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Resoconto dell'Assemblea

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XVIII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 53 di lunedì 1° ottobre 2018

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE FABIO RAMPELLI.

La seduta comincia alle 15.

PRESIDENTE. La seduta è aperta.

Invito il deputato segretario a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

LUCA PASTORINO , Segretario, legge il processo verbale della seduta del 26 settembre 2018.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Battelli, Benvenuto, Bonafede, Brescia, Buffagni, Castelli, Castiello, Cirielli, Colucci, Cominardi, Davide Crippa, D'Incà, D'Uva, Del Re, Delrio, Luigi Di Maio, Di Stefano, Durigon, Fantinati, Ferraresi, Fioramonti, Gregorio Fontana,   Lorenzo Fontana, Fraccaro, Fugatti, Galli, Gallinella, Garavaglia, Gava, Gelmini, Giachetti, Giorgetti, Grande, Grillo, Guerini, Lollobrigida, Lorefice, Losacco, Manzato, Micillo, Molteni, Morelli, Morrone, Picchi, Rixi, Ruocco, Carlo Sibilia, Spadafora, Spadoni, Tateo, Tofalo, Vacca, Valente, Villarosa e Raffaele Volpi sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.

I deputati in missione sono complessivamente sessantuno, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna).

Annunzio della presentazione di un disegno di legge di conversione e sua assegnazione a Commissioni riunite in sede referente.

PRESIDENTE. Il Ministro per i rapporti con il Parlamento e la democrazia diretta, con lettera in data 28 settembre 2018, ha presentato alla Presidenza il seguente disegno di legge, che è stato assegnato, ai sensi dell'articolo 96-bis, comma 1, del Regolamento, in sede referente, alle Commissioni riunite VIII (Ambiente) e IX (Trasporti):

"Conversione in legge del decreto-legge 28 settembre 2018, n. 109, recante disposizioni urgenti per la città di Genova, la sicurezza della rete nazionale delle infrastrutture e dei trasporti, gli eventi sismici del 2016 e 2017, il lavoro e le altre emergenze" (1209) - Parere delle Commissioni I, II (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per le disposizioni in materia di sanzioni), IV, V, VI (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, per gli aspetti attinenti alla materia tributaria), VII, X, XI (ex articolo 73, comma 1-bis, del Regolamento, relativamente alle disposizioni in materia previdenziale), XIII e XIV.

Il suddetto disegno di legge, ai fini dell'espressione del parere previsto dal comma 1 del predetto articolo 96-bis, è stato altresì assegnato al Comitato per la legislazione.

Discussione della proposta di legge: Salafia ed altri: Disposizioni in materia di azione di classe (A.C. 791-A) (ore 15,05).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della proposta di legge Salafia ed altri n. 791-A: Disposizioni in materia di azione di classe.

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta del 28 settembre 2018 (Vedi l'allegato A della seduta del 28 settembre 2018).

(Discussione sulle linee generali - A.C. 791-A)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Avverto che il presidente del gruppo parlamentare Forza Italia-Berlusconi Presidente ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.

Avverto, altresì, che la II Commissione (Giustizia) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire la relatrice per la maggioranza, deputata Angela Salafia.

ANGELA SALAFIA, Relatrice per la maggioranza. Grazie. Onorevoli colleghi, l'Assemblea avvia oggi l'esame della proposta di legge a mia prima firma, che reca: “Disposizioni in materia di azione di classe”. Tale proposta di legge persegue l'obiettivo di potenziare lo strumento attualmente disciplinato dall'articolo 140-bis del Codice del consumo, di cui al decreto legislativo n. 206 del 2005, allargandone l'ambito di applicazione soggettivo ed oggettivo.

Il provvedimento è stato oggetto di un'ampia e articolata attività conoscitiva da parte della Commissione di merito, che ha proceduto all'espletamento di un ciclo di audizioni con il coinvolgimento di rappresentanti di Confindustria, di Confcommercio, dell'Associazione nazionale fra le imprese assicuratrici, dell'Associazione bancaria italiana, dell'Associazione nazionale magistrati, del Consiglio nazionale dei consumatori e degli utenti, nonché di docenti universitari esperti della materia.

All'esito dell'istruttoria svolta dalla Commissione, che ha tenuto conto di molti dei rilievi e delle osservazioni emersi nel corso dell'indagine conoscitiva, il testo originario del provvedimento, che riproponeva integralmente quello della proposta di legge approvato dalla Camera dei deputati nella scorsa legislatura (A.C. 1335, Bonafede), è stato sensibilmente modificato al fine di rafforzarne ulteriormente l'impianto complessivo.

L'azione di classe, infatti, è stata resa oltremodo più incisiva, laddove sono state introdotte disposizioni tese all'ampliamento sia delle situazioni giuridiche tutelate, sia degli stessi strumenti di tutela. Al provvedimento in esame si applicano integralmente i principi generali previsti nel codice di procedura civile, nonché del testo unico sulle spese di giustizia, di cui al DPR n. 115 del 2002.

Ciò premesso, nel passare all'illustrazione dei contenuti della proposta di legge, nel testo risultante dagli emendamenti approvati dalla Commissione di merito, segnalo che l'articolo 1 introduce nel codice di procedura civile un nuovo Titolo VIII-bis,Dei procedimenti collettivi, composto da quindici nuovi articoli, dall'articolo 840-bis all'articolo 840-sexiesdecies. Il nuovo titolo è inserito alla fine del libro IV, dedicato ai procedimenti speciali, e dunque in coda al codice di procedura civile.

In particolare, l'articolo 840-bis del codice di procedura civile amplia l'ambito di applicazione soggettivo e oggettivo dell'azione di classe, eliminando anzitutto ogni riferimento a consumatori e utenti. L'azione sarà sempre esperibile da tutti coloro che avanzino pretese risarcitorie in relazione a lesioni di diritti individuali omogenei, ma non ad interessi collettivi. L'azione sarà, quindi, nella titolarità di ciascun componente della classe, nonché delle organizzazioni o associazioni senza scopo di lucro, che hanno come scopo la tutela dei suddetti diritti e che sono iscritte in un elenco tenuto dal Ministero dello Sviluppo economico. A tal fine, entro 180 giorni dall'entrata in vigore della riforma, dovrà essere emanato un decreto attuativo.

Viene poi ampliato l'ambito di applicazione oggettivo dell'azione, che è esperibile a tutela delle situazioni soggettive maturate a fronte di condotte lesive per l'accertamento della responsabilità e la condanna al risarcimento del danno e alle restituzioni. Il testo individua, come destinatari dell'azione di classe, imprese ed enti gestori di servizi pubblici o di pubblica utilità, relativamente ad atti e comportamenti posti in essere nello svolgimento delle attività.

L'articolo 840-ter del codice di procedura civile disciplina la proposizione della domanda e il giudizio di ammissibilità. In primo luogo, il giudice competente a conoscere l'azione di classe è individuato nella sezione specializzata in materia di impresa del tribunale, cosiddetto tribunale delle imprese, del luogo ove ha sede il convenuto. La domanda si propone con ricorso e il procedimento, regolato del rito sommario di cognizione, è definito con sentenza. Per garantire idonea pubblicità alla procedura, il ricorso dovrà essere pubblicato su un apposito portale del Ministero della Giustizia.

L'articolo 840-quater del codice di procedura civile disciplina l'eventuale pluralità di azioni di classe aventi il medesimo oggetto. La disposizione prevede che, decorsi 60 giorni dalla pubblicazione del ricorso sul portale, non possono essere presentate ulteriori azioni di classe basate sui medesimi fatti e rivolte nei confronti del medesimo convenuto, pena la cancellazione dal ruolo. Il divieto non opera se l'azione di classe originaria è dichiarata inammissibile o è definita con provvedimento che non decide nel merito. La riforma fa salva la proponibilità di azioni di classi a tutela di diritti che non potevano essere fatti valere alla scadenza del suddetto termine di 60 giorni.

Gli articoli 840-quinquies e 840-sexies del codice di procedura civile disciplinano il procedimento e la sentenza che accoglie l'azione di classe. In tale ambito, assumono fondamentale ruolo le nuove modalità di adesione all'azione, che attualmente il Codice del consumo prevede come possibili solo dopo l'ordinanza che ammette l'azione, ma non a seguito della sentenza di merito. In particolare, la riforma prevede che l'adesione possa avvenire sia nella fase immediatamente successiva all'ordinanza che ammette l'azione, sia in quella successiva alla sentenza che definisce il giudizio. La sentenza emessa dal tribunale delle imprese che accoglie l'azione di classe ha natura di accertamento della responsabilità del convenuto, definisce i caratteri dei diritti individuali omogenei che consentono l'inserimento nella classe, individuando la documentazione che dovrà essere prodotta dagli aderenti. La sentenza è pubblicata sul portale telematico entro 15 giorni dal deposito.

Le modalità di adesione all'azione di classe sono indicate dal successivo articolo 840-septies del codice di procedura civile, che delinea una procedura informatizzata nell'ambito del portale dei servizi telematici gestito dal Ministero della Giustizia.

La fase successiva dell'azione di classe, nella quale il giudice delegato accoglie le domande di adesione e condanna con decreto il convenuto al pagamento delle somme dovute è, invece, disciplinato dall'articolo 840-octies del codice di procedura civile. Si tratta di una fase introdotta dalla riforma. Il codice del consumo, infatti, prevede attualmente che sia direttamente il tribunale, con la sentenza di condanna, a liquidare in via equitativa le somme dovute agli aderenti all'azione oppure a stabilire un criterio omogeneo di calcolo per la loro liquidazione. Solo in quest'ultimo caso se non vi è accordo sul quantum del risarcimento il giudice, su istanza di almeno una parte, liquida le somme dovute ai singoli aderenti. L'articolo 840-octies prevede il seguente procedimento: entro 120 giorni dallo spirare del termine per aderire all'azione e, dunque, dopo la presentazione delle domande di adesione, il convenuto ha la possibilità di prendere posizione su ciascuna domanda depositando memoria difensiva. I fatti dedotti dall'aderente e non specificatamente contestati dal convenuto nei termini si danno per ammessi. Entro i successivi 90 giorni il rappresentante comune degli aderenti predispone e deposita un progetto dei diritti individuali omogenei, prendendo posizione su ciascuna domanda individuale. Il progetto è comunicato agli aderenti e al convenuto. Per la valutazione dei fatti dedotti da ciascuno degli aderenti il rappresentante comune può chiedere eventualmente al tribunale la nomina di esperti. Entro 30 giorni dalla comunicazione del progetto gli aderenti possono depositare ulteriore documentazione e osservazioni. Il giudice delegato decide, infine, con decreto motivato sull'accoglimento, anche parziale, delle domande di adesione e condanna il convenuto al pagamento delle somme dovute ad ogni aderente. Il decreto del giudice costituisce titolo esecutivo ed è comunicato agli aderenti, al convenuto, al rappresentante comune e all'avvocato difensore dell'attore. A favore del difensore di cui l'aderente si sia avvalso è dovuto un compenso che sarà determinato con decreto del Ministro della giustizia, da emanarsi nel rispetto delle procedure previste dalla legge n. 247 del 2012, di riforma della professione forense. Se il convenuto provvede spontaneamente al pagamento, versa le somme dovute in un conto corrente intestato alla procedura. Spetterà al giudice ordinare il pagamento delle somme sulla base del piano di riparto predisposto dal rappresentante comune (articolo 840-duodecies del codice di procedura civile). Se, al contrario, il convenuto non adempie, anche la procedura di esecuzione forzata può essere esercitata in forma collettiva attraverso il rappresentante comune, ai sensi dell'articolo 840-terdecies del codice di procedura civile. La chiusura della procedura di adesione all'azione avviene con decreto motivato del giudice delegato reclamabile, quando tutte le pretese sono soddisfatte, ovvero quando non è più possibile conseguire un ragionevole soddisfacimento, anche tenuto conto dei costi della procedura. In tal caso gli aderenti riacquistano il libero esercizio delle azioni verso il debitore per la parte dei loro crediti non soddisfatta.

L'articolo 840-novies del codice di procedura civile disciplina il compenso derivante dalla cosiddetta “quota lite”, cioè una somma che, a seguito del decreto del giudice delegato, il convenuto deve corrispondere al rappresentante comune degli aderenti e al difensore dell'attore. Si tratta di un compenso ulteriore, quindi, rispetto alla somma che il convenuto dovrà pagare a ciascun aderente come risarcimento. Tale somma costituisce una percentuale dell'importo complessivo che il convenuto dovrà pagare, calcolata in base al numero dei componenti la classe e in misura inversamente proporzionale - la percentuale scende all'aumentare del numero dei componenti - sulla base di sette scaglioni.

Gli articoli 840-decies e 840-undecies del codice di procedura civile riguardano le impugnazioni rispettivamente della sentenza che decide sull'azione di classe e del decreto che liquida le somme dovute agli aderenti all'azione. L'articolo 840-decies prevede la pubblicazione nell'area pubblica del portale telematico del Ministero della giustizia sia degli atti di impugnazione della sentenza che accoglie l'azione di classe sia dei provvedimenti che decidono sulle impugnazioni. La sentenza può essere impugnata dagli aderenti per revocazione anche quando la stessa sia ritenuta effetto della collusione tra le parti. L'articolo 840-undecies prevede l'impugnazione del decreto del giudice delegato di liquidazione delle somme dovute a ciascun aderente. Il gravame assume qui la forma del ricorso, che non sospende, però, l'esecuzione del decreto, salvo che il tribunale non disponga diversamente, in presenza di gravi e fondati motivi.

L'articolo 840-quaterdecies interviene su un altro aspetto non trattato dal codice del consumo, disciplinando gli accordi transattivi tra le parti. In particolare, viene stabilito che fino alla precisazione delle conclusioni il tribunale può formulare una proposta transattiva o conciliativa alle parti e che, dopo la sentenza che accoglie l'azione, il rappresentante comune degli aderenti può stipulare analogo accordo transattivo comunicato agli aderenti. In questo caso spetta al giudice delegato valutare gli interessi degli aderenti ed eventualmente autorizzare il rappresentante comune a procedere alla transazione. La disposizione sugli accordi transattivi si applica anche quando l'azione è promossa da un'organizzazione o da un'associazione e l'accordo può riferirsi anche al risarcimento del danno o alle restituzioni in favore degli aderenti che abbiano accettato l'accordo.

Infine, in chiusura del nuovo titolo del codice di procedura civile dedicato ai procedimenti collettivi, l'articolo 840-sexiesdecies del codice di procedura civile disciplina l'azione inibitoria collettiva, con conseguente abrogazione degli articoli 139 e 140 del codice del consumo, che ne dettano oggi la procedura. In base alla riforma, con l'azione inibitoria collettiva chiunque abbia interesse - nonché le organizzazioni o le associazioni iscritte nel registro del Ministero dello sviluppo economico - può chiedere al giudice di ordinare a imprese o enti gestori di servizi di pubblica utilità la cessazione di un comportamento lesivo di una pluralità di individui ed enti commesso nello svolgimento delle rispettive attività o il divieto di reiterare una condotta commissiva o omissiva. La competenza è attribuita alle sezioni specializzate per l'impresa e si prevede l'applicazione del rito camerale. La riforma consente l'adesione all'azione collettiva nelle forme del precedente articolo 840-quinquies del codice di procedura civile.

L'articolo 2 della proposta di legge interviene sulle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile, introducendovi un apposito Titolo V-bis formato dal solo articolo 196-bis dedicato ai procedimenti collettivi. La disposizione disciplina le comunicazioni che devono essere effettuate dalla cancelleria della sezione specializzata e le attività che devono essere svolte dal portale dei servizi telematici del Ministero della giustizia.

L'articolo 3 modifica il testo unico in materia di documentazione amministrativa - DPR n. 445 del 2000 - per applicare le norme penali ivi previste anche alle attestazioni false rese nell'ambito della procedura di adesione all'azione di classe. Pertanto, l'articolo 76 del citato DPR sanzionerà anche chi, nel presentare la domanda di adesione all'azione di classe, rilascia dichiarazioni mendaci.

L'articolo 4 concerne la clausola di invarianza finanziaria, stabilendo che l'attuazione delle disposizioni della legge avvengono nell'ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali previste a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

L'articolo 5 dispone in ordine all'entrata in vigore della legge, che viene posticipata di dodici mesi rispetto alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, per consentire al Ministero della giustizia di adeguare i sistemi informativi al compimento delle attività processuali richieste dalla proposta di legge.

L'articolo 6 della proposta di legge prevede per coordinamento l'abrogazione della disciplina dell'azione di classe attualmente contenuta nell'articolo 140-bis del codice del consumo unitamente alle procedure per la tutela inibitoria collettiva previste dagli articoli 139 e 140 dello stesso codice.

Infine, l'articolo 7 integra l'elenco delle controversie di competenza delle sezioni specializzate per l'impresa, di cui al decreto legislativo n. 168 del 2003, con i procedimenti collettivi disciplinati dal nuovo Titolo VIII-bis del codice di procedura civile. Tale articolo modifica inoltre il decreto legislativo n. 3 del 2017 in tema di azioni per il risarcimento del danno derivante da violazioni del diritto della concorrenza, sostituendo il rinvio all'azione di classe disciplinata dal codice del consumo con quello al nuovo Titolo VIII-bis del codice di rito civile.

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire la relatrice di minoranza, deputata Giusi Bartolozzi.

GIUSI BARTOLOZZI, Relatrice di minoranza. Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, in un ordinamento moderno il riconoscimento della class action rappresenta un'importante evoluzione sul piano culturale e giuridico. L'istituto, infatti, agevola la tutela di una pluralità di soggetti danneggiati da una stessa condotta illecita, oltre a realizzare obiettivi di economia processuale. Ma è importante che l'azione non sia concepita e disciplinata come uno strumento di carattere punitivo nei confronti delle imprese, bensì di tutela ulteriore rispetto a quella ordinaria esistente di matrice privatistica. Equità ed equilibrio costituiscono le basi per delineare un modello di class action efficace e orientato al principale obiettivo, che è di ovviare all'apatia razionale del soggetto danneggiato, il quale, per l'esiguità del pregiudizio subito o per la sproporzione dei rapporti col danneggiante, non agirebbe in assenza di uno strumento di aggregazione processuale.

Ciò premesso, la proposta di legge in esame sconta una serie di criticità, figlie del medesimo pregiudizio ideologico, l'atteggiamento sospettoso e punitivo nei confronti del mondo imprenditoriale. La tutela dei consumatori è certamente un'esigenza fondamentale, che va ribadita con forza e perseguita mediante norme che agevolino la tutela dei diritti della parte debole. È altrettanto certo, però, che l'obiettivo possa essere perseguito anche senza approcci vessatori, che finiscono per moltiplicare esponenzialmente il contenzioso, aggravare ingiustificatamente gli oneri probatori ed economici a carico delle imprese ed esporle sine die a sanzioni draconiane. Questa è infatti la deriva inevitabile cui porterebbe, se approvata nel testo in esame, la proposta di legge in materia di class action.

Ad essa non può cedersi a cuor leggero, tanto più che l'Italia è parte integrante del mercato unico europeo. I principi introdotti riverbererebbero i loro effetti negativi sui consumatori e sulle imprese di tutta Europa, sollevando numerosi dubbi di legittimità rispetto ai parametri del diritto comunitario. In questa prospettiva il testo dovrà necessariamente coordinarsi con il pacchetto New Deal per i consumatori proposto recentemente dalla Commissione europea, al fine di garantire che tutti i consumatori godano pienamente dei diritti riconosciuti loro dalla legislazione dell'Unione. Il New Deal dovrebbe consentire a soggetti riconosciuti di avviare azioni rappresentative in nome e per conto dei consumatori, conferire alle autorità nazionali preposte alla tutela poteri sanzionatori più incisivi ed estendere la protezione all'ambiente online, vietando le pratiche di doppio standard qualitativo che possono trarre in inganno.

Poste queste premesse generali e venendo alle specifiche criticità del testo, si rileva un vero e proprio campionario di aberrazioni giuridiche, che travalicano troppo spesso il segno del ragionevole contemperamento tra gli interessi in campo e sfociano, non di rado, proprio a causa dell'eccesso di impeto, nell'eterogenesi dei fini. Innanzitutto, la mancata previsione del principio dell'irretroattività dell'azione, quando, al contrario, sarebbe necessario che le nuove disposizioni si applicassero ai fatti commessi dopo la loro entrata in vigore. Il testo in esame prevede, infatti, che la nuova normativa, densa di risvolti procedurali e prima ancora sostanziali, sia retroattiva anche in relazione a fatti e comportamenti antecedenti alla sua entrata in vigore. Oltre a creare gravi incertezze e problemi di coordinamento, si viola così una regola di civiltà dello Stato di diritto, sebbene non costituzionalizzata, salvo che in ambito penale: quella secondo cui la legge non dispone che per l'avvenire.

Regola che, a quanto pare, sembra essere stata smarrita. Assumono fondamentale rilievo le nuove modalità di adesione all'azione, che attualmente il codice del consumo prevede come possibile solo dopo l'ordinanza che ammette l'azione, ma non a seguito della sentenza di merito. Il testo all'esame, al contrario, prevede che l'adesione possa avvenire in due distinti momenti: nella fase immediatamente successiva all'ordinanza che ammette l'azione e nella fase successiva alla sentenza che definisce il giudizio. Ciò comporta una perdurante incertezza sulle dimensioni della classe e, quindi, sull'impatto che il giudizio può avere sulla parte convenuta, con l'impossibilità di approntare le cautele di ordine anche economico e contabile necessarie a far fronte ad una eventuale soccombenza. Peraltro, ciò riduce drasticamente la definizione in via transattiva delle controversie, dal momento che anche questa opportunità presuppone per l'impresa di poter contare su un perimetro certo di danneggiati aderenti. Non per ultimo, tale meccanismo viola il principio della parità delle posizioni processuali, in quanto azzera di fatto il rischio di soccombenza di coloro che sceglieranno di aderire solo dopo la pronuncia favorevole, e lede il diritto di difesa, poiché il convenuto avrebbe contezza del numero dei soggetti che vantano una pretesa risarcitoria solo dopo la conclusione della causa.

Senza contare il rischio di incentivare comportamenti opportunistici da parte di coloro che potranno attenderne l'evoluzione e valutare, in funzione dell'esito, se aderirvi o meno, vanificando nei fatti il meccanismo di opt-in. Anche l'ambito oggettivo dell'azione subisce un ingiustificato allargamento. Il testo in esame prevede, infatti, che l'azione sia esperibile a tutela delle situazioni soggettive maturate a fronte di condotte lesive per l'accertamento della responsabilità e per la condanna al risarcimento del danno e alle restituzioni. Tale estensione del giudizio di classe a tutte le ipotesi di responsabilità extracontrattuale, oltre che contrattuale, risulta incompatibile con la ratio dell'istituto, idoneo a tutelare situazioni omogenee da aggregare in un'unica sede processuale. Si consente, poi, di agire ad organizzazioni o associazioni senza scopo di lucro senza requisiti individuati dal legislatore in ordine alla loro stabilità e rappresentatività.

Questa scelta normativa consente di creare scatole ad hoc al solo fine di alimentare il contenzioso; di fatto, aumenteranno i procedimenti giudiziari e non si tuteleranno gli interessi degli stessi consumatori, che rischiano di affidarsi inconsapevolmente a strutture aggregative del tutto instabili e assolutamente incapaci di rappresentarne appieno gli interessi. Le proposte di Forza Italia tese ad individuare i criteri di qualificazione che organizzazioni e associazioni devono possedere in ordine a requisiti partecipativi, qualificativi e organizzativi sono state rigettate, e al loro posto figura una semplice delega in bianco al Ministero dello Sviluppo economico.

Il testo all'esame, poi, incentiva la moltiplicazione dei processi mediante misure fortemente premiali verso iniziative che paiono meramente opportunistiche. In caso di condanna, la parte convenuta è tenuta a pagare, in aggiunta al risarcimento del danno, un compenso diretto ed ulteriore di natura premiale all'avvocato dell'attore, al rappresentante comune della classe, che spesso è lo stesso avvocato dell'attore, e ai difensori degli attori delle cause riunite risultanti vittoriosi. Tale modalità di strutturazione del compenso, a tacer d'altro, si pone in contrasto con le previsioni della raccomandazione della Commissione europea sui meccanismi di ricorso collettivo, che, con riferimento alla definizione degli onorari degli avvocati e al relativo metodo di calcolo, puntualizza proprio la necessità che essi non creino incentivi alla litigiosità. Ed ancora, spetta sempre alla parte convenuta anticipare e corrispondere in via definitiva i costi necessari per l'espletamento della consulenza tecnica d'ufficio, in contrasto con il principio giurisprudenziale secondo cui tali spese devono essere anticipate in giudizio dalla parte che richiede la consulenza e poi poste definitivamente a carico della parte che alla fine soccombe. Tale disposizione sembra, infatti, non tenere conto della natura della CTU e, più in generale, della disciplina delle spese di lite.

La CTU, infatti, è una prestazione effettuata in funzione di un interesse comune delle parti del giudizio in cui è resa e, più in generale, nell'interesse superiore della giustizia, per cui il relativo compenso è solidalmente a carico di tutte le parti. Peraltro, la giurisprudenza fa salvo il principio della soccombenza, accollando il pagamento delle spese per la CTU alla parte, appunto, soccombente, ovvero consentendo alla parte vittoriosa di rivalersi su di essa. La parte attorea beneficerà, poi, di un regime probatorio agevolato, che consente al giudice di avvalersi di dati statistici e presunzioni semplici per accertare la responsabilità del convenuto, nonché agli aderenti di soddisfare il proprio onere probatorio mediante dichiarazioni rese da terzi, senza che il giudice o il convenuto possano verificarne l'attendibilità e la veridicità. Ciò in spregio alle previsioni di cui all'articolo 2697 del codice civile, secondo cui chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provarne i fatti che ne costituiscono il fondamento. Il testo all'esame si presenta, quindi, quale proposta di legge disarmonica e del tutto inidonea a disincentivare la litigiosità. E qui corre l'obbligo di fare un ulteriore passaggio per i colleghi dell'Aula: quando il provvedimento è approvato in Commissione giustizia, unicamente il gruppo di Forza Italia ha chiesto a gran voce la riapertura dell'esame del testo a mezzo delle audizioni, di cui narrava prima la relatrice di maggioranza, di esperti non solo del mondo imprenditoriale, ma anche accademico. La richiesta, necessitata dall'assoluta approssimazione testuale della proposta, è stata avversata dalla relatrice di maggioranza, lo ricordo bene e lo ricorderà anche lei, che in più occasioni ha ribadito la corsia preferenziale che il testo avrebbe dovuto avere in Commissione proprio a causa dell'approvazione a maggioranza nella passata legislatura. Silenti, perché evidentemente in imbarazzo, gli amici della Lega, Forza Italia è stato l'unico gruppo che ha motivato argomentatamente circa la necessità di un ulteriore approfondimento istruttorio.

E che la richiesta fosse più che legittima lo dimostra il numero degli emendamenti depositati non solo da Forza Italia, nel numero di 52, ma anche proprio dal MoVimento 5 Stelle, in numero di 43, di cui la gran parte a firma della relatrice. È proprio quella relatrice che sbrigativamente aveva o voleva licenziare il testo. Quindi, il testo originale non era assolutamente un buon testo normativo, ma, ahimè, non lo è neanche quello all'esame dell'Aula. Troppe norme pongono a carico dei convenuti una serie di oneri, insidie, nonché vere e proprie punizioni giudiziali, che finiscono per ledere gravemente lo stesso diritto fondamentale alla difesa in giudizio, all'interno del quale confluiscono, peraltro, la parità delle armi, il diritto al contraddittorio, il diritto alla prova, il diritto alla terzietà e imparzialità del giudice, gli articoli 24 della Costituzione, 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, 48 e 49 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea.

Il rischio è che tali norme si espongano a censure di costituzionalità oppure determinino condanne da parte della Corte di giustizia dell'Unione europea e della Corte europea dei diritti dell'uomo. Siamo ancora in tempo, colleghi, ad intervenire con equità ed equilibrio, e così licenziare un testo normativo che rappresenti davvero un rafforzamento di tutele per i consumatori ed anche per il mondo produttivo. Solo così si potrà contribuire a delineare un modello di class action idoneo a tutelare realmente i diritti dei consumatori e, al contempo, evitare comportamenti opportunistici in danno delle imprese. Si tratta di tematiche che abbiamo a cuore per l'attenzione che Forza Italia ha sempre riservato al mondo produttivo (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).

PRESIDENTE. Ha facoltà di intervenire il rappresentante del Governo, sottosegretario alla giustizia, Vittorio Ferraresi: prendo atto che si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito. È iscritta a parlare la deputata Valentina D'Orso. Ne ha facoltà.

