Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVIII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 3 marzo 2020

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,

   premesso che:

    la scarsa partecipazione delle donne al mercato del lavoro costituisce ancora oggi un freno al pieno sviluppo sociale del Paese, persistendo ancora diversi ostacoli che impediscono a moltissime donne la completa realizzazione di sé stesse nella società;

    secondo gli ultimi dati resi noti dal Censis, l'Italia è l'ultimo Paese in Europa per quanto riguarda l'occupazione femminile, con 9.768.000 lavoratrici che rappresentano il 42,1 per cento degli occupati complessivi e un tasso di attività femminile al 56,2 per cento, lontanissimo dall'81,2 per cento della Svezia, prima tra gli Stati europei;

    in Italia, il numero delle donne occupate è lontanissimo da quello relativo agli uomini, che registrano un tasso di attività pari al 75,1 per cento: il tasso di occupazione nella fascia di età 15-64 anni è del 49,5 per cento per le donne e del 67,6 per cento per gli uomini;

    nel confronto europeo riferito alla fascia d'età 20-64 anni, il tasso di disoccupazione in Italia è pari all'11,8 per cento per le donne e al 9,7 per cento per gli uomini, tra le giovani di 15-24 anni si arriva al 34,8 per cento, mentre per i maschi della stessa età si ferma al 30,4 per cento, con una distanza abissale con l'Europa, dove il tasso medio di disoccupazione giovanile per le donne è del 14,5 per cento;

    anche tra le donne in attività i numeri sono preoccupanti: in Italia le donne manager sono solo il 27 per cento dei dirigenti, valore molto al di sotto di quello medio europeo del 33 per cento;

    ancora oggi, purtroppo, per molte donne lavorare e formare una famiglia rimangono due percorsi paralleli e spesso incompatibili: per questo una donna occupata su tre (il 32,4 per cento, cioè più di 3 milioni di lavoratrici) ha un impiego part time (nel caso degli uomini questa percentuale si riduce all'8,5 per cento), che molto spesso viene scelto per mancanza di alternative da circa due milioni di lavoratrici ed è involontario per il 60,2 per cento delle donne che, invece, lo richiede;

    sono quasi 6 milioni le donne italiane che hanno figli minori e che allo stesso tempo lavorano e tra quelle occupate con almeno tre figli quasi 1,3 milioni lavora a tempo pieno e 171.000 (l'85 per cento del totale delle occupate) sono dirigenti, quadri o imprenditrici;

    la condizione di diseguaglianza tra donne e uomini comporta anche una differenza nei redditi da pensione: nel 2017 le donne che percepivano una pensione da lavoro erano più di cinque milioni, con un importo medio annuo di 17.560 euro, mentre per i quasi sei milioni di pensionati uomini l'importo medio era di 23.975 euro;

    alla Commissione lavoro pubblico e privato della Camera dei deputati sono giacenti una serie di proposte, sul tema della parità salariale, dell'occupazione e dell'imprenditoria femminile, degli incentivi per l'assunzione di donne, nonché di una maggiore conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, presentate da esponenti delle opposizioni, che meritano maggiore attenzione e condivisione da parte della maggioranza per un rapido iter e approvazione;

    una misura fortemente apprezzata, ad esempio, è stato l'istituto sperimentale per il pensionamento anticipato delle donne (cosiddetta opzione donna), introdotto nell'ordinamento dal centrodestra al Governo e da ultimo prorogato dall'attuale maggioranza governativa con la legge di bilancio per il 2020, estendendone la possibilità di fruizione alle lavoratrici che abbiano maturato determinati requisiti entro il 31 dicembre 2019;

    purtroppo, però, le misure introdotte dal legislatore negli ultimi anni sono sempre state caratterizzate da transitorietà e temporaneità; invero, è necessario insistere con l'adozione di misure strutturali volte a favorire la creazione di un quadro certo su cui le donne possono fare affidamento per la costruzione del loro progetto di vita;

    in questa prospettiva, due sembrano le criticità sulle quali è doveroso operare in maniera strutturale e di lungo periodo: il problema dei carichi familiari e la scarsa copertura dei servizi di asili nido e di scuole per l'infanzia, attuando politiche della famiglia indirizzate alla piena possibilità di poter armonizzare la vita familiare con la vita sociale, lavorativa e relazionale, affinché l'indispensabile sostegno al contrasto alla denatalità possa svilupparsi anche attraverso l'implementazione di politiche di conciliazione dei tempi di lavoro con quelli della famiglia e di strategie family friendly;

    secondo l'Istat le donne presentano, infatti, una maggiore quota di sovraccarico tra impegni lavorativi e familiari: più della metà delle donne occupate (54,1 per cento) svolge oltre 60 ore settimanali di lavoro retribuito e familiare (46,6 per cento nel caso degli uomini);

    la presenza di forti carichi familiari si riverbera in modo decisivo sulla partecipazione delle donne al mercato del lavoro in ogni suo segmento: dall'ingresso alla progressione di carriera;

    un altro dato assolutamente degno di nota è quello che riguarda la copertura territoriale dei servizi di asili nido e di scuole per l'infanzia e le relazioni che intercorrono fra questo aspetto e l'occupazione femminile;

    la copertura dei servizi di asilo nido e di scuola per l'infanzia nel nostro Paese è scarsa: la media nazionale dei bambini che ne fruiscono è del 20 per cento, con riduzioni drastiche al Meridione, pari al 7 per cento circa dei bambini, a fronte di una media europea del 40 per cento circa;

    come rilevato anche dall'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), esiste un nesso causale immediato e diretto fra la scarsa disponibilità di servizi pubblici per l'infanzia e la disoccupazione femminile: è di tutta evidenza, infatti, che le madri che non possono affidare il bambino ad altri componenti del nucleo familiare o sostenere il costo di servizi di asilo nido privati o di baby-sitting non abbiano altra scelta che rinunciare in tutto o in parte al proprio lavoro. Dati statistici dimostrano in modo incontrovertibile che i Paesi con il tasso di disoccupazione femminile più basso (Francia, Danimarca e Paesi scandinavi) sono quelli con la più alta copertura di servizi per l'infanzia;

    il principio della parità di genere, nonostante il significativo riconoscimento ottenuto con la cosiddetta legge Golfo-Mosca (legge n. 120 del 2011), e il recente aumento, per le società quotate in borsa, della quota da riservare al genere meno rappresentato da un terzo (30 per cento) a due quinti (40 per cento), è ancora ben lontano dalla sua piena attuazione;

    la mancata occupazione o una retribuzione inadeguata costituiscono, per la donna, anche una forma di violenza di genere, di tipo economico, che drammaticamente si affianca a quella di tipo fisico e/o psicologico, impedendo alla donna stessa che subisce violenza in ambito domestico il coraggio di denunciare;

    purtroppo, la violenza sulle donne è una piaga che non accenna a fermarsi: quasi sette milioni di donne italiane dai 16 ai 70 anni hanno subito almeno una volta nella vita una forma di violenza; su un totale di tre milioni di donne, la violenza è stata perpetrata nel 5,2 per cento dei casi dall'attuale partner e nel 18,9 per cento da un ex partner. Oltre a partner ed ex partner, si rilevano violenze da parte dei colleghi di lavoro nel 2,5 per cento dei casi, da parenti nel 2,6 per cento, da amici nel 3 per cento e da conoscenti nel 6,3 per cento dei casi;

    il 12 novembre 2019 è stata approvata dalla Camera dei deputati una mozione volta a riconoscere i passi in avanti compiuti nel contrasto alla violenza sulle donne e allo stesso tempo ad impegnare il Governo ad aumentare le misure volte a contrastare e prevenire tale fenomeno;

    dal punto di vista legislativo, in passato sono state poste in essere diverse iniziative positive e meritorie nella direzione del rafforzamento delle misure di tutela contro la violenza sulle donne; non ci si può esimere, a tal riguardo, dal dare atto di quanto realizzato durante i Governi di centrodestra, quando, per la prima volta, è stato posto in essere un piano nazionale contro la violenza di genere e lo stalking (reato introdotto nell'ordinamento nel 2009), finanziato con oltre 18 milioni di euro e teso a realizzare una strategia di contrasto su scala nazionale, con l'obiettivo di ottenere una positiva collaborazione tra i centri antiviolenza delle regioni, il numero verde 1522 e le diverse professionalità esistenti nelle fila delle forze dell'ordine;

    oggigiorno non si parla soltanto di violenza fisica e psicologica ma anche di quella economica, prevista dalla Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, ratificata dall'Italia nel 2013: tra le vittime ci sono donne di ogni età e di ogni ceto sociale; la spirale in cui cadono le porta a indebitarsi, a non avere liquidità, fino ad arrivare a vivere di stenti, a non poter mandare i figli all'università e non poter acquistare loro da mangiare o da vestire; i comportamenti degli uomini che perpetrano la violenza economica non solo generano una forma di controllo che impedisce l'indipendenza della donna, ma creano anche uno stato di soggezione;

    un fenomeno in crescita è quello delle donne che ricevono molestie o minacce sul luogo di lavoro: i dati Istat – basati sulla rilevazione effettuata negli anni 2015-2016 – danno atto che le donne che hanno subito un ricatto sessuale nel corso della loro vita lavorativa sono un milione e 404 mila (rappresentano la quota dell'8,9 per cento delle lavoratrici attuali o passate, incluse le donne in cerca di occupazione); rilevano, altresì, che, quando una donna subisce violenza, nell'80,9 per cento dei casi non ne parla con nessuno e che solo la quota dello 0,7 per cento si è rivolta alle forze di polizia; i ricatti sessuali si verificano nel momento in cui le donne si trovano più in difficoltà e subiscono la situazione asimmetrica, presente soprattutto nei settori professionali tradizionalmente maschili;

    il sessismo non risparmia neanche le donne con disabilità, anzi le rende doppiamente vittime: se la donna è spesso vista come un «oggetto», il fatto di essere disabile la rende ancora più indifesa e bersaglio di atteggiamenti discriminatori e violenti;

    per raggiungere la parità effettiva tra uomini e donne occorre il superamento di stereotipi e pregiudizi di genere, accompagnato da misure, anche a carattere normativo, tese a sostenere le reali necessità delle donne, madri e lavoratrici,

impegna il Governo:

1) ad adottare le opportune iniziative volte a sostenere e valorizzare la partecipazione delle donne al mercato del lavoro, nonché misure strutturali di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro per le lavoratrici;

2) ad adottare iniziative per colmare il divario retributivo tra donne e uomini prevedendo sgravi contributivi per incentivare la contrattazione di secondo livello al fine di introdurre, attraverso accordi tra datori di lavoro e lavoratori, misure ad hoc di monitoraggio e di valutazione delle condizioni di lavoro e di retribuzione dei due sessi;

3) ad adottare iniziative per introdurre strumenti di welfare volti a supportare le donne nel rientro al lavoro dopo il parto e nella gestione dei figli, con particolare riguardo per le mamme single o che abbiano subito violenza;

4) a prevedere le opportune iniziative volte a superare le condizioni di organizzazione e distribuzione del lavoro che siano, di fatto, pregiudizievoli per l'avanzamento professionale di carriera ed economico della donna;

5) ad adottare iniziative per avviare programmi di controllo interno ai luoghi di lavoro al fine di rilevare eventuali condizioni di discriminazione, individuate ai sensi del codice delle pari opportunità, ed al contempo individuare apposite misure che incentivino i datori di lavoro ad assumere le donne lavoratrici con il profiling adeguato alla mansione da svolgere, senza penalizzarne come spesso accade la professionalità e la competenza;

6) ad adottare iniziative per riconoscere specifiche agevolazioni fiscali per le lavoratrici residenti nei territori con minore capacità fiscale e per sostenere il lavoro femminile anche nelle realtà più svantaggiate dal punto di vista economico e sociale, dove il divario occupazionale tra i sessi è ancora maggiore;

7) a promuovere misure organiche e permanenti per il potenziamento e la riqualificazione di strutture destinate agli asili nido e alle scuole dell'infanzia e ad adottare iniziative per reperire le occorrenti risorse finanziarie per conseguire l'obiettivo di copertura in tutto il territorio nazionale dei servizi socio-educativi per la prima infanzia, anche valutando orari prolungati corrispondenti alla chiusura di uffici e negozi e coperture nel periodo estivo per le madri lavoratrici;

8) a sostenere il potenziamento dell'offerta pubblico-privata degli asili nido, anche attraverso l'incentivazione dei nidi condominiali, sui luoghi di lavoro e in case private secondo il modello tedesco delle Tagesmutter, nell'ambito delle politiche per la famiglia ed a sostegno delle madri-lavoratrici;

9) a promuovere il rilancio dell'occupazione femminile, facilitando l'accesso al lavoro part time e al telelavoro previsto dalla legge n. 81 del 2017, con l'obiettivo di garantire una più ampia flessibilità nella scelta dell'orario di lavoro, consentendo ai genitori l'opportunità di trascorrere più tempo a casa con i propri figli;

10) ad adottare iniziative per prevedere incentivi in favore delle imprese che privilegiano le assunzioni di donne, neomamme e donne vittime di violenza;

11) a promuovere la parità tra i sessi e la prevenzione della violenza di genere nelle scuole;

12) a prevedere le opportune iniziative normative al fine di attuare quanto previsto dall'articolo 40 della Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, ratificata dall'Italia nel 2013, per quanto attiene alle molestie perpetrate in ambito lavorativo, al fine di prevedere forme di responsabilità anche del datore di lavoro quale garante della correttezza del comportamento dei propri dipendenti;

13) a prevedere ogni iniziativa atta a far emergere il fenomeno delle molestie in ambito lavorativo e favorire al più presto l'adozione di accordi specifici nel settore privato;

14) a promuovere la parità di genere nell'ambito delle cariche istituzionali e dell'attività politica, delle società pubbliche o a prevalente partecipazione pubblica e per le società quotate in borsa;

15) a intraprendere le opportune iniziative al fine di adottare misure di prevenzione e di sensibilizzazione contro il sessismo, la misoginia in generale e l'utilizzo degli stereotipi che alimentano la vittimizzazione secondaria a tutti i livelli;

16) ad adottare iniziative volte ad incrementare l'occupazione femminile come elemento fondamentale di emancipazione e liberazione da ogni tipo di violenza, intesa soprattutto quale strumento di inclusione sociale;

17) ad assumere le opportune iniziative al fine di stanziare risorse adeguate destinate alla formazione del personale impiegato nelle strutture di pubblica sicurezza, chiamato ad interagire con le donne che hanno subito maltrattamenti, violenza sessuale, atti persecutori e lesioni aggravate, per incentivare una cultura sociale e giudiziaria orientata alla tutela della vittima.
(1-00335) «Gelmini, Locatelli, Meloni, Gagliardi, Carfagna, Foscolo, Frassinetti, Prestigiacomo, Murelli, Bellucci, Calabria, Boldi, Baldini, Marrocco, Eva Lorenzoni, Bucalo, Aprea, Lazzarini, Caretta, Anna Lisa Baroni, Legnaioli, Ciaburro, Bartolozzi, Andreuzza, Ferro, Bergamini, Bisa, Lucaselli, Biancofiore, Bordonali, Mantovani, Brambilla, Bubisutti, Montaruli, Cristina, Castiello, Fascina, Vanessa Cattoi, Ferraioli, Cavandoli, Fiorini, Colmellere, Fitzgerald Nissoli, Comaroli, Labriola, Covolo, Mazzetti, De Angelis, Milanato, Fantuz, Polidori, Fogliani, Polverini, Frassini, Porchietto, Gava, Ravetto, Gerardi, Ripani, Giacometti, Rossello, Gobbato, Ruffino, Latini, Saccani Jotti, Loss, Santelli, Lucchini, Elvira Savino, Patelli, Sandra Savino, Piccolo, Siracusano, Raffaelli, Spena, Saltamartini, Tartaglione, Tateo, Maria Tripodi, Tomasi, Versace, Valbusa, Vietina, Zanella».


   La Camera,

   premesso che:

    il diffondersi del contagio da Coronavirus nelle regioni della Lombardia e del Veneto e gli interventi adottati, ad oggi, a livello nazionale hanno avviato una fase di rallentamento delle attività economiche destinato a produrre gravi ripercussioni non solo nell'immediato ma anche nei prossimi anni;

    tra gli effetti di questa epidemia si evidenzia, innanzitutto, il ritorno di immagine negativo percepito a livello internazionale, con conseguente perdita totale di attrattività a danno delle regioni Lombardia e Veneto, sia per quanto riguarda le attività recettive e turistiche, sia per quanto riguarda l'intero comparto manifatturiero;

    già oggi, con le dovute cautele, è possibile avviare una prima stima dei danni che verosimilmente ricadranno sull'economia lombardo-veneta e di conseguenza, sui lavoratori e sulle famiglie di tali regioni;

    le prime analisi sullo scenario economico evidenziano come per l'industria, un settore da tempo colpito da crisi economica, la diffusione del Coronavirus potrebbe produrre conseguenze disastrose. Nelle fabbriche dove operano dipendenti contagiati la produzione in alcuni casi si ferma; i clienti stranieri, anche a causa di seri problemi di approvvigionamento provenienti dalla Cina, stanno chiedendo conferme sulla capacità delle aziende italiane di rispettare le consegne;

    i consumi che prima avvenivano fuori casa (dai ristoranti alle mense scolastiche) ora si trasferiscono tra le mura domestiche;

    Confcommercio ha stimato la possibilità di 100.000 dipendenti a rischio nel settore dei pubblici esercizi;

    secondo l'Alleanza delle cooperative, con la chiusura delle scuole, la cooperazione sociale ritiene a rischio oltre 30.000 lavoratori, con un danno economico stimabile in 10 milioni di euro al giorno;

    il blocco delle attività fieristiche e congressuali di questo periodo genera nell'indotto un danno pari a 10/15 volte superiore al mancato fatturato degli eventi stessi;

    l'incertezza dei mercati finanziari, oltre ad aver bruciato in un solo giorno oltre 30 miliardi di euro in borsa, rischia di generare un impatto, in particolare sulle piccole e medie imprese, tra lo 0,2 per cento e lo 0,4 per cento del prodotto interno lordo, pari rispettivamente a circa 3,5-7 miliardi di euro;

   per Confcommercio saranno a rischio, tra il mese di marzo e il mese di maggio, oltre 20 milioni di presenze turistiche, con una riduzione di spesa di 2,65 miliardi di euro. Esiste, infatti, la possibilità di disdette per le vacanze pasquali, senza parlare del fatto che molti turisti stranieri potrebbero prenotare le vacanze estive al di fuori dell'Italia;

    il 25 febbraio 2020 il consiglio della regione Lombardia ha votato una mozione che chiede l'attivazione di misure finalizzate ad accompagnare imprese e lavoratori in questa fase di emergenza;

    quanto sta accadendo in questi giorni è destinato a modificare profondamente l'assetto socio-economico lombardo e veneto, prefigurando uno scenario di crisi profonda e depressione economica che dovrà essere necessariamente accompagnata da interventi di carattere strutturale e non solo emergenziale;

    la Lombardia e il Veneto rappresentano il motore economico del Paese e un loro rallentamento condizionerà, inevitabilmente, il quadro economico nazionale nel prossimo futuro;

    appare fondamentale avviare quanto prima iniziative atte a sostenere il contenimento della crisi economica e individuare linee di intervento per il rilancio economico e di immagine del territorio e del tessuto imprenditoriale lombardo e veneto;

    nella Gazzetta Ufficiale n. 45 del 23 febbraio 2020 è stato pubblicato il decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante «Misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da Covid-19», nonché il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 23 febbraio 2020 recante le relative disposizioni attuative;

    a tali provvedimenti volti ad evitare la diffusione del Coronavirus a livello nazionale, per quanto risulta, si affiancherà un altro provvedimento d'urgenza recante misure di carattere economico di varia natura;

    il Ministro dell'economia e delle finanze, Roberto Gualtieri, a seguito delle sollecitazioni e della presentazione di interrogazioni urgenti presso le Commissioni parlamentari di merito da parte del Gruppo Forza Italia-Berlusconi Presidente ha altresì recentemente firmato il decreto ministeriale che interviene sugli adempimenti a carico dei contribuenti residenti nelle zone interessate dall'emergenza Coronavirus. Con tale intervento vengono sospesi i versamenti delle imposte, delle ritenute e gli adempimenti tributari per i contribuenti e le imprese residenti o che operano negli undici comuni interessati dalle misure di contenimento del contagio da Coronavirus. La sospensione riguarda, inoltre, anche le cartelle di pagamento emesse dagli agenti della riscossione e quelli conseguenti ad accertamenti esecutivi;

    detto decreto riguarda i versamenti e gli adempimenti che scadono in un periodo molto circoscritto compreso fra il 21 febbraio e il 31 marzo 2020. Sarebbe invece opportuno, come peraltro sollecitato dal Consiglio nazionale dei commercialisti ed esperti contabili, sospendere fino al 31 luglio 2020 gli adempimenti e versamenti dei contributi previdenziali e assistenziali;

    inoltre, appare necessario, soprattutto con riferimento alla diffusione del fenomeno del Coronavirus nelle regioni della Lombardia e del Veneto intervenire per sospendere gli adempimenti e i versamenti dei contributi previdenziali e assistenziali non solo per i datori di lavoro e per i titolari di reddito di lavoro autonomo o d'impresa che svolgono l'attività o risiedono nei comuni in «quarantena», ma anche per coloro che non svolgono attività in tali comuni se però lì risiedono gli intermediari che effettuano gli adempimenti in materia contributiva e assicurativa;

    in questo frangente appare poi opportuno attivare la Cigo (Cassa integrazione guadagni ordinaria) e il Fis (Fondo d'integrazione salariale) per eventi di forza maggiore non solo nei comuni interessati dalle misure urgenti di contenimento del contagio, ma anche per i lavoratori delle aziende collocate all'esterno di tali comuni se colpite da ordinanze di chiusura e limitazioni. L'attivazione degli ammortizzatori sociali dovrebbe essere prevista al di fuori dei comuni interessati anche per quelle attività che, comportando aggregazioni in luogo pubblico o privato, anche di natura sportiva, svolte in luoghi chiusi o aperti al pubblico, sono state sospese e sempre per le aziende non ubicate nei comuni interessati per i dipendenti che lì risiedono. Infine, poiché il Fis interviene nei settori non coperti dalla normativa in materia di integrazione salariale per i datori di lavoro che occupano mediamente più di cinque dipendenti, in via eccezionale, appare necessario che per la causale Covid-19 l'assegno ordinario intervenga a prescindere dal limite dimensionale delle imprese,

impegna il Governo:

1) ad adottare iniziative per estendere, in deroga alla normativa vigente, le misure di favore previste dal decreto-legge 20 giugno 2017, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2017 n. 123, in materia di zone economiche speciale (Zes) nei confronti delle regioni Lombardia e Veneto, al fine di garantire il riconoscimento di agevolazioni fiscali e di semplificazioni amministrative nei confronti delle imprese lombarde e venete;

2) a porre in essere ogni iniziativa presso le competenti sedi dell'Unione europea per riorientare tutte le risorse residue dei fondi strutturali europei (ciclo di programmazione 2014-2020), già destinate alle regioni Lombardia e Veneto per interventi a sostegno delle imprese lombarde e venete, gravemente minacciate nella loro sopravvivenza dagli effetti della diffusione del Coronavirus (Covid-19);

3) ad adottare iniziative per sospendere fino al 31 luglio 2020 gli adempimenti e i versamenti dei contributi previdenziali e assistenziali, estendendo tale sospensione anche nei confronti delle aziende che, pur non operando nelle aree sottoposte a restrizione, si avvalgono di intermediari che risiedono in tali zone;

4) ad assumere iniziative per attivare gli ammortizzatori sociali anche per i dipendenti delle aziende non ubicate nei comuni interessati dal Coronavirus senza passare dalla procedura di consultazione sindacale prevista dal decreto legislativo n. 148 del 2015 nei termini descritti in premessa;

5) ad adottare iniziative di sostegno economico per tutte le attività lavorative interessate prevedendo l'estensione della cassa integrazione guadagni anche ai commercianti e ai lavoratori autonomi, oltre che ai lavoratori dipendenti privati.
(1-00336) «Gelmini, Palmieri, Giacomoni, Brunetta, Mandelli, Cattaneo, Bond, Caon, Cortelazzo, Marin, Milanato, Zanettin, Aprea, Brambilla, Cannatelli, Della Frera, Musella, Rossello, Saccani Jotti, Squeri, Valentini, Zanella, Fatuzzo, Versace, Gregorio Fontana, Orsini, Anna Lisa Baroni, Perego Di Cremnago».

