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Resoconto dell'Assemblea

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XVIII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Venerdì 7 agosto 2020

ATTI DI INDIRIZZO

Risoluzione in Commissione:


   La I Commissione,

   premesso che:

    la soppressione, in Valle d'Aosta, della figura del prefetto come rappresentante nel territorio provinciale dell'autorità governativa risale al decreto legislativo luogotenenziale del 7 settembre 1945 n. 545, che ha disposto, fra l'altro, la soppressione della provincia di Aosta (articolo 1, secondo comma), e la devoluzione al presidente del consiglio della Valle (organo allora dotato dei poteri di rappresentanza della Valle, poi attribuiti dallo statuto al presidente della giunta regionale, oggi presidente della regione ai sensi dell'articolo 2 della legge costituzionale 31 gennaio 2001, n. 2) di «tutte le attribuzioni che le leggi vigenti conferiscono al prefetto e al presidente della deputazione provinciale in quanto non rientrino nella competenza del Consiglio della Valle», essendo detto presidente «responsabile verso il Governo dell'esercizio dei poteri che per legge restano riservati allo Stato» (articolo 4, primo e terzo comma);

    l'articolo 44 dello statuto regionale, approvato con legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4, quindi tre anni dopo il decreto legislativo luogotenenziale, stabilisce che: «Il Presidente della Regione per delegazione del Governo della Repubblica provvede al mantenimento dell'ordine pubblico, secondo le disposizioni del Governo, verso il quale è responsabile, mediante reparti di polizia dello Stato e di polizia locale. In casi eccezionali, quando la sicurezza dello Stato lo richieda, il Governo assume direttamente la tutela dell'ordine pubblico. Egli dirige le funzioni amministrative delegate dallo Stato alla Regione, conformandosi alle istruzioni del Governo, verso il quale è responsabile [...]»;

    appare evidente la non perfetta coincidenza della formula adottata dall'articolo 44 dello statuto rispetto a quella dell'articolo 4 del decreto legislativo n. 545 del 1945; infatti, lo statuto speciale non riprende espressamente e integralmente tutti i contenuti del decreto n. 545 del 1945, e in particolare, mentre ne riprende, nel primo comma dell'articolo 44, la disposizione relativa al mantenimento dell'ordine pubblico (già presente nell'articolo 8 del decreto), non ne riproduce invece l'articolo 4 sulle funzioni, in generale, del prefetto;

    tuttavia, la Struttura affari di prefettura in Valle d'Aosta è incardinata è presso la Presidenza della regione e la regola dell'esercizio da parte del presidente della giunta delle funzioni altrove spettanti al prefetto ha trovato costante applicazione e conferma in più di un provvedimento legislativo;

    così, l'articolo 16 della legge 6 dicembre 1971, n. 1065 (Revisione dell'ordinamento finanziario della regione Valle d'Aosta), e l'articolo 15 della legge 26 novembre 1981, n. 690 (Revisione dell'ordinamento finanziario della regione Valle d'Aosta), si riferivano al presidente regionale per l'apposizione del visto di esecutorietà su contratti degli enti locali; l'articolo 15 della stessa legge n. 1065 del 1971 e l'articolo 14 della stessa legge n. 690 del 1981 demandavano al presidente regionale la gestione di contabilità erariali. La legge 16 maggio 1978, n. 196, che dettava, in via di legislazione ordinaria, «Norme di attuazione dello statuto speciale della Valle d'Aosta», confermava e ribadiva tale regola a proposito di diverse funzioni prefettizie, nell'articolo 10 (ove si richiama espressamente l'articolo 4 del decreto legislativo luogotenenziale n. 545 del 1945) in tema di espropriazione, nell'articolo 34 in tema di autorizzazione agli enti assistenziali ad accettare lasciti e donazioni e ad acquistare beni immobili, nell'articolo 58 in tema di segretari comunali; l'articolo 21 delegava al presidente della regione anche le funzioni in materia di protezione civile attribuite dalla legge n. 996 del 1970 al commissario del Governo. A sua volta, l'articolo 40, terzo comma, terzo periodo, del decreto del Presidente della Repubblica 22 febbraio 1982, n. 182, si rifaceva espressamente all'articolo 4 del decreto n. 545 a proposito dell'impiego del Corpo dei vigili del fuoco; il decreto legislativo 17 marzo 2015, n. 45 (Norme di attuazione dello statuto speciale della regione Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste, in materia di abrogazione di disposizioni concernenti la commissione di coordinamento ed il Presidente della commissione di coordinamento) riafferma le funzioni prefettizie del presidente della regione in determinati ambiti;

    anche il decreto legislativo 30 luglio 1999 n. 300, istitutivo degli uffici territoriali del Governo, ed i successivi relativi decreti del Presidente della Repubblica, n. 287 del 2001 e n. 180 del 2006, hanno escluso la Valle d'Aosta dall'ambito di applicazione della disciplina nazionale dettata in materia di prefetture;

    in base a tali norme, le funzioni che nel resto del territorio nazionale spettano, in ciascuna circoscrizione provinciale, al prefetto, in Valle d'Aosta competono al presidente della regione, che agisce quindi, rispetto alle competenze prefettizie, non come capo dell'amministrazione regionale, ma quale organo periferico del Ministro dell'interno;

    la sovrapposizione dei due ruoli si pone, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, evidentemente in contrasto con l'articolo 5 della Costituzione che riconosce e promuove le autonomie locali, determinando probabili conflitti di interesse;

    risulta infatti quantomeno anomalo che il vertice dell'ente autonomo assommi su di sé anche funzioni che fanno riferimento all'autorità di Governo, comportando come probabili conseguenze negative che le richieste locali possano essere sacrificate di fronte a esigenze di centralizzazione, in contrasto con l'autonomia regionale;

    alla luce delle considerazioni sin qui svolte, risulta necessario procedere con urgenza alla modifica dell'articolo 4 del decreto luogotenenziale n. 545 del 7 settembre 1945, nel superiore interesse della regione e dei cittadini valdostani;

    al riguardo, è opportuno evidenziare che al decreto luogotenenziale del 1945, il legislatore statale ha poi riconosciuto una capacità rinforzata di «resistenza» alle modifiche, con l'articolo 1 del decreto legislativo 22 aprile 1994, n. 320 (Norme di attuazione dello statuto speciale della regione Valle d'Aosta), il quale, accanto alle norme di attuazione, ha incluso «le norme di trasferimento di funzioni» alla Regione Valle d'Aosta in esso contenute fra le norme che possono essere modificate soltanto con il procedimento di cui all'articolo 48-bis dello statuto di autonomia speciale (si veda la sentenza Corte Costituzionale n. 38/2003);

    quest'ultima norma dispone che il Governo è delegato ad emanare uno o più decreti legislativi per l'attuazione dello statuto speciale e che gli schemi di tali decreti devono essere elaborati da una commissione paritetica composta da sei membri nominati, rispettivamente, tre dal Governo e tre dal consiglio regionale della Valle d'Aosta e sono sottoposti al parere del consiglio stesso;

    tale procedura risulta però di difficile applicazione pratica considerato anche lo status e la posizione di autonomia speciale della regione,

impegna il Governo:

   a porre in essere, per quanto di competenza, tutte le iniziative volte a promuovere un confronto con la regione Valle d'Aosta, al fine di verificare le modalità ed i criteri per modificare l'articolo 4 del decreto luogotenenziale del 7 settembre 1945, n. 545, che attribuisce le funzioni prefettizie al presidente della regione, eliminando una situazione che, ad avviso dei firmatari del presente atto, si pone in contrasto con l'articolo 5 della Costituzione, nel superiore interesse della regione e dei cittadini valdostani.
(7-00534) «Elisa Tripodi, Alaimo, Baldino, Berti, Brescia, Maurizio Cattoi, Corneli, D'Ambrosio, De Carlo, Dieni, Forciniti, Macina, Parisse, Francesco Silvestri, Suriano».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:

   le recenti dichiarazioni rese a Radio Radicale il 18 luglio 2020 scorso dall'ex presidente dell'Anm, Luca Palamara, al di là degli effetti che inevitabilmente produrranno, contribuiscono a rappresentare la situazione drammatica in cui versa il nostro sistema giudiziario che, come noto, è già gravemente affetto da numerose problematiche che, tuttavia, ancora non trovano soluzione;

   la vicenda che da mesi tiene banco sulla stampa e che coinvolge parte della magistratura non fa che acuire quello stato di allerta, preoccupazione e forte incertezza nell'opinione pubblica sul corretto funzionamento e nell'indipendenza del sistema della giustizia a tutti i livelli, non solo rispetto ai grandi casi giudiziari o alle grandi questioni legate alle nomine negli uffici ma, soprattutto, per quella moltitudine di reati la cui trattazione, a causa degli eccessivi tempi della giustizia, finisce inevitabilmente per impattare sulla vita dei cittadini vittime di reato con il rischio di minare in radice il principio di legittimo affidamento nello Stato e nello stesso sistema giudiziario;

   questa situazione è ancor più grave agli occhi di quei cittadini vittime di un reato, che con fiducia si sono rivolti alla giustizia, ma non hanno ricevuto la tutela sperata e quindi continuano ad essere vittime di reati che possono avere pesanti conseguenze sulle loro vite e su quelle delle loro famiglie;

   in tale situazione di incertezza circa il corretto funzionamento della macchina giudiziaria, si colloca la vicenda del signor F.C., al quale, nel gennaio 2019, venivano sottratti, da un appartamento sito in Roma, numerosi oggetti di sua esclusiva proprietà, tra cui anche un pc nella cui memoria possono essere ancora contenuti dati particolarmente delicati perché costituenti patrimonio informativo a carattere riservato, relativo alle attività professionali svolte sino a tutto il 2013 anche in favore di soggetti istituzionali all'epoca in carica;

   il signor F.C., in seguito alla sottrazione dei beni, sporgeva una prima denuncia querela alla quale facevano seguito altre querele, collegate alla prima e tutte volte ad ottenere un pronto intervento dell'Autorità giudiziaria per il recupero dei beni trafugati ed in particolare del personal computer e dei dati in esso contenuti;

   pur essendo stata resa nota nell'atto di querela iniziale la particolare delicatezza dei dati conservati sul pc trafugato, l'autorità giudiziaria non sembra abbia svolto alcuna attività d'indagine né, tanto meno, abbia disposto alcuna azione tesa al recupero dei beni pur essendo ben evidenti, dagli atti depositati, i responsabili dell'azione di sottrazione dei beni tra cui il pc;

   nonostante le evidenti ed incontrovertibili prove documentali fornite, che consentono una chiara individuazione dei colpevoli e in relazione al fatto che, ad oggi, nessuna azione da parte dell'autorità adita è stata posta in essere per ritrovamento del personal computer ed in particolare di dati in esso contenuti, il signor F.C., e conseguentemente la sua famiglia, resta ingiustamente esposto al rischio di azioni di responsabilità da parte dei committenti che a lui avevano affidato incarichi professionali, ma, soprattutto, permane il rischio di una possibile circolazione e di un uso indebito dei dati riservati contenuti nel pc che potrebbe esporre i soggetti istituzionali in questione, per i quali il signor F.C. svolse la sua attività di consulenza professionale, a rischi non valutabili tenuto conto che uno di essi è stato, sino a non molto tempo fa, sottoposto a rigorose e stringenti misure di sicurezza e tutela per l'incolumità personale proprio in ragione della sua attività politica ed istituzionale;

   a quanto consta all'interrogante, risulterebbe coinvolto nei fatti esposti, l'attuale segretario generale del sindacato dei militari, il quale risulterebbe aver dato anche prova di conoscere inspiegabilmente, gli esiti di alcuni provvedimenti inerenti alle vicende giudiziarie che lo riguardano, ben prima che questi venissero emessi dall'autorità competente –:

   se non si intenda valutare la sussistenza dei presupposti per l'avvio di iniziative ispettive, ai fini dell'eventuale esercizio di ogni potere di competenza.
(2-00906) «Dall'Osso».

Interrogazioni a risposta orale:


   CAPPELLACCI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   le coste del Sud Italia e delle Isole sono al centro di una preoccupante ondata di sbarchi illegali di migranti;

   la Sardegna è diventata la destinazione della rotta dell'immigrazione clandestina proveniente dall'Algeria;

   mentre il Ministro dell'interno ha annunciato una missione in Tunisia per affrontare la questione dei flussi diretti verso la Sicilia e il Presidente del Consiglio ha dichiarato di aver scritto una lettera al presidente tunisino per contrastare i traffici e l'incremento degli utili da parte dei gruppi criminali, non risulta nessun intervento concreto per quanto attiene alla rotta Algeria-Sardegna;

   tale disparità è intollerabile non solo alla luce dell'allarme di Frontex circa la pericolosità di tale traffico per la sicurezza nazionale, ma altresì per le gravissime conseguenze per la salute pubblica in seguito all'arrivo di numerosi immigrati illegali positivi al COVID-19, che violano sistematicamente la quarantena, mettendo a rischio la popolazione;

   se prolungata, l'inerzia del Governo rischia di assecondare l'insorgere di una nuova emergenza sanitaria in una regione in cui il numero di contagi è sempre rimasto al di sotto della media nazionale –:

   quali iniziative il Governo intenda porre in essere per bloccare la rotta clandestina Algeria-Sardegna.
(3-01723)


   ASCARI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro dell'interno, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   l'associazione Save the Children ha pubblicato nel luglio 2020 il dossier «Piccoli Schiavi Invisibili 2020»;

   secondo le stime, nel mondo sarebbero oltre 40 milioni le vittime di tratta o sfruttamento, costrette in schiavitù, e ben 1 su 4, 10 milioni, avrebbe meno di 18 anni; si tratta di bambini e adolescenti spesso privati anche del diritto all'educazione, visto che il 10 per cento non ha mai frequentato la scuola e circa un quarto non è andato oltre la scuola media;

   a livello europeo, secondo i dati più aggiornati della Commissione europea (relativi al 2015-2016), il numero di vittime di tratta identificate e/o presunte in Europa è di 20.532 e più di 1 su quattro è un minorenne, il 68 per cento donne e ragazze e il 56 per cento vittime di sfruttamento sessuale;

   a livello nazionale, secondo i dati ufficiali del Dipartimento per le pari opportunità presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, processati nell'ambito del Sistema informatizzato per la raccolta delle informazioni sulla tratta (Sirit), nel 2019 risultano in carico al sistema anti-tratta 2.033 vittime, di cui 1.762 donne e ragazze (86,7 per cento), 247 uomini e ragazzi (12,1 per cento) e 24 transessuali (1,2 per cento): tra questi il 78,6 per cento delle vittime è di origine nigeriana;

   con riguardo alla tipologia di sfruttamento, l'84,5 per cento risulta vittima di sfruttamento sessuale, l'11,6 per cento vittima di sfruttamento lavorativo, l'1,5 per cento coinvolto nelle economie illegali, e l'1,2 per cento coinvolto in attività di accattonaggio;

   le principali regioni di emersione sono Emilia-Romagna (17 per cento), Lombardia (13,2 per cento), Puglia (13 per cento), Campania (11,8 per cento) e Sicilia (9,6 per cento);

   secondo l'ispettorato nazionale del lavoro, nel 2019 sono stati registrati 243 illeciti riguardanti l'occupazione irregolare di bambini e adolescenti, sia italiani che stranieri;

   l'emergenza epidemiologica da COVID-19 ha avuto un impatto drammatico sulla gestione della filiera agricola e agroalimentare e sui lavoratori, in particolare migranti e irregolari, facendo emergere con più forza che in passato la condizione di sfruttamento: l'impatto è stato talmente rilevante da spingere il Governo ad adottare una norma specifica all'interno del decreto «Rilancio» per favorire l'emersione di rapporti di lavoro;

   lo scoppio della pandemia COVID-19 e l'adozione di misure restrittive hanno avuto ricadute significative anche sul fenomeno della tratta di esseri umani e la riorganizzazione dei modelli di sfruttamento criminali ha reso il fenomeno più difficile da osservare;

   le vittime sono state esposte a maggiori pressioni e violenze da parte dei loro controllori, con incontri avvenuti nell'assoluta mancanza di misure di protezione personale rispetto al virus, e in molti casi sono state spinte a iniziare nuove attività di prostituzione indoor o prestazioni in video-chat e webcam, o per la produzione di materiali pornografici;

   l'Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII ha attualmente in carico 111 vittime di tratta a fini sessuali, prevalentemente nigeriane, e dispone di 27 unità di strada in 12 regioni, attraverso le quali ha effettuato oltre 8.000 contatti in strada, e 3 unità di contatto per l'emersione di vittime di tratta al fine di accattonaggio e/o sfruttamento lavorativo –:

   quali iniziative di competenza il Governo abbia adottato ed intenda adottare al fine di contrastare il fenomeno della tratta di esseri umani, inclusa quella ai fini di sfruttamento sessuale anche di minori;

   se il Governo intenda fornire maggiori informazioni sulla gestione dei casi anti-tratta, dalle modalità di riconoscimento sino alle possibilità di fuoriuscita dai percorsi di sfruttamento;

   quali iniziative il Governo abbia adottato o intenda adottare al fine di contenere e contrastare la diffusione del Covid-19 nell'ambito della tratta di esseri umani ai fini dello sfruttamento sessuale.
(3-01727)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ANZALDI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro per i beni e le attività culturali e per il turismo. — Per sapere – premesso che:

   nell'isola di Lipari, Eolie, provincia di Messina, sorge la cosiddetta «cittadella fortificata», costituita dal Castello e da un insieme di edifici realizzati sulla rocca di origine vulcanica alta circa 50 metri a strapiombo sul mar Tirreno;

   la poderosa cinta muraria comprende il quartiere Sottocastello a quota leggermente più bassa, separando la baia di Marina Lunga a settentrione, da Marina Corta a meridione e dalla parte bassa della città;

   il castello si erge su un insieme di rocce di origine vulcanica. Tali ammassi di rocce necessitano di un particolare controllo da parte delle autorità preposte, per la presenza di abitazioni nonché attività commerciali e di ristorazione sottostanti (particella 372, foglio 88 del comune di Lipari, Via Ten. Mariano Amendola);

   circa trenta anni fa, per questioni di sicurezza, è stata posizionata una rete di contenimento, ma appare evidente che la stessa rete non è più idonea a contenere un peso di tale portata essendo, tra l'altro, staccata nella parte inferiore in conseguenza della caduta di un masso, oltre che essere visibilmente rovinata in più parti per la presenza di piante rampicanti che con il tempo hanno causato seri danni;

   malgrado i solleciti dei diversi proprietari degli immobili sottostanti la parte rocciosa di fronte la baia di Marina Lunga, ad oggi non si è intervenuto in alcun modo, questo nonostante la rete di contenimento non appaia più idonea a contenere ed evitare eventuali collassi della struttura e delle rocce stesse, costituendo un serio pericolo sia per le abitazioni sottostanti, che per il passaggio pedonale, trovandosi esattamente di fronte al porto commerciale di Lipari –:

   quali iniziative di competenza si intendano adottare al fine di porre in sicurezza la zona con nuove reti di contenimento.
(5-04531)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CUNIAL. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro per la pubblica amministrazione, al Ministro per l'innovazione tecnologica e la digitalizzazione. — Per sapere – premesso che:

   la vera ricchezza oggi non è rappresentata dal denaro, ma dal possesso delle informazioni, meglio ancora se composte da intere banche di dati personali attinenti lo stato di salute degli individui;

   a tal proposito il decreto-legge n. 30 del 10 maggio 2020 convertito con modificazioni dalla legge n. 72 del 2 luglio 2020 prevede, nell'articolo 1, proprio la costituzione di intere banche di dati personali ora definiti «particolari» dall'articolo 9 del regolamento (UE) 679/2016 (ex dati personali sensibili);

   questa legge autorizza il trattamento dei dati personali «anche genetici e relativi alla salute» per la «necessità di disporre con urgenza di studi epidemiologici e statistiche affidabili e complete sullo stato immunitario della popolazione, indispensabili per garantire la protezione dall'emergenza sanitaria in atto» da parte del Ministero della salute «congiuntamente» all'Istituto nazionale di statistica (Istat), «in qualità di titolari del trattamento e ognuno per i profili di propria competenza»;

   dalla lettura della disposizione citata emergono delle perplessità e preoccupazioni sulle modalità del predetto trattamento dei dati personali attinenti allo stato di salute, ivi compresi quelli genetici degli individui campionati, mediante una piattaforma tecnologica –:

   quale sia la specifica finalità del trattamento dei dati personali attinenti lo stato di salute ivi compresi quelli genetici stante la genericità dell'articolo 1;

   se la piattaforma tecnologica istituita (o istituenda) presso il Ministero della salute per il trattamento dei predetti dati personali particolari (ex dati personali sensibili) sia stata costruita da una società informatica esterna o da un ufficio informatico interno allo stesso Ministero;

   quali siano le qualificazioni o competenze richieste o accertate relativamente al soggetto realizzatore;

   quali siano le misure di sicurezza informatica (firewall, antivirus, backup, e altro) e fisica (misure antincendio, antiallagamento, antifurto, e altro) per la protezione dei dati personali ivi presenti conformemente all'articolo 32 del regolamento (UE) 679/2016;

   se, in considerazione della particolarità dei dati personali trattati sia stata effettuata preliminarmente una valutazione d'impatto in tema di privacy (ai sensi dell'articolo 35 del Regolamento (UE) 679 citato) per accertare il livello di rischio cui sono potenzialmente esposti i predetti dati personali, nonché le libertà e i diritti dei soggetti interessati;

   quali misure di sicurezza siano state predisposte o si stiano predisponendo per la comunicazione dei dati personali (anagrafici) dall'Istat al Ministero della salute e identicamente dai fornitori dei servizi telefonici a quest'ultimo Ministero;

   se sia stata formalizzata una procedura per la tutela dei diritti e delle libertà degli interessati in caso di Data Breach (articoli 32 e seguenti del regolamento (UE) 679 citato) che comporterebbe la perdita, la distruzione o il danno dei predetti dati;

   quali misure di sicurezza siano state predisposte per la comunicazione degli esiti degli esami dai laboratori (comma 6 dell'articolo 1 del decreto-legge n. 30 del 2020) all'interessato, al Ministero della salute e all'Istat;

   quali misure di sicurezza siano previste per la consegna fisica da parte della C.r.i. (Croce Rossa Italiana) dei campioni raccolti alla banca biologica dell'Istituto Spallanzani;

   se sia previsto che gli interessati vengano preavvertiti nel caso in cui «altri soggetti» (comma 6) diversi da quelli annoverati nella disposizione in questione vogliano accedere ai loro dati;

   se i Titolari del trattamento abbiano provveduto a nominare quali responsabili esterni del trattamento i soggetti di cui si avvarranno in queste attività (es. C.r.i., medici di base, pediatri, laboratori, e altri);

   se i dati personali attinenti allo stato di salute ivi compresi quelli genetici vengano resi anonimi o relativamente anonimi.
(4-06589)


   SANDRA SAVINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   è degli ultimi giorni la notizia che nella grotta di Jazovka, nella regione di Zagabria, non lontana dal confine sloveno sono stati recuperati i resti di 814 vittime dei partigiani titini;

   gli speleologi hanno riconosciuto fra i resti i corpi di ustascia, domobranci, civili, medici, infermieri e suore di diversi ospedali di Zagabria, gettati nella cavità alla fine e dopo la seconda guerra mondiale dai partigiani comunisti;

   le operazioni di recupero si sono concluse il 20 luglio 2020;

   secondo quanto riportato dall'Unione degli istriani «la prima indagine sui cadaveri era stata condotta nel settembre 2019 mentre l'esumazione è iniziata il 13 luglio di quest'anno, a seguito dell'autorizzazione rilasciata il 22 giugno dal viceministro croato che dirige anche il Dipartimento per i detenuti e le persone scomparse, Stjepan Sučić, ed è durata una settimana circa»;

   nei pressi della foiba ne sarebbe stata individuata un'altra ed il progetto sarebbe quello di condurre una nuova ricerca in questa cavità, che gli speleologi hanno già denominato «Jazovka 2»;

   molti italiani sono stati vittime delle foibe, le stime dicono che potrebbero essere fino a 11 mila;

   la Repubblica italiana ha istituito il giorno del ricordo per ricordare le vittime delle foibe e l'esodo dei tanti italiani costretti a fuggire dalle terre d'Istria, Dalmazia e Friuli-Venezia Giulia con legge 30 marzo 2004, n. 92;

   è necessario reperire più informazioni possibile per sapere se anche nella foiba di Jazovka siano presenti caduti italiani –:

   se sia intenzione del Governo attivarsi presso le autorità croate al fine di reperire informazioni sulla presenza di vittime italiane nella foiba di Jazovka.
(4-06590)


   CIABURRO, ROTELLI, DEIDDA, GALANTINO, BUTTI, CARETTA e FRASSINETTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per i beni e le attività culturali e per il turismo. — Per sapere – premesso che:

   in Italia ci sono circa 14.000 dimore storiche, beni culturali a pieno titolo, visitate in media da circa 45 milioni di turisti l'anno, per un giro d'affari di circa euro 272.000.000, cifre paragonabili a quelle del comparto museale;

   a seguito dell'emergenza epidemiologica da COVID-19, delle relative misure di contenimento e del deflusso di turisti in Italia, stimato in 31 milioni di visitatori in meno rispetto al 2019 (-49 per cento, dati Enit), le perdite stimate per il comparto equivalgono a circa euro 800.000.000, con 30.000 posti di lavoro a rischio in tutto l'indotto;

   i danni e pregiudizi economici riversatisi verso l'indotto hanno, a cascata, effetto negativo su comparti afferenti a guide turistiche e ristorazione, oltre alla filiera delle micro e piccole imprese artigiane che collaborano alla manutenzione di questi beni (un comparto già in crisi prima del COVID-19 con 33 per cento di chiusure negli ultimi 5 anni);

   l'Associazione dimore storiche italiane (Adsi) ha in tal senso denunziato come in nessuno dei recenti interventi normativi straordinari predisposti dal Governo, primo tra tutti il decreto-legge n. 34 del 2020, cosiddetto «decreto rilancio», siano state previste misure a sostegno del settore, al netto delle gravi perdite sostenute, dei costi fissi da affrontare anche per la manutenzione e ristrutturazione degli edifici e del fatto che questi immobili sono certamente elemento fondamentale per la ripartenza dei territori e dei piccoli borghi in cui sono per lo più collocati; si trovano per il 54 per cento di essi in comuni sotto i 20.000 abitanti e di questi il 29 per cento sotto i 5.000;

   l'assenza di misure a sostegno del comparto, o meglio di una parte rilevante del patrimonio culturale nazionale che la stessa Costituzione dice di tutelare e promuovere, costituisce un'opportunità persa per lo sviluppo dei territori e di tutte le numerose filiere ad esso collegate, perché, va sempre ricordato, i beni culturali non sono esportabili ed il loro indotto resta indissolubilmente legato ai territori. Si tratta quindi di immobili storici che, oltre a definire la nostra storia, la nostra identità, contribuiscono alla sopravvivenza di piccole comunità locali, contribuiscono direttamente all'economia territoriale con l'afflusso di visitatori e l'attivazione di esercizi commerciali collegati con la presenza di attività culturali anche con comunità locali ed istituti scolastici, determinando, come solo la cultura sa fare, anche coesione sociale;

   le dimore storiche sono tuttora classificate, in termini catastali, al pari delle ville moderne e residenze di lusso, nonostante siano in «condominio» con lo Stato, con i proprietari ricoprenti il ruolo di «custodi pro tempore» piuttosto che di proprietari degli immobili, e la loro funzione pubblica sia riconosciuta dalla Costituzione, dal Testo unico dei beni culturali oltre che dalle più recenti ordinanze per la ricostruzione delle aree colpite dai recenti sismi;

   a titolo esemplare, nel caso del comune di Piossasco (TO), 18.000 abitanti in provincia di Torino, la mancata predisposizione di misure a sostegno delle dimore storiche, così come i danni derivanti dalla crisi da COVID-19 hanno colpito duramente Casa Lajolo, dimora storica che vanta circa 2500 visitatori l'anno, essenziali per l'indotto economico del territorio e la sopravvivenza di attività turistiche, di ristorazione ed artigianali –:

   se il Governo sia a conoscenza dei fatti di cui in premessa e quali iniziative di competenza, anche di carattere normativo, intenda adottare a sostegno del comparto degli immobili storici italiani soggetti a vincolo storico artistico ai sensi del Decreto legislativo n. 42 del 2004, anche con misure indennitarie, di revisione della classificazione catastale e di soccorso fiscale almeno al pari di quanto fatto per i restanti 75 milioni di immobili, in collaborazione con l'Associazione dimore storiche italiane.
(4-06608)


   CIRIELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   l'emergenza epidemiologica causata dal virus Covid-19 ha messo a dura prova il tessuto sociale ed economico della nostra Nazione, mostrando con tutta evidenza i limiti e le inefficienze delle politiche sociali e lavorative;

   nelle ultime settimane, in particolare, gli organi di stampa riferiscono delle gravi difficoltà che attanagliano la categoria dei fieristi e degli ambulanti, settore alimentare ed extralimentare, che, oltre ad aver patito forti situazioni di disagio economico, tutt'oggi, vivono nell'incertezza del loro avvenire e di una ripresa commerciale, tra disposizioni normative governative che da ultimo hanno concesso la ripresa di tali attività nel rispetto delle norme anti-Covid e ordinanze locali che, invece, continuano a disporre a giudizio dell'interrogante illegittimamente la sospensione forzata di fiere, sagre e mercati in contrasto, quindi, con i provvedimenti statali;

   siffatta situazione ha sollevato numerose critiche da parte dei lavoratori impegnati nel settore e delle rappresentanze di categoria che hanno manifestato il proprio dissenso in talune piazze d'Italia nei confronti di molti sindaci che continuano a vietare eventi fieristici e feste patronali, disattendendo le legittime aspettative di chi vorrebbe «poter ricominciare» a lavorare e vivere;

   tale problematica investe circa 60.000 operatori fieristici, titolari di specifiche concessioni, che svolgono la loro attività, utile a sostenere le famiglie, solo ed esclusivamente in determinate occasioni, e che da mesi ormai non hanno la possibilità di lavorare e di sostenersi economicamente con gravi ricadute anche sull'economia nazionale e sul prodotto interno lordo;

   occorrerebbe un piano di intervento concreto ed efficace, utile a risollevare il mercato nazionale e, in particolare, le piccole e medie attività a conduzione familiare, già stremate negli ultimi anni dai colossi commerciali e, ancor più, dall'emergenza epidemiologica e le cui condizioni potrebbero degenerare in caso di ulteriori misure restrittive anti-Covid;

   le misure sino ad oggi adottate dal Governo non sembrano essere state sufficienti ad arginare tale annoso problema, atteso che, tra l'altro, gli operatori sono stati esonerati dal versamento Tosap e Cosap solo per due mesi, senza includere i mesi di giugno e luglio 2020 in cui le attività non sono comunque riprese e gli aiuti statali previsti con i decreti «Cura Italia» e «Liquidità» risulterebbero essere esigui rispetto alle gravi perdite subite negli ultimi mesi –:

   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, considerata la gravità degli stessi, quali urgenti iniziative di competenza intenda adottare, di concerto con le organizzazioni di rappresentanza del settore, al fine di ripristinare il regolare svolgimento delle attività lavorative inerenti a eventi fieristici e feste patronali, garantire maggior sostegno economico per i lavoratori affranti dall'emergenza Covid-19, anche mediante la previsione di esoneri fiscali e se non intenda adottare iniziative volte a prevedere la proroga delle concessioni in essere.
(4-06624)


   BARZOTTI e ROMANIELLO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   in data 21 febbraio 2020, a causa della presenza presso gli ospedali di Lodi e Codogno di alcuni casi di infezione da Covid-19, è stata emanata un'ordinanza dal Ministero della salute, di concerto con il presidente di regione Lombardia Attilio Fontana, che individuava 10 comuni del lodigiano che venivano sottoposti ad alcune restrizioni finalizzate a limitare il contagio. In sintesi, nei comuni di Bertonico, Casalpusterlengo, Castelgerundo, Castiglione D'Adda, Codogno, Fombio, Maleo, San Fiorano, Somaglia e Terranova dei Passerini si disponeva, tra le altre, la sospensione di tutte le manifestazioni pubbliche, di qualsiasi natura, comprese le cerimonie religiose, la sospensione di tutte le attività commerciali ad esclusione dei servizi essenziali, la sospensione delle attività lavorative. In forza della predetta ordinanza, la valutazione in merito al mantenimento e/o alla modifica delle misure di contenimento sarebbe stata «quotidianamente effettuata congiuntamente dal Tavolo di coordinamento di Regione Lombardia congiuntamente con le Autorità centrali»;

   nel tardo pomeriggio del 23 febbraio 2020, nell'ordine veniva: 1) emanata ai sensi dell'articolo 32 della legge del 23 dicembre 1978, n. 833, una nuova ordinanza con efficacia sino al 1° marzo 2020 dal Ministero, della salute, ancora d'intesa con il presidente di regione Lombardia in forza della quale venivano confermate le misure di contenimento già previste con l'ordinanza del 21 febbraio 2020; 2) emanato il decreto-legge n. 6 del 2020 in cui, nel riprendere le misure di contenimento già adottate, si prevedevano altre limitazioni; 3) emanato il decreto attuativo del decreto-legge di cui al punto 2); l'ordinanza di cui al punto 1), faceva sia riferimento ai comuni della zona rossa, richiamando le disposizioni già in atto, che alle altre zone della Lombardia, predisponendo per queste ultime solo alcune limitazioni – come previste alle lettere c) d) e) f) ed i) del decreto-legge di cui al precedente punto 2). Verosimilmente, in ragione del continuo e rapido evolversi del contagio e l'urgenza, l'ordinanza in questione precisava – diversamente dalla precedente che enfatizzava l'attività congiunta tra le due autorità – che «il Presidente della Regione Lombardia, sentito il Ministro della salute, può modificare le disposizioni di cui alla presente ordinanza in ragione dell'evoluzione epidemiologica»;

   in data 16 e 17 giugno 2020, «il Fatto quotidiano» riportava: i) un articolo a pagina 12 dal titolo «Anche Lodi non fu mai zona rossa. I medici: La Regione ci disse no», in cui si riprendevano le dichiarazioni del presidente dell'ordine dei medici di Lodi, Massimo Vajani circa il fatto di aver dichiarato più volte, in occasione di tavoli di confronto con la regione, che la città di Lodi avrebbe dovuto essere considerata zona rossa ii) un altro articolo, intitolato «Comuni chiusi, anzi no: audio incastra Fontana» secondo cui in un audio, risalente al pomeriggio del 23 febbraio 2020, il presidente di regione Lombardia avrebbe individuato ulteriori 9 comuni da includere nella zona rossa compresi tra le province di Lodi e Cremona (Santo Stefano Lodigiano, San Rocco al Porto, Corno Giovine, Cornovecchio, Caselle Landi, Pizzighettone, Formigara, Gombito, Brembio);

   tale ricostruzione trova riscontro nell'audio diffuso da FanPage.it il 31 luglio 2020;

   è fatto notorio che questo progetto di estensione non si è mai effettivamente concretizzato –:

   se il Governo sia a conoscenza dei contenuti dell'audio in questione e dei fatti sopraesposti;

   se, dal 23 febbraio 2020, vi siano state comunicazioni formali o informali in merito alla necessità di estendere la zona rossa a Lodi e ai comuni citati nell'audio;

   se sia a conoscenza delle ragioni per cui la regione Lombardia, dopo l'emanazione dell'ordinanza del 23 febbraio 2020, scelse di non estendere la zona rossa a Lodi e ai comuni sopra individuati.
(4-06629)


   BUTTI, ROTELLI e SILVESTRONI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   indiscrezioni, non smentite, rivelano un doppio intervento del Governo nelle dinamiche di Telecom, società privata, ma con un passato di monopolista nel settore delle Telecomunicazioni;

   il primo atto sostanzialmente invasivo si sarebbe concretizzato con l'invio di una lettera firmata dai Ministri Gualtieri e Patuanelli;

   il secondo riguarderebbe una telefonata intercorsa tra il presidente del Consiglio dei ministri Conte e l'amministratore delegato di Telecom Gubitosi avvenuta nel mezzo dei lavori del Consiglio di amministrazione di Telecom;

   indiscrezioni, non smentite, riferiscono che motivo del colloquio sarebbe stata la richiesta di sospensione, da parte del Governo, degli accordi tra il fondo Usa Kkr e Telecom per l'acquisizione, da parte americana, di una quota della newco di Tim per la rete secondaria;

   se la vicenda fosse confermata si ravviserebbe una pesante interferenza del Governo nelle dinamiche di una società privata, peraltro, a guida straniera;

   la vicenda fa emergere la confusione nella quale brancola il Governo, nonostante la recente discussione svoltasi alla Camera, in materia di rete unica in banda ultra larga;

   non risultano essere un mistero le diverse interpretazioni offerte dal Governo circa la verticalità, o meno, della stessa rete di Telecomunicazioni –:

   se quanto esposto in premessa, relativamente alla, telefonata, del Premier Conte all'amministratore delegato di Telecom Gubitosi, risponda al vero e in caso di risposta affermativa quale sia stato il motivo di tale azione, secondo gli interroganti, priva di precedenti nella storia repubblicana:

   quale sia l'interesse pubblico, che dovrebbe caratterizzare ogni intervento del Governo e quindi dello Stato, perorato dal Presidente Conte nel corso della telefonata;

   se l'idea di parte del Governo sia quella di consentire che un'azienda, come Telecom, che capitalizza 5,5 miliardi di euro possa «cannibalizzare» una società come Open Fiber che, secondo Bloomberg, Mediobanca e il fondo Macquarie varrebbe tra i 7 e gli 8 miliardi di euro;

   se non si ravvisi il periodo che, in quella che appare agli interroganti una scomposta e irrituale condotta del Governo e visto l'andamento del titolo Tim in borsa, si produca il rischio di alimentare azioni speculative e persino di aggiotaggio.
(4-06631)


