isolamento diurno, dal solo ergastolo.

Insomma, un trattamento di particolare favore, che si vorrebbe giustificare, da un lato, sempre nell'attuale assetto normativo, per esigenze deflattive. Un premio, in altre parole, per avere evitato di appesantire la macchina processuale con un processo ordinario che può durare, in molti casi, anche diversi anni; dall'altro, compenserebbe la rinuncia, da parte dell'imputato, alla garanzia del vaglio preventivo dell'accusa nell'udienza preliminare, consentendo l'utilizzazione degli atti investigativi come prova. Un trattamento, secondo la Lega, inaccettabile, quando il procedimento riguarda reati che, in ragione della loro gravità, il codice penale punisce tanto severamente e che creano un grave allarme sociale nell'opinione pubblica. Senza contare che, con la disciplina attualmente vigente, è venuto a sparire qualsiasi limite di natura oggettiva per l'applicazione di questo rito speciale, definendosi così, anticipatamente, anche processi aventi ad oggetto imputazioni per reati molto gravi; limiti che si vogliono reintrodurre con la presente proposta di legge.

Resta in ogni caso ferma la possibilità - chiarisce la relazione - di chiedere il rito abbreviato nei procedimenti per delitti puniti con l'ergastolo subordinatamente a una diversa qualificazione dei fatti o all'individuazione di un reato diverso allo stato degli atti, qualora cioè, per esempio, l'iniziale reato contestato venga derubricato in un reato meno grave, non punito con il carcere a vita.

Il rito abbreviato è un procedimento speciale, nato con finalità deflattive e rispondente ad esigenze di economia processuale, che sostanzialmente trasforma l'udienza preliminare da filtro processuale a sede del giudizio; finalità che non è possibile condividere. In tale fase, infatti, su richiesta dell'imputato e senza alcuna necessità di consenso da parte del pubblico ministero, il giudice si pronuncia ex actis, salvo che ritenga di disporre d'ufficio un'integrazione probatoria oppure salvo che sia proprio l'imputato a subordinare la richiesta di giudizio abbreviato all'assunzione di una prova ritenuta determinante. Pertanto, il giudizio abbreviato priva inevitabilmente l'imputato del corredo di garanzie difensive pienamente offerto dal dibattimento; motivo per cui il giudizio non può instaurarsi, se non per scelta dell'imputato stesso, dovendo il giudice prendere una decisione fondata esclusivamente sul materiale probatorio raccolto durante la fase delle indagini preliminari.

A tale rinuncia, tuttavia, corrisponde un concreto vantaggio in termini di pena. Prevede, infatti, l'articolo 442 del codice di procedura penale che, in caso di condanna, la sanzione sia diminuita della metà, se si procede per una contravvenzione, e di un terzo, se si procede per un delitto. Inoltre, alla pena dell'ergastolo è sostituita quella della reclusione ad anni trenta. È proprio in relazione a detta automatica riduzione di pena che nasce l'esigenza di questa nuova normativa; attualmente, infatti, non esistono reati che precludano l'applicazione del giudizio abbreviato, qualora l'imputato ne faccia richiesta.

Non è possibile consentire un così corposo sconto di pena sulla mera base di una scelta processuale a chi sia imputato per delitti di gravissimo allarme sociale. Ecco, allora, che si propone di escludere l'applicabilità del giudizio abbreviato nell'ambito dei procedimenti relativi ai delitti per i quali la legge prevede la pena dell'ergastolo. La preclusione de quo, tuttavia, non sarebbe assoluta, poiché per l'imputato residuerebbe la facoltà di richiedere il giudizio abbreviato, subordinandolo ad una diversa qualificazione del fatto come reato per il quale la legge non prevede la pena dell'ergastolo, con la possibilità, in caso di rigetto, di riproporre l'istanza prima della dichiarazione di apertura del dibattimento.

Vorrei concludere questo mio intervento citando quanto riferito in Commissione giustizia dagli auditi dell'Osservatorio nazionale sostegno vittime. Aperte virgolette: le vittime vogliono non vendetta, ma giustizia. Questo sistema reocentrico, del tutto concentrato a concedere benefici a pioggia, spesso senza verificare se veramente sussistono presupposti soggettivi di meritevolezza, ha reso il carnefice protagonista non solo delle cronache giudiziarie, bensì pure di quelle mediatiche. Essere dalla parte delle vittime sempre è uno degli hashtag che contraddistinguono le nostre battaglie. Non significa vendicarsi dei carnefici, significa restituire giustizia alle vittime, a chi le ha amate in vita e si ritrova a piangerle in una disperazione inconsolabile, resa tale anche dal fatto di assistere a condanne evidentemente sproporzionate per difetto rispetto alla gravità del crimine commesso.

La rieducazione della pena passa anche da qui, dai principi di certezza e di proporzionalità della condanna. Non dimentichiamolo mai. Chiuse virgolette. Ho la piena consapevolezza che questa riforma, che oggi ha iniziato l'iter in questo ramo del Parlamento, porterà giustizia, darà una boccata d'ossigeno a coloro che piangono in una disperazione inconsolabile e darà soprattutto certezza e proporzionalità della condanna (Applausi dei deputati del gruppo Lega-SalviniPremier).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Bazoli. Ne ha facoltà.

ALFREDO BAZOLI (PD). Grazie, Presidente. Arriva in Aula questa proposta di legge che si propone di modificare il rito abbreviato; una proposta di legge che conosco bene, perché l'abbiamo già discussa almeno in due circostanze nella scorsa legislatura. Quindi, ricordo bene la discussione che si svolse allora, sia in Commissione sia in Aula.

Ricordo bene anche le audizioni che facemmo allora e che, unite a quelle abbiamo fatto in questa legislatura, ci hanno dato un quadro abbastanza chiaro della materia di cui discutiamo.

Audizioni che, se è vero, e poi ci tornerò, sul piano della tecnica normativa che è stata individuata per immaginare di intervenire sul tema, hanno formulato critiche, direi, piuttosto compatte, e anzi quasi univoche, hanno, invece, testimoniato che sul piano degli obiettivi che si propone questa legge c'è una comprensione, se non a volte anche una condivisione. Da parte degli auditi, quindi da parte dei molti professori universitari, di molti esperti del settore, di molti avvocati, c'è stata una certa comprensione nella condivisione degli obiettivi che si assegna questa legge, cioè una legge che si propone, per un ambito molto ristretto dei reati puniti dall'ordinamento, quindi per i reati più gravi e più efferati, quindi quelli punibili o puniti con l'ergastolo, di non consentire l'accesso al rito abbreviato, perché ci sono stati alcuni casi della cronaca recente, noti all'opinione pubblica, nei quali l'accesso a questo rito ha comportato l'applicazione di una pena che in taluni casi è apparsa eccessivamente ridotta rispetto alla gravità e all'efferatezza del delitto commesso.

E, quindi, si è effettivamente evidenziato, in certi casi, che l'applicazione di uno sconto secco di un terzo di pena per delitti purtuttavia molto gravi commessi, a cui gli episodi di cronaca recente ci hanno dovuto mettere di fronte, per quei tipi di reati lo sconto di un terzo ha comportato l'applicazione di una pena che è stata ed è apparsa incongrua e non proporzionata alla gravità del delitto e alla gravità del reato commesso. Per questa ragione, con questa proposta di legge, che non riproduce esattamente il testo che è stato approvato alla Camera nella scorsa legislatura, ma solo una parte di quel testo, si propone di escludere per questi reati, per i reati più gravi, l'applicazione di un rito che comporta come beneficio per l'imputato uno sconto immediato di un terzo di pena, e che, quindi, può comportare, come la cronaca ci ha testimoniato in certi casi, anche una pena che non si può ritenere adeguata o proporzionata alla gravità del fatto commesso.

