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Resoconto dell'Assemblea

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XVIII LEGISLATURA


Resoconto stenografico dell'Assemblea

Seduta n. 27 di lunedì 16 luglio 2018

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ETTORE ROSATO

La seduta comincia alle 14.

PRESIDENTE. La seduta è aperta.

Invito il deputato segretario a dare lettura del processo verbale della seduta precedente.

ALESSANDRO AMITRANO , Segretario, legge il processo verbale della seduta dell'11 luglio 2018.

PRESIDENTE. Se non vi sono osservazioni, il processo verbale si intende approvato.

(È approvato).

Missioni.

PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 46, comma 2, del Regolamento, i deputati Battelli, Benvenuto, Bitonci, Bonafede, Brescia, Buffagni, Cancelleri, Carelli, Carfagna, Castelli, Castiello, Cirielli, Colucci, Cominardi, D'Incà, D'Uva, De Micheli, Del Re, Delrio, Luigi Di Maio, Di Stefano, Durigon, Fantinati, Ferraresi, Fioramonti, Gregorio Fontana, Lorenzo Fontana, Fraccaro, Fugatti, Galli, Gallinella, Garavaglia, Gava, Gelmini, Giorgetti, Grande, Lollobrigida, Lorefice, Manzato, Micillo, Molteni, Morelli, Morrone, Pastorino, Rampelli, Rixi, Ruocco, Carlo Sibilia, Spadafora, Tofalo, Vacca, Valente, Villarosa e Raffaele Volpi sono in missione a decorrere dalla seduta odierna.

I deputati in missione sono complessivamente cinquantanove, come risulta dall'elenco depositato presso la Presidenza e che sarà pubblicato nell'allegato A al resoconto della seduta odierna (Ulteriori comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato A al resoconto della seduta odierna).

In attesa che arrivi il Governo, sospendiamo la seduta.

La seduta, sospesa alle 14,05, è ripresa alle 14,08.

Sull'ordine dei lavori e per un richiamo al Regolamento.

PRESIDENTE. Ringrazio il senatore Santangelo per la sua presenza in rappresentanza del Governo.

SIMONE BALDELLI (FI). Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

SIMONE BALDELLI (FI). Presidente, soltanto per stigmatizzare questo fatto: noi cominciamo la discussione generale alle ore 14: inizia la seduta, viene letto il processo verbale, la Presidenza dà conto delle missioni, il Governo non è presente e noi siamo costretti a sospendere la seduta. Questa è una specie di rappresentazione plastica della presenza che il Governo ha avuto su questo provvedimento, Presidente, in questo ramo del Parlamento, dove c'è stata una totale assenza di possibilità: glielo dico perché sarà un leitmotiv del dibattito, a cui lei oggi assisterà e al quale, compatibilmente con i suoi turni di Presidenza, assisterà lei o gli altri colleghi Vicepresidenti o il Presidente Fico, nel corso di queste ore di esame del provvedimento; questo ramo del Parlamento, Presidente, non ha avuto alcuna possibilità, per una chiusura politica della maggioranza, di intervenire, almeno in sede referente, per modificare questo provvedimento.

Stigmatizzo il fatto che all'inizio dell'esame della discussione generale su questo provvedimento il Governo ha pensato bene di essere assente. Ringrazio il sottosegretario senatore Santangelo, che ha ben pensato di venire qui a seguire il provvedimento, ma tanto è che il Governo, all'inizio della discussione generale, non ha permesso alla Camera dei deputati di procedere per colpa della sua assenza.

ENRICO BORGHI (PD). Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ENRICO BORGHI (PD). Grazie, signor Presidente. Credo che quello che è accaduto in questi minuti debba necessariamente richiedere una presa di posizione e una sottolineatura, perché, come è stato ricordato, la discussione sul provvedimento in questione non accade dal nulla, è stata una discussione in Commissione molto tesa, molto complessa, nella quale il Governo ha mandato indietro tutti i provvedimenti di miglioramento da parte delle opposizioni e tutte le proposte emendative che anche il gruppo del Partito Democratico aveva fatto e che ha ripresentato in questa circostanza. E il fatto che si sia dovuto sospendere l'inizio dei nostri lavori per l'assenza del Governo è una metafora di quello che è accaduto: un Governo assente, silente e che, addirittura, come è accaduto anche nelle scorse sedute, ha dato dimostrazione di cattiva attenzione e rispetto nei confronti del Parlamento, e noi come gruppo del Partito Democratico lo vogliamo sottolineare e stigmatizzare.

PRESIDENTE. La ringrazio. Nel frattempo il Governo è raddoppiato nella presenza.

Discussione del disegno di legge: S. 435 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 29 maggio 2018, n. 55, recante ulteriori misure urgenti a favore delle popolazioni dei territori delle Regioni Abruzzo, Lazio, Marche ed Umbria, interessati dagli eventi sismici verificatisi a far data dal 24 agosto 2016 (Approvato dal Senato) (A.C. 804) (ore 14,10).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato, n. 804: Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 29 maggio 2018, n. 55, recante ulteriori misure urgenti a favore delle popolazioni dei territori delle Regioni Abruzzo, Lazio, Marche ed Umbria, interessati dagli eventi sismici verificatisi a far data dal 24 agosto 2016.

SIMONE BALDELLI (FI). Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. A che titolo?

SIMONE BALDELLI (FI). Presidente, per chiederle di domandare al relatore di prendere posto dove è giusto che sia il relatore, cioè non tra i banchi del suo partito, a rappresentare una posizione, ma - avendo ricevuto il mandato a riferire all'Assemblea da parte della Commissione, seppur votato esclusivamente dalla maggioranza - nel tavolo del Comitato dei nove, dove il relatore dovrebbe stare, perché all'inizio di una seduta, quando si comincia un provvedimento, il Governo dovrebbe stare tra i banchi del Governo e il relatore ai banchi del relatore; mentre noi qui abbiamo visto, per la prima volta in quest'Aula, forse dopo decenni, una situazione per cui comincia un provvedimento e ai banchi del Governo non c'è nessuno e il relatore non siede ai banchi del relatore.

Ora, almeno il relatore, devo dire, era presente all'inizio della seduta e credibilmente verrà a farci una relazione; non so che cosa verrà a dirci, perché a questo punto potrebbe, come dire, richiamarsi alla relazione del collega Patuanelli, che ha svolto la relazione al Senato, visto che in questo ramo del Parlamento non è intervenuto in alcun modo, quindi richiamarsi a quella e chiudere veramente in trenta secondi questa relazione. Comunque, lo ascolteremo con grande attenzione. Essendo un deputato eletto nel territorio colpito dal terremoto, certamente avrà un contributo molto importante, se non dal punto di vista legislativo e della funzione di relatore, almeno dal punto di vista dell'esperienza personale, da dare a questa Assemblea.

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Baldelli. Vedo che il relatore l'ha ascoltata, ancor prima che lei parlasse. Ecco, spero che arrivi anche la rappresentanza della Commissione, con un suo presidente o un vicepresidente, così come si conviene.

(Discussione sulle linee generali – A.C. 804)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.

Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari MoVimento 5 Stelle, Partito Democratico e Fratelli d'Italia ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del Regolamento.

Avverto, altresì, che la VIII Commissione (Ambiente) si intende autorizzata a riferire oralmente.

Ha facoltà di intervenire il relatore, deputato Tullio Patassini.

TULLIO PATASSINI, Relatore. Signor Presidente, onorevoli colleghi e colleghe, rappresentanti del Governo, da rappresentante del Centro Italia, territorio martoriato dal sisma 2016, vivo con un misto di grande onore e responsabilità il ruolo di relatore per la Camera sulla conversione del decreto-legge n. 55 del 2018.

Mi onoro di avere avuto la possibilità di contribuire all'avvio di una politica fattuale, a fronte delle politiche dei Governi Renzi e Gentiloni, fatte di ordinanze commissariali anche contraddittorie, che, a due anni di distanza dal sisma che ha cambiato la nostra vita, ci vedono ancora in emergenza e con la ricostruzione che resta al palo.

La Lega aveva già espresso a suo tempo tutte le perplessità, che oggi condivide con gli amici del Governo del MoVimento 5 Stelle, sul cosiddetto modello di ricostruzione Emilia-Romagna, palesemente inadeguato, a partire dalla mancata valutazione dell'estrema diversità…

PRESIDENTE. Onorevole Patassini, le sta suonando il campanello… Ecco, grazie, scusi, perché sennò non ne veniamo fuori.

TULLIO PATASSINI, Relatore. No, no, prego, perdoni. La Lega aveva già espresso a suo tempo tutte le perplessità, che oggi condivide con gli amici di Governo del MoVimento 5 Stelle, sul cosiddetto modello di ricostruzione Emilia Romagna, palesemente inadeguato, a partire dalla mancata valutazione dell'estrema diversità geomorfologica e di antropizzazione dei territori colpiti.

In un solo mese di Governo abbiamo dovuto cercare il rimedio a due anni di non risposte, il che è oggettivamente difficile. La necessità di risposte, a chi dopo due anni non ha ancora ricevuto neppure la soluzione abitativa di emergenza (SAE), non è esaustiva, perché ha dovuto fare i conti con i vincoli legislativi e di bilancio oggettivi, che non ci hanno impedito, però, di trovare in ogni modo la possibilità di intervenire, per quanto è consentito in fase di conversione di un decreto.

Sia chiaro, dunque, che il testo, che la Commissione ambiente porta all'attenzione dell'Aula, costituisce un determinante tassello di un mosaico di misure normative, che inevitabilmente si compone in modo progressivo e nella disponibilità di risorse correnti. È un passaggio di un percorso che ci costringe, nostro malgrado, all'ennesimo provvedimento urgente, non ultimo per la tempistica legata alla procedura di infrazione, avviata nei confronti dei provvedimenti legati al sisma 2009 dell'Aquila.

Invito i colleghi di quest'Aula a tenere conto che è stato raggiunto il miglior risultato possibile nella circostanza attuale e lo si è fatto in misura condivisa. Lo impongono il rispetto per le popolazioni terremotate, nei confronti delle quali le risposte vanno date subito, anche se non completamente esaustive.

Ritengo questo invito all'operatività concreta più che opportuno, alla luce delle presentazioni in Commissione di emendamenti, condivisibili nella sostanza, ma che, come ben sanno i colleghi, non è possibile accogliere in questa fase. Si prenda atto che né il Governo Renzi né quello Gentiloni - che hanno avuto ben altri tempi d'intervento - hanno fatto oggetto di norma quello che qualcuno oggi ritiene indispensabile. Faremo in modo di procedere più celermente e concretamente possibile, con questo primo step di un progetto più organico.

Il decreto nasce dall'urgenza di prorogare alcuni termini riferiti a versamenti e adempimenti, che erano stati sospesi per il sisma. Il Governo Gentiloni, negli ultimi giorni di attività, lo ha previsto con un contenuto minimale: prevedeva soltanto una disposizione sostanziale, riguardante termini per adempimenti e versamenti tributari e contributivi, nonché per il canone RAI e altre utenze. La distanza tra l'azione del Governo Gentiloni e quello che il Parlamento è riuscito a fare è, dunque, già importante.

Il testo esaminato alla Camera è stato pressoché elaborato in sede parlamentare, nel corso dell'esame presso il Senato. Si tratta, quindi, di un cambio di metodo radicale di condivisione con gli operatori locali, orientato alla rinascita dei territori, attraverso lo snellimento burocratico e la partecipazione dei territori stessi alla loro ricostruzione. Il lavoro proficuo svolto dalla Commissione speciale del Senato ha prodotto un corpus di norme ricco, complesso e soprattutto sostanzialmente condiviso, come testimonia l'esito del voto finale, che registra un solo voto contrario e 56 astenuti.

Nel dibattito svolto in questo ramo del Parlamento, la Commissione non ha rinunciato ad effettuare un'istruttoria approfondita, fatta di numerose audizioni di soggetti qualificati e di tempi di discussione adeguati. Dai documenti sulla ricostruzione, forniti da tutte le regioni terremotate al termine delle audizioni, ad eccezione della regione Marche, è emerso nella sua enormità il problema di una ricostruzione che non è partita, una condizione a cui è necessario rispondere con concretezza di soluzioni, suggerite anche da enti e soggetti pubblici e privati dei territori terremotati, che toccano con mano la realtà di una ricostruzione, che non può e non deve prescindere, in primis, da quella sociale ed economica.

Il confronto costruttivo e la volontà politica delle nuove forze parlamentari e del Governo ha confermato che la visione della ricostruzione non può che essere olistica e, in questa fase, frutto dell'assunzione di responsabilità anche parziale, nella consapevolezza che alcune questioni sono obbligatoriamente rinviate ad approvazioni successive.

È significativo sottolineare che l'esordio della legislatura è segnato dall'esame di un provvedimento formalmente governativo, ma il cui contenuto ha un'origine interamente parlamentare.

Altrettanto significativo è che il dibattito in Commissione non ha messo in dubbio il prodotto normativo del Senato, che va certamente confermato. È per questo che i lavori della Commissione si sono conclusi senza alcuna modifica dell'articolato, vista la precisa assunzione di impegni su alcune fondamentali tematiche, da parte della maggioranza e del Governo, che, come vedremo, saranno trasfusi in ordini del giorno.

Informo che i dieci pareri resi dalle Commissioni permanenti della Camera dei deputati in sede consultiva sono tutti favorevoli.

Le scelte assunte sono in linea con molteplici e legittime richieste delle comunità locali, che hanno vissuto eventi devastanti sotto ogni profilo e che necessitano di risposte tempestive ed adeguate. Posso confermarlo in via diretta, avendo vissuto il sisma personalmente.

Il 24 agosto 2016, alle 3,36, un terremoto di magnitudo Richter 6.0 ha colpito il Centro Italia, distruggendo Accumoli, Amatrice e Arquata del Tronto. Alle 4,33 una nuova scossa, stavolta di magnitudo 5.4, ha distrutto la chiesa di San Benedetto di Norcia. Da quel momento, il Centro Italia ha tremato più di 90 mila volte.

La serie sismica si è protratta con le scosse particolarmente distruttive del 26 e del 30 ottobre e di quella del 18 gennaio successivo, che ha preceduto di poco la tragedia di Rigopiano, esempio della necessità che quest'Aula parlamentare provveda a fare ampia e pronta luce, non solo sull'evento specifico, ma anche in generale su quanto accaduto in questi due anni nel Centro Italia, partendo dalle politiche di gestione ambientale di un territorio, come quell'appenninico, che è un'immensa risorsa da tutelare, nel rispetto della natura e dell'uomo, che grazie a quella natura deve vivere e prosperare.

Il protrarsi delle scosse nel Centro Italia ha determinato la necessità di sempre nuove risposte legislative, quali l'allargamento originario fino ai 138 comuni, elencati nei tre allegati, di quattro regioni, per un'area di circa 8 mila chilometri quadrati. Peraltro, il territorio colpito dal sisma riguarda molti piccoli comuni. Il 40 per cento di essi ospita meno di mille abitanti. Nel cratere risiedono circa 60 mila persone, di cui 40 mila sono ancora oggi sfollati. Il bilancio è stato pesantissimo, in termini di vite umane e di economia del territorio, con la perdita di centinaia di migliaia di case, scuole, edifici pubblici e un danno gravissimo al patrimonio culturale ed artistico del Paese. Questo giustifica la predisposizione di un testo sicuramente complesso e articolato, per la cui analitica descrizione rinvio alla documentazione predisposta dai funzionari ed impiegati preposti, che ringrazio per la costante e fattiva collaborazione e per il sapiente ed attento lavoro svolto.

Ritengo però utile elencare in modo sintetico e non esaustivo le disposizioni all'esame dell'Aula.

Prorogato lo stato di emergenza al 31 dicembre 2018, stanziando 300 milioni; prorogata di un anno la restituzione dei mutui dei comuni e anche la possibilità di adeguare l'indennità ai sindaci; esonerati i comuni dall'obbligo di raggiungere gli obiettivi di raccolta differenziata durante il periodo dell'emergenza; prorogati di due anni al 2020 i mutui per attività economica e privati per prima casa e al 2021 per chi è zona rossa; riconosciute ai privati le spese per la Tosap per l'occupazione del suolo pubblico per il cantiere di ricostruzione; prorogate sino al 2020 le esenzioni delle bollette delle forniture in zona rossa; introdotta la possibilità di avvalersi del datore di lavoro per la restituzione a rate dei versamenti relativi alla busta paga pesante (ciò sgraverà chiaramente i contribuenti da ulteriori adempimenti); aumentata la soglia dell'importo dei lavori pubblici per l'obbligatorietà della SOA di cui molti imprese edili locali sono provviste; introdotto il rimborso delle spese per l'adeguamento antincendio e per l'eliminazione delle barriere architettoniche di immobili distrutti o danneggiati; ampliato il numero delle centrali uniche di committenza per superare una limitazione eccessiva dei soggetti attuatori; prorogati a fine 2018 gli interventi di immediata esecuzione e la presentazione delle schede AeDES da parte dei professionisti.; prevista la realizzazione di aree turistiche attrezzate per roulotte e camper per proprietari di seconde case distrutte, fondamentale per il rilancio del turismo e per far rivivere le comunità; prevista la pubblicazione e l'aggiornamento periodico di linee guida del commissario con procedure e adempimenti connessi alla ricostruzione; viene riassegnata ai comuni l'istruttoria della compatibilità urbanistica; introdotta finalmente una norma adeguata per sanare le casette temporanee costruite senza permesso, in emergenza, ma necessarie per affrontare immediate esigenze abitative; introdotta una norma per consentire demolizioni e ricostruzioni di abitazioni inagibili in deroga al vincolo stradale; introdotta la possibilità per le diocesi di intervenire direttamente su molte delle 3.000 chiese danneggiate, ricorrendo a procedure previste per la ricostruzione privata, in luogo delle procedure pubbliche, per lavori di importo fino a 500.000 euro per singolo intervento; definite, per sbloccare la ricostruzione dei privati, procedure sia per i condoni pendenti connessi a fabbricati danneggiati dal sisma sia per sanare piccole difformità realizzate in assenza di SCIA; proroga dei termini relativi alla restituzione degli sconti fiscali e contributivi del 60 per cento concessi alle imprese dell'area colpita dal terremoto 2009 e considerati da Bruxelles aiuti di Stato illegittimi, permettendo al Governo di avviare urgentemente in Europa una negoziazione sulla procedura d'infrazione.

Un primo filone concerne, infatti, gli interventi volti a rinviare per quanto possibile e ridurre gli oneri economici e burocratici che a vario titolo ricadono sui cittadini e lavoratori di quelle aree come aiuto concreto anche al loro impegno a ricostruire e reinsediarsi nei luoghi. Come è noto questo aspetto era l'impostazione originaria e minimale del decreto-legge integrata durante i lavori al Senato. Di particolare attenzione è la definizione di una tregua fiscale per i lavoratori e le imprese che operano sul cratere, rinviando pagamenti e inadempimenti di varia natura, allineando la scadenza a gennaio 2019.

La ratio della norma è basata sulla consapevolezza dello stato emergenziale ancora in essere, con abitazioni e imprese distrutte, e che sia necessario un congruo lasso di tempo per ritornare alla normalità. Si prevede, quindi, la proroga del termine per la ripresa della riscossione dei tributi per i soggetti diversi dai titolari di reddito d'impresa e di lavoro autonomo nonché dagli esercenti attività agricole, al 16 gennaio 2019, aumentando altresì il numero delle rate mensili, a sessanta, per l'eventuale rateizzazione. Sono disciplinate le conseguenze dell'insufficiente, tardivo o omesso pagamento di una o più rate, contemplando anche l'istituto del ravvedimento. È prorogato al 31 gennaio 2019 il termine per gli adempimenti e i pagamenti dei contributi previdenziali e assistenziali e dei premi per l'assicurazione obbligatoria, prevedendo anche in questo caso la rateizzazione fino a un massimo di sessanta rate mensili, a decorrere da gennaio 2019.

I lavoratori dipendenti o assimilati che hanno usufruito della cosiddetta “busta paga pesante” possono effettuare il rimborso, oltre che direttamente tramite F24, attraverso il proprio sostituto d'imposta, evitando ulteriori appesantimenti operativi.

La nuova lettera b-bis), introdotta al Senato, modifica entrambi i termini per l'adozione delle ordinanze di sgombero e per la dichiarazione di distruzione o inagibilità del fabbricato, posticipandoli al 31 dicembre 2018, confermando altresì le esenzioni fiscali relative al reddito dei fabbricati, quando distrutti o inagibili.

Il comma 2 proroga al 1° gennaio 2019 i termini per la notifica delle cartelle di pagamento e per la riscossione delle somme risultanti dagli atti di accertamento esecutivo e delle somme accertate e a qualunque titolo dovute all'INPS, nonché le attività esecutive da parte degli agenti della riscossione e i termini di prescrizione e decadenza relativi all'attività degli enti creditori. L'articolo 1-bis modifica le norme relative alla sospensione del pagamento delle rate dei mutui e dei finanziamenti. Nei comuni colpiti dal sisma il termine di sospensione dei pagamenti viene prorogato al 31 dicembre 2020, mentre per gli immobili localizzati in zona rossa si arriva fino al 31 dicembre 2021. I commi da 3 a 5 dell'articolo 1 prevedono la sospensione del pagamento del canone RAI dal 1° gennaio 2018 fino al 31 dicembre 2020 e il recupero delle somme oggetto di sospensione senza applicazione di sanzioni e interessi dal 1° gennaio 2021. Prevedono, inoltre, il rimborso degli importi già versati tra il 1° gennaio 2018 e la data di entrata in vigore del presente decreto-legge.

Ulteriori disposizioni riguardano poi il differimento dei termini di sospensione del pagamento delle fatture per i servizi energetici ed idrici, assicurazioni e telefonia. Il comma 6 dell'articolo 1 ha differito la sospensione dei termini di pagamento fino al 1° gennaio 2019 e, a seguito di ciò, si informa che l'ARERA per ciò che attiene ai servizi energetici, ha adottato il 1° giugno 2018 un'apposita delibera, la n. 312/2018/R/com.

È stato, quindi, disposto il rinvio dell'emissione della fattura unica di conguaglio che dovrà ricomprendere anche gli importi non fatturati fino allo scadere del termine di sospensione dei pagamenti non oltre il 31 marzo 2019, prevedendo per gli utenti la possibilità di rateizzare gli importi dovuti senza interessi per la durata di almeno 36 mesi con periodicità pari a quella di fatturazione. Il comma 6-bis affida alle autorità di regolazione competenti in materia di energia elettrica, acqua e gas, assicurazione e telefonia il compito di introdurre, con propri provvedimenti, specifiche esenzioni fino alla data del 31 dicembre 2020 in favore delle utenze localizzate in zona rossa.

Altre norme inserite al Senato si muovono nella stessa direzione, favorendo soprattutto il ritorno alla vita sociale dei territori e il mantenimento e riattivazione di un tessuto economico fortemente compromesso. Mi riferisco alla possibilità concessa alle regioni, su richiesta dei comuni, di predisporre aree attrezzate per finalità turistiche dedicate ai proprietari di seconde abitazioni inagibili: questo consentirà il ritorno e la presenza continuativa di persone originarie di quei luoghi fonte indispensabile alla creazione di ricchezza e sviluppo, incentivando così la riapertura delle attività commerciali e di vicinato. Tale aree saranno inserite nel piano di emergenza comunale: per la realizzazione delle stesse è stata prevista una copertura finanziaria di 10 milioni di euro.

L'articolo 7 è particolarmente sentito dalle popolazioni in quanto permette la regolarizzazione a determinate condizioni di prefabbricati, roulotte o simili in aree private realizzate dal 24 agosto 2016 all'entrata in vigore del seguente decreto-legge. La stampa indica tale fattispecie come norma “salva nonna Peppina”.

Mi soffermo su tale disposizione che definisce la disciplina in materia di interventi eseguiti senza titolo abilitativo necessaria per rispondere a un'esigenza primaria creatasi nel pieno della fase di emergenza, quando le persone, pur di non abbandonare i loro territori per molteplici esigenze, hanno realizzato a proprie spese strutture abitative temporanee nelle more dell'intervento pubblico. È stata prevista la temporaneità delle nuove opere e la loro demolizione, una volta completata la ricostruzione degli immobili danneggiati dagli eventi sismici e rilasciato il certificato di agibilità. La sua introduzione costituisce testimonianza dell'attenzione e dell'equilibrio che occorre in situazioni di emergenza conclamata, evitando effetti ragionevolmente iniqui.

Il terzo periodo del nuovo testo, al comma 1, consente di mantenere in essere le istallazioni qualora, in base ad accertamenti eseguiti dagli uffici comunali, siano state rispettate le prescrizioni degli strumenti urbanistici vigenti alla data di entrata in vigore della disposizione in esame e le disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio, fatti salvi il rispetto della cubatura massima edificabile nell'area di proprietà privata e la corresponsione del contributo per il rilascio del permesso di costruire.

Alcune disposizioni vanno nella direzione di permettere a più persone possibili il rientro nelle proprie abitazioni in tempi ragionevolmente brevi nel caso in cui gli immobili siano stati oggetto di danni lievi, classe B.

È stata prevista la proroga al 31 dicembre della consegna delle schede AeDES, scheda redatta da parte di professionisti abilitati per il rilevamento speditivo dei danni, per la definizione di provvedimenti di pronto intervento e per la valutazione dell'agibilità post sisma di edifici. È il punto di partenza di ogni pratica edilizia di ricostruzione, sanando, altresì, la vacatio della data di entrata in vigore del provvedimento alla scadenza originaria del 30 giugno, in quanto la mancata presentazione della stessa scheda comporta l'inammissibilità della domanda e la perdita del contributo.

L'articolo 1-sexies, inserito nel corso dell'esame del Senato, introduce una disciplina finalizzata alla sanatoria degli interventi edilizi di manutenzione straordinaria riguardanti le parti dell'edificio realizzati prima degli eventi sismici del 24 agosto, in assenza di segnalazione certificata di inizio attività o in difformità da essa sugli edifici privati collocati nei comuni colpiti dagli eventi sismici in questione e danneggiati dagli eventi stessi.

PRESIDENTE. Signor relatore, vedo che la relazione è ancora lunga e lei ha ultimato il suo tempo. Se ritiene di volerla consegnare, può anche consegnarla. La diamo per letta.

TULLIO PATASSINI, Relatore. Sì, grazie, allora faccio le ultime considerazioni.

PRESIDENTE. Ha esaurito il suo tempo, però, ne tenga conto. L'ultima frase, proprio.

TULLIO PATASSINI, Relatore. Esatto. Signor Presidente, onorevoli colleghi, rappresentanti del Governo, abbiamo dovuto responsabilmente prendere atto che il terremoto del Centro Italia ha evidenziato un livello di devastazione territoriale e sociale diametralmente opposto all'efficacia dell'intervento normativo. Una devastazione che è stato obbligatorio fronteggiare da subito dal punto di vista sociale per lo sradicamento di intere comunità dal loro quotidiano personale e professionale. Nei giorni più drammatici - concludo, trenta secondi - è stata commovente la presenza di tanti italiani che a vario titolo e con diverse modalità hanno sostenuto gli italiani nel Centro Italia. Come ha dichiarato un sindaco di un piccolo comune del maceratese, donna forte e determinata, nel pieno dell'emergenza, questa è l'Italia che vogliamo e che amiamo. Questo provvedimento è il primo intervento parziale, ma è la partenza. Voglio dirlo con un'immagine del quotidiano nelle nostre zone terremotate dell'Appennino.

Signor Presidente, onorevoli colleghi, rappresentanti del Governo, il testo in esame va visto nella sostanza, ovvero come concreto inizio per superare finalmente la fase di emergenza…

PRESIDENTE. Grazie, signor relatore.

TULLIO PATASSINI, Relatore. …e avviare la ricostruzione, per ritornare alla vita.

PRESIDENTE. Prendo atto che il rappresentante del Governo si riserva di intervenire successivamente.

È iscritto a parlare il deputato Caparvi. Ne ha facoltà.

VIRGINIO CAPARVI (LEGA). Grazie Presidente, onorevoli colleghi, rappresentanti del Governo, ringrazio il relatore, onorevole Patassini, e tutti coloro che si sono adoperati nella stesura di questo decreto, ora corposo, ma che era stato licenziato dal precedente Governo con una limitata serie di proroghe, alle quali, tra l'altro, avevo partecipato e caldeggiato alcuni provvedimenti, come, ad esempio, quello della busta pesante e dell'aumento della rateizzazione da 24 a 60 rate a decorrere da gennaio, e non, come era previsto, ventiquattro rate a decorrere dal maggio scorso. Questo è un po' l'emblema di come è stata gestita la fase post sisma, e cioè in due anni non siamo stati in grado di dare le casette emergenziali ai terremotati, ma subito dopo un anno lo Stato era pronto a mettere le mani nelle tasche dei cittadini.

Intervengo istituzionalmente come deputato, ma con il cuore come umbro, come persona che il terremoto lo ha conosciuto; prima che in un'Aula di Commissione, lo ha conosciuto di notte, all'improvviso, con il tremore, il rumore, la paura, e l'abitazione, luogo culturalmente familiare, che diviene nemico all'improvviso. Il sisma l'ho conosciuto il 26 settembre 1997, quando il mio paese venne distrutto. Da quella volta, dalle mie parti, quando si riferisce di accadimenti lontani nel tempo, li si colloca secondo due espressioni: prima del terremoto e dopo il terremoto. Questo dà un po' la misura di quanto il sisma riverberi nel tempo e non esaurisca i suoi effetti in pochi mesi o in pochi anni, fino a divenire addirittura uno spartiacque esistenziale per chi ha avuto la grazia di sopravvivere a questo accadimento.

Premetto tutto questo perché fortemente convinto del fatto che per il legislatore sia importante capire ciò che è oggetto della discussione. Un sisma non danneggia semplicemente gli stabili, e, purtroppo, con essi, anche la vita umana: va oltre, danneggia un tessuto economico, logora il tessuto sociale, alle volte lo strappa. Dopo i primi momenti, i primi accadimenti, si crea un certo pathos tra i terremotati, che, però, solitamente, con lo spegnimento dei riflettori, viene sovrastato dallo scoramento, dalla paura e dalla perdita di un valore che rende forti i comuni di quell'Italia piccola, di montagna, ovvero il valore di comunità. Questo è il punto centrale: un terremoto può distruggere definitivamente una comunità, vera condizione di vita per luoghi meravigliosi, ma anche difficili, perché sono luoghi di Appennini, di montagna, dove c'è poco lavoro, le infrastrutture scarseggiano.

La comunità, quindi, come baluardo di resilienza. Compito nostro, dunque, non è solamente operare per la ricostruzione materiale di questi luoghi, ma fare in modo che tempi lunghi e burocrazia non pongano la parola fine sulla ripresa sociale ed economica dei territori colpiti; e questo è ancor più vero in quei comuni dove lo spopolamento stava già facendo il suo corso. Basti pensare che in molti comuni del cratere la popolazione nella stagione invernale era di gran lunga inferiore alla popolazione delle stagioni estive, perché, poi, con le stagioni estive arrivano i cosiddetti villeggianti, arrivano i turisti, arrivano anche tutti quegli autoctoni che si sono spostati, magari, per lavoro, ma che continuano a tenere un legame forte con la terra di appartenenza, ed insieme ai residenti fanno la fortuna e l'economia di quei territori. Dico questo, ed entro nel merito del decreto, perché è un provvedimento, è già stato ricordato dal relatore, che può apparire banale, ma, in realtà, va proprio in questa direzione, e cioè permette la creazione di piazzole di sosta per camper, roulotte o unità abitative amovibili per i proprietari di seconde case.

Infatti, in questo l'obiettivo non è semplicemente dare la possibilità a chi ha una seconda casa di seguire i lavori di ricostruzione, che ci auguriamo possano iniziare quanto prima, ma dà proprio la possibilità di non recidere quel legame che queste persone hanno con quei territori. Altrimenti, recuperare quel legame più avanti, quando poi la ricostruzione sarà finita, è un problema, c'è il rischio di costruire delle cattedrali nel deserto. Ma una ricostruzione deve essere rapida, e in questo il provvedimento sulle lievi difformità va proprio in questa direzione, perché fino ad oggi chi anche aveva una lieve difformità, una piccola incongruenza, non era beneficiario del finanziamento, e quindi non poteva ripartire la ricostruzione, ed oggi, invece, questo è possibile.

Per non parlare del caso nonna Peppina, di tutti coloro che di tasca propria hanno deciso, all'indomani del sisma, di costruirsi una soluzione alternativa, perché, magari, avevano un disabile in casa, un anziano, o perché erano costretti e volenterosi di rimanere sul territorio, perché agricoltori, allevatori. Ecco, tutti questi sono stati trattati fino ad oggi come abusivi, come dei delinquenti; oggi questo non è più possibile, gli viene riconosciuto il diritto di una casa, anche se, ovviamente, poi, nel momento in cui rientreranno nell'agibilità dello stabile, dovranno abbattere ciò che hanno costruito, a meno che non rispetti tutti i regolamenti urbanistici, paesaggistici e quant'altro. Una ricostruzione più veloce, ma c'è anche la necessità dello sviluppo, di far lavorare le persone del territorio.

L'innalzamento della soglia SOA fino a 258 mila euro va proprio in questa direzione, che sicuramente permetterà anche alle imprese più piccole, alle imprese locali, di lavorare, perché, volenti o nolenti, la ricostruzione sarà un volano di sviluppo importante per quelle comunità. Estendere il limite di intervento fino a 500 mila euro per le diocesi, che potranno così andare ad operare per la ricostruzione delle chiese, anch'esse centralità del concetto di comunità. É intorno alle chiese che si sviluppano queste comunità e sicuramente, poi, nella Valnerina, Umbria, per esempio, le chiese, le bellissime chiese che avevamo, erano anche motivo di grande afflusso di turisti.

E poi è stata ricordata la proroga dei mutui, l'esenzione dalle bollette, l'abbattimento delle spese per antincendio e barriere architettoniche. In poco tempo e con poche risorse abbiamo fatto veramente tutto ciò che era possibile, anche tenuto conto della situazione de L'Aquila, dell'Abruzzo e delle 300 aziende che da qui a poco rischiano di dover restituire delle somme ingenti, che, di fatto, le metterebbero in ginocchio, e con esse un territorio. Approviamo i contenuti di questo decreto e il metodo con cui si è arrivati a questi contenuti, tramite l'ascolto delle regioni, dei comuni, delle associazioni di categoria, la rete dei professionisti, i cittadini. Ovvio che tutto questo non può considerarsi una svolta: è solo il primo passo di tanti altri passi perché c'è tanto da fare nelle zone del terremoto e, quindi, questo può considerarsi il primo di una serie di passi e sono sicuro che questo Governo del cambiamento ne farà molti altri. Nel 1997, dopo cinque mesi, tutti i terremotati erano nei container: abitazioni umili, piccole, ma comunque dignitose, migliori delle tende. Però, quella volta noi - permettetemi di dirlo - abitavamo nella nazione Italia, una nazione che si occupa prima di tutto dei propri cittadini. Oggi, invece, abitiamo nel Paese Italia, che è un Paese votato all'austerità, alle regole, alla trasparenza, all'ANAC. E, allora, mentre molti terremotati erano con le tende e le roulotte e con la neve fuori - a meno 10 gradi si sono comprati gli impianti di riscaldamento da soli -, noi facevamo le gare d'appalto per le stalle.

Questo è un Paese che ha sicuramente avuto un corto circuito per dare delle priorità così diverse rispetto alle esigenze dei cittadini e di chi ha sofferto su quei territori. Il risultato è stato quello poi di aver fatto percepire uno Stato avverso e, nella migliore delle ipotesi, uno Stato assente. E in quelle condizioni di abbandono c'è stato anche chi con un riscatto, con una volontà di futuro, ha immaginato, sul proprio territorio, la possibilità di costruire delle strutture a fine emergenziale ma anche sociale proprio per quanto già detto, perché un futuro lo riprendi sia se ricostruisci ma anche se tieni stretta una comunità e se prevedi dei centri di aggregazione, dei motivi per cui la vita può continuare ad esistere in quei territori. E questi progetti sono stati poi sponsorizzati, hanno raccolto il sostegno economico di tantissimi cittadini e di tantissimi comuni. La macchina del volontariato e della solidarietà è ciò che ha funzionato meglio probabilmente in questi due anni.

Eppure, ci duole constatare che a questa voglia di riscatto e a questa voglia di futuro sono stati posti i sigilli, ancora una volta in nome della trasparenza, degli atti, delle regole. Diceva San Paolo: “Lo spirito superi la legge”. Io credo che tutto quello che è accaduto ci debba insegnare qualcosa e, cioè, che di fronte a certi tipi di emergenza noi dovremmo poter intervenire con strumenti che garantiscano l'emergenza. Trovo assolutamente stucchevole e fastidioso - lo dico a cuore aperto - l'atteggiamento di chi anche oggi strilla sui giornali, di chi al Senato ha alzato la voce, in Commissione ha alzato la voce ma fino a pochi mesi fa sedeva sui banchi del Governo. Non sono stati in grado, in due anni, di dare risposte ai terremotati e vorrebbero adesso insegnarci a noi come dobbiamo fare e questo senza neanche quel briciolo di vergogna che dovrebbero tenere, anche perché quando era l'ora di occuparsi dell'Italia qualcuno era ad occuparsi di qualche altro prossimo e non prossimo come suggerisce la parola, cioè vicino a noi, ma di qualche altro prossimo a 10.000 chilometri di distanza, perché per i terremotati i soldi vanno spesi, nella gestione di quei prossimi, invece, i soldi si possono guadagnare. Con pochi giorni a disposizione e con poche risorse questo Governo ha fatto veramente tutto ciò che era possibile e si è impegnato e si impegnerà fino a risolvere tutti i problemi e a far partire finalmente questa ricostruzione nel cratere e questo lo farà fino ad arrivare - perché questo è un impegno che dobbiamo prendere - a scrivere una norma quadro che permetta veramente di gestire l'emergenza con gli strumenti dell'emergenza e non con quelli dell'ordinarietà, perché quando si opera in questo modo lo si fa sulla pelle dei cittadini e lo si fa sul futuro delle comunità (Applausi dei deputati dei gruppi Lega-SalviniPremier e MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Morgoni. Ne ha facoltà.

MARIO MORGONI (PD). Grazie, Presidente. Colleghi, ci troviamo qui nella ennesima occasione nella quale il Parlamento è chiamato a confrontarsi e ad assumere decisioni sul tema del sisma che ha colpito con eventi drammatici e ripetuti, a partire dal 24 agosto 2016, una parte consistente delle aree interne del centro Italia comprese tra Marche, Abruzzo, Umbria e Lazio. Un evento che ha lasciato segni profondi nelle persone e nelle comunità, nei centri abitati sconvolti e feriti, nelle case distrutte, nelle attività cancellate o compromesse.

Un evento di queste proporzioni ha ovviamente richiesto una lunga serie di interventi, a partire dall'esigenza di fronteggiare l'immediata emergenza e qui si è messo in evidenza, ancora una volta, l'impegno straordinario degli organi dello Stato, dalla Protezione civile, ai vigili del fuoco alle forze dell'ordine, ma anche una straordinaria e spontanea testimonianza, che c'è stata in questa occasione, di solidarietà da parte dell'intero Paese.

Nel mentre si affrontava il problema del primo traumatico impatto di questi eventi, che tra l'altro si sono ripetuti, appunto, dal 24 agosto fino al gennaio dell'anno successivo, si iniziava, comunque, a mettere mano al lavoro di verifica e di valutazione, di predisposizione di soluzioni capaci di riportare il prima possibile le persone vicino ai luoghi di residenza, di evitare la cancellazione di un tessuto economico già debole, ma che esprimeva, comunque, una sua peculiarità e una sua vitalità.

Lo si è cominciato a fare dal settembre 2016 con la nomina del commissario straordinario e con il decreto n. 189 del mese di ottobre, che dava corpo alle prime importanti misure. A questi atti hanno fatto seguito, in una successione temporale stringente anche a seguito dell'incalzare degli eventi, che, come accennavo, si sono susseguiti in una serie veramente drammatica fino all'inizio dell'anno successivo, altri numerosi provvedimenti che sono stati adottati, provvedimenti che, di volta in volta, affrontavano esigenze e difficoltà che venivano manifestandosi.

Quindi, la ricostruzione di un'inerzia, di una distanza, di una lontananza da parte dello Stato in questi due anni è assolutamente infondata e lo testimoniano ad oggi in modo concreto i 2.500 cantieri aperti in quel territorio per avviare, appunto, la ricostruzione. Dico questo anche perché sarebbe ingeneroso e sbagliato accusare i Governi Renzi e Gentiloni di non aver agito su questo tema o di avere agito con superficialità o leggerezza.

Invece, io direi, piuttosto, che la superficialità e una certa dose di cinismo abbiano caratterizzato, in questi anni, coloro che hanno inteso speculare sulle difficoltà connesse a questa opera complessa e imponente, puntando ad esasperare stati d'animo di amarezza, di rabbia e di inquietudine, certamente presenti nella popolazione e anche motivati, ma che aspettavano, piuttosto, di essere rasserenati e non aizzati.

È stato un atteggiamento sbagliato e dannoso, che ha fatto male alle persone, ma che ha fatto male anche alle istituzioni e alla politica. Da questo atteggiamento noi del Partito Democratico sapremo tenerci lontani, perché riteniamo che, prima di ogni altra cosa, le persone che hanno subito sulla loro pelle questo angoscioso dramma esigano il nostro rispetto.

Oggi siamo in quest'Aula in sede di conversione, dopo il passaggio al Senato, dell'ultimo dei numerosi provvedimenti, appunto, già varati su questo versante. In questo caso si tratta, naturalmente, di un provvedimento di ordinaria amministrazione relativo a proroghe di misure già assunte - e non poteva essere altrimenti - e anche su questo credo che non ci sia spazio per nessuna facile ironia. Non poteva essere altrimenti, visto che il Governo Gentiloni non era più, in quel momento, nella pienezza delle sue funzioni e doveva limitarsi a intervenire su materie di stringente indifferibilità.

Ma, ovviamente, era e resta necessario cogliere l'opportunità del passaggio parlamentare per arricchire il provvedimento di contenuti e misure non più rinviabili né dal punto di vista temporale né sotto il profilo del merito, misure su cui le forze politiche di maggioranza di allora stavano già lavorando, anche tenendo conto delle sollecitazioni e delle indicazioni che dal territorio e dallo stesso commissario giungevano a tutte le forze politiche.

Le nostre proposte emendative ieri al Senato - che oggi riproponiamo alla Camera - sono il frutto di quel lavoro. In effetti, il passaggio al Senato non è stato certo improduttivo e uno spirito di collaborazione ha consentito di conseguire dei primi importanti risultati sia in termini di semplificazione delle procedure - gli strumenti urbanistici attuativi, i soggetti attuatori, la revisione delle soglie di obbligatorietà della SOA -, sia in termini di ulteriori risposte a legittime esigenze di cittadini, lavoratori e imprese.

È stata già accennata la disponibilità di aree attrezzate per i proprietari di seconde case, l'estensione a sessanta mesi del periodo di restituzione dei benefici della busta paga pesante, l'ampliamento degli ammortizzatori sociali con l'accoglimento di un emendamento di cui, come Partito Democratico, siamo piuttosto orgogliosi, perché riguarda una situazione drammatica come quella della Whirlpool, un'azienda di 500 dipendenti, in difficoltà, l'azienda più grande della parte meridionale delle territorio del cratere, per la quale c'è stata l'estensione degli ammortizzatori sociali, anche se in una misura ancora non sufficiente. Ma anche interventi per risolvere i problemi delle lievi difformità edilizie, delle pratiche di condono ancora pendenti e delle residenze temporanee realizzate per fronteggiare l'emergenza abitativa.

Mi limito a questo. E, comunque, ciò nonostante, troppe misure che sono state proposte non solo dal Partito Democratico, ma anche dalle altre forze di opposizione, misure assolutamente necessarie e ragionevoli, hanno incontrato l'ostilità della maggioranza già in Senato: e parlo della mancata proroga per i 700 dipendenti a tempo determinato e collaboratori essenziali per l'attività della ricostruzione, così come la mancata proroga della struttura commissariale, che - non va sottovalutato - provoca gravi problemi di carattere organizzativo e instabilità e incertezza per uffici e funzioni che avrebbero bisogno di prospettive di medio-lungo periodo per garantire competenza ed esperienza al processo di ricostruzione.

Per non parlare del rifiuto a prevedere una dilazione più ampia, fino a centoventi mesi con una riduzione al 40 per cento, dell'importo da restituire per i benefici della busta paga pesante; alla proroga della zona franca urbana e dell'una tantum, misure assolutamente indispensabili per la sopravvivenza di tanti lavoratori autonomi e professionisti; la mancata istituzione del fondo per lo sviluppo strutturale dei piccoli comuni (è stato già citato dal relatore: 56 comuni sui 140 del cratere sono sotto i mille abitanti); la destinazione del 4 per cento degli stanziamenti annuali per la ricostruzione, da utilizzare per un programma di sviluppo per i territori colpiti, sull'esperienza positiva che già è stata attuata a L'Aquila. Ma ricordo anche il rifiuto ad accogliere misure che non comportavano impegni di spesa, come la deroga alla composizione delle classi per gli anni scolastici 2018/2019 e 2019/2020, perché rischiamo che ci siano delle comunità che perdono non classi, ma intere scuole; e questo credo che non ce lo possiamo permettere, se pensiamo all'opportunità e alla possibilità di un futuro, di una ripresa per questi territori.

In ogni caso, dalle stesse forze di maggioranza è stato espresso anche in Senato dal relatore Patuanelli, e non solo, l'auspicio a fare di più e ad integrare il provvedimento con ulteriori interventi normativi. Purtroppo, già nel primo passaggio in Commissione qui alla Camera, pur apprezzando l'impegno e la passione del relatore Patassini, dobbiamo dire che questo auspicio si è dissolto; anzi, si è vista all'opera una maggioranza confusa e pasticciona, che ha cercato addirittura di addossare la responsabilità del proprio disorientamento alla commissaria, rea di avere presentato tardivamente proposte che, invece, risultavano già note da almeno un mese, e risultavano già note a tutte le forze politiche da molto tempo.

Nella stessa Commissione abbiamo subìto una netta ostilità anche rispetto a proposte non impegnative per il bilancio pubblico: parliamo delle università come soggetti attuatori. Io vivo nella provincia di Macerata, ci sono due importanti università, quella di Macerata e quella di Camerino, che hanno le professionalità, l'organizzazione, la competenza per poter avviare l'attività di ricostruzione di immobili comunque di proprietà dell'università, ma anche questa aspettativa è stata disattesa. Così come quella della rappresentanza dei comuni nella cabina di regia; così come il sisma-bonus, anche se adesso mi risulta che nell'interlocuzione tra il commissario e l'Agenzia delle entrate si sia stabilito che effettivamente il contributo per il sisma-bonus, dove sia ulteriore rispetto all'intervento dello Stato come contributo di ricostruzione, sia ammissibile; questa è una misura di grande importanza, se pensiamo a una prospettiva per territori che devono garantirsi anche una sicurezza più importante di quella che non siamo stati in grado di garantire fino ad oggi. E quindi, da questo punto di vista, salutiamo positivamente la possibilità che ci sia una conclusione favorevole rispetto a questo provvedimento.

Inoltre, voglio anche accennare alla moratoria delle autorizzazioni per i nuovi centri commerciali, oggetto appunto di un emendamento, visto che nella zona del carattere sopravvive ancora per fortuna una realtà di piccolo commercio, ma incombe su questa realtà come una grave minaccia l'apertura di grandi centri commerciali: quindi, avevamo proposto in Commissione un emendamento per una moratoria nell'autorizzazione dei grandi centri commerciali fino al 2022, proprio per garantire un'opportunità per il piccolo commercio, ma anche questo non è stato accolto.

Comunque, a noi del Partito Democratico sta solo a cuore, nell'interesse dei cittadini, che questa non sia un'occasione persa; anche perché accanto ai temi della ricostruzione si impone adesso alla nostra riflessione il tema del rilancio economico di un sistema produttivo che è basato sull'agroalimentare e lo zootecnico, sul turismo e sulla manifattura sostenibile.

Abbiamo nell'area del cratere 65 mila aziende: per quello che riguarda le Marche rappresentano un quarto dell'intera realtà produttiva regionale, ma per la provincia di Macerata rappresentano più del 50 per cento dell'intero sistema produttivo. Quindi, accanto alla ricostruzione, occorre naturalmente impegnarsi fin da oggi per quelle che sono garanzie e opportunità che riusciremo ad offrire per la ripresa di un sistema produttivo che presenta tante qualità e peculiarità.

Quindi, non vogliamo che questa sia un'occasione persa: avevamo sperato che quegli spazi che non si erano aperti al Senato in Commissione potessero aprirsi in quest'Aula, ma abbiamo compreso che non ci saranno, questi spazi, non saranno riaperti.

È vero che il Governo è in carica da un mese e mezzo, ma vorrei sottolineare che le forze politiche dell'attuale maggioranza hanno vinto le elezioni quattro mesi e mezzo fa, e su un terreno come quello della ricostruzione non credo che possiamo permetterci lunghe pause di riflessione o percorsi tortuosi.

Noi vogliamo sinceramente sperare che il fatto che, nella prima bozza del contratto del Governo di cambiamento, parole come “terremoto” e “ricostruzione” non siano state mai citate sia stato solo frutto di un incidente di percorso, poi per la verità frettolosamente corretto con un paragrafo di poche righe, dedicato comunque alle questioni della ricostruzione.

Così come vogliamo sperare che, dopo i Governi Renzi e Gentiloni, che hanno stanziato 13 miliardi di euro per la ricostruzione, l'attuale Governo sappia trovare tra le pieghe di impegni molto generosi, che riguardano la flat tax e il reddito di cittadinanza, ulteriori risorse per garantire un futuro ai territori colpiti. Noi ne saremmo ben felici, e saremmo ben felici che, a tutto vantaggio dei cittadini, chi ci impartiva (e sento anche oggi, tende ad impartirci) severe lezioni, salendo in cattedra e dicendo quello che era necessario fare, oggi alla prova dei fatti sia capace di dare seguito, con i comportamenti, con provvedimenti reali, a questi annunci molto energici che venivano fatti soprattutto in occasione della campagna elettorale.

Noi, da parte nostra, faremo con lealtà la nostra parte, perché non rinunciamo ad un provvedimento di più ampio respiro, non ci rinunciamo oggi e non rinunceremo al merito delle questioni che in queste settimane, in questi mesi abbiamo elaborato e abbiamo posto in questo passaggio parlamentare, e su cui naturalmente ritorneremo.

Noi lo faremo con lealtà, faremo con lealtà la nostra parte, perché noi vogliamo rispondere all'appello pressante dei nostri concittadini. La cosa che più mi è rimasta e mi rimane dentro, di tutto questo periodo, dal primo momento drammatico della prima scossa di agosto 2016, è che è sorto questo appello forte, che poi è stato ripetuto sempre in modo incessante da parte dei concittadini, che ci chiedevano e ci chiedono di non essere lasciati soli.

Non lasciare soli questi concittadini, che hanno subito questo dramma, io credo sia non solo un imperativo morale a cui le istituzioni non possono certamente sottrarsi, ma rappresenti una vera e propria questione di interesse nazionale (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Silvestri. Ne ha facoltà.

