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Resoconto dell'Assemblea

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XVIII LEGISLATURA

Allegato A

Seduta di Lunedì 15 novembre 2021

COMUNICAZIONI

Missioni valevoli nella seduta
del 15 novembre 2021.

  Amitrano, Ascani, Barelli, Bergamini, Berlinghieri, Boschi, Brescia, Brunetta, Buompane, Butti, Cancelleri, Carfagna, Casa, Castelli, Cavandoli, Cirielli, Colletti, Colucci, Comaroli, Davide Crippa, D'Arrando, D'Incà, D'Uva, Dadone, Daga, Delmastro Delle Vedove, Luigi Di Maio, Di Stefano, Gregorio Fontana, Ilaria Fontana, Fornaro, Franceschini, Frusone, Gallinella, Gava, Gebhard, Gelmini, Giachetti, Giacomoni, Giorgetti, Grande, Grimoldi, Guerini, Invernizzi, Iovino, Lapia, Liuni, Lollobrigida, Lorefice, Losacco, Lupi, Maggioni, Magi, Marattin, Melilli, Molinari, Molteni, Morelli, Mulè, Mura, Nardi, Nesci, Orlando, Paita, Palazzotto, Parolo, Pastorino, Perantoni, Picchi, Rampelli, Ribolla, Rizzo, Rosato, Rotta, Ruocco, Sasso, Scalfarotto, Schullian, Scoma, Scutellà, Serracchiani, Carlo Sibilia, Silli, Sisto, Spadoni, Speranza, Tabacci, Tasso, Vignaroli, Zanettin, Zoffili.

Adesione di deputati a proposte di legge.

  La proposta di legge ZANETTIN ed altri: «Modifica all'articolo 13 del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, in materia di esecuzione del provvedimento di espulsione dello straniero durante lo stato di emergenza epidemiologica da COVID-19» (3349) è stata successivamente sottoscritta dai deputati Calabria, Sarro e Tartaglione.

Trasmissione dal Senato.

  In data 12 novembre 2021 il Presidente del Senato ha trasmesso alla Presidenza la seguente proposta di legge:

   S. 2326. – Senatori PIARULLI ed altri: «Proroga del termine previsto dall'articolo 8, comma 1, della legge 8 marzo 2019, n. 21, per la conclusione dei lavori della Commissione parlamentare di inchiesta sui fatti accaduti presso la comunità “Il Forteto”» (approvata dal Senato) (3367).

  Sarà stampata e distribuita.

Annunzio di sentenze della
Corte costituzionale.

  La Corte costituzionale ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 30, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, copia delle seguenti sentenze che, ai sensi dell'articolo 108, comma 1, del Regolamento, sono inviate alle sottoindicate Commissioni competenti per materia, nonché alla I Commissione (Affari costituzionali):

  in data 11 novembre 2021, Sentenza n. 212 del 20 luglio-11 novembre 2021 (Doc. VII, n. 753),

   con la quale:

    dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 3 della legge della Regione Toscana 24 luglio 2020, n. 69 (Inquadramento del personale giornalista assunto a tempo indeterminato. Modifiche alla legge regionale 43/2006 e alla legge regionale 9/2011), nella parte in cui prevede che i risparmi che conseguono al progressivo riassorbimento dell'assegno ad personam di cui all'articolo 1, comma 2, conferiti al fondo per il trattamento accessorio del personale, possano concorrere a superare il limite di cui all'articolo 23, comma 2, del decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75, recante «Modifiche e integrazioni al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, ai sensi degli articoli 16, commi 1, lettera a), e 2, lettere b), c), d) ed e) e 17, comma 1, lettere a), c), e), f), g), h), l), m), n), o), q), r), s) e z), della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche»;

    dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli articoli 1, commi 1, 2, 3 e 5, e 8 della legge della Regione Toscana n. 69 del 2020, promosse, in riferimento agli articoli 3, 81, 97, primo comma, e 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione, in relazione agli articoli 1, 2 e 40 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche) e all'articolo 9 della legge 7 giugno 2000, n. 150 (Disciplina delle attività di informazione e di comunicazione delle pubbliche amministrazioni), dal Presidente del Consiglio dei ministri:

   alla XI Commissione (Lavoro);

  in data 15 novembre 2021, Sentenza n. 215 del 21 ottobre-15 novembre 2021 (Doc. VII, n. 755),

   con la quale:

    dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 40, comma 5, della legge della Regione Abruzzo 10 agosto 2010, n. 40 (Testo unico delle norme sul trattamento economico spettante ai Consiglieri regionali e sulle spese generali di funzionamento dei gruppi consiliari), come sostituito dall'articolo 32, comma 1, della legge della Regione Abruzzo 20 novembre 2013, n. 42 (Norme in materia di Polizia amministrativa locale e modifiche alla legge regionale n. 18 del 2001, alla legge regionale n. 40 del 2010 e alla legge regionale n. 68 del 2012) nella parte in cui dispone che «Alle spese di cui al comma 1 non si applicano i limiti stabiliti dall'articolo 9, comma 28, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 “Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica”, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122»;

    dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 40, comma 5, della legge della Regione Abruzzo n. 40 del 2010, come sostituito dall'articolo 32, comma 1, della legge della Regione Abruzzo n. 42 del 2013, sollevata, in riferimento all'articolo 136 della Costituzione, dalla Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per l'Abruzzo:

   alla V Commissione (Bilancio).