   CAPITANIO, DONINA, FURGIUELE, GIACOMETTI, MACCANTI, MORELLI, RIXI, TOMBOLATO e ZORDAN. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   da quanto appreso da fonti di stampa, il Ministro dell'economia e delle finanze e il Ministro dello sviluppo economico, durante lo svolgimento del consiglio di amministrazione di Telecom Italia, hanno inviato una lettera al presidente della società sul progetto della rete, nella quale avrebbero chiesto «di valutare le modalità più adeguate per collocare l'operazione in questo più ampio contesto strategico, proseguendo, sin dalle prossime ore, le interlocuzioni con gli attori istituzionali e di mercato interessati che saranno da noi promosse»;

   il quotidiano il Foglio del 6 agosto 2020, inoltre, riporta la notizia che sempre durante il consiglio di amministrazione il Presidente del Consiglio dei ministri avrebbe telefonato all'Amministratore delegato di TIM «pregandolo di rinviare di un mese la discussione sull'offerta del fondo Kkr»;

   l'intervento diretto del Presidente del Consiglio dei ministri nell'operazione dimostra, secondo gli interroganti, la carenza di un'organica visione dell'intervento pubblico in economia;

   a seguito di tale irrituale ingerenza, Telecom Italia avrebbe deciso di sospendere, almeno per il momento, la valutazione circa l'offerta del fondo americano Kkr, La società, in particolare, ha scritto in una nota che il «consiglio di amministrazione ha preso atto con favore dei contenuti del progetto di separazione della rete secondaria (incluso l'80 per cento detenuta da Tim in Flash Fiber) e della partnership con Kkr Infrastructure e Fastweb (FiberCop) contenuti nell'offerta vincolante ricevuta da Kkr Infrastructure»;

   il Governo ha, praticamente, messo in stand by l'offerta del fondo americano, che potrebbe a questo punto subire dei cambiamenti nelle prossime settimane;

   una lettera non è ancora annoverata, fortunatamente, tra le fonti del diritto e quindi appare del tutto incomprensibile il motivo per il quale il Governo abbia utilizzato questa irrituale forma di comunicazione nel pieno svolgimento della riunione del Consiglio di amministrazione. Il Governo è azionista di Tim attraverso Cassa depositi e prestiti (9,9 per cento) dunque, se proprio doveva intervenire, avrebbe potuto farlo la Cassa stessa, che avrebbe potuto dialogare con Tim. La lettera è firmata dai Ministri Gualtieri e Patuanelli e questo conferisce al tutto una forte connotazione politica: nel senso che mentre il Ministro dell'economia e delle finanze firma in quanto indirettamente è azionista attraverso Cassa depositi e prestiti, la firma del Ministro dello sviluppo economico esprime un'opinione del Governo, a giudizio degli interroganti è totalmente al di fuori del contesto normativo;

   la mancata indicazione al Parlamento presidente dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, nuovo terreno di scontro politico all'interno della maggioranza, contribuisce a rendere la situazione più complicata;

   per un'azienda privata come Telecom Italia, che dal 1997 è quotata in Borsa, si tratta dunque di un'ingerenza unica e grave. Tanto più che le discussioni sulla rete unica tra Telecom e Open Fiber vanno avanti da mesi e nonostante le pressioni politiche e del Ministero dell'economia e delle finanze su Enel e Cassa depositi e prestiti (soci al 50 per cento della società della fibra), finora non c'è stato modo di fare passi in avanti in questa direzione –:

   quali siano le ragioni che hanno indotto i Ministri interrogati ad inviare una comunicazione al presidente della società Tim S.p.a. durante lo svolgimento del consiglio di amministrazione, a quale titolo sia stata inviata la missiva e se, infine, la stessa rivestisse una particolare forma giuridica di diffida a non concludere l'operazione all'attenzione del consiglio stesso.
(4-06632)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, per sapere – premesso che:

   lo scorso martedì 4 agosto 2020, è avvenuta al porto di Beirut, in Libano, una tremenda esplosione che ha causato oltre 150 morti, 5 mila feriti e almeno 300 mila sfollati, di cui, secondo Save the Children, oltre 100.000 sono bambini che hanno perso le proprie case e tutto quello che avevano;

   ancora non è stato chiarito cosa abbia causato il disastro: il premier libanese ha annunciato un'inchiesta che si focalizzerà sulle 2.750 tonnellate di nitrato d'ammonio, un fertilizzante usato anche come componente negli esplosivi minerari, che, dal 2013, era immagazzinato negli hangar del porto, lasciato da una nave sequestrata. Per il momento, il Governo avrebbe messo agli arresti domiciliari i funzionari responsabili dei magazzini e della sicurezza del porto, in attesa che l'inchiesta faccia il suo corso;

   intanto, anche i quattro ex Primi Ministri libanesi hanno chiesto in una dichiarazione congiunta che si apra una inchiesta, ma presieduta da una commissione d'inchiesta internazionale, per appurare le cause delle due gigantesche esplosioni. I quattro ex Capi di Governo, Saad Hariri, Najib Miqati, Fouad Saniora e Tammam Salam, affermano che la città di Beirut, dopo avere «sofferto per oltre quattro decenni per una catena infinita di distruzioni e abusi, è colpita da una catastrofe che poteva essere evitata se non fosse stato per l'assenza di leadership». Per questo ritengono necessario chiedere alle Nazioni Unite o alla Lega Araba di formare una commissione d'inchiesta internazionale araba, composta da giudici e investigatori «che siano professionali e imparziali per scoprire le circostanze e le cause della catastrofe». «Allo stesso tempo – si aggiunge nella dichiarazione – gli ex Primi Ministri fanno appello a tutte le agenzie del porto perché lavorino insieme per preservare la scena del crimine e assicurare che non sia inquinata»;

   l'esplosione non poteva avvenire in un momento peggiore, di fatti la città è già in grande difficoltà per la pandemia da Coronavirus: gli ospedali – già al pieno delle loro capacità – e in parte danneggiati nell'esplosione, sono stati inondati di feriti. Le autorità hanno dichiarato Beirut una «città disastrata» ed è stato decretato lo stato d'emergenza per due settimane che non è escluso che possa essere esteso;

   fortunatamente, la solidarietà internazionale non sta mancando e da tutto il mondo stanno arrivando aiuti e progetti per aiutare il Libano. Anche l'Unione europea sta cercando in queste ore le modalità migliori per sostenere il processo di ricostruzione del Paese: Ursula Von der Leyen ha sottolineato la possibile mobilitazione di esperti e attrezzature per aiutare a valutare l'entità del danno e gestire sostanze pericolose come l'amianto e altre sostanze chimiche. Questo può essere importante per le strutture civili ma anche per la riabilitazione del porto di Beirut. Si è inoltre esplorata la possibilità «di rafforzare le relazioni commerciali in questo momento difficile, in particolare sotto forma di ulteriore agevolazione commerciale e doganale preferenziale»;

   la priorità immediata è l'aiuto, il sostegno alla popolazione senza condizioni, ma a questa dovrà seguire un sostegno integrato e trasversale da parte di tutta la comunità internazionale per evitare il collasso dell'intero Paese e di conseguenza un ulteriore e preoccupante squilibrio all'interno dell'intera regione. Difatti, si è fortemente consapevoli della grande importanza che il Libano ricopre per la stabilità dell'intera regione del Mediterraneo e della necessità di preservarla;

   l'Italia ha inviato 8,5 tonnellate di aiuti verso il Libano, – meno di quello che sta facendo la Norvegia o persino la piccola Tunisia, in difficoltà in questi giorni –, insieme a una squadra di vigili del fuoco. Ma si deve fare di più, per non tradire il nostro impegno e la nostra presenza storica in Libano. Nel 2006 fu una iniziativa italiana – la proposta di Prodi e D'Alema di iniziare una missione di interposizione – a pacificare il Libano allora in guerra con Israele. È tuttora italiano il maggiore contingente militare della missione Unifil, così come ne è italiana la sua guida. In Libano non ci sono solo i soldati italiani; in questi minuti gli operatori delle tante Ong italiane presenti a Beirut si stanno facendo in quattro per portare aiuto alla popolazione della città, duramente colpita. L'Italia può, anzi deve, svolgere un ruolo di mediazione e presenza, come ha sempre ben fatto –:

   se il Ministro interpellato non ritenga di:

    a) promuovere una missione politica di alto livello per manifestare la solidarietà alle autorità libanesi e discutere con loro di piani per la ricostruzione;

    b) chiedere alla Commissione europea di elaborare un piano per la ricostruzione di Beirut e di coordinare gli aiuti degli Stati membri;

    c) adottare iniziative per stanziare immediatamente risorse di emergenza per aiutare la popolazione civile sfollata, bisognosa di cure mediche e di aiuti alimentari;

    d) riunire un tavolo con le organizzazioni non governative, gli enti locali, la Croce rossa italiana per programmare con loro le azioni di emergenza che l'Italia può mettere in campo da subito con il Libano.
(2-00907) «Fiano, Quartapelle Procopio, Boldrini, La Marca, Andrea Romano, Schirò».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DELMASTRO DELLE VEDOVE. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   il 12 giugno 2020, la Farnesina ha ospitato la prima seduta annuale del Comitato congiunto per la cooperazione allo sviluppo, presieduta dal Ministro interrogato alla presenza della Vice Ministra Emanuela Del Re;

   in quella sede, il Comitato congiunto ha approvato un pacchetto d'iniziative del valore complessivo di oltre 125 milioni di euro. Tra questi, 87 milioni di euro di contributi volontari a favore di organizzazioni internazionali, tra cui 28 milioni a favore del Gavi, l'Alleanza globale per i vaccini e l'immunizzazione; 13 milioni sono invece destinati al Fondo Covid-19 per iniziative promosse da organizzazioni della società civile; circa 24 milioni di euro sono destinati a iniziative di cooperazione in Paesi del Medioriente, dell'Asia e dell'Europa;

   nel corso dell'audizione sulle missioni internazionali del direttore generale Marrapodi, il 30 giugno 2020, era stata menzionata la cifra di 603 milioni euro per il totale delle risorse stanziate a dono nell'ambito della cooperazione;

   dall'analisi dei verbali non si rilevano espressamente decisioni riguardanti risorse a dono se non nelle delibere n. 2 sul Libano e n. 33 sulla Palestina;

   le restanti somme non specificano le quote a dono e le quote a prestito –:

   se nelle ulteriori delibere assunte siano stati previsti finanziamenti a titolo di dono e finanziamenti a titolo di prestito e quali siano le eventuali relative quantificazioni in euro;

   in caso contrario, quando il Comitato congiunto intenda riunirsi per stanziare le somme indicate dal direttore generale Marrapodi.
(5-04532)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SANDRA SAVINO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   la centrale nucleare di Krško, in Slovenia, operativa dal 15 gennaio 1983, è stata costruita dalla Slovenia e dalla Croazia, entrambe parti, all'epoca, della Jugoslavia. È dotata di un reattore ad acqua pressurizzata 48,7 tonnellate di «combustibile» a base di ossido d'uranio;

   la centrale sorge a soli circa 100 chilometri in linea d'aria da Trieste;

   è di questi giorni la notizia secondo cui le autorità slovene, in collaborazione con la Croazia, realizzeranno un nuovo reattore nucleare nella centrale di Krško;

   la centrale insiste su un'area altamente sismica e già in passato ci sono state preoccupazioni per alcune forti scosse che mettevano a rischio l'impianto, come quella di magnitudo 4,2 registrata il 1° novembre 2015;

   dopo il disastro di Fukushima, la Francia ha chiuso 14 reattori e la Germania ha annunciato il graduale abbandono del nucleare; le autorità slovene e croate sembrano invece intenzionate a proseguire nello sviluppo della tecnologia;

   il Governo italiano deve tutelare i residenti del Friuli Venezia Giulia, invitando la Slovenia a bloccare il progetto di sviluppo della centrale nucleare –:

   se il Governo sia intenzionato a intervenire presso le autorità slovene affinché venga abbandonato il progetto di sviluppo della centrale nucleare di Krško e sia garantita la sicurezza dei residenti nel Friuli Venezia Giulia.
(4-06591)


   FITZGERALD NISSOLI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   il Memorandum of Understanding sottoscritto da Italia e Danimarca nel 1996 durante i lavori preliminari della Convenzione per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito prevedeva che gli Stati contraenti concordassero sul fatto che l'imposizione fiscale in loco, sancita dall'articolo 19 della Convenzione, si applicasse esclusivamente alle retribuzioni dei beneficiari con cittadinanza danese, e non con quella italiana, e residenti in Danimarca ad accezione dei residenti in territorio danese, a prescindere dalla propria cittadinanza, che avevano acquisito ivi la residenza al solo scopo di prestare servizio a nome del Governo italiano;

   pertanto il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale ha assoggettato, nella sua veste di sostituto di imposta, la retribuzione dovuta ai dipendenti, alle ritenute fiscali alla fonte a favore dello stato italiano;

   di contro, poiché il Memorandum non si è evoluto in altra formula bilaterale è da considerarsi una mera dichiarazione di intenti tra Italia e Danimarca non trasposta in un atto legislativo vincolante in quanto non oggetto di ratifica parlamentare;

   tale anomalia deriverebbe da una «disattenzione» amministrativa attuatasi su entrambi i versanti che ha legittimato, però, le autorità fiscali danesi, a decorrere dal 2015, dunque 16 anni dopo la sigla della Convenzione bilaterale del 1999, a richiedere un fantomatico «ripristino della legalità» attraverso la pretesa del prelievo delle imposte fiscali in Danimarca con decorrenza dal 1 gennaio 19;

   l'avvio del Mutual Agreement Procedure (Map), a seguito delle procedure di rivalsa dello Skat, non ha condotto finora ad esiti sperati: allo stato attuale sarebbe certo il condono di due annualità fiscali (2015/16), mentre sarebbe in attesa l'ipotesi di condono per il 2017 sebbene l'originario obiettivo dell'amministrazione fosse quello di ottenere il riconoscimento del condono anche per tutto il 2018 in accordo con le istanze dei sindacati e dei lavoratori;

   stando ai calcoli elaborati dalla sigla sindacale maggiormente rappresentativa degli impiegati a contratto del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, con il passaggio al sistema danese, per il solo 2019 vi sarebbe un onere a carico dei lavoratori variabile dai 15.000 ai 24.000 euro annui, arrivando ad un sestuplo di quanto versato all'erario italiano, a cui andranno poi aggiunti gli oneri previdenziali maggiorati a seguito dell'entrata in vigore del regolamento (CE) n. 883/2004;

   risulta che lo scorso anno siano stati accordati dall'Amministrazione gli incrementi retributivi previsti dalla norma, assolutamente irrisori rispetto all'ammontare degli oneri fiscali che dovranno poi essere sostenuti in Danimarca: malgrado l'oggettiva urgenza di un ulteriore riadeguamento retributivo, ad oggi l'Amministrazione non ha inteso procedere in tal senso;

   in ragione degli elementi suesposti sarebbe imprescindibile una piena tutela dei nostri lavoratori: sia in sede di confronto Map, attraverso una ferma posizione dell'Italia nella prospettiva di definizione di un condono fiscale esteso a tutto il 2018, sia sul versante dell'agevole tutela degli interessi dei lavoratori attraverso l'attuazione della norma di garanzia sindacale di cui all'articolo 57 del decreto del Presidente della Repubblica n. 18 del 1967 –:

   se non si ritenga prioritario attuare, in sede di confronto Map (Mutual agreement procedure), ogni utile iniziativa volta a garantire una ferma posizione dell'Italia nella prospettiva di definizione di un condono Fiscale esteso a tutto il 2018, al fine di ridurre per quanto possibile gli ingenti danni patrimoniali in capo ai nostri lavoratori;

   se non si ritenga imprescindibile adottare iniziative per prevedere un nuovo e celere incremento retributivo per il personale operativo in Danimarca – sussistendo le condizioni legittimanti di cui all'articolo 157 del decreto del Presidente della Repubblica n. 18 del 1967 – al fine di definire anche una garanzia per la sostenibilità del nuovo onere fiscale dei dipendenti e garantendo il coinvolgimento dei sindacati nelle procedure di contrattazione e definizione delle retribuzioni.
(4-06606)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta orale:


   DI LAURO, NAPPI, D'ARRANDO, ZOLEZZI e MARTINCIGLIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali — Per sapere – premesso che:

   la crisi epidemiologica causata dalla diffusione del Covid-19 sta continuando a mietere migliaia di vittime in tutto il mondo che hanno raggiunto complessivamente oltre 700 mila unità;

   nel nostro Paese, anche grazie alle tempestive misure restrittive, i danni sono stati largamente contenuti e si sono evitate decine di migliaia di morti;

   alcuni importanti focolai di Covid-19 sono stati rilevati all'interno di allevamenti di animali e di macelli;

   negli Stati Uniti si sono registrati oltre 180 impianti di macellazione della carne colpiti dal Coronavirus; in Germania, l'azienda Toennies ha riscontrato 400 casi positivi, su 500 test effettuati, fra i lavoratori della sua rete di impianti di macellazione e lavorazione della carne, mentre altri focolai si sono registrati in altri mattatoi fin da maggio; casi simili si sono registrati in altre parti d'Europa;

   in Italia, alcuni focolai di Covid-19 sono stati riscontrati ad inizio luglio 2020 nel Mantovano in 5 attività produttive, tra macelli e salumifici, che il 6 luglio, contavano un totale di 68 dipendenti positivi;

   oltre ad essere divenuti focolai di diffusione del Covid-19, come è noto, la produzione intensiva e il consumo eccessivo di carne e prodotti lattiero-caseari hanno gravi ripercussioni sul nostro clima, sul nostro ambiente e sulla nostra salute;

   recenti studi indicano che il dimezzamento del consumo di carne, prodotti lattiero-caseari e uova nell'Unione europea, potrebbe ridurre le emissioni di gas serra europee di una quota che può oscillare dal 25 per cento al 40 per cento, mentre adottare una dieta vegetariana o vegana ridurrebbe le emissioni agricole di gas serra rispettivamente del 63 per cento e del 70 per cento;

   secondo un rapporto di Greenpeace, se non verranno adottati adeguati correttivi, «il contributo dell'agricoltura alle emissioni di gas serra nel 2050 potrebbe arrivare al 52 per cento delle emissioni totali», di cui il 70 per cento attribuibile proprio ai settori della produzione di carne e prodotti lattiero-caseari;

   un recente studio condotto da un ricercatore italiano dell'Università di Cambridge mette in relazione i livelli più elevati di inquinamento con il tasso di infezione e letalità del virus: secondo le risultanze dello studio, «Le condizioni di salute che conseguono all'esposizione prolungata ad ambienti con scarsa qualità dell'aria sono notevolmente simili a quelle che provocano vulnerabilità al coronavirus»;

   a conclusioni simili è giunto anche uno studio condotto dai ricercatori dell'Università Martin Luther di Halle-Wittenberg, in cui sono stati mappati i livelli di biossido di azoto in relazione ai decessi da Covid-19 a livello regionale in Italia, Spagna, Francia e Germania;

   anche uno studio dei ricercatori dell'Università di Aarhus ha dimostrato che «Gli abitanti nelle zone più inquinate avevano un livello più elevato di cellule infiammatorie delle citochine, il che li rende potenzialmente più vulnerabili al nuovo coronavirus», spiegando, tra l'altro, il motivo per cui le regioni italiane più colpite (Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna e Veneto) si trovino in una delle aree più inquinate d'Italia: la Pianura Padana;

   dunque, alcuni allevamenti, macelli e salumifici sono diventanti focolai di infezione e propagazione del Covid-19; inoltre, questi luoghi contribuirebbero all'inquinamento e dunque al peggioramento delle condizioni di salute dell'uomo, a seguito del quale, potrebbero esserci, secondo alcuni studi, maggiori rischi a livello sistemico per la salute umana, collegati al Covid-19 –:

   quali iniziative di competenza il Governo intenda intraprendere al fine di migliorare i controlli all'interno degli allevamenti intensivi di animali e negli stabilimenti in cui si effettua macellazione e lavorazione delle carni e prevenire la propagazione del Covid-19;

   se il Governo intenda adottare iniziative per procedere a limitazioni delle fiere zootecniche e alla presenza di animali nei circhi, al fine di contenere i rischi collegati al Covid-19.
(3-01726)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   ZOLEZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   il decreto del Presidente della Repubblica n. 254 del 2003 dispone, all'articolo 1, comma 3, che: «Le autorità competenti e le strutture sanitarie adottano iniziative dirette a favorire in via prioritaria la prevenzione e la riduzione della produzione dei rifiuti. I rifiuti sanitari devono essere gestiti in modo da diminuirne la pericolosità, da favorirne il reimpiego, il riciclaggio e il recupero e da ottimizzarne la raccolta, il trasporto e lo smaltimento»;

   il medesimo decreto stabilisce altresì la possibilità che i rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo vedano l'eliminazione della condizione di pericolo tramite processo di sterilizzazione (articoli 7, 9 e 11); in Italia secondo l'Ispra vengono prodotti ogni anno oltre 170 mila tonnellate di rifiuti sanitari a rischio infettivo con un costo della gestione classica (incenerimento o smaltimento in discarica) superiore a 2.000 euro a tonnellata. La gestione industriale mediante sterilizzazione «on site» consente il risparmio economico di oltre il 50 per cento, la riduzione di volume del 60 per cento e l'eliminazione della condizione di pericolo infettivo tramite l'abbattimento della carica microbica tale da garantire un S.a.l (Sterility Assurance Level) non inferiore a 10-6, ed è effettuata secondo le norme UNI 10384/94, parte prima, mediante procedimento che comprenda anche la triturazione e l'essiccamento ai fini della non riconoscibilità e maggiore efficacia del trattamento, nonché della diminuzione di volume e di peso dei rifiuti stessi;

   l'implementazione di ulteriori protocolli sanitari a bordo delle navi da crociera, sia per le navi destinate alla navigazione, sia per quelle destinate ad utilizzi alternativi, causerà un incremento della produzione dei rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo, che dovranno essere obbligatoriamente trattati a bordo o conferiti presso gli impianti di raccolta portuali. La direttiva (UE) 2019/883, relativa agli impianti portuali di raccolta per il conferimento dei rifiuti delle navi, che modifica la direttiva 2010/65/UE e abroga la direttiva 2000/59/CE, all'articolo 4, paragrafo 1, stabilisce, tra l'altro, che gli Stati membri mettano a disposizione impianti portuali di raccolta adeguati a rispondere alle esigenze delle navi che utilizzano abitualmente il porto, senza causare loro ingiustificati ritardi, e che gli impianti portuali di raccolta provvedano a una gestione dei rifiuti delle navi ambientalmente compatibile, conformemente alla direttiva 2008/98/CE e ad altre pertinenti leggi nazionali e dell'Unione sui rifiuti;

   ai fini del paragrafo 1, lettera d), gli Stati membri garantiscono la raccolta differenziata per facilitare il riutilizzo e il riciclaggio dei rifiuti delle navi, nei porti, come previsto nella normativa dell'Unione sui rifiuti, in particolare nelle direttive 2006/66/CE, 2008/98/CE e 2012/19/UE del Parlamento europeo e del Consiglio. Al fine di facilitare tale processo, gli impianti portuali di raccolta possono raccogliere le frazioni di rifiuti differenziate conformemente alle categorie di rifiuti stabilite nella convenzione Marpol, tenendo conto delle sue linee guida;

   l'incenerimento dei rifiuti a bordo delle navi è disciplinato dalla convenzione Marpol 73/78, allegato VI, regola 16. La medesima convenzione Marpol 73/78, allegato VI, regola 4, permette di installare in una nave impianti di trattamento rifiuti alternativi a quanto richiesto dallo stesso allegato, se tali impianti, materiali, dispositivi o apparati sono almeno altrettanto efficaci di quelli richiesti dall'Allegato VI;

   la nave Azzurra destinata alla quarantena potrebbe dotarsi di un impianto di sterilizzazione in situ come già avvenuto con alcune strutture sanitarie temporanee dell'Esercito italiano durante questa emergenza da Covid-19 –:

   quali iniziative di competenza intendano intraprendere, anche di concerto per incentivare l'installazione, a bordo nave e presso gli impianti portuali di raccolta, di apparecchiature per la sterilizzazione dei rifiuti pericolosi a rischio infettivo.
(5-04524)


   SPESSOTTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   dal 2006, l'aeroporto Marco Polo di Venezia-Tessera si è dotato di un sistema di monitoraggio, per controllare l'impatto acustico provocato dal rumore di origine aeroportuale nelle aree limitrofe, conforme a quelle che sono le specifiche tecniche e strutturali emanate con i decreti ministeriali 31 ottobre 1997 e 20 maggio 1999. Dal sito ambiente.veniceairport.it, i cittadini hanno la possibilità di essere sempre informati sui dati relativi all'inquinamento acustico presente nel loro territorio;

   dalla fine del 2008, l'aeroporto si è munito anche di uno strumento per monitorare la qualità dell'aria nell'area di Tessera, in cui è presente l'aeroporto, attraverso il progetto «Monitoraggio delle emissioni di origine aeroportuale», nato dalla collaborazione tra S.a.v.e. spa, l'università Ca' Foscari di Venezia e l'ente zona industriale di Porto Marghera, che da giugno 2009 dovrebbe monitorare in «continuo» le concentrazioni dei principali contaminanti atmosferici con una centralina mobile di proprietà di Ente zona industriale. A tali monitoraggi, periodicamente si aggiungono campagne di controllo specifiche relative al PM2,5 e PM1. Tutti i risultati sono poi analizzati da un gruppo di ricerca dell'Università Ca' Foscari per fornire informazioni utili alla stima del contributo emissivo aeroportuale. I dati rilevati sono pubblici e consultabili sempre dal sito ambiente.veniceairport.it, per permettere ai cittadini di rimanere informati sulla qualità dell'aria nel proprio territorio;

   risulta all'interrogante che ad oggi, le rilevazioni sulla qualità dell'aria nell'area interessata al monitoraggio, sono ferme a dicembre 2019 e non sono state ancora pubblicate neanche quelle riguardanti il primo trimestre dell'anno in corso;

   inoltre, nonostante nella zona di Tessera, a causa dell'emergenza Covid-19, nei mesi di lockdown sia stato quasi azzerato il traffico aeroportuale e veicolare indotto (taxi, automobili a noleggio, utenti aeroporto, lavoratori, e altro), nelle misure fonometriche anno 2020 del sistema di monitoraggio, il rumore rilevato è sempre lo stesso –:

   se il Governo sia a conoscenza di quanto riportato in premessa e se non ritenga opportuno, per quanto di competenza, verificare i motivi per i quali il monitoraggio sulla qualità dell'aria nella zona di Tessera e dell'aeroporto di Venezia non sia stato aggiornato all'anno in corso;

   se non consideri opportuno adottare iniziative, per quanto di competenza, per assicurarsi del corretto funzionamento del sistema di monitoraggio fonometrico dell'area suddetta affinché sia adeguatamente analizzato l'impatto acustico provocato dal rumore di origine aeroportuale nelle aree limitrofe.
(5-04525)


   SPESSOTTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

   il Corila – Consorzio per il coordinamento delle ricerche inerenti al sistema lagunare di Venezia – è stato costituito come associazione senza fini di lucro con atto convenzionale il 22 maggio 1998 dai Rettori dell'università Ca’ Foscari di Venezia, dell'istituto universitario di architettura di Venezia, dell'università degli studi di Padova e dal presidente del Consiglio nazionale delle ricerche;

   l'associazione, con sede legale a Venezia, risulta tra gli enti pubblici vigilati dal Ministero dell'istruzione dell'università e della ricerca;

   Corila, per conto del provveditorato per le opere pubbliche Veneto, Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia, già Magistrato alle acque di Venezia, attraverso il suo concessionario Consorzio Venezia Nuova, svolge dal 2004 attività di monitoraggio degli effetti dei cantieri sulle matrici ambientali e sull'economia dei settori potenzialmente impattati dall'esecuzione delle opere di regolazione delle maree alle bocche di porto della laguna di Venezia (Mose);

   risulta all'interrogante che il Corila con i fondi delle leggi speciali per la salvaguardia di Venezia, esclusivamente per il compito di promozione e coordinamento dell'attività di ricerca sul sistema lagunare di Venezia e lo svolgimento di progetti di ricerca, avrebbe ricevuto finanziamenti per oltre 15 milioni di euro;

   nel 2007 il Magistrato alle acque (ora provveditorato per le opere pubbliche) ha avviato, tramite il Corila l'aggiornamento del piano morfologico della laguna, risalente al 1993 e previsto dalla legge speciali; in seguito alla definizione del nuovo piano morfologico della laguna, a marzo del 2018, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha ufficialmente bocciato l'aggiornamento del piano eseguito dal Corila condividendo le critiche e le osservazioni di esperti e di associazioni ambientaliste;

   da notizie di stampa si apprende che, nel 2019 il provveditorato per le opere pubbliche, Veneto, Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia, per 10 milioni di euro, avrebbe nuovamente incaricato il Corila di rielaborare il piano morfologico, nonostante le critiche giunte da esperti autorevoli sulla sua inadeguatezza e l'ipotesi avanzata dall'allora provveditore, di affidare l'incarico ad altri soggetti, intenzione che poi non si è concretizzata;

   nel corso dell'audizione in commissioni riunite (VIII e IX) del 17 dicembre 2019 il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è intervenuto a proposito del coordinamento del monitoraggio ambientale sulla laguna di Venezia, riferendo che ISPRA ha segnalato che per tale attività «il Provveditorato ha individuato, senza averlo concordato preventivamente», il consorzio (CORILA) tra Università di Studi ed enti pubblici di ricerca: Ca’ Foscari, Università di Padova, CNR-ISMAR di Venezia e l'istituto di oceanografia, geofisica sperimentale di Trieste. Al consorzio «verrebbe demandata una supervisione delle attività di monitoraggio e la predisposizione, per ogni intervento, del piano di monitoraggio di concerto con il proponente, anche con il coinvolgimento di ISPRA e del sistema agenziale». Il suddetto Ministro, considerando giuste le sue osservazioni, ha riferito che secondo Ispra l'argomento dovrebbe essere approfondito in sede di redazione del decreto concernente il nuovo protocollo fanghi, anziché negli allegati tecnici, tenuto anche conto delle funzioni attribuite al sistema nazionale agenziale con la nuova legge (n. 132 del 2016) nel frattempo insorta, che dà questa funzione per legge a ISPRA e al sistema agenziale. Non lo può dare a un consorzio –:

   se il Governo confermi quanto riportato in premessa e se intenda fornire elementi sulle attività svolte dal Corila e sulle funzioni ad esso demandate che, alla luce di quanto sopra esposto, risulterebbero di competenza invece di Ispra;

   se non ritenga opportuno verificare la regolarità delle procedure che hanno permesso alle università e agli enti pubblici di ricerca di costituire il Consorzio nel 1998;

   di quali risorse pubbliche usufruisca il consorzio e da quale ente vengano erogate.
(5-04536)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CIRIELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   si apprende da organi di stampa del grave rinvenimento di rifiuti, probabilmente anche tossici, nelle campagne del Parco nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni, un'area naturale protetta di rilevante estensione, riconosciuta patrimonio dell'umanità dell'Unesco oltre che «geoparco»;

   sembrerebbe, infatti, che a Salento, in località Piana, a seguito di numerose denunce presentate dai residenti della zona, la procura di Vallo della Lucania abbia posto sotto sequestro due terreni di circa 50 mila metri quadri al fine di rinvenire rifiuti illecitamente smaltiti;

   le attività di scavo, supervisionate dai militari del nucleo di polizia ambientale della procura di Vallo della Lucania e dai militari della Guardia di finanza, avrebbero portato alla luce nella predetta area, tra l'altro a poca distanza da uliveti e coltivazioni, rifiuti di ogni genere: sacchi di juta, bidoni di plastica e fanghi sospetti;

   i lavori di scavo stanno proseguendo e potrebbero, quindi, disvelare uno scenario ancor più devastante di quello già accertato sia per l'ambiente sia per la salute dei residenti della zona, dove nel corso degli anni si sarebbe registrato un aumento della insorgenza di patologie tumorali; ciò non senza dire dell'economia agricola e del turismo in generale che potrebbero subire un altrettanto e gravissimo pregiudizio;

   le attività investigative sarebbero iniziate lo scorso anno e avrebbero svelato una ormai notoria, purtroppo, dinamica criminale, secondo la quale «sedicenti» imprenditori, dopo aver avuto in affitto terreni dell'area in parola, avrebbero smaltito illecitamente rifiuti di ogni genere, interrandoli, al fine di risparmiare o far risparmiare i costi che, invece, si sarebbero dovuti sostenere per un lecito smaltimento;

   ci si troverebbe dinnanzi ad una vicenda che, oltre ad essere angosciante nella misura in cui non si conoscono ancora le tipologie dei rifiuti interrati, pone un serio cono d'ombra sull'operato delle amministrazioni locali e regionali, ad avviso dell'interrogante, certamente negligenti nell'aver omesso di controllare e monitorare adeguatamente il territorio in questione prestando così il fianco a vere e proprie organizzazioni criminali che pur di lucrare deturpano finanche aree naturali di inestimabile bellezza, inficiano intere economie locali e mettono a repentaglio la salute e la vita delle persone;

   ebbene appare pacifico che la tutela del territorio e dell'ambiente necessita sia di una capillare attività di prevenzione mediante il controllo e il monitoraggio del territorio, sia di azioni programmate volte a saggiare il livello di contaminazione dei terreni e delle falde acquifere; in altre parole, le istituzioni preposte (locali e regionali) non possono meramente attendere e affidarsi alle iniziative sia pur encomiabili dell'autorità giudiziaria e delle forze dell'ordine che, purtroppo e sovente, si trovano ad intervenire quando purtroppo danni devastanti e talvolta irreparabili sono stati già arrecati, ma hanno il dovere di programmare un'attività di prevenzione e controllo, rivelatasi, ad oggi, dati i fatti di cronaca, inadeguata –:

   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, considerata la gravità degli stessi, quali urgenti iniziative, per quanto di competenza, intendano adottare, al fine di preservare l'ambiente e l'incolumità dei cittadini abitanti l'area del Parco nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni, oltre che contrastare il business del traffico illecito dei rifiuti in Campania.
(4-06598)


   MURELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   il comma 1 dell'articolo 7, della direttiva per la determinazione dei deflussi ecologici dell'Autorità di bacino distrettuale del fiume Po specifica: «Nel rispetto delle competenze assegnate e delle norme regionali vigenti, le Regioni del distretto (...) dispongono deroghe temporanee agli obblighi di rilascio per il mantenimento del deflusso ecologico in occasione di circostanze eccezionali e imprevedibili, qualora il livello di severità idrica (...) impedisca o rischi di impedire l'approvvigionamento per il consumo umano, non altrimenti soddisfabile; determini o rischi di determinare gravi carenze di approvvigionamento irriguo, essendo comunque già state poste in atto tutte le possibili strategie di risparmio idrico, contenimento delle perdite ed eliminazione degli sprechi; richieda il mantenimento di una adeguata capacità di invaso a sostegno dei prioritari usi potabili ed irrigui»;

   con deliberazione n. 4 del 14 dicembre 2017, l'Autorità di distretto idrografico del fiume Po ha adottato la «Direttiva Deflussi Ecologici» che pone l'obiettivo di conseguire l'equilibrio tra vari elementi, come il raggiungimento del buono stato dei corpi idrici, le richieste per gli utilizzi idrici e la diminuzione di disponibilità di risorse idriche a causa dei cambiamenti climatici;

   la situazione idrica attuale in alcune regioni si inserisce nelle casistiche di deroga previste dal decreto ministeriale 28 luglio 2004;

   tuttavia, dal 22 luglio 2020, la regione Emilia Romagna ha bloccato i prelievi in moltissimi fiumi e torrenti del territorio, come Nure, Chiavenna e loro effluenti, creando, visto il periodo, ingenti danni al settore agricolo già gravemente colpito quest'anno da eventi calamitosi come gelate e grandinate;

   anche Arpa Emilia Romagna ha già adottato provvedimenti che indicano tratti di fiumi ove la regione deve intervenire tempestivamente per autorizzare la deroga al deflusso minimo vitale;

   in particolare, è colpita la Valnure e il territorio di Vigolzone ove, a causa della quasi essiccazione delle derivazioni idriche, si rischia non solo l'azzeramento delle produzioni agricole, ma anche un grave danno ambientale, con l'eliminazione della fauna ittica autoctona dei rivi, e un'esposizione a rischio della salute pubblica dall'insorgenza di patogeni pericolosi nell'acqua stagnante;

   infatti, la chiusura improvvisa delle derivazioni ha procurato anche gravi disequilibri all'ecosistema ambientale consolidato dei canali storici, ove da secoli sopravvive una flora e una fauna caratteristiche, e autoctone;

   occorre rivedere il metodo di calcolo standard del deflusso minimo vitale e procederne ad una riformulazione che consenta di porre maggiore attenzione alla specificità idrologica, morfologica e agroambientale dei diversi territori regionali, oltre che alle locali necessità di approvvigionamento idrico per l'agricoltura, per poter garantire la tutela della biodiversità, della flora e della fauna, che interagiscono con il lavoro costante e simbiotico degli agricoltori;

   Coldiretti Emilia Romagna, alla luce di una crisi idrica, già da maggio 2020 ha richiesto alla direzione generale dell'assessorato all'ambiente, di adoperarsi tempestivamente al fine di minimizzare i tempi di concessione delle deroghe al deflusso minimo vitale, qualora si fossero rese necessarie;

   la situazione sopra illustrata, divenuta grave nell'Emilia Romagna, sta minacciando anche altre regioni del territorio nazionale, a causa del caldo torrido di questi giorni, alternato con piogge torrenziali –:

   se il Ministro interrogato intenda intervenire con una circolare urgente che espliciti la necessità delle deroghe al deflusso minimo vitale dei fiumi in applicazione del decreto ministeriale 28 luglio 2004, qualora occorra la necessità di alimentazione dei canali di derivazione, allo scopo di garantire la presenza del deflusso minimo vitale anche su tali canali, salvaguardandone l'ecosistema ambientale consolidato, oltre che le coltivazioni agricole, e se non ritenga opportuno adottare iniziative per una revisione del metodo di calcolo standard del deflusso minimo vitale che consenta di porre maggiore attenzione alla specificità idrologica, morfologica e agroambientale dei diversi territori regionali, garantendo la tutela della biodiversità su tutto il sistema del bacino idrico, ivi compresi gli affluenti torrentizi e i canali storici di derivazione.
(4-06627)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PICCOLI NARDELLI, PRESTIPINO, CIAMPI, DI GIORGI e ROSSI. — Al Ministro per i beni e le attività culturali e per il turismo, al Ministro per la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:

   la carenza di personale nell'amministrazione archivistica impiegata nella direzione generale archivi, nell'istituto centrale per gli archivi, negli archivi di Stato, nell'Archivio centrale dello Stato, nelle soprintendenze archivistiche e bibliografiche e in altre amministrazioni statali rappresenta un problema ormai improcrastinabile, al punto da mettere a repentaglio l'erogazione di un servizio pubblico riconosciuto come «essenziale» nell'assicurare la tutela, la fruizione e la valorizzazione del patrimonio archivistico nazionale;

   l'assunzione di 190 funzionari archivisti di Stato, tra il febbraio e il settembre del 2018, nell'ambito dell'ultimo concorso ministeriale è stata preceduta e accompagnata dal congedo di numerosi funzionari appartenenti entrati in servizio fra il 1979 e il 1984;

   il pensionamento anticipato è stato da ultimo parzialmente accelerato da «quota 100» che, nel solo 2019, ha già provocato l'uscita anticipata dalla pubblica amministrazione di circa 90 mila dipendenti;

   l'espletamento dell'attività ordinaria nell'amministrazione archivistica è resa ancora più difficoltosa dalla grave insufficienza di personale di area II a supporto dell'attività quotidiana dei funzionari archivisti i quali, già ridotti di numero, si trovano, oltre peraltro a sostenere una mole di lavoro via via crescente, a dover far fronte ad attività di competenza di altre professionalità;

   ai sensi dell'articolo 1, comma 147, lettera b), dell'ultima legge di bilancio n. 160 del 2019 le graduatorie dei concorsi pubblici a tempo indeterminato approvate tra il 2012 e il 2017 rimarranno valide solo fino al 30 settembre 2020 –:

   se nelle more dell'espletamento di nuovi concorsi pubblici, si intendano intraprendere iniziative per ricorrere alla condivisione delle graduatorie degli enti locali e di altre amministrazioni pubbliche, entro la scadenza delle stesse prevista per il 30 settembre, al fine di procedere in tempi rapidi all'assunzione di personale di area II (con particolare riferimento alle figure professionali di operatore tecnico; assistente tecnico; assistente informatico) nei ranghi dell'amministrazione archivistica statale, anche a seguito di una ricognizione sul territorio nazionale delle graduatorie, da svolgersi di concerto con il dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri.
(5-04527)

Interrogazione a risposta scritta:


   GAGLIARDI, BENIGNI, PEDRAZZINI, SILLI e SORTE. — Al Ministro per i beni e le attività culturali e per il turismo. — Per sapere – premesso che:

   San Michele Arcangelo a Roncole Verdi è la chiesa che custodisce l'organo dove il maestro Giuseppe Verdi iniziò a formarsi come musicista. La chiesa, oggi, oltre ad ospitare i fedeli e le quotidiane attività religiose, è meta di visita continua da parte degli ammiratori del compositore;

   la struttura della chiesa si è nel tempo deteriorata e necessita di sostanziali interventi di ripristino, che la comunità locale, nonostante i tentativi di autofinanziamento, non è riuscita ad eseguire;

   conseguenza è stata che, pochi giorni fa, il parroco di Busseto, Don Luigi Guglielmoni, ha dovuto prendere atto della situazione di pericolo in cui si venivano a trovarsi coloro che accedevano al sito religioso ed effettuarne così la chiusura. La vicenda ha avuto un notevole impatto sul mondo artistico italiano ed è stata giudicata, tra gli altri, dal Maestro Riccardo Muti come «una colpa che mostra al mondo intero a che livelli di barbarie sono caduti il senso civico e la cultura italiana»;

   la situazione della suddetta chiesa è particolarmente critica. Si ricorda l'importanza della medesima chiesa quale fondamentale sito culturale e patrimonio artistico che richiama ogni anno numerosi visitatori contribuendo allo sviluppo del turismo della zona;

   è perciò ora necessario un intervento finanziario diretto del Ministero per permettere l'esecuzione delle opere di restauro, volto a tutelare, oltre al patrimonio artistico, anche il turismo locale, che risente direttamente della chiusura –:

   se il Ministro interrogato non ritenga necessario adottare iniziative urgenti dirette al restauro ed alla conservazione della Chiesa di San Michele Arcangelo a Roncole Verdi quale sito culturale fondamentale per lo sviluppo turistico del nostro Paese ed in particolare per la zona di Busseto, in quanto meta ogni anno di numerosi visitatori.
(4-06604)

DIFESA

Interrogazione a risposta orale:


   DEIDDA, GALANTINO, CARETTA, BUTTI, ROTELLI, CIABURRO e FERRO. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

   in data 18 marzo 2020, in ragione dell'emergenza epidemiologica in atto, l'Esercito Italiano ha indetto una procedura straordinaria ai sensi dell'articolo 7 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, per l'arruolamento, mediante chiamata diretta, di 120 ufficiali medici e 200 sottufficiali infermieri, da immettere in ferma eccezionale obbligatoria prefissata annuale, per l'impiego nei vari ospedali da campo, zone rosse e caserme dislocate su tutto il territorio nazionale;

   i medici chiamati a coprire le citate posizioni vacanti nelle Forze armate durante la pandemia, risultando, in gran parte, sprovvisti di un titolo di specializzazione, a partire da settembre 2020, potranno partecipare al concorso nazionale per l'accesso alle scuole di specializzazione, indetto dal Ministero dell'università e della ricerca, per circa 10.000 posti;

   tenuto conto della loro posizione nell'ambito della Forza armata – caratterizzata da precarietà d'impiego e ferma prefissata – qualora vincitori del concorso di specializzazione, gli stessi si vedrebbero costretti a dover rinunciare alla borsa di specializzazione, in quanto non potrebbero rispettare l'obbligato di frequenza previsto negli stessi corsi di specializzazione: e ciò perché gli stessi risulterebbero già impiegati, a tempo pieno, presso i diversi reggimenti/reparti di assegnazione;

   simile condizione appare discriminatoria nei confronti del citato personale, tenuto conto anche del fatto che altre categorie di medici, pure assunti dalle Forze armate, possono, invece, partecipare al concorso di specializzazione, accedendo ai posti riservati per la Forza armata ed usufruendo dei permessi speciali ma, soprattutto, beneficiando del mantenimento del ruolo nella relativa Forza armata, per tutta la durata del corso di specializzazione;

   appare opportuno prevedere adeguati strumenti di tutela in favore dei giovani medici precari delle Forze armate, consentendo, se del caso, il congelamento del posto nella relativa scuola di specializzazione fino al prossimo aprile 2021, o, comunque, al periodo successivo alla scadenza dell'annualità di servizio presso la Forza armata –:

   se il Governo sia a conoscenza dei fatti sopraesposti e quali iniziative intenda assumere al fine di prevedere adeguati strumenti di tutela in favore dei giovani medici precari delle Forze armate, consentendo, se del caso, la possibilità di non perdere il posto nella relativa scuola di specializzazione e/o non precludendo agli stessi alcuna possibilità.
(3-01724)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DEIDDA, CIABURRO e FERRO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:

   l'articolo 259 del decreto-legge «Rilancio» ha previsto alcuni interventi finalizzati a rimodulare la disciplina dei concorsi per l'accesso ai ruoli e alle qualifiche delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale di vigili del fuoco, in considerazione all'emergenza epidemiologica determinata dalla diffusione del COVID-19;

   l'emergenza epidemiologica in questione non consente alle stesse Forze armate di attivare le procedure concorsuali già programmate per l'annualità 2020, posticipando, di fatto, tutte le assunzioni programmate al 2021, con grave, ulteriore danno per gli stessi Corpi, che, infatti, risultano già ordinariamente sottorganico;

   l'unico modo per alimentare le posizioni organiche vacanti, nonché per garantire alle stesse Forze armate la disponibilità di personale già selezionato, appare quello di consentire l'assunzione degli idonei di cui alla precedente graduatoria, tenuto conto anche del fatto che tale soluzione consentirebbe un enorme risparmio di tempo e risorse pubbliche, nel rispetto dei principi di efficienza, efficacia, tempestività e buon andamento dell'azione pubblica;

   appare dunque necessario modificare il citato articolo 259, consentendo alle medesime Forze armate di procedere all'assunzione del personale già programmato per l'annualità 2020 mediante il citato scorrimento, come pure previsto dalle disposizioni vigenti per tutte le altre pubbliche amministrazioni, nonché analogamente a quanto già intrapreso dalla Guardia di finanza e dalla Polizia penitenziaria –:

   se sia a conoscenza dei fatti sopra esposti e quali iniziative intenda assumere al fine di consentire a tutte le Forze armate di procedere alla copertura delle unità di personale già programmata per la presente annualità, mediante l'assunzione degli idonei di cui ai precedenti concorsi.
(5-04526)