RACHELE SILVESTRI (M5S). Presidente, onorevoli colleghi, rappresentanti del Governo, premetto che sento molto l'importanza di questo testo, poiché sono nata, cresciuta e tuttora vivo ad Ascoli Piceno, uno dei comuni posti all'interno del cratere. Fortunatamente Ascoli non ha subito gli stessi rovinosi effetti che hanno invece sopportato i comuni di Arquata del Tronto, Accumoli, Amatrice, Camerino, Montefortino ed altri, ma avverto questo problema come mio, perché sono luoghi che conosco fin da quando ero bambina.

Lo sciame sismico, come ormai tutti ben sapete, è iniziato il 24 agosto 2016 e, da allora, migliaia di scosse di varia intensità hanno fatto tremare il Centro Italia. Attualmente, sono 140 i comuni nel cratere sismico, per un'area complessiva di ottomila chilometri quadrati, in cui risiedono circa 600.000 persone, di cui decine di migliaia risultano sfollate.

Il cratere è suddiviso tra le regioni Marche, Lazio, Abruzzo ed Umbria. La regione Marche ha ben 87 comuni posti all'interno del cratere, che copre quasi, così, il 40 per cento del suo territorio, coinvolgendo quattro province su cinque. Molte aree abitate sono state letteralmente rase al suolo, subendo un'enorme ferita economica e sociale e, oltre a questo, non possiamo non ricordare i gravi danni inflitti al patrimonio storico e culturale di quei luoghi, come, ad esempio, la chiesa di Santa Maria in Pantano, a me assai cara, nel comune di Montegallo, in provincia di Ascoli Piceno, risalente al IX secolo dopo Cristo, che è stata gravemente danneggiata dal sisma del 24 agosto e non messa in sicurezza, per poi crollare definitivamente con il sisma del 30 ottobre.

Veniamo ad alcuni dati, perché le ricadute sul sistema economico sono state pesantissime. Una recentissima indagine del Centro studi CNA Marche rivela che, nella regione, circa 500 imprese hanno chiuso i battenti dall'inizio delle scosse ad oggi, con una perdita di circa 1.500 posti di lavoro ed un calo di circa 2.400 residenti. Secondo l'Osservatorio Trend Marche, che ha analizzato i dati delle attività produttive nell'area cratere, nel quarto trimestre del 2016 e nel primo trimestre del 2017, prendendo a riferimento la provincia di Macerata, la situazione è piuttosto grave. L'impatto negativo sul fatturato delle piccole e medie imprese è assai marcato; nel manifatturiero, ad esempio, la perdita dei ricavi nel quarto trimestre 2016 è stata del 9,3 per cento e nel trimestre successivo del 4,7 per cento. I ricavi del commercio si presentavano stabili nella regione Marche, ma all'interno dell'area cratere calavano dell'8 per cento nel quarto trimestre 2016 e, nel primo trimestre 2017, del 4 per cento.

Riguardo, invece, i dati nazionali, secondo uno studio di Confartigianato di giugno 2018, le imprese totali coinvolte dal sisma sono circa 65.000 e il gap del trend occupazionale mostra una differenza negativa di tre punti rispetto alla media nazionale.

Riguardo al settore turistico, uno studio di marzo 2017 della camera di commercio Monza e Brianza stima i danni in 170 milioni di euro, assieme a 8 mila posti di lavoro in meno.

Passo ora a fare un'analisi critica di quella che è stata la gestione dell'emergenza e della ricostruzione. Premetto che un forte ringraziamento va a tutti gli operatori, i volontari, le forze dell'ordine, i sindaci e a tutti quelli che hanno messo l'anima e il cuore nel dare una mano ai propri concittadini in difficoltà, ma non possiamo non notare che chi è stato al Governo di questa nazione prima di noi, di fatto, non è riuscito a superare la fase emergenziale e a far partire, in maniera significativa, il processo di ricostruzione.

Il sistema normativo imbastito si è rivelato pesante, burocratizzato, eccessivamente interpretabile e lacunoso, non semplificando quello che doveva essere reso più snello possibile.

Non si può immaginare che questo Paese viaggi sempre nell'emergenza; abbiamo una lunga memoria storica sulle calamità che lo hanno afflitto, abbiamo studi e analisi scientifiche che mettono nero su bianco le fragilità che abbiamo, fragilità che non sono solo legate agli eventi naturali, ma anche ad un patrimonio edilizio che, purtroppo, in gran parte, non è in grado di rispondere in maniera adeguata ad eventi naturali come un terremoto.

L'emergenza non può più essere giustificata dove si ha una conoscenza scientifica della problematica. Pensare che, ad oggi, non vi siano ancora protocolli di gestione delle emergenze e della ricostruzione post sisma, non può più essere tollerato né giustificato, perché, di fronte, non abbiamo numeri statistici, ma esseri umani che vedono interrompere, all'improvviso, i loro sogni e i loro progetti di vita, mentre la loro comunità si disperde.

Abbiamo preso in corsa un decreto-legge fatto dal Governo Gentiloni che veniva emanato per prorogare alcune scadenze imminenti, ma non c'è stato ancora il tempo necessario per poter intensificare i tavoli di ascolto, di partecipazione e di proposta con i tanti attori impegnati in prima persona nel processo emergenziale e di ricostruzione, attori che, purtroppo, e mi riferisco anche e soprattutto ai comitati spontanei di cittadini, non sono stati, dal precedente Governo, ascoltati nella giusta maniera e resi partecipi dei processi poco fa citati.

È mancata una partecipazione diretta di chi, portatore reale di interessi, si trovava ogni giorno in prima linea ad affrontare e dirimere le varie problematiche. Ancora molti cittadini non hanno una casa; le macerie che dovevano essere smaltite in maniera urgente, per consentire una rapida ripartenza, sono in buona parte lì. La consegna delle SAE ha avuto dei notevoli ritardi; l'acquisto dell'edilizia invenduta, come da articolo emanato nel febbraio 2017, passata come misura d'aiuto urgente per le popolazioni colpite, tuttora tarda ad avere gli effetti che dovevano, appunto, essere i più celeri possibili. Non si è risposto, nel Governo passato, alla forte e pressante richiesta, fatta da diversi nostri concittadini colpiti dagli eventi sismici, di poter ubicare un manufatto temporaneo in prossimità della propria abitazione, dove poter stare in maniera legittima; non si sono applicate misure atte a bloccare lo spopolamento, indispensabili per riformare le comunità locali, far ripartire l'economia di quei territori e, soprattutto, a ripristinare il presidio, un presidio fatto da quelle comunità che sono rimaste a vivere lì, nonostante un processo di industrializzazione che ha spopolato le zone montane in favore delle valli e delle grandi città.

Questo presidio ha il fondamentale ruolo di custodire, proteggere e valorizzare un patrimonio ambientale, artistico, antropologico e culturale unico al mondo. Non si è prestato ascolto alle attività produttive che si trovano ad affrontare gravi difficoltà e si sono spesso indebitate per poter andare avanti e che chiedono l'aiuto dello Stato per avere sgravi fiscali significativi, incentivi per chi assume, agevolazioni e garanzie per l'accesso al credito, l'avvio della ricostruzione e misure per fermare lo spopolamento anche produttivo.

Perciò, queste nuove misure appaiono necessarie e urgenti, poiché vanno nella direzione più volte sollecitata dai territori colpiti, ma sappiamo già che non sono sufficienti e molto si dovrà ancora fare in tema di difformità edilizie e urbanistiche, di armonizzazione, di semplificazione e chiarezza delle norme, di infrastrutture, di rilancio produttivo e turistico, e altro ancora.

Questo è un inizio di un percorso che dovremo fare, soprattutto, con le realtà locali, con chi rappresenta questi territori in prima persona; mi riferisco ai sindaci, spesso lasciati soli a gestire un problema che doveva essere affrontato a tutti i livelli istituzionali, in modo sinergico. Dobbiamo saper ascoltare e farci consigliare possibili soluzioni da chi è impegnato in prima linea e ha reale contezza della situazione. Dobbiamo dialogare con i comitati territoriali, con le attività produttive e gli ordini professionali locali. È un percorso che non può essere standardizzato, ma andrà tarato e modificato, seguendo strettamente l'evoluzione delle problematiche. Il cambiamento che vogliamo apportare al nostro Paese è anche questo.

Riporto ora le modifiche più significative; esse rappresentano un inizio ed è chiaro che non risolvono le tante criticità, ma sono già, di fatto, un diverso approccio alla problematica. Esse prevedono, anzitutto, che le diverse strutture che furono installate in piena emergenza abitativa, quali roulotte, camper, prefabbricati, non siano più considerate prive di legittimità e vengano normate, purché siano rispettate le norme che tutelano la pubblica incolumità. Ciò appare opportuno per rispondere a un'esigenza abitativa ancora nella fase emergenziale; è ovviamente garantita la temporaneità di tali opere e la loro demolizione una volta ripristinata l'agibilità della propria abitazione.

È poi stabilita la possibilità, per i proprietari di seconde case divenute inagibili, di avere a disposizione aree attrezzate a destinazione turistica, per ubicare, ad esempio, camper e roulotte. Ricordo che molti degli edificati erano seconde case di villeggiatura, spesso di proprietà di chi aveva lì le proprie origini.

È, inoltre, previsto che i contributi per la ricostruzione siano estesi anche per le finalità di adeguamento energetico, antincendio, nonché per l'eliminazione delle barriere architettoniche. Ciò è necessario, da un lato, per incoraggiare il miglioramento energetico, in modo da favorirne il risparmio, visto che parecchi di questi edifici fanno parte di un patrimonio edilizio ormai datato e, quindi, non in linea con i nuovi dettati normativi; dall'altro, per migliorare la sicurezza antincendio e agevolare, attraverso l'incentivazione dei lavori tesi all'eliminazione delle barriere architettoniche, l'accessibilità all'abitazione per le persone con disabilità.

Viene aumentato, da 150 mila a 258 mila euro, l'importo per le imprese affidatarie degli interventi di riparazione degli edifici in cui diviene obbligatoria l'attestazione SOA. Lo scopo, vista la specificità delle imprese edili di quei luoghi, che solitamente sono di dimensioni medio piccole, è quello di offrire maggiori opportunità alle imprese e agli artigiani del territorio.

Vengono modificate le norme relative alla sospensione del pagamento delle rate dei mutui e dei finanziamenti, concedendo una proroga. Viene semplificata la procedura per la concessione e l'erogazione di contributi; viene anche disposto che il commissario straordinario di Governo possa pubblicare delle linee guida contenenti indicazioni per la corretta attuazione delle norme e delle ordinanze, finora emanate, e di tutte le procedure e gli adempimenti necessari alla ricostruzione.

Riguardo alle dotazioni finanziarie, viene prorogato lo stato di emergenza fino al 31 dicembre 2018, aggiungendo 300 milioni di euro di risorse. C'è anche un articolo riguardante le attività produttive che sono comprese nel cratere sismico, in un'area riconosciuta di crisi complessa, e che presentano processi di riassetto produttivo con conseguenti problematiche occupazionali: esso è utile per scongiurare ulteriormente un impoverimento produttivo e abitativo dei luoghi terremotati e prevede la possibilità di una deroga ai limiti massimi di durata del trattamento straordinario di integrazione salariale per il 2019. Tale articolo potrà incidere direttamente sulle sorti di importanti stabilimenti che operano all'interno delle aree colpite, perché sono diversi i siti produttivi che stanno attraversando momenti di difficoltà, con il rischio della perdita di diverse centinaia di posti di lavoro, tra aziende e indotto. Sappiamo bene, comunque, che sul rilancio produttivo dell'area del cratere sismico va fatto un discorso strutturale, con tavoli dedicati in primis al Ministero dello sviluppo economico e del lavoro.

Mi permetta, Presidente - e vado a concludere - di ringraziare i miei colleghi, i tanti cittadini, i rappresentanti delle diverse istituzioni che ci hanno dato una mano nella stesura di questo testo: a loro va il mio ringraziamento più forte, ma anche la massima disponibilità per continuare questo lavoro di ascolto e di partecipazione volto a superare le criticità irrisolte ereditate dal vecchio Governo e che non si sono riuscite ad affrontare visti i tempi stretti.

Chiedo a tutti i colleghi - e chiudo, Presidente - di avere un livello di sensibilità ancora più elevato nell'affrontare la problematica del sisma nel Centro Italia, perché nelle ultime settimane si notano purtroppo uscite sui giornali, da parte di membri di partiti che hanno governato l'Italia fino a qualche mese fa, che suggeriscono emendamenti non praticabili, utili solo a fini propagandistici. C'è da chiedersi perché in quasi due anni dall'inizio del sisma non abbiano proposto atti che potevano essere già messi nei precedenti decreti sul sisma per farlo invece oggi.

Ci vuole rispetto per quei territori; la politica deve essere - dobbiamo sempre tenerlo a mente - un mezzo per far ripartire la normalità in quei luoghi il prima possibile, non un inutile trafiletto di giornale per esaltare il parlamentare di turno; questo non lo potrò mai tollerare (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Muroni. Ne ha facoltà.

ROSSELLA MURONI (LEU). Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, rappresentanti del Governo, la tragica catena degli eventi sismici avvenuti in Centro Italia dal 24 agosto 2016 ci ricorda quanto il nostro Paese e il nostro territorio siano fragili, quanto l'incuria e il disinteresse verso una politica per la prevenzione e la messa in sicurezza del patrimonio naturale e costruito, il giusto equilibrio nell'utilizzo del suolo e lo sviluppo di qualità delle aree interne, si paghino poi tutti insieme, lasciando spesso, spenti i riflettori, le comunità, le forze sociali e del volontariato e gli amministratori locali a combattere da soli, per garantire un futuro alle prossime generazioni, per evitare che al dramma del sisma segua poi il dramma dell'ulteriore abbandono dei comuni, delle terre e delle imprese. Sta a noi in quest'Aula fare in modo che questo non accada, guardando a quello che è stato, certo, cercando di porvi rimedio, ma anche e soprattutto guardando al futuro, facendo in modo che mai più il Paese si trovi in una situazione così drammatica.

Voglio cogliere questa occasione per ringraziare ufficialmente i volontari e le volontarie della Protezione civile. Io personalmente ho avuto l'onore di organizzare gli interventi delle squadre di Protezione civile dedicati al recupero dei beni culturali nelle Marche: 3.600 ore di servizio volontari e decine di volontari specializzati coinvolti, 4 mila beni recuperati; beni che parlano naturalmente dell'identità di quei luoghi ma soprattutto anche del futuro e della voglia di riscatto. E poi, grazie alle forze dell'ordine coinvolte nelle operazioni di soccorso, i vigili del fuoco, i carabinieri forestali, ma anche e soprattutto i tanti sindaci, che hanno continuato a guidare le loro comunità nonostante tutto, nonostante la disperazione, rappresentando lo Stato e provando a dare, nell'incertezza assoluta, delle risposte alla situazione; una situazione fatta di lutti e distruzione, certo, ma anche di incuria e di fragilità.

Noi saremo chiamati ad approvare il decreto-legge n. 55 del 2018 per dare risposte ai tanti bisogni delle popolazioni di Umbria, Marche, Abruzzo e Lazio, un obiettivo a cui il decreto risponde solo in parte, purtroppo, perché, nel mentre giustamente individua le necessarie proroghe delle misure a favore delle popolazioni colpite, noi parlamentari di minoranza ci siamo trovati nell'impossibilità materiale di fare di questo decreto una risposta completa alle domande giunte dai territori.

Come proverò a spiegare - forse confermeranno anche altri colleghi e colleghe della minoranza - in Commissione ambiente, gli oltre 200 emendamenti presentati sono stati tutti bocciati nel corso di una seduta mortificante, in cui è stato impossibile individuare sia poche modifiche concordate sia strumenti legislativi alternativi con cui accogliere richieste e segnalazioni giunte in due giorni di audizioni che si è ritenuto di svolgere in VIII Commissione. A dire il vero, non ci è stato ancora spiegato perché si sono fatte audizioni, nel momento in cui si sapeva che il decreto sarebbe stato blindato. Oggi l'amarezza è nostra, ma è anche dei sindaci di Amatrice e di Arquata, che oggi sono proprio intervistati sui giornali.

Questo decreto non basterà, lo sappiamo, e quello che avverrà in quest'Aula sarà una fiducia di fatto, visto che nessuna modifica o interlocuzione sul testo è stata possibile. Certo, ci diranno, i rappresentanti del Governo, che in Senato si è lavorato tanto bene, in comune accordo, quindi non si capisce perché ora facciamo i balletti. Sì, Presidente, testuale: ci è stato detto che facciamo i balletti. Noi proviamo con onestà e umiltà a fare il nostro dovere, a dare voce ai territori, che, così com'è, ritengono questo decreto insufficiente, e che hanno affidato le loro richieste alla Camera, perché al Senato era stato detto che sarebbe stato questo il luogo del confronto e delle modifiche.

Se fosse stato possibile, avremmo voluto fare di questo decreto un'occasione per parlare del futuro, e non solo del qui e dell'ora, che pure ha un'urgenza innegabile e indifferibile e che ci spinge alla responsabilità ben oltre le nostre personali convinzioni e ben oltre quello che è accaduto.

Ha ragione l'onorevole Silvestri: il decreto serve, è urgente, e i numeri che citava lo ricordano a tutti noi. Infatti, occorre partire da un dato di fatto drammatico: la ricostruzione pubblica e privata nelle aree colpite dal sisma 2016, a distanza di quasi due anni, non è decollata; sono poche decine gli abitanti che, pur avendo avuto danni lievi, hanno avuto il progetto approvato e hanno dato avvio ai lavori di risanamento della propria casa.

Preoccupa ancor più la quantità dei progetti presentati: nella regione Marche, la più colpita, a fronte di circa 40.000 edifici danneggiati, sono meno di 3.000 i progetti presentati alla scadenza del 30 aprile 2018, poi prorogata al 31 luglio. Il cammino del decisore pubblico è stato, a fronte di una situazione orografica, da un lato, e di parcellizzazione amministrativa dall'altro, assai problematico, parziale, a volte contraddittorio, con una sovrapproduzione normativa di decreti-legge, successive modifiche, ordinanze ministeriali, ordinanze semplici.

Per questo ora serviva un decreto coraggioso e davvero di svolta. L'intera macchina amministrativa, a partire dalle regioni e dai comuni, ha avuto e ha problemi organizzativi, di professionalità, di organico. Le istituzioni nazionali e locali, le forze politiche, noi, insomma, dobbiamo assumerci la responsabilità di condividere e definire norme - oltre che accorgimenti di buona organizzazione - finalmente efficaci e definitive, per rimuovere le cause dei ritardi che si sono accumulati dall'agosto 2016.

Parte dei ritardi, secondo le dichiarazioni del commissario straordinario e di diversi esponenti politici, sarebbero imputabili agli abusi, che necessiterebbero di una sanatoria per far decollare la ricostruzione. È una fotografia che ci mette in allarme, vista l'esperienza pregressa dei condoni edilizi. Dopo 21 mesi dal terremoto, i nodi prodotti dall'incuria e dal disinteresse per la prevenzione e la messa in sicurezza del patrimonio naturale e costruito vengono al pettine, aggravando ulteriormente una situazione drammatica.

Al cammino normativo, complicato dall'assenza di una legge quadro per la gestione dei disastri naturali - è stato ricordato giustamente quanto ne abbiamo disperatamente bisogno, in un Paese con le caratteristiche come il nostro -, si è aggiunta l'assenza di volontà politica e di strumenti adeguati per monitorare il territorio, a partire dai piccoli e grandi abusi che nei decenni si sono accumulati, nonostante il nostro Paese abbia un territorio fragile.

È l'ennesima dimostrazione che i condoni edilizi succedutisi dal 1985 sono serviti solo a fare un po' di cassa, oltre che aumentare gli abusi, e non certo a mettere ordine, visto che la stragrande maggioranza delle domande di condono giace inevasa nei comuni.

Veniamo ora a sapere che anche nel centro Italia, per le istanze di condono edilizio, a partire da quello operato con la legge n. 47 del 1985, non è stata avviata l'istruttoria, se non per pochi casi, risolti su esplicita richiesta dei proprietari per interventi sull'immobile o per il cambio nel titolo di proprietà. Si stima che le difformità non sanate e non sanabili interessino per alcuni comuni il 90 per cento dell'edificato da ricostruire. L'ordine degli ingegneri delle Marche afferma, sulla base dei primi progetti di ricostruzione post-sisma, che si è osservato che una percentuale altissima di fabbricati, tra l'80 e il 90 per cento, presenta difformità di tipo edilizio, e in molti casi anche strutturale, che comportano ritardi nella gestione del procedimento. I sindaci affermano che si tratta per lo più di danni lievi. È evidente che sono cifre e tipologie di abusi non suffragate da un rigoroso monitoraggio e questo è ulteriore fonte di preoccupazione. Non ci sfugge, però, l'esigenza di risolvere questa situazione di impasse.

In Commissione abbiamo diversi sindaci che giustamente hanno ricordato che, se non si vuole che al dramma del sisma segua il dramma di un ulteriore abbandono dei comuni, delle terre e delle imprese nell'area dell'Appennino centrale, già soggette a spopolamento, queste risposte vanno date.

Trattandosi di un evento eccezionale, riteniamo che si debba intervenire in maniera, però, rigorosa: i ritardi non possono e non devono essere utilizzati strumentalmente per operare un colpo di spugna sugli abusi e sulle responsabilità decennali della pubblica amministrazione, né può essere fatta una scelta che diventi modello pericoloso per ogni intervento ricostruttivo a seguito di calamità naturali.

L'intervento non può ispirarsi agli sciagurati condoni che si sono susseguiti dal 1985. La sanatoria sia, invece, l'occasione per una ripartenza che superi gli errori del passato, metta sotto controllo l'intero patrimonio edilizio. Si punti a una ricostruzione di qualità del lavoro, ambientalmente sostenibile, nel rispetto della legalità, di adeguati controlli sulla sicurezza e di prevenzione di possibili infiltrazioni criminali e mafiose negli appalti e nei subappalti in particolare. I paletti devono essere ben piantati, le indicazioni devono essere precise per i professionisti delle imprese e per i comuni che devono assumersi la responsabilità di approvare i progetti. Vanno evitate maglie larghe per le furberie.

Indichiamo alcuni punti fermi che sarebbero stati necessari per un provvedimento di sanatoria ben fatta. Io credo che non si possano riaprire, di fatto, i termini del condono del 2003; su questo bisognava riflettere con più attenzione e, invece, si è scritto che la norma riguarda tutto ciò che è avvenuto prima dell'evento.

Occorre, invece, accelerare le pratiche di condono inevase, superare la certificazione di doppia conformità solo e soltanto se i progetti di risanamento e ricostruzione presentati rispettano tutte le norme attuali (antisismiche, sicurezza, antincendio, tutela del rischio idrogeologico, codice dei beni culturali e del paesaggio, gli strumenti urbanistici comunali). Gli abusi che non rispettano l'insieme delle norme di tutela e gli strumenti urbanistici vigenti non possono e non devono essere sanati, né possono ricevere contributi pubblici.

Si colga l'occasione per operare una ricostruzione di qualità, ambientalmente sostenibile. Sia, insomma, l'occasione, questo terribile dramma, per avere un patrimonio edilizio efficiente da un punto di vista energetico e dell'uso delle risorse naturali, a partire dall'acqua.

Le tecniche e i materiali della bioedilizia e dell'architettura sostenibile sono ormai maturi. Per gli edifici che saranno totalmente ricostruiti e per quelli che hanno subito danni pesanti si prenda a riferimento il Protocollo Itaca, uno strumento utile per stimare il livello di qualità ambientale, misurare le performance degli edifici, garantendo così prestazioni innovative e di qualità, non solo rispetto ai consumi e all'efficienza energetica, ma all'impatto dell'edificio sull'ambiente, sulla salute e sul benessere.

L'accesso alle risorse dell'ecobonus e del sisma bonus può integrare bene quelle destinate alla ricostruzione. Inoltre, i progetti di ristrutturazione pesante devono prevedere, sin dal loro deposito, la sistematica applicazione dei criteri minimi ambientali.

La ricostruzione deve diventare un'occasione per segnare un cambiamento nelle forme di intervento e nelle conoscenze sullo stato del patrimonio edilizio italiano. Proprio perché sono destinate ingenti quantità di risorse pubbliche, ci si deve attrezzare per creare una banca dati che raccolga le informazioni sulla certificazione statica e sugli attestati di prestazione energetica di tutti gli edifici oggetti d'intervento, nella direzione di arrivare all'obbligatorietà del fascicolo di fabbricato, strumento considerato unanimemente fondamentale per garantire la messa in sicurezza e la sostenibilità del patrimonio edilizio nel medio e nel lungo periodo.

Questa del decreto in discussione è, e deve rimanere, una situazione straordinaria. In nessun modo si cerchi di estendere le deroghe presenti nel decreto ad altri territori, a partire da quello di Ischia, dove l'abusivismo ha ben altre dimensioni e dove proprio la scarsa qualità del costruito abusivo è stata causa di crolli fin troppo estesi per l'intensità della scossa avvenuta. Né questo decreto può segnare un precedente culturale, per cui al prossimo evento disastroso, sia frana, alluvione, sisma, si proverà a far valere lo stesso principio per cui tutto ciò che è stato prima va sanato per ripartire. No, il passato non lo dimenticheremo perché proprio esso è causa della potenza con cui il terremoto ci ha inflitto i lutti e i danni di oggi. Possiamo e dobbiamo frenare quelli di domani.

Le cause dei ritardi nella ricostruzione però non riguardano solo la presenza generalizzata di difformità edilizie, molto c'è da fare per migliorare l'organizzazione della pubblica amministrazione che deve far fronte all'emergenza. Si doveva, quindi, cogliere l'occasione dell'iniziativa legislativa per attrezzare adeguatamente gli uffici preposti alla verifica dei progetti presentati, a partire da quelli comunali per far fronte alle migliaia di richieste che - si spera - arriveranno. In particolare, occorre sostenere i comuni. A fronte di un'organizzazione accentrata definita nella fase di avvio, si è passati a un'organizzazione sostanzialmente delegata ai comuni. I numerosi compiti che inizialmente furono affidati all'Ufficio speciale per la ricostruzione regionale sono passati successivamente, in maggioranza, ai comuni. Nonostante ciò, si è scelto di rafforzare l'Ufficio speciale regionale, con ulteriori unità lavorative, mentre i comuni, a fronte delle nuove incombenze, non hanno visto rafforzati a sufficienza i propri organici. Sarebbe, quindi, opportuno spostare l'attenzione sull'implementazione ulteriore, significativa, dell'organico a disposizione dei comuni, a garantire continuità lavorativa a chi ha già maturato esperienza sul campo. Occorre investire sulla formazione dei tecnici. L'inesperienza di molti tecnici reclutati sia negli uffici regionali per la ricostruzione che nei comuni si ricordava prima che si tratta, per la maggior parte di piccolissimi comuni sotto i mille abitanti che spesso non hanno neanche l'ufficio tecnico - ha pesato non poco nella capacità di fornire informazioni corrette e univoche, producendo ritardi, alimentando incomprensioni e atteggiamenti di insofferenza da parte delle popolazioni. La formazione dei tecnici non è un costo superfluo, e va dedicata la dovuta attenzione se si vuole che la ricostruzione decolli e sa fatta bene. L'Ufficio regionale pensato per coordinare la ricostruzione, referente principale dei cittadini, dei comuni e dei professionisti, sia effettivamente al loro servizio, per facilitare e semplificare le attività e non per creare inutili orpelli burocratici. Alla luce delle nuove normative e ordinanze, finalizzate ad accelerare la ricostruzione, si redigano delle linee guida sulle varie tematiche procedurali e progettuali; si faccia anche una riflessione su come migliorare il rapporto con i cittadini che vi si rivolgono per reclamare un diritto. I cittadini e le imprese che hanno voglia di ripartire si meritano una pubblica amministrazione che sappia mostrarsi amica, accogliente ed efficiente. I tavoli di partenariato previsti dalle ordinanze a livello territoriale devono essere un tassello fondamentale all'interno della strategia di sistema, con il coinvolgimento delle forze sociali, dell'associazionismo e del civismo. Solo una ricostruzione partecipata, che coinvolga le rappresentanze della popolazione potrà essere volano di nuovo e più avanzato sviluppo di queste aree interne, così strategiche per il Paese. Tutte le istituzioni coinvolte nella ricostruzione, a partire dal Parlamento, hanno il dovere di allargare il confronto anche alle associazioni di cittadini che hanno dimostrato, nei fatti, di volere una ricostruzione veloce e fatta bene.

Ora, pur nella drammaticità del caso, la ricostruzione può essere, allora, un'occasione per un nuovo sviluppo di queste aree del Lazio, dell'Abruzzo, dell'Umbria e delle Marche, se si saprà tenere insieme una ricostruzione di qualità che legga le trasformazioni avvenute, ambientali demografiche, tecnologiche e di bisogni, con politiche di sviluppo mirate, volte a favorire nuovi modelli produttivi e di impresa bassati su sostenibilità, innovazione e conoscenze, in un rapporto positivo con il territorio, con la propria storia, cultura, tradizioni; una grande occasione, considerata l'ingente quantità di risorse che sarà investita per promuovere una nuova idea di sviluppo e benessere dell'Appennino centrale, capace anche di invertire il fenomeno dello spopolamento e dell'impoverimento delle attività produttive nei piccoli comuni interni. Già la fase della ricostruzione deve, quindi, essere l'occasione per non ripetere gli errori del passato e per fare delle aree del cratere un esempio virtuoso di riprogettazione degli spazi, del rapporto tra costruito e ambiente, di sostenibilità e innovazione avendo una visione unitaria e lungimirante per il futuro dell'area appenninica (Applausi dei deputati del gruppo Liberi e Uguali).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Trancassini. Ne ha facoltà.

PAOLO TRANCASSINI (FDI). Signor Presidente, onorevoli colleghi, rappresentanti del Governo, onorevole relatore Patassini, siamo molto arrabbiati e, per la verità, anche molto delusi, però non siamo rassegnati, non siamo abituati alla rassegnazione, soprattutto per l'esperienza amministrativa, e soprattutto per la tempra che ci deriva dall'essere figli di quelle terre che ci formano anche attraverso prove incredibili, come quelle dell'ultimo sisma. Non siamo rassegnati, anche perché crediamo nella politica. Siamo convinti da sempre che possa essere la risposta e che la buona politica possa oggi farvi cambiare idea rispetto alla scellerata scelta di blindare questo decreto, che è l'occasione per far ripartire la ricostruzione e le nostre comunità.

Mancava questo capitolo alla storia di questo sisma, mancava e per la verità ci siamo sorpresi che a scriverlo sia stato il Governo del cambiamento: sì, perché, all'indomani del sisma, noi sindaci di quel cratere siamo stati lasciati e abbandonati a noi stessi. Non solo non avevamo chi ci dava risposte, ma alle domande fioccavano i “no”: la messa in sicurezza del campanile non è possibile, intervenire immediatamente nella scuola non è possibile, far partire immediatamente la ricostruzione privata non è possibile, era un coro di “no”.

Ed era un coro di “no” anche rispetto a competenze che noi avevamo, come la pubblica incolumità, e ci trovavamo di fronte ad un rimpallo di responsabilità vergognoso, che non solo ha esposto i nostri cittadini, la nostra gente, ma ha finito per far smarrire ancora di più quelle comunità che tentavano di recuperare quel bene prezioso che era la lucidità. Perché, guardate, chi si trova sul campo, come è avvenuto anche a chi ha preso la parola prima di me, sa che il tema principale dell'immediato è il recupero della lucidità, negli amministratori prima e nei cittadini poi. La lucidità si recupera dando segnali di normalità, la lucidità si recupera con uno Stato presente, con uno Stato che aiuta, con uno Stato e un Governo che dicono “sì” al posto dei tanti “no”.

E ci siamo smarriti, ci siamo smarriti per poi ritrovarci ognuno a caccia della propria possibilità di sopravvivenza, senza un disegno di ricostruzione, senza alcuna possibilità di essere guidati da quel principio fondamentale, che nella nostra vita fa sempre la differenza in qualsiasi attività noi svolgiamo: il buonsenso, totalmente assente in questa prima fase della ricostruzione, ahimè assente anche in questa nuova fase del Governo del cambiamento. L'assenza di una politica del buonsenso ha fatto smarrire le nostre comunità, ha dato segnali negativi, ma ha anche aperto un fronte di cui si parla molto poco, che è lo sperpero di denaro pubblico, perché una ricostruzione che non parte, una ricostruzione che si affida semplicemente ad affollare la gente negli alberghi, è una ricostruzione che butta i soldi dalla finestra (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia) e non solo non dà segni positivi di ricostruzione, ma fa nascere le nostre comunità il tarlo dell'assistenzialismo. Noi abbiamo bisogno nelle nostre comunità di vivacità, noi abbiamo bisogno di segnali importanti, oggi, ieri ne avevamo bisogno, abbiamo bisogno di dire alle nostre aziende che il futuro delle persone, ad Amatrice, ad Accumoli, a Leonessa, a Camerino, è di chi ha voglia di costruire, non di chi ha voglia di essere mantenuto, e per fare questo ci vogliono buonsenso, coraggio e, soprattutto, un progetto.

E invece, nei due anni del centrosinistra, tutto questo non c'è stato, la ricostruzione pubblica è inesistente, ad oggi non è partita nella nostra provincia, nella provincia di Rieti, ma ho visto anche nel maceratese, visto che l'altro giorno ho fatto un tour nelle zone del relatore Patassini, anche lì da voi non è partita un'opera pubblica. Questo è grave, perché è inutile, è inutile mettere i soldi - se ci sono i soldi - sulla ricostruzione delle scuole e dire alla gente che i nostri figli staranno nelle scuole sicure, e poi contemporaneamente continuare a farli andare a scuola, perché per far partire un appalto di una scuola due anni non sono bastati. Non è partita la ricostruzione privata, non è partito praticamente nulla, e se oggi siamo qui a discutere di proroga dell'emergenza è chiaro che stiamo parlando di un totale fallimento. Questo perché nella ricostruzione è stato applicato uno dei cancri maggiori della nostra Italia: la burocrazia; quello che non funziona in Italia e non funziona nelle certificazioni dell'anagrafe, non funziona negli appalti, non funziona in tutto quello che è vita pubblica, noi lo abbiamo preso con una genialata e lo abbiamo calato nella ricostruzione.

Arriviamo però, poi, alla campagna elettorale: nella campagna elettorale siete venuti tutti nei 138 comuni, tutti avevano finalmente capito tutto, a tutti era chiaro che bisognava fare presto e bene, a tutti! Io non ho sentito, nel mio comune o nei dibattiti che ci sono stati in quella campagna elettorale, una voce fuori dal coro: a tutti era chiaro che bisognava prendere questa ambulanza che trasportava un malato terminale dall'ingorgo di una grande città e metterla su una corsia preferenziale che non tenesse conto dei limiti di velocità e andasse dritta al pronto soccorso per rianimare tutte e 138 le nostre comunità.

Si insedia il Governo Conte e il Presidente del Consiglio, credo nel discorso al Senato, dice per noi, figli di quella terra, una cosa molto importante: il mio primo atto sarà andare nei luoghi del sisma. Vuole dare un segnale, il Presidente del Consiglio, e se andate a vedere il mio comunicato stampa e il comunicato stampa di tutti coloro che vengono da quelle terre, fu positivo, era un bel segnale che il Presidente del Consiglio capisse che, tra le emergenze, forse tra la principale delle emergenze, in questo Paese bisognava dare delle risposte concrete a quei territori.

Quindi ci armiamo di speranza ed aspettiamo nella nostra Commissione, finalmente, che arrivi il decreto Gentiloni, per potere mettere a frutto, nel decreto Gentiloni, le nostre conoscenze, le nostre vicinanze ai territori, il nostro ascolto ai sindaci. E mi permetta la deputata, che mi ha anticipato, del MoVimento 5 Stelle, i sindaci vanno ascoltati, ma l'ascolto deve diventare poi sostanza, perché altrimenti diventa presa in giro. Noi sappiamo perfettamente, oggi, cosa ci chiedono i territori, lo sappiamo perfettamente e dobbiamo avere il coraggio di farlo diventare un emendamento o un disegno di legge.

Ebbene, arriva il decreto, vengono disposte delle audizioni, qualcuno ricorderà in Commissione, l'onorevole Patassini lo ricorderà, io mi sono opposto alle audizioni, perché noi sapevamo quello che ci avrebbero detto autorevoli esponenti politici, come i Presidenti di quattro regioni che hanno comunque affrontato un viaggio, che hanno speso dei soldi, tanto per toccare un tema molto caro, così come sapevamo quello che ci sarebbe venuta a dire la CEI, quello che ci dovevano dire i rappresentanti sindacali, lo sapevamo, perché l'avevano già detto al Senato e perché siamo attenti e figli di quella terra. Eppure, il presidente di Commissione, la maggioranza, hanno ritenuto di ascoltare nuovamente queste persone, perché magari potevano darci qualche spunto in più. Ricordo a tutti i parlamentari che le audizioni sono finalizzate alla correzione del decreto, a migliorare la nostra proposta legislativa, cioè un sistema di confronto che serve ai parlamentari per non sbagliare. Si ascoltano le persone che possono dare dei consigli e noi li abbiamo ascoltati da tutti, indipendentemente dall'appartenenza politica, indipendentemente dal ruolo, da tutti lo stesso consiglio che avevamo già chiaro: bisogna fare presto e bene, bisogna cambiare registro, bisogna velocizzare la ricostruzione privata, bisogna far partire la ricostruzione pubblica.

Eppure, dopo aver ascoltato le audizioni, abbiamo presentato gli emendamenti, abbiamo presentato oltre 200 emendamenti, insieme ai colleghi degli altri gruppi, più o meno tutti ricalcano questo: velocizzare, dare dei segnali, domani magari entreremo nel merito dei singoli emendamenti, però a tutti noi era chiaro quale era e quale è la possibilità, la grande possibilità di emendare questo decreto per dare dei segnali di svolta ed importanti.

La maggioranza di Governo, invece, dopo avere ascoltato le audizioni insieme a noi, ci ha preso in giro, perché ci ha fatto depositare gli emendamenti e non ne ha depositato nemmeno uno. E questo è molto strano, perché il Governo del cambiamento non è possibile che non abbia idea di come affrontare la ricostruzione, di come dare una svolta alla ricostruzione. Ho ascoltato attentamente chi mi ha preceduto e ha parlato di segnali, che vanno dati ai territori. Peccato che i segnali si danno in quest'occasione, si danno adesso, oggi. Il momento è adesso, non è domani.

Quindi, è seguito il silenzio. Per la verità c'è stata anche qualche caduta di stile, come quella del sottosegretario Castelli, che, insomma, mentre noi parlavamo, mentre io parlavo delle problematiche delle 138 comunità, chattava e sbuffava. E questo non è bello, non tanto per rispetto dell'onorevole Trancassini, non tanto per rispetto del comune di Leonessa, che rappresento sempre, anche in questa situazione, ma per rispetto del Parlamento e per rispetto del ruolo che noi abbiamo (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

Infatti, vedete, se noi dovessimo riassumere tutto quello che ci è chiaro, tutto quello che ci dice la gente, tutto quello che ci dicono i sindaci, il tema centrale è il tempo. Il tempo è il tema centrale della ricostruzione! Lo è, perché ne abbiamo perso tanto, perché ne abbiamo perso troppo, lo è perché non ce n'è più di tempo per le nostre comunità. Noi dobbiamo e abbiamo l'obbligo di dare segnali, alle nostre aziende artigiane, alle nostre aziende di commercio, agli artigiani, ai commercianti, agli agricoltori, ai pensionati, ai ragazzi, ai giovani. Dobbiamo dare segnali chiari e forti.

Ecco, perché non si può più aspettare. Ecco, perché, onorevole Patassini, quando lei parla che è stato messo un tassello nel mosaico, io le dico che è poco. Noi non stiamo ricostruendo un mosaico, non stiamo facendo un'opera d'arte, ma stiamo cercando di salvare le nostre comunità. E l'altro giorno, quando sono andato nelle sue terre, onorevole Patassini, c'è stato un sindaco, che, probabilmente facendo confusione tra me e lei, mi ha detto: ma che vi succede quando andate a Roma? Ma perché cambiate idea? Ma perché, quello che vi è chiaro qui, non v'è più chiaro quando sedete in Parlamento? Ma perché, quello che ci avete detto che avreste fatto subito, adesso non lo fate?

Perché questa è la verità, se non ci vogliamo prendere in giro! Se vogliamo prenderci in giro, parliamo d'altro, ognuno racconti la propria storia, io posso raccontare la mia, chi mi ha preceduto ha fatto la sua. Ma la verità è che noi dobbiamo dare segnali importanti sulla velocizzazione della ricostruzione pubblica e privata. Dobbiamo fare passare una moratoria sui tagli che vengono oggi compiuti, in virtù di una spending review vergognosa, che, lì dove si deve ricostruire, si ricostruisce e si taglia la scuola; si rifà la scuola, ma non ci si mettono i bambini; si tagliano i servizi pubblici; si chiudono le camere di commercio; si chiudono le sezioni dei tribunali; si chiudono i pronto soccorso. Questo è tema di oggi, domani è tardi!

Abbiamo chiesto la proroga delle assunzioni. Abbiamo chiesto di estendere anche a Ischia i provvedimenti di questo decreto. Abbiamo chiesto di potere permettere ai comuni, che ne hanno la disponibilità, di assumere quel personale che è bloccato, le piante organiche bloccate da un assurdo Patto di stabilità.

E, invece, non un emendamento, non una risposta, nemmeno alla domanda che la Commissione ha rivolto alla maggioranza, sul futuro della struttura commissariale. Lo dobbiamo sapere noi se, dopo la scadenza del commissario De Micheli, ci sarà un nuovo commissario. Ma lo dobbiamo sapere, non per curiosità, lo dobbiamo sapere perché lo devono sapere i nostri territori. Dobbiamo sapere quello che succede, perché oggi è agosto e settembre è domani e non possiamo organizzare una ricostruzione nuova, se non sappiamo quali sono gli intendimenti del Governo. Questo è quello che abbiamo proposto, questo è quello che vi abbiamo chiesto di inserire.

Ma, insieme alla maggioranza, io vorrei fare anche un'altra considerazione. Al gruppo dei Cinquestelle e della Lega chiedo di fare una riflessione, su una forma che molto spesso non viene considerata di onestà.

È l'onestà intellettuale, quell'onestà intellettuale che Beppe Grillo spesso usa per attaccare il giornalismo di questo Paese, qualche volta anche a ragione. Allora, l'onestà intellettuale - qualcuno ha scritto - è prendersi le responsabilità delle proprie idee e dei propri argomenti, sino in fondo.

È disonesto intellettualmente chi promette una cosa e poi non la fa. È disonesto intellettualmente il Premier Conte, se fa la passerella (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia) e poi, nel decreto, non permette alla sua maggioranza di Governo di metterci gli emendamenti.

È disonesto intellettualmente chi sui territori predica bene, ma in Parlamento razzola male. È disonesto intellettualmente chi va a raccontare, anche ai comitati, che non c'è tempo. Il decreto scade il 28, la procedura al Senato si fa in un giorno: è disonestà intellettuale ed è grave, è gravissima, la disonestà intellettuale di chi dice che non si poteva fare di più. È stato fatto di più! Li abbiamo scritti gli emendamenti!

È disonesto intellettualmente chi dice che non c'è la copertura finanziaria, perché vi faccio fare questa stupidissima riflessione. Ricostruire più velocemente fa pagare meno CAS. Se noi facciamo passare gli emendamenti presentati da tutte le forze d'opposizione, acceleriamo la ricostruzione privata e il Governo risparmia, libera energie, libera denaro.

È disonesto intellettualmente chi al Senato ha detto che le modifiche si sarebbero fatte alla Camera.

È disonesto intellettualmente, onorevole Patassini, chi oggi in maggioranza, anziché scrivere le leggi, scrive gli ordini del giorno.

È disonesto intellettualmente chi dispone le audizioni solo per fare melina, per prendere in giro presidenti di regione, per prendere in giro la CEI, per prendere in giro il capo della Protezione civile e per prendere in giro 50 membri di Commissione.

È disonesto intellettualmente chi dice che tanto a breve uscirà un decreto. Non esiste brevità su questi temi. Non esiste. E chi lo dice è sicuramente e certamente disonesto intellettualmente.

Io mi auguro - mi auguro, perché l'ho detto all'inizio del mio intervento e concludo - che in questo caso non avesse ragione Longanesi. Longanesi scriveva che spesso ci si conserva onesti il tempo necessario che basta per potere accusare gli avversari e prendergli il posto. Ecco, io mi auguro che non sia così. Io mi auguro che si avrà una nuova stagione da oggi pomeriggio, domani ci si permetta di inserire gli emendamenti, si faccia diventare la ricostruzione un laboratorio, dove ricostruire un'Italia senza burocrazia e che abbia la capacità di andare dritta per la propria strada rispetto ai temi importanti.

E soprattutto, onorevole Patassini, colleghi della Lega, colleghi dei Cinquestelle, tutti voi che provenite da territori come me, per favore, smentitemi. Smentitemi e io sarò il primo a battervi le mani, insieme al mio gruppo, insieme alle comunità che rappresento, perché oggi abbiamo la possibilità, per davvero, di voltare pagina e scriverne una di bella politica, una pagina di coraggio e di buonsenso. Riaprite il decreto, per favore. E, quando prendete la parola, dopo di me, non dovete ricordare quello che ho detto io o gli altri. Ricordate quello che avete promesso sui territori, ricordate quella gente, ricordate le vostre persone, ricordatevi quegli occhi e vedrete che riaprirete il decreto (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Spena. Ne ha facoltà.

MARIA SPENA (FI). Grazie Presidente. Onorevoli colleghi e rappresentanti del Governo qui presenti, a quasi due anni dal terremoto, che sappiamo ha sconvolto la vita di tanti concittadini e ha sconvolto anche l'assetto paesaggistico, urbanistico, ambientale, sociale ed economico delle regioni del centro d'Italia, permangono ancora tante criticità sia sul piano della ricostruzione sia su quello dell'emergenza. Sin dal primo momento Forza Italia ha assunto, come è d'obbligo che sia in questi casi, un atteggiamento collaborativo nella convinzione che l'interesse delle popolazioni colpite dal terremoto dovesse essere prioritario, anche attraverso il lavoro di tanti sindaci e di tanti consiglieri e amministratori locali che hanno fatto da raccordo tra i territori e le istituzioni nazionali ed europee. In particolare, a livello comunitario, vorrei ricordare anche l'impegno del Presidente del Parlamento europeo che è stato decisivo per far approvare in sede di Parlamento lo stanziamento di 1,2 miliardi di euro per i 140 comuni delle regioni italiane colpiti dai terremoti del 2016 e 2017. Si tratta dell'erogazione più alta fatta dall'Unione Europea. Tale cifra si somma oltretutto anche ad un miliardo e 300 milioni del Fondo europeo di solidarietà. Vorrei ricordare che siamo consapevoli che uno stato emergenziale sia durato più del dovuto. Abbiamo sperato che questo Esecutivo potesse determinare un cambio di passo nei confronti di una gestione che ormai è diventata un'emergenza strutturale. Tuttavia non dobbiamo dimenticare che tale emergenza è legata anche al dolore purtroppo non misurabile e non risolvibile di chi là ha perso un pezzo della propria vita.

Il decreto-legge che giunge oggi all'esame dell'Aula avrebbe potuto costituire l'occasione anche per il nuovo Governo per dimostrare realmente l'intenzione di investire in territori che ancora soffrono, che ancora vivono in una situazione di disagio e ridare fiducia alle tante persone che vogliono continuare a credere in quelle terre. In prima lettura il Senato ha proceduto ad integrare il contenuto per risolvere alcune situazioni importanti, rinviando alla Camera la risoluzione di altre questioni. Vorrei ricordare anche che non poche norme introdotte al Senato nascono da emendamenti presentati anche dal mio gruppo politico, dal gruppo di Forza Italia, che sono stati approvati e recepiti. Tra essi voglio ricordare la proroga dello stato di emergenza e la possibilità di creare delle aree attrezzate per i proprietari delle seconde case, anche se i proprietari delle seconde case non amano definirsi così perché quelle sono le case dei propri nonni e dei propri avi; la previsione di esentare anche le imprese dal pagamento delle OSP, quindi delle tasse di occupazione del suolo pubblico per la ricostruzione; il finanziamento di interventi di adeguamento alle normative antincendio, igienico-sanitarie, per l'abbattimento delle barriere architettoniche e anche l'estensione del periodo massimo consentito per il trasporto dei materiali di scavo provenienti da cantieri in siti di deposito intermedio. La disponibilità mostrata al Senato nell'ampliare e migliorare il decreto-legge non ha però trovato, come i colleghi di Forza Italia hanno vigorosamente sottolineato durante l'esame in Commissione, altrettanta generosità qui alla Camera da parte del Governo e della maggioranza, peraltro contraddicendo così quanto era emerso al Senato circa la possibilità di poter migliorare il testo in questo ramo del Parlamento. Di fatto in questo ramo del Parlamento il provvedimento è stato blindato già in Commissione ambiente: Governo e maggioranza hanno chiuso a qualsiasi possibilità di approvare emendamenti, anche quelli che non avrebbero richiesto alcun onere per il bilancio dello Stato. Il testo quindi risulta immodificabile, salvo rinviare ogni questione a futuri provvedimenti non meglio identificati, nonostante molte questioni siano rimaste ancora aperte.

Ho sentito dai colleghi che mi hanno preceduto che ricordavano la mancata proroga degli oltre settecento contratti a termine del personale degli enti locali che avrebbero potuto essere da supporto alle tante richieste dei cittadini e nessuna equiparazione tra gli eventi dell'isola di Ischia a quelli dell'Italia centrale.

Un tema sicuramente trascurato, signor Presidente, concerne la ripresa degli aree rurali terremotate, dove si sono registrati danni diretti e indiretti per 2,3 miliardi tra strade, infrastrutture, case rurali, stalle, fienili per non dimenticare tutti quanti gli strumenti della produzione e tanti animali che si sono persi, ai quali vanno aggiunte anche le perdite per il crollo della produzione del latte e delle coltivazioni e per gli effetti negativi che il commercio ha subito per la fuga dei turisti e dei residenti. Il terremoto purtroppo ha colpito un territorio a prevalente vocazione agricola che occorre ora sostenere concretamente per non rassegnarsi all'abbandono e allo spopolamento: è a rischio un patrimonio di specialità conservate da generazioni, di colture agricole tramandate nelle campagne diventate ormai simbolo di un made in Italy apprezzato in tutto il mondo. Per questo sarà necessario, in aggiunta a quanto già fatto, realizzare un piano strategico di misure specifiche a sostegno del settore agricolo e agroalimentare e soprattutto in termini di promozione turistica tanto cara al Governo. Tale lavoro sicuramente potrà essere condotto anche in Commissione agricoltura, seguendo più da vicino tutti i soggetti del comparto agricolo e agroalimentare. Ad ogni modo nonostante l'amarezza, Presidente, per l'atteggiamento del Governo tenuto in Commissione che per il momento ha vanificato il ruolo e il lavoro di questo ramo del Parlamento, ci auguriamo che l'esame da parte dell'Aula sia utile per migliorare il lavoro svolto in Senato, dando seguito agli impegni cui i senatori di Forza Italia in Commissione speciale avevano dato credito proprio nella convinzione che essi sarebbero stati assolti qui alla Camera dei deputati. Cercheremo, quindi, con i nostri emendamenti in Aula di trovare l'assenso del Governo per colmare tutte quelle lacune e per poter migliorare il testo nell'interesse delle tante famiglie, delle tante imprese, dei tanti giovani e dei tanti anziani che ancora vivono in situazioni estremamente disagiate e che abbiamo il dovere di accompagnare per la rinascita dei loro territori (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Gerardi. Ne ha facoltà.