VALENTINA D'ORSO (M5S). Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, per ben comprendere la rilevanza del testo di legge in discussione, appare opportuno, se non necessario, in via preliminare, ripercorrere brevemente le tappe più significative della sua gestazione. Durante la scorsa legislatura, precisamente nel luglio 2013, veniva presentata dal MoVimento 5 Stelle, allora forza di opposizione, la proposta di legge Atto Camera n. 1335, a prima firma dell'attuale Ministro della giustizia, recante modifiche al codice di procedura civile e abrogazione dell'articolo 140-bis codice del consumo, di cui al decreto legislativo n. 206 del 2005 in materia di azione di classe; la proposta si prefiggeva quale obiettivo il potenziamento dell'azione di classe, già in precedenza introdotta all'articolo 140-bis del codice del consumo, finalità che veniva, quantomeno “labialmente”, condivisa sin da subito anche dall'allora maggioranza di Governo. La proposta di legge veniva quindi incardinata in Commissione giustizia presso questa Camera, e dopo una compiuta istruttoria che dava ampio spazio all'audizione di numerosi professori universitari, associazioni di categoria, sia di imprese che di consumatori altamente rappresentative, veniva arricchita tenendo conto delle ulteriori istanze pervenute da più parti, realizzando così una sintesi equilibrata, tanto da ricevere il voto favorevole in Aula di tutte le forze politiche. Basta andare a leggere le dichiarazioni di voto rese nella seduta del 3 giugno 2015 per verificare come tutti i partiti espressero plauso nei confronti dell'iniziativa legislativa portata avanti con perseveranza ed apertura da parte del MoVimento 5 Stelle, e come ritenessero non più procrastinabile l'intervento normativo medesimo per la società italiana. Purtroppo l'entusiasmo espresso alla Camera non trovava eguale sensibilità nella maggioranza di Governo rappresentata in Senato, ove il testo di legge è rimasto dentro ad un cassetto. Oggi, tuttavia, non ci interessa indagare sulle ragioni che hanno causato l'arenarsi in Senato della proposta di legge, le chiameremo genericamente “resistenze culturali”. Non ci interessa, perché il 4 marzo scorso i cittadini hanno deciso di voltare pagina, e così faremo anche noi insieme a loro, soprattutto rappresentando la loro voce. Abbiamo deciso di mettere un punto e andare a capo, per scrivere una nuova pagina di civiltà giuridica, con l'impegno di questa maggioranza, stavolta sì, di portare questo testo di legge, dalla carica innovativa dirompente, fino alla sua concreta applicazione.

La proposta di legge in esame, a prima firma Salafia, ricalca il testo licenziato dalla Camera dei deputati nella scorsa legislatura, e vuole dare attuazione ad uno dei punti fondamentali presenti nel contratto di Governo, ovvero vuole realizzare l'obiettivo di implementare lo strumento della classaction così da renderlo in grado di tutelare sia i cittadini privati che le imprese nei confronti delle frodi e degli abusi da parte di un medesimo soggetto economico. Anche stavolta, nel corso dell'esame in Commissione giustizia, è stato dato spazio ad audizioni di professori universitari, associazioni di categoria, sia di imprese che di consumatori, altamente rappresentative, da cui sono stati tratti interessanti spunti. Dobbiamo dare atto che anche questa volta i lavori in Commissione sono stati caratterizzati da un appassionante dibattito tra tutti gli schieramenti politici: ogni forza politica ha voluto fornire un proprio qualificato apporto, senza arroccarsi in posizioni preconcette, senza cedere al pregiudizio nei confronti di questa maggioranza, che, da parte sua, ha mostrato disponibilità ed apertura, in un'ottica effettivamente collaborativa e costruttiva, che ha sicuramente contribuito a migliorare il testo, soprattutto con riferimento alla tecnica legislativa e alla coerenza sistematica. Colgo, anzi, l'occasione per rivolgere un sincero ringraziamento, a nome del MoVimento 5 Stelle, a tutti i commissari, di ogni schieramento, che hanno lavorato con impegno per portare oggi all'esame di quest'Aula un testo che fosse il più possibile condiviso. Di certo condiviso e condivisibile è l'obiettivo di questo provvedimento: liberare la classaction dagli angusti, stretti confini del codice del consumo. L'azione di classe viene infatti trasferita dal codice del consumo al codice di procedura civile, diventando così strumento di portata generale ed universale. Tale spostamento sistematico produrrà l'effetto dirompente di estendere la platea dei soggetti legittimati a proporre l'azione, nonché di estendere l'oggetto della tutela.

Non saranno più solo i consumatori a poter agire, ma anche gli imprenditori ed i professionisti; non sarà più la violazione di diritti contrattuali o la soggezione a pratiche commerciali scorrette o a comportamenti anticoncorrenziali ad essere l'unico presupposto che fonda l'azione, ma l'azione potrà essere esercitata per tutelare tutti i diritti individuali omogenei lesi da atti e comportamenti posti in essere da imprese o da enti gestori di servizi pubblici o di pubblica utilità nello svolgimento delle loro rispettive attività. Perché, chi l'ha detto che un professionista o un imprenditore, in occasione dello svolgimento della propria attività, non possa essere danneggiato da contratti capestro, non possa essere soggetto e danneggiato da comportamenti illeciti posti in essere da altre imprese o da enti gestori di servizi pubblici e di pubblica utilità? A ben vedere, circoscrivere, come è accaduto sinora, l'azione di classe ai soli consumatori non risponde alle effettive esigenze di tutela diffuse nella complessa e variegata società attuale. A ben vedere, la nuova concezione dell'azione di classe risponde invece, finalmente, all'urgenza di protegge i professionisti e gli imprenditori corretti e trasparenti che, seppure in difficoltà, continuano a far crescere il tessuto produttivo di questo Paese; e costituisce contestualmente un deterrente per tutte quelle aziende che operano, invece, in modo sleale e, così facendo, alterano persino la concorrenza e il libero mercato. Tutte le imprese, non solo quelle che promuoveranno l'azione di classe o vi aderiranno, ma anche quelle che ne rimarranno estranee, potranno comunque beneficiare di un effetto deterrente che avrà questo strumento. Noi riteniamo, inoltre, che l'introduzione della nuova azione di classe produrrà meccanismi virtuosi e contribuirà a innalzare gli standard qualitativi dei beni e servizi offerti ai cittadini.

Da alcune parti si è paventato l'impatto economico che la classaction può avere sulle imprese, tuttavia questa è una preoccupazione infondata; innanzitutto, perché le imprese che si comportano in modo corretto, trasparente e virtuoso non avranno nulla da temere; in secondo luogo, perché in verità tale strumento risulta vantaggioso anche per colui che subisce l'azione di classe, perché non sarà più costretto a costituirsi in numerosi giudizi identici, con evidente notevole aggravio di spese legali. Al contempo, incoraggia coloro che sino ad oggi, avendo subìto un danno di esigua entità, decidevano di rinunciare a far valere il proprio diritto al risarcimento poiché, in un'ottica costi da anticipare e benefici da perseguire, agire in giudizio risultava non conveniente. Ma ogni rinuncia significava consentire a operatori economici scorretti di farla franca e arricchirsi in modo esponenziale, ripetendo indisturbati e impuniti la medesima condotta illegittima all'infinito. La concentrazione in un'unica azione di classe delle pretese risarcitorie vantate da vari soggetti consentirà al giudice investito della controversia di avere un quadro di insieme completo per valutare la condotta del danneggiante e di avere davvero la misura dell'impatto sociale ed economico di quella condotta sui cittadini e - perché no? - anche sul mercato; risponde anche alle più elementari esigenze di equità, che una condotta venga tanto più stigmatizzata ed eventualmente sanzionata quanto più sono i soggetti da essa danneggiati. Ebbene, è evidente che solo attraverso un'azione di classe è possibile attribuire un peso alla serialità, alla ripetitività di una condotta inadempiente o comunque lesiva anche in ambito civile.

Stiamo dunque introducendo uno strumento efficace ed efficiente, che evita lo spreco di attività giurisdizionale, ma che non sacrifica il diritto di difesa di tutte le parti coinvolte. È uno strumento pensato e costruito in modo da garantire coerenza e continuità con la nostra tradizione giuridica e in modo da rispettarne tutti i principi generali. Sono presenti, infatti, tutti i naturali e necessari presìdi del giusto processo: si è operato un ragionevole bilanciamento tra le esigenze di celerità e concentrazione da una parte, e il principio del contraddittorio ed il diritto di difesa dall'altra parte. Malgrado si voglia introdurre, rispetto alla normativa precedente, la possibilità di adesione post-sentenza, istituto di certo innovativo per il nostro ordinamento, si è operato un compromesso equilibrato e virtuoso tra la modalità opt-in, ovvero di adesione preventiva, e la modalità opt-out, di matrice puramente anglosassone, che prevede l'estensione degli effetti automaticamente a tutti i componenti della classe, ad eccezione di coloro che espressamente manifestino di volersene tirare fuori. Si è optato per il rito sommario di cognizione, un procedimento più snello rispetto al rito ordinario, e si è scelto che gli aderenti titolari di diritti omogenei non assumano la qualità di parte, anche per evitare un appesantimento della procedura. Inoltre, proprio con riguardo alle posizioni degli aderenti, si è scelto di renderne finalmente agevole ed effettiva la partecipazione.

A tal fine, verrà garantita la necessaria pubblicità del ricorso introduttivo e dei conseguenti provvedimenti, attraverso un'apposita area pubblica del portale dei servizi telematici, gestito dal Ministero della giustizia, e gli oneri di pubblicità non saranno posti a carico delle parti. La domanda di adesione potrà essere presentata compilando un apposito modulo, conforme ad un modello che verrà approvato con decreto ministeriale, in modo da rendere il più semplice possibile la partecipazione dei cittadini.

Come pure, si è scelto di intervenire efficacemente, per riequilibrare le asimmetrie di potere e anche di informazioni sussistenti tra le parti. Esemplificativo, a tal proposito, è il meccanismo previsto dall'articolo 840-quinquies, in relazione all'ordine di esibizione. Diversamente, infatti, che nel procedimento ordinario di cognizione, laddove l'ingiustificato rifiuto all'ordine di esibizione, di cui all'articolo 210 del codice di procedura civile, ha per il giudice esclusivamente valore indiziario ed è comportamento liberamente apprezzato da questi, l'ingiustificata inottemperanza all'ordine di esibizione, previsto nell'ambito della class action, non solo comporterà l'applicazione di una sanzione amministrativa a carico della parte inadempiente, ma consentirà al giudice, valutato ogni elemento di prova, di ritenere provato il fatto al quale la prova documentale si riferisce.

Così come la premialità attribuita al difensore del promotore dell'azione, che pure ha trovato e trova resistenze in alcune forze politiche e in alcuni ambienti, a ben vedere, risponde ad esigenze tutte riconducibili ad istanze di concentrazione, certezza e qualità dei procedimenti collettivi, a garanzia di tutte le parti coinvolte. A ben vedere, infatti, conviene anche alla parte che subisce l'azione, sia sotto il profilo economico che sotto il profilo professionale, concentrare tutte le energie in un unico processo, piuttosto che polverizzare le proprie difese e le relative prove in una miriade di procedimenti individuali, di natura a volte persino bagatellare, dagli esiti potenzialmente assai diversificati, imprevedibili e persino contraddittori.

Così come conviene a tutti i soggetti aderenti, portatori di diritti individuali omogenei, sottoporre la propria posizione all'esame di un unico giudice, che di certo utilizzerà ai fini del decidere i medesimi criteri e parametri di giudizio. Solo la concentrazione dei giudizi sotto lo sguardo di un unico giudice può, infatti, garantire che situazioni giuridiche omogenee siano trattate e decise in modo omogeneo, così consentendo l'effettiva e concreta realizzazione del principio di uguaglianza sostanziale, non solo formale, di cui all'articolo 3 della nostra Costituzione. Inoltre, la concentrazione conviene di certo al sistema giustizia, nella sua interezza, poiché consente di non impegnare tanti uffici giudiziari in casi individuali seriali, che li ingolferebbero inutilmente.

Ed allora, partendo da queste premesse e non da altre premesse, che tradiscono, in verità, una sorta di pregiudizio e diffidenza nei confronti della categoria forense, risulta corretto incentivare gli avvocati alla promozione di azioni di classe, di certo più stimolanti anche dal punto di vista professionale, in luogo della proposizione di pretese individuali ripetitive e di minor pregio.

Infine, atteso che tali compensi premiali sono evidentemente ancorati alla definizione in via giudiziale della controversia, la loro previsione potrà costituire un serio incentivo, per la parte che subisce l'azione, a definire piuttosto in via transattiva o conciliativa il procedimento collettivo, in modo da sottrarsi a quell'ulteriore pagamento.

Di non secondaria importanza sono le modifiche apportate all'azione inibitoria collettiva, con particolare riferimento all'estensione massima della legittimazione ad agire. Infatti, mentre secondo la disciplina finora vigente tale azione può essere proposta esclusivamente dalle associazioni di consumatori e utenti - peraltro iscritte in apposito elenco tenuto presso il Ministero dello sviluppo economico -, nella proposta di legge in discussione tale azione inibitoria potrà essere esperita da chiunque abbia interesse alla pronuncia di un'inibitoria di atti e comportamenti posti in essere in pregiudizio di una pluralità di individui o enti. L'azione suddetta si qualificherà, infatti, guardando alla caratteristica della plurioffensività della condotta, che potrà essere commissiva ovvero omissiva, posta in essere da imprese o da enti gestori di servizi pubblici o di pubblica utilità. Finalmente, quindi, anche un singolo cittadino, senza alcuna intermediazione, potrà ergersi a paladino di istanze comuni a tanti altri cittadini. Potrà pretendere ed ottenere un ordine di cessazione o un divieto di reiterazione della condotta lesiva. Potrà pretendere ed ottenere persino l'adozione di misure idonee ad eliminare o ridurre gli effetti pregiudizievoli delle violazioni accertate.

Da più parti si guarda con una certa diffidenza a questo ampliamento sotto il profilo soggettivo. Ma è questo un modo miope e preconcetto di guardare a questo strumento, che in verità, se esperito tempestivamente - ed il venir meno della necessità di qualsiasi forma di aggregazione e intermediazione è sicuramente garanzia di maggiore celerità di proposizione dell'azione -, consente di anticipare considerevolmente nel tempo la tutela, evitando così il propagarsi e, a volte, addirittura il manifestarsi degli effetti dannosi di quelle condotte, che giustificherebbero poi conseguenti pretese risarcitorie, con sicuro aggravio sotto il profilo economico della posizione del soggetto autore della condotta.

In conclusione, vale la pena anche evidenziare che la proposta di legge in discussione riprende i modelli di quelle americane e inglesi, oltre che di alcuni Paesi nordici europei, improntati agli obiettivi di economicità, brevità ed efficiente amministrazione della giustizia. E ci preme evidenziare che risulta più evoluta rispetto ad altri Paesi europei, per esempio, rispetto alla Francia, dove l'azione risarcitoria collettiva, diversamente da quello che avverrà con la nuova disciplina, può essere intrapresa solo dalle associazioni riconosciute, che però non possono neppure divulgarla per mezzo di pubblicità televisiva, radiofonica o lettere personalizzate. Sarà più evoluta rispetto alla stessa Spagna, ove l'azione collettiva è ancora limitata alla sola tutela dei consumatori, e rispetto alla Germania, ove è previsto un ristretto e ben definito ambito di applicazione oggettivo, in quanto si può ricorrere alla class action solo per alcuni tipi di domande e non realizza lo scopo di economia processuale, che è poi la ratio della nuova class action italiana, oltre che di quella americana.

Siamo orgogliosi, quindi. Siamo orgogliosi di introdurre uno strumento che renda l'Italia un Paese all'avanguardia nella tutela effettiva dei diritti dei cittadini. La nuova disciplina si pone in linea con gli atti di indirizzo dell'Unione europea, che hanno più volte rappresentato - a partire dalla strategia Europa 2020 e dal programma di Stoccolma, con i quali si sottolinea la necessità che cittadini e piccole e medie imprese abbiano agevole accesso alla giustizia - l'esigenza che ogni Stato membro si doti di meccanismi di ricorso collettivo, in modo particolare per fare valere i diritti dei consumatori, ma senza limitarsi ad essi, estendendo invece gli strumenti relativi a settori quali, ad esempio, la tutela dell'ambiente, la protezione dei dati personali, la tutela degli investitori.

Dunque, anche in ambito europeo, già da anni si è intrapresa una riflessione in ordine al valore aggiunto che i vari meccanismi di ricorso collettivo forniscono per la tutela dei diritti sottesi a tali ambiti, anche e forse soprattutto in un'ottica deterrente e riequilibratrice.

Da ultimo, nella raccomandazione della Commissione europea dell'11 giugno 2013, si legge: gli Stati membri dovrebbero provvedere affinché i procedimenti di ricorso collettivo siano giusti, equi, tempestivi e non eccessivamente onerosi. Ebbene, noi riteniamo che la proposta di legge oggi all'esame risponda esattamente a tutte queste istanze (Applausi dei deputati dei gruppi MoVimento 5 Stelle e Lega-SalviniPremier).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Pierantonio Zanettin. Ne ha facoltà.

PIERANTONIO ZANETTIN (FI). Presidente, onorevole rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, Forza Italia esprime un giudizio molto critico e severo su questa proposta di legge, non solo per i suoi contenuti giuridici, ma soprattutto per l'impatto certamente non trascurabile che essa avrà, se approvata, sull'intero sistema economico e delle imprese.

L'Italia sta vivendo una fase assai delicata e pericolosa della sua storia. Nei soli primi due mesi del Governo gialloverde si stima si siano allontanati dal nostro Paese 55 miliardi di investimenti esteri. Dopo la decisione del Governo, che ha fissato il deficit strutturale al 2,4 per cento, venerdì scorso abbiamo assistito a una drammatica seduta di Borsa, durante la quale sono stati bruciati 24 miliardi di capitalizzazione. Oggi, per fortuna, la Borsa rifiata, nella speranza che non si tratti di quello che, in gergo borsistico, si definisce “rimbalzo del gatto morto”.

L'agenzia di rating Fitch ha già rivisto al ribasso l'outlook del nostro debito pubblico, portandolo da stabile a negativo. Nel mese di ottobre, Moody's e Standard & Poor's emetteranno i loro giudizi e, ahimè, le prospettive non sono rosee. Poche settimane fa è stato pubblicato il Business Compass 2018, la classifica globale degli indicatori economici e politico-normativi dei singoli Paesi, a cura di BDO, un network globale di revisione contabile e consulenza alle imprese, che misura l'attrattività imprenditoriale dei vari Paesi del mondo. Secondo questo studio, l'Italia, nell'ultimo anno, è scesa di ben cinque posizioni, dal trentacinquesimo al quarantesimo posto, superata, tra gli altri, da Lettonia, Slovacchia ed Ungheria.

La domanda che mi pongo e che in questo frangente si dovrebbero porre tutti coloro che hanno a cuore le sorti dell'Italia è la seguente: il nuovo testo della class action che stiamo esaminando aumenterà o diminuirà l'attrattività imprenditoriale del nostro Paese? Qualche fondo di investimento estero troverà ragioni per investire il proprio danaro in Italia o mediterà, invece, di uscire dal mercato del nostro Paese che appare sempre più ostile nei confronti di chi vuol fare impresa? Noi temiamo che questa nuova disciplina, così penalizzante per le imprese e su cui non si è aperto un dibattito pubblico, costituirà un deterrente in grado di allontanare in modo significativo dal nostro Paese gli investitori esteri. Ecco perché l'indagine conoscitiva che abbiamo svolto in Commissione avrebbe dovuto riguardare, non solo gli aspetti tecnico-giuridici del testo al nostro esame, ma avrebbe dovuto estendersi anche agli effetti macro economici della nuova normativa.

Peraltro questo Governo, fin dal suo esordio, si è caratterizzato, per dirlo con le parole pronunciate proprio sabato scorso nell'assemblea 2018 dal presidente di Confindustria Vicenza Luciano Vescovi, per un sentiment, una postura decisamente anti impresa. Con il decreto dignità si è voluto subito irrigidire il mercato del lavoro ai danni delle imprese, facendo fare un passo indietro di quarant'anni nelle relazioni industriali. Siamo in attesa di discutere in Commissione giustizia il disegno di legge del Ministro Bonafede sull'anticorruzione, annunciato con grande enfasi mediatica, che parte dal pregiudizio per cui l'imprenditore è per sua natura un corruttore e, quindi, merita di essere inquisito e perseguito con le stesse metodologie di un mafioso o un terrorista, infiltrando, addirittura, nella sua azienda un agente e applicando al regime carcerario dei condannati per reati contro la pubblica amministrazione le stesse restrizioni applicate a mafiosi e terroristi.

Ora, la maggioranza porta all'esame del Parlamento questa modifica alla normativa sulla class action che avrà come effetto quello di esporre, come spiegheremo poi, le imprese italiane ad azioni vessatorie ed opportunistiche dalle conseguenze economiche potenzialmente devastanti. Ce n'è davvero bisogno nell'attuale congiuntura economica? Certamente, no. Noi giudichiamo questa vostra iniziativa assai pericolosa per l'economia del Paese; intendete, infatti, trasformare l'azione di classe da strumento tipico della tutela consumistica a rimedio generale per la tutela dei diritti individuali, aumentandone a dismisura l'ambito di applicazione ed estendendolo, addirittura, all'illecito extra contrattuale.

Noi riteniamo, invece, che l'azione di classe, per la sua specificità, dovrebbe rimanere confinata nell'ambito consumeristico e non dovrebbe estendersi alle svariate pretese extra contrattuali. L'azione è, inoltre, concepita come uno strumento di carattere punitivo nei confronti delle imprese; di ciò sono prova diversi istituti contenuti nel testo, pensiamo a quelli che non esito a definire autentici incentivi alla litigiosità. Mi riferisco, nello specifico, all'obbligo dell'impresa condannata di pagare un compenso premiale al rappresentante comune della classe, all'avvocato dell'attore e ai difensori degli attori delle cause riunite risultati vittoriosi. Pensiamo, ancora, alla facoltà di aderire all'azione di classe dopo l'accoglimento della domanda; tutti i docenti universitari auditi hanno, giustamente, evidenziato che tale previsione esclude in radice ogni ipotesi transattiva tra le parti, in quanto l'azienda convenuta non potrà mai calcolare l'onere complessivo della transazione. Tale disposizione appare in contrasto con le più recenti riforme della procedura civile che hanno, invece, incentivato, a fini deflattivi, la mediazione e le conciliazioni tra le parti del processo.

Nel corso della discussione in Commissione ed accogliendo solo in parte le nostre ragioni, è stato attenuato il rigore della disposizione secondo cui le spese per le consulenze tecniche erano per legge sempre poste a carico della parte convenuta, a prescindere dalla fondatezza della domanda. La formulazione proposta dalla relatrice - spese sempre a carico dell'impresa convenuta, salvo che sussistano specifici motivi - non ci può soddisfare, perché comunque rimane leso il principio generale dell'assoluta parità tra le parti del processo civile ed è una formula del tutto generica che, sicuramente, alimenterà un contenzioso opportunistico e speculativo.

È peraltro del tutto evidente che questo testo è stato ispirato e sollecitato dalle associazioni dei consumatori che contano così di ampliare a dismisura il loro business, accaparrandosi la tutela, non solo degli utenti e consumatori, come oggi, ma anche dei danneggiati da illeciti extra contrattuali. Non per caso siede al Senato, tra le fila del MoVimento 5 Stelle, il senatore Lannutti, storico fondatore dell'Adusbef. La generale platea degli avvocati pare, invece, danneggiata da queste previsioni che restringeranno di molto il contenzioso civile, indirizzandolo verso queste associazioni.

Tradizionalmente la Commissione giustizia della Camera è composta da avvocati e mi stupisce che molti colleghi parlamentari non si rendano conto del rischio che l'intera categoria corre. Immagino che molti colleghi intendano partecipare al prossimo congresso, a Catania, del Consiglio nazionale forense, così come penso che abbiano in passato partecipato alle manifestazioni dell'OUA o dell'AIGA. Troverei davvero quanto meno farisaico ed incoerente andare in quelle sedi ad ascoltare e a condividere le doglianze dei colleghi che lamentano la proletarizzazione della professione, dopo aver approvato un testo come questo.

La gestione dell'illecito extracontrattuale da parte delle associazioni dei consumatori costituisce un autentico scippo ai tanti colleghi avvocati, giovani e meno giovani, che, in tutta Italia, dal nord al sud, esercitano nei loro studi con onestà e competenza la loro professione, superando le quotidiane difficoltà che tutti conosciamo.

Il vostro testo, come dicevo, amplia a dismisura la portata della class action, da strumento tipico della tutela consumistica a rimedio generale per la tutela dei diritti individuali. Potenzialmente e in astratto, con questo testo può essere convenuto in giudizio ogni soggetto privato. Non è così, invece, per quanto riguarda la parte pubblica e il testo prevede, infatti, che possano essere chiamati in causa solo gli enti gestori di servizi pubblici o di pubblica utilità. Tale limitazione soggettiva, considerata la logica della maggioranza, non mi appare del tutto coerente e giustificata, infatti, perché escludere dall'azione di classe, ad esempio, le Authority, gli organismi di vigilanza che, pure, operano in settori dei pubblici servizi e che possono, coi propri errori od omissioni determinare danni gravissimi alla platea degli utenti e dei consumatori? Pensiamo, ad esempio, alle Authority che regolano le tariffe.

Probabilmente, questa norma, nell'intenzione della maggioranza, ha un destinatario preciso e ben identificato. In passato abbiamo avuto la stagione delle norme cosiddette ad personam, questa semmai, invece, appare come una norma contra personam. In realtà, si legge chiaramente chi sarà il destinatario finale di tale norma; si legge in filigrana, scritto con l'inchiostro simpatico. La maggioranza vuole mettere nel mirino società Autostrade, in vista di un'enorme class action da promuovere non appena entrerà in vigore la legge, una class action di portata colossale, in grado di piegare finanziariamente la società e costringerla, probabilmente, al fallimento. Posso contare ed immaginare che, certi dell'approvazione della legge, sostenuta da una maggioranza che appare blindata, presso le associazioni dei consumatori si stiano già affilando le armi e si stiano preparando alla causa del secolo.

Proprio per evitare questo sospetto avevamo presentato un emendamento che escludeva la retroattività della nuova legge, in modo che potesse applicarsi solo a fatti e comportamenti posti in essere dopo la sua entrata in vigore. Si tratta di un principio di assoluta civiltà giuridica, soprattutto quando vengono approvate normative in peius di portata così dirompente, tali da imporre probabilmente alle imprese di elaborare nuovi modelli di compliance e forse anche contabili. Non vogliamo, certo, essere i difensori d'ufficio di Autostrade, che non ne ha bisogno, ma intendiamo, anche in questa occasione, riconfermare una concezione liberale e garantista del diritto che dovrebbe essere sempre ispirato a caratteri di generalità ed astrattezza.

Ovviamente, tale emendamento, al pari di tutti gli altri proposti da Forza Italia, è stato respinto da relatore e Governo, nonostante avessimo rappresentato nella discussione tutte le criticità e i dubbi che lo accompagnavano e, così, anche in questa occasione, la maggioranza ha confermato di ispirare il proprio agire a una logica punitiva e manettara, degna di tanti piccoli Robespierre che militano nelle sue fila. È la stessa logica che porta il Ministro Di Maio a promettere di farla pagare alle banche e ai funzionari italiani che hanno negoziato il CETA e Rocco Casalino a minacciare di tagliare i finanziamenti a Il Foglio per farlo chiudere o una mega vendetta nei confronti dei tecnici del MEF. È la stessa logica che ispira tutte le vostre proposte di legge in tema di giustizia, con aumenti di pena indiscriminati per tutti i reati, esclusione generalizzata dei benefici carcerari, quando è noto a tutti che già oggi le carceri scoppiano e i detenuti sono ristretti in condizioni disumane, o a ridurre le pensioni, accusate di essere privilegi, proprio a coloro che hanno versato i contributi più sostanziosi. Nonostante fossimo contrari all'impianto complessivo di questo progetto di legge, Forza Italia ha presentato in Commissione emendamenti di merito e non ostruzionistici, con la speranza di eliminare, almeno, le più macroscopiche lacune ed incongruenze del testo al nostro esame.

Questo nostro contributo al miglioramento del testo non è stato apprezzato dalla relatrice e dal Governo, tant'è che, al termine della discussione in Commissione, nessun nostro emendamento significativo è stato accolto, anche se tutte le nostre proposte emendative erano state predisposte facendo propri i rilievi critici espressi dai docenti universitari auditi nel corso dell'indagine conoscitiva.

Con l'atteggiamento dimostrato, questa maggioranza ha confermato, ancora una volta, di essere refrattaria ad ogni confronto di merito, di voler rimanere chiusa nel proprio castello fatto di granitiche certezze.

Dovrete comunque rassegnarvi ad ascoltarci: la vostra sordità e la vostra ostinazione non faranno vacillare il nostro impegno nel denunciare, in queste Aule e nel Paese, i gravi errori che state commettendo, e la pericolosa deriva nella quale state trascinando l'Italia (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Luca Rodolfo Paolini. Ne ha facoltà.

LUCA RODOLFO PAOLINI (LEGA). Presidente, inizia oggi il percorso di questa importante norma legislativa che - ricordo soprattutto ai colleghi di Forza Italia che hanno testé parlato, nella veste di relatore di minoranza e nella veste di interveniente - una legge senz'altro meno raffinata di questa è stata, anche dal loro partito, approvata nella precedente legislatura. Ora mi chiedo: se oggi, con molte migliorie che sono state già approvate, e tante altre che verranno anzi definitivamente approvate in quest'Aula, questo testo è così brutto, perché l'avete approvato l'altra volta, nella precedente legislatura? Voi certo non c'eravate, i presenti, ma c'era il movimento che rappresentate.