Interrogazione a risposta scritta:


   CIRIELLI. — Al Ministro della difesa, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   da organi di stampa si apprende di una indagine denominata «Odysseus» coordinata dalla procura della Repubblica di Piacenza, nell'ambito della quale veniva emessa, tra l'altro, una ordinanza di custodia cautelare nei confronti di ben 23 soggetti indagati, tra cui anche numerosi militari in forza presso la stazione dei carabinieri di Piacenza «Levante»;

   secondo l'ipotesi accusatoria, avallata dal Gip del tribunale di Piacenza, gli appartenenti all'Arma dei carabinieri si sarebbero macchiati di innumerevoli condotte delittuose, e più precisamente di peculato, abuso d'ufficio, falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici, rivelazione e utilizzazione di segreti d'ufficio, lesioni personali aggravate, arresto illegale, perquisizioni ed ispezioni personali arbitrarie, violenza privata aggravata, tortura, estorsione, truffa ai danni dello Stato, ricettazione, fino ad arrivare allo spaccio di sostanze stupefacenti;

   a lasciare amareggiati, però, non sono solo le gravi contestazioni a carico dei militari coinvolti nell'indagine ma il sequestro – disposto dal Gip del tribunale di Piacenza – dell'intera stazione dei carabinieri di Piacenza «Levante»;

   è notorio che la stazione dei carabinieri rappresenta una articolazione territoriale dell'Arma dei carabinieri che è, a sua volta, una delle forze di polizia italiane con competenza generale e in servizio permanente di pubblica sicurezza, e che fa parte, contemporaneamente, anche delle forze armate italiane;

   l'Arma dei carabinieri dipende, quale forza armata, tramite il Capo di Stato Maggiore della Difesa, dal Ministro della difesa, mentre, quale forza di polizia, funzionalmente dal Ministro dell'interno per i compiti di ordine e sicurezza pubblica;

   a parere dell'interrogante, appare surreale il sequestro di una intera stazione dei carabinieri nella misura in cui quest'ultima rappresenta una «istituzione» ed è funzionale all'espletamento di un servizio statuale che è quello di garantire l'ordine e la pubblica sicurezza;

   al di là delle responsabilità dei singoli che dovranno essere accertate dalle Autorità competenti, una stazione dei carabinieri, nella sua materialità, quale presidio istituzionale di ordine e sicurezza, non può essere considerata prodromica alla commissione di reati, e, pertanto, nel caso di specie, l'intervento ablativo dell'autorità giudiziaria appare all'interrogante essere una stravagante quanto impropria ingerenza nell'assetto organizzativo istituzionale dell'Arma dei carabinieri che rappresenta – come già detto – un presidio statuale irrinunciabile per garantire l'ordine e la sicurezza pubblica e quindi una vera e propria intromissione del potere giudiziario in quello esecutivo;

   d'altro canto, è del tutto evidente, ad avviso dell'interrogante, che solo il potere esecutivo può decidere se chiudere o meno, anche temporaneamente, una caserma dei carabinieri –:

   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, considerata la gravità degli stessi, quali urgenti iniziative, per quanto di competenza, intendano assumere al fine di:

    a) promuovere iniziative ispettive presso la procura della Repubblica ed il tribunale di Piacenza;

    b) promuovere quanto prima, non appena ve ne siano i presupposti, il ripristino e l'efficienza della caserma di Piacenza «Levante».
(4-06622)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta scritta:


   VARCHI e DONZELLI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   il 27 maggio 2020 si è celebrata l'udienza del processo per il fallimento del Creaf, il Centro di ricerca e alta formazione mai entrato in attività, nonostante gli oltre 22 milioni di euro di fondi pubblici ricevuti per una decina d'anni a partire dal 2005;

   il controesame del commercialista Leonardo Castoldi, testimone chiave del pubblico ministero nel processo a otto tra politici ed ex amministratori della società, chiamati a rispondere di bancarotta semplice per il fallimento dichiarato dal tribunale nel 2017, è stato però interrotto dal giudice e rinviato a causa del caldo soffocante che ha reso impraticabile l'aula Galli e Alessandrini al secondo piano del Palazzo di giustizia di Prato;

   dopo mesi di interruzione della celebrazione delle udienze civili e penali, a causa delle misure di contenimento del contagio da Covid-19, è bastato l'arrivo dell'estate per rendere inagibili numerose aule dei processi ed uffici;

   la giustizia, insieme soltanto all'istruzione, è l'unica attività ancora oggi bloccata per effetto dell'emergenza sanitaria, con migliaia di processi non celebrati e rinviati ai prossimi anni, perfino all'estate 2023 e quei pochi processi, anche i più complessi e impegnativi, di cui era stata fissata l'udienza prima della sospensione feriale rischiano di essere rinviati per le condizioni disastrose in cui versano i locali dei palazzi di giustizia, stante l'assenza di una qualsiasi climatizzazione nonostante le elevate temperature;

   tale situazione comporta la dismissione di una funzione essenziale dello Stato democratico che mette in pericolo la nostra economia e le basi della pace sociale, ancor più in un momento in cui la crisi economica e occupazionale ha colpito tantissimi settori del tessuto produttivo nazionale;

   quale sia la situazione attuale della celebrazione delle udienze nei tribunali italiani e se e quali iniziative, anche di carattere ispettivo, intenda adottare per verificare le condizioni delle aule giudiziarie.
(4-06595)


   COVOLO, RACCHELLA e PRETTO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   attualmente la pianta organica del tribunale di Vicenza prevede 140 dipendenti, oltre al dirigente amministrativo. I posti coperti in pianta organica, a prescindere dalla presenza effettiva e tralasciando le coperture conseguenti alle applicazioni in entrata, sono, alla data del 15 luglio 2020, in numero di 97. Se si escludono i dipendenti che non sono presenti, per assegnazione o applicazione ad altro ufficio o per aspettativa biennale senza prospettiva di rientro o aspettativa sindacale, le coperture reali sono 85, che salgono a 91 con le applicazioni semestrali e i distacchi;

   tra i direttori uno è in comando da 20 anni presso la Presidenza del Consiglio dei ministri; un funzionario è in distacco sindacale e uno è applicato 4 giorni su 5 ad altri uffici giudiziari;

   allo stato, le concrete prospettive di assunzione conosciute riguardano un ausiliario disabile e 3 operatori giudiziari assunti dalle liste di collocamento, in un orizzonte temporale che ci si augura che non superi l'estate. Gli scorrimenti della graduatoria dei cancellieri, in mancanza di contemporanee immissioni di cancellieri esperti, incidono negativamente sulla gestione delle udienze;

   anche se l'immissione di assistenti del concorso bandito nel novembre 2016 e con assunzioni a partire per il tribunale di Vicenza, dal febbraio 2018, è stata di grande aiuto, i pensionamenti, il superamento di altri concorsi, le assegnazioni ad altri uffici giudiziari ne hanno comportato l'annullamento dei benefìci dal punto di vista numerico;

   se si escludono gli assunti dal 2018 in poi, l'età media è di 56 anni. L'approccio all'informatica è nella maggior parte dei casi limitato. È stata fatta formazione sul software di produttività individuale, ma manca una solidità nell'uso degli applicativi; sarebbe necessaria una regolare formazione periodica e ne verrebbe favorita la produttività del personale;

   superando studio e formazione, che pure sono fondamentali per la crescita del capitale umano dell'organizzazione, la carenza di personale non consente, alla luce della situazione che si è determinata, di svolgere in modo regolare i servizi;

   il personale amministrativo, assolutamente insufficiente allo svolgimento dei servizi, è sottoposto al rischio del danno erariale;

   il personale amministrativo non è in numero adeguato a sostenere il numero teorico di udienze che potrebbero essere celebrate;

   il tribunale è impiegato nella celebrazione del maxiprocesso sul fallimento della banca popolare di Vicenza, nell'udienza preliminare sulla società Miteni ed è già stata fissata la prima udienza dibattimentale del procedimento penale a carico del direttore generale della stessa Banca popolare Sorato;

   sono procedimenti di particolare complessità, anche per il numero di parti coinvolte e di grande impatto mediatico;

   plurime sono le lamentele del settore dei giudici per le indagini preliminari e per l'udienza preliminare, nel cui ambito è stata rimarcata la difficoltà a celebrare con regolarità gli incombenti, con forti rischi di compromettere la tempestività degli adempimenti e con frustrazione dei magistrati, che si trovano a dividersi gli assistenti con il caos inevitabile che ne consegue –:

   quali iniziative il Ministro interrogato ritenga opportuno intraprendere al fine di risolvere la problematica della severa insufficienza della pianta organica del personale amministrativo del tribunale di Vicenza.
(4-06611)


   BISA, TATEO, TURRI, POTENTI, PAOLINI e CANTALAMESSA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   da notizie di stampa del 4 agosto 2020, si apprende di un manifesto, comparso negli scorsi giorni sui muri di Foggia dal Titolo eloquente «Sesso nel Tribunale di Foggia». Il «cittadino indignato» (così è firmato il manifesto) autore dei manifesti fa chiari riferimenti a notizie di relazioni ambigue all'interno della sezione fallimenti del palazzo di giustizia di Foggia e a relative indagini in corso presso il tribunale di Lecce;

   tra i riferimenti ai magistrati del foro di Foggia, alcuni sono di una gravità inaudita e meritevoli di serio approfondimento in quanto, se accertati, sarebbero tutti oggetto di gravi reati compiuti nel tribunale stesso;

   «A Foggia (...) uccidono anche i giudici del tribunale, sezione fallimenti, quando emettono ingiuste sentenze di fallimento dichiarando il falso e travisando le prove. A Foggia si muore quando i giudici fanno fallire gli imprenditori anche quando i concordati preventivi vengono approvati dai creditori e commissari giudiziari, rovinando la vita degli imprenditori e arrecando gravi danni ai creditori. A Foggia si muore quando i giudici rigettano i concordati fallimentari senza chiedere ai creditori il parere di convenienza economica, arrecando ulteriore danno agli stessi creditori. A Foggia si muore perché i giudici hanno trasformato il tribunale, sezione fallimenti, in un bordello, in una casa di appuntamenti e luogo di malaffare;

   è inaccettabile e vergognoso che i giudici di Foggia, sezione fallimenti, – prosegue sempre il manifesto – esercitando un abuso di potere e d'ufficio inaudito e con premeditazione esasperata, facciano fallire le aziende e gli imprenditori per poi assegnare gli incarichi di curatori fallimentari a belle e disponibili avvocatesse con cui poter fare sesso a go-go, con ripetuti rapporti sessuali. Le indagini della Procura di Lecce hanno scoperto che i giudici del tribunale di Foggia, sezione fallimenti, in costanza di gestione dei fallimenti, hanno instaurato plurime relazioni sessuali con le curatrici a cui avevano assegnato gli incarichi (...);

   vergognoso che i giudici del tribunale di Foggia, sezione fallimenti, con premeditazione fanno fallire gli imprenditori per poi assegnare incarichi a curatori fallimentari, a ctu, a commercialisti, ad avvocati e altri professionisti incapaci ed incompetenti ma disponibili a modificare e falsare le loro relazioni e perizie su indicazioni e su pressioni dello stesso giudice da cui hanno ricevuto l'incarico;

   inaccettabile – continua lo scritto sopra citato – che il pm della procura abbia archiviato il reato di furto di un curatore fallimentare sorpreso a rubare in costanza di gestione fallimentare, reato accertato e verbalizzato dagli agenti di polizia;

   vergognoso che lo stesso pm, pur di non decidere e di non rinviarlo a giudizio (...), ha pensato bene di inviare, per competenza, alla Procura di Lecce il fascicolo inerente al curatore (oggetto dei fatti), e in modo grottesco la Procura di Lecce ha rimandato a Foggia lo stesso fascicolo per incompetenza! Con la conseguenza che il curatore (...), tuttora indagato, frequenta impunemente e liberamente il tribunale di Foggia senza che nessuno si attivi per sospenderlo dall'incarico;

   inaccettabile – conclude il documento – che alcuni giudici della sezione fallimentare, siano tuttora indagati per corruzione per aver accettato in regalo quadri d'argento, per abuso d'ufficio e altri gravi reati e alcuni curatori fallimentari siano tuttora indagati per corruzione avendo intascato mazzette in denaro e nessuno ha il coraggio di sospenderli dai loro incarichi;

   vergognoso che i giudici del tribunale di Foggia, sezione fallimenti, abbiano frequentazioni private con commercialisti e avvocati che ricoprono – a vario titolo – incarichi nell'ambito di procedure a loro assegnati (fatti accertati dalla Procura di Lecce)» –:

   se non si ritenga di promuovere iniziative ispettive presso gli uffici giudiziari di cui in premessa, contribuendo a far piena luce sui fatti esposti.
(4-06617)


   TONELLI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   su «La Stampa», il giornalista Domenico Quirico ha pubblicato, il 29 giugno 2020, un'inchiesta sulle modalità di svolgimento del concorso per l'accesso alla magistratura;

   l'articolo ipotizza gravissimi fatti astrattamente inficianti la regolarità del concorso di magistratura la cui prova scritta si svolse i giorni 20-21 e 22 maggio 1992 e, forse, anche il concorso dell'anno 2000, essendo emersa dalla documentazione acquisita da un ricorrente, fra le altre cose, la presenza di segni di riconoscimento, nonché di errori elementari di diritto negli elaborati di alcuni vincenti;

   da quelli dei promossi spuntano segni di riconoscimento lasciati sui fogli e errori grossolani di diritto, spuntano «orrori» e segni di riconoscimento lasciati sui fogli, come saltare le prime righe, o scrivere solo una parte delle facciate, o cambi di calligrafia in punti chiave;

   dai verbali dei lavori della commissione risulta che la valutazione media su ciascun candidato è durata tre minuti. La cosa singolare, è che, in questo tempo così esiguo, sarebbero stati letti e giudicati collegialmente i tre elaborati scritti;

   un candidato bocciato ai concorsi del 1992 e del 2000, l'avvocato Pierpaolo Berardi, dopo una serie di innumerevoli ricorsi, è finalmente riuscito ad acquisire la completa documentazione del concorso 1992, facendo emergere un sofisticato e truffaldino sistema, grazie al quale, gli elaborati di taluni candidati erano agevolmente individuabili. Erano evidentemente quelli dei candidati che dovevano essere ammessi in ogni caso all'orale;

   l'articolo de «La Stampa» è stato ripreso il 3 luglio 2020 dal professore Guido Neppi Modona, già vice presidente della Corte costituzionale, in un commento pubblicato su «Il Dubbio»;

   dopo l'articolo di Quirico non sono state registrate reazioni di carattere istituzionale;

   né il Consiglio superiore della magistratura, né l'Associazione nazionale magistrati, tante volte così solleciti nell'ergersi a paladini del buon nome e dell'onore della magistratura italiana, hanno stavolta «proferito verbo»;

   tutto questo per l'interrogante potrebbe far pensare che forse, decine di magistrati in carica siano stati selezionati in questi decenni, attraverso «loschi traffici»;

   sorge secondo l'interrogante il sospetto che altrettanti candidati meritevoli possano esser stati bocciati solo per far loro posto;

   l'acquisizione, qualora esistente, della documentazione alla quale si riferirebbero gli articoli in questione nonché l'espletamento di un'adeguata istruttoria in merito ai fatti denunciati da detta stampa, potrebbe essere funzionale a verificare se sussistano fatti/condotte rilevanti ai fini delle competenze del Consiglio superiore della magistratura –:

   se il Ministro interrogato abbia adottato iniziative, per quanto di competenza, anche di carattere ispettivo, in relazione a quanto denunciato negli articoli di Domenico Quirico e del professore Guido Neppi Modona;

   quali iniziative, anche di carattere normativo, intenda adottare per evitare che quanto denunciato possa ripetersi in futuro.
(4-06620)


   TRANO, ERMELLINO, VIZZINI e APRILE. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   la procura della Repubblica di Roma ha appena concluso un'inchiesta su un sistema corruttivo relativo alla regione Lazio, all'autorità Portuale di Civitavecchia, Fiumicino e Gaeta e al Comune di Formia, inviando i relativi avvisi di garanzia a nove indagati tra imprenditori, dirigenti regionali, comunali e dell'Authority, e un politico. Tra loro l'attuale consigliere regionale del Lazio ed ex consigliere comunale di Formia, Giuseppe Simeone, e l'ex presidente dell'Autorità portuale Civitavecchia-Fiumicino-Gaeta e attuale presidente dell'Autorità portuale di Palermo, Pasqualino Monti;

   in base a quanto appurato dalla stessa procura di Roma, i funzionari pubblici sarebbero stati soliti chiedere e accettare denaro e altre utilità per favorire gli imprenditori coinvolti nelle indagini, realizzando anche delle varianti ad hoc;

   i rapporti corruttivi sarebbero stati instaurati su opere a lungo attese dai cittadini del Lazio e particolarmente delicate, come i lavori per il porto di Anzio, interventi contro il dissesto idrogeologico in provincia di Frosinone, di ripascimento del litorale di Minturno e Fiumicino, e di sistemazione idraulica a Civitavecchia;

   una ex dirigente del comune di Formia sarebbe arrivata a chiedere denaro da investire sui manifesti; elettorali di un candidato sindaco;

   i fatti contestati ai diversi indagati risalgono tutti al 2012-2013 e la prescrizione incombe;

   difficilmente a questo punto sarà possibile arrivare anche al solo ed eventuale rinvio a giudizio;

   in base a quanto riportato sinora dalla stampa l'inchiesta sarebbe stata chiusa dai carabinieri del comando provinciale di Latina già nel 2014, gli indagati inizialmente sarebbero stati 40, ma molte ipotesi di reato si sono già prescritte, e non vi sarebbe, tra l'altro, mai stata risposta da parte del gip alle misure cautelari chieste dalla procura di Roma;

   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti di cui in premessa;

   quali iniziative di competenza intendano adottare per contribuire a far luce sull'operato del gip presso il tribunale di Roma e in particolare se non ritengano opportuno, inviare gli ispettori presso il tribunale di Roma; e in particolare se non si ritenga opportuno promuovere verifiche, per quanto di competenza, su cosa eventualmente è stato fatto, in particolare, nell'ambito delle autorità portuali per evitare il ripetersi di situazioni come quelle descritte nell'inchiesta appena conclusa.
(4-06633)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   OCCHIONERO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   numerosissime segnalazioni provenienti dagli utenti e dagli studi di consulenza automobilistica rilevano significative criticità derivanti dall'applicazione delle procedure informatiche di cui al decreto legislativo 29 maggio 2017, n. 98, adottato in attuazione della delega contenuta nell'articolo 8, comma 1, lettera d), della legge 7 agosto 2015, n. 124, che ha istituito il documento unico di circolazione e di proprietà (Du) per i veicoli assoggettati al regime dei beni mobili registrati (Pra);

   il documento in questione è costituito dalla carta di circolazione, redatta secondo le disposizioni contenute nella direttiva 29 aprile 1999, n. 1999/37/CE del Consiglio, nella quale debbono essere annotati anche i dati relativi alla situazione giuridico-patrimoniale dei predetti veicoli e, in particolare, la sussistenza di privilegi e di ipoteche, di provvedimenti amministrativi e giudiziari che incidono sulla loro proprietà e sulla loro disponibilità, nonché di provvedimenti di fermo amministrativo;

   la procedura informatica attualmente utilizzata sia dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, che dagli altri soggetti titolari delle attribuzioni in materia, cioè Aci e Pra, determina un aggravio del procedimento amministrativo: essa è talmente farraginosa che per essere portata a termine occorrono anche dai 40/60 minuti contro i precedenti 10/15 minuti del sistema Sta ed inoltre con l'introduzione del PagoPa e la conseguente emissione dei Iuv i costi sono lievitati di circa 20 euro a formalità a totale danno e carico sia degli operatori professionali che dei cittadini;

   la situazione in questione è il frutto delle scelte poco coraggiose – peraltro evidenziate anche dal Consiglio di Stato nel parere reso sullo schema di decreto (poi divenuto decreto legislativo n. 98 del 2017) – effettuate nei decreti attuativi, rispetto, invece, al ben più ampio e profondo disegno di riforma prefigurato nella legge delega «Madia»;

   come noto, infatti, la riforma della pubblica amministrazione avrebbe dovuto sancire l'addio al libretto di circolazione rilasciato dalla Motorizzazione e al certificato di proprietà dell'auto (un'invenzione tutta italiana) prodotto dall'Aci, sostituiti da un documento unico, ma anche «produrre un risparmio per i cittadini di 39 euro». Le scelte compiute dai decreti attuativi, però, hanno portato a una realtà ben diversa; conti alla mano, e stando alle attuali tariffe, non ci sarà alcun risparmio ed è saltato definitivamente il progetto di un'agenzia unica, che avrebbe dovuto passare attraverso la chiusura del Pra scontentando l'Aci;

   le criticità in questione, peraltro, si riflettono in modo diverso sugli operatori del settore, a seconda della loro dimensione organizzativa: mentre le realtà più piccole subiscono un'incidenza minore, visto il numero più ridotto di pratiche che si trovano a gestire, al contrario per le realtà più grandi l'aggravio è molto maggiore, divenendo assai difficoltoso, con i tempi e i costi appena descritti, sbrigare il consueto volume di pratiche;

   alla luce di tutto quanto sopra, ferma l'opportunità di migliorare il sistema implementato, sarebbe da subito utile prevederne come facoltativo, anziché come obbligatorio, l'utilizzo, cosicché ogni operatore possa determinarsi secondo la soluzione più congeniale –:

   quali iniziative il Ministro interrogato intenda assumere per risolvere le criticità esposte nella presente interrogazione.
(5-04528)


   ALEMANNO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   in Italia circolano almeno 96.887 auto intestate ad un totale di 430 persone, un fenomeno allarmante, anche perché spesso questi soggetti sono irreperibili. Le auto «fantasma» vengono anche utilizzate per commettere reati, perché sono «pulite» e rendono più difficile risalire ai criminali;

   questo fenomeno si alimenta sfruttando le pieghe del decreto-legge che consente mini-volture semplificate per le imprese di veicoli usati. Per quel che riguarda le polizze, Ania stima che in Italia circolino 2,8 milioni veicoli senza copertura, e dentro ci sono anche le auto «fantasma» sopracitate. In caso di incidente grave, a pagare il risarcimento è il fondo di garanzia per le vittime della strada, che viene alimentato proprio da coloro che saldano regolarmente le polizze per la responsabilità civile auto;

   nei casi in cui vengano individuate le targhe dei prestanome, si chiede al Pra di emettere un «blocco anagrafico» che rende impossibili nuove compravendite. Un sistema che da febbraio del 2018 a oggi, ha portato al sequestro di 15.500 mezzi intestati a sole 112 persone;

   nell'agosto del 2009, con il decreto-legge n. 78, il Governo dell'epoca stabilì l'obbligo per il Pubblico registro automobilistico (Pra), di segnalare ogni sei mesi alla Guardia di finanza, all'Agenzia delle entrate e alle regioni, le persone fisiche che risultavano intestatarie di almeno dieci veicoli. Non ha però disposto che le informazioni fossero inviate anche ai corpi più presenti in strada come carabinieri, polizia e vigili. Nel 2010 un'altra legge, la n. 120, ha inserito nel codice della strada l'articolo che vieta immatricolazioni e iscrizioni al Pra qualora risultino situazioni di intestazione simulate o che pregiudichino l'accertamento del responsabile civile della circolazione di un veicolo. Ad oggi, non sono ancora stati emanati i decreti attuativi che definiscono i criteri e i casi per accertare le intestazioni fittizie. Il fenomeno cresce a vista d'occhio: nell'ultimo semestre l'Aci ha segnalato 22.087 codici fiscali di persone da verificare e che possiedono 412.500 veicoli, e su ordine delle forze di polizia sono stati radiati 5.886 mezzi;

   il decreto attuativo dovrebbe stabilire un tetto massimo di mezzi intestabili per ogni persona –:

   se il Governo intenda fornire informazioni rispetto ai tempi e allo stato dell'iter relativo all'adozione del sopracitato decreto ad integrazione delle norme già esistenti sul tema in questione.
(5-04533)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CAVANDOLI, TOMBOLATO, GOBBATO e DARA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 21 novembre 2019 recante «Revisione delle reti stradali relative alle Regioni Emilia-Romagna, Lombardia, Toscana e Veneto» il ponte di Casalmaggiore, sulla strada provinciale 343/R ex strada statale Asolana nel tratto tra Colorno e Casalmaggiore, è passato formalmente alla competenza dell'Anas ed è in corso la procedura di consegna;

   il ponte, che rappresenta un collegamento strategico tra la Lombardia e l'Emilia-Romagna, è stato riaperto il 5 giugno 2019, dopo 21 mesi di chiusura totale dovuta ad una ristrutturazione urgente, e ha una previsione di vita utile di dieci anni dalla data di riapertura; in previsione della costruzione di un nuovo ponte in area adiacente, è stato recentemente finanziato il progetto di fattibilità tecnica ed economica;

   attualmente, è in corso di conclusione la procedura di appalto per l'installazione di un sistema di rilevazione e monitoraggio in grado di monitorare la stabilità e lo «stato di salute» del manufatto, che sarà operativo, prevedibilmente, il prossimo mese di ottobre 2020;

   tale sistema di rilevazione e monitoraggio, che è stato elaborato dall'Università degli studi di Parma, verrà installato e manutenuto dalla società vincitrice della gara d'appalto indetta dalla provincia di Parma;

   il sistema sarà in grado di rilevare la massa, la velocità e la targa dei veicoli transitanti, ma non consentirà nessuna attività sanzionatoria diretta da parte dell'ente gestore relativamente al rispetto dei limiti di transito stabiliti in 44 tonnellate di peso e in 50 km/h di velocità;

   per consentire l'attività sanzionatoria nei confronti dei trasgressori dei detti limiti, il gestore dell'infrastruttura dovrebbe coinvolgere le forze dell'ordine, facendone specifica richiesta alla prefettura competente, per l'avvio di un'altra procedura di gara di competenza prefettizia che potrebbe, tra l'altro, consentire anche l'installazione di altri sistemi di rilevazione, come gli autovelox per la velocità;

   il rispetto dei limiti di carico e di velocità è condizione essenziale per garantire la conservazione e la durata decennale dell'infrastruttura; attualmente, invece, i limiti di velocità e peso vengono frequentemente violati;

   inoltre, la provincia di Parma, in accordo con la provincia di Cremona, ha recentemente stabilito la chiusura totale dal 27 luglio al 25 settembre 2020 di un altro ponte sempre sul fiume Po, il ponte «Giuseppe Verdi» che collega Ragazzola sulla sponda parmense a San Daniele Po su quella cremonese: tale chiusura sta riversando buona parte del traffico sul ponte di Casalmaggiore, con più di 5.000 veicoli al giorno, ivi compresi mezzi agricoli pesanti che mettono a maggiore rischio la struttura del ponte e la vita utile del manufatto –:

   se il Ministro interrogato intenda adottare iniziative urgenti, per quanto di competenza, per assicurare al più presto l'operatività dei sistemi di monitoraggio sul ponte di Casalmaggiore e la messa in opera di sistemi automatici sanzionatori per le violazioni dei limiti di peso e velocità stabiliti per il transito dei veicoli, allo scopo di evitare un continuo sovraccarico delle strutture e garantire la conservazione e la durata decennale dell'infrastruttura, nelle more della realizzazione del nuovo ponte.
(4-06593)


   LATINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   l'autostrada A14, detta anche autostrada dell'Adriatico, è il secondo asse meridiano della penisola italiana, lungo 743,4 chilometri, interamente gestita da Autostrade per l'Italia. Dopo aver ricevuto il traffico automobilistico proveniente dall'autostrada A13, attraversa la Romagna da nord-ovest a sud-est sino a Rimini, Riccione e Cattolica, per poi costeggiare interamente la costa marchigiana del Mare Adriatico da Pesaro fino San Benedetto del Tronto per un totale di 311 chilometri; il progetto di potenziamento dell'A14 tra Rimini Nord e Porto S. Elpidio (nuovo svincolo) prevede l'ampliamento da 2 a 3 corsie, più la corsia di emergenza per uno sviluppo complessivo di 154,7 chilometri; il tratto interessato dai lavori, che svolge, come l'intera dorsale adriatica, una funzione di collegamento tra un territorio fortemente industrializzato con i mercati del centro e del nord Europa, è caratterizzato da tassi di crescita annuali del traffico, mediamente pari a circa il 4 per cento, di gran lunga superiori alla media nazionale;

   allo stato attuale la domanda di mobilità si presenta molto critica soprattutto nel periodo estivo per la valenza turistica dell'intera costa emiliano-romagnola e marchigiana;

   è inaccettabile che nell'ambito dei 196 miliardi di euro del piano #italiaveloce siano stati individuati interventi prioritari per il miglioramento di numerose strade, autostrade, ferrovie, mentre nulla sia stato destinato, ad esempio, al completamento della terza corsia dell'A14 o, meglio ancora, alla sua variante;

   risulta, infatti, che ad oggi non sia stato previsto alcun investimento sul prolungamento a tre corsie del tratto da Porto Sant'Elpidio a San Benedetto del Tronto, ormai sottoposto ad un transito che va ben oltre il livello di sostenibilità;

   tale situazione comporta un crescente inquinamento ambientale dei luoghi in cui si formano le code, che spesso sono zone densamente popolate che mal sopportano l'invasione di mezzi con la paralisi anche della mobilità locale e disagi alla cittadinanza soprattutto per le più semplici azioni quotidiane quali recarsi al lavoro, a scuola, a fare acquisti –:

   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda mettere in atto, in maniera urgente, per far fronte alle problematiche connesse al traffico derivante dalla realizzazione del prolungamento a tre corsie dell'A14 e nel tratto da Porto Sant'Elpidio a Porto d'Ascoli.
(4-06594)


   GAGLIARDI, BENIGNI, PEDRAZZINI, SILLI e SORTE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   il collasso del sistema autostradale ligure è ormai divenuto una problematica di rilevanza nazionale. Alle inefficienze croniche si sono aggiunte le recenti iniziative del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti che, imponendo verifiche e controlli di tutte le gallerie della regione, ha causato la paralisi del traffico autostradale e non;

   il blocco della circolazione è derivato dal fatto che queste verifiche stiano avvenendo contemporaneamente su tutta la rete, senza un ordine di priorità degli interventi, e nel momento meno opportuno, quello post emergenza sanitaria, di ripresa del settore della logistica portuale e di massimo afflusso turistico nella regione;

   oltre alla situazione drammatica vissuta nel territorio ligure e nel nodo genovese, aggravata dalla recente notizia della chiusura della galleria Monte Galletto sulla A7 proprio all'innesto con la A12, gli interventi di verifica sullo stato delle gallerie hanno provocato anche il blocco veicolare dell'altra arteria che collega la regione Liguria al Nord Italia, la A15 Autocisa Parma-La Spezia;

   per fornire un'idea dell'attuale criticità, basti pensare che, su un tratto autostradale di un centinaio di chilometri circa, si sono recentemente raggiunti i 20 chilometri di veicoli in coda e che, solo il 29 luglio 2020, sono stati aperti ben 9 nuovi cantieri;

   sia i rappresentanti delle istituzioni locali che quelli delle associazioni imprenditoriali hanno più volte scritto al Ministero per segnalare questa situazione insostenibile. Le ripercussioni negative sul settore della logistica portuale e del turismo sono state incalcolabili, e a ogni giorno di ritardo nella riapertura della circolazione aumentano esponenzialmente;

   non viene assolutamente messo in discussione che debba essere garantita la sicurezza degli utenti delle autostrade, ma questa garanzia non può e non deve essere fornita bloccando il traffico di una intera regione;

   la chiusura dall'11 al 25 agosto 2020 della galleria Monte Galletto all'innesto tra A7 e A12 comporterà nuovi ingorghi causati dalla riduzione delle corsie e nuovi disagi per la viabilità della Liguria –:

   quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare affinché i concessionari provvedano alla immediata rimozione dalle autostrade A12 e Autocisa A15 Parma-La Spezia dei cantieri non indifferibili e, conseguentemente, affinché si ripristini la ordinaria viabilità della regione.
(4-06612)

INTERNO

Interrogazioni a risposta orale:


   DEIDDA, PRISCO, ROTELLI, GALANTINO, BUTTI e CIABURRO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   l'esposizione delle imprese italiane operanti all'estero ad atti di criminalità endemica o terroristica rappresenta un problema diffuso e le stesse imprese, operanti in Stati e in regioni a rischio, hanno il dovere di proteggere il proprio personale, sia avuto riguardo ai rischi insiti nell'ambiente lavorativo che a quelli derivanti da fattori esterni;

   in un simile contesto, le stesse imprese non posso prescindere dall'affidamento all'esterno dei servizi di sicurezza, al punto che, allo stato, nel mondo operano grandi società private americane e britanniche, ma anche francesi, israeliane, russe e sudafricane, costituite in massima parte da ex militari professionisti, mentre non risulta che vi siano società italiane operanti in tale delicato e importante settore;

   attualmente, la legislazione vigente non prevede alcuna regolamentazione, fatta eccezione per quanto concerne il servizio di antipirateria marittima, svolto da istituti di vigilanza autorizzati, regolato, appunto dall'articolo 5 del decreto-legge 12 luglio 2011, n. 107, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 agosto 2011, n. 130, a fronte del quale è stato previsto, però, che il personale impiegato in tali attività debba ottenere un'abilitazione apposita, conseguente ad appositi corsi attivati dal Ministero dell'interno;

   nelle more dell'attivazione di tali corsi, fin dal 2012 e fino al 30 giugno 2020, data di scadenza dell'ultima proroga, è stato previsto, in deroga al possesso della citata abilitazione che le società private possano svolgere tali servizi antipirateria, avvalendosi di guardie giurate, ex appartenenti alle Forze armate, che abbiano partecipato, per almeno sei mesi, alle missioni internazionali in incarichi operativi;

   da quel che risulta, il Ministero avrebbe recentemente comunicato ad alcune associazioni di categoria che il citato personale, in mancanza dell'abilitazione in questione, a decorrere dalla scadenza del 30 giugno, non avrebbe più potuto esercitare tale attività: e ciò nonostante i corsi in questione non siano mai stati attivati, a distanza di otto anni, dal competente Ministero;

   la mancata proroga ha obbligato il personale in questione all'abbandono delle imbarcazioni, determinando il fermo di un'attività di estrema importanza per la tutela dei nostri traffici commerciali marittimi, con gravi conseguenze per gli stessi armatori italiani che saranno costretti a rivolgersi a società straniere operanti nel medesimo settore, al fine di tutelare le proprie imbarcazioni;

   la previsione della proroga in questione avrebbe dovuto rappresentare una priorità per il Governo, al fine di salvaguardare l'attività economica delle aziende italiane del settore, le quali, invece, si vedranno costrette a perdere decine di milioni di fatturato, in favore di società straniere: e ciò, nonostante l'impiego di personale italiano rappresenti una maggiore garanzia per il controllo dei flussi informativi, anche al fine di tutelare maggiormente gli interessi nazionali –:

   se sia a conoscenza dei fatti sopraesposti e quali iniziative di competenza intenda assumere al fine di prevedere, immediatamente, la proroga in questione, consentendo al personale in possesso dei requisiti in deroga previsti fino ad oggi, di continuare ad operare per la tutela dei traffici commerciali nazionali.
(3-01725)


   ASCARI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   l'articolo 62 del codice dell'Amministrazione digitale di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, istituisce l'Anagrafe nazionale della popolazione residente - Anpr, quale base di dati di interesse nazionale, che subentra all'indice nazionale delle anagrafi (Ina) e all'Anagrafe della popolazione italiana residente all'estero (Aire), subentra altresì alle anagrafi della popolazione residente e dei cittadini italiani residenti all'estero tenute dai comuni, e contiene l'archivio nazionale informatizzato dei registri di stato civile tenuti dai comuni;

   attualmente, vi è la possibilità di fare richiesta motivata di accesso ai documenti e alle informazioni contenute nell'Anpr, anche da parte di comuni cittadini: vi è dunque la possibilità, pagando una modica cifra, di poter accedere ed estrarre copia dei documenti relativi all'anagrafe della popolazione residente;

   qualunque sia la motivazione della richiesta di accesso, tuttavia, secondo l'interrogante vi sono dei dubbi circa l'uso di questo strumento verso i controinteressati vittime di vigilanza di genere;

   infatti, potrebbe verificarsi il caso di una richiesta di accesso all'Anpr da parte dell'autore di un reato di cui alla legge 19 luglio 2019, n. 69, cosiddetto Codice rosso per ottenere informazioni e documenti persino relativi alla residenza della vittima;

   ciò pone problemi di sicurezza personale delle vittime di violenza di genere estremamente allarmanti, oltre a rendere del tutto vani gli sforzi compiuti dalle autorità pubbliche e dalle associazioni per tutelare queste persone e persino le scelte individuali delle stesse vittime di cambiare casa, anche in altri comuni, province o regioni, per ricominciare una nuova vita, lontano dai propri aguzzini;

   quanto sopra descritto sembrerebbe essere un buco normativo che, tuttavia, pone dei quesiti attuali e urgenti da risolvere;

   l'articolo 24 della legge 7 agosto 1990, n. 241, recante «Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi», rubricato «Esclusione dal diritto di accesso», stabilisce, al comma 6, lettera d): «6. Con regolamento, adottato ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, il Governo può prevedere casi di sottrazione all'accesso di documenti amministrativi: [...] d) quando i documenti riguardino la vita privata o la riservatezza di persone fisiche, persone giuridiche, gruppi, imprese e associazioni, con particolare riferimento agli interessi epistolare, sanitario, professionale, finanziario, industriale e commerciale di cui siano in concreto titolari, ancorché i relativi dati siano forniti all'amministrazione dagli stessi soggetti cui si riferiscono» –:

   se non intenda adottare iniziative, per quanto di competenza, in riferimento alle criticità esposte in premessa relativamente alla tutela delle vittime di violenza e all'accesso da parte di terzi agli indirizzi di residenza, anche tramite l'utilizzo della potestà regolamentare del Governo di cui all'articolo 24, comma 6, lettera d), della legge 7 agosto 1990, n. 241.
(3-01728)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   NARDI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   il presidente del consiglio comunale di Massa con proprio provvedimento ha stabilito, il 2 aprile 2020, le modalità di svolgimento delle sedute del consiglio comunale e delle sedute consiliari in teleconferenza a seguito dell'emergenza Covid;

   lo stesso presidente del consiglio comunale di Massa ha deciso di prorogare tale modalità di svolgimento fino al 15 ottobre 2020;

   Massa è ad oggi uno dei pochi comuni capoluogo di provincia in cui attualmente le sedute consiliari non vengono tenute in presenza;

   a quanto si apprende dalla stampa, alcuni gruppi consiliari di minoranza hanno criticato tale modalità, indicando alcune criticità relative allo svolgimento online delle sedute e sottolineando come siano presenti spazi all'interno dell'amministrazione pubblica capaci, qualora fossero allestiti, di consentire le sedute del consiglio comunale in presenza;

   i consiglieri comunali di minoranza hanno conseguentemente inviato una lettera al prefetto di Massa, in cui denunciano come le attuali assise svolte a distanza presentino evidenti criticità tecniche e di connessione che impediscono agli eletti di esercitare pienamente le loro funzioni. In particolare secondo la missiva «le modalità di svolgimento delle votazioni presentano seri dubbi di legittimità, in quanto il programma scelto dalla presidenza del Consiglio non permette il voto telematico, ma obbliga il segretario generale ad effettuare ogni volta una votazione a chiamata nominale con frequenti problematiche nei collegamenti dei singoli consiglieri che rendono, appunto, dubbi e passibili di impugnazione gli esiti dei diversi scrutini»;