FRANCESCA GERARDI (LEGA). Grazie, signor Presidente. Membri del Governo, onorevoli colleghi, il decreto-legge in esame recante ulteriori misure urgenti a favore delle popolazioni colpite dal terremoto, nella versione originaria conteneva solo poche proroghe fiscali. Nel corso delle audizioni svolte la Commissione speciale per l'esame degli atti urgenti presentati dal Governo è riuscita a conoscere tutte le tematiche principali legate alla ricostruzione. Il decreto-legge emanato dal precedente Governo si è reso necessario a causa dell'evento sismico di grave entità che ha distrutto completamente alcuni centri abitati e lo stesso ambiente naturale: montagne che si sono letteralmente spaccate in due; frane che hanno raso al suolo strade anche di interesse nazionale; fiumi che hanno visto moltiplicata la loro portata fino al triplo della media del periodo. Il terremoto ha avuto conseguenze sulle persone con centinaia di feriti e numerosi morti. Aggiungo che non sono da sottovalutare le conseguenze psicologiche che la popolazione sta subendo, sentendosi abbandonata dalle istituzioni. In effetti sembra che sia mancata la presenza di chi ha la responsabilità di decidere per far tornare a casa propria in tempi rapidi la popolazione colpita dal sisma. Occorre quindi che le persone vengano poste al centro dell'attenzione da parte di tutti i soggetti che hanno le competenze per decidere. Finora ciò non è accaduto. Voglio inoltre dichiarare il mio apprezzamento alla Commissione ambiente dove sono state condivise le modifiche apportate al decreto-legge nel corso della lettura al Senato. Grazie a tali modifiche volute dalla Lega si risolve una serie di problemi: ad esempio, la possibilità di consentire l'installazione di manufatti temporanei in aree di proprietà prima nei comuni terremotati come strutture prefabbricate o amovibili, utilizzati in sostituzione dell'abitazione principale dichiarata inagibile. Sono state sanate le casette temporanee costruite senza permesso, in emergenza, necessarie ad affrontare le immediate esigenze abitative. È stata introdotta una norma che consente le demolizioni e le ricostruzioni di abitazioni inagibili in deroga al vincolo stradale; è stata prevista la possibilità per le diocesi di intervenire su gran parte delle 3 mila chiese danneggiate ricorrendo a procedure previste per la ricostruzione privata, in modo tale da accelerare i lavori di ricostruzione.

Per sbloccare la ricostruzione dei privati abbiamo, altresì, definito le procedure sia per condoni pendenti connessi a fabbricati danneggiati dal sisma sia per sanare piccole difformità in assenza di SCIA. Tali modifiche riguardano molte volte lo spostamento di finestre o pareti che non hanno alcuna rilevanza circa la volumetria e la staticità degli edifici stessi. Infatti, si tratta di interventi minimali, che comunque agevolano le popolazioni nelle zone colpite dal terremoto. Sono state introdotte modifiche di carattere fiscale, quali le esenzioni dalle bollette riguardanti la zona rossa, la proroga al 2019 della restituzione dei mutui contratti dai comuni con la Cassa depositi e prestiti, la proroga di un anno della maggiorazione dell'indennità a favore dei sindaci e assessori dei piccoli comuni terremotati, la proroga dei mutui stipulati dai privati, lo slittamento dal 30 giugno 2017 al 31 dicembre 2018 del termine per l'emanazione delle ordinanze di sgombero ai fini dell'esclusione dei redditi dei fabbricati totalmente o parzialmente inagibili, lo slittamento dei termini al 31 dicembre 2018 per la dichiarazione di inagibilità da parte del contribuente.

Nel corso dell'esame in Senato, inoltre, il Governo, rinviando alla legge di bilancio gli interventi più cospicui, ha accolto diversi ordini del giorno riguardanti: rateizzazione in 120 rate mensili dei versamenti tributari e contributi, ora sospesi fino al 16 gennaio 2019; le esenzioni IMU e Tasi per i fabbricati inagibili; l'esclusione dei fabbricati del cratere dalla formazione del reddito imponibile ai fini Irpef; la proroga al 2020 dei contratti a tempo determinato degli uffici per la ricostruzione; la proroga della sospensione delle cartelle esattoriali per le popolazioni del Centro Italia e di Ischia colpite dal sisma; la proroga dello stato di emergenza per il comune di Casamicciola; la proroga di due anni delle agevolazioni nella zona franca urbana.

Il decreto che la Camera sta per convertire ha senza dubbio qualche limite. Anche per tale ragione, noi, come maggioranza e come Governo, ci mobiliteremo per un attento ed incisivo monitoraggio di tutte le criticità, affinché possano essere risolte. Anzi, si può prendere anche in considerazione l'eventualità di una legge quadro che superi le frammentazioni e le contraddizioni legislative. Ora, però, occorre progettare un piano di ricostruzione strategico di prevenzione e di salvaguardia del territorio, che rilanci sia socialmente, ma, soprattutto, economicamente le zone colpite dal terremoto, e che sia in grado di rappresentare anche un fattore di rilancio delle aree colpite dal sisma e di uno sviluppo per l'intero Paese. Noi non vi abbandoneremo (Applausi dei deputati del gruppo Lega-SalviniPremier).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole D'Alessandro. Ne ha facoltà.

CAMILLO D'ALESSANDRO (PD). Grazie, Presidente. Tramite lei, mi consenta di rivolgermi al Governo con il totale disappunto. Qui non si tratta di qualche minuto di ritardo per iniziare una seduta d'Aula così importante. Qui, in realtà, si tratta di altro, si tratta di un totale inganno, che, purtroppo, viene consumato nei confronti di una parte della popolazione più colpita dalla crisi nella crisi, perché le popolazioni che vivono nei territori che noi, purtroppo, ci siamo abituati a definire “terremotati” hanno subito non solo dei grandi dolori, dei lutti, delle grandi tragedie umane, ma ciò che è messo in discussione in quei territori è il loro diritto al futuro. E quel diritto al futuro viene accompagnato da una presenza insostituibile, quasi che prende per mano quel disagio nel tempo dal giorno dell'accaduto ai giorni successivi, che è la presenza dello Stato.

Uno Stato che, come ha detto lo Stato in questi anni, ti dice “noi ci stiamo, c'è lo Stato”. Quelle popolazioni non solo una volta hanno dovuto alzare la voce, ma hanno trovato interlocuzione nello Stato per risolvere le piccole e grandi questioni, in una condizione di assoluta difficoltà, di assoluto disagio, dove voi per nulla avete cercato di entrare nel merito.

Avete dato con grande presunzione il nome “dignità” a un decreto. Oggi che nome dareste a questo decreto? Uno ve lo consiglio: è il decreto dell'inganno, varato dal Governo della bugia. L'inganno, quello che avete detto alle popolazioni terremotate, consumato nei confronti di coloro i quali vivono e non sentono parlare dei problemi, come facciamo noi. Qui ci sono dei colleghi che vivono in quelle aree.

Molti di voi parlano di quelle aree e non hanno mai vissuto quei problemi che vivono quei cittadini. Un tradimento, un atto di ostilità nei confronti, dicevo, di una popolazione che ha patito il dolore negli affetti personali, il dolore per la messa in discussione delle proprie cose. La prima cosa, la più importante, è la casa; casomai, quella lasciata in eredità, quella da lasciare in eredità.

Questa è gente che non ha mai mollato: ha lottato, ha pianto, ha protestato con dignità, la dignità di chi conosce il dolore. Si è rialzata, non si è fermata, perché dagli eventi del terremoto hanno visto, toccato con mano, sentito che c'era la possibilità di una interlocuzione. Del resto, il Governo è questo: a mio giudizio, il Governo è tale in natura se capace di stabilire un'agenda delle priorità, cosa viene prima e cosa viene dopo. E che cosa, secondo voi, dovrebbe venire prima di tutto il resto, se non occuparsi; e non approvare, collega, ordini del giorno! Approvatene a centinaia di ordini del giorno, poi rimetteteli nel cassetto, perché quella è un'offesa nell'offesa.

Le proroghe con gli ordini del giorno? Le proroghe si fanno con le norme! Gli stanziamenti con gli ordini del giorno? Gli stanziamenti si fanno scrivendo nella norma dove prendete i soldi per fare le cose (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico)! Gli ordini del giorno, per vicende come quelle del terremoto, significa prendere in giro i cittadini, e, vi ripeto, una parte della cittadinanza più provata e ormai stanca, in difficoltà, e che aveva e ha avuto, grazie alla presenza anche del commissario alla ricostruzione, la possibilità di un'interlocuzione.

Voi avete mentito in quei territori, mentito in quei territori, a quelle popolazioni. Lo avete fatto nella loro terra, siete andati tra di loro, avete chiesto ed ottenuto generosi consensi. Ci sono anche rappresentanti eletti anche di forze politiche per la prima volta elette in quei territori. Mi riferisco allo stesso partito del relatore di maggioranza.

Eppure, in quelle rappresentanze di parlamentari di maggioranza eletti lì, come nelle peggiori militanze, ha prevalso e prevale l'alzare la mano dall'alzare la testa. Sì, dovrete tenerla bassa la testa per le cose che avete detto in un crescendo di promesse rilevatesi inganni, ai quali seguono imbarazzanti silenzi, quelli attuali, quelli di oggi.

Così si tuonava a L'Aquila, così si tuonava a L'Aquila qualche settimana fa. Oggi noi non dobbiamo pensare ad affibbiare le colpe; oggi dobbiamo risolvere un problema nei fatti, a partire dalla sospensione dei termini imposti dalla direttiva del commissario, sospensiva immediata dei termini. Noi la battaglia contro la restituzione dei tassi la faremo per il 2019 e andremo avanti mentre su questo si affermava di aver arruolato direttamente Salvini per vincere questa partita.

Queste sono le dichiarazioni non di sei mesi fa, non di sei anni fa, non di sessant'anni fa; queste sono le dichiarazioni di un parlamentare della Repubblica, componente di maggioranza, appartenente alla Lega Nord ed eletto in quella città. Avevate arruolato Salvini per approvare gli ordini del giorno o avevate arruolato Salvini per risolvere i problemi di quella città e di quei territori? Silenzio, silenzio vi è rimasto rispetto a quello che avevate detto sulla sospensione, sulla ricostruzione privata, sulle mancate misure per la ripresa economica.

Che c'entra quello che avete sostenuto in quest'Aula con i “no” che avete detto dopo che avevate rappresentato la possibilità di aprire una discussione nel merito alla Camera? Avete detto di no alla proroga della struttura commissariale: perché? Si può sapere perché avete detto di no ad un emendamento che proroga la struttura commissariale? E che cosa deve accadere dopo? Domani che cosa c'è dietro l'angolo? Non c'è la struttura commissariale; che c'è? Qual è l'idea che avete della ricostruzione? Quella che avevate scritto nella prima versione del contratto di governo del cambiamento, caro relatore, dove non c'era neanche una parola e poi, presi dalla protesta di quei territori, nella seconda versione del contratto di governo avete messo una parola, una frase talmente generica, come è talmente generico il provvedimento che avete assunto, senza affrontare una delle questioni. Che c'è se non c'è la struttura commissariale? Come fate ad accelerare le procedure, l'interlocuzione con enti locali, cittadini e imprese, se non c'è la struttura commissariale? Che c'è?

Avete detto di no all'esclusione dei limiti della spesa sotto ricorso per quanto riguarda la Protezione civile, anzi questo è stato dichiarato inammissibile; avete detto di no alla rappresentanza dei comuni nella cabina di regia; avete detto di no alle attività di monitoraggio degli aiuti; avete detto di no agli interventi di ricostruzione in aree interessate dai dissesti idrogeologici; avete detto di no all'indennità di suolo pubblico; avete detto di no all'ammissibilità del “sisma bonus”; avete detto di no alle pertinenze esterne; avete detto di no alla questione posta dall'onorevole Pezzopane sul DURC; avete detto di no sugli interventi per le immediate esigenze abitative; avete detto di no all'eliminazione del vincolo per l'acquisto degli immobili da parte degli enti locali; avete detto di no all'emendamento relativo alle semplificazioni amministrative; avete detto di no alla proposta di deroga normativa sui condomini misti; avete detto di no sui soggetti attuatori con riferimento alle università; avete detto di no sulla semplificazione dei lavori alla conferenza regionale; avete detto di no sulle norme che si occupavano e si preoccupavano per lo svolgimento degli anni scolastici; avete detto di no sugli interventi di ripresa economica; avete detto di no sugli interventi di proroga di mutui; avete detto di no sui permessi di licenze per gli amministratori in zona rossa; avete detto di no sul trattamento accessorio; avete detto di no su centinaia - circa 200 - emendamenti.

Dire di no su tutto significa che voi non siete entrati nel merito su nulla. Questo è il punto! Non siete entrati nel merito su nulla. Non avete recepito assolutamente quello che proveniva dal contributo propositivo, di merito, da parte dell'opposizione e neanche quello che veniva e derivava da tutti i soggetti che voi avete audito. Li avete auditi e li avete mandati a casa.

Non emerge da questo decreto quale idea avete voi - quale idea avete voi - della ricostruzione e su questo punto sono stati dichiarati inammissibili alcuni emendamenti in quanto non conformi direttamente - immagino - alla materia di cui tratta il decreto. E questa idea è la riprova e la prova provata che non avete idea di che cosa siano gli effetti di un terremoto in un territorio più vasto anche delle aree colpite dal terremoto. Quando c'è un evento del genere, come c'è stato in Abruzzo con la sua violenza ripetuta, il terremoto non riguarda solo le aree colpite dal terremoto: lo riguarda, per taluni effetti, con la programmazione e con gli interventi e, cioè, tutta la concentrazione dell'attenzione delle istituzioni, ma poi ha effetti anche sulla programmazione regionale. Secondo voi, è la stessa cosa programmare i trasporti su un territorio regionale dove una parte è stata colpita dal terremoto? Secondo voi, ha effetti fare una programmazione dei servizi pubblici locali su una parte del territorio della regione che è stata colpita dal terremoto oppure è la stessa cosa? E se in una regione, come, per esempio, nella mia regione, non è solo un territorio importante ad essere stato colpito ma anche la città capoluogo, secondo voi ha effetti o non ha effetti sulla programmazione regionale?

E noi vi abbiamo posto il tema dicendo che abbiamo fatto i compiti a casa nostra, in Abruzzo, perché, per esempio, se affronto il tema della sanità noi siamo stati la prima regione in Italia ad uscire dal commissariamento. Ci definivano, insieme ad altre quattro regioni, “regione canaglia”, ma noi siamo stati i primi ad uscire. E uscire dal commissariamento significa che tu adempi al dettato delle norme nazionali. Le norme nazionali servono a garantire gli standard sulla sicurezza e il raggiungimenti dei LEA, servono, cioè, a fare quello che devi fare a casa tua e a farlo bene. Lo abbiamo fatto e non ci siamo lamentati. Però, abbiamo sentito ogni giorno voi, i vostri partiti, in quei territori gridare perché la regione adeguava e si adeguava agli standard di qualità, di sicurezza e di eccellenza della sanità pubblica.

Certo, in Abruzzo avevamo e abbiamo un problema e voi, componenti di maggioranza, avete contribuito a generare quel problema, che è un problema molto complicato: è la percezione della sicurezza e della qualità della sanità della nostra regione in alcuni presidi ospedalieri. Presidente, esiste in regione Abruzzo un progetto di legge del MoVimento 5 Stelle che stabilisce di derogare alle norme nazionali, al famoso “decreto Lorenzin” con una legge regionale. Cioè, la legge regionale stabilisce o stabilirebbe, in Abruzzo, una deroga all'applicazione delle norme nazionali, cioè un fake clamoroso. Chiaramente, si tratta di una clava da usare sui territori per armare i cittadini, per dire che se quella norma viene approvata in regione si sospende il processo di riforma. Ma ora c'è un altro Governo e c'è un altro Ministro e consideriamo importante operare una riflessione in una regione che è in parte terremotata, i cui effetti, però, riguardano anche la programmazione della regione, in una regione - badate bene - dove noi abbiamo in corso, per esempio, il programma della nuova edilizia sanitaria.

Noi abbiamo posto un problema con gli emendamenti, perché nelle more della realizzazione della nuova edilizia sanitaria alcuni parametri nazionali vengono sospesi in modo tale che io la mia offerta sanitaria - l'offerta sanitaria regionale di un territorio colpito dal terremoto - l'adeguo sulla base dei nuovi interventi di edilizia, perché se c'è una nuova edilizia c'è una nuova offerta sanitaria, se io faccio un nuovo ospedale c'è una nuova offerta sanitaria, se io faccio un ospedale tra due ex ospedali esistenti c'è una nuova offerta sanitaria, ma se io non realizzo la nuova edilizia sanitaria non posso applicare in toto i parametri a livello nazionale che non si applicano, per esempio, in una regione come la nostra che ha quelle problematicità e non è una scorciatoia. Era un modo per ragionare, era un modo per guadagnare anche il tempo necessario per allineare la programmazione dell'edilizia con l'offerta sanitaria in una regione che non è uguale alle altre, perché le regioni che hanno subito il terremoto non sono uguali alle altre.

Sapete che cosa prevede il progetto di legge regionale dei 5 Stelle in Abruzzo? Esattamente questo: il rapporto tra terremoto e sospensione del decreto Lorenzin. È straordinario! Una norma regionale che possa derogare ad una norma nazionale, presentiamo qui una norma che deroga la norma nazionale sulla base di un rapporto di causa-effetto, cioè terremoto e programmazione sanitaria, terremoto ed edilizia sanitaria. O pensate che l'edilizia sanitaria non sia stata coinvolta in regione Abruzzo dagli eventi del terremoto? Avete detto non “no”: li avete dichiarati inammissibili, quando questa Camera ha un precedente. Con altri provvedimenti nella passata legislatura fu estesa proprio la sospensione del decreto Lorenzin ad un comune, ad un presidio ospedaliero. Noi siamo partiti dal precedente, Presidente: c'è un precedente che non avete rispettato, e li avete dichiarati inammissibili per non discutere. Ma lo sapete chi l'aveva presentato quell'emendamento, che voi avete dichiarato non discutibile? L'hanno scritto i sindaci, i sindaci di comuni che non riguardano il mio, il nostro raggruppamento politico, da destra a sinistra si sono riuniti e hanno scritto l'emendamento, e l'hanno mandato ai deputati abruzzesi: guarda caso tra tutti i deputati abruzzesi solo noi lo abbiamo recepito e l'abbiamo messo in discussione e presentato, perché deve rappresentare un precedente per tutte le regioni che sono colpite dal terremoto. Se c'è una difficoltà di attuare, perché legata ai tempi: l'edilizia sanitaria, la nuova edilizia sanitaria non si realizza in una settimana, in due settimane, in sei mesi. Nel mentre questo accade un ragionamento su una norma-ponte è possibile farlo o non è possibile farlo? Avete presentato una legge in Abruzzo che diceva esattamente questo; arriva a livello nazionale e non la fate neanche discutere?

Noi è chiaro che, non fidandoci di voi, abbiamo presentato gli stessi emendamenti in forma di legge: di legge, così non potete scappare dalla storia dell'ammissibilità e non ammissibilità. L'importante è che si sappia che una norma nazionale può essere derogata da una norma di pari rango, che una norma nazionale non può essere derogata da una norma regionale, perché altrimenti significa prendere in giro ancora una volta gli abruzzesi o i cittadini che chiedono, attraverso i sindaci, di aprire un dibattito che è stato aperto da voi, sui territori, siete stati voi a presentare una legge che presenta un rapporto di causa-effetto tra terremoto e riorganizzazione della salute, della sanità, dell'offerta sanitaria.

Noi ci siamo limitati ad organizzare una serie di proposte, tutte nel merito, tutte bocciate. Ma parlo non soltanto degli emendamenti presentati dal nostro gruppo, parlo degli emendamenti presentati da tutti i gruppi di opposizione: perché più o meno tutti i gruppi di opposizione hanno rappresentanti che derivano dai luoghi del dolore, da dove cioè sono accaduti i fatti. In alcuni casi con effetti più drammatici, in altri casi con effetti meno drammatici sulle persone, ma sulle cose sì. Noi in Abruzzo abbiamo messo insieme purtroppo tutti e due gli aspetti: sulle cose, e soprattutto sulle persone. E quel fatto ha cambiato la vita, la storia di quella regione, non solo di quelle popolazioni.

La storia di quelle regioni e della mia regione è cambiata, stravolta da quei fatti. Il fatto che non abbiate voluto neanche per un istante entrare nel merito delle questioni che vi hanno posto con assoluta dovizia di particolari, anche da un punto di vista tecnico, gli auditi, significa che voi non avete idea. E come ve ne volete uscire da quest'Aula? Con gli ordini del giorno. Con gli ordini del giorno approvati. Ma l'avete spiegato con i vostri tam-tam su Facebook che cosa sono gli ordini del giorno?

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE FABIO RAMPELLI (ore 16,25)

CAMILLO D'ALESSANDRO (PD). Gli ordini del giorno sono un impegno declinato al futuro di una cosa che potevi fare oggi. E oggi non lo avete fatto non perché non avete tempo, non perché non avete la copertura finanziaria, non perché non conoscete la cosa, e in alcuni casi immagino che abbiate qualche problema a conoscere i meccanismi di Governo; e per fortuna avete ancora una struttura commissariale funzionante, per fortuna!, che lavora a prescindere, nel rispetto giusto delle istituzioni. Ma questa cosa, non si capisce perché voi non proroghiate la struttura commissariale.

Nella relazione del relatore, nelle cose dette e non dette dal Governo, non c'è una dichiarazione almeno di principio su che cosa accade dopo, cioè su qual è la vostra strategia sulle aree e sui territori colpiti dal terremoto. Non c'è una idea da parte di questa maggioranza che ha vinto le elezioni, anche grazie ai voti provenienti da quei territori, i quali territori si aspettavano… Più o meno che cosa? Avete detto lì che avreste velocizzato tutto. Come lo fate? Dove l'avete fatto? Dove lo avete scritto? Qual è la norma? Avete detto che avreste risolto i piccoli e i grandi problemi: in che modo lo avete fatto? Dove sta scritto? Con quale norma l'avete approvato? Qual è quello che avete approvato voi, qual è la farina del vostro sacco? Io vi ricordo che tutto quello che c'è è tutto ciò che avete ereditato dal lavoro congiunto dal precedente Governo e precedente commissario! Quindi voi che ci avete messo? Voi non è che non ci avete messo: avete tolto. La possibilità, cioè, di modificare, integrare, fare in modo che questo decreto-legge potesse essere corrispondente almeno un po' alle aspettative di comunità, di imprese, di famiglie, di cittadini, di giovani.

Vi volete porre il tema o no del fatto che tra breve ricomincerà un nuovo anno scolastico? È un tema per voi? La sicurezza delle scuole è un tema per voi? Perché poi dobbiamo leggere i vostri provvedimenti incrociati, in combinato disposto. Sì, in combinato disposto: se si elimina la struttura tecnica di missione che si occupava della scuola sicura, da un lato, e dall'altro non c'è una particolare attenzione nel provvedimento che riguarda le aree terremotate, quelle più sottoposte a rischio, io dove la rintraccio l'intenzione che voi avete, per esempio, sulla sicurezza dell'edilizia scolastica in generale e sull'edilizia scolastica in particolare?

Sui territori già colpiti e fragili, se voi eliminate la struttura tecnica che si occupava delle frane e degli smottamenti, a cui i comuni italiani indirizzavano i propri progetti definitivi cantierabili e sulla base di una graduatoria unica nazionale che metteva insieme il parametro RP, rischio e pericolo per le popolazioni, ne usciva una graduatoria; se io penso che quella roba l'avete eliminata e non dite come volete finanziare e quali progetti intendete attuare, quali sono le iniziative per esempio per i territori deboli, e io leggo il vostro decreto-legge sul terremoto dove le aree già sono deboli e nel mentre avete eliminato quella cosa, di qua non c'è scritto nulla, io devo per forza leggere in combinato disposto le iniziative che voi mettete in campo! Lo sanno i colleghi parlamentari di maggioranza che vengono dalla mia regione e dalle regioni terremotate, che sono state cancellate le due possibilità per finanziare le scuole e per mettere in sicurezza e per finanziare la tutela e la sicurezza dei suoli? In una regione terremotata? In una regione già soggetta ad alluvioni? La sapete questa cosa o no?

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ETTORE ROSATO (ore 16,28)

CAMILLO D'ALESSANDRO (PD). Per questo il decreto-legge cosiddetto terremoto, almeno per le aree terremotate, doveva avere un di più di valenza! Un di più di significato! Doveva cioè dire: cancelliamo queste cose che sono già previste, che erano previste, perché il sindaco del comune de L'Aquila domani ha la possibilità di accedere a questi nuovi fondi, per esempio per mettere in sicurezza ulteriormente le scuole, o per farne nascere di nuove. Dove va a vedere, il sindaco di L'Aquila, questa norma, relatore, dove la va a vedere, dove sta scritta? E i comuni che sono tanti, purtroppo, attraversati dal terremoto e che devono mettere in sicurezza strutture e suoli, dove vanno più, a che santi devono rivolgersi? Nel mentre fate tutto questo, bocciate l'emendamento che dice che la struttura commissariale non viene prorogata. Abbiate il buonsenso di venire in Aula e dire: non viene prorogata o sarà prorogata in un secondo momento; perché, nel frattempo, io posso pensare tutto, ho il dovere di pensare tutto in quest'Aula, ho il dovere di farmi la domanda e la risposta e porre il quesito al cittadino; nella peggiore delle ipotesi non siete d'accordo sul nome e il cognome da indicare come commissario e sarebbe la cosa più grave che possa accadere ad un governo del Paese che nel mentre litiga per sedie e sgabelli, non sa a chi affidare il tema delicato del commissario per la ricostruzione, io sono legittimato a pensarlo, però, poi, dico: non prorogano la struttura commissariale, probabilmente hanno in mente un'altra soluzione, dunque, quale?

Il silenzio è assordante e questo silenzio fa male; fa male, perché quando torniamo nei nostri territori ci sono sindaci di destra, di sinistra, civici - a cui delle forze politiche, perché lo fanno per missione, non interessa nulla - che hanno solo bisogno di capire qual è il quadro di riferimento delle norme in cui possono muoversi. Infatti, poi, sono loro che rischiano, ogni giorno, quando assumono un provvedimento, per esempio, all'inizio dell'anno scolastico; mica siamo noi, che pure dibattiamo in quest'Aula, che rispondiamo; sono loro che avete lasciato soli, sono loro che devono stabilire sulla programmazione, per esempio, della mobilità di territori deboli, dove passano i mezzi pubblici. Sono tutti problemi veri, reali che io conosco per l'esperienza vissuta in regione, dove le programmazioni sono state modificate anche in ragione della debolezza del suolo; la programmazione dei trasporti si modifica in ragione di dove devono passare e non possono più passare gli autobus, perché ci sono comuni isolati e se, poi, questi comuni isolati coincidono all'interno delle aree terremotate, mi spiegate perché una giovane coppia che ha un figlio che va a scuola dovrebbe decidere che il suo progetto di vita rimanga lì? La cosa più facile che fa è andarsene da lì e quando “lì” significa aree interne, mi rivolgo ai colleghi della Lega che hanno fatto sempre una grande battaglia sulle aree interne, quando il comune…

PRESIDENTE. Concluda, onorevole.

CAMILLO D'ALESSANDRO (PD). Concludo Presidente. Quando il comune terremotato coincide con l'area interna o, addirittura, una città o, addirittura, un capoluogo coincidono con l'area interna, che cosa devono fare le famiglie? Quello che voi le costringerete a fare, se non vedranno chiarezza: abbandonare quei territori. Per questo noi faremo battaglia e spero che sugli emendamenti, almeno in quest'Aula, abbiate il buonsenso, non di abbassare la testa, ma di alzarla e farla alzare alle popolazioni che hanno subito fin troppo il peso di fatti eccezionali che voi, in campagna elettorale, avete strumentalizzato e a cui, una volta arrivati qui, non date alcuna risposta (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Berardini. Ne ha facoltà.

FABIO BERARDINI (M5S). Presidente, onorevoli colleghi, rappresentanti del Governo, io in quest'Aula sto assistendo, veramente, a una discussione surreale, con i colleghi del Partito Democratico, la forza che fino a qualche settimana fa era al Governo e aveva tutti gli strumenti e i numeri per approvare quello che oggi viene a proporre e che non ha fatto - chi governava, che ha governato dal sisma del 2016 fino ad oggi, ricordiamo che sono passati quasi due anni - e qual è la fotografia impietosa che abbiamo davanti?

La fotografia è quella di una ricostruzione totalmente ferma, di persone fuori casa, perché, appunto, non hanno avuto la possibilità di rientrare nelle proprie abitazioni, a causa di una politica che, appunto, ha fatto della burocrazia il cavallo di battaglia di questo terremoto. Abbiamo avuto una burocrazia infinita, oltre 50 ordinanze che hanno gettato nel caos gli operatori, i tecnici, gli ingegneri e questo non ha dato la possibilità, appunto, di partire, ma nemmeno per le lettere B, cioè le inagibilità cosiddette lievi.

E chi ha governato fino a poche settimane fa, viene qui a dare lezioni, viene qui a proporre, a fare il salvatore della patria. Assolutamente noi non ci stiamo, Presidente, non ci stiamo a tutto ciò, perché, veramente, ci sentiamo presi in giro da queste persone, persone che hanno governato fino a poco tempo fa, che hanno governato la regione Abruzzo; io, in particolare, vengo dal comune di Teramo, dove ci sono 5.000 persone fuori casa, dove l'azienda per l'edilizia residenziale, dopo due anni - azienda governata anche da rappresentanti vicini al Partito Democratico -, non è riuscita ancora a far partire la progettazione, lo ripeto, la progettazione per la messa in sicurezza. E queste persone vengono, qui, a dare lezioni: è assolutamente inaccettabile, Presidente.

Venendo al provvedimento, l'odierno provvedimento, appunto, è sottoposto alla conversione da parte delle Camere e, come sappiamo, è stato emanato dal precedente Esecutivo, mentre, oggi, è stato profondamente integrato dalla Commissione speciale del Senato. Se non ci fosse stato questo grande lavoro - e ringrazio sicuramente i colleghi del Senato – noi, oggi, non potremmo dare tante risposte a quelle persone che sono state abbandonate, sì, ma dall'Esecutivo precedente, non da un Governo che si è insediato da circa un mese e mezzo. Quindi, voi chiedete a un Governo che si è insediato da un mese e mezzo di risolvere tutte le problematiche che voi avete lasciato negli ultimi due anni, tre anni, fino ad arrivare al sisma del 2009 di cui, poi, parleremo.

Come dicevo, questo è un primo passo; è un primo passo del nuovo Governo, perché, ovviamente, anche il Governo deve avere il tempo e la serietà per studiare le misure, perché la fretta non è una buona consigliera. Noi vogliamo fare le cose come vanno fatte e questo decreto, appunto, non si è limitato, solamente, a riportare quello che era il testo del precedente Esecutivo, ma lo ha profondamente innovato e ha aggiunto tantissime cose, come, ad esempio, la proroga dello stato di emergenza, la cosiddetta norma salva casette, che fino ad oggi erano considerate abusive, perché, appunto, non si era legiferato in merito; abbiamo il differimento delle rate dei mutui, sia per i privati che per gli enti pubblici, e con questo noi siamo vicino ai comuni interessati. Abbiamo anche una norma sull'esenzione per le utenze per i cittadini che sono nella zona rossa, altra cosa a cui il precedente Governo non aveva pensato e, soprattutto, ci sono delle norme di semplificazione, lo dico a chi magari non si è letto bene il decreto. Per esempio, nell'articolo 1-sexies, noi abbiamo delle misure di semplificazione reali, per quanto riguarda la procedura di ricostruzione che ricordo essere bloccata, nelle aree da cui provengo, attualmente, perché gli uffici speciali della ricostruzione sono in affanno, non hanno avuto le risorse necessarie e anche le competenze necessarie per agire, e questo non può essere sicuramente addebitato al nuovo Esecutivo, che sta facendo di tutto e farà di tutto, appunto, con questo primo passo e con successivi provvedimenti, per dare una risposta definitiva e conclusiva a dei problemi e a una situazione gravissima che abbiamo ereditato.

Parliamo, ad esempio, della situazione che abbiamo ereditato con il discorso del terremoto de L'Aquila, addirittura del 2009, e con il fatto che il Governo, nel 2012, con la legge di stabilità 2011, ha abbattuto il carico fiscale sospeso del 60 per cento. Questa situazione ha generato una procedura davanti alla Commissione europea, e questo Governo, con l'articolo 1-septies, dà una prima risposta a questa problematica, innanzitutto allungando i tempi per l'invio della documentazione da parte di queste aziende. Ma su questo dobbiamo fare un'operazione verità, perché, quando un Governo concede degli aiuti a delle aziende colpite anche da un evento calamitoso quale il sisma, c'è una normativa alla quale deve attenersi, quella relativa al Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, che dice, all'articolo 108, che tutti gli aiuti che vengono dati devono essere notificati preventivamente alla Commissione europea. Il Governo sostenuto dal Partito Democratico, nel 2012, questa notifica non l'ha mai inviata, e la Commissione europea ha aperto una procedura su questo; ha anche cercato di legittimare questi aiuti, procedendo a un'interlocuzione con il precedente Governo per cercare una deroga per quanto riguarda l'illiceità di questi aiuti, ma il Governo, anziché cercare una soluzione per evitare questa problematica che oggi si è manifestata, ha sostanzialmente detto che questi aiuti devono essere definiti come aiuti di Stato per ovviare a delle calamità, e a questo punto la Commissione europea ha detto: benissimo, allora, a questo punto, andiamo a verificare direttamente l'importo che è stato attribuito alle aziende, quantificando il danno diretto che hanno ovviamente subito queste aziende.

Il precedente Governo non ha obiettato alcunché su questa procedura; anzi, ha detto alla Commissione - e questo si legge dalla decisione che è stata adottata a conclusione del procedimento proprio dalla Commissione europea - di andare immediatamente a verificare questa situazione, appunto senza opporre alcuna resistenza, senza impugnare questa decisione, in quanto sarebbe stato assolutamente nelle facoltà del Governo impugnare questa decisione, che magari poteva essere carente sotto qualche punto di vista. Invece, si è stati acquiescenti, si è chinata la testa e si è provveduto a nominare, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 14 novembre 2017, un commissario straordinario.

Ovviamente questo decreto porta la firma di un esponente del Partito Democratico, l'onorevole avvocato Maria Elena Boschi, che senza indugio ha nominato questo commissario straordinario che aveva come obiettivo precipuo quello di raccogliere tutta la documentazione per poi avviare la procedura di recupero coatto di queste somme. Quindi, questa procedura ha un responsabile politico chiaro, che è il Partito Democratico, e anche un nome e un cognome: onorevole avvocato Maria Elena Boschi.

Quindi, noi oggi ereditiamo questa pesante situazione, e il Governo è intervenuto con questo articolo 1-septies per dare ulteriore tempo e ulteriore ossigeno a queste aziende, per permettergli di preparare questa documentazione e, nel frattempo, avviare un'interlocuzione più serrata e più concreta con la Commissione europea, al fine di neutralizzare questa procedura e questa sciagura che è stata messa in atto dal Partito Democratico a causa di carenze, carenze nella procedura amministrativa e carenze anche tecniche su come è stata gestita questa situazione. Adesso, le stesse persone che hanno cagionato questa problematica vanno sui giornali e in televisione ad attaccare un Governo che, invece, si è messo a testa bassa a lavorare su questa situazione e che sta dando delle risposte serie e concrete anche attraverso questo decreto.

Presidente, concludo. L'impegno della maggioranza e del Governo in questo decreto sono stati massimi, e sono state date tutte le risposte possibili nei limiti degli stanziamenti della legge di bilancio che abbiamo ereditato dal precedente Governo.

Sicuramente ci saranno ulteriori misure per far fronte a questa problematica, anche ulteriori misure per fare ripartire concretamente la procedura amministrativa a livello locale; penso appunto alle trenta palazzine dell'ATER di Teramo, in cui non è ancora partita la progettazione per la messa in sicurezza, e penso alle 5 mila persone che sono ancora fuori casa a cui il Governo precedente non ha dato risposte.

Noi abbiamo tutta l'intenzione e ci metteremo tutta la serietà per dare delle risposte concrete, ma veramente non accettiamo lezioni da nessuno - da nessuno! - che ha cagionato questa situazione. Lasciate lavorare il Governo, lasciate lavorare la maggioranza, e, per favore, se volete fare degli emendamenti, scriveteli in maniera adeguata ed evitate appunto l'inammissibilità, perché vuol dire che qualcuno non sa scrivere questi emendamenti (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Acquaroli. Ne ha facoltà.

FRANCESCO ACQUAROLI (FDI). Presidente, onorevoli colleghi, rappresentante del Governo, relatore onorevole Patassini, che è anche un mio conterraneo, oggi abbiamo una grande occasione: dare una speranza rispetto a un tema, quello del sisma che ha sconvolto la vita ai territori di quattro regioni. È una grande occasione che ritengo non debba essere perduta, perché almeno a parole, almeno negli intendimenti, almeno in quelle che sono state anche tutte le occasioni di incontro che ci sono state prima della campagna elettorale, dopo la campagna elettorale e in questi primi tre-quattro mesi di questa legislatura, tutti noi eravamo d'accordo sulla possibilità di dare una risposta definitiva alla questione della sburocratizzazione dell'infernale macchina burocratica messa in piedi due anni fa, dopo il sisma del 2016. Dopo due anni viviamo ancora una fase di emergenza grave, che sta condizionando non solo la vita e l'economia ma, anche e soprattutto, le prospettive di interi territori che rappresentano un patrimonio importantissimo per l'Italia, ma, mi permetto di dire, anche per l'intera Europa. Fin dall'inizio di questa legislatura, ma anche nella scorsa legislatura, noi ci siamo permessi di dire che un sisma così importante non doveva essere affrontato con una legge, con una serie di norme ordinarie, che rappresentano l'impostazione dello Stato italiano per quella che è la sua quotidianità; abbiamo sempre chiesto che si privilegiasse un'impostazione “modello L'Aquila”, un'impostazione diretta con poteri speciali che ci avrebbe consentito di agire subito, cercando di velocizzare tutte quelle iniziative che potessero riportare normalità e prospettive nei nostri territori. Questo non è avvenuto fino alle elezioni del marzo scorso. Non era facile cambiare in corsa l'impostazione che c'era già in piedi, e forse non era neanche questa l'aspettativa, la richiesta dei sindaci dei territori, di tutti quelli che con ansia e con speranza confidavano in questo nuovo Parlamento.

Una macchina burocratica, quella messa in piedi nel 2016, che è fondamentalmente incompatibile con la ricostruzione, con i tempi che la ricostruzione impone. Intorno a questo Parlamento, intorno a questo Governo, intorno a questa fase c'era una grande attesa, fin dall'inizio, quando questo decreto è arrivato al Senato quando c'era la Commissione speciale, e sostanzialmente, fino a quando è stato al Senato, un lavoro è stato svolto. Forse possiamo dire che era stato fatto il minimo, che erano stati raccolti quegli elementi che non potevano non essere raccolti perché venivano da richieste che erano datate mesi, anni. Il primo tempo si era giocato con un sostanziale clima di attesa positiva, nel secondo tempo - non si capisce il motivo - la partita è stata interrotta e si è deciso di non giocarla.

Si è deciso di non giocare. Non voglio entrare nel merito della Commissione, delle audizioni, degli emendamenti. Si è proprio deciso di blindare il risultato del Senato e di procedere di corsa rispetto a quello che era il risultato acquisito che, ho detto, secondo il nostro punto di vista, era neanche il minimo indispensabile, rinunciando, però, a dare delle risposte che possono essere considerate risposte non impegnative dal punto di vista economico e soprattutto che possono dare un importante, significativa speranza a questi territori, perché sburocratizzare significa risparmiare, perché sburocratizzare significa non aggiungere costi, ma togliere costi.

Ecco, allora, io non voglio ripercorrere gli errori fatti nel passato. Noi viviamo in una fase dove c'è stato il CAS, ci sono state le SAE, ma l'altro giorno eravamo a fare un sopralluogo in una zona rossa e praticamente in questa zona rossa abbiamo visto una casa con danni lievi che, però, è completamente inaccessibile, perché appunto situata in una zona rossa. Quindi, noi vediamo delle situazioni che sono quasi paradossali. A due anni dal sisma, quasi abbiamo delle zone che sono completamente intatte, come lo erano le sere dopo le scosse telluriche. Ecco, tanto di più si poteva fare in questo secondo tempo che citavo; penso ai danni lievi, ma penso anche alla ricostruzione privata. La ricostruzione privata è il vero elemento, che può rivelarsi dirompente rispetto alla soluzione di questo sisma. Non può essere fatta sicuramente una ricostruzione privata di questa entità in qualche mese, in qualche anno. La ricostruzione privata impiegherà tantissimo tempo, ma se noi non diamo gli strumenti per cominciare il prima possibile, la ricostruzione privata non avverrà o, quando arriverà, arriverà troppo tardi (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia). È questo il vero problema, perché tutti quegli elementi che possono essere messi a disposizione per agevolare questa fase devono essere messi in campo, in piedi oggi.

La tutela dei servizi; prima sentivo parlare di servizi scolastici, di servizi sanitari, ma dobbiamo citare anche i servizi bancari: il rischio che molte filiali di istituti di credito scompaiano, decidano di delocalizzare rispetto all'area del cratere del sisma è fortissimo, perché è vero che sono state consegnate, in alcuni casi, le SAE, ma, attenzione, il cratere si divide in due parti. Nella prima parte non vi sono ancora segnali di vita, in alcune frazioni, in alcuni comuni c'è assolutamente vita zero, a distanza di due anni. Allora, io mi chiedo: come si può garantire, agevolare, dare una speranza e una prospettiva a chi vive in una situazione dove la prospettiva è la vita in una casetta in legno, dove l'economia, le opportunità di lavoro, le opportunità di sviluppo, le opportunità di studio e i servizi sono praticamente a zero.

Ecco perché questo secondo tempo non va perduto, ecco perché noi chiediamo a tutti, a tutte le forze politiche, a tutti i membri di questa Assemblea, di questo Parlamento di non perdere questa occasione. Lo chiediamo, in particolar modo, agli eletti che dai nostri territori vengono, da queste quattro regioni vengono, perché sono quattro piccole regioni. In particolare, tre sono piccole regioni, ma in queste tre piccole regioni c'è un grande patrimonio, c'è una identità che non va perduta e il rischio che vada perduta è un rischio elevatissimo che noi non dobbiamo consentire, perché perdendo quella identità noi rischiamo di perdere una fetta di economia, rischiamo di perdere una fetta di turismo e, soprattutto, rischiamo di cancellare una storia che non merita di essere cancellata, perché è una storia fatta di persone che hanno lavorato con sacrificio e lavorato duro (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

Il tempo è l'elemento dirimente: Noi possiamo parlare di ordini del giorno, noi possiamo parlare di tutti i temi che noi vogliamo, però, la vera questione, il vero elemento dirimente è il tempo; è inutile fare a ottobre qualcosa che può essere fatto domani mattina, è inconcepibile e noi vogliamo capire e comprendere il perché si decide di fare domani, fra tre mesi, fra sei mesi quello che può essere fatto domani mattina (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

Ecco, io vi chiedo, in nome anche di un impegno che tutti noi abbiamo preso con le popolazioni terremotate, con i sindaci, di guardare quegli emendamenti, di guardarli insieme, di prenderli in considerazione, di prenderne in considerazione quelli a costo zero, di prenderne in considerazione quelli che rischiano di abbattere addirittura i costi, di prendere in considerazione, con buonsenso, quelle che sono le opportunità, non per una forza politica, ma per il cratere, per il Centro Italia e per l'Italia intera, perché noi che viviamo quelle zone - io, per fortuna, vivo in un comune, ero Sindaco, fino a qualche settimana fa, in un comune che non era nel cratere, ma in alcune fasce veramente la capacità di sopportazione è arrivata allo stremo, al limite. Ecco, allora, noi dobbiamo prenderci l'impegno a cambiare questa prospettiva nel più breve tempo possibile. Non perdiamo questa occasione, non nascondiamoci dietro motivi che non si riescono a capire. Abbiamo qualche ora di tempo, lavoriamo riapriamo la discussione e cerchiamo di fare il massimo, nei tempi che ci sono consentiti (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Baldelli. Ne ha facoltà.

SIMONE BALDELLI (FI). Presidente Rosato, siamo ad una discussione generale di un provvedimento che questo ramo del Parlamento, sino ad oggi, non ha avuto la possibilità, non di discutere, ma di modificare in nessun caso.

La relazione del relatore avrebbe potuto essere semplicemente questa: portiamo in quest'Aula il testo Senato come non modificato in sede referente dalla Commissione ambiente, perché la maggioranza e il Governo hanno scelto che questo ramo del Parlamento non possa modificare il testo di questo decreto e lo hanno scelto contraddicendo impegni che la stessa maggioranza e lo stesso Governo - che in questo momento è finalmente seduto in questi banchi, anche se era assente nel momento in cui è cominciata la discussione, ed è il motivo per cui ella, Presidente Rosato, è stato costretto interrompere la seduta - si erano presi nel corso della prima lettura, durante la quale temi come Ischia, come l'Emilia-Romagna e come tanti altri argomenti che sono rimasti fuori dall'esame del testo in Senato sono stati rinviati alla discussione alla Camera e ad altri provvedimenti prossimi venturi, dei quali sino ad oggi non vi è alcuna certezza, se non un generico richiamo da parte del Governo e del relatore in sede referente in questo ramo del Parlamento. Dico questo perché è bene ricordarlo ed è bene ricordarlo anche al collega del PD che parla di decreto varato dal Governo della bugia, dice, pericolosamente, l'onorevole D'Alessandro, del PD. Ricordo che Governo che ha varato questo decreto e il Governo Gentiloni, un Governo che ha varato questo decreto nella sua forma minimale, perché così avrebbe dovuto essere e così è stato, perché il Governo Gentiloni, in carica per l'ordinaria amministrazione, non poteva fare un decreto di lungo termine, di ampia materia su tutte le vicende connesse al terremoto, perché noi siamo qui perché il Governo Gentiloni ha fatto quel decreto alla fine del mese di maggio, per venire incontro alle esigenze che erano immediatamente prossime alla scadenza del mese di maggio, non a tutto quello che era in ballo sulle proroghe di termini e sulle esigenze che, volta per volta, provenivano dalle popolazioni terremotate, dagli amministratori, dalle parti sociali, dalle organizzazioni professionali del cratere e delle zone colpite. E giustamente il Governo Gentiloni si è attenuto a quel perimetro che era il perimetro specifico di un Governo che era in carica per il disbrigo degli affari correnti; non avrebbe potuto, ad esempio, prorogare lo stato di emergenza o la struttura commissariale o tante altre questioni, non moltissime peraltro, che sono state inserite, circa 6-7 argomenti nell'esame del testo al Senato. Quindi, c'è una locomotiva minima che è stata fatta partire dal Governo Gentiloni e poi c'è stato l'esame del Senato, che ha inserito dietro questa locomotiva alcuni vagoni importanti, ma non tutti, sei, sette, vale a dire ciò su cui si è realizzata una convergenza immediata tra le forze politiche, ciò su cui il Governo evidentemente si è sentito pronto, insieme al relatore al Senato, e sono rimasti fuori da questo treno - che oggi è attualmente in questo ramo del Parlamento all'esame dell'Assemblea - tutta una quantità di argomenti che sono stati rinviati, appunto, a questo esame e ai provvedimenti successivi.

Allora, il relatore avrebbe dovuto dire: mi rifaccio alla relazione del collega al Senato; questo non è, onorevole Patassini, il testo della Commissione ambiente, sì, lo è formalmente, questo è il testo del Senato, relatore Patassini, questo non è il miglior risultato possibile viste le condizioni date, perché le condizioni le realizzate voi, non noi.

Gli emendamenti, condivisibili nella sostanza, che però non è possibile accogliere: restano un tema su cui voi dovete delle spiegazioni a questa Assemblea. Perché ci sono emendamenti condivisibili, che non è possibile accogliere in questa sede? Lo ricordava qualcuno, il collega del PD, non potete pensare di portare avanti un dibattito su un decreto-legge, oltre dieci giorni dalla sua scadenza naturale, dicendo che gli impegni ve li prendete con gli ordini del giorno. Gli impegni si prendono approvando le norme, non so se è chiaro. Gli ordini del giorno del Senato, almeno per questo ramo del Parlamento e per quello che ci riguarda, rispetto alle proposte emendative sono carta straccia! Perché se un tema è giusto ed è condiviso, lo si approva attraverso un emendamento, così come viene formulato o riformulato dal Governo o dal relatore, non si viene a dire in questo ramo del Parlamento che il tema è condivisibile, ma che, date le condizioni… quali condizioni? Sulla base di quale presupposto? Questa è la domanda, questo è il grande punto interrogativo. Dovete venire a dirci perché, alla data di oggi, non siete nelle condizioni di accettare un emendamento che sia uno su questo testo, fosse anche la correzione di un errore contenuto nel testo di questo decreto, ci spiegate perché? Ci spiegate cosa osta? Ci spiegate qual è il problema? Perché ve l'abbiamo detto in Commissione: questo decreto, se siete disponibili a ragionare di contenuti, esce da quest'Aula del Parlamento in due ore nette, almeno per quello che ci riguarda. Quindi, se non prendete neanche un emendamento, dovete spiegarci perché non lo prendete.

Guardate, noi non apparteniamo alla schiera di quelli che, quando sono all'opposizione, dicono che il terremoto è colpa del Governo, non è così che funziona, ne abbiamo ascoltati di colleghi, oggi, che siedono oggi in quest'Aula a fare i fenomeni con frasi del tipo: come saremmo stati bravi noi, se fossimo stati al Governo al posto di quei cialtroni là. Oggi che siete in quest'Aula e al Governo, avete il dovere di dimostrare quello che dicevate prima: chi ha fatto la campagna elettorale sul terremoto oggi, se siede tra i banchi del Governo o della maggioranza, ha il dovere di dare risposte concrete!

E sapete qual è la triste verità? È che, purtroppo, manca a questo Governo una visione d'insieme, ma soprattutto che miracoli su questo tema non ne fa nessuno, che andare a raccontare che chi va al Governo prende la bacchetta magica e risolve il problema delle popolazioni terremotate è una presa in giro nei confronti delle popolazioni e degli amministratori di quei territori! Perché le bacchette magiche in questo Paese non ce l'ha nessuno!

Perché tutto questo è frutto di un lavoro quotidiano, faticoso, certosino, che ha messo in collegamento amministratori, classe politica, classe dirigente, commissario di Governo, Protezione civile, un lavoro su cui peraltro ci siamo ritrovati anche grazie al buonsenso e al metodo che il Commissario di Governo ha voluto utilizzare - e lo dico consapevole dell'enorme distanza politica che ci separa - nel voler incontrare tutte le forze politiche su una quantità di questioni che a tutti noi stanno a cuore, gran parte delle quali sono rimaste ancora aperte in questo decreto, sul quale la Vice Ministra, la sottosegretaria, non so come chiamarla, comunque l'esponente del Governo, Castelli, viene a raccontarci che, siccome c'è la legge di bilancio per il 2018, non si possono trovare le risorse. Ma di cosa stiamo parlando? Di cosa stiamo parlando?