Il provvedimento in esame inizia, infatti, come riproposizione dell'Atto Senato n. 1950, che era, a sua volta, il nomen del testo proposto dall'odierno Guardasigilli Bonafede e approvato all'unanimità alla Camera nel giugno 2015 (se sbaglio, correggetemi). Questo testo non è vero che la relatrice Salafia lo ha presentato, imposto in nome di quel contratto di Governo, che pure è vigente tra le parti: come sapete, non ci siamo presentati insieme agli elettori, ma alla fine abbiamo trovato un punto d'incontro, nell'interesse del popolo italiano, dei cittadini, che poi dovrebbe essere l'interesse esclusivo di tutti quelli che siedono qui dentro. Il parlamentare agisce nell'interesse esclusivo della nazione.

Ebbene, questo atteggiamento di non chiusura ce l'ha testimoniato la stessa relatrice, quando ha ricordato che sono stati approvati ben quarantadue emendamenti, che non sono nati così, occasionalmente, ma sono stati frutto di una accorta, e talora anche accesa, mediazione tra i rappresentanti della Lega (e io voglio ricordare, in particolare, le onorevoli Bisa e Tateo, che oggi non sono qui, per altri impegni, ma sono quelle che hanno più curato nel dettaglio questo testo), e i colleghi del MoVimento 5 Stelle che, dove è stato possibile, si sono spinti in direzione dei nostri rappresentanti per trovare dei testi, delle migliorie, a mio avviso assolutamente positive. Un testo che, quindi, non è stato presentato come il Vangelo, ma un testo che è stato migliorato e che - ricordo - potrà e dovrà essere migliorato sia in quest'Aula che in quella che successivamente dovrà affrontarlo. Quindi io, onorevole Bartolozzi, prima di stracciarmi le vesti attenderei l'esito definitivo di questo percorso legislativo.

GIUSI BARTOLOZZI, Relatrice di minoranza. Siamo fiduciosi.

LUCA RODOLFO PAOLINI (LEGA). E fate bene ad essere fiduciosi. Si è portato avanti quindi un lavoro, per – non ripeterò adesso i contenuti principali del testo, sono già stati ampiamente e correttamente illustrati dalla relatrice per la maggioranza e dai colleghi del MoVimento 5 Stelle – per ricordare che cosa? Una funzione che mi sembra importante in questo testo. Questo testo, se volessimo usare un termine penalistico, ha una funzione anche “general-preventiva”: ossia, ha la funzione di scoraggiare, da qui in avanti (e io sull'irretroattività qualche perplessità ce l'ho, e su questo ha ragione forse il collega di Forza Italia, ma, ripeto, siamo all'inizio di un dibattito parlamentare), condotte che siano dannose per la collettività. E queste condotte, come si può scoraggiarle? Semplicemente e banalmente, prevedendo una sanzione, che molto spesso in Italia… Il collega ha richiamato la tragedia immane del ponte di Genova: già da quello che sta emergendo si capisce benissimo che quella tragedia non è frutto del caso, ma è frutto della riduzione sensibile, mi pare che sia addirittura di moltissimi punti percentuali, delle spese per manutenzione. Ecco, d'ora in avanti chi eventualmente commetterà determinate azioni, sa che potrebbe venire colpito nella cosa per la quale ha agito, cioè nella tasca.

Un'altra delle perplessità che mi pare di poter fugare fin d'ora, ma sicuramente il resto dell'iter la fugherà certamente, è che non è che uno presenta una class action e tout court viene approvata, c'è un filtro. Da parte di chi? Da parte della magistratura, da parte di una sezione specializzata della magistratura nella quale tutti abbiamo fiducia, e la collega Bartolozzi dovrebbe avere ancora più fiducia perché è ella stessa magistrato, valente magistrato.

Ha una funzione, quindi, questo testo, di garanzia generale - ripeto, general-preventiva, anche se il termine è penalistico - che sposta, è vero, amplia certamente la platea dei potenziali beneficiari: certo, la sposta dal codice del consumo al codice civile, la trasforma da strumento settoriale a strumento generale. Ma questo è l'intento del legislatore, il quale legislatore - o meglio, il proponente - non è che si è svegliato la mattina: ha ricevuto, signori, piaccia o no, anche a Moody's… Che ricordo, son quelli che non si accorsero che la Lehman Brother stava saltando in aria coinvolgendo il mondo intero, chiusa parentesi. Ecco, io ricordo che i proponenti hanno ricevuto un mandato amplissimo, superiore al 30 per cento, dal popolo italiano sovrano, e quindi credo che sia loro – e nostro, essendo alleati – diritto e dovere procedere anche in provvedimenti che possono suscitare delle perplessità, ma la cui ottica viene evidentemente ritenuta importante e condivisa, e quindi vanno portati avanti, ripeto, augurandomi io stesso che qualche dettaglio si possa ulteriormente migliorare (Applausi dei deputati dei gruppi Lega-SalviniPremier e Forza Italia-Berlusconi Presidente). Perché lo scopo di tutti io credo che sia… Io credo che sia interesse di tutti noi che questo Paese diventi attrattivo, più attrattivo e più competitivo. Però una norma così forse compie un'altra operazione, che è sfuggita ai colleghi dell'opposizione: attrae le buone imprese e scaccia le cattive imprese. Quello che finora veniva in Italia per prendere i soldi e scappare, forse, con una “minaccia” di azione di classe, non verrà in Italia, e quindi opereremo una selezione dei migliori, dei più corretti, di quelli che vengono in Italia per fare il loro lavoro correttamente e non per, ripeto, prendere i soldi e scappare.

Ci sono, ripeto, alcune previsioni che non hanno solo carattere risarcitorio e restitutorio, ma anche inibitorio: anziché attendere che il danno si verifichi per poi curarlo, si agisce in modo tale per cui il danno viene evitato. Ci sono alcune innovazioni che, a mio avviso, andrebbero estese anche agli altri settori. Qui, credo per la prima volta, si parla di introdurre in Italia un portale informatico, che renda possibile velocemente, in modo istantaneo e riducendo a sua volta la parte burocratica, l'accesso alla giustizia a un'infinità di cittadini.

Infine, ricordo la paura per gli avvocati. Io non credo che ci sia questo rischio: prima di tutto perché qui parliamo di azioni collettive, che devono avere a oggetto diritti omogenei; e noi sappiamo, tutti quelli che operano nel diritto sanno perfettamente che trovare già due situazioni identiche è molto, molto difficile. O, meglio, due situazioni identiche che siano meritevoli di tutela singola, perché se la tale società sottrae 10 euro in un anno al singolo consumatore, io non credo che quel consumatore sarebbe comunque andato dall'avvocato per azionare il recupero dalla società telefonica dei 10-15 euro: quindi in realtà non è lavoro che si perde. Semmai - e qui ha ragione il collega - la crisi dell'avvocatura deriva da tanti altri fattori, ma, dato che è in atto, non credo derivi da questa legge che ancora non c'è, quindi attendiamo almeno di romperci la testa prima di fasciarcela.

Pertanto noi iniziamo oggi questo iter, convinti che si possa - ripeto - ancora migliorare, ma convinti anche che la relatrice e in generale gli alleati di Governo abbiano dimostrato finora un'ampia disponibilità al miglioramento, per venire incontro alle esigenze, alle aspettative dell'altro alleato di Governo, che è fedele, che è corretto nel rispetto del patto di Governo. Quindi, è certo che le cose più importanti verranno accolte, realizzate e fatte legge nell'interesse superiore del popolo italiano (Applausi dei deputati dei gruppi Lega-SalviniPremier, MoVimento 5 Stelle e Forza Italia-Berlusconi Presidente).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Cosimo Ferri. Ne ha facoltà.

COSIMO MARIA FERRI (PD). Grazie Presidente, mi rivolgo a lei, al rappresentante del Governo e a tutti i colleghi e le colleghe che oggi hanno la bontà di essere in Aula. È un provvedimento certamente importante. Come è stato detto prima, nella scorsa legislatura, questo provvedimento in merito alle azioni di classe è stato approvato all'unanimità. Questo è un dato certamente anche politico, perché oggi, chi si trovava all'opposizione governa questo Paese e questo provvedimento nasce, per quanto riguarda i nostri Regolamenti parlamentari, in quota minoranza e poi è stato sposato e condiviso dal Governo e anche da tutte le forze politiche. Vi è, dunque, anche un aspetto politico, oltre che di tutela dei diritti e quindi non si può sottovalutare questo aspetto, che è stato sottolineato e che richiama anche una certa coerenza nell'affrontare un dibattito costruttivo. Ci auguriamo, però, che questo spirito costruttivo sia anche tradotto nei fatti, con una collaborazione aperta e leale e che si vadano anche a cogliere quegli aspetti giuridici che possono essere poi anche modificati per migliorare una norma che certamente è importante.

Chi è intervenuto è partito dal codice del consumo. Per quanto riguarda la tutela del consumatore nel nostro ordinamento giuridico, non dimentichiamoci che si tratta di un istituto, di uno strumento, che noi vogliamo recepire e che abbiamo recepito anche nel codice del consumo da un sistema diverso, come quello anglosassone, e che quindi vogliamo introdurre anche nel nostro sistema, che è diverso, quindi con delle regole e anche un'impostazione diversa.

Nel 2005, con il decreto legislativo n. 206, con l'introduzione del codice del consumo, all'articolo 140-bis si inizia a prevedere e si prevede una tutela dei consumatori. Questo è importante, perché, come è stato detto anche da chi è intervenuto, lo spirito positivo di questo provvedimento - che ha spinto anche il Governo nella scorsa legislatura a sostenere questo provvedimento e a contribuire a modificarlo, perché comunque andava modificato sotto diversi aspetti - è quello di ampliare l'accesso alla giustizia. Quindi, quando si parla di diritti e di tutela dei diritti, si fa riferimento a tutte quelle norme e a quell'impostazione anche riformatrice che mira a tutelare e a rafforzare i diritti individuali ed omogenei, e quindi ad intervenire per ampliare l'accesso alla giustizia, per rafforzare la tutela, intervenendo nei tempi della giustizia e quindi per economia processuale; perché, come voi mi potete insegnare, un conto è un'unica causa, un unico procedimento, avente ad oggetto l'azione di classe, un conto è tutta una serie di cause, con il rischio anche di creare dei contrasti tra giudicati e dei contrasti giurisprudenziali.

Non dico niente di nuovo, se noi andiamo a leggere le pronunce giurisprudenziali, sia di merito ma anche della stessa corte di Cassazione, molte volte su alcune questioni una sentenza prende un filone giurisprudenziale, sostenendo tesi giuridicamente corrette, e un'altra sezione, invece, avvalendosi di un'altra interpretazione, sempre corretta giuridicamente, sostiene un'altra impostazione; si crea il contrasto e molte volte le sezioni unite intervengono per dirimerlo.

Quindi, questi sono aspetti che devono farci riflettere. Per questo, anche in modo coerente, noi in Commissione ci siamo astenuti dal mandato al relatore e ovviamente non abbiamo ritenuto giusto e coerente votare contro questo provvedimento, ma un'astensione che vuole essere un'apertura a dire: ripartiamo da quello che è stato fatto, sì, ma che dobbiamo migliorare, e devo dire che in Commissione in parte è stato migliorato. Ma ci sono alcune questioni giuridiche e non politiche, e lo dico a chi è intervenuto, soprattutto al MoVimento 5 Stelle, perché quando parla - non so se ricordo bene l'espressione - di carica dirompente o di provvedimento rivoluzionario, ecco, cerchiamo di mantenere anche un profilo tecnico-giuridico, perché andiamo a toccare dei diritti sacrosanti da rafforzare, che riguardano i cittadini, il consumatore e quindi una tutela e un accesso alla giustizia, a cui facevo riferimento io, che merita un rafforzamento, ma che riguarda anche i diritti delle imprese e quindi un giusto equilibrio che comunque tenga conto, non di un equilibro nelle tutele, che, sì, ci deve essere, ma di un equilibrio nelle garanzie processuali, nelle regole di diritto.

Quindi, sì all'ampliamento all'accesso alla giustizia, sì a un rafforzamento dell'azione di classe e, quindi, a una maggiore efficacia dell'azione di classe, ma, nello stesso tempo, non dimentichiamoci che è uno strumento che prendiamo e che deriva dal sistema anglosassone, che è diverso dal nostro e che, per essere introdotto nel nostro ordinamento, al di là di quello che già prevedeva il Codice del consumo, necessita comunque del rispetto di alcune regole giuridiche, sulle quali noi chiediamo il confronto in maniera costruttiva, per cercare di trovare delle soluzioni, e dirò poi velocemente i punti che sono oggetto anche dei nostri emendamenti.

Dunque, mi auguro che questo spirito costruttivo, questa voglia - che noi abbiamo sentito nella scorsa legislatura - di trovare comunque l'unanimità e di cercare di lavorare insieme, ci sia anche oggi, da chi oggi rappresenta il Governo.

E voglio aggiungere che il Codice del consumo, l'articolo 140-bis più volte citato, oggi non è sufficiente. Quindi è certamente importante una riforma in tema di azione di classe, perché la norma, il decreto legislativo che ha introdotto il 140-bis è il n. 206 del 2005, sono passati diversi anni e quindi dobbiamo andare a vedere anche la portata di questa norma. E se andiamo a vedere i ricorsi e le pronunce, dobbiamo tutti ammettere e considerare che oggi questo strumento previsto dal Codice del consumo non sia sufficiente. Infatti - e l'ha detto anche uno dei professori che è stato audito - attualmente trova scarsa applicazione, tanto che sono stati forniti in Commissione dei dati dell'Osservatorio permanente sull'applicazione delle regole di concorrenza dell'Università degli studi di Trento, relativamente alle azioni di classe incardinate di fronte ai tribunali italiani ai sensi della norma vigente che è appunto quella dell'articolo 140-bis del codice del consumo, e, al momento della rilevazione, c'erano 58 azioni di classe incardinate, di cui 40 in corso alla data di rilevazione, 10 sono state dichiarate ammissibili, 18 sono state dichiarate inammissibili e solo 3 sono state concluse con una sentenza che prevedeva le tre fasi: accertamento, risarcimento e restituzione, che è poi anche l'impostazione oggi della riforma. Questi dati sono significativi.

Quindi, dobbiamo partire certamente dalla premessa che nel nostro ordinamento l'azione di classe è prevista nel codice del consumo, che da questi dati si rileva che non sia certamente sufficiente per garantire un'effettiva tutela dei diritti, che sia necessario quindi ampliare l'accesso alla giustizia, tanto che un altro punto positivo del testo licenziato dalla Commissione, sia nella scorsa legislatura che oggi dalla Commissione giustizia, è quello anche di ampliare i requisiti oggettivi e soggettivi.

Quindi, come è stato già sottolineato - riprendo questo concetto - si passa dal diritto del consumatore alla tutela di tutti i cittadini - ecco l'ampliamento all'accesso della giustizia -, cioè alla tutela di chiunque. Quindi, si passa dal diritto del consumatore, la cui definizione è inserita nel codice del consumo e certamente è limitata, a un'estensione, un ampliamento dei requisiti soggettivi e, cioè, a chiunque avanzi pretese risarcitorie causate da illeciti plurioffensivi di fronte ai quali sia configurabile l'omogeneità del diritto. Il concetto dell'omogeneità non va poi disperso. Va sottolineato perché, secondo me, è la base e il presupposto anche di alcune rettifiche e interventi che spero che nel dibattito siano accolti, proprio per garantire l'omogeneità dei diritti e anche la valutazione di quando un diritto sia omogeneo o no. Quindi, si parla di illeciti plurioffensivi di fronte ai quali sia configurabile l'omogeneità del diritto, ma è un concetto che riprenderemo e che nel dibattito sarà sviluppato e che, però, ne è certamente il presupposto.

Quindi, è positivo l'ampliamento, così come è positivo un intervento proprio sulla nozione del concetto di consumatore, ben più limitato rispetto al chiunque, e quindi all'ampliamento soggettivo. Pensavo proprio a un esempio che conferma la necessità di questo ampliamento e a tutta quella materia relativa alla concorrenza e alla direttiva che noi abbiamo recepito nella scorsa legislatura con il nostro provvedimento - e, quindi, interno - che prevedeva, appunto, una tutela anche del consumatore di fronte a una concentrazione di cartelli. Penso, in tema di concorrenza, a due compagnie assicurative che magari si fondono e, quindi, creano un cartello unico e io che voglio contrarre una polizza assicurativa, per esempio per responsabilità professionale, questo mio diritto non è proprio il diritto di un consumatore. Allora, ecco che di fronte a questo cartello unico, che va a ledere anche un mio diritto, per esempio per una polizza di responsabilità professionale, si può creare il problema se sia o no un diritto ricompreso nel concetto di consumatore o se sia necessario, per intervenire e per avere una tutela effettiva, un ampliamento del concetto giuridico.

Quindi, ci sono degli aspetti che certamente meritano una riflessione e un ampliamento e, in questo senso, c'è il nostro consenso, che c'è stato allora, c'è oggi e ci sarà sempre, perché ampliare l'accesso vuol dire rafforzare la tutela dei diritti.

Però, c'è un altro aspetto da considerare. Noi dobbiamo approvare una norma che tenga nel sistema giuridico italiano, ma anche in quello europeo. Allora, questo è uno dei motivi per cui noi chiediamo al Parlamento di ragionare e di riflettere insieme e di analizzare e migliorare anche quel testo che era stato votato nella scorsa legislatura. Guardiamo a quello che succede in Europa. E, allora, sia il Consiglio d'Europa sia il Parlamento europeo - per poi lavorare su un testo unico - stanno discutendo su due direttive, che riguardano le azioni collettive a tutela dei consumatori, e un'altra che ha per oggetto la modernizzazione della normativa dei consumatori e, quindi, che vuole, questa seconda direttiva, riordinare le varie direttive dell'Unione europea sul tema e in materia di diritti dei consumatori. Allora, forse quello che non è stato fatto allora, nella scorsa legislatura, e che penso che sia oggi opportuno fare è quello di dire: un momento, fermiamoci e vediamo l'Europa, il testo europeo, e poi noi la normativa interna la adeguiamo e la adattiamo a seconda anche dei principi di quello che emerge nel dibattito di queste due direttive, che sono importanti e che sono ben note a tutti gli addetti ai lavori e non solo.

Quindi, uno dei motivi per cui noi dicevamo di aspettare e di riflettere è proprio quello di attendere queste due direttive che dovrebbero, tra l'altro, uscire, sembra, all'inizio del 2019 - ma sono tempi certamente che non dettiamo noi, almeno noi oggi - e che possono essere sviluppate. Questa è una delle considerazioni che lascio a quest'Aula.

Poi, ci sono altri temi - e ne aggiungo due, positivi - di questa proposta di legge. Uno riguarda l'azione inibitoria collettiva, che è una tutela che rafforza e, quindi, che consente di intervenire per rimuovere subito l'ostacolo e, quindi, è positivo aver previsto nel testo l'azione inibitoria collettiva, così come aver previsto tutta quella parte, che è in comune anche con il testo licenziato dalla Camera nella scorsa legislatura, che riguarda l'informatizzazione, l'accettazione e la semplificazione. Grazie al portale e a tutto quello che ha fatto il precedente Governo - lo voglio rivendicare e sottolineare - in tema di informatizzazione, di portali presso il Ministero della giustizia e, quindi, di trasparenza, di processo civile telematico, di informatizzazione e di tecnologie e grazie a tutti gli investimenti che sono stati fatti dai precedenti Governi nella scorsa legislatura, si dimostra oggi la positività, la lungimiranza di un lavoro serio che è stato fatto dai Governi nella scorsa legislatura investendo nella tecnologia, perché oggi questa informatizzazione, questa tecnologia e questa semplificazione diventano una stella polare di questa proposta di legge ed è giusto che sia così ed è certamente un aspetto positivo. Così come tutto quello che riguarda le tre fasi, l'ammissibilità dell'azione, la decisione sul merito e la liquidazione delle spese; sono aspetti che richiedono dei paletti che vengano inseriti. Su questi ci siamo permessi di fare degli emendamenti e di suggerire anche dei correttivi. Non voglio entrare ora nei dettagli, ma ne cito uno, di fronte al quale abbiamo avuto l'opposizione sia del relatore sia del Governo e non ne capiamo il motivo. Per esempio, sull'ammissibilità e sull'inammissibilità della domanda - articolo 840-ter -, dove suggerivamo di modificare la lettera c) a proposito dell'inammissibilità della domanda quando si prevede che l'attore versa in stato di conflitto di interessi nei confronti del convenuto. Noi segnalavamo: guardate che, forse, c'è un errore giuridico, perché l'attore è quasi sempre in conflitto col convenuto e hanno comunque posizioni contrapposte e, quindi, interveniamo, o quando abbiamo suggerito che non sia corretto fissare come principio l'anticipazione di tutte le spese delle consulenze tecniche d'ufficio al convenuto, ma non per tutelare il convenuto, perché sono delle regole giuridiche. Quando il giudice nomina il CTU, il consulente tecnico d'ufficio, lo fa non nell'interesse dei ricorrenti o del convenuto, ma lo fa perché vuole accertare alcune questioni che sono essenziali per decidere la causa e, quindi, nell'interesse della verità processuale, nell'interesse della giustizia, nell'interesse delle parti. In questo modo si sancisce il principio che la CTU sia quasi a danno di una delle parti, tanto che si impone per legge l'anticipazione di tutte le spese, e questo è un altro suggerimento che abbiamo sottoposto all'attenzione sia del Governo sia delle forze di maggioranza, ma di fronte a cui non abbiamo trovato risposte, e non abbiamo capito perché ci sia stata questa chiusura.

Così come vi è l'altro aspetto, che è sempre giuridico, cioè il compenso del rappresentante comune e, quindi, voler assegnare un importo, una somma al rappresentante comune che si aggiunge a quello che è il risarcimento del danno, perché la legge prevede - così stabilisce il testo licenziato - oltre alla possibilità di risarcire il danno e di pagare le spese processuali, anche di fissare (e, tra l'altro, così come è scritto nel testo sembra quasi obbligatorio e nemmeno facoltativo, cioè rimesso alla discrezionalità del giudice, e comunque è il principio che è sbagliato) per il rappresentante comune una somma aggiuntiva, quasi come se fosse a titolo di danno per la parte che già viene condannata al risarcimento del danno.

Quindi, anche su questo chiediamo una riflessione, perché secondo noi è un errore giuridico che non può essere ammesso e recepito nel nostro ordinamento e che stravolge tutti i principi giuridici. C'è poi il tema dell'opt-in, dell'adesione. È vero, e premetto che questo era già nel testo licenziato nella scorsa legislatura, e quindi offro a titolo personale in questo caso anche delle soluzioni emendative per cercare di trovare un punto d'incontro, il testo oggi prevede l'adesione dopo la sentenza di accoglimento, che era già nell'altro testo; quindi, per onestà intellettuale lo sottolineo, perché era stato votato da tutte le forze politiche. Però anche su questo si può aprire un ragionamento per quanto riguarda l'adesione, perché alcuni auditi ci hanno fatto capire durante i lavori della Commissione come ci siano dei problemi tecnico-giuridici da affrontare, perché comunque, nel momento in cui tu consenti a un cittadino di aderire all'esito della sentenza di accoglimento, crei dei problemi.

Intanto, il convenuto non può più valutare e valuta in modo diverso delle proposte transattive, perché è chiaro che, se so che i ricorrenti sono cento o sono 10 mila, affronto anche in modo diverso alcune proposte transattive, e questo chiaramente crea difficoltà nella valutazione. E poi ci sono tutte delle lesioni al diritto di difesa sulle quali converrebbe forse riflettere. Allora suggerisco, a differenza di un emendamento che ho presentato in Commissione, e che poi comunque non è stato affrontato, cambio anche le modalità dell'emendamento, proprio per dire discutiamone, se può essere una mediazione, per esempio di prevedere che questa adesione avvenga o entro l'udienza di trattazione, e quindi si consente anche a chi non ha ricorso all'inizio, non ha presentato il ricorso all'inizio, di aderire entro l'udienza di trattazione, e così si consente alle parti di esercitare un diritto di difesa completo, perché dopo l'udienza di trattazione, come voi mi insegnate, ci sono altre fasi processuali, e quindi si può sviluppare e approfondire il diritto di difesa, oppure un'altra soluzione può essere quella di prevedere come termine quello dell'udienza di precisazione delle conclusioni.

Sono due proposte che sono a titolo personale, che, però, offro all'Assemblea per vedere se si possono trovare anche su questo punto, che, non nascondiamo, è uno dei punti controversi, delle mediazioni per consentire di mantenere un principio che può essere positivo, che però può creare dei problemi giuridici, e quindi per cercare di inserire in un contesto corretto e in un inquadramento giuridico corretto anche questo istituto, che certamente caratterizza questa riforma. Quindi i temi sono tanti. Vi è un ultimo aspetto, e chiudo, con riferimento al quale chiedo un po' di coerenza anche al MoVimento 5 Stelle e al Governo: da una parte, si parla di carica dirompente, e quindi di una portata importante di questo provvedimento, dall'altra, però, non si ha il coraggio di estendere una tutela anche nei confronti delle pubbliche amministrazioni. E allora si dica chiaramente: ampliamo l'accesso alla giustizia, tuteliamo i cittadini, ma solo nei confronti di alcuni soggetti, non nei confronti della pubblica amministrazione. E mi dovete spiegare il perché: parlate di rivoluzione, di ampliamento, di rafforzamento della tutela, e poi, di fronte ai cittadini vi fermate nella tutela a rafforzare e a prevedere una tutela di fronte agli enti gestori di pubblico servizio e di pubblica utilità, e non avete il coraggio di intervenire sulla class action pubblica, quella introdotta con il decreto legislativo n. 198 del 2009.

E allora vi fermate, manca il coraggio. Allora dovete dirlo con chiarezza che volete tutelare la pubblica amministrazione, mentre è giusto che il cittadino abbia una tutela effettiva anche nei confronti della pubblica amministrazione, quando vengono lesi e vengono poste in essere delle pretese risarcitorie causate da illeciti plurioffensivi che derivano da un comportamento della pubblica amministrazione. Questo è importante perché la class action prevista con la norma che ho citato prima del 2009, il decreto legislativo n. 198, prevede non il risarcimento del danno, come voi mi insegnate, ma dà una tutela al cittadino diversa, quella di ripristinare un servizio. Ma il cittadino, di fronte a un'azione della pubblica amministrazione lesiva, non può chiedere il risarcimento del danno. Noi proponiamo con un emendamento, se vogliamo davvero credere in questa riforma, di estendere la tutela anche nei confronti dei comportamenti lesivi della pubblica amministrazione. Anche su questo emendamento non c'è stata apertura: lo riproponiamo all'Aula, sperando davvero che questo provvedimento possa unire, correggere tutti i contrasti e i problemi giuridici che ci sono.

Ne ho accennati alcuni e penso che con un piccolo sforzo si possa davvero migliorare questo testo e davvero dare una tutela effettiva che non sia uno slogan, che non sia un manifesto, ma che sia un'azione di classe che poi il cittadino, con i professionisti…chiaramente è anche un cambio culturale, perché è una novità anche così ampliata, che diventa una novità per il nostro ordinamento, che dovrà avviare un cambio culturale anche nel mondo dei professionisti. Infatti è chiaro che ci sarà tutta un'attività importante anche formativa, che consentirà di dare spazio a questa tutela e garantire tutti i diritti. Quindi, se si vuole andare avanti, miglioriamolo, e anche più coraggio e completiamolo a trecentosessanta gradi; altrimenti, proponiamo di aspettare l'Europa, e poi, con il testo dell'Europa, ci rimettiamo tutti al lavoro, cercando di creare una norma che possa tenere anche dal punto di vista del diritto europeo (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Grazie, deputato Ferri. Mi scuso per non aver letto completamente il suo nome di battesimo, che appunto è Cosimo Maria.

È iscritto a parlare il collega Battilocchio. Ne ha facoltà.

ALESSANDRO BATTILOCCHIO (FI). Presidente, onorevoli colleghi, onorevole sottosegretario, dico subito in apertura che accogliamo favorevolmente le aperture del collega onorevole Paolini. Noi siamo inguaribili ottimisti, e quindi rimane la speranza di avere un testo migliore al termine dell'iter parlamentare, anche perché, lo abbiamo detto anche nella nostra relazione, il riconoscimento della class action rappresenta in linea generale un importante passo avanti sul piano culturale e giuridico. Si agevola la tutela di una pluralità di soggetti danneggiati da una medesima condotta illecita, e, oltre alle funzioni risarcitorie e di deterrenza, comporta anche, in linea di principio, degli indubbi vantaggi di economia processuale. Ma è basilare, è stato detto, che l'azione non abbia un'impostazione punitiva nei confronti delle imprese, bensì venga concepita come uno strumento ulteriore rispetto a quelli ordinari già esistenti.

Su questa proposta abbiamo nel merito timori e perplessità, e siamo molto preoccupati sui potenziali risvolti che una siffatta normativa potrebbe avere nel nostro sistema. La stampa riporta il grido d'allarme delle realtà produttive, che rappresentano, comunque, il cuore e il motore della nostra economia; e d'altronde, il presidente della Confindustria Boccia, che pure non può certo essere etichettato come un oppositore a priori dell'attuale quadro, ha definito senza mezzi termini questa proposta come una proposta contro le imprese e ha evidenziato una serie di criticità che vanno innanzitutto contro il buonsenso.