Risoluzione in Commissione:


   La III Commissione,

   premesso che:

    l'Unione europea, con l'avallo dei governi italiani degli ultimi anni, ha adottato una politica di esternalizzazione dei problemi relativi al flusso di migranti provenienti dalla rotta balcanica, attraverso misure di finanziamento alla Turchia finalizzate alla gestione di quello che il commissario per la politica di vicinato, Johannes Hahn, ha definito «il più grande gruppo di rifugiati nel mondo»;

    l'Unione europea ha versato 6 miliardi di euro al regime di Erdogan, a carico del Fondo per i rifugiati in Turchia, nell'ambito di un programma concordato nel 2016 affinché questi si faccia carico dell'accoglienza dei rifugiati siriani in fuga dalla guerra civile che egli stesso contribuisce ad acuire. L'accordo relativo alle nuove misure di assistenza dovrebbe essere rinegoziato entro la fine del 2020 e le azioni dovrebbero essere completate entro la metà del 2025;

    i fondi elargiti dall'Unione europea alla Turchia non si limitano, però, a questi. Nell'ambito dei negoziati di pre-adesione, ossia il pacchetto di misure finanziate dall'Unione europea per favorire l'avvicinamento della Turchia ai requisiti economici e giuridici richiesti per l'adesione all'Unione, sono stati conferiti 1.3 miliardi di euro per il periodo 2002-2006, 4.8 miliardi per il 2007-2013 e 4.5 miliardi per il 2014-2020;

    a questi vanno aggiunti 10.6 miliardi di euro che l'Europa ha dato alla Turchia dal 2007 ad oggi nell'ambito delle misure di adeguamento del Governo turco agli standard europei, allo scopo di rafforzare la democrazia. La Turchia è la nazione che più ha beneficiato di tali finanziamenti europei: si pensi che il Kosovo ha ricevuto solo 641 milioni di euro per tale scopo;

    tale flusso di denari dei cittadini europei, quindi anche degli italiani, non ha impedito la svolta islamista di Erdogan, generando il paradossale effetto di allontanare la Turchia dall'Europa, nonché un gioco al rialzo di Erdogan che usa la crisi dei migranti sulla rotta balcanica come strumento di ricatto nei confronti dell'intera Unione;

    Erdogan sostiene da tempo non troppo chiare «forze ribelli», costole dell'Isis, allo scopo di spezzare la continuità territoriale delle zone occupate dalle milizie curde. Obiettivo dichiarato era creare una «safe zone» in chiave anti-curda. La Turchia vive come un vero e proprio incubo strategico la possibilità di una zona curda indipendente, che può costituire un polo d'attrazione anche per il Kurdistan turco e, pertanto, continua a destabilizzare l'intera area con attacchi militari nei confronti del Governo legittimo siriano di Bashar al-Assad;

    di recente, nell'operazione «Scudo di primavera», il Ministro della difesa turco, Hulusi Akar, ha reso noto che l'esercito turco ha colpito 8 elicotteri, 103 carri armati, 78 lanciarazzi, 3 postazioni antiaeree e 2.212 militari di Damasco;

    oltre al pesante attacco che rischia di compromettere le capacità militari del governo legittimo siriano di combattere i miliziani dello Stato Islamico, il presidente turco Erdogan ha annunciato l'apertura del confine tra Turchia e Grecia e Bulgaria la notte tra il 27 e il 28 febbraio 2020, contravvenendo ai patti con l'Unione europea per i quali ha ricevuto i summenzionati finanziamenti;

    secondo quanto riferiscono fonti del Governo Turco, circa 80.000 persone sono giunte ai confini europei allo scopo di varcarli in maniera irregolare, attraverso la provincia di Edirne dove ci sono i valichi di frontiera verso la Grecia e la Bulgaria;

    Erdogan ha dichiarato che «da quando abbiamo aperto i nostri confini, il numero di migranti diretti in Europa è di centinaia di migliaia. Presto sarà nell'ordine di milioni»;

    tale ricatto rischia di mettere in serio pericolo la sicurezza e la tenuta dei confini dell'Unione europea e, pertanto, necessita di una risposta corale e decisa di tutti gli attori della politica,

impegna il Governo:

   a considerare come «atto ostile» il via libera sostanziale dato dalla Turchia alle masse di migranti in fuga verso l'Europa;

   a votare contro ogni proposta di ulteriore finanziamento alla Turchia nelle riunioni delle competenti istituzioni comunitarie;

   a proporre e sostenere, nel Consiglio europeo e nel Consiglio affari generali, la revoca dallo status di Paese candidato all'Unione europea della Turchia, chiedendo la fine di qualsivoglia negoziato di adesione.
(7-00426) «Delmastro Delle Vedove».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro per gli affari europei, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:

   con la pubblicazione della lettera in Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea del 10 gennaio 2020, la Commissione europea solleva il tema della tassazione dei porti in Italia e invita il nostro Paese a fornire le proprie osservazioni entro 30 giorni; con ciò il confronto tra Italia e Commissione europea entra nella fase decisiva di una controversia iniziata nel 2017;

   la Commissione valuta non compatibile con la disciplina dell'Unione su concorrenza e aiuti di Stato l'attuale normativa fiscale italiana relativa al comparto;

   l'Unione europea da tempo chiede all'Italia di adeguarsi agli altri Stati membri in tema di riscossione dell'imposta sul reddito delle società, l'Ires, a carico delle quindici Autorità di sistema portuale (Asp), da sempre esentate in quanto enti pubblici e diretta emanazione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;

   secondo Margrethe Vestager, Commissaria europea per la concorrenza, l'esenzione distorcerebbe la concorrenza, procurerebbe indebiti vantaggi alle Asp e inciderebbe sugli scambi intra-Unione europea, costituendo una chiara infrazione dei principi del libero mercato;

   la delicata questione ruota intorno alla natura delle autorità portuali italiane che, a differenza di quanto accade nel resto dell'Unione europea, sono enti pubblici e non imprese private, e vede in argomento due interpretazioni giuridiche diametralmente opposte del ruolo delle Asp;

   la Commissione europea, non considerando rilevante la circostanza che le Asp contribuiscono al perseguimento dell'interesse pubblico generale, indica, a norma dell'articolo 22 del regolamento (UE) n. 2015/1589 del Consiglio, misure per abolire la vigente esenzione dell'imposta sulle società per i porti italiani e l'assoggettamento delle Asp allo stesso regime previsto per le imprese private;

   la Commissione qualifica, quindi, come attività di impresa parte delle attività delle autorità di sistema portuale, senza peraltro specificarle e in qualche caso con evidenti errori di valutazione;

   la legislazione italiana assegna alle Asp l'utilizzazione degli spazi portuali, in quanto funzionali «per lo svolgimento di funzioni pubblicistiche attinenti alle attività marittime e portuali e alla loro realizzazione» e non già al perseguimento dell'interesse economico derivante dai relativi ricavi. Gli unici parametri rilevanti sono quelli relativi al perseguimento degli obiettivi pubblicistici;

   rilevano le considerazioni della Corte dei Conti, sul controllo eseguito sulla gestione finanziaria 2016 dell'autorità portuale di Civitavecchia e dell'autorità portuale del Mare di Sardegna: «Lo Stato italiano ha sempre ritenuto esenti le attività svolte dagli enti portuali e ciò anche in linea con quanto stabilito dall'articolo 13 della Direttiva 2006/112/CE, che considera esenti le operazioni che gli enti di diritto pubblico esercitano come pubbliche autorità, anche quando tali attività percepiscono canoni o contributi e che, diversamente, sono soggette ad imposta negli altri casi ovvero quando le attività siano svolte dagli Enti portuali come soggetti privati. Gli enti portuali, in definitiva, in quanto pubbliche autorità preposte alla regolazione e tutela di interessi pubblici, non sarebbero soggetti a imposta sul reddito come previsto dalla normativa nazionale (articolo 74 del TUIR) ma alla sola IRAP». Tale tesi è avvalorata dalla sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea – causa C 174/06 CO. GE.P. Srl – nella quale l'equiparazione delle concessioni alle locazioni di beni immobili si fonda sulla natura giuridica dell'ente concedente, ovvero se l'ente che gestisce i beni del demanio ad esso affidati lo fa in nome proprio o per conto dello Stato. Le Asp rientrano nel secondo caso, in quanto rivolte al funzionamento dell'ente pubblico per lo svolgimento di funzioni pubblicistiche;

   l'applicazione di canoni più alti metterebbe in ginocchio i porti italiani e le imprese dell'indotto, come segnalato dalla gran parte del cluster marittimo portuale italiano, Assoporti, Ancip, Angopi, Assiterminal, Filt-Cgil, Fit-Cisl, Uiltrasporti;

   la lettera di Bruxelles giunge a destinazione in un momento in cui gli interessi del Nord Europa divergono sempre più da quelli del Sud Europa e riaffiorano pressioni dei porti dei Paesi del Nord Europa (Rotterdam, Amburgo e Anversa), preoccupati per un evidente cambio di scenario conseguente allo sviluppo della Nuova Via della Seta cinese, in grado di spostare l'interscambio merci dall'Europa del Nord verso il Mediterraneo;

   l'Italia ha due importanti porti strategici, Genova e Trieste, tali da mutare la competizione nella stessa Unione europea, nonostante siano ancora lontani dal volume di scambi dei porti del Nord Europa e nel Mediterraneo siano indietro rispetto alla Spagna;

   il porto di Trieste gode di una posizione strategica naturale, corridoio diretto verso il canale di Suez, con fondali profondi e non sabbiosi, da cui partono annualmente circa 43 milioni di tonnellate di petrolio per rifornire Baviera, Austria e Repubblica Ceca, Paesi di raffinazione che beneficiano degli incassi relativi (come da audizione in III Commissione della Camera, nel mese di novembre 2019, di Zeno D'Agostino, alla guida dell'autorità portuale di Trieste);

   appare evidente come dietro a interventi in tema di alterazione della concorrenza si giochi una partita complessa per la primazia commerciale dei porti nell'Unione, cui non sono estranee le considerazioni sulle classificazioni giuridiche dei soggetti protagonisti rispetto alla tematica della proibizione degli aiuti di Stato;

   le commissioni riunite VI e IX, il 26 febbraio 2020, hanno approvato una risoluzione condivisa da tutti i gruppi parlamentari che, tra i molti argomenti in controdeduzione, segnala il rischio di un disordine amministrativo e gestionale della portualità italiana con gravissime conseguenze economiche;

   il Governo è chiamato a compiere scelte consapevoli circa l'impatto della richiamata tassazione sull'intero settore dei porti, sul futuro assetto dei rapporti tra Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e Autorità di sistema portuale, sulla capacità di coordinare investimenti e decisioni relative ai principali snodi logistici, sul mondo del lavoro e delle imprese –:

   se non ritengano di dover fornire elementi circa le posizioni che il Governo intende sostenere con la Commissione europea in risposta all'apertura della procedura di infrazione, al fine di sospenderne le conseguenti decisioni;

   se non ritengano di definire, in ragione dell'interesse complessivo dei porti italiani, una rinnovata strategia che tenga conto dei mutamenti geopolitici, atta a favorire la competitività del sistema italiano nell'ambito delle rotte commerciali sia nel Mediterraneo, sia a livello globale.
(2-00660) «Pettarin, Rossello, Battilocchio, Marrocco, Elvira Savino, Cosimo Sibilia, Vietina, Sozzani, Bergamini, Baldelli, Germanà, Mulè, Pentangelo, Rosso, Zanella, Martino, Giacomoni, Angelucci, Baratto, Cattaneo, Giacometto, Porchietto, Cassinelli, Bagnasco, Novelli, Sandra Savino, Cortelazzo, Casino, Labriola, Mazzetti, Ruffino, Cappellacci, Pella, Prestigiacomo, D'Attis, D'Ettore, Cannizzaro».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro della giustizia, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:

   secondo gli ultimi dati Istat riferiti all'anno 2018, il numero di minori vittime di reati è allarmante;

   stando ai delitti denunciati dalle forze di polizia all'autorità giudiziaria, e limitandosi ai reati contro la persona, si possono contare, tra omicidi volontari consumati, tentati omicidi, omicidi preterintenzionali e omicidi colposi denunciati, ben 80 vittime minori di 14 anni e 65 aventi tra i 14 e i 17 anni;

   raggiungono quasi il migliaio le vittime minori di percosse e addirittura sono oltre 3 mila e 800 i minori vittime di lesioni dolose;

   è impressionante anche il numero delle vittime di reati di violenza sessuale e la loro giovanissima età: su un totale di 1.133 vittime minori, ben 398 hanno meno di 14 anni;

   allarmanti sono i dati riguardanti il reato di sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione: 85 sono le vittime minorenni e tra questi ben 15 sono minori di 14 anni; una piaga sociale che sta affiorando in questi ultimi anni dopo la vicenda delle cosiddette «baby squillo», inchiesta che nel 2013 svelò la vicenda di due adolescenti fatte prostituire nel quartiere romano dei Parioli;

   infine, si segnala che anche le vittime minori del reato di pornografia minorile e detenzione di materiale pedopornografico sono elevatissime: 117 hanno meno di 14 anni e 161 tra 14 e 17 anni;

   a questi bisogna aggiungere centinaia di giovani e giovanissimi con meno di 18 anni vittime di reati di atti sessuali con minorenne e corruzione di minorenne;

   in alcuni tribunali sono state prese misure per migliorare il contrasto a questi fenomeni criminali e garantire la protezione delle vittime di reati, come – ad esempio – la predisposizione di «sale di ascolto» con modalità protette riservate a tutti i minori e dotate di idonea strumentazione tecnica che assicura la videoregistrazione dell'ascolto;

   i dati statistici riferiti dagli uffici giudiziari di Roma indicano che dal 2015 al 2018 sono stati ascoltati con tali modalità, sia dai magistrati che dalle forze di polizia, ben 903 minorenni, di cui 570 bambine, e che nel maggior numero dei casi questi erano vittime di maltrattamenti in famiglia e di violenza sessuale;

   nello stesso tempo nei medesimi uffici giudiziari è stato rilevato un incremento delle notizie di reato che hanno come vittime i minorenni, anche per i delitti di: pornografia minorile, atti sessuali con minore e corruzione di minore, adescamento di minori e sottrazione di minorenne;

   questi dati, se confermati a livello nazionale, mostrano in maniera plastica la profondità di una piaga sociale che ogni anno miete migliaia di vittime innocenti che vedranno segnata la propria vita per sempre;

   ciò impone una seria riflessione e richiede una risposta rapida e pragmatica da parte di tutte le istituzioni –:

   di quali informazioni e dati statistici dispongano con riguardo alla diffusione di delitti di: pornografia minorile, adescamento di minori, atti sessuali con minori, prostituzione minorile, maltrattamenti in famiglia, violenza sessuale e, in generale, reati commessi in danno di minori, negli anni passati nei vari distretti di corte d'appello e nel Paese nel suo complesso;

   se intendano adottare iniziative, per quanto di competenza, volte alla diffusione delle best practice sul territorio nazionale, incluse le misure di contrasto che risultano già in atto presso alcune procure e tribunali del Paese.
(2-00663) «Ascari, Dori, Piera Aiello, Barbuto, Cataldi, Di Sarno, Di Stasio, D'Orso, Giuliano, Palmisano, Perantoni, Saitta, Salafia, Sarti, Scutellà, Acunzo, Adelizzi, Davide Aiello, Alaimo, Alemanno, Amitrano, Aresta, Baldino, Massimo Enrico Baroni, Battelli, Bella, Berardini, Berti, Bilotti, Bologna».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro della salute, il Ministro dell'interno, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:

   successivamente alle notizie del diffondersi del contagio del coronavirus nella zona di Wuhan, il 31 gennaio 2020 con ordinanza del Ministro della salute è stata disposta, come prima misura per prevenire il contagio del virus Covid-19 in territorio italiano, la sospensione del traffico aereo con la Repubblica Popolare Cinese;

   fino al blocco, come previsto dal regolamento sanitario internazionale (2005) (Rsi), presso gli aeroporti di Roma Fiumicino e Milano Malpensa è stato predisposto un monitoraggio attivo da parte del personale degli Usmaf-Sasn di tutti i passeggeri a bordo dei voli diretti da Cina e Hong Kong;

   sempre secondo quanto riportato dal sito web del Ministero della salute, tale monitoraggio ha previsto la raccolta delle informazioni rilevanti dei passeggeri e dell'equipaggio, al fine di garantire la tracciabilità sul territorio nazionale nelle due settimane successive all'arrivo, la misurazione della temperatura corporea con termometri a infrarossi direttamente sull'aeromobile, la distribuzione delle raccomandazioni e consigli comportamentali;

   tuttavia, contestualmente a tale misura, non è stato previsto dall'attuale Governo alcun controllo per i passeggeri transitati da scali secondari o da altre infrastrutture e a tale riguardo, in particolare relativamente al trasporto aereo, non è stato predisposto alcun opportuno controllo sanitario all'interno delle aerostazioni ed altresì non è stata presa in considerazione la temporanea sospensione dell'Accordo di Schengen per un maggior accertamento sanitario anche dei confini terrestri;

   difatti, secondo quanto dichiarato al quotidiano Il Sole 24 ore dal professore Walter Ricciardi, ordinario di igiene all'Università Cattolica e membro del Consiglio esecutivo dell'Organizzazione mondiale della sanità nonché ex presidente dell'Istituto superiore della sanità, il blocco dei voli è stata una scelta «inutile e non basata su evidenze scientifiche» e dunque più opportuno sarebbe stato «controllare l'elenco dei passeggeri e isolarli se vengono da Paesi sospetti», a partire da quelli che sono arrivati dalla Cina;

   dunque, per quanto sopra, confermato anche dall'improvviso diffondersi del virus in Italia, la decisione del blocco dei voli da e per la Cina e le conseguenti misure, evidentemente, non si sono rivelate sufficienti e comunque idonee a tutela della salute dei cittadini, poiché non hanno consentito di controllare anche chi è arrivato con i voli di scalo da zone interessate dall'infezione;

   ha suscitato grande scalpore la notizia, supportata da un video girato il 23 febbraio 2020 all'aeroporto di Bari, dove nessun controllo è stato effettuato ai passeggeri in arrivo invece con voli nazionali;

   ciò conferma quanto già affermato dall'Usmaf (ufficio di sanità marittima e di frontiera) ossia che le linee guida attualmente prevedono, per tutti gli aeroporti italiani, dei controlli solo per chi proviene da scali internazionali e dall'aeroporto di Roma, con l'esclusione degli altri aeroporti nazionali;

   pertanto, valutate oggi le gravissime conseguenze di carattere sanitario ed economico per il nostro Paese che ha avuto il diffondersi del Covid-19 ed al fine di contenere tali disastrosi effetti, si dovrebbe considerare l'adozione di ulteriori misure volte a consentire e prevedere controlli di carattere sanitario prima dell'arrivo a destinazione, ossia nella fase dell'imbarco al fine di evitare il contatto di soggetti affetti da Covid-19 con gli altri passeggeri sul medesimo volo, con i membri dell'equipaggio, con altre persone nell'area degli arrivi o nelle aree comuni all'interno degli aeroporti;

   inoltre, occorre garantire condizioni di maggior sicurezza non solo ai passeggeri provenienti da altri Stati ma anche a quelli che viaggiano su voli nazionali, ai lavoratori che a qualsiasi titolo sono chiamati quotidianamente ad operare all'interno dei nostri aeroporti e, dunque, di conseguenza a tutta la cittadinanza –:

   se, alla luce di quanto riportato in premessa, non intendano, nell'ambito delle proprie competenze, porre in essere immediatamente tutte le iniziative necessarie affinché, in aggiunta alle procedure sanitarie già attivate su disposizione del Ministero della salute per l'emergenza da Covid-19, gli uffici di sanità marittima, aerea e di frontiera – Servizi assistenza sanitaria personale navigante (Usmaf-Sasn) siano tenuti ad effettuare negli scali aeroportuali italiani i più adeguati controlli sanitari sui passeggeri anche nella fase antecedente i controlli di sicurezza all'imbarco;

   se il Governo non intenda dare tempestiva attuazione all'impegno assunto con l'accoglimento dell'ordine del giorno n. 9/2402-A/72 in base al quale, prendendo atto che il virus è presente ormai in diverse regioni italiane, si prevede una revisione del sistema dei controlli aeroportuali, includendo non soltanto i voli internazionali, bensì anche quelli nazionali.
(2-00664) «Zoffili, Molinari, Bianchi, Bordonali, Capitanio, Andrea Crippa, Dara, Donina, Formentini, Frassini, Giglio Vigna, Iezzi, Invernizzi, Locatelli, Maccanti, Ribolla, Sasso, Tarantino, Ziello».