   «Di fronte a queste svariate difficoltà che ledono il ruolo di Consigliere comunale, e per ripristinare il normale e legittimo svolgimento dei lavori del Consiglio Comunale, come del resto già avvenuto nella maggioranza dei Comuni capoluogo della Toscana, le minoranze hanno chiesto – continua la lettera sopracitata – una decisione in tal senso da parte del Sindaco e del Presidente del Consiglio Comunale in virtù della quale riprendere i lavori in presenza. Naturalmente, il ritorno in aula deve avvenire nel pieno rispetto delle regole del distanziamento sociale e delle procedure previste dalla normativa anti-Covid; prescrizioni che la Sala 10 aprile, in cui si svolgono le sedute, è in grado di assolvere senza difficoltà per conformazione e ampiezza. Questa richiesta è stata rigettata sia da parte del Sindaco sia da parte del Presidente del Consiglio non lasciando alcuno spazio di confronto democratico. Evidenziamo che alla minoranza è stato negato anche l'accesso alla sala consiliare per permettere ai consiglieri di partecipare ai lavori del Consiglio in remoto usufruendo della connessione wifi stabile in dotazione della sala, condizione di cui, con evidenza documentata, non J godono tutti i consiglieri»;

   in questo contesto va aggiunto come, fin dalle prossime settimane, il consiglio comunale di Massa sarà chiamato ad esprimersi su temi fondamentali per la comunità locale come l'assestamento di bilancio e l'utilizzo dei fondi statali per l'emergenza Covid. È quindi necessario verificare che le modalità tecniche di videoconferenza in cui vengono svolti i consigli comunale in teleconferenza assicurino la piena legalità nel dibattito, nelle votazioni e nell'adempimento formale degli atti discussi ed approvati –:

   se il Ministro interrogato non ritenga necessario assumere iniziative urgenti di competenza affinché le sedute dei consigli comunali effettuate in teleconferenza permettano realmente agli eletti, ed in particolare delle forze politiche di minoranza, di esercitare pienamente le loro funzioni e che le votazioni, il dibattito e gli adempimenti formali degli atti avvengano nel pieno rispetto delle norme vigenti, considerato in particolare l'articolo 73 del decreto-legge n. 18 del 2020.
(5-04537)

Interrogazioni a risposta scritta:


   TONELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   la segreteria Provinciale Sap (Sindacato autonomo di polizia) di Modena ha promosso per sabato 8 agosto 2020 un presidio di protesta presso la stazione delle corriere contro il mancato rispetto del patto «Modena Sicura», firmato nel 2017 tra Ministero dell'interno e il comune;

   difatti, l'avamposto di polizia, voluto in collaborazione tra polizia di Stato e locale, in un punto nevralgico della città ed a ridosso del centro storico, fu allora istituito con almeno 12 agenti di polizia ed i risultati in termini di prevenzione e repressione dei reati nella parte storica della città, (ma non solo se si pensa che il parco novi Sad ed il viale Gramsci venivano compresi nell'area di competenza), furono esaltanti;

   ad oggi, invece, questo presidio consta di due soli agenti e pertanto è stato completamente smantellato non garantendo nel tempo l'aliquota del personale di polizia di Stato necessario a rendere funzionante questo fondamentale presidio per la comunità locale, nonostante nel contempo la spesa pubblica per organizzare locali, computer, collegamenti banche dati e scrivanie, che ora risultano inutilizzabili per mancanza di personale;

   a maggior ragione appare inaccettabile, a parere dell'interrogante, prevedere il trasferimento nella medesima città di decine di cittadini extracomunitari irregolari, che pretenderebbero un necessario impegno in termini di personale di polizia, quando al momento la questura di Modena non è in grado, stando agli attuali numeri, di farsi carico anche di questa supposta incombenza;

   da anni un presidio nato dall'esigenza di contrastare fenomeni criminali, sempre più all'ordine del giorno e sempre più aggressivi in zona centro storico (spaccio, furti su auto, baby gang, borseggi), è stato ridotto ad un numero a giudizio dell'interrogante ridicolo nel totale disinteresse istituzionale;

   inoltre, Modena negli ultimi anni è cresciuta esponenzialmente sotto il profilo turistico richiamando cittadini di ogni nazionalità che impegnano soprattutto il cento storico, che è di fatto il biglietto da visita di questa città;

   proprio l'idea del presidio di polizia alla stazione delle corriere voluto negli anni 2000 quando la questura si apprestava a trasferirsi nell'attuale sede, voleva rappresentare un contrappeso al vuoto lasciato dalla polizia di Stato in questa porzione di città, un investimento di uomini dedicati alla prevenzione ed alla repressione dei reati nella parte più importante del municipio, con un peso specifico diverso rispetto ad una pari aliquota da destinarsi genericamente alla questura –:

   quali iniziative intenda assumere con riguardo al patto «Modena Sicura», firmato nel 2017 tra Ministero dell'interno e comune di Modena, in particolare se intenda rispettare gli impegni allora assunti relativamente alla dotazione organica prevista, garantendo l'aliquota del personale di polizia di Stato necessaria a rendere funzionante questo fondamentale presidio per la città, anche alla luce delle considerazioni riportate in premessa e dei risultati eccellenti nel frattempo conseguiti nella piena operatività del suddetto patto.
(4-06592)


   BIGNAMI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   il Consiglio europeo del 28 e 29 giugno 2018 ha stabilito che, nel territorio dell'Unione europea, coloro che vengono salvati a norma del diritto internazionale debbano essere trasferiti in centri sorvegliati istituiti negli Stati membri, su base volontaria;

   la mancata attuazione dei centri sorvegliati per migranti irregolari da parte dell'Italia ha creato perplessità sia nel Governo tedesco che in quello olandese;

   secondo il report fornito dal Governo olandese a Bruxelles, tra luglio 2015 e settembre 2018 più del 50 per cento dei richiedenti asilo non erano stati registrati nei Paesi di primo ingresso. Tra gennaio e agosto 2018 risultava invece che il 22 per cento degli stranieri arrivati in Olanda erano stati precedentemente registrati in Italia, il 19 per cento in Germania e l'11 per cento in Grecia. Nel caso dei registrati in Italia il 55 per cento erano migranti illegali. Nel caso della Germania si trattava prevalentemente di richiedenti asilo (quasi il 100 per cento);

   nei centri sorvegliati si avrebbe la possibilità di trattenere per 18 mesi i migranti in modo da avere il tempo necessario per procedere alla identificazione e alle verifiche sulla sussistenza dello status di protezione umanitaria o di rifugiato;

   il problema dell'immigrazione incontrollata è ormai diventato cronico per il nostro Paese: dal 1° gennaio 2020 al 5 agosto 2020, secondo il cruscotto statistico del Ministero dell'interno sono sbarcati sulle nostre coste 14.832 migranti, peraltro con ben 5.962 persone che hanno dichiarato di provenire dalla Tunisia, Paese dal quale evidentemente possono provenire esclusivamente migranti economici –:

   se sia intenzione del Ministro interrogato attivare i citati centri sorvegliati per migranti e, in caso affermativo, con quali tempistiche e con quale dislocazione;

   in caso contrario, quali iniziative si intendano intraprendere per ridurre drasticamente, se non addirittura azzerare, gli sbarchi di irregolari sulle nostre coste, data la situazione ormai da tempo insostenibile, avvalorata peraltro dai continui e accorati appelli che arrivano da Lampedusa il cui hot-spot è ormai allo stremo.
(4-06599)


   BAZZARO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   ormai da mesi ci sono migliaia di coppie e famiglie italiane, sparse in tutto il mondo e definite «binazionali», cioè originarie e residenti in due Paesi diversi, che prima a causa delle misure del lockdown dovute al Covid-19, e poi per le altre misure adottate ancora oggi attendono la possibilità di ricongiungersi;

   questa situazione, che coinvolge tantissimi connazionali, ha avuto grande eco e ha dato vita anche ad un movimento denominato «love is not tourism», che ha coinvolto madri e padri separati da mesi dai loro figli, coppie che ancora chiedono di vedersi riconoscere il diritto di riabbracciare la persona amata, a prescindere dallo stato civile;

   difatti, tali diritti vengono negati ancora oggi a molte coppie che non sono ufficialmente sposate poiché, in questo caso, le persone provenienti da Paesi extra Schenghen possono entrare in Italia solo se hanno un visto di lavoro o per motivi di salute o se sono sposati con cittadini dell'area;

   il Governo non ha finora dato alcun riscontro a tali istanze e legittime richieste, nonostante la disponibilità dei richiedenti a sottoporsi alle misure anti Covid-19 per evitare il periodo di quarantena, facendo a spese loro il test all'arrivo e in partenza, con controlli periodici settimanali e l'obbligo costante della mascherina;

   sempre l'attuale Governo sta consentendo di fatto a migliaia di immigrati di entrare irregolarmente in Italia dal resto del mondo, mentre, invece, non sta ancora permettendo a delle famiglie di stare di nuovo insieme;

   come si apprende dalla stampa, dal 1° luglio 2020 l'area Schengen ha riaperto i suoi confini interni e con altri determinati Paesi, ma quelli con Russia, Stati Uniti e tantissimi altri non sono stati affatto contemplati, mentre i Governi di Danimarca, Austria, Norvegia e Olanda hanno già provveduto ad inserire queste coppie nell'ambito di quelle esenti dal divieto –:

   quali iniziative il Governo intenda assumere nell'immediato al fine di consentire ed agevolare il ricongiungimento delle coppie binazionali, anche non sposate, di cui in premessa e per dare riscontro alle istanze dei nostri connazionali avanzate ormai da mesi in tal senso.
(4-06601)


   VARCHI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   sono stati rintracciati dalla polizia 125 dei 184 migranti fuggiti dal Centro di accoglienza di Pian del Lago, in provincia di Caltanissetta, che in tutto ospita 350 persone, pur non essendo una struttura idonea ad ospitare i cosiddetti «quarantenati»;

   si tratta solo dell'ultimo episodio di fuga, di cui si ha notizia, da uno dei tanti centri di accoglienza temporanea trasformati improvvisamente in sedi per la quarantena sanitaria obbligatoria: i migranti scappati a Caltanissetta si aggiungono, infatti, ai tunisini scappati a Pantelleria, a quelli evasi dall'hotspot di Pozzallo o dalla tensostruttura di Porto Empedocle, solo per fare alcuni esempi;

   lo stesso presidente della regione siciliana ha accusato il Governo di una gestione improvvisata e superficiale del fenomeno migratorio, che ha trasformato l'isola in una colonia, mentre gli sbarchi continuano senza sosta;

   solo nelle ultime ore la Guardia costiera italiana ha soccorso due barconi che si trovavano in avaria nel Mediterraneo, salvando 114 naufraghi sbarcati a Lampedusa e ha rintracciato al largo dell'isola 70 tunisini su un natante. Neanche il tempo di ultimare le procedure di trasferimento verso l'hotspot che la capitaneria ha avvistato e agganciato un altro barcone con a bordo 44 migranti, trasferiti al centro di prima accoglienza dove si trovano, al momento, 650 persone –:

   se e quali immediate iniziative di competenza il Governo intenda adottare per garantire la sicurezza dei centri di accoglienza di Pian del Lago, trasferendo i migranti in esubero presso altre strutture capienti e bloccando i trasferimenti di ulteriori persone;

   quali siano le iniziative intraprese a garanzia della salute e della sicurezza dei cittadini a seguito della trasformazione del Centro di Pian del Lago in centro per la quarantena obbligatoria dei migranti;

   se e quali iniziative di competenza il Governo stia adottando in merito alla gestione degli importanti flussi migratori di questi ultimi mesi e dei conseguenti rischi connessi alla salute e sicurezza pubblica.
(4-06602)


   ADELIZZI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   ancora una volta Eboli è bersaglio di un'ennesima rapina avvenuta in pieno giorno nel centro della città e non è un caso isolato;

   negli ultimi mesi la città e zone limitrofe sono state teatro di numerosi episodi delinquenziali di diversa natura, aggressioni, furti e addirittura accoltellamenti che stanno creando non poco allarmismo e preoccupazione tra i cittadini della periferia e del centro;

   vittima dell'ultimo episodio di delinquenza, è il proprietario di uno dei più conosciuti distributori di carburanti che pare sia stato seguito e sorpreso da due malviventi a volto coperto ed a bordo di una moto di grossa cilindrata, nei pressi di una banca; i due si sarebbero avvicinati e lo avrebbero strattonato per impossessarsi del borsello contenente il denaro, per poi fuggire con un bottino di circa 12 mila euro;

   non più tardi di qualche giorno fa pare che due bande di delinquenti si siano scontrate a coltellate e, ancora qualche sera prima, un'altra violenta maxi rissa abbia creato caos tra la gente;

   su vicende simili è stata già depositata l'interrogazione a risposta scritta n. 4-03305 –:

   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti sopra esposti;

   considerata la gravità degli stessi, quali iniziative di competenza ritenga opportuno adottare per fronteggiare la diffusa delinquenza e l'allarmante aumento di episodi di aggressioni e rapine;

   se non si ritenga necessario dislocare in quelle zone ulteriori forze dell'ordine al fine di garantire la sicurezza dei cittadini.
(4-06603)


   ROTELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   la recente notizia della fuga di due degli otto migranti trasferiti al centro di accoglienza «Carpe Diem» di Orte ha indotto il sindaco della cittadina, Angelo Giuliani, a inviare al Ministro interrogato una lettera per esprimere le sue preoccupazioni sull'argomento migranti e sul controllo degli stessi;

   i dati statistici sull'immigrazione nella cittadina laziale evidenziano una sostanziale anomalia: sul territorio sono presenti, infatti, 2.002 stranieri registrati su 9.449 abitanti, pari al 21,19 per cento della popolazione residente, percentuale doppia rispetto alla Tuscia e alla regione Lazio e tripla rispetto a tutto il territorio nazionale;

   a questo dato va aggiunto che la vicinanza alla capitale (solo 40 minuti di treno) ha alimentato una sorta di esercito di «residenti fantasma», che lavorano a Roma, ma vivono a Orte; residenti notturni, in buona sostanza, non conteggiati nelle stime ufficiali. Questi ultimi non sono, infatti, nemmeno registrati all'anagrafe del comune;

   in generale, ma in tempo di Covid soprattutto, il monitoraggio in ordine al numero e all'identità delle persone che risiedono in un determinato territorio è importantissimo, in previsione del controllo sanitario riferito alla pandemia; fondamentale, altresì, è il rispetto della percentuale prevista dalla legge del rapporto fra cittadini e richiedenti asilo; percentuale che a Orte appare ampiamente superata;

   per offrire la maggior sicurezza possibile ai cittadini di Orte e delle città limitrofe è di assoluta necessità, quindi, l'istituzione di un commissariato di polizia operativo, che possa dotare il territorio di tutti i servizi amministrativi dedicati al controllo del fenomeno migratorio e, nello stesso tempo, possa svolgere azione preventiva e di repressione di atti illeciti e di microcriminalità, purtroppo ampiamente diffusi sul territorio del comune, ad opera di varie comunità straniere;

   tale richiesta è già stata avanzata dal sindaco di Orte, nella lettera al Ministro summenzionata e dal segretario generale del sindacato di polizia Mosap, Fabio Conestà. Quest'ultimo ha richiesto la stessa misura ai suoi diretti superiori, il Capo della polizia, Franco Gabrielli, e il questore di Viterbo, Massimo Macera –:

   se il Governo sia a conoscenza dell'ampia anomalia riferita al numero di migranti presenti nella città di Orte e all'impossibilità del loro monitoraggio a causa della mancanza di un commissariato di pubblica sicurezza organizzato;

   quali iniziative intenda adottare per garantire la sicurezza dei cittadini di quel territorio, ivi compresa, la possibilità di istituire un commissariato che gestisca, oltre al fenomeno migratorio in sé e le incombenze di controllo connesse all'emergenza Covid-19, la prevenzione dei rischi dovuti ad atti illeciti e criminali.
(4-06605)


   ZENNARO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   da notizie di stampa emergerebbe che almeno 25 dei 50 migranti trasferiti nei giorni scorsi dalla Sicilia presso la struttura di accoglienza (Cas) localizzata nel comune di Civitella del Tronto (TE), sono risultati positivi ai test effettuati dalla competente Asl al Covid-19 –:

   quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare in ordine alla gestione dei migranti trasferiti da altre regioni sul territorio abruzzese e nello specifico nel comune di Civitella del Tronto, anche in considerazione del fatto che il comune è stato gravemente colpito nel 2016 e nel 2017 dal sisma che ha interessato in varie fasi l'Italia centrale;

   quali misure di contenimento e tutela della salute, in considerazione dell'alto numero di migranti positivi al coronavirus, intenda adottare il Ministero dell'interno attraverso la prefettura competente.
(4-06607)


   COMENCINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   il 5 agosto 2020 durante la riunione del Comitato per l'ordine e la sicurezza pubblica, il vice prefetto di Verona ha dato la notizia che il Ministro ha deciso che 10 dei militari dell'operazione «Strade sicure», arrivati in città solo a fine maggio 2020, erano in partenza per la Sicilia, perché sono stati destinati alla sorveglianza del Cara di Caltanissetta;

   sono noti a tutti i fatti degli ultimi giorni relativi ai ripetuti sbarchi di migranti sulle coste italiane, spesso positivi al Covid-19, che vengono ammassati nei centri di accoglienza, pieni ormai a dismisura che poi fuggono nonostante debbano rispettare la quarantena loro imposta dalle misure sanitarie stabilite dal Governo italiano per la prevenzione dell'emergenza sanitaria da Covid-19;

   fatti che rischiano di far esplodere una bomba sociale e sanitaria a seguito della decisione del Governo di distribuire i clandestini, anche positivi al Covid-19, in giro per l'Italia creando disagi e tensioni con i sindaci e le comunità locali;

   il Ministro, per ottemperare nell'immediato al caos che si sta determinando a causa della mancanza di una seria politica migratoria di contrasto all'arrivo indiscriminato di migranti cosiddetti economici, che oggi cercano di arrivare in Europa attraverso le coste italiane principalmente dalla Tunisia, ha deciso di utilizzare i militari dell'operazione «Strade sicure» per presidiare i centri di accoglienza ed evitare le fughe dei migranti in quarantena;

   tuttavia, l'operazione «Strade sicure» è nata proprio per l'impiego di personale militare in compiti di ordine pubblico e sicurezza a supporto delle forze di polizia in funzione di contrasto della criminalità e del terrorismo nelle città italiane, poi estesa anche in casi di straordinaria necessità ed urgenza, come per EXPO 2015, Giubileo straordinario della Misericordia, G7 di Taormina e altro, a supporto della carenza di organico nelle forze di polizia, divenuta ormai strutturale;

   in tale funzione originaria i militari sono stati assegnati a Verona a fine maggio 2020, su richiesta del sindaco, per supportare le forze dell'ordine durante la fase 2 dell'emergenza sanitaria e i militari erano stati dislocati a tutela della sicurezza e del decoro pubblico in alcune aree sensibili, come Porta Vescovo, piazza Pradaval, via dei Mutilati, Arsenale, via Ponchielli e Riva San Lorenzo, in un momento così delicato in cui in città finalmente stanno tornando i turisti e l'Arena ha ripreso la sua attività, seppure con tutte le ulteriori difficoltà legate al rispetto delle misure sanitarie di contenimento dell'epidemia –:

   come intenda procedere per una gestione ordinata e ragionata dell'ordine pubblico e della sicurezza delle città italiane e, in particolare, come intenda assicurare nuovamente a Verona i rinforzi promessi al sindaco, in un momento storico così delicato a causa della crisi economica che si è determinata in Italia a seguito dell'emergenza sanitaria, ancora in atto peraltro, in modo da garantire in primo luogo uomini e mezzi sufficienti ai prefetti per l'espletamento delle funzioni di contrasto della criminalità e del terrorismo nelle zone a rischio e nei quartieri cittadini, invece di sottrarli per impiegarli in presidi di migranti economici che arrivano indiscriminatamente a causa di quella che l'interrogante giudica l'assenza di una politica migratoria di contrasto e di rimpatrio dell'immigrazione clandestina.
(4-06609)


   SANDRA SAVINO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:

   la rotta balcanica, percorsa da migranti provenienti prevalentemente dal Medio Oriente e dai Sud-est asiatico e diretti in Europa passando per la Turchia, ha registrato negli ultimi anni flussi crescenti: circa 1.500 persone l'hanno percorsa nel 2018, oltre 3.000 nel 2019;

   nel marzo 2016 Unione europea e Turchia hanno siglato un accordo per contrastare il fenomeno; la Commissione europea, nell'occasione dichiarò: «la rotta è chiusa». In particolar modo nel corso del 2019, i flussi migratori attraverso la rotta balcanica sono invece aumentati;

   la rotta balcanica presenta caratteristiche di pericolosità che il Governo, ad avviso dell'interrogante, sta continuando a sottovalutare, lasciando sguarnito il confine;

   secondo la Ministra dell'interno, intervenuta a Trieste in occasione di una visita del 13 luglio 2020: «la rotta balcanica sta andando abbastanza bene perché funziona il sistema delle riammissioni», sono numeri «che non corrispondono a ciò che abbiamo dal versante mediterraneo»;

   secondo i dati forniti dal Ministro D'Incà il 5 agosto 2020, nel periodo compreso dall'inizio dell'anno e il 18 maggio 2020, sulla frontiera slovena, sono state rintracciate 885 persone, mentre sono state effettuate 28 riammissioni informali. Nel periodo compreso tra il 19 maggio e il 31 luglio scorso, sulla frontiera slovena, sono state rintracciate 1.463 persone, mentre sono state effettuate 591 riammissioni informali;

   secondi i dati ufficiali quindi nel 2020, fino a tutto il mese di luglio, 2.348 migranti sono stati rintracciati nel territorio del Friuli Venezia Giulia. Non è dato sapere quanti altri siano entrati illegalmente per poi dileguarsi;

   l'emergenza potrebbe ben presto esplodere nei centri di accoglienza, basti pensare a quanto successo nell'ex caserma Cavarzerani, nel comune di Udine, dove la riscontrata positività di 3 migranti ha portato alla quarantena obbligatoria per gli altri 480 ospiti;

   mentre decine di migranti continuano ad arrivare tutti i giorni tramite la rotta balcanica, proprio gli ospiti della Cavarzerani, il 3 e il 4 agosto 2020, hanno appiccato il fuoco a materassi e suppellettili e impedito l'accesso ai vigili del fuoco sbarrando l'ingresso per protestare contro il prolungamento della quarantena –:

   se il Governo intenda ricollocare parte dei migranti ospitati nelle strutture del Friuli Venezia Giulia in altre regioni;

   se il Governo non ritenga opportuno inviare pattuglie militari a presidiare il confine sloveno per prevenire l'ingresso illegale dei migranti.
(4-06610)


   LOLLOBRIGIDA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   nei giorni scorsi il Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno ha disposto il trasferimento in Abruzzo di duecento migranti sbarcati a Lampedusa e provenienti dall'Africa;

   i comuni interessati dal provvedimento ministeriale sono stati: Civita d'Antino (n. 20 unità), Pettino (n. 15 unità), Canistro (n. 15 unita). Moscufo (n. 50 unità), Gissi (n. 50 unità); Civitella del Teramo Civitella del Tronto (n. 50 unità);

   la regione Abruzzo e i sindaci dei comuni sopra richiamati sono venuti a conoscenza di tale decisione quando i migranti erano già in viaggio verso il territorio regionale, senza che nessun rappresentante del Governo abbia avuto l'accortezza di avvisare preventivamente le autorità regionali e locali;

   solo nel corso della riunione svoltasi il 30 luglio 2020 a l'Aquila, la prefettura, nel comunicare formalmente agli enti preposti la decisione assunta dal Governo, rendeva noto che «Le strutture sanitarie presenti sull'isola hanno effettuato alle persone sbarcate ed accolte i test covid obbligatori: i 200 migranti assegnati all'Abruzzo sono risultati tutti negativi, 50 di loro sono stati sottoposti a tampone, 150 a test sierologico»; la stessa prefettura aggiungeva che tutti i migranti «resteranno in isolamento fiduciario all'interno delle strutture di riferimento, con monitoraggio giornaliero della temperatura corporea e uso obbligatorio della mascherina anche negli spazi aperti ove non si possa rispettare il previsto distanziamento sociale»;

   nel corso della riunione, la regione Abruzzo ha manifestato la propria contrarietà ad ospitare i migranti sul territorio regionale, sia per la carenza di strutture di accoglienza adeguate, sia per esigenze di carattere sanitario e di sicurezza pubblica; detta contrarietà era anche motivata dal fatto che qualche giorno prima otto richiedenti asilo (su un totale di dodici), ospiti del centro di accoglienza di Ponte d'Arce, erano risultati positivi ai tamponi per il Coronavirus effettuati dalla Asl competente di propria iniziativa, nonostante le rassicurazioni del Governo in merito alla loro negatività;

   nella giornata del 4 agosto 2020, la Asl di Chieti ha comunicato alla regione che ben 16 dei 50 migranti ospiti presso il Centro di accoglienza straordinaria (Cas) di Gissi (Chieti) sono risultati positivi al tampone; allo stesso modo la Asl di Pescara ha reso noto sette casi di positività presso il Gas di Moscufo (Pescara);

   i casi sopra richiamati, oltre a destare un certo allarme sociale all'interno delle comunità locali, potrebbero avere dei preoccupanti riflessi sulla situazione dell'ordine e della sicurezza pubblica;

   i sindaci dei comuni interessati hanno invano invocato l'adozione di misure sanitarie per garantire la sicurezza dei cittadini, posto che i migranti risultati positivi sono ospitati in strutture che non soddisfano pienamente le condizioni necessarie per il loro trattenimento, nonché la separazione dei loro stessi compagni attualmente negativi;

   l'attività di contenimento della diffusione del virus posta in essere dalle autorità regionali e locali, durante il lockdown, ha fatto sì che la curva dei contagi in Abruzzo dopo quattro mesi fosse praticamente azzerata. Tale traguardo rischia ora di essere messo a repentaglio dall'insorgere di nuovi potenziali focolai a causa della presenza sul territorio di migranti positivi, con il conseguente rischio di una ripresa dell'epidemia –:

   quali urgenti iniziative intendano adottare, per quanto di competenza, per evitare in futuro il ripetersi di simili gravi episodi e, in particolare, se non ritengano opportuno, da un lato, predisporre adeguati controlli sanitari nel momento in cui i migranti sbarcano in Italia, allestendo, se necessario, apposite navi per la quarantena, e, dall'altro, rafforzare sul territorio della regione Abruzzo la necessaria attività di controllo per impedire che i migranti risultati positivi si allontanino arbitrariamente dalle strutture di accoglienza.
(4-06613)


   D'ATTIS. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   il 3 agosto 2020, in via XXV luglio a Nardò (Lecce) il marito di una candidata alle elezioni regionali è stata minacciato e poi aggredito per l'affissione di manifesti elettorali;

   nello specifico, Giordano Conte, coniuge della consigliera comunale Paola Mita – candidata con Forza Italia al consiglio regionale della Puglia, nelle liste a sostegno di Raffaele Fitto – sarebbe stato aggredito e picchiato brutalmente da un attacchino con il quale aveva protestato per la mancata affissione dei manifesti elettorali di Mita;

   la tensione con l'addetto alle affissioni negli spazi pubblicitari comunali a quanto pare, sarebbe iniziata già la mattina, quando Paola Mita – che aveva prenotato alcune plance elettorali da tempo per la sua campagna elettorale – si è resa conto che queste erano occupate dai manifesti di un'altra candidata;

   la consigliera avrebbe protestato più volte con il responsabile delle affissioni, ricevendo, a suo dire, «una minaccia come risposta»;

   dopo i controlli effettuati prima presso l'ufficio affissioni del comune (dove tutto sarebbe risultato in regola), la vicenda si è conclusa con lo scontro con l'attacchino, avvenuto anche alla presenza di alcuni passanti: Conte sarebbe stato raggiunto al torace e ad un braccio da un calcio sferratogli dall'addetto alle affissioni del comune;

   anche alcune telecamere della videosorveglianza di attività commerciali avrebbero «fissato» la dinamica di quella che sarebbe stata una vera aggressione i cui filmati sarebbero ora al vaglio degli agenti del commissariato di polizia di Nardò, intervenuti sul luogo dell'aggressione che indagano per far luce su una vicenda a rischio di strumentalizzazioni dato il clima elettorale incandescente;

   ad avviso dell'interrogante, è grave e inammissibile che il confronto politico possa sfociare in atti di violenza come quello appena riportato;

   a ciò si aggiunga che, in merito alla vicenda testé menzionata, non si sono registrati commenti all'accaduto e atti di solidarietà, né da parte del sindaco, né dalle forze di maggioranza –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della vicenda citata e quali iniziative intenda adottare, per quanto di competenza, al fine di evitare che, soprattutto durante la competizione elettorale, possono verificarsi episodi di violenza come quello riportato in premessa.
(4-06615)


   RACITI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   il 6 luglio 2020 il settimanale L'Espresso pubblica la notizia della avvenuta morte di Alì Saibu, ventenne proveniente dal Ghana, deceduto il 4 aprile 2020 all'interno del Centro di accoglienza straordinaria di Aragona (AG);

   due ospiti del medesimo centro di Alì Saibu, Omar Ceesay e Mamadou Cisse, a quanto consta all'interrogante, dichiarano a un rappresentante dell'associazione Borderline Sicilia onlus, che il ragazzo soffriva di dolori allo stomaco da due anni e che le sue condizioni di salute erano visibilmente peggiorate negli ultimi 15 giorni;

   Alì Saibu era stato visitato l'ultima volta da un medico nel 2019, in quell'occasione, sempre secondo le testimonianze raccolte, gli era stato consigliato un intervento medico del quale aveva paura;

   nei giorni precedenti il decesso, il responsabile della struttura avrebbe chiamato un presidio medico, perché Alì voleva andare in ospedale, ma il personale sanitario contattato avrebbe sconsigliato il trasferimento in ospedale;

   accertata la morte, per quanto risulta all'interrogante, i due medici recatisi al centro in conseguenza della chiamata di emergenza dei compagni, effettuavano il test per verificare la sua positività al Covid-19 e lo lasciavano a vista (senza coprire il corpo) sul letto, all'interno della camera aperta nella quale avrebbero dovuto dormire Cisse e l'altro compagno di stanza, fino alle 18 circa di domenica 5 aprile –:

   quali iniziative intenda assumere, per quanto di competenza, il Ministro interrogato per verificare se sussistono responsabilità in capo al gestore del Cas di Aragona.
(4-06619)


   CIRIELLI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   da organi di stampa si apprende la notizia dell'ennesima violenza sessuale perpetrata in danno di una giovane ragazza avvenuta a Salerno, in via Parmenide, in data 27 giugno 2020;

   sembrerebbe che un cittadino nigeriano di 38 anni avrebbe dapprima seguito la giovane salernitana di soli 18 anni per poi compiere sulla stessa e contro la sua volontà atti di natura sessuale, quali il palpeggiamento;

   l'azione illecita sarebbe stata interrotta solo grazie alle urla della vittima e all'aiuto dei passanti che avrebbero prontamente richiesto l'intervento delle forze dell'ordine;

   desta preoccupazione apprendere dagli organi di stampa che il nigeriano, immediatamente tratto in arresto, sia risultato essere un immigrato irregolarmente presente sul territorio nazionale già noto alle forze dell'ordine e per di più recidivo;

   dagli accertamenti eseguiti emergerebbe, infatti, che l'uomo era stato già arrestato il 25 giugno 2020 dai carabinieri di Sarno per i reati di violazione di domicilio, atti osceni in luogo pubblico e violenza sessuale nei confronti di un'altra donna a San Valentino Torio, e a suo carico era già stato emesso un ordine di espulsione dal territorio nazionale da parte del questore di Salerno;

   trattandosi di un soggetto privo di fissa dimora e immigrato irregolare, ad avviso dell'interrogante, sin dal primo arresto del 25 giugno, avrebbe dovuto essere attinto dalla misura cautelare in carcere, in quanto non solo proporzionata e adeguata ai gravi reati contestati ma altresì idonea ad evitarne la libera, irregolare e pericolosa circolazione;

   l'ulteriore aggressione avvenuta in pieno centro cittadino conferma quanto le violenze sessuali, e di genere, continuino a costituire una piaga sociale aggravata ancor più da politiche immigratorie lassiste e troppo buoniste;

   ci si domanda, infatti, la ragione per la quale un soggetto clandestino attinto tra l'altro da un ordine di espulsione fosse ancora presente sul territorio nazionale minando, come di fatto accaduto in più occasioni, la sicurezza e l'incolumità pubblica;

   tale annoso problema richiederebbe un intervento urgente oltre che doveroso da parte del Governo finalizzato ad adottare politiche maggiormente severe e restrittive accompagnate da sanzioni concrete ed efficaci che fungano da deterrente per la commissione di ulteriori e più gravi reati –:

   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, considerata la gravità degli stessi, quali urgenti iniziative di competenza intendano adottare per rafforzare la gestione, il controllo e la prevenzione del fenomeno della immigrazione irregolare al fine di garantire una maggiore sicurezza dei cittadini; in particolare, se non intendano verificare, raccordandosi con le autorità di pubblica sicurezza salernitane, le ragioni per cui l'ordine di espulsione emesso nei confronti del nigeriano in questione non fosse stato ancora eseguito, consentendogli di continuare a permanere illegalmente sul territorio nazionale e commettere ulteriori reati, e se il Ministro della giustizia non intenda, valutare la sussistenza dei presupposti per promuovere iniziative ispettive presso il tribunale penale di Salerno in relazione alla vicenda di cui in premessa.
(4-06626)


   ZOFFILI, BELOTTI, BIANCHI, BONIARDI, BORDONALI, CAPITANIO, CECCHETTI, CENTEMERO, COLLA, COMAROLI, ANDREA CRIPPA, DARA, DONINA, FERRARI, FORMENTINI, FRASSINI, GALLI, GARAVAGLIA, GOBBATO, GRIMOLDI, GUIDESI, IEZZI, INVERNIZZI, LOCATELLI, EVA LORENZONI, LUCCHINI, MAGGIONI, MOLTENI, MORELLI, PAROLO, RIBOLLA, TARANTINO, TOCCALINI, RAFFAELE VOLPI, FURGIUELE, GIACOMETTI, MACCANTI, RIXI, TOMBOLATO e ZORDAN. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   si rileva un tentato stupro nell'aeroporto di Malpensa;

   risulta che un senegalese, in procinto di prendere il volo per il Senegal, vedendo la donna dirigersi verso la toilette, la abbia seguita, riuscendo a molestarla in modo pesante;

   le urla della donna che invocava aiuto, fortunatamente hanno richiamato l'attenzione di un altruista e coraggioso passeggero italiano che è riuscito ad interrompere la violenza e a mettere in fuga l'aggressore;

   grazie all'esperienza dei poliziotti e alla collaborazione dei dipendenti della società di gestione aeroportuale, l'uomo è stato individuato nello stesso pomeriggio mentre vagava per il terminal nell'attesa di imbarcarsi sul suo volo –:

   quali siano il motivo e la durata del soggiorno nel nostro Paese del senegalese di cui in premessa e quando allo stesso sia stato, eventualmente, rilasciato un visto per l'ingresso in Italia, se questi risulti avere già precedenti penali, in particolare con riguardo ai reati a sfondo sessuali, nel nostro o in altro Stato, anche di origine;
   in relazione al tema generale della sicurezza pubblica, quali iniziative intenda adottare, alla luce del gravissimo episodio sopra riportato, per implementare la vigilanza nelle aree aeroportuali.
(4-06628)


   VARCHI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:

   la vicenda della baraccopoli di Cassibile Fontane Bianche, quartiere alla periferia sud di Siracusa, è una storia di grande disattenzione istituzionale, che affonda le sue radici in almeno 20 anni e che, in questo periodo di emergenza sanitaria, rischiava di esplodere;

   è di pochi giorni fa, infatti, la notizia dell'inizio delle operazioni di sgombero della storica baraccopoli abusiva, nella quale vivevano in condizioni disumane, con carenze igienico-sanitarie, centinaia di immigrati clandestini e non, braccianti agricoli impiegati negli appezzamenti di terreno della zona;

   nonostante la positiva, notizia, attesa da troppo tempo, numerosi rimangono i dubbi e le problematiche inerenti alla discutibile gestione del campo, che da sempre vedeva contrapporsi quanti invocavano il diritto all'accoglienza ad ogni costo e quanti, invece, tacciati ingiustamente di «razzismo», chiedevano la condanna di ogni forma di degrado e illegalità;

   in particolare, con decreto prot. n. 0000664 del 21 gennaio 2019, il Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno, autorità responsabile del fondo asilo, migrazione e integrazione (Fami) 2014-2020 adottava l'avviso pubblico per la presentazione di progetti da finanziare nell'ambito della promozione di una gestione integrata dei flussi migratori;

   il comune di Siracusa partecipava al bando Fami con il progetto «Comune dei Popoli», aggiudicandosi il 19° posto, a fronte dei 117 progetti presentati, unica città siciliana fra i 28 territori finanziati;

   il finanziamento di 460.129,45 euro del Ministero dell'interno, da utilizzare in due anni, permetterà l'avvio di un ufficio dedicato ai cittadini stranieri, con la duplice finalità di facilitare il loro accesso ai servizi pubblici e al contempo di lavorare con questi ultimi sotto il profilo formativo per qualificare, potenziare e rendere accessibile la loro offerta ai cittadini stranieri;

   per l'attuazione delle singole azioni, il comune di Siracusa, capofila del progetto, sarà coadiuvato da un partenariato, selezionato attraverso un bando pubblico, composto da associazioni di categoria, sia pubbliche che private, tra cui, in particolare, AccoglieRete Onlus e Arci Siracusa;

   vicepresidente di accoglieRete è Rita Gentile, assessore alle Politiche per l'innovazione, l'economia solidale ed il dialogo interculturale, proprio del comune di Siracusa; mentre presidente di Arci Siracusa è Simona Cascio, ex consigliera comunale;

   proprio i due enti partner, con bando del 24 aprile 2020 in piena fase di lockdown, hanno avviato una procedura di selezione per il reclutamento di 5 figure professionali «necessarie alla realizzazione delle attività di propria competenza nell'ambito del progetto “Comune dei Popoli”» –:

   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, accertata la veridicità degli stessi, quali urgenti iniziative, per quanto di competenza intenda assumere, in relazione a quanto esposto in premessa, in ordina alla gestione del citato finanziamento pubblico statale.
(4-06634)

ISTRUZIONE

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'istruzione, per sapere – premesso che:

   con nota n. 11457 del 9 giugno 2020, l'ufficio scolastico regionale Lombardia pubblicava l'elenco dei candidati ammessi alla prova orale del concorso pubblico bandito con decreto del Ministero dell'istruzione 18 dicembre 2018 per esami e titoli, per la copertura di 451 posti per direttore dei servizi generali e amministrativi del personale Ata nell'ambito della regione Lombardia (totale 2004 intero territorio nazionale);

   su 1.080 candidati presenti alle prove scritte, svoltesi a Milano il 5 e 6 novembre 2019, solo 207 (meno del 20 per cento) è stato ammesso alle prove orali, lasciando vacanti un numero importante di posti;

   con nota del 10 giugno 2020, l'Anquap inoltrava al Ministero dell'istruzione formale richiesta di riesame delle prove in questione, chiedendone una più attenta valutazione alla luce dell'anomala esiguità del numero di ammessi all'orale, notevolmente inferiore ai candidati che hanno sostenuto le prove scritte e ai posti messi a concorso, segnalando anche che il dato sarebbe isolato alla regione Lombardia;

   con ulteriore nota dell'11 giugno 2020, la suddetta associazione inoltrava al Ministero un'ulteriore segnalazione e richiesta di intervento: «Vi fornisco, in allegato, la prova formale di quanto di anomalo avvenuto in Lombardia (n.d.r. ossia la e-mail dell'Ufficio scolastico regionale della Lombardia inviata a una candidata e contenente la asserita errata valutazione delle prove scritte della stessa). Un candidato prende 21 alla prima prova scritta e gli si comunica che non ha conseguito il punteggio minimo, quindi, non hanno valutato la seconda prova. È vero l'esatto contrario, il candidato ha superato la prima prova e si doveva (si deve) valutare anche la seconda. Se hanno agito così anche in altri casi siamo in presenza (preoccupante) di un'amministrazione che non sa svolgere le sue funzioni.» (si veda l'articolo 13, comma 4, del bando concorso);

   a ciò si aggiunga che un articolo di giornale del 13 giugno 2020 (www.indygesto.com) denuncerebbe, oltre alla rabbia e alle proteste del nutrito gruppo dei concorrenti esclusi, presunte anomalie e gravi irregolarità verificatesi nello svolgimento della procedura concorsuale. In particolare, darebbe atto di una missiva datata il 6 novembre 2019 del Ministero dell'istruzione (giorno di svolgimento della seconda prova scritta) che comunicava la necessità di sostituire, in quella stessa mattinata, la traccia della seconda prova scritta. La necessità di tale improvvisa e non motivata sostituzione ne avrebbe comportato l'invio, non nella modalità del plico telematico criptato (che garantisce il massimo della sicurezza), ma il semplice invio tramite file in PDF, via e-mail. Infine, il medesimo articolo informerebbe su presunte gravi fughe di notizie sui quesiti teorici della prima prova scritta e, addirittura, di una presunta compravendita delle tracce già svolte: «sarebbe stata in vendita nel mercato nero del concorso una rosa di 23 domande, tra cui le sei effettivamente uscite. Ancora: alcuni compratori si sarebbero lamentati di aver pagato e, a differenza di altri colleghi che avevano fatto altrettanto, di essere stati bocciati lo stesso»;

   a seguito dell'accesso documentale effettuato da molti candidati sono emerse numerose anomalie e irregolarità, che hanno indotto alla presentazione di un ricorso collettivo, oltre che di ricorsi individuali. Tra le tante anomalie segnalate vi sono anche presunte incompatibilità di alcuni commissari, oltre a quella relativa a dubbi sul diverso criterio di valutazione adottato per la correzione degli elaborati;

   con ordinanza n. 01244/2020 Reg. Ric. pubblicata il 29 luglio 2020, il Tar Lombardia, dichiarando «risulta prima facie manifestamente illogica e contraddittoria la valutazione espressa sulla seconda prova scritta, sia con riferimento al confronto con il giudizio più che sufficiente ottenuto sulla prima prova scritta, sia con riguardo alla pertinenza dell'atto e alla correttezza logico-formale dell'elaborato», ha accolto «la domanda cautelare e conseguentemente disposto l'ammissione della parte ricorrente a sostenere la prova orale del concorso»;

   risulterebbe, altresì, un'approssimazione dell'Ufficio scolastico regionale della Lombardia anche in fase di gestione della procedura di «accesso agli atti». Si aggiunga, tra le anomalie, anche la integrazione dell'elenco degli ammessi alla prova orale in un secondo tempo, circostanza giustificata da sedicenti «errori materiali»;

   si segnala, infine, che in alcune regioni, fra cui il Lazio, l'intera commissione esaminatrice si è dimessa e che l'esito della correzione delle prove scritte deve essere ancora pubblicato;

   a settembre 2020 moltissime scuole lombarde si ritroveranno sprovviste del profilo del direttore dei servizi generali e amministrativi selezionato attraverso un concorso pubblico;

   ai sensi degli articoli 3 e 97 della Costituzione, in combinato disposto con l'articolo 35 del decreto legislativo n. 165 del 2001, le procedure pubbliche di reclutamento di personale dipendente della pubblica amministrazione devono permettere la selezione dei candidati migliori, secondo le loro effettive capacità e preparazione e svolgersi secondo criteri e modalità che garantiscano i principi di legalità, correttezza, imparzialità, parità di trattamento tra tutti i candidati e trasparenza;

   sulla vicenda la presentatrice del presente atto ha già presentato l'interrogazione a risposta orale 3-01623 –:

   se il Ministro interpellato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative ritenga di adottare, anche tramite l'invio di personale ispettivo, al fine di verificare che la procedura concorsuale pubblica in questione sia svolta nel rispetto dei principi costituzionali citati;

   qualora si riscontrino delle irregolarità, se non si ritenga di disporre la ricorrezione delle prove scritte ad opera di una nuova commissione.
(2-00908) «Martinciglio, Villani, Penna, Perantoni».