Le risorse - come hanno detto per cinque anni i colleghi del MoVimento 5 Stelle - quando ci sono le esigenze, le risorse il Governo le deve trovare. E se le risorse non ci sono per il terremoto, per quale altro argomento vanno trovate? La verità è che non avete una visione di insieme, come dimostrano quelle quattro parole, scritte nel contratto, sul terremoto. E perché forse, nel passare dall'opposizione alla maggioranza, ci si rende conto di come poi alla fine con gli slogan non si governi.

Guardate, quando dovete gestire questioni burocratiche, ultra tecniche, che si complicano volta per volta nella quotidianità in cui l'eccezione diventa regola, in cui la burocrazia diventa limite, in cui l'ordinanza diventa problema anziché risoluzione, allora in questo caso, balle agli elettori, balle alle popolazioni, balle agli amministratori non se ne possono più raccontare, è finito il momento della campagna elettorale.

Allora, mettetevelo bene in testa: noi questa roba non l'abbiamo mai fatta. Silvio Berlusconi scrisse una lettera a Gentiloni in cui gli disse: i voti di Forza Italia sono a disposizione degli emendamenti che riusciranno a migliorare le condizioni delle popolazioni colpite dal terremoto. E questa è stata la nostra campagna! Dopodiché, ovviamente, la sottolineatura di tutto è una quantità di ritardi burocratici, politici, delle amministrazioni, in primis - li conosce bene il relatore Patassini - quelli in capo alle amministrazioni regionali; prima tra tutte, nella classifica al contrario, è la regione Marche, che ha al proprio interno, anche dal punto di vista numerico, una quantità di problemi enormi, di cui spesso, anziché essere soluzione, è stata amplificatore o è stata amplificatrice.

Ma, al di là di questo, oggi siamo - siete! - chiamati alla sfida della soluzione dei problemi, non della contestazione: oggi non potete più andare a fare le conferenze stampa, io non oso pensare che cosa sarebbe successo qualsiasi altro fosse stato oggi ai banchi del Governo, di fronte all'inizio di una seduta su un tema così delicato con un Governo assente. Non oso immaginare. Noi ci siamo limitati a stigmatizzare un comportamento parlamentare di scarso rispetto nei confronti dell'Assemblea, a partire e in primis in relazione proprio al tema che si tocca. Ma che cosa avreste fatto voi, colleghi del MoVimento 5 Stelle o della Lega, di fronte a un comportamento del genere svolto da parte del PD o di qualunque altra forza politica al posto vostro? L'assalto dei banchi.

La Commissione ha riflettuto su istruttorie approfondite: è molto bello! Abbiamo scoperto un nuovo senso, Presidente Rosato, della Commissione in fase referente. La Commissione in fase referente non esamina, non vota, non discute, magari non approva modifiche al testo, discute di istruttorie approfondite! Il Governo ci ha annunciato tutta una quantità di istruttorie, è molto bello sapere che il Governo sarà impegnato in una quantità di istruttorie. Certo, se le istruttorie le fate come avete fatto la relazione tecnica sul decreto “dignità”, ecco, anche lì, fate attenzione a queste istruttorie, perché rischiano, magari, poi, di fare uscire delle questioni che magari non vi aspettate.

Premesso che, ha sottolineato il relatore Patassini, c'è stata una sostanziale condivisione del testo del Senato, certo, ma quelle sono modifiche condivise. Guardate, non c'è stato un emendamento soppressivo di nessun articolo presente nel testo e questo la dice lunga sul fatto che questo è un testo sul cui clima c'è una collaborazione totale, non per la simpatia nei confronti del Governo o per un'adesione politica nei confronti del Governo; c'è una collaborazione, un regime di collaborazione, che si fonda sul fatto che, almeno per quello che ci riguarda, su queste cose non si fa lo scontro frontale. Si cerca di trovare argomenti e punti di vista condivisi, perché abbiamo di fronte a noi migliaia di persone senza casa. Abbiamo di fronte a noi famiglie spaccate, smembrate, problemi a fare avviare l'anno scolastico, con situazioni drammatiche dal punto di vista imprenditoriale. E non siamo noi a venirvi a dire, quando c'è qualche dramma umano o addirittura qualche tragedia, che è colpa del Governo. Perché il Governo può cambiare colore, ma ci sentiamo la responsabilità di dovere offrire risposte concrete a queste persone e siamo in una fase in cui sarebbe possibile darle. Questo è il nostro rammarico, non altro: sarebbe possibile darla e non è possibile, perché il Governo non può o non vuole motivare, in questo ramo del Parlamento.

Per quale ragione? Ci sono delle esigenze legate alla scadenza del decreto? Io credo che tutte le forze politiche in questa fase possano prendersi, se vogliono, l'impegno a chiudere presto e bene questo decreto, inserendoci le modifiche che vengono concordate come necessarie, a partire dal relatore e dal Governo. Noi non siamo qui a fare gli avventurieri, gli assaltatori della diligenza. Però, il Governo si impegni a cercare le coperture sui temi, su cui c'è convergenza.

Ci sarà un milleproroghe, come ci ha annunciato la sottosegretaria Castelli? Allora, ci fate l'elenco. Per piacere, ci fate l'elenco dei 10, 15, 20 emendamenti. Non è difficile, lo chiedete ai vostri uffici e ve lo fanno: i 10, 15 emendamenti di proroga, che finiscono nel milleproroghe. Ci dite se questo decreto milleproroghe viene emanato prima o dopo l'estate e vi prendete l'impegno solenne. Io non lo voglio l'ordine del giorno. L'ordine del giorno si fa per cose più importanti, che riguardano temi su cui oggi il Governo non è nelle condizioni, da solo, di potersi prendere un impegno.

Il Governo ci dica quali sono le proroghe che intende mettere nel milleproroghe. Ci dica su quali argomenti è in grado, di qui, non alla legge di stabilità... Perché questa è un'altra cosa, Presidente Rosato. Lo dico a lei e, per il suo tramite, all'Assemblea. C'è stato detto: siccome non ci sono le coperture finanziarie, valuteremo nella legge di stabilità. La legge di stabilità, poi, è la legge di bilancio, detto tra noi, ma anche qui, insomma, in termini di correttezza del nome, rende. Insomma, la legge di bilancio entra in vigore il 1° gennaio 2019 ed è lungi dall'essere anche immaginata, oltre che scritta, presentata e iniziato l'esame. La sessione di bilancio comincia dopo l'estate. Allora, noi pensiamo di dare risposta alle popolazioni terremotate con la legge di bilancio, cioè con una legge che entra in vigore il 1° gennaio 2019, o crediamo che ci siano temi e questioni, tra quelli degli oltre 200 emendamenti depositati in Commissione in sede referente, che possano trovare spazio e diventare norma prima di quella data? E, se sì, questo vuol dire che il Governo deve avere in mente di realizzare un'altra norma: o un altro decreto terremoto o inserire alcune di queste questioni all'interno di un altro provvedimento, tra virgolette, aperto, che possa tenere conto di queste questioni.

Non le elenco tutte, ma ci siamo confrontati in Commissione, grazie alla responsabilità dell'opposizione, perché il presidente della Commissione, dopo un giorno in cui siamo stati in sospeso con i nostri lavori, Presidente, grazie al fatto che il Governo non sapeva dirci se il decreto era aperto o chiuso, dopo che per un altro appuntamento abbiamo dovuto sospendere per quattro ore, per capire ancora se fosse possibile mai aggiungere degli emendamenti condivisi senza necessità di coperture, dopo un giorno e mezzo perso ad attendere che il Governo si chiarisse l'idea e le idee al riguardo, la proposta che ci è stata fatta dalla maggioranza, avanzata proprio dal presidente della Commissione ambiente, era quella di chiudere il provvedimento in quattro ore nette.

Noi avremmo, Presidente, dovuto alzarci, tutti quanti dell'opposizione, e andarcene. Abbiamo deciso, non per rispetto del Governo e della maggioranza e via dicendo, ma per rispetto alle popolazioni colpite dal terremoto, di rimanere in Commissione, di votare, uno per uno, tutti gli emendamenti, di farceli respingere.

Sa quale sarà, onorevole Patassini, il bilancio di questo decreto, che io andrò a portare agli amministratori locali, che lavorano quotidianamente nelle zone colpite dal terremoto? Il fascicolo degli emendamenti. Quello regalerò ai sindaci. Gli dirò: guardate, questo è il fascicolo degli emendamenti, su ciascuno di questi c'è stato detto no. E poco importa - questo lo dico ai cultori della materia - che il Governo non metterà la fiducia sul testo del decreto. A noi cambia veramente zero, perché, se il risultato è lo stesso, di fatto, il Governo su questo decreto la fiducia la pone già. Ma, mentre ponendo la fiducia, il Governo costringe se stesso a dare una motivazione qualsivoglia (perché ci sono troppi emendamenti, perché ci sono tempi stretti di conversione, per l'importanza del provvedimento) così facendo il Governo farà in Aula quello che ha fatto in Commissione, cioè respingerà tutti gli emendamenti, senza dirci qual è la ragione, per cui in questa sede non si può approvare un emendamento, che sia uno.

E - ripeto - noi, almeno noi di Forza Italia, non abbiamo presentato emendamenti staccati, come frutti da un albero della fantasia. Noi abbiamo presentato emendamenti che riguardano quasi esclusivamente, al di là della perimetrazione della zona su cui si incide - quindi, questioni che riguardano l'Emilia Romagna o Ischia, per capirci - abbiamo presentato esclusivamente emendamenti, che riguardano tutta quella griglia di argomenti, su cui tutte le forze politiche, prima dell'emanazione del decreto, si erano confrontate singolarmente con il commissario. E avevano convenuto sul fatto che quei temi fossero dei temi centrali, che andassero affrontati e che andassero affrontati con una certa impostazione. Di quelli noi ci siamo fatti carico, attraverso delle proposte emendative e questo è il pacchetto di emendamenti che Forza Italia porta all'attenzione di questa Assemblea.

In questo quadro - ecco, riprendo un'espressione del relatore in Commissione - noi non stiamo qui a chiedere “balletti parlamentari”. Noi non balliamo, non in quest'Aula almeno. Qui non ci sono balli da fare, qui non c'è gente che balla, qui è finita anche la musica, onorevole Patassini. Noi qui siamo disponibili a ragionare, se voi siete disponibili a ragionare. Sennò voi vi prendete la responsabilità di quello, non che fate, di quello che non fate. È una responsabilità importante e, però, ce la motivate.

Io credo che abbia fatto di più, da solo, il presidente del Parlamento Tajani per questo terremoto, facendo approvare 1 miliardo e 300 milioni di stanziamento del Parlamento europeo, a cui se ne aggiungeranno un altro miliardo e due del fondo di solidarietà europea, che questo Governo in quaranta giorni.

Allora noi - ripeto - non crediamo che esistano bacchette magiche, non andiamo a promettere ricostruzioni a destra e a manca. Sappiamo che anche la ricostruzione - anche lì serve chiarezza - non è un miracolo. La ricostruzione è un tema serio, su cui bisogna avere visione, bisogna avere consapevolezza e bisogna avere un dialogo costante e continuo, attraverso gli amministratori, i comitati e via dicendo, con le popolazioni colpite.

Perché non ovunque si potrà ricostruire. E non ovunque si potrà ricostruire alla stessa maniera. Questo chi governa deve saperlo, perché, se andate a dire a tutti quanti che ricostruire esattamente com'era prima dappertutto, sapete che dite una cosa che probabilmente non è possibile.

Stare al Governo significa confrontarsi con i problemi, prendere schizzi di fango, anche quando il problema non è il vostro o non l'avete creato voi. Noi, su temi come il terremoto, possiamo semplicemente offrirvi una sponda di responsabilità di persone serie, che sono disposte a confrontarsi con temi concreti. Non ci chiedete, però, di avallare un atteggiamento, che è irrispettoso delle prerogative parlamentari, perché è arrogante, perché non è motivato, perché non è costruito, perché non è concordato, su un terreno in cui, invece, dovrebbe esserci concordia, costruzione, voglia di collaborare. E, guardate, io sono la dimostrazione che è un terreno sul quale, quando si è voluto, in Parlamento si sono create le condizioni di collaborazione trasversali: addirittura all'unanimità abbiamo realizzato iniziative che hanno portato milioni sulle popolazioni colpite dal terremoto. Ripeto: all'unanimità. E non ho nessuna bacchetta magica, non sono, per così dire, più illuminato di quanto non lo sia chiunque in questo ramo del Parlamento abbia voglia di fare qualcosa di buono e di concreto per il territorio nel quale viene eletto o per un territorio che ritiene essere un territorio bisognoso di interventi normativi e anche economici: ve lo dico perché, finita la fase della luna di miele, a un certo punto vi caricheranno di responsabilità che perfino non avete; vi caricheranno, perché in questo Paese funziona così, di colpe che non avete; se la prenderanno con voi quegli stessi che venivano ad applaudire alle vostre conferenze stampa in cui dicevate che era tutta colpa del Governo, che era tutta colpa della regione, che era tutta colpa di Tizio, di Caio e Sempronio. Gli stessi faranno la stessa cosa con voi tra qualche tempo. Noi non l'abbiamo fatto allora perché abbiamo creduto che fosse giusto non farlo seppur nella distanza politica, seppur senza fare sconti a chi era in maggioranza nel Governo e nelle regioni, per gli errori che sono stati fatti, non ultimo una catena di comando che non ha aiutato, non ha giovato all'efficacia, perché una catena di comando è una catena singola, non è una catena che parte da uno, si divide in quattro e finisce per mille rivoli: non è la sovrapposizione delle ordinanze, non è la contraddittorietà delle ordinanze che giova a una catena di comando. E anche su questo la legge quadro che ho lanciato in Commissione credo che sia un passo su cui il Governo deve immaginare di riflettere. Guardate, una legge quadro così come è stata fatta sulle alluvioni, una legge quadro sulle emergenze sismiche che parta dal presupposto di far tesoro di tutta una quantità di provvedimenti e di applicarli in maniera quasi protocollare a seconda delle esigenze qualora ci si trovasse di fronte a nuovi eventi di questo genere - tutti ci auguriamo di no, ma sappiamo che questo è un Paese ad alta sismicità - può essere qualcosa di positivo su cui lavorare e su cui lavorare insieme. Pensateci, riflettete: guardate, nessuno è qui per mettervi sul banco degli imputati di una tragedia, di una calamità che nessuno - fosse stato per noi - avrebbe voluto star qui a discutere oggi. Ce la saremmo tutti quanti risparmiata. Però dal momento in cui c'è, fateci il piacere, non ci negate il diritto al rispetto, il diritto a parlar chiaro, il diritto a motivare se c'è una ragione vera per cui pensate che si debba chiudere subito il decreto-legge senza alternative, perché non abbiamo alcuna difficoltà a far chiudere il decreto-legge nei tempi più ragionevoli possibili. Non è un terreno di opposizione: faremo l'opposizione su altro, sul decreto dignità (avrai voglia di fare opposizione). Ne combinerete così tante che avremo l'imbarazzo della scelta di terreni e provvedimenti su cui dimostrarvi che cosa fa un'opposizione. Non è questo il terreno su cui è necessario innescare uno scontro frontale tra una maggioranza che non ha varato il decreto-legge e un'opposizione che magari ha varato il decreto e che vuole contribuire a migliorarlo. È un terreno dove non deve esserci scontro: fate tesoro di quello che vi dico e mi auguro che da domani in questa Assemblea vi presentiate con un atteggiamento molto, molto diverso da quello arrogante, sbagliato e dilatorio che avete avuto in Commissione referente che non fa onore a voi e che risulta una sberla nei confronti delle popolazioni che si aspettano anche da questo ramo del Parlamento risposte politiche al problema del sisma (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente e Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Gabriele Lorenzoni. Ne ha facoltà.

GABRIELE LORENZONI (M5S). Grazie, Presidente. Colleghi deputati, rappresentanti del Governo, vi confesso che sono abbastanza emozionato perché è un tema che mi tocca nel profondo: quello che stiamo affrontando è un tema delicato.

Oggi a Monte Urano nelle Marche - è una notizia di poche ore fa - è morta un'altra persona suicida, a dimostrazione del fatto che la distruzione non è solo materiale, ma anche psicologica.

Sappiamo tutti quello che è accaduto nelle nostre zone, ad Amatrice, il 24 agosto 2016, dove c'è stato il maggior numero di vittime e state quattro regioni sono state investite nel tempo da vari terremoti.

L'area del Centro Italia appenninico, lo diciamo da sempre, è un'area interna che soffre del fenomeno dello spopolamento e di una grave crisi economica. Io vengo da Rieti e porto la voce della mia città e di tutta l'alta Valle del Velino: è una voce di sconforto, di rassegnazione, di senso di abbandono da parte delle istituzioni, di sfiducia - lasciatemi dire -, anche di rabbia e di frustrazione, per un'emergenza che è stata gestita male e di una ricostruzione che non c'è e, se questa ricostruzione non c'è stata, forse dobbiamo chiederci il motivo.

Ora abbiamo una grande responsabilità: questi territori si aspettano molto da noi e noi possiamo finalmente dare loro attenzione. Vorrei sottolineare e ringraziare il Presidente Conte per l'attenzione che ha riservato alla questione nella sua prima uscita pubblica ad Amatrice, ad Accumuli e ad Arquata: io ero lì e ho potuto constatare una grandissima sensibilità, soprattutto all'ascolto delle persone, e ha mangiato con loro. Questo è un segnale sicuramente, non vuol dire nulla, però anche oggi siamo qui in Aula per dare un segnale di speranza e di conforto.

Come già è avvenuto per i precedenti terremoti - penso a quello del 2012 e a quello del 2009 a L'Aquila, che porto con me nel cuore, perché ero lì presente come studente -, si è risposto alle esigenze immediate della popolazione tramite il decreto-legge e, se oggi siamo qui, dopo due anni dalla tragedia, a parlare ancora di un ulteriore decreto-legge, significa che qualcosa alla prova dei fatti non ha funzionato.

Infatti, lo chiamo un decreto sblocca-cantieri, perché ancora di cantieri nelle nostre zone non si vede proprio l'ombra, perché c'è stata una sostanziale stasi nella ricostruzione; sottolineo ai colleghi parlamentari del Partito Democratico che non ci sarebbe stato bisogno di intervenire nuovamente con un decreto-legge sulla questione, se preventivamente si fossero prese le misure necessarie, ad esempio, a sbloccare tutti gli impedimenti burocratici e amministrativi che evidentemente non erano conosciuti, perché forse si è voluto applicare il modello emiliano alla ricostruzione delle nostre zone del Centro Italia.

Ora qui siamo qui a parlare del provvedimento in esame, che arriva alla Camera a valle di un lavoro emendativo collegiale effettuato al Senato da tutte le forze politiche. È stato un lavoro svolto con grande senso responsabilità - lo hanno detto tutti -, a prescindere dalla provenienza partitica degli emendamenti, che sono stati accolti purché fossero di buonsenso. È stato un lavoro frutto dell'ascolto diretto degli amministratori locali, delle imprese, dei professionisti e della popolazione e, quindi, una conseguente traduzione delle istanze dei territori in misure normative concrete.

È soltanto un primo passo per snellire le procedure e facilitare e incentivare il ritorno nelle nostre terre delle persone che se ne sono già andate, oppure cercare di dissuadere quelle che sono in procinto di farlo.

Vorrei evidenziare soltanto alcuni dei miglioramenti che abbiamo apportato al testo iniziale del decreto-legge emanato dal Governo Gentiloni, che aveva soltanto due articoli: adesso ne abbiamo inseriti ben ventitré e ciascuno rappresenta una risposta concreta alle istanze che giungono dalle aree terremotate.

I primi due articoli, approvati dal Governo Gentiloni, riguardano la proroga e la sospensione dei termini in relazione agli adempimenti e ai versamenti tributari e del canone RAI. Ebbene, noi abbiamo prorogato lo stato di emergenza fino al 31 dicembre 2018, trovando 300 milioni di euro, con una possibilità di estensione di ulteriori dodici mesi.

Abbiamo pensato di tutelare le persone che hanno costruito autonomamente la cosiddetta casetta di emergenza senza avere il titolo abilitativo, persone - ricordo qui - che hanno scelto di stare nei propri luoghi, stare vicini ai propri luoghi, invece di andare negli alberghi a centinaia di chilometri dalla costa, dimostrando un grande senso di appartenenza. Noi siamo intervenuti sulla disciplina in materia, garantendo la temporaneità di queste opere e, poi, a garanzia delle fideiussioni, per esempio, e delle cauzioni, abbiamo previsto che la demolizione di queste opere sarà effettuata solo una volta completata la ricostruzione dell'immobile danneggiato.

Come ci chiedevano i tecnici del settore, abbiamo introdotto importanti novità in tema di condoni pendenti. Era il problema principale, questo doppio passaggio di conformità, per il quale bisognava presentare, oltre al progetto di ricostruzione, anche la sanatoria del condono pendente. Adesso si può fare tutto contestualmente e questo doppio passaggio non c'è più, magari semplicemente per avere allargato una finestra o una porta. Così acceleriamo l'evasione di queste pratiche.

Nel decreto trovano risposte anche le istanze delle associazioni di categoria, come, per esempio, la proroga per tutto il 2018 della busta paga pesante. Abbiamo aumentato da 150 mila a 258 mila euro l'importo dei lavori oltre il quale è obbligatoria la certificazione, da parte di queste società, delle cosiddette SOA; queste certificazioni sono procedure complesse e rigorose, che molto spesso le piccole imprese non sono in grado di sostenere.

Che questo sia un provvedimento frutto di un ascolto profondo delle esigenze territoriali lo conferma anche la proroga delle indennità di funzione dei sindaci, che sono dei veri e propri presidi del territorio, che ascoltano la popolazione e i bisogni e sono sempre e quotidianamente in prima linea nei problemi della ricostruzione.

Siamo andati incontro non solo ai comuni, per le loro esigenze dei mutui, , ma anche alle imprese e ai privati, per la proroga dei mutui contratti.

Abbiamo deciso di includere nel contributo di ricostruzione anche tutti quegli interventi, ad esempio, per l'adeguamento antincendio e per l'abbattimento delle barriere architettoniche, proprio a riprova del fatto che, oltre alla ricostruzione, si sta pensando ad un modello di territorio sicuro e accogliente per tutti.

Poi c'è la famosa norma per la quale le regioni predispongono aree attrezzate in modo da far tornare i cosiddetti residenti delle seconde case nelle aree terremotate, in modo che possano tornare in vacanza almeno in quelle zone dove hanno le proprie origini. Questo è un contributo concreto di 10 milioni alla conservazione dell'identità dei luoghi, oltre che alla loro economia. Inoltre, queste aree - cosa molto importante - rimangono a disposizione dei comuni per esigenze di protezione civile, proprio a conferma che la prevenzione è e sarà la stella polare delle azioni della maggioranza di Governo.

Adesso, qui mi sono limitato a elencare le principali misure di questo provvedimento, ma già da queste si può desumere la natura strumentale di chi ci critica; ci critica perché, fondamentalmente, alla Camera non abbiamo apportato modifiche al testo o perché saremmo stati sordi, come leggiamo nei giornali di oggi, rispetto alle esigenze dei terremotati. Invece, voglio dire che le novità che ho appena elencato sono proprio la migliore risposta alle critiche. Se dovessi definirlo, addirittura, in poche parole, lo definirei il decreto dell'ascolto delle zone terremotate, oltre che “sblocca cantieri”, come ho detto prima.

Per giunta, poi, dal dibattito al Senato è emerso chiaramente che l'approfondimento e l'eventuale recepimento delle singole questioni legate al tema della ricostruzione post sisma contenute nelle diverse proposte emendative presentate sono stati dal Governo già rinviati a specifici provvedimenti legislativi di prossima adozione.

È inequivocabile, quindi, la volontà della maggioranza di dare pienamente seguito agli ordini del giorno approvati in Senato ed è già in corso un lavoro istruttorio da parte dell'Esecutivo per inserire, nel prossimo disegno di legge di bilancio, un pacchetto di interventi legati al sisma, anche in accoglimento di specifiche proposte emendative presentate qui alla Camera. Quindi, voglio sottolineare che nella legge di bilancio non ci saranno le marchette per gli amici degli amici o per le banche, ma ci saranno le marchette per i terremotati, magari, per una volta (Commenti).

Quindi, a questo punto, stiamo lavorando su diversi fronti, anche quello che riguarda l'Europa, come ha detto il collega Berardini: siamo fiduciosi che questo confronto con la Commissione europea porterà presto a una soluzione positiva della questione degli aiuti di Stato alle imprese aquilane.

Rispetto al sisma del 2009, anche qui, voglio dire che sono passati nove anni, è un problema annoso che ci portiamo dietro dai precedenti Governi; non l'hanno saputo gestire e la riprova è che ne stiamo ancora parlando nel 2018.

In buona sostanza, è necessario intervenire in maniera strutturale e la ricerca di coperture certe necessita ulteriori approfondimenti, che non potevano essere fatti in questa sede.

Ora è responsabilità di quest'Aula confermare rapidamente il testo uscito da questo lavoro, senza ulteriori passaggi al Senato, in modo che le popolazioni terremotate ritroveranno la speranza di vedere messi in campo segnali veramente concreti di rinascita e quello che arriva da questo decreto è solo il primo di una lunga serie.

In tempi brevi, avvieremo anche un'istruttoria per arrivare a una sorta di legge-quadro sulle calamità naturali, con l'obiettivo di fornire al Paese una strumentazione normativa e operativa che consenta di intervenire in maniera organica e non emergenziale, anche valorizzando le esperienze maturate nel tempo dai commissari straordinari per la ricostruzione.

Quindi, la prevenzione è il fulcro del nostro lavoro presente e futuro. Dobbiamo lasciarci alle spalle il tempo delle emergenze da rincorrere e dei provvedimenti d'urgenza, che lasciano troppi nervi scoperti. Per questo siamo già al lavoro per predisporre tutti gli interventi legislativi necessari a dare risposte strutturali alla vulnerabilità del Paese, per mettere in sicurezza il territorio e chi lo abita da fenomeni sismici e di dissesto idrogeologico; lo dobbiamo a chi in passato ha perso la vita per eventi del genere, a noi stessi, al nostro Paese, ai nostri figli (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PAOLO TRANCASSINI (FDI). Chiedo di parlare per fatto personale.

PRESIDENTE. Per fatto personale a fine seduta.

È iscritta a parlare l'onorevole Pezzopane. Ne ha facoltà.

STEFANIA PEZZOPANE (PD). Nella qualità dell'essere una terremotata - e lo sono dal 6 aprile del 2009 -, non accetto che un collega parlamentare venga in quest'Aula per dire che la sua forza politica, il suo Governo del cambiamento, farà le marchette per i terremotati (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico), perché, francamente, i terremotati non hanno bisogno di marchette. Cerchiamo di adottare un gergo più adatto a quello che stiamo per fare: un decreto terremoto utile, necessario, direi indispensabile per le proroghe già inserite dal Governo Gentiloni, ma un decreto che poteva e doveva essere uno strumento di maggiore forza e di maggiore energia, perché incombono delle urgenze. E lo dico da persona che vive nel cratere, che vive nel doppio cratere, che si occupa di queste cose, ci mancherebbe, con tanti limiti. Sfido chiunque a dire che ha la ricetta pronta; sfido anche voi a dire come volete risolvere i problemi, che siete tanto capaci di elencare, ma, pur con tanti difetti, ho l'esperienza non solo della terremotata, ma dell'amministratrice locale e poi di chi, con molta modestia, ha cercato anche di fare delle leggi che hanno prodotto degli effetti. Non sono perfette? Perfezioniamole. Questo decreto è l'occasione? Sì, è l'occasione, ma ci avete tarpato le ali, ci avete impedito di fare quello che voi per mesi avete detto che avreste fatto non appena preso in mano il Paese.

Poiché ci sono state molte cadute di stile, grossolane, assurde, irrispettose per il ruolo di noi parlamentari, voglio citarvi Sandro Pertini. Qualche giorno fa, il Vicepresidente della Camera Ettore Rosato ha organizzato una bellissima iniziativa e io, così, mi sono andata a rileggere un po' di Pertini.

Pertini, il giorno dopo il terremoto dell'Irpinia, il primo terremoto che ricordo da studentessa consapevole, nel discorso alla nazione diceva: perché un appello voglio rivolgere a voi, italiane e italiani, senza retorica. Un appello che sorge dal mio cuore di uomo che ha assistito a tante tragedie, a degli spettacoli, che mai dimenticherà, di dolore e di disperazione in quei paesi. A tutte le italiane e agli italiani - diceva Sandro Pertini - qui non c'entra la politica; qui c'entra la solidarietà umana. Tutte le italiane e gli italiani devono mobilitarsi per andare in aiuto a questi fratelli colpiti da questa nuova sciagura, perché, credetemi, il modo migliore di ricordare i morti è quello di pensare ai vivi, e noi ci abbiamo provato.

Peraltro, nell'elenco di quei morti del 2009 ci sono persone che si chiamano come me. Quindi, io non accetto queste lezioncine di basso profilo, non accetto questa mancanza di rispetto, non accetto che, ogni volta che si fa una proposta, vi mettiate con il torcicollo a guardare indietro. Non abbiamo fatto così quando noi siamo andati a governare. Abbiamo ereditato dei problemi, ma mai c'è stata una rivendicazione con chi aveva governato prima, perché abbiamo sempre cercato di superare gli ostacoli. Non ci azzittirete dicendo che noi abbiamo governato prima e, quindi, dobbiamo stare zitti. Ma che stiamo zitti! Siate più educati e più rispettosi per il ruolo. Qui ci sono questioni grandi da risolvere e, se sapete come farlo e se i nostri emendamenti non vanno bene, diteci quali sono i vostri, visto che non li avete presentati.

Noi siamo a un paradosso, a una situazione inquietante, a una situazione, per alcuni versi, ridicola. Al Senato si accelerano i tempi con la motivazione che era istituita solo la Commissione speciale e che, invece, alla Camera finalmente si erano insediate le Commissioni ordinarie e che, quindi, alla Camera gli organi avrebbero potuto esaminare e decidere in maniera più consona e pertinente. Ce lo fate pure credere, perché si fanno le audizioni. La rappresentante del Governo in audizione è stata incalzata da diversi esponenti di varie forze politiche - e non c'eravamo messi d'accordo prima, ma era normale chiedere - che ponevamo il problema: “Ma c'è uno spazio, c'è uno spazio?” e, addirittura, ci è stato risposto: “Ci proviamo”. Cosa significa “Ci proviamo”? Non significa niente e infatti non è significato niente.

Siamo stati lì, con rispetto nei confronti del presidente della Commissione - che oggi è assente e, quindi, non può nemmeno riferire, volendo - e nel rispetto di altri commissari, che sono assenti anche loro, a cercare di far capire che c'erano delle cose. Ma perché? Io lo l'ho detto prima, dal 2009: non vi illudete che fate la legge organica che risolve tutti i problemi. Il terremoto e la ricostruzione sono cose complicate e difficili.

Certo, si possono fare delle norme più calzanti e con una durata permanente, ma comunque c'è un giorno per giorno e sette mesi, perché sette mesi sono il tempo che intercorre dalla legge di bilancio ad oggi, sono un'eternità per le popolazioni terremotate. Se Gentiloni poteva fare solo quello che ha fatto - lo ricordava anche il collega Baldelli -, ovvero fare delle proroghe, a noi era consentito fare di più che limitarci a mere proroghe.

È certo che alcune cose sono state fatte e ci mancava pure che non avessimo fatto nemmeno quello. Ma dov'è la novità del vostro governare? Dov'è questo spirito giacobino per cui adesso arrivate e cambia tutto? Avete fatto le proroghe delle proroghe, ovvero avete consolidato delle misure fatte dal precedente Governo, gli avete dato delle piccole correzioni e le avete meramente prorogate. Allora, evidentemente, andavano bene.

Su alcune questioni che vi abbiamo incalzato non avete risposto. Lo hanno già detto altri colleghi: non si scherza sulla struttura commissariale. Abbiamo presentato un emendamento sulle scuole; non si scherza sul negare le deroghe all'organizzazione del sistema scolastico. A settembre le scuole riaprono. Nelle zone terremotate, se non diamo le deroghe, non sapranno come fare le classi. E quando lo facciamo? Nella legge di stabilità.

E anche le proroghe dei contratti dei lavoratori precari avete detto che volete farle nella legge di bilancio. Ma lo sapete che i contratti scadono prima e che quindi ci sarà un buco? E voi, che volete accelerare la ricostruzione, non prendendo in mano con cognizione di causa i problemi, in realtà la bloccherete e ci sarà una situazione difficile, imbarazzante, critica, in cui tutti i comuni si ribelleranno.

Ho sentito una collega - me lo sono scritto - che ha detto che c'è stata trasparenza e c'è stata partecipazione. Ma, scusate: non so che senso date a queste parole. Noi abbiamo sentito quattro presidenti di regione, i vescovi, CGIL, CISL, UIL e UGL, il capo della Protezione civile. Poi, modestamente abbiamo parlato pure noi, che nel nostro piccolo non siamo, diciamo, Sandro Pertini, nei confronti del quale veramente ho un'ammirazione gigantesca, ma siamo dei modesti rappresentanti del popolo come voi, eletti come voi. Ebbene, dopo tutto questo nostro parlare, dopo tutte queste audizioni ci avete detto: ci proviamo, si chiude tutto.

Poi, dite delle cose che non sono vere, non corrispondono alla realtà dei fatti, alla storia delle cose. Avete detto che gli emendamenti non sono scritti bene. In primo luogo, come vi permettete? Da che pulpito! Chi siete? Da dove venite per dire che i nostri emendamenti non sono scritti bene? Diteci il motivo vero per le inammissibilità. Quelle inammissibilità relative agli ospedali non si reggono in piedi: sono inammissibilità politiche, perché non volevate bocciare quegli emendamenti (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico), perché la sottoscritta, che non sa scrivere gli emendamenti, però ogni tanto se li faceva approvare, ha presentato e si è fatta approvare un emendamento che ha addirittura derogato alla geografia giudiziaria e sono state fermate le procedure per la riorganizzazione dei tribunali fuori cratere a Vasto, Lanciano, Avezzano e Sulmona. Nessuno di questi quattro tribunali era nel cratere, ma il Governo, che aveva un po' di testa, capiva che in una regione terremotata - e terremotata bis - è tutto, tutto in disordine, tutto in disordine. Quindi, se voi quell'emendamento non lo volete approvare, non vi coprite con l'inammissibilità perché io e il collega, insieme agli altri colleghi, lo ripresenteremo in altri decreti, in altri strumenti, e prima o poi dovrete dirci quello che pensate, dovrete dirci quello che pensate.

Ora, noi abbiamo al Senato il Partito Democratico che ha lavorato con lena per migliorare il decreto. Il decreto al Senato è passato praticamente all'unanimità. Quindi, non fate i primi della classe. C'è stato un lavoro comune di tutte le forze politiche ma, come hanno ribadito anche altri colleghi, perché veniva qua e potevamo lavorarlo ancora un po'.

Tra l'altro, la bontà degli emendamenti sta nel fatto che erano più o meno tutti simili e, quindi, c'era anche una concordia e non c'era uno scontro su quasi nulla. Avete addirittura bocciato un emendamento richiesto da CGIL, CISL, UIL e UGL che inserisce il DURC - quindi, uno strumento su cui nemmeno c'era il bisogno di copertura - anche nel terremoto del 2009, oltre che nel terremoto del 2016, visto e considerato che alcuni comuni hanno entrambi i terremoti per cui le ditte per un terremoto presentare il DURC e per l'abitazione vicino, che è un altro terremoto, non presentano il DURC. Nemmeno quello, nemmeno quello! E le proroghe no; le questioni di semplificazione no; e gli ospedali sono inammissibili.

E poi la questione delle tasse da ridurre nella restituzione. Guardate che quando sono state ridotte per il terremoto dell'Aquila dal 100 per cento al 40 per cento, noi venimmo a fare delle manifestazioni, venimmo a discutere con il Governo e alla fine ottenemmo quel risultato. Oggi noi ve lo riproponiamo anche per quest'altro terremoto. Discutiamone; perché chiudervi a riccio dopo che per mesi avete fatto la propaganda? E alla legge di bilancio io me li ricordo i vostri emendamenti, io me li ricordo i vostri emendamenti perché me li studiavo. Dicevo: “Cavolo, magari hanno delle idee migliori delle nostre. Vediamo, approviamone qualcuno” e ve li abbiamo pure qualche volta approvati. E oggi, quando li presentiamo noi certi emendamenti, ce li bocciate o sono inammissibili.

Le questioni sono ancora aperte sul terremoto del 2016-2017. Sono aperte per il terremoto dell'Emilia-Romagna, che addirittura è stato considerato inammissibile perché non c'era Emilia-Romagna nel titolo. In altre circostanze noi abbiamo cambiato il titolo. Abbiamo cambiato il titolo, perché se si parla di terremoti magari discutendone in maniera omogenea si riescono a fare anche delle norme parallele, delle norme non confliggenti; e invece anche lì chiusura.

Poi io vi pongo anche alcune domande. Avete fatto il Governo, avete nominato i ministri, avete dato le deleghe: scusate, ma chi è che segue la ricostruzione? Ma possiamo avere noi forza politica Partito Democratico, noi esponenti dei territori colpiti dal terremoto, un punto di riferimento, come tutti i Governi hanno dato? Letta, che stava sempre a disposizione. Non sono mancati gli scontri, non sono mancate le differenze, ma nulla possiamo dire su un lavoro continuo e pressante. E poi il Ministro Trigilia col Governo Monti, e poi Giovanni Legnini sottosegretario, e poi Paola De Micheli, che si è fatta carico di più terremoti. E qui qual è la vostra scelta? Qual è la scelta sulle strutture di missione? Le avete prorogate fino a settembre: ma sapete cosa significa per un terremoto non avere dopo settembre l'unità di missione? Significa che le delibere CIPE rimangono ferme, cioè che i soldi non arrivano, ovvero che si ferma tutto. Chi le ha praticate queste cose, giorno per giorno, sa che non ce lo possiamo permettere.

Quindi io credo che dobbiate guardarvi un po' tra di voi e con noi, rifare un po' mente locale, rivedere le proposte che noi abbiamo presentato, riesaminare le questioni, anche la questione delle tasse sospese a L'Aquila e la conseguente restituzione richiesta al 100 per cento. Ma come si fa a banalizzare? Ma come si fa ad individuare una responsabilità politica, peraltro sbagliando? La mancata notifica avvenne tra il 2009 e il 2011, tra il Governo Berlusconi e il Governo Monti; poi non si riuscì a correggere. Ma ve la volete cavare così? Cioè per ogni problema voi ve la volete cavare dicendo che è responsabilità di altri? O quando governi chiudi la saracinesca e ti occupi delle cose, anche se le hai ereditate, perché son cose difficili, e sono convinta che chiunque abbia governato nel pregresso se avesse potuto farlo l'avrebbe fatto. Lì ci fu un grave, gravissimo comportamento inidoneo di burocrati e funzionari, su cui andrebbe svolta un'indagine, per capire come e perché mancò la notifica; ma detto questo lo dovete risolvere, avete detto che lo risolvevate subito, avete detto che era una delle prime cose. Governo giallo-verde, in campagna elettorale avete detto che una delle prime cose che facevate… E ricordo le parole tassative di esponenti, che volevano aprire lo scontro con l'Europa su questo; l'avete aperto sugli immigrati, facendo affondare i barconi: non l'avete aperto su questa questione, per la quale l'avevate promesso! Avevate detto che mai avreste accettato che la Commissione europea travalicasse una norma italiana; io vi propongo un emendamento in cui decidiamo un'interpretazione autentica della norma italiana, perché non può essere che una norma approvata nel 2011, che prevede un de minimis con la cifra di 500 mila euro, perché pubblicata nel 2012 venga così dalla Commissione europea impostata sulla cifra successivamente definita dalla norma italiana, e dite di “no”, che bisogna trattare con l'Europa. Ma com'è? Ma com'è? Ma come potete entrare in contraddizione in maniera così brusca sulle questioni concrete? Trecento imprese: stamattina noi abbiamo fatto una riunione in regione con tutti i parlamentari, erano tutti invitati.

C'erano alcuni e altri no, perché poi si preferisce sfuggire al confronto vero. Lì si è ribadita la necessità di interpretare la norma italiana; e quando abbiamo incontrato Giorgetti ha convenuto che quell'impostazione è un'impostazione positiva, mentre in Commissione avete detto di “no”, che solo la trattativa con la Commissione europea… Dovete approfondire!

Noi non siamo bambini. Noi non siamo bambini, noi abbiamo bisogno di portare a casa i risultati, e non ci faremo spaventare né dalle vostre illazioni né dai vostri richiami né dalle vostre velate minacce ricattatorie, sempre su questa questione: chi c'era prima, chi c'era prima. Chi c'era prima sta qui in altra veste, come vuole la democrazia; ora ci state voi. Noi sul terremoto non speculiamo, non andiamo in giro a raccontare sciocchezze. Sul terremoto vogliamo votare sempre a favore delle norme, perché noi vogliamo che i cittadini di quei territori possano avere la garanzia e la sicurezza che qui c'è un Parlamento che lavora per loro, non gente che si becca inutilmente l'un con l'altro per dimostrare non so quali sapienze, non so quali capacità e permettersi una coccarda gialloverde, che francamente non ha alcun senso in questo momento storico per quelle popolazioni, per quella gente e per questi problemi (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico e di deputati del gruppo Liberi e Uguali).

ENRICO BORGHI (PD). Chiedo di parlare sull'ordine dei lavori.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

ENRICO BORGHI (PD). Signor Presidente, il dibattito questo pomeriggio era iniziato con uno scivolone, l'assenza del Governo, a cui dopo le proteste dell'opposizione è stato posto rimedio; e si conclude con un altro elemento che vogliamo stigmatizzare, e cioè la l'assenza dal nostro dibattito del presidente della commissione referente di merito, l'VIII Commissione, e dei suoi vicepresidenti. Vede, signor Presidente, non è certo un obbligo sanzionatorio la presenza del presidente della Commissione, ma riteniamo che sia doveroso, come è sempre stato per prassi, che chi presiede le Commissioni referenti si debba presentare alla discussione e all'ascolto dei colleghi. Anche perché noi come forze dell'opposizione abbiamo dovuto lottare in Commissione proprio perché il summenzionato presidente desiderava comprimere e restringere il dibattito in Commissione a quattro ore, di fronte alla presentazione di duecento emendamenti da parte di tutte le forze dell'opposizione. Noi vogliamo denunciare questo stato di fatto, perché non possiamo accettare che le Commissioni vengano ridotte a mero strumento di esecuzione della volontà della maggioranza e il dibattito in Aula venga addirittura portato ad una dimensione nella quale i responsabili della tenuta della discussione non si presentano. Lo vogliamo sottolineare per stigmatizzare, per richiedere che la Presidenza richiami i presidenti delle Commissioni al loro doveroso intervento di presenza all'interno di quest'Aula, affinché non si verifichi più, come oggi, che il relatore sia presente solitario al banco dei nove, per un tema, peraltro, estremamente importante come quello che abbiamo discusso oggi (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PAOLO TRANCASSINI (FDI). Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà. Credo sullo stesso argomento.

PAOLO TRANCASSINI (FDI). Sì, molto brevemente. Ci associamo a quanto esposto adesso. Speriamo che anche nel prosieguo ci sia più disponibilità al confronto, al dialogo. Insistiamo per la riapertura del decreto-legge. Poi vorrei ricordare all'onorevole Lorenzoni, che quando ci dice che questo è il decreto-legge dell'ascolto, e sottolinea che lui ascolta i sindaci, io sono sindaco del tuo collegio ma non mi hai ascoltato, perché se mi ascoltassi per davvero riapriresti il decreto-legge.

FEDERICO FORNARO (LEU). Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FEDERICO FORNARO (LEU). Molto brevemente e con spirito costruttivo. Visto che siamo all'inizio della legislatura, lo stiamo ribadendo un po' troppe volte, devo dire, da questo punto di vista, ma proprio perché siamo all'inizio credo che il richiamo svolto dal collega Borghi sia doveroso, e, quindi, mi associo anch'io a questa richiesta, che per il suo tramite, Vicepresidente Rosato, possa essere messo a conoscenza il Presidente della Camera di questo elemento, un richiamo doveroso alla presenza del presidente o, comunque, di un rappresentante dell'ufficio di presidenza della Commissione in occasione, anche, della discussione generale; è sempre stata una prassi comune e credo che sia una prassi di rispetto nei confronti, anche, dei colleghi che intervengono in discussione generale. Altrimenti, questo rischia di diventare, veramente, un esercizio retorico, senza alcun valore di reale confronto all'interno del Parlamento.

SIMONE BALDELLI (FI). Chiedo di parlare.

PRESIDENTE. Onorevole Baldelli, credo, anche lei, sullo stesso argomento. Ne ha facoltà.

SIMONE BALDELLI (FI). La ringrazio, Presidente. In effetti, vedere il collega Patassini completamente solo al Comitato dei nove, fa un certo effetto. Tra l'altro, credo, se non sbaglio, di aver visto la collega Terzoni, che, se non vado errato, è vice presidente della Commissione, affacciarsi nel corso della seduta, per cui, da questo punto di vista – tecnicamente, tra l'altro, la Commissione è rappresentata dal relatore - è evidente che c'è una questione di attenzione che si pone e che non è una questione di natura regolamentare. È ovvio che si può andare avanti così, però, certamente, ripeto, a parti invertite, qualunque caso noi ci trovassimo di fronte, oggi, dall'inizio dalla seduta fino a questo, sarebbe stato oggetto di polemica, addirittura di insulti verso la maggioranza, verso il Governo.

Poi, Presidente, prendiamo atto del fatto che non ci sia il presidente della Commissione, prendiamo atto del fatto che l'onorevole Terzoni, vice presidente, si sia almeno affacciata, pur non rimanendo tutto il tempo, ne prendiamo atto; prendiamo atto del fatto che hanno lasciato, lì, l'onorevole Patassini – come si dice gergalmente - a far la guardia al bidone, nel senso che sta qui, poveretto, a dover rendere conto di una maggioranza che gli impone di blindare un testo, senza neanche poter dire il perché.

E questo è il motivo per cui, in realtà - più che per associarmi, comunque, alle considerazioni svolte dai colleghi precedentemente - intendevo prendere la parola, Presidente. Il collega Patassini ha esaurito tutto il tempo a disposizione del relatore in una lunga e, mi permetta, anche inutile, ovviamente, relazione, visto che non c'è nulla da relazionare…

PRESIDENTE. Concluda, onorevole.

SIMONE BALDELLI (FI). Io le chiedo, Presidente, essendo lei uomo d'Aula di lunga esperienza, che, qualora il collega Patassini intendesse, invece, replicare, dando delle informazioni e dei contenuti nuovi a quest'Assemblea…

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Baldelli.

SIMONE BALDELLI (FI). Potesse dare uno o due minuti, semplicemente per poter far chiarire al collega Patassini se intende o meno, anche a fronte della discussione generale che è stata data, aprire o meno il provvedimento….

PRESIDENTE. Grazie, onorevole Baldelli. Il suo contributo è sicuramente interessante. Preciserei che non entro nel merito delle questioni politiche attinenti la presenza o meno del presidente della Commissione o dei vice presidenti; è chiaro che non c'è un obbligo regolamentare; poi, evidentemente, sta alla sensibilità e all'organizzazione dei lavori che ogni gruppo parlamentare, che ogni figura istituzionale qui presente alla Camera ritiene di dare, di garantire o meno la sua presenza, qui, pur non essendoci obblighi parlamentari.

Io, invece, mi permetto di dire che questo è un tema importante; il dibattito che oggi si è svolto è stato un dibattito utile.

Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

(Repliche - A.C. 804)

PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare, se lo vuole, il deputato Patassini, ma ha esaurito il tempo e non ritiene di replicare.

Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo che non ritiene di intervenire (Applausi polemici del deputato Baldelli).

Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Sospendiamo per cinque minuti la seduta che riprenderà alle ore 18,10.

La seduta, sospesa alle 18,05, è ripresa alle 18,10.

Discussione delle mozioni Carnevali ed altri n. 1-00009 e Rostan ed altri n. 1-00012 concernenti iniziative volte ad implementare il reddito di inclusione.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione delle mozioni Carnevali ed altri n. 1-00009 (Nuova formulazione) e Rostan ed altri n. 1-00012, concernenti iniziative volte ad implementare il reddito di inclusione (Vedi l'allegato A).

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi riservati alla discussione delle mozioni è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (Vedi calendario).

Avverto che sono state presentate le mozioni Rizzetto ed altri n. 1-00016 e D'Uva, Molinari ed altri n. 1-00018 che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalle mozioni all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente (Vedi l'allegato A). I relativi testi sono in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.

È iscritto a parlare il deputato Antonio Viscomi, che illustrerà anche la mozione Carnevali ed altri n. 1-00009 (Nuova formulazione), di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

ANTONIO VISCOMI (PD). Grazie, Presidente. Ho il compito di presentare la mozione con cui il Partito Democratico chiede al Governo di consolidare, anzi, di consolidare, rafforzare ed estendere l'esperienza positiva del reddito di inclusione, potenziando quella rete di servizi sul territorio la cui presenza consente di trasformare uno strumento di mero sostegno al reddito in un più completo progetto per l'autonomia, credibile e sostenibile al contempo; autonomia della persona, signor Presidente, con la sua rete di relazioni familiari, indebolita dal bisogno economico, con la sua fragilità esistenziale che chiede di essere presa in carico dai servizi territoriali, con il bisogno di senso che solo il lavoro, e il lavoro equamente retribuito, può riconsegnare a soggetti resi vulnerabili da eventi avversi.

Il Partito Democratico ritiene che questa prospettiva sia profondamente coerente con l'impegno che il secondo comma dell'articolo 3 della Costituzione pone a carico della Repubblica e che, pertanto, la misura in esame possa e debba essere considerata uno strumento di attuazione della predetta norma costituzionale, ma, alla stessa stregua, riteniamo siano da considerare anche le altre due iniziative legislative che il Partito Democratico ha già messo in campo, sentendo l'urgenza di offrire al Parlamento e al Paese una agenda sociale coerente, realistica e, soprattutto, di immediata operatività; mi riferisco alle tre proposte di legge sul reddito, sulla genitorialità e sull'equità salariale che portano a più avanzato compimento processi di innovazione legislativa ed amministrativa già avviati negli anni passati.

Trasformare i bisogni in politiche pubbliche è l'obiettivo della nostra agenda sociale, ma credo sia anche il compito proprio di quest'Aula, nella quale sono presenti sensibilità e culture profondamente differenti, ma egualmente consapevoli del fatto che il bisogno non può e non deve essere trasformato in strumento di consenso; ed invoco, invece, un approccio tipicamente riformista, impregnato di attenzione verso gli effetti di lungo termine, caratterizzato da una logica di progressività, orientato alla costruzione di un sistema integrato di servizi alla persona, prima ed oltre che alla monetarizzazione del bisogno stesso. Questo è l'approccio già messo in atto dal Partito Democratico nella scorsa legislatura che ha voluto affiancare alla parola “reddito” l'altra, e per noi più importante, di “inclusione”, volendo chiaramente esprimere che quella introdotta è una misura a carattere universale, condizionata alla prova dei mezzi, come usuale, ma, anche e soprattutto, all'adesione ad un progetto personalizzato di attivazione e di inclusione sociale e lavorativo, finalizzato all'affrancamento dalla condizione di povertà. Questo è un punto decisivo.