Voglio dire subito che, mentre il Partito Democratico condivide questi obiettivi, cioè gli obiettivi di evitare che attraverso l'uso di un rito previsto dal codice si arrivi, poi, a una pena che è palesemente incongrua rispetto alla gravità dei delitti e solo per i delitti più gravi, peraltro noi siamo ben consapevoli che intervenire sulle norme processuali, su un organismo delicato come il processo penale, comporta, deve comportare, una grande cautela, perché si interviene su meccanismi e su equilibri che devono tenere conto sia delle esigenze di congruità della pena, ma anche di esigenze di funzionalità del sistema. E bisogna ricordare che il rito abbreviato è stato introdotto, con l'introduzione del processo accusatorio nel nostro ordinamento, per garantire la funzionalità del sistema. In tutti i sistemi nei quali esiste un processo accusatorio, cioè un processo in cui la prova si forma in dibattimento, in cui si vuole che attraverso il dibattimento le parti possano contrapporsi e contraddire adeguatamente, per fare emergere in modo più adeguato la prova dei fatti, e quindi consentire al giudice terzo di giudicare in maniera adeguata ed equilibrata, in un procedimento di questo genere è necessario che ci siano anche riti alternativi che consentano di deflazionare il rito dibattimentale.

Infatti, se tutti i procedimenti penali fossero celebrati con rito dibattimentale, sarebbe assolutamente impossibile riuscire a dare giustizia, perché nessun sistema al mondo è in grado di garantire che tutti i procedimenti penali possano essere celebrati attraverso un rito dibattimentale, quindi attraverso un contraddittorio pieno tra pubblica accusa e difesa e un giudice che decide. Quindi, è necessario, in un sistema accusatorio, che ci siano i riti alternativi. Questo lo dico perché noi abbiamo molto a cuore, e voglio che sia molto chiaro, la salvaguardia dei riti alternativi, tra cui il rito abbreviato. Noi siamo assolutamente dell'idea che il rito abbreviato sia un rito che va salvaguardato; se possibile anche, in taluni casi, incentivato.

Quindi, non siamo per l'idea che vada scardinato un impianto che è necessario al funzionamento del processo penale di rito accusatorio e, tuttavia, condividiamo l'obiettivo che, in certi casi molto specifici e molto ridotti - quindi, quelli nei quali si tratta di giudicare sui reati più gravi che punisce il nostro ordinamento – allora, in quei casi, lo sconto automatico di un terzo di pena può comportare il rischio di un'applicazione di pena incongrua perché non proporzionata adeguatamente alla gravità dei fatti.

Ma si tratta, appunto, di casi limitati e specifici e, quindi, se trattata in questo modo, cioè se limitata questa eccezione a quei casi, è questa un'eccezione che consente di salvaguardare l'esistenza, la persistenza e l'efficacia del rito alternativo e del rito abbreviato, e consente anche di mantenere al rito abbreviato, che si applicherebbe in tutti gli altri casi, il suo effetto deflattivo.

Quindi, noi abbiamo molto a cuore la tenuta del sistema, ma condividiamo l'obiettivo che nella scorsa legislatura e in questa si è cercato di perseguire attraverso proposte di legge che riguardano uno spicchio molto limitato e, cioè, i reati più gravi ai quali si può sottrarre il rito abbreviato, per evitare che ci siano sconti di pena che, in alcuni casi, possono portare a una pena incongrua e non proporzionata.

Ora, se questo è l'obiettivo che noi - ripeto - condividiamo, dobbiamo anche, però, sottolineare che le audizioni che abbiamo fatto, sia nella scorsa ma, soprattutto, in questa legislatura, hanno testimoniato che la soluzione, il meccanismo processuale che è stato immaginato per raggiungere quell'obiettivo è un meccanismo che non funziona, è un meccanismo che rischia di incepparsi, è un meccanismo che addirittura qualcuno dice che potrebbe essere a rischio di costituzionalità, è un meccanismo che, da un punto di vista processuale, presenta molti, molti limiti fondati.

Io voglio solo citare alcuni esempi che ci sono stati fatti dagli auditi e che testimoniano dei rischi che si corrono per il funzionamento del meccanismo processuale adottando la soluzione tecnica che è stata immaginata in questa proposta di legge.

Intanto, noi dobbiamo sapere che di reati puniti con l'ergastolo nel nostro ordinamento ce ne sono pochissimi. La maggior parte dei reati di cui si discute sono reati - quelli per i quali si vorrebbe evitare l'applicazione dello sconto di pena di un terzo - aggravati o reati in cui si applicano le circostanze aggravanti. L'omicidio, per esempio, è un reato che non è punito con l'ergastolo; viene punito con l'ergastolo solo nel caso in cui ci sia una circostanza aggravante.

Allora, poiché si ritiene e si vuole che non possano accedere al rito abbreviato gli imputati, appunto, che sono imputati di un reato circostanziato, già qui si pone il primo problema: come fa un giudice a giudicare ex ante di una circostanza aggravante, senza aver quindi prima fatto un giudizio per valutare la fondatezza di questa circostanza? Già questo è un elemento, secondo me, che mette una zeppa nella tecnica individuata, perché è chiaro che, siccome nella maggior parte dei casi l'ergastolo si applicherà a reati in cui c'è una circostanza aggravante e siccome la titolazione del reato la fa il pubblico ministero, già qui si pone un problema, che è stato peraltro evidenziato dagli auditi, perché non si può immaginare che l'esistenza o la fondatezza di una circostanza aggravante o il bilanciamento di questa con altre circostanze del delitto si possano fare prima di un giudizio e già questo, dunque, pone un problema.

Il secondo problema è dato dal fatto che l'ordinamento conosce la procedura del rito abbreviato condizionato, cioè l'imputato può condizionare la richiesta di abbreviato a una piccola istruttoria che serva, diciamo, a consentire di fare una prova un po' più piena del fatto. Quindi, c'è l'istituto del rito abbreviato condizionato. Ora, come si concili il rito abbreviato condizionato con questa formulazione tecnica, che prevede, appunto, di evitare che si vada al rito abbreviato per i reati puniti con l'ergastolo, è un mistero. È un mistero perché se io sono un imputato e chiedo di poter accertare, attraverso quell'istruzione probatoria consentita, che la circostanza aggravante che darebbe il titolo di ergastolo non c'è, cosa deve fare il giudice? Ammettere o non ammettere perché il titolo del pubblico ministero è quello, appunto, di un reato punito con l'ergastolo?

Oppure, invece, il giudice accede alla richiesta d'istruttoria dell'imputato per verificare se effettivamente la circostanza aggravante c'è oppure no e, quindi, il reato è punibile con l'ergastolo oppure no?

Questa è un'altra ragione che rende la soluzione tecnica ipotizzata da questa norma di legge una soluzione impossibile da realizzare nella sua pratica.

E poi, come è già stato evidenziato da qualcuno, nel caso di pluralità di reati o nel caso di fattispecie con pluralità di imputati, l'inapplicabilità del rito abbreviato per uno di quei reati o per uno di quegli imputati rischia di trascinare con sé, per il principio di attrattività, tutti gli altri reati e tutti gli altri imputati, con un problema effettivamente - anche qui - di celebrazioni di processi che potrebbero essere evitati appunto tramite il rito abbreviato.