È stato ricordato l'opt-in, il compenso premiale, la retroattività delle misure. Ma i colleghi, in Commissione giustizia, hanno già evidenziato tutte le falle e tutte le lacune che, secondo noi, abbondano in questo provvedimento.

Abbiamo presentato una serie di proposte concrete, la relazione di minoranza della collega Bartolozzi è improntata al buonsenso ed alla ragionevolezza, però, in qualità di membro della Commissione politiche dell'Unione europea, vorrei invece rimarcare una serie di dubbi di legittimità rispetto ai parametri del diritto comunitario e, in generale, in parte richiamando l'intervento del collega Ferri, rimarcare l'opportunità di ridiscutere non solo il merito, ma anche la tempistica, alla luce di quanto sta accadendo proprio in queste settimane a Bruxelles.

Tra i punti dolenti dell'articolato, in prospettiva europea, voglio ricordare sinteticamente tre aspetti. Il primo aspetto - è stato detto anche da diversi colleghi che mi hanno preceduto - è che chiaro che si incentiva la moltiplicazione dei processi mediante misure fortemente premiali per i professionisti: un compenso premiale posto a carico dell'impresa destinato al rappresentante comune della classe, all'avvocato dell'attore e ai difensori degli attori delle cause riunite e vinte. Ritengo, tra l'altro, che questo compenso, che rappresenta comunque un onere economico ingiustificato a carico delle imprese, con insiti ed evidenti caratteri punitivi, si ponga in contrasto con la raccomandazione della Commissione europea sui meccanismi di ricorso collettivo, dell'11 giugno 2013, che, con riferimento alla definizione degli onorari degli avvocati e al relativo metodo di calcolo, puntualizza proprio la necessità che essi non rappresentino incentivi alla litigiosità.

Secondo aspetto: si consente di agire ad associazioni e a comitati estemporanei, senza requisiti adeguati di stabilità e rappresentatività. Questo aumenta il potenziale contenzioso e, tra l'altro, mette a rischio gli stessi consumatori, che possono affidarsi inconsapevolmente a strutture aggregative del tutto instabili e con caratteristiche non idonee a rappresentare correttamente i loro interessi. La proposta di istituire un albo dei soggetti legittimati non è accompagnata, al momento, da soddisfacenti criteri di qualificazione o presupposti selettivi rispetto ai requisiti minimi che l'ente collettivo dovrebbe possedere. È chiaro che, venendo all'Europa, essendo noi parte del mercato unico, dovranno garantirsi dei meccanismi idonei a misurare il grado di stabilità e rappresentatività anche di enti collettivi non italiani, oltre che ovviamente consentire a gruppi di consumatori italiani di agire in altri Paesi europei e viceversa.

Terzo aspetto: si pongono a carico delle imprese una serie di oneri, in alcuni casi vere e proprie punizioni giudiziali, che finiscono per ledere lo stesso diritto fondamentale alla difesa in giudizio, è stato ricordato dalla nostra relatrice. Ci sono dei rischi di censure di costituzionalità che sono dietro l'angolo.

In conclusione, mi permetto di segnalare una mancanza di coordinamento, quanto meno in termini di tempistica, con quello che sta avvenendo a Bruxelles: l'11 aprile 2018, la Commissione europea ha presentato, anche con una certa enfasi, un pacchetto di misure intese ad aggiornare e migliorare la vigente legislazione in tema di protezione dei consumatori, un pacchetto ambizioso, un pacchetto complessivo, un pacchetto articolato, che è stato definito dalla Commissione europea, tra l'altro in maniera un po' pomposa, New deal for consumers, in cui sono riconosciuti la forza e i diritti del consumatore online, si introduce maggiore flessibilità nelle modalità di comunicazione tra professionisti e consumatori, si specificano gli strumenti per far valere i diritti e ottenere i risarcimenti; nel Consiglio europeo della competitività del 28 maggio 2018 la Commissaria Jourová ha presentato questo pacchetto – con una certa enfasi, lo ripeto - e sono iniziati i lavori in Consiglio attraverso una procedura di codecisione.

L'elemento centrale di questo pacchetto - è stato ricordato anche dal collega Ferri - è rappresentato da due proposte di direttive, tra cui una, la proposta di direttiva n. 184 del 2018, esplicitamente e specificamente relativa alle azioni rappresentative a tutela degli interessi collettivi dei consumatori, che abroga la direttiva n. 22 del 2009. A seguito della presentazione della proposta in aprile, l'Italia ha partecipato, e ovviamente sta partecipando, all'iter di codecisione. Come ancora oggi appare sul sito del Ministero dello sviluppo economico, cito testualmente: “L'Italia accoglie con favore il pacchetto presentato dalla Commissione, condividendone in linea generale gli obiettivi: assicurare un corretto bilanciamento tra la protezione dei consumatori e gli interessi dell'impresa e aumentare la fiducia e la certezza giuridica. Tuttavia” - prosegue il Ministero – “stiamo ancora esaminando gli aspetti più di dettaglio delle due proposte legislative, che richiedono un'attenta valutazione in vista dei negoziati in Consiglio e con il Parlamento europeo”. Ecco, vorremmo avere delle rassicurazioni in merito al risultato di questi approfondimenti, perché si ravvisa una possibile mancanza di collegamento tra le disposizioni contenute in questa proposta di legge e la emananda direttiva europea. Esiste una possibilità più che concreta di dover smantellare quanto stiamo discutendo, per possibili incompatibilità con la direttiva, e comunque è del tutto evidente il rischio che ne risulti un complesso normativo incoerente. Quindi, al di là del merito, che per molti aspetti non condividiamo, vogliamo segnalare un problema di coordinamento con il percorso non solo iniziato, ma ben avviato a Bruxelles, che, nel giro di poche settimane, potrebbe porre il nostro Paese in una totale posizione di fuori gioco (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Simone Baldelli. Ne ha facoltà.

SIMONE BALDELLI (FI). Presidente, oggi affrontiamo un tema molto importante, molto impattante, sia sul codice civile, perché spostiamo la classaction dal codice del consumo al codice civile, quindi sia dal punto di vista giuridico che dal punto di vista della vita pratica, quotidiana, non solo dei consumatori ma anche delle imprese. Quando si fanno provvedimenti così importanti, così impattanti, bisogna avere chiaro da parte del legislatore, la forza, l'impatto e le conseguenze che questi provvedimenti poi hanno non solo nella quotidianità, ma anche sul tessuto produttivo, sul sistema della giustizia, sul contenzioso.

Questo provvedimento è figlio di un'iniziativa legislativa che nella scorsa legislatura, è vero, è stato detto da alcuni, fu approvata all'unanimità, ma mi permetto anche di sottolineare il fatto che, oltre a essere stata approvata all'unanimità in uno dei due rami del Parlamento, è rimasta anche per tre anni in un cassetto. E se è rimasta per tre anni in un cassetto, malgrado l'unanime volontà delle forze politiche - se non altro di dare un segnale su questo settore -, probabilmente un motivo c'era.

Tanto è vero che, ripartendo proprio da quel testo in Commissione giustizia - vedo la presidente Sarti e la relatrice -, si è ricominciato un percorso che sostanzialmente ha riaperto il contenuto del testo, ha evidenziato talune criticità, ha messo la Commissione giustizia nelle condizioni - e questo è un fatto molto importante, perché quando si scrivono le leggi non solo bisogna saper scrivere ma bisogna anche saper ascoltare - di ascoltare le imprese, i giuristi le associazioni dei consumatori e tanti altri attori, che hanno potuto e in alcuni casi - se il ciclo dell'indagine conoscitiva, come formalmente è stata posta, o delle audizioni, fosse stato più lungo - avrebbero potuto dare come contributo alla discussione e alla redazione di questo testo.

I colleghi di Forza Italia, a partire dalla relatrice di minoranza, collega Bartolozzi, dal collega Zanettin al collega Battilocchio, hanno evidenziato alcune criticità per macro-aree, anche a seguito di un dibattito importante, che c'è stato in Commissione e che ha visto protagonista Forza Italia su questi terreni. Mi riferisco, per esempio, alla questione della retroattività, a quella dell'attribuzione delle spese, a quella dell'adesione post sentenza. Sono questioni di un certo rilievo, che io mi auguro vengano affrontate nel corso dell'esame. Vi è l'allargamento della sfera oggettiva e, da ultimo, ma non per ultimo, il punto interrogativo che pende da Bruxelles su questo tema.

Allora, vedete, probabilmente abbiamo l'esigenza di domandarci perché questa normativa sia rimasta da tre anni nel cassetto e quali possano essere i miglioramenti da mettere in campo, per fare in modo che non sia più un testo da chiudere nel cassetto, magari del Senato della Repubblica, per altri tre anni. Io credo che questo debba essere l'elemento centrale dal punto di vista politico: se vogliamo cercare di costruire attorno a questo testo, attorno a questa battaglia, che ha tutto il diritto di essere una battaglia di tutti e non, per esempio, una battaglia solo della maggioranza, dove vige comunque una logica di non pestarsi troppo i piedi a vicenda e di non occuparsi troppo, da parte della Lega, di ciò che fa il MoVimento 5 Stelle e viceversa... Per carità, l'abbiamo visto in tante occasioni, sono le regole base della convivenza, anche nella vita quotidiana della famiglia, figuriamoci nelle maggioranze di Governo, che non sono uscite dalle urne, ma che si sono costruite dopo l'esito delle elezioni. Quindi, per carità, ci sta, è comprensibile dal punto di vista politico. Però io ho sentito anche il collega Paolini della Lega, collega che stimo, tra l'altro, che conosco da tanti anni - siamo stati anche colleghi nelle passate legislature - parlare di miglioramenti di questo testo. Ecco, io sono curioso intanto di vedere poi il fascicolo pubblicato, con gli emendamenti, con le proposte di miglioramenti, che magari vorrà mettere in campo la Lega o che vorrà sostenere tra quelle proposte da Forza Italia. Perché, guardate, c'è una questione importante: quando un mondo produttivo, come Confindustria, viene a dirci che ci sono delle criticità, bisogna sapere ascoltare, sapere capire dove l'impatto di queste criticità può essere dannoso, non soltanto per la protezione dei diritti dei cittadini, perché magari ingenera comportamenti opportunistici, ma anche come elemento inibitorio della libertà di impresa, di quel coraggio dell'impresa di mettersi in campo ogni giorno, rimboccandosi le maniche e caricandosi gli imprenditori, sì, sulle loro spalle, il rischio dell'impresa. Infatti non è una cosa che passa di lì per caso: è una scelta che fa l'imprenditore. Ma è una scelta che in questo Paese non dobbiamo inibire, ma dobbiamo valorizzare.

Ecco, la mia preoccupazione, la nostra preoccupazione è che ci sia, non voglio scomodare una logica anti-impresa, ma una mancanza di sensibilità, su alcune delle questioni che l'impresa pone all'attenzione del legislatore in questo provvedimento, alcune esigenze di natura tecnica. Vi è il rischio di comportamenti opportunistici che snaturano anche il ruolo importante proprio del Codice del consumo, fatto da Berlusconi. Ci tengo a precisarlo, perché poi, sennò, sembra che qui il Codice del consumo l'abbiamo trovato, che è caduto da un albero. Fu il Governo Berlusconi a fare approvare la delega e a scrivere il Codice del consumo, pietra miliare sulla quale si vanno a incardinare tutti i diritti dei consumatori, dai quali oggi partiamo, anche per spostare, da dentro a fuori il Codice del consumo, la class action. Questo tengo a ricordarlo.

Ma, attenzione, snaturare o rischiare di snaturare il ruolo delle associazioni accreditate presso il Mise, con una delega generica che non include i criteri, ma che attribuisce al Ministero essa stessa il potere di creare i criteri su chi ammettere o no nel registro delle organizzazioni -l'abbiamo affrontato in Commissione, la relatrice, la presidente Sarti e i colleghi sanno di che cosa parliamo - rischia di fare venir meno quel ruolo anche di garanzia e di protezione dei consumatori, da parte di queste associazioni. Io, per esempio, sono molto perplesso sulla vicenda dei comitati. Il comitato è un organismo evanescente. Allora, l'organizzazione lo è ancora di più. Quindi, facciamo un lavoro per scriverla meglio questa cosa, perché se la si scrive bene, probabilmente è più facile che poi riesca a venire alla luce un prodotto, tra virgolette, non dico finito, ma comunque un semilavorato dignitoso, decente, applicabile. Altrimenti il rischio è quello di fare una bella pagina di intenti, approvare una cosa magari, se non all'unanimità, comunque con una ampia maggioranza, ma poi avere un prodotto che rimane fermo lì, perché è inapplicabile. Oppure il rischio è dovere intervenire con delle modifiche molto importanti al Senato, ritrovarci ancora a fare una terza lettura e una quarta e una quinta e chissà quante altre.

Allora, parlo in particolare con riferimento a chi ha fatto una campagna elettorale guardando e parlando al mondo produttivo e alle imprese medie e grandi. Noi in questo Parlamento - il collega Ferraresi lo sa - su tanti argomenti abbiamo cercato di scrivere insieme delle pagine belle, anche dal punto di vista della protezione dei diritti dei cittadini, da chi con le proprie condotte ha avuto comportamenti contrari al Codice del consumo, ai diritti dei consumatori, ai diritti dei cittadini, degli utenti, dei passeggeri e di tanto altro ancora.

Sarebbe interessante veramente domandarsi se e che cosa succederebbe. Io ho semplicemente paura di una deriva antipolitica, per cui già adesso, con una giustizia fatta ad hoc, mentre qualsiasi cittadino è innocente fino al terzo grado di giudizio, i sindaci lo sono fino al primo. Figuriamoci, con quattro spicci che guadagnano, magari con responsabilità enormi! Vedo il collega Trancassini e penso a tanti sindaci, che sul terremoto si sono caricati sulle loro spalle la rappresentanza dei cittadini, di fronte a esigenze e a drammi che sono disumani. E davvero ci lasciano a bocca aperta, per la forza con la quale interpretano il loro mandato. Ecco, immaginiamo, però, cosa succederebbe se si potesse anche verso la pubblica amministrazione svolgere una class action di questo tipo, magari verso il tal sindaco, per le buche nelle strade della città o tanti altri aspetti di cattiva o negativa amministrazione. Anche questo potrebbe essere un fronte interessante, se non rischiassimo di trovarci sopra l'antipolitica e tante altre baggianate, che, purtroppo, oggi sono all'ordine del giorno.

Ma io sono molto curioso di capire su che cosa e su quali provvedimenti un movimento come la Lega sarà in grado di sostenere miglioramenti a questo testo. Infatti, credo che potremo scrivere insieme una buona pagina, se faremo attenzione a quelle 4-5 criticità, che i colleghi di Forza Italia, con grande impegno e competenza, hanno messo in evidenza. Mi rendo conto che anche per disciplina di partito, probabilmente, i colleghi della Lega non hanno voluto porre in campo con forza, almeno nella discussione che c'è stata in Commissione, per non turbare l'equilibrio di cui sopra, ma almeno di fronte all'appuntamento dell'Aula, dove il testo poi sarà esaminato e approvato o respinto… In questo il voto dell'Aula è sovrana, ma insomma sarà esaminato con i tempi contingentati, grazie al fatto che Forza Italia ha acceduto, perché ha chiesto più tempo. Io credo - lo dico guardando la relatrice - che questo tempo, che si è utilizzato in più, sia servito. Ecco, pensate questo, quando cominceremo domani il seguito dell'esame di questo provvedimento.

Se ci fosse stata la forzatura di dovere chiudere quel testo così com'era per portarlo in Aula, per metterlo in Aula la settimana scorsa, al fine di fare la discussione generale su un testo che, di fatto, non sarebbe stato assolutamente votabile. Già in Commissione avete approvato diversi emendamenti, a firma della relatrice, peraltro, quindi, è un testo che ha visto delle modifiche sostanziali. Se foste andati, per fare una forzatura, in Aula la scorsa settimana, per arrivare in questa settimana con il contingentamento, è chiaro che si sarebbe rotto un filo di comunicazione importante tra la maggioranza e l'opposizione, tra le forze politiche, tra i colleghi della Commissione giustizia su un tema che - insisto - deve essere patrimonio comune. E lo dico, che deve essere patrimonio comune - non soltanto da responsabile della tutela dei consumatori del mio partito, ma da deputato di questo Parlamento, già dalla scorsa legislatura – perché ho la testimonianza effettiva del fatto che su questo terreno, quando si vuole, si riescono a costruire delle pagine di Parlamento positive, di politica e di vita parlamentare, insieme, tutti quanti. E io mi auguro che anche questa sia l'occasione di poterlo fare. Le proposte di Forza Italia sono chiare, sono state illustrate con grande competenza dai colleghi, non ci torno più sopra.

Ecco, concludo questo mio intervento con la formulazione di un auspicio: che sia un esame contingentato solo tra virgolette, cioè che sia un esame in cui si riesca a scendere nel merito delle questioni, se necessario, anche approfondirle, senza una contrapposizione frontale tra maggioranza e opposizione che non ha senso, perché noi non siamo qui per fare una contrapposizione frontale; noi siamo qui per scrivere bene un testo nell'interesse di quel bilanciamento necessario tra la tutela dei cittadini, la tutela delle imprese, l'equilibrio, la tutela del sistema giudiziario italiano e l'assenza di chi, attraverso magari delle nuove opportunità, non pensa alla tutela dei consumatori, ma a una rendita di posizione, a comportamenti opportunistici e, magari, al superamento del ruolo, ormai consolidato, e per fortuna, anche delle associazioni e dei soggetti di tutela dei consumatori che, in questo Paese, svolgono un ruolo importante di cui, finalmente, qualcuno comincia a rendersi conto e ad ascoltare, anche il Parlamento. Io credo che questa sia la strada su cui, con giudizio, equilibrio e serietà, si debba continuare ad andare avanti (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - A.C. 791-A)

PRESIDENTE. La relatrice di minoranza, deputata Giusi Bartolozzi e la relatrice per la maggioranza, deputata Angela Salafia, rinunciano alla replica.

Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.

VITTORIO FERRARESI, Sottosegretario di Stato per la Giustizia. Grazie, Presidente. Intanto, ringrazio per l'ottimo lavoro che è stato svolto in questi giorni in Commissione giustizia, al quale ho partecipato; un lavoro tecnico, un lavoro efficiente e un lavoro che, non solo non è dovuto scendere a forzature di tempi, questo è un auspicio anche di questo Governo, ma neanche a forzature di tipo ideologico, che non sono mai state prese in considerazione, penso, da nessuno degli schieramenti in campo che hanno portato i loro contributi, hanno portato le loro domande agli auditi, hanno portato un lavoro che è stato proficuo anche dal punto di vista dell'accoglimento di alcune criticità che c'erano nel testo e che altrettanto proficuo dovrà essere in Aula, dove, appunto, c'è massima disponibilità al confronto, e nessun tipo di chiusura.

Certo, questo non vuol dire che, poi, nella discussione, in una discussione tranquilla, in una discussione sul merito, le parti non possano fare, compreso il Governo, le loro scelte politiche, questa è sicuramente una facoltà che, indipendentemente dai tempi, indipendentemente dalle proposte, si deve consentire, perché questo provvedimento ha importanza su tre punti fondamentali, dal mio punto di vista: sulla razionalizzazione delle procedure, tanto cara al nostro sistema e che prevede veramente una moltitudine di principi e istituti che, certe volte, si frappone come un muro rispetto agli interessi dei cittadini; su un risparmio in termini di economia di tempo e di risorse che assolutamente è vissuto e sentito dai cittadini stessi e dai professionisti del settore della giustizia, e su una tutela dei diritti, compresi quelli costituzionali, che nel nostro Paese hanno sempre fatto fatica a trovare piena attuazione e che, secondo noi, con questo tipo di proposta viene rimarcata, perché è uno strumento che rende la possibilità al cittadino di rimarcarla, facendolo con uno strumento di allargamento dei diritti stessi e, anche, secondo me, di comunità, perché gli interessi collettivi omogenei sottolineati sono portati avanti con un senso di comunità che prevede un'unione dei cittadini rispetto, molte volte, a difficoltà tecniche e, anche e soprattutto, di natura economica che rendono molto difficile l'accesso alla giustizia ai cittadini e, quindi, l'accesso per la garanzia dei propri diritti costituzionalmente garantiti.

Questo provvedimento arriva dalla legislatura precedente, è stato detto. Io ho qualche perplessità sul fatto che sia stato sostenuto con forza dalle forze di maggioranza della legislatura precedente, perché dopo il voto all'unanimità, io posso dire che un provvedimento non sta fermo per tre anni in Senato se c'è tutta questa volontà di supportarlo; non sta fermo tre anni in un cassetto se c'è tutta questa voglia di sostenerlo e di condividerlo, com'era stato condiviso alla Camera dei deputati e votato all'unanimità. Come posso dissentire sul fatto che, per migliorare un provvedimento che magari non funziona, lo si tenga sempre nel cassetto; se un provvedimento è votato all'unanimità e ha qualcosa che non va, il vaglio, l'analisi delle due Camere serve proprio a fare delle modifiche e, quindi, a rimandarlo. Mi viene da dire che forse, ecco, nella precedente legislatura, dopo un patto positivo da parte di una Camera, c'è stata una sorta di ostruzionismo che, indipendentemente dalle cose che potevano essere modificate o meno, ha, di fatto, affossato il provvedimento, su influenze che possono anche essere state esterne e che l'hanno fatto rimanere lì.

Credo che il punto più importante sia l'allargamento che questo provvedimento pone sull'applicazione, sulla portata applicativa per tutelare interessi che prima non erano tutelati, per allargare, appunto, quel concetto di consumatore o di utente, per allargare quel concetto di interessi e di diritti che non si riferiscono solo al singolo, che non si riferiscono solo a certi settori dell'economia ma che avvolgono la nostra vita e, anche, appunto, la nostra salute, in questo caso, perché non si tratta solo di semplici questioni economiche, ma anche di questioni di salute e dell'ambiente che ci circonda. Secondo me, è stato raggiunto un equilibrio anche in Commissione, con gli interessi di imprese e imprenditori tenuti in debita considerazione; e che, appunto, ha dato un provvedimento equilibrato, ma che potrà essere, ripeto, ridiscusso in Aula.

Il concetto degli aderenti e il concetto di sostanziale identificazione di chi potrà poi andare a fare gli interessi dei cittadini è stato rimarcato anche in Commissione; nessuno vuole lasciare tutto al caso, semplicemente si vogliono prevedere degli strumenti che possano essere adattati come un vestito ai vari interessi in gioco, alle varie associazioni o anche comitati, perché il comitato, guardate, secondo me, è proprio oggetto specifico di questo provvedimento, perché il comitato nasce con uno specifico obiettivo, non è che nasce un giorno e prevede diverse applicazioni su diverse tematiche. Quindi, è stato opportuno prevedere una fattispecie ampia che possa essere vestita sui settori e sugli interessi in modo diversificato, con atti del Governo che possano venire da questo; poi io ho proposto in Commissione, proposta non accettata, il fatto che questi decreti potessero ritornare alle Commissioni per una valutazione di merito, e questa proposta è ancora sul piatto se qualcuno la vuole accettare.

Altro punto è, senz'altro, la celerità dei procedimenti, il fatto di prevedere il foro dell'impresa, il fatto di prevedere una procedura specifica realizza anche quello che è contenuto nel contratto di Governo, oltre che ovviamente la class action, cioè quello di fare procedimenti veloci, di far risparmiare tempi alla giustizia, di rendere le procedure identificabili e unificabili, in modo appunto che, sia le imprese, sia i cittadini, ma anche gli stessi magistrati, gli stessi tribunali possano avere procedimenti celeri, procedimenti razionali, efficienti e anche questo è un altro motivo per il quale, secondo me, le imprese non investono più nel nostro Paese, ovvero il costo dei servizi, il costo della giustizia, ma soprattutto le tempistiche della giustizia. Tutto ciò, da questo punto di vista, sicuramente, può portare le imprese a investire in Italia e non, invece, a ritrarsi. L'esistenza di utenti che, per difficoltà economiche, non agiscono in sede di giustizia, in sede di giudizio, è, secondo me, una questione inaccettabile.

Noi dobbiamo fare in modo che nessuno rimanga indietro, nemmeno dal punto di vista degli interessi che devono essere garantiti dalla giustizia, perché molte volte, per magari ignoranza, in buona fede, o per mancanza di risorse, i cittadini non vanno a richiedere i propri diritti, soprattutto quando sono piccole somme. Ma non è che la piccola somma caratterizza un danno minore, soprattutto perché è proporzionale, appunto, allo stile di vita del cittadino stesso, ed è proporzionale agli interessi che il cittadino vive ogni giorno. Ed è quindi, anche quello, un punto fondamentale da garantire, non solo a chi porta grossi interessi, non solo a chi porta grosse somme, ma ai cittadini che si sentono lesi ogni giorno, e ogni giorno devono ricevere invece un ristoro e una giustizia, uno Stato che gli sta vicino.

Io credo che sia poco carino o inaccettabile definirci come un Governo che ha pronunciato parole del tipo “gli imprenditori sono tutti corruttori”, o “gli imprenditori che sono oggetto di questo provvedimento sono tutti imprenditori che commettono degli illeciti o dei danni ai cittadini”. Nessuno ha mai voluto dire questo; e credo che sia molto importante, perché noi siamo con gli imprenditori onesti, ma stare con gli imprenditori onesti, sia che si tratti di anticorruzione sia che si tratti di class action, vuol dire incentivare gli imprenditori ad essere onesti, a non danneggiare i cittadini, a non danneggiare la pubblica amministrazione. E non si può dire che definiamo tutti gli imprenditori dei corruttori: semplicemente andando a far pagare il conto a chi non l'ha mai pagato, per furbizia, perché vuole fare interessi di natura personale, sempre, si stabilisce un concetto, che chi sbaglia paga. E “chi sbaglia paga” nel nostro Paese vuol dire che si crea, invece, un insieme, un'apertura a tutte quelle forze, soprattutto giovani, del nostro Paese che vanno fuori dalla nostra nazione a fare impresa, non solo perché i costi sono proibitivi, non solo perché non c'è speranza, ma perché vedono che la meritocrazia, nel nostro Paese, non è mai un punto all'ordine del giorno, perché vedono che sempre i disonesti la fanno franca e le persone, invece, oneste, che pagano le tasse, le persone che, invece, impiegano la loro attività in modo lecito, senza corruzione e senza danni ai cittadini, sbagliano sempre, perché poi, alla fine vengono puniti da quelle imprese che passano loro davanti perché riescono ad attuare alcuni stratagemmi che permettono loro di andare avanti.

Ecco, questo segnale noi lo vogliamo dare. Un segnale di controtendenza, un segnale che può far tornare invece voglia di investire al nostro Paese, soprattutto alle giovani generazioni; ed è un segnale di chi va proprio contro le norme ad personam. Mi fa un po' sorridere che a sollevare il concetto delle norme ad personam, o contra personam, sia stata la forza politica di Forza Italia, che forse dovrebbe guardare un po' al suo passato. Noi cercheremo di non fare norme ad personam, ma neanche contra personam. Questo progetto di legge è un progetto di natura parlamentare nato nel 2013, quindi, a scanso di equivoci, molto tempo fa, che semplicemente non è stato approvato, ma che comunque non aveva alcuna intenzione di punire nessuno in quel momento, ma solo di garantire diritti in modo più equo e in modo più forte.

Io credo che, anche sulla direttiva, si possa dire che qui nessuno vuole andare in contrasto. Forse per una volta, colleghi, noi faremo qualcosa di più rispetto a quello che ci chiede l'Europa, arriveremo, una volta, prima rispetto a quello che si chiede l'Europa e non dopo, e non essendo ogni volta oggetto di sberleffi, oggetto di tirature d'orecchie, oggetto di qualcosa che, appunto, non è mai stato preso in considerazione; invece stavolta non credo che sarà così. Anche perché se il Paese oggetto della direttiva fa un passo più significativo verso una direzione non è una cosa sbagliata, è una cosa che si può fare, è una cosa assolutamente auspicabile. Poi si possono avere diverse visioni, ma secondo me è molto importante rimarcare che, per una volta, arrivare prima, secondo me, è una cosa che ci fa onore, e sicuramente non ci fa difetto.

Poi, è chiaro, si può sempre perdere tempo, come è stato fatto in questi tre anni. Io credo che di tempo i cittadini, soprattutto i cittadini che vogliono vedersi garantiti i diritti, non ne hanno più, non hanno più tempo per aspettare il prossimo anno, per aspettare tre anni come è già stato fatto; ma hanno diritto a delle risposte, delle risposte che arrivano sui loro diritti, che vivono ogni giorno sulla loro pelle, sui danni che hanno subito, e soprattutto sulle istanze che, in giustizia, molte volte non hanno mai fatto valere perché non se lo potevano permettere.

Questo provvedimento sicuramente dà una risposta in questo senso. Analizziamolo, discutiamolo in Aula. C'è assoluta apertura e assoluta volontà di portare avanti con buonsenso e senza ideologia alcuni provvedimenti, ma credo che sia arrivato il tempo di dare una risposta a tutti i cittadini, e soprattutto un ulteriore passo avanti nel contratto di Governo che MoVimento 5 Stelle e Lega hanno voluto sottoscrivere (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Discussione della mozione Lollobrigida ed altri n. 1-00033 concernente iniziative per la celebrazione del centesimo anniversario della vittoria della prima guerra mondiale (ore 17,20).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Lollobrigida ed altri n. 1-00033, concernente iniziative per la celebrazione del centesimo anniversario della vittoria della prima guerra mondiale.