Interrogazione a risposta orale:


   COMAROLI, LORENZO FONTANA, CAVANDOLI, GOBBATO, MURELLI, BUBISUTTI, GASTALDI, GOLINELLI, LIUNI, LOLINI, LOSS, MANZATO, PATASSINI e VIVIANI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro per gli affari europei, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   da notizie stampa apparse sul quotidiano il Sole 24 ore del 28 febbraio 2020, si apprende che nella mattina del 24 febbraio alle Fattorie Cremona – 90 soci conferitori e 220 mila forme di Grana Padano prodotte ogni anno ed esportate in moltissimi Paesi – sia arrivata formale richiesta agli agenti in Grecia dell'azienda di produrre una certificazione che dimostri che le forme di formaggio prodotte a Cremona, nonostante la città e l'azienda stessa siano fuori dalla zona rossa, sono esenti dal Coronavirus. Una documentazione in assenza della quale il Paese è pronto a rimandare indietro le forme di formaggio;

   la psicosi da Coronavirus sta colpendo, tra gli altri, anche uno dei simboli più noti all'estero del made in Italy agroalimentare. Nel solo 2019 sono state prodotte 5.182.585 forme di Grana Padano (+5,026 per cento rispetto al 2018) e sono stati superati i 2 milioni di forme esportate (+5,24 per cento rispetto al 2018), che rappresentano il 41 per cento del prodotto marchiato. Il Grana Padano, fiore all'occhiello del settore lattiero-caseario, si conferma così è il prodotto Dop più esportato e più consumato al mondo;

   l'azienda, rispetto a questa assurda richiesta, ha prontamente firmato la documentazione necessaria, in cui si riferisce che «l'Efsa, autorità europea per la sicurezza alimentare, a inizio febbraio aveva dichiarato che la trasmissione del coronavirus avviene solo da uomo a uomo e non da merce a uomo, quindi anche il Grana Padano è sicuro»;

   la decisione fuori luogo della Grecia, è solo un tassello in più che va ad aggiungersi alla stangata economica che sta subendo il Paese in termini di turismo ed economia. La Fattorie Cremona esporta il 10 per cento del formaggio che produce e nel mercato dell’export la Grecia è in testa. Ma anche da Germania, Spagna e Giappone sono arrivate richieste simili, che preoccupano Fattorie Cremona, l'agroalimentare italiano e l'economia tutta;

   si deve ricordare che gli alimenti italiani sono i più sicuri d'Europa; il 99,2 per cento dei prodotti italiani supera gli standard fissati dalla comunità scientifica;

   l'inevitabile rischio di questa situazione è quello di mettere in ginocchio intere filiere, di causare un crollo dei consumi all'estero e di danneggiare definitivamente il settore dell'agroalimentare italiano, simbolo di eccellenza del «made in Italy» nel mondo, che è già stato messo recentemente a dura prova dai dazi addizionali, sulle importazioni dall'Unione europea negli Stati Uniti, con il conseguente considerevole calo dell’export;

   il Coronavirus sta mettendo a dura prova l'economia italiana e sono quindi necessarie misure per tutelare il buon nome del made in Italy e sostenere le aziende che stanno attraversando questo periodo di crisi –:

   quali iniziative urgenti, per quanto di competenza, intendano mettere in atto per rispondere alle richieste, che l'azienda stessa ha definito «folkloristiche» provenienti dagli altri Paesi, che i prodotti italiani siano accompagnati da una sorta di marchio «virus free»;

   quali iniziative urgenti, per quanto di competenza, intendano adottare al fine di tutelare il buon nome del Grana Padano, eccellenza del made in Italy, ma anche di tutti gli altri prodotti italiani che purtroppo verranno additati ingiustamente come prodotti infetti, nonché per tutelare le aziende dell'agroalimentare italiano, al fine di scongiurare che siano messi a rischio i prodotti simbolo del made in Italy.
(3-01340)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RIZZETTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   Marianna Manduca di 32 anni, viveva a Palagonia (CT) e aveva tre figli. La donna ha vissuto una terribile storia di violenze perpetrate dal marito Saverio Nolfo. A nulla sono servite le 12 denunce alle autorità competenti con le quali descriveva le violenze subite dall'uomo, tossicodipendente, che la malmenava e minacciava di continuo. Solo per un breve periodo Marianna riesce ad ottenere il divieto di avvicinamento del marito. Fino a quando, il 3 ottobre del 2017, un mese dopo aver presentato l'ultima denuncia per violenze, il marito la uccide accoltellandola. Come accade troppo spesso in queste vicende, solo dopo l'omicidio Saverio Nolfo viene messo in carcere;

   i tre figli minorenni vengono adottati da Carmelo Calì, cugino di Marianna, e sua moglie. Calì decide di fare causa allo Stato, per responsabilità civile dei magistrati, per non aver adottato tempestivamente provvedimenti per proteggere Marianna dalle violenze del marito, nonostante le denunce. La causa viene vinta in primo grado, con la condanna della presidenza del Consiglio e dello Stato a risarcire i figli con 259.000 euro, per non aver adottato misure a tutela della donna. Tale somma viene investita per l'apertura di un B&B che, da 13 anni, costituisce l'unica fonte di reddito della famiglia;

   ebbene, emessa la sentenza di condanna, l'allora Presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, aveva chiesto formalmente all'avvocatura dello Stato di desistere dall'appellare la sentenza. Ma l'impegno del Presidente non ha avuto seguito, poiché l'Avvocatura ha proceduto ad appellare la sentenza e ha vinto in secondo grado, con una sentenza motivata sul fatto che, secondo i magistrati, l'uomo era talmente determinato nel compiere l'omicidio che lo Stato non avrebbe potuto impedirlo; testualmente si legge nella sentenza: «Ritiene la Corte che l'epilogo mortale della vicenda sarebbe rimasto immutato». Di fatto, dunque, si afferma l'assunto assurdo per il quale lo Stato non è riuscito e, comunque, non avrebbe potuto proteggere Marianna Manduca;

   pertanto, se la sentenza d'appello verrà confermata in Cassazione, i figli di Marianna dovranno restituire le somme del risarcimento perdendo anche la loro attività e l'unica fonte di reddito di una famiglia già distrutta da un omicidio efferato e da una giustizia che per anni ha latitato;

   è del tutto evidente che questa vicenda necessiti di un incisivo intervento da parte del Governo affinché non sia negato il risarcimento ai tre figli di Marianna, già privati a vita della madre –:

   se e quali iniziative, per quanto di competenza, intendano assumere a sostegno e tutela dei tre figli, orfani di Marianna Manduca, alla luce dei gravi fatti esposti in premessa;

   per quali motivi non sia stato dato seguito all'impegno assunto dall'allora Presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, e rivolto all'Avvocatura di Stato, di non appellare la sentenza di primo grado.
(5-03715)

Interrogazioni a risposta scritta:


   IOVINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   l'alopecia areata è una delle malattie genetiche e autoimmuni più diffuse, con una incidenza stimata attorno all'1,7^per cento della popolazione (circa 145 milioni di persone al mondo soffrono di tale patologia), che può manifestarsi in qualunque età e senza distinzioni di sesso;

   tale patologia provoca la repentina caduta dei capelli, così come di altra peluria del corpo, e si manifesta generalmente a chiazze glabre o aree: nei casi più gravi (circa l'1 per cento dei casi) la patologia si estende all'intero cuoio capelluto o a tutto il corpo;

   sia l'alopecia totale che quella universale, stando a numerosi studi scientifici condotti sulla patologia, sono da considerarsi malattie rare anche se, al momento, non è stato dato loro tale riconoscimento ufficiale dal sistema sanitario nazionale;

   l'origine genetica della malattia sarebbe stata identificata e confermata da una ricerca condotta da un team di ricercatori della Columbia University Medical Center che ha individuato otto geni che contribuirebbero all'insorgere della patologia: alcuni geni associati a tale patologia, sarebbero altresì causa dell'insorgenza di altre malattie autoimmuni come, ad esempio, la celiachia e il diabete di tipo 1;

   non esisterebbero, ad oggi, conferme o dimostrazioni scientifiche circa la possibilità che l'alopecia possa essere generata da un forte stress: quest'ultimo, al più, genera quella che è la classica perdita dei capelli, in maniera più o meno importante, tuttavia comune a molte persone e spesso legata a fattori ambientali, oltre che fisici;

   va sottolineato come la forma più grave di alopecia, quella universale, sia una condizione che pur non essendo pericolosa per la vita, può produrre effetti devastanti sul piano psicologico: senso di frustrazione, disagio personale, perdita dell'autostima, finanche gravi limitazioni in tutti i contesti sociali, compreso quello lavorativo;

   i pazienti, molto spesso, per tentare di arginare l'impatto emotivo e psicologico causato dalla malattia, ricorrono a protesi o parrucche, sostenendo ingenti costi non solo per il loro acquisto ma anche per la loro manutenzione: basti pensare che una singola parrucca può costare fino a 3 mila euro (4 mila euro, invece, per le protesi), con una durata approssimativa di circa un anno solare;

   all'utilizzo di parrucche e protesi si aggiunge, inoltre, il ricorso alla tecnica della dermopigmentazione, al fine di ridisegnare con metodi innovativi ciglia e sopracciglia: il tutto avviene con costi molto elevati, spesso ripetuti nel tempo a causa dei continui richiami per il trattamento;

   al momento, per tale malattia – totalmente imprevedibile – non è stata trovata una cura definitiva ma solo possibili trattamenti che non funzionano sempre e che possono causare pesanti effetti collaterali;

   ad oggi, nel nostro Paese, esistono importanti realtà associative, che mirano a tutelare e dare sostegno ai pazienti affetti da alopecia nonché a promuovere costanti campagne di sensibilizzazione tese al riconoscimento nazionale dell'alopecia areata come malattia rara ed invalidante, con l'ottenimento dei relativi diritti già previsti per le malattie croniche e invalidanti inserite nell'allegato 8-bis del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 12 gennaio 2017 (tabella aggiornata) –:

   se il Governo non intenda valutare la possibilità di assumere iniziative volte ad inserire la patologia definita «alopecia areata» all'interno dell'elenco delle malattie croniche e invalidanti e a prevedere una esenzione per l'effettuazione di esami, cure, terapie e acquisizione di dispositivi medici.
(4-04852)


   BELLUCCI e MELONI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro per le pari opportunità e la famiglia. — Per sapere – premesso che:

   da mesi l'Italia, che ad oggi risulta il terzo Paese al mondo per numero di contagiati, sta affrontando l'emergenza sanitaria con provvedimenti urgenti per contenere o prevenire l'epidemia;

   le prime misure speciali adottate dal Ministro della salute, di concerto con i presidenti di alcune regioni, come Emilia-Romagna, Lombardia, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Liguria, Piemonte e province di Pesaro-Urbino e Savona, hanno riguardato la chiusura di tutte le scuole, di ogni ordine e grado, comprese le università;

   l'elevata contagiosità del virus ha imposto di innalzare il livello di allerta, in particolare, sanitario, ma anche di adottare misure straordinarie per la tutela del tessuto produttivo italiano e la tenuta dei livelli occupazionali, mentre poco o nulla si sta facendo per le famiglie, anch'esse colpite duramente dai provvedimenti che le regioni, prima, e il Governo, dopo, hanno ritenuto di adottare in via precauzionale;

   non tutte le famiglie, infatti, hanno la fortuna di avere i nonni a disposizione per periodi prolungati e non tutti possono permettersi di pagare una babysitter per una settimana intera, nella migliore delle ipotesi, o per il periodo necessario qualora, come nel caso delle regioni «focolaio», le scuole dovessero rimanere chiuse per un periodo prolungato;

   tutti questi genitori oggi sono costretti a organizzarsi, prendendo ferie o permessi e, considerando che si è appena all'inizio di un nuovo anno lavorativo, è presumibile pensare che non tutti abbiano un monte ore sufficiente per coprire una situazione come quella attuale, che potrebbe anche prolungarsi per mesi;

   in alcuni casi, le madri che hanno bimbi ancora piccoli sono state costrette a usufruire della maternità facoltativa, pagata al 30 per cento e chi, invece, come i liberi professionisti, non ha la possibilità di chiedere preventivamente ferie o permessi, «semplicemente» non lavora e non guadagna –:

   quali urgenti iniziative di competenza il Governo intenda adottare per sostenere le famiglie e, in particolare, i genitori lavoratori, anche autonomi, consentendo ad almeno uno di loro di accudire i figli durante la sospensione delle attività scolastiche, senza dover ricorrere alle ferie, alle ore di permesso o di maternità.
(4-04872)


   GEMMATO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   nel mese di dicembre 2019 il signor Stefano Imbruglia è stato assunto con il ruolo di dirigente e la funzione di responsabile comunicazione esterna territoriale del gruppo Ferrovie dello Stato italiane;

   all'interrogante non risultano chiare né trasparenti le modalità di assunzione, non essendo stato disposto nessun interpello relativo a procedure concorsuali per l'assunzione di dirigenti, né tanto meno risultano chiari i canali di reclutamento esterno e/o di evidenza pubblica;

   il nuovo responsabile della comunicazione esterna territoriale del gruppo Ferrovie dello Stato è noto essere stretto collaboratore nonché coautore del libro del Ministro PD delle infrastrutture e dei trasporti Paola De Micheli cui compete la vigilanza su Ferrovie dello Stato italiane, azienda partecipata dal Ministero dell'economia e delle finanze e quindi pubblica;

   risultano evidenti a parere degli interrogante i profili di perplessità connessi con tale selezione, trattandosi di una nomina per lo meno inopportuna, considerati i rapporti di stretta collaborazione con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti;

   inoltre, non sono ben chiare le motivazioni alla base di un'eventuale assunzione diretta, soprattutto considerato il ruolo strategico per il quale sarebbe stato selezionato –:

   quale sia il compenso previsto per Stefano Imbruglia, quale sia stata la procedura espletata per la sua assunzione data la natura di azienda partecipata al 100 per cento dallo Stato del gruppo Ferrovie dello Stato italiane e quali siano i titoli che giustificano un'eventuale assunzione diretta prevista per un ruolo così strategico.
(4-04875)


   ZOFFILI, LOCATELLI, BIANCHI, BONIARDI, CAPITANIO, CENTEMERO, DONINA, FERRARI, FORMENTINI, GARAVAGLIA, GOBBATO, EVA LORENZONI, LUCCHINI, ANDREA CRIPPA, COMAROLI, COLLA, IEZZI, BORDONALI, CECCHETTI, RIBOLLA, TOCCALINI, GRIMOLDI, MOLTENI, INVERNIZZI, BELOTTI, DARA, FRASSINI, TARANTINO e GUIDESI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   è nota a tutti la situazione di grave emergenza sanitaria correlata alla diffusione dell'epidemia da coronavirus (Covid-19);

   per contenere il numero dei contagi e garantire l'erogazione dei servizi essenziali bisogna tutelare la posizione dei medici, degli infermieri e del personale sanitario impegnato in prima linea nelle aree a rischio, garantendo nei loro confronti la fornitura di tutti i presidi necessari, a partire naturalmente dai dispositivi di protezione individuale (Dpi) in grado di salvaguardare l'utilizzatore dal rischio di esposizione ad agenti biologici;

   l'approvvigionamento di tali dispositivi risulta indispensabile per garantire la sicurezza e la salute del personale sanitario. Eppure, proprio con riguardo a tali forniture si registrano ritardi e problematiche che si ritengono imputabili, in primis, alla Presidenza del Consiglio dei ministri a cui fa capo il dipartimento della protezione civile, organo responsabile della gestione delle situazioni emergenziali del tipo di quella in esame;

   il presidente della regione Lombardia ha rappresentato a mezzo stampa di non aver ricevuto tali dispositivi in tempo rapido e in numero adeguato nonostante le richieste in tal senso avanzate al Governo;

   anche il presidente dell'Ordine dei medici di Lodi è intervenuto in questo senso, ribadendo le carenze e rimarcando la necessità di mettere, nel più breve tempo possibile, a disposizione dei medici i presidi di protezione di cui si discute;

   secondo i dati forniti dall'azienda regionale per l'innovazione e gli acquisti (Aria spa), alla data del 29 febbraio 2020, il dipartimento della protezione civile ha consegnato alla regione Lombardia un quantitativo di appena 24 mila mascherine;

   un numero assolutamente insufficiente se rapportato al complessivo fabbisogno regionale;

   le forniture più consistenti sono attese in questi giorni (circa 200 mila mascherine Ffp2 e Ffp3 dal dipartimento della protezione civile), con un ritardo di oltre una settimana dalla diffusione dell'epidemia;

   nel frattempo, la regione ha dovuto sopperire ai ritardi e alle carenze di propria iniziativa, ricercando nuovi fornitori sul mercato attraverso la centrale di committenza Aria spa; si parla di decine di milioni di Dpi acquistati autonomamente dalla regione fra mascherine, guanti, visiere di protezione, tute di protezione e camici impermeabili;

   la sicurezza del personale sanitario si pone alla base di ogni strategia di contenimento dell'epidemia. La diffusione del virus nei reparti ospedalieri e presso i medici di famiglia potrebbe avere conseguenze gravissime per gli organici del servizio sanitario, portando al collasso un sistema già duramente provato dagli errori di programmazione e dai tetti di spesa eccessivamente stringenti che, negli anni, hanno impedito l'assunzione di personale in numero adeguato –:

   quali e quanti siano i dispositivi di protezione individuale (Dpi) che il Governo, tramite il dipartimento della protezione civile, ha messo a disposizione della regione Lombardia e delle altre regioni interessate dalla diffusione dell'epidemia da Covid-19;

   quando siano avvenute le consegne dei suddetti Dpi;

   se e quali iniziative di competenza il Governo intenda adottare al fine di assicurare la fornitura dei dispositivi di cui si discute in favore dei medici, degli infermieri e degli operatori sanitari impegnati nella gestione dell'emergenza;

   se il Governo non ritenga opportuno adottare le iniziative di competenza affinché i produttori italiani di dispositivi di protezione individuale soddisfino la domanda interna prima di esportare i dispositivi in questione all'estero.
(4-04876)


   VIANELLO, SUT, CILLIS, RADUZZI e FICARA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   in data 9 maggio 2014, conformemente alle previsioni statutarie, il consiglio di amministrazione di Eni ha nominato amministratore delegato e direttore generale Claudio Descalzi cui ha affidato la gestione della società, riservando alla propria esclusiva competenza la decisione su alcune materie. L'amministratore delegato è quindi il principale responsabile della gestione della società (Chief Executive Officer), fermi i compiti riservati al consiglio. Descalzi terminerà il suo mandato a maggio 2020 e, probabilmente, nelle prossime settimane sarà decisa la sua riconferma o sarà scelto un suo eventuale successore;

   Eni è soggetta al controllo di fatto da parte del Ministero dell'economia e delle finanze, che dispone dei voti sufficienti per esercitare un'influenza dominante nell'assemblea ordinaria della società, in forza della partecipazione detenuta sia direttamente (con il 4,34 per cento) sia indirettamente (con il 25,76 per cento) tramite Cassa depositi e prestiti spa (Cdp spa), società controllata dallo stesso Ministero;

   da fonti stampa si evince che l'attuale amministratore delegato dell'Eni Claudio Descalzi è sotto processo, nell'ambito dell'acquisizione della licenza Opl 245 avvenuta nel 2011, per corruzione internazionale ed è accusato di aver pagato oltre un miliardo di euro in tangenti a manager, politici e faccendieri nigeriani in cambio di alcune concessioni petrolifere;

   da fonti stampa del Fatto Quotidiano del 27 settembre 2019 dal titolo «Eni, Descalzi e la moglie perquisiti: sono indagati per omessa comunicazione di conflitto di interessi in Congo» si evince anche lo stesso Descalzi è inoltre accusato di omessa dichiarazione di conflitto di interessi per non aver fatto sapere alla società che sua moglie, la cittadina congolese Marie Magdalene Ingoba, controllava quote di una serie di società che tra il 2007 e il 2018 avevano ottenuto contratti dall'Eni per 310 milioni di euro. Secondo i magistrati, Ingoba possedeva direttamente le quote fino al 2014. Poi, pochi giorni prima che il marito venisse promosso amministratore delegato di Eni, le aveva cedute a un prestanome. Per questa vicenda Descalzi e la moglie sono indagati dallo scorso settembre;

   la rivista l'Espresso ha pubblicato un lungo colloquio con l'economista Luigi Zingales, che tra 2014 e 2015 è stato consigliere d'amministrazione di Eni. Zingales, insieme alla sua collega consigliera Karina Litvack, ha sostenuto di avere allora chiesto l'apertura di un'indagine interna indipendente che sarebbe stata rifiutata e che Eni avrebbe iniziato un'operazione di spionaggio e screditamento nei suoi confronti e nei confronti di Litvack;

   in data 15 gennaio 2020 l'Autorità garante della concorrenza e del mercato (Agcm) ha multato Eni per 5 milioni di euro, per alcune pubblicità ritenute ingannevoli riguardanti il carburante Eni Diesel+, attribuendo al prodotto nel suo complesso vanti ambientali che non sono risultati fondati –:

   se il Governo, nell'esercizio delle funzioni di competenza attinenti al rinnovo del consiglio di amministrazione di Eni e alla nomina del nuovo amministratore delegato, non ritenga meritevoli di valutazione le circostanze richiamate in premessa, in considerazione dei procedimenti giudiziari in corso e non ancora esauriti che vedono coinvolto l'attuale direttore generale e amministratore delegato.
(4-04877)


   FERRO, BELLUCCI, FOTI, DEIDDA, TRANCASSINI, LUCASELLI, VARCHI e DELMASTRO DELLE VEDOVE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   la rapida diffusione dell'epidemia da Coronavirus e la conseguente emergenza che ha colpito anche l'Italia stanno spingendo alcune compagnie aeree a cancellare o diminuire i voli da e per le maggiori città italiane, con la motivazione dichiarata di contenere la diffusione del virus o di tenere conto della sensibile riduzione delle prenotazioni;

   secondo quanto reso noto dalla Sacal, la società aeroportuale calabrese, anche gli aeroporti calabresi saranno interessati dalla cancellazione di alcuni voli;

   in particolare, la compagnia aerea Alitalia ha comunicato la cancellazione di alcuni collegamenti dagli aeroporti di Lamezia Terme e Reggio Calabria, tra i quali il volo Roma-Lamezia AZ 1171 delle 13:25 e il volo Lamezia-Roma AZ1178 delle 15:30;

   le regioni Calabria e Lazio non sono tra quelle maggiormente colpite dalla contingenza sanitaria, né sono state interessate dai provvedimenti restrittivi adottati dalle regioni focolaio o dal Governo con il decreto-legge il cui disegno di legge di conversione è stato approvato pochi giorni fa dalla Camera dei deputati;

   la scelta della compagnia aerea di bandiera sembrerebbe dettata più da logiche economiche, che dalla necessità, condivisibile, di contenere la diffusione del virus, a giudizio degli interroganti non garantendo, di fatto, un servizio pubblico che, invece, è tenuta ad assicurare;

   oltre ai conseguenti disagi arrecati ai passeggeri, molti dei quali si recano nella Capitale anche per motivi di lavoro, tale decisione comprime la possibilità per i parlamentari provenienti dalla regione Calabria di partecipare ai lavori delle Camere, non perché «isolati» in territori sottoposti a restrizioni adottate per far fronte all'emergenza coronavirus, ma a causa delle sconsiderate decisioni della compagnia aerea Alitalia –:

   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali urgenti iniziative di competenza intenda adottare per garantire il ripristino dei voli aerei che collegano Lamezia Terme con Roma, anche al fine di non ostacolare l'arrivo a Roma dei parlamentari eletti nella regione Calabria.
(4-04879)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, il Ministro per gli affari europei, per sapere – premesso che:

   il piano di pace tra lo Stato di Israele e lo Stato di Palestina predisposto dall'amministrazione Trump sotto il titolo «Peace to prosperity» contraddice non solo diverse risoluzioni dell'Onu, ma anche accordi precedenti in materia di Confini, insediamenti, rifugiati e sullo status di Gerusalemme. Si stabilisce che Gerusalemme è capitale una e indivisibile di Israele, si annette a Israele la Valle del Giordano e vengono integrati nello Stato di Israele tutti gli insediamenti di coloni sorti nei Territori palestinesi. E, soprattutto, il territorio assegnato allo Stato palestinese, non solo non coincide con la Cisgiordania e la linea di demarcazione del 1967, ma è molto più piccolo di tutte le proposte previste dagli accordi da Oslo ad oggi;

   The Times of Israel del 4 febbraio 2020, sotto il titolo «6 countries block EU resolution that would have condemned Trump plan, annexation» ha dato notizia che sei Paesi dell'Unione europea, con la loro posizione contraria, hanno impedito che il Consiglio degli affari esteri dell'Unione adottasse la risoluzione caldeggiata dall'Alto rappresentante per la politica estera, Josep Borrell, di critica al piano di pace tra lo Stato di Israele e lo Stato Palestinese, proposto dall'amministrazione Trump;

   la stessa fonte annovera l'Italia fra i 6 Paesi che si sono opposti alla risoluzione e informa che l'Alto rappresentante, non essendo riuscito a ottenere l'unanimità necessaria per l'adozione della risoluzione da parte del Consiglio, ha rilasciato una dichiarazione a titolo personale in cui si rigetta la proposta statunitense, avvertendo che l'annessione israeliana di buona parte della Cisgiordania in essa prevista violerebbe il diritto internazionale e non passerebbe incontrastata. L'Unione europea, ricorda Borrell, è pienamente «impegnata nel partenariato transatlantico con gli Stati Uniti e apprezza tutti gli sforzi per aiutare a trovare una soluzione pacifica al conflitto israelo-palestinese. Ma per costruire una pace giusta e duratura le questioni devono essere decise attraverso negoziati diretti tra le due parti»;

   il 26 febbraio 2020 circa 50 ex Ministri di Stati europei hanno scritto una lettera pubblica in cui esprimono preoccupazione per il piano del Presidente Trump sul Medio Oriente e chiedono «all'Europa di respingere il piano degli Stati Uniti come base per i negoziati e di prendere misure immediate ed efficaci per contrastare la minaccia dell'annessione, preservando così l'ordine internazionale basato sul diritto»;

   la complessità e la delicatezza della questione mediorientale, la cui instabilità trova uno dei principali fattori, forse il maggiore, nel conflitto israelo-palestinese che si trascina da oltre 70 anni, sono ben note. Ed altrettanto è noto che il superamento di quel conflitto è possibile solo attraverso una soluzione che garantisca all'unisono sia la sicurezza dello Stato israeliano sia i diritti del popolo palestinese di vivere in libertà e con dignità nei territori riconosciuti dall'Onu, tutelato da uno Stato democratico, laico e pienamente sovrano;

   è pertanto evidente l'assoluta inadeguatezza della proposta Trump che non è frutto di una mediazione tra le parti in conflitto, ma di un'autonoma elaborazione dell'Amministrazione statunitense che trova consenziente soltanto una delle parti in conflitto, quella israeliana. Appare evidente, inoltre, che le soluzioni proposte infrangano fondamentali risoluzioni dell'Onu e il principio ispiratore di anni di trattativa per cui il conflitto può e deve essere risolto sulla base del rispetto dei diritti nazionali dei due popoli e della coesistenza fra due Stati sovrani –:

   se risponda al vero che nel Consiglio dei ministri per gli affari esteri dell'Unione europea il voto dell'Italia si sia unito a quello di altri 5 Stati per impedire l'adozione di una risoluzione di critica al piano proposto dall'Amministrazione Trump e, in caso affermativo, in base a quali motivazioni;

   quali iniziative il Governo intenda adottare se, come è auspicabile, la notizia fosse infondata, al fine di smentirla ufficialmente;

   quale posizione il Governo ritenga di assumere nei confronti del Piano Trump sia per concorrere alla tutela del diritto internazionale sia in rapporto agli interessi nazionali, tenuto conto delle reazioni che la sua attuazione potrebbe provocare in un'area vitale per la pace nel Mediterraneo e, quindi, per il nostro Paese.
(2-00661) «Fassina, Palazzotto, Fornaro».