  La Corte costituzionale ha depositato in cancelleria la seguente sentenza che, ai sensi dell'articolo 108, comma 1, del Regolamento, è inviata alle Commissioni riunite II (Giustizia) e VIII (Ambiente), nonché alla I Commissione (Affari costituzionali):

  Sentenza n. 213 del 19 ottobre-11 novembre 2021 (Doc. VII, n. 754),

   con la quale:

    dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 103, comma 6, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 (Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 24 aprile 2020, n. 27, e dell'articolo 17-bis del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34 (Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all'economia, nonché di politiche sociali connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 17 luglio 2020, n. 77, sollevate dal Tribunale ordinario di Trieste, in funzione di giudice dell'esecuzione, in riferimento agli articoli 3, 24, 42, 47, 77 e 117, primo comma, della Costituzione, quest'ultimo in relazione all'articolo 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, e all'articolo 1 del Protocollo addizionale alla CEDU, firmato a Parigi il 20 marzo 1952, e dell'articolo 103, comma 6, del decreto-legge n. 18 del 2020, sollevate dal Tribunale ordinario di Savona, in funzione di giudice dell'esecuzione, in riferimento agli articoli 3, 11, 24, 41, 42, 111 e 117 della Costituzione, nonché all'articolo 6 della CEDU, all'articolo 1 del Protocollo addizionale alla CEDU e all'articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007;

    dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 13, comma 13, del decreto-legge 31 dicembre 2020, n. 183, recante «Disposizioni urgenti in materia di termini legislativi, di realizzazione di collegamenti digitali, di esecuzione della decisione (UE, EURATOM) 2020/2053 del Consiglio, del 14 dicembre 2020, nonché in materia di recesso del Regno Unito dall'Unione europea», convertito, con modificazioni, nella legge 26 febbraio 2021, n. 21, e dell'articolo 40-quater del decreto-legge 22 marzo 2021, n. 41 (Misure urgenti in materia di sostegno alle imprese e agli operatori economici, di lavoro, salute e servizi territoriali, connesse all'emergenza da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 21 maggio 2021, n. 69, sollevate dal Tribunale ordinario di Savona, in riferimento agli articoli 11 e 41 della Costituzione, nonché all'articolo 47 della CDFUE;

    dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 13, comma 13, del decreto-legge n. 183 del 2020, come convertito, sollevata, in riferimento all'articolo 77 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Trieste;

    dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 13, comma 13, del decreto-legge n. 183 del 2020, come convertito, e dell'articolo 40-quater del decreto-legge n. 41 del 2021, come convertito, sollevate, in riferimento all'articolo 3 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Trieste e dal Tribunale ordinario di Savona;

    dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 13, comma 13, del decreto-legge n. 183 del 2020, come convertito, e dell'articolo 40-quater del decreto-legge n. 41 del 2021, come convertito, sollevate dal Tribunale ordinario di Trieste, in riferimento agli articoli 42, 47, secondo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, quest'ultimo in relazione all'articolo 1 del Protocollo addizionale della CEDU, e dal Tribunale ordinario di Savona, in riferimento all'articolo 42 della Costituzione e all'articolo 1 del Protocollo addizionale della CEDU;

    dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 13, comma 13, del decreto-legge n. 183 del 2020, come convertito, e dell'articolo 40-quater del decreto-legge n. 41 del 2021, come convertito, sollevate, in riferimento all'articolo 24 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Trieste e dal Tribunale ordinario di Savona;

    dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'articolo 13, comma 13, del decreto-legge n. 183 del 2020, come convertito, e dell'articolo 40-quater del decreto-legge n. 41 del 2021, come convertito, sollevate dal Tribunale ordinario di Trieste e dal Tribunale ordinario di Savona, in riferimento all'articolo 117, primo comma, della Costituzione, quest'ultimo in relazione all'articolo 6 della CEDU, e dal solo Tribunale ordinario di Savona, in riferimento all'articolo 111 della Costituzione.

   alle Commissioni riunite II (Giustizia) e VIII (Ambiente);

Trasmissione dal Ministro della salute.

  Il Ministro della salute, con lettera in data 11 novembre 2021, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 15, comma 2, della legge 19 febbraio 2004, n. 40, la relazione sullo stato di attuazione della medesima legge n. 40 del 2004, recante norme in materia di procreazione medicalmente assistita, riferita all'attività dei centri di procreazione medicalmente assistita nell'anno 2019 (Doc. CXLII, n. 4).

  Questa relazione è trasmessa alla XII Commissione (Affari sociali).