Interrogazioni a risposta scritta:


   ZORDAN. — Al Ministro dell'istruzione. — Per sapere – premesso che:

   le linee guida sulla riapertura delle scuole stabilite dal Ministero dell'istruzione prevedono, tra l'altro, di trovare spazi alternativi dove svolgere le lezioni, come ad esempio palestre scolastiche da utilizzare come aule;

   l'utilizzo delle palestre come aule pregiudicherebbe non solo le lezioni di educazione motoria, ma anche l'attività di quelle realtà sportive che utilizzano tali strutture negli orari extrascolastici;

   molti comuni, infatti, concedono l'utilizzo delle palestre delle scuole negli orari successivi alla quotidiana attività scolastica ad associazioni del territorio per attività cosiddette «ludico-sportive», la cui frequentazione comprende varie fasce di età; inoltre, in molti comuni, le palestre scolastiche costituiscono l'unico spazio disponibile per quelle realtà locali che agiscono nel contesto del volontariato sportivo non potendo disporre di altri spazi specifici;

   trattasi di attività che, normalmente, si svolgono al pomeriggio e alla sera per consentire la mattina dopo il ritorno in classe degli studenti; in tal modo, però, non ci sarebbe il tempo per sanificare l'ambiente, come previsto dal protocollo di sicurezza;

   è indubbio quindi che il combinato dell'utilizzo delle palestre come aule scolastiche insieme agli obblighi di sanificazione ambientale mette a rischio un'importante realtà sociale –:

   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda assumere al fine di dare una risposta precisa in merito.
(4-06614)


   PAOLO RUSSO. — Al Ministro dell'istruzione. — Per sapere – premesso che:

   si richiama nuovamente l'attenzione del Ministro interrogato in merito alla contestata vicenda del mancato riconoscimento dell'abilitazione all'insegnamento conseguita in Romania da cittadini italiani laureati in Italia, già oggetto degli atti di sindacato ispettivo presentati dall'interrogante n. 4-00002, n. 4-03896 e n. 4-05430;

   sulla vicenda si è nuovamente espressa la Sesta Sezione del Consiglio di Stato con sentenza n. 4825 del 9 luglio 2020 con la quale è stato accolto l'appello a favore di 500 abilitati all'insegnamento in Romania, confermando l'orientamento già intrapreso in passato e stabilendo che il Ministero dell'istruzione ha disatteso la direttiva europea 2005/36/CE relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali avendo l'obbligo di riconoscere in modo automatico i titoli di formazione previsti da tale direttiva e rilasciati in un altro Stato membro al termine di formazioni in parte concomitanti, sulla base di un principio già espresso dalla Corte di giustizia europea;

   il Consiglio di Stato, con particolare riferimento ai profili di riconoscimento del titolo sia ai fini dell'abilitazione all'insegnamento che ai fini del sostegno, ha avuto già modo di esprimersi, con sentenze nn. 1198, 1521 e 1522 del 2020, dove si è già rimarcato il corto circuito logico derivante dalla impostazione seguita dal Ministero che, accedendo alla posizione valevole per lo Stato romeno, dove ben può escludersi la rilevanza della formazione in Italia ai fini dell'abilitazione all'insegnamento in quella nazione, fondamentalmente finiva per escludere la rilevanza delle lauree italiane nell'ambito del territorio –:

   quali urgenti iniziative intenda adottare il Ministro interrogato al fine di adempiere a quanto disposto dal Consiglio di Stato e di porre la parola fine a questa vicenda nella quale sono state lesi diritti e aspettative di docenti, sottraendo anche risorse ad un settore rilevante come quello dell'istruzione.
(4-06621)


   MURONI. — Al Ministro dell'istruzione, al Ministro per le politiche giovanili e lo sport. — Per sapere – premesso che:

   le linee guida sulla riapertura delle scuole stabilite dal Ministero dell'istruzione prevedono, tra l'altro, di trovare spazi alternativi dove svolgere le lezioni, come cortili e palestre scolastiche da utilizzare come aule;

   la trasformazione delle palestre in aule pregiudicherebbe non solo le lezioni di educazione motoria, ma anche l'attività delle realtà sportive che utilizzano, negli orari extrascolastici, le palestre delle scuole;

   il blocco delle attività a causa del Covid-19 e la difficile ripresa stanno mettendo a rischio tutto il mondo dello sport, tanto che si ipotizza che una percentuale molto alta delle circa centomila società sportive in Italia potrebbe chiudere per sempre;

   l'impossibilità di accedere alle palestre scolastiche non sarebbe solo il colpo di grazia per le società sportive locali che non hanno sedi proprie, ma soprattutto si rischia di perdere un pezzo di generazione che non potrà più fare nessuna attività fisica e sportiva con tutto quello che potrebbe conseguire sulla salute psicofisica dei nostri giovani;

   le palestre scolastiche, come ha ricordato anche la Ministra all'istruzione durante l'audizione in VII Commissione al Senato, continueranno ad essere utilizzate per l'attività sportiva pomeridiana. Resta infatti «ferma e garantita la competenza degli Enti locali nella concessione delle palestre scolastiche alle società sportive che facciano richiesta di utilizzarle al di fuori dell'orario delle lezioni, come è sempre avvenuto»;

   anche nelle linee guida emanate in vista della ripresa di settembre, il cui testo è stato approvato da regioni ed enti locali, si fa espressamente riferimento al punto in questione. «Resta ferma – si legge nel documento – la competenza degli Enti locali nella concessione delle palestre e di altri locali afferenti alle istituzioni scolastiche di competenza, al termine dell'orario scolastico, operate le opportune rilevazioni orarie e nel rispetto delle indicazioni recate dal Documento tecnico del CTS, purché, all'interno degli accordi con le associazioni concessionarie siano esplicitamente regolati gli obblighi di pulizia approfondita e igienizzazione, da condurre obbligatoriamente al termine delle attività medesime, non in carico al personale della scuola». Con queste parole il Ministero dell'istruzione rassicura in merito al possibile mancato utilizzo pomeridiano delle palestre che sarebbe destituito di fondamento;

   da quanto appreso dalla interrogante ad Imperia le cose non starebbero proprio in questi termini. In una nota il vice presidente di una associazione sportiva sottolinea che, in un colloquio telefonico con il dirigente responsabile per la concessione in uso delle palestre provinciali in orario extrascolastico, gli è stato comunicato che dalla conferenza dei dirigenti scolastici è emersa la volontà di trattenere ad uso esclusivo della scuola le palestre scolastiche provinciali. Tale linea sarebbe stata avallata anche dal provveditore regionale. In conseguenza di tale decisione, la provincia di Imperia, non emetterà alcun bando per l'assegnazione in uso delle palestre scolastiche di sua pertinenza (Ruffini, ITIS, Cassini e Aprosio). Occorre che il Coni e la Federazione intervengano in tempi brevi sul Ministero dell'istruzione, altrimenti lo sport di base che per l'85 per cento usa palestre scolastiche è arrivato al capolinea;

   a tal proposito, ricorda anche che le federazioni italiane di pallavolo, pallacanestro e pallamano hanno chiesto alla Ministra dell'istruzione che le palestre degli istituti scolastici non vengano utilizzate per attività diverse da quelle sportive: «Chiediamo alla Ministra dell'istruzione che faccia una norma precisa che escluda le palestre dall'attività non sportiva» –:

   se il Governo non intenda immediatamente emanare delle linee guida con le quali vengano fornite ai dirigenti scolastici direttive precise in modo da continuare nel nostro Paese a concedere le palestre alle società sportive alle stesse condizioni preCovid-19.
(4-06630)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MORETTO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   la società Dema è un operatore di rilevanza primaria in ambito nazionale nel segmento delle aerostrutture, basato su quattro siti produttivi in Campania e Puglia che impiegano circa 700 persone;

   dopo anni di difficoltà finanziarie, nel 2017 la società ha avviato una ristrutturazione ai sensi degli articoli 182-bis e 182-ter della legge fallimentare, trovando nel fondo inglese Bybrook Capital il nuovo socio di maggioranza, salito poi nel 2019 al 100 per cento del capitale societario;

   il nuovo piano industriale, presentato a dicembre 2019, evidenziava la forte necessità di arrivare a un significativo abbattimento del debito come presupposto per il riequilibrio economico-finanziario della società, che ha portato a coinvolgere soltanto il numero minimo di creditori che avrebbero costituito il 60 per cento del credito della società, tra cui, oltre lo stesso socio, anche Inps, le società Leonardo e Invitalia;

   se con Leonardo e Invitalia si è raggiunto un accordo in fase di sottoscrizione, Inps ha respinto la proposta di Dema che prevedeva una nuova rimodulazione del debito, considerata in violazione della normativa secondaria che, secondo l'istituto di previdenza, disciplina la materia della transazione previdenziale in ambito concorsuale;

   in seconda battuta, per venire incontro alle richieste dell'istituto, la società ha proposto a Inps di scadenzare il proprio credito su un arco temporale di 5 anni a rate crescenti per poi, nel luglio 2020, formulare una nuova proposta a 60 rate con un rilevante incremento delle stesse;

   nonostante i significativi passi in avanti sulla revisione del piano industriale compiuti negli scorsi mesi da parte della società, ad oggi si registra la mancanza di una definitiva risposta da parte dell'Inps rispetto all'ultima proposta formulata il 15 luglio 2020;

   l'incertezza attuale, dovuta al mancato accordo con l'istituto di previdenza sul piano di ristrutturazione, impedisce di fatto alla società Dema di proporsi sul mercato come un attore aziendalmente sano;

   inoltre, ancora più nel contesto colpito dall'emergenza sanitaria che rischia di abbattersi gravemente sul tessuto produttivo del Sud, la mancata chiusura dell'accordo avrebbe conseguenze gravi non solo per quanto riguarda gli ulteriori investimenti privati ad oggi resi disponibili per la società e fondamentali per l'industria del settore, ma anche con tutta evidenza per i 700 posti di lavori direttamente legati a Dema in Campania e in Puglia, oltre che per il recupero del proprio credito da parte dello stesso Istituto di previdenza –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione descritta e non reputi opportuno e urgente adottare iniziative, per quanto di competenza, al fine di favorire il raggiungimento di un accordo sulla rinegoziazione del credito con Inps.
(5-04529)


   DURIGON, BELLACHIOMA e D'ERAMO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   il 27 luglio 2020 la società Yokohama, con sede a Ortona, in località Tamarete, alle ore 13,00 ha convocato una riunione in videoconferenza con le segreterie sindacali territoriali, annunciando la messa in liquidazione dello stabilimento con effetto immediato;

   successivamente, ai lavoratori in piena attività viene improvvisamente disconnesso il supporto informatico, a quelli impegnati nella manutenzione tecnica programmata viene intimato di cessare immediatamente le operazioni ed a tutti, radunati in un'area dismessa dello stabile, viene indicato di uscire prelevando gli effetti personali;

   i sindacati attivano da subito una mobilitazione, organizzando un presidio permanente, mentre il sindaco attiva la richiesta di un tavolo istituzionale;

   all'incontro con i rappresentanti dell'assessorato regionale alle politiche del lavoro e i delegati dall'azienda, svoltosi il 3 agosto 2020 la proprietà ha ribadito che, in nome della «contrazione del mercato petrolifero» l'unica strada percorribile è quella di dismettere lo stabilimento di Ortona;

   altri tentativi di avviare un serio confronto per valutare proposte concrete e alternative sono risultati vani –:

   se, per quanto di competenza, i Ministri interrogati intendano chiarire i fatti di cui in premessa;

   se i Ministri interrogati non ritengano necessario adottare iniziative per spostare il tavolo istituzionale dal livello territoriale al livello nazionale, con rappresentanti dei propri Ministeri, oltre che del comune di Ortona e della regione e dei sindacati dei lavoratori, al fine di valutare ipotesi alternative alla chiusura senza alcun preavviso dello stabilimento e salvaguardare i livelli occupazionali del territorio chietino.
(5-04534)


   RIZZETTO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   l'interrogante ritiene che non siano congrui i criteri e le modalità con cui è stato emesso il bando di gara, per il trasporto di circa 600 utenti diversamente abili, residenti all'interno della Asl Roma 1;

   al riguardo, con deliberazione del direttore generale dell'Asl Roma 1, n. 490, del 23 giugno 2020, la Tundo Vincenzo Spa si è aggiudicata la gara mediante applicazione del criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, con un prezzo al ribasso del 47 per cento;

   sono 110 i pullmini previsti per il nuovo servizio, per 220 addetti, tuttavia, la Tundo Vincenzo Spa non ha confermato i rapporti di lavoro con i 150 operatori, tra assistenti e autisti, impiegati nella precedente azienda, titolare del servizio, prima del cambio di appalto;

   a quanto è dato sapere, è stato violato il capitolato di gara che garantisce la salvaguardia occupazionale di tutto il personale, poiché, sia gli autisti che gli assistenti sono stati richiamati solo in esigua parte, in particolare, tra questi ultimi sono stati scelti quelli che, da contratto, avevano meno ore lavorative;

   ed ancora, l'azienda subentrata, nella scelta degli assistenti, non ha tenuto conto di quei criteri che avrebbero garantito priorità ad alcuni lavoratori, rispetto alla presenza nel nucleo familiare di figli, di familiari a proprio carico o di chi usufruisce della legge n. 104 del 1992;

   nonostante la presa in carico della nuova società abbia avuto inizio martedì 28 luglio 2020 e, dunque, anche l'espletamento del servizio, ad oggi, non sono stati regolarizzati con contratti adeguati i lavoratori, tra assistenti e autisti;

   risulta all'interrogante, e costituisce un aspetto grave della vicenda, che la Asl abbia sottoscritto, il 29 luglio 2020, il contratto di appalto con la società aggiudicataria senza l'accordo sul passaggio dei lavoratori;

   a ciò si aggiunge che la procedura relativa all'affidamento della gara in questione, per quanto consta all'interrogante non ha previsto le misure anti Covid-19, motivo per il quale il direttore generale dell'Asl Roma 3 ha revocato una procedura di gara analoga;

   è, quindi, necessario adottare iniziative, affinché siano tutelati i 150 lavoratori del precedente appalto e sia garantito un servizio di trasporto di qualità ai 600 utenti diversamente abili dell'azienda sanitaria –:

   di quali elementi disponga il Governo, per quanto di competenza, sui fatti esposti in premessa e, in particolare, se ritenga di adottare iniziative, per quanto di competenza, al fine di assicurare che servizi come quello in questione, rivolti ad utenti diversamente abili siano affidati ed erogati assicurando la massima qualità e sicurezza, nonché la salvaguardia dei lavoratori;

   se e quali iniziative intenda assumere, per quanto di competenza, affinché sia rispettata la clausola di salvaguardia prevista per 150 lavoratori del precedente appalto e venga garantito un servizio adeguato agli utenti diversamente abili del servizio di trasporto;

   se ritenga che il mancato rispetto delle misure anti Covid-19 nella procedura per l'affidamento della gara in questione costituisca presupposto per la possibile revoca della stessa.
(5-04539)

Interrogazione a risposta scritta:


   CIRIELLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   la sicurezza e l'incolumità pubblica sono continuamente minate da atti di violenza e di illegalità che, sovente, vengono commessi da immigrati presenti a vario titolo sul territorio nazionale incuranti del rispetto delle leggi vigenti e della vita altrui;

   ciò che desta maggiore scalpore è che tali azioni non sempre ricevono una condanna penale proporzionata all'offesa arrecata, risolvendosi in pene detentive nei minimi edittali e, nella maggior parte delle ipotesi, mai eseguite a causa di politiche sempre più rivolte a favorire misure alternative alla detenzione in carcere e meno alla tutela reale ed effettiva delle persone offese;

   sovente le cronache nazionali riportano di aggressioni nei confronti dei dipendenti delle aziende di trasporto come quella avvenuta nel 2011 ai danni di una giovane ragazza di soli ventisei anni, Luana Zaratti che, tutt'oggi, attende che si faccia giustizia per le pene fisiche e psicologiche che ha subito e continua a subire;

   in data 5 agosto 2011 Luana prestava servizio come dipendente Atac, azienda di trasporto della capitale, e nel corso del regolare e ordinario controllo dei titoli di viaggio venne aggredita da un passeggero egiziano, immigrato irregolarmente, che la colpì violentemente con una testata in pieno viso cagionandone la frattura del setto nasale e un gravissimo trauma cranico;

   Luana è stata in coma per diciotto mesi, ha dovuto sottoporsi ad oltre diciannove interventi e dopo lunghi e faticosi anni – sebbene le sue condizioni di salute stiano migliorando – la sua vita non sarà più come quella prima dell'aggressione a causa delle gravissime patologie e della drammatica invalidità;

   nonostante sia stata dichiarata inabile al lavoro, Luana percepisce esclusivamente una minima pensione di invalidità e l'Inail non avrebbe riconosciuto l'infortunio professionale, in quanto, a parere dell'Ente, non vi sarebbe il nesso causale tra il danno cerebrale e la condotta lesiva subita mentre prestava servizio;

   l'uomo che l'ha ferita, invece, immigrato irregolare e già noto alle forze dell'ordine per precedenti simili, è stato condannato a soli quattordici mesi di reclusione che non ha mai scontato, probabilmente a causa del suo ritorno nel Paese di origine;

   la storia di Luana è una delle tante storie che ogni giorno accadono e continuano a non trovare una degna risposta da parte di uno Stato il cui principale dovere dovrebbe essere quello di proteggere e tutelare i propri cittadini, piuttosto che lasciare impunito chi si rende autore di tali gravissime azioni;

   tale episodio conferma altresì quanto sia necessario ed urgente assicurare la massima sicurezza del territorio e dei luoghi di lavoro, in particolare di quelli che svolgono servizi pubblici –:

   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, considerata la gravità degli stessi, quali urgenti iniziative di competenza intendano assumere al fine di:

    a) adottare ogni misura idonea affinché, anche verificata la fuga all'estero dell'interessato, sia assicurata l'esecuzione della sentenza penale di condanna emessa nei confronti dell'aggressore di Luana Zaratti;

    b) implementare i presidi delle forze dell'ordine a tutela della incolumità pubblica ed, in particolare, sul territorio romano da troppi anni protagonista di violenze e illegalità;

    c) acquisire ogni informazione utile per verificare le decisioni assunte dall'Inail in relazione al mancato riconoscimento dell'infortunio professionale sebbene i danni psico-fisici di Luana Zaratti siano conseguenza di un'aggressione subita in orario lavorativo.
(4-06623)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interpellanze:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, per sapere – premesso che:

   il fenomeno della peste suina ha riguardato la Sardegna per 42 anni;

   l'embargo imposto dall'Unione europea, con il blocco delle esportazioni oltre i confini dell'isola, è durato 3.188 giorni;

   sono trascorsi già 23 i mesi senza un focolaio e ben 16 i mesi dagli ultimi casi positivi;

   alla luce di questi dati obiettivi gli allevatori della Sardegna e le associazioni di categoria, chiedono a gran voce la revoca delle misure restrittive per consentire la vendita della carne e dei trasformati dei suini in Italia e nel mondo;

   secondo le elaborazioni di Coldiretti-Sardegna sui dati dell'Anagrafe nazionale zootecnica, gli allevamenti di suini in Sardegna sono 14.598 per un totale di 180.908 capi (dati aggiornati al 30 giugno 2019), mentre i cinghiali in allevamento sarebbero 1.129. Il numero medio di suini per allevamento è circa 12, mentre il valore nazionale è di circa 60 capi;

   mediamente per ogni 100 suini allevati vi sono 36 scrofe, mentre il valore medio nazionale è di circa 6. Ogni 4 scrofe c'è un verro (esemplare maschio), mentre a livello nazionale mediamente vi è un verro ogni 36 scrofe;

   lo sblocco delle esportazioni aprirebbe un nuovo scenario di crescita, con significativi benefici sia per l'economia che per l'occupazione in un settore tradizionale del sistema-Sardegna;

   sarebbe altresì un doveroso riconoscimento per i sacrifici e l'impegno di migliaia di allevatori e delle relative comunità –:

   quali iniziative intenda porre in essere per sbloccare la vendita della carne e dei trasformati dei suini della Sardegna in Italia e nel mondo.
(2-00903) «Cappellacci».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:

   il riccio di mare Paracentrotus lividus è uno dei principali erbivori delle zone costiere superficiali del Mediterraneo e attraverso la sua attività di grazing, praticando quindi un'attività di pascolo del manto algale, contribuisce a definire la struttura della comunità bentonica infralitorale, costituita dagli organismi acquatici che vivono in stretto contatto con il fondo o fissati al substrato solido;

   da diversi anni, in Sardegna, così come in Puglia e in Sicilia, ovvero nelle regioni in cui la pesca dei ricci è una consolidata tradizione, il prelievo intensivo sta riducendo drasticamente la presenza del Paracentrotus lividus;

   in particolare, nell'isola, infatti, lo sfruttamento degli stock risulta considerevole a causa del continuo aumento della domanda e di evidenti difficoltà nella gestione e nel controllo di tutto il processo di filiera. Questo ha portato a casi di sovrasfruttamento (overfishing) imputabili al prelievo da parte dei pescatori autorizzati ma anche da parte di chi pratica la pesca illegale o a fini ricreativi;

   il prelievo incontrollato di questa specie incide prevalentemente sulle classi di taglia che superano i 50 mm (taglia commerciale minima) e il decremento della popolazione, come conseguenza della pesca, può originare numerosi effetti indiretti alterando i processi ecologici che caratterizzano gli habitat costieri;

   nello specifico, la rimozione sistematica dei ricci di mare più grandi, quindi più produttivi in termini di gonadi, riduce il numero di individui fertili che rilasciano gameti nell'ambiente circostante, producendo un effetto a cascata di riduzione delle popolazioni naturali. La riduzione della densità degli adulti, inoltre, ha un effetto negativo sul reclutamento degli individui giovani che utilizzano gli adulti per nascondersi e proteggersi dai predatori naturali. La riduzione della densità, dell'abbondanza e della dimensione media dei ricci adulti ha conseguenze drammatiche sia dal punto di vista ecologico, a causa delle modifiche degli equilibri dell'intera comunità bentonica, sia da quello socio-economico, a causa delle ricadute su tutta la filiera della produzione del prodotto riccio di mare (pescatori, distributori, ristoratori);

   l'area marina protetta Capo Caccia – Isola Piana ha realizzato, in collaborazione con l'Università di Sassari e il Consorzio nazionale interuniversitario per le scienze del mare (Conisma), quattro campagne di studio negli anni 2006, 2007, 2018 e 2019, con lo scopo di acquisire dati e informazioni relativi alla presenza, distribuzione, abbondanza e struttura demografica di Paracentrotus lividus all'interno della stessa area marina protetta;

   i dati raccolti nel corso dell'indagine evidenziano che, rispetto alla precedente campagna di monitoraggio (2018), i risultati del 2019, hanno mostrato un ulteriore decremento della popolazione totale di Paracentrotus lividus e, considerando tutti i dati pregressi raccolti per quest'area per la batimetria 5m, si può affermare che la popolazione totale dal 2006 si è ridotta drasticamente con percentuali molto spesso superiori all'85 per cento;

   la pesca incontrollata, la minaccia dell'alterazione degli habitat e la possibile scomparsa della specie hanno già portato il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali a vietare la pesca delle oloturie, echinodermi comunemente noti come «cetrioli di mare», presenti nel Mar Mediterraneo;

   risulta pertanto evidente che il Paracentrotus lividus si trovi oggi in uno stato di grave depauperamento e che si renda necessaria l'adozione di misure volte alla tutela della specie –:

   quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere al fine di tutelare il Paracentrotus lividus, impedendone il rischio di estinzione, e se intenda promuovere campagne di comunicazione finalizzate ad accrescere la consapevolezza ambientale, favorendo, contestualmente, una maggior cooperazione tra tutti i soggetti coinvolti.
(2-00904) «Deiana, Cadeddu, Alberto Manca, Ilaria Fontana, Daga, D'Ippolito, Di Lauro, Federico, Licatini, Maraia, Micillo, Terzoni, Varrica, Vianello, Vignaroli, Zolezzi».

Interrogazione a risposta orale:


   SPENA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:

   la moria dei kiwi che da anni affligge questa coltivazione in tutte le regioni d'Italia, sta colpendo duramente la provincia di Latina, dove ha generato una perdita di oltre 100 milioni di euro tra fatturati e indotti e un danno all'economia locale che si attesta tra il 20 e il 30 per cento del prodotto. L'area provinciale è leader mondiale del settore, con 12 mila ettari coltivati e una produzione di 4 milioni di quintali annui. Sono a rischio centinaia di lavoratori, che realizzano, nella cura degli impianti arborei, nella raccolta e nella distribuzione del frutto, un milione di ore lavorative;

   la moria si manifesta con avvizzimenti della parte aerea della pianta soprattutto in questo periodo estivo, con riduzione della pezzatura dei frutti, marciume della parte terminale del sistema radicale e, infine, con la morte della pianta. Da quest'anno il problema è cresciuto in maniera molto repentina;

   secondo quanto riferito dal Crea ascoltato su questa tematica in Senato il 1° luglio 2020, il responsabile principale è stato individuato nell'elevata temperatura estiva, ma poiché la pianta ha bisogno di radici aerate, parte della responsabilità è da imputarsi alle sempre più frequenti precipitazioni abbondanti e concentrate. Le batteriosi rilevate non sarebbero causa della morte della pianta, ma conseguenza del suo progressivo indebolimento. Tra l'altro il kiwi è una delle piante colpite dalla cimice asiatica;

   la moria si può combattere, ma occorre una serie integrata di interventi. Ne consegue che sono necessarie misure di sostegno alle imprese di settore sia sotto forma di ristoro dei danni, sia interventi per modificare le modalità di coltivazione: precision farming sia per quel che riguarda l'apporto di acqua che di concimatura, baulatura dei terreni (cioè impianti in terreni lievemente ondulati per evitare ristagni d'acqua), riduzione dell'esposizione solare mediante coperture o collocazione delle piantagioni in aree meno esposte –:

   quali urgenti iniziative intenda adottare il Ministro interrogato per sostenere il comparto della coltivazione del kiwi in provincia di Latina mediante azioni di ristoro dei danni, nonché per modernizzare tale coltura, nella quale peraltro si registra una maggiore incidenza di giovani imprenditori agricoli, anche promuovendo, tramite specifici indirizzi, il vincolo di una quota dei piani di sviluppo rurale (Psr) delle regioni maggiormente colpite, al fine di un adeguamento ai cambiamenti climatici in atto.
(3-01722)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ZOFFILI, DE MARTINI, VIVIANI, BUBISUTTI, CECCHETTI, GASTALDI, GOLINELLI, LIUNI, LOLINI, LOSS, MANZATO e PATASSINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:

   la previsione di adeguamento al nuovo regolamento delegato n. 33/2019, che integra il regolamento (UE) n. 1308/2013 per quanto riguarda le domande di protezione delle denominazioni di origine, delle indicazioni geografiche e delle menzioni tradizionali nel settore vitivinicolo, la procedura di opposizione, le restrizioni dell'uso, le modifiche del disciplinare di produzione, la cancellazione della protezione nonché l'etichettatura e la presentazione, e alla legge n. 238 del 2016 comporterebbe la modifica dell'allegato 1 del decreto ministeriale 13 agosto 2012 «Etichettatura e presentazione vini DOP-IGP ed altri prodotti vitivinicoli» che contiene l'elenco delle varietà di vite o sinonimi distintivi costituenti una Dop italiana tra le quali, su 11 varietà, ben 5 sono sarde, quali il Cannonau, Girò, Nasco, Nuragus, Semidano;

   il Cannonau è un antico vitigno della Sardegna, come testimoniano le recenti scoperte archeologiche che lo fanno risalire all'età nuragica; si tratta di vino tutelato con la Dop che rischia con la suddetta modifica di essere privato della tutela e, come potrebbe succedere anche per le altre Dop sarde, si potrebbe vedere nelle etichette di altri vini italiani il nome di alcuni vitigni tipici sardi, prodotti fuori dall'isola;

   il Cannonau è il vino di gran lunga più prodotto in Sardegna al quale è destinato il 27 per cento della superficie vitata dell'isola: 7.411 ettari su 27.217, dei quali 4.875 si trovano nella vecchia provincia di Nuoro, mentre, per gli altri vitigni a rischio, il Nuragus di Cagliari conta 1.492 ettari coltivati su un totale di 1.880 in tutta la Sardegna, il Nasco conta 147 ettari (131 nella provincia di Cagliari), il Semidano 38 ettari dei quali 17 a Cagliari e 20 a Oristano e il Girò 88 ettari, 44 dei quali nella ex provincia di Sassari;

   la modifica, una volta applicata nel nostro Paese, toglierebbe di fatto la protezione che vincolava ad una sola denominazione l'uso del nome di determinati vitigni non tutelando come prima il nome del prodotto legato ad un territorio, ad una tipicità ed identità agronomica ben precisa, rischiando di determinare una omologazione che porterebbe anche una perdita economica per i viticoltori sardi; una sconfitta non solo per la viticoltura ma per tutta la Sardegna;

   l'emergenza da Covid-19 ha portato ad una contrazione delle vendite dei vini di circa il 70 per cento, con previsioni di ulteriori diminuzioni del 65 per cento, e la tutela dei vini Dop della Sardegna si rivela fondamentale per salvaguardare il livello identitario e soprattutto economico dell'isola;

   è necessario tutelare anche i consumatori che potrebbero essere inevitabilmente indotti in inganno da vini prodotti in altre aree del Paese che utilizzerebbero i nomi dei vitigni sardi, conosciuti in tutto il mondo come vini caratteristici ed univoci della Sardegna;

   è essenziale tutelare e proteggere le aziende vitivinicole sarde, ma anche quelle delle altre denominazioni contenute nel suddetto allegato, fortemente rappresentative dei loro territori e simboli del made in Italy, che vedranno perdere appetibilità e valore al proprio prodotto;

   l'articolo 90 della legge n. 238 del 2016 prevede che fino all'emanazione dei decreti applicativi della stessa legge e del succitato regolamento (UE) n. 33/2019 continuano ad essere applicabili per le modalità procedurali nazionali le disposizioni dei precedenti decreti ministeriali –:

   quali iniziative, nell'ambito delle proprie competenze, intenda tempestivamente assumere anche in sede europea, al fine di salvaguardare, tutelare e proteggere, a fronte delle nuove disposizioni dell'Unione europea, quelle denominazioni che sono strettamente correlate a determinati territori, tradizioni e cultura, come il Cannonau e gli altri vini sardi, simboli delle tradizioni e dell'identità viticola sarda, in quanto la loro difesa è fondamentale anche per l'economia dell'isola.
(5-04535)

Interrogazione a risposta scritta:


   CILLIS, VILLANI, PARENTELA e PENNA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   il 18 marzo 1947, con decreto legislativo del capo provvisorio dello Stato n. 281 è stato istituito l'Ente per lo sviluppo dell'irrigazione e la trasformazione fondiaria in Puglia, Lucania ed Irpinia (Eipli);

   in conseguenza del trasferimento alle regioni delle competenze riguardanti l'irrigazione e la trasformazione fondiaria dell'Eipli (decreto del Presidente della Repubblica 18 aprile 1979) sono stati assegnati alle regioni Basilicata, Campania e Puglia le competenze relative ai beni ed al personale, ed all'Eipli le funzioni della progettazione e dell'esecuzione delle opere idrauliche di seconda categoria relative ai bacini interregionali con il relativo esercizio e manutenzione delle opere di competenza;

   pertanto l'Eipli ha sotto la sua diretta gestione otto dighe, quattro traverse, le sorgenti del Tara e centinaia di chilometri di grandi reti di distribuzione, con una capacità massima di accumulo, regolazione e di distribuzione di quasi un miliardo di metri cubi di acqua all'anno;

   l'Eipli ha il compito della gestione, dell'esercizio e della manutenzione delle risorse idriche ed agisce nella qualità di fornitore all'ingrosso di acqua non trattata, per gli usi potabili, alle società acquedotto Lucano, Acquedotto Pugliese, ed al consorzio Jonio-Cosentino; per gli usi irrigui, a nove consorzi di bonifica di Basilicata, Puglia e Campania, ed infine per gli usi industriali allo stabilimento Ilva di Taranto, allo stabilimento Fiat Fca di Melfi oltre a tutta un'altra serie di utenti minori;

   con decreto-legge n. 201 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 214 del 2011, l'Eipli è stato soppresso ed è entrato in fase liquidatoria. L'articolo 21, commi 10 e 11, del suddetto decreto ha disposto misure di trasferimento in favore di un soggetto costituito dallo Stato a cui possono partecipare le regioni interessate;

   questo soggetto, con la legge n. 205 del 2017 (articolo 1, commi 904 e seguenti), è stato identificato in una «società costituita dallo Stato e partecipata, ai sensi dell'articolo 9 del testo unico di cui al decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175, dal Ministero dell'economia e delle finanze, dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e sottoposta alla vigilanza del dipartimento delegato all'autorità politica per le politiche di coesione e per il Mezzogiorno»;

   con provvedimento del 20 dicembre 2019 il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali Bellanova ha nominato commissario dell'Eipli la dottoressa Antonella Guglielmetti, con il compito di portare a termine la fase di liquidazione e la creazione della nuova società, ma dopo sei mesi la situazione complessiva dell'Ente, tra canoni non riscossi, riorganizzazione della governance, problemi di licenziamenti e pignoramenti, risulta essere ancora fortemente ingarbugliata;

   nell'agosto del 2019 il comitato di coordinamento per l'accordo di programma sulle risorse idriche ha certificato che, negli ultimi dieci anni, il gruppo Ilva e l'Arcelor Mittal risultano debitori nei confronti della regione Basilicata per complessivi 19 milioni e 930 mila euro per canoni non versati;

   da un articolo di stampa (Le Cronache del Mezzogiorno del 1° luglio 2020) apprende che, in questo momento, la questione più scottante per la commissaria è quella che riguarda il rinnovo degli incarichi, sembrerebbe già fallito il tentativo dell'ennesima proroga del direttore generale, ma in particolare c'è da prendere decisioni riguardo al personale a tempo determinato a tra questi, sempre secondo l'articolo di stampa, risulterebbe i due fratelli di Alessia Fragassi, che è a capo della segreteria del Ministro Bellanova e dell'Ufficio rapporti ministeriali –:

   se il Governo non ritenga opportuno, alla luce delle problematiche esposte in premessa, intervenire e predisporre ogni utile iniziativa di competenza affinché si possa risolvere la situazione relativamente al recupero dei crediti vantati dalla regione Basilicata nei confronti del gruppo Ilva e della società Arcelor Mittal;

   se intenda chiarire il metodo di valutazione e le procedure che si intendono intraprendere relativamente alla questione delle nomine dirigenziali e dei rinnovi della pianta organica dell'Eipli.
(4-06597)

SALUTE

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, per sapere – premesso che:

   gli italiani eseguono oltre 55 milioni di esami l'anno, e la metà è fuori dalle strutture ospedaliere, perché il Servizio sanitario nazionale non riesce a rispondere all'elevata domanda e, per abbattere le liste d'attesa e colmare le inefficienze, delega, per l'erogazione delle medesime prestazioni, gli imprenditori privati convenzionati, ossia rimborsati attraverso erogazione di fondi pubblici;

   gli imprenditori titolari di strutture convenzionate, ricevono lo stesso rimborso di un ospedale pubblico, pur non offrendo servizi quali pronto soccorso, cure di patologie oncologiche e chirurgia di primo livello, avendo in alcuni casi una convenzione esclusivamente per risonanze, tac, ecografie ed esami del sangue;

   in Italia il Servizio sanitario nazionale eroga un rimborso nei confronti di una clinica privata, per la prestazione eseguita in regime di convenzione, di una cifra decisamente più alta rispetto alla medesima prestazione erogata out of pocket e si è calcolato che, su tutto il territorio nazionale, gli sprechi pesano per 21,5 miliardi di euro l'anno – frodi e sovrapprezzi contano per un terzo – mentre si espande, spesso raddoppiando servizi già erogati, il ruolo del privato;

   sprechi nell'erogazione e nelle gare di acquisto per protesi ed ausili che la pubblica amministrazione eroga presso ortopedie convenzionate con il Servizio sanitario nazionale ad un prezzo maggiore rispetto a quello che potrebbe essere corrisposto se il medesimo acquisto fosse effettuato in maniera privata;

   sarebbe auspicabile attivare controlli capillari nella gestione della fornitura dei servizi riabilitativi generalmente svolti da strutture private e dunque verificare come vengano investite le risorse, in quanto emerge una crescente diminuzione dei servizi offerti da queste strutture accreditate che vanno a prolungare le liste d'attesa;

   si riscontra, altresì, la possibilità, da parte di operatori privati, di presentare proposte di partenariato pubblico privato (Ppp), come previsto dal codice degli appalti, all'articolo 183, comma 15, esternalizzando servizi che prevedono l'accettazione incondizionata del progetto di un singolo proponente, senza alcuna comparazione e valutazione di opportunità rischiando, con tale procedura, di porsi in contrasto con una gestione trasparente ed efficiente delle risorse pubbliche;

   dunque, sprechi di tipo clinico, come l'erogazione di cure inappropriate o duplicazioni di prestazioni senza senso, di tipo organizzativo, come l'uso eccessivo di cure costose, e di tipo amministrativo, attraverso una cattiva gestione delle risorse, stanno logorando il Servizio sanitario nazionale;

   si stima che, nel 2023, a seguito del pensionamento di circa 21.000 unità di medici di medicina generale ci saranno appena 6.000 nuovi ingressi, comportando una carenza di medici di base, con la previsione che circa 1/3 dei cittadini non potranno avvalersi del medico di famiglia;

   allo stato, dunque, eliminando gli sprechi perpetrati che avvantaggiano oggettivamente le strutture private convenzionate, e correggendo le procedure che favoriscono soltanto pochi competitor, si potrebbero utilizzare quelle risorse per apportare importanti miglioramenti alla sanità pubblica, attraverso l'assunzione di nuovo personale medico, dando più spazio alla prevenzione, predisponendo sistemi che consentano di accorciare le liste d'attesa e garantire tempistiche più rapide per l'accesso ai servizi sanitari pubblici –:

   se il Ministro interpellato sia a conoscenza della suindicata situazione, e quali iniziative intenda adottare, per quanto di competenza, per correggere le storture di un sistema compromesso che si è calcificato negli anni e a tal fine di eliminare gli sprechi attraverso l'utilizzo di buone pratiche che già l'Autorità nazionale anticorruzione, di concerto con il Ministero della salute, ha ideato, adottando modelli virtuosi fondati sui principi di responsabilità e trasparenza.
(2-00905) «Nappi, D'Arrando, Villani, Massimo Enrico Baroni».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GRIPPA e BARBUTO. — Al Ministro della salute, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:

   dalla stampa si apprende delle gravissime condizioni in cui versa l'ospedale San Pio della Città di Vasto. In tal senso, vi sono anche descrizioni di chi ha visto crollare parti di alcune controsoffittature e denunce di politici che da tempo si spendono per la sicurezza dell'ospedale. Non da ultimo va segnalato il distacco di energia elettrica che ha visto utenti intrappolati in ascensore. Problemi strutturali su cui ci sono verifiche, ma interventi solo parzialmente riparatori sui quali, invece, bisognerebbe agire con la massima urgenza tra i quali si segnalano: impermeabilizzazione del balcone del quarto piano, la manutenzione o sostituzione dei canali di gronda in cemento armato e lamiera, la verifica dei balconi a sbalzo per evitare altri crolli di pezzi di calcestruzzo, la mappatura delle colonne montanti dei servizi;

   la causa dei crolli che ormai purtroppo sovente si registrano nel nosocomio vastese sarebbero dovute a perdite d'acqua dalle tubazioni che lascerebbero pensare altresì ad una opportuna e necessaria verifica anche dei sottotetti perché restino liberi da carichi che potrebbero non reggere. Sul punto, da quanto riportato sui siti web locali, emerge che anche i vigili del fuoco, avrebbero riscontrato infiltrazioni d'acqua e armature ossidate;

   in tale contesto ormai non più emergenziale, ma cronico e strutturale, si evidenzia altresì la carenza di cinque anestesisti che ha ridimensionato notevolmente le sedute operatorie, tanto che molti pazienti verrebbero spostati sulle strutture di Chieti o Lanciano. Solo recente, invece, risulta l'arrivo di pochi infermieri mentre mancherebbero ancora posti letto;