Sappiamo che i processi con pluralità di parti o con pluralità di reati sono processi molto complicati e molto complessi e qui sì che ci sarebbe un problema di effettiva deflattività. Pertanto, anche in questo caso la soluzione proposta è una soluzione inadeguata e questo ci è stato detto con grande chiarezza dagli auditi.

Allora, tenuto conto di questo, cioè tenuto conto della condivisione degli obiettivi che ci siamo dati, della necessità di non scardinare il sistema, cioè di evitare che attraverso un grimaldello si possa vanificare o scardinare uno degli assetti fondamentali del nostro processo, cioè quello dei riti alternativi e, in particolare, del rito abbreviato, della necessità di trovare soluzioni tecniche adeguate per raggiungere adeguatamente gli obiettivi che ci siamo dati, noi abbiamo proposto in Commissione - e li riproporremo in Aula - alcuni emendamenti che cercano di raggiungere l'obiettivo, di cogliere l'obiettivo, ma attraverso modalità e soluzioni tecniche che sono adeguate, che non presentano le criticità che ho prima descritto e ricordato e che non si prestano a censure di costituzionalità, tant'è vero che sono state soluzioni anche proposte da alcuni degli auditi sia in questa legislatura sia nella scorsa legislatura.

La prima di queste soluzioni è quella che prevede di agire sulla possibilità di richiedere il rito abbreviato - quindi, escludendo addirittura la possibilità di accedere al rito abbreviato - ed è una proposta che fa leva sulla pena in concreto applicabile all'esito dell'abbreviato e, cioè, l'ipotesi che si lasci un margine di discrezionalità al giudice all'esito dell'abbreviato quando il giudice, appunto all'esito dell'abbreviato, si convinca che per quel fatto sia da comminare la pena dell'ergastolo. In quel caso, il giudice avrà la discrezionalità, all'esito dell'abbreviato, se applicare o meno lo sconto di pena, ovviamente utilizzando i criteri previsti dal codice penale per la valutazione della gravità del reato.

Questa soluzione, che è una soluzione che in parte è stata anche ipotizzata da alcuni auditi e in parte è stata anche suggerita attraverso alcuni suggerimenti e consigli che sono venuti, è una soluzione che potrebbe permettere di raggiungere l'obiettivo che ci si è prefissi senza scardinare il sistema, semplicemente introducendo un principio di discrezionalità unicamente per quei fatti e per quei reati per i quali, all'esito di quel giudizio, il giudice si convinca della necessità di applicare la pena dell'ergastolo. Solo in quel caso c'è una discrezionalità per applicare lo sconto di pena.

Questa soluzione, secondo noi, è la soluzione che potrebbe garantire il raggiungimento dell'obiettivo senza lo scardinamento dei principi processuali e senza dar luogo a tutti i problemi di applicazione e di applicabilità concreta che la soluzione, che è stata introdotta, invece, con la proposta di legge in esame, rischia di scatenare e anche con quei dubbi di costituzionalità che alcuni hanno paventato.

Gli altri emendamenti che abbiamo proposto cercano - anche qui - di dare una soluzione o, comunque, di intervenire per cercare, appunto, di raggiungere l'obiettivo, che è quello di garantire la pena congrua nei casi di delitti particolarmente efferati attraverso un altro strumento, che è quello dell'attribuzione della valutazione in sede di giudizio abbreviato non al giudice monocratico ma a un giudice collegiale. Questo sia per quanto riguarda il giudice collegiale formato dal tribunale sia per quanto riguarda il mantenimento del giudice naturale per i delitti di competenza e di pertinenza della corte d'assise.

Cioè, quando il giudizio abbreviato riguarda quei delitti particolarmente efferati, l'idea è che debba giudicare sull'abbreviato e, quindi, debba applicare la pena non il giudice monocratico, ma un giudice collegiale, che sia o il giudice collegiale il tribunale o la Corte d'Assise nei reati di competenza della Corte d'Assise, e questo perché? Perché riteniamo, ma non noi lo riteniamo, ma lo cogliamo anche dei suggerimenti che sono stati formulati autorevolmente dagli auditi - ricordo, tra gli altri, l'ex presidente delle camere penali Spigarelli e l'ex presidente dell'Associazione nazionale magistrati -, che ci hanno detto che quella potrebbe essere la soluzione che consente una valutazione più adeguata, perché un giudice collegiale probabilmente è più in grado di fare, e anche la Corte d'Assise, una valutazione adeguata che consenta appunto replicarlo sconti di pena, ma partendo e da una valutazione più corretta del fatto e del danno, quindi della gravità del fatto.

Questi sono altri due emendamenti che abbiamo presentato che cercano di dare quella soluzione, la soluzione in linea con gli obiettivi che ci si è proposti, ma anche qui senza esattamente scardinare l'ordinamento che, invece, questa proposta, così come è formulata, rischia di avere come effetto non voluto, ma che tutti quanti ci hanno testimoniato.

E, poi, un altro emendamento che abbiamo presentato va nella direzione appunto di consentire che ci sia sempre una valutazione congrua del fatto e quindi un'applicazione della pena congrua, un emendamento che cerca di intervenire sul bilanciamento delle circostanze del reato, per evitare che le circostanze che rendono il reato particolarmente efferato possano essere sempre bilanciate con le circostanze attenuanti.

Quindi, un pacchetto di emendamenti che noi riteniamo possano consentire di mantenere l'obiettivo che ci si è prefissati, ma senza i problemi le criticità che sono state evidenziate. Questo è l'apporto che il Partito Democratico intende portare anche nella discussione in Aula.

Devo dire, e concludo sul punto, che non c'è stata - voglio dirlo con grande chiarezza - una grande collaborazione da parte della maggioranza nella discussione di questo provvedimento, pur così delicato. Noi abbiamo dovuto puntare i piedi, anzi minacciare di abbandonare i lavori in Commissione, per riuscire a ottenere una discussione, in tempi minimi, anche degli emendamenti in Commissione. Io ricordo che inizialmente era stato concesso un week-end per la presentazione degli emendamenti, quindi tre giorni, e abbiamo dovuto puntare i piedi, poi anche grazie, devo dire, al lavoro della Presidente, si è riusciti a ottenere un tempo minimo per la discussione, ma, ottenuto quello, devo dire che noi ci saremmo aspettati anche una maggiore collaborazione con l'opposizione, tenuto conto del fatto che una delle proposte di legge sul punto è firmata da un esponente del Partito Democratico e che nella scorsa legislatura il Partito Democratico si era fatto carico anche di una proposta di legge d'iniziativa della Lega. Devo dire che, da questo punto di vista, collaborazione non c'è stata, perché c'è stata una chiusura totale, non c'è stata la disponibilità alla discussione, all'accoglimento di alcun emendamento e questa devo dire che è una cosa che non aiuta neanche a una trasversalità di condivisione, perché credo che una proposta così delicata, così importante, sulla quale appunto c'era anche, in linea di principio, una condivisione da parte delle opposizioni, avrebbe meritato un altro atteggiamento (Applausi dei deputati delPartito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Giusi Bartolozzi. Ne ha facoltà.