  Il Ministro della salute, con lettera in data 11 novembre 2021, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 1, comma 16-bis, del decreto-legge 16 maggio 2020, n. 33, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 luglio 2020, n. 74, i risultati del monitoraggio dei dati epidemiologici di cui al decreto del Ministro della salute 30 aprile 2020, riferiti alla settimana 4-10 ottobre 2021, nonché il verbale della seduta del 15 ottobre 2021 della Cabina di regia istituita ai sensi del decreto del Ministro della salute 30 aprile 2020.

  Questi documenti sono depositati presso il Servizio per i Testi normativi a disposizione degli onorevoli deputati.

Annunzio di progetti di atti
dell'Unione europea.

  La Corte dei conti europea, in data 12 novembre 2021, ha comunicato la pubblicazione della relazione annuale della Corte sulle imprese comuni dell'Unione europea per l'esercizio finanziario 2020, corredata del documento «Sintesi dell'audit sulle imprese comuni dell'Unione europea per il 2020».

  Questo documento è assegnato, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alla V Commissione (Bilancio), con il parere della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea).

  La Commissione europea, in data 12 novembre 2021, ha trasmesso, in attuazione del Protocollo sul ruolo dei Parlamenti allegato al Trattato sull'Unione europea, i seguenti progetti di atti dell'Unione stessa, nonché atti preordinati alla formulazione degli stessi, che sono assegnati, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, alle sottoindicate Commissioni, con il parere della XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea):

  Proposta di decisione del Consiglio concernente la posizione da adottare a nome dell'Unione europea in sede della convenzione per la protezione dell'ambiente marino e del litorale del Mediterraneo («convenzione di Barcellona») in riferimento all'adozione di una decisione recante modifiche del piano regionale per la gestione dei rifiuti marini nel Mediterraneo nell'ambito dell'articolo 15 del protocollo per la protezione del Mar Mediterraneo dall'inquinamento da fonti terrestri («protocollo LBS») (COM(2021) 677 final), che è assegnata in sede primaria alla III Commissione (Affari esteri);

  Proposta di decisione del Consiglio concernente la posizione da adottare a nome dell'Unione in sede della convenzione per la protezione dell'ambiente marino e del litorale del Mediterraneo («convenzione di Barcellona») in riferimento all'adozione, nell'ambito dell'articolo 15 del protocollo per la protezione del Mar Mediterraneo dall'inquinamento derivante da fonti terrestri («protocollo LBS»), di una decisione di adottare piani regionali concernenti il trattamento delle acque reflue e la gestione dei fanghi di depurazione (COM(2021) 678 final), che è assegnata in sede primaria alla III Commissione (Affari esteri);

  Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle Regioni – Piano di emergenza per garantire l'approvvigionamento alimentare e la sicurezza di tale approvvigionamento in tempi di crisi (COM(2021) 689 final), corredato dal relativo allegato (COM(2021) 689 final – Annex), che è assegnata in sede primaria alla XIII Commissione (Agricoltura).

Trasmissione dal Garante
per la protezione dei dati personali.

  Il Presidente del Garante per la protezione dei dati personali, con lettera in data 11 novembre 2021, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 57, paragrafo 1, lettera c), del regolamento (UE) 2016/679, del 27 aprile 2016, una nota avente a oggetto la possibilità di consegna, da parte dei lavoratori, della certificazione verde COVID-19 ai datori di lavoro, prevista dal disegno di legge S. 2394. – «Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 21 settembre 2021, n. 127, recante misure urgenti per assicurare lo svolgimento in sicurezza del lavoro pubblico e privato mediante l'estensione dell'ambito applicativo della certificazione verde COVID-19 e il rafforzamento del sistema di screening» (approvato dal Senato) (atto Camera n. 3363).

  Questo documento è trasmesso alla XII Commissione (Affari sociali).

Atti di controllo e di indirizzo.

  Gli atti di controllo e di indirizzo presenti sono pubblicati nell'Allegato B al resoconto della seduta odierna.

ERRATA CORRIGE

  Nell'Allegato A ai resoconti della seduta del 10 novembre 2021, a pagina 3, seconda colonna, le righe dalla ventunesima alla ventisettesima devono intendersi sostituite dalle seguenti:

   PAOLINI e BORDONALI: «Introduzione dell'articolo 624-ter del codice penale, in materia di tutela della inviolabilità del domicilio da occupazione arbitrarie, nonché disposizioni concernenti la reintegrazione del proprietario o detentore legittimo nel possesso» (3359).

  Nell'Allegato A ai resoconti della seduta del 10 novembre 2021, a pagina 4, seconda colonna, le righe penultima e ultima, nonché a pagina 5, prima colonna, le righe dalla prima alla diciottesima devono intendersi soppresse.
  Nell'Allegato A ai resoconti della seduta del 10 novembre 2021, a pagina 6, seconda colonna, alle righe dodicesima e tredicesima nonché alla trentesima riga, le parole: «30 novembre 2021» devono intendersi sostituite dalle seguenti: «10 dicembre 2021».