Interrogazione a risposta orale:


   DELMASTRO DELLE VEDOVE. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   il 28 febbraio 2020 è apparso il seguente tweet sull’account ufficiale dell'Ambasciata d'Italia in Turchia: «L'Ambasciata d'Italia partecipa al dolore dell'alleato turco per la perdita dei suoi soldati a Idlib. Condoglianze alle famiglie delle vittime ed i nostri auguri di pronta guarigione ai feriti»;

   tale tweet è stato rimosso;

   generalmente, gli ambasciatori sono coloro che rappresentano all'estero le linee politiche del Governo. Da tale dichiarazione appare evidente come il Governo italiano sia al fianco del Governo turco nella guerra contro il Governo legittimo siriano e in funzione anti-curda –:

   quando il Governo abbia assunto la posizione politica espressa dall'ambasciata d'Italia in Turchia e quali siano gli intendimenti in materia di politica estera con riferimento alla zona e al conflitto turco-siriano.
(3-01342)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DELMASTRO DELLE VEDOVE. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   il 1° marzo 2020, la Turchia ha annunciato che è in corso un'offensiva militare ad Idlib, nel nordovest della Siria, contro le forze del governo legittimo di Bashar al Assad a Idlib;

   l'operazione, denominata «Spring Shield», è stata lanciata il 27 febbraio in risposta agli attacchi siriani che hanno inflitto ingenti perdite ad Ankara;

   il Ministro della difesa turco, Hulusi Akar, ha ribadito che la Turchia non farà passi indietro e Ankara ha precisato che non intende scontrarsi con le forze russe sul terreno, alleate di Assad;

   il Ministro ha poi dichiarato che l'esercito turco ha colpito 8 elicotteri, 103 carri armati, 78 lanciarazzi, 3 postazioni antiaeree e 2.212 militari del regime di Damasco. Una reazione sproporzionata sotto il profilo del diritto internazionale che rischia di danneggiare irrimediabilmente gli sforzi del Governo legittimo siriano in chiave anti-Isis, azione ancora più grave se si considera che la fazione sostenuta dai turchi fiancheggia il terrorismo islamista;

   la provincia di Idlib è una delle zone di de-escalation individuate nel corso dei colloqui di Astana. In queste zone le forze governative e i ribelli hanno accettato di cessare le ostilità, così come di consentire il ritorno volontario e in condizioni di sicurezza di sfollati e profughi;

   l'Onu, intanto, ha chiesto un immediato cessate il fuoco. Stati Uniti e Nato hanno intimato alla Siria e alla Russia di «fermare l'offensiva» contro la Turchia. I presidenti di Russia e Turchia, Vladimir Putin e Recep Tayyip Erdogan, hanno avuto una conversazione telefonica sulla situazione in Siria «dedicata alla necessità di fare tutto per soddisfare l'accordo iniziale sulla zona di de-escalation di Idlib»;

   sorda, invece, appare la voce dell'Italia che rischia di vedersi nuovamente invasa dai flussi migratori liberati dai turchi come ritorsione contro l'Europa –:

   quali siano gli intendimenti del Governo in relazione all'attacco turco al governo legittimo siriano e quale ruolo intenda assumere il Governo per favorire la de-escalation in Siria.
(5-03711)

AFFARI REGIONALI E AUTONOMIE

Interrogazioni a risposta immediata:


   IANARO, NESCI, BOLOGNA, SARLI, SPORTIELLO, D'ARRANDO, LAPIA, MAMMÌ, MENGA, LOREFICE, PROVENZA, NAPPI e TROIANO. — Al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:

   con delibera del Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020 è stato dichiarato, per 6 mesi, lo stato di emergenza in conseguenza del rischio sanitario connesso all'insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili, in conformità alle disposizioni del Codice della protezione civile (decreto legislativo 2 gennaio 2018, n. 1, in particolare l'articolo 7, comma 1, lettera c), e l'articolo 24, comma 1). La delibera prevede che, per l'attuazione degli interventi da effettuare nella vigenza dello stato di emergenza, si provvede con ordinanze, emanate dal Capo del Dipartimento della protezione civile in deroga a ogni disposizione vigente e nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento giuridico;

   l'articolo 120 della Costituzione, secondo comma, prevede che il Governo può sostituirsi a organi delle regioni, delle città metropolitane, delle province e dei comuni anche nel caso di pericolo grave per l'incolumità e la sicurezza pubblica, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali. La legge definisce le procedure atte a garantire che i poteri sostitutivi siano esercitati nel rispetto del principio di sussidiarietà e del principio di leale collaborazione;

   in considerazione dell'evolversi della situazione epidemiologica nel territorio italiano e del carattere particolarmente diffusivo dell'epidemia, il Governo ha ritenuto d'intervenire d'urgenza per contrastare l'emergenza epidemiologica da Covid-19, adottando le misure di contrasto e contenimento alla diffusione del predetto virus sul territorio italiano, nel rispetto dell'articolo 117 della Costituzione, perseguendo la massima sinergia con le regioni;

   tutte le regioni «no cluster» hanno firmato l'ordinanza tipo messa a punto dal Governo, in raccordo con la Conferenza delle regioni, l'Istituto superiore di sanità e la Protezione civile, per coordinare le azioni nei territori fuori dall'area del contagio. Sono state emanate le ordinanze di: Lazio, Puglia, Abruzzo, Molise, Sicilia, Campania, Toscana, Sardegna, Calabria, Basilicata, Umbria e della Provincia autonoma di Bolzano. Dalla Valle d'Aosta e dalla Provincia autonoma di Trento si attendono gli adempimenti; è auspicabile che anche le altre regioni del Nord, senza aree cluster, aderiscano quanto prima all'ordinanza condivisa;

   è evidente che un'azione uniforme per contenere l'emergenza in atto è una necessità imprescindibile –:

   se tutte le regioni abbiano aderito o intendano al più aderire all'ordinanza condivisa al fine di garantire sicurezza, contenimento del contagio e l'ordinato avvio delle attività sospese.
(3-01346)


   CECCANTI, DE MARIA, VISCOMI, POLLASTRINI, RACITI, GRIBAUDO, FIANO e ENRICO BORGHI. — Al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:

   a seguito dell'adozione da parte del Governo dei provvedimenti per il contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da Covid–19, le eventuali ordinanze sindacali contingibili e urgenti, adottate ai sensi dell'articolo 50 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e successive modificazioni, dirette a fronteggiare tale emergenza, rischiano di risultare contrastanti con le misure statali;

   in un'intervista pubblicata su la Repubblica il 2 marzo 2020, il Ministro interrogato, difendendo l'accentramento delle decisioni sul contrasto del Coronavirus, ha dichiarato che «nel caso di emergenza, comanda lo Stato», in riferimento alle conseguenze giuridiche di tali ordinanze eventualmente adottate dai sindaci a livello locale;

   di fronte a un caso di emergenza epidemiologica nazionale, anche il servizio sanitario offerto ai cittadini non può che essere coordinato a livello sovraregionale, in modo da assicurare un efficace controllo della diffusione della malattia;

   più in generale – e nella prospettiva del riconoscimento di ulteriori forme di autonomia alle regioni, ai sensi dell'articolo 116, comma terzo, della Costituzione e del disegno di legge quadro sull'autonomia differenziata attualmente in corso di definizione – è necessario garantire stabilmente l'adeguatezza su tutto il territorio nazionale delle strutture e delle prestazioni sanitarie pubbliche, anche mediante un controllo pubblico a livello territoriale più stringente;

   esistono già nel vigente testo unico degli enti locali strumenti amministrativi per circoscrivere i poteri dei sindaci nei casi di emergenze non limitate all'ambito locale (articolo 50, comma 5) e poteri di indirizzo del Ministro dell'interno (articolo 54, comma 12) senza che questo possa far parlare di indebiti e stabili accentramenti;

   per le competenze legislative il caso di specie sembra dimostrare la necessità di un'esplicita clausola di supremazia statale per dare ordine al sistema –:

   quali iniziative, per quanto di competenza, il Ministro interrogato intenda porre in essere al fine di impedire il sovrapporsi di prescrizioni adottate a livello locale per il contenimento del Coronavirus, potenzialmente contrastanti tra loro e con le misure adottate a livello nazionale, e se ritenga che sia svolto in maniera omogenea in tutte le aree del Paese un effettivo controllo pubblico sul servizio sanitario.
(3-01347)


   MOLINARI, ANDREUZZA, BADOLE, BASINI, BAZZARO, BELLACHIOMA, BELOTTI, BENVENUTO, BIANCHI, BILLI, BINELLI, BISA, BITONCI, BOLDI, BONIARDI, BORDONALI, CLAUDIO BORGHI, BUBISUTTI, CAFFARATTO, CANTALAMESSA, CAPARVI, CAPITANIO, CASTIELLO, VANESSA CATTOI, CAVANDOLI, CECCHETTI, CENTEMERO, CESTARI, COIN, COLLA, COLMELLERE, COMAROLI, COMENCINI, COVOLO, ANDREA CRIPPA, DARA, DE ANGELIS, DE MARTINI, D'ERAMO, DI MURO, DI SAN MARTINO LORENZATO DI IVREA, DONINA, DURIGON, FANTUZ, FERRARI, FOGLIANI, LORENZO FONTANA, FORMENTINI, FOSCOLO, FRASSINI, FURGIUELE, GALLI, GARAVAGLIA, GASTALDI, GAVA, GERARDI, GIACCONE, GIACOMETTI, GIGLIO VIGNA, GIORGETTI, GOBBATO, GOLINELLI, GRIMOLDI, GUIDESI, GUSMEROLI, IEZZI, INVERNIZZI, LATINI, LAZZARINI, LEGNAIOLI, LIUNI, LOCATELLI, LOLINI, EVA LORENZONI, LOSS, LUCCHINI, MACCANTI, MAGGIONI, MANZATO, MARCHETTI, MATURI, MINARDO, MOLTENI, MORELLI, MORRONE, MOSCHIONI, MURELLI, ALESSANDRO PAGANO, PANIZZUT, PAOLINI, PAROLO, PATASSINI, PATELLI, PATERNOSTER, PETTAZZI, PIASTRA, PICCHI, PICCOLO, POTENTI, PRETTO, RACCHELLA, RAFFAELLI, RIBOLLA, RIXI, SALTAMARTINI, SASSO, STEFANI, SUTTO, TARANTINO, TATEO, TIRAMANI, TOCCALINI, TOMASI, TOMBOLATO, TONELLI, TURRI, VALBUSA, VALLOTTO, VINCI, VIVIANI, RAFFAELE VOLPI, ZICCHIERI, ZIELLO, ZOFFILI e ZORDAN. — Al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:

   l'emergenza sanitaria che si è determinata in Italia con la scoperta dei primi casi di contagio del virus Covid-19, in particolare nelle regioni «focolaio» della Lombardia e del Veneto, è iniziata con una dichiarazione a parere degli interroganti scomposta del Presidente del Consiglio dei ministri sulla volontà di contenere le prerogative dei presidenti di regione in materia di sanità per avocare a sé il potere decisionale, aggravata da insinuazioni, rimbalzate anche sulla stampa internazionale, su presunte responsabilità di una struttura ospedaliera lombarda nel mancato rispetto dei protocolli sanitari che avrebbe contribuito al diffondersi del contagio;

   si evidenzia che, i primi di febbraio 2020, prima che esplodesse l'epidemia in Italia, i presidenti delle regioni Veneto, Lombardia, Friuli Venezia Giulia e della provincia autonoma di Trento, nel rispetto delle prerogative spettanti allo Stato in materia di tutela della salute, avevano formalmente chiesto al Governo, in via precauzionale, che il periodo di isolamento previsto per chi rientrasse dalla Cina venisse applicato anche ai bambini che frequentano le scuole, in linea con il report n. 12 dell'Organizzazione mondiale della sanità sulle misure di contenimento della diffusione del virus e il Governo ha risposto in chiave politica, sostanzialmente derubricando le richieste dei presidenti come manifestazioni discriminatorie;

   a ciò si aggiunga che, il 6 febbraio 2020, il Consiglio dei ministri ha deliberato di impugnare la legge regionale della Lombardia n. 21/2019, con riguardo al funzionamento dell'Agenzia per il trasporto pubblico locale, decisione che, ad avviso degli interroganti, è dettata da logiche politiche di tutela delle prerogative del sindaco di Milano, piuttosto che da ragioni di costituzionalità, dal momento che consta agli interroganti che i due Ministeri interessati, interno e lavoro e politiche sociali, non hanno sollevato eccezioni di costituzionalità sulla norma impugnata, come si evince anche dal sito internet del Dipartimento per gli affari regionali e le autonomie;

   sono palesi, a parere degli interroganti, i continui e ripetuti tentavi dell'attuale Governo di attaccare l'autonomia regionale;

   in proposito, si ricorda che il Ministro interrogato, a fine novembre 2019, aveva annunciato che c'era l'intesa quadro sull'autonomia differenziata regionale ex articolo 116, terzo comma, della Costituzione in sede di Conferenza Stato-regioni e che l'avrebbe portata presto in Consiglio dei ministri per l'approvazione definitiva, annunciando un'accelerazione con un emendamento alla legge di bilancio, cui poi non è stato dato seguito –:

   se, ed in che termini, intenda procedere sulla richiesta di autonomia differenziata avanzata da Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna, al momento di nuovo «bloccata», e quali iniziative intenda assumere per salvaguardare le competenze già attribuite alle regioni dalla Costituzione e dalla giurisprudenza.
(3-01348)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta orale:


   VIETINA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:

   la cimice asiatica, in base ai recenti dati presentati alla fiera agricola di Verona il 29 gennaio 2020, ha devastato i campi e i frutteti di 48 mila aziende in Italia, con un danno che supera i 740 milioni di euro a livello nazionale, 270 dei quali in Emilia-Romagna. In particolare è stata colpita la frutticoltura delle regioni del Nord (Emilia-Romagna, Veneto e Friuli), cui, da quest'anno, si sono aggiunti i noccioleti in Irpinia. L'insetto alieno è stato trovato in tutta Italia, anche in Sicilia e Sardegna;

   il 2 ottobre 2019 è stata approvata dalla Camera la risoluzione n. 8-00042 che ha impegnato il Governo ad adottare con urgenza il decreto ministeriale previsto dall'articolo 12 del decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1997, come modificato dall'articolo 2 del decreto del Presidente della Repubblica n. 102 del 2019, entrato in vigore nel settembre 2019, volto a fissare i criteri per l'immissione di specie non autoctone nel territorio italiano, al fine di consentire, nei tempi più rapidi possibili, il lancio e la diffusione nell'ambiente del parassitoide esotico della cimice asiatica (Trissolcus Japonicus) detto vespa samurai;

   tra fine gennaio e inizio febbraio 2020, a più riprese il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali ha dichiarato «stiamo adoperandoci con il Ministero dell'ambiente per la più urgente emanazione del decreto previsto dal decreto del Presidente della Repubblica n. 102 del 2019»;

   con regolamento (UE) 2020/17 del 10 gennaio 2020 la Commissione europea non ha rinnovato l'autorizzazione all'utilizzo dell'antiparassitario chlorpyrifos-methyl, rivelatosi efficace nella lotta alla diffusione della cimice. Nel febbraio 2020 il Ministero della salute, su parere conforme del servizio fitosanitario nazionale, ha avviato la procedura per autorizzare, in circostanze eccezionali, l'immissione in commercio del chlorpyrifos-methyl, da ritenersi tuttavia pericoloso per l'ambiente;

   l'assenso del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare al rilascio della vespa samurai è atteso dal mondo produttivo e della ricerca, che aspetta le linee guida ministeriali per poter procedere. Da informazioni assunte dall'interrogante, il via libera del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è stato più volte rimandato;

   lo studio sul rischio collegato al rilascio dell'insetto antagonista è già stato elaborato dal Crea, non ravvisando problematiche, anche perché la vespa samurai è già stata trovata in natura nelle zone interessate dall'attacco della cimice –:

   quali siano i tempi previsti, in relazione al procedimento di propria competenza, per l'emanazione del decreto che consenta il rilascio del parassitoide Trissolcus Japonicus, necessario a contrastare la diffusione ulteriore della cimice asiatica, anche in considerazione dei prolungati tempi tecnici necessari ad ottenere, con tale metodologia, una efficace azione di contrasto e anche al fine di evitare un eccessivo incremento dell'uso di antiparassitari.
(3-01343)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   ILARIA FONTANA e ALBERTO MANCA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   il sito da bonificare di interesse nazionale denominato «bacino del fiume Sacco» è stato oggetto di un accordo di programma tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e la regione Lazio il 7 marzo 2019, al fine di porre in essere degli interventi di caratterizzazione, messa in sicurezza e bonifica citati integralmente nel contenuto dell'accordo stesso;

   il cronoprogramma di cui all'accordo del 7 marzo 2019 prevede dei passaggi trimestrali per l'avanzamento dei lavori, con alcune azioni da compiersi entro 6 mesi dalla firma, quindi entro il mese di settembre 2019;

   in data 18 ottobre 2019 si è tenuta la prima seduta del comitato di controllo, presieduto dalla direzione ministeriale per la salvaguardia del territorio e delle acque (Dg-Sta);

   nel corso di detta seduta, la regione Lazio, a quanto consta agli interroganti, ha chiesto un ulteriore mese per dare riscontro, mediante relazione scritta, sul rispetto del cronoprogramma di cui all'accordo siglato il 7 marzo 2019;

   riscontro scritto da parte della regione Lazio sulle attività citate, almeno sino alla data del 23 dicembre 2019, da accesso agli atti, sembra non essere mai arrivato;

   la nuova struttura delle direzioni del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha trasferito le competenze per la bonifica dei siti inquinati alla direzione generale risanamento ambientale (Dg-Rin) a decorrere da gennaio 2020;

   la presidenza del comitato di controllo di cui all'accordo di programma citato dovrebbe, a seguito della riorganizzazione, passare in consegna alla nuova direzione generale competente, ma non si è avuto finora riscontro in merito;

   a distanza di quasi 5 mesi dal previsto completamento di alcuni step dell'accordo, non si ha contezza nel merito del completamento o dell'avvio degli stessi –:

   quale sia lo stato di avanzamento del cronoprogramma citato per la bonifica del Sin «bacino del fiume Sacco» in base alla relazione aggiornata che la regione Lazio dovrebbe aver trasmesso;

   chi sia il nuovo rappresentante designato per presiedere il comitato di controllo di cui all'accordo di programma;

   quali iniziative si intendano intraprendere, per quanto di competenza, per velocizzare il rispetto degli impegni derivanti dall'accordo di programma del marzo 2019 che vede la regione Lazio quale soggetto attuatore dell'accordo stesso.
(5-03702)


   VIANELLO, DEIANA, ILARIA FONTANA, DAGA, D'IPPOLITO, FEDERICO, LICATINI, ALBERTO MANCA, MARAIA, MICILLO, RICCIARDI, TERZONI, VARRICA, VIGNAROLI, ZOLEZZI, DE GIORGI, ERMELLINO e CASSESE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   da fonti stampa della Gazzetta del Mezzogiorno del 24 febbraio 2020 dal titolo «Mittal Taranto, qualità dell'aria ai Tamburi in aumento le emissioni inquinanti» si evince che l'Arpa Puglia ha inviato al comune di Taranto, alla prefettura di Taranto, all'asl e ai vigili del fuoco documentazione inerente a superamenti dei valori soglia di H2S (idrogeno solforato) e SO2 (anidride solforosa) negli ultimi rilevamenti delle centraline di monitoraggio della qualità dell'aria della regione Puglia nella zona del siderurgico ex Ilva, ora ArcelorMittal, e del quartiere Tamburi di Taranto. Tale evento ha creato, tra l'altro, la presenza di odori molesti che hanno destato preoccupazioni e notevoli fastidi alla popolazione del quartiere Tamburi di Taranto;

   nel merito Arpa scrive che «sono stati registrati valori di interesse per il parametro SO2 presso la centralina “Meteo Parchi” (426,2 μg/m3), interna allo stabilimento ArcelorMittal Spa, e presso la centralina della rete QA “Machiavelli” (369,6 μg/m3) del rione Tamburi». Inoltre, aggiunge l'Arpa, «le concentrazioni di SO2 rilevate dai sistemi Doas di Meteo-Parchi hanno raggiunto valori di interesse con un picco (850 μg/m3) registrato tra le ore 3 e 4 del 21 febbraio 2020». A partire «dalle ore 11 del 20 febbraio – viene precisato – è stato registrato anche un incremento delle concentrazioni di H2S, con valori superiori a 7 μg/m32, presso la centralina Meteo Parchi nonché alle centraline della rete QA Via Archimede-Tamburi e in Via Orsini-Tamburi (prime ore del 21 febbraio 2020)»;

   questo evento non è che l'ultimo in ordine cronologico di una lunga serie di eventi che, di fatto, nel corso degli anni, hanno danneggiato la qualità della vita dei cittadini dei comuni di Taranto e Statte. Infatti, da fonte stampa della Gazzetta del Mezzogiorno del 26 febbraio 2020 dal titolo «Mittal, il sindaco di Taranto scrive al Ministro Costa sulle emissioni odorigene» il sindaco di Taranto Rinaldo Melucci ha scritto per la terza volta in quattro giorni al Ministro dell'ambiente, all'Arpa Puglia e all'Asl Taranto per i fenomeni «emissivi riconducibili allo stabilimento siderurgico» e per le «emissioni odorigene», non escludendo – in mancanza di riscontri – un'ordinanza urgente. Una situazione, osserva il sindaco, che «ci pone dinanzi all'urgenza di addivenire alla certezza che lo stabilimento siderurgico stia producendo secondo regole» –:

   se il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, in qualità di autorità competente in materia di autorizzazione integrata ambientale, intenda procedere ad accertamenti, con l'urgenza del caso, anche in applicazione delle disposizioni di cui all'articolo 29-decies del decreto legislativo n. 152 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni;