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta del 27 settembre 2018 (Vedi l'allegato A della seduta del 27 settembre 2018).

Avverto che è stata altresì presentata la mozione Ascani ed altri n. 1-00053, che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verrà svolta congiuntamente. Il relativo testo è in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.

È iscritto a parlare il deputato Paolo Trancassini, che illustrerà anche la mozione Lollobrigida n. 1-00033, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

PAOLO TRANCASSINI (FDI). Presidente, rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, sono onorato di essere io ad illustrare questa mozione, per conto del gruppo di Fratelli d'Italia, che ha sottoscritto questa richiesta di attenzione al Governo e al Parlamento su questa importante ricorrenza, il 4 novembre. Sono cento anni dalla fine della guerra, la nostra quarta guerra d'indipendenza, quando siamo diventati per davvero una nazione ed un popolo. Una ricorrenza che negli anni passati ha visto l'istituzione, nel giugno 2013, di un comitato interministeriale, ha visto stanziati dei fondi con la legge di stabilità del 2014, proprio perché il Governo, lo Stato, il Parlamento pensavano che nel 2018 ci sarebbero dovute essere celebrazioni, ci sarebbe dovuta essere quell'attenzione nei confronti di questa scadenza, che però noi non notiamo, visto che siamo ad un mese dalla ricorrenza; questa mozione vuole proprio sensibilizzare le scuole, vuole sensibilizzare il Parlamento, vuole sensibilizzare l'opinione pubblica a far sì che si arrivi a ricordarla e a festeggiarla in maniera degna.

È molto importante questo, perché, come ho detto all'inizio, è sostanzialmente la nostra quarta guerra d'indipendenza; e, anche partendo da questa ricorrenza, noi riusciamo a notare una sorta di deprezzamento dei nostri valori. Non c'è attenzione nei confronti di questi valori, della patria, dell'indipendenza e del fatto che finalmente abbiamo disegnato i nostri confini in quella circostanza. Non c'è attenzione!

La mia generazione come la sua, Presidente Rampelli, ricorderà che nei primi quattro giorni di novembre c'era un po' tutto il nostro essere italiani, perché il 1° novembre festeggiavamo i santi, il 2 venivamo condotti nei cimiteri a conoscere i nostri padri, i nostri nonni, i nostri bisnonni, quindi il senso d'appartenenza, la famiglia; per poi arrivare al 4, a sventolare il Tricolore ed essere e sentirsi per davvero italiani. Ecco, tutto questo oggi non c'è più. Non solo perché sono state abolite queste festività: in realtà sono state completamente sostituite da Halloween, una festa che non si è aggiunta alle nostre: le ha sostanzialmente cancellate.

Ecco, io credo che noi abbiamo dei problemi; e probabilmente la decadenza del nostro Paese, la difficoltà che ha questa nazione ad imporsi anche a livello internazionale, nasce da questa crisi di valori. Una crisi nella quale credo tutti quanti noi dovremmo impegnarci di più, dovremmo cercare di tornare ad insegnare l'educazione civica ai nostri figli, dovremmo cercare di intervenire anche con i nostri figli, per insegnare loro che, oltre ad Halloween, il 1°, il 2, il 3 e il 4 abbiamo molto altro da festeggiare.

Ecco, noi, nel nostro comune, nel comune di Leonessa, abbiamo pensato fosse dovere dell'Amministrazione comunale cercare di darvi questi segnali e abbiamo scoperto, Presidente, che, nel nostro Paese, nella nostra nazione, per tanti anni, i quaderni dove i ragazzi facevano gli esercizi di scuola elementare e media non avevano sulla copertina i fumetti, non avevano sulla copertina i colori o tutte quelle altre cose, anche belle per la verità e di fantasia, che noi oggi troviamo nei quaderni dei nostri figli. Per tanti anni, per oltre quindici anni, ai nostri predecessori veniva dato un quaderno, sulla cui copertina c'era un eroe. E gli eroi che venivano normalmente utilizzati per le copertine dei quaderni erano eroi della prima guerra mondiale. Noi abbiamo poco più di 300 medaglie d'oro al valor militare…

PRESIDENTE. Concluda.

PAOLO TRANCASSINI (FDI). Ho finito, Presidente. Abbiamo circa 330, 340 medaglie d'oro al valor militare nella nostra nazione, noi abbiamo ritrovato un quaderno che rappresentava Costantino Palmieri, che è un eroe di Leonessa, premiato appunto con la medaglia d'oro, li abbiamo stampati e li abbiamo regalati ai nostri figli per cercare di portarli a ragionare insieme a noi su questo grande tema che è l'appartenenza ad una nazione e un sentimento profondo che ci lega alla nostra patria.

Ecco, io, Presidente, questo quaderno glielo regalerò al termine del mio intervento, sperando che il prossimo 4 novembre vi siano molte manifestazioni che ricordino questo appuntamento e, soprattutto, mi auguro che, insieme ad Halloween - non pretendo che venga spodestato anche se mi farebbe piacere - questa nazione abbia la capacità di festeggiare il 4 novembre 1918 (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia e Lega-SalviniPremier).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Romano, che illustrerà anche la mozione Ascani ed altri n. 1-00053, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

ANDREA ROMANO (PD). Grazie, Presidente. Io vorrei iniziare questo mio intervento, riportando in quest'Aula, a distanza di poco più di un secolo, le parole di uno dei nostri soldati, di uno dei nostri eroi, come poc'anzi il collega di Fratelli d'Italia diceva, quei soldati che combatterono nella Grande Guerra. Cito queste parole con tanto di errori ortografici, era naturalmente, come emergerà, un figlio del popolo, semianalfabeta, che scriveva: “Spera, cara molie, che vada terminata questa guerra micidiale, che invece di diminuire, va allargandosi sempre più e fa piangere madri, padri molie. Figli. Fratelli e sorelle di tutto quelli che si ritrovano in detta guerra”. Questo è un brano della lettera, per l'appunto, che un anonimo prigioniero di guerra italiano, detenuto nel campo tedesco di Theresienstadt, scrisse alla famiglia, che si trovava ad Altavilla, in provincia di Vicenza, nella fase finale della prima guerra mondiale.

Quando ricordiamo la grande guerra - e queste parole ci incoraggiano a farlo -, quando ricordiamo il primo e grande e devastante conflitto del ventesimo secolo, siamo tenuti tutti a ricordare, in primo luogo, le sofferenze che quei combattimenti portarono al nostro Paese, al nostro continente e anche a Paesi che non facevano parte del nostro continente. Oltre un milione di vittime italiane, tra civili e militari, pari a circa il 3 per cento della nostra popolazione dell'epoca e quasi venti milioni di morti per tutti i Paesi combattenti. Una strage enorme, un'inutile strage, per citare le parole tristi e celeberrime pronunciate da Papa Benedetto XV nell'agosto del 1917, un rogo spaventoso di vite umane e di risorse economiche, civili e culturali.

Ecco, Presidente, noi dobbiamo partire da qui per ricordare sia l'eroismo dei nostri soldati, che si batterono nelle trincee con abnegazione e sacrificio nonostante i numerosi errori, spesso catastrofici, dei vertici politici e militari, sia per ricordare l'impegno dei milioni di civili, donne e uomini, che garantirono con la propria fatica, nelle fabbriche, nei campi e nei luoghi di lavoro, che lo sforzo militare del nostro Paese fosse sostenuto da un impegno economico adeguato.

Ecco, dobbiamo partire da qui, dalle sofferenze, soprattutto se ci poniamo l'obiettivo - come ci poniamo l'obiettivo con queste nostre mozioni o almeno questo è l'obiettivo che si pone la mozione presentata dal Partito Democratico - di chiedere al Governo di dedicare spazio adeguato e risorse adeguate alla rievocazione del primo conflitto mondiale. Perché, Presidente, rievocare oggi quel conflitto significa indicare alle nuove generazioni le ragioni di quel conflitto e le conseguenze di quella strage. E questo lavoro di racconto, spiegazione e ammonimento serve proprio a far sì che l'eroismo e il sacrificio dei nostri soldati e dei nostri civili non sia stato inutile, che il sangue dei nostri morti non vada perduto in una retorica che rischia di essere fine a se stessa, ma serva, anche a distanza di un secolo, affinché quella inutile strage, per l'appunto, non abbia più a ripetersi.

Dobbiamo allora ricordare che la Grande Guerra nacque da un clamoroso fallimento della politica e della diplomazia, politica e diplomazia che non riuscirono a conciliare interessi nazionali diversi e spesso divergenti; interessi nazionali che avrebbero potuto essere composti dalla comunità internazionale, anche se naturalmente la comunità internazionale dell'epoca non disponeva degli strumenti e dell'articolazione di cui gode da almeno qualche decennio, ma potrebbero e avrebbero potuto essere composti, quegli interessi nazionali, se le leadership politiche che quegli interessi rappresentavano non avessero percorso la strada dell'affermazione solitaria delle proprie ragioni a qualunque costo. Un costo che alla fine - e lo ricordavo poco fa - sarebbe risultato catastrofico per tutti, sia per coloro che uscirono vincitori da quel conflitto, sia per coloro che, invece, ne uscirono sconfitti. Perché la prima lezione di quel conflitto è una lezione non accademica, ma politica, e che noi oggi dobbiamo ricordare. La prima lezione è che chi ritiene di fare gli interessi del proprio Paese affermando quegli interessi in modo solitario, in modo aggressivo, in modo ostile alla comunità internazionale, prima o poi condanna il proprio Paese alla catastrofe.

Oggi forse chiameremmo quell'atteggiamento sovranista, usando una parola che va di moda, per l'appunto, ovvero l'atteggiamento di quei politici che ritengono che l'unico metro di giudizio per l'azione internazionale sia il proprio interesse non nazionale, ma di partito, magari travestito da interesse nazionale, quell'interesse di partito, ma che interesse di partito resta. E ritengono, quei politici, che quell'interesse di partito debba essere fatto prevalere contro ogni forma di cooperazione internazionale. Allora, oltre un secolo fa usavano altri termini, non era ancora stato inventato il termine sovranista, allora erano le ragioni dell'interventismo, delle radiose giornate di maggio, di un partito della guerra, così si chiamò, che fu trasversale alle famiglie politiche, che godette di enormi consensi sulla stampa e persino sulle piazze, sulle strade; anche allora ci fu chi si affacciò dai balconi, anche allora ci fu chi festeggiò quella che sembrava, appunto, una svolta positiva per il Paese e che, invece, tre anni dopo e un milione di morti dopo, sarebbe apparsa come una immane catastrofe nella quale l'Italia avrebbe bruciato le sue migliori risorse umane, civili, economiche e culturali. E la lezione di quegli anni, Presidente, è che i sovranismi, prima o poi, entrano in conflitto tra di loro, perché c'è sempre un sovranista più sovranista di te e questi atteggiamenti prima o poi scatenano conflitti che possono essere catastrofici, come fu catastrofico il primo conflitto mondiale.

Lo stesso ragionamento che dobbiamo tenere a mente, io credo, riflettendo da legislatori sugli insegnamenti della prima guerra mondiale riguarda le conseguenze di quella catastrofe, che avrebbe cambiato per decenni la storia europea in peggio, per esempio in Italia, in Germania e in parte dell'Europa centrale, aprendo la strada al totalitarismo fascista, al totalitarismo nazista, o in Russia, tracciando la via che sarebbe poi sfociata nella dittatura staliniana, ma in tutta Europa certamente inaugurando una stagione di declino civile ed economico da cui il nostro continente si sarebbe ripreso solo molti, molti decenni dopo e solo dopo un altro e ancora più devastante conflitto.

Che cosa ci racconta la riflessione sulle cause e sulle conseguenze della Grande Guerra? Che quella strage, quell'inutile strage fu l'anteprima di alcuni dei mali più devastanti del ventesimo secolo. Ricordiamone alcuni, di questi mali, affinché siano ben presenti al nostro lavoro di legislatori, che giustamente stanno richiamando il Governo al dovere di celebrare opportunamente quella vicenda tanto fondamentale per la nostra storia. Cominciamo, per esempio, con una certa idea di nazione, l'idea di nazione che prevalse in quel conflitto: un'idea di nazione che venne considerata, allora, come un dato di natura, immutabile e non subalterna, né mediabile rispetto ad alcuna mediazione diplomatica o politica, mentre la nazione - e oggi, anche alla luce delle catastrofi del ventesimo secolo, lo sappiamo - non è un dato di natura, ma è piuttosto una rappresentazione culturale, politica, una costruzione consapevole, hanno scritto alcuni, che può essere declinata in modi diversi gli uni dagli altri.

Ed è quindi la differenza tra varie idee di nazione o, meglio, tra un'idea di nazione ostile, affermativa, isolazionistica e un'altra idea di nazione che può essere, per l'appunto, costruita anche da un dibattito pubblico, è nella differenza tra queste due idee di nazione che si estende tutta la differenza tra patriottismo e nazionalismo, laddove, come ha scritto Romain Gary, “il patriottismo è amare la propria gente, il nazionalismo è odiare gli altri”. La nazione, Presidente e colleghi, non è sangue e suolo; la nazione è cultura, cura e coltivazione di un'identità. Ed è qui che si radica l'idea democratica della difesa dell'interesse nazionale, una difesa motivata culturalmente, politicamente e soprattutto aperta al dialogo, alla mediazione, alla declinazione del proprio patriottismo dentro le istituzioni multilaterali e sovranazionali e non nell'isolamento chiuso e ostile.

Ma un altro di quei mali che emerse nel corso della Grande Guerra fu l'idea che l'avversario, il nemico fosse un essere abietto, inferiore dal punto di vista razziale, e fu in quel frangente storico, per l'appunto, che emersero elementi di un razzismo che poi si sarebbe dispiegato in maniera catastrofica, come sappiamo tutti, e tali aspetti emersero nel corso di quella guerra - va detto con sincerità - anche da parte italiana, per esempio nella brutalizzazione del nemico, nelle strategie comunicative di brutalizzazione del nemico, quello che era allora l'odiato tedesco e che poi sarebbe diventato l'odiato con varie altre declinazioni nazionali.

Ma pensiamo anche al ruolo negativo, ovviamente, che ebbe l'antisemitismo nel corso della catastrofe della Grande guerra mondiale e nel corso delle sue immediate conseguenze, laddove alle comunità ebraiche venne addossata la responsabilità della sconfitta, per esempio in Germania, o addirittura la responsabilità di avere provocato la Prima guerra mondiale in molti Paesi europei e dove la declinazione identitaria e razzista della nazione fu volta ad espellere dalla propria comunità coloro che venivano percepiti come estranei. E, ancora, tra i mali di quel frangente storico, come non ricordare tra le conseguenze del conflitto lo sfruttamento del mito della vittoria mutilata e, quindi, dell'interventismo tradito, elementi che alimentarono una strategia sovversivistica che sarebbe poi sfociata nella dittatura fascista.

La nostra Costituzione, la Costituzione repubblicana, ha ben recepito gli insegnamenti del primo conflitto mondiale e del secondo conflitto mondiale, per esempio rifiutando la guerra d'aggressione, ma anche mettendo al centro della nostra azione diplomatica la comunità internazionale e le obbligazioni che ne derivano. Naturalmente mi riferisco all'articolo 11 della Costituzione, laddove si scrive che l'Italia non solo rifiuta la guerra di aggressione, ma “consente” - e cito - (…) “alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra le Nazioni”, che poi sono, appunto, queste obbligazioni l'unico modo per rendere compatibili interessi nazionali, che possono naturalmente divergere, con la difesa della pace e la difesa di un ordinamento sovranazionale ispirato alla giustizia.

Questo era ed è, fino a prova contraria, uno degli insegnamenti che i nostri padri costituenti hanno voluto mettere alla base della nostra comunità repubblicana, un insegnamento che noi finora abbiamo dato per scontato, ma che potrebbe essere in qualche modo rimesso in discussione e che forse già è messo in discussione da questi nuovi tempi politici, perché non possiamo, io credo, dare per scontato che tutto vada avanti in una progressione, come dire, ottimistica verso il futuro. C'è il rischio, come è successo anche in passato, di tornare indietro, di regredire, di archiviare come se fossero ormai elementi scontati e dati, appunto, per acquisiti realtà, elementi e principi che sono invece nati, come nel caso dell'articolo 11 della Costituzione, dalla consapevole e sofferta esperienza del nostro Paese attraverso due catastrofi mondiali. Questo rischio noi lo vediamo, per esempio, nel riemergere di una retorica etno-nazionalista, perché di questo si tratta, per la quale si ritorna a concepire la nazione in termini assolutistici, naturalistici e, dunque, non sottoposti ad alcuna forma di mediazione con la politica e con la diplomazia, allorché si torna a parlare di etnia, invece che di nazione come comunità culturale e politica, di etnia e dando per scontato che le etnie esistano, che esistano e che siano naturalmente in conflitto. Questo fu uno dei grandi scenari dietro al quale si combatte la Prima guerra mondiale, uno dei grandi scenari che ritornarono di lì a poco con la Seconda guerra mondiale, con i conflitti etnici, con lo sterminio ebraico e con la Shoah, insegnamenti novecenteschi che noi - lo ripeto ancora una volta - non possiamo ritenere scontati una volta per tutte, ma che possono – e sono, in effetti – rimessi in discussione.

Infatti, Presidente - e mi avvio alla conclusione - la retorica etno-nazionalistica è la radice della guerra, è la radice del conflitto senza mediazioni, è la radice anche del consenso o, meglio, della ricerca di un consenso orientato all'aggressione e all'isolamento.

E ora - e mi rifaccio alla nostra mozione - che ci accingiamo ad esercitare il nostro ruolo di legislatori chiedendo, per l'appunto, al Governo di onorare la memoria della Prima guerra mondiale, tra l'altro riprendendo e proseguendo un lavoro legislativo positivo che fu avviato già dal 2013 con vari atti legislativi e di governo che hanno dato risorse e strumenti alla rievocazione, per l'appunto, della Prima guerra mondiale, ora che ci accingiamo a fare questo lavoro ricordando l'eroismo dei nostri soldati e l'abnegazione delle donne e degli uomini che consentirono al nostro Paese, nel corso del Primo conflitto mondiale, di difendere la nostra integrità territoriale, dobbiamo, io credo, provare a non sprecare questa occasione con un vuoto esercizio di retorica, ma provare a ricordare a noi stessi, e soprattutto alle nuove generazioni, che saranno, naturalmente, i destinatari di questo sforzo - e davvero concludo -, le ragioni di quel conflitto, le conseguenze di quel conflitto e i mali che quel conflitto contenne, con un obiettivo preciso che spetta a noi come politici e come legislatori: fare di tutto per rimuovere, una volta per sempre dalla storia italiana, le ragioni politiche e culturali che ci portarono a quella catastrofe (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Domenico Furgiuele. Ne ha facoltà.

DOMENICO FURGIUELE (LEGA). Grazie, signor Presidente. Onorevoli colleghi, nel novembre 1918 l'Italia vinceva il Primo conflitto mondiale, dopo quarantadue mesi di strenui combattimenti che portarono veramente delle catastrofi e oltre 600 mila morti soltanto tra i militari, senza contare i morti tra i civili. La guerra del 1915-1918 ha rappresentato una carneficina senza precedenti, visto che un'intera generazione di italiani ne ha subìto le tragiche conseguenze: 650 mila morti, milioni di mutilati, di feriti, di dispersi, un prezzo di sangue e di sacrificio elevatissimo e le conseguenze, anche in termini demografici, in termini economici e in termini sociali, che si protrassero anche nei decenni successivi.

Tale conflitto per la prima volta ha visto in Italia la mobilitazione di massa di milioni di persone appartenenti alle diverse regioni, attuando nei fatti la vera unificazione degli italiani che, come da più parti sostenuto, è avvenuta all'interno delle trincee, ove si sono trovati a combattere e a morire, assieme e sotto la stessa bandiera, italiani appartenenti alle varie regioni, differenti per cultura, per usanze, forse anche per linguaggio, ma uniti da una stessa uniforme e da un'identica patria. I soldati italiani, in maggioranza contadini provenienti da storie e da regione differenti, come dicevo, per la prima volta si trovarono, con il senso del dovere, nella silenziosa rassegnazione e in condizione di precarietà, a riscoprire l'appartenenza ad un unico destino di popolo e di nazione. La logica crudele delle guerre non riuscì a piegare il senso di fratellanza, amicizia e umanità; l'odio per il nemico non prevalse sulla pietà.

Molti di loro forse non riuscirono mai a comprendere le ragioni di quella guerra, ma nell'animo dei sopravvissuti rimase scolpito, accanto alle insanabili ferite, il senso di aver partecipato ad un evento storico molto importante per la crescita della nostra nazione. La coscienza nazionale, che fino a quel periodo era solo appannaggio delle élite intellettuali, cominciò a ramificarsi, cominciò a cementarsi proprio partendo dal fango di quelle trincee. Il contributo in termini di mobilitazione e di sangue da parte delle regioni meridionali non fu inferiore rispetto alle regioni del nord (Applausi dei deputati dei gruppi Lega-SalviniPremier e Fratelli d'Italia), regioni - soprattutto quelle della zona orientale - nelle quali si è combattuto e dove, per ragioni politiche e storico-geografiche, erano molto più chiari gli scopi e gli obiettivi di quella stessa guerra. Non vi è stata grande città, non vi è stato piccolo borgo in cui i cittadini non abbiano vestito i panni grigioverdi delle proprie divise, non vi sono state famiglie che, direttamente o indirettamente, non abbiano subito gli effetti di quelle tragiche conseguenze.

Le regioni del Sud sono state determinanti nel compimento dell'unità nazionale, ma tale contributo risulta poco noto e divulgato, visto che a guerra finita, nell'esaltazione della vittoria, è stata posta grande attenzione al fenomeno dell'irredentismo, del volontarismo, del nazionalismo. Questi ultimi, secondo qualcuno, maggiormente espressi solo nelle regioni settentrionali. Anche la regione Calabria, che oggi mi onoro di rappresentare all'interno di quest'Aula parlamentare, ha pagato un alto tributo alla patria. Voglio parlare, in particolare, della brigata Catanzaro, costituita due anni prima, nel marzo del 1915, a Catanzaro Marina. La brigata Catanzaro fu una delle novità più importanti del regio esercito, la più impiegata, forse fra le più impiegate in prima linea, impegnata, per meriti riconosciuti, per il coraggio che i calabresi hanno dimostrato sul campo come brigata d'assalto sul Carso dal luglio del 1915 al settembre del 1917.

Soltanto nel primo anno la brigata Catanzaro perse mille uomini, oltre 10 mila feriti, ed ebbe anche 2 mila dispersi. Ricordiamo che rispetto al numero di maschi in età dichiarata di chiamata alle armi, a fronte di una media nazionale di mobilitati del 74 per cento, la Calabria fu presente con il 78 per cento. I calabresi mobilitati erano nella stragrande maggioranza contadini, oltre il 10 per cento di loro non fece più ritorno a casa. In termini di mobilitati, voglio ricordare che le regioni come la Basilicata, la Sardegna e la Calabria hanno pagato il prezzo più alto; quest'ultima ebbe l'11,31 per cento dei caduti. Vorrei ricordare, inoltre, che, in media percentuale, la Calabria si attesta al quinto posto per numero di medaglie d'oro; traguardo, questo, reso ancora più significativo dal fatto che le medaglie d'oro difficilmente si assegnavano ai soldati semplici, figuriamoci ai contadini, aggiungo, o di basso grado, e dal fatto che gli ufficiali calabresi erano poco numerosi.

A tal proposito, il mio pensiero va alla figura di Raffaele Mastroianni, mio concittadino, un lametino premiato con la medaglia d'argento, riconoscimento eccezionale per un soldato. Colleghi, nella storia si dice che il passato è parte integrante dell'identità di un popolo, e in questo spirito e per tenere viva la memoria collettiva, nel giugno del 2013 è stato istituito il Comitato interministeriale per il centenario della prima guerra mondiale e la legge di stabilità per il 2014, legge 27 dicembre 2013, n. 147, ai commi 308 e 309 dell'articolo 1, ha stanziato fondi per la messa in sicurezza e il restauro dei luoghi della memoria e per promuovere la conoscenza degli eventi della prima guerra mondiale, preservarne la memoria in favore delle future generazioni attraverso la realizzazione di manifestazioni, convegni e mostre itineranti, anche con il coinvolgimento delle scuole. Nonostante le lodevoli intenzioni, gli interventi previsti sembrano non aver raggiunto, ad oggi, il proprio scopo; occorre, dunque, lavorare di più in quella direzione. In Europa oggi viviamo in un contesto storico e in un contesto politico che ci chiede sempre di più di tutelare la nostra nazione, di tutelare i nostri confini. Noi, come Governo del cambiamento, abbiamo il dovere morale di mantenere la posizione come se fossimo su un'insuperabile linea del Piave (Applausi dei deputati dei gruppi Lega-Salvini Premier e Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Mollicone. Ne ha facoltà.

FEDERICO MOLLICONE (FDI). Grazie, Presidente. «I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo risalgono in disordine e senza speranza le valli che avevano discese con orgogliosa sicurezza». Quattro novembre 1918, data della vittoria italiana sull'esercito austro-ungarico, uno dei più potenti del mondo. Queste parole erano incise nel marmo in moltissime scuole costruite dopo l'Unità d'Italia, per insegnare ai piccoli italiani il valore dei loro nonni e bisnonni. Ce n'era anche una nella Carducci di Roma, la scuola elementare dove andavo. Ogni mattina la leggevo e mi immaginavo questi eserciti di soldati sulle montagne con i cannoni che passavano lungo le cime. Ma non era lo storytelling che va tanto di moda oggi: era storia, la nostra storia, la storia del coraggio di 5 milioni e mezzo di italiani che andarono a combattere per difendere i nostri confini e il nostro onore. Cosa è rimasto di quella vittoria? Lo Stato italiano decretò che il 4 novembre fosse festa nazionale della vittoria e delle Forze armate.

Poi nel 1977, con la scusa dell'austerity, la dichiararono festa mobile alla prima domenica del mese. Nel frattempo, decenni di antimilitarismo, strumentalmente diffuso dall'allora partito comunista per disarmare l'esercito italiano e fare, magari, anche un favore all'Unione Sovietica, hanno sminuito questo anniversario, e abbiamo sentito che, ancora oggi, gli epigoni fanno e predicano antimilitarismo. Per questa ragione abbiamo presentato una mozione per denunciare il fallimento del centenario della Grande Guerra. Nel giugno 2013 è stato istituito il Comitato interministeriale per il centenario della prima guerra mondiale e la legge di stabilità per il 2014, legge 27 dicembre 2013, n. 147, ai commi 308 e 309 dell'articolo 1, ha stanziato fondi per la messa in sicurezza e il restauro dei luoghi della memoria, per promuovere la conoscenza degli eventi della prima guerra mondiale e preservarne la memoria in favore delle future generazioni attraverso la realizzazione di manifestazioni, convegni, mostre, itinerari, anche con il coinvolgimento attivo delle scuole.

Nonostante queste intenzioni lodevoli, gli interventi previsti non sembrano avere raggiunto il loro scopo. Proprio i lavori di ristrutturazione dei monumenti, certamente necessari, paradossalmente rendono difficoltosa e talvolta impossibile la fruizione dei sacrari proprio nell'anno della celebrazione del centenario della vittoria. Tutta l'attività celebrativa è praticamente concentrata nel restauro, mentre risulta assolutamente trascurato l'aspetto culturale e informativo, cosicché quest'anniversario fondamentale per la nostra storia sta di fatto passando sotto silenzio. A scorrere le proposte sia delle attività messe a bando che del protocollo fra la Presidenza del Consiglio e il MIUR si rimane colpiti dalla parcellizzazione dell'offerta. Manca una visione complessiva, nazionale e ufficiale, e un palinsesto degno di questo nome. Neanche quando dobbiamo celebrare una vittoria riusciamo a farlo come si deve, e non è una critica allo Stato maggiore. Ho partecipato e organizzato iniziative istituzionali con la Biblioteca Angelica, il Mibac, e ho potuto vedere con quanto entusiasmo e passione l'Esercito partecipa a queste iniziative.

Il problema è trasmettere ai ragazzi italiani, anche ai nuovi italiani, l'epopea di coraggio ed eroismo dei loro padri, e anche le pagine più vergognose della prima guerra mondiale, dalle quali emergono, dalle analisi degli storici, le gravissime responsabilità di Pietro Badoglio, molto prima dell'8 settembre, e del generale Capello, per l'onta di Caporetto (Applausi dei deputati dei gruppi Fratelli d'Italia e Lega-Salvini Premier). Un'occasione, quella del 4 novembre, per far conoscere quello che fanno le Forze armate oggi, in quali teatri internazionali operano e – perché no? – concretizzare il sogno di quei ragazzi e ragazze che vogliono diventare piloti, marinai, incursori e paracadutisti. E basta con questa retorica pacifista. Le nazioni più forti, con Forze armate efficienti e addestrate, sono quelle che più riescono a difendere i propri confini e a evitare la guerra. Si vis pacem, para bellum, dicevano gli antichi.