GIUSI BARTOLOZZI (FI). Grazie, Presidente. Signor sottosegretario, onorevoli colleghi, il prossimo 25 novembre ricorre la giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, ricorrenza istituita dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite tramite una risoluzione del dicembre del 1999. Perché e come è stata fatta questa scelta? L'idea fu partorita da un gruppo di donne attiviste riunitesi nell'incontro femminista latino-americano e dei Caraibi tenutosi a Bogotá nel 1981 e questa data fu scelta a ricordo del brutale assassinio, nel novembre del 1960, delle tre sorelle Mirabal, considerate esempio di donne rivoluzionarie per l'impegno con cui tentarono di contrastare il regime dittatoriale dominicano, che, mentre si recavano a far visita ai loro mariti in prigione, furono bloccate sulla strada da agenti del servizio d'informazioni militare, condotte in un luogo nascosto, nelle vicinanze, torturate, massacrate a colpi di bastone e strangolate, per poi essere gettate in un precipizio a bordo della loro auto, per simulare un incidente.

Cosa è cambiato, in questi anni? Secondo le elaborazioni dei dati del Ministro dell'interno, nel 2017 sono state centoquarantanove le donne vittime di omicidi volontari nel 2016, in Italia.

Se si esamina la relazione autore-vittima, di quei centoquarantanove omicidi di donne nel 2016, quasi tre su quattro e, quindi, il 75 per cento, sono stati commessi nell'ambito familiare. Cinquantanove donne sono state uccise dal partner, diciassette da un ex partner e altre trentatré da un parente. Nell'ultimo decennio, in Italia, la quota di omicidi avvenuti in ambito familiare ha oscillato da un minimo del 63 per cento, nel 2010, ad un massimo del 77 per cento, nel 2014, per poi scendere a un 73,2 per cento, nel 2016. Le differenze di genere sono sostanziali. Sempre nel 2016, i maschi vittime di omicidio sono stati 251 e, tra questi, 40, il 16 per cento circa, sono stati uccisi nell'ambito delle relazioni familiari. Anche la dinamica nel tempo degli omicidi dimostra notevoli differenze di genere. La costante riduzione del numero di omicidi registrata negli ultimi dieci anni ha riguardato principalmente individui di sesso maschile, così gli uomini vittime di omicidio sono passati da 4 a 0,9 ogni 100 mila, mentre per le donne il tasso è sceso dallo 0,6 a 0,4. Sebbene, quindi, per i maschi l'incidenza degli omicidi si mantenga tuttora nettamente maggiore, circa doppia rispetto alle donne, i progressi sono stati molto visibili. Per le donne, che partivano da una posizione molto più favorevole, la diminuzione nel tempo ha, invece, seguito ritmi molto più lenti ed è riconducibile ad una riduzione del numero delle vittime d'autore ad essa sconosciuto o non identificato, piuttosto che a un calo delle vittime in ambito familiare.

Nel nostro Paese, la dimensione quantitativa degli omicidi, nel complesso, è sostanzialmente contenuta se paragonata a quelle prevalenti nei maggiori Paesi europei; tassi di omicidi inferiori a quello italiano si rilevano solo in quattro Stati membri: Austria, Paesi Bassi, Spagna e Polonia. Nei primi sei mesi del 2018 sono state uccise già quarantaquattro donne, il 30 per cento in più rispetto allo stesso periodo del 2017. Il bilancio varia da regione a regione e le morti confermano il triste primato della Lombardia, con il numero più alto di donne assassinate, undici, seguita poi da Campania, Piemonte, Lazio e Toscana. Sempre a livello statistico, i partner attuali o gli ex sono prevalentemente gli autori delle violenze più gravi: 2.800.000 donne sono state vittime delle loro violenze. Si tratta di poco più del 5 per cento delle donne con un partner attuale e di quasi il 20 per cento delle donne che hanno avuto un partner nel passato. In particolare, sono gli autori di quasi il 63 per cento degli stupri e, più in generale, di oltre 90 per cento dei rapporti sessuali indesiderati, vissuti alla donna come violenza. Il 10 per cento delle donne dichiara di aver subito una qualche forma di violenza sessuale prima dei sedici anni ed è, purtroppo, in aumento la percentuale dei figli che hanno assistito a episodi di violenza sulla propria madre, dal 60,3 per cento, al 64,8 tra il 2006 e il 2014. L'importanza di questo aspetto è testimoniata dalla relazione esplicitata tra vittime, azioni vissute e assistite dai piccoli e comportamento violento. Il tasso di violenza da partner attuale passa dal 5 per cento al 22 per cento se il partner ha assistito alla violenza del padre sulla propria madre, per arrivare poi al 36 per cento se ha subito violenza fisica da parte dei genitori, e in particolare dalla madre. Questi i drammatici dati, ma dobbiamo ricordare che solamente nel gennaio del 2017 è stata istituita, in Senato, la Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, nonché contro ogni forma di violenza di genere, Commissione che iniziato la propria attività il 19 aprile del 2017.

Ciò premesso, la proposta di legge all'esame prevede una modifica del rito abbreviato volta ad escluderne l'applicazione per i reati più gravi per i quali è sancita la pena dell'ergastolo, non consentendo per tali reati la diminuzione di pena connessa al rito. A sostegno della novella vengono addotti tre ordini di motivi.

Il primo, del tutto prevedibile, fa leva sul comune sentire dell'opinione pubblica sul rispetto per le vittime del reato e sul desiderio di giustizia dei loro familiari. Non rinunciando all'evocazione di noti casi di cronaca nera, si sostiene l'inaccettabilità di uno sconto sanzionatorio automatico, prodromo ad ulteriori, successive riduzioni capaci di abbassare oltremisura la punizione per reati efferati, con conseguente perdita di ogni certezza della pena. A detta della maggioranza, questo provvedimento manderebbe un messaggio al Paese: ci sono reati per i quali non è possibile giocare con le regole processuali per sfuggire alla giusta sanzione, ma abbiamo già spiegato in Commissione giustizia, e continueremo costruttivamente a spiegare dentro e fuori il Parlamento, che non è affatto così.

Si contesta, in secondo luogo, che una mera opzione processuale a favore di un rito speciale rimessa insindacabilmente all'imputato possa produrre l'automatismo di una diminuzione della pena anche per reati punibili con il carcere a vita, proprio perché più gravi degli altri.

Da ultimo, si denuncia la metamorfosi del giudizio abbreviato, non più strumento originariamente introdotto nel nuovo codice di rito penale per produrre effetti deflattivi sul piano giudiziario, quanto mero escamotage processuale utilizzato per beneficiare in via potestativa di meritati sconti di pena quando il materiale investigativo raccolto dal pubblico ministero non offra all'imputato alcuno spazio difensivo.

Vedete, onorevoli colleghi, è assolutamente condivisibile la ratio e, cioè, l'esigenza di tutela rafforzata per taluni efferati delitti che parrebbe, prima facie, ispirare la novella.

Non può, però, non segnalarsene la valenza di “norma manifesto”, peraltro con evidenti criticità costituzionali, come evidenziato da tutti gli esperti auditi in Commissione giustizia.