DISEGNO DI LEGGE: S. 2394 – CONVERSIONE IN LEGGE, CON MODIFICAZIONI, DEL DECRETO-LEGGE 21 SETTEMBRE 2021, N. 127, RECANTE MISURE URGENTI PER ASSICURARE LO SVOLGIMENTO IN SICUREZZA DEL LAVORO PUBBLICO E PRIVATO MEDIANTE L'ESTENSIONE DELL'AMBITO APPLICATIVO DELLA CERTIFICAZIONE VERDE COVID-19 E IL RAFFORZAMENTO DEL SISTEMA DI SCREENING (APPROVATO DAL SENATO) (A.C. 3363)

A.C. 3363 – Questioni pregiudiziali

QUESTIONI PREGIUDIZIALI

   La Camera,

   premesso che:

    il decreto-legge 21 settembre 2021, n. 127, reca misure urgenti per assicurare lo svolgimento in sicurezza del lavoro pubblico e privato mediante l'estensione dell'ambito applicativo della certificazione verde COVID-19 e il rafforzamento del sistema di screening, misure finalizzate all'esibizione della certificazione verde COVID-19, cosiddetto Green pass;

    volendo tacere circa l'uso convulso della decretazione d'urgenza, non si può glissare sul contenuto delle disposizioni governative le quale, senza troppi eufemismi, presentano forti criticità e si pongono in violazione di principii quali quello di proporzionalità e adeguatezza;

    come è noto la certificazione verde COVID-19 è stata introdotta nel nostro ordinamento dall'articolo 9 al decreto-legge 22 aprile 2021, n. 52 convertito, con modificazioni, dalla legge 17 giugno 2021, n. 87, e, ai fini dell'ottenimento, prevede tre procedure – alternative tra loro – che si pongono quali condizione ai fini degli spostamenti, dell'attività lavorativa e del quotidiano vivere (ossia avvenuta guarigione, avvenuta vaccinazione e, in ultimo, i certificati attestanti l'esito negativo di un tampone molecolare o antigenico);

    per quanto attiene all'esibizione del Green pass nei luoghi di lavoro, il decreto-legge, importa un regime di controlli anche alternativi alla scansione del QR code mediante applicazione C-19, nonché prevede sanzioni in caso di inottemperanza;

    l'utilizzo dell'applicazione C-19, presenta forti criticità in quanto al momento dell'acquisizione del QR code, il soggetto preposto, potrebbe captare i dati mediante screenshot e lettura con app estere che accedono a tutto il dataset del QR code e per la necessaria connessione alla rete internet per la verifica dell'autenticità del codice con conseguente scambio dati da un server da remoto e che implementa una banca dati di cui non si conosce la collocazione geografica. Questa pratica è in palese violazione con l'ultimo capoverso dell'articolo 10.3 del Regolamento 953 del 2021, dove è previsto che: «... i dati personali consultati a norma del presente paragrafo non sono conservati...»;

    la verifica dell'autenticità dei certificati verdi, senza richiedere l'accesso da remoto ad un server, è espressamente prevista dall'articolo 3, comma 2, del predetto Regolamento, che così dispone: «...tali certificati sono di facile utilizzo e contengono un codice a barre interoperabile che consente di verificarne l'autenticità, la validità e l'integrità...», pertanto l'autenticità del certificato è insita nel codice QR code e non necessita di essere verificata online interrogando un database da remoto. In tal caso occorrerebbe la prestazione del consenso al dataset da parte dell'interessato;

    con una nota pubblicata sul suo sito istituzionale sull'uso del Green pass europeo, la Commissione europea ha affermato come gli Stati membri possano utilizzare il certificato digitale COVID dell'Unione europea per scopi nazionali – diversi da quelli del Regolamento UE 953 del 2021 – a condizione che forniscano una base giuridica nel diritto nazionale e fermo restando che quest'ultimo rispetti il diritto dell'Unione in materia di protezione dei dati e i principii di effettività, necessità e proporzionalità;

    la citata nota della Commissione europea si sofferma anche sugli aspetti relativi alla protezione dei dati personali, esplicitando come la normativa nazionale non possa estendere il diritto di richiedere l'esibizione della certificazione COVID a soggetti diversi da quelli individuati all'articolo 10.3 del Regolamento 953 del 2021: i soggetti autorizzati in ambito «domestico» ai controlli in materia sanitaria, sono, ad esempio, i NAS dei Carabinieri e non di certo i soggetti privati quali i datori di lavoro. Si afferma, sempre nella nota, che la normativa interna deve essere conforme al diritto dell'Unione in materia di protezione dei dati, e non esclusivamente al GDPR, pertanto l'articolo 10.3 del Regolamento 953 del 2021, va senz'altro ricompreso tra le norme poste a presidio della privacy, il cui rispetto, come chiarito dalla Commissione, è condizione necessaria per consentire usi «domestici» dei certificati COVID;

    il decreto-legge n. 127 del 2021 obbliga il datore di lavoro nel predisporre l'informativa sul trattamento dei dati, in base all'articolo 13 del Regolamento 679 del 2016. L'informativa dovrà essere resa fruibile all'interessato per la presa visione di ciò che verrà trasmesso come dati, ossia: le generalità del lavoratore, la validità, l'integrità e l'autenticità del Grenn pass o di una certificazione equivalente, ovvero le informazioni in merito allo stato di soggetto esente da vaccinazione anti COVID riportate nella certificazione di esenzione dalla vaccinazione;