L'obiettivo del reddito di inclusione non è tanto di assicurare, a chi è sprovvisto dei mezzi necessari per vivere, il mantenimento e l'assistenza sociale, e cito così il primo comma dell'articolo 38 della Costituzione, ma, semmai, di concorrere a rimuovere quegli ostacoli che l'articolo 3 della nostra Costituzione considera come limiti allo sviluppo personale e alla partecipazione piena alla vita del Paese. Il modello così creato funziona e funziona seriamente; lo dice l'INPS, nella relazione annuale del suo Presidente, e, secondo le stime, entro la fine dell'anno, le famiglie beneficiarie raggiungeranno quota 700.000, corrispondenti a quasi due milioni e mezzo di persone. Chi ricorda i 50 milioni stanziati una tantum nel 2012 per la nuova Social card, avrà immediata percezione di cosa vuol dire avere, ora, una misura permanente che vale oltre 2 miliardi e 300 milioni di euro, nel 2018, e quasi 3 miliardi di euro a partire dal 2020. Consapevoli e, consentitemi, giustamente fieri di questo risultato, il Partito Democratico ha presentato una proposta di legge destinata a rafforzare ulteriormente la misura e a sollecitare l'orientamento dei beneficiari verso comportamenti proattivi e, poiché riteniamo che la presa in carico da parte dei servizi, debba essere effettiva, abbiamo proposto, anche in deroga ad ogni vincolo, di assumere assistenti sociali, presi in carico da parte dei servizi, signor Presidente, perché le persone in situazione di povertà non hanno bisogno di un mero sostegno economico, ma di qualcuno che li accompagni in un percorso di ristrutturazione della loro intera esperienza personale, sociale e professionale. È questo un punto sul quale vorremmo ancorare l'attenzione dell'Aula e del Governo, che, pure nel suo contratto fondativo, ha dedicato molto spazio al reddito di cittadinanza, misura questa le cui ambiguità di fondo sono correlate essenzialmente al modello socio-antropologico di riferimento: l'individuo senza lavoro, direi quasi senza famiglia, senza storia personale, senza reti di relazioni; cittadino italiano, perché ai contraenti governativi poco importa di quanto la Corte costituzionale da anni va ripetendo sull'estensione del principio di non discriminazione, al quale si chiede di iscriversi obbligatoriamente al centro per l'impiego, ma senza nessuna interazione con i servizi sociali territoriali come presupposto per maturare il diritto al beneficio economico. Ma così configurato, il reddito di cittadinanza non è una misura contro la povertà, e non interviene per nulla sulle condizioni di deprivazione che la generano e che da questa sono a loro volta generate, viceversa è solo una tradizionalissima misura lavorista dall'importo tanto elevato da determinare un sicuro effetto di fuga dal mercato del lavoro regolare; un effetto ben conosciuto, signor Presidente, e dico questo da meridionale, consapevole degli effetti perversi che nel tempo hanno avuto alcune misure di sostegno al reddito.

E a rendere ancora più discutibile il progetto governativo è il tentativo di trasformare la misura di cittadinanza in una manovra di politica economica, al fine di ottenere in sede europea spazi di flessibilità. La revisione al rialzo del PIL potenziale, realizzata tramite l'aumento del tasso di partecipazione della forza lavoro e il conseguente peggioramento del rapporto tra PIL potenziale e PIL effettivo, dovrebbe permettere, nella prospettiva fatta proprio dal Ministro l'altro giorno, nell'audizione con le Commissioni riunite, di realizzare un deficit strutturale maggiore in termini assoluti, utile per finanziare la misura. In estrema sintesi, più che lavoro, il reddito di cittadinanza sembra destinato a generare debito. Confesso di apprezzare lo slogan del Maggio francese: la fantasia al potere. Ma le parole del Ministro sono un esempio da manuale di ciò che può succedere quando la realtà supera la fantasia. A prescindere dal fatto che il modello di calcolo dell'output gap è questione su cui Italia, Francia, Portogallo e Spagna hanno chiesto di avviare una discussione politica in sede comunitaria - sulla quale non mi soffermo -, resta il fatto che proprio la ricerca affannosa di vie impervie per recuperare risorse future da destinare alla misura proposta dimostra inequivocabilmente l'inesistenza attuale di risorse disponibile per realizzarla. La verità è molto semplice: non ci sono soldi per il reddito di cittadinanza e si rinvia strumentalmente ad una riforma dei centri per l'impiego. Inoltre, l'assenza di ogni riferimento ai servizi sociali territoriali dimostra un'idea arcaica e parziale di povertà come assenza di lavoro e non come condizione di deprivazione multifattoriale quanto all'origine e multidimensionale quanto agli affetti. È per queste ragioni che il Partito Democratico, consapevole dell'urgenza drammatica del problema povertà nel nostro Paese e della necessità di dare risposte forti ed immediate, senza rinviare a futuri interventi, tutti ancora da costruire e da finanziare, propone di dare continuità all'applicazione di una misura di contrasto alla povertà e dell'esclusione sociale già oggi operativa, credibile, sostenibile sul piano economico, ma soprattutto coerente ed adeguata rispetto all'obiettivo di accompagnare i soggetti deboli in un processo di riconquista della loro autonomia.

Il reddito di cittadinanza è una risposta sbagliata ad un problema reale. Viceversa, consolidare, rafforzare ed estendere il reddito di inclusione è la via maestra per dare attuazione all'articolo 3 della Costituzione: non un aiuto estemporaneo, ma una misura sistemica ed integrata per iniziare a rimuovere gli ostacoli - e sono veramente tanti - che di fatto limitano la libertà della persona, ne impediscono il pieno sviluppo e rendono impossibile la piena partecipazione alla vita politica, economica e sociale del Paese (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Michela Rostan, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00012. Ne ha facoltà.

MICHELA ROSTAN (LEU). Presidente, Governo, il tema povertà non si può più nascondere, anche se le società occidentali ci provano, hanno quasi una vergogna per i poveri, li tengono ai margini, non solo dell'organizzazione sociale ma del dibattito pubblico; lo sguardo non deve allungarsi sul povero, il povero deve andarsi a nascondere.

Sembra questa la filosofia anche di alcuni interventi sul cosiddetto decoro urbano. Ricordiamolo: una serie di strumenti a disposizione dei sindaci per allontanare i poveri dalle città, non affrontando il tema ma spazzandoli via, piazzandoli in un angolo fuori dalla visuale, togliendoli dai centri storici, dai luoghi monumentali, dalle stazioni ferroviarie. Il povero ci fa paura, ci dà fastidio, il povero alimenta le leggende metropolitane: quante volte abbiamo sentito che quel barbone che dorme per strada in realtà ha milioni di euro conservati chissà dove? La povertà è disdicevole, disturbante, anche tutta la retorica sui migranti riguarda sempre e solo i poveri: mica ci danno fastidio i migranti ricchi, ci disturba la condizione di povertà, ci disturba lo stato di bisogno. È come se la sola vista di un povero ci rendesse indigesto il nostro stato di benessere, per cui preferiamo non sapere e preferiamo non vedere.

Ma i poveri esistono, e sono intorno a noi. La povertà cresce, e non è più, come un tempo, una sorta di marchio genetico, di confino che si moltiplicava di generazione in generazione; ci sono i nuovi poveri, come dicono le statistiche. Poveri si nasce, poveri si diventa. E lo si diventa non solo perché perdi il posto di lavoro oppure ti capita una brutta avventura, quindi finisci in una dipendenza da alcol, da droga, da gioco d'azzardo, oppure scivoli in una patologia psichiatrica, no, si diventa poveri anche lavorando. Ci sono i lavoratori poveri, ci sono i padri separati, che lavorano e sono poveri; ci sono i pensionati poveri. Sono nuove categorie della marginalità a cui non siamo abituati e di cui non del tutto abbiamo esaminato gli aspetti, i contesti e le conseguenze; credo perché questo tipo di povertà, la nuova povertà, la povertà di chi ha un reddito ma insufficiente, ci fa ancora più paura, direi terrore. Ci possiamo finire dentro tutti, nessuno quasi ne è a riparo. I ceti medi hanno paura di scivolare in quella condizione, i ceti popolari la sentono a un passo. I giovani, che faticano a inserirsi nel mondo del lavoro e sono mantenuti dei genitori o dei nonni, vedono il futuro come un pericolo. La povertà uno spettro che aleggia sulla nostra vita quotidiana, e questo aumenta la tensione sociale, anche quella inespressa, anche quella sotterranea, che poi dà benzina anche a spirali di rancore, a scelte rabbiose, a conflitti fra poveri, tra penultimi e ultimi, dentro una battaglia davvero all'ultima speranza. Ma questo ci costringe anche ad aprire gli occhi, non possiamo non vedere; il tema è qui evidente e soprattutto prepotente.

Come se ce ne fosse bisogno, sono arrivati anche i dati ISTAT di recente a darci i numeri di questo quadro sociale; li ricordiamo nella mozione che abbiamo presentato come Liberi e Uguali e su cui chiediamo il voto. Le persone che vivono in povertà assoluta in Italia hanno superato, nel 2017, il numero di 5 milioni. Non si è mai registrato, almeno negli ultimi 13 anni, un dato così alto. Abbiamo quasi 2 milioni di famiglie in povertà assoluta, e si tratta di circa il 7 per cento delle famiglie italiane. Naturalmente la situazione più drammatica si registra al Sud, dove il 10 per cento degli abitanti vive in uno stato di indigenza. Naturalmente nessuno, come sappiamo, muore d'inedia - abbiamo reti istituzionali informali che consentono alle persone almeno di sopravvivere -, ma non è un modello che ci può stare bene. Oltre un milione di bambini e ragazzi in povertà significa negare non il pane ma la formazione, la crescita, le cure, la casa, la salute il futuro a interi pezzi di Paese. Aumenta, secondo l'ISTAT, anche la povertà relativa, che riguarda altri 9 milioni di persone. In totale siamo a 11 milioni di italiani che si arrabattano fra povertà assoluta e povertà relativa; famiglie intere che vanno avanti con meno di 1.000 euro al mese, quando va bene, negandosi ovviamente perfino il necessario: si riduce il ricorso alle cure mediche (ovviamente alla prevenzione), si saltano i cicli scolastici, si vive in condizioni di disagio igienico e sanitario. Insomma, un quadro non degno di una moderna democrazia occidentale. È possibile che l'impoverimento della società occidentale sia un dato complessivo e irreversibile. La corsa ai consumi dei decenni passati, che poi ha impoverito parti del pianeta per consentire a noi stili di vita superiori, è finita. Anche noi, complessivamente, dovremo capire che si può vivere con meno, consumando meno, sprecando meno, avendo meno risorse a disposizione.

Ma la povertà non è la decrescita felice, la povertà non è felice, la povertà è mancanza del necessario e mancanza dell'essenziale, ed è per questo che noi dobbiamo combatterla. Combattere la povertà, non i poveri. La povertà si combatte in due modi: uno immediato e uno di prospettiva. Quello immediato è l'aiuto. Quello di prospettiva è tirare fuori dalle persone in difficoltà le loro migliori risorse per il reinserimento sociale, che significa lavoro e reddito. Sul primo livello, quello dell'aiuto, oggi è paradossalmente più semplice andare: la crisi del lavoro in Occidente è evidente, la globalizzazione e le nuove tecnologie hanno consumato molte opportunità, tuttavia resta il lavoro la via maestra per l'uscita dalla povertà. Lavoro è dignità, lavoro è senso di sé, lavoro è utilità, ma non basta e, se non basta il lavoro, bisogna allungare la mano, tendere l'aiuto. Il sistema degli aiuti pubblici alla povertà, in Italia è stato, negli anni, confuso, farraginoso disorganizzato, al punto che neppure sappiamo, nella mappa complessa di misure regionali, comunali e nazionali, che tipo di aiuto le istituzioni italiane riescono a dare alle persone. Ci sono i sussidi, ci sono i bonus, ci sono le integrazioni, manca un quadro organico.

Nella scorsa legislatura va dato merito a chi ha governato di aver iniziato un percorso in questo senso, con l'approvazione della legge 15 marzo 2017, n. 33 e, poi, dalla sua attuazione è nato il reddito di inclusione, una misura che tenta di mettere ordine, di creare uno strumento di contrasto alla povertà, un sussidio in sostanza, benché accompagnato, almeno nella teoria, da un progetto per l'autonomia, da un monitoraggio dei servizi territoriali, da un percorso finalizzato all'uscita dal disagio, comunque al raggiungimento di alcuni risultati personali e familiari, comunque, un sostegno economico, una misura su cui il giudizio è positivo, ma che non si può non valutare come totalmente insufficiente. Dal 1° gennaio 2018 il reddito di inclusione raggiunge appena 110 mila famiglie, a cui si aggiungono altri 120 mila beneficiari del SIA, numeri davvero esigui se paragonati a quelli, dati prima, sulla povertà assoluta e relativa, in Italia: milioni di poveri e meno di 500 mila persone aiutate, oltretutto con un importo davvero minimo; parliamo di 187 euro mensili per le famiglie composte da una singola persona, di 294 euro per due persone, di 382 per 3, di 461 euro per 4, importi che chiaramente non tirano fuori dalla povertà. Qualcuno potrebbe dire: meglio di niente, ma non può dirlo lo Stato, non può dirlo un'istituzione che i problemi deve risolverli e non lasciarli quasi intatti. Ci vuole di più, quindi bisogna allargare la platea, agendo anche sui requisiti. Bisogna aumentare le cifre, il che significa che va allargata la dotazione economica. Il REI, con tutta evidenza, anche con il superamento previsto di alcuni sbarramenti, non ha le caratteristiche di beneficio universale, è una misura parziale che si rivolge solo ad una parte delle famiglie in povertà assoluta. Molta parte della campagna elettorale che si è conclusa è stata giocata sul mito del reddito di cittadinanza, una definizione che è sbagliata se riferita alla povertà perché, come sappiamo, nei pochissimi Paesi dove è stato sperimentato non si distribuisce solo ai poveri ma a tutti i cittadini. In realtà, è chiaro che chi parlava di reddito di cittadinanza voleva intendere il reddito di inclusione o di povertà, ma al di là della definizione, andiamo alla sostanza.

Noi, pur dall'opposizione, guardiamo con grande interesse a misure di questo tipo. Nel fantomatico contratto dell'attuale Governo è indicata la volontà di creare una misura universale dignitosa per i poveri assoluti e relativi; nulla di chiaro e di preciso si dice, però, su platea, importi e coperture, che poi sono i nodi veri. Vedremo le proposte che arriveranno, altre le faremo noi.

Appare evidente, dunque, che una misura nazionale di contrasto alla povertà uniforme su tutto il territorio nazionale è ormai irrinunciabile, ma va inserita in un quadro complessivo di nuove politiche per il sociale. Ecco perché noi chiediamo, anche nel dispositivo di questa mozione, che si proceda rapidamente a dotare i fondi per la povertà con poste adeguate, che si proceda al rafforzamento dei centri per l'impiego che in Italia hanno 9 mila dipendenti, mentre in Germania sono 110 mila, e che ai sussidi si accompagnino gli effettivi progetti personalizzati di affrancamento dalla povertà e che tutto il sistema del lavoro sociale, nel solco della preziosa legge n. 328 del 2000, venga rilanciato, per realizzare un vero, effettivo, serio contrasto alla povertà nel nostro Paese (Applausi dei deputati del gruppo Liberi e Uguali).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Carmela Bucalo, che illustrerà anche la mozione Rizzetto ed altri n. 1-00016, di cui è cofirmataria. Ne ha facoltà.

CARMELA BUCALO (FDI). Signor Presidente, onorevoli colleghi, rappresentante del Governo, in Italia la povertà assoluta cresce sia in termini di famiglie che di individui secondo i dati ISTAT, pubblicati a fine anno 2017. Tale drammatico fenomeno coinvolge quasi 1.800.000 famiglie. Il nostro Paese risulta essere, in Europa, quello con il maggior numero di cittadini che non possono permettersi una vita dignitosa. L'avanzo della disoccupazione, che colpisce soprattutto i giovani, fa prevedere un peggioramento di questo scenario, già tragico. Ecco perché è necessario adottare incisive politiche di inclusione sociale per contrastare la povertà. Il nostro obiettivo deve essere quello di potenziare gli strumenti a sostegno delle famiglie e degli individui che versano in condizioni di bisogno.

Il reddito di inclusione, introdotto con il decreto legislativo n. 147 del 15 settembre 2017, modificato con la legge di bilancio del 2018, prevedendo già dal 1° giugno l'estensione dei requisiti in vigore, che permetterà a ulteriori circa 200 mila famiglie di accedere al beneficio rispetto alle 500 mila già attualmente coinvolte, risulta ancora essere una misura insufficiente quale strumento unico nazionale di contrasto alla povertà e all'esclusione sociale. Insufficienti risultano gli importi e ristretta la platea degli aventi diritto. Infatti, non riusciremo così a coprire tutte le famiglie che, secondo le stime ISTAT, si trovano in condizioni di povertà nel nostro Paese. Il lavoro, per garantire concretamente dignità e inclusione sociale, deve essere tutelato sotto ogni forma attraverso efficaci provvedimenti di inserimento attivo, assicurando a chi ha un'occupazione una giusta e proporzionata retribuzione; eppure, l'allarmante numero di lavoratori che, in Italia, viene sottopagato o addirittura svolge prestazioni gratuite pone di fronte ad un dato di fatto che tale principio costituzionale inviolabile viene spesso del tutto disatteso. Pertanto, predisporre misure di contrasto alla piaga del lavoro sottopagato dovrebbe rappresentare un'emergenza prioritaria per il Governo, anche considerando che il suo continuo diffondersi, oltre a negare un basilare diritto per il lavoratore, ostacola i consumi e impedisce all'Italia di crescere e di uscire dall'attuale stato di crisi.

In molti Paesi europei, un corrispettivo minimo fissato per legge è attualmente applicato, mentre in Italia vige soltanto per alcune categorie di lavoratori, in virtù dei contratti collettivi negoziati a livello nazionale.

Non si condivide la tesi espressa da alcuni sindacati, i quali affermano che istituzionalizzare una retribuzione minima a livello nazionale avrebbe effetti negativi poiché porrebbe le basi per una diminuzione dei salari nel medio termine; non è così, il riconoscimento di una retribuzione minima oltre ad escludere fenomeni di sfruttamento ancora esistenti nel mercato del lavoro italiano, rappresenterebbe, invece, un efficace strumento per attuare una maggiore equità e tutela della posizione di debolezza del lavoratore nel rapporto di lavoro, conferendogli un maggiore potere contrattuale. Inoltre il potenziamento del REI deve essere seguito da una seria riforma dei centri per l'impiego; così strutturati, non rispondono all'esigenza occupazionale, non hanno permesso in modo efficiente l'incontro tra l'offerta e la domanda di lavoro, lasciando scoperti migliaia di posti di lavoro. Sono cinquecento sul territorio, circa, per un totale di 9 mila addetti, tuttavia solo il 3,1 per cento degli occupati dichiara di aver trovato un posto di lavoro attraverso tali strutture, una percentuale ben diversa rispetto alla media europea, che è del 9,4 per cento. Le principali carenze sono da ricondurre all'assenza di idonei standard minimi di prestazione dei servizi, alla mancanza di una chiara definizione delle competenze che il personale deve possedere per erogare servizi orientati alle persone, persone che devono essere sostenute nelle difficili e diverse fasi di transizione del proprio percorso professionale e lavorativo.

Inoltre, si registra la mancanza di una piattaforma informatica, in grado di agevolare il dialogo tra l'INPS e i centri per l'impiego. Tale carenza porta i centri più popolosi a dovere effettuare ancora controlli manuali, per elaborare le graduatorie e stabilire le risorse territoriali, in cui opera il singolo centro.

Pertanto, mi rivolgo al Governo, chiedendo di porre in essere provvedimenti per aumentare le risorse, affinché il reddito di inclusione comprenda quantomeno la platea di persone che risultano, in base ai dati Istat, in povertà assoluta, implementando anche l'importo degli assegni ivi previsti.

Chiediamo di aumentare i limiti del valore ISEE, eliminando gli altri indicatori, in quanto tendenti a creare un'ulteriore complicazione nella redazione delle graduatorie, indicatori che sono già in possesso della pubblica amministrazione e, quindi, è inutile richiedere nuovamente alla cittadinanza la verifica degli stessi.

Impegniamo il Governo ad avviare percorsi di inclusione sociale e lavorativa, individuati dalla legge delega 15 marzo 2017, n 33 e dal decreto legislativo n. 147 del 15 settembre 2017.

Chiediamo di adottare misure di riforma che agiscono sulla qualità dei servizi offerti dai centri per l'impiego, nell'ambito dei quali il personale deve possedere le competenze adeguate, per svolgere ricerca e selezione del personale e favorire efficacemente l'incontro tra offerta e domanda di lavoro, anche attraverso la costituzione di una rete di contatti con le imprese, con le società, i consorzi, le cooperative, gli studi associati, gli studi professionali, le fondazioni e le associazioni, garantendo standard minimi di prestazioni, nonché il raggiungimento di obiettivi, anche attraverso misure incentivanti.

Chiediamo di creare nuove figure all'interno di questi centri dell'impiego, che non svolgano quindi soltanto funzioni d'ufficio, ma siano veramente delle figure che conoscano bene il contesto territoriale di riferimento, con le varie realtà imprenditoriali e sociali presenti sul territorio, e che siano in grado di svolgere una funzione sociale e di acquisizione di nuove risorse umane, da inserire nel proprio contesto lavorativo.

Chiediamo di realizzare, nel più breve tempo possibile, dei percorsi di rifunzionalizzazione delle persone attualmente inserite ed in generale nelle agenzie per il lavoro, che siano finalmente intermediarie tra domanda ed offerta di lavoro

Impegniamo il Governo ad assumere iniziative volte a istituzionalizzare una retribuzione minima oraria su base nazionale, garantendo così un'equa retribuzione, in conformità all'articolo 36 della Costituzione, prevedendo adeguati sistemi di controllo, per verificarne la concreta attuazione e, in caso di violazione, prevedere responsabilità per i datori di lavoro, in modo da scoraggiare concretamente l'applicazione di retribuzioni che non consentano al lavoratore un'esistenza dignitosa.

Infine, chiediamo di prevedere una totale decontribuzione previdenziale e fiscale, per un periodo di almeno cinque anni, invogliando così le imprese a nuove assunzioni. E, trattandosi di soggetti fuori dal mondo del lavoro, lo Stato risparmierebbe risorse pubbliche, non dovendo più erogare tutte quelle prestazioni a sostegno del reddito e quindi, REI o Naspi o altri indennizzi (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Enrica Segneri, che illustrerà anche la mozione D'Uva, Molinari ed altri n. 1-00018, di cui è cofirmataria. Ne ha facoltà.

ENRICA SEGNERI (M5S). Grazie, Presidente. Rappresentanti del Governo, colleghi deputati, concedetemi di fare una breve premessa.

Per anni il problema della povertà è stato letteralmente ignorato e, se durante la scorsa legislatura ha occupato un posto importante, sia nel dibattito pubblico che in quello politico, è stato solo grazie all'inesorabile battaglia portata avanti dal MoVimento 5 Stelle, che ha praticamente costretto il precedente Governo ad intervenire, seppure parzialmente e in modo del tutto insoddisfacente, tramite il cosiddetto reddito di inclusione. Dunque, mi rivolgo oggi a voi per esporre le ragioni con le quali sosteniamo la mozione sull'introduzione del reddito di cittadinanza, già presente nel contratto di Governo e da sempre di primaria importanza nel programma politico del MoVimento 5 Stelle.

Innanzitutto, bisogna partire dai numeri, che ci confermano la necessità di intervenire con questa misura. Gli ultimi dati ISTAT ci dicono che nel nostro Paese ci sono 5 milioni di persone che vivono sotto la soglia di povertà assoluta, una cifra che addirittura supera i 9 milioni di persone, se prendiamo invece come riferimento la povertà relativa. Lavorare non garantisce nemmeno più una vita dignitosa. L'incidenza di povertà relativa, infatti, è elevatissima per le famiglie di operai.

La situazione, dunque, è drammatica. La popolazione esposta a rischio di povertà ed esclusione sociale è stimata oltre i 18 milioni di cittadini. È superiore di circa 5 milioni rispetto al limite posto dal programma dell'Unione europea per la crescita e l'occupazione, denominato Europa 2020.

La situazione è ancora più drammatica se si considera la fascia giovane della popolazione, che registra un tasso di disoccupazione pari al 32,8 per cento. Guardando, invece, ai pensionati, ben il 17 per cento ha un reddito sotto i 500 euro mensili. Sono numeri che peggiorano di anno in anno e hanno portato l'Italia a occupare la ventesima posizione tra i Paesi dell'Unione europea per la disuguaglianza.

I numeri mettono in evidenza anche l'inefficacia dei provvedimenti messi in campo dal precedente Governo. Parliamo ovviamente del cosiddetto reddito di inclusione, di cui non condividiamo nel modo più assoluto l'impostazione, perché si ferma al mero principio di garantire un livello minimo di risorse.

Noi, invece, riteniamo che uno Stato sociale debba avere l'ardire di avere compiti redistributivi, per assicurare a tutti i cittadini un tenore di vita adeguato. Il cosiddetto reddito di inclusione non si può definire una misura universale, perché esclude da qualsiasi tipo di sostegno i giovani e gli anziani. Il reddito di inclusione prevede un beneficio mensile, per la maggior parte dei destinatari, di soli 300 euro, mentre la somma massima, prevista per le famiglie con minori, è di circa 430 euro, troppo pochi per dare una risposta adeguata a un principio presente anche nella Costituzione italiana, all'articolo 36, comma 1, che sottolinea il diritto dei lavoratori di vivere un'esistenza libera e dignitosa, un principio che è stato ripreso anche dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea.

Il REI, dunque, raggiunge solo una platea ridotta di famiglie, appena 110 mila, a causa di criteri selettivi, motivati da una presunta minore onerosità per il bilancio statale e da una opinabile maggiore equità.

È necessario, invece, evidenziare che l'Italia ad oggi risulta essere indietro rispetto ad altri Paesi europei, che il reddito di cittadinanza l'hanno adottato da anni. Siamo, dunque, convinti che il reddito di cittadinanza sia la misura giusta per realizzare il cambiamento, in quanto supera il reddito di inclusione, soggetto a troppe limitazioni.

Come ha precisato il Presidente del Consiglio Conte, durante il discorso con il quale ha chiesto la fiducia alle Camere, il reddito di cittadinanza non è una misura assistenziale, perché il principio che determina la nostra proposta è innanzitutto quello del reinserimento dei cittadini disoccupati nel mondo del lavoro. Dunque, chiunque voglia accedere a questo sussidio dovrà rendersi disponibile al lavoro e iscriversi ai centri per l'impiego. Il reddito di cittadinanza è pensato soprattutto per garantire una continuità economica a chi affronta periodi di assenza di lavoro, sempre più frequenti in un mercato la cui caratteristica principale è la flessibilità. In questo senso, tale misura risulterà utile anche nel contrasto al lavoro nero.

Rispetto al reddito di inclusione, il reddito di cittadinanza non potrà prescindere da un'azione di Governo volta a intensificare le politiche attive del lavoro e da una riforma efficace dei centri per l'impiego. Circa un milione di persone dovranno iscriversi ai centri per l'impiego, andando a far parte della forza lavoro disponibile considerata dall'ISTAT.

In audizione alla Camera di qualche giorno fa, il Ministro del Lavoro Luigi Di Maio ha annunciato di volere destinare, già a partire dal 2018, 235 milioni di euro ai centri per l'impiego. Queste strutture infatti sono attualmente assolutamente carenti sia nel sostegno attivo al diritto al lavoro sia nella formazione. Mancano alcune figure specialistiche, come orientatori, esperti in consulenza aziendale e mediatori culturali.

Fondamentale sarà anche l'armonizzazione dei servizi offerti nell'intero territorio nazionale procedendo alla creazione di una banca dati dalla quale i datori di lavoro potranno attingere informazioni sulle persone occupabili.

Il Governo si impegnerà quindi a favorire il reinserimento del fruitore del reddito di cittadinanza nel mondo del lavoro, pena la decadenza del beneficio. La sua professionalità andrà valutata anche in base alla strategia di sviluppo economico del Paese: ovviamente bisognerà individuare con precisione le condizioni di accesso al beneficio e predisporre sistemi di monitoraggio in modo che possano ricevere il reddito di cittadinanza soltanto le persone che ne abbiano effettivamente diritto.

L'ammontare dell'assegno mensile del reddito di cittadinanza dovrà essere parametrato in base alla soglia di rischio di povertà e sulla base della scala OCSE per i nuclei familiari più numerosi.

Il Governo si impegnerà anche per agire a livello europeo allo scopo di reperire fondi da destinare alle politiche di welfare e prevedere stanziamenti per combattere la povertà e realizzare una vera inclusione sociale.

Nella nostra mozione abbiamo inserito anche la valutazione da parte del Governo dell'opportunità di prevedere una misura a sostegno dei pensionati, la cosiddetta pensione di cittadinanza, destinata a chi vive sotto la soglia di povertà. In sostanza, si tratterà di verificare la possibilità di introdurre un'integrazione all'assegno pensionistico che risulti inferiore ai 780 euro mensili.

Quanto alle coperture necessarie per realizzare questo importante provvedimento, il Governo ha individuato in una cifra compresa tra i 15 e i 17 miliardi di euro i fondi necessari. L'aumento del PIL potenziale con la conseguente crescita della leva del deficit strutturale e l'output gap potrebbe liberare 19 miliardi di euro, che consentirebbero di finanziare il reddito di cittadinanza.

Pertanto, in conformità al contratto di Governo per il Governo del cambiamento, la mozione impegna a istituire il reddito di cittadinanza quale misura per il contrasto alla povertà, alla disuguaglianza e all'esclusione sociale, nonché a favorire la promozione delle condizioni che rendano effettivo il diritto al lavoro e alla formazione, attraverso politiche volte al sostegno economico e all'inserimento sociale di tutti gli italiani in pericolo di marginalità nella società e nel mondo del lavoro; a valutare l'opportunità di fissare un ammontare parametrato alla soglia di rischio di povertà calcolata sia per il reddito sia per il patrimonio nonché sulla base della scala OCSE per nuclei familiari più numerosi; ad adoperarsi per consentire il reinserimento del fruitore del reddito di cittadinanza nell'ambito del lavoro attraverso l'adesione a offerte di lavoro provenienti da centri per l'impiego, pena la decadenza dal beneficio in caso di rifiuto allo svolgimento dell'attività lavorativa richiesta; a valutare, da un lato, la tipologia di professionalità del lavoratore in questione, dall'altro lato la sinergia con la strategia di sviluppo economico, mirato all'obiettivo della piena occupazione, innescata dalle politiche industriali, volte a riconvertire i settori produttivi, così da sviluppare la necessaria innovazione per raggiungere uno sviluppo di qualità; a prevedere delle condizioni di accesso al beneficio e dei sistemi di monitoraggio, per i fruitori della misura, tesi a garantire l'erogazione del reddito di cittadinanza soltanto a quelle persone che ne hanno davvero diritto; al fine di poter realizzare tale percorso nonché di potenziare le politiche attive del lavoro, ad investire in primis nella riorganizzazione e nel potenziamento dei centri per l'impiego, anche attraverso l'adeguamento dei livelli formativi del personale operante presso le strutture, al fine di garantire il possesso delle competenze e delle esperienze necessarie per l'efficacia dell'azione di ricollocamento nel mercato del lavoro; nelle opportuni sedi europee, a potenziare, estendere e rendere più efficace ed efficiente la gestione dei fondi che incidono sulle politiche di welfare finalizzati ad uno sviluppo equo, condiviso e sostenibile e che supportino gli Stati membri nei settori ove sono più necessari, prevedendo appositi stanziamenti destinati all'inclusione sociale e alla lotta alla povertà ed infine a valutare l'opportunità di assegnare una pensione di cittadinanza a chi vive sotto la soglia minima di povertà attraverso l'integrazione dell'assegno pensionistico, inferiore ai 780 euro mensili, secondo i medesimi parametri previsti per il reddito di cittadinanza (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Segnana. Ne ha facoltà.

STEFANIA SEGNANA (LEGA). Grazie, signor Presidente, membri del Governo, colleghi deputati, oggi discutiamo le mozioni volte ad implementare il reddito di inclusione, una misura unica nazionale di contrasto alla povertà introdotta dal Governo Renzi con l'approvazione della legge 15 marzo 2017, n. 33 e della sua disciplina attuativa, il decreto legislativo 15 settembre 2017, n. 147 recante disposizioni per l'introduzione di una misura nazionale di contrasto alla povertà. I numeri purtroppo che l'Istat ha registrato nell'anno 2017 devono farci riflettere: più di 5 milioni di persone vivono in povertà assoluta, di cui 1,2 milioni sono bambini e ragazzi, e più di 9 milioni in povertà relativa, come già anche osservato dai colleghi deputati. Tali dati non possono essere sottovalutati e non possono non essere presi in considerazione dal Governo. Evidentemente le politiche economiche degli ultimi Governi tecnici che si sono susseguiti in questi anni non hanno saputo affrontare nella maniera corretta la crisi che ha travolto le imprese italiane e non sono riusciti a trovare misure per far sì che vi sia un vero rilancio economico. Le piccole e medie imprese - ricordiamo che il 98 per cento delle imprese italiane è di piccola o piccolissima dimensione - fanno fatica a riprendersi e hanno bisogno di una politica economica che dia loro respiro per poter ricominciare a lavorare e ad assumere personale. Nel progetto di Governo Lega-MoVimento 5 Stelle è ben chiaro quali misure intraprendere: per una ripresa economica che dia la possibilità alle piccole e medie imprese e agli artigiani, che sono il tessuto sociale e produttivo del Paese, di poter ricominciare a lavorare assumendo personale, si prevede la flat tax, la pace fiscale e l'abolizione della legge Fornero per dare un cambio generazionale. Accanto alla riforma fiscale con la nostra mozione verrà introdotta una forma di supporto alle famiglie in evidente stato di difficoltà per le quali il Governo ha il dovere di predisporre interventi specifici. Il Governo Renzi, con il reddito di inclusione, ha cercato di affrontare la crisi senza una visione d'insieme. Il reddito di inclusione è una forma importante ma si rivolge in modo limitato ai bisogni dei cittadini in difficoltà. Il Governo Lega-MoVimento Cinquestelle, invece, vuole introdurre il reddito di cittadinanza che non ha, come ribadito dal Presidente del Consiglio Conte nelle sue comunicazioni in occasione del voto sulla fiducia al Governo, mera natura assistenziale, bensì lo scopo di reinserire i cittadini italiani momentaneamente disoccupati nel mondo del lavoro. Il reddito di cittadinanza prevede un importo più elevato rispetto al sussidio economico che il Governo Renzi ha introdotto e che potrà determinare persino nel prossimo futuro una riduzione degli ammortizzatori sociali presenti nel sistema, andando così a sgravare il bilancio dell'INPS da una serie di costi. In aggiunta verrebbe garantita una riduzione dei contributi sociali a vantaggio sia dei salari sia dei redditi da lavoro. In un mercato del lavoro sempre più flessibile dove diventa sempre più facile perdere e trovare un nuovo lavoro, il reddito di cittadinanza consentirebbe di avere una continuità economica per i periodi in cui non c'è occupazione e ciò è positivo innanzitutto per i lavoratori ma anche per il mercato stesso in un'ottica di flex-security connotata dalla flessibilità per chi assume, da una parte, e da uno Stato dall'altra in grado di formare, riqualificare e reinserire il lavoratore, incrociando la domanda con l'offerta di lavoro. In un'ottica di insieme, grazie al reddito di cittadinanza, sarà sicuramente possibile prevenire l'esclusione sociale degli individui che hanno un reddito non continuo ed esiguo. L'importante è, utilizzando strumenti di controllo all'accesso al beneficio economico, erogare il reddito di cittadinanza soltanto a quelle persone con cittadinanza italiana che ne hanno davvero diritto in una piena logica di efficientamento delle risorse pubbliche e di giustizia sociale (Applausi dei deputati del gruppo Lega-SalviniPremier).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Siracusano. Ne ha facoltà.

MATILDE SIRACUSANO (FI). Presidente, onorevoli colleghi, membri del Governo oggi e nei giorni a seguire ci occuperemo di povertà. È una parola che, fino a qualche tempo, consideravamo, nel pieno del suo significato, lontana e distante dal nostro Paese, lontana dalla percezione reale dei problemi ordinari che ci affliggono. Oggi, invece, ci troviamo a rapportarci a un'altra realtà: una povertà dilagante, una povertà che è vicina, che è concreta, di dimensioni sempre più poderose e quindi dobbiamo rapportarci ad essa in modo differente, considerarla quasi una vera e propria emergenza perché potrebbe diventarlo: questo infatti ci dicono i dati. La povertà assoluta è calcolata sulla base di una soglia corrispondente alla spesa mensile minima necessaria per acquisire un paniere di beni e di servizi considerato essenziale per uno standard di vita minimamente accettabile, prendendo a riferimento una famiglia con determinate caratteristiche. Sono classificate come assolutamente povere le famiglie con una spesa mensile pari e inferiore al valore della suddetta soglia e quindi non in grado di acquisire quel minimo di beni e servizi considerati necessari a vivere una vita decorosa.

Per capirci con esempi pratici, per una famiglia composta da tre persone, due adulti e un minorenne in età infantile, in una grande città del Centro Italia la soglia di povertà corrisponde a 1.315 euro. Per la stessa famiglia in una città di analoghe dimensioni del Sud la soglia è di 1.087 euro, mentre al Nord sale a 1.390 euro. Se, oltre ad un minore, nella stessa famiglia risiede anche un anziano, la soglia di povertà aumenta mediamente di 200 euro in ciascuna delle aree geografiche. Praticamente, essere un povero assoluto in Sicilia, in Campania o in Puglia significa non avere per un'intera famiglia nemmeno mille euro da spendere a fine mese per la semplice sopravvivenza. L'Istat recentemente ha pubblicato il rapporto sulla povertà in Italia per l'anno 2017: si tratta di dati e informazioni disarmanti, addirittura drammatici.

Le persone che vivono in povertà assoluta sono ben oltre 5 milioni, segnando il punto più elevato registrato dal 2005 dall'Istituto. Tra questi 5 milioni, i minori italiani in povertà assoluta sono addirittura un milione e 208 mila: un numero abnorme, che rischia di condannare il futuro del Paese. Il rischio di povertà cresce all'aumentare del numero dei figli minori presenti in famiglia. Tra le famiglie con almeno un figlio l'incidenza è pari al 10,5 per cento, mentre raggiunge oltre il 20 per cento tra quelle con tre o più figli. Tra gli individui più a rischio, come spesso rilevano le ricerche, ci sono anche le donne, stimate in quasi due milioni e mezzo; poco meno della metà, invece, i giovani tra i 18 e i 34 anni, un milione e 112 mila. Anche quest'ultimo dato rappresenta un triste primato dal 2005. Al Sud la maglia nera, come sempre, purtroppo. L'incidenza della povertà assoluta aumenta, infatti, tanto per le famiglie quanto per i singoli individui.

Dato che, invece, sorprende e allarma fortemente è quello del Nord, che vede la povertà aumentare nelle aree metropolitane tanto nei centri quanto nelle periferie. Questo quadro drammatico tende alla tragedia se guardiamo le dinamiche delle disuguaglianze. In Italia, più che in altri Paesi, continuano ad aumentare, e, se fino a poco tempo fa erano gli anziani ad essere quelli più a rischio povertà, in questi ultimi anni i trend ci dicono che sono sempre di più gli adulti e gli stessi giovani. Uno studio recente di un'impresa rileva che sono circa 9,3 milioni gli italiani cosiddetti deboli; quelli che, come si suole dire, non ce la fanno ad arrivare a fine mese, e sono, quindi, a rischio povertà, con l'area di disagio sociale in continua espansione.

Siamo di fronte a numeri drammatici, lo ripeto, che ci mostrano come la crisi economica iniziata dieci anni fa non sia stata ancora superata, a conferma di come le misure varate dai Governi di questi ultimi anni non siano state minimamente in grado di contrastare realmente l'impoverimento delle famiglie, né sostenerne i redditi e men che meno il potere di acquisto dei cittadini. Con riguardo alle misure e alle iniziative volte al contrasto della povertà, il contratto di Governo sottoscritto per la campagna elettorale dell'attuale maggioranza prevede l'istituzione del noto, ma anche dell'ignoto reddito di cittadinanza; questo strumento di sostegno al reddito per i cittadini italiani che versano in condizioni di bisogno.

Noto perché è da oltre cinque anni che se ne parla, sproloquiando del più e del meno, sostenendo tutto e il contrario di tutto, ma, al tempo stesso, ignoto perché ancora oggi non si sa, neanche dopo le audizioni del pluri Ministro Di Maio, come e che cosa si intende con reddito di cittadinanza. A malapena si sa che dovrebbe ammontare a 780 euro mensili per persona singola sotto la soglia di povertà Eurostat. Insomma, un altro sussidio, un'altra misura di assistenzialismo sociale, che non porterà a nulla di buono e che farà aumentare il lavoro nero e diminuire la ricchezza delle famiglie e del Paese. Si sa di sicuro che secondo i proponenti costerà tra 17 e 19 miliardi; invece, secondo l'INPS, costerà ben 38 miliardi di euro. Per quanto riguarda le coperture, non si ha la minima idea: qualcuno al Governo ha sostenuto che dovrebbe essere finanziato in buona parte con il Fondo sociale europeo, ma, da Bruxelles, in primis il Presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani ha suscitato subito allarme rispetto a questa anomalia.

Il Ministro per gli affari europei, Paolo Savona, addirittura ha risposto al question time di Forza Italia dello scorso 11 luglio e ha dovuto correggere il tiro, precisando che il Governo starebbe ancora lavorando per individuare alcune misure del reddito di cittadinanza che sarebbero da finanziarsi con il fondo strutturale europeo. Ma, senza questi fondi europei, come e in che misura sarebbe attuabile il reddito di cittadinanza? Nessuno lo sa e nessuno lo dice. E qui torniamo al principio per il quale per noi il reddito di cittadinanza non può che essere una misura assistenzialistica, della peggior specie peraltro, perché, tra le presunte voci di spesa per implementare la misura, vi sarebbe anche la trasformazione dei servizi per l'impiego pubblico, e quindi delle politiche attive del lavoro. Ciò che farebbe dire ai proponenti che non si tratta di mera assistenza. Eppure, in assenza di risorse adeguate e in presenza di difficoltà procedimentali e ordinamentali, il sistema di ricollocazione e di riqualificazione dei percettori del reddito di cittadinanza sarebbe fallimentare, privo di alcun reinserimento nel mondo del lavoro, privo di qualsiasi rilancio dell'occupazione.

Si tratterebbe di un mero sussidio, svincolato da alcun obbligo, ai soggetti più poveri, ivi compresi quelli che sono tali perché non cercano e non svolgono un lavoro regolare. Venendo, invece, alla normativa vigente, tra le misure messe in atto vi è quella oggetto del presente dibattito: il reddito di inclusione, istituito ai sensi della legge delega n. 33 del 2017, con il decreto legislativo n. 147 del 2017. Tale misura si articola in un beneficio economico e in una componente di servizi alla persona vincolati, almeno in via teorica, al rispetto di una serie di obblighi, tra i quali vi sarebbero quelli delle politiche attive del lavoro, del tutto disattese al momento, almeno dal punto di vista della performance di riqualificazione professionale e del reinserimento occupazionale.

La carta REI ha un importo che va da 190 a 530 euro mensili per le famiglie con determinati requisiti. Questi ultimi, con decorrenza dal 1° luglio 2018, sono stati ridotti, ampliando così la platea dei potenziali beneficiari. L'importo mensile, stante i dati INPS, si attesta mediamente sui 297 euro mensili. Solo nel primo trimestre 2018 il REI ha raggiunto 110 mila famiglie, per complessive 380 mila persone, tre quarti delle quali, naturalmente, al Sud, con particolare incidenza in Campania, Calabria e Sicilia. Va da sé che i circa 2 miliardi di euro stanziati per il REI si dimostrano insufficienti e rappresentano solo una parte di quelli che sarebbero necessari per fare uscire le tante famiglie italiane dalla situazione di estrema povertà in cui purtroppo versano.

È chiaro ed evidente, quindi, che tra gli scarsi 300 euro mensili del REI e i 780 euro mensili del reddito di cittadinanza chi versa in povertà guarda a questa seconda misura come una vera e propria boccata di ossigeno. Peccato che tra l'inconsistenza della prima e l'intangibilità onirica della seconda a rimetterci sono come sempre le persone: gli anziani, i disabili e i minori che debbono continuare a vivere in povertà all'ombra delle fanfare elettorali. A riprova di ciò, basti considerare che con le risorse impegnate per il REI si riesce forse a fare uscire dalla povertà assoluta meno della metà della platea effettiva. Si stima, infatti, che il REI raggiungerà a regime meno di 2 milioni di persone in povertà assoluta sui circa 5 milioni rilevati. L'Alleanza contro la povertà, che raccoglie 35 organizzazioni attive nella promozione di politiche pubbliche contro la povertà assoluta, ha quantificato in 7 miliardi strutturali le risorse a regime che effettivamente servirebbero per fare uscire dalla povertà assoluta chi oggi si trova in questa situazione. Quindi, 7 miliardi strutturali.

Come richiamato sopra, anche il REI presenta delle condizioni necessarie per avere e mantenere il beneficio della misura: si tratta della sottoscrizione obbligatoria da parte dei beneficiari di un progetto personalizzato, che dovrebbe essere volto al superamento della condizione di povertà. Il progetto è condiviso con i servizi territoriali e assegna un ruolo centrale agli enti locali. Questo comporta, in primo luogo, che questi enti debbano essere destinatari di ulteriori e maggiori risorse al fine di rendere realmente efficienti ed efficaci detti servizi, a cominciare dai centri per l'impiego, prevedendo, a tal fine, anche una riqualificazione ed un incremento del personale impiegato ben oltre a quello previsto dalla normativa vigente.

Senza risorse, come per il fantasmagorico reddito di cittadinanza, i progetti di uscita dalla povertà non funzionano, e non funzionano quelli di politica attiva. Ciò si traduce ancora e ancora in un mero sussidio, per far fronte a qualche spesa minima che non rilancia né i consumi né il risparmio, e men che meno l'occupazione e la valorizzazione dell'individuo. Senza queste risorse, il dato Istat più preoccupante, quello sui minori in povertà assoluta, che ho richiamato all'inizio del mio intervento, non potrà fare altro che crescere. Si tratta di bambini in gran parte figli di genitori disoccupati oppure monoreddito, o ancora bambini i cui genitori hanno un livello di istruzione molto basso, famiglie che non sono in grado di spendere ogni mese quello che serve per acquistare i beni e i servizi essenziali per mantenere uno standard di vita accettabile. Questi bambini sono esposti a forme gravi di privazioni materiali che mettono a repentaglio il loro futuro, che è anche quello del nostro Paese. Oltre la metà di loro non legge un libro, quasi uno su tre non usa Internet e più del 40 per cento non pratica sport né attività ricreative in genere. In termini di deprivazione economica e di povertà i minori sono sicuramente quelli che stanno pagando il prezzo più alto di questa lunga crisi e della lentezza e inadeguatezza delle misure messe in campo dai Governi precedenti e dall'attuale laddove, invece, devono vedersi riconosciuto e tutelato il diritto di ottenere dalla collettività cura, protezione sociale, promozione personale. È indispensabile, quindi, che il Governo dia una risposta immediata a questa condizione insopportabile nella quale si trovano a vivere, nel nostro Paese, oltre 1 milione 200.000 minori in povertà assoluta, attraverso un sostegno mirato a chi ne ha veramente bisogno.

A ciò si aggiunga che un reale sostegno al reddito e al potere d'acquisto dei nuclei familiari più in difficoltà e a maggior rischio di povertà ed esclusione sociale non può non prevedere un'efficace politica di sostegno alla famiglia quale, per esempio, l'implementazione degli asili nido o delle strutture per l'infanzia, laddove attualmente si conferma troppo spesso insufficiente e con una distribuzione sul territorio nazionale fortemente squilibrata. Serve, dunque, mettere al primo punto dell'attività il contrasto alla povertà e quello della lotta alla deprivazione dei minori, prevedendo l'erogazione di un assegno universale per tutti i bambini e minori appartenenti a nuclei familiari in condizioni di povertà assoluta a integrazione e cumulabile con il reddito di inclusione, come peraltro già ampiamente promosso da Forza Italia anche nel corso della XVII legislatura con specifiche proposte cui, purtroppo, non è stato dato alcun seguito.

Chiediamo di implementare e promuovere opportune politiche fiscali, incentivi mirati alle imprese ed efficaci politiche attive del lavoro che favoriscano realmente l'occupazione, contribuendo, conseguentemente, a sostenere il potere d'acquisto delle famiglie e alla riduzione del disagio sociale per molti cittadini. Interveniamo sui centri per l'impiego per rendere più performante l'incrocio domanda-offerta di lavoro e l'attività di orientamento e scouting, creando, in maniera omogenea e su tutto il territorio nazionale, valide sinergie pubblico-privato con il coinvolgimento diretto delle agenzie per il lavoro. Serve che al mero assegno monetario si combinino misure di maggiore tutela del potere di acquisto delle famiglie, provvedendo a politiche di welfare che puntino ad incrementare le strutture e i servizi socio-educativi per l'infanzia, anche al fine di superare le attuali forti disomogeneità territoriali nell'offerta di detti servizi. Deve essere garantito a tutti i possibili beneficiari del REI di poter usufruire di questa misura e di farlo con il rispetto degli opportuni vincoli volti all'emersione della povertà. Servono, quindi, efficaci e capillari campagne informative mirate verso i potenziali percettori, superando quelle criticità che hanno finora limitato il numero degli effettivi potenziali beneficiari e, come accennato prima, servono procedure di registrazione, profilazione, qualificazione professionale e reinserimento nel lavoro che vedano agenzie per il lavoro e centri per l'impiego attivi in maniera sinergica e analoga in tutte le regioni, nel pieno rispetto e promozione dei livelli essenziali di prestazioni. Incrementare le risorse per il REI, quindi, è il primo passo indispensabile per ampliare notevolmente la platea dei beneficiari. Occorre poi implementare le risorse a favore degli enti locali e dei servizi territoriali, quali servizi sociali, centri per l'impiego e agenzie formative, prevedendo per detti servizi, a cominciare dai centri per l'impiego, una riqualificazione ed un sensibile incremento del personale ivi impiegato.

Concludo con un monito, anzi con una preghiera accorata che rivolgo a questo Governo: basta slogan, basta propaganda. Governare significa altro, significa essere responsabili della pelle dei cittadini, del loro benessere, della loro qualità della vita, dell'ordinario. Basta fare rumore e proporre cose improponibili, cose che si concretizzeranno mai, in attesa della prossima scadenza elettorale. Presidente, onorevoli colleghi, le premesse di questo Governo, detto del cambiamento, non sono molto confortanti. Forza Italia, che ha sempre dato lezioni di responsabilità sulla scia dell'azione del Presidente Berlusconi, che ha sempre anteposto, con le sue scelte, il benessere dei cittadini e del Paese anche a quelle del proprio partito, sarà da esempio anche in questa legislatura e continuerà a farlo, con l'auspicio che ne farete tesoro (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Giannone. Ne ha facoltà.