   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti espressi in premessa e se gli stessi trovino conferma;

   quali iniziative urgenti di competenza intendano adottare al fine di risolvere definitivamente l'incresciosa situazione delle emissioni e, in particolare, modo di quelle odorigene che il polo industriale di Taranto crea alla cittadinanza, considerando anche quanto previsto dalle disposizioni di cui all'articolo 29-decies del decreto legislativo n. 152 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni per gli stabilimenti coinvolti.
(5-03714)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GAVA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:

   il problema della siccità sta interessando zone sempre più ampie del territorio nazionale, comprese quelle solitamente non coinvolte dal fenomeno, e ciò a seguito dei cambiamenti climatici e di un incremento dei prelievi sempre crescenti per scopi plurimi;

   attualmente risultano in gravissima sofferenza ampi territori del Nord Italia, con il Po e i suoi affluenti che registrano portate quasi estive;

   sembrano sussistere addirittura dubbi sulla tenuta della rete dei consorzi di bonifica nel corso della prossima stagione irrigua, anche a causa della risalita del cuneo salino lungo la dorsale dell'Adriatico;

   per evitare fenomeni di carenza, anche in Italia sono stati avviati dei progetti locali di riuso delle cave dismesse, trasformate dopo appositi trattamenti di impermeabilizzazione in bacini di contenimento delle acque piovane per garantire ulteriori risorse nonché con lo scopo di laminare le onde di piena e mettere in sicurezza i territori e i cittadini;

   le riserve così create nei periodi di intense precipitazioni si rendono disponibili durante le successive fasi siccitose;

   la ricerca e gli investimenti in questa direzione vanno incentivati e sostenuti in quanto tale sistema consente un notevole incremento dell'occupazione e agevola la bonifica di siti spesso abbandonati, inquinati e tali da richiedere costanti manutenzioni –:

   quale sia l'attuale disponibilità di risorsa idrica nei bacini idrografici nazionali;

   se vi siano ragionevoli elementi di preoccupazione;

   quali iniziative intendano intraprendere i Ministri interrogati per quanto di competenza, per scongiurare una nuova crisi idrica durante la stagione irrigua che sarebbe un colpo mortale per la precaria economia del nostro Paese;

   se intendano adottare iniziative per incrementare le risorse finanziarie disponibili ma anche i progetti di studio e copartenariato con i privati per un programma di valorizzazione sull'intero territorio nazionale delle ex cave e la conseguente realizzazione di nuovi invasi strategici per la sicurezza del territorio e utili a rispondere alle sacrosante esigenze produttive.
(4-04855)


   MINARDO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   in questi giorni si rileva un ampio dibattito tra le diverse categorie economico-produttive della Sicilia in merito all'istituzione del parco nazionale degli Iblei che interessa le provincie di Ragusa, Siracusa e Catania;

   l'istituzione del parco nazionale degli Iblei è prevista dall'articolo 26, comma 4-septies, del decreto-legge n. 159 del 2007 del Governo Prodi II, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 222 del 2007, che assegna un contributo straordinario, per il solo anno 2007, al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, ai fini dell'istituzione di tre nuovi parchi nazionali: parco delle Egadi e del litorale trapanese, parco delle Eolie, parco dell'isola di Pantelleria e parco degli Iblei. La procedura di istituzione del parco prevede un decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, d'intesa con la regione e sentiti gli enti locali interessati;

   l’iter dell'istituzione del Parco è rimasto bloccato per oltre un decennio a causa di lungaggini amministrative e proteste dei cittadini che chiedono, anche alla luce dei cambiamenti verificatisi sul territorio negli ultimi anni, maggiori chiarimenti sulle eventuali restrizioni conseguenti all'istituzione del parco;

   da qualche settimana, l’iter dell'istituzione del Parco risulta all'interrogante ripreso senza che siano stati interpellati nuovamente i cittadini e le categorie di agricoltori, allevatori, edili, aziende e privati, ossia coloro che oggi effettivamente vivono e lavorano all'interno del territorio agro-silvo-pastorale interessato, che lamentano il rischio di vedere vincolati i propri beni e limitate le proprie attività;

   i cittadini intravedono il rischio di un danno economico generale e soprattutto quello dello spopolamento demografico nelle aree soggette a vincoli e divieti;

   occorre tenere conto che in 12 anni molte cose sono cambiate sul territorio e la collettività ha bisogno di far conoscere le proprie esigenze e di conoscere i vantaggi e svantaggi che si determinerebbero a seguito di eventuali divieti e vincoli che potrebbero essere applicati all'edilizia e alla conduzione delle aziende agro-pastorali e a tutto l'indotto connesso con tali attività –:

   se il Ministro, a distanza di 12 anni dall'approvazione della legge n. 222 del 2007, non intenda avviare, per quanto di competenza, un'ulteriore approfondimento sui territori interessati dall'istituzione del parco nazionale degli Iblei e un confronto con gli enti e i soggetti interessati, per chiarire dubbi e perplessità, riverificando le esigenze delle popolazioni e delle categorie economico-produttive che oggi effettivamente vivono e lavorano all'interno del territorio agro-silvo-pastorale interessato ed evitando soluzioni che potrebbero essere compromesse da decisioni datate e non aderenti alla realtà.
(4-04867)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CASCIELLO. — Al Ministro per i beni e le attività culturali e per il turismo. — Per sapere – premesso che:

   il 27 gennaio 2020, in occasione della celebrazione del Giorno della memoria in ricordo delle vittime dell'Olocausto, il professore Nicola Oddati, presidente dell'Associazione Parchi della memoria ha denunciato lo stato di incuria del carro merci proveniente dal Brennero, e che era servito alla deportazione nei campi di sterminio di Auschwitz-Birkenau degli ebrei italiani e successivamente adibito al trasporto nei campi di concentramento nazisti dei soldati italiani fatti prigionieri dopo l'8 settembre 1943 consegnato dalla comunità ebraica al Parco della memoria della Campania e custodito presso il Museo dello sbarco e di Salerno capitale;

   il presidente Oddati ha infatti segnalato, in una nota che «Questo prezioso monumento all'olocausto custodito al museo dello sbarco e di Salerno capitale ha bisogno di urgenti interventi di restauro e di protezione. La nostra Associazione (Parco della Memoria della Campania ndr), che vive dell'impegno di volontari, non dispone di mezzi economici per questo tipo d'intervento. Purtroppo tutto avviene nel completo disinteresse della città e con il menefreghismo delle istituzioni»;

   il vagone ferroviario piombato rappresenta una fondamentale testimonianza di quanto avvenuto e assume estrema rilevanza la possibilità che intorno a questo monumento si continuino a svolgere iniziative di studio e ricordo delle drammatiche persecuzioni e delle deportazioni;

   come segnalato nel rapporto Eurispes 2020, aumenta in misura considerevole il numero di persone che pensa che la Shoah non sia mai avvenuta: rappresentavano solo il 2,7 per cento nel 2004, oggi sono il 15,6 per cento; risultano in aumento anche coloro che ridimensionano la portata della Shoah (dall'11,1 per cento al 16,1 per cento);

   in Italia esistono solo altri quattro esemplari di carri merci, conservati nella stazione di Milano al binario 21, da dove partivano i «famigerati» convogli allestiti dai nazisti per un «viaggio senza ritorno» e dove, ogni anno, viene celebrata la «giornata della Memoria»;

   il 28 gennaio 2020 le Commissioni I Affari Costituzionali e VII Cultura della Camera dei deputati hanno approvato la risoluzione n. 8-00061 sul contrasto di fenomeni di odio e razzismo antisemita, nonché sulle iniziative dedicate al ricordo delle persecuzioni subite dal popolo ebraico;

   la risoluzione sancisce l'impegno del Governo a supportare ogni iniziativa mirata al contrasto della diffusione dei messaggi di odio e razzismo antisemita, al fine di fermare la crescita esponenziale di episodi di violenza verbale e fisica nei confronti degli ebrei, e a prevedere adeguate iniziative mirate a incentivare, nelle scuole e nei presidi educativi delle comunità, lo svolgimento di manifestazioni dedicate al ricordo delle persecuzioni subite dal popolo ebraico;

   il potere e il ruolo della cultura è fondamentale nel preservare la memoria della Shoah al fine di contrastare – con la forza drammatica del suo monito – la crescente ripresa dell'odio e del razzismo antisemita;

   è fondamentale, per preservare la memoria, sostenere l'attuazione di adeguati percorsi destinati ai giovani e finalizzati a supportare l'importanza della memoria delle persecuzioni subite dagli ebrei e adottare iniziative adeguate, con idonei finanziamenti, per promuovere e incentivare tutte le attività connesse alla celebrazione della giornata della memoria;

   in sede di approvazione della risoluzione l'interrogante, premettendo che la memoria è costituita anche dai simboli, ha ricordato il vagone ferroviario conservato nella città di Salerno, presso il Museo dello sbarco e di Salerno Capitale e ha segnalato al Governo la necessità di un intervento di recupero e conservazione dello stesso –:

   quali concrete iniziative di competenza, nel rispetto degli impegni assunti, intenda adottare il Ministro interrogato per custodire degnamente questo monumento, che solo l'encomiabile opera del Museo dello sbarco di Salerno difende dall'incuria e dall'inaccettabile abbandono, al fine di garantire allo stesso la giusta attenzione, quale avamposto di storia, legalità e umanità.
(5-03708)

Interrogazione a risposta scritta:


   FERRO. — Al Ministro per i beni e le attività culturali e per il turismo. — Per sapere – premesso che:

   l'Albergo delle Fate, sito nel comune di Taverna (Catanzaro), è stato costruito durante gli anni Trenta al centro di Villaggio Mancuso, come struttura ricettiva immersa nella natura, circondata da alti pini e una ricca vegetazione;

   la struttura alberghiera è stata realizzata completamente in legno negli anni ’30 e tappezzata all'interno da pregiati arazzi dell'artigianato silano, adoperando anche manodopera austriaca e con soluzioni architettoniche ancora oggi modernissime;

   tra gli anni ’50 e ’60 fu meta del jet set e di tutta la più altisonante aristocrazia europea dell'epoca;

   con decreto del Ministero per i beni culturali n. 124 del 28 novembre 2007, l'Albergo delle Fate è stato dichiarato «monumento storico nazionale» e «bene di notevole interesse architettonico»;

   pur a fronte degli antichi sfarzi, l'albergo delle Fate, una struttura in legno soggetta, quindi, a degrado strutturale, necessita di consistenti lavori di manutenzione;

   nella giornata del 29 febbraio 2020, è stato interessato da un incendio che ne ha parzialmente compromesso la copertura –:

   quali urgenti iniziative di competenza intenda adottare il Ministro interrogato per l'immediato ripristino del soffitto dell'Albergo delle Fate, per l'avvio di interventi di conservazione strutturale e per la successiva valorizzazione dell'edificio, ai fini turistici, nell'ambito delle iniziative di sostegno alle aree montane.
(4-04859)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VI Commissione:


   FRAGOMELI, SERRACCHIANI, BURATTI, MANCINI, MURA, ROTTA e TOPO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   l'articolo 4 del decreto-legge n. 124 del 2019, reca una serie di misure in materia di contrasto all'omesso versamento delle ritenute prevedendo l'obbligo per il committente che affida il compimento di opere o servizi di importo complessivo annuo superiore a euro 200.000, di richiedere all'impresa appaltatrice o affidataria e alle imprese subappaltatrici, obbligate a rilasciarla, copia delle deleghe di pagamento relative al versamento delle ritenute ai fini del riscontro dell'ammontare complessivo degli importi versati;

   la norma pone a carico dell'impresa l'onere del versamento delle ritenute operate «con distinte deleghe per ciascun committente» e, specularmente, obbliga il committente alla verifica del versamento;

   il comma 3 del citato articolo 4, inoltre, introduce l'obbligo per il committente di sospendere il pagamento dei corrispettivi maturati dall'impresa nel caso di mancato adempimento degli obblighi di trasmissione o nel caso di omesso o insufficiente versamento delle ritenute fiscali;

   in mancanza dei necessari documenti che comprovano l'effettiva regolarità fiscale, molti committenti hanno bloccato i pagamenti, mettendo in crisi l'attività e il pagamento degli stipendi agli operai delle ditte edili;

   il comma 5 dell'articolo 4 stabilisce che gli obblighi introdotti non trovano applicazione qualora le imprese, comunichino al committente, allegando la relativa certificazione, di non avere iscrizioni a ruolo per importi superiori a 50.000 euro e di essere in attività da almeno tre anni, in regola con gli obblighi dichiarativi, e aver eseguito nel corso dei periodi d'imposta cui si riferiscono le dichiarazioni dei redditi presentate nell'ultimo triennio complessivi versamenti registrati nel conto fiscale per un importo non inferiore al 10 per cento dell'ammontare dei ricavi o compensi risultanti dalle dichiarazioni medesime;

   il parametro dei versamenti registrati nel conto fiscale non inferiore al 10 per cento risulta essere un obiettivo di difficile raggiungimento per alcune tipologie di imprese edili, in particolare le cooperative e le imprese soggette al meccanismo dello split payment; appare del tutto evidente che tale soglia necessita di una revisione almeno per tali fattispecie che non versano l'Iva in quanto trattenuta in fattura dal committente –:

   quali iniziative intenda assumere per semplificare la normativa in questione, anche prevedendo la convocazione di tavoli tecnici volti a risolvere le problematiche esposte in premessa, nonché valutando l'introduzione di un pagamento con F24 cumulativo con cui l'appaltatore verserà le ritenute dei propri dipendenti a prescindere dai singoli cantieri dove realizzano l'attività.
(5-03727)


   GIACOMONI, MANDELLI, CATTANEO, MARTINO, BARATTO, ANGELUCCI, PORCHIETTO e GIACOMETTO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   il decreto legislativo n. 207 del 2001 ha previsto che le Ipab (Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza), secondo la disciplina attuativa stabilita da regioni e province autonome, fossero trasformate in aziende di servizi alla persona oppure in persone giuridiche di diritto privato senza scopo di lucro;

   in regione Lombardia, in seguito all'approvazione della legge regionale n. 1 del 2003, di fatto, pochissime Ipab si sono trasformate in aziende di servizi alla persona (Asp). La stragrande maggioranza di Ipab, infatti, si sono trasformate in fondazioni e hanno assunto sin dalla loro costituzione la qualifica di onlus cui si applica un regime fiscale di favore che consiste anche nella decommercializzazione ai fini Ires dell'attività esercitata ai sensi dell'articolo 150 del Tuir e nell'esenzione Irap stabilita dalla regione Lombardia;

   in regione Lombardia, dunque, le fondazioni (in esito della trasformazione delle ex Ipab in forza della legge regionale n. 1 del 2003) e le cooperative/imprese sociali operano in assenza di scopo di lucro, perseguendo esclusivamente finalità di solidarietà sociale a vantaggio dei cittadini anziani non autosufficienti e disabili gravi e gravissimi, gestendo servizi sociosanitari e assistenziali con l'obiettivo primario di contenere la spesa di compartecipazione a carico degli utenti afferenti ai servizi in gestione e rendendo più efficiente il sistema socio-sanitario lombardo, in collaborazione con le istituzioni a ciò preposte;

   a seguito di pratiche di riaccatastamento degli immobili strumentali destinati all'attività assistenziale, alcuni degli enti sopra indicati sono stati oggetto, di accertamento da parte dell'Agenzia del territorio, con cambiamento radicale della categoria catastale storicamente posseduta e assegnazione di una nuova classe propria dei soggetti con scopo di lucro e notevole incremento della rendita catastale attribuita;

   rispetto a tale riclassamento le commissioni tributarie provinciali e regionali si sono espresse in modo discordante sui successivi contenziosi;

   tale situazione provoca, a livello territoriale, un differente trattamento fiscale in capo ad enti che svolgono le stesse attività con scopo solidaristico e non lucrativo, in particolare con notevole aggravio dell'Ires e l'assoggettamento all'Imu e conseguenti effetti rilevanti ai fini della compartecipazione alla spesa richiesta ai cittadini –:

   se il Governo non intenda adottare apposite iniziative normative finalizzate a rendere uniforme il regime fiscale per categorie omogenee di soggetti che forniscono il medesimo servizio, evitando che si verifichino nell'ambito dello stesso territorio richieste di compartecipazione alla spesa al cittadino conseguenti ad una iniqua applicazione della normativa fiscale.
(5-03728)


   CASO e GRIMALDI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   da una recente nota dell'Ania si apprende: «I proclami entusiastici con cui è stata accolta l'approvazione dell'emendamento rc auto sono una vittoria di Pirro (...) quel che ci si dovrebbe attendere da un legislatore illuminato (...) non attraverso provvedimenti occasionali, buttati lì nel calderone (...)»;

   il presidente dell'Ania e della Fondazione Ania, dottoressa Maria Bianca Farina, è anche presidente di PosteVita e di PosteItaliane e membro del consiglio direttivo dell'Aif della Santa Sede;

   il codice etico del gruppo PosteItaliane invita al rispetto delle leggi e delle normative applicabili e richiede agli amministratori, agli organi di controllo, al management di non assumere decisioni e di non svolgere attività in conflitto – anche solo potenziale – con gli interessi dell'impresa e dei clienti o comunque in contrasto con i propri doveri d'ufficio, tra cui, a titolo esemplificativo e non esaustivo: «svolgere una Funzione di Vertice (es. Amministratore Delegato, Consigliere, Responsabile di Funzione) e avere interessi economici in comune con fornitori, clienti o concorrenti (possesso di azioni, incarichi professionali ecc.) anche attraverso i propri familiari»;

   PosteItaliane, quale unico o maggior azionista di società bancarie e assicurative, è sottoposta alla vigilanza, nazionale e internazionale, in materia di contrasto al riciclaggio e al finanziamento del terrorismo. La normativa internazionale e nazionale e le organizzazioni internazionali ed europee di cui fa parte anche l'Aif della Santa Sede, hanno l'obiettivo di migliorare l'esercizio dei compiti di vigilanza;

   sarebbe quindi opportuno verificare, anche in relazione alla vigente disciplina in materia di incompatibilità degli organi di vertice delle società quotate, nonché alle prescrizioni del codice etico, che prevede un elenco esemplificativo ma non esaustivo di conflitti potenziali, se la presidenza dell'Ania e della Fondazione Ania, così come gli incarichi presso gli organismi di vigilanza nazionali, europei ed internazionali, siano attività compatibili con gli incarichi negli organi di amministrazione, direzione e controllo di PosteVita e delle altre società del gruppo PosteItaliane –:

   nell'ambito delle proprie competenze e nel ruolo di socio, quali iniziative intenda assumere per risolvere quelle che gli interroganti giudicano le incompatibilità di cui in premessa, evitando il conferimento di incarichi negli organi di amministrazione, direzione e controllo delle società partecipate agli esponenti che ricoprono altrettanti ruoli in altre società ed in organismi di vigilanza, nazionali europei ed internazionali.
(5-03729)


   PASTORINO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   l'Italia è un Paese di anziani, in molti casi non autosufficienti; questa realtà, per quanto nota, a giudizio dell'interrogante, viene pressoché ignorata dal decisore politico o quanto meno non rappresenta una priorità d'azione. Tuttavia, l'invecchiamento della popolazione determina una sempre maggiore necessità di assistenza e nonostante ciò le agevolazioni su cui possono contare le famiglie sono sempre troppo esigue;

   ciò determina una grave situazione di lavoro nero nel settore domestico, che coinvolge 6 lavoratori su 10. Dunque, i quasi 900.000 addetti regolari censiti dall'Inps rappresentano appena il 43 per cento del totale. Cosa ancor più grave, stante l'aumento della domanda, è il decremento dei lavoratori regolari censiti, infatti, dall'anno scorso vi è, in base ai dati Inps, una diminuzione dell'1,4 per cento: più lavoratori in nero e più caregiver, che in mancanza di un sostegno pubblico sacrificano le loro vite per assistere i propri cari non autosufficienti;

   sulla base dei dati raccolti dall'Osservatorio nazionale famiglie datori di lavoro domestico (Domina) in collaborazione con la Fondazione Moressa, il tesoretto fiscale e contributivo legato all'emersione del lavoro nero di colf e badanti varrebbe 2 miliardi di euro: infatti, se tutti i lavoratori impiegati nel settore fossero regolari lo Stato incasserebbe 1,4 miliardi di contributi in più, da famiglie e lavoratori, e 645 milioni di Irpef, dai lavoratori;

   il rapporto annuale Domina sul lavoro domestico, avanza consigli volti alla regolarizzazione della situazione sopra descritta proponendo: la deducibilità totale dei contributi previdenziali per i datori di lavoro con reddito fino a 40 mila euro annui, la deducibilità parziale della retribuzione assicurata al lavoratore, lo scambio di dati tra Inps e Agenzia delle entrate per predisporre una dichiarazione precompilata dei collaboratori domestici senza aggravio di adempimenti per le famiglie ed, infine, la regolarizzazione dei lavoratori stranieri occupati come colf e badanti –:

   alla luce dei dati esposti in premessa e delle proposte avanzate dall'associazione Domina, quali iniziative, che prevedano sgravi fiscali nel settore del lavoro domestico, intenda adottare al fine di combattere efficacemente il sommerso e sostenere le famiglie italiane con anziani e disabili, tenuto conto inoltre delle ingenti risorse che tali misure convoglierebbero nelle casse dello Stato, e se a tal riguardo sia stato valutato l'abbattimento dell'addizionale comunale e dell'addizionale regionale a favore dei datori di lavoro domestico.
(5-03730)


   BIGNAMI e OSNATO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   il 28 settembre 2018, Astaldi spa, azienda leader nel settore delle costruzioni, ha chiesto il concordato preventivo e portato i libri in tribunale, dopo aver deliberato una operazione sul mercato di ricapitalizzazione da 300 milioni di euro che prevedeva l'ingresso come partner del colosso giapponese delle costruzioni Ihi;

   si apprende così che l'azienda ha debiti per oltre 3 miliardi di euro e che senza aiuto è a rischio di fallimento: ovviamente il valore delle sue obbligazioni scende vorticosamente;

   una situazione che coglie di sorpresa tutti, soprattutto gli obbligazionisti, per lo più comuni cittadini che avevano investito nell'azienda molti dei loro risparmi, anche per via dei buoni tassi di interesse e da un nome «storico» delle costruzioni italiane, con ottima reputazione internazionale;

   si comincia dunque a cercare un gruppo che possa salvare la società: allo scadere della presentazione delle offerte, il 14 febbraio 2019, l'unica è quella di Salini Impregilo che acquista il 63 per cento di Astaldi per 225 milioni, a fronte però di una rinuncia da parte dei creditori chirografari, tra cui gli obbligazionisti, a una non meglio identificata quota del loro credito;

   dopo mesi di richieste agli obbligazionisti non viene fornito alcun dettaglio: gli stessi, al fine di tutelare i propri interessi, si riuniscono nel comitato «Bondholders Astaldi». Sulla base delle analisi effettuate dal Comitato, si rende evidente che per gli obbligazionisti il ristoro si aggirerebbe intorno al 23 per cento contro il 38 per cento indicato da Astaldi. Inoltre, tale percentuale potrebbe essere inferiore, in quanto il rimborso avverrebbe mediante assegnazione di azioni e di strumenti finanziari partecipativi e, dunque, non in denaro. La perdita, secondo il comitato, sarebbe del 77 per cento delle somme investite;

   i commissari giudiziali nominati dal tribunale stimano che le azioni e gli Sfp possano rappresentare un valore pari al 33 per cento dell'originario credito;

   il salvataggio di Astaldi, propedeutico alla nascita di Progetto Italia sembra destinato a essere tutto sulle spalle degli obbligazionisti che, nel complesso, hanno sottoscritto 890 milioni di euro di bond per sostenere la crescita del gruppo;

   ad inizio agosto 2019 il consiglio di amministrazione di Cassa depositi ha dato il via libera all'intervento del gruppo Cdp nel Progetto Italia: la controllata Cdp Equity assume l'impiego di sottoscrizione fino a 250 milioni di euro nell'ambito di un aumento di capitale a condizioni di mercato. Tale aumento verrà lanciato da Salini Impregilo e vedrà la partecipazione di un pool di banche e dell'azionista di controllo della stessa società –:

   di quali elementi conoscitivi si disponga rispetto a quanto esposto in premessa e quali iniziative siano state assunte o si intendano assumere a tutela degli obbligazionisti di Astaldi sui quali sembra ricadere il peso dell'intera operazione di salvataggio.
(5-03731)