    il datore di lavoro, inoltre, dovrà provvedere alla nomina degli incaricati alle verifiche del Green pass quali soggetti incaricati allo svolgimento dei trattamenti dei dati personali connessi all'esercizio del compito assegnato, in base all'articolo 2-quaterdecies del decreto legislativo n. 196 del 2003 e fornendo loro le istruzioni operative per l'esecuzione dei controlli. Si aggiunge a ciò la nomina di un soggetto esterno, che verrà nominato soggetto esterno, nel caso in cui il controllo sia effettuato da una società esterna cui sia stato appaltato il servizio di custodia e vigilanza. Il controllo riguarderà anche i fornitori esterni dell'azienda i cui dati verranno inseriti nel Registro dei trattamenti;

    il decreto-legge n. 127 del 2021 obbligherà il datore di lavoro ad aggiornare il Registro dei trattamenti con riferimento alla conservazione del Green pass e dei dati in esso contenuti. Il provvedimento prevede la possibilità di consegnare il Green pass al datore di lavoro, esentandolo dai controlli, il che si pone in netto contrasto con quanto sin ora espresso dal Garante della privacy (Provvedimento n. 363 dell'11 ottobre 2021), in cui si afferma che il controllo dei Green pass non dovrà comportare la raccolta di dati dell'interessato in qualunque forma, ad eccezione di quelli strettamente necessari all'applicazione delle misure;

    la pratica di stilare elenchi, pone dei forti dubbi rispetto alle persone indicate che vengono sottoposte a verifica perché non è lecito conservare il QR code delle certificazioni verdi, né estrarre lo stesso in qualsiasi altro modo, trattenere copie cartacee dei Green pass, screen-shot e/o fotografie del certificato verde. Questa modalità di verifica del Green pass definita dal Governo «semplificata», si pone in totale incompatibilità con la normativa sulla privacy; in verità viene imposta una regola di condotta nel nostro sistema giuridico che è la cristallizzazione della violazione della condotta stessa. Si sta creando un'aporia giuridica;

    altro profilo di criticità, già evidenziato in sede di conversione del decreto-legge n. 111 del 2021, è quello inerente la piattaforma software per il controllo dei certificati COVID in uso presso le scuole, dove l'utilizzo dei codici fiscali per verificare il possesso di un certificato valido, ha consentito ai dirigenti scolastici di desumere implicitamente informazioni che il Regolamento 953 del 2021 impedisce di condividere, in particolare quelle inerenti lo stato di vaccinazione; analogo rischio si pone con l'estensione di tali modalità di controllo in tutti gli ambiti lavorativi, anche perché la piattaforma verifica lo stato di validità del certificato dei lavoratori attraverso il loro codice fiscale, ed è, pertanto verosimile che tale processo finisca per raccogliere e conservare dati sensibili la cui tutela è ampiamente garantita dal diritto comunitario che, nel caso della gestione politico-sanitaria della pandemia, si è totalmente disapplicato e violato;

    recenti fonti giornalistiche hanno riportato la notizia secondo cui è stato costituito presso SOGEI un vero e proprio archivio dei dati relativi alle vaccinazioni, alle guarigioni e all'esito dei test, non può non destare forte preoccupazione l'archiviazione dei predetti dati, dato che la normativa europea autorizza esclusivamente le applicazioni operanti in modalità di sola lettura del QR code;

    la Direzione giustizia della Commissione Europea, afferma che l'uso domestico dei certificati COVID è consentito esclusivamente se conforme alle norme a presidio della protezione dei dati personali e, qualora si sia verificata una violazione di quest'ultime, o alla violazione non sia più possibile porre rimedio com'è accaduto per i dirigenti scolastici ormai a conoscenza di dati sullo stato di vaccinazione dei dipendenti, l'acquisizione dei medesimi dati dev'essere immediatamente interrotta. Facendo ciò si impedisce che possano proseguire in ambito lavorativo verifiche in palese violazione di norme di rango giuridico superiori qual è, nel caso specifico, il Regolamento 953 del 2021;

    giova, altresì, evidenziare come già in sede di esame del provvedimento al Senato della Repubblica, il Presidente dell'Autorità garante per la protezione dei dati personali – Dottor Pasquale Stanzione – abbia inviato una nota al Presidente della Camera e ai Sigg.ri Ministri Speranza e D'Incà (https://www.garanteprivacy.it/home/docweb/-/docweb-display/docweb/9717878) evidenziando criticità in ordine alla possibilità di consegna, da parte dei lavoratori dei settori pubblico e privato, ma anche per i magistrati, di copia della certificazione verde, al datore di lavoro, con la conseguente esenzione, dai controlli, per tutta la durata della validità del certificato;