Auspichiamo, quindi, con questa mozione, che il Governo acceleri e celebri questo 4 novembre come è dovere farlo, per i nostri padri e per i nostri figli. Per concludere, affido a questo dibattito le parole di un grande italiano, che scelse la trincea per dimostrare che l'esaltazione dell'amor di patria non era intellettualismo. Al balcone, forzandomi, grido tre volte: viva l'Italia. Antonio Sant'Elia lancia ponti di montagne arcuate sopra abissi meccanizzati, fasce di ascensori, di nebbie e laghi digradanti, vasi comunicanti di un malinconico aspettare il nemico. Umberto Boccioni controlla le sue teorie di dinamismo plastico, compenetrazione di piani, simultaneità di raggi, ombre, echi, masse, orchestre di proiettili. Carlo Erba, infagottato nella sua chimica dei calcari e della ruota, sviluppa la sua appassionata imitazione di Michelangelo scultore di montagne. Filippo Tommaso Marinetti. Questo era il clima alla partenza del battaglione volontario ciclisti dei futuristi. Erba e Sant'Elia morirono sul fronte, come 600 mila italiani che onoriamo ogni 4 novembre. Viva l'Italia, viva le Forze armate (Applausi dei deputati dei gruppi Fratelli d'Italia e Lega-Salvini Premier)!

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Vincenza Labriola. Ne ha facoltà.

VINCENZA LABRIOLA (FI). Presidente, Governo, onorevoli colleghi, il 4 novembre di ogni anno l'Italia celebra il giorno dell'unità nazionale e delle Forze armate. Questa ricorrenza fu istituita in ricordo della conclusione della prima guerra mondiale, quella che fu chiamata la Grande Guerra e che portò a compimento il processo di unificazione nazionale. Il prossimo 4 novembre, tra poco più di un mese, questa data assumerà un valore simbolico, perché ricorreranno e ricorderemo i cento anni da quella data. Ma che cos'è un Paese che non ricorda il proprio passato? È come un albero senza le radici, come un edificio senza fondamenta, come una persona alla quale si cancella la memoria. Passa una folata di vento più potente, un lieve tremore della terra, e ciò che era in piedi rischia di crollare. Non ha maniglie a cui attaccarsi, non ha struttura per tenersi in piedi.

Questo è il senso profondo del tener sveglia la memoria della propria storia, del passato che ci ha portato qui dove oggi siamo, su una strada lastricata certo anche da errori, che proprio per questo è importante, anzi necessario percorrere, guardando al futuro, non smettendo mai di riflettere a fondo sull'ereditarietà che il passato ci ha trasmesso.

La prima guerra mondiale rappresenta per il nostro Paese un episodio estremamente doloroso: i morti furono 650 mila, numerosi i feriti, un'intera generazione pagò un prezzo di sangue altissimo; non tornarono a casa mariti, figli, fratelli, altri tornarono mutilati. Ma la portata del conflitto fu devastante per l'intero continente: quella guerra provocò in totale la morte di 13 milioni di persone; una carneficina. Da questa tragedia scaturì il bisogno di dare degna sepoltura ai resti, di trovare luoghi carichi di un forte richiamo sacrale e simbolico, e che potessero diventare, dopo la fine della guerra, luoghi di pellegrinaggio per le famiglie straziate dal dolore. I primi monumenti ai caduti sorsero sul campo di battaglia ancora prima della fine della guerra, come gesto spontaneo per attestare il ricordo; per erigerli furono utilizzati materiali e strumenti direttamente disponibili sulle trincee; a questi seguirono i monumenti di più largo respiro dedicati ai caduti della Grande Guerra. Questa drammatica e commovente geografia della memoria racconta oggi le storie dei singoli che si fanno storia collettiva, monito per le nuove generazioni.

Questo dobbiamo fare, colleghi: tenere vivo il ricordo di coloro che perirono, tenendo vivi nella memoria del Paese questi luoghi pieni di significato, luoghi dove la memoria individuale della guerra diventa collettiva e arriva a varcare i confini nazionali senza distinzioni di bandiera. In molti di questi sacrari, infatti, sono custodite le spoglie delle centinaia di migliaia di giovani caduti nel corso della guerra, ragazzi dei quali spesso neanche il nome è possibile sapere, giovani che lasciarono le loro case per combattere una terribile guerra di trincea, l'ultima guerra di trincea, alla quale l'Italia pagò un prezzo di sangue altissimo. C'è l'ossario del Pasubio, inaugurato sul Colle Bellavista, in Veneto, che conserva i resti di soldati italiani e austroungarici; anche nel sacrario del Monte Grappa, accanto agli italiani ci sono i nemici di allora, gli austriaci. Ciò che li divise in vita li ha uniti nella morte, una terra comune li ha accolti. E per tutti quei giovani di cui non si sa il nome, non si conosce l'identità, proprio a due passi da questa istituzione, a piazza Venezia, al Vittoriano, è dedicato a loro il monumento simbolo al milite ignoto.

Onorevoli colleghi, dopo la Grande Guerra una seconda guerra mondiale ha infiammato e infamato il nostro Paese, l'intera Europa e il mondo. Da quella nuova guerra distruttiva e dal bisogno di non ripeterne ancora nacque il bisogno di una organizzazione internazionale politica ed economica a carattere sovranazionale: la Comunità economica europea, oggi Unione europea. Era un progetto mosso da ideali di pace, di unità e di prosperità. Per perseguire questi ideali deve essere forte la consapevolezza e il ricordo di ciò che fu la guerra, quanto dolore portò nelle case di ogni famiglia, nello spirito di un'intera nazione. Non copriamo con la polvere dell'indifferenza le cicatrici del nostro passato. Per questo, come Forza Italia, riteniamo imprescindibile e fondamentale che il Governo si impegni, non soltanto in occasioni di questa ricorrenze speciali, a preservare e valorizzare i luoghi della nostra storia, per i più giovani e non solo, a monito, ma soprattutto quale simbolo della loro appartenenza a una cultura che significa tradizioni e legami, che definisce radici; luoghi che devono rappresentare la fonte alla quale rivolgersi per la costruzione della loro identità nazionale. Il passato può essere una grande scuola per il futuro, se lo guardiamo senza paura. Per questo, nessuna retorica della morte, nessuna epica, non celebriamo miti; dobbiamo ricordarci che ricordiamo gli uomini che hanno contribuito a fare grande il nostro Paese (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la collega Virginia Villani. Ne ha facoltà.

VIRGINIA VILLANI (M5S). Signor Presidente, onorevoli colleghi, il 4 novembre, in Italia, era una festa molto sentita, oggi lo è di meno; oggi viene spesso considerata come la festa dell'Unità nazionale e delle Forze armate. Il 4 novembre, in realtà, è l'anniversario dell'entrata in vigore del cosiddetto armistizio di Villa Giusti, del 1918, con il quale si fa coincidere convenzionalmente in Italia la fine della prima guerra mondiale, la fine di una guerra che segnò la morte di oltre 800 mila persone tra soldati e civili innocenti. La Grande Guerra, in questo senso, è stata una strage, ma rappresenta anche una grande lezione di storia nazionale, una guerra di cui dovremmo innanzitutto imparare a conoscere la verità storica. I bollettini ufficiali di quel tempo, spesso strumento di propaganda più che di informazione, raccontano infatti una storia che non sempre coincide con la realtà drammatica in cui essa si è svolta. Storici e studiosi confermano la complessità militare e diplomatica della Grande Guerra, esaminando soprattutto i risvolti sociali e umani. Nell'ultimo anno di guerra si confrontarono, da una parte, l'esercito italiano, dall'altra l'esercito austro-ungarico; la situazione non era certo facile: all'indomani della disfatta di Caporetto l'esercito italiano aveva perso più di un terzo dei suoi soldati, quasi 700 mila uomini, oltre ai civili, ai mezzi, ai materiali, ai viveri e agli apparati logistici. Dopo esattamente due anni e mezzo di guerra, l'Italia si ritrova dall'Isonzo al Piave, con una linea del fronte che era arretrata di 120 chilometri, e con l'unico vantaggio, dal punto di vista militare, di potersi disporre in un atteggiamento difensivo, facendo perno sul Monte Grappa. Su quel nuovo teatro di guerra la stampa raccontava battaglie molto diverse da quelle che era invece la tragica realtà. La verità che racconta l'altra storia è che i militari italiani resistevano come potevano, ma a fare la differenza fu la coscienza civile che stava nascendo, seguendo la guerra attraverso i mezzi di comunicazioni ufficiali. In quegli anni ci fu un'Italia che iniziò a imparare i nomi non solo degli eventi militari ma anche di tante piccole località poste in riva al Piave, non più un'anonima zona di guerra ma tanti luoghi che divennero presto familiari agli italiani. Quella era la storia di un'Italia che in maniera più o meno cosciente iniziava a formarsi, e nel mentre questa consapevolezza cominciava ad emergere, su quello stesso territorio si incontravano e si scontravano persone di ogni provenienza: militari, civili, alleati, i nemici austriaci, italiani, francesi, tedeschi, inglesi e americani; un vivaio di identità nazionali, di lingue, di cultura e di tradizioni che, dalle trincee alle strade, hanno potuto nella tragedia della guerra conoscersi e intrecciare in modo vario i loro destini. Questo dell'internazionalità e dell'integrazione è stato un altro dei tratti caratteristici dell'esperienza bellica, inteso come evento collettivo totale, quale ormai da tempo la storiografia riconosce concordemente essere stata la Grande Guerra.

L'esercito italiano affronta la battaglia finale sul Piave con una forza interiore numericamente rispetto a quella dell'esercito austro-ungarico, ma con una superiorità di mezzi e di materiali e di artiglieria e di aerei; a seguire le truppe vi erano poi i lavori pubblici di costruzione di ponti, di strade, collegamenti, infrastrutture che servivano all'esercito per realizzare il fronte ordinato e organizzato, necessario per fare la differenza nei confronti dell'Impero austro-ungarico. Grazie ad alcune opere di logistica, poi rafforzate ed implementate a partire dal gennaio 1918, quell'area divenne la chiave di volta della Resistenza italiana, la vera Resistenza che le future generazioni devono conoscere. Parliamo di un'Italia che fino a quel momento non era nazione, non si combatteva per il patriottismo ma per rispondere ad un obbligo; il patriottismo nasce piuttosto insieme alla Grande Guerra quando l'Italia inizia a diventare un soggetto collettivo. Lo sforzo patriottico e militare che l'Esercito stava compiendo in quei giorni sul Piave per resistere al nemico li portò infine a vincere la guerra, ecco perché quella battaglia è il simbolo di una mobilitazione che investirà tutte le generazioni, anche quelle più giovani, anche quelle appena uscite dall'adolescenza. Non solo patriottismo ed eroismo, ma anche poca consapevolezza rispetto a quanto stava accadendo, ma tanta voglia di riscatto.

Ancora oggi sui libri di storia si legge un bilancio dei giorni della vittoria retorico e trionfalistico, senza tener conto dell'alternanza di luci ed ombre di questa Grande Guerra. Ma, forse, proprio questa intrinseca ambiguità della Prima guerra mondiale rende possibile il porsi come uno dei fattori irrinunciabili della nostra dimensione nazionale.

È importante ascoltare anche le voci della contro-memoria, altrimenti il rischio è che ci sia una narrazione univoca, unilaterale, soltanto patriottica. Il 4 novembre, il 25 aprile e il 2 giugno: queste date sono momenti e snodi della storia del nostro Paese, su cui ci sono in gioco rappresentazioni e letture diverse. Sul percorso dell'Italia non dobbiamo correre il rischio di avere un solo dato omologante, che annulla la capacità di porsi domande, di darci risposte e di mantenere vivo quel passato. È questo che noi dobbiamo evitare. La verità storica va ricostruita con attenzione, insieme ai cittadini, che hanno il diritto di avere un'esaustiva lettura e rilettura di cosa sia accaduto davvero.

La Grande Guerra, sotto questo aspetto, non ha mai ricevuto la necessaria attenzione. È stata una tragedia che rappresenta un tassello importantissimo nel mosaico Italia, parte della storia della nostra nazione, una storia che abbiamo il diritto e il dovere di tutelare e di preservare, trasmettendo alle future generazioni i valori e l'animo patriottico che animarono quelle battaglie, ma anche le ombre e le strategie diplomatiche, strutturali, politiche, logistiche e sociali che l'hanno caratterizzata.

Fino ad oggi, ad onorare la verità storica, piuttosto che la storia ufficialmente riconosciuta, poco è stato fatto. Nonostante lo Stato abbia istituito nel 2013 il comitato interministeriale per il centenario della Prima guerra mondiale, ad oggi possiamo dire che il lavoro di approfondimento nelle scuole è stato carente e molto approssimativo.

Sono due le principali perplessità che ci sorgono. Innanzitutto dobbiamo chiederci: come mai non sono stati utilizzati e fatti fruttare tutti i fondi per la messa in sicurezza e per il restauro dei luoghi della memoria? Non sono mai stati organizzati, a differenza di quanto stabilito nella legge di stabilità, erogando fondi, eventi per promuovere la conoscenza della storia plurale e irreale, relativa alla Prima guerra mondiale.

Infatti, nella manovra finanziaria, ovvero la legge 27 dicembre 2013, n. 147, è specificato: al fine di promuovere la conoscenza degli eventi della Prima guerra mondiale e di preservarne la memoria in favore delle future generazioni, attraverso la realizzazione di manifestazioni, convegni, mostre e percorsi di visita, anche prevedendo il coinvolgimento delle scuole di ogni ordine e grado, in un percorso didattico integrativo, ai fini del recupero di lettere, oggetti, documenti e di altro materiale storico, è autorizzata la spesa di 1,5 milioni di euro per ciascuno degli anni 2014, 2015 e 2016. Invece, i fondi spesi sono stati utilizzati solo per la riqualificazione edilizia e urbanistica di alcuni luoghi teatro della storia del 1918. Gli eventi e gli approfondimenti, chiavi di lettura differenti dalla storia e madri della ricostruzione della verità storica, sono stati scarsi e pressoché inesistenti. Restaurare edifici e luoghi di memoria, come è stato fatto in alcuni casi, non è abbastanza.

Ci chiediamo quanti fondi pubblici, che potevano servire a recuperare la cultura storica della nostra nazione, sono stati sprecati ancora una volta, in totale spregio della memoria di chi ha perso la vita, per uno Stato che ancora non esisteva, che ha perso la vita per rendere l'Italia quella che è oggi, un Paese libero, che ha mezzi e risorse per indagare il passato senza filtri e il presente senza remore.

In secondo luogo, ci chiediamo in che modo quella storia, i suoi risvolti e la lettura, che potrebbe emergere dal racconto della verità storica sulla Prima guerra mondiale, possano essere d'aiuto per noi e per i nostri studenti, per i nostri figli, come strumento per affrontare il presente e il futuro nazionali a cui andiamo incontro. Consapevoli che tale conflitto costituisca la costruzione del senso profondo della patria, che va comunque preservato, al contempo dobbiamo ricordare le parole di Brecht: in una guerra non ci sono vincitori, ma solo vinti. La memoria, dunque, come strumento necessario per evitare nuove tragedie e che ci faccia privilegiare la vita prima di ogni altra cosa. I giovani devono capire cosa sia stata quella guerra e cosa abbia significato davvero per l'Italia del passato, cosa rappresenti per noi oggi e cosa significherà per l'Italia del futuro. Non basta la ristrutturazione edilizia per ricostruire la memoria identitaria della nostra nazione. Si deve ripartire dalle scuole, dalla centralità del loro ruolo, come humus della conoscenza.

Conoscendo i labirinti storici della Grande Guerra, abbiamo l'occasione di apprendere il passato e imparare a leggere il presente. Un saggista spagnolo sosteneva: chi non conosce la storia è condannato a ripeterla. Questa frase racchiude la ricchezza e l'importanza della conoscenza storica, sottolineando l'essenzialità della ricostruzione della verità storica, la verità storica che ci dà la dimensione del fenomeno, non l'interpretazione.

Viviamo in un'epoca, in cui i rituali collettivi e le commemorazioni dei tragici eventi della storia vengono preferiti all'analisi e alla riflessione, alimentando così una religione civile che ci rassicura e ci consola, nell'illusione di opporre il presente al passato, la vita alla morte, il bene alla barbarie. Uscire da questa prigione deve essere la nostra nuova sfida culturale. Il Governo deve impegnarsi, con l'aiuto di tutti noi, che oggi rappresentiamo questo bellissimo Paese, ricco di dignità e di valori, ad assumere tutte le iniziative necessarie per celebrare il centenario della vittoria nella sua giusta dimensione.

La nostra proposta - e lo dico anche da persona di scuola - è quella di coinvolgere tutte le scuole, i centri culturali, le istituzioni locali, regionali e provinciali in questo riscatto di memorie e di verità storica sulla Grande Guerra, che dobbiamo ai nostri fondatori. L'orgoglio, l'amore per la parte e l'impegno civile sono i valori di cui i nostri giovani hanno bisogno, oggi come in quel lontano 1918. Ma, soprattutto, i nostri giovani hanno bisogno di verità, hanno bisogno di strumenti per indagare la realtà e interrogarsi su di essa, con autonomia di pensiero e capacità critica. Attraverso la formazione a scuola e nei luoghi culturali, i sentimenti e i grandi motori emotivi e motivazionali di quell'epoca devono tornare a rivivere e animare i nostri ragazzi. Questo è il nostro futuro (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Luca De Carlo. Ne ha facoltà.

LUCA DE CARLO (FDI). Grazie mio Presidente. Calalzo di Cadore, il mio paese, era l'ultima fermata del treno prima del fronte, un paese che per tutto il perdurare della guerra diventò una città: un ospedale, le salmerie, i magazzini, la prima casa del soldato, fondata al fronte da padre Minozzi di Amatrice e i treni, tanti.

Da quei treni scendevano ragazzini impauriti, poco più che maggiorenni, volontari che cantavano le canzoni patriottiche e veterani tornati da una licenza silenziosi, perché consapevoli di tornare all'inferno. Le nostre donne, fino a pochi anni fa, raccontavano di quanto fosse doloroso guardare le facce di chi scendeva, scambiare magari una parola o un incoraggiamento e poi rivederli dopo, dopo il fronte, il gelo, le trincee, immaginarli in quel sacco nero, che ne conteneva i poveri resti senza vita, pensando che erano comunque stati più fortunati di altri, i cui corpi non sarebbero più stati trovati, impedendo così alla famiglia e al paese di piangere una tomba piena.

Ma quello che raccontano era anche che i ragazzi provenienti dalla Sicilia, dalla Calabria, dalla Puglia o dalla Sardegna spesso arrivavano e chiedevano dove si trovassero. Non ne avevano idea. E, allora, qualcuno pensava che Vienna fosse dietro i monti, proprio là dietro, o altri esempi di ignoranza geografica tali che, se non si fosse stati al fronte, tutti ne avrebbero riso. Solo che poi qualcuno raccontava dei propri paesini davanti al mare. E nessuno di noi cadorini sapeva riconoscerne i nomi e nemmeno di dove più o meno fossero.

Scesi dal treno venivano avviati a combattere, insieme a loro la nostra gente. A pochi chilometri c'è il Monte Piana, il Paterno, il passo di Monte Croce di Comelico, a pochi chilometri c'è il Col di Lana. Ancora oggi un enorme cratere racconta che in 8 mila ci lasciarono la vita durante la Prima guerra mondiale: un Col di sangue. E su tutte le cime ci sono le croci, quelle della nostra gente, quelle degli altri italiani venuti dalla città sul mare. Croci che, quando erano vive, non parlavano la stessa lingua e la stessa storia, ma che oggi sono così vicine, che sembrano la stessa, sono la stessa. Perché una croce fatta con il legno di una storia non muta col passare del tempo e di radici che non importa quanto siano profonde o dove cerchino nutrimento, perché trovano sempre la stessa acqua, quella portata da chi non smette di ricordare, di rispettare la loro storia, la nostra storia.

E oggi siamo qui, a cent'anni dalla loro vittoria, che è stata ed è la nostra, quella che ha permesso a questa nazione di essere unita. 600 mila morti i militari, caduti per Trento e Trieste, per la sacrosanta libertà di sentirsi ed essere italiani in Italia, senza un potente straniero a dirci cosa dobbiamo fare, che lingua dobbiamo usare, senza che nessuno possa permettersi, anche solo di pensare, di volere comandare a casa nostra.

Ma non solo militari. Dopo Caporetto, la mia terra, così come il Friuli, fu occupata dagli austriaci. Noi lo ricordiamo come année de la faim, l'anno della fame. Mia bisnonna Adele, con la faccia rugosa e le mani piene di calli dopo una vita di lavoro, mi raccontava come suo padre lavorasse in quegli anni per una pagnotta di pane al giorno e quella pagnotta non la toccasse nemmeno, per sfamare i figli. Morì di fame, un eroe anche lui. Ci presero tutto, non soltanto il mio trisnonno, ma non la dignità, non la voglia di continuare a combattere. Come nel 1848, quando, durante il Risorgimento, il Cadore fu tra i più duri avversari dell'impero austriaco. Sognavamo questa idea chiamata Italia e combattemmo per lei. “Che è che sfidi, divino giovine? La pugna, il fato, l'irrompente impeto dei mille contr'uno disfidi, anima eroica, Pietro Calvi”. Guidati da Pietro Fortunato Calvi mostrammo l'Italia, quella che sarebbe dovuta nascere, quella che avremmo fatto nascere, che dalle Alpi alla Sicilia non ci saremmo arresi, in guerra come in pace.

Il 1848 è ricordato come l'anno della primavera dei popoli; è di primavera il profumo della libertà, non l'abbiamo dimenticato, è più forte nel puzzo del compromesso e dell'ingiustizia, anche di quella che si respira oggi che siamo nel 2018, perché essere patrioti, come noi siamo patrioti, vuol dire accorrere ovunque sia necessario per la nostra gente, ricordandone i sacrifici e lavorando per impedirne di nuovi, nella memoria come nell'azione.

Primi mesi del 1916: gli austriaci dominano il passo e ci colpiscono a morte. I passi dolomitici sono fondamentali, non possiamo lasciarli a loro, però d'inverno è tutto immobile, là dove meno venti è considerato quasi un piacevole tepore. C'è neve, neve ovunque e un gelo così assoluto da ghiacciare il sangue, membra, idee, coraggio, ma non si può essere italiani in una terra dominata dal nemico. Italo Lunelli era un irredentista trentino, non può lasciare Trento agli austriaci; Giovanni Sala era un cadorino, figlio della primavera dei popoli; trovano una strada impraticabile tra le cime, impraticabile per tutti, non per noi italiani; osano l'inosabile, ottengono l'insperabile, arrivano da dove nessuno sarebbe potuto arrivare e conquistano il Passo della Sentinella, sono i Mascabroni, quello che non poteva essere è, come si fa a dimenticare? Invece di una celebrazione costante dei nostri eroi, abbiamo avuto disinteresse, disattenzione, rimozione. Abbiamo permesso che i nostri figli dimenticassero la loro storia e forse ce ne siamo dimenticati anche noi, perché altrimenti questi quattro anni sarebbero stati quattro anni di celebrazione di popolo, come non è stato. Così come, invece, hanno fatto in Francia, in Inghilterra e anche nelle pur sconfitte Germania ed Austria.

Manca solo un mese al 4 novembre, le mancanze del passato non possono giustificare mancanze e disattenzioni. Finalmente, si è insediato il CDA della RAI, ci aspettiamo fiduciosi che sulle reti principali ci sia un'azione particolare e che il Governo, ovunque sia possibile, organizzi celebrazioni di piazza con le scuole e supporti le attività realizzate dai comuni e da tutte quelle realtà associative e istituzionali d'arma che stanno organizzando cerimonie, perché la nostra storia non è fatta di cesure o momenti singoli, ma è una storia millenaria, in cui ogni gesto di coraggio ispira quello seguente.

Durante la primavera dei popoli un giovane ragazzo, poeta, con il viso serio, come quello di chi si fosse fatto carico di un impegno più grande di lui, combatté, ovunque fosse possibile, per l'Italia e da poeta, scrittore, ispiratore divenne eroe, morendo qui a Roma, a nemmeno 22 anni, come tanti, poi, nelle trincee che partirono conoscendo la sua storia e, oggi, di Goffredo Mameli ricordiamo l'inno, che è il nostro inno. E allora ricordiamo e destiamo, ma soprattutto, colleghi, destiamoci (Applausi).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.

Prendo atto che il Governo si riserva di intervenire successivamente.

Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.

Discussione sulle linee generali della mozione Carfagna ed altri n. 1-00045 concernente iniziative volte al contrasto dell'antisemitismo (ore 18,18).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Carfagna ed altri n. 1-00045 concernente iniziative volte al contrasto dell'antisemitismo (Vedi l'allegato A).

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione è pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta del 27 settembre 2018.

Avverto che sono state altresì presentate le mozioni Fiano ed altri n. 1-00050, Lollobrigida ed altri n. 1-00051 e Carbonaro, Belotti ed altri n. 1-00052, che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente. I relativi testi sono in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.

È iscritto a parlare il deputato Alessandro Battilocchio, che illustrerà anche la mozione Carfagna ed altri n. 1-00045, che ha sottoscritto in data odierna. Ne ha facoltà.

ALESSANDRO BATTILOCCHIO (FI). Presidente Rampelli, onorevoli colleghi, all'alba del 16 ottobre 1943, giorno che passerà alla storia come il “sabato nero”, gli uomini della Gestapo invasero le strade intorno al Portico d'Ottavia, cuore del ghetto di Roma, trascinando fuori dalle loro case 1.259 persone, di cui 689 donne, 363 uomini e 207 tra bambini e bambine. Nei vicoli intorno al Tempio Maggiore, risuonavano le urla di disperazione di donne e anziani e il pianto di bambini strappati dalle braccia delle madri, ancora insonnoliti, non sapendo che da lì a poche ore si sarebbe consumato un vero proprio massacro. Il 18 ottobre, due giorni dopo l'irruzione dei nazisti nel ghetto, diciotto vagoni piombati partiranno dalla stazione Tiburtina con destinazione il campo di concentramento di Auschwitz. Solo quindici uomini e una donna ritorneranno a casa dalla Polonia, nessuno dei duecento bambini è invece mai tornato.

Da allora sono trascorsi 75 anni, ma è un giorno, quello del 16 ottobre, che non può e non deve essere dimenticato. Quanto accaduto non solo a Roma, ma in tutta Europa, nel secolo scorso, è da considerarsi come un evento chiave che ha segnato profondamente la storia, la nostra storia, dimostrando l'esistenza dell'inciviltà dell'uomo, che insidia la sua ragione, la persistenza di pulsioni oscure che si sono concretizzate, nonché la fine di ogni spirito umanitario.

Auschwitz è un capolinea, poiché ha mostrato, fino in fondo, la barbarie più spregevole, poiché ha liberato senza censure la brutalità inumana presente nell'uomo, in quella coscienza di per sé nobilissima e sovrana. Ma, onorevoli colleghi, non bisogna confondere l'antisemitismo con lo sterminio, bisogna superare l'idea che identificato l'antisemitismo si sono fornite tutte le spiegazioni all'Olocausto. L'antisemitismo, come normalmente si intende nelle sue numerose sfaccettature, di per sé, non porta automaticamente alle porte di Auschwitz, basti pensare che l'antisemitismo è esistito, e forse esiste ancora oggi, in Europa, da secoli, ne sono un esempio i massacri contro gli ebrei in molte zone dell'Europa, particolarmente nell'Europa centrale, la spoliazione degli ebrei dai loro beni, la segregazione civile nei ghetti. Dal Medioevo in poi, l'ebreo deicida non ha avuto una vita facile, ma nessuno prima di Hitler aveva mirato allo sterminio dell'intero popolo ebraico.

Quindi, anche se l'antisemitismo, come normalmente si intende il fenomeno, è, ovviamente, una condizione necessaria per arrivare alla politica di sterminio, non è condizione sufficiente. Non esiste una progressione necessaria fra il primo e il secondo fenomeno; piuttosto, è necessario cercare altri fattori che hanno trasformato l'antisemitismo nazista in un programma di genocidio, forse unico nella storia dell'Europa. Perciò, se da un lato, il genocidio del popolo ebraico ha segnato una tragica cesura nelle culture europee, dall'altro, gli atteggiamenti ostili verso i gruppi tradizionalmente discriminati non sono, però, scomparsi dalla scena sociale, ma si sono generalmente tradotti in forme socialmente accettabili, ovvero in espressioni più indirette, subdole ed inconsapevoli che consentono a chi li esprime di non considerarsi e di non essere considerato dagli altri una persona con pregiudizi. Una recrudescenza delle forme dirette del pregiudizio è stata tuttavia osservata nell'ultimo decennio, ove a fronte dei nuovi e complessi cambiamenti che hanno interessato le società europee, i centri che monitorano razzismo e discriminazione hanno registrato un intensificarsi di episodi di intolleranza e di odio aperto nei confronti di chi è percepito diverso, perché proviene da altri Paesi o perché ha un credo religioso che non è quello della maggioranza.

Contro ogni previsione, dopo soli 70 anni dalla Shoah, che compì la strage di sei milioni di ebrei, di cui 2 milioni di bambini nel suolo europeo, l'antisemitismo è in drammatica crescita, nel pensiero, nella retorica e negli atti. L'odio per gli ebrei questa volta ha preso un carattere etnico-nazionalista, supportato da un incitamento ossessivo, che usa stilemi classici dell'accumulo di invenzioni religiose e politiche in forme nuove. Nel 2016 l'OSCE ha riportato 1.661 attacchi di natura antisemita, di cui 240 contro persone. Dati dell'Anti-Defamation League ci descrivono una situazione in cui un individuo su quattro nella sola Europa occidentale cova sentimenti antisemiti.