VERONICA GIANNONE (M5S). Grazie, Presidente. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, nessuno deve rimanere indietro. Attualmente in Italia troppe persone e troppe famiglie non dispongono di un reddito che permetta loro di vivere dignitosamente. La mancanza di lavoro e di occupazione ne è la causa principale. Bisogna agire sui redditi e sul lavoro. Lo Stato non può restare fermo di fronte a tale problematica. Per troppo tempo e per troppe volte il Parlamento ha deciso di ignorare i cittadini; per troppo tempo e per troppe volte ha voluto essere miope di fronte ai problemi che attanagliano la società; per troppo tempo e per troppe volte sono state ricercate soluzioni palliative e fittizie a questi problemi, come il reddito di inclusione, il cosiddetto “REI”, puro fumo negli occhi messo in piedi, coscientemente in maniera deficitaria, da chi credeva bastasse il nome di reddito di inclusione per risolvere il problema della povertà nel nostro Paese.

La crisi mondiale in atto non è contingente, ma sistemica e strutturale. È un punto di non ritorno con cui il capitalismo globale deve assolutamente fare i conti. Negli ultimi decenni abbiamo assistito ad una progressiva e scellerata ridistribuzione della ricchezza nei Paesi occidentali che, aumentando sempre più il divario tra classe più ricca e quella meno ricca, ha contribuito a ridurre, in maniera determinante, il potere d'acquisto delle famiglie e delle persone meno agiate, minacciando le fondamenta stesse dell'attuale sistema economico.

Bene, onorevole Presidente, è giunto il momento di agire e di farlo subito, con un cambio di rotta deciso, cambio di rotta che parte dal cambiamento voluto il 4 marzo scorso dai cittadini italiani. Il nostro obiettivo sarà quello di mettere al centro dell'azione politica il benessere del cittadino riconoscendone, innanzitutto, i diritti di base, ovvero quelli di avere la possibilità e gli strumenti necessari per vivere una vita dignitosa: il diritto al lavoro, il diritto all'istruzione, il diritto all'informazione e il diritto alla cultura.

Abbiamo messo da parte per troppo tempo i diritti dell'uomo per fare posto al consumismo sempre più estremo, oltre che all'interesse dei pochi. È necessario rivedere tutto il sistema: dobbiamo rivedere il concetto stesso di lavoro e del perché lavoriamo. Lavoriamo per offrire beni e servizi alla società, lavoriamo per essere retribuiti e garantirci gli stessi beni e servizi che la società ci offre, lavoriamo per assicurarci un guadagno grazie alla formazione scolastica e alle competenze acquisite negli anni, lavoriamo non per far crescere l'indice di produttività ma per far crescere il benessere, per vivere una vita dignitosa e felice. Occorre quindi, onorevole Presidente, onorevoli colleghi, prendere coscienza del fatto che, con le misure adottate dalla passata classe politica, potevamo salutare definitivamente il lavoro stabile e garantito per tutti. La conseguenza del lavoro finora svolto da chi oggi siede tra i banchi dell'opposizione è una progressiva e irreversibile esclusione di tanti cittadini dal tessuto sociale e, dunque, un voluto impoverimento generale della società. Non solo: grazie ad essi abbiamo assistito ad una perdita progressiva di inclusione e di comunità, il cui contrappeso è un aumento dell'insicurezza, del rischio sociale e della violenza urbana, oltre che fonte di rabbia e di difesa individuale di alcuni privilegiati.

La criticità della situazione attuale è confermata dai dati. Negli ultimi anni, infatti, l'Italia è risultato il Paese dell'Eurozona che è cresciuto al ritmo più lento, circa un terzo della media comunitaria. Il livello di tassazione e di contribuzione sul lavoro è divenuto oramai insostenibile per le imprese e non solo: infatti, riduce il reddito disponibile delle famiglie, oltre a penalizzare la competitività delle imprese stesse. L'elevata imposizione sui redditi di lavoro comporta, infatti, un livello di retribuzione netta tra i più bassi di Europa. L'effetto dell'elevata contribuzione sociale, invece, è quello di rendere il costo del lavoro molto più elevato della retribuzione lorda, ponendo l'incidenza del cuneo contributivo in Italia con il valore più alto tra quelli rilevati negli Stati aderenti all'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico.

Nell'attuazione di politiche sociali volte al contrasto della povertà e dell'esclusione sociale lo Stato ha finora risposto in modo insufficiente. Uno Stato, il cui scopo è prendersi cura dei cittadini che ne fanno parte, non deve lasciare indietro nessuno. Infatti, ogni cittadino deve poter contare, in uno Stato civile, sul reddito di cittadinanza, ovvero un reddito minimo indispensabile per vivere dignitosamente, sul diritto alla casa, al riscaldamento, al cibo, all'istruzione e all'informazione. Dobbiamo attivarci per consegnare ai cittadini un reddito minimo che sia utile a ottenere un lavoro congruo, nel rispetto della formazione scolastica e delle competenze professionali acquisite.

Altra esigenza è quella di abbattere la condizione di schiavi moderni, cioè la condizione nella quale si trovano tanti individui, laureati e non, costretti ad accettare qualsiasi lavoro, sottopagato, precario, senza possibilità di crescita o addirittura senza un adeguato contratto. Oggi i giovani che restano in Italia non hanno più speranza nel futuro.

Il fine della presente mozione è quello di raggiungere l'introduzione del reddito di cittadinanza, ossia di quelle misure sociali ed economiche volte a realizzare l'obiettivo, più volte ribadito dall'Unione europea, di una ridefinizione del modello di benessere collettivo adottato dallo Stato italiano, abbandonando per sempre l'attuale organizzazione frammentaria e assistenzialistica e indirizzando le scelte politiche verso l'adozione di un sistema volto a ridurre l'esclusione sociale e ad accrescere la possibilità di sviluppo di ciascun individuo nell'ambito della moderna società organizzata. Non dovrà essere e non sarà, come sostengono invece i partiti di minoranza, una misura assistenziale, in quanto reddito primario, cioè reddito che remunera un'attività produttiva di valore, che è l'attività di vita, come sostiene l'economista Andrea Fumagalli.

I meccanismi attraverso cui realizzare tale obiettivo vanno ricondotti ad una misura unica, in grado di svolgere una doppia funzione: da un lato garantire un livello minimo di sussistenza, e dall'altro incentivare la crescita personale e sociale dell'individuo, attraverso l'informazione, la formazione e lo sviluppo delle proprie attitudini e della cultura, con la conseguente reimmissione nel mondo del lavoro.

L'approvazione di questa mozione, oggi più che mai, rappresenta un obbligo per l'Italia. La passata maggioranza e attuale minoranza di Governo per troppe volte e per troppi anni ha volutamente preso tempo nel ricercare soluzioni effettive ai problemi dell'Italia. È quindi doverosa, oltre che necessaria, l'approvazione di questa mozione, che impegna il Governo a riconoscere a tutti i cittadini il diritto di ricevere un reddito minimo.

Concludo, Presidente, rassicurando chi ora siede in questo Parlamento come minoranza. Voglio rassicurarli che il Governo del cambiamento ha iniziato il suo lavoro di rivoluzione: giovedì i vitalizi, e oggi la mozione che permette al reddito di cittadinanza di essere realtà. Lavoreremo costantemente, perché dobbiamo recuperare il tempo perso da chi non ha mai voluto muovere un dito a favore dei cittadini. Faremo con i fatti quello che fino ad ora chi ha governato non ha mai avuto il coraggio di fare: dare dignità a tutti i cittadini (Applausi dei deputati dei gruppi MoVimento 5 Stelle e Lega-SalviniPremier)!

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Rizzo Nervo. Ne ha facoltà.

LUCA RIZZO NERVO (PD). Presidente, onorevoli colleghi, l'obiettivo della mozione presentata dal Partito Democratico è quello di riaprire in questa legislatura una discussione sulla povertà, sugli strumenti per contrastarla, sugli strumenti per dare percorsi di autonomia e riscatto alle persone che ne sono attraversate. L'obiettivo di questa mozione non è genericamente tenere alta l'attenzione sulla povertà e la fragilità economica e sociale di molte famiglie: l'obiettivo è tenere vivi gli strumenti che hanno finalmente consentito nel nostro Paese di avere una strategia complessiva, sistemica, di breve, medio e lungo periodo di contrasto alla povertà, quegli strumenti che c'erano da tempo in tutta Europa e che mancavano clamorosamente nel nostro Paese.

Lungo la scorsa legislatura si è sanata questa grave lacuna. Non lo diciamo dentro ad una consolante autocelebrazione: sì, certo, il reddito di inclusione e la strategia nazionale contro la povertà per l'inclusione sociale sono uno dei lasciti migliori dei Governi del centrosinistra. Lo sono gli oltre 7 miliardi investiti contro le disuguaglianze e la povertà lungo la scorsa legislatura, lo è aver fatto avanzare una cultura di contrasto alle povertà che non si limita al sussidio, che non identifica i poveri come una categoria immanente e la povertà come un destino scritto, ma che si sforza di costruire, con tutti i soggetti, dai servizi sociali a quelli della formazione del lavoro, alla famiglia, un percorso personalizzato, abilitante, che mira all'autonomia e al recupero di dignità e futuro; partendo dalle persone, dall'empowerment delle loro risorse, riconoscendo con realismo però in questo percorso, perché non risultasse teorico, quando non peggio, ipocrita, l'esigenza di un sostegno al reddito che colmi la distanza fra il reddito della persona e la soglia della povertà assoluta.

Oggi questo strumento c'è: è il reddito di inclusione. Oggi, laddove nel 2013, quando si sono insediati i Governi di centrosinistra, vi erano 40 milioni di euro, peraltro a titolo di sperimentazione, sulla povertà, a cinque e passa anni dall'inizio della crisi, bene, lì oggi a bilancio, ogni anno e per sempre, ci sono 2,3 miliardi di euro e poi ci saranno 3 miliardi di euro. È stato uno dei lasciti migliori dei Governi della scorsa legislatura, ma oggi è un patrimonio di questo Paese. Questo vorremmo che senza pregiudizi quest'Aula assumesse: oggi è un patrimonio di questo Paese, e lo è anche il percorso che ci ha portati fin qui, fatto di sperimentazione, di analisi e verifica dei risultati, di correzioni, della presa d'atto anche della parzialità e della necessità di rilanciare, potenziando e rendendo sempre più universalistica questa strategia.

Ora infatti non ci si può e non ci si deve fermare: bisogna andare avanti, perché la frequentazione della realtà, ancor prima e più che le statistiche dell'ISTAT, ci dice che c'è ancora molto da fare, se si ha l'obiettivo, insieme ambizioso e minimo, di eradicare la povertà dal nostro Paese. Perché non è tollerabile nemmeno una famiglia, nemmeno un bambino a cui sono precluse, per povertà economica, le possibilità e le opportunità di futuro.

Quello che con questa mozione vogliamo dire a questo Parlamento, ed in particolare a questa maggioranza e a questo Governo, è che c'è l'occasione di sfuggire ad una prassi sbagliata che attanaglia il nostro Paese, una prassi che fa coincidere la sana alternanza democratica con il ricominciare ogni volta da capo, smentendo come un necessario fallimento tutto il lavoro fatto in precedenza. È evidente che non è così. Ora, io credo che questo sia un limite drammatico nella nostra dinamica democratica in qualunque ambito, ma diventa colpa grave quando parliamo di povertà ed emarginazione sociale, quando parliamo di dignità delle persone, quando parliamo della loro autonomia, quando parliamo, in fondo, della loro libertà. Quando parliamo di questo davanti non abbiamo la telecamera dell'ennesima diretta Facebook, ma persone in carne ed ossa con aspettative, paure e speranze. A questa urgenza non possiamo rispondere riazzerando sempre tutto, ricominciando ogni volta dal “via” come in un cinico gioco dell'oca sulla pelle di chi non ce la fa.

E allora se questo è vero, come è vero, signor Presidente, abbiamo l'occasione di rompere questa abitudine, pur nella legittimità, che ha ogni forza politica che è chiamata nell'esercizio di un nuovo Governo, di realizzare ciò che si è ripromessa di fare; ma partendo da un'analisi di quello che c'è, per fare di più e meglio, se è possibile, se ne sono capaci, non per fare tabula rasa. Se non vi fidate di noi, se leggete strumentalità politica in quello che stiamo sostenendo, ascoltate l'Alleanza contro la povertà, grazie al cui contributo, ideale e sostanziale, siamo arrivati al Rei, che dice che il reddito di inclusione è la strada giusta che dev'essere adeguatamente implementata con le risorse necessarie a coprire tutta la platea e a rafforzare i servizi pubblici territoriali, non essendo possibile prescindere da un principio di stabilità della misura, rifuggendo ogni tentazione di riforma della riforma.

Conferma e rilancio, dunque. L'alleanza contro la povertà non è il nome di un circolo del Partito Democratico, ma è l'insieme delle realtà associative del terzo settore che ogni giorno e ogni notte si occupano concretamente di chi vive la povertà, nelle mense, nelle periferie, a tu per tu con la fragilità: Caritas, ACLI, Comunità di Sant'Egidio, Save the children, Banco alimentare, solo per citarne alcune; se non vi fidate di noi fidatevi almeno di loro.

E allora se volessimo una volta tanto vedere dove siamo arrivati, scopriremmo una misura che sta trovando riscontro nella quotidianità di molte persone, pienamente operativa dal gennaio 2018: nel primo trimestre 2018 sono risultate coperte dalla misura unica nazionale contro la povertà oltre 230 mila nuclei familiari, circa 870 mila persone. La maggior parte dei benefici economici risulta erogata nelle regioni del Sud, e soprattutto a famiglie con figli minori, mentre sono circa il 20 per cento le famiglie con disabili.

Un primo risultato importante, ma ancora troppo parziale rispetto al bisogno. Per questo con l'ultima legge di bilancio si è deciso di fare un ulteriore passo in avanti importante: dal 1° luglio, infatti, il reddito di inclusione è uno strumento universale (lo dico anche alla collega che richiamava dei requisiti soggettivi che ne limitavano l'accesso e che non ci sono più). Oggi l'unica soglia d'accesso è il reddito: dal 1° luglio si è aperto l'accesso al Rei ad oltre 2 milioni e mezzo di persone, pari a 700 mila famiglie italiane.

Non basta ancora: bisogna raggiungerli tutti, quei 5 milioni italiani in condizione di povertà assoluta. Bisogna farlo potenziando ed estendendo il reddito di inclusione, non azzerando tutto per avventurarsi su strade incerte, nuove, lontane nel tempo e che sottendono un'idea assistenzialistica. Il REI, oggi, è un elemento di certezza per i diversi attori, lo è per gli enti locali e i loro servizi sociali, lo è per i soggetti del terzo settore, che hanno bisogno di strumenti stabili e consolidati, perché le riforme hanno bisogno di continuità, ma soprattutto le persone fragili hanno bisogno di stabilità e di continuità, non di spot una tantum. E, allora, come Partito Democratico proponiamo a questo Parlamento di rilanciare forte, per dare compimento pieno alla strategia contro le povertà: potenziamo e allarghiamo il REI a tutti quelli che sono in povertà assoluta; una scelta concreta, immediatamente attuabile e realizzabile in pochissimo tempo, da concretizzare da qui alla prossima legge di bilancio, ben diversa dal libro dei sogni fatto contratto. È la via più semplice, che vi potete anche intestare, piuttosto che seguire strade complesse, lunghe e, infine, irrealizzabili.

Le risorse annunciate sulla riforma dei centri per l'impiego, come premessa, forse, un giorno, chissà, al reddito di cittadinanza, sono un salto nel buio, senza certezza di esito. Chiedere soldi all'Europa è generico, a meno che non intendiate, per quei soldi, i soldi del PON che sono dedicati a rafforzare i servizi sociali; in quel caso avrete da noi un'opposizione forte e radicale. La stessa cifra, anzi, i 3 miliardi, diciamo noi, raddoppiando le risorse, destinate al REI su uno strumento che c'è e funziona vorrebbe dire, invece, fare l'ultimo miglio di un percorso virtuoso. Questo è il senso della mozione che discutiamo e del progetto di legge che abbiamo presentato. Allargare la platea dei beneficiari del reddito di inclusione fino a raggiungere i cinque milioni in povertà assoluta, raddoppiare le risorse da tre a sei miliardi con coperture certe e individuate, migliorare e rafforzare i servizi sociali territoriali, sono i tre pilastri della nostra proposta. Su questa strada daremo un segno concreto, efficace e credibile; tre aggettivi che servono molto alla politica, in questi tempi.

Lo dobbiamo fare - e concludo, Presidente - per offrire riscatto e progetti di vita; dobbiamo farlo per non arrenderci a veder crescere, nelle nostre città, la città di chi ce la fa e la città di chi non ce la fa, divise, separate; dobbiamo, invece, ricomporre fratture, includere le fragilità e dare loro una possibilità di riscatto, offrire occasioni di vita, non solo di sopravvivenza, fiducia e non elemosina; questo, in fondo, è l'obiettivo del REI.

Cara maggioranza, se fai sul serio, se davvero ti interessa la dignità delle persone, c'è un'occasione che, come Parlamento, non possiamo farci sfuggire. Non avventuratevi su strade impossibili, oscure per poi cercare giustificazioni al vostro fallimento. Approviamo questa mozione e, soprattutto, la legge che potenzia ed estende il REI e avremo portato a termine un compito, avremo vinto tutti (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Murelli. Ne ha facoltà.

ELENA MURELLI (LEGA). Signor Presidente, membri del Governo, onorevoli colleghi, il Governo Renzi, con la legge 15 marzo 2017, n. 33 e la sua disciplina attuativa, il decreto legislativo 15 settembre 2017 n. 147, ha istituito una misura unica nazionale di contrasto alla povertà, chiamata Reddito di inclusione, REI, individuato come livello essenziale delle prestazioni da garantire uniformemente su tutto il territorio nazionale. Tale strumento raggiunge, sostanzialmente, solo ed esclusivamente le famiglie che risultano in condizione di povertà assoluta, che sono stimate in 110 mila famiglie, ovvero 317 mila persone, con un importo medio del beneficio mensile pari a 300 euro che sale a 430 in caso di minori. Tuttavia, secondo i dati dell'Istat, nell'anno 2017, ci sarebbero in povertà assoluta 1 milione 778 mila famiglie residenti, in cui vivono 5 milioni di persone. Anche la povertà relativa è cresciuta, si stima 3 milioni 171 mila famiglie residenti e 9 milioni 368 mila individui. Ancora più allarmanti sono i dati della popolazione esposta a rischio di povertà, pari a 18 milioni 136 mila 663 individui, come riportato sui quotidiani nazionali, in questi giorni.

Vorrei focalizzare, però, il mio intervento sull'aspetto lavorativo, in quanto i dati sono in peggioramento. Si stima al 19,5 per cento l'incidenza di povertà relativa alle famiglie di operai e assimilati e al 37 per cento quella delle persone in cerca di occupazione. Secondo l'Istituto di statistica, il tasso di disoccupazione giovanile, nella fascia 15-24, è pari al 31,5 per cento, in miglioramento rispetto ai precedenti sei mesi, ma sempre molto alto rispetto agli altri Paesi europei. L'Italia ha un sistema di welfare in ritardo strutturale in relazione ai mutamenti che stanno avvenendo nel mercato del lavoro; il sistema lavorativo italiano non ha preso, fino ad ora, in considerazione le trasformazioni che riguardano il tradizionale lavoro, basato su occupazione a tempo pieno, mansioni per lo più univoche e una carriera definita sul ciclo di vita. Questa realtà non esiste più, in un mondo globale e ipertecnologico possiamo dire che la riforma del Jobs Act ha fallito e così pure il cosiddetto REI, molto lontani dalla realtà e dalle esigenze della popolazione.

Rispetto al REI, il reddito di cittadinanza che noi proponiamo è una misura più adeguata e continua, che non ha carattere solo meramente assistenziale, ma dà un efficace sostegno sociale a chi non è in grave marginalità, ma perde temporaneamente il lavoro, soprattutto al giorno d'oggi, in cui il mercato del lavoro è sempre più flessibile, dove diventa sempre più facile perdere e trovare un nuovo lavoro. In Italia, non userei la parola flessibilità, ma precarietà, perché in Italia il lavoro è qualcosa di incerto, instabile; questo è il termine giusto da usare nel sistema del lavoro italiano, con delle grandi lacune, come sottolineato, e che ora andrò ad illustrare.

Il reddito di cittadinanza non ha, come ribadito dal Presidente Conte, mera natura assistenziale, bensì di reinserimento dei cittadini italiani momentaneamente disoccupati. In Europa, il reddito di cittadinanza è istituito in 28 Paesi, ad esclusione di Italia e Grecia. Esso può considerare diversi aspetti: la residenza, la cittadinanza, la povertà assoluta, il reddito, lo stato di malattia e altre condizioni, ma in ogni Paese è fondamentale l'organizzazione del sistema dei centri per l'impiego, dove la domanda è contraccambiata da un'offerta. In Italia, il sistema dei centri per l'impiego è sempre stato trascurato; si contano circa 556 sportelli, con meno di 9.000 dipendenti, di cui solo 1.300 a tempo determinato, contro i 110.000 dipendenti dei corrispettivi tedeschi e, oggi, non riescono a trovare un lavoro quasi a nessuno. Si stima, infatti, che su cento persone in nuove assunzioni, solo una proviene dai centri per l'impiego. È quello che sta a indicare che manteniamo 556 centri per l'impiego improduttivi.

Per le politiche del lavoro si sono spesi finora 7 miliardi di euro, di cui il 55 per cento destinato a incentivi per le assunzioni, il 40 per cento alla formazione, il 4 per cento all'avvio di startup e solo l'1 per cento alla creazione diretta di posti di lavoro. Sono mancate le risorse, manca un sistema centralizzato di banche dati, dove i centri per l'impiego, INPS, Agenzia delle entrate, direzioni territoriali del lavoro, agenzie formative accreditate e ASL condividano le proprie banche dati, in modo da favorire l'incrocio fra domanda e offerta.

Ma nel resto d'Europa, come funziona? La Germania, per esempio, su 46 miliardi stanziati per le politiche del lavoro ne dedica 11 ai servizi pubblici per l'impiego e 7,5 alla formazione e alle misure per reinserimento e creazione di posti sussidiati, equivalenti dei nostri lavori socialmente utili. Solo 600 milioni vengono spesi per incentivare le assunzioni. I Pôle emploi francesi hanno 50.000 addetti e assorbono 5,5 miliardi, mentre altri 16 vanno alle politiche attive e gli incentivi assorbono un miliardo. Le risorse pubbliche, insomma, vengono investite in politiche attive, con l'obiettivo di ridurre la spesa in quelle passive; il contrario di quello che succede in Italia. È necessario, quindi, primo, istituire un buon sistema di supporto per far combaciare domanda e offerta, ma il reddito di cittadinanza non deve essere una sussistenza, un atto caritatevole, bensì uno strumento di aiuto. È necessario, per secondo, istituire un sistema di controlli, tale per cui i furbetti che ora percepiscono agevolazioni non possano lavorare anche in nero. Terzo, negare il reddito a chi si rifiuta di svolgere le mansioni dell'attività lavorativa offerta, questo per consentire l'inserimento del fruitore del reddito di cittadinanza nell'ambito del mercato del lavoro.

Come è già stato evidenziato da alcuni colleghi, il reddito di cittadinanza così proposto rispetta l'articolo fondamentale della nostra Costituzione, l'articolo 36, 1° comma: “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e, in ogni caso, sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa”. Il concetto di esistenza dignitosa è ripreso dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, all'articolo 34, comma terzo. Emerge, quindi, che sia la Costituzione italiana, sia l'ONU, sia l'Unione europea concepiscono come fondamentali gli strumenti in grado di garantire libertà e dignità a tutti coloro che non hanno i mezzi sufficienti per poter avere tali diritti e, appunto, il reddito di cittadinanza li garantisce.

Concludo, sottolineando che requisito fondamentale della nostra proposta è riconoscere il reddito di cittadinanza, così appunto chiamato, solo ed esclusivamente ai cittadini italiani, come previsto da tanti legislatori in altri Paesi europei (Applausi dei deputati del gruppo Lega-SalviniPremier), escludendo dal sussidio gli stranieri residenti e anche i cittadini italiani che non hanno mai lavorato. Il nostro punto cardine è: prima gli italiani (Applausi dei deputati del gruppo Lega-SalviniPremier) e così sempre, in tutti i nostri atti, continueremo a ricordarlo: prima gli italiani (Applausi dei deputati del gruppo Lega-SalviniPremier)!

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Lepri. Ne ha facoltà.

STEFANO LEPRI (PD). Presidente, signori colleghi, in questo dibattito un po' surreale, con un'Aula totalmente assente, il PD ha voluto presentare questa mozione e, soprattutto, insistere sulla questione e sulla proposta del reddito di inclusione.

Noi abbiamo ben illustrato in questa discussione i tratti essenziali della proposta; dopo aver fatto una lunga sperimentazione, abbiamo migliorato la nostra proposta, per cui dal 1° luglio ci sono significativi aggiustamenti, favorendo l'accesso, migliorando anche gli importi che sono riconosciuti e rendendo la platea di beneficiari più ampia. Abbiamo poi presentato, proprio in questi giorni, un nuovo disegno di legge che punta a migliorare ulteriormente, soprattutto a rendere davvero universalistica questa misura, che è potenzialmente universalistica nella legge attualmente in vigore ma deve diventarlo, soprattutto con una maggiore dotazione, per cui noi pensiamo di raddoppiare le risorse oggi in campo e davvero rendere la misura accessibile per chi ne ha diritto, quindi per i 4-5 milioni di italiani in condizioni di indigenza.

Abbiamo fatto poi ulteriori proposte di grande rilievo, per esempio abbiamo introdotto il contratto di ricollocazione, già previsto per chi ha perso il lavoro, anche per le persone che possono beneficiare del reddito di inclusione. Di fronte ad una proposta così articolata, così sperimentata e così aggiustata attraverso appunto un lavoro di miglioramento costante, ci domandiamo: perché mai questo Parlamento e perché mai questa maggioranza non dovrebbe valorizzare questo strumento che noi consideriamo così importante, anche con le modifiche che abbiamo avanzato con un nuovo disegno di legge, in continuità con la misura già in essere e crescentemente efficace, come dimostrano i dati dell'INPS? A questa domanda c'è una risposta molto semplice: perché esiste una pozione magica, una parola magica, una formula magica, il reddito di cittadinanza, che dovrebbe risolvere appunto queste questioni e, in particolare, sradicare la povertà.

Abbiamo apprezzato anche gli sforzi dei colleghi di maggioranza della Lega Nord, con qualche strafalcione anche in questi ultimi interventi. Per esempio, non si capisce perché gli italiani che non hanno mai lavorato non potrebbero beneficiare della misura. È esattamente per questo, soprattutto per i disoccupati di lungo periodo, che si pensa al reddito di inclusione, e spero anche al reddito di cittadinanza. Ma torniamo a noi. Il reddito di cittadinanza, perché per noi è fumo negli occhi o forse di più? Ci sono almeno quattro grandi ragioni, e io, più che lodare ulteriormente il reddito di inclusione, vorrei proprio concentrarmi sui limiti del reddito di cittadinanza, perché davvero ormai è questo il derby politico che su questo tema ci stiamo giocando. Il primo limite è già stato ben rappresentato: la proposta del reddito di cittadinanza ha un approccio solamente lavoristico. Eppure le cause della povertà non sono riconducibili solo all'assenza di lavoro. Sappiamo, conoscendo le tante persone che vivono una condizione di privazione, come la mancanza di reddito sia solo una delle ragioni che determina la povertà; ci sono povertà di tipo educativo, povertà legate a traumi che sono stati vissuti e non risolti, eccetera. Allora come pensare di risolvere il problema della povertà solo attraverso un approccio lavoristico? Ci vuole un approccio multidisciplinare, soprattutto una risposta multipla, da più soggetti. Perché solo il centro per l'impiego? Ci vogliono anche i servizi sociali, ci vuole il Terzo settore, e tutto questo è assolutamente assente nella proposta del reddito di cittadinanza. Seconda ragione: proprio recentemente, il Ministro Di Maio, il padre, il padrino - potremmo dire così - del reddito di cittadinanza, ha detto: noi l'abbiamo pensato - forse è stato mal suggerito - per chi ha perso il lavoro. Allora noi cogliamo l'occasione di questo dibattito un po' surreale, ripeto, perché nessuno - forse qualche parlamentare Cinquestelle che sta nelle dita di una mano - ci sta ascoltando, e allora preghiamo loro di riferire al loro leader Di Maio che esiste già una misura per chi ha perso il lavoro; anzi, ce ne sono diverse, le abbiamo messe a punto nella scorsa legislatura dentro questo famigerato e in realtà ben efficace JobsAct, che si chiamano Naspi, che si chiamano DIS-COLL, e potrei continuare.

Dunque, chi perde il lavoro oggi ha già gli strumenti, e anche con risorse significative, per potersi ricollocare, formare e trovare una nuova occupazione. Allora informo i colleghi dei Cinquestelle che la questione non è esattamente questa, non è per chi perde il lavoro, ma per i disoccupati di lungo periodo, cioè per chi ha perso il lavoro da almeno 24-48 mesi, oppure per chi il lavoro non l'ha mai trovato, è esattamente tutta un'altra cosa. Vogliamo anche informare la maggioranza che non facciano i furbi, cioè che non pensino di cambiare il nome alla DIS-COLL e soprattutto alla Naspi, perché queste misure esistono già. Cambiare solo il nome per fare le stesse cose, non va bene. Terza ragione per cui riteniamo che questa proposta sia insostenibile, che è davvero la più significativa: gli importi che sono previsti nel disegno di legge presentato nella scorsa legislatura - in questa non si è ancora visto disegno di legge, forse perché lo stanno ripensando, almeno speriamo - conteneva un allegato - andate a guardarlo -, l'allegato n. 1, dove, a seconda dei componenti del nucleo familiare, vengono previsti i benefici da concedere. Prendete, per esempio, la riga che riguarda i figli a carico. Un nucleo familiare con papà, mamma e due figli può prendere - anzi, prende -, da quella tabella, 1.600 euro e rotti; se i figli sono adolescenti, si arriva oltre 1.900 euro. Se invece questa cifra viene presa su una carta prepagata, si ottiene un ulteriore 5 per cento, senza considerare anche le aggiunte ulteriori, per esempio per l'affitto. Dunque, cifre assurde, cifre irragionevoli, cifre che non possono fare altro che riconoscere il diritto all'ozio. Noi siamo totalmente contrari a soluzioni che incentivino l'indolenza (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico); questa è la terza ragione. Quarta e ultima ragione, anche se ce ne sarebbero molte altre, ma vado a concludere: non c'è copertura. Anche questa non è propriamente una ragione di poco conto. Il conto è presto fatto. Qualcuno dice 17 miliardi, qualcuno dice 20, l'INPS dice 30, in realtà, comunque, sono cifre enormi - enormi! - e solo chi gioca di prestigio, come ha fatto in questi giorni il fallito Ministro all'economia ora ridimensionato a Ministro degli affari europei, il professor Savona, può dire che ci sono già le risorse attraverso trucchi; forse è più bravo il mago Zurlì del Ministro Savona a trovare queste coperture.

In realtà, il Vicepresidente e Ministro, onorevole Di Maio, lui sì, ha un precedente a cui probabilmente ha fatto riferimento inconsapevolmente. Si tratta dell'onorevole Achille Lauro, che negli anni Cinquanta - forse lo conoscevano i suoi genitori, perché anche lui è campano come l'onorevole Di Maio - era uso fare campagna elettorale concedendo prima una scarpa ai potenziali elettori e poi dando la seconda solo a cose fatte. Almeno, l'onorevole Achille Lauro i soldi per le scarpe ce li metteva lui, invece qui la campagna elettorale fatta dai Cinquestelle è stata fatta millantando credito con promesse da mercante. La differenza è molto semplice: qui i soldi li mette Pantalone!

Concludo. Noi abbiamo una proposta seria, che abbiamo migliorato in questi mesi e che vogliamo ulteriormente migliorare. Questa è la proposta che riteniamo il Parlamento debba e possa considerare. Siamo pronti ad ogni miglioramento, ma vi chiediamo di non illudere ancora gli italiani e di restare con i piedi per terra (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Locatelli. Ne ha facoltà.

ALESSANDRA LOCATELLI (LEGA). Presidente, onorevoli colleghi, negli ultimi anni le politiche sociali sono state oggetto di dibattito e di interessanti tentativi di riforme, al fine di superare i rischi sociali, di attendere i bisogni crescenti dei cittadini italiani, di sviluppare nuovi modelli di intervento che potessero garantire forme di sostegno al reddito, bonus di supporto specifico e altre misure in grado di dare una boccata di ossigeno a cittadini che versano in grave disagio sociale ed economico. I dati ISTAT che descrivono l'andamento della povertà nel nostro Paese - sono ben stati illustrati prima - sono particolarmente allarmanti.

Soprattutto, se consideriamo il dato disgregato tra povertà assoluta e povertà relativa, è evidente quanto sia necessario intervenire per contrastare l'esclusione sociale, le disuguaglianze di reddito e l'indigenza grave. La possibilità di avere un reddito dignitoso è l'unico mezzo per poter sfuggire globalmente alla povertà. Garantire ai propri cittadini un'esistenza dignitosa e la possibilità di lavorare e mantenere una famiglia sono prerogative di uno Stato sociale che agisce in modo strategico per evitare che molte altre famiglie crollino in uno stato di povertà assoluta, di grave deprivazione materiale. L'introduzione del REI ha avuto il merito di cogliere il problema socioculturale attuale, della difficoltà occupazionale come principale svantaggio per le famiglie e di inserirlo in termini progettuali come percorso indispensabile alla buona riuscita, sia individuale sia mirata, dell'accompagnamento del nucleo familiare verso l'autonomia. Il progetto si costruisce sulla base delle caratteristiche della famiglia e personali degli individui. Quando, in fase di analisi preliminare, emerge che la situazione di povertà è esclusivamente connessa alla mancanza di lavoro si sostituisce il Progetto con un servizio, un patto di servizio o con un programma intensivo di ricerca del lavoro in capo ai centri per l'impiego. Il problema di questo interessante passaggio, però, è che chi ha pensato questa misura non ha tenuto conto di aspetti fondamentali per il buon funzionamento e la corretta applicazione dei percorsi della misura stessa. Prima di tutto i centri per l'impiego necessitavano di una indispensabile riorganizzazione e implementazione prima di doversi far carico dei progetti. Infatti, le difficoltà riscontrate sui nostri territori fanno riferimento inevitabilmente all'accompagnamento e alla ricerca del lavoro. Alcune regioni si sono poi attrezzate emettendo una circolare che consenta agli enti accreditati di svolgere una parte di ricerca attiva, in sostituzione e in collaborazione con i centri per l'impiego.

Ci sono poi altri aspetti che riguardano il tema del lavoro rispetto alla misura del REI. Esistono, infatti, persone che lavorano, ma che lavorano molto poco, che pur lavorando dunque non raggiungono un livello dignitoso di sostentamento. Per tutte queste persone e per i nuclei con anziani con pensioni minime e in difficoltà economica, per i quali non è quindi pensabile una proposta di inclusione attiva, non abbiamo ancora strumenti sufficientemente validi ed efficaci. Quando parliamo di reddito di inclusione stiamo parlando di una misura che, pur erogando un sostegno al nucleo e sviluppando progetti di inclusione attiva, non riesce ancora a coprire tutti i bisogni essenziali delle famiglie, garantendo loro una vita dignitosa e nemmeno riesce ad ottimizzare i percorsi e l'autonomia attraverso i patti di servizio. Mi spiego meglio; sono stati stanziati pochi fondi, probabilmente in un'ottica di minore onerosità per i bilanci e la scarsa capacità organizzativa rispetto al tema dei centri per l'impiego ha reso poco gestibile questa importante fase progettuale che, invece, era fondamentale per la realizzazione del progetto di inclusione attiva. I cittadini che vivono in stato di grave marginalità o povertà assoluta possono attingere ad alcuni percorsi protetti che i comuni mettono a disposizione in collaborazione con le associazioni e possono avvalersi di alcuni servizi appositamente creati e progettati per il reinserimento e l'autonomia. Purtroppo, il protrarsi della crisi economica per più di un decennio ha penalizzato soprattutto le fasce medie della popolazione, lavoratori che hanno perso il posto nelle loro aziende, che avevano un lavoro ritenuto stabile, ad un certo punto si sono ritrovati senza nulla, in età magari non più giovanissima e hanno affrontato il precariato, l'instabilità e talvolta anche la riconversione in ambiti lavorativi totalmente differenti, pur di poter mantenere, seppure in discontinuità, le proprie famiglie. Spesso queste situazioni hanno portato alla perdita dell'abitazione, alla disgregazione delle famiglie e non è facile risollevarsi quando tutto è perduto.

Noi riteniamo che questo scenario, tanto cronico quanto diverso rispetto alle dinamiche del passato, meriti una riflessione profonda, un cambio radicale di approccio rispetto alle trasformazioni da cui il mercato del lavoro e delle imprese sono investiti oggi. I compiti di uno Stato sociale che operi nell'ottica della redistribuzione, non solo dell'assistenza, sono quelli di poter garantire ai propri cittadini un livello dignitoso di vita. Mi stupisco, dunque, in particolare dei colleghi onorevoli del PD che solo oggi si rendono conto davvero delle gravi lacune che questa misura, ritenuta universale ed efficace le per il contrasto alla povertà, oggi appare invece inadeguata. Sto parlando sia dell'inadeguatezza dei centri per l'impiego, che avrebbero dovuto essere riorganizzati prima dell'introduzione del REI, ma anche del fatto che non si sia nemmeno intravisto il problema fondamentale della società di oggi e dei nuclei familiari rispetto alla numerosità crescente di famiglie che peggiorano le proprie condizioni di vita e arrivano al limite della soglia di povertà e che abbiamo tutto l'interesse e il dovere di evitare che precipitino sotto una soglia dalla quale poi difficilmente potranno riemergere (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

Mi fa comunque piacere che si siano accorti dei molti limiti, degli errori fatti e delle disattenzioni, e che ci chiedano, con la loro mozione, di rivalutare e riconsiderare azioni e disposizioni del REI. Riteniamo però, a questo punto, che il reddito di inclusione debba essere superato, che serva una misura di sostegno al reddito più organizzata, meglio gestita e che parta da una visione più adatta al periodo socio-economico che il nostro Paese sta vivendo ma, soprattutto, alle esigenze dei cittadini che faticano a conciliare la vita quotidiana, le bollette da pagare, l'affitto o il mantenimento di un alloggio dignitoso, di un'occupazione stabile. Per poter dare un aiuto concreto e non disperdere risorse è necessario introdurre un reddito di cittadinanza che, attraverso controlli di accessi e benefici, possa garantire l'erogazione della misura di sostegno solo ai cittadini italiani che ne hanno davvero diritto.

È indispensabile potenziare i centri per l'impiego e adeguare il personale che dovrà operare il ricollocamento, investendo in formazione ed aggiornamento affinché le politiche attive del lavoro possano essere una parte concreta di questa misura, e non un aspetto secondario, disgiunto, come accaduto per il reddito di inclusione.

Soprattutto, è indispensabile non dimenticarsi dei nostri anziani, di tutti quei cittadini che percepiscono la pensione minima e che sono costretti a rinunce quotidiane, dopo anni di lavoro, una vita di sacrifici. È anche a loro che dobbiamo pensare per garantire un livello di benessere prolungato all'interno della propria abitazione, in autonomia e dignità il più a lungo possibile. È per questo che il reddito di cittadinanza che proponiamo può rappresentare un sostegno efficace e dignitoso per chi ancora non vive sotto la soglia di povertà, ma non riesce ad avere un'esistenza decorosa.

Noi della Lega chiediamo pertanto che venga approvata la mozione che propone l'inserimento del reddito di cittadinanza, perché finalmente si possa dare una risposta coerente alle attuali esigenze dei cittadini italiani, anziché pensare di riadattare una misura già esistente, che risulta molto approssimativa. Chi ha istituito il reddito di inclusione oggi si rende conto che, così come organizzata, questa misura non è efficace e non può durare. Noi riteniamo indispensabile e doveroso il fatto di garantire a tutte le famiglie italiane una vita più dignitosa e certamente non è tra le nostre priorità quella di ampliare il reddito di inclusione anche ai richiedenti asilo. Abbandoniamo immediatamente questa proposta per rispetto ai tanti cittadini che ancora oggi vivono una dimensione di vita precaria, deprivata sotto il punto il punto di vista materiale, quindi spesso anche sociale. Abbandoniamola per rispetto anche dei tanti italiani che vivono in stato di grave marginalità e che non sono stati ancora aiutati abbastanza. Siamo pronti, però, a lavorare per rendere il credito di cittadinanza un valido sostegno, che ridimensioni davvero la povertà nel nostro Paese (Applausi dei deputati del gruppo Lega-SalviniPremier).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Bruno Bossio. Ne ha facoltà.

VINCENZA BRUNO BOSSIO (PD). Signor Presidente, onorevoli colleghi e colleghe, oggi chiediamo che sia approvata la nostra mozione, che propone di implementare ancora di più rispetto alla precedente legislatura le azioni volte a contrastare la povertà. Quello della povertà forse è stato l'argomento che più di altri ha inciso, al sud, nella creazione di quel sentimento favorevole al consenso del Movimento 5 Stelle e, però, oggi, a distanza di quasi cinque mesi dalle elezioni, è anche l'argomento che più di altro misura la distanza tra le speranze suscitate e la realtà. Secondo i dati ISTAT, e l'hanno detto molti colleghi, nel Mezzogiorno è a rischio povertà assoluta e esclusione sociale quasi la metà degli individui, ma proprio per questo tale condizione non può essere strumentalizzata e affrontata a colpi di slogan vuoti, bensì con provvedimenti seri e sostenibili. Noi l'abbiamo fatto, nel marzo 2017 abbiamo approvato la legge n. 33, il reddito di inclusione e, successivamente, la sua disciplina attuativa. In questa data l'Italia si è dotata finalmente, per la prima volta nella nostra storia, di una misura unica e universale di contrasto alla povertà, non più sperimentale, non più provvisoria, ma con un approccio che ha come obiettivo la dignità delle persone, così come richiamato al primo comma del disegno di legge, facendo riferimento all'articolo 3 della Costituzione e al rispetto dei principi della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea. Un reddito minimo garantito con queste caratteristiche è presente in tutti i Paesi europei, declinato in varie forme. In nessun Paese europeo, ripeto, in nessun Paese europeo, e nel mondo, tranne in Alaska, esistono esperienze di reddito di cittadinanza, che è un reddito elargito dalla comunità a tutti i suoi membri, senza prova dei mezzi o richiesta di impegno al lavoro.

Il gruppo parlamentare del MoVimento 5 Stelle, nella scorsa legislatura, ha presentato un progetto di legge definito “per l'introduzione di un reddito di cittadinanza”, che in realtà non è per nulla universale e incondizionato, essendo invece un reddito minimo condizionato a una determinata situazione economica. E la stessa confusione abbiamo sentito oggi nella presentazione della mozione.

Il giornalista Roberto Ciccarelli di il Manifesto, a questo proposito, ha parlato di truffa lessicale, in quanto il reddito di cittadinanza, appunto, va a tutti i residenti con la cittadinanza a vita. Io dico probabilmente non solo truffa lessicale, ma probabilmente truffa elettorale, per carpire la disperazione di migliaia di poveri, soprattutto nel Mezzogiorno.

E a questo proposito vorrei fare un confronto tra quello che affermava l'attuale sottosegretario al lavoro Cominardi, che allora nel 2016 era relatore di minoranza della legge sul reddito di inclusione. Diceva Cominardi: da questa legge delega ci aspettiamo qualcosa di più importante, tenuto conto che insieme alla Grecia siamo l'unico Paese che non ha adottato un vero reddito di cittadinanza.

Ecco la truffa lessicale e soprattutto di merito: la proposta di legge dei Cinquestelle è sottoposta alla prova di mezzi e in nessun Paese europeo esiste il reddito di cittadinanza.

E nel contratto del Governo del cambiamento che cosa c'è? Sempre allo stesso modo: un reddito di cittadinanza, che in effetti è un reddito condizionato alla prova dei mezzi. Ma, mentre nel 2016 il Cominardi relatore affermava che nella proposta del reddito di cittadinanza erano previsti 17 miliardi di euro, di cui 1 e mezzo investito nei centri per l'impiego, nel contratto di Governo, a responsabilità Di Maio-Cominardi, i 17 miliardi sono spariti (sarà stata anche in questo caso qualche manina dispettosa?) e sono rimasti soli i 2 miliardi - ovviamente sulla carta - della presunta riforma dei centri per l'impiego, più un impegno a ridiscutere l'utilizzo del Fondo sociale europeo per il reddito di cittadinanza nella prossima programmazione europea. Ovvero: fuffa.

Allora, per favore, cerchiamo di essere seri, perché la questione impone serietà e capacità di prendersi delle responsabilità, soprattutto da parte di chi oggi è al Governo per volontà degli italiani. Dobbiamo rispettare questa scelta, ma dobbiamo chiedere responsabilità.

E, allora, scontriamoci, dividiamoci, ma soprattutto su un fatto: come fare in modo che quella misura universale di sostegno al reddito, che anche altre forze politiche, non nella maggioranza nella scorsa legislatura, hanno riconosciuto come tale, possa coprire entro il 2019 tutta la platea dei poveri assoluti.

Noi abbiamo provato, come PD, e abbiamo fatto della barra dei diritti umani, sociali e civili il fulcro della nostra strategia politica e abbiamo lavorato sul reddito di inclusione, facendo tesoro anche dell'importante lavoro, messo a punto da tanti esperti del settore e anche dell'esperienza degli altri Paesi europei. Per esempio, uno dei punti che abbiamo valutato sulla scelta della soglia è che per adesso sia quella della povertà assoluta.

Nella legge di bilancio 2018 il Governo, sempre a guida PD, ha operato un ulteriore rafforzamento del Rei e prevedendo, a decorre dal 1° luglio 2018 - cosa che è avvenuta grazie a una legge del dicembre 2017 - il superamento di ogni limitazione categoriale del beneficio. In questo modo, entro la fine del 2018 - l'hanno detto anche gli altri miei colleghi - ci saranno almeno 2 milioni e mezzo di persone, che riceveranno questo beneficio.

Guardiamo allora quello che è successo in questi anni. I 50 milioni del 2012 sono diventati, con la legge del bilancio 2016 e poi 2018, ben 2,3 miliardi di euro. Ma non ci basta, l'abbiamo detto nel nostro programma di Governo. Per questo abbiamo presentato la legge a prima firma Delrio, sapendo che, oltre all'allargamento dei beneficiari, dobbiamo anche discutere insieme di diritto al reddito e di diritto al lavoro.

Infatti, il nuovo patto sociale tra i produttori, in una economia sempre più collaborativa, ci impone di fare questa scelta: arrendersi e inseguire in maniera subalterna un'impostazione sovranista, che attraversa oggi il mondo e che vede i Governi chiudersi nella difesa del poco lavoro che c'è nei confini nazionali, innalzando muri e indicando i nostri disoccupati come capri espiatori e i cattivi immigrati, quegli stessi a cui non vogliamo dare il reddito, nonostante siano regolari, che ci rubano il lavoro; oppure misurarsi, come facciamo noi del Partito Democratico, con una sfida riformista e di progresso. Noi oggi, anche dall'opposizione, sosterremo sempre politiche di inclusione e giustizia sociale, ben fatte, serie, che salvaguardino la continuità di quanto buono - ed è tanto il buono - è già stato fatto (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni. Il Governo si riserva di intervenire nel prosieguo del dibattito.

Il seguito della discussione è rinviato ad altra seduta.

Discussione della mozione Gelmini ed altri n. 1-00010 concernente iniziative volte a favorire il rientro delle imprese italiane che hanno delocalizzato la produzione all'estero (ore 20,02).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione della mozione Gelmini ed altri n. 1-00010 concernente iniziative volte a favorire il rientro delle imprese italiane che hanno delocalizzato la produzione all'estero (Vedi l'allegato A).

Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato nell'allegato A al resoconto stenografico della seduta del 4 luglio 2018 (Vedi l'allegato A della seduta del 4 luglio 2018).

Avverto che sono state presentate le mozioni D'Uva, Molinari ed altri n. 1-00017 e Lucaselli ed altri n. 1-00019 (Vedi l'allegato A), che, vertendo su materia analoga a quella trattata dalla mozione all'ordine del giorno, verranno svolte congiuntamente. I relativi testi sono in distribuzione.

(Discussione sulle linee generali)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali delle mozioni.

È iscritta a parlare il deputato Maurizio Carrara, che illustrerà anche la mozione Gelmini n. 1-00010, di cui è cofirmatario. Ne ha facoltà.

MAURIZIO CARRARA (FI). Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi e rappresentanti del Governo, oggi siamo qua a presentare una mozione, alla quale teniamo particolarmente. Questa mozione vuole sensibilizzare il Governo sul tema economico, che è di vitale importanza per questo Paese. Si parla molto di lavoro e troppo poco di sviluppo economico, come se esistesse ancora il pensiero che i due temi non siano l'uno dipendente dall'altro. Noi vogliamo sottolineare ancora una volta e con forza come il lavoro non si possa creare con un decreto. Il lavoro si crea mettendo in condizione le aziende di crescere, svilupparsi ed investire. Sono le aziende, infatti, le uniche in grado di creare lavoro.

Detto questo dobbiamo, purtroppo, evidenziare come il nostro Paese, che già cresceva meno degli altri in area euro, stia subendo un preoccupante rallentamento. I dati statistici sugli ordini di fabbrica ci dicono che la Germania cresce e cresce grazie a un ambiente politico-culturale, che favorisce la competitività delle industrie, perché in Italia ci attardiamo con provvedimenti come il decreto-legge dignità, che, più che incentivare, osteggiano e scoraggiano l'attività di impresa. Gli ordinativi dell'industria tedesca viaggiano, a maggio, con un più 2,6 per cento sul mese precedente; mentre gli ordinativi dell'industria italiana, ad aprile, hanno registrato una diminuzione congiunturale dell'1,3 per cento su base mensile. Questi sono dati preoccupanti. Noi dobbiamo al più presto invertire la tendenza.

In verità, a fare da contrappeso a questa fotografia, negli ultimi anni abbiamo assistito ad un fenomeno incoraggiante per la nostra economia: il reshoring. Il reshoring è la pratica contraria alla delocalizzazione, che porta quindi al rimpatrio delle aziende. Quelle aziende che erano andate a produrre all'estero tornano ad investire in Italia. Un gruppo di studio inter-ateneo, denominato Uni-Club MoRe Reshoring, che raggruppa varie università italiane, ha evidenziato che, dal 2000 al 2015, su oltre 700 casi osservati, ben 121 riguardano l'Italia. Il nostro Paese risulta, infatti, il primo in Europa ed il secondo nel mondo dopo gli Stati Uniti per casi di reshoring.

Le principali motivazioni che hanno indotto le imprese a rientrare in Italia, secondo questa ricerca, sono il valore del made in Italy, il miglioramento del rapporto con il cliente, la scarsa qualità delle produzioni delocalizzate ed il cammino intrapreso dal nostro Paese verso un'economia 4.0.