Quanto al primo profilo, vi è da fugare la più grande suggestione, e cioè l'idea che la novella sia volta a tutelare la cosiddetta violenza di genere: al contrario, il testo all'esame crea, probabilmente inconsapevolmente, vittime di serie A e vittime di serie B, rimettendone l'opzione unicamente nelle mani del pubblico ministero. E così è stato ad esempio, per fare solo alcuni casi, quello di Marta Russo, il 9 maggio del 1997, studentessa romana che percorreva tranquillamente un vialetto dell'università insieme ad un'amica, mentre qualcuno da lontano le sparava perforandole l'encefalo e mettendo fine alla sua vita. Nel 2003 fu condannato in via definitiva a 5 anni e 4 mesi un assistente universitario di filosofia del diritto, Giovanni Scattone, per omicidio colposo aggravato. Ed ancora nel 2007 il caso di Chiara Poggi: il cadavere della ventiseienne venne ritrovato nella sua abitazione in una pozza di sangue, e la sentenza di condanna a 16 anni pronunciata dalla Cassazione il 12 dicembre 2015 a carico di Alberto Stasi escludeva il riconoscimento dell'aggravante di crudeltà. Questo stesso principio era stato già fissato nel processo a Parolisi per l'omicidio di Melania Rea, che, scrivevano i giudici, aveva agito senza la volontà di infliggere alla vittima sofferenze aggiuntive. Il 28 febbraio 2018, ancora, il tentato femminicidio di Antonietta Gargiulo ad opera del marito Luigi Capasso, un appuntato dei carabinieri in servizio a Velletri, dal quale si stava separando. Questi alcuni dei casi più noti alle cronache giudiziarie, per i quali la novella all'esame non avrebbe potuto applicarsi: nessuna aggravante, o casi di delitto nella forma tentata, e conseguentemente nessun ergastolo e nessuna preclusione al rito premiale.

Ma penso ancora, più in generale, ai casi di cui all'articolo 577 del codice penale, ultimo comma, secondo cui si è puniti con la reclusione da 24 a 30 anni se il fatto è commesso contro il coniuge divorziato, l'altra parte dell'unione civile, ove cessata, o ancora i legami di parentela e affinità nei casi di convivenza. La riforma dell'istituto del giudizio abbreviato con riferimento ai reati più gravi risponde invero ad un'intenzione puramente propagandistica, fondata sull'ignoranza del fatto che i più gravi fatti di omicidio vengono comunque puniti anche in caso di accesso al rito speciale con l'ergastolo attraverso il meccanismo, previsto dalla legge, della sola esclusione dell'isolamento diurno; mentre un'indiscriminata soppressione del rito abbreviato per tali reati imporrebbe un impegno delle corti di assise non immaginabile, tempi di celebrazione dei processi lunghissimi, con costi economici e sociali molto alti. Analoghe conseguenze subirebbe l'impegno dei tribunali con riferimento ai reati di cui all'articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale.

Molteplici poi i rilievi costituzionali. In sede di audizione alla Commissione giustizia, l'avvocato Luca Andrea Brezigar, rappresentante dell'Unione delle camere penali, ha detto testualmente: “Credo sia ora di smettere di violentare il codice di procedura penale in ragione di propaganda elettorale, demagogia e populismo, senza tenere in considerazione gli aspetti tecnici e quindi la materia”. Lo stesso ha aggiunto: “Queste proposte di legge rappresentano, a mio modo di vedere, un ulteriore attentato allo Stato di diritto”.

Ebbene, la novella appare irragionevole nella parte in cui spezza il rapporto sinallagmatico tra l'accesso al giudizio abbreviato e alcuni tipi di reato, e dunque con la riduzione necessariamente automatica della pena erogata. Tale nesso strutturale è stato infatti apertamente riconosciuto dalla Corte costituzionale quale tratto irriducibile del rito speciale in esame: la caratteristica del giudizio abbreviato risiede proprio nell'incentivo offerto all'imputato di una riduzione della pena, in funzione di un più rapido svolgimento del processo a deflazione del dibattimento. Con il mettere in discussione la possibilità di operare tale scelta processuale, e quindi tale riduzione per una certa categoria di delitti, si viola il principio di cui all'articolo 3 della Costituzione. Si tratta di una irrazionalità legislativa, che ridonda in violazione costituzionale.

Cade in errore quindi chi pensa ad una libera scelta di politica criminale, condivisibile o meno, che non presenterebbe rischi di incostituzionalità. La verità è che anche la discrezionalità legislativa deve rispondere all'imperativo della ragionevolezza: essa potrà manifestarsi nella ridefinizione complessiva del giudizio abbreviato e della sua logica premiale, ma non potrà intervenire settorialmente nei confronti di una sola e specifica categoria di reati, per quanto gravi.

Sotto altro profilo, come detto, si finisce per rimettere nelle mani del solo pubblico ministero la chiave d'ingresso al rito speciale, sulla base dell'imputazione da lui formulata: ne conseguirebbe un inasprimento di pena indiscriminato, e addirittura precedente alla sua concreta inflizione. Così facendo, il disuguale trattamento riservato in entrata agli imputati si trasfonde in uscita in una discriminazione tra condannati, poiché solamente gli ergastolani verrebbero esclusi da qualsiasi misura premiale. Il rilievo vale a fortiori se solo si considera che nel nostro sistema lo sconto di pena correlato al giudizio abbreviato prescinde dal fatto di reato: il beneficio della riduzione, infatti, è il necessario incentivo ad un'opzione processuale rimessa alla discrezionalità dell'imputato stesso.

Siamo in presenza di un meccanismo automatico premiale sottratto ex ante al pubblico ministero ed ex post al giudice, che configura per l'imputato, in caso di condanna, un vero e proprio diritto potestativo. Non rilevano quindi le differenze sostanziali tra le fattispecie di reato: la riduzione della pena, non a caso fissata e prefissata nella misura di un terzo per tutte le pene temporanee e precostituita nell'ipotesi di condanna alla pena perpetua, è acquisita in partenza in forza della sola opzione processuale compiuta dall'imputato, indipendentemente dalla gravità dell'accusa e dalla successiva condanna.

Ed ancora, la novella configura un ergastolo che elude il paradigma costituzionale della risocializzazione del reo: la pena perpetua della reclusione è un “eterno riposo”, che schiaccia con la sua pietra tombale ogni realistica possibilità di risocializzazione del condannato al carcere a vita. È qui che fa breccia un ulteriore dubbio di costituzionalità: a far data almeno dalla sentenza n. 313 del 1990, l'evoluzione ormai compiutasi nella giurisprudenza della Corte costituzionale è nel senso di una presa di distanza dall'originaria concezione polifunzionale della pena, a favore di una valorizzazione in massimo grado della finalità di risocializzazione del reo. Oggi tutti i soggetti che entrano nella dinamica della sanzione penale partecipano di questo medesimo vincolo teleologico: il legislatore, nella fase astratta della previsione normativa, il giudice di cognizione, nella fase della commisurazione della pena, il giudice dell'esecuzione e quello di sorveglianza al pari della Polizia penitenziaria nella fase della sua applicazione; e finanche il Presidente della Repubblica, nell'esercizio del suo potere di fare grazia.

Unitamente al senso di umanità, la finalità rieducativa traccia dunque, in ragione dell'articolo 27, comma 3, della Costituzione, l'orizzonte costituzionale della pena, cui tutte le condanne limitative della libertà personale devono tendere: dove l'accento cade non più sul “tendere”, ma sul “devono”. Questo orientamento del giudice delle leggi è stato messo in sicurezza con la scelta legislativa costituzionale di abolire la pena di morte nell'ordinamento, incondizionatamente, senza sa e senza ma. Ne esce così risolta la contraddizione interna all'originario articolo 27 della Costituzione tra il finalismo rieducativo della pena al comma 3, e la previsione della pena capitale nell'ipotesi delle leggi militari di guerra di cui all'ex comma 4.