   CENTEMERO, BITONCI, CAVANDOLI, COVOLO, GERARDI, GUSMEROLI, ALESSANDRO PAGANO, PATERNOSTER e TARANTINO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   è comunemente riconosciuto oramai che l'epidemia Covid-19 rappresenta un'emergenza non soltanto sanitaria ma anche economica, che rischia di portare il nostro Paese in recessione;

   le regioni maggiormente colpite, Veneto, Lombardia, Piemonte, Liguria ed Emilia-Romagna, infatti, sono quelle che producono quasi la metà del prodotto interno lordo e del gettito fiscale che finisce nell'Erario: vi lavorano quasi 10 milioni di addetti occupati nelle imprese private (pari al 53 per cento del totale nazionale); da questi territori partono per l'estero i 2/3 delle esportazioni italiane e si concentra il 53 per cento circa degli investimenti fissi lordi;

   le regioni settentrionali rappresentano, inoltre, il territorio con la maggior crescita di partite iva: 44 per cento al Nord, 22 per cento al Centro e 33,7 per cento al Sud ed Isole;

   secondo un report di Confindustria-Federturismo, le prime stime più prudenti quantificano le perdite economiche per effetto dell'emergenza epidemiologica da Covid-19 in 5 miliardi di euro;

   nelle scorse settimane, il Governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, ha ipotizzato una «perdita» di qualche decimale di prodotto interno lordo;

   l'ufficio studi della Cgia di Mestre – sebbene sia difficile quantificare economicamente l'impatto, considerato che molto dipenderà dalla durata della fase emergenziale – ipotizza che la ricchezza prodotta scenda di 0,4 punti percentuali, stimando il danno economico in 7 miliardi di euro;

   le misure finora adottate dal Governo sono ritenute insufficienti sia dalle regioni colpite che da tutte le categorie coinvolte, in specie per la mancanza di sostegno alle aziende ed ai lavoratori fuori dalla zona rossa;

   la stretta operata dagli articoli 3 e 4 del decreto fiscale n. 124 del 2019 ed i nuovi limiti per l'accesso alla mini flat tax per le partite iva, introdotti con legge di bilancio 2020, non costituiscono di certo, in un momento come questo, uno strumento di ripresa e di rilancio delle attività;

   in particolare, per le partite iva, il Governo ha previsto un ammortizzatore di euro 500 al mese per tre mesi limitato alla cosiddetta zona rossa, un importo a parere degli interroganti risibile addirittura inferiore al reddito di cittadinanza;

   nel Veneto, addirittura, per molte famiglie di risparmiatori «truffati dalle banche» che stanno tuttora attendendo l'indennizzo, l'impatto del coronavirus ha aggravato la loro già estrema situazione; sarebbe opportuno semplificare ed accelerare le procedure di ristoro –:

   se e quali ulteriori iniziative di natura fiscale o tributaria il Governo intenda adottare a sostegno delle aziende e dei lavoratori nelle regioni colpite dall'emergenza epidemiologica.
(5-03732)


   SANGREGORIO e GEBHARD. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   l'articolo 4 del decreto legislativo n. 446 del 15 dicembre 1997 sull'istituzione dell'Irap dispone che – riguardo alla determinazione della base imponibile – l'imposta si applica sul valore della produzione netta derivante dall'attività esercitata nel territorio della regione. Se l'attività è esercitata nel territorio di più regioni, si considera prodotto nel territorio di ciascuna regione il valore della produzione netta proporzionalmente corrispondente all'ammontare delle retribuzioni spettanti al personale a qualunque titolo utilizzato. Si considera prodotto nella regione nel cui territorio il soggetto passivo è domiciliato, il valore della produzione netta derivante dalle attività esercitate nel territorio di altre regioni senza l'impiego, per almeno tre mesi, di personale;

   anche le istruzioni relative al modello Irap chiariscono che «se l'attività esercitata nel territorio di regioni (o province autonome) diverse da quella in cui risulta domiciliato il soggetto passivo non è svolta con l'impiego di personale ovvero di collaboratori o associati in partecipazione, per almeno tre mesi, non si verifica la condizione per procedere al riparto territoriale».

   quindi, oltre al caso di impiego di personale per almeno tre mesi in regioni diverse, non è previsto né dalla norma di legge né dalle istruzioni del modello Irap un diverso caso che preveda la ripartizione territoriale dell'imponibile ovvero dell'imposta;

   nei casi di mancanza di impiego di personale e variazione della sede dell'impresa accompagnata dalla variazione di domicilio fiscale, comportanti la variazione di regione, non esistono pronunciamenti ufficiali in merito al comportamento da tenere riguardo al versamento dell'imposta e alla compilazione della dichiarazione;

   pertanto, se l'impresa trasferisce la propria unica sede in corso d'anno, lavorando per un periodo esclusivamente nella regione A e per il restante periodo esclusivamente nella regione B, in assenza di «forza lavoro», sorgono dubbi in merito alle modalità di riparto;

   in caso di trasferimento della sede legale di una società (e, dunque, del domicilio fiscale) nel corso dell'esercizio, in assenza di ulteriori indicazioni, sembra agli interroganti che, per il versamento dell'imposta, occorra fare riferimento al domicilio fiscale valido al termine dell'esercizio stesso –:

   se, in caso in mancanza di impiego di personale e in caso di trasferimento della sede legale di una società in altra regione nel corso dell'anno, sia corretto versare l'intera imposta Irap dovuta alla regione nella quale si trova la sede legale al termine dell'esercizio.
(5-03733)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MARTINCIGLIO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   l'articolo 4 decreto fiscale 2019 ha introdotto un'articolata disciplina per contrastare il fenomeno dell'omesso o insufficiente versamento dell'Iva e dell'utilizzo di crediti falsi, soprattutto Iva, per il pagamento (con il meccanismo della compensazione regolato dall'articolo 17 del decreto legislativo n. 241 del 1997) delle ritenute fiscali e dei contributi previdenziali o assistenziali sui redditi da lavoro dipendente;

   l'adempimento prevede che, nei casi in cui un committente affidi a un'impresa l'esecuzione di un'opera o servizio, il versamento delle ritenute fiscali per i lavoratori dipendenti impiegati nell'appalto venga effettuato, dal 1° gennaio 2020, direttamente dal committente;

   la risoluzione n. 108 (23 dicembre 2019) dell'Agenzia delle entrate ha, infatti, chiarito che la previsione normativa si applica anche ai «contratti di appalto, affidamento o subappalto»;

   la misura, certamente utile per contrastare l'omesso versamento dell'Iva mediante illegittime compensazioni, tuttavia, sotto il profilo finanziario, comporta – soprattutto per le imprese operanti nel settore edile (ancora profondamente in crisi) – una notevole perdita di liquidità dovuta all'impossibilità di utilizzare crediti Iva e all'obbligo di pagamento con bonifico delle ritenute;

   i maggiori oneri a carico delle imprese, stimati in circa 250.000.000 euro, ne mettono a repentaglio la stessa sopravvivenza trattandosi, nella quasi totalità dei casi, di soggetti economici (appaltatori/subappaltatori) che, operando normalmente in regime di «split payment» ovvero «reverse charge», vantano ingenti crediti Iva, di norma utilizzati proprio per il versamento delle ritenute fiscali/contributive/assicurative per i propri lavoratori dipendenti;

   con circolare n. 1/E (12 febbraio 2020), l'Agenzia delle entrate ha, inoltre, chiarito che: i nuovi obblighi di verifica e adempimenti fanno capo sia ai committenti principali che agli appaltatori in qualità di «committenti» dei subappaltatori; la verifica del limite minimo di 200.00 euro dell'opera o servizio oggetto del contratto deve avvenire solo nell'appalto principale e non anche nel subappalto, coinvolgendo, quindi, anche contratti di importo ridotto, facenti spesso capo a imprese di più piccole dimensioni; il dovere di controllare il corretto versamento delle ritenute non è esclusivamente documentale, implicando una verifica di congruità tra quanto versato e quanto comunicato dall'impresa esecutrice; sono inclusi nel concetto di «sedi di attività del committente» i cantieri edili;

   le imprese interessate, dopo aver ripetutamente segnalato le criticità del nuovo impianto normativo e denunciato le difficoltà applicative, l'onerosità degli adempimenti trasferiti, l'irragionevolezza di addossare responsabilità e sanzioni a imprese in regola per questioni fiscali delle quali non hanno controllo, e, infine, l'inefficacia sul piano della lotta all'evasione fiscale, ne invocano l'abrogazione o almeno una modifica –:

   se il Ministro interrogato intenda approfondire le segnalate criticità e adottare iniziative per prevedere la temporanea sospensione della efficacia dei nuovi obblighi sui versamenti delle ritenute negli appalti, anche in vista di una modifica della disciplina.
(5-03703)


   MARTINCIGLIO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   la legge di bilancio 2020 ha introdotto alcuni criteri per il calcolo della soglia di reddito che, per i contribuenti con partita Iva, limita l'accesso al regime forfettario che prevede l'applicazione di un'aliquota fiscale unica al 15 per cento (cosiddetta flat tax) sostitutiva delle imposte sui redditi, delle addizionali regionali e comunali e dell'Irap;

   il comma 692 dell'articolo 1 della legge di bilancio 2020 ha reintrodotto due limitazioni abrogate dalla legge di bilancio 2019: l'esclusione dal regime agevolato per i lavoratori autonomi che hanno speso più di 20 mila euro lordi per lavoro accessorio, per lavoratori dipendenti e per collaboratori, anche assunti con contratto a progetto, e per quelli che hanno percepito redditi da lavoro dipendente o assimilato superiori a 30 mila euro;

   considerato che per le partite Iva la legge di bilancio 2020 ha confermato la soglia di 65 mila euro di reddito come limite massimo per l'applicazione della flat tax al 15 per cento i vincoli relativi ai compensi per i dipendenti e ai redditi da lavoro dipendente o assimilato percepiti in aggiunta a quello autonomo determinano l'esclusione di circa 340 mila professionisti dal regime agevolato;

   come segnalato nella relazione tecnica al disegno di legge di bilancio 2020, i contribuenti beneficiari del regime forfettario sono circa 1,4 milioni, per cui l'applicazione delle nuove limitazioni comporta che il forfettario si applica a 1.089.744 contribuenti, escludendone ben 341.494 a cui si applica il regime ordinario;

   la questione più critica sollevata dalle nuove disposizioni riguarda il cumulo di redditi per tutti i lavoratori dipendenti che hanno aperto, nel 2019, sulla base del regime introdotto con legge di bilancio 2019, una partita Iva a regime agevolato per lo svolgimento di un'attività autonoma;

   il limite dei 20 mila euro previsto per spese per collaboratori o dipendenti – anche assunti a progetto – che innalza il previgente limite di 5 mila euro, è stato infatti adeguato in misura coerente con il tetto massimo di 65 mila euro previsto per ricavi e compensi;

   in definitiva, non potranno beneficiare dell'aliquota agevolata del 15 per cento prevista per il regime forfettario quei contribuenti che hanno percepito redditi di lavoro dipendente o assimilati superiori ai 30 mila euro, nell'anno precedente a quello di applicazione del nuovo regime – il 2019 – e che facevano legittimo affidamento sul regime disposto dalla legge di bilancio n. 145, approvata il 30 dicembre 2018, e che, come contribuenti che si ritenevano inclusi nel regime forfettario, nel 2019, erano esonerati dalla fatturazione elettronica –:

   se il Ministro interrogato ritenga opportuno adottare adeguate iniziative normative per definire un criterio di calcolo per tale soglia che consideri l'importo della certificazione unica ovvero, in alternativa, la somma dei compensi mensili maturati nel periodo di riferimento.
(5-03704)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CASINO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   nel maggio 2018 l'Azienda sanitaria di Matera (Asm) aveva subito una ispezione della Ragioneria dello Stato (Sifip), nella quale era stato evidenziata una irregolarità dovuta a uno spostamento irregolare di risorse dal fondo produttività al fondo fasce. All'epoca dei fatti questo passaggio da un fondo a un altro era consentito solo in minima parte e l'Asm per erogare le progressioni orizzontali (Peo) 2010 e 2016 aveva superato i limiti consentiti;

   l'esito della suddetta ispezione è stata notificata all'Asm a dicembre 2018; la direzione strategica dell'Asm a marzo 2019 emanava una delibera per effetto della quale 800 lavoratori ad oggi subiscono la sospensione della erogazione di una/due fasce economiche con evidenti disagi per gli interessati;

   a luglio 2019 dopo che il sindacato Fials aveva raccolto oltre 10.500 firme per chiedere le dimissioni del direttore generale, la Asm preparava un accordo pre-intesa, firmato da alcune sigle sindacali, che però di fatto non risolveva nulla. La Fials non ha firmato, perché considerava quello sottoposto dalla Asm un accordo che limita lavoratori e sindacati e non definisce nessun termine entro il quale risolvere la questione;

   il Ministero dell'economia delle finanze, che doveva vistare il documento e certificarne la bontà, a quanto risulta, non ha trasmesso nulla e, di conseguenza i circa 800 lavoratori, stanno subendo ancora il blocco delle progressioni economiche orizzontali (Peo) 2010 e 2016 che ammontano mediamente dai 60 ai 150 euro pro-capite;

   a seguito del conseguente stato di agitazione del sindacato Fials, a gennaio 2020 il prefetto ha convocato le parti e in quella sede l'azienda sanitaria di Matera ha riferito che la firma di questa pre-intesa era imminente grazie all'intervento del prefetto; il nuovo direttore generale della Asm, per quanto consta all'interrogante, ha scritto e ha consegnato per la prima volta un documento con il quale la Asm chiede al Ministero dell'economia e delle finanze di accelerare la procedura –:

   quali iniziative di competenza si intendano urgentemente adottare al fine di dare soluzione alle problematiche esposte in premessa panche a tutela dei lavoratori interessati.
(4-04856)


   MURONI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   tra il 2001 e il 2019, Sogin è costata 4,17 miliardi di euro (prelevati dalla bolletta elettrica), di cui appena 820 milioni di euro spesi per l'effettivo smantellamento dei vecchi impianti, e il resto per il funzionamento della società (2,11 miliardi) e per il trattamento all'estero del combustibile (1,24 miliardi);

   sui lavori continuano ad accumularsi gravi ritardi: la loro conclusione, originariamente prevista per il 2019, nel 2013 venne rinviata al 2025, e nel 2017 posticipata al 2036; i costi complessivi, dagli iniziali 3,8 miliardi di euro, sono cresciuti a 7,3 miliardi previsti dal piano industriale del 2017, ma già nel biennio 2018-2019 sono stati effettivamente eseguiti lavori di smantellamento per meno della metà di quanto previsto dal quel piano, con ulteriori ritardi e inevitabili aumenti dei costi;

   il 12 dicembre 2019 il Governo ha rinnovato il consiglio di amministrazione di Sogin e, invece della netta discontinuità o del commissariamento, invocati da più parti, ha optato per una scelta di continuità gestionale, nominando amministratore delegato un dirigente di lunghissimo corso, che negli ultimi 3 anni è stato il responsabile dello smantellamento dei 4 siti ex Enea, dove nel triennio si sono consumati i fatti più controversi, dalla risoluzione dei contratti con Saipem a Saluggia e Trisaia, con conseguente causa per oltre 100 milioni di euro ancora in corso e rinvio sine die della messa in sicurezza dei più pericolosi rifiuti nucleari italiani, al mancato raggiungimento del brown field a Bosco Marengo, continuamente annunciato durante il triennio ed infine rinviato di altri 3 anni;

   il 23 gennaio 2020 il consiglio di amministrazione ha approvato la «nuova» struttura organizzativa di Sogin che conferma, nel loro ruolo di dirigenti apicali alcuni di coloro che l'interrogante ritiene i principali protagonisti dei pessimi risultati sopra descritti, come riportati in diversi atti di sindacato ispettivo depositati a firma della interrogante;

   tra le «novità» più eclatanti c'è il ritorno di una dirigente del settore delle risorse umane che, dopo una breve parentesi, occupa nuovamente la posizione dalla quale in passato sarebbe riuscita, a quanto consta all'interrogante, ad incrementare in modo considerevole il personale della società;

   il «nuovo-vecchio» direttore delle risorse umane risulta incaricato ad interim, essendo egli anche il direttore di amministrazione finanza e controllo;

   nel frattempo, dopo il grave incidente del 25 settembre 2019, quando un operaio rimase folgorato nel sito di Caorso, con seri danni fisici, il 1° febbraio l'Isin ha pubblicato la notizia di un nuovo incidente sempre a Caorso, riguardante la caduta da un'altezza ragguardevole di un fusto contenente resine radioattive, per fortuna senza danni fisici all'operatore del muletto e senza conseguenze radiologiche per la popolazione e l'ambiente; tuttavia, come pubblicato dal giornale la Libertà, le operazioni di spostamento degli oltre 6.000 fusti contenenti da oltre 35 anni le resine radioattive prodotte durante l'esercizio della centrale, destinati alla slovacca Javyis, che da contratto dovevano iniziare nel 2015 ed erano invece cominciate da pochi giorni, sono state sospese, in attesa, che Sogin metta a punto un nuovo sistema di sicurezza da sottoporre all'approvazione di Isin –:

   se siano a conoscenza di quanto riportato in premessa e quali iniziative intendano intraprendere per un reale ed efficace rinnovamento di Sogin, con beneficio per i consumatori elettrici e per la sicurezza del Paese.
(4-04880)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta scritta:


   DI SARNO. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   in virtù della emergenza epidemiologica da Covid-19, in numerose zone del Paese, le autorità competenti hanno ritenuto necessario procedere alla sospensione delle attività e/o alla chiusura degli uffici pubblici o aperti al pubblico, onde evitare la diffusione del cosiddetto coronavirus;

   tra i luoghi considerati a rischio rientrano a pieno titolo i Palazzi di giustizia, costantemente frequentati sia dal personale in servizio presso il Ministero, sia da avvocati e cittadini interessati e legittimati ai processi;

   la situazione è particolarmente gravosa per il Nuovo palazzo di giustizia di Napoli, poiché la struttura del Centro direzionale, sviluppandosi in altezza, consente l'accesso agli utenti solo tramite ascensori, quasi sempre gremiti;

   ogni giorno si registrano circa ottomila ingressi da persone provenienti da tutta Italia, con evidente pericolo di diffusione pandemica del virus;

   con nota congiunta dei capi degli uffici giudiziari del distretto della corte di appello di Napoli, si è provveduto ad adottare misure organizzative, ad avviso dell'interrogante, di scarsa efficienza, come, ad esempio, il semplice spostamento degli assembramenti dalle aule di udienza alle aree antistanti (corridoi e androni), che comunque risultano affollate;

   il Consiglio dell'Ordine degli avvocati e l'Unione giovani penalisti di Napoli hanno evidenziato la situazione gravosa in cui versa la cittadella giudiziaria di Napoli, sollecitando l'adozione di maggiori cautele e precauzioni nell'organizzazione delle udienze e degli uffici, nel rispetto delle esigenze processuali –:

   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della situazione attualmente esistente presso il palazzo di giustizia di Napoli;

   quali iniziative intendano adottare, per quanto di competenza, al fine di prevenire l'eventuale diffusione del virus Covid-19.
(4-04854)


   NEVI e PITTALIS. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   attualmente, gli uffici giudiziari della città di Terni sono dislocati in due diversi edifici: quello destinato a sede del tribunale, recentemente ristrutturato, non presenta particolari criticità, mentre quello sede della procura della Repubblica risulta palesemente inadeguato, sotto molteplici profili, a garantire un'adeguata funzionalità degli uffici;

   la sede della procura, invero, oltre a richiedere numerosi e costosi interventi di manutenzione, per la sua vetustà, implica ulteriori oneri per essere detenuta in forza di un contratto di locazione con l'Ater, verso la corresponsione di un canone annuo superiore ai 200 mila euro, tra locali per uso uffici e garage;

   nel maggio 2019, il comune di Terni, in conseguenza del venir meno di ostacoli amministrativi, ha reiterato il proprio interesse alla realizzazione di una «cittadella giudiziaria», tramite la costruzione di un nuovo edificio da destinare agli uffici della procura in adiacenza all'attuale sede del tribunale;

   invero, già dal 2014, la società Immobiliare Corso del Popolo s.p.a. aveva iniziato a realizzare, nell'ambito di una complessa opera di bonifica di terreni di proprietà comunale limitrofi al tribunale di Terni, anche un nuovo edificio da destinare agli uffici della procura. Detto progetto non è stato portato a termine per problematiche di natura burocratico-amministrativa, oggi superate, come si evince dalla menzionata manifestazione d'interesse dell'amministrazione comunale ternana;

   tra l'altro, l'interruzione di tali opere ha lasciato, proprio a fianco della sede del tribunale, lo scavo che era stato predisposto per le fondamenta dell'edificio, vale a dire una enorme fossa, con materiali di cantiere sparsi, che risulta potenzialmente pericolosa per possibili intromissioni o collocazione di ordigni esplosivi;

   tale situazione, che rischia sia di vanificare le misure di sicurezza predisposte nell'ultimo anno a tutela di tutti gli utenti del servizio giustizia – metal detector e potenziamento del servizio di vigilanza dell'edificio –, sia di porre a repentaglio l'incolumità di quanti si trovino a passare nelle vie limitrofe, necessita di una rapida soluzione;

   la realizzazione del nuovo edificio risponderebbe al fondamentale principio di economicità dell'azione amministrativa, evitando i costi connessi alla gestione della procura, canone di locazione e continui interventi di manutenzione: invero, l'amministrazione della giustizia potrebbe accollarsi, temporaneamente, un nuovo canone di locazione con l'acquisizione finale di un edificio nuovo, con riscatto dei canoni già corrisposti;

   oltre al citato risparmio di spesa, l'intervento consentirebbe, altresì, una maggiore funzionalità del servizio giustizia, che vede l'attuale condizione assolutamente inadeguata dell'edilizia giudiziaria di Terni, anche in considerazione della soppressione del tribunale di Orvieto e del conseguente accorpamento a quello di Terni di magistrati, personale amministrativo e utenza –:

   se il Governo sia conoscenza di quanto descritto in premessa e, in caso affermativo, quali iniziative di competenza intenda adottare per la tempestiva realizzazione della «cittadella giudiziaria» di Terni, al fine di conseguire un risparmio di risorse pubbliche e garantire, al contempo, la sicurezza e l'efficienza del servizio giustizia.
(4-04870)


   GIACHETTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   secondo l'articolo 18 delle «regole penitenziarie europee», «ogni detenuto, di regola, deve poter disporre durante la notte di una cella individuale, tranne quando si consideri preferibile per lui che condivida la cella con altri detenuti»; il punto 6 dello stesso articolo prevede che «una cella deve essere condivisa unicamente se è predisposta per l'uso collettivo e deve essere occupata da detenuti riconosciuti atti a convivere»;

   l'articolo 22 del codice penale stabilisce che «la pena dell'ergastolo è perpetua, ed è scontata in uno degli stabilimenti a ciò destinati, con l'obbligo del lavoro e con l'isolamento notturno»;

   l'articolo 6 dell'ordinamento penitenziario (legge n. 354 del 1975), al comma 5, stabilisce che «fatta salva contraria prescrizione sanitaria e salvo che particolari situazioni dell'istituto non lo consentano, è preferibilmente consentito al condannato alla pena dell'ergastolo il pernottamento in camere a un posto, ove non richieda di essere assegnato a camere a più posti»;

   l'interrogante è a conoscenza del fatto che alcuni detenuti ergastolani del carcere di Parma sono stati assegnati in celle singole dove però sono costretti a vivere in due: si veda articolo pubblicato sul quotidiano Il Dubbio del 29 ottobre 2019 in cui il giornalista Damiano Aliprandi dà la notizia della protesta degli ergastolani trasferiti da Voghera a Parma, puniti con l'isolamento in «cella liscia» per essersi rifiutati di condividere la cella con un altro detenuto;

   secondo l'articolo 2 del decreto del Ministro della sanità del 5 luglio 1975 richiamato dalla circolare del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria del 7 febbraio 1992, lettera w), le stanze di pernottamento in carcere, debbono avere una superficie quadrata di 9 metri quadrati se per una persona, e di 14 metri quadrati se per due persone;

   le stanze detentive del carcere di Parma, progettate per ospitare una persona, misurano 9,63 metri quadrati;

   il tribunale di sorveglianza di Bologna ha riconosciuto il rimedio risarcitorio previsto dall'articolo 35-ter dell'ordinamento penitenziario al detenuto M.D. per il periodo in cui nel carcere di Parma è stato costretto a convivere con un altro detenuto nella stanza detentiva singola (si veda allegato, pagina 4) ravvisando la violazione dell'articolo 3 della Cedu –:

   se sia a conoscenza dei fatti riportati in premessa;

   se ritenga di dover adottare le iniziative di competenza per assicurare ai condannati alla pena dell'ergastolo detenuti nel carcere di Parma la possibilità di usufruire di una cella individuale.
(4-04873)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VIII Commissione:


   FREGOLENT, PAITA e NOBILI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   da fonti di stampa emergerebbe un cospicuo ritardo nelle ispezioni annuali compiute da Anas ai fini della verifica della sicurezza dei viadotti di sua competenza;

   in particolare, nel 2019 le ispezioni obbligatorie – ovvero effettuate su viadotti principali, con campata superiore a 30 metri, o critici, ovvero segnalati dai cantonieri – sarebbero state solo 1.419 su 4.991, cioè il 28 per cento del dovuto. Nel 2018 il tasso di ispezioni obbligatorie sarebbe stato pari al 56 per cento ovvero 2.068 su 3.697 viadotti;

   inoltre, si evince anche che in Italia – a seguito della mappatura operata nel 2019 – mancherebbe ancora chiarezza in merito alla proprietà di 763 cavalcavia. Su tale ingente numero di ponti «senza padrone» emergerebbe una questione burocratica di non poco conto, dal momento che non è chiaro di chi sia la responsabilità in termini di ispezione e manutenzione. Inoltre, buona parte di tali infrastrutture sarebbe stata costruita più di 50 anni fa, fattore che rende necessario quantomeno un monitoraggio;

   nel 2019 i fondi messi a disposizione dell'Anas dal Ministero sarebbero arrivati a 29,9 miliardi di euro, anche a causa del passaggio di diverse strade provinciali in capo all'ente;

   infine, all'articolo 35 del decreto-legge 30 dicembre 2019, n. 162, si prevede che l'Anas potrebbe subentrare nelle concessioni autostradali, in caso di revoca, decadenza o risoluzione di concessioni di strade o di autostrade, ivi incluse quelle sottoposte a pedaggio, nelle more dello svolgimento delle procedure di gara per l'affidamento a nuovo concessionario –:

   se i dati riportati dalla stampa corrispondano al vero e quali urgenti iniziative il Ministro interrogato intenda porre in essere in merito alle presunte carenze di ispezione e manutenzione dei viadotti italiani, considerando che le richiamate recenti disposizioni potrebbero determinare la presa in carico da parte di Anas di ulteriori gestioni autostradali.
(5-03734)


   PLANGGER e GAGLIARDI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   la variante alla strada statale 1 Aurelia, nell'abitato dell'area di La Spezia, rappresenta un percorso alternativo di attraversamento dell'area e di accesso alla zona portuale, volta a decongestionare la viabilità costiera dai flussi d'attraversamento e restituisce gran parte della rete viaria cittadina al traffico locale. La variante si configura come un asse tangenziale alla città di La Spezia, di circa 10 chilometri, dalla zona di san Benedetto, a nord-ovest della città, fino alla zona Stagnoni, a est, ove si collega al raccordo autostradale, aggirando l'agglomerato urbano;

   l'opera è stata divisa in 3 lotti funzionali, di cui i primi due sono in fase di avanzata costruzione, mentre il terzo lotto, che si sviluppa prevalentemente in galleria, completa la tratta urbana della variante, conferendole compiutezza funzionale tramite il collegamento con il raccordo autostradale e con la nuova penetrazione al porto commerciale, e ha un'estensione di 4.230 metri con 5 svincoli di collegamento con la viabilità ordinaria;

   negli ultimi mesi è inspiegabilmente fermo l’iter burocratico amministrativo per la riassegnazione dei lavori che dovrebbero completare l'asse stradale capace di collegare in pochi minuti la parte nord della città e la bassa Val di Vara con il raccordo autostradale;

   sulla gara, gestita da Anas, da oltre 46 milioni di euro per assegnare il primo lotto funzionale, ovvero il completamento del tratto tra i nuovi svincoli di via Del Forno e via Buonviaggio, si sa poco o nulla;

   un primo cronoprogramma aveva indicato la ripresa dei lavori addirittura nel mese di maggio 2019;

   ora sembra che le offerte giunte all'azienda appaltatrice siano ben 13; sugli altri due lotti non si sa proprio nulla, non si sa nemmeno quando saranno messi a gara;

   si tratta di una situazione di disagio che si riverbera anche sui circa 86 lavoratori impegnati nell'opera;

   purtroppo, i costi sociali di quest'opera stanno diventando enormi e sono destinati a pesare sulla comunità spezzina –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative urgenti di competenza intenda adottare al fine di accelerare le procedure di assegnazione dei lavori e dare anche sollievo al traffico cittadino di La Spezia e ai tanti lavoratori impegnati nella realizzazione dell'opera che, a causa dei ritardi, vivono in uno stato di precarietà economica.
(5-03735)


   MAZZETTI, D'ETTORE, MUGNAI, RIPANI, CORTELAZZO, CASINO, GIACOMETTO, LABRIOLA e RUFFINO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   il tratto Grosseto-Siena compreso nella strada di grande comunicazione (Sgc) E78 Grosseto-Fano rappresenta da decenni una infrastruttura prioritaria per la regione Toscana, e soprattutto per la parte Sud compresa fra la Maremma e Siena;

   le istituzioni regionali e locali toscane ad ogni livello aspettano da tempo la conclusione di questa importante infrastruttura di valore nazionale;

   alcune parti della suddetta infrastruttura denominata Grosseto-Siena risultano ancora da realizzare, quali in particolare le seguenti:

    riguardo al lotto 4, la stampa locale rendeva noto, in data dicembre 2019, che si sarebbe sbloccato il raddoppio del medesimo lotto, per il fallimento della precedente ditta aggiudicataria. Questo, infatti, dà il via libera alla seconda ditta classificata nella gara, che aveva presentato un ricorso che ha poi portato la vicenda fino alla Corte costituzionale. Ma ora l'attesa pronuncia non è più significativa per i lavori. Infatti Anas ha annunciato che «In seguito al fallimento dell'impresa aggiudicataria Anas ha provveduto ad aggiudicare l'appalto alla seconda impresa classificata. Attualmente sono in corso le procedure di legge per il perfezionamento dell’iter»;

    riguardo al lotto 9, la stampa locale rendeva noto, in data luglio 2019, un importante passo in avanti per il completamento della Siena-Grosseto (E78). Il Cipe, aveva infatti approvato il progetto definitivo che prevedeva l'adeguamento a quattro corsie della strada statale 223 «di Paganico» dal chilometro 41+600 al chilometro 53+400. Si trattava del lotto 9 tra Iesa e Orgia, in provinciali Siena, un tratto di quasi 12 chilometri dove, con un investimento complessivo di 162 milioni di euro, Anas andrà a realizzare 4 nuovi viadotti sul fiume Merse e sul fosso Ornate e numerose opere minori: tre cavalcavia, 2 sottopassi, 12 ponti sui corsi d'acqua minori, oltre (naturalmente) all'ampliamento a 4 corsie. Dopo questa approvazione da parte del Cipe, Anas avrebbe dovuto elaborare un progetto esecutivo per poi passare alla fase di appalto e assegnazione dei lavori –:

   se il Ministro interrogato intenda comunicare, con certezza, quale sia lo stato attuale dei lavori della Siena-Grosseto, con particolare attenzione al lotto n. 4 ed al lotto n. 9, e indicare un termine temporale realistico per la realizzazione completa di tutta l'infrastruttura sopracitata.
(5-03736)


   PEZZOPANE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   tanti sono gli incidenti che si verificano lungo la strada Tiburtina Valeria, arteria al centro di numerose polemiche, trafficatissima e percorsa quotidianamente da migliaia di persone;

   a riaccendere i riflettori sullo stato di sicurezza nel tratto compreso tra Aielli e Celano, in provincia dell'Aquila, sono le tante segnalazioni a causa dei numerosi incidenti. Proprio su questa arteria bisogna agire immediatamente per evitare tragedie come quella che purtroppo nel corso degli anni si sono verificate;

   i punti critici sono moltissimi; ad esempio, nel tratto che da Cerchio va ad Avezzano, l'illuminazione è inesistente, mancano le rotatorie, la capienza delle carreggiate è inadeguata al traffico veicolare che è a doppio senso di marcia, ci sono diversi incroci pericolosi, e si registra l'assenza assoluta di barriere fisiche che impediscano i sorpassi nei punti più critici;

   queste, sopra elencate, sono solo alcune delle necessità che richiedono interventi urgenti per la messa in sicurezza della strada Tiburtina, arteria che rientra nella viabilità nazionale di interesse Anas –:

   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se non ritenga urgente adottare iniziative per un'adeguata messa in sicurezza della strada Tiburtina.
(5-03737)


   LUCCHINI e FORMENTINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   nella provincia di Brescia è nota la minor disponibilità di acqua dei fiumi, dovuta soprattutto dal ripetersi di periodi di siccità, che colpisce soprattutto il settore dell'irrigazione delle colture;

   la regione Lombardia, per risolvere tale problema, ha preposto (anche con la legge n. 34 del 2017), la trasformazione di ex cave in bacini di riserva idrica, per immagazzinare acqua piovana o fluviale nei periodi invernali, consentendo così l'uso e la conversione delle cave per fini di tutela agricola, ambientale e idrogeologica;

   uno dei primi interventi riguarda un invaso progettato alla ex cava di Calcinato, per un costo di 7,6 milioni, e si inserisce in un contesto più generale e complesso di gestione e utilizzo delle acque del lago Idro; mediante regolazione e derivazione dell'acqua per fini irrigui dal fiume Chiese;

   l'asta del Chiese, interessato a monte da dighe idroelettriche, ha una portata ridotta per salvaguardare l'equilibrio ecologico del lago d'Idro; pertanto, la realizzazione di un invaso si presenta indispensabile;

   l'area di intervento, di 55.000 metri quadrati, è all'interno del comprensorio del Consorzio Chiese, distretto Calcinata, comune Calcinato (BS), a nord della frazione Vighizzolo di Montichiari, nell'ambito territoriale estrattivo G26; si caratterizza per essere senza interscambio con la falda sottostante (cava asciutta) e per il fatto che lungo tutto il lato nord vi scorre il canale consortile scaricatore, della Roggia Calcinatella;

   la progettazione, al livello esecutivo, è stata inoltrata al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali direttamente dal Consorzio di bonifica Chiese e segnalata al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per l'inserimento nel «piano invasi» ed è finalizzata al recupero della cava dismessa con finalità di bacino, avente un volume d'invaso di oltre 900.000 metri cubi per la laminazione delle piene, e di serbatoio idrico esclusivo per un sotto-comprensorio agricolo di 166 ettari soggetto a riconversione dal metodo irriguo da scorrimento superficiale a metodi ad alta efficienza con servizio a richiesta di consegna dell'acqua in pressione;

   il primo stralcio del piano nazionale degli interventi nel settore idrico – «settore invasi», di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 17 aprile 2019, comprende già un intervento «Nuove opere di regolazione per la messa in sicurezza del lago d'Idro» per 10 milioni di euro –:

   se il citato intervento di regolazione e messa in sicurezza del lago d'Idro possa interessare anche la realizzazione dell'invaso nella ex cava di Calcinato, ovvero se il Ministro interrogato intenda adottare le iniziative di competenza per individuare le opportune risorse per la realizzazione dell'opera.
(5-03738)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   SPESSOTTO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   con l'entrata in vigore del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, recante codice dei contratti pubblici, è stato introdotto nel nostro ordinamento l'istituto del dibattito pubblico sulle grandi opere infrastrutturali, al fine di disciplinare la partecipazione delle comunità locali nella realizzazione delle opere pubbliche e delle infrastrutture strategiche;

   la ratio sottesa all'introduzione del dibattito pubblico è certamente la necessità che: i grandi interventi infrastrutturali siano decisi a seguito di un ampio e regolato confronto pubblico con le comunità locali; il confronto si svolga nella fase iniziale del progetto, quando tutte le opzioni sono ancora possibili, compresa l'opportunità della realizzazione dell'opera; i risultati del confronto possano servire, oltre che a valutare l'opportunità degli interventi, a migliorare la progettazione delle opere, rendendole più rispondenti ai bisogni della collettività; il confronto, possa ridurre la conflittualità sociale che normalmente accompagna la progettazione e realizzazione delle grandi opere;

   l'articolo 22, comma 2, del decreto legislativo n. 50 del 2016 stabilisce che «con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, adottato entro un anno dalla data di entrata in vigore del presente codice, su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, sentito il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e il Ministro per i beni e le attività culturali, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti, in relazione ai nuovi interventi avviati dopo la data di entrata in vigore del medesimo decreto, sono fissati i criteri per l'individuazione delle opere di cui al comma 1, distinte per tipologia e soglie dimensionali, per le quali è obbligatorio il ricorso alla procedura di dibattito pubblico, e sono altresì definiti le modalità di svolgimento e il termine di conclusione della medesima procedura»;

   il richiamato articolo prevede, altresì, l'istituzione, senza oneri a carico della finanza pubblica, di una Commissione nazionale sul dibattito pubblico presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, con il compito di raccogliere e pubblicare informazioni sui dibattiti pubblici in corso di svolgimento o conclusi e di proporre raccomandazioni per lo svolgimento del dibattito pubblico sulla base dell'esperienza maturata;

   in applicazione del comma 2 dell'articolo 22 è stato adottato il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 10 maggio 2018, n. 76, entrato in vigore il 24 agosto 2018;

   l'articolo 4 del suddetto decreto del Presidente del Consiglio dei ministri disciplina la composizione della Commissione nazionale sul dibattito pubblico stabilendo che la stessa sia composta da 15 membri con funzioni di controllo e organizzativi e istituita con decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti da emanarsi entro quindici giorni dalla entrata in vigore del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri;

   purtroppo, però, attualmente pare che la Commissione non sia stata ancora nominata, dal momento che anche sul sito del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti l'ultimo aggiornamento in materia risale al giugno del 2017;

   va considerata l'importanza dell'istituto del dibattito pubblico che ha il fine di rendere trasparente il confronto con i territori sulle opere pubbliche e di interesse pubblico, attraverso una procedura che consente di informare e far partecipare le comunità interessate –:

   se il Ministro interrogato non ritenga di adottare le opportune iniziative di competenza affinché venga finalmente nominata la Commissione nazionale di cui in premessa, in modo che l'istituto del dibattito pubblico, introdotto nel nostro ordinamento quale alto strumento di democrazia partecipativa, possa diventare operativo al più presto.
(5-03701)


   CARINELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   il 23 febbraio 2018 l'Enac (Ente nazionale aviazione civile) ha indetto un concorso pubblico per 37 ispettori aeroportuali, con riserva del 20 per cento al personale interno, stabilendo tra i vari requisiti di ammissione anche il possesso della laurea in giurisprudenza, economia e commercio, scienze politiche ed equipollenti, con una votazione minima di 105 su 110;

   è noto all'interrogante che il citato bando di concorso è stato impugnato nella parte in cui prevede quale requisito di ammissione il possesso di un diploma di laurea conseguito con una votazione non inferiore a 105/110 o equivalente;

   il tribunale amministrativo regionale per il Lazio accogliendo il ricorso con sentenza n. 7777/2019 ha evidenziato l'arbitrarietà e la discriminazione operata mediante l'inserimento «dell'illegittimo indice selettivo della votazione minima di laurea»;

   nel caso in esame, non è dunque parsa ragionevolmente fondata l'individuazione da parte di Enac del voto minimo di 105/110;

   a giudizio dell'interrogante non si può considerare equivalente il medesimo punteggio conseguito per percorsi di studi così eterogenei, come quelli di giurisprudenza, economia e commercio e scienze politiche;

   le differenze che caratterizzano le votazioni date nei vari atenei italiani, non consentano ad oggi di adottare un criterio di misura attendibile ed uniforme;

   sul punto si ricorda che nella precedente legislatura, è stato introdotto l'articolo 17, comma 11, lettera d), nella legge delega n. 124 del 2015, diretto alla precipua eliminazione del voto minimo di laurea dai requisiti per l'accesso al pubblico impiego, in quanto considerato parametro indebito e inaffidabile;

   l'Enac, ha, peraltro, richiesto all'Avvocatura dello Stato di impugnare dinanzi al Consiglio di Stato la sentenza del Tar sopra richiamata;

   una parte dei funzionari ispettori attualmente in Enac hanno ottenuto quella categoria in difetto del titolo di studio della laurea, come richiesto dalla legge per l'accesso alla categoria funzionari;

   i pochi funzionari laureati, inoltre, hanno conseguito il titolo successivamente all'inquadramento nell'area funzionari –:

   se il Ministro, per quanto di competenza, sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;

   di quali elementi disponga circa le ragioni che hanno condotto l'Enac a introdurre nel bando di concorso di cui in premessa il requisito del voto minimo di laurea e circa le motivazioni che hanno portato a impugnare la citata sentenza del Tar Lazio al Consiglio di Stato.
(5-03705)


   GRIPPA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro per l'innovazione tecnologica e la digitalizzazione, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   se si ritiene che la collocazione geografica sia un valore, il nostro Paese è come un grande porto d'Europa nel cuore del Mediterraneo, un punto di riferimento obbligato che si protrae con 8 mila chilometri di coste. Questa sua vocazione, percepita solo dalle città di mare, dovrebbe diventare una forza, perché possa formarsi una piattaforma di sviluppo e connessione tra l'Europa e i Paesi che guardano al Mediterraneo come via di scambi;

   il bacino del Mare, come si legge nella scheda n. 10 del «29° Rapporto Italia» di Eurispes concentra, infatti, circa il 19 per cento del traffico mondiale, il 25 per cento dei servizi di linea container e il 30 per cento del traffico petrolifero con un incremento negli ultimi venti anni per i 30 maggiori porti italiani del 425 per cento del numero di container movimentati a una media di circa il 21 per cento all'anno;

   il sistema marittimo italiano, a parere dell'interrogante, merita di essere sostenuto, perché ritorni a pensarsi come forza propulsiva nel quadro della competizione internazionale la cui chiave, perché sia realmente incrementata tale competitività, non può che risiedere nella capacità di riflettersi all'esterno come sistema;

   un processo che va proprio in questa direzione risulterebbe agevolato dalla presentazione nel 2014 del «Piano strategico nazionale della portualità e della logistica», tra i cui macro ambiti si prefigura quello della evoluzione tecnologica come abilitatore di un nuovo modello operativo più efficiente e più orientato a logiche di mercato e upgrade tecnologico infrastrutturale;

   i maggiori porti europei e mediterranei sono nel mezzo di una grande trasformazione; porto «digitale», «connesso», «smart»: definizioni che evidenziano aspetti diversi della complessità che la portualità deve oggi governare e rispetto alla quale l'uso di tecnologie «Ict» è condizione necessaria, ma non sufficiente;

   se, da un lato, il commercio globale impone ai porti di innovarsi con velocità sempre accelerata, la sfida sarà quella di mettere in campo soluzioni e sistemi adatti alle esigenze dei diversi soggetti che compongono la «port community estesa», ma soprattutto di far sì che queste soluzioni siano pienamente integrate e connesse lungo tutta la catena logistica, attraverso il paradigma delle soluzioni standard e aperte;

   mentre le infrastrutture fisiche differenzieranno il range operativo, quelle tecnologiche e immateriali tenderanno a essere uniformi sia nei porti hub che in quelli regionali, perché il flusso informativo che supporterà i traffici sarà unico a livello mondiale, dovendo assicurare ai proprietari delle merci il controllo e la gestione del processo di trasporto dall'inizio alla fine o meglio dal punto di produzione al consumatore finale;

   nel nostro Paese le prime applicazioni per lo smart port sono state sviluppate a Bari nell'ambito della sperimentazione 5G lanciata da Tim, Fastweb e Huawey; il progetto #BariMatera5G che ha visto coinvolti più di 50 partner di eccellenza con un investimento di oltre 60 milioni di euro in 4 anni, cambierà in modo profondo e permanente il modo di fare impresa nelle due città –:

   quali tecnologie e risorse saranno destinate, nel prossimo orizzonte temporale al processo di trasformazione e potenziamento dei porti italiani e con quale metodo e modello di governance sarà possibile ridisegnare i processi portuali e logistici, valutando ex ante l'impatto dell'innovazione tecnologica;

   se siano disponibili i dati ufficiali delle prime sperimentazioni «smart port» nei porti italiani relativi ai servizi di sicurezza perimetrale e ambientale, di controllo degli accessi e monitoraggio dell'area, oltre che ai servizi a supporto della logistica portuale, all'automazione delle operazioni di carico e scarico e al potenziamento della gestione di merci e persone.
(5-03707)