    in particolare, l'esenzione dai controlli, in costanza di validità della certificazione verde, paventerebbe il rischio concreto di elusione delle finalità di sanità pubblica complessivamente sottese al sistema del Green pass, non consentendo di rilevate l'eventuale condizione di positività sopravvenuta in capo all'intestatario del certificato, in contrasto, peraltro, con il principio di esattezza cui deve informarsi il trattamento dei dati personali (articolo 5, par. 1, lettera d) Reg. Ue 2016/679);

    inoltre, aggiunge il Garante, la prevista legittimazione della conservazione di copia delle certificazioni verdi contrasta con il considerando 48 del Regolamento (UE) 2021/953 il quale, per l'utilizzo delle certificazioni verdi in ambito europeo, dispone che «Laddove il certificato venga utilizzato per scopi non medici, i dati personali ai quali viene effettuato l'accesso durante il processo di verifica non devono essere conservati, secondo le disposizioni del presente regolamento»;

    tale divieto è funzionale tanto a garantire la riservatezza dei dati sulla condizione clinica del soggetto (in relazione alle certificazioni da avvenuta guarigione), ma anche in ordine alle scelte compiute in ordine alla profilassi vaccinale;

    il Governo deliberatamente sta violando i principii costituzionali, del diritto comunitario e per fase discendente del diritto alla privacy;

    la circostanza in base alla quale i datori di lavoro pubblico e privato possono organizzare — discrezionalmente — le modalità operative di verifica della certificazione anche delegando l'incombenza a soggetti diversi, oltre a rappresentare un'arbitraria e disomogenea modalità di accertamento dipendente dalla metodologia scelta dal datore, crea una disparità di trattamento, in violazione del principio di uguaglianza sostanziale ex articolo 3, comma 2, Costituzione, nella misura in cui è previsto il controllo «a campione»;

    un controllo che collide con lo scopo sanitario di prevenzione della diffusione del contagio, posto alla base del decreto-legge, nonché con il criterio dell'efficacia ben potendo il lavoratore sprovvisto di Green pass, nella certezza di non essere passibile di controllo all'ingresso, decidere di accettare il rischio della sanzione e svolgete comunque le proprie mansioni all'interno degli uffici con compromissione della sicurezza di altri soggetti anche se vaccinati visto comunque potrebbero essere contagiati (o contagiare). Conseguentemente, il rischio di contagio sarà sempre maggiore come da principio enunciato dal Consiglio d'Europa, paragrafo 8, risoluzione n. 2383 del 2021, secondo cui il soggetto vaccinato – in quanto potenzialmente infettivo – non può essere esente dall'onere di esibire un recente test di negatività al virus SARS-CoV-2;

    con riferimento alla sanzione prevista nei confronti di chi dichiara di non essere in possesso della certificandone ovvero ne risulta privo al momento di accesso al luogo di lavoro, il soggetto sarà considerato assente ingiustificato e privato della retribuzione, compenso o emolumento comunque denominato fino a quando non regolarizzerà la propria posizione rispetto al Green pass;

    tale circostanza si pone in termini di illegittimità per violazione degli articoli 4 e 36 della Costituzione: viene fortemente compromesso il diritto al lavoro e il connesso diritto alla retribuzione la quale non sarà più proporzionata e sufficiente «alla quantità e qualità del lavoro» bensì all'esibizione o meno della certificazione;

    non solo, così facendo si subordina lo svolgimento dell'attività lavorativa a un qualcosa che esula dalla stessa, strictu sensu, ossia a un atto sanitario non obbligatorio, in palese violazione dell'articolo 32, secondo comma, della Costituzione in cui è cristallizzato il diritto di ciascun individuo ad autodeterminarsi nella scelta di sottoporsi o meno a un trattamento sanitario;

    e questo non solo, evidentemente, in riferimento alla vaccinazione ma anche con riguardo ai test molecolari e antigenici rapidi, che, per le modalità di esecuzione si configurano come accertamenti sanitari la cui eventuale imposizione obbligatoria è soggetta alla riserva di legge prescritta per i trattamenti sanitari i quali «possono essere legittimamente richiesti solo in necessitata correlazione con l'esigenza di tutelare la salute dei terzi e della collettività in generale» (Cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 218 del 1994);

    in mancanza di un obbligo giuridico all'esecuzione dei trattamenti è del tutto irragionevole prevedere una norma che prescriva la volontaria sottoposizione a trattamenti sanitari come condizione per l'esercizio di un'attività necessaria come quella lavorativa alla vita dell'individuo e dell'organizzazione della società;

    a ciò si aggiunga che tali misure non si preoccupano di compiere una differenziazione in base al rischio specifico di contagio parametrato al tipo e alle condizioni di attività lavorativa svolta;

    si ritiene oltremodo sproporzionato equiparare lavoratori che svolgono attività all'aperto o in strutture particolarmente spaziose all'interno delle quali è previsto un distanziamento ai fini dell'organizzazione o ancora la votano senza contatti con il pubblico con chi è esposto a un rischio di contatto maggiore;