Con la pena di morte è caduta l'unica eccezione costituzionalmente prevista al principio secolarizzato del finalismo rieducativo penale, che recupera così la propria natura di autentico paradigma costituzionale. Per la Repubblica italiana, nessuna persona è mai persa per sempre: a tale paradigma vanno dunque commisurate tutte le misure incidenti sulla libertà personale del condannato e sulle modalità della sua reclusione, compreso l'ergastolo. Ora, è evidente a chiunque che, escludendo l'ammissione al rito abbreviato per i delitti puniti con la pena dell'ergastolo, la questione costituzionalmente non eludibile della risocializzazione si porrà nuovamente.

Da ultimo, onorevoli colleghi, non va dimenticato che tale quadro normativo in divenire si innesterà su una condizione cronica di sovraffollamento carcerario: un regime detentivo inumano e degradante, vera e propria pena aggiuntiva, non prevista dalla legge né arrecata da alcun giudice, ad una reclusione già lunghissima e che si vorrebbe tendenzialmente senza fine. Il problema degli spazi di vita nel carcere è intimamente connesso alla connotazione disumanizzante della reclusione, come ha stabilito la Corte di Strasburgo, condannando l'Italia per violazione dell'articolo 3 della CEDU. Al 30 settembre 2018, secondo i dati pubblicati dal Ministero della giustizia, nelle carceri vi sono 59.275 detenuti, su una capienza regolamentare di 50.622, e cioè 8.653 detenuti in soprannumero.

Il quadro va completato con ulteriori dati concernenti il carcere a vita: abolita dall'ordinamento la pena capitale, l'ergastolo rappresenta oggi la sanzione massima tra le pene detentive, frequentemente irrogata dunque e tutt'altro che simbolica. L'elenco dei reati così puniti è lungo, come elevato è altresì il numero dei detenuti ad esso condannati; ed è un ergastolo sempre più afflittivo per coloro che cadono sotto il regime speciale del cosiddetto carcere duro, cioè l'articolo 41-bis dell'ordinamento penitenziario, ai quali sono precluse quelle stesse pene alternative che domani si vorrebbero rendere più difficilmente accessibili a tutti gli ergastolani. Senza dimenticare poi che le ragioni delle vittime e dei loro familiari, se filtrate dalla razionalità e non interessate da retorica compassionevole, sono maggiormente garantite da un giudizio abbreviato che accorcia i tempi processuali, e realizza la legittima aspettativa ad avere giustizia e non vendetta grazie ad una condanna celere, certa ed efficace; peraltro, in caso di ergastolo, mitigata in minima parte.

È di stamani un articolo di stampa che conferisce all'Italia la maglia nera per i processi lumaca. Il rapporto biennale con cui la Commissione europea per la giustizia analizza e raffronta i dati di 45 Paesi non lascia dubbio: in campo civile e commerciale i processi sono durati di più solo in Grecia e in Bosnia-Erzegovina; situazione simile nel settore penale, dove nel primo grado di giudizio vantiamo la peggiore performance europea.

Che fine hanno fatto, allora, le dichiarazioni programmatiche al Parlamento, nel corso delle quali il Ministro della giustizia Bonafede aveva indicato, tra gli obiettivi prioritari, la riduzione della durata dei processi?

Altro problema sollevato dal professor Spangher in sede di audizioni riguarda la fase cautelare. Allungando i tempi dei procedimenti, invece che avere una condanna certa in tempi adeguati, potrebbe accadere che gli imputati, per quei determinati reati puniti con l'ergastolo, tornino nelle more del processo ad essere liberi per decorrenza dei termini di fase, con ciò vanificando del tutto l'esigenza di tutela delle persone offese.

In conclusione, la proposta di legge sembra sottendere ai due precipitati logici. Il prius del sistema penale è l'allarme sociale e l'allarme sociale giustifica l'ergastolo. Tali ideologie, sottostanti ad un certo diritto penale, non possono tuttavia condividersi, perché una regola processuale non può vivere o morire unicamente sulla base della paura sociale. Non è il processo penale lo strumento per rispondere a un presunto allarme sociale. Sostenere che trent'anni di reclusione siano una pena eccessivamente mite significa abbandonare completamente la finalità rieducativa della pena, con buona pace dell'articolo 27 della Costituzione.

Nell'eliminazione di una scelta processuale in risposta ad un presunto allarme sociale, mi pare di trovare, francamente, l'uso populistico del penale e l'esibizione muscolare di buone intenzioni di tutela repressiva oltremodo severa.

Tuttavia, se questa politica legislativa può attirare consensi, allo stesso tempo non può placare le paure che l'hanno alimentata. Io ed il gruppo parlamentare di Forza Italia, al quale con orgoglio appartengo, non potremo mai accettare approcci ideologici alla giustizia, che aprono inquietanti scenari di involuzione. E li contrasteremo con tutti i mezzi e con ogni forma di azione politica, in difesa delle garanzie della libertà di tutti i cittadini e dei valori costituzionali e convenzionali del giusto processo.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Lucaselli. Ne ha facoltà.

YLENJA LUCASELLI (FDI). Grazie, Presidente. A conclusione di questo inizio di discussione, che sicuramente impegnerà quest'Aula molto più di quello che pensiamo, credo che debbano essere dette due cose.

La prima la chiederei, innanzitutto, al presidente della Commissione giustizia. Io chiederei da quale elemento si è riusciti a dire che tutte le vittime sono d'accordo su questa norma. Infatti, noi abbiamo sentito un'associazione che parla delle vittime e, però, io che faccio l'avvocato e sono un avvocato penalista e sono in aula e in aula difendo gli imputati, ma difendo anche le parti civili nei riti abbreviati, mi chiedo: ma siamo assolutamente sicuri che tutte le vittime dei reati sono d'accordo con questo principio? Infatti, il rito abbreviato dà un elemento che il rito ordinario non dà, ovvero evitare la lungaggine del procedimento.

Allora dobbiamo fare, forse, un passo indietro, perché in Italia troppo spesso si cerca di “violentare”. È stato utilizzato questo termine, in audizione dalle camere penali, e devo dire che è un termine che obiettivamente faccio mio, perché c'è l'abitudine e la tendenza a violentare il codice di procedura penale, molto spesso neanche conoscendolo, e però poi non si fanno le norme concrete.

E qual è la norma concreta? Noi pensiamo di riformare il rito abbreviato e non pensiamo, invece, di riformare tutta quella struttura che oggi noi abbiamo sull'esecuzione della pena. Infatti, per una vittima di un reato, non è tanto importante arrivare necessariamente all'ergastolo. È importante che la pena che viene inflitta venga poi, di fatto, eseguita e che quella persona non venga poi rilasciata all'improvviso a circolare per le strade e la si incontri a fare la spesa al supermercato.

Ecco, questo è il vero problema. È il motivo per il quale Fratelli d'Italia ha presentato tutta una serie di emendamenti proprio su questo, ovvero sull'esecuzione della pena. È proprio questo principio, ovvero noi, come al solito, per dimostrare che qualcosa si è fatto o che qualcosa si sta facendo, ci preoccupiamo di stravolgere un impianto, tra l'altro in modo assolutamente incostituzionale.