   è di tutta evidenza la cattiva gestione della sanità dei precedenti governi regionali: anni di chiacchiere, di promesse e di annunci, ma nulla di concreto e tutto a danno dei cittadini che, invece, hanno diritto di sapere le responsabilità di questa vergognosa situazione, ma soprattutto, avere la certezza della integrità ed efficienza delle proprie strutture sanitarie sul territorio;

   seppure l'attuale governo regionale fa sapere sulla stampa che avrebbe già finanziato la somma di euro 900.000 per la messa in sicurezza dei solai danneggiati nel mese di maggio 2020 è invece chiara ai cittadini l'assenza di piani economici per il futuro dei reparti strategici dell'ospedale di Vasto come la cardiologia e l'emodinamica;

   a parere dell'interrogante è necessario conoscere le intenzioni di regione Abruzzo sull'ospedale cittadino e soprattutto se esista un piano strutturale per potenziare la stessa struttura alla luce del fatto che, ad ogni tornata elettorale, nella città vengono riproposti soliti spot di interventi di ripristino del nosocomio «San Pio», nonché sulla costruzione del nuovo ospedale;

   si apprende dalla stampa che il 28 luglio 2020, durante lo svolgimento di una visita ispettiva presso tale ospedale, effettuata da una delegazione di componenti della quinta commissione consiliare permanente della regione Abruzzo, malgrado questi stessi avessero inteso altresì visitare il reparto di cardiologia, da tempo segnalato come ulteriore settore con gravi criticità il direttore generale della Asl locale, Thomas Schael, presente nel corso della visita, avrebbe a quanto consta all'interrogante inopinatamente vietato l'accesso al suddetto reparto, e impedendo per l'effetto l'ingresso ai commissari, nonostante questi avessero fatto richiesta e che si erano anche dimostrati disponibili ad indossare i necessari dispositivi di protezione individuale per effettuare il detto accesso –:

   se i Ministri interrogati siano a conoscenza delle reali condizioni in cui si sta svolgendo l'assistenza sanitaria ai cittadini di Vasto nel nosocomio di cui in premessa;

   quali iniziative intenda adottare il Ministro della salute, per quanto di competenza, e alla luce del fatto che la regione Abruzzo è sottoposta al piano di rientro dai disavanzi del settore sanitario, per risolvere le forti criticità di cui in premessa;

   se intenda adottare iniziative, per quanto di competenza, per verificare se esistono pericoli per la sicurezza di pazienti ed operatori al fine di garantire i livelli essenziali di assistenza e la piena funzionalità dell'ospedale di Vasto.
(5-04538)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GAGLIARDI, BENIGNI, PEDRAZZINI, SILLI e SORTE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   il sistema sanitario calabrese, nonostante sia stato commissariato ormai per oltre 10 anni, rimane in forte difficoltà;

   dopo il cosiddetto «decreto Calabria» dell'aprile 2019, che ha sancito la riappropriazione da parte del Governo della gestione della sanità calabrese ed il temporaneo esautoramento della regione per un periodo di 18 mesi, la situazione non è comunque migliorata;

   la criticità della situazione è stata ultimamente palesata dal drammatico accadimento che ha visto coinvolto il 24 luglio 2020 un ragazzo calabrese di diciotto anni. Il giovane rimaneva coinvolto in un sinistro stradale e, nonostante la gravità delle sue condizioni, ha dovuto attendere ben 90 minuti per l'arrivo di una autoambulanza che lo venisse a soccorrere;

   per evitare il ripetersi di episodi analoghi, di cui intuitivamente si può comprendere la pericolosità, è necessario un intervento urgente del Ministero della salute, volto a sostenere ed incentivare le strutture, i mezzi e gli operatori che si occupano di prestare servizio di primo soccorso ai cittadini in difficoltà –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti di cui in premessa e quali iniziative intenda assumere, per quanto di competenza, per risolvere le problematiche sanitarie indicate.
(4-06596)


   BIGNAMI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   di recente il Ministero della salute ha raccomandato massima attenzione per quanto riguarda le precauzioni da adottare soprattutto con il sopraggiungere dell'autunno. In particolare, ha ribadito che occorre imparare a riconoscere eventuali sintomi sul proprio corpo visto che virus influenzali certamente coesisteranno con il Covid-19. Pertanto, sintomi influenzali e parainfluenzali potrebbero essere confusi con il nuovo coronavirus;

   per prevenire dunque la diffusione di eventuali e ulteriori focolai occorre, a parere dell'interrogante, essere quanto mai tempestivi nella diagnosi, procedendo con tamponi e test sierologici anche a pazienti che presentino un solo sintomo –:

   in che modo stia procedendo il Ministero della salute in relazione a quanto esposto in premessa e considerato che, con il sopraggiungere dell'autunno, il Covid-19 è destinato a coesistere con virus influenzali e parainfluenzali;

   quali disposizioni siano state date ai medici di famiglia rispetto all'eventuale isolamento fiduciario dei pazienti;

   se non si ritenga opportuno adottare iniziative per stabilire che test sierologico e tampone vadano effettuati anche in presenza di un solo sintomo proprio per evitare il dubbio diagnostico rispetto a comuni virus influenzali.
(4-06600)


   CIRIELLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   da una inchiesta giornalistica avviata dal quotidiano «Fanpage», si apprende dell'ennesimo scandalo deflagrato nell'ambito della gestione della Sanità Campana, scandalo che si colora di maggior disvalore in quanto perpetrato durante l'emergenza epidemiologica da Covid-19;

   l'inchiesta, avrebbe disvelato una serie di anomalie, sprechi e inefficienze afferenti alla realizzazione degli ospedali prefabbricati di Caserta e di Salerno, che – voluti fortemente dal presidente della regione Campania – sarebbero serviti per fronteggiare la fase più acuta dell'emergenza sanitaria, ma che purtroppo non sarebbero ancora oggi funzionali perché, tra l'altro, privi del necessario collaudo;

   la vicenda risalirebbe al mese di marzo 2020 quando sarebbe stata indetta una gara d'appalto per la realizzazione di tre ospedali modulari in Campania: uno a Napoli, uno a Caserta e uno all'interno dell'Ospedale Ruggi d'Aragona di Salerno;

   i tre lotti, oggetto della procedura di gara, sarebbero stati aggiudicati dalla società veneta «Med», unico operatore economico che avrebbe offerto un progetto esattamente rispondente alle richieste della regione;

   i fatti in parola, accadevano nel pieno dell'emergenza epidemiologica, ragion per la quale veniva valorizzata, anche ai fini dell'aggiudicazione dell'appalto, la tempistica relativa la realizzazione degli ospedali in questione;

   l'impresa aggiudicataria, infatti, avrebbe dovuto realizzare le opere appaltate in 18 giorni, tuttavia così sembrerebbe non essere stato: il «Covid-hospital» di Salerno sembrerebbe ad oggi non essere ancora ultimato, mentre quello di Caserta non solo non sarebbe stato ultimato entro i 18 giorni previsti, ma sarebbe stato installato su una area di un privato il cui il terreno sarebbe stato requisito e non espropriato dopo la gara d'appalto, con le evidenti conseguenze di legge che ne discenderebbero come la restituzione del terreno nello stato originario all'avente diritto;

   il 18 aprile 2020 il presidente De Luca si recava in visita al cantiere di Caserta affermando, in maniera erronea, dinnanzi alle telecamere, che i tempi erano stati rispettati e che l'ospedale sarebbe stato operativo anche dopo l'emergenza;

   sta di fatto, che gli ospedali di Caserta e di Salerno, costati ben 6 milioni di euro ai cittadini campani non sono mai entrati in funzione in quanto privi del necessario collaudo;

   dalla inchiesta giornalistica, inoltre, sarebbero emerse ombre anche sul consigliere regionale della Campania, Luca Cascone, fedelissimo di De Luca, il cui ruolo nella gestione dell'emergenza sanitaria campana sembrerebbe poco chiaro;

   stando alle testimonianze raccolte, Cascone avrebbe fatto da tramite, nel periodo dell'emergenza, fra SoReSa e varie società fornitrici di dispositivi di protezione individuale e ventilatori pur non essendone incaricato;

   da ultimo si apprende che Cascone in uno al capo dell'Asl Napoli 1 Centro, Ciro Verdoliva, tra i più influenti insieme al presidente De Luca sul fronte della sanità campana, risulterebbero indagati per la vicenda della realizzazione degli ospedali modulari e, più in generale, per la gestione della sanità campana;

   al netto delle indagini condotte dai pubblici ministeri, non può sottacersi che i fatti descritti, ad avviso dell'interrogante, denotino una inaccettabile mala gestio del comparto sanità della regione Campania, dove balzano incontrovertibilmente agli occhi una imperdonabile inefficienza, lo spreco di denaro pubblico oltre che l'assenza di qualsivoglia trasparenza gestionale, a cui bisogna porre urgentemente rimedio per non inficiare oltremodo l'assistenza sanitaria campana –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, considerata la gravità degli stessi, quali iniziative intenda assumere per quanto di competenza;

   se il Governo non intenda adottare le iniziative di competenza al fine di commissariare la gestione della sanità campana per riportarla nell'alveo della correttezza, trasparenza, efficienza ed efficacia, alla luce della attuale situazione emergenziale che potrebbe nei prossimi mesi perdurare se non aggravarsi, con probabile impatto devastante sul servizio sanitario.
(4-06625)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   COLLETTI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   il decreto del Ministro delle attività produttive del 20 luglio 2004, all'articolo 10, prevede il sistema dei «titoli di efficienza energetica» (TEE), conosciuti come certificati bianchi, ovvero titoli negoziabili che certificano il conseguimento di risparmi negli usi finali di energia attraverso interventi e progetti di incremento dell'efficienza energetica;

   con decreto del Ministero dello sviluppo economico 28 dicembre 2012 l'accesso al meccanismo dei certificati bianchi è previsto, oltre che per i soggetti «obbligati» a conseguire gli obblighi quantitativi nazionali annui di incremento dell'efficienza energetica, anche per soggetti «volontari»;

   le linee guida di cui alla delibera EEN 9/11 del 27 ottobre 2011 disciplinano il procedimento per ottenere un numero di titoli pari al risparmio realizzato in favore dei soggetti che effettuano interventi di efficienza energetica;

   numerosi comuni interessati alle opere di efficientamento energetico, tra cui San Giovanni Teatino, Ripa Teatina, Ari e Francavilla al Mare sono stati contattati dal 2016, con modalità di approccio ricorrenti, dalla Gandalf Investiment S.r.l., azienda con sede in Pescara, per la valorizzazione economica di progetti effettuati sui territori comunali, per gli adempimenti istruttori tecnico-amministrativi previsti per i Tee, richiedendo quale corrispettivo quota parte del valore dei certificati bianchi, e/o per farsi autorizzare, mediante convenzione, a richiedere gli incentivi pubblici in nome e per conto del soggetto pubblico;

   nel caso di San Giovanni Teatino, Gandalf risultava in grado di calcolare l'esatto valore dell'appalto, in quanto aveva richiesto tutti i certificati bianchi del comune sottoponendo ad istruttoria del Gse la documentazione necessaria almeno un mese prima; il valore effettivo del servizio appaltato risultava notevolmente superiore all'importo posto a base di gara, con uno scarto notevole tra valore reale e valore fissato dei Tee, in modo da eludere il ricorso alla gara aperta, procedendo, invece, all'affidamento diretto alla Gandalf;

   il caso di Francavilla al Mare presenta forti analogie, sussistendo irregolarità e anomalie simili, sintomatiche di un modus operandi consolidato; infatti, Gandalf ha richiesto mesi prima di qualsiasi affidamento i certificati bianchi del comune, presentando al Gse le richieste di verifica e certificazione dei risparmi, prima dell'aggiudicazione del servizio e addirittura della pubblicazione del bando;

   sulla base dell'istruttoria per la stima del valore economico degli interventi realizzati e conclusi, si autorizzava una gara aperta per l'affidamento del servizio di gestione finanziaria dei Tee, maturati su interventi di efficientamento energetico, con uno scarto notevole tra il loro valore reale e quello fissato; all'esito della procedura di gara risultava aggiudicataria Gandalf che sottoscriveva il contratto e, dopo reiterate richieste di conoscere lo stato delle procedure di vendita e diffida, comunicava che il Gse in autotutela aveva annullato i certificati e che avverso tale atto era stato proposto ricorso al Tar Lazio in seguito alla revoca dei certificati bianchi, compresi quelli dei comuni citati;

   tali circostanze potrebbero arrecare gravi danni alla tutela del principio della concorrenza nel mercato, emergendo evidenti anomalie e criticità nel rapporto pubblico-privato ed arrecano certamente gravi danni e difficoltà ai comuni e agli enti locali coinvolti, tenuto conto che l'importo a base di gara risulta sempre notevolmente sottostimato e, nel caso particolare di Francavilla al Mare, il comune avrebbe dovuto comunque vedersi corrispondere il controvalore degli 11.140 Tte riconosciuti dal Gse per il risparmio energetico conseguito in seguito alle opere di efficientamento dell'impianto di illuminazione pubblica;

   invero, ipotizzando che i Tee del comune di Francavilla al Mare fossero stati immediatamente collocati sulla borsa dei mercati ambientali del Gme e venduti nello stesso mese di emissione al prezzo di contrattazione desunto dalla media dei prezzi di mercato del mese oggetto di contrattazione, rilevata sullo storico degli esiti dei mercati e statistiche della borsa dei mercati ambientali del Gme, l'ente locale avrebbe dovuto incassare, fino al giugno 2020 la somma di euro 2.249.623,32 –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti, in premessa e/o di situazioni analoghe riguardanti altri comuni o enti locali e delle verifiche e dei controlli effettuati dal Gse sui certificati bianchi;

   se intenda promuovere iniziative di competenza, a tutela degli enti interessati, per verificare se quanto evidenziato corrisponda al vero e di conseguenza valutare l'adozione delle necessarie iniziative, anche urgenti, per porvi rimedio, accertando, per quanto di competenza, cause ed eventuali responsabilità, in modo tale che sia riconosciuto agli enti quanto maturato.
(5-04530)

Interrogazione a risposta scritta:


   ALEMANNO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   il decreto-legge «Cura Italia» reca tra le ulteriori misure per fronteggiare l'emergenza derivante dalla diffusione del Covid-19 di cui al Titolo V, Capo I, anche quelle relative a proroghe in materia assicurativa;

   l'articolo 125 reca disposizioni finalizzate a prorogare di ulteriori 15 giorni per i contratti scaduti e non ancora rinnovati e per i contratti che scadono nel periodo compreso tra il 21 febbraio 2020 e il 31 luglio 2020 il termine di cui all'articolo 170-bis, comma 1, del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, entro cui l'impresa di assicurazione è tenuta a mantenere operante la garanzia prestata con il contratto assicurativo fino all'effetto della nuova polizza, nonché alla sospensione su richiesta dell'assicurato, per il periodo richiesto dall'assicurato stesso e sino al 31 luglio 2020, dei contratti di assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti;

   la sospensione del contratto di assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti comporta l'impossibilità per il veicolo stesso di stazionare su strada pubblica o su area equiparata a strada pubblica in quanto temporaneamente privo dell'assicurazione obbligatoria ai sensi dell'articolo 2054 del codice civile, contro i rischi della responsabilità civile derivante dalla circolazione;

   le compagnie assicurative hanno continuato a ricevere i pagamenti delle tariffe stabilite precedentemente all'emergenza da Covid-19, nonostante la maggior parte dei veicoli abbiano stazionato assicurati senza circolare;

   i premi assicurativi non essendo variati hanno costituito un maggiore incasso per le compagnie assicurative a fronte di un servizio non utilizzato, soprattutto considerando il fattore che il valore del premio assicurativo viene calcolato su una media del rischio di sinistri della città in cui si stipula il contratto;

   va considerato inoltre che durante i mesi di «isolamento» i sinistri sono diminuiti dell'85 per cento; le compagnie assicurative dovrebbero quindi rivedere il valore dei premi assicurativi e dei contratti a favore della tutela dei consumatori –:

   se il Ministro abbia intenzione di adottare iniziative, per quanto di competenza, rispetto ai premi pagati per le tariffe assicurative e se sia stata valutata in qualche modo l'opportunità di predisporre iniziative, anche di carattere normativo, nell'ottica di valorizzare il principio di equità alla base del sistema assicurativo e di favorire i consumatori danneggiati da questa situazione.
(4-06618)

UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta scritta:


   AMITRANO e PENNA. — Al Ministro dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

   l'Istituto di studi giuridici internazionali costituito nel 1986, è l'unico organo del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) che svolge attività di ricerca, formazione e alta consulenza nell'ambito del diritto internazionale, del diritto privato comparato e del diritto europeo e che, a tutt'oggi, vanta una significativa tradizione scientifica in materia giuridica, contrassegnata da una crescente produzione scientifica a livello nazionale, europeo e internazionale;

   nel corso degli anni, l'Isgi ha ampliato le sue competenze, rafforzando ulteriormente il ruolo scientifico e la sua capacità di attrazione di fondi nazionali ed europei, attraverso l'acquisizione di oltre 800.000 euro di fondi esterni, mediante la partecipazione a bandi competitivi europei e nazionali ed, oggi, l'istituto è inserito in un'ampia rete di rapporti internazionali con università e centri di ricerca sia europei che extra-europei, spesso formalizzata con appositi accordi di cooperazione;

   l'istituto ha consolidato il proprio posizionamento non solo rispetto agli altri istituti dello stesso Cnr ma anche rispetto alle istituzioni, al contesto economico e sociale, con i quali, oltre a svolgere attività di ricerca, offre supporto tecnico e consulenza giuridica su temi importanti per le politiche nazionali del nostro Paese;

   l'Isgi è composto da una decina di ricercatori e, sin dalla sua costituzione, è stato diretto da professori universitari: il primo di essi ha esercitato il proprio mandato per ben 26 anni e il secondo, in stretta continuità con il precedente, per i successivi 5 anni e come da regolamento, solo negli ultimi due anni, in attesa della nomina del nuovo direttore, l'istituto è stato diretto ad interim dai suoi ricercatori; le commissioni di selezione per la nomina del direttore sono state sempre costituite da professori universitari, compresa quest'ultima, nominata a seguito del bando di selezione n. 390.352 Isgi del dicembre 2019;

   ai sensi del regolamento, la commissione valuta le capacità scientifiche e gestionali dei candidati, sulla base dei titoli presentati e della prova orale, tesa ad accertare la conoscenza della visione strategica del Cnr e la propria strategia di sviluppo dell'istituto, nonché la profonda consapevolezza delle caratteristiche scientifiche e organizzative della struttura da dirigere, designando una terna nell'ambito della quale il Cda, previa audizione, sceglie il nuovo direttore;

   il 22 giugno 2020 la commissione esaminatrice, al termine della prova orale sostenuta dai sette candidati ammessi, ha escluso tutti i candidati interni tra cui un dirigente di ricerca, un primo ricercatore e un ricercatore, i quali hanno tutti contribuito, nelle rispettive aree di azione, in modo molto significativo, al rafforzamento e alla visibilità dell'istituto, includendo nella terna solo ed esclusivamente i professori universitari;

   nella procedura concorsuale esplicata nell'istituto risulta che nella terna selezionata dalla commissione figura anche un professore associato appartenente al medesimo dipartimento dell'università in cui opera uno dei membri della commissione esaminatrice; ciò avrebbe causato alcuni interrogativi e dubbi di opportunità, trasparenza e imparzialità nella procedura di selezione a nuovo direttore dell'Isgi –:

   se il Ministro interrogato, per quanto di competenza, intenda approfondire la vicenda di cui in premessa al fine di assicurare che l'istituto di studi giuridici internazionali del Consiglio nazionale delle ricerche possa continuare a valorizzare e preservare la propria autonomia rispetto all'università.
(4-06616)

ERRATA CORRIGE

  Interrogazione a risposta scritta Rostan n. 4-06440 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta n. 378 del 23 luglio 2020. Alla pagina 14112, prima colonna, alla riga ottava, deve leggersi: «designa una terna nell'ambito della quale il», e non come stampato.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   BENDINELLI, MORETTO e ANNIBALI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   nel carcere di Montorio (Vr) sembra gravissima la situazione del contagio da coronavirus;

   risultano oltre una decina gli agenti penitenziari positivi e altrettanti in quarantena;

   la situazione di Verona è sicuramente straordinaria rispetto alle altre situazioni e merita una particolare attenzione, visto il propagarsi del virus tra il personale penitenziario;

   il personale è estremamente preoccupato per il propagarsi del virus, soprattutto perché, al momento attuale, sembrerebbe che l'amministrazione non abbia attivato sistemi di protezione per evitare che il contagio si espanda;

   si è di fronte a un autentico focolaio di contagio che come tale va affrontato con misure straordinarie;

   l'Sos lanciato dal Sindacato di polizia penitenziaria non è stato raccolto –:

   quali siano i numeri effettivi del contagio tra gli agenti penitenziari e tra i detenuti;

   se il materiale distribuito sia in quantità e di qualità adatti allo scopo;

   quali iniziative si intendano adottare per evitare il rischio di minimizzare situazioni come questa anche in altre carceri e per ovviare a una gestione inappropriata e pericolosa della sanità nelle carceri per i dipendenti e per i detenuti.
(4-05025)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, relativo alla gestione dell'emergenza sanitaria legata al COVID-19 presso la casa circondariale di Verona, si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare, si evidenzia che fin dall'inizio dell'emergenza sanitaria legata alla diffusione del coronavirus, il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria si è attivato attraverso una serie di provvedimenti finalizzati ad arginare l'emergenza e prevenire il rischio di diffusione del contagio in ambito penitenziario.
  Con nota 25 febbraio 2020 recante: «Ulteriori indicazioni per la prevenzione del contagio da Coronavirus» (in attuazione della circolare 22 febbraio 2020, n. 543, del Ministero della salute – direzione generale della prevenzione sanitaria – ufficio V malattie trasmissibili e profilassi internazionali, recante: «COVID-19. Nuove indicazioni e chiarimenti»), il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha disposto che le direzioni penitenziarie individuassero prontamente, all'interno di ogni istituto, uno spazio ove allocare i detenuti nei casi di sospetto contagio, al fine di consentirne l'eventuale isolamento sanitario.
  Con successiva nota dipartimentale 3 marzo 2020, sono state fornite ulteriori indicazioni alle direzioni penitenziarie e ai provveditorati regionali, con la specificazione che gli spazi da destinare all'allocazione dei casi di sospetto contagio dovevano essere individuati secondo le indicazioni del personale medico in servizio presso l'istituto, dando precedenza,
in primis, a quegli spazi che, nel corso del tempo, per via della loro specifica destinazione d'uso (infermerie, transiti, isolamenti, sezioni di prima accoglienza, sezioni semiliberi poste al l'interno della zona detentiva, ecc.), fossero stati utilizzati in modo limitato.
  L'istituto scaligero si è attivato, nell'immediatezza, in ossequio alle disposizione e raccomandazioni impartite dalla sede centrale, comunicando di aver individuato cinque camere di pernottamento all'interno della sezione osservazione psichiatrica
ex articolo 112 del decreto del Presidente della Repubblica n. 230 del 2000 per l'isolamento dei detenuti sospetti o positivi al COVID-19; otto camere della sezione semilibertà per l'isolamento preventivo dei nuovi arrestati e/o trasferiti da altra sede (di cui, due riservate al reparto femminile); cinque camere detentive della sezione isolamento per l'isolamento preventivo dei detenuti trasferiti per motivi di sicurezza ai sensi dell'articolo 32 del decreto del Presidente della Repubblica n. 230 del 2000.
  Sono state adottate, altresì, specifiche disposizioni per la sanificazione di tutti gli ambienti, con opportuna cadenza durante la settimana, ivi comprese le giornate festive. Inoltre, grazie alla collaborazione instaurata dalla direzione con l'Esercito italiano, in data 4 aprile, è stata sanificata tutta l'area e gli edifici dell'intercinta, nonché alcuni reparti all'interno del muro di cinta.
  Con apposito ordine di servizio, la direzione veronese ha ribadito l'uso obbligatorio delle mascherina per tutti i detenuti, nelle sezioni in cui sono ubicati detenuti positivi. Gli operatori di polizia sono forniti di guanti e mascherine e, qualora si rendesse necessario entrare in contatto stretto con un detenuto positivo al COVID-19 per situazioni di emergenza penitenziaria, è stato disposto l'uso delle mascherine FFP3, nonché della tuta intera e degli occhiali di protezione.
  Inoltre, qualora il detenuto dovesse uscire dalla camera di pernottamento per eventuali esigenze, quali, ad esempio, effettuare una telefonata, lo stesso e il personale operante dovranno indossare il camice monouso e mantenere la distanza raccomandata e, al termine della telefonata, l'apparecchio telefonico utilizzato dovrà essere sanificato dal ristretto tramite spray disinfettante fornito dagli operatori ivi presenti.
  È stato riferito che ogni poliziotto ha ricevuto in dotazione la mascherina individuale riutilizzabile e lavabile a 60 gradi e che sono disponibili, per tutti, idonei quantitativi di guanti.
  Si evidenzia, altresì, che la direzione dell'istituto ha compulsato il direttore generale dell'A.s.l. della città per avere una corsia preferenziale alla processazione dei tamponi dei detenuti, onde acquisirne in tempi brevi i relativi risultati ed effettuare, così, la separazione dei possibili positivi dalla restante popolazione detenuta.
  In considerazione dell'emergenza sanitaria venutasi a creare nell'istituto scaligero, inoltre, il locale provveditorato regionale ha reso noto di aver chiesto alle autorità competenti, sia giudiziarie sia delle forze dell'ordine, la sospensione delle associazioni di altri soggetti privati della libertà nel penitenziario veronese, destinando i soggetti maschili agli istituti di Vicenza, Rovigo, Padova, Treviso, Belluno e Venezia, mentre, agli istituti di Venezia e Trieste i soggetti femminili.
  Relativamente al numero dei contagi, si evidenzia che, alla data del 6 maggio 2020, erano 2 i detenuti posti in isolamento precauzionale (1 sintomatico e l'altro asintomatico) e 31 quelli risultati positivi al COVID-19 per i quali è stata inoltrata richiesta all'Autorità giudiziaria competente di differimento o sospensione pena.
  Con riferimento al personale del corpo, invece, alla stessa data, erano 13 le unità di personale di polizia penitenziaria risultate positive al tampone e 7 gli allontanamenti precauzionali asintomatici.
  Relativamente al quesito riguardante le iniziative adottate per contenere e contrastare i rischi sanitari derivanti dalla diffusione del virus negli istituti penitenziari e in linea con gli atti normativi adottati dal Governo, il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha emanato diversi provvedimenti volti a sensibilizzare le direzioni penitenziarie e il personale in servizio verso un puntuale adempimento delle indicazioni del Ministero della salute.
  In particolare, fin dai primi segnali dell'epidemia, le direzioni sono state invitate ad assumere contatti con le autorità sanitarie del territorio per elaborare protocolli operativi condivisi, appropriati per il contesto penitenziario, nonché per adottare chiare procedure relative al prelievo dei tamponi e al trattamento conseguente dei casi sospetti di infezione nell'ambito della popolazione detenuta, comprendendo anche le eventuali misure di isolamento e la conseguente sorveglianza sanitaria.
  È stata disposta la riorganizzazione degli ambienti detentivi con l'obiettivo di individuare, secondo le indicazioni del personale medico in servizio, gli spazi da destinare ai detenuti positivi o sospetti contagiati, per consentirne l'isolamento sanitario.
  Particolare attenzione è stata posta al controllo dei detenuti che hanno accesso dall'esterno (cosiddetti nuovi giunti); per costoro, infatti, si esegue uno specifico preliminare monitoraggio, con possibilità di utilizzare anche uno spazio di
pre-triage, grazie alla fornitura ricevuta dal dipartimento della Protezione civile di sistemi di rapida installazione (piccole tensostrutture), all'interno dei quali il personale sanitario competente effettua tutti i necessari accertamenti preventivi.
  Le direzioni sono state invitate, inoltre, unitamente a tutte le aree dell'istituto, ed in particolare unitamente all'area sanitaria, a predisporre un piano emergenziale per gestire tale circostanza.
  Tale piano di intervento, oltre a individuare ulteriori posti detentivi per l'isolamento sanitario, deve considerare anche modalità organizzative per la gestione di quanti possano essere ricoverati in strutture sanitarie esterne.
  In proposito, per l'istituto veronese il provveditore ha ipotizzato l'attivazione di un reparto ospedaliero da dedicare solamente ai detenuti positivi, facendo appello a quelle strutture che sono in fase di dimissione, come la sede dell'ospedale militare di Verona, che strutturalmente potrebbe anche offrire un'apprezzabile garanzia dal punto di vista securitario.

Il Ministro della giustizia: Alfonso Bonafede.


   CENTEMERO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   da notizie di stampa e analisi economiche, nonché da un colloquio avvenuto il 31 gennaio 2020 tra il nuovo presidente argentino, il «peronista moderato» Alberto Fernandez, ed il Pontefice, si evince come sia ormai imminente il precipitare di una grave crisi nel Paese sudamericano, anche alla luce del piano di emergenza economica varato dal Presidente stesso proprio nei giorni scorsi;

   se tale crisi e il debito pubblico continuassero ad aggravarsi, è molto probabile che l'Argentina vada in default come già successo nel 2001. In quel periodo il mancato pagamento di 100 miliardi di dollari coinvolse milioni di investitori italiani che avevano acquistato quelli che all'epoca vennero definiti «Tango bond»;

   da fonti di stampa si apprende anche che nel 2018 le esportazioni italiane verso l'Argentina sono state pari a 1.153,7 milioni di euro, mentre le importazioni hanno raggiunto i 1.098,6 milioni di euro: il rischio è che queste cifre possano precipitare a seguito dell'imminente crisi, mettendo a rischio la stabilità di tante aziende – tra queste le più note sono Cnh Industrial, Fca, Pirelli, Salini-Impregilo, Enel e Tenaris – che importano ed esportano in questi territori;

   l'Italia esporta in Argentina soprattutto macchine, apparecchi e materiale elettrico così come prodotti chimici, e importa dal Paese prodotti di origine animale e alimentare; quindi, a soffrire di tale crisi non sarebbero solo le piccole e medie imprese ma anche note multinazionali che nel territorio hanno una presenza storica importante –:

   se il Governo stia valutando le eventuali misure da mettere in campo al fine di limitare i danni per le imprese italiane in modo da poterle tutelare nel caso si trovino coinvolte nella crisi economica argentina.
(4-04637)

  Risposta. — L'Italia ha un partenariato speciale con l'Argentina, rafforzato dalla circostanza che quasi la metà della popolazione ha origini vicine o lontane nel nostro Paese. In tale contesto, il Governo italiano segue con grande attenzione la crisi economica argentina così come la rinegoziazione del programma di assistenza finanziaria del Fondo monetario internazionale.
  Il 31 gennaio 2020, i colloqui tenutisi a Roma fra il Presidente del Consiglio Conte ed il Presidente della Repubblica argentina Fernandez hanno rimarcato la profondità dei rapporti bilaterali, sottolineando la dimensione anche economica della collaborazione fra i due Paesi, un legame confermato anche con la recente telefonata dell'8 maggio 2020, servita a ribadire il sostegno dell'Italia in un momento particolarmente difficile per l'Argentina, la quale – nel pieno della crisi sanitaria del Coronavirus – si trova impegnata in un delicatissimo negoziato per la ristrutturazione del debito internazionale.
  La collaborazione economica si fonda sulla presenza di circa 250 imprese italiane, di cui quasi la metà attive nel settore manifatturiero. Le aziende italiane costituiscono una presenza solida nel Paese e non hanno mai abbandonato l'Argentina, nemmeno nei momenti più critici. Oltre a ciò, l'Argentina resta un mercato strategico per il nostro sistema produttivo e una destinazione privilegiata degli investimenti italiani. È infatti il terzo mercato di destinazione delle nostre esportazioni in America centro-meridionale.
  Nonostante la seria crisi economica che sta interessando il Paese, il Governo italiano ritiene necessario proseguire lungo il solco della collaborazione tra le rispettive realtà produttive nazionali e auspica che le nostre imprese possano continuare ad operare come
partner privilegiati nell'ambito dei progetti strategici di recente avvio in Argentina. Il Presidente del Consiglio Conte non ha mancato di valorizzare col Presidente argentino Fernandez la presenza delle nostre imprese, sottolineando l'importanza di tutelare i loro interessi. Il Governo italiano ha espresso l'auspicio che l'Esecutivo possa continuare a garantire alle aziende italiane le condizioni per operare con successo in Argentina a beneficio di entrambi i Paesi.
  Nell'interesse primario della tutela delle nostre aziende presenti nel Paese, il Governo ritiene che sia prioritario garantire all'Argentina il pieno sostegno italiano in questa delicata congiuntura economica, incoraggiando il Paese a perseguire fin d'ora i negoziati avviati con il Fmi per un nuovo programma finanziario.
  Auspichiamo inoltre che, in un momento particolarmente difficile sia per le economie avanzate, che per quelle emergenti che si trovano accomunate nell'affrontare la sfida senza precedenti posta dalla pandemia COVID-19, l'esecutivo argentino sappia contemperare l'adozione delle comprensibili misure sociali con l'esigenza di mantenimento delle promesse di pagamento internazionale, senza trascurare la necessità di tutelare gli investimenti stranieri, fra cui ovviamente quelli italiani.
  Il nostro Governo continua a monitorare costantemente e da vicino gli sviluppi della situazione economico-finanziaria argentina e rimane in stretto contatto con le nostre aziende operanti nel Paese, che non hanno finora avanzato specifiche richieste.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionale: Ricardo Antonio Merlo.


   DELMASTRO DELLE VEDOVE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, — Per sapere – premesso che:

   il propalarsi incontrollato del coronavirus costituisce oggi una chiara emergenza sanitaria nazionale;

   il Governo ha assunto provvedimenti volti al contenimento del coronavirus che, fatalmente, riverberano effetti drammatici sull'economia nazionale;

   è necessario, pur assegnando priorità assoluta all'emergenza sanitaria, immaginare strumenti per la ricostruzione economica del tessuto imprenditoriale italiano, fortemente provato dalle misure di contenimento della diffusione del coronavirus;

   particolare sofferenza è stata registrata nel settore del Made in Italy e delle esportazioni;

   sono state annullate decine e decine di manifestazioni fieristiche legate al Made in Italy;

   come ricordato dal Presidente per l'istituto per la tutela dei produttori italiani Professor Walter Martini, nel «manifesto dei produttori italiani», inviato al Governo e al Parlamento, gli imprenditori italiani si stanno impegnando per mantenere inalterato il tasso occupazionale, nonostante gli effetti involontariamente perversi e pregiudizievoli dei provvedimenti volti al contenimento della diffusione del coronavirus;

   nel predetto manifesto dei produttori viene suggerito il finanziamento di showroom permanenti dei produttori italiani nelle maggiori metropoli del mondo per ricostruire la nostra immagine e rilanciare l'export del Made in Italy;

   il suggerimento scaturisce anche dalla amara considerazione che, in alcuni casi, le manifestazioni fieristiche si svolgono in ambienti equivoci che, prima di promuovere la diffusione del Made in Italy, agevolano, alimentano e sollecitano la delocalizzazione della produzione, facendo leva sul vantaggio competitivo costituito dal minor costo della manodopera;

   una rete di showroom permanenti del Made in Italy, frutto di un patto fra produttori e Governo potrebbe, viceversa, alimentare la vera tutela del Made in Italy e la vera promozione del Made in Italy –:

   se il Governo ritenga opportuno adottare iniziative volte a promuovere e sostenere una rete permanente di showroom nel mondo per la promozione del Made in Italy.
(4-04921)

  Risposta. — Il Governo e in particolare il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, in qualità di Dicastero competente anche per il commercio estero e l'internazionalizzazione delle imprese, è pienamente consapevole della rilevanza dell'export per la tenuta complessiva dell'economia italiana, nonché dell'importanza di proseguire in maniera ancora più incisiva nell'azione di promozione e tutela del «Made in Italy» all'estero.
  Con questi obiettivi, il Ministero, proprio al fine di attivare delle vetrine del
Made in Italy che siano pienamente inserite nei canali commerciali dei vari Paesi target, con il coinvolgimento di Ice-Agenzia, intende puntare su un rafforzamento della presenza dei nostri prodotti nelle catene della grande distribuzione organizzata. Prenderanno avvio in queste settimane una serie di campagne con i grandi player internazionali per incrementare la presenza delle produzioni italiane di qualità. È in via di definizione il primo accordo in Germania con Kadewe ed in Francia con Galeries Lafayette e Biedronka in Polonia; in Nord America, saranno a breve attivi in Usa gli accordi con Hyvee (117 aziende) e Rouses (168) e sono operativi quelli con HEB e Wakefern. In molti Paesi arabi (Eau, Bahrein e Qatar) si sta ultimando il rinnovo dell'accordo con Lulu. Inoltre, si procederà a finalizzare accordi con nuovi soggetti, come ad esempio il gruppo Hyundai in Corea del Sud e la Federazione dei supermercati in Giappone.
  Nella consapevolezza della penalizzazione imposta dalla pandemia sui mercati fisici in alcuni Paesi, ci proponiamo di dare un robusto impulso alla visibilità dei prodotti italiani sulle piattaforme virtuali, veri e propri
showroom digitali.
  In Cina, saranno attuati a breve gli accordi con Tencent (per la
app Wechat – previste per il 2020 fino a 300 aziende sul nuovo Pavilion Italia) e con JinDong (per JD.com – fino a 200 aziende) che si aggiungono ai progetti già in corso di realizzazione con il gruppo Suning (150 aziende di cui 40 nuove sia nei nuovi supermercati Sups che nella nuova piattaforma online) e con i supermercati online di Alibaba (Hema o FreshHyppo fino a 40 aziende nuove).
  In Europa, prosegue il progetto Amazon per le vetrine
Made in Italy in Francia, Germania, Spagna, Regno Unito dove sono presenti già 300 aziende ma con la possibilità di inserirne altrettante, mentre entrerà in vigore il terzo accordo con Ocado (principale piattaforma inglese di vendita per l'agroalimentare). Abbiamo inoltre avviato delle trattative con ulteriori grandi attori del mercato digitale, come Wildberries nella Federazione Russa. Queste iniziative potranno contare su uno stanziamento pubblico totale pari a 20 milioni di euro.
  Tra le altre attività sviluppate all'interno del piano straordinario per la promozione del
Made in Italy, si segnala, inoltre, il progetto Highstreet Italia. Si tratta di uno spazio multifunzionale permanente, situato a Seul (Corea del Sud), ove le imprese italiane, in particolare le Pmi, possono non solamente esporre e vendere i propri prodotti, ma anche realizzare, in via autonoma o partecipando a programmi ideati da Ice Agenzia, attività di promozione e di marketing, incontri b2b, eventi, mostre, workshop, cooking show e altro. Highstreet Italia e stato inaugurato l'11 dicembre 2019 ed è costituito da un building di 4 piani localizzato in Garosu Gil, una delle strade dello shopping di tendenza di Seoul, collocazione ideale per promuovere le tipologie di prodotto tipiche del Made in Italy.
  Inoltre, per le aziende italiane interessate ad aprire
showroom, corner e centri di assistenza post vendita all'estero, ricordo che Simest può concedere finanziamenti agevolati (della durata di 6 anni, di cui 2 di preammortamento) per un ammontare minimo di 50 mila euro fino a un massimo di 2,5 milioni di euro sulla base delle tipologie di intervento previste dalla legge n. 394 del 1981. Con il decreto-legge Cura Italia (in particolare l'articolo n. 72), il Governo ha da ultimo previsto che una parte di tali finanziamenti possano essere concessi a fondo perduto, previa delibera del comitato agevolazioni presieduto dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionale: Manlio Di Stefano.