    ancora, deve evidenziarsi l'ormai noto atteggiamento ambiguo del Governo in ordine alla campagna vaccinale. Se da una parte si parla di adesione libera, volontaria e non vincolante, stante l'assenza di qualsivoglia obbligo giuridico rispetto ad alcuno degli atti necessari finalizzati all'ottenimento della certificazione verde COVID-19, dall'altra vengono imposti obblighi e sanzioni. Allarmate è, altresì, la previsione della facoltà in capo ai datori di lavoro di promuovere «campagne di informazione e sensibilizzazione e sulla necessità e sull'importanza della vaccinazione». In modo subdolo, il Governo, chiede ai datori di inculcare ai propri dipendenti incontrovertibili considerazioni circa i vaccini, come se i dubbi sulla efficacia e sulla durata della copertura degli stessi, al netto di mancanza di evidenze scientifiche e studi empirici da parte degli Istituti a ciò preposti, potessero essere superati da una campagna pubblicitaria e dall'estensione della validità del Green pass;

    proprio in ordine alla questione delle validità, quanto previsto dal decreto-legge è marcatamente illogico nella misura in cui da un lato la validità della copertura vaccinale, secondo l'attuale letteratura medico — scientifica, ha durata sei mesi e dall'altro si estende la validità del Green pass a dodici mesi. Peraltro non è chiara la connessione esistente tra il possedere la certificazione verde COVID-19 e il soddisfacimento dell'obiettivo perseguito dal decreto-legge di favorire la maggiore «efficacia delle misure di contenimento al virus SARS-CoV-2», visto che la prima attiene ad una situazione soggettiva e la seconda riguarda la collettività;

    se è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese, non ci sono altri termini per qualificare questo disegno di legge – socialmente ed economicamente discriminatorio – se non viziato sotto il profilo della legittimità costituzionale,

delibera:

   di non procede all'esame del disegno di legge n. 3363.
N. 1. Cabras, Corda, Costanzo, Forciniti, Giuliodori, Maniero, Paolo Nicolò Romano, Sapia, Spessotto, Testamento, Trano, Vallascas, Leda Volpi, Benedetti, Cunial, Ehm, Menga, Raduzzi, Romaniello, Sarli, Sodano, Suriano.

   La Camera,

   premesso che:

    il decreto-legge in esame reca Misure urgenti per assicurare lo svolgimento in sicurezza del lavoro pubblico e privato mediante l'estensione dell'ambito applicativo della certificazione verde COVID-19 e il rafforzamento del sistema di screening, e introduce, a decorrere dal 15 ottobre, l'obbligo dell'esibizione della Certificazione verde per accedere ai luoghi di lavoro pubblici e privati;

    il provvedimento è stato esaminato in prima lettura dal Senato che ne ha concluso l'esame approvandolo con modificazioni aggiuntive;

    le norme introdotte inseriscono, tra gli altri, un articolo 9-quinquies ed un articolo 9-septies nel decreto-legge 22 aprile 2021, n. 52, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 giugno 2021, n. 87 – disponendo, per il periodo 15 ottobre 2021-31 dicembre 2021, l'obbligo di possesso – e di esibizione su richiesta – di un certificato verde COVID-19 (in corso di validità) ai fini dell'accesso ai luoghi di lavoro – in cui si svolga l'attività del medesimo soggetto – sia nel settore lavorativo pubblico sia nel settore lavorativo privato;

    disposizioni specifiche sono previste per i titolari di cariche elettive o di cariche istituzionali di vertice, inoltre, una clausola di chiusura viene posta per gli organi costituzionali e, nell'ambito del settore pubblico, alcune norme specifiche sono poste dalla novella per gli uffici giudiziari;

    il provvedimento viene approvato dal Senato passando dagli originari 11 articoli a 17 articoli per un totale di 22 commi che rispondono alla necessità dell'introduzione di misure per lo svolgimento in sicurezza delle attività lavorative, economiche, sociali e culturali attraverso l'uso della certificazione verde COVID-19, ma non all'immediatezza dell'applicazione che ne giustifichi l'urgenza necessaria richiesta per i decreti legge di cui all'articolo 15 della legge n. 400 del 1988;

    siamo infatti di fronte ad un provvedimento composto da 22 commi di cui 4 prevedono il ricorso a provvedimenti attuativi, nello specifico 1 DPCM e 3 circolari del Ministero della salute;

    dalla disamina del contenuto del testo è evidente si tratti non solo dell'ennesimo ricorso ad un provvedimento d'urgenza che dispone misure che, se ritenute realmente tali, avrebbero potuto essere contenute in altri recenti decreti, ma risultano ancora una volta limitative delle libertà personali oltre che lesive del principio di uguaglianza tra i cittadini, sancendo una effettiva discriminante tra chi è titolare del certificato verde e chi non lo è;

    inoltre, appare irrituale e comunque contrastante con l'asserita urgenza il fatto che il decreto-legge in oggetto prevede che le disposizioni in esso contenute entrino in vigore a partire dal 15 ottobre, cioè quasi un mese dopo la sua approvazione da parte del Consiglio dei Ministri;

    a tal proposito l'articolo 77 della Costituzione prevede che «in casi straordinari di necessità e di urgenza, il Governo adotta, sotto la sua responsabilità, provvedimenti provvisori con forza di legge». La richiamata urgenza del dettato costituzionale non può essere applicata in questa occasione, in quanto le misure sono entrate in vigore quasi un mese dopo il varo del decreto;

    occorre evidenziare che siamo in una situazione paradossale in cui da una parte tutte o quasi le attività riprendono con forme di limitazioni ormai blande in merito agli spostamenti, perché le conseguenze del virus, oggi, risultano contenute attraverso i vaccini e l'applicazione di opportuni protocolli, dall'altra si richiede l'obbligo del green pass per poter accedere sul posto di lavoro;