Io ho letto più volte, nella mia vita, l'articolo 111 della Costituzione, il secondo comma. È di questo che ci dobbiamo preoccupare, perché uno dei pilastri del processo è proprio il principio della ragionevole durata. Ora, quand'è che si ha una ragionevole durata in Italia? Infatti, bisogna fare anche i conti con quello che noi viviamo quotidianamente. I nostri processi non sono processi brevi. Il rito ordinario è un rito complesso, all'interno del quale ci sono fasi che, proprio per le parti civili e proprio per le vittime, sono fasi complesse e complicate, emozionalmente difficili da vivere.

Quindi, il rito abbreviato non può essere visto soltanto come un regalo fatto all'imputato, perché non è questo, non è mai stato questo e non è questo nelle aule di tribunali. Chi in quelle aule ci vive questi principi li conosce bene.

Allora, il punto non è che viene fatto un regalo all'imputato attraverso il rito abbreviato. Il punto è che quel regalo viene fatto alla celerità dei procedimenti. Il motivo è quello ed è solo quello. Il rito abbreviato garantisce una possibilità. Lo dico come chi veramente di riti abbreviati, purtroppo, per reati molto gravi ne ha fatti. Il punto è proprio questo. Il rito abbreviato oggi viene utilizzato proprio nei casi più gravi. Viene utilizzato proprio nei casi più gravi, perché l'impianto accusatorio, in quei reati, è talmente tanto chiaro, in alcuni casi, che la scelta difensiva è obbligata.

Ho sentito oggi una cosa e, sicuramente, da domani ne discuteremo: ho sentito dire che le parti civili, all'interno del rito abbreviato, non esistono. È una affermazione aberrante. Le parti civili esistono, le parti civili partecipano, le parti civili discutono con i pubblici ministeri. Come si fa a dire, in uno Stato di diritto, conoscendo il codice di procedura penale, che le parti civili non esistono? È un'aberrazione del diritto.

Questo è un altro di quegli esempi, in cui la cecità e la frettolosità di chi vuole dimostrare di fare qualcosa, di fatto, poi cozza con la realtà del diritto. Infatti, un diritto in questa nazione esiste, un codice di procedura penale esiste. Allora, bisognerebbe preoccuparsi di riformare e di correggere le cose che in realtà non vanno.

Questo rito abbreviato ha dei profili di incostituzionalità talmente tanto gravi, contro i quali sicuramente andremo a sbattere la testa tutti quanti, perché sono assolutamente trasversali a tutto l'arco costituzionale. Infatti, se si parla di ergastolo, io ho anche necessità di capire poi se stiamo parlando della pena edittale o se stiamo parlando di un reato al quale poi vanno aggiunte le aggravanti. Se parliamo di corte d'assise e, quindi, di competenza di corte d'assise, io ho bisogno di capire quali sono i reati che poi vengono devoluti.

Dopodiché, anche come è scritto, è una scrittura assolutamente generica. Io devolvo alla corte d'assise, cosa? C'è una richiesta? È stata fatta una richiesta? Parte in maniera automatica il procedimento nei confronti della corte d'assise? Ci sono tutta una serie di questioni. Vado molto velocemente, in maniera poco diffusa, perché affronteremo questa discussione quando affronteremo poi gli emendamenti, perché il tempo a mia disposizione è veramente molto poco, ma i profili costituzionali non possono essere superati.

Credo che bisognerebbe fermarsi, bisognerebbe riflettere, bisognerebbe capire che questioni come queste non possono diventare campagna elettorale, non possono diventare motivi di propaganda, perché quando si tratta di modificare l'impianto del codice di procedura penale, bisogna pensare a talmente tanti aspetti e agli effetti di quello che poi si norma. Infatti, a pensare a una norma a carattere generico è facile, siamo bravi tutti, siamo capaci tutti.

Ora, però, noi abbiamo ascoltato le audizioni. Io mi sono presa la briga di andarmele a risentire tutte quante per cultura personale, ma in audizione non c'è stato nessun tecnico del diritto che abbia detto (perché poi è chiaro che, se sentiamo le associazioni, ognuno dice la sua, io però parlo da tecnico e, quindi, ho bisogno di un parere tecnico) che questa norma è una norma che non si andrà a scontrare con i principi della nostra Costituzione. Perché una Carta costituzionale esiste e, anche se qualcuno blatera di togliere i poteri al Presidente e alla Costituzione, questo è il nostro impianto. Ve ne dovete fare una ragione: esiste una Costituzione e contro quella Costituzione ci si va a sbattere. A meno che le norme non si sappiano scrivere.

Questa è una norma scritta male, per cui speriamo che, all'interno del dibattito dell'Aula, questo possa essere modificato e si capisca che non esiste soltanto quello che dicono le associazioni che abbiamo sentito.

Esiste una parte di vittime, se vogliamo metterla da questo punto di vista, che probabilmente è più felice di sapere che le pene che vengono comminate vengono eseguite in maniera rigorosa, piuttosto che impedire l'accesso al rito abbreviato per determinate categorie (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - A.C. 392-A)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare la relatrice, deputata Annarita Tateo.

ANNA RITA TATEO, Relatrice. Rinuncio alla replica, Presidente.

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo. Prego, sottosegretario Morrone.

JACOPO MORRONE, Sottosegretario di Stato per la Giustizia. Presidente, colleghi onorevoli deputati, come tutti sapete, il rito abbreviato è un procedimento speciale nato con finalità deflattiva e rispondente ad esigenze di economia processuale che, sostanzialmente, trasforma l'udienza preliminare da filtro processuale a sede effettiva del giudizio. È in questa sede, infatti, che, su richiesta dell'imputato e senza necessità che il PM esprima il proprio consenso al riguardo, il giudice pronuncia lo stato degli atti e delle indagini preliminari che hanno qui piena valenza probatoria, salvo che ritenga di disporre d'ufficio un'integrazione probatoria o che sia l'imputato stesso a subordinare la richiesta di giudizio abbreviato all'assunzione di una prova ritenuta determinante. Per tali ragioni, il giudizio abbreviato priva inevitabilmente l'imputato del corredo di garanzie di difensive offerto della fase dibattimentale. A tale rinuncia, tuttavia, corrisponde un concreto vantaggio in termini di durata della pena. L'attuale formulazione dell'articolo 442 del codice di procedura penale prevede infatti che, in caso di condanna, la sanzione sia diminuita della metà se si procede per una contravvenzione, e di un terzo se si procede per un delitto, e che alla pena dell'ergastolo sia sostituita quella della reclusione ad anni trenta. È proprio questa automatica riduzione di pena a costituire il punto di partenza da cui si è sviluppata la nuova proposta normativa, pietra miliare del pacchetto “sicurezza e giustizia” che il Governo si è impegnato a realizzare. Sulla base della disciplina vigente, infatti, è venuto meno ogni limite di natura oggettiva per l'applicabilità del rito in questione, che nell'esperienza processuale degli ultimi anni ha consentito la possibilità di accedere a consistenti sconti di pena ai colpevole dei reati più gravi ed efferati, ma non ha sortito l'effetto deflattivo che ne aveva giustificato l'introduzione nell'ordinamento. Oggi vi si ricorre principalmente in assenza di qualsiasi spazio difensivo, ovvero quando si ritiene che il materiale raccolto dal pubblico ministero possa offrire spazi difensivi maggiori rispetto a quelli dibattimentali.