Appare perciò evidente come il nostro Paese abbia una potenzialità enorme di attrarre investimenti e di fare rientrare in patria un numero significativo di aziende che avevano precedentemente delocalizzato. La mozione vuole insistere sulla salvaguardia, la creazione e l'implementazione di tutte le procedure atte ad amplificare l'attrattività e l'investimento del nostro Paese. Oltre all'importanza vitale del made in Italy determinante in tal senso sarà la trasformazione 4.0 dell'economia italiana. Questo è l'argomento sul quale oggi vogliamo porre l'attenzione. Le politiche del precedente Governo che hanno introdotto in Italia quella che gli studiosi definiscono la quarta rivoluzione industriale hanno portato risultati incoraggianti ma non sufficienti che lasciano però emergere con chiarezza il fatto che ci siamo incamminati sulla giusta strada. Le imprese devono capire che è fondamentale fare una fotografia dello stato attuale e tracciare linee strategiche e chiare verso cui andare. Facendo tesoro delle esperienze fatte da altri possiamo comprendere come la digitalizzazione sia un percorso di cambiamento ma non un cambiamento istantaneo ed è per questo determinante stabilizzarne gli incentivi. L'industria 4.0 di fatto nasce nel 2011 in Germania. Questo termine è stato coniato alla fiera di Hannover: contestualmente il Governo tedesco ha annunciato il piano nazionale in merito. La sintesi dei primi anni di esperienza ha portato alla stesura di una norma circa due anni fa. Tale norma spiega come ci si debba approcciare al nuovo paradigma con l'obiettivo di modificare nel tempo e in maniera totalizzante gli aspetti dell'intera sfera aziendale. Si evidenzia, inoltre, quanto sia importante l'analisi dei dati e quanto questa abbia portato spesso a risultati inaspettati con vantaggi che non erano né ipotizzabili né ipotizzati a priori. Detto ciò appare evidente come l'Industria 4.0 nella sua applicazione sposa bene qualsiasi attività produttiva sia di beni sia di servizi portando i suoi frutti tanto alle industrie quanto alle imprese. Prendendo a riferimento quanto successo in Germania e conoscendone i risultati in termini di crescita, dobbiamo fare nostro il concetto di cammino alla trasformazione digitale. Il processo richiede un orizzonte temporale esteso considerata la complessità della materia ma la direzione è certa. La mozione che presentiamo si concentra proprio su questi caposaldi per fare in modo di agevolare le aziende che vogliono riportare la loro produzione in Italia o investire nel nostro Paese per la prima volta. Altro aspetto rilevante dovrà essere quello di accompagnare le aziende per migliorare le condizioni nelle quali dovranno affrontare questa complicata quanto avvincente sfida. Il ruolo chiave in questo contesto sta nel veicolare l'impresa coinvolta nel cambio di strategia, supportandola con la competenza universitaria e delle scuole di eccellenza. Il bando per istituire i centri di competenza che si è appena concluso ha senz'altro indicato il cammino ma molto, molto ancora deve essere fatto in questo senso. Se pensiamo al modello tedesco Fraunhofer ci rendiamo conto come le eccellenze accademico-scientifiche vengano messe a disposizione delle imprese in modo da attuare un trasferimento tecnologico davvero competitivo, un modello dove lo Stato copre il 30 per cento del budget che ammonta a circa 2 miliardi di euro l'anno. Questo consente alle imprese ma soprattutto alle piccole e medie imprese che tipicamente dispongono di scarse risorse per investire in ricerca e sviluppo di poter accedere facilmente alle migliori e più avanzate conoscenze della ricerca applicata. Presidente, noi dobbiamo procedere su questa falsariga. Solo in questo modo è possibile tornare a competere in un mercato sempre più avanzato tecnologicamente e sempre più globale dove è impensabile fare da spettatori ma dove l'Italia al contrario può e deve essere protagonista. L'avanzamento tecnologico può permettere di competere non soltanto nei settori dove la tecnologia la fa da padrona come, ad esempio, il settore automobilistico ma anche e soprattutto in quei settori storicamente a minor contenuto tecnologico dove però il made in Italy ha un enorme valore aggiunto come ad esempio il fashion.

In questo settore il modello 4.0 può incrementare in maniera esponenziale il valore, pur lasciando l'artigiano al centro dei processi produttivi, scaricandolo però di tutti i compiti a scarso valore aggiunto. In sintesi, Presidente, chiediamo al Governo di impegnarsi per favorire il fenomeno del reshoring, con atti amministrativi e normativi attraverso l'utilizzo di un tavolo concertato con la partecipazione dei soggetti istituzionali assieme ai soggetti privati. Sviluppare le predette attività sulla falsariga di quanto già fatto in sede regionale, favorendo in tal senso l'utilizzo dello strumento dei contratti di sviluppo di cui all'articolo 43 del decreto-legge n. 112 del 2008; adottare ogni iniziativa normativa allo scopo di istituire un apposito fondo presso la Cassa Depositi e Prestiti che permetta ai comuni e agli enti locali di accedere ai finanziamenti di lunga durata per realizzare o riqualificare siti idonei alla localizzazione industriale e al reinsediamento di imprese che rientrano nel nostro Paese; assumere iniziative per prevedere il rifinanziamento nell'ambito del disegno di legge di bilancio 2019 delle agevolazioni previste dal Piano nazionale impresa 4.0 nonché del credito di imposta per le spese di formazione 4.0 del personale dipendente; trasformare gli istituti tecnici superiori adeguando la loro offerta formativa alle possibilità messe a disposizione dalle nuove tecnologie; adottare la trasformazione 4.0 anche della pubblica amministrazione mediante l'avvio di un processo di semplificazione burocratica ed un ricambio generazionale negli uffici pubblici che preveda l'assunzione di giovani specialisti in informatica ed ingegneria contemporaneamente alla formazione continua per le risorse umane già impiegate; valutare la possibilità di utilizzare risorse destinate alla produzione del made in Italy per veicolare anche il messaggio del reshoring. La vera sfida che ci dobbiamo proporre è proiettarsi nel futuro con entusiasmo: le forti competenze che abbiamo a disposizione messe a servizio delle imprese possono far sì che si arrivi ad avere una società sempre più flessibile e digitalizzata. Solo cavalcando l'onda della rivoluzione industriale in atto il nostro Paese può tornare ad essere competitivo in Europa e nel mondo.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Orrico, che illustrerà la mozione D'Uva, Molinari ed altri n. 1-00017, di cui è cofirmataria.

ANNA LAURA ORRICO (M5S). Grazie, Presidente. Signor Presidente, onorevoli colleghi, rappresentanti del Governo, l'Italia da sempre è riconosciuta nel mondo come il Paese della creatività, del talento, dell'arte, dell'artigianato di qualità e della dieta mediterranea. La produzione manifatturiera nel tessile, l'industria agroalimentare e il comparto del turismo legato ai beni culturali sono i tratti distintivi della nostra economia e di un brand tra i più conosciuti al mondo: il made in Italy. La nostra forza risiede nel talento e nelle competenze delle nostre maestranze, nella capacità di tramandare di generazione in generazione le tradizioni che rendono unico il nostro Paese. Nonostante le nostre peculiarità anche l'Italia come molti Paesi europei e non solo vive il drammatico fenomeno della delocalizzazione. Le ragioni vanno ricercate da una parte in un'economia mondiale che è divenuta negli anni recenti sempre più aperta e integrata. I flussi di capitali sono più liberi di muoversi rispetto al passato, così intere fasi dei processi produttivi vengono spostate all'estero e sempre più spesso si sente parlare di outsourcing dei servizi. I mercati promuovono l'efficienza attraverso la competizione, la divisione del lavoro e la specializzazione. Forza trainante nell'ambito di questo processo è divenuta purtroppo la delocalizzazione della produzione. Per delocalizzazione si intende il trasferimento della produzione di beni e servizi in altri Paesi in genere in via di sviluppo o in transizione. La produzione ottenuta a seguito di questo spostamento dell'attività non è venduta direttamente sul mercato ma viene acquisita dall'impresa che opera nel Paese di origine per essere poi venduta sotto il proprio marchio. La delocalizzazione è un processo legato all'internazionalizzazione delle imprese e prevede diverse forme quali investimenti diretti esteri, joint ventures, outsourcing, subfornitura o subcontrattazione. La delocalizzazione significa per molte aziende la riduzione dei costi di produzione, disponibilità di manodopera specializzata a basso costo, disponibilità di materie prime in loco, presenza di mercati locali in forte sviluppo, facilità di integrazione verticale nel processo produttivo, possibilità di stabilire partnership con potenziali concorrenti, superamento di barriere commerciali, agevolazioni e semplificazioni finanziarie. Tuttavia, delocalizzazione significa anche riduzione del livello di occupazione, rischio Paese, aumento dei costi logistici, perdita di controllo della qualità, rischi legati al trasferimento di know-how, perdita di immagine, perdita di produzione interna, perdita di produzione durante il trasferimento. Fino a pochi anni fa erano gli Stati Uniti a ricorrere maggiormente a questa pratica, ma nell'ultimo decennio la delocalizzazione della produzione ha preso piede anche in Europa.

Per motivi di lingua, Gran Bretagna e Irlanda sono favorite in questa competizione, i Paesi coinvolti non sono più solo quelli dell'Est europeo, ma anche quelli del cosiddetto Far East: indiani, pachistani o thailandesi si stanno rapidamente organizzando, imparando l'italiano, lo spagnolo, il francese e il tedesco. Francia, Italia e Germania delocalizzano preferibilmente nei Paesi dell'Europa orientale. Nei Paesi dell'Est la manodopera non è solamente poco tutelata, oltre che, ovviamente, a bassissimo costo, ma è anche relativamente specializzata. In tale contesto, il fenomeno della delocalizzazione delle imprese italiane è sempre più allarmante. Infatti, il numero delle partecipazioni all'estero delle aziende è aumentato dal 2009 al 2015 del 12,7 per cento. Quando un'azienda delocalizza, porta oltre frontiera non solo gli impianti e il proprio mercato, ma anche il know-how, cioè tutto il sapere come è accumulato negli anni con il concorso determinante delle maestranze italiane, che appartiene non solo all'imprenditore proprietario dell'azienda, ma anche a coloro che hanno dato il loro determinante contributo a realizzarlo.

Tutto questo sapere viene offerto e imposto alle nuove maestranze del Paese ricevente, che pertanto crescono professionalmente, senza doverne sostenere né i costi né la fatica. Il Governo attuale è in prima linea per combattere i fenomeni di delocalizzazione incontrollata, tant'è vero che è intervenuto recentemente con il decreto-legge “misure urgenti per la dignità dei lavoratori e delle imprese”, prevedendo una norma che contrasta la delocalizzazione delle aziende che abbiano ottenuto aiuti dallo Stato per impiantare, ampliare e sostenere le proprie attività economiche in Italia. Per chi delocalizza fuori dall'Unione europea scattano sanzioni fino a quattro volte l'importo ricevuto. Chi licenzia entro cinque anni da quando ha ricevuto un finanziamento pubblico lo deve restituire o tutto o in parte. Non è questione di essere a favore o contro la globalizzazione, bensì è fondamentale che ci sia una globalizzazione intelligente, che tenga insieme, da un lato, le opportunità offerte dal commercio mondiale e dalle nuove tecnologie, e, dall'altro, la tutela di alti livelli occupazionali e della produzione interna ai singoli Stati.

Chi sfrutta lo Stato prendendo soldi pubblici e delocalizzando in Europa deve restituire tutto, fino all'ultimo centesimo, più gli interessi. Dobbiamo scoraggiare i “prenditori” e sostenere, stimolare e far crescere gli imprenditori nel nostro Paese, investendo sulla cultura di impresa, ripristinando il valore dell'etica e della sana imprenditoria, rilanciando e rafforzando il principio della responsabilità sociale d'impresa. Il fenomeno delocalizzazioni è ancora a livelli allarmanti e va fermato attraverso misure che migliorino la qualità della vita delle imprese esistenti sia in termini di riduzione della pressione fiscale sia in termini di semplificazione e riduzione degli oneri. È opportuno, quindi, intervenire anche per stimolare quel fenomeno che si contrappone da qualche anno alla delocalizzazione, ovvero il reshoring. Il reshoring, che è l'effetto opposto dell'offshoring, è un fenomeno economico che consiste nel rientro a casa delle aziende che in precedenza avevano delocalizzato in altri Paesi, come, ad esempio, Cina, Vietnam, o nei Paesi dell'Europa dell'Est.

Il controesodo riguarda, almeno per l'economia italiana, soprattutto aziende di qualità che necessitano di recuperare in pieno la valenza del marchio made in Italy e di posizionare i prodotti verso l'alto di gamma. Per tutte le aziende coinvolte dal fenomeno, il rientro a casa è dettato da semplici fattori economici, tra cui le oscillazioni del costo del petrolio, la lentezza dei trasporti via nave, incompatibile con la velocità del mercato e il continuo bisogno di ricambio, e, da ultimo, il fatto che inevitabilmente anche in Asia e in Europa dell'Est i salari abbiano preso a salire e, con essi, il costo della manodopera, a fronte di una scarsa competenza o, comunque, di una competenza da costruire da zero, con attività di formazione ad hoc.

In tutto il mondo, a oggi sono circa 500 le aziende che sono tornate indietro. Un fenomeno che appare, dunque, avviato, ma non imponente. L'Italia è, forse per il peso e il prestigio del marchio made in Italy, il Paese d'Europa che ha fatto rientrare più aziende. La stragrande maggioranza delle imprese italiane è tornata dall'Asia e dall'Europa orientale, mentre la moda e l'elettronica-elettrotecnica sono i comparti maggiormente coinvolti dal fenomeno.

Tale fenomeno è in parte figlio della crisi economico-finanziaria che è esplosa nel 2008 e che ha imposto alle imprese una revisione del modello di distribuzione e produzione globale, nel rispetto di un attento controllo sul fronte dei costi. È proprio in questo contesto che diversi Governi hanno iniziato a mettere a punto formule per incentivare le grandi industrie locali a riportare le produzioni in patria, nella speranza di accrescere l'indotto e, di riflesso, contribuire a mitigare l'annoso e diffuso problema dei tassi di disoccupazione a doppia cifra.

Per quanto riguarda i settori d'attività delle aziende che scelgono di rimpatriare le filiere di produzione, spiccano il fashion, l'automotive e l'arredamento: da soli rappresentano i due terzi del totale delle operazioni. A incidere sulla decisione di rimpatriare i centri di produzione è soprattutto la voce dei costi di trasporto e stoccaggio logistico delle merci, che finiscono per gravare in maniera sensibile sul costo di produzione dei manufatti, con riverberi negativi, anche in questo caso, sui margini.

L'Europa sta via via riscoprendo la propria vocazione manifatturiera e va prendendo coscienza del fatto che, non di rado, i benefici economici attesi dalla delocalizzazione delle filiere produttive si sono rivelati inferiori rispetto al premio che i consumatori sono disposti a riconoscere per produzioni made in.

Il settore della moda italiana è certamente quello che più di ogni altro ha accelerato negli ultimi anni la strada del ritorno in patria delle filiere di produzione, fenomeno che si è intensificato a partire dal 2009 e che ha conosciuto un picco nel 2013. Il motivo principale è legato alla costante crescita dei clienti internazionali, che, anche durante gli anni in cui i morsi della crisi sono stati particolarmente pungenti, non hanno mai smesso di richiedere prodotti made in Italy, e, in cambio di eccellenza della lavorazione artigianale e di un know-how difficile da reperire fuori dallo Stivale, si sono mostrati disposti a riconoscere un premio, anche consistente, sul prezzo di vendita al dettaglio. Questo ha portato un numero crescente di imprenditori a ripensare la strategia di delocalizzazione messa in atto dagli anni Novanta, innescando così il fenomeno del reshoring. Il made in Italy è considerato garanzia di qualità, sicurezza e affidabilità, ma questo è importante soprattutto in base al Paese di origine, perché è qui che risiede la forza di un brand.

La classifica mondiale dei made in più forti ci dice che il marchio più riconosciuto dai consumatori di tutto il mondo è il made in USA, seguito da quello francese, tedesco e giapponese. Il made in Italy risulta classificato nella top ten a livello mondiale: un ottimo risultato. L'importanza e la forza del made in, però, varia molto in base anche alle categorie dei prodotti. Infatti, il made in Italy è il quarto più importante al mondo nel settore automobilistico, il terzo per i prodotti di lusso.

Ma l'origine italiana riscuote successo anche in altri importanti settori, come la moda, l'alimentare e la cura della persona. Il made in Italy cresce molto, le performance sono particolarmente buone anche in relazione a quelle degli altri principali “brand Paese”.

Alla luce di quanto detto, appare evidente quanto l'Italia sia avvantaggiata nell'agevolare la rilocalizzazione delle aziende. Appare anche abbastanza evidente come il reshoring possa portare diversi benefici al sistema economico nazionale. In primo luogo, la rilocalizzazione in Italia di produzioni contribuisce alla crescita del PIL, obiettivo fondamentale per il nostro Paese, data la profonda crisi degli ultimi sei anni e la precedente limitata crescita. Un aumento del PIL, come noto, permetterebbe anche di avere maggiori risorse da investire.

In secondo luogo, le imprese che ritornano innescano un processo di riqualificazione dei siti industriali e possono incentivare la ripresa di aree economiche depresse, come il Sud d'Italia, ponendo un freno all'emorragia di laureati e giovani specializzati che non riescono a trovare lavori qualificati nel proprio territorio.

Va inoltre tenuto presente che, a parità di pressione fiscale, un aumento del PIL genera maggiori entrate tributarie o, in alternativa, la possibilità di ridurre le aliquote fiscali.

Con riferimento all'aumento del PIL esiste anche un fenomeno similare a quello del reshoring, il cosiddetto “near shoring”, ovvero il fatto che un'impresa, che aveva delocalizzato delle produzioni in un altro Paese, decida di rilocalizzarle in un Paese geograficamente meno distante e, in tal senso, l'Italia può rappresentare, in alcuni settori specifici (fashion e meccanica di precisione in primis), un'interessante piattaforma produttiva per quei Paesi europei che desiderano riavvicinare le produzioni in precedenza delocalizzate, questo a motivo delle competenze, spesso uniche, che il nostro Paese, e in particolare alcune aree geografiche in cui sono presenti aggregazioni imprenditoriali di tipo distrettuale, possiede e può mettere a disposizione di aziende straniere.

Per quanto concerne gli incentivi al reshoring, bisogna stare particolarmente attenti a non creare competizione tra le aziende che decidono di tornare e quelle che, nonostante la crisi di questi anni, hanno deciso di continuare a rimanere legate alla produzione locale. In altri termini, qualsiasi incentivo deve facilitare la possibilità di fare business, sia per le imprese da sempre presenti nel nostro Paese, sia per le aziende che intendono tornare. Ogni intervento, quindi, deve essere organico, strutturale e non settoriale. In questo senso, l'aver tolto la componente costo del lavoro dall'IRAP e gli interventi in tema di contratto di lavoro sono sicuramente degli sforzi importanti, ma non sufficienti. Molto si può e si deve ancora fare, specialmente in tema di semplificazione amministrativa. Ci sono, poi, i costi di trasporto, che sono determinanti per la decisione di rimpatriare i centri di produzione, e i costi dell'energia, in Italia ancora troppo cari per le piccole e medie imprese.

Dunque, l'Italia risulta essere il primo Paese europeo per reshoring, un primato che deve quasi esclusivamente al fenomeno made in Italy. Il territorio geografico, come già detto, ha una rilevanza fondamentale, perché costituisce il vero sinonimo di qualità, con la sua lunga tradizione e il radicato know how produttivo. La rilocalizzazione, come affermano, inoltre, molti economisti, è vincente se il trasferimento della produzione bilancia i costi con il ritorno di immagine.

Altro tema di forte impatto sul reshoring è quello dell'innovazione, che l'Italia deve tornare a indirizzare diventandone leader. Innovare non significa, però, adottare solo un approccio digitale: è necessario un cambiamento radicale della cultura di impresa per essere in grado di seguire la società e il mercato. Non possiamo, quindi, ridurci a parlare solo di incentivi e Industria 4.0, ma dobbiamo sempre più a favorire il concetto di Impresa 4.0 e, per farlo, servono competenze elevate da sviluppare e sostenere attraverso nuovi modelli educativi, percorsi formativi basati sullo scambio e l'interazione tra impresa, scuola, università e centri per l'impiego. Il nuovo scenario economico-sociale si regge sul capitale umano e sulle competenze, che poi rappresentano il valore unico del nostro Paese. Nessuna azienda può sopravvivere se non lavora non solo sulla riqualificazione del personale, ma anche sullo sviluppo di nuove competenze.

Alla luce di quanto emerso, si intende impegnare il Governo ad individuare strumenti legislativi atti a salvaguardare l'etichettatura e la tracciabilità dei prodotti italiani, al fine di promuovere le produzioni interamente realizzate in Italia, il vero made in Italy; ad adottare, pertanto, ogni iniziativa utile al fine di migliorare la semplificazione amministrativa e fiscale delle imprese, offrendo un quadro normativo stabile, ponendo in atto, con decisione, strumenti a sostegno dell'imprenditoria, dell'innovazione e delle competenze professionali, anche attraverso iniziative di sviluppo regionale; a incentivare la detassazione e gli investimenti per ricerca e sviluppo; a sostenere la formazione e la riqualificazione del personale per migliorare le competenze richieste dal mercato del lavoro in evoluzione; a rivitalizzare, su livelli tecnologici aggiornati, distretti industriali e aziende che hanno ridotto la loro attività a causa dell'offshoring; favorire l'insediamento di nuove iniziative imprenditoriali in aree depresse, in particolare con interventi di riqualificazione industriale, o intervenire sui territori nei quali era presente un'impresa cessata, così da valorizzare i lavoratori che già hanno un'esperienza acquisita; creare una rete di informazioni a servizio di coloro che vogliano attivare processi di rilocalizzazione e rimpatrio; favorire, nelle modalità più opportune, l'accesso ai finanziamenti bancari anche con strumenti innovativi, al fine di sostenere e accelerare gli investimenti richiesti; favorire la riduzione dei costi di approvvigionamento energetico per le imprese, sostenendo una politica basata sull'efficientamento e sull'utilizzo delle energie rinnovabili; e, infine, adottare ogni politica utile al fine di sostenere il made in Italy in ogni possibile declinazione, essendo questo il punto di forza attrattivo sul mercato mondiale (Applausi dei deputati del gruppo MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Lucaselli, che illustrerà anche la sua mozione n. 1-00019. Ne ha facoltà.

YLENJA LUCASELLI (FDI). Grazie, Presidente, e grazie ai valorosissimi colleghi che sono rimasti in Aula.

Il “decreto dignità” ha cercato di rimettere un po' in discussione una serie di punti e, fra questi punti, c'è indubbiamente quello che riguarda il rientro delle aziende italiane, che in questi anni, soprattutto nell'ultimo decennio, hanno deciso, invece, di delocalizzare e, quindi, di trasferirsi all'estero. Dobbiamo, però, prima di tutto capire qual è il motivo di questo fenomeno, perché, se non si capiscono i fenomeni, difficilmente si possono trovare le soluzioni; se non capiamo quali sono le ragioni, difficilmente possiamo capire quali sono le soluzioni da adottare.

Effettivamente, quello che è successo, partendo, come diceva la collega, dagli Stati Uniti, è che l'Europa ha avuto una corsa molto frettolosa nei confronti dei Paesi dell'Europa dell'est. Si è aperta verso i Balcani, ma questa apertura, in realtà, ha generato fenomeni di dumping sociale all'interno dell'Unione, che sono ovviamente incompatibili con l'idea di uno spazio economico comune, e hanno provocato una fuoriuscita delle nostre aziende, delle nostre capacità produttive, in territori in cui probabilmente produrre è economicamente più vantaggioso e probabilmente anche burocraticamente più semplice.

Ora, i dati sono stati riferiti lungamente per cui, essendo una presentazione di carattere generale ed essendo l'ora tarda, cercherò davvero di ripercorrere i tratti fondamentali della mozione presentata da Fratelli d'Italia. Dobbiamo, però, capire che il vero problema non è fare rientrare soltanto quelle aziende, ma è occuparci anche delle aziende che valorosamente, in realtà, sono rimaste in Italia, perché ci sono aziende che hanno scelto di andare all'estero, ma ci sono aziende - per me, personalmente, e per il nostro gruppo ancora più valorose di quelle che hanno scelto di andare all'estero - che sono rimaste nonostante tutto, quindi nonostante la burocrazia e nonostante i costi.

È a queste aziende e anche a quelle che hanno sviluppato una parte della loro produzione - perché poi, per poter ritornare a quel concetto del made in Italy, di cui si parlava, in realtà soltanto una parte è stata delocalizzata, mentre un'altra parte è rimasta - è fondamentale capire quanta parte è andata all'estero e quanta parte, invece, è rimasta in Italia.

Purtroppo, le aziende non delocalizzano verso l'Asia, non più. Questo è stato un fenomeno ed è finito da tempo. Il problema vero è che le nostre aziende delocalizzano nei territori più vicini: delocalizzano in Romania, dove il costo del lavoro è quattro volte più basso di quello italiano. Delocalizzano, quindi, in tutti quei territori dove probabilmente anche la questione logistica non è più un problema e, pertanto, dobbiamo capire qual è la concretezza di quello che noi proponiamo, per far sì che queste aziende rientrino a produrre in tutte le loro fasi della produzione in Italia e che questo non diventi un benefit per quelle aziende che sono andate all'estero a danno, invece, delle aziende che in Italia ci sono rimaste. Ed è per questo che la nostra mozione si occupa sostanzialmente di una visione globale e concreta di quello che si può fare nei confronti di tutte le aziende, soprattutto perché quelle aziende sono quelle che poi producono lavoro.

Si parla e abbiamo parlato, in lungo e largo, del reddito di cittadinanza e di tutta una serie di altri provvedimenti. Ora, il punto è che lo Stato non produce lavoro; lo Stato può aiutare le aziende affinché le aziende producano lavoro e chi nel mondo del lavoro c'è, chi in quelle aziende ci vive quotidianamente lo sa bene. Il punto è aiutare gli imprenditori, aiutare quelle imprese a vivere, sopravvivere e a sburocratizzare, a utilizzare la tecnologia nel modo corretto, ma, soprattutto, a far sì che ci siano nuovi lavoratori e, quindi, piuttosto che assumere lavoratori rumeni, dovremmo fare in modo che quelle aziende tornino a produrre in Italia per riassumere i nostri cittadini, i cittadini italiani.

Le regioni italiane che sono state più interessate dagli investimenti all'estero sono la Lombardia, il Veneto, l'Emilia-Romagna e il Piemonte, e quindi quasi per il 78 per cento è costituito da aziende collocate nel Nord Italia. Tutto questo fa sì che ci siano dei problemi sostanziali anche nel riconoscimento del made in Italy e nel riconoscimento del brand Italia, perché il problema vero è che, quando si parla di Italia, si parla di un vero e proprio brand: non è semplicemente solo più un marchio, è un brand nazionale ed è il secondo brand al mondo in generale, quindi senza distinzione di tema. E, vedete, il brand Italia non è solo il lusso, il brand Italia non è soltanto il fashion: il brand Italia è molto di più.

Il primo elemento che noi esportiamo, quindi il primo bene per il quale l'Italia è famosa nell'export sono in realtà i prodotti farmaceutici; il secondo sono in realtà tutti i prodotti della grande industria, la metalmeccanica. Per cui, andando in questo elenco, vediamo che in realtà i beni di lusso e il fashion sono soltanto agli ultimi posti; quello che invece fa veramente la differenza e quello che veramente ci rende famosi all'estero sono i prodotti agroalimentari. Quella produzione in realtà è una produzione che già è in Italia: è difficile produrre i pomodori pugliesi in Romania; quindi, è a quelle aziende che in realtà dovremmo guardare innanzitutto e prima di tutto.

Per cui, quando parliamo di made in Italy, dobbiamo stare molto attenti: dobbiamo capire innanzitutto di cosa stiamo parlando, dobbiamo capire che il rientro in Italia delle aziende che, hanno scelto di andare all'estero non dovrà mai essere una penalizzazione per le aziende che invece, in Italia ci sono rimaste - torno a dire - nonostante tutto. Ed è per questo motivo, vede, che uno dei danni più grossi che ha il nostro Paese, che ha la nostra nazione, è proprio quello dell'Italian sounding, quindi un problema diffuso in tutte le nazioni estere. Probabilmente ognuno di noi è stato all'estero almeno una volta e ognuno di noi ha visto nei supermercati il parmesan, che tutto è fuorché il nostro parmigiano reggiano. E questo è indubbiamente un problema, un problema grossissimo, un problema che si chiama “agro-pirateria”.

Per tutelare le nostre aziende da questo ci vuole molto di più che semplicemente un'Industria 4.0, ci vuole molto di più che semplicemente la tecnologia: ci vuole una strategia e la strategia è quella di chi, guardando ai nostri prodotti e a quello che le nostre aziende fanno quotidianamente, cerca di sviluppare le competenze per far sì che possano essere nei mercati internazionali con il ruolo che compete loro, ma soprattutto con le tutele di cui hanno bisogno.

E, quindi (con questo concludo, così lascio libera l'Aula dal mio intervento), noi di Fratelli d'Italia chiediamo che il Governo si impegni ovviamente a implementare le norme volte a contrastare la delocalizzazione dell'attività produttiva delle aziende italiane nei Paesi stranieri; ad assumere tutte le iniziative, soprattutto in sede di Unione europea, per porre fine al dumping sociale. Apro e chiudo una parentesi, semplicemente perché avevo dimenticato di dirlo prima: vedete, il problema di queste nazioni estere dell'est Europa e che si affacciano sui Balcani è che hanno utilizzato i fondi strutturali europei per attirare investimenti, cosa che in realtà l'Italia non ha fatto. Questo è per noi un danno gravissimo, se a questo non poniamo delle soluzioni, anche irreversibili.

Chiediamo di creare condizioni di sistema favorevoli alla cultura dell'impresa, agendo in maniera strutturale su regimi fiscali, snellimento della burocrazia, riduzione del costo dell'energia, certezza del diritto e tempi della giustizia civile, riduzione del gap infrastrutturale e del digital divide, sistema bancario, pagamenti dei debiti della pubblica amministrazione e, in generale, su tutte quelle voci che minano la competitività delle imprese italiane, incentivando così i processi di delocalizzazione.

Chiediamo che il Governo si impegni a varare, in accordo con le regioni, un piano straordinario per la rilocalizzazione in Italia delle imprese che negli ultimi anni hanno abbandonato il nostro Paese; in fase di attuazione, tale piano dovrà avere una durata massima di tre anni. A proporre una revisione delle norme istituite del Piano straordinario per il made in Italy, in modo da rispondere ai rilievi della Corte costituzionale senza inficiarne il funzionamento, e a farsi promotore di una stabilizzazione della legislazione in materia. A contrastare il fenomeno dell'Italian sounding, adottare misure fiscali che incentivano l'adozione…

PRESIDENTE. La invito a concludere.

YLENJA LUCASELLI (FDI). Ho finito, l'ultimo punto. Ad assumere iniziative per prevedere il rifinanziamento, nell'ambito del disegno di legge di stabilità 2019, delle agevolazioni previste dal Piano nazionale impresa 4.0 (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Giorgia Andreuzza. Ne ha facoltà.

GIORGIA ANDREUZZA (LEGA). Presidente, membri del Governo, onorevoli colleghi, ad oggi il fenomeno della delocalizzazione delle imprese italiane è ancora in atto a livelli importanti, e va fermato attraverso misure che rendano conveniente per l'imprenditore rimanere nel nostro Paese. Dando una forte semplificazione, riduzione fiscale, riduzione degli oneri, dobbiamo creare le condizioni affinché le aziende che si trovano nel nostro Paese possano operare in modo competitivo nello scenario internazionale.

Il numero delle aziende italiane che hanno delocalizzato dal 2009 al 2015 è cresciuto del 12,7 per cento. Quando un'azienda delocalizza porta fuori dal nostro Paese i propri impianti, il proprio mercato, ma soprattutto il know-how, tutto il sapere accumulato negli anni con la cultura delle nostre maestranze italiane e del fare impresa.

Le regioni italiane più interessate agli investimenti all'estero sono la Lombardia, con 11 mila partecipazioni, il Veneto, dal quale provengo, con 5 mila, l'Emilia-Romagna, con 4.900, il Piemonte, 3.200: quasi il 78 per cento del totale delle partecipazioni sono riconducibili ad imprese italiane ubicate nelle regioni del Nord Italia.

Oggi però cogliamo una fase diversa: il ritorno a casa della manifattura in diversi luoghi che nel passato l'avevano decentrata all'estero. Da qualche anno ci sono aziende che riportano in Italia la loro produzione, e si inizia a parlare del fenomeno reshoring (in italiano piace definirlo, appunto, “rientro a casa”). Ed è una scelta dettata dalla volontà di far crescere il contenuto di qualità delle nostre produzioni, in particolare nel settore del fashion, meccanica, elettronica, perché è nella qualità che noi siamo vincenti.

Negli ultimi anni, anche a seguito degli effetti della crisi economica, non sono poche le imprese che hanno ripreso la via di casa, ovvero si sono rilocalizzate in Italia. In Veneto e in Emilia-Romagna, ad esempio, segnaliamo il ritorno di marchi importanti, noti a livello internazionale. Tra le principali motivazioni che inducono il reshoring in Italia, prima di tutte è proprio l'effetto made in Italy, insieme alla difesa dei brevetti, a leggi chiare, a qualità del prodotto, il capitale umano competente, la flessibilità produttiva, la defiscalizzazione e gli incentivi, l'innovazione e l'automazione e la riduzione del gap del costo del lavoro. L'Italia è uno dei principali Paesi manufatturieri d'Europa, dove si va prendendo coscienza del fatto che i consumatori sono disposti a riconoscere per le produzioni made in Italy un valore importante, che supera i benefici economici attesi dalla delocalizzazione delle filiere produttive.

Se l'Italia risulta il primo Paese europeo per il reshoring, questo suo primato lo deve proprio quasi esclusivamente al fenomeno made in Italy. Il prodotto made in Italy è capace di generare nei consumatori un potere fortemente attrattivo, che viene identificato come eccellenza, legato proprio all'origine geografica di un bene.

Un'altra componente che sta incidendo sulla decisione di rimpatriare i centri di produzione riguarda la voce dei costi di trasporto delle merci, che finiscono per gravare in maniera sensibile sul costo di produzione dei manufatti: in particolare il costo del petrolio, fortemente aumentato negli ultimi periodi. Inoltre, i tempi di trasporto delle merci sono piuttosto lunghi, e rischiano quindi di non riuscire a tenere sempre il passo di mode passeggere sempre più veloci: per esempio per un prodotto che arriva dalla Cina occorre mettere in conto più di un mese di navigazione veloce, se si sceglie il trasporto via mare; in alternativa il trasporto aereo risulta più veloce, ma decisamente più oneroso.

In Italia, il costo dell'energia, per le piccole e medie imprese, risulta troppo alto, nonostante la crescente produzione di energia da fonti rinnovabili. Ciò rende meno appetibile il rientro delle aziende, oltre a essere un problema pesante per le aziende già presenti sul nostro territorio.

Per quanto concerne gli incentivi del reshoring, bisogna stare particolarmente attenti a non creare competizione tra le aziende che decidono di tornare e quelle che, nonostante la crisi di questi anni, hanno deciso di continuare a rimanere legate alle produzioni locali. Le nostre aziende, i nostri imprenditori che sono rimasti in Italia meritano, davvero, una medaglia. In altri termini, qualsiasi incentivo deve facilitare la possibilità di fare impresa, sia per le aziende da sempre presenti nel nostro Paese, sia per le aziende che intendono tornare. Ogni intervento, quindi, deve essere organico, strutturale e non solo settoriale. Molto si può e si deve ancora fare, specialmente in tema di semplificazione amministrativa, certezza delle regole e riduzione della tassazione sulle imprese.

Con questa mozione, non facciamo altro che rafforzare un'intenzione del Governo che è già iniziata e per questo chiediamo l'impegno ad individuare strumenti legislativi atti a salvaguardare l'etichettatura e la tracciabilità dei prodotti italiani, al fine di promuovere la produzione interamente realizzata in Italia, il vero made in Italy. L'espressione “made in Italy“ rappresenta, infatti, la qualità, la creatività, l'originalità caratteristica dell'Italia e dei suoi artigiani ed è uno degli elementi fondanti dell'identità culturale italiana.

Chiediamo, punto 1, di migliorare la semplificazione amministrativa e fiscale delle imprese, offrendo un quadro normativo stabile, ponendo in atto con decisione strumenti a sostegno dell'imprenditoria, dell'innovazione e delle competenze professionali, anche attraverso iniziative di sviluppo regionale; punto 2, di incentivare la detassazione e gli investimenti per ricerca e sviluppo, sostenere la formazione e la riqualificazione del personale, per migliorare le competenze richieste dal mercato del lavoro in evoluzione; punto 3, di rivitalizzare su livelli tecnologici aggiornati i distretti industriali e le aziende che hanno ridotto la loro attività a causa dell'offshoring e favorire l'insediamento di nuove iniziative imprenditoriali in aree depresse, in particolare con interventi di riqualificazione industriale o interventi sui territori, nei quali era presente un'impresa cessata, così da valorizzare i lavoratori che già hanno un'esperienza acquisita; punto 4, di creare una rete di informazione, a servizio di coloro che vogliono attivare i processi di rilocazione e rimpatrio, coinvolgendo le realtà pubbliche e private già presenti sul territorio e formando il personale già presente nella pubblica amministrazione, ma anche questo processo deve essere semplificato e non avere lungaggini burocratiche; punto 5, di favorire, nelle modalità più opportune, l'accesso ai finanziamenti bancari, anche con strumenti innovativi, al fine di sostenere e accelerare gli investimenti richiesti; punto 6, di favorire la riduzione dei costi di approvvigionamento energetico per le imprese, sostenendo una politica basata sull'efficientamento e sull'utilizzo delle rinnovabili; punto 7, di adottare ogni politica utile al fine di sostenere il made in Italy in ogni possibile declinazione, essendo punto di forza attrattivo sul mercato mondiale.

Io provengo dalla regione Veneto, per cui provengo da quell'area del territorio conosciuta come il Nord Est produttivo, cioè un'area dove la casa coincideva con il capannone, il capannone si è ingrandito, sono diventati grandi aree industriali, una zona produttiva importante, anche di molte eccellenze. Oggi, proprio nel mio territorio questi capannoni sono in parte vuoti, perché qualcuno ha delocalizzato, qualcuno non ce l'ha fatta a sopravvivere, mentre, invece, ci sono quegli imprenditori che, appunto, meritano una medaglia perché hanno resistito alla crisi. Io credo che se da parte del Governo si riescano ad adottare le misure affinché chi resta possa davvero svolgere la propria attività da imprenditore nel migliore dei modi, ma anche si riesca a far rientrare gli imprenditori che sicuramente lo farebbero volentieri, credo che si genererebbe, davvero, un importante passo per l'economia, perché per ogni azienda che c'è in Italia, per ogni prodotto, nel nostro territorio, si sviluppa un grandissimo indotto che coinvolge tantissime famiglie e tanti lavoratori (Applausi dei deputati del gruppo Lega-SalviniPremier).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il collega Benamati. Ne ha facoltà.

GIANLUCA BENAMATI (PD). Grazie, Presidente. Io credo che questa sera stiamo affrontando una discussione su un tema molto importante, anzi, va dato atto ai colleghi del gruppo di Forza Italia di averlo opportunamente sollevato, con la prima di queste mozioni, ed è un tema che, naturalmente, riguarda il presente, ma, soprattutto, il futuro dell'Italia. Noi - lo richiamo solo per mia memoria, Presidente - siamo una nazione che è nel pieno del travaglio dell'Occidente produttivo, in questo momento in cui l'economia globale sta cambiando, un Paese di trasformazione, un Paese che vuole - spero che su questo siamo tutti d'accordo - mantenere il suo livello di industrializzazione e presenza fra i grandi produttori del mondo e, come dicevamo prima, il tema della globalizzazione, che ha avuto aspetti anche significativi per molte parti delle economie mondiali, per molte popolazioni che sono uscite dall'indigenza, ha avuto ed ha, anche, degli aspetti negativi, soprattutto per noi che viviamo nella parte di quello che una volta si sarebbe definito l'Occidente industriale del mondo. Infatti, a fianco dell'apertura di nuovi mercati, a fianco delle nuove possibilità di espansione, ci sono fenomeni come questo della delocalizzazione, ovverosia, signor Presidente, dello spostamento di tutto o di parte di sistemi produttivi o, addirittura, di quartieri generali di aziende, verso altri lidi, che sono, effettivamente, un danno alle economie che li subiscono.

Certamente, è già stato detto, questi fenomeni di spostamento avvengono e sono avvenuti su modelli e per motivi non encomiabili, un tema di dumping, un tema di concorrenza, di ricerca di una malsana competitività sui costi, sfruttando Paesi con un costo del lavoro inferiore, quando il costo del lavoro è importante per unità di prodotto, ma anche Paesi - e ci ricordiamo tragedie su questo - in cui si possono più agevolmente bypassare o non esistono, addirittura, normative del lavoro da Paese avanzato o, addirittura, anche le regole ambientali delle produzioni sono, come dire, più lasche. E questi vantaggi, diciamo così, malsani creano una certa stabilità per qualche azienda, ma drogano il mercato e, a lungo termine, sono nocivi per le aziende stesse che li praticano.

Su questo, però, signor Presidente, vorrei che noi non facessimo troppa confusione fra delocalizzazioni e internazionalizzazioni delle aziende, perché, nel dibattito, mi è capitato di sentire accostare queste due fattispecie; da un lato, si può spostare un insediamento produttivo per le motivazioni che indicavo prima e questo è estremamente nocivo, come dicevo, è estremamente nocivo per il sistema che lo subisce e, a lungo andare, anche per l'azienda che lo pratica; però, poi, ci sono anche fenomeni di spostamento di tutte o parti delle attività produttive che sono collegati, non a scelte, ma a obblighi imposti da questo sistema di produzione. Si può essere costretti a dover aprire una sede in un Paese estero per le condizioni di quel Paese, ricordo, per esempio, la Cina di diversi anni fa, con un'economia non propriamente di mercato, che aveva dei requisiti anche di presenza; si può essere costretti anche sui termini di una presenza su mercati e sulla logistica delle distanze. Quindi, vediamo, anche nel fenomeno di questi spostamenti, chi adotta comportamenti assolutamente scorretti e chi, invece, stando sui mercati globali, segue delle logiche che, poi, portano un vantaggio all'Italia, perché queste aziende sono e rimangono italiane.

Allora, sulle delocalizzazioni, anche qui, ho sentito diverse cose; anche qui vorrei fare alcune osservazioni; le delocalizzazioni, nella fattispecie negativa che indicavo, hanno colpito tutti i Paesi di antica industrializzazione dell'Occidente e in questo l'Italia, probabilmente, meno di altri, meno degli Stati Uniti, meno della Germania; e anche i numeri che ho sentito in quest'Aula, che provengono da un importante studio di Confartigianato, cioè l'aumento degli occupati nelle aziende a controllo italiano, nelle aziende italiane con sede all'estero, del 12 per cento fra il 2007 e il 2015, pari circa a 94.000 dipendenti, sono un segno di quella crescita. Per inciso, l'occupazione in Italia, fra il 2014 e il 2017, è cresciuta di 1.100.000 unità, per fortuna. Ma questo numero, che all'apparenza è così negativo, possiamo confrontarlo, sempre in quello studio - perché la verità ha sempre tante facce -, con i Paesi ospiti di quelle delocalizzazioni. Tra i primi dieci Paesi è vero che ci sono sei Paesi che hanno un costo del lavoro inferiore a quello dell'Italia, ma il primo Paese di delocalizzazione indicato in quello studio sono gli Stati Uniti, poi c'è la Francia, la Germania, la Spagna, che certamente non hanno il problema del costo del lavoro, ma hanno altre ragioni di mercato per quella presenza. Anche la Cina, come dicevo, aveva in parte temi del costo del lavoro e regole del mercato interno.

Da questo punto di vista, il deprecabile fenomeno di utilizzare spostamenti per guadagnare capacità di mercato, lucrando sul lavoro, sulle condizioni del lavoro, sul costo del lavoro, sulle regole ambientali, va combattuta. Ci sono poi questioni diverse. Sempre nel 2015, faccio presente che l'incidenza dell'industria sull'export italiano era del 79 per cento; praticamente, l'80 per cento di quello che esportavamo in quell'anno erano prodotti industriali. È un punto importante, perché noi abbiamo assistito all'esplosione dell'export in questi anni, che ci ha tenuto a galla nella crisi. La Germania aveva il 70 per cento, la Francia il 66 per cento, e l'Olanda il 28 per cento; il resto, per l'Olanda, erano prodotti che derivavano da transazioni commerciali, i grandi porti di arrivo nel Mare del Nord, il commercio. È chiaro, quindi, che l'Italia continua ad avere questa vocazione industriale. Dobbiamo stare attenti, quando parliamo di questi temi, anche alle nostre aziende che operano nei mercati internazionali in maniera positiva.

Poi si sta evidenziando un fenomeno che è già stato richiamato, che è il fenomeno del ritorno. Non è di oggi, è di questi anni il back-reshoring, il ritorno verso le origini. È un ritorno delle produzioni che - commento anch'io i dati dello studio condotto dalle diverse Università (Bologna, Reggio, L'Aquila, Udine, Catania) nell'ambito dell'Osservatorio sulle ristrutturazioni in Europa - ci dice quello che qualche collega ha già detto: l'Italia, sui 700 casi analizzati, è il primo Paese per ritorni in Europa, il secondo nel mondo. È vero che le la maggior parte dei ritorni arriva dal lontano Oriente, ma non è vero che è solo sistema del fashion. È vero che il tessile, la pelletteria, gli accessori sono una larga parte di questo ritorno, ma ritornano anche le produzioni tecnologiche e di qualità: l'elettronica, le macchine elettriche, sistemi che erano stati delocalizzati. Perché ritornano? È già stato detto, però su questo vorrei un attimo soffermarmi anch'io. Tutti abbiamo concordato che una delle prime questioni è il made in. Certamente, se la moda, il fashion, costituiscono il 40-45 per cento di questo ritorno, è chiaro che è così. Io stesso vengo da una realtà in provincia di Bologna dove una delle più grandi e note aziende italiane di pelletteria e borse, che aveva stabilimenti in Cina, ha riportato in Italia le grandi produzioni di qualità. Ma come si difende allora il made in Italy? Tante cose sono state dette, faccio solo due osservazioni. Quando parliamo di italian sounding, quando parliamo di difendere, sui mercati esteri, in Paesi che hanno una legislazione diversa, i nostri prodotti, servono i trattati, servono i trattati sul commercio, perché lì sta la difesa dei nostri prodotti.

Allora farei molta attenzione quando si mettono in discussione trattati. Così come, è vero, c'è il tema dell'etichettatura: una battaglia annosa che hanno condotto diversi Governi nella XV, nella XVI e XVII legislatura. Sottolineo al Governo che per superare il problema dell'obbligatorietà, in cui c'è un'ampia discussione a Bruxelles, in questo ramo del Parlamento, nella scorsa legislatura, è stata approvata, a tutela del consumatore e notificata a Bruxelles, una legge per l'etichettatura volontaria in cui il Governo, il Paese, dava incentivi alle aziende italiane che volevano indicare la tracciabilità dei loro prodotti per testimoniarne la genuinità o la qualità produttiva. Questa legge si è fermata - perché non è stata convertita - al Senato, era già stata approvata alla Camera. Era già stata notificata a Bruxelles, e scavalcava il tema dell'obbligatorietà.

Il tema del made in, dicevo, è uno dei primi, ma poi abbiamo anche il tema della produzione, della qualità della produzione in Italia, molto migliore che all'estero; la competenza dei lavoratori, la possibilità di seguire al meglio i clienti e, naturalmente - si diceva prima -, la logistica. Da questo punto di vista, gli incentivi sono una delle ultime voci nell'ambito del ritorno a casa: solo lo 0,8 per cento degli intervistati ha indicato questo come elemento importantissimo per il rientro, mentre indicava gli altri.

È un fenomeno mondiale, quello di favorire la spinta al ritorno, la spinta al reshoring. Gli Stati Uniti, che sono stati forse l'economia più colpita, perché sono un grande mercato aperto (300-350 milioni di consumatori), hanno perso in pochi anni 5 milioni di occupati nell'industria. Già Barack Obama fece partire il programma Backtomanufacturing, fatto di incentivi fiscali, abbassando le tasse a chi rientrava - questione che anch'io trovo abbastanza avanzata, perché potrebbe penalizzare chi non se ne è andato - e fatto di moralsuasion. Però certamente Trump - vedremo cosa avrà in serbo per questo -, un mercato come gli Stati Uniti cerca di proteggerlo escludendo gli altri, cosa che noi ovviamente non possiamo fare; noi assolutamente siamo penalizzati da una chiusura dei mercati altrui. La Francia stessa ha un programma importante, pur non avendo una manifattura come la nostra e come la Germania in termini di peso specifico, puntando come sempre sulle condizioni Paese: un Paese ordinato, con una burocrazia veloce e precisa, con ricerca e sviluppo fra le più agevolate in Europa, con regole fiscali che aiutano i ritorni delle aziende, però intese come quartier generali, intese come testa delle aziende stesse; e hanno un programma di localizzazioni e aiuti che aiuta le aziende a reinsediarsi.

Su questo devo dire che il made in Italy è stato importante, che tutti i motivi che ho citato sono stati importanti per far sì che l'Italia sia il primo Paese di ritorno in Europa, ma mentirei se non dicessi che sono state importanti anche le politiche per l'industria e per la manifattura che sono state messe in atto in questi anni. Dal 2013 al 2018 non c'è stata solo l'idea di superare la crisi, c'è stato un modello di come superare la crisi. Cito solo alcune piccole cose, che hanno una grossa rilevanza. Non torno a parlare di Industria 4.0, di cui hanno già parlato i colleghi, che è fondamentale per il futuro della manifattura italiana, per la sua competitività, quindi per il ritorno delle produzioni, ma connessa a questo c'è anche una grande parte di formazione del personale, il Fondo per la reindustrializzazione, che è stato approvato nel febbraio 2018 (200 milioni di euro, al quale si aggiungono 850 milioni per processi di reindustrializzazione); il tema dei fondi per il made in Italy; il tema della “Nuova Sabatini” dell'iper-ammortamento; si è detto dell'IRAP, e quant'altro. Molte misure - e vado a concludere, Presidente - che hanno aiutato e reso più attrattivo il nostro Paese.

La delocalizzazione non si combatte solamente con le sanzioni, anzi. La delocalizzazione si combatte con molteplici fattori: con la qualità del nostro Paese, con gli incentivi all'imprese, con le buone scuole, con l'innovazione e la ricerca. Fascino, qualità e tecnologia sono le caratteristiche italiane, purtroppo nel decreto dignità vediamo un po' una grida manzoniana da questo punto di vista, che non avrà molti effetti, ma noi riteniamo che, se quello che abbiamo sentito sulle mozioni verrà messo in pratica, l'idea di politiche attive in questo senso sia quella vincente e noi saremo al vostro fianco se continuerete su questa strada (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico).

PRESIDENTE. E' iscritto a parlare l'onorevole Patassini. Ne ha facoltà.