   DELMASTRO DELLE VEDOVE e DONZELLI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   l'interrogante è venuto a conoscenza di un caso di due cittadini italiani minorenni attualmente trattenuti in Tunisia dai parenti del padre tunisino, deceduto, contro la volontà dalla madre italiana; i due bambini, il primo nato nel 2011 e la seconda nata nel 2013, si trovano e dimorano con la famiglia paterna a Kairouan sud-Khadra;

   la madre è stata vittima di violenze fisiche e psicologiche da parte del padre e si è recata più volte presso un centro antiviolenza e ha sporto anche successive denunce all'autorità giudiziaria;

   gli episodi di violenza e percosse sono avvenuti anche successivamente alla fine del loro matrimonio, in quanto la donna ha mantenuto contatti con l'ex marito per vedere i propri figli e cercare di riportarli in Italia;

   la donna si è recata più volte in Tunisia con il marito e i propri figli per visitare i nonni paterni. Anche in queste occasioni è stata oggetto di ripetute violenze, psicologiche e fisiche, perpetrate anche davanti ai bambini e ai parenti dell'uomo. La donna ha raccontato in successive denunce di essere stata legata con fil di ferro e rinchiusa in camera in Tunisia per non farla uscire con i bambini;

   al fine di evitare l'espatrio e manifestando la propria volontà di non far tornare più i bambini in Italia, l'uomo ha strappato il passaporto della donna che, fortunatamente, è riuscita comunque a rientrare in Italia attraverso una carta d'identità valida per l'espatrio;

   l'uomo, nel 2016, ha anche denunciato presso un giudice tunisino che qualora i bambini fossero ritornati in Italia sarebbero stati sottratti alla famiglia ed affidati ad altre persone. Tale circostanza è stata smentita da un'informativa dei servizi sociali del comune di Viareggio indirizzata al tribunale familiare del Kairouan, con la quale si smentisce l'esistenza di un provvedimento di allontanamento dei minori in questione e la conferma che la donna ha la piena potestà genitoriale, ritenendo altresì opportuno il ritorno in Italia dei due minori, dove sono nati e risultano ben inseriti;

   giova ricordare che i due bambini sono cittadini italiani in quanto figli di cittadina italiana e che l'ordinamento italiano prevede l'istituto della responsabilità genitoriale, ossia l'attribuzione ai genitori del potere di proteggere, educare e istruire il minore e di curarne gli interessi;

   i titolari della responsabilità genitoriale agiscono come rappresentanti legali del minore, che è privo della capacità di agire sino alla maggiore età. La responsabilità genitoriale è esercitata di regola congiuntamente da entrambi i genitori, tranne ipotesi eccezionali, in cui è esercitata in maniera esclusiva da uno solo, circostanza esclusa nel caso in questione da parte dei servizi sociali del comune di Viareggio;

   vale la pena ricordare, inoltre, che in caso di contrasto tra i genitori o di conflitto di interessi tra di essi, ciascuno di loro può chiedere l'intervento del giudice, che può anche nominare un curatore speciale dei figli;

   la responsabilità genitoriale comporta una serie di doveri nei confronti dei figli, come custodirli destinando il proprio domicilio al minore, allevarli fornendo il necessario per vivere e crescere, educarli, istruirli –:

   quali siano gli intendimenti del Governo in merito alla possibilità di intraprendere le opportune iniziative diplomatiche con la Repubblica Tunisina al fine di favorire il rimpatrio dei due cittadini italiani minorenni attualmente trattenuti in loco dai parenti del padre, deceduto, contro la volontà della madre.
(4-05168)

  Risposta. — A seguito di una segnalazione giunta a questo Ministero dall'associazione Penelope-Toscana, la vicenda in esame è stata seguita dall'ambasciata a Tunisi, la quale, nel luglio 2018, era entrata in contatto con la connazionale al fine di prestarle ogni possibile assistenza.
  In particolare, la nostra Rappresentanza aveva fornito alla signora indicazioni utili circa gli strumenti e le modalità con i quali poter attivare davanti al competente tribunale tunisino un'azione volta all'ottenimento dell'affido esclusivo dei minori a seguito del decesso del coniuge. Tale azione giudiziaria si configura infatti quale condizione imprescindibile per poter successivamente procedere al rimpatrio dei piccoli.
  A tal fine l'ambasciata aveva rappresentato all'interessata la necessità di rivolgersi ad un avvocato locale – che sarebbe stato individuato, se necessario, con il sostegno della stessa sede – in grado di assisterla nel presentare le proprie richieste davanti al giudice di famiglia tunisino.
  La nostra Rappresentanza si era inoltre adoperata per avere notizie sullo stato di salute e sulle condizioni di vita dei due minori.
  L'ultimo contatto con la connazionale risale al frangente sopra esposto. Da allora la medesima non si è più rivolta all'ambasciata per ulteriori forme di assistenza, né ha aggiornato la sede su eventuali azioni legali promosse in Tunisia.
  A seguito di quanto rappresentato dagli interroganti, l'ambasciata ha prontamente provveduto a contattare la signora mettendosi nuovamente a sua disposizione per ogni possibile sostegno – nell'ambito delle proprie competenze e nel rispetto della normativa locale – e per gli interventi in suo favore che dovessero rendersi necessari nei confronti delle competenti istanze tunisine.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionale: Ricardo Antonio Merlo.


   DELMASTRO DELLE VEDOVE e FERRO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   il 21 marzo 2020 una circolare trasmessa per conto del direttore generale del Dap Giulio Romano, inviata a tutti i penitenziari italiani con oggetto generico «Segnalazione all'autorità giudiziaria», invita a comunicare «con solerzia alla Autorità giudiziaria, per le eventuali determinazioni di competenza», il nominativo di quei detenuti che hanno più di 70 anni e sono affetti da determinate patologie;

   la circolare segue l'emanazione del decreto-legge «Cura Italia» con cui il Governo affronta il problema del sovraffollamento delle carceri, prevedendo gli arresti domiciliari per i detenuti che abbiano una condanna «non superiore a 18 mesi, anche se costituente parte residua di maggior pena»;

   il documento del Dap non fa distinzione tra detenuti. Ed è proprio quella mancata distinzione che ha fatto scattare l'allarme negli ambienti giudiziari, perché così si includono anche quei soggetti sottoposti al regime carcerario del 41-bis. Si parla di una «popolazione» di 74 boss al carcere duro, a cui si aggiungono le diverse centinaia di detenuti in alta sicurezza, che potenzialmente rientrerebbero nella «casistica» dei soggetti a rischio;

   tra i potenziali beneficiari delle misure riconducibili al decreto «Cura Italia» vi sono: Leoluca Bagarella, Pippo Calò, Nitto Santapaola, Raffaele Cutolo, Pasquale Condello, Giuseppe Piromalli, Umberto Bellocco, Benedetto Capizzi, Ordinamento penitenziario Carmine Fasciani, Vincenzo Galatolo, Teresa Gallico, Raffaele Ganci, Tommaso Inzerillo, Salvatore Lo Piccolo, Piddu Madonia, Nino Rotolo e Benedetto Spera. Tutti nomi di primissimo piano di Cosa Nostra, 'Ndrangheta e Camorra;

   come nella circolare del Dap, ai primi di aprile 2020 è stata trasmessa un'ulteriore disposizione da parte del procuratore generale della Cassazione Giovanni Salvi, a tutte le procure generali d'Italia. Nel documento in cui si suggeriva di considerare il carcere come «extrema ratio»;

   dal combinato disposto dei due documenti emerge che la decisione finale viene lasciata nelle mani del singolo giudice chiamato ad assumere le proprie «determinazioni di competenza», assumendosi di fatto ogni responsabilità qualora accada qualcosa al detenuto che ha presentato l'istanza tramite il proprio legale –:

   quali siano gli intendimenti del Governo, per quanto di competenza, in merito alla scarcerazione dei detenuti sottoposti al regime carcerario del 41-bis e di quelli detenuti in alta sicurezza ai sensi della normativa riconducibile al decreto «Cura Italia», su cui ha posto la questione di fiducia alle Camere;

   quali siano gli intendimenti del Governo in merito all'emanazione di linee guida contenenti criteri precisi che sollevino i singoli giudici, soggetti alla legge ai sensi dell'articolo 101 della Costituzione, dalla responsabilità di aver rimesso in libertà detenuti sottoposti al regime carcerario del 41-bis e detenuti in alta sicurezza applicando le disposizioni volute dal Governo.
(4-05332)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, relativo ai recenti provvedimenti di scarcerazione emessi dall'autorità giudiziaria nei confronti di soggetti ascritti ai circuiti di Alta sicurezza e 41-bis, si rappresenta quanto segue.
  I provvedimenti di differimento dell'esecuzione pena, ai sensi degli articoli 146 del codice penale (rinvio obbligatorio) e 147 del codice penale (rinvio facoltativo), ovvero la detenzione domiciliare ai sensi dell'articolo 47-
ter, comma 1-ter, dell'ordinamento penitenziario, possono essere adottati a prescindere dalle preclusioni di cui all'articolo 4-bis dell'ordinamento penitenziario.
  Il rinvio facoltativo dell'esecuzione della pena non può essere adottato se sussiste il «concreto pericolo della commissione di delitti» (articolo 147, comma 4, del codice penale).
  La valutazione relativa alla sussistenza o meno dei presupposti per la concessione dei «benefici penitenziari», nonché il bilanciamento tra l'esigenza di tutelare la salute del soggetto e la necessità di prevenire il pericolo di recidiva, competono alla magistratura di sorveglianza, la quale è tenuta altresì a valutare l'eventuale necessità di una iniziale concessione provvisoria «
de plano».
  Inoltre, ai sensi dell'articolo 666, comma 5, codice di procedura penale «il giudice può chiedere alle autorità competenti tutti i documenti e le informazioni di cui abbia bisogno»; può dunque chiedere alla competente autorità sanitaria le informazioni relative alle misure adottate nell'istituto e nella sezione di appartenenza per la prevenzione del pericolo di contagio (come anche quelle di approfondimento sulla pericolosità, di cui sono già indice la sottoposizione allo speciale regime detentivo
ex articolo 41-bis, comma 2, dell'ordinamento penitenziario o l'assegnazione al circuito Alta sicurezza).
  Con nota del 21 marzo 2020, n. 95907, la direzione generale dei detenuti e del trattamento del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, ha disposto che le, direzioni degli istituti penitenziari segnalassero all'autorità giudiziaria, «per le eventuali determinazioni di competenza», i nominativi dei ristretti rispetto ai quali, in conseguenza dell'attuale emergenza sanitaria, per patologie o condizione, era possibile riconnettere un elevato rischio di complicanze.
  Tale nota, coerente con il disposto di cui agli articoli 23, comma 2, e 108 del decreto del Presidente della Repubblica n. 230 del 2000 è in linea di continuità con la lettera circolare del capo del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria 14 novembre 2012, n. 405351, ed è in sintonia con quanto affermato dal gruppo tecnico interregionale della sanità penitenziaria (Gispe) – commissione salute, da ultimo in data 22 aprile 2020, nel documento in materia di linee di indirizzo recante: «gestione Covid-19 all'interno degli istituti penitenziari italiani» nella parte in cui viene stabilito che occorre «...favorire o promuovere, in tempi brevi, per quanto di competenza, le istanze di misure alternative o di sostituzione di misure cautelari. I servizi sanitari segnaleranno all'autorità giudiziaria e alle direzioni degli istituti penitenziari le persone detenute che per età e/o patologie possono presentare un rischio per lo sviluppo di complicanze da Covid-19...; ...le direzioni degli istituti penitenziari indicheranno ai servizi sanitari quali persone detenute potrebbero, per condizioni giuridiche, essere ammesse a misure alternative e, per questi casi, le Asl forniranno relative relazioni sanitarie ai fini della possibile fruizione di misure esterne alla detenzione».
  L'articolo 123 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, nel consentire ai condannati la cui pena detentiva, anche se residuo di maggior pena, non sia superiore a diciotto mesi, l'esecuzione di detta pena detentiva presso la propria abitazione o presso altro luogo privato o pubblico di cura, assistenza e accoglienza, esclude dalla possibilità di fruire di tale modalità esecutiva coloro la cui condanna sia stata pronunciata per i delitti di maggiore gravità.
  In particolare, sono stati esclusi dalla possibilità di accedere alla detenzione domiciliare, con le modalità semplificate che l'emergenza sanitaria in atto ha imposto al fine di evitare il rischio che l'epidemia dilagasse nelle carceri, tutti i soggetti condannati per taluno dei delitti indicati nell'articolo 4-
bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, ovvero per i medesimi delitti ai quali fa riferimento anche l'articolo 41-bis della medesima legge, nel prevedere che possa essere disposto, a carico delle persone che per essi abbiano riportato condanna e nella concorrenza degli altri presupposti, il regime detentivo speciale.
  Sono stati parimenti esclusi dalla fruibilità di tale modalità esecutiva della pena, anche i soggetti condannati per i delitti di cui agli articoli 572 e 612-
bis del codice penale, i delinquenti abituali, professionali o per tendenza, oltre che i detenuti sottoposti al regime di sorveglianza particolare, ai sensi dell'articolo 14-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354.
  Inoltre, proprio al fine di evitare che le disposizioni introdotte in materia di detenzione domiciliare potessero consentire l'uscita dagli istituti penitenziari di soggetti che avessero dato prova, nel corso dell'ultimo anno di detenzione, di pericolosità sociale, è stato escluso che tale modalità di esecuzione della pena potesse essere ottenuta dai detenuti che nell'ultimo anno abbiano riportato sanzioni disciplinari per evasione o per aver commesso fatti previsti dalla legge come reato in danno di compagni, di operatori penitenziari o di visitatori, o, ancora, per aver promosso o partecipato a disordini e sommosse, oppure nei cui confronti sia stato redatto rapporto disciplinare per le sommosse o i disordini scoppiati dopo il 6 marzo 2020.
  Peraltro, il comma 2 della medesima disposizione lascia un ampio margine di apprezzamento al magistrato di sorveglianza, consentendogli di non adottare il provvedimento che dispone l'esecuzione della pena a domicilio qualora ravvisi gravi motivi ostativi alla sua concessione in favore del singolo detenuto.
  Infine, sempre in considerazione della necessità di evitare rischi per la sicurezza pubblica, è stato introdotto, rispetto alle disposizioni relative all'esecuzione presso il domicilio di cui alla legge 26 novembre 2010, n. 199, l'obbligo dell'adozione della procedura di controllo mediante mezzi elettronici o altri strumenti tecnici alla cui applicazione il condannato maggiorenne deve prestare consenso, nel caso intenda fruire della detenzione domiciliare ed abbia una pena residua da espiare superiore ai sei mesi di reclusione.
  Da ultimo, con l'articolo 2 (disposizioni urgenti in materia di detenzione domiciliare e permessi) del decreto-legge 30 aprile 2020 n. 28, entrato in vigore il 30 aprile 2020, ossia il giorno stesso della sua pubblicazione nella
Gazzetta Ufficiale, sono state apportate le seguenti modificazioni alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in tema di permessi di necessità e detenzione domiciliare cosiddetta umanitaria:

   «a) all'articolo 30-bis:

    1) al primo comma sono aggiunti in fine i seguenti periodi: “Nel caso di detenuti per uno dei delitti previsti dall'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale, l'autorità competente, prima di pronunciarsi, chiede altresì il parere del procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto ove ha sede il tribunale che ha emesso la sentenza e, nel caso di detenuti sottoposti al regime previsto dall'articolo 41-bis, anche quello del procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo in ordine all'attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata ed alla pericolosità del soggetto. Salvo ricorrano esigenze di motivata eccezionale urgenza, il permesso non può essere concesso prima di ventiquattro ore dalla richiesta dei predetti pareri.”;

    il nono comma è sostituito dal seguente: “il procuratore generale presso la corte d'appello è informato dei permessi concessi e del relativo esito con relazione trimestrale degli organi che li hanno rilasciati e, nel caso, di permessi concessi a detenuti per delitti previsti dall'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale o a detenuti sottoposti al regime previsto dall'articolo 41-bis, ne dà comunicazione, rispettivamente, al procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto ove ha sede il tribunale che ha emesso la sentenza e al procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo.”;

   b) all'articolo 47-ter, dopo il comma 1-quater, è aggiunto il seguente: “1-quinquies. Nei confronti dei detenuti per uno dei delitti previsti dall'articolo 51, comma 3-bis e 3-quater del codice di procedura penale o sottoposti al regime previsto dall'articolo 41-bis, il tribunale o il magistrato di sorveglianza, prima di provvedere in ordine al rinvio dell'esecuzione della pena ai sensi degli articoli 146 o 147 del codice penale con applicazione della detenzione domiciliare, ai sensi del comma 1-ter, o alla sua proroga, chiede il parere del procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto ove ha sede il tribunale che ha emesso la sentenza e, nel caso di detenuti sottoposti al regime previsto dall'articolo 41-bis, anche quello del procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo in ordine all'attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata ed alla pericolosità del soggetto. I pareri sono resi al magistrato di sorveglianza e al tribunale di sorveglianza nel termine, rispettivamente, di due giorni e di quindici giorni dalla richiesta. Salvo che ricorrano esigenze di motivata eccezionale urgenza, decorsi detti termini, il magistrato o il tribunale di sorveglianza procedono comunque anche in assenza dei pareri.”».

  In sostanza, si è introdotto il parere obbligatorio dei procuratori distrettuali e del Procuratore nazionale antimafia, chiamati ora ad interloquire ove si tratti, rispettivamente, di detenuti per delitti di cui all'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale o di detenuti sottoposti al regime di cui all'articolo 41-bis della legge n. 354 del 1975, prima che il magistrato di sorveglianza o il tribunale di sorveglianza decidano sulla richiesta di permesso di necessità di cui all'articolo 30 della legge n. 354 del 1975 o sulla detenzione domiciliare «umanitaria» di cui al comma 1-ter dell'articolo 47-ter della medesima legge n. 354 del 1975.
  Al fine di consentire alla direzione nazionale antimafia e antiterrorismo di fornire agli uffici di sorveglianza ogni utile informazione in ordine alla pericolosità del detenuto e all'operatività dell'organizzazione di appartenenza, con nota del 24 aprile 2020 il direttore generale dei detenuti e del trattamento del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha disposto che le direzioni degli istituti penitenziari, oltre alle informazioni già indicate nella succitata circolare 21 marzo 2020, provvedano tempestivamente a trasmettere direttamente alla procura nazionale antimafia e antiterrorismo copia delle segnalazioni/istanze concernenti i ristretti sottoposti al regime di cui all'articolo 41-
bis, comma 2, dell'ordinamento penitenziario o assegnati al circuito alta sicurezza.
  Con nota 2 maggio 2020, il medesimo direttore generale ha disposto che copia delle segnalazioni/istanze trasmesse alla procura nazionale antimafia e antiterrorismo, siano trasmesse anche alla direzione generale dei detenuti e del trattamento, comprensive della relazione sanitaria, al fine di approntare, nell'immediato, la conseguente attività di analisi finalizzata alla predisposizione delle idonee misure di carattere organizzativo. Infine l'articolo 2 del decreto-legge 10 maggio 2020, n. 29, impone al magistrato di sorveglianza o al tribunale di sorveglianza che ha adottato il provvedimento che ha disposto la detenzione domiciliare o il differimento della pena nei confronti di detenuti ai sensi dell'articolo 41-
bis, alla luce del nuovo quadro sanitario, di rivalutare la persistenza dei presupposti per le scarcerazioni entro 15 giorni dall'adozione del provvedimento e successivamente con cadenza mensile, acquisito il parere del procuratore distrettuale antimafia competente e del procuratore nazionale antimafia.
Il Ministro della giustizia: Alfonso Bonafede.


   DI SAN MARTINO LORENZATO DI IVREA, ZOFFILI, FORMENTINI, COMENCINI e RIBOLLA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   il 9 gennaio 2020 è stato pubblicato dalla Gazzetta Ufficiale un decreto firmato dal vice direttore generale per le risorse e l'innovazione del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, Patrizia Falcinelli, che fa stato della soppressione di ventisette uffici consolari onorari;

   sei sedi soppresse si trovano in Brasile e si tratta di quelle situate ad Aracaju, Chapeco, Nova Friburgo, Araraquara, Franca e Limeira;

   Aracaju è la città capitale dello Stato di Sergipe e ha una popolazione pari a 648.939 abitanti, mentre a Chapeco vivono 220.367 persone, a Nova Friburgo altre 190.084, ad Araraquara 233.744, a Franca 353.187 e a Limeira 300.911;

   le sedi soppresse servivano, quindi, un'utenza non trascurabile, con una folta presenza di cittadini italiani che hanno conseguentemente perso il punto di riferimento più vicino nella loro interlocuzione con la madrepatria –:

   quali criteri abbiano informato la decisione di cui in premessa, che ha comportato la chiusura di sei consolati onorari italiani in Brasile;

   se il Governo non ritenga opportuno riconsiderare la scelta di chiudere i predetti consolati, alla luce dell'importanza della comunità italiana che servivano.
(4-04604)

  Risposta. — La chiusura di 6 uffici onorari in Brasile cui fanno riferimento gli interroganti si inserisce nel quadro di un più ampio esercizio di ricognizione della rete onoraria che ha coinvolto 48 strutture delle oltre 500 presenti in tutto il mondo e prive di titolare da più di 5 anni o che non lo avevano mai avuto.
  La revisione è stata realizzata d'intesa con le ambasciate e i consolati al fine di rendere più efficace la rete onoraria. È stato infatti constatato che le numerose aperture decise negli ultimi anni per venire incontro alle nuove esigenze dalle nostre crescenti collettività non sempre erano state accompagnate dalla contemporanea soppressione dei consolati onorari privi di titolare da lungo tempo e ritenuti non più necessari (anche a seguito dell'introduzione di nuove procedure telematiche da parte dei consolati di prima categoria). La differenza numerica tra totale degli uffici istituiti e strutture realmente operative appariva ormai eccessiva e fuorviante.
  Per quanto concerne i 6 uffici onorari soppressi in Brasile, due – Chapeco e Nova Friburgo – risultavano non essere mai stati operativi, mentre i restanti quattro non avevano un titolare da ormai molti anni (Araraquara dal 2002, Franca dal 2003, Aracaju dal 2009 e Limeira dal 2011). Le sedi da cui dipendevano hanno quindi valutato non necessaria una ripresa delle loro attività. Nel caso di Aracaju, di Nuova Friburgo e di Chapeco i connazionali residenti vengono assistiti da corrispondenti consolari che, a quanto indicato da ambasciata e consolati competenti, riscuotono elevati indici di apprezzamento. Negli altri tre casi (Limeira, Franca e Araraquara) le collettività residenti sono servite dalle agenzie consolari limitrofe e dal consolato generale di San Paolo.
  L'esercizio di ricognizione e razionalizzazione effettuato ha avuto il merito di permettere una riflessione sull'articolazione della rete onoraria, riflessione che, in alcuni casi, non solo ha condotto alla decisione di non sopprimere uffici inattivi da moltissimo tempo, ma anzi ha stimolato l'avvio della ricerca di un possibile titolare. Delle 48 strutture coinvolte nella ricognizione infatti solo 27 sono state effettivamente soppresse. A titolo d'esempio, e con riferimento al Brasile, il consolato generale di Porto Alegre ha valutato opportuno non sopprimere l'agenzia consolare di Pelotas – priva di titolare dalla sua istituzione, nel 1948 – nell'ottica di una possibile sua attivazione nel prossimo futuro. In altre aree, viceversa, come per lo Stato di San Paolo, l'innovazione tecnologica e organizzava ha reso possibile ricorrere a postazioni mobili e missioni
ad hoc da parte del consolato con il risultato di offrire servizi migliori rispetto alla rete onoraria, a volte eccessivamente parcellizzata.
  Il Governo, e la Farnesina in particolare, intendono confermare la massima attenzione per la rete consolare onoraria, in particolare quella operante in Paesi con una forte presenza di connazionali e caratterizzati da dimensioni continentali. Non è un caso che il Brasile disponga del maggior numero di uffici onorari operativi (27 strutture), ai quali negli ultimi anni sono state attribuite nuove e rilevanti funzioni tramite la fornitura degli apparecchi per la captazione dei dati biometrici propedeutica al rilascio dei documenti d'identità.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionale: Ricardo Antonio Merlo.


   DI SARNO. — Al Ministro per i beni e le attività culturali. — Per sapere – premesso che:

   nel comune di Marigliano (Napoli), tra via Sentino e via Nuova del Bosco, durante i saggi archeologici, effettuati nel 2009 in concomitanza con i lavori di infrastrutturazione dell'area per gli insediamenti produttivi 2° stralcio, finanziati dall'Unione europea con l'accordo di programma quadro «sviluppo sociale» codice PI. CL02, si rinvenne una cospicua porzione della via ab Regio ad Capuam, nota anche come Via Popilia, importante strada romana costruita nel 132 a.C.;

   nel 2010, la campagna sistematica di scavo, condotta dall'archeologo Nicola Castaldo e dall'architetto Emilio Castaldo, su progetto di Giuseppe Vecchio funzionario della Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Napoli e Pompei, permise di constatare che il rettifilo dell'arteria romana, ben conservato, era orientato a N80°O in direzione dell'antica città di Suessula e presentava un'ampiezza di circa 5 metri;

   il basolato, invece, era costituito da pietrame calcareo di grande pezzatura messo in opera su uno strato di preparazione del terreno battuto di circa 21 centimetri;

   lungo il percorso della strada romana e nelle immediate vicinanze, inoltre, si riscontrò la presenza di numerosi reperti e diversi insediamenti non meglio precisati, d'incerta funzione e datazione, caratterizzati da edifici con strutture in grossi blocchi di tufo giallo;

   a distanza di 10 anni da quelle importantissime scoperte, nonostante le ripetute segnalazioni presentate dalle associazioni culturali del territorio, la competente Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio per l'area metropolitana di Napoli, a quanto consta all'interrogante, non ha ancora avviato le opportune istruttorie per il vincolo archeologico diretto e indiretto sulle particelle interessate dal tracciato della strada romana e sulle aree contermini;

   di conseguenza, il tratto individuato della via romana non è ancora regolarmente registrato e graficizzato come bene tutelato anche da vincolo paesistico e/o per la regolamentazione urbanistico-edilizia: una gravissima mancanza che rischia di compromettere il sistema locale della tutela e della valorizzazione archeologica –:

   quali iniziative intenda assumere al fine di tutelare e valorizzare il tratto della via ab Regio ad Capuam e i siti archeologici contermini al tracciato viario romano ritrovati nel comune di Marigliano (Napoli).
(4-03564)

  Risposta. — Si riscontra l'atto di sindacato ispettivo indicato in esame, con il quale l'interrogante ha chiesto di conoscere le iniziative che si intendono assumere per la tutela e la valorizzazione della via «Ab Regio ad Capuam».
  Sulla base degli elementi forniti dalla competente soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio per l'area metropolitana di Napoli, si rappresenta quanto segue.
  Durante la realizzazione di infrastrutture dell'area per gli insediamenti produttivi (Pip) è stato predisposto il controllo archeologico in corso d'opera in due fasi distinte, tra il 2007 e il 2010.
  Nella prima fase, a Marigliano in via Sentino, furono rinvenuti i resti di muri di età romana e alcune sepolture a cappuccina.
  Fu possibile indagare le evidenze archeologiche soltanto nello spazio della trincea relativa ai lavori da eseguire, con pochi ampliamenti che chiarirono la loro pertinenza a una villa rustica.
  Si conservavano lacerti di pavimenti in cocciopesto e strutture murarie per circa una ventina di centimetri.
  Sull'area interessata è stato imposto il vincolo con i decreti del direttore regionale della Campania n. 440 del 9 gennaio 2009 e n. 446 del 16 gennaio 2009.
  Durante la seconda fase, nel tratto compreso tra via Sentina e via Nuova del Bosco, è stato possibile documentare l'esistenza di un tratto di una via Glareata, realizzata con un allettamento di pietre di calcare di piccole dimensioni su un battuto di terra e non con l'uso di basoli come riportato nella relazione allegata al l'interrogazione.
  La strada era visibile nelle sezioni della trincea realizzata per l'esecuzione dei lavori, motivo per cui fu predisposta da parte della soprintendenza l'assistenza archeologica in corso d'opera ai sensi della normativa vigente.
  Soltanto in pochi tratti fu possibile ampliare lo scavo e recuperare elementi per ipotizzare una larghezza della carreggiata in circa 5 metri.
  Lungo la stessa trincea furono messi in luce parzialmente blocchi di tufo, apparentemente
in situ e plausibilmente appartenenti a un edificio, ma non fu possibile estenderne l'indagine.
  L'identificazione della strada con la via «
Ab Regio ad Capuam», nota anche come via Popilia, è data soltanto in via di ipotesi e solo in via di ipotesi si può ritenere che ve ne sia continuazione seguendo l'asse ad oggi indagato.
  Col fine di promuovere la conoscenza e la valorizzazione del patrimonio archeologico locale tutti i rinvenimenti nel 2011 furono presentati in una giornata di studi curata dagli archeologi che seguirono lo scavo sotto la supervisione della soprintendenza nella persona del dottor Giuseppe Vecchio, funzionario responsabile per il territorio del comune di Marigliano, con la conseguente pubblicazione degli atti nel giugno dello stesso anno.
  In attesa di nuovi accertamenti che chiariscano l'estensione e l'allineamento del tratto stradale riportato alla luce in riferimento alla viabilità antica, le emergenze non sono state ancora sottoposte a provvedimento di tutela, attività che la soprintendenza si ripropone di avviare nell'ambito del censimento delle numerosissime emergenze archeologiche individuate nel territorio limitrofo a seguito di indagini archeologiche preventive connesse alla realizzazione di opere pubbliche.
  

La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e per il turismo: Anna Laura Orrico.


   FERRAIOLI. — Al Ministro per i beni e le attività culturali e per il turismo, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   l'area archeologica di Velia, il Parco archeologico di Paestum e la Certosa di Padula sono parte di un più esteso sito, denominato «Parco nazionale del Cilento e Vallo di Diano con le aree archeologiche di Paestum e Velia e la Certosa di Padula», iscritto, già nel 1998, nella lista del patrimonio mondiale dell'Unesco;

   onde salvaguardare il sito archeologico di Elea-Velia, la regione Campania si è attivata, con legge 8 febbraio 2005, n. 5, per la «costituzione di una zona di riqualificazione paesistica ambientale intorno all'antica città di Velia». Una zona, che, certamente, andava e va protetta da un piano particolareggiato di riqualificazione, atto anche a precludere eventuali e non autorizzati interventi di modifica di un territorio che si intendeva e si intende tutelare;

   il piano andava redatto (d'intesa tra i comuni di Ascea e Casal Velino e le soprintendenze per i beni archeologici e per i beni architettonici e per il paesaggio, il patrimonio storico/artistico/etnoantropologico) entro 12 mesi dalla pubblicazione della legge, decorsi i quali la regione Campania avrebbe provveduto alla nomina di un commissario ad acta. Il lavoro, in tal senso, fu affidato a un gruppo di esperti in progettazione che pur «operando in sintonia» con le sopraintendenze non ha, ancora oggi, concluso e regolamentato quanto prescritto da chiare disposizioni normative;

   ad oggi, a quanto consta all'interrogante, restano operativi, assoluti e invalicabili solo i divieti che gravano sugli abitanti della zona, esasperati e sistematicamente onerati dalla necessità di doversi attivare per «ogni e qualunque istanza innanzi alla giustizia amministrativa»;

   sono sistematici e persistenti i dinieghi degli organi afferenti alle varie soprintendenze; sistematici e ripetitivi sono i dinieghi e i disagi che rendono difficile la vita degli abitanti. Gli abitanti dei luoghi avvertono quelle che appaiono all'interrogante prevaricazioni delle autorità che sembrano ignorare i diritti minimi di ogni persona. Molti hanno dovuto ricorrere, a tutela delle «ordinarie esigenze» di vita, all'assistenza legale. Sono davvero eccessivi i vincoli posti a tutela della cura e della conservazione di un bene culturale, e davvero ignorati i diritti minimi, spettanti ad ogni cittadino, legittimato (che viva in un luogo «sacro per la storia») a curare opere di necessaria manutenzione della casa di abitazione e dei terreni circostanti e di difesa da intrusioni di animali selvatici che liberamente fanno scorribande, anche in ore diurne, a ridosso dei terreni intorno alle case coloniche ma anche in pieno centro abitato –:

   quali iniziative il Governo intenda adottare a tutela e a salvaguardia dell'area archeologica di Velia, patrimonio dell'umanità dell'Unesco e sito di assoluto e straordinario valore e pregio storico, culturale ed ambientale;

   quali iniziative di competenza si intendano adottare per evitare di comprimere eccessivamente i diritti e le libertà dei cittadini per il solo fatto di abitare in luoghi di alto valore archeologico;

   di quali elementi disponga il Governo circa il «Piano particolareggiato di riqualificazione» previsto dalla legge, cui avrebbero dovuto contribuire le competenti soprintendenze.
(4-04378)

  Risposta. — Si riscontra l'atto di sindacato ispettivo in esame, con il quale l'interrogante ha chiesto notizie in merito all'area archeologica di Elea-Velia.
  Sulla base degli elementi acquisiti dai competenti uffici centrali e periferici di questo Ministero si rappresenta quanto segue.
  Con il decreto della Presidenza del Consiglio dei ministri del 2 dicembre 2019 è stata attuata una riorganizzazione del Mibact, che ha portato all'accorpamento del parco archeologico di Elea-Velia al parco archeologico di Paestum.
  Questa unione è stata il frutto di una lunga e complessa azione tra gli enti territoriali del comune di Ascea e il parco archeologico di Paestum che l'ha sostenuta sin dalla sua individuazione come ente autonomo.
  Una struttura amministrativa unitaria una gestione integrata, infatti, consentono di ottimizzare le risorse ed estendere le attività di promozione e valorizzazione ad un contesto paesaggistico e culturale più ampio.
  L'accorpamento dei due siti, che rappresentano origini del pensiero e della civiltà occidentale, offre un'opportunità di maggiore attrattività del territorio, racchiuso a nord e sud del Cilento tra due straordinarie testimonianze, promuovendo il rilancio di due realtà archeologiche patrimonio dell'umanità.
  Questa svolta nell'organizzazione e nella gestione del parco archeologico di Elea-Velia non solo è un importante traguardo raggiunto, che apre nuove prospettive, ne rappresenta anche il presupposto per una maggiore visibilità in ambito nazionale e internazionale e potrà favorire il rifiorire dei due siti archeologici e la crescita culturale, economica e occupazionale del territorio.
  La gestione integrata dei due parchi archeologici porterà certamente innumerevoli benefici, potendo ora contare su una più vasta area in grado di attrarre un maggior numero di turisti e capace di valorizzare le ricchezze di due realtà contigue sotto il profilo storico-culturale e che, pertanto, necessitano di una gestione comune per dare nuovo impulso a iniziative innovative di promozione sociale, culturale e turistica ed efficaci azioni di valorizzazione delle due realtà storiche.
  In sostanza, la forza di Paestum associata alle peculiarità di Elea-Velia, è sicuramente un elemento di attrattività del territorio che rafforza la gestione del patrimonio culturale del territorio e che da un incisivo impulso alla tutela e alla salvaguardia dell'area archeologica.
  Quanto al riferimento territoriale nei comuni di Ascea e Casal Velino, nei quali ricade il parco archeologico di Velia, si rappresenta quanto segue.
  L'area di interesse, situata nella provincia di Salerno, nei comuni di Ascea e Casal Velino, tra le foci del fiume Alento e del torrente Fiumarella, risulta sottoposta ad una pregnante tutela paesaggistica sancita dai seguenti provvedimenti:

   il decreto ministeriale 10 ottobre 1967, recante «Dichiarazione di notevole interesse pubblico della fascia costiera e delle zona collinare site nel comune di Ascea»;

   il decreto ministeriale 2 novembre 1968, recante «Dichiarazione di notevole interesse pubblico di una zona ricadente nel Comune di Casal Velino»;

   la legge regionale 8 febbraio 2005, n. 2, recante «Costituzione di una zona di riqualificazione paesistica ambientale intorno all'antica città di Velia».

  Con tale legge regionale veniva individuata intorno al parco archeologico di Velia un'area di riqualificazione da sottoporre ad un piano particolareggiato da redigere d'intesa tra il comune di Ascea, Casal Velino e le soprintendenze competenti, da approvare entro 12 mesi dalla pubblicazione della predetta legge.
  Tale piano particolareggiato doveva prevedere:

   a) interventi per la riqualificazione degli spazi e dei percorsi pubblici, con particolare riferimento alle emergenze archeologiche e architettoniche dell'area;

   b) interventi pubblici e privati per la qualificazione dell'edificato esistente, compresi gli immobili abusivi oggetto di istanza di concessione in sanatoria;

   c) nuovi interventi pubblici e privati;

   d) aree inedificabili e loro destinazione;

   e) opere di urbanizzazione;

   f) normativa di dettaglio inerente agli interventi ammessi.

  Purtroppo, ad oggi, tale piano particolareggiato, nonostante la fattiva collaborazione da parte della competente soprintendenza, non è stato ancora adottato dalla regione, e ciò determina di fatto, un divieto di edificabilità assoluto che genera l'insorgere di lamentele da parte dei cittadini.
  La questione tuttavia non rientra nelle competenze istituzionali del Ministero dei beni culturali che, pur comprendendo le doglianze e i disagi dei cittadini, non può che rinviare alle competenti autorità regionali l'attuazione degli interventi necessari.

Il Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali e per il turismo: Anna Laura Orrico.


   FORMENTINI, ZOFFILI, COMENCINI, BILLI, GRIMOLDI, PICCHI e BAZZARO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   nella Repubblica Popolare cinese è in atto un'emergenza sanitaria di portata straordinaria determinata dallo scoppio di un'epidemia causata dal coronavirus 2019-nCoV;

   le autorità di Pechino hanno già messo in quarantena un blocco di città la cui popolazione aggregata supera i 60 milioni di persone;

   molti Paesi, nell'intento di prevenire o contenere il contagio da coronavirus, hanno adottato varie misure restrittive, bloccando i collegamenti aerei con la Repubblica Popolare o chiudendo le frontiere di terra;

   tra i Paesi che si sono risolti al varo di misure restrittive preventive di questa natura c'è anche l'Italia;

   l'Italia, tuttavia, non si è limitata a bloccare i collegamenti aerei con la Repubblica Popolare, ma ha temporaneamente sospeso anche quelli tra il nostro Paese e Taiwan, come se l'emergenza sanitaria abbattutasi sulla Cina Popolare già coinvolgesse nella stessa misura l'isola di Formosa, circostanza che al momento non risulta ancora essersi prodotta;

   una spiegazione alternativa è che il Governo italiano abbia esteso a Taiwan le misure restrittive varate nei confronti della Repubblica Popolare aderendo di fatto, secondo gli interroganti, alla tesi che la vuole già provincia dell'unica Cina con capitale Pechino;

   la scelta dell'Italia è stata deplorata dalle autorità di Taipei, il cui Ministero degli affari esteri ha convocato il 3 febbraio|2020 il rappresentante dell'ufficio italiano di promozione economica, commerciale e culturale –:

   per quali motivi siano state estese a Taiwan e non ad altri Paesi della regione sud-est asiatica le misure restrittive in materia di collegamenti aerei con l'Italia adottate nei confronti della Repubblica Popolare Cinese.
(4-04655)

  Risposta. — La decisione di sospendere i collegamenti aerei diretti tra l'Italia e la Repubblica Popolare Cinese, Hong Kong e Taiwan è stata assunta dal Ministero della salute, con l'obiettivo di tutelare il primario interesse della salute pubblica, sulla base delle evidenze scientifiche disponibili e al fine di contenere i possibili rischi di diffusione in Italia del Covid-19.
  Il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale ha profuso notevoli sforzi per spiegare a tutti gli interlocutori internazionali le ragioni e la dinamica che hanno condotto a tale decisione, basata – lo si ribadisce – su valutazioni tecniche ed evidenze scientifiche svolte ed esaminate dalle competenti autorità sanitarie italiane, relative al rischio di diffusione del Covid-19.
  Il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale ha inoltre continuato a favorire i contatti tra il Ministero della salute e le autorità sanitarie dei Paesi e territori coinvolti nel blocco dei voli. Ciò al fine di consentire scambi informativi di carattere tecnico-scientifico necessari al contenimento della diffusione del virus e tali da evidenziare prontamente ogni evoluzione utile alle autorità sanitarie italiane per assumere ulteriori e aggiornate decisioni di competenza.
  Si segnala comunque che la misura di sospensione dei collegamenti aerei adottata da Enac è scaduta il 28 aprile 2020 e non ne è stato disposto il rinnovo.
  

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionale: Manlio Di Stefano.


   FRATOIANNI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   su il Fatto Quotidiano del 16 ottobre, la giornalista Francesca Borri ha raccontato la sua disavventura all'aeroporto del Cairo, in Egitto, avvenuta qualche giorno prima, e di come sia stata bloccata e trattenuta per ore nelle stanze della National Security presso l'aeroporto, tra interrogatori e minacce;

   successivamente le è stato impedito l'ingresso nel Paese ed è stata rimpatriata in Italia;

   la giornalista racconta che una volta atterrata da Milano, al controllo passaporti, è stata accompagnata attraverso un tetro cunicolo in un labirinto di stanze buie e scalcinate della National Security;

   a quel punto racconta di essere rimasta per ore ad aspettare, per ore e ore, chiusa in un ufficio umido e malconcio;

   secondo Francesca Borri, in quel luogo finiscono le persone fermate per motivi politici e i migranti irregolari;

   tra gli agenti presenti c'era chi confiscava i cellulari, chi compilava moduli, chi serrava le porte a chiave, chi interrogava;

   la console italiana, presentatasi poco dopo il fermo, non aveva l'interprete, alla quale le autorità egiziane avevano negato l'ingresso e quindi non era in condizione di capire ciò che gli agenti dicevano né era in grado di informare Francesca Borri sui reali motivi del fermo;

   l'unica cosa certa è che quando la stessa giornalista ha pronunciato il nome di Regeni, gli agenti egiziani si sono innervositi e hanno cominciato ad urlarle contro, intimandole di zittirsi;

   a parere dell'interrogante la terribile esperienza vissuta dalla giornalista Francesca Borri rappresenta un'altra umiliazione per il nostro Paese, dopo anni di continue risposte a dir poco inefficaci sulla ricerca della verità per l'omicidio di Giulio Regeni ad opera delle forze di sicurezza del regime di Al Sisi;

   il Governo egiziano non può continuare con questo atteggiamento, ad avviso dell'interrogante protervo ed arrogante;

   Francesca Borri è una di quelle giornaliste che continua ad indagare sull'omicidio di Giulio Regeni e non smetterà fino a quando non sarà fatta giustizia e non emergerà tutta la verità –:

   se il Ministro non intenda acquisire ogni informazione utile a conoscere i motivi per cui una giornalista italiana sia stata bloccata all'aeroporto del Cairo e trattenuta per parecchie ore dalle autorità egiziane senza che le fosse comunicato il motivo del fermo;

   se il Governo, alla luce di quella che appare l'ennesima umiliazione per il nostro Paese ad opera delle forze di sicurezza egiziane e di fronte al persistente atteggiamento, ad avviso dell'interrogante protervo e arrogante, del Governo egiziano nei confronti dell'Italia, non intenda ritirare l'ambasciatore italiano da un Paese che si dimostra ogni giorno meno sicuro e sempre più dittatoriale.
(4-03885)

  Risposta. — La cittadina italiana Francesca Borri, giornalista de Il Fatto Quotidiano, è stata fermata dalla polizia di frontiera all'aeroporto de Il Cairo, al suo arrivo da Milano, il giorno 11 ottobre 2019 alle 4:40 del mattino.
  L'ambasciata d'Italia a Il Cairo, tempestivamente informata del fermo, si è immediatamente attivata, inviando in aeroporto il funzionario di turno e il capo della cancelleria consolare, i quali hanno potuto verificare le buone condizioni psicofisiche della connazionale, offrendole la disponibilità a contattare familiari o conoscenti e fornendole cibo e bevande. In quell'occasione, la connazionale non ha lamentato maltrattamenti, né ha dichiarato di essere stata sottoposta a interrogatori o altre misure restrittive, potendo tenere con sé il telefono cellulare e altri dispositivi elettronici. La signora Borri è stata trattenuta per tutto il tempo in una sala d'attesa dell'aeroporto con altri passeggeri fermati, assistita dal capo della cancelleria consolare.
  Parallelamente, l'ambasciatore ha attivato immediati contatti con rilevanti interlocutori presso il Ministero degli esteri, il Ministero dell'interno e le agenzie di sicurezza per arrivare a una pronta soluzione del caso.
  A fronte della possibilità che il fermo della connazionale fosse prolungato anche oltre la giornata (essendo il venerdì un giorno festivo), l'ambasciata ha sensibilizzato le autorità egiziane sull'esigenza di pervenire a una decisione nel più breve tempo possibile. Tale richiesta è stata accolta da quelle autorità, che, poco dopo le 14:00 della stessa giornata, hanno comunicato la decisione di procedere al respingimento in frontiera e al rimpatrio della signora Borri in Italia con il primo volo utile della stessa compagnia di arrivo, in partenza alle 18:20.
  I funzionari dell'ambasciata si sono assicurati fino al momento della partenza che alla connazionale fosse riservato un trattamento corretto, che ella avesse accesso ai propri beni personali e a generi di prima necessità e che le sue condizioni psicofisiche fossero buone.
  Al momento della decisione, le autorità egiziane non hanno fornito motivazioni ufficiali. Si evidenzia come il respingimento del cittadino straniero sia un atto discrezionale che rientra nell'esercizio della sovranità di ciascuno Stato. Peraltro provvedimenti analoghi sono periodicamente adottati dall'Egitto nei confronti di vari cittadini stranieri, non solo italiani.
  All'indomani degli avvenimenti, l'ambasciata ha trasmesso al Ministero degli esteri egiziano una nota verbale in cui richiedeva formalmente di conoscere le ragioni della mancata autorizzazione all'ingresso della signora Borri, nonché conferma scritta dell'eventuale iscrizione dell'interessata nella rubrica di frontiera. Con nota verbale pervenuta alla nostra ambasciata a Il Cairo in data 5 dicembre 2019, le autorità egiziane hanno riscontrato la richiesta italiana, comunicando ufficialmente che la signora Borri è stata respinta per «motivi di sicurezza».