Attualmente non esistono reati che precludono l'applicazione del giudizio abbreviato, il che non è accettabile per quelle condotte che, in ragione della loro gravità, il codice penale stesso punisce tanto severamente, e che creano un grave allarme sociale nell'opinione pubblica. È sconcertante assistere nella pratica all'applicazione di pene notevolmente ridotte rispetto alle iniziali previsioni legislative sulla base di una mera scelta di economia processuale. Ecco, allora, che l'obiettivo che si intende perseguire attraverso la proposta di legge in esame è quello di rivedere l'istituto del rito abbreviato, al fine di renderlo inapplicabile ai delitti per i quali la legge prevede la pena dell'ergastolo, conseguentemente non consentendo per tali reati la diminuzione della pena concessa al rito stesso. Tale preclusione non sarebbe tuttavia assoluta, poiché sarà sempre consentita all'imputato la facoltà di richiedere il giudizio abbreviato a fronte di una diversa qualificazione del fatto come reato per il quale la legge non prevede l'ergastolo.

PRESIDENTE. La ringrazio. Avverto che, a norma dell'articolo 40, comma 1, del Regolamento è stata presentata la questione pregiudiziale di costituzionalità Conte, Fornaro n. 1, che sarà esaminata e posta in votazione prima di passare all'esame degli articoli del provvedimento.

Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Interventi di fine seduta.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Carlo Fatuzzo. Ne ha facoltà.

CARLO FATUZZO (FI). Signor Presidente, il mio intervento non ha nulla a che vedere con quanto abbiamo discusso fino ad adesso, anche se, curiosamente, ha a che fare con reati e cose del genere (cose naturalmente importantissime). Devo, in questa occasione, parlare della buona azione di un produttore di vini che nella sua tenuta, nell'Isola di Gorgona, ha consentito che lavorassero nella vigna di cui è proprietario detenuti del carcere colà ubicato, per venire incontro proprio alle istanze di pene che portino alla rieducazione del condannato.

Intervistato dal Corriere della Sera, egli dichiara che ha ampliato il vigneto affittando altri ettari di demanio e, a rotazione, ha assunto, con regolare stipendio da operaio, 18 detenuti scelti dalla direttrice in base alla condotta, escludendo soltanto i 41-bis e i condannati per reati sessuali. Il risultato sono 5.000 bottiglie all'anno di un grande bianco, che abbiamo chiamato - dice costui - “Gorgona”. Si sa che i pensionati hanno un buon rapporto con il vino, quindi io felicemente ho voluto dare un segno di approvazione e di lode al Marchese Frescobaldi. Credo che meriti anche di essere citato. Viva i pensionati! Pensionati, all'attacco!

Sui lavori dell'Assemblea.

PRESIDENTE. Avverto che con lettera del 19 ottobre 2018, il presidente della Commissione lavoro ha comunicato che, a seguito della riunione dell'ufficio di presidenza integrato dai rappresentanti dei gruppi, è emerso un orientamento prevalente nel senso di chiedere la posticipazione dell'avvio della discussione in Assemblea delle proposte di legge in materia di ricalcolo dei trattamenti pensionistici, proposta n. 1071 ed abbinate, il cui esame è previsto dal vigente calendario dei lavori a partire da lunedì 29 ottobre. Il provvedimento non sarà pertanto iscritto all'ordine del giorno delle sedute della prossima settimana e la sua eventuale futura calendarizzazione sarà disposta dalla Conferenza dei presidenti di gruppo.

Ha chiesto di parlare sull'ordine dei lavori la deputata Wanda Ferro. Ne ha facoltà.

WANDA FERRO (FDI). Presidente, a nome del gruppo di Fratelli d'Italia, con i colleghi che fanno parte della Commissione competente abbiamo più volte manifestato la nostra contrarietà ad una scelta secondo noi sbagliata, ad una scelta che in qualche modo non condividiamo, perché è un provvedimento che era stato più volte sollecitato attraverso le tante battaglie fatte da Giorgia Meloni e dal gruppo tutto. Soprattutto, siamo un po' stupefatti rispetto ad una scelta che ci sembra improbabile e soprattutto che ci fa porre dei quesiti, come cosa ha fatto per un mese e mezzo la Commissione che ha lavorato, anche grazie a colleghi come Rizzetto, con grande disponibilità, ma con i tanti colleghi che hanno messo in campo idee, programmi, progetti e mozioni. Che fine faranno tutte le audizioni che si sono tenute in Commissione? Ci direte che andrà in un prossimo provvedimento, ma ormai Fratelli d'Italia ha imparato a non credere a questo Governo giallo-verde. Troppe volte gli impegni non sono stati mantenuti: impegni di programma, impegni con i cittadini, impegni che in qualche modo hanno visto battaglie importanti essere portate avanti. Un po' una gestione di un Governo camaleontico, che cambia di volta in volta e che tende - ahimè - a nascondere la polvere sotto il tappeto. Viene fuori tutta la grande contraddizione tra le due forze che oggi governano questo nostro Paese rispetto al problema delle pensioni d'oro e dove ci sono sicuramente visioni contrastanti.

Allora, nell'esprimere la nostra contrarietà, riteniamo che questo sia il tempo del coraggio, non più degli slogan, il tempo in cui, in qualche modo, quella primavera che avete promesso agli italiani venga fuori un po' con quella logica che a noi ci appartiene storicamente, delle idee che diventano azioni. Qua mi pare che non ci siano le idee e tanto meno le azioni. Allora, rispetto a quella primavera che voi in qualche modo più volte ci avete richiamato anche nelle piazze, nelle strade e nei bar, vi vogliamo soltanto sottolineare che saremo contrari rispetto a questa scelta, che continueremo, ovviamente, su questo provvedimento a fare il nostro ma, soprattutto, così come riportava una frase su un muro - e non era sicuramente un'opera di writer, ma di un imbrattatore - proprio sulla primavera, vi diciamo che potete tagliare tutti i fiori, ma non fermerete la primavera e sarà la primavera di chi, come noi, quello che dice poi alla fine lo mette in atto (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. Ovviamente, la Presidenza prende atto delle sue istanze.

Ordine del giorno della prossima seduta.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.

Martedì 23 ottobre 2018 – Ore 11

1.  Svolgimento di una interpellanza e interrogazioni

(ore 16)

2.  Seguito della discussione della proposta di legge:

CALABRIA ed altri: Misure per prevenire e contrastare condotte di maltrattamento o di abuso, anche di natura psicologica, in danno dei minori nei servizi educativi per l'infanzia e nelle scuole dell'infanzia e delle persone ospitate nelle strutture socio-sanitarie e socio-assistenziali per anziani e persone con disabilità e delega al Governo in materia di formazione del personale (ai sensi dell'articolo 107, comma 1, del Regolamento). (C. 1066-A)

e delle abbinate proposte di legge: BRAMBILLA; RAMPELLI ed altri; CALABRIA ed altri; DALL'OSSO ed altri. (C. 20-329-480-552)

Relatrici: Dieni, per la I Commissione e Murelli, per la XI Commissione.

3.  Seguito della discussione delle mozioni Conte ed altri n. 1-00061, Pezzopane ed altri n. 1-00063, Lollobrigida ed altri n. 1-00064, D'Uva e Molinari 1-00065 e Carfagna ed altri n. 1-00066 concernenti iniziative per il rilancio del Mezzogiorno.

4.  Seguito della discussione della proposta di legge (previo esame e votazione della questione pregiudiziale di costituzionalità presentata): MOLTENI ed altri: Inapplicabilità del giudizio abbreviato ai delitti puniti con la pena dell'ergastolo. (C. 392-A)

e dell'abbinata proposta di legge: MORANI. (C. 460)

Relatrice: Tateo.

La seduta termina alle 18,35.