    è di tutta evidenza che mancano i presupposti per comprimere i diritti che la Costituzione definisce fondamentali, come il diritto al lavoro che verrebbe negato al lavoratore non in possesso del certificato;

    anche a livello europeo il regolamento (UE) 2021/953 del 14 giugno 2021, introduttivo del green pass, stabilisce espressamente che possano essere imposte alcune limitazioni per motivi di sanità pubblica, e che tutte le restrizioni alla libera circolazione delle persone all'interno dell'Unione attuate per limitare la diffusione del Covid dovrebbero basarsi su motivi specifici e limitati di interesse pubblico ed essere informati ai principi di proporzionalità e di non discriminazione, cosa che invece con il decreto in esame si crea per coloro che non sono vaccinati;

    il citato regolamento evidenzia inoltre l'utilizzo del certificato UE per scopi «domestici» (ovvero diversi da quelli previsti dal Regolamento): gli Stati membri possono effettivamente utilizzare il certificato digitale Covid dell'UE per scopi nazionali, ma sono tenuti a fornire una base giuridica nel diritto nazionale. Tale diritto nazionale deve rispettare il diritto dell'Unione in materia di protezione dei dati e i principi di effettività, necessità e proporzionalità;

    a tal proposito si evidenzia che il decreto da convertire risulta obiettivamente carente per quanto concerne i principi di proporzionalità ed efficacia; la misura – che nasce a protezione dei lavoratori ed a prevenzione della diffusione del contagio – non opera difatti una differenziazione in base al rischio specifico di contagio a cui ciascun lavoratore è soggetto, e per conseguenza non appare proporzionata una disposizione che ponga sullo stesso piano e soggetti a stesso rischio, lavoratori i cui compiti implichino inevitabilmente contatti stretti con altre persone e quelli che lavorano ad esempio in uffici senza contatti con il pubblico;

    siamo al cospetto inoltre, di una misura non efficace dal momento che consentire la possibilità di controllo a campione ne fa venire meno lo scopo sanitario, non soddisfa il criterio dell'efficacia, e se si aggiunge che tra i lavoratori in possesso del certificato Covid vi sono soggetti vaccinati non testati nelle ultime 48 ore, il rischio contagio tende ancor più ad aumentare,

    inoltre, la Commissione europea, in una nota relativa al sopracitato regolamento, si sofferma poi sugli aspetti relativi alla protezione dei dati personali, esplicitando come la normativa nazionale non possa estendere il diritto di richiedere l'esibizione della certificazione Covid a soggetti diversi da quelli individuati all'articolo 10.3 del Regolamento UE 953 del 2021 (soggetti autorizzati in ambito «domestico» ai controlli, in materia sanitaria, sono, ad esempio, i reparti NAS dei Carabinieri e non certo i soggetti privati quali i datori di lavoro); nella citata nota è scritto che la normativa interna deve essere «conforme al diritto dell'Unione in materia di protezione dei dati», e non esclusivamente al GDPR; pertanto l'articolo 10.3 del Regolamento UE 953 del 2021, quale disposizione del diritto unionale in materia di protezione dei dati personali, va senz'altro ricompreso tra le norme poste a presidio della privacy, il cui rispetto – come chiarito dalla Commissione – è condizione necessaria per consentire usi «domestici» dei certificati Covid;

    è evidente che le disposizioni urgenti inserite in merito alla necessità di esibire la certificazione verde sui luoghi di lavoro introducano misure che rientrano nella enorme e confusa mole di norme contenute in provvedimenti da cui è derivata una esondazione di poteri a danno dei diritti e delle libertà, prima fra tutte la libertà personale tutelata dall'articolo 13 della Costituzione;

    sulla base delle considerazioni esposte appare dunque evidente innanzitutto come le diverse misure disposte dal provvedimento in esame si pongano in contrasto sia con la tutela delle libertà personali, sia con l'attribuzione del potere legislativo sanciti e garantiti dalla Costituzione;

    il ricorso sistematico alla decretazione di urgenza è una consuetudine parlamentare ormai consolidatasi e reiteratamente censurata dalla Corte Costituzionale che si colloca in contrasto con il dettato dell'articolo 70 della Costituzione che attribuisce alle Camere l'esercizio della funzione legislativa,

delibera:

   di non procedere all'esame del disegno di legge n. 3363.
N. 2. Lollobrigida, Foti, Bellucci, Gemmato.