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionale: Ricardo Antonio Merlo.


   GIGLIO VIGNA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   le cronache hanno riportato come a pochi minuti prima dell'inizio della partita di Serie A di domenica 24 novembre 2019 tra il Torino e l'Inter, le due tifoserie siano venute in contatto in curva Primavera;

   secondo una ricostruzione la società Torino calcio ha organizzato la vendita dei ticket per Torino-Inter in due fasi: la prima dedicata ai possessori della tessera Cuore Granata, la seconda senza vincoli di alcun tipo, anche perché in merito non c'erano indicazioni da parte dell'Osservatorio delle manifestazioni sportive, l'ufficio del Viminale che si occupa della valutazione dei pericoli annessi alle cosiddette partite «a rischio»;

   la vendita libera è partita martedì 12 novembre 2019. Il martedì successivo, 19 novembre, ad avviso dell'interrogante, in netto e colpevole ritardo, quindi, dalla questura arriva la richiesta di interrompere la vendita libera: secondo quanto spiega il club granata, al Torino è stato in quel momento chiesto di rimettere il vincolo della tessera Cuore Granata e così è stato fatto, ma gran parte dei biglietti erano già venduti;

   la curva Primavera dovrebbe essere un settore dedicato alle famiglie, ma da tempo, come risulta anche alla società Torino calcio, è lì collocato un gruppo ultrà in disaccordo con il tifo organizzato della curva Maratona;

   la composizione di parte degli spettatori in curva ha fatto sì che alle provocazioni e ai primi gesti di violenza arrivati dai tifosi ospiti presenti si sia arrivati a vere scene di violenza –:

   se e quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda adottare affinché possa essere garantita una più attenta valutazione da parte dell'Osservatorio delle manifestazioni sportive e delle questure, nell'ottica di evitare il ripetersi in futuro di episodi come quello riportato in premessa.
(4-04384)

  Risposta. — L'atto di sindacato ispettivo in esame fa riferimento agli scontri che il 24 novembre 2019, in occasione dell'incontro di calcio Torino-Inter, hanno avuto luogo nella curva Primavera dello stadio olimpico Grande Torino.
  Al riguardo, occorre in primo luogo precisare che i gruppi ultrà del Torino tradizionalmente si collocano all'interno della Curva Maratona (curva nord). Tuttavia, da diverso tempo, un gruppo di tifosi, a causa di dissidi interni, si è spostato nell'opposta Curva Primavera (curva sud), costituendo il gruppo denominato «Torino Hooligans», attualmente formato da circa 80 aderenti.
  La Curva Primavera è da tempo un settore dello stadio frequentato prevalentemente da famiglie, in virtù dei prezzi più contenuti dei biglietti, nonché per l'assenza di ultrà (fino allo spostamento «Torino Hooligans»).
  Normalmente in Curva Primavera i biglietti vengono venduti anche ai tifosi ospiti che da sempre convivono, senza particolari criticità, con i tifosi locali. La vicinanza tra
supporters di tifoserie diverse ha costituito per lungo tempo un esempio da seguire, una rappresentazione di tifo corretto, nella quale le partite di calcio diventavano occasione di spettacolo e condivisione.
  In merito alla vendita dei biglietti della partita in argomento, si rappresenta che la
policy adottata è stata definita secondo le linee guida in materia, stabilite nel «protocollo d'intesa» stipulato nel 2017 dal Ministero dell'interno e dalle varie leghe calcistiche, che si propone, in particolare, «il recupero della dimensione sociale del calcio, il ritorno delle famiglie allo stadio, il contenimento dei costi sociali, il conseguimento di una sostenibilità economica-gestionale del sistema».
  Il citato atto d'intesa prevede, tra l'altro, che «l'utente residente nella regione di provenienza della squadra ospite non necessita di carta di fidelizzazione per l'acquisto del titolo di accesso in qualsiasi settore. Solo in caso di partite a rischio, l'osservatorio potrà disporre la limitazione ai soli possessori di carte di fidelizzazione per l'acquisto dei titolo».
  In applicazione di tale indirizzo, ed in assenza di profili di rischio conclamati, non risultando precedenti situazioni di conflitto fra le opposte tifoserie, la vendita dei biglietti per la partita in argomento ha avuto inizio senza alcuna limitazione per tutti i settori dello stadio.
  L'assenza di palesi condizioni di rischio, peraltro, era stata ulteriormente confermata dal fatto che le due tifoserie avevano organizzato un momento condiviso, prima della partita e al di fuori dallo stadio, in memoria di un tifoso granata recentemente scomparso,
  Va anche rilevato che la forte richiesta di tagliandi da parte dei tifosi neroazzurri, rispetto a quelli disponibili per il settore ospiti (circa 3.000 a fronte di una capienza di 1.490 posti) ha fatto sì che, come di solito avviene per gli incontri con squadre molto seguite, un consistente numero di tifosi interisti, in modo del tutto legittimo, acquistasse il biglietto per altri settori dello stadio.
  Solo a vendite iniziate, l'analisi dei flussi di acquisto e le informazioni acquisite attraverso i canali info-investigativi hanno fatto emergere che circa 300 tifosi nerazzurri appartenenti ai gruppi ultras, non avendo più trovato disponibili i biglietti per il settore ospiti, avevano acquistato tagliandi per la Curva Primavera, inducendo le autorità di pubblica sicurezza a valutare l'opportunità di introdurre una limitazione all'acquisto dei biglietti per quel settore.
  Come in ogni altra occasione, relativa a partite di «cartello», tra le quali il
derby cittadino, anche per l'incontro di calcio in questione sono state adottate specifiche misure, consistenti nella predisposizione di idonei servizi di ordine pubblico e nella richiesta al Torino calcio di implementazione del numero degli steward all'interno della curva Primavera.
  Per quanto attiene più specificamente agli incidenti occorsi, a seguito dell'attività investigativa immediatamente svolta dalla Digos, è emerso che, a pochi minuti dall'inizio della partita, un gruppo di circa 20
supporter del «Torino Hooligans», la maggior parte dei quali travisati, ha invaso a forza il secondo anello della curva sud, dopo aver spintonato alcuni steward e aggredito alcuni supporter interisti.
  Ne è scaturito un violento scontro fisico, interrotto prontamente dall'intervento degli uomini della digos e dal servizio
steward.
  Grazie all'analisi delle immagini a disposizione, il 25 novembre 2019, la digos di Torino ha eseguito 5 provvedimenti di arresto differito, nei riguardi di aderenti al gruppo dei «Torino Hooligans» per i reati di rissa, violenza e lesioni ad incaricato di pubblico servizio aggravati. Altre 12 persone, appartenenti al medesimo gruppo, sono state successivamente individuate e denunciate per le medesime fattispecie criminose.
  Anche nell'ambito della tifoseria interista, un
supporter è stato identificato e denunciato in stato di libertà, mentre per altri 8 sono in atto le relative procedure di identificazione.
  Si rappresenta infine che, all'esito di una più ampia attività investigativa, coordinata dalla procura della Repubblica di Torino, sono stati denunciati, complessivamente e a diverso titolo, 71 ultrà aderenti al gruppo «Torino Hooligans» per i reati commessi durante gli incontri casalinghi del campionato (violenza privata aggravata, travisamento, porto di strumenti atti ad offendere, accensione e lancio di artifici pirotecnici). Anche nei confronti degli stessi, sono anche stati notificati 75 Daspo, emessi dal questore di Torino, che hanno di fatto disarticolato l'intero gruppo ultrà.
  

Il Sottosegretario di Stato per l'interno: Carlo Sibilia.


   LA MARCA e SCHIRÒ. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   sulla Gazzetta Ufficiale del 9 gennaio 2020, n. 6, è stato pubblicato il decreto che sancisce il «taglio» di ventisette uffici consolari onorari, tra agenzie, consolati e viceconsolati;

   la soppressione degli uffici è proiettata in diverse aree, con particolare concentrazione in Finlandia e in Brasile, ma non esclude realtà come il Messico, gli Usa, la Gran Bretagna, la Svizzera e il Giappone, nelle quali il nostro Paese ha interessi specifici e importanti;

   il decreto, anche a causa dell'omissione delle ragioni che l'hanno motivato, sembra in controtendenza con la linea di blocco della soppressione delle strutture consolari e di reintegrazione dell'organico gravemente depauperato per il decennale blocco del turnover, una linea di azione che si è evidenziata negli ultimi anni;

   i consolati onorari, che funzionano in virtù della collaborazione volontaria e non onerosa degli incaricati, costituiscono per alcuni essenziali servizi un'utile rete di integrazione delle strutture consolari, tanto più necessaria nelle realtà nelle quali le distanze delle comunità rispetto agli uffici consolari sono notevoli e i contatti disagevoli o dove i tempi di attesa sono molto lunghi –:

   quali siano le ragioni che hanno indotto alla chiusura di un numero così considerevole di sedi di consolati onorari e a limitare la presenza della rete di servizi forniti dall'amministrazione italiana;

   se esista un piano di apertura di nuovi consolati onorari in aree di particolare interesse strategico, in sedi di particolare concentrazione di connazionali o in Paesi di notevoli dimensioni territoriali.
(4-04535)

  Risposta. — La chiusura di ventisette uffici onorari cui fanno riferimento gli interroganti è il risultato di una ampia ricognizione della rete di seconda categoria che ha coinvolto 48 strutture (sulle oltre 500 che risultano istituite) prive di titolare da più di 5 anni o che non lo avevano mai avuto. La revisione è stata realizzata, d'intesa con le ambasciate e i consolati responsabili, per dare alla rete consolare onoraria un'immagine più aderente alla realtà e quindi più efficace. È stato constatato che le numerose aperture decise negli ultimi anni per venire incontro alle nuove esigenze delle nostre collettività non erano state accompagnate in alcuni casi dalla contemporanea soppressione dei consolati onorari privi di titolare da lungo tempo e ritenuti non più necessari (anche a seguito dell'introduzione di nuove procedure telematiche da parte dei consolati di prima categoria), con il risultato che la differenza numerica tra il totale degli uffici istituiti e le strutture realmente operative appariva ormai eccessiva e fuorviante.
  Le modalità di pubblicazione del relativo provvedimento in
Gazzetta ufficiale purtroppo hanno impedito di mettere in evidenza le ragioni alla base della soppressione dei 27 uffici che, è opportuno sottolineare, non ha inciso in alcun modo sull'efficienza della rete consolare onoraria. Al contrario, l'iniziativa ha avuto il merito di fornire alle sedi coinvolte l'occasione per una riflessione più generale sull'opportunità di riorganizzare la presenza consolare nei Paesi di competenza, riflessione che ha condotto in molti casi all'avvio di una nuova ricerca di titolari per uffici non operativi da lungo tempo.
  Il Governo intende quindi confermare la massima attenzione nei confronti della rete consolare onoraria, alla quale negli ultimi anni sono state attribuite nuove e rilevanti funzioni. Si pensi, ad esempio, alla fornitura degli apparecchi per la captazione dei dati biometrici propedeutica al rilascio dei documenti d'identità in favore di 1.136 consoli onorari. Tale progetto verrà esteso nel corso del 2021 ad altri consoli onorari.
  Tale opera di valorizzazione della rete consolare onoraria è stata portata avanti insieme alla riorganizzazione di quella diplomatico-consolare, nell'ambito della quale negli ultimi anni sono stati aperti tre nuovi consolati (Ho Chi Minh, Erbil e Chongqin), mentre sono in stato di avanzata finalizzazione la riapertura del consolato a Manchester in Gran Bretagna e l'apertura di sportelli consolari – da elevare successivamente ad agenzie consolari – alle Canarie in Spagna e a Vitoria in Brasile.
  

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionale: Ricardo Antonio Merlo.


   MAGI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   la previsione dell'articolo 25 del regolamento (CE) 810/09 (codice dei visti), permette ad ogni Stato membro di rilasciare un visto con validità territoriale limitata al solo Stato concedente quando per motivi umanitari si ritenga necessario derogare alle condizioni previste per l'ingresso. Il tribunale di Roma, giudice Dottoressa Damiana Colla, con ordinanza dd. 21 febbraio 2019 ha riconosciuto tale diritto al visto per un minore scappato all'insaputa dei propri famigliari in Nigeria e che chiedeva un visto di ingresso per ricongiungersi in Italia con la madre e per motivi di salute ed umanitari;

   in data 13 agosto 2019, la signora, F.K.A. nata in Sierra Leone e titolare di protezione internazionale anche a causa delle violenze subite nel proprio Paese di origine (mutilazione genitale femminile) a mezzo dell'avvocato Giovanni Guarini del foro di Rovereto proponeva ricorso ex articolo 702-bis del codice di procedura civile e ricorso d'urgenza articolo 700 del codice di procedura civile per ottenere il rilascio del visto di ingresso per la figlia di 12 anni, negato con atto ricevuto il 5 luglio 2019 dall'Ambasciata d'Italia ad Abidjan (Costa D'Avorio) da parte dell'ufficio visti a causa della mancanza dell'assenso dell'altro genitore;

   la madre ricorrente faceva presente che il padre è irreperibile e che la figlia vive con la nonna paterna, che ha già espresso il proposito di sottoporla a mutilazione tradizionale (dal report allegato al ricorso risulta che il 90 per cento delle donne provenienti dalla Sierra Leone hanno subito il «bundo» fra i 10 e 14 anni);

   il tribunale di Roma sezione diritti della persona e immigrazione RG 52469/ 2019 giudice Dottoressa Antonella Di Tullio ha emesso ordinanza rinviando alla data del 21 gennaio 2020 l'udienza chiedendo all'ambasciata di verificare l'irreperibilità del padre della ragazza, a tal riguardo chiedendo alla parte il numero di telefono del padre, della nonna paterna e dei figli;

   a parere dell'interrogante fino al 21 gennaio 2020 vi è il fondato rischio che la minore sia sottoposta a mutilazione genitale femminile in Patria e, fra l'altro, l'interlocuzione con la nonna paterna favorevole a tale pratica potrebbe favorirne l'immediata esecuzione –:

   per quale ragione non sia possibile l'immediato rilascio di un visto di ingresso ai sensi dell'articolo 25 del regolamento (CE) 810/09 (codice dei visti) alla minore, anche in assenza di un assenso del genitore irreperibile, per i menzionati motivi imperiosi di tutela della salute della minore ed anche al fine di escludere una futura e possibile responsabilità civile del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale.
(4-03874)

  Risposta. — In data 20 marzo 2019 è stata depositata presso l'ambasciata d'Italia a Abidjan una richiesta di visto per ricongiungimento familiare in favore della minore sierraleonese, F.I.K. Il ricongiungimento familiare era richiesto dalla madre della bambina, Signora A.F.K., in Italia da qualche anno con lo status di rifugiata. A supporto della domanda di visto è stata presentata la seguente documentazione:

   nulla osta P-TN/F/N/2018/102692 rilasciato dal commissariato del Governo per la provincia di Trento in data 21 dicembre 2018;

   certificato di nascita privo dei dati identificativi dei genitori (data e luogo di nascita degli stessi).

  L'Ambasciata ha esaminato il giorno stesso il dossier e notificato alla richiedente un provvedimento di prediniego ai sensi dell'articolo 10-bis della legge n. 241 del 1990 con le seguenti motivazioni:

   1) assenza della data e del luogo di nascita dei genitori sul certificato di nascita rilasciato dalle autorità della Sierra Leone (elementi ritenuti fondamentali per identificare i genitori della minore ed accertare il rapporto di filiazione);

   2) assenza dell'atto di assenso del padre della minore.

  Nella stessa occasione è stato fornito alla richiedente, al fine di consentirle di completare il dossier, un modello di atto integrativo del certificato di nascita (rilasciato dalle autorità della Sierra Leone nei casi di assenza sull'atto di nascita del luogo e della data di nascita dei genitori), documento che l'ambasciata ha ricevuto il 25 marzo 2019.
  Nel frattempo erano giunte alla nostra rappresentanza diplomatica varie sollecitazioni da parte della madre della minore e del suo rappresentante legale al fine di ottenere il rilascio del visto in favore della minore, pur in assenza dell'assenso del padre. La madre affermava, in particolare, che la figlia convivesse con la nonna paterna e che non fosse possibile ottenere l'assenso del padre della minore in quanto irreperibile. Di detta irreperibilità non è tuttavia mai stata fornita alcuna prova documentale.
  Alla luce di quanto sopra, in data 17 maggio 2019 l'Ambasciata ha emesso un provvedimento di diniego notificato via posta elettronica certificata al legale della madre della minore. Al riguardo, si fa notare che, benché il provvedimento di prediniego consentisse di chiudere la pratica una volta trascorsi 10 giorni dalla notifica, il diniego è intervenuto a distanza di circa due mesi. In tal modo si è inteso consentire all'interessata di disporre, considerata la delicatezza del caso, di tutto il tempo necessario per integrare il dossier con la documentazione richiesta.
  Il rigetto della domanda è stato deciso tenendo conto dell'articolo 3 del decreto interministeriale n. 850 del 2011, il quale stabilisce che l'ingresso di minori stranieri in territorio nazionale è subordinato all'acquisizione dell'atto di assenso all'espatrio sottoscritto da ciascuno degli esercenti la potestà genitoriale che non accompagnino il minore nel viaggio o, in loro assenza, dal tutore legale.
  Non si è ritenuto applicabile al caso di specie l'articolo 25 del regolamento n. 810 del 2009 (codice europeo dei visti), in quanto detta disposizione non contempla l'autorizzazione parentale fra i requisiti di ingresso derogabili per motivi umanitari o di interesse nazionale.
  A seguito dell'ordinanza del tribunale ordinario di Roma n. 52469/2019 dell'11 ottobre 2019, il 2 dicembre 2019 il legale della madre della minore ha fornito all'ambasciata ad Abidjan i recapiti telefonici (sierraleonesi) del padre della bambina, M.F., e del di lui figlio e fratellastro della minorenne, A.F. Al fine di evitare che gli approfondimenti richiesti circa l'irreperibilità del padre della bambina potessero essere ricondotti dagli interessati al dossier di visto, con possibile pregiudizio per la minore, si è chiesto al console onorario italiano d'Italia a Freetown (Sierra Leone) di chiamare i numeri forniti. Le chiamate sono state effettuate nei giorni 3 e 4 dicembre 2019. Secondo quanto riferito dal console onorario a Freetown, il padre della minore è stato chiamato al numero fornito circa venti volte (in diversi momenti della giornata) ed il telefono cellulare è sempre risultato spento. Il fratellastro della minore è stato contattato circa dieci volte e ha risposto solamente una volta (al secondo tentativo), chiudendo la chiamata qualche secondo dopo.
  Il 17 febbraio 2020 è infine intervenuta l'ordinanza del tribunale di Roma, RG 52469/2019 che, ritenendo la sussistenza del
fumus boni iuris del diritto vantato dalla signora A.F.K. al ricongiungimento con la figlia minore, ha ordinato il rilascio del visto per ricongiungimento familiare in favore della minore sierraleonese F.I.K., cui l'ambasciata a Abidjan ha dato seguito provvedendo al rilascio del visto stesso in data 17 marzo 2020.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionale: Ricardo Antonio Merlo.


   RIBOLLA, FORMENTINI e ZOFFILI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   molte ambasciate italiane non accettano pagamenti elettronici ma solo tramite contanti;

   questo obbligo determina una palese inefficienza in termini di: tempi di attesa, difficoltà di pagamento, rischi di corruzione, un innalzamento dei costi dei servizi consolari e la necessità di recarsi fisicamente in ambasciata ogni qualvolta si debba effettuare un pagamento;

   sebbene all'interno dell'Unione europea il pagamento elettronico sia alquanto diffuso, solamente 17 delle sedi di rappresentanza italiane accettano tale modalità di pagamento;

   vi è un numero crescente di giovani connazionali all'estero avvezzi all'utilizzo dello strumento tecnologico ed elettronico;

   ogni 30 del mese le ambasciate devono certificare presso la Corte dei conti l'allineamento della cassa (liquidità in sede per le percezioni) con le entrate registrate a sistema;

   allo stato attuale, qualora si ponesse in atto il pagamento elettronico, si andrebbe a creare un disallineamento dei dati per gli ultimi giorni del mese, dato che esso non è immediato come il pagamento in contanti –:

   se il Governo sia a conoscenza dei fatti menzionati in premessa e se non ritenga opportuno assumere iniziative per innovare il metodo di pagamento nelle ambasciate italiane, adottando soluzioni quali lo spostamento del giorno della certificazione degli allineamenti dei registri delle percezioni al 15 del mese successivo, in modo da permettere anche ai pagamenti elettronici di essere trattati e finalizzati.
(4-04474)

  Risposta. — Il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale ha, già da tempo, favorito l'utilizzo dei pagamenti elettronici per i servizi resi dalle nostre sedi all'estero. Fin dal 2018 il Ministero ha impartito specifiche e dettagliate istruzioni alla rete diplomatico-consolare, raccomandando di adottare strumenti di pagamento in alternativa al contante. Ciò non solo per i vantaggi legati alla tracciabilità di tutte le operazioni e la riduzione della possibilità di errori o rischi legati al maneggio e alla detenzione di danaro contante, ma soprattutto per offrire un servizio all'utenza più semplice e comodo, in linea con la diffusione sempre più vasta di tali strumenti di pagamento.
  La raccomandazione è stata recepita dalle sedi all'estero, che hanno adottato, in affiancamento all'utilizzo del denaro contante, strumenti di pagamento alternativi per l'incasso delle percezioni consolari, attraverso l'utilizzo della carta di debito (bancomat) e, in casi limitati, anche della carta di credito. Anche se l'utilizzo del contante resta sempre garantito all'utenza per dare a tutti la possibilità di pagare il servizio richiesto, è ormai residuale. La quasi totalità delle 71 sedi europee, tra ambasciate e consolati, ha infatti adottato sistemi di pagamento alternativi al contante, come dimostrato dai loro bilanci.
  È stato altresì raccomandato alle sedi all'estero di valutare con attenzione l'incasso di percezioni con modalità diverse dal contante a ridosso della fine del trimestre, quando deve essere effettuata la rendicontazione delle entrate erariali, per evitare cambiamenti degli importi dovuti a titolo di diritti consolari derivanti dalle modifiche del tasso di cambio di riferimento. Gli importi a credito/debito vengono infatti opportunamente conguagliati per evitare disallineamenti.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionale: Ricardo Antonio Merlo.


   RIZZETTO e PETTARIN. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per gli affari europei, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   come noto, mentre l'Italia era già nel pieno della grave emergenza sanitaria da Covid-19, Austria e Slovenia hanno chiuso, a giudizio degli interroganti arbitrariamente, i confini con il territorio italiano, violando l'accordo di Schengen. Sul punto, sebbene sia possibile, in casi eccezionali, sospendere temporaneamente le disposizioni in questione, i predetti Stati hanno agito senza provvedere a notificare alla Commissione europea l'introduzione di controlli alle frontiere interne in relazione all'epidemia da Coronavirus, nel quadro della normativa Schengen;

   non è accettabile che si agisca discrezionalmente, in violazione delle procedure accordate e senza alcun coordinamento con le autorità europee competenti, che devono successivamente valutare la proporzionalità e la necessità delle misure introdotte con la sospensione dell'accordo di Schengen;

   nonostante quella che appare una palese violazione dell'accordo, non risulta sia stato avviato alcun procedimento per sanzionare questi abusi;

   tra l'altro, al confine goriziano, nei giorni scorsi, sono stati bloccati, dalle autorità slovene, centinaia di veicoli italiani per il trasporto merci, impedendo ai lavoratori di raggiungere le proprie destinazioni in Europa dell'Est o nei Balcani;

   solo dal 17 marzo 2020 è stato ufficialmente sospeso il trattato di Schengen, per trenta giorni (rinnovabili), in accordo con i Governi europei, prevedendo la restrizione temporanea dei viaggi non essenziali nell'Unione, per contrastare la diffusione dell'epidemia in corso;

   ciò nonostante, restano i predetti comportamenti di dubbia legittimità assunti nei confronti dell'Italia rispetto ai quali la Commissione europea non ha adottato adeguate iniziative per censurarli, pur rappresentando, secondo gli interroganti, delle palesi violazioni degli accordi di Schengen da parte di Austria e Slovenia –:

   se e quali iniziative abbia adottato il Governo rispetto alla chiusura dei confini disposta discrezionalmente da Austria e Slovenia in danno dell'Italia;

   se e quali iniziative di competenza intendano porre in essere affinché quelle che gli interroganti giudicano violazioni dei citati accordi non si ripetano in futuro.
(4-04999)

  Risposta. — In relazione al quadro normativo vigente nell'area Schengen, anche in situazioni di emergenza sanitaria trova applicazione il codice frontiere Schengen (regolamento UE n. 2016/399), che ha integrato nella normativa europea l'accordo del 1985 e la relativa convenzione di applicazione del 1990. Il codice, nel prevedere l'abolizione dei controlli sistematici alle frontiere tra gli Stati membri quale regola generale, consente tuttavia la temporanea reintroduzione di questi ultimi da parte di uno Stato membro qualora ricorrano minacce gravi per l'ordine pubblico o la sicurezza nazionale.
  In materia distinta dai controlli di frontiera ma interconnessa, la direttiva UE n. 2004/38 sul diritto alla libera circolazione e soggiorno dei cittadini europei chiarisce che l'ingresso di un cittadino europeo in uno Stato membro può essere rifiutato solo per ragioni di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica, in particolare nel caso di malattie con potenziale epidemico.
  Facendo uso delle possibilità previste dalle norme sopra ricordate, la gran parte degli Stati membri ha introdotto forme più o meno rigide di restrizione degli attraversamenti alle proprie frontiere, in corrispondenza all'introduzione a livello nazionale di misure di emergenza per il contenimento del contagio.
  In tale contesto, il Governo italiano ha sin dall'inizio dell'emergenza pandemica sottolineato, attraverso opportuni interventi delle proprie Rappresentanze presso l'Unione europea e negli Stati membri in primo luogo confinanti, la necessità che eventuali misure di frontiera motivate dall'esigenza di contenere il contagio da Covid-19 siano attuate in maniera coordinata tra gli Stati membri, senza nuocere alla circolazione dei beni (innanzitutto, dei beni di prima necessità) e delle persone (in particolare nel caso di spostamenti essenziali quali il ritorno dei cittadini europei nei rispettivi Stati membri di residenza, oppure nel caso dei lavoratori transfrontalieri).
  Tale richiesta ha trovato un importante riconoscimento nell'adozione, da parte della Commissione europea, di linee guida sulla gestione delle frontiere (16 marzo 2020) che invitano tutti gli Stati membri a rispettare i principi di coordinamento, previa informazione, trasparenza, non discriminazione e proporzionalità delle misure di frontiera adottate in risposta all'attuale emergenza pandemica, con l'obiettivo di garantire l'integrità del mercato interno (e in particolare la circolazione e la consegna delle merci). Si tratta di linee guida non vincolanti, ma formulate pur sempre dalla Commissione nel suo ruolo di guardiano dei trattati e del relativo rispetto da parte degli Stati membri.
  In particolare, per quanto riguarda la reintroduzione dei controlli alle frontiere interne, nelle linee guida la Commissione ha chiarito che laddove gli Stati membri – come loro consentito dal codice frontiere Schengen – decidano di ristabilire i controlli, dovranno tuttavia garantirne il carattere proporzionato, coordinarsi con gli altri Stati membri (in primo luogo confinanti) e notificare formalmente la reintroduzione alla Commissione e agli altri Stati membri secondo quanto previsto dal codice. Le linee guida, inoltre, ribadiscono il dovere di facilitare il transito di trasportatori e lavoratori transfrontalieri.
  Attualmente le misure di frontiera sono oggetto di riunioni tecniche tenute a Bruxelles con cadenza settimanale tra la Commissione e gli Stati membri, riunioni nell'ambito delle quali l'Italia ha sin dall'inizio dell'emergenza sostenuto un'armonizzazione delle prassi nazionali con l'obiettivo di risolvere i problemi pratici creatisi alle frontiere.
  Nel complesso, dunque, la linea seguita dal Governo è quella di promuovere un'azione coordinata e una consultazione incessante a livello bilaterale ed europeo, volta da un lato a minimizzare il rischio che spostamenti internazionali di persone possano contribuire alla diffusione del Covid-19, in coerenza con i provvedimenti adottati a livello interno dal nostro Paese; dall'altro a tutelare la circolazione delle merci – essenziale per garantire l'approvvigionamento di beni di prima necessità – e lo svolgimento in sicurezza degli spostamenti essenziali (trasportatori, transfrontalieri, rientri dei connazionali) all'interno dell'area Schengen.
  Per quanto riguarda il caso specifico, fra gli Stati membri che hanno subito adottato misure restrittive alle frontiere figurano anche l'Austria, che ha limitato il numero di valichi attraverso cui è possibile l'ingresso nel Paese e richiesto ai cittadini europei non residenti, ai fini dell'ingresso, l'esibizione di un certificato attestante la negatività al Covid-19 non più vecchio di 4 giorni; e la Slovenia, che ha ugualmente ristretto il numero di valichi terrestri aperti e richiesto un certificato di validità non risalente a più di 3 giorni (permettendo tuttavia, in deroga a tale previsione, l'ingresso a coloro che non dovessero registrare uno stato febbrile alla misurazione della temperatura corporea effettuata in frontiera). Vienna ha formalmente notificato alla Commissione europea e agli altri Stati membri la reintroduzione dei controlli alle frontiere con il nostro Paese l'11 marzo 2020 (successivamente estendendoli a tutti i Paesi confinanti e procedendo a proroga, da ultimo l'8 aprile 2020); Lubiana ha invece ritenuto di limitarsi a inoltrare una nota verbale recante le proprie misure al nostro Paese, considerandole non equiparabili a vera e propria reintroduzione dei controlli sistematici ai sensi del codice frontiere Schengen, e dunque non procedendo a relativa notifica alla Commissione.
  In particolare, con riferimento alle iniziative adottate dal Governo nei confronti dell'Austria, si segnala il pronto intervento diplomatico effettuato in reazione alla reintroduzione dei controlli alle frontiere da parte austriaca, che ha permesso il rapido ripristino della regolare circolazione stradale nei principali valichi di frontiera. Esso ha inoltre scongiurato, fin dal primo momento, la possibilità che le restrizioni adottate dall'Austria potessero nuocere alla libera circolazione delle merci e a particolari categorie di interessati, come i lavoratori frontalieri.
  Sulle problematiche relative al trasporto merci emerse al confine con la Slovenia, gli interventi del Ministro Di Maio, degli altri colleghi di Governo e della nostra rete diplomatica in aggiunta al mio colloquio con il segretario di Stato sloveno per gli affari esteri, Dovžan, hanno consentito il rientro di diverse criticità registrate e un progressivo miglioramento del quadro dei transiti grazie ad una costante ed efficace interlocuzione con le autorità slovene, con le quali abbiamo condiviso l'esigenza che le misure adottate in risposta all'emergenza pandemica dovuta al Covid-19 siano proporzionate e non comportino un'insostenibile interruzione del traffico merci, che danneggerebbe entrambe le nostre economie così profondamente interconnesse.
  Preme inoltre sottolineare che la situazione venutasi a creare al confine italo-sloveno nelle settimane passate è da ricollegare a una serie di restrizioni riconducibili al più ampio quadro regionale balcanico-danubiano. Grazie alle continue consultazioni avute da parte italiana – a tutti i livelli – con le autorità dei Paesi confinanti e vicini è stato possibile un graduale superamento delle criticità emerse attraverso l'individuazione di soluzioni condivise.
  La cooperazione con la Slovenia, nonché con gli altri Paesi interessati, prosegue in tal senso al fine di preservare un approccio quanto più improntato alla collaborazione e che contemperi la necessità di proteggere la salute pubblica con il bisogno di garantire il transito dei veicoli e il trasporto delle merci.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionale: Ivan Scalfarotto.


   VARCHI e MASCHIO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:

   il 19 gennaio del 2012 veniva sequestrato Giovanni Lo Porto, un italiano di 36 anni che lavorava nel sud del Punjab per la organizzazione non governativa tedesca Wel Hunger Hife;

   secondo quanto riportato all'epoca dalla stampa, il giorno del rapimento quattro uomini armati avevano fatto irruzione a Multan, vicino alle aree tribali a cavallo tra Pakistan e Afghanistan, nella casa dove viveva Giovanni, e lo avevano portato via con la forza, insieme al suo collega Bernd Muehlenbeck, di 59 anni;

   a distanza di tre anni dal rapimento, il 23 aprile 2015, l'allora presidente degli Stati Uniti Barack Obama annunciava pubblicamente che Giovanni Lo Porto e l'americano Warren Weinstein erano stati «tragicamente uccisi in un'operazione antiterrorismo»;

   in quell'occasione Obama non entrò assolutamente nel merito dell'operazione antiterrorismo e, di fatto, a rivelare che si fosse trattato di un drone, che aveva preso di mira la struttura in cui Lo Porto e Weinstein erano tenuti prigionieri, fu la stampa, che cercò di ricostruire l'attacco;

   ad oggi quello che è accaduto davvero rimane un mistero. L'unica cosa certa è che Giovanni Lo Porto e Warren Weinstein sono le prime due vittime di un attacco di droni;

   come riportato dagli organi di stampa dell'epoca, secondo i familiari, l'intelligence americana sapeva che Giovanni e l'operatore Warren Weinstein si trovassero nell'edificio sorvegliato e poi preso di mira dal drone, «ma era interessato a colpire i quattro Talebani, che erano pesci grossi»;

   non è chiaro come sia stato possibile che, nonostante le centinaia di ore di sorveglianza del sito da colpire e nonostante tutti i sensori ultrasensibili che permettono ai droni di vedere ogni particolare, la presenza di Giovanni Lo Porto e di Warren Weinstein sia «sfuggita» –:

   quali siano le informazioni in possesso del Governo sulla drammatica vicenda di cui in premessa, dal rapimento del cooperante italiano alle trattative per la sua liberazione sino all'operazione americana che ha portato alla sua uccisione, rimasta ad oggi misteriosa;

   se, al di là delle scuse poste dal presidente Obama al nostro Paese e ai familiari di Giovanni Lo Porto, non ritenga indispensabile rinegoziare con gli alleati ed in particolare con gli Stati Uniti le regole su come fronteggiare i sequestri di persona nei teatri di guerra internazionali e gestire le relative trattative per una cooperazione tra le varie forze di intelligence.
(4-04172)

  Risposta. — Onorevole Varchi, rispondo alla Sua interrogazione n. 4-04172.
  Giovanni Lo Porto, nato il 23 giugno 1977, cooperante della Ong tedesca Welthungerhilfe – WHH (German Agro Action), è stato rapito il 19 gennaio 2012 in un'area del Punjab, al confine tra Afghanistan e Pakistan, dove si era recato assieme ad un collega tedesco, Bernd Muehlenbeck, per prestare assistenza alle popolazioni di una zona rurale pesantemente colpita da alluvioni. Il cooperante tedesco, sequestrato insieme a Lo Porto, è stato successivamente separato e gestito da altri sequestratori, per poi essere liberato in Afghanistan, dove è stato rilasciato nell'autunno 2014 alla periferia di Kabul.
  A seguito della notizia del sequestro, la Farnesina – attraverso l'unità di crisi – in coordinamento con gli altri organi dello Stato interessati, ha immediatamente attivato tutti i canali disponibili per rintracciare il connazionale e per avere elementi certi sulla sua condizione.
  Il Governo italiano ha sempre esercitato la massima pressione diplomatica sulle autorità locali per far luce sulla vicenda. Il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale in particolare ha sollevato la questione in tutti gli incontri istituzionali bilaterali e nei propri contatti con le organizzazioni umanitarie. Su richiesta tedesca ed italiana, inoltre, il Governo pakistano ha a suo tempo istituito una apposita «
task force» per far luce sul rapimento, ai cui lavori hanno partecipato regolarmente funzionari diplomatici e della Presidenza del Consiglio presso l'ambasciata italiana a Islamabad.
  L'unità di crisi ha mantenuto per tutta la durata della vicenda un costante contatto con la famiglia, in particolare con la madre ed i fratelli di Giovanni Lo Porto, residenti a Palermo, ricevendoli presso le proprie strutture a Roma e facilitando l'incontro dei familiari con i Ministri degli esteri succedutisi a partire dal 2012.
  Funzionari dell'unità di crisi si sono in più occasioni recati a Palermo per fornire assistenza alla famiglia. Fino al triste epilogo, quando il capo ed un funzionario dell'unità di crisi hanno informato direttamente la famiglia di quanto accaduto prima che la notizia fosse resa pubblica.
  Relativamente all'uccisione di Giovanni Lo Porto, il 22 aprile 2015 l'allora Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha informato il Presidente del Consiglio italiano che il nostro connazionale ed il cooperante americano della «J.E. Austin Associates», Warren Weinstein, rapito in Pakistan il 13 agosto 2011, avevano purtroppo perso la vita a seguito di un bombardamento effettuato nel mese di gennaio 2015 da velivoli americani a pilotaggio remoto (cosiddetti «droni») in Pakistan, in un'area a ridosso del confine con l'Afghanistan.
  Tale informazione è stata fornita al Governo italiano e all'opinione pubblica americana appena finalizzate le necessarie verifiche condotte da parte statunitense, che si sarebbero protratte per tre mesi a causa della particolarissima natura del contesto in cui si è svolta l'azione antiterrorismo: un'area di guerra, teatro di numerosi sequestri, che non consentiva agevole e rapido accesso al
compound colpito per accertare le conseguenze dell'azione antiterrorismo e successivamente identificare le persone coinvolte.
  Secondo quanto riferito dal Governo americano, l'operazione era stata condotta per colpire importanti esponenti di Al Qaeda individuati nell'area, tra cui in particolare il cittadino americano di origine pakistana Ahmed Farouk. Nel bombardamento, che ha colpito il
compound in cui si nascondeva Farouk, sarebbero morti lo stesso Farouk, alcuni altri affiliati ad Al Qaeda ed i due ostaggi. Il Governo statunitense ha confermato che non vi erano informazioni in base alle quali si potesse ritenere che i due ostaggi fossero in quel compound.
  Sull'intera vicenda risulta tuttora aperto un fascicolo presso la procura della Repubblica di Roma.
  Per quanto riguarda le regole su come fronteggiare i sequestri di persona nei teatri di guerra internazionali, si ricorda che l'Italia, insieme agli Stati Uniti ed agli altri partner, ha ribadito alla ministeriale esteri G7 dell'aprile 2020 la comune determinazione a prevenire l'utilizzo dei sequestri di persona da parte di gruppi terroristici, in accordo con le rilevanti convenzioni internazionali. I gruppi terroristici mirano a colpire i nostri cittadini, in madrepatria e all'estero, come mezzo per sovvenzionare le proprie attività. Data la delicatezza del tema e le mutevoli circostanze sul terreno, il Governo italiano favorisce appropriate occasioni di collaborazione con i nostri alleati, a tutela della vita e dell'incolumità dei nostri connazionali sequestrati e di una loro pronta liberazione. Come hanno affermato il Presidente del Consiglio e il Ministro in occasione dell'incontro con la stampa il 10 maggio 2020, all'arrivo a Ciampino della connazionale Silvia Romano, rapita in Kenya nel novembre del 2018, «lo Stato c'è sempre e non si lascia distrarre dai suoi compiti. Lo Stato non lascia indietro nessuno».
  

La Sottosegretaria di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionale: Emanuela Claudia Del Re.