Non si tratta solo di sentimenti, ma anche di un'ininterrotta scia di sangue. Nel 2012 un insegnante e tre bambini freddati di fronte alla scuola ebraica dal francese algerino Mohammed Merah; nel 2014 quattro persone trucidate al Museo Ebraico di Bruxelles da Mehdi Nemmouche, terrorista dell'Isis; nel 2015 altri quattro morti all'Hypercacher di Parigi, sempre per mano di un estremista islamico legato ai fratelli Kouachi, autori della quasi contemporanea strage di Charlie Hebdo. Molti omicidi crudeli nella loro atroce determinazione sono stati compiuti contro singoli individui, solo perché ebrei.

La situazione sembra essere ancora più preoccupante se, con una lente di ingrandimento, guardiamo il nostro paese: come dimostrato dal Rapporto sull'antisemitismo in Italia nel 2015 dall'Osservatorio del Centro di documentazione ebraica contemporanea di Milano, nel nostro Paese un italiano su cinque, circa il 21 per cento, ha pregiudizi nei confronti degli ebrei, mentre in Francia ed in Gran Bretagna la percentuale si ferma al 7 per cento. Le parole d'odio nei confronti degli ebrei corrono velocemente soprattutto sui social media, dove nel 2015 sono comparsi 156 nuovi profili Facebook antisemiti, e in sei mesi, da agosto 2015 a febbraio 2016, sono stati postati su Twitter ben 6.754 “cinguettii” negativi nei confronti del popolo di Israele; che si aggiungono ai 90 episodi di antisemitismo registrati nel 2015 nel nostro Paese, di cui 35 sul web e 4 attraverso stampa e TV. Inoltre, contro il popolo ebraico sono stati 15 i casi di diffamazione e di insulti, 8 quelli di minacce, aggressioni e violenze, 19 di graffiti e scritte sui muri, 6 di atti vandalici. Numeri molto inquietanti.

E nel tentativo di porre un argine a tali manifestazioni di odio, insensate e prive di ogni logica, le istituzioni europee sono intervenute attraverso l'approvazione di mozioni e risoluzioni. Basti pensare all'attività promossa dal Consiglio d'Europa, che svolge un'azione efficace e costante attraverso un'iniziativa ad ampio raggio, con un'enfasi sulla prevenzione e sulla sensibilizzazione del pubblico e il coinvolgimento di una sede di attori, quali le scuole e le organizzazioni della società civile; nonché all'indagine condotta nel 2018 dall'Agenzia dell'Unione europea per i diritti fondamentali sulle percezioni e le esperienze di antisemitismo fra gli ebrei in Europa, coinvolgendo 13 Paesi europei, tra i quali l'Italia.

Proprio in merito al nostro Paese, a livello nazionale è opportuno ricordare che gli episodi di razzismo sono stati presi in forte considerazione dal Governo Berlusconi IV. In particolare, nel 2010 è stato istituito l'Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori, presieduto dal Vicecapo della polizia, con il compito di monitorare e di analizzare tutte le informazioni relative ad atti discriminatori commessi nei confronti di soggetti a causa delle loro origini etniche o del credo religioso, nonché di elaborare le relative strategie di intervento sul piano locale e di provvedere ad agevolare la presentazione di denunce.

In data 7 aprile 2011 è stato altresì sottoscritto il protocollo di intesa tra l'OSCAD e l'Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali, l'UNAR, istituito presso il Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei ministri, con lo scopo di definire le modalità di scambio informativo nella trattazione dei casi di discriminazione posti all'attenzione delle parti, e cioè l'invio reciproco dei casi aventi o meno rilevanza penale.

Questi sono solo alcuni dei progressi che sono stati compiuti per combattere l'odio, la rabbia e gli atti antisemiti; ma c'è ancora davvero molto da fare, soprattutto per fare in modo che questa triste pagina rimanga scolpita nel tempo, nella memoria di tutti noi, per scongiurarne il ripetersi. È necessario infatti invocare il “mai più”, e ricordare che sta a noi eticamente, e soprattutto politicamente rendere attuale e possibile tale volontà. Sta a noi garantire il pieno contrasto a ogni rigurgito di violenza e di intolleranza nei confronti dei cittadini e della comunità ebraica, che già hanno conosciuto nel corso della storia persecuzioni e, nel nostro continente, un vero e proprio genocidio.

Cito testualmente: “Focolai di odio, di intolleranza, di razzismo, di antisemitismo sono presenti nelle nostre società e in tante parti del mondo. Non vanno accreditati di un peso maggiore di quel che hanno: il nostro Paese e l'Unione europea hanno gli anticorpi necessari per combatterli. Ma sarebbe un errore capitale minimizzarne la pericolosità”. Queste le parole del Presidente della Repubblica durante la cerimonia del Giorno della memoria. Onorevoli colleghi, è proprio da qui che bisogna partire: evitare in tutti i modi il verificarsi di attacchi agli anticorpi dell'odio, dell'intolleranza, del razzismo e dell'antisemitismo, e lavorare insieme per fortificarli (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Emanuele Fiano, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00050. Ne ha facoltà.

EMANUELE FIANO (PD). Presidente, c'è qualcosa che unisce la discussione che abbiamo appena sostenuto sulla vicenda del centenario della Prima Guerra mondiale e gli argomenti dei quali vorrei parlare, a contributo del dibattito che stiamo svolgendo sulle tre mozioni che vertono sullo stesso argomento, cioè l'antisemitismo. Entrambi i miei nonni, ebrei italiani, Giuseppe Lattes e Olderigo Fiano, parteciparono alle vicende della Prima Guerra mondiale. Giuseppe Lattes, il padre di mia madre, fu tenente, partecipò alla ritirata di Caporetto, fu premiato per quella partecipazione. Nel 1938, con le leggi razziali, fu cancellata quella onorificenza che il Regno d'Italia gli aveva conferito per quel suo contributo alla Grande Guerra.

Il nonno Olderigo è stato più sfortunato. Il nonno Olderigo fu fatto prigioniero dagli austriaci; nel corso della Prima Guerra mondiale fu recluso in un campo di concentramento austriaco, ma gli andò bene: ne uscì vivo. Non altrettanto nella Seconda Guerra mondiale, dopo le leggi razziali, dopo che aveva addirittura creduto nel regime mussoliniano, perché fu arrestato dai fascisti italiani, consegnato agli assassini nazisti, deportato ad Auschwitz; e lì, insieme al resto della mia famiglia del ramo paterno, prima gasato e poi bruciato.

Uso questi due episodi personali per descrivere la frattura nella storia di questo Paese e dell'Europa, come ha così ben descritto il collega Battilocchio: la vicenda dell'antisemitismo europeo, e in particolare quella italiana, che ha una matrice e una radice nell'ideologia del fascismo italiano, come annunciò, con singolare capacità di descrizione, nel discorso di Trieste, Benito Mussolini; quella radice dell'antisemitismo spezzò un legame profondo tra l'ebraismo italiano e la nazione italiana, l'ebraismo italiano che aveva partecipato al Risorgimento, alla Grande Guerra e che aveva partecipato alla costruzione di una nazione.

Prima il collega Andrea Romano, molto meglio di me, ha descritto, con parole molto profonde che suggerisco, a chi non le ha potute ascoltare, di leggere con attenzione, come l'enfasi patologica dei nazionalismi nella prima parte del secolo scorso sfociò poi nelle dittature totalitaristiche, non solo quelle di destra, ma anche quella comunista. E, dunque, noi abbiamo coscienza che lo spezzare il legame tra esseri umani che appartengono ad un'unica comunità in ragione di ideologie discriminatorie porta, può portare e ha portato - diceva giustamente il collega prima: non sempre l'antisemitismo ha portato allo sterminio - alla recisione della relazione umana comunitaria. Così è stato in questo Paese negli anni delle leggi razziali e poi della deportazione.

Quello che purtroppo è drammaticamente da prendere come coscienza dell'attualità sono i numeri di alcune ricerche che sono state qui riportate, numeri molto costanti nel tempo e, in alcuni casi, addirittura in crescita di presenza del sentimento discriminazionista - nel caso specifico antisemita, ma non solo - nella popolazione italiana. Sono numeri che il collega Battilocchio ha appena riferito, a me molto noti, e sono percentuali più alte rispetto alla gran parte dei Paesi europei. Tendenzialmente girano intorno al 20 per cento di espressione di sentimenti antisemiti in questo Paese da diversi decenni, percentuali molto più basse di altri Paesi del nord Europa, ma non più basse di alcuni Paesi dell'est Europa, perché nella Polonia contemporanea e anche nell'Ungheria contemporanea il sentimento antisemita è purtroppo radicato e dà forma, a volte, a episodi drammatici, perché la Francia contemporanea è teatro continuo di episodi di antisemitismo violento e di aggressioni spesso concentrate in luoghi dove esiste la presenza di comunità straniere molto radicate o di origine straniera. E, purtuttavia, tutti questi segnali ci dicono che la contemporaneità di questo sentimento rende necessario, per chi oggi è classe dirigente, per chi guida il Paese, per chi partecipa alla vita istituzionale, pensare anche a forme di innovazione nella lotta contro l'antisemitismo.

Chi mi conosce sa che io sono stato il primo firmatario, nella scorsa legislatura, di una legge per il contrasto all'apologia dell'ideologia fascista e nazifascista, la quale legge, approvata in questo ramo del Parlamento, è stata in parte ridicolizzata, come fosse una legge che si interessava dei cimeli o delle vestigia architettoniche di un'epoca storica. Non era questo, non voleva essere questo; era la percezione che, al di là della professione di fede antidiscriminatoria che tutti noi facciamo, è necessaria una riforma del nostro atteggiamento verso questi sentimenti. Oggi trattiamo dell'antisemitismo e, più in generale, potremmo parlare di sentimenti discriminatori di razzismo, di odio o di intolleranza, anche solo nella forma dell'antisemitismo, ma ciò che noi abbiamo ereditato dal fondamentale testo costituzionale e dalla legge attuativa della XII disposizione finale e transitoria, secondo la mia modestissima opinione e quella del Partito Democratico, mal si veste sui comportamenti attuali. Non va dimenticato - e ne facciamo menzione noi, nella nostra mozione - che oggi il mondo della comunicazione digitale e del web ha cambiato molte delle configurazioni e delle modalità di espressione, di diffusione e di propaganda delle idee discriminatorie e anche di quelle specificatamente antisemite. Non è un caso che molta della disciplina giuridica europea oggi verta su questo specifico aspetto; non è un caso, come noi ricordiamo nella nostra mozione, che l'Europa si sia pronunciata sui discorsi d'odio specificatamente e sull'individuazione dei reati che contrastano l'hate speech, il discorso d'odio, a cui si è molto dedicata la Presidenza della Camera nella scorsa legislatura.

Non è un caso - e mi onoro di aver partecipato, inviato da questa Camera nella scorsa legislatura, ad un simposio europeo sotto la Presidenza e sotto il semestre a guida lituana - che tutti i Paesi europei, nel senso di tutti i Paesi partecipanti all'Unione europea, abbiano nel proprio ordinamento - forse uno o due Paesi non li hanno - reati legati all'idea di negazionismo, che non sono sempre legati alla vicenda della Shoah o dell'antisemitismo. Anzi, nei Paesi dell'est europeo questa fattispecie si configura, si è configurata ed è stata voluta soprattutto in realtà legate ai reati compiuti sotto i regimi comunisti nell'ambito dei Paesi satelliti dell'Unione Sovietica.

Nella scorsa legislatura il Parlamento e il Governo si sono molto dedicati allo specifico dell'antisemitismo. Abbiamo dedicato finanziamenti per il Museo nazionale dell'ebraismo italiano e della Shoah, abbiamo dedicato finanziamenti alla Fondazione Ascoli per la formazione e la trasmissione della cultura ebraica, abbiamo dedicato un importante finanziamento di 3 milioni di euro per la conclusione dei lavori del Memoriale della Shoah a Milano, unico luogo in Europa dove, nel punto della partenza dei vagoni ferrati, dei carri bestiame che deportarono gli ebrei dalla città di Milano - quindi, da tutto il centro-nord dell'Italia e non solo ebrei, ma anche gli operai e gli scioperanti del nord di Milano, viene ricostruito il punto della partenza e si è realizzato un centro di grandissimo interesse per la formazione delle nuove generazioni alla conoscenza di ciò che fu la deportazione.

Nella scorsa legislatura abbiamo approvato anche la legge che ha conferito la medaglia d'oro al valor militare per la Resistenza alla Brigata ebraica, formazione militare costituita nel 1944, inquadrata nell'esercito britannico e attiva nei combattimenti che portarono alla liberazione del nostro Paese.

Altro impegno importante è stato quello a livello internazionale per l'Italia di presiedere, nel 2018, l'International Holocaust members Alliance, l'Alleanza per il ricordo internazionale dell'Olocausto, che è un'organizzazione intergovernativa fondata nel 1998. Dunque, noi pensiamo che si sia compiuto un cammino nel corso della scorsa legislatura.

Voglio esprimere dei sentimenti personali. Bisognerebbe avere - e ho appunto apprezzato le parole del collega - la forza, in quest'Aula, di slegare la battaglia contro l'antisemitismo e il razzismo, qualsiasi forma di discriminazione etnica, razziale o religiosa dalle parti politiche che noi rappresentiamo o dall'idea che vi sia una possibilità di sinistra contro destra o viceversa nell'ambito di questa battaglia. Personalmente penso - e magari io non sarò il soggetto più oggettivo per parlare delle questioni dell'antisemitismo, vista la vicenda familiare che sicuramente mi ha segnato - che la recrudescenza degli episodi di antisemitismo sia un misuratore della situazione della società. Penso che la recrudescenza o l'innalzamento dei livelli di antisemitismo - certamente anche di quelli del razzismo e discriminazione - debbano cogliere l'attenzione di tutti, non solo di quelli appartenenti ad una o ad un'altra parte, non solo di quelli che più si rifanno alla Resistenza partigiana o di quelli che pensano che debba esistere una memoria condivisa e basta o di quelli che giustamente citano altri episodi drammatici e orribili che hanno segnato la Seconda guerra mondiale. Lo voglio dire perché sia chiaro che cosa intendo, come, per esempio, la vicenda terribile delle foibe, che questo Paese ricorda giustamente, ovvero i crimini avvenuti e perpetrati sotto il regime comunista dell'Unione Sovietica o dei Paesi ad esso legati. Noi non abbiamo il diritto di dividerci su questa questione dell'antisemitismo, perché io la ritengo un misuratore della qualità delle relazioni umane e della qualità della profondità della cultura del rispetto e del dialogo.

Dunque, forti di questa convinzione, noi pensiamo che vada contrastata ogni forma di violenza e di intolleranza rivolta nei confronti di cittadini ebrei o di altre minoranze etniche e religiose riconducibili anche, ma non solo, alla ricostituzione di organismi politico-ideologici aventi come comune patrimonio ideale queste idee di discriminazione e di razzismo, oppure idee legate a partiti del passato. Personalmente, e anche a nome del Partito Democratico, non penso che l'attuale sistema legislativo che contrasta la propaganda ideologica di matrice fascista o nazifascista, e dunque riconducibile nello specifico italiano, per esempio alla vicenda delle leggi razziali, sia sufficiente. Lo dico senza astio, senza contrasto, lo dico per una misurazione di ciò che è successo nel nostro Paese. E altresì non penso che la legislazione legata all'uso della rete digitale sia sufficiente. Basterebbe fare un esempio molto semplice: quando nel 1952 Scelba, Ministro dell'interno, usa la parola propaganda, egli si riferisce all'uso della carta stampata o all'uso della organizzazione di manifestazioni di piazza o forse ancora - la televisione italiana muove i primi passi nel 1950 - all'uso inizialissimo della televisione o della radio.

Ma oggi la diffusione di idee di qualsiasi tipo, ma hanno più successo quelle molto negative, comunque di qualsiasi tipo, attraverso la rete, con uno sforzo minimo e con il lavoro di una sola persona o poco di più, può raggiungere milioni, miliardi di persone. Dunque a quel messaggio, a quel mezzo della comunicazione contemporanea, noi dobbiamo guardare con grande attenzione, non ovviamente limitandone la libertà in alcun modo, fedeli all'articolo 21 della nostra Costituzione, ma ragionando sul fatto che in quel mezzo, dove le false idee e le false notizie possono avere lo stesso spazio di quelle vere, o dove la falsa cultura può avere lo stesso spazio della cultura vera, o dove la falsa storia può avere lo stesso spazio della storia vera, o dove, addirittura, è più facile rinviare o tramandare o diffondere false cognizioni della storia, perché più accattivanti, più facili da trasmettere, noi dobbiamo avere attenzione per le generazioni che a noi seguiranno sulla forza dirompente di questo mezzo.

La nostra legislazione su questo mezzo non è sufficiente. La capacità e la velocità di diffusione di discorsi d'odio su questo mezzo è contrastata e monitorata in tutto il mondo, e noi non abbiamo ancora, secondo me, riflettuto abbastanza insieme su questa questione. Ovviamente, la questione dell'antisemitismo travalica i nostri confini, travalica le possibilità di questo Parlamento, travalica anche gli stessi confini dell'Europa, ed entra a tutto titolo in un conflitto generale che interessa i grandi scenari del mondo, il rapporto con il mondo islamico, le guerre che attraversano i quadranti dei Paesi arabi e islamici e anche le aggressioni ideologiche e l'odio che si manifesta spesso contro lo Stato di Israele, ma penso che questa sia una discussione da fare separatamente. Sarebbe certamente cosa importante che da questo Parlamento, nei confronti di coloro i quali ancora oggi professano idee di odio verso gli ebrei, venisse una risposta unitaria e corale (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Lucaselli, che illustrerà anche la mozione Lollobrigida ed altri n. 1-00051, di cui è cofirmataria.

YLENJA LUCASELLI (FDI). Presidente, onorevoli colleghi, credo che coloro di noi che vivono nelle comunità ebraiche - credo che i colleghi che mi hanno preceduto ne siano un esempio - abbiano oggi assolutamente chiara la percezione che tutto quello che è stato detto sino a questo momento è giusto e corretto. Dobbiamo essere uniti in quella che è una battaglia che dovrebbe vederci tutti interessati, perché, quando ci sono dei colpevoli, solo alcuni sono colpevoli, ma siamo tutti responsabili di quello che succede.

E però vorrei riportare anche un po' questa discussione, e quindi inserendo la presentazione della nostra mozione nell'attualità dei fatti, perché il problema non è soltanto il ricordo. Bisogna ricordare, è giusto e doveroso. Il ricordo, però, ci deve far capire quanto questo problema sia attuale e quanto questo problema sia diffuso, perché oggi l'antisemitismo non è più soltanto una questione di destra. L'antisemitismo è una questione culturale che, purtroppo, come diceva bene il collega che mi ha preceduto, travalica i confini e purtroppo colpisce le persone. Le comunità ebraiche europee sono state investite nell'arco della storia da molteplici forme di antisemitismo, da quello religioso cristiano a quello politico, sociale ed economico dell'Illuminismo, da quello dell'Europa post illuministica a quello razziale del XIX secolo, che culminò poi, come sappiamo, con le persecuzioni naziste e le leggi razziali anche nell'Italia fascista, così come la repressione religiosa e le purghe nell'Unione Sovietica, fino all'antisemitismo contemporaneo, che assume forme diverse, sono forme variegate.

Non è più solo quello, è molto peggio. L'antisemitismo si manifesta oggi in forme diversissime, che sono purtroppo difficilmente individuabili, perché per chi non ha un occhio esperto è difficile davvero individuare in quali e quanti e tali comportamenti l'antisemitismo oggi si attua ogni giorno. I fatti di cronaca, quelli degli attacchi alle sinagoghe in Svezia, gli attentati in Francia, l'impennata dei crimini d'odio contro gli ebrei in Gran Bretagna, ma anche in Germania e in Austria, indicano una pericolosissima ripresa dell'antisemitismo presso le nostre comunità.

Contro queste manifestazioni di quello che per me ancora è oggi e rimane odio razziale, il Consiglio d'Europa svolge un'attività costante di prevenzione e sensibilizzazione. Il Parlamento europeo nel 2017 ha approvato una risoluzione che invitava gli Stati membri a potenziare il sostegno finanziario per iniziative e progetti educativi volti a sviluppare e consolidare partenariati con le comunità ed istituzioni ebraiche, a incoraggiare gli scambi tra bambini e giovani di fedi diverse mediante attività in comune. L'Agenzia per i diritti fondamentali dell'Unione Europea ha avviato per il 2018 una nuova indagine sulle percezioni e le esperienze di antisemitismo fra gli ebrei in Europa, coinvolgendo 13 Paesi, tra cui il nostro. Il centro studi Machiavelli ha pubblicato e divulgato nel 2018 il rapporto sull'antisemitismo nell'Europa contemporanea, nel quale viene sottolineato come a pesare oggi sia soprattutto l'antisemitismo di matrice islamica, la cui origine affonda nell'odio religioso e si nutre dell'ideologia islamista. Nello stesso rapporto è anche specificato che, mentre in Europa le forze di destra, quelle populiste, probabilmente facendo uno slancio verso il futuro, hanno di fatto escluso le frange estreme, nello spettro politico attuale, da un lato, permangono i piccoli movimenti antisemiti di stampo neonazista, ma, dall'altro, viene evidenziata una pericolosissima tendenza anche delle estreme sinistre all'antisemitismo.

E questo nasce un po' da quello che abbiamo detto, un po' dalla posizione, giusta o sbagliata, di contestazione o favore rispetto allo Stato di Israele. Eppure tutto questo oggi dovrebbe essere superato. In Italia, come è stato riportato da diversi quotidiani nazionali, gli atteggiamenti antisemiti provenienti da aree dell'estrema sinistra si sono verificati, per esempio, il 25 aprile, quando è stata platealmente contestata la Brigata ebraica da parte di gruppi riconducibili all'estrema sinistra, creando momenti di altissima tensione. L'antisemitismo è un fenomeno che non è stato mai sopito in Italia, mai sopito in Europa.

E ancora, il rapporto del Centro studi Machiavelli ha evidenziato che ai vecchi stilemi antisemiti del passato se ne sono aggiunti di nuovi, travestiti da critiche a Israele, ma, in realtà, motivati da odio verso gli ebrei in quanto tali e attualmente riconducibili a tre matrici: fondamentalismo islamico, frange di estrema sinistra e movimenti di estrema destra. Tra queste matrici, il fondamentalismo islamico rappresenta quella più pericolosa e più diffusa, ed è pertanto quella che desta maggiore allarme. È innegabile, infatti, che molti degli atti antisemiti siano commessi in Europa da persone di fede musulmana, e la forza dell'antisemitismo islamico non risente affatto del dialogo fra religioni, né riesce a suscitare una reazione adeguata da parte delle autorità europee, che continuano a negare la prevalente matrice islamica. Lo scorso 21 aprile, in Francia, a conferma di questa tesi, è stato presentato il manifesto contro il nuovo antisemitismo, pubblicato sul quotidiano LeParisien e sottoscritto da politici sia di destra che di sinistra, da rappresentanti di diverse religioni, da intellettuali e artisti. Il manifesto denuncia il crescente antisemitismo in Francia, portato avanti, secondo i firmatari, non dall'estrema destra, ma dalle comunità musulmane; e il mancato riconoscimento da parte di media ed istituzioni di questo crescente antisemitismo musulmano è un vero danno. È di tutta evidenza, quindi, che un'azione rivolta a contrastare l'antisemitismo in Italia e in Europa debba affrontare questa emergenza non trascurando le principali cause del fenomeno, identificate, secondo i massimi esperti, proprio in quello che dicevamo: l'antisemitismo islamico.

Chiediamo, quindi, che questo Governo si impegni ad adottare tutta una serie di iniziative volte a promuovere campagne di sensibilizzazione – creare piani nazionali contro l'antisemitismo, in genere, l'odio razziale e religioso – atte a garantire la sicurezza dei cittadini ebrei, degli edifici religiosi, scolastici e culturali ebraici, in accordo con le comunità ebraiche, le organizzazioni della società civile e le organizzazioni non governative impegnate contro la discriminazione. Speriamo che questo Governo si voglia impegnare ad assumere iniziative concrete per contrastare tutte le forme di antisemitismo, in ogni modo queste vengano perorate; che si impegni ad introdurre nel nostro ordinamento il reato di integralismo islamico commesso da chi, al fine di, o comunque in maniera tale da mettere in concreto pericolo la pubblica incolumità, propugna o propaganda idee dirette a sostenere sotto qualsiasi forma l'applicazione della pena di morte per apostasia, omosessualità, adulterio, blasfemia, l'applicazione di pene quali la tortura, la mutilazione, la flagellazione, la negazione della libertà religiosa, la schiavitù, la servitù o la tratta di essere umani.

Chiediamo che questo Governo si impegni a punire coloro che raccolgono ed erogano denaro o mettono a disposizione beni destinati a essere in tutto o in parte utilizzati per sostenere organizzazioni che svolgono, anche nell'ambito di luoghi di culto, attività dirette a commettere atti di antisemitismo, e chiunque riceva da uno Stato straniero o da un'organizzazione o soggetti stranieri beni o denaro destinati ad essere, in tutto o in parte, utilizzati a tali fini.

Mi permetteranno i colleghi solo un'annotazione personale, perché nel 2018 quello di cui noi dobbiamo farci carico è proteggere i nostri figli. Io ho dei figli ebrei e credo che sia fondamentale passare per il ricordo, ma che sia altrettanto fondamentale capire che oggi i problemi sono altri, sono di più. E se neghiamo questa evidenza, neghiamo a quei figli, ai miei figli, di avere un futuro in questa nazione (Applausi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Giuseppe Basini. Ne ha facoltà.

GIUSEPPE BASINI (LEGA). Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, vicini e lontani, credo che la mozione a prima firma Mara Carfagna richiami tutti noi a un problema reale, un problema che nasce dal passato, ma che ha degli effetti sull'oggi, perché non riguarda solamente i fatti terribili avvenuti in Europa negli anni Trenta, e soprattutto durante la Seconda guerra mondiale, ma anche oggi: l'esistenza stessa dello Stato di Israele. Io credo che i due fenomeni siano legati, e siano legati da un problema che è poi sempre lo stesso: la non accettazione del diverso, la non accettazione di chi vuole mantenere tradizioni, culture e abitudini sue proprie. Credo in più che ci sia anche un problema che riguarda, più in generale, il modo di ricordare la storia, di farla conoscere, perché chi non conosce la propria storia spesso è destinato a rifare degli errori. Bisogna sempre ricordare la storia tenendo presente che, come ammoniva Toynbee, molto spesso le ragioni sono da tutte le parti, molto più spesso che non si creda. Se questo è vero anche nel conflitto arabo-palestinese, tuttavia questo non cambia nulla al fatto che nessuno vuole smembrare o abolire qualche nazione musulmana, mentre troppe nazioni musulmane vogliono smembrare o abolire lo Stato di Israele (Applausi dei deputati del gruppo Lega-SalviniPremier).

Ecco perché il problema non è solamente storico, ma è anche nel presente.

Pur nella libertà di tutti gli studi storici, soprattutto nell'aspetto tecnico-documentale, la storia va sempre ricordata, e permettetemi di rifarmi un attimo al dibattito precedente, perché negli anni c'è stata una vera e propria fakenews non sull'eroismo italiano, non sulla capacità dell'Italia di far fronte a una guerra mondiale come quella, ma sulla capacità dell'Italia di fare bene quella guerra militarmente, che è una menzogna. Vorrei che in tutte le scuole italiane - e chiudo subito l'inciso - venisse letto il passo che chiude un libro di memorie dove si spiegava come la Germania, nell'ottobre del 1918, avesse, con la pace di Brest-Litovsk, risolto il problema degli approvvigionamenti tanto di materie prime tanto dei beni alimentari attraverso l'accordo fatto con la Russia bolscevica, e come con l'accordo con la nobiltà polacca di dare alla Polonia, dopo la guerra l'indipendenza, stesse per procedere a una mobilitazione in massa di polacchi. La Germania, insomma, nell'ottobre del 1918 si attrezzava per continuare e possibilmente vincere la guerra. A questo punto, questo libro di memorie termina così: “Purtroppo a Vittorio Veneto l'Italia vinse l'unica battaglia di sfondamento dell'intera Grande Guerra; l'Austria quel giorno perse se stessa e, aprendo la strada all'invasione anche da sud, perse purtroppo anche noi”. Questo libro è stato scritto da Von Hindenburg, il Capo di Stato maggiore imperiale della Germania. Cioè, per il capo del più grande esercito a noi avverso, l'Italia vinse quella guerra per sé e per i suoi alleati. Perché dico questo? Perché la storia va ricordata sempre e tutta, che si parli di antisemitismo o si parli della guerra mondiale dal punto di vista degli italiani.

Oggi noi abbiamo tutti il dovere di evitare qualunque discriminazione, a qualunque titolo venga compiuta, e qualunque atto di violenza, a qualunque titolo venga compiuto, contro chiunque.