TULLIO PATASSINI (LEGA). Presidente, rappresentante del Governo, onorevoli colleghe e colleghi, in quest'Aula, questa sera, abbiamo veramente ascoltato la possibilità di sviluppo concreto per la nostra Italia, perché da più parti e da più partiti politici, da più iniziative è emersa come la capacità manifatturiera dell'Italia possa trovare una nuova linfa nel ritorno di imprese che si sono delocalizzate all'estero. L'Italia ancora oggi è il secondo Paese manifatturiero d'Europa, questa manifattura ci ha permesso di sopportare la crisi economica che dal 2008 ha coinvolto l'Europa e tutto il mondo occidentale. È evidente che la crisi economico-finanziaria ha ripensato anche il modello economico globale. Io vorrei, senza ripetermi con gli onorevoli colleghi che hanno fatto considerazioni attente e assolutamente condivisibili sui processi di sviluppo nazionale, ricordare brevemente perché tante aziende, diversi anni fa, decisero di delocalizzare. All'epoca era imperativo il fattore costo; poter produrre a prezzi più bassi per vendere di più. Quindi, c'è chi ha delocalizzato nei Paesi dell'Est e chi è andato ancora più lontano, in Estremo Oriente. Con quale effetto? Quello di rincorrere il risparmio dei costi perché c'è sempre un Paese in cui la manodopera costa meno, esisterà sempre un Paese in cui i fattori di produzione sono più economici. Quindi, superato l'effetto Cina, si è passati all'effetto Vietnam; superato l'effetto Vietnam, si passa all'effetto Cambogia e questa ricerca del costo e quindi del margine sui volumi di produzione, non sulla qualità di produzione, ha causato una vera e propria invasione di prodotti provenienti dall'Estremo Oriente sui nostri territori, creando così non un circolo virtuoso per la nostra economia, ma un circolo assolutamente vizioso, in cui chiaramente il prodotto italiano non era più competitivo, a fronte di un'invasione di prodotti esteri.

Questo non significa, vorrei rifarmi a quanto ha detto poc'anzi un onorevole collega, che qui stiamo discutendo di internazionalizzazione; quello è un altro processo, assolutamente rispettoso di qualità e che deve essere perseguito, perché il nostro mercato è globale e la nostra economia deve essere pensata in maniera glocal; vorrei riferirmi ad altro aspetto, quello in cui l'imprenditore rincorreva solo il fattore costo, non il fattore di conquista di un mercato estero, ovvero la conquista del mercato interno di una nazione, sia essa la Romania, l'Albania o il ritorno alla Cina. Chiaramente questo modello economico ha causato immediatamente dei limiti,

quello di portare prodotti, come ho detto prima, di minore qualità e di maggiore impatto. Gli stessi consumatori si sono poi resi conto, nel tempo, che la qualità non poteva essere assimilata a un minor costo anche se, dobbiamo riconoscerlo per onestà intellettuale, per un certo periodo di tempo il fattore qualità l'abbiamo un po' dimenticato anche da semplici consumatori.

Quando si parla di qualità, ovviamente l'Italia è al primo posto e al primo posto perché da duemila anni l'Italia fa qualità, l'Italia è da duemila anni che è sinonimo di bellezza, di arte, di cultura e quindi di qualità, di design dei propri prodotti e di capacità, e vorrei tornare qui al capitale umano di cui noi italiani andiamo fieri, del capitale umano di cui siamo a disposizione, dall'artigiano all'intellettuale, ed è questo che, negli anni, sta facendo la differenza. Perché un'impresa, a questo punto – è la domanda che ci stiamo ponendo in quest'Aula –, dovrebbe tornare in Italia? Per un fattore di un incentivo? Per un semplice fattore di un beneficio fiscale? O perché qui vogliamo lavorare sul sistema Italia Paese, su un'attrattività del sistema Paese, che comporta evidentemente un più basso livello di burocrazia, una certezza del diritto e, da ultimo, un sistema fiscale più equo, a vantaggio non solo delle imprese che rientrano ma, come hanno già affermato altri, di quegli imprenditori che, con coraggio, con tenacia e determinazione, sono rimasti in Italia a produrre e che hanno mantenuto qui le loro basi e che oggi, in questo processo di rilocalizzazione, sono certamente avvantaggiati. Quindi, nella sintesi, è questo l'obiettivo delle mozioni che Lega e 5 Stelle hanno presentato congiuntamente, creare un sistema Italia che sia attrattivo sia per il ritorno delle imprese ma anche per l'arrivo di capitali esteri e di imprese estere. Di questo aspetto chiaramente, parlando di qualità, fondamentale, come hanno anticipato altri, è il made in, quindi una chiarezza da dove vengono i prodotti e da chi sono “prodotti i prodotti” e il gioco di parole, permettetemi, non è assolutamente casuale, questo vale sia nel settore della moda, del fashion, ma anche nel settore dell'agroalimentare dove, in Europa e nel mondo, soffriamo l'italian sounding, che incide per diverse decine di miliardi di euro.

Quindi, è giustissimo intervenire sui contratti, ma è giustissimo altrettanto intervenire sui contratti internazionali da un medesimo livello, perché siamo noi, in primis, quelli che dobbiamo tutelare il nostro made in Italy. Lo dico anche con un pizzico d'orgoglio, nell'agroalimentare l'etichettatura dei cibi, l'etichettatura della filiera diventa fondamentale perché così non ci troviamo invasi di “Parmesan”, di “Macaroni”, di “Mozzarila” e così via. È per questo che i gruppi parlamentari di Lega e 5 Stelle hanno presentato in Commissione attività produttive della Camera una proposta di Commissione d'inchiesta parlamentare sui fenomeni di diffusione delle merci contraffatte e delle pratiche usurpative in campo commerciale, proprio perché il rispetto delle regole, soprattutto nel mondo del commercio internazionale, deve valere ancora di più, per un aspetto non solo etico, ma in particolare economico. È per questo che appoggiamo con la forza e con vigore le mozioni congiunte presentate dai nostri gruppi di Lega e 5 Stelle (Applausi dei deputati dei gruppi Lega-SalviniPremier e MoVimento 5 Stelle).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Silvestroni. Ne ha facoltà.

MARCO SILVESTRONI (FDI). Presidente, credo che sono l'ultimo ad intervenire, in questa comunque proficua giornata. Sono state presentate svariate mozioni su questo tema. Mi associo ai ringraziamenti a Forza Italia, che ha voluto stimolare l'Aula, portando la sua mozione e anche Fratelli d'Italia ha portato una sua mozione e queste mozioni proposte comunque dai partiti che rappresentano il centrodestra, quindi da Forza Italia alla Lega, hanno forse un comune indirizzo, con delle differenziazioni, però. Il collega Patassini, che mi ha appena preceduto nell'intervento, ha detto che il problema delle delocalizzazioni era dovuto ai costi e, cioè, ha fatto intendere che si andava a delocalizzare perché sì voleva andare a guadagnare di più all'estero. Non credo che sia questo.

Così come è stato detto, il problema è che i Governi che ci hanno preceduto in tutti questi anni in realtà non hanno fatto una politica di sviluppo nei confronti delle imprese italiane, ma soprattutto le delocalizzazioni sono avvenute a causa del troppo elevato costo del lavoro. Quindi, per essere competitive, le imprese italiane dovevano per forza delocalizzare. Quindi, è un problema di competitività. Quindi, se noi vogliamo creare condizioni più favorevoli, affinché le imprese vengono a investire in Italia, Fratelli d'Italia è d'accordo. Vogliamo che si inverta la tendenza alla delocalizzazione delle imprese italiane in altri Paesi? Chiaramente Fratelli d'Italia è d'accordo, perché noi tifiamo per l'Italia.

Ma “prima gli italiani” vogliamo ricordare che non può rimanere solo ed esclusivamente uno slogan elettorale. Gli imprenditori patrioti - perché così sono quegli imprenditori che non hanno delocalizzato - e cioè quegli imprenditori che sono voluti rimanere in Italia, tutelando in questo modo i loro dipendenti e le loro famiglie - per noi devono avere la priorità, Presidente: sistemi di premialità, prima a chi ha combattuto contro Equitalia e contro le amministrazioni dello Stato per essere pagato e che, magari, dallo Stato stesso ha avuto problemi - lo ripeto -, problemi perché il costo del lavoro era troppo elevato e, quindi, non poteva permettersi di potere a volte pagare gli stipendi ai propri operai.

Soprattutto, Presidente, nei confronti delle imprese, che iniziano e finiscono la loro filiera produttiva in Italia, ancora maggiormente queste devono essere premiate. Deve essere chiaramente percepito dal mondo dell'imprenditoria che in quest'Aula si premia e si incentiva chi ha difeso la qualità e l'eccellenza italiana e il made in Italy, contro la contraffazione e la concorrenza sleale. In quest'Aula deve essere chiaro che vogliamo valorizzare tutto quello che è il marchio italiano e investire su tutte le aziende che producono lavoro in Italia e che non hanno voluto delocalizzare. Deve uscire un segnale chiaro e cioè un segnale di buonsenso da quest'Aula, se si obbliga alla restituzione di tutti gli aiuti e delle agevolazioni dello Stato per chi ha delocalizzato all'estero.

La tutela del made in Italy, che credo sia una questione che sta a cuore a tutto il Parlamento, come abbiamo visto dal dibattito di queste ore e di oggi, non può rimanere anche questo un solo slogan elettorale. Tutela in ogni sede degli interessi italiani, a partire dalla sicurezza dei risparmi e dalla tutela del made in Italy, con particolare riguardo alla tipicità delle produzioni agricole e dell'agroalimentare.

A questo punto, che è tra l'altro il punto numero 3 del programma scritto e firmato da Giorgia Meloni insieme agli altri leader del Centrodestra, noi rimaniamo fermamente fedeli. E nel rispetto degli elettori ribadiamo che il Governo debba avere la priorità di rafforzare la tracciabilità dei prodotti italiani e adottare norme più stringenti sull'etichettatura dei prodotti realizzati in Italia. Ribadisco ancora, Presidente, che non si tratta di protezionismo, ma di buon senso. Lo Stato deve difendere il vero made in Italy, che rappresenta l'unico futuro economico di questa nazione. Come già ha esposto la mia collega Lucaselli, il made in Italy rappresenta il terzo marchio commerciale al mondo e, quindi, una politica di contrasto alla delocalizzazione delle imprese italiane e di promozione della rilocalizzazione non può che procedere di pari passo alle politiche di sostegno al made in Italy.

Il rilancio nel mondo del marchio Italia è inteso come identificativo di ciò che viene effettivamente prodotto in Italia e in tutte le fasi di lavorazione. Può rappresentare un'opportunità per le imprese, che producono sul nostro territorio un elemento competitivo di marketing e di immagine, capace di colmare il gap dovuto ai maggiori costi di produzione.

In conclusione, Presidente, per noi di Fratelli d'Italia, tra gli impegni del Governo deve esserci - e la nostra mozione lo prevede - un piano straordinario per la rilocalizzazione in Italia delle imprese, che negli ultimi anni hanno abbandonato il nostro Paese. In fase di attuazione, tale piano dovrà avere una durata massima di tre anni, prevedere una gradualità crescente degli incentivi nel corso dei tre anni, in modo da verificare la bontà del progetto di reinserimento industriale, fino alla chiusura dei siti produttivi esteri, essere vincolati a quote prestabilite annuali di addetti da assumere in Italia, pena il venire meno dell'incentivo.

In conclusione, la strada da intraprendere per Fratelli d'Italia, quindi, è chiara, Presidente. Siamo una nazione con un marchio fortissimo, se non si potrà più contraffare, torneremo una nazione fortissima, anche economicamente (Applausi dei deputati del gruppo Fratelli d'Italia).

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali delle mozioni.

Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo, ma si riserva di intervenire.

Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

Interventi di fine seduta.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Fatuzzo. Ne ha facoltà, per due minuti.

CARLO FATUZZO (FI). Perbacco, sono troppi, dopo tutta questa lunga seduta, mi fermerò qualche secondo prima, sicuramente. Questa mattina, prendendo il treno per venire alla Camera, leggendo il giornale, ho visto una pagina intera di un noto e diffusissimo quotidiano dedicata ai pensionati che si trasferiscono in Portogallo e, in linea generale, negli Stati dove non pagano tasse.

In Portogallo proprio non pagano tasse e sono aumentati vertiginosamente i pensionati che, non pagando colà tasse, vanno via dall'Italia. Non vanno via felici, hanno nostalgia sempre della nostra bella Italia, tornerebbero volentieri. E facciamoli ritornare: zero tasse sulle pensioni! È semplicissimo, dobbiamo vincere la concorrenza sleale dei nostri vicini di casa europei e in questo modo ci riusciremo a far ritornare tutti a casa i pensionati, con zero tasse sulle pensioni. Viva i pensionati! Pensionati, all'attacco!

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Bucalo. Ne ha facoltà.

CARMELA BUCALO (FDI). Grazie signor Presidente. Si chiamava Luca Savio, era un operaio di 37 anni, morto schiacciato da un blocco di marmo, al suo quarto giorno di lavoro.

Le chiamano, signor Presidente, “morti bianche”. Tra le cause scatenanti di questo triste fenomeno, sicuramente la formazione degli addetti ai lavori riveste un ruolo fondamentale. Purtroppo, molte aziende considerano la formazione sulla sicurezza un aspetto marginale della loro attività e, nella maggior parte dei casi, un costo che bisogna solo minimizzare. Quindi, scelgono proposte formative poco serie e guardano solo al costo, ma non alla qualità della formazione. La formazione richiede competenza, richiede preparazione, qualificazione e capacità.

E si assistono anche ai casi più gravi, che sono quelli dei diplomifici, vere e proprie fabbriche, che, dietro pagamento di corrispettivo, elargiscono attestati di formazione, senza che i beneficiari, purtroppo, frequentino i relativi corsi.

Tutto questo perché la formazione obbligatoria risulta essere solo un costo per ogni azienda che nella maggior parte dei casi non risulta essere proattivo alla crescita aziendale. Quindi - concludo - Fratelli d'Italia chiede urgenti iniziative da parte del Governo affinché la formazione obbligatoria possa finalmente rivestire un ruolo di fondamentale importanza nel sistema della prevenzione degli infortuni sul lavoro.

Ordine del giorno della prossima seduta.

PRESIDENTE. Comunico l'ordine del giorno della prossima seduta.

Martedì 17 luglio 2018 - Ore 10:

(ore 10, con votazioni non prima delle ore 11)

1. Seguito della discussione del disegno di legge:

Conversione in legge del decreto-legge 22 giugno 2018, n. 73, recante misure urgenti e indifferibili per assicurare il regolare e ordinato svolgimento dei procedimenti e dei processi penali nel periodo necessario a consentire interventi di edilizia giudiziaria per il Tribunale di Bari e la Procura della Repubblica presso il medesimo tribunale (per lo svolgimento delle dichiarazioni di voto finale e per la votazione finale). (C. 764)

Relatrice: GIULIANO.

2. Seguito della discussione del testo unificato delle proposte di legge:

ANZALDI; NESCI ed altri; VERINI; SANTELLI ed altri; PALAZZOTTO ed altri: Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere. (C. 336-513-664-805-807-A)

Relatrice: NESCI.

3. Seguito della discussione del disegno di legge:

S. 435 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 29 maggio 2018, n. 55, recante ulteriori misure urgenti a favore delle popolazioni dei territori delle Regioni Abruzzo, Lazio, Marche ed Umbria, interessati dagli eventi sismici verificatisi a far data dal 24 agosto 2016 (Approvato dal Senato). (C. 804)

Relatore: PATASSINI.

4. Seguito della discussione delle mozioni Carnevali ed altri n. 1-00009, Rostan ed altri n. 1-00012, Rizzetto ed altri n. 1-00016 e D'Uva, Molinari ed altri n. 1-00018 concernenti iniziative volte ad implementare il reddito di inclusione .

5. Seguito della discussione delle mozioni Gelmini ed altri n. 1-00010, D'Uva, Molinari ed altri n. 1-00017 e Lucaselli ed altri n. 1-00019 concernenti iniziative volte a favorire il rientro delle imprese italiane che hanno delocalizzato la produzione all'estero .

La seduta termina alle 21,25.

TESTI DEGLI INTERVENTI DI CUI È STATA AUTORIZZATA LA PUBBLICAZIONE IN CALCE AL RESOCONTO STENOGRAFICO DELLA SEDUTA ODIERNA: TULLIO PATASSINI (A.C. 804)

TULLIO PATASSINI, Relatore. (Relazione – A.C. 804). Signor Presidente, onorevoli Colleghi, rappresentanti del Governo.

Da rappresentante del Centro Italia, territorio martoriato dal sisma del 2016, vivo con un misto di grande onore e responsabilità il ruolo di relatore per la Camera sulla conversione del decreto-legge n. 55 del 2018.

Mi onoro di avere avuto la possibilità di contribuire finalmente all'avvio di una politica fattuale a fronte delle politiche dei Governi Renzi e Gentiloni fatte di ordinanze commissariali anche contraddittorie che, a due anni di distanza dal sisma che ha cambiato la nostra vita, ci vedono ancora in emergenza e con la ricostruzione che resta al palo.

La Lega aveva espresso già a suo tempo tutte le perplessità che oggi condivide con gli amici di governo del Movimento 5 Stelle sul cosiddetto modello di ricostruzione Emilia Romagna, palesemente inadeguato a partire dalla mancata valutazione dell'estrema diversità geomorfologica e di antropizzazione dei territori colpiti.

In un solo mese al governo abbiamo dovuto cercare il rimedio a due anni di non risposte e di errori sostanziali il che è oggettivamente impossibile.

La necessità di risposte a chi dopo due anni non ha ancora ricevuto neppure la SAE (soluzione abitativa di emergenza) non è esaustiva perché ha dovuto fare i conti con i vincoli legislativi e di bilancio oggettivi che non ci hanno impedito però di trovare in ogni modo la possibilità di intervenire per quanto è consentito in fase di conversione di decreto in attesa di procedere adeguatamente e a breve in successivi provvedimenti.

Sia chiaro dunque che il testo che la Commissione Ambiente porta all'attenzione dell'Aula costituisce un determinante tassello di un mosaico di misure normative che, inevitabilmente, si compone in modo progressivo e nella disponibilità di risorse corrente. È un passaggio di un percorso che ci costringe, nostro malgrado, all'ennesimo provvedimento urgente non ultimo per la tempistica legata alla procedura di infrazione avviata nei confronti dei provvedimenti per il sisma 2009 dell'Aquila.

Invito i colleghi di quest'Aula a tenere conto che è stato raggiunto il miglior risultato possibile nella circostanza attuale, e lo si è fatto in misura condivisa. Lo impongono il rispetto per le popolazioni terremotate nei confronti delle quali le risposte vanno date e subito, quand'anche non completamente esaustive.

Ritengo questo invito all'operatività concreta più che opportuno alla luce della presentazione in Commissione di diversi emendamenti condivisibili nella sostanza, ma che, come sanno i colleghi, non è possibile accogliere in questa fase. Prendendo atto che né il Governo Renzi né quello Gentiloni, che hanno avuto ben altri tempi di intervento, hanno fatto oggetto di norma quello che qualcuno oggi ritiene indispensabile, ci rimbocchiamo le maniche per procedere il più celermente e concretamente possibile con il primo step di un progetto più organico.

Il decreto nasce dall'urgenza di prorogare alcuni termini riferiti a versamenti e adempimenti, che erano stati sospesi per il sisma. Il Governo Gentiloni, negli ultimi giorni di attività in prorogatio lo ha emanato con un contenuto minimale: prevedeva soltanto una disposizione sostanziale, riguardante termini per adempimenti e versamenti tributari e contributivi, nonché per il canone RAI e altre utenze.

La distanza tra l'azione del Governo Gentiloni e di quello che il Parlamento è riuscito a fare è dunque già enorme. Il testo esaminato dalla Camera è stato pressoché integralmente elaborato in sede parlamentare, nel corso dell'esame presso il Senato.

Si tratta quindi di un cambio di metodo radicale di condivisione con gli operatori locali, orientato alla rinascita dei territori attraverso lo snellimento burocratico e la partecipazione dei territori stessi alla loro ricostruzione.

Il lavoro proficuo svolto dalla Commissione speciale del Senato ha prodotto un corpus di norme ricco, complesso e, soprattutto, sostanzialmente condiviso, come testimonia l'esito del voto finale, che registra un solo voto contrario e 56 astenuti.

Nel dibattito svolto in questo ramo del Parlamento, la Commissione non ha rinunciato ad effettuare un'istruttoria approfondita fatta di numerose audizioni di soggetti qualificati e di tempi di discussione adeguati.

Dai documenti sulla ricostruzione forniti da tutte le regioni terremotate al termine delle audizioni, ad eccezione della Regione Marche, è emerso nella sua enormità il problema di una ricostruzione che non è partita. Una condizione a cui è necessario rispondere con concretezza di soluzioni suggerite anche da enti e soggetti pubblici e privati dei territori terremotati che toccano con mano la realtà di una ricostruzione che non può e non deve prescindere in primis da quella sociale ed economica.

Il confronto costruttivo e la volontà politica delle nuove forze parlamentari e del Governo ha confermato che la visione della ricostruzione non può che essere olistica e, in questa fase, frutto dell'assunzione di responsabilità anche parziale nella consapevolezza che alcune questioni sono obbligatoriamente rinviate all'approvazione della legge di bilancio.

È significativo sottolineare che l'esordio della legislatura è segnato dall'esame di un provvedimento formalmente governativo ma il cui contenuto ha un'origine interamente parlamentare.

Altrettanto significativo è che il dibattito in Commissione non ha messo in dubbio il prodotto normativo del Senato, che va certamente confermato. È per questo che i lavori della Commissione si sono conclusi senza alcuna modifica dell'articolato vista la precisa assunzione di impegni su alcune fondamentali tematiche da parte della maggioranza e del Governo che, come vedremo nel corso dell'attività in Assemblea, saranno trasfusi in ordini del giorno.

Informo che i 10 pareri resi dalle Commissioni permanenti della Camera dei deputati in sede consultiva sono tutti favorevoli.

Le scelte assunte sono in linea con molteplici e legittime richieste delle comunità locali che hanno vissuto eventi devastanti sotto ogni profilo e che necessitano di risposte tempestive ed adeguate.

Posso confermarlo in via diretta avendo vissuto il sisma personalmente. Il 24 agosto 2016, alle 3.36, un terremoto di magnitudo Richter ML 6.0 ha colpito il Centro Italia distruggendo Accumoli, Amatrice, Arquata del Tronto. Alle 4.33 una nuova scossa, stavolta di magnitudo 5.4, ha distrutto la Chiesa di San Benedetto di Norcia. Da quel momento il Centro Italia ha tremato più di 90 mila volte.

La serie sismica si è protratta con le scosse particolarmente distruttive del 26 e 30 ottobre e quella del 18 gennaio 2017 che ha preceduto di poco la tragedia di Rigopiano, esempio della necessità che quest'Aula parlamentare provveda a fare ampia e pronta luce non solo sull'evento specifico ma anche in generale su quanto accaduto in questi due anni nel Centro Italia, partendo dalle politiche di gestione ambientale di un territorio come quello appenninico che è un'immensa risorsa da tutelare nel rispetto della natura e dell'uomo che grazie a quella natura deve vivere e prosperare.

Il protrarsi delle scosse nel Centro Italia ha determinato la necessità di sempre nuove risposte legislative, quali l'allargamento del cratere originario fino ai 138 comuni elencati nei tre allegati al decreto-legge n. 189 del 2016, di 4 Regioni per una area di circa 8.000 chilometri quadrati.

Peraltro, il territorio colpito dal sisma riguarda molti piccoli comuni: il 40% di essi ospita meno di 1.000 abitanti ciascuno; nel cratere risiedono circa 600.000 persone, di cui 40.000 sono ancora, ad oggi, sfollati.

Il bilancio è stato pesantissimo in termini di vite umane e di economia del territorio, con la perdita di centinaia di migliaia di case, scuole, edifici pubblici, e un danno gravissimo al patrimonio culturale e artistico del Paese.

Questo giustifica la predisposizione di un testo sicuramente complesso e articolato, per la cui analitica descrizione rinvio alla documentazione predisposta dai funzionari ed impiegati preposti, che ringrazio per la costante e fattiva collaborazione per il sapiente ed attento lavoro svolto.

Ritengo però utile elencare in modo sintetico e non esaustivo le disposizioni all'esame dell'Aula: prorogato lo stato emergenza al 31 dicembre 2018, stanziando risorse per 300 milioni; prorogata di un anno (al 2019) la restituzione mutui dei comuni e anche la possibilità di adeguare l'indennità ai sindaci < 5mila abitanti; esonerati i comuni dall'obbligo di raggiungere gli obiettivi di raccolta differenziata durante il periodo dell'emergenza; prorogati di 2 anni al 2020 i mutui per attività economiche e privati per prima casa, e al 2021 per chi è in zona rossa; riconosciute ai privati le spese per la TOSAP per l'occupazione del suolo pubblico per il cantiere di ricostruzione;   prorogate sino al 2020 le esenzioni delle bollette delle forniture in zona rossa; introdotta la possibilità di avvalersi del datore di lavoro per la restituzione a rate dei versamenti della busta paga pesante. Ciò sgraverà i contribuenti da ulteriori adempimenti burocratici con l'F24; aumentata la soglia dell'importo dei lavori pubblici per l'obbligatorietà della SOA di cui molte imprese edili locali (circa il 50% aveva cessato l'attività) sono provvisti; introdotto il rimborso delle spese per l'adeguamento antincendio e per l'eliminazione delle barriere architettoniche di immobili distrutti o danneggiati; ampliato il numero delle centrali uniche di committenza per superare una limitazione eccessiva dei soggetti attuatori; prorogati a fine dicembre 2018 gli interventi di immediata esecuzione e presentazione schede AEDES da parte dei professionisti; prevista la realizzazione di aree turistiche attrezzate per roulotte e camper per proprietari di seconde case distrutte, fondamentale per il rilancio del turismo e per far rivivere le comunità; prevista la pubblicazione e l'aggiornamento periodico di linee guida del commissario con procedure e adempimenti connessi alla ricostruzione; viene riassegnata ai comuni l'istruttoria della compatibilità urbanistica; introdotta — finalmente – una norma adeguata per sanare le casette temporanee costruite senza permesso, in emergenza, ma necessarie per affrontare immediate esigenze abitative; introdotta una norma per consentire demolizioni e ricostruzioni di abitazioni inagibili in deroga al vincolo stradale; introdotta la possibilità per le diocesi di intervenire direttamente su molte delle 3.000 chiese danneggiate ricorrendo a procedure previste per la ricostruzione privata, in luogo delle procedure pubbliche, per lavori su singoli interventi di importo fino a 500.000 euro; per sbloccare la ricostruzione dei privati sono state definite le procedure sia per condoni pendenti connessi a fabbricati danneggiati dal sisma, sia per sanare piccole difformità realizzate in assenza di SCIA; proroga dei termini relativi alla restituzione degli sconti fiscali e contributivi del 60% concessi alle imprese dell'area colpita dal terremoto 2009 e considerati da Bruxelles aiuti di Stato illegittimi, permettendo al Governo di avviare urgentemente in Europa una negoziazione sulla procedura di infrazione.

Un primo filone concerne gli interventi volti a rinviare e, per quanto possibile, ridurre gli oneri economici e burocratici che, a vario titolo, ricadono sui cittadini e lavoratori di quelle aree, come aiuto concreto anche al loro impegno a ricostruire e reinsediarsi nei luoghi.

Come noto, questo aspetto era l'impostazione originaria e minimale del decreto, integrata durante i lavori al Senato.

Di particolare attenzione è la definizione di una TREGUA FISCALE per i lavoratori e le imprese che operano sul cratere rinviando pagamenti ed adempimenti di varia natura, allineando la scadenza a gennaio 2019, la ratio della norma è basata sulla consapevolezza dello stato emergenziale ancora in essere, con abitazioni ed imprese distrutte, e che sia necessario un congruo lasso di tempo per ritornare alla normalità.

Si prevede quindi la proroga del termine per la ripresa della riscossione dei tributi per i soggetti diversi dai titolari di reddito di impresa e di lavoro autonomo, nonché dagli esercenti attività agricole, al 16 gennaio 2019, aumentando, altresì, il numero delle rate mensili (sessanta) per l'eventuale rateizzazione. Sono disciplinate le conseguenze dell'insufficiente, tardivo o omesso pagamento di una o più rate, contemplando anche l'utilizzo dell'istituto del ravvedimento. Si ricorda che il ravvedimento consente di regolarizzare omessi o insufficienti versamenti e altre irregolarità fiscali, beneficiando della riduzione delle sanzioni allo scopo di garantire una maggiore premialità al contribuente che si attivi tempestivamente. È prorogato al 31 gennaio 2019 il termine per gli adempimenti e pagamenti dei contributi previdenziali e assistenziali e dei premi per l'assicurazione obbligatoria, prevedendo la rateizzazione fino a un massimo di sessanta rate mensili, a decorrere dal mese di gennaio 2019.

I lavoratori dipendenti o assimilati che hanno usufruito della cosiddetta "busta paga pesante" possono effettuare il rimborso oltre che direttamente tramite F24, attraverso il proprio sostituto d'imposta, evitando ulteriori appesantimenti operativi.

La nuova lettera b-bis), introdotta al Senato, modifica entrambi i termini per l'adozione delle ordinanze di sgombero e per la dichiarazione di distruzione o inagibilità del fabbricato posticipandoli al 31 dicembre 2018, confermando altresì le esenzioni fiscali relative al reddito dei fabbricati, quando distrutti o inagibili (comma l).

Il comma 2 proroga al 1° gennaio 2019 i termini per la notifica delle cartelle di pagamento e per la riscossione delle somme risultanti dagli atti di accertamento esecutivo e delle somme accertate e a qualunque titolo dovute all'INPS, nonché le attività esecutive da parte degli agenti della riscossione e i termini di prescrizione e decadenza relativi all'attività degli enti creditori.

L'articolo l-bis, introdotto al Senato, modifica le norme relative alla sospensione del pagamento delle rate dei mutui e dei finanziamenti. Nei comuni colpiti dal sisma il termine di sospensione dei pagamenti viene prorogato al 31 dicembre 2020, mentre per gli immobili localizzati in una zona rossa si arriva fino al 31 dicembre 2021.

I commi da 3 a 5 prevedono la sospensione del pagamento del canone RAI dal 1° gennaio 2018 fino al 31 dicembre 2020 e il recupero delle somme oggetto di sospensione — senza applicazione di sanzioni e interessi — dal 1° gennaio 2021. Prevedono, inoltre, il rimborso degli importi già versati fra il l° gennaio 2018 e la data di entrata in vigore del decreto-legge.

Ulteriori disposizioni (commi 6 e 6-bis) riguardano poi il differimento dei termini di sospensione del pagamento delle fatture per i servizi energetici ed idrici, assicurazioni e telefonia.

Il comma 6 in esame ha differito la sospensione dei termini di pagamento fino al 1° gennaio 2019, a seguito di ciò, si informa che l'ARERA, per ciò che attiene ai servizi energetici, ha adottato il 1° giugno 2018 la delibera 312/2018/R/com.

È stato disposto il rinvio dell'emissione della fattura unica di conguaglio – che dovrà comprendere anche gli importi non fatturati fino allo scadere del termine di sospensione dei pagamenti – non oltre il 31 marzo 2019, prevedendo per gli utenti la possibilità di rateizzare gli importi dovuti (purché complessivamente superiori a 50 euro per singola fornitura) senza interessi per una durata di almeno 36 mesi; con periodicità pari a quella di fatturazione.

Il comma 6-bis, affida alle Autorità di regolazione competenti in materia di energia elettrica, acqua e gas, assicurazioni e telefonia il compito di introdurre, con propri provvedimenti, specifiche esenzioni fino alla data del 31 dicembre 2020 a favore delle utenze localizzate in una "zona rossa".

Richiamo, infine, il comma 6-quater dell'articolo 1, che consente la possibilità di una deroga temporanea ai limiti massimi di durata del trattamento straordinario di integrazione salariale, con riferimento a determinate aree ed imprese.

Altre norme inserite al Senato si muovono nella stessa direzione, favorendo soprattutto il ritorno alla vita sociale dei territori e il mantenimento e riattivazione di un tessuto economico fortemente compromesso.

Mi riferisco alla possibilità concessa alle regioni, su richiesta dei comuni, di predisporre aree attrezzate per finalità turistiche, dedicate ai proprietari di seconde abitazioni inagibili, che consentirà di favorire il ritorno e la presenza continuativa di persone originarie di quei luoghi, fonte indispensabile alla creazione di ricchezza e sviluppo incentivando così la riapertura delle attività commerciali di vicinato (articolo 02).

Tali aree saranno inserite nel piano di emergenza comunale e per la realizzazione delle stesse è stata prevista una copertura finanziaria di 10 milioni di euro.

L'articolo 07 è particolarmente sentito dalle popolazioni in quanto permette la regolarizzazione, a determinate condizioni, di prefabbricati, roulotte o simili in aree private, realizzate dal 24 agosto 2016 all'entrata in vigore del seguente decreto (la stampa indica questa fattispecie come "norma salva nonna Peppina"). Mi soffermo su tale disposizione — che definisce la disciplina in materia di interventi eseguiti senza titolo abilitativo — necessaria per rispondere ad una esigenza primaria creatasi nel pieno della fase di emergenza, quando le persone, pur di non abbandonare il loro territorio per molteplici esigenze, hanno realizzato a proprie spese strutture abitative temporanee, nelle more dell'intervento pubblico. È stata prevista la temporaneità delle nuove opere e la loro demolizione, una volta completata la ricostruzione degli immobili danneggiati dagli eventi sismici e rilasciato il certificato di agibilità. La sua introduzione costituisce testimonianza della attenzione e dell'equilibrio che occorre in situazioni di emergenza conclamata, evitando effetti ragionevolmente iniqui.

Il terzo periodo del nuovo testo del comma 1 consente di mantenere in essere le installazioni qualora – in base ad accertamenti eseguiti dagli uffici comunali – siano state rispettate le prescrizioni degli strumenti urbanistici vigenti alla data dell'entrata in vigore della disposizione in esame e le disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio, fatti salvi il rispetto della cubatura massima edificabile nell'area di proprietà privata e la corresponsione del contributo per il rilascio del permesso di costruire.

Alcune disposizioni vanno nella direzione di permettere a più persone possibili il rientro nelle proprie abitazioni in tempi ragionevolmente brevi, nei casi in cui gli immobili siano stati oggetto di danni lieve (classe B).

È stata prevista la proroga al 31 dicembre della consegna delle schede AEDES (agibilità e danno nell'emergenza sismica), scheda redatta da parte di professionisti abilitati, per il rilevamento speditivo dei danni, per la definizione di provvedimenti di pronto intervento e per la valutazione dell'agibilità post-sismica di edifici di tipologia strutturale siano essi adibiti a civili abitazioni o edifici destinati a servizi; è il punto di partenza di ogni pratica edilizia di ricostruzione, sanando altresì la vacatio dalla data di entrata in vigore del presente provvedimento alla scadenza originaria del 30 giugno, in quanto la mancata presentazione della stessa scheda comporta l'inammissibilità della domanda e la perdita del contributo.

L'articolo 1-sexies, inserito nel corso dell'esame al Senato, introduce una disciplina finalizzata alla sanatoria degli interventi edilizi di manutenzione straordinaria riguardanti le parti strutturali dell'edificio e realizzati, prima degli eventi sismici del 24 agosto 2016, in assenza di segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) o in difformità da essa, sugli edifici privati collocati nei comuni colpiti dagli eventi sismici in questione e danneggiati dagli eventi stessi (commi 1-5). Sono inoltre semplificate le modalità per la certificazione di idoneità sismica necessaria per la chiusura delle pratiche di condono edilizio ancora in corso, al fine di accelerare l'iter per la realizzazione degli interventi di ricostruzione o riparazione degli immobili distrutti o danneggiati dagli eventi sismici (commi 6-8).

Nel documento predisposto dal Commissario straordinario per la ricostruzione, consegnato alla Commissione speciale del Senato nel corso dell'audizione del 13 giugno 2018, viene sottolineato che "nei territori colpiti dalla crisi sismica iniziata il 24 agosto 2016 è stata rilevata una criticità nel percorso di riparazione e/o ricostruzione degli edifici danneggiati o distrutti, derivante dall'esistenza di modeste difformità (e ribadisco modeste) in materia paesaggistica consistenti anche in minimi incrementi della volumetria o della superficie degli edifici, che risultano ostativi rispetto al procedimento di concessione dei contributi".

Trattasi come evidenziato più volte nei lavori parlamentari di lievi difformità, non viene quindi prevista la sanatoria di interventi realizzati in carenza o totale difformità dal titolo abilitativo. La disciplina finalizzata alla sanatoria degli interventi di cui ai commi da 1 a 5 dell'articolo in esame si applica, per quanto stabilito dal comma 1, agli interventi edilizi di manutenzione straordinaria anche riguardanti le parti strutturali dell'edificio. Il secondo periodo del comma 3 stabilisce che è fatto salvo il rilascio dell'autorizzazione sismica prevista dall'articolo 94 del D.P.R. 380/2001 che costituisce provvedimento conclusivo al fine della risoluzione della difformità strutturale. La norma in esame individua inoltre nel rilascio dell'autorizzazione, unitamente alla SCIA in sanatoria, una causa estintiva «del reato oggetto di contestazione».

Il secondo periodo del comma 1 prevede il pagamento di una sanzione di importo compreso tra 516 e 5.164 euro, in misura determinata dal responsabile del procedimento comunale in relazione all'aumento di valore dell'immobile.

Il comma 2 disciplina la soglia entro la quale le violazioni di altezza, distacchi, cubatura o superficie coperta — rispetto a quanto previsto nel titolo abilitativo — non vengono considerate rilevanti ai fini della valutazione di conformità dell'intervento rispetto al titolo abilitativo.

In particolare, la norma in esame tollera violazioni non eccedenti, per singola unità immobiliare, il 5% delle misure progettuali.

In base al comma 5, non sono considerati difformità che necessitino di sanatoria paesaggistica gli incrementi di volume derivanti da minimi scostamenti dimensionali, nella misura massima del 2% per ogni dimensione rispetto al progetto originario, riconducibili a carenza di rappresentazione dei medesimi progetti ordinari, alle tecnologie di costruzione dell'epoca dei manufatti e alle tolleranze delle misure, purché tali interventi siano eseguiti nel rispetto delle caratteristiche architettoniche, morfo-tipologiche, dei materiali e finiture esistenti.

I commi 6 ed 8 prevedono la semplificazione delle modalità di certificazione sismica in relazione alle pratiche pendenti al fine di accelerare l'attività di ricostruzione o di riparazione degli edifici privati danneggiati dagli eventi sismici in questione.

Con riferimento all'ambito di applicazione illustrato, il comma 6 prevede che la certificazione di idoneità sismica, ove richiesta per l'adozione del provvedimento di concessione o di autorizzazione in sanatoria e dell'agibilità, sia sostituita da perizia del tecnico incaricato del progetto di adeguamento e miglioramento sismico, che redige un certificato di idoneità statica, effettuando le verifiche in esso previste, con particolare riferimento a quelle relative ai materiali.

Il comma 7 della disposizione in esame disciplina il rilascio dell'autorizzazione prevista dal comma 6, nel caso in cui il progetto di riparazione o ricostruzione dell'edificio danneggiato conduca ad un risultato architettonico e strutturale diverso da quello oggetto della domanda di sanatoria.

In tal caso il progetto deve essere corredato da una relazione asseverata del professionista incaricato attestante che le caratteristiche costruttive degli interventi relativi agli abusi sanati non siano state causa esclusiva del danno.

È sicuramente di supporto ai cittadini interessati alla ricostruzione la norma che prevede che i contributi per la ricostruzione siano concessi anche per le finalità di adeguamento energetico e alle norme antincendio nonché per l'eliminazione delle barriere architettoniche (articolo 03), così come quella che consente l'inserimento nel quadro economico del contributo per la ricostruzione di esborsi dovuti per l'occupazione di suolo pubblico determinata da interventi di ricostruzione (articolo 04).

Analoga finalità ispira l'articolo 05 che consente l'effettuazione di interventi di immediato ripristino dell'agibilità degli edifici lievemente danneggiati, prevedendo che i progetti possano riguardare le singole unità immobiliari.

Rientra in questo segmento normativo la previsione dell'articolo 1-quater, che consente la demolizione e la ricostruzione di immobili danneggiati o distrutti dagli eventi sismici verificatisi dal 24 agosto 2016, anche all'interno della fascia di rispetto stradale, in deroga alle norme concernenti le distanze dal confine stradale fuori dai centri abitati, ad una distanza non inferiore all'area di sedime dell'immobile preesistente.

Un ulteriore filone di intervento – a mio avviso decisivo – concerne invece l'azione di semplificazione burocratica e di snellimento delle procedure per l'affidamento delle opere e le connesse attività autorizzatorie ed esecutive dei lavori.

Richiamo, in tale ambito, l'articolo 06, che aumenta da 150.000 euro a 258.000 euro l'importo dei lavori superato il quale diviene obbligatoria l'attestazione "SOA", per le imprese affidatarie degli interventi di riparazione degli edifici con danni lievi. L'obiettivo è quello di offrire, per quanto possibile, maggiori opportunità di lavoro alle imprese e agli artigiani del territorio, evitando non solo ulteriori cessazioni di attività ma innescando un circolo virtuoso a vantaggio dell'economia locale.

Analogamente, l'articolo 09 prevede l'esclusione dalla procedura di Valutazione Ambientale Strategica (VAS) e dalla verifica di assoggettabilità alla VAS (cosiddetto screening di VAS) per gli strumenti urbanistici attuativi di interventi di ricostruzione o ripristino, a particolari condizioni.

Anche l'articolo 010 semplifica l'istruttoria sulla compatibilità urbanistica degli interventi, affidandola al comune che rilascia tali titoli anziché all'ufficio speciale per la ricostruzione.

L'articolo 012 modifica la composizione della Conferenza permanente, al fine di consentirvi la partecipazione, in assenza dell'Ente parco, del rappresentante di altra area naturale protetta.

Di particolare interesse è anche l'articolo 013, volto a superare lo strumento della Centrale unica di committenza per la realizzazione degli interventi pubblici, consentendo ai soggetti attuatori di avvalersi anche delle stazioni uniche appaltanti e centrali di committenza locali, in una logica di vicinanza al territorio e di distribuzione dei carichi di lavoro su più soggetti qualificati. Inoltre, attribuisce ai Presidenti di Regione - Vicecommissari le funzioni di coordinamento delle attività dei soggetti attuatori, dei soggetti aggregatori, delle stazioni uniche appaltanti e delle centrali di committenza locali.

L'articolo 11 inserisce tra i soggetti attuatori (ex articolo 15 del D.L. 189/2016) degli interventi per la riparazione, il ripristino con miglioramento sismico o la ricostruzione delle opere pubbliche e dei beni culturali, i comuni, l'ente territoriale naturalmente più vicino ai cittadini, e con una profonda e storica conoscenza del territorio di competenza.

Con la lettera d), si introduce un nuovo comma 3-bis, che prevede che gli interventi di competenza delle Diocesi (di cui al comma 1, lettera e) dell'articolo 15 del D.L. 189/16), di importo non superiore a 500.000 euro per singolo intervento, ai fini della selezione dell'impresa esecutrice, seguano le procedure previste per la ricostruzione privata di cui al comma 13 dell'articolo 6 del D.L. 189/16.

Nel rispetto della natura privatistica delle Diocesi si prevede che un'azione diretta per lavori di importo contenuto, vada nella direzione di accelerare le procedure permettendo un più veloce recupero e successiva fruizione dei beni ecclesiastici; si stimano oltre 3.000 chiese lesionate con diversi livelli di gravità, beni importanti non solo per il loro valore artistico culturale, ma perché rappresentano il luogo identitario e fondamentale poter ricostruire le comunità sociali fortemente ferite dal sisma, in una logica di ripopolamento delle aree interne.

L'articolo 6 del D.L. n. 189/2016, che reca i criteri e le modalità generali per la concessione dei finanziamenti agevolati per la ricostruzione privata, prevede al comma 13, come modificato dall'articolo 1, comma 740, della legge di bilancio 2018 (L. 205/17), che la selezione dell'impresa esecutrice da parte del beneficiario dei contributi è compiuta mediante procedura concorrenziale intesa all'affidamento dei lavori alla migliore offerta. Alla selezione possono partecipare solo le imprese che risultano iscritte nella Anagrafe antimafia degli esecutori di cui all'articolo 30, comma 6, del medesimo D.L. 189/16, in numero non inferiore a tre. Gli esiti della procedura concorrenziale, completi della documentazione stabilita con provvedimenti adottati dal commissario straordinario, sono prodotti dall'interessato in ogni caso prima dell'emissione del provvedimento di concessione del contributo.

In tale ambito, è prevista, inoltre, l'emanazione di una ordinanza commissariale, ai sensi dell'articolo 2, comma 2 del D.L. 189/16, sentito il Presidente della Conferenza Episcopale italiana (CEI) e il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al fine di stabilire le modalità di attuazione della suddetta disposizione, dirette ad assicurare il controllo, l'economicità e la trasparenza nell'utilizzo delle risorse pubbliche, nonché le priorità di intervento e il metodo di calcolo del costo del progetto.

Da quanto emerso in Commissione è intenzione della maggioranza inserire in un prossimo provvedimento, tra i soggetti attuatori, le Università, per gli interventi di loro spettanza, non ricomprese nell'Ordinanza 56 del 20 maggio 2018, disponendo i loro uffici già adesso di capacità tecniche adeguate alle necessità del caso.

Funzionale ad agevolare il ripristino dei luoghi è l'articolo 014, disposizione che estende - da 18 a 30 mesi - il periodo massimo consentito per il trasporto e il deposito di materiali di scavo in siti di deposito intermedio, attribuendo a tali materiali la qualifica di sottoprodotto.

L'articolo 1-quinquies dispone che il Commissario Straordinario di Governo per la ricostruzione dei territori interessati dagli eventi sismici del Centro Italia predisponga e pubblichi sul proprio sito internet istituzionale Linee Guida contenenti indicazioni per la corretta ed omogenea attuazione del complesso delle norme emanate e delle ordinanze del Commissario straordinario e del Capo della protezione civile, nonché delle procedure e degli adempimenti connessi agli interventi di ricostruzione.

Un importante filone di intervento è volto a dare risposte concrete alle esigenze degli enti territoriali che operano in condizioni di comprensibile ed evidente difficoltà da molto tempo.

Mi riferisco, in particolare, alla previsione di proroga dei mutui dei comuni e dell'indennità di funzione a favore dei sindaci, disposta dall'articolo 015 in merito al differimento del pagamento delle rate in scadenza negli esercizi 2018 2019 con riguardo ai mutui concessi dalla Cassa depositi e prestiti. Da quanto emerso in Commissione è intenzione della maggioranza verificare la possibilità concreta di definire analoga iniziativa sui mutui concessi da altri soggetti pubblici e privati attraverso apposite convenzioni.

Dello stesso tenore è il comma 6-ter dell'articolo 1, che prevede, per i comuni del cratere sismico, la possibilità di deroga al sistema di vincoli alla raccolta differenziata dei rifiuti urbani, deroga che decorre a partire dal 24 agosto 2016, fino ai dodici mesi successivi alla cessazione dello stato di emergenza. Si prevede la possibilità per i comuni di stipulare un accordo di programma con il Ministro dell'ambiente e la Regione interessata, al fine di stabilire la percentuale di raccolta differenziata dei rifiuti urbani da destinare al riciclo.

È infatti irrealistico continuare a prevedere obiettivi di raccolta differenziata su aree fortemente compromesse dal sisma.

Ancora, ricordo che l'articolo 1-ter prevede l'estensione al 2018 della possibilità di impiego, in favore di alcuni lavoratori interessati da eventi sismici, delle risorse già destinate alla concessione di un'indennità pari al trattamento massimo di integrazione salariale, nonché della relativa contribuzione figurativa.

L'articolo 1-septies viene in soccorso dei soggetti titolari di redditi di impresa o di lavoro autonomo colpiti dagli eventi sismici del 2009 in Abruzzo, percettori di benefici, di fatto posticipando i termini per l'eventuale recupero di quelli che, secondo la Commissione europea, contrasterebbero la normativa sugli aiuti di Stato. Trattasi del grave problema degli sconti fiscali e contributivi del 60% concessi alle imprese dell'area colpita dal terremoto 2009 e considerati successivamente da Bruxelles aiuti di Stato illegittimi. Stiamo parlando di circa 70 milioni/e che se le 132 imprese dovessero restituire in un'unica soluzione andrebbero al fallimento, con la perdita di migliaia di posti di lavoro e infliggendo un colpo letale alla ancora fragile economia della città capoluogo dell'Abruzzo. Al fine di evitare l'avvio di procedure coattive di riscossione da parte del commissario ad acta a partire dal 23 luglio, è stata prevista una proroga dei termini al fine di permettere al Governo di disporre di tempi idonei per negoziare con la Comunità Europea il superamento della procedura di infrazione, anche tenuto conto dei segnali di disponibilità palesati dal Commissario Vestager.

Un ultimo filone di intervento riguarda, inevitabilmente, le necessarie dotazioni finanziarie. A tal fine l'articolo 01, prorogando lo stato di emergenza per le aree terremotate fino al 31 dicembre 2018, indica risorse nel limite complessivo di 300 milioni di euro. La disposizione peraltro reca una deroga alle previsioni del nuovo codice della protezione civile, in base alla quale lo stato di emergenza in parola potrà essere prorogato con deliberazione del Consiglio dei ministri per un periodo complessivo di ulteriori dodici mesi.

I commi 8 e 8-bis dell'articolo 1 contengono la quantificazione degli oneri finanziari del decreto-legge, pari a 91,02 milioni di euro per l'anno 2018, 78,1 milioni per il 2019, 12,08 milioni per il 2020, 58,1 milioni per ciascuno degli anni 2021 e 2022 e 47,3 milioni per il 2023, integrati quindi dalla copertura dei maggiori oneri associati al comma 6-quater, ove si prevede la possibilità di una deroga ai limiti di durata del trattamento straordinario di integrazione salariale (10 milioni di euro per l'anno 2019).

Signor Presidente, onorevoli Colleghi, rappresentanti del Governo, abbiamo dovuto responsabilmente prendere atto che il terremoto del Centro Italia ha evidenziato un livello di devastazione territoriale e sociale diametralmente opposto all'efficacia dell'intervento normativo.

Una devastazione che è stato obbligatorio fronteggiare da subito dal punto di vista sociale per lo sradicamento di intere comunità dal loro quotidiano personale e professionale.

Molto, troppo è stato fatto grazie l'impegno da applauso della Protezione Civile e delle migliaia di volontari che hanno affiancato esercito e forze dell'ordine a fronte di un'azione normativa palesemente inadeguata.

Nei giorni più drammatici è stata commovente la libera iniziativa di tanti italiani che, a vario titolo e con diverse modalità, hanno sostenuto gli italiani del Centro Italia.

Come ha dichiarato un sindaco di un piccolo comune del maceratese, donna forte e determinata, nel pieno dell'emergenza: "questa è l'Italia che vogliamo e che amiamo".

Eppure non erano mancati ai Governi Renzi e Gentiloni il confronto proattivo con le forze politiche e gli inviti dalle organizzazioni professionali ed imprenditoriali sui territori per l'avvio di una ricostruzione che, per la sua complessità, imponeva un modello condiviso di gestione. Quei Governi hanno scelto di guardare invece ad un modello di gestione mutuato dall'emergenza in una regione morfologicamente e socialmente diversa come Emilia Romagna e che già in quella sede aveva già dato ampi segnali di inadeguatezza.

Questo provvedimento è un primo intervento certamente parziale, comunque non è più il momento di rimpallarsi le responsabilità, cosa che non ci appartiene.

Voglio dirlo con un'immagine del quotidiano delle nostre zone terremotate dell'Appennino centrale: il latte è versato ma le mucche sono pronte a produrne in abbondanza se ci sbrigheremo a ricostruire le loro stalle e le scuole dove i bambini si fanno le ossa per diventare cittadini di domani bevendo quello stesso latte.

Signor Presidente, onorevoli Colleghi, rappresentanti del Governo, il testo in esame va visto nella sostanza, ovvero come un concreto inizio per superare finalmente la fase di emergenza e avviare quella della ricostruzione che coincide per i territori interessati con la cosa più importante: il ritorno alla vita.