E io credo che sia una buona cosa - è l'opinione mia e della Lega che ho l'onore di rappresentare in questo momento - la mozione di Mara Carfagna. Infatti, il ricordare la storia e applicarla in tempi nostri è fondamentale. Quando ci sono alcune iniziative dell'Unione europea, come i diritti fondamentali difesi dalla convenzione FRA oppure, quando c'è questo gruppo, che si chiamano No hate speech movement, sui discorsi di odio - naturalmente io credo contro i discorsi di odio di chiunque contro chiunque - stiamo facendo qualcosa che è giusto. Quando si porta ad esempio il fatto di considerare un discorso di odio, il considerare tutti i concittadini di origine o semplicemente di cultura o di religione ebraica, italiani, come automaticamente corresponsabili delle scelte politiche di Israele, non solo si fa una cosa sbagliata, perché io personalmente le scelte politiche di Israele le ho sempre condivise, ma si fa una cosa sbagliata, perché non è affatto detto che questi cittadini di religione o semplice cultura ebraica siano d'accordo.

Guardate che errori tragici di questo tipo sono stati fatti anche da Paesi insospettabili. Gli Stati Uniti d'America, all'atto della guerra con il Giappone, internarono 100 mila cittadini americani, americani da sempre, anche da due o tre generazioni, ma di origine giapponese. Perché? Sotto la presunzione che, essendo di origine giapponese, potessero essere dei nemici dell'America, anche magari se volevano battersi per l'America, anche se magari erano disposti a morire per lei.

Quando non si ricorda il profondo e importante pensiero liberale, che le responsabilità sono sempre e solo individuali, e si trasferiscono a una intera comunità, che sia essa straniera, che sia essa di altra religione o comunque sia, si commette sempre un errore fondamentale, foriero di enormi lutti. Come ci sono in generale le guerre? Sono una cosa ovviamente negativa e oggi ancora di più che siamo in epoca nucleare. Però, non possiamo neanche concludere che tutte le guerre siano uguali. È difficile concludere che non ci fosse il diritto di un ebreo di battersi durante la seconda guerra mondiale, se si voleva annullare la sua comunità. È difficile - ed ecco di nuovo il parallelismo - all'Italia, che non fu tra quelli che hanno fatto scoppiare la Prima guerra mondiale, perché entrò in guerra un anno dopo - negare che, qualora gli imperi centrali avessero vinto la guerra - e senza l'Italia l'avrebbero vinta - non avrebbero poi regolato i conti con l'Italia, ricostruendo il Lombardo-Veneto e smembrando il nostro Paese.

Le guerre sono tutte sbagliate, ma ce ne sono sicuramente di meno sbagliate di altre. Quindi, bene la mozione di Mara Carfagna. Credo che debba essere un impegno per tutti, destra, sinistra e centro, e che debba servire a unirsi e non a discriminarci tra noi. Mi è molto piaciuto sentire, prima del mio, il discorso della deputata di Fratelli d'Italia. Mi è molto piaciuto e non posso che applaudire idealmente e politicamente. Credo che la mozione di Mara Carfagna sia abbastanza generale da essere contro tutte le discriminazioni. Credo che la mozione di Mara Carfagna ci ricordi un problema reale di oggi. Credo di potere tranquillamente affermare, sia a nome mio che a nome della Lega, che sono favorevole a questa mozione (Applausi dei deputati dei gruppi Lega-Salvini Premier e Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Lattanzio. Ne ha facoltà.

PAOLO LATTANZIO (M5S). Presidente, onorevoli colleghe e onorevoli colleghi, ringrazio innanzitutto chi mi ha preceduto, dai colleghi di Forza Italia a quelli del PD e anche ad altri interventi successivi. Li ringrazio sia per i toni sia per la sostanza dei contributi che hanno fornito. Mi piace riprendere in particolare lo spunto fornito dal collega Fiano, sulla necessità di non dividersi mai su un tema come questo.

Sento di farlo completamente mio e faccio questo intervento anche per rilanciare, proprio raccogliendo questo spirito, la centralità di un elemento che dovrebbe essere assolutamente condiviso, come quello della cultura, dell'istruzione e della scuola, per affrontare il tema del contrasto ad ogni forma di antisemitismo.

Parlare oggi di antisemitismo in questa Aula è e al tempo stesso un onore, un onere e una sfida. È con questa importante responsabilità, che parlo a nome del MoVimento 5 Stelle e di una mozione congiunta, scritta da MoVimento 5 Stelle e Lega, che viene fuori, è stata partorita in seno alla Commissione cultura. Si tratta di un onore, perché mi dà la possibilità di farmi portavoce della sensibilità del mio gruppo parlamentare, sul tema dei diritti, del rispetto, del contrasto ad ogni forma di odio e di discriminazione.

Si tratta al tempo stesso di un onere, perché, da italiano, è importante ribadire ogni giorno la vergogna delle leggi razziali, promulgate ottant'anni fa nel nostro Paese. Si tratta di una sfida, perché il nostro gruppo parlamentare è da sempre impegnato sul contrasto alle discriminazioni. La Commissione cultura, che ho l'onore di rappresentare per il MoVimento 5 Stelle, oggi intende rilanciare e sottolineare con grande forza il ruolo che la cultura, la scuola, l'educazione civica, la formazione permanente, le connessioni culturali e la conoscenza hanno e dovrebbero sempre più avere nella società moderna. L'antisemitismo è una delle forme storicamente più rilevanti e gravi di generalizzato sentimento di odio e disprezzo nei confronti di una minoranza, costruito e strutturato su di una serie di preconcetti, pregiudizi e stereotipi, che hanno dato luogo, meno di un secolo fa, alla pagina più vergognosa della storia dell'umanità, l'Olocausto.

Ma non è solo questo. L'antisemitismo è oggi una forma viscida e strisciante di odio e di discriminazione contro il popolo ebraico, che non abbiamo ancora sconfitto ed, anzi, è in Europa un fenomeno crescente, basti pensare agli eventi che i colleghi hanno citato prima di me. L'Italia è in genere considerato un Paese in cui non esiste un vero sentimento antisemita e, in realtà, nessuno si aspettava l'emanazione delle leggi razziali del 1938. Ma come si concretizza oggi l'antisemitismo in tutte le sue varianti? Si tratta di forma e di sostanza, aggressioni e minacce, violenze e intimidazione, in due parole, pratica e linguaggio. Ed è qui importante sottolineare che le aggressioni fisiche sono gravi, vergognose e indegne, così come lo sono i discorsi di odio. Le parole feriscono, pesano ed uccidono.

Ma il motivo per cui, da un punto di vista culturale, è importante intervenire è che le stesse parole possono riabilitare, curare e accogliere. È per questo che la cultura ha e deve avere un ruolo sempre più centrale nel contrasto all'antisemitismo e ad ogni forma di discriminazione.

A chi, come molti di noi, appartiene alla generazione nata tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta, il suono della parola antisemitismo, di primo impatto, potrebbe rievocare una dimensione quasi anacronistica, legata al racconto dei nonni o, per chi ha qualche anno in più, dei genitori e dalla loro esperienza diretta della guerra e del violento e tristemente noto genocidio conosciuto dalla storia. Nonostante la sensazione, soprattutto per i più giovani, di trovarsi davanti a qualcosa di vecchio e polveroso, ci troviamo invece di fronte ad una parola che si dimostra essere sciaguratamente ancora attuale.

Ma questo non basta e non vuol dire che la società italiana abbia delle difese immunitarie adeguatamente forti. Non basta perché, mentre in Germania il contrasto all'antisemitismo è un tema di attualità sulla stampa e nelle politiche governative; in Italia spesso, troppo spesso, rischia di essere derubricato a cronaca o ricorrenza, se non addirittura a colore, finendo in trafiletti delle pagine interne dei giornali.

Riporto qui le parole del Segretario generale delle Nazioni unite António Guterres, che sostiene che occorre insieme contrastare la normalizzazione dell'odio, dato che troppo spesso opinioni vili si spostano dai margini alle correnti principali delle società e della politica. E ammonisce: ogni volta e in ogni luogo in cui i valori dell'umanità sono abbandonati, siamo tutti a rischio. Quindi tutti abbiamo la responsabilità di opporre resistenza, velocemente, con chiarezza e decisione, al razzismo e alla violenza. Le vie per costruire un futuro di dignità, diritti umani e coesistenza pacifica per tutti, sono, secondo il Segretario generale dell'ONU, l'istruzione e la comprensione.

Come già detto, gli ultimi mesi sono stati caratterizzati da un susseguirsi di episodi di manifesto antisemitismo in tutti gli Stati europei. Ci spaventa questa dimensione contemporanea, perché è ben lontana dall'avere delle caratteristiche di sporadicità e di definita localizzazione spaziale. Sembra che tutta l'Europa sia uscita da un lungo letargo, in cui l'antisemitismo, anziché sconfitto, rimaneva semplicemente come sopito. Ci spaventa perché ci riguarda direttamente.

Ci spaventa perché ci impone di fare i conti con la nostra storia, per potere affrontare il presente. Ci spaventa perché, se ancora oggi ci sono crimini contro gli ebrei, vuol dire che continuiamo ad essere tutti colpevoli. Con questo non intendo dire che dobbiamo indignarci, anche perché, come diceva un famoso autore teatrale, Marco Paolini, l'indignazione dura poco e mette sonno; dobbiamo, invece, ribadire ogni giorno che non basta indignarsi in occasione delle ricorrenze, pure importanti, ma bisogna presidiare quotidianamente la vita sociale e culturale del nostro Paese, impedendo che ogni forma di antisemitismo prenda spazio, venga accettata e giustificata.

Il punto di partenza non può che essere rappresentato dal mondo della formazione, là dove i nostri ragazzi diventano cittadini, dalla scuola e dall'università, dalle biblioteche e dai teatri, dalle mostre e dai racconti, attraverso la cultura, insomma. Chi ha provato, oggi, ad analizzare il tema della nuova ondata di odio e mi riferisco a Felix Klein, responsabile per la lotta all'antisemitismo in Germania, ha parlato di una diffusione del fenomeno come ancora più evidente e questa maggiore evidenza, ostentazione, direi, è legata al fatto che, ormai, molti tedeschi, ma credo valga anche per molti italiani ed europei in generale, non sentono per nulla il peso dell'Olocausto e dei crimini commessi contro gli ebrei.

È, quindi, responsabilità politica e civile rafforzare le politiche, gli interventi, i messaggi educativi, così come ha fatto, da ultimo, solo in ordine temporale, Papa Francesco, durante il suo viaggio apostolico nelle Repubbliche baltiche, dove, visitando il ghetto di Vilnius, ha rivolto a tutti l'invito a essere vigili contro ogni sentore di risorgente antisemitismo e ci parla di sentore non di segno esplicito.

Ai push factors storicamente rilevanti nella nascita dell'antisemitismo, si aggiungono, nella società globale, nuovi elementi che portano a forme di antisemitismo differenziate, che riguardano non più solo l'estrema destra xenofoba, ma anche i negazionisti, i cospirazionisti, gli antisemitismi filopalestinesi e l'antisemitismo di matrice musulmana; una situazione, quindi, ancor più diffusa e grave.

Come ha spiegato Silvia Brena, giornalista co-fondatrice di Vox, ne La mappa dell'intolleranza, online, giunta ormai alla sua terza edizione, più di un italiano su tre twitta il proprio odio contro migranti, ebrei e musulmani. Tuttavia, i tweet - cito – intolleranti, diminuiscono dove è più alta la concentrazione di migranti, dimostrando quindi una correlazione inversa tra presenza sul territorio e insorgere di fenomeni di odio. Come a dire: conoscersi promuove l'integrazione. Dalla rilevazione del 2018, i dati, infatti, sembrano in netto aumento.

D'altra parte, la studiosa Dina Porat, che guida il Kantor Center dell'Università di Tel Aviv, già dieci anni fa, in un intervento all'Università di Torino, provava a tracciare il confine di demarcazione tra vecchio e nuovo antisemitismo, affermando che sin dal 2000 non si parla più di antisemitismo, ma di nuovo antisemitismo. Dal punto di vista storico è incominciato nell'ottobre del 2000 in Medio Oriente, con l'intifada, ma ha coinciso con attacchi nello stesso periodo in Europa, soprattutto in Francia, contro ebrei e sinagoghe. Il fenomeno si è poi acuito con la Conferenza di Durban del 2001. Dal punto di vista geografico, il nuovo antisemitismo si palesa soprattutto in Europa occidentale e in Nord America. Assistiamo, quindi, a uno spostamento geografico.

Il moderno antisemitismo si manifesta come una profonda avversione a una religione, a delle specifiche tradizioni, a degli aspetti culturali caratterizzanti un popolo, alla sua storia e al suo presente. Per ognuna di queste motivazioni, come per ognuno dei punti di partenza di questo odio, poco fa citati, non deve esistere tentennamento nella condanna, ma, al tempo stesso, devono subentrare immediatamente forme rigorose di riabilitazione culturale.

La cultura da sempre è stata il biglietto da visita, lo strumento primario di conoscenza dell'altro. I primi antropologi, nel momento della scoperta dell'altro da sé, hanno sempre utilizzato la cultura come cassetta degli attrezzi per scardinare ed arrivare alla comprensione di ciò che agli occhi e alla mente appariva diverso. Oggi, che strumenti cognitivi, indagini, conoscenza e ricerca scientifica a nostra disposizione sono molto più ampi, la cultura come accettazione e strumento di comprensione assume una forza ancora più innegabile.

Aggiungo un ulteriore tassello: in questo frangente, la cultura non è solo intesa come oggetto da tutelare, ma anche come soggetto attivo, ossia come uno strumento capace di concretizzare realmente la presa di coscienza di una necessità di tutela di una identità differente. La cultura ci aiuta nell'arduo compito di far comprendere che la diversità è una ricchezza: più la cultura è ricca, variegata, complessa, composta da elementi diversi, più essa cresce, si amplia in maniera esponenziale. Non è retorica, è un punto in cui credo fermamente e che, come membro della Commissione cultura che qui rappresento, intendo difendere senza cedimenti e riportare al centro del discorso pubblico. Quante delle nostre città italiane conservano gli antichi ghetti ebraici e li hanno valorizzati come tassello di uno scenario turistico tipico della propria dimensione?

Pensiamo al ghetto ebraico di Roma, non molto lontano da dove ora ci troviamo, che racchiude una peculiarità architettonica e gastronomica che ci racconta di come oggi quella sia una parte integrante, in tutti i sensi, di Roma. Pensiamo a Venezia, dove nel Cinquecento, Campo del Ghetto nuovo, grazie all'afflusso di mercanti ebrei, turchi, portoghesi e spagnoli diede vita ad una vivacissima comunità economica e culturale, come ci ricorda la bellezza delle sue cinque sinagoghe. Pensiamo anche alle piccole realtà di tutte le città italiane che contribuiscono alla vita, alla storia e anche al piccolo quotidiano di ogni comunità umana.

Inoltre, il 2 novembre del 2001, a Parigi, l'UNESCO adottava all'unanimità la Dichiarazione universale sulla diversità culturale. All'articolo 1, in cui si parla di diversità culturale come patrimonio comune dell'umanità, la dichiarazione afferma con fermezza: “La cultura assume forme diverse nel tempo e nello spazio. La diversità si rivela attraverso gli aspetti originali e le diverse identità presenti nei gruppi e nelle società che compongono l'Umanità. Fonte di scambi, d'innovazione e di creatività, la diversità culturale è, per il genere umano, necessaria così come la biodiversità per qualsiasi forma di vita”. Tale articolo contiene una frase di una forza straordinaria: “La cultura assume forse diverse nel tempo e nello spazio”. La cultura è l'elemento che ci aiuta a comprendere, ad accogliere e raccogliere ciò, creando una componente di arricchimento e non di frattura o di pericolo.

Mi sento di affermare che è proprio questo il nocciolo duro della questione, l'elemento cardine che, in qualità di importante istituzione italiana, dobbiamo sviscerare e palesare, attraverso la nostra azione quotidiana, le nostre politiche e il nostro impegno. La cultura deve essere un ponte, deve creare un legame, deve rafforzare uno scambio reciproco, mai unidirezionale, deve stimolare la curiosità, la voglia di conoscenza e la comprensione di altro e non soltanto dell'altro, deve incentivare la scoperta e permettere di apprezzare ciò che va fuori dai propri schemi mentali e giornalieri.

Riconosciuto il ruolo fondamentale della cultura, è necessario evidenziare che essa ha un fondamentale bisogno di strumenti che possano sostenere la sua diffusione, il suo valore e i suoi contenuti. Non è possibile, quindi, in nessun modo, scindere il comparto culturale da quella che è l'arma più forte a nostra disposizione: l'educazione, soprattutto l'educazione dei più giovani. Nel 2015, l'Unione europea si impegnava nella dichiarazione di Parigi sulla promozione della cittadinanza e sui valori comuni di libertà, tolleranza e non discriminazione, attraverso l'educazione, in cui si afferma che l'obiettivo principale non è soltanto sviluppare competenze e conoscenze, ma anche aiutare le giovani generazioni a diventare parte attiva, aperta e responsabile della società. Questo perché i giovani sono il nostro futuro ed è fondamentale orientare uno sforzo educativo dedicato a prevenire ogni forma di marginalizzazione, intolleranza, razzismo e radicalizzazione.

L'Europa è da sempre attiva sui temi della sensibilizzazione di un uso consapevole della comunicazione e dei media, è stato citato più volte il No Hate Speech, promosso dal Consiglio d'Europa già nel 2013, come è centrale per la crescita del nostro Paese il Manifesto della comunicazione non ostile, promosso dalla società civile e di cui sono orgogliosamente firmatario in veste di cittadino e che determina un impegno di responsabilità condivisa, per creare una rete, riferendomi a quella del web, rispettosa e civile, che ci rappresenti e che ci faccia sentire in un luogo sicuro.

Mi piace riportare l'attenzione sul quinto punto del Manifesto, Le parole sono un ponte: “Scelgo le parole per comprendere, farmi capire, avvicinarmi agli altri”; un ponte, una connessione, un legame. Laddove ci domandiamo quali siano i progetti educativi da finanziare, quali attività incentivare, a quali temi dare maggiore spazio nei nostri programmi educativi, senza dubbio una risposta è legata alla necessità di perseverare nella lotta all'antisemitismo. È necessario ritagliare uno spazio proprio e adeguato ad un corretto esercizio della memoria e del ricordo. Valorizziamo, quindi, la giornata della memoria, incentivando i nostri giovani ad ascoltare la testimonianza di chi ha vissuto questo drammatico momento. Non scorderò mai la faccia delle ragazze e dei ragazzi delle scuole nelle quali lavoravo nella città di Bari quando tornavano dalla loro prima esperienza sul campo, dopo aver visto Auschwitz e Birkenau, nomi che mi mettono ancora i brividi, oggi. Primo Levi, proprio tornando da Aushwitz profetizzava: torneremo, racconteremo e non saremo creduti. Dice: e, congiunzione e non: ma, avversativo, conscio di un negazionismo italiano, causato dal peso sulle coscienze di chi, nel nostro Paese, ha sostenuto lo scellerato progetto della Shoah.

Rendiamo la giornata della memoria un momento vivace e non di statico apprendimento meccanico di ciò che è stato, ma soprattutto rendiamo il ricordo attivo, la narrazione, l'analisi di fenomeni complessi e dolorosi.

Stimoliamo la curiosità delle ragazze e dei ragazzi, insegniamo loro a pensare criticamente e a sviluppare una propria opinione. Ed è qui che torniamo alla cultura che gioca un ruolo fondamentale - e vado a chiudere - proprio perché portatrice della possibilità di coltivare la memoria, di lanciare nuovi semi, di essere inclusiva, di aumentare le conoscenze, di ampliare gli orizzonti e di far lavorare insieme i beneficiari rafforzando i legami. Sono questi gli antidoti contro ogni forma di razzismo, di discriminazione e di antisemitismo.

La valorizzazione della cultura europea significa valorizzare un crogiuolo di culture, in cui è compresa anche quella del popolo ebraico, che ne è componente fondamentale. Ricordiamoci che cultura deriva dal latino “coltivare”: e allora vuol dire coltivare un qualcosa che cresca, una forma nuova che non solo tenga lontano l'orrore del secolo breve, ma soprattutto faccia cresce una società animata da cittadini migliori di quello che noi siamo stati, che facciano di inclusione, cittadinanza attiva, cultura della diversità le proprie basi indistruttibili. La cultura si concretizza attraverso gli strumenti della scuola e della formazione, che aiutano a ricordare e conoscere le narrazioni positive che ci vengono dal passato, ma hanno anche bisogno dell'appoggio di esempi concreti da imitare.

E allora credo che noi qui, in quest'Aula, siamo parte in causa. Siamo parte in causa perché abbiamo delle responsabilità educative, culturali e politiche. Siamo parte in causa perché non possiamo preoccuparci e parlare di antisemitismo, di leggi razziali, di contrasto alla cultura dell'odio soltanto oggi o il 27 gennaio, ma abbiamo un ruolo e una responsabilità quotidiane, in ciò che facciamo, in ciò che diciamo e nel come lo diciamo. E torno a dire: non è soltanto una questione di comunicazione o di forma linguistica, ma è una questione di politica e di serio impegno quotidiano (Applausi dei deputati dei gruppi MoVimento 5 Stelle Lega-SalviniPremier).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato il deputato Federico Mollicone. Ne ha facoltà.

FEDERICO MOLLICONE (FDI). Presidente, ci troviamo ancora una volta, alla vigilia della deportazione degli ebrei romani, a condannare l'antisemitismo. Quell'alba maledetta del 16 ottobre 1943, in cui i soldati tedeschi rastrellarono e deportarono 1.024 ebrei romani prendendoli dentro casa: un'infamia che ancora giustamente la comunità ebraica ricorda con dolore, e noi con essa. Sul 27 gennaio sono sufficienti le parole di Giorgia Meloni, espresse in occasione dell'ultima edizione: “Oggi è il Giorno della Memoria delle vittime dell'Olocausto, per ricordare a quali orrori può portare la fede cieca e incondizionata in una ideologia, la stessa che ritroviamo oggi nei terroristi islamici. Il vero antidoto a queste derive sono da sempre la ragione e la libertà: difendiamole come il nostro bene più importante” (27 gennaio 2018).

Ma visto che siamo qui, è importante citare altri precedenti storici. Molto prima che Fini andasse in Israele, le organizzazioni studentesche di destra, la generazione che da Rampelli a Lollobrigida a chi vi parla è rappresentata oggi qui in Parlamento, consegnarono una lettera all'allora Rabbino capo Toaff, riconoscendo l'orrore dell'Olocausto e delle leggi razziali. Durante il Governo di centrodestra della capitale, il primo nella storia del dopoguerra, ci furono molte iniziative di solidarietà e amicizia con la comunità di Roma, a cominciare dai viaggi della memoria, rafforzati nel numero e nella qualità dall'allora ottimo assessore alla scuola Laura Marsilio. Per finire con il festival di cultura ebraica che si svolge ancora oggi nel Palazzo della cultura ebraica, al centro dell'ex ghetto, l'ex Gioberti, anch'esso donato dall'allora presidente della provincia Silvano Moffa, di destra.

Per queste e altre cento ragioni non possiamo che ribadire, in modo direi scontato, la condanna di ogni discriminazione razziale, compresa quella contro il popolo ebraico e le comunità ebraiche d'Italia. Sul rapporto tra la destra e gli ebrei ha scritto inoltre libri importanti un altro giornalista di area, Gianni Scipione Rossi. Ma proprio perché siamo liberi, finalmente, da ogni senso di colpa e retropensiero, vogliamo affermare, prediligendo i toni del politicamente scorretto, che la sinistra in crisi di consenso e strategie politiche usa la retorica sull'antisemitismo spesso, troppo spesso come foglia di fico, per nascondere storicamente l'antisemitismo dei partiti socialisti e comunisti, con quello sovietico in testa. Non sento, non sentivamo fino ad oggi esponenti di sinistra (e ringrazio l'onorevole Fiano per averlo fatto) condannare le purghe staliniste. Non lo faremo, e non ci interessa la matematica e il derby dell'orrore; e riconosciamo a Fiano, appunto, di averlo fatto oggi qui.

Anche in tempi recentissimi, per via dell'eterna questione mediorientale, su cui abbiamo sempre coerentemente e storicamente espresso la posizione di due popoli-due Stati: condannando ora gli israeliani quando eccedevano con il concetto della difesa delle proprie città, attaccando la striscia di Gaza, ora i palestinesi quando attentavano e attentano alle vite dei civili israeliani.

Riteniamo che sia la sinistra ad avere la coscienza sporca. Basta vedere lo spettacolo patetico di quello che accade a Roma, la capitale d'Italia, ogni 25 aprile: ogni volta la Brigata ebraica viene osteggiata ed ostracizzata da parte della sinistra, impedendone spesso la partecipazione.

Un'ultima considerazione, e la facciamo con grandissimo rispetto della storia e del dolore della comunità degli ebrei romani: riguarda l'intitolazione a Giorgio Almirante. Mentre parliamo, la città di Sutri oggi ha intitolato una strada a suo nome. A Roma come presidente della toponomastica ci provai, ma il sindaco di allora non ebbe la forza e il coraggio di portarla a termine, e più volte divenne, ed è ancora oggi un motivo di polemica. Oltre a ricordare che la Camera dei deputati ha pubblicato tutti i discorsi di Giorgio Almirante, come riconoscimento doveroso ad un uomo delle istituzioni, vorrei citare queste parole esplicite, e credo definitive al riguardo: “Mio marito salvò la vita ad un suo amico ebreo e alla sua famiglia, che ricambiarono quando Giorgio nel dopoguerra fu costretto alla clandestinità. Un'altra nostra amica ebrea ha pagato di tasca sua per piantare un ulivo dedicato a lui sul monte di Gerusalemme” (Assunta Almirante). Al contrario, se la delirante proposta del sindaco Raggi di dannare la memoria di tutti i compromessi dovesse divenire operativa, le consigliamo altri nomi da colpire con la damnatio memoriae: Giorgio Bocca, Giovanni Spadolini, Amintore Fanfani, Giulio Andreotti e addirittura Aldo Moro. Come si vede, Almirante è in ottima compagnia!

Ma la nostra mozione non vuole rivolgersi più solo al passato; e pur esprimendo ogni necessaria e giusta condanna rispetto agli orrori che furono, guarda all'urgenza contemporanea di difendere chi, per il proprio credo religioso, viene perseguitato e ucciso, sia ebreo, cristiano, musulmano, induista, buddista e via pregando. Siamo qui, quindi, contro ogni forma di razzismo, antisemitismo e discriminazione religiosa. Ma speriamo che quest'Aula si mobiliterà anche con la stessa legittima e sacrosanta partecipazione per i cristiani perseguitati e uccisi dalla follia estremista islamista: è oggi questa una delle emergenze più gravi, insieme all'antisemitismo. Oggi, ora (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

Il Governo intende intervenire o si riserva di farlo successivamente? Si riserva di farlo successivamente.

Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.

Interventi di fine seduta.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Carlo Fatuzzo. Ne ha facoltà, per due minuti.

CARLO FATUZZO (FI). Mi duole prendere la parola dopo sì importanti argomenti, specialmente l'ultimo di cui ho ascoltato tutti gli interventi; ma tant'è, in questa occasione parlo di tutt'altro, di un poeta, di una poesia, dei cipressi di Bolgheri.

“I cipressi che a Bolgheri alti e schietti/ van da San Guido in duplice filar,/ quasi in corsa giganti giovinetti/ mi balzarono incontro e mi guardar. […] Bei cipressetti, cipressetti miei,/ fedeli amici d'un tempo migliore,/ oh di che cuor con voi mi resterei”. Ho recitato l'inizio di questa bella poesia per lodare il sindaco di Castagneto Carducci, Sandra Scarpellini, che si sta adoperando per risanare i cipressi che sono stati attaccati da una malattia, sostituire quelli oramai morti e curare quelli che ancora si possono curare.

È qualcosa di molto positivo che mi fa piacere dire in quest'occasione, proprio per un esempio di capacità che non deve essere dimenticato in quest'Aula.

Viva i pensionati, pensionati all'attacco (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia)!

Ordine del giorno della prossima seduta.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.

Martedì 2 ottobre 2018 - Ore 11:

1. Svolgimento di una interpellanza e interrogazioni .

(ore 14)

2. Dichiarazione di urgenza della proposta di legge n. 712 .

3. Dichiarazione di urgenza della proposta di legge n. 1071 .

4. Dichiarazione di urgenza della proposta di legge n. 52 .

5. Dichiarazione di urgenza del disegno di legge n. 1189 .

6. Dichiarazione di urgenza della proposta di legge n. 688 .

7. Dichiarazione di urgenza della proposta di legge n. 445 .

8. Dichiarazione di urgenza della proposta di legge n. 313 .

9. Seguito della discussione della proposta di legge:

SALAFIA ed altri: Disposizioni in materia di azione di classe.

(C. 791-A)

Relatrici: SALAFIA, per la maggioranza; BARTOLOZZI, di minoranza.

10. Seguito della discussione delle mozioni Lollobrigida ed altri n. 1-00033 e Ascani ed altri n. 1-00053 concernenti iniziative per la celebrazione del centesimo anniversario della vittoria della prima guerra mondiale .

11. Seguito della discussione delle mozioni Carfagna ed altri n. 1-00045, Fiano ed altri 1-00050, Lollobrigida ed altri n. 1-00051 e Carbonaro, Belotti ed altri n. 1-00052 concernenti iniziative volte al contrasto dell'antisemitismo .

La seduta termina alle 19,35.