   MARINO, ALBERTO MANCA, SCANU, BARBUTO, PERANTONI e DEIANA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   l'insostenibile condizione degli uffici periferici della Motorizzazione civile della Sardegna è stata più volte segnalata dalle categorie di riferimento sia al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti che alla direzione centrale dei trasporti;

   con la legge di stabilità 2014 è stato predisposto il passaggio delle competenze di gestione dell'albo conto terzi – allora in seno alle province – agli uffici periferici del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, ma ciò è avvenuto senza un adeguato trasferimento di risorse umane. Gli uffici della motorizzazione civile lavorano in una situazione di reale difficoltà a causa del sempre più grave sottodimensionamento degli organici;

   in Sardegna, dal 2008, i numeri diffusi dalla stampa e dalle associazioni di categoria raccontano l'emergenza che condiziona il corretto svolgimento delle mansioni che il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti attribuisce agli uffici della motorizzazione civile: ritardi clamorosi nelle immatricolazioni, nei collaudi, negli esami patenti, nelle revisioni dei mezzi pesanti. Nel 2017 sulle complessive 850.000 revisioni annue, in Sardegna ne sono state evase circa 23.000. Nel 2019 si è certificato un ritardo di 9 mesi;

   la pianta organica degli uffici della motorizzazione civile sardi è ridotta all'osso. In particolare, gli uffici di Nuoro sono a reale rischio di paralisi, con un organico composto solo sulla carta da sole dieci unità: un solo tecnico, una unità in malattia da oltre un anno, due in distacco dalla provincia di Nuoro fino al prossimo 8 aprile e una in distacco dalla capitaneria di Porto Torres. Quando terminerà il distacco del personale proveniente dalla provincia, l'ufficio della motorizzazione civile di Nuoro collasserà. Accade già oggi che l'assenza di un solo dipendente causi la chiusura di uno sportello;

   nel novembre 2019, una convenzione tra la direzione del personale del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e l'Università degli studi di Sassari ha consentito al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti di avvalersi delle graduatorie dell'Università di Sassari, ha consentito l'assunzione di quattro amministrativi da dislocare negli uffici della motorizzazione civile sardi;

   in attesa dei bandi di concorso per l'assunzione di personale per il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, si potrebbe dar atto a nuove convenzioni con gli enti che dispongono di una graduatoria ancora attiva per marginare l'emergenza degli uffici della motorizzazione civile di Nuoro –:

   se si intendano promuovere, per quanto di competenza, soluzioni efficaci per evitare la paralisi della motorizzazione civile in Sardegna e, in particolare, di quella che serve il vasto territorio della provincia di Nuoro.
(5-03709)


   CASSINELLI e BAGNASCO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   Alitalia ha intrapreso per l'emergenza coronavirus interventi su 38 rotte nazionali e internazionali annunciando tra l'altro la cancellazione di alcuni sulla tratta Genova-Roma;

   Alitalia ha evidenziato di aver proceduto a cancellare i collegamenti con un grande numero di posti non occupati per l'effetto che il virus ha determinato nei comportamenti di viaggio dei passeggeri;

   è irragionevole, secondo l'interrogante, che la compagnia di bandiera condanni all'isolamento alcune regioni, impegnate nel fronteggiare il Coronavirus, e abbandoni i passeggeri, anziché garantirne la sicurezza e il diritto alla mobilità;

   è inaccettabile che Alitalia, in piena emergenza Coronavirus, annunci prima la cassa integrazione per 4.000 lavoratori e poi la drastica riduzione dei voli tra alcune città del Nord e Roma, tagliando collegamenti essenziali su tratte già cronicamente penalizzate;

   il commissario Leogrande in commissione aveva garantito che non ci sarebbe stati tagli;

   Alitalia stessa ha confermato l'imminente scadenza di leasing per decine di aeroplani che non saranno rinnovati, riducendo la flotta per mantenere soltanto le tratte più redditizie;

   i piloti e gli assistenti di volo dell'Fnta (Anpac, Anpav, Anp) chiedono che il Governo provveda con urgenza a riattivare il finanziamento del fondo di solidarietà del trasporto aereo interrotto dal 1° gennaio 2020;

   come segnalato in una interrogazione del senatore Rossi al Ministro pro tempore del 20 ottobre 2015, il caso di Genova e della Liguria, sempre più isolate dal resto d'Italia e oggi ancor di più dopo il crollo di ponte Morandi e le gravi difficoltà per infrastrutture «colabrodo», è diventato insostenibile e pone ormai senza alcun dubbio nella situazione di una mancanza di continuità territoriale con il resto del Paese –:

   quali iniziative urgenti intenda adottare il Ministro interrogato in relazione all'abbandono di alcuni scali per niente secondari come Genova e all'esigenza di sostenere il settore del trasporto aereo a fronte della gravissima crisi in atto a causa del Coronavirus, che si aggiunge alla messa in liquidazione di Air Italy e alla disastrosa situazione di Alitalia che rischia di bloccare l'intero Paese.
(5-03739)

Interrogazioni a risposta scritta:


   D'UVA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   il servizio di continuità territoriale nell'area dello Stretto di Messina, tra le città di Messina, Reggio Calabria e Villa S. Giovanni, è attualmente assicurato dalla Blu Jet srl, società soggetta a direzione e coordinamento di Rfi spa, che ne detiene l'intera proprietà, avente l'obiettivo di attuare quanto previsto dall'articolo 47, comma 11-bis, del decreto-legge n. 50 del 24 aprile 2017, relativo al servizio di collegamento territoriale sullo stretto di Messina con l'utilizzo di mezzi navali veloci;

   dal 1° maggio 2019, la Blu Jet effettua il collegamento delle città di Messina e Villa San Giovanni in 20 minuti con un programma di 10 coppie di corse nei giorni feriali e 7 coppie di corse sabato/domenica e festivi e il collegamento delle città Messina e Reggio Calabria in 30 minuti con un programma di 16 coppie di corse nei giorni feriali e 6 coppie di corse sabato/domenica e festivi;

   pertanto, con riferimento alla tratta Messina-Villa San Giovanni, il servizio di continuità territoriale non garantisce nemmeno una corsa ogni ora e l'ultima partenza da Messina è prevista alle ore 21,00, mentre nella tratta inversa, Villa San Giovanni-Messina, si registra la stessa esiguità di corse durante la giornata, aggravata dal fatto che la prima corsa è prevista soltanto alle ore 7,10, con arrivo a Messina oltre le ore 7,30, e quindi è inutile per la maggior parte dei collegamenti in partenza da Messina e destinati alla provincia o alle città di Palermo e Catania;

   con riferimento alla tratta Messina-Reggio Calabria, pur essendovi un maggior numero di corse durante i giorni feriali, la prima partenza da Messina è prevista alle ore 5,55, mentre l'ultima corsa da Messina è prevista alle sole ore 20,20;

   nella tratta Reggio Calabria-Messina, durante i giorni feriali alcuna partenza è prevista dopo le ore 20,55, mentre nei giorni di sabato, domenica e nei festivi, in entrambe le direzioni, sono previste solo 6 corse, con partenze non prima delle ore 8,00, e le cui ultime corse sono fissate alle ore 17,00 da Messina e alle ore 17,40 da Reggio Calabria;

   i collegamenti attualmente previsti, soprattutto nei giorni di sabato, domenica e nei festivi, risultano insufficienti e limitanti i diritti e le esigenze di circolazione dei cittadini;

   per di più le suddette corse risultano pressoché inutilizzabili per consentire ai cittadini siciliani di usufruire dei voli dell'aeroporto di Reggio Calabria – ove sono previste soltanto tre partenze e tre arrivi durante la giornata – poiché la corsa Messina-Reggio Calabria delle ore 5,55 non consente di raggiungere il volo con partenza per Roma alle ore 6,50, né per il volo in arrivo da Roma alle ore 22,45 vi è una corsa utile, in quanto l'ultima corsa da Reggio Calabria è prevista alle ore 20,55;

   è necessario assicurare la continuità territoriale costituzionalmente garantita fra la Sicilia ed il continente, con particolare riguardo alle esigenze dei lavoratori e degli studenti pendolari tra le due sponde, mediante un servizio stabile di collegamento marittimo veloce per il trasporto passeggeri, effettivo e continuativo sia nei giorni feriali che nei giorni di sabato, domenica e nei festivi, oltreché accorto nel soddisfare ogni esigenza di mobilità dei cittadini, ivi incluso il collegamento da e per l'aeroporto di Reggio Calabria –:

   quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare, nell'ambito delle proprie competenze, per garantire un'effettiva continuità territoriale nell'area dello Stretto di Messina, tra le città di Messina, Reggio Calabria e Villa S. Giovanni, con collegamenti veloci, continui e garantiti, sia nei giorni feriali che nei giorni di sabato, domenica e festivi, sia nelle ore diurne che in quelle notturne sino alle 24,00, organizzati secondo una ragionevole previsione delle esigenze di mobilità dei cittadini, anche da e per l'aeroporto di Reggio Calabria.
(4-04853)


   VIETINA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   come comunicato ufficialmente dall'aeroporto Guglielmo Marconi di Bologna, a seguito di attività di manutenzione periodica, la pista del medesimo aeroporto non sarà utilizzabile nei giorni dal 16 al 21 settembre 2020;

   in detti giorni saranno dunque interdetti tutti i voli in partenza e in arrivo dall'aeroporto di Bologna;

   al fine di non penalizzare in maniera eccessiva il traffico in partenza e in arrivo nella regione Emilia-Romagna, con conseguente disagio per gli utenti locali, sarebbe opportuno valutare di destinare il traffico aereo, anche parzialmente, verso soluzioni alternative presenti sul territorio, quali ad esempio l'aeroporto Luigi Ridolfi di Forlì –:

   si intendano assumere le iniziative di competenza finalizzate a coinvolgere, nei limiti del possibile, sull'aeroporto di Forlì parte del traffico aereo che nei giorni dal 16 al 21 settembre 2020 non potrà usufruire dell'aeroporto di Bologna.
(4-04861)

INNOVAZIONE TECNOLOGICA E DIGITALIZZAZIONE

Interrogazione a risposta immediata:


   STUMPO e FORNARO. — Al Ministro per l'innovazione tecnologica e la digitalizzazione. — Per sapere – premesso che:

   il Digital economy and society index è un indice composito delle performance dei Paesi membri dell'Unione europea nella competitività digitale, che tiene conto di 5 indicatori: connettività, capitale umano, utilizzo di internet, integrazione di tecnologie digitali, servizi pubblici digitali;

   il rapporto Digital economy and society index 2019, tenuto conto dei cinque indicatori, afferma che l'Italia occupa il 24° posto su 28 Paesi;

   per connettività l'Italia risulta al 19mo posto nell'Unione europea, migliorando la propria posizione di ben 7 posti rispetto al 2018; è migliorata e aumentata la copertura delle reti fisse a banda larga; per la banda larga ultraveloce l'Italia appare ancora in ritardo; per il capitale umano l'Italia si pone al 26° posto;

   solo il 44 per cento degli individui residenti in Italia tra i 16 ed i 74 anni possiede competenze digitali di base (media europea 57 per cento); i laureati in Ict (innovazione sociale, comunicazione e nuove tecnologie) costituiscono solo l'1 per cento dei laureati;

   il 19 per cento degli individui residenti in Italia, quasi il doppio della media dell'Unione europea, non ha mai usato internet; le attività on line più diffuse sono: streaming, download di musica, video e il gioco on line;

   sull'integrazione delle tecnologie digitali da parte delle imprese, l'Italia si posiziona al 23° posto tra gli Stati dell'Unione europea, al di sotto della media dell'Unione europea;

   sui servizi pubblici digitali, l'Italia si posiziona al 18° posto. L'Italia è al quarto posto nell'Unione europea in materia di open data ed all'ottavo posto per quanto riguarda i servizi di sanità digitale; sono aumentate del 90 per cento le adesioni regionali al fascicolo sanitario elettronico, ma solo oltre 11 milioni cittadini hanno aperto un fascicolo;

   l'età media dei dipendenti della pubblica amministrazione è di 52 anni, la più alta nei Paesi dell'Ocse;

   nel 2018 solo il 24 per cento degli italiani ha interagito con la pubblica amministrazione per via telematica;

   la trasformazione digitale della pubblica amministrazione è strategica ed in grado di portare ingenti benefici, tra risparmi diretti di spesa e maggiori entrate, calcolati in 35 miliardi di euro; l'utilizzo del cloud per i comuni comporterebbe un risparmio di quasi 900 milioni di euro, mentre per gli enti regionali si potrebbero prevedere risparmi per 274 milioni di euro –:

   quali iniziative intenda assumere per migliorare la performance dell'Italia nella competitività digitale ed accelerare la digitalizzazione dei servizi ai cittadini, al fine di superare le differenze che sussistono con i Paesi dell'Unione europea.
(3-01345)

INTERNO

Interrogazione a risposta immediata:


   PAOLO RUSSO, CARFAGNA, SARRO e PENTANGELO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   i gravissimi episodi di violenza che hanno interessato la città di Napoli nei giorni scorsi destano particolare allarme; alla morte del 15enne, che ha perso la vita in uno scontro a fuoco nella zona di Santa Lucia a Napoli durante un tentativo di rapina nei confronti di un carabiniere in borghese, hanno fatto seguito l'aggressione che ha distrutto il pronto soccorso dell'ospedale Vecchio Pellegrini, dove era stato portato il ragazzo, e quella all'esterno della sede del comando provinciale dei carabinieri di Napoli, contro la quale sono stati esplosi due colpi che, secondo le ricostruzioni della stampa, sarebbero partiti da due ragazzi in sella a uno scooter;

   si tratta di episodi che mostrano falle indiscutibili nell'azione dello Stato di controllo del territorio a garanzia dell'incolumità dei cittadini e il forte disagio generazionale che interessa i giovani, per i quali i modelli criminali continuano ad esercitare una forte attrattiva, attraverso il radicarsi e l'espandersi delle cosiddette baby gang;

   i provvedimenti adottati in termini di prevenzione e repressione della criminalità risultano evidentemente insufficienti: i cittadini sono ancora costretti a vivere in un clima di paura, in un ambiente dove rapine e aggressioni spesso non vengono più nemmeno denunciate, ma balzano alle cronache solo nei casi più eclatanti;

   è innegabile la situazione di emergenza e rischio in cui lavorano gli operatori delle forze dell'ordine, così come gli operatori sanitari. Tra l'altro, l'aggressione al presidio sanitario arriva in un momento particolarmente delicato, in cui tutti gli operatori stanno lavorando con altissima professionalità e impegno per contenere la diffusione del Covid-19;

   è evidente come la sensazione di impunità alimenti le violenze, sia dei singoli che di gruppo, fino a sfociare addirittura in rappresaglia; con ogni probabilità, se la vittima fosse stato il carabiniere, non ci sarebbero state le aggressioni successive, frutto evidente di una ritorsione ai danni dello Stato. Occorre, quindi, che lo Stato si adoperi per l'incolumità dei cittadini e per difendere coloro che quotidianamente svolgono funzioni per tutelare sia la salute che la sicurezza degli stessi –:

   quali siano gli intendimenti in relazione ai fatti riportati in premessa e quali misure urgenti si intendano adottare a tutela e a protezione degli operatori sanitari e delle forze dell'ordine, in particolare per il controllo di un territorio così martoriato da eventi criminosi e per prevenire eventi tanto drammatici, garantendo così la sicurezza dei cittadini.
(3-01344)

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

I Commissione:


   CECCANTI, UBALDO PAGANO, FIANO, DE MARIA, POLLASTRINI, RACITI e VISCOMI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   come riportato da diversi organi di stampa e dai sindacati di categoria, il Ministero dell'interno – direzione centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere è in procinto di dar seguito ad un progetto di riorganizzazione della polizia di frontiera;

   tale progetto dovrebbe prevedere la chiusura degli uffici di polizia di frontiera di Taranto, La Spezia, Gioia Tauro, Brescia e Parma e la relativa assegnazione delle funzioni esercitate alle questure territorialmente competenti;

   secondo le organizzazioni sindacali, l'eventuale chiusura dell'ufficio di polizia di frontiera di Taranto «non risponderebbe ad esigenze legate a provvedimenti che ricalcano l’austerity imposta dall'esecutivo di Governo ovvero collegata alla spending review [...] ma a logiche che [...] sfuggono, giacché, lo scorso anno, la medesima Direzione [...] ha completamente soppresso la Squadra Nautica»;

   il suddetto progetto di riorganizzazione appare in evidente contraddizione con l'attenzione riservata a Taranto dall'attuale Esecutivo, i cui membri non hanno mancato negli ultimi mesi di farvi visita per presentare progetti di sviluppo economico e infrastrutturale dell'intera area, quali, ad esempio, la recente istituzione della Zona economica speciale jonica, gli investimenti sull'aeroporto di Grottaglie, l'ampliamento del porto mercantile;

   sempre secondo il Siulp – Taranto, il suddetto progetto di riorganizzazione è fondato su basi e dati erronei, non più attuali e comunque non aderenti alle odierne attività delle strutture e degli uffici della polizia di frontiera del capoluogo jonico. Inoltre, secondo il comunicato, né il prefetto di Taranto, né il questore sarebbero stati informati dell'operazione;

   per di più, la riorganizzazione si inserirebbe in una più ampia azione di depotenziamento degli avamposti della polizia in territorio tarantino a causa del quale si registra un deficit in termini di risorse umane anche nei reparti della polizia stradale –:

   se quanto esposto in premessa, compresa la mancata comunicazione al prefetto e al questore, corrisponda al vero e se intenda, per quanto di competenza, rendere noti i dati e i criteri sulla base dei quali si è ritenuto opportuno valutare la chiusura dell'ufficio di polizia di frontiera di Taranto.
(5-03721)


   SISTO, VIETINA e PITTALIS. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   l'11 febbraio 2020 si è tenuto un incontro presso il Ministero dell'interno tra i vertici della polizia di Stato e le organizzazioni sindacali, in merito alla riorganizzazione dei presìdi di polizia stradale;

   per la provincia di Forlì Cesena, la direzione nazionale ha manifestato l'intenzione di chiudere il distaccamento di Rocca San Casciano: decisione incomprensibile, poiché tutto il reparto è posizionato in una strada statale di primaria importanza per la circolazione, oltre al fatto che l'immobile è stato concesso in comodato d'uso gratuito dal comune di Rocca San Casciano;

   la Polstrada di Rocca San Casciano è considerata da sempre un presidio di sicurezza irrinunciabile per il territorio, un servizio fondamentale non solo per il paese e la vallata del Montone, ma per l'intero comprensorio forlivese;

   in merito all'attività di tale distaccamento, nonostante il numero veramente esiguo di personale, emerge una produttività molto elevata: lo dimostrano gli elevati controlli preventivi e soprattutto i dati sulla repressione a seguito dell'abuso di alcolici alla guida;

   i dati sull'incidentalità in questo importante tratto stradale non sono da sottovalutare: per l'anno 2019, si sono registrati 4.400 controlli sui veicoli, 5.127 le persone controllate, 655 le infrazioni al codice della strada di cui 49 per guida in stato di ebbrezza nonché oltre 285 soccorsi;

   a ciò si aggiungano i gravi disagi che dovrà subire il personale in servizio presso il distaccamento di Rocca San Casciano che dovrebbe essere trasferito nella sottosezione autostradale A14 di Forlì, che nel frattempo passerebbe da 47 a 66 dipendenti, oppure in quella di Bagno di Romagna, in vista del passaggio della E45 in autostrada;

   ad avviso degli interroganti appare dunque chiaro come la decisione del Governo di chiudere il distaccamento di Rocca San Casciano comporterebbe un grave danno per la prevenzione della sicurezza stradale in tutta la vallata e declasserebbe l'intero territorio della montagna, che ancora una volta sarebbe penalizzata –:

   quali iniziative urgenti il Ministro interrogato intenda intraprendere per evitare la chiusura del presidio di polizia stradale di Rocca San Casciano anche valutando l'opportunità di prevedere l'incremento dell'organico della sottosezione autostradale di Forlì a sole 14 unità, portando il totale a 61, e dirottando i rimanenti 5 al distaccamento di Rocca San Casciano, al fine di mantenere un servizio adeguato per la sicurezza dei cittadini, anche sulle strade statali della provincia forlivese.
(5-03722)


   IEZZI, BORDONALI, CANTALAMESSA, DE ANGELIS, INVERNIZZI, MATURI, MOLTENI, STEFANI, TONELLI e VINCI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   nella notte tra sabato 29 febbraio e domenica 1° marzo 2020, a Napoli, si è verificato l'ennesimo episodio di criminalità compiuto da minorenni, che ha evidenziato, ancora una volta, come sia importante il problema della mancanza di sicurezza a Napoli;

   un ragazzo di sedici anni, a bordo di uno scooter guidato da un altro ragazzo, poi fermato e identificato dalle forze dell'ordine, ha puntato una pistola alla tempia di un carabiniere per rubargli un orologio di valore che aveva al polso e il militare, dopo essersi qualificato sperando in tal modo di far desistere i rapinatori, continuando a sentirsi minacciato, ha deciso di sparare con la pistola d'ordinanza, provocando la morte del ragazzo, che è poi deceduto in ospedale;

   quel che è accaduto dopo è alquanto surreale e denota una città allo sbando dal punto di vista della sicurezza, dove i malviventi agiscono da padroni, sentendosi impuniti; i parenti e gli amici della vittima, infatti, hanno devastato il pronto soccorso dell'ospedale dove è deceduto il ragazzo, rendendolo inagibile per tutta la giornata di domenica, e qualcuno, nella notte è poi passato davanti alla caserma dove è stato ascoltato il carabiniere e, con atto intimidatorio, ha sparato quattro colpi di pistola davanti all'ingresso;

   il fatto è stato poi mistificato da una parte della stampa e non si capiva più quale fosse l'accadimento principale e reale: se quello, inequivocabile, di due ragazzi di sedici anni che passano la notte a delinquere armati in giro per Napoli con uno scooter incontrando un carabiniere che, sentendosi aggredito, ha agito per legittima difesa sparando in una città che continua ad essere prigioniera della criminalità oppure quello di un carabiniere che ha ucciso un povero ragazzo con la pistola d'ordinanza –:

   se intenda adottare ulteriori iniziative per ristabilire l'ordine e la sicurezza nella città di Napoli alla luce dei fatti accaduti nel fine settimana, che evidenziano a parere degli interroganti una città prigioniera di una criminalità diffusa.
(5-03723)


   MARCO DI MAIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   a seguito della presentazione del «Piano di razionalizzazione della specialità» e da seguenti notizie di stampa, risulta che i distaccamenti di polizia stradale di Rocca San Casciano e Lugo sarebbero prossimi alla chiusura;

   la decisione sarebbe apparentemente motivata, nel caso di Lugo, dal fatto che distaccamento risulterebbe ubicato «in aree in cui la viabilità non riveste più interesse strategico per la Polizia Stradale»;

   il distaccamento di Rocca San Casciano è collocato in un'importante arteria come la strada statale 67 che collega la Romagna con Firenze. In questo tratto stradale, i dati sull'incidentalità non sono da sottovalutare e la soppressione di tale reparto sarebbe un grave danno per la prevenzione e la sicurezza stradale in tutta la Vallata del Montone;

   già nel 2016 il dipartimento aveva proposto la chiusura del distaccamento, in quanto era necessario trovare una nuova sede per il reparto. Il comune di Rocca San Casciano ha sistemato un immobile di sua proprietà concedendolo in comodato gratuito per l'allocazione del distaccamento della polizia statale e nel giugno del 2019 il reparto si è trasferito nei locali, a costo zero per il Ministero dell'interno;

   la chiusura di tali presidi rappresenterebbe un ulteriore indebolimento per un territorio che, ad oggi, resiste a fatica contro problematiche di varia natura;

   a difesa dei presidi si sono espressi in maniera unitaria e trasversale tutte le forze politiche e istituzionali del territorio interessato –:

   quali iniziative il Ministro interrogato intenda porre in essere per mantenere il presidio di polizia stradale di Rocca San Casciano e quello di Lugo di Romagna, per la tutela della sicurezza e dell'ordine pubblico dei territori interessati.
(5-03724)


   BALDINO, DE GIROLAMO, ALAIMO, BERTI, BILOTTI, BRESCIA, MAURIZIO CATTOI, CORNELI, D'AMBROSIO, SABRINA DE CARLO, DIENI, FORCINITI, MACINA, PARISSE, FRANCESCO SILVESTRI, SURIANO e ELISA TRIPODI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   a seguito della presentazione del «Piano di razionalizzazione degli uffici della specialità polizia stradale sul territorio» da parte del Ministero dell'interno e delle conseguenti notizie di stampa, risulta che i distaccamenti della polizia stradale di Rocca San Casciano e Lugo sarebbero prossimi alla chiusura;

   la decisione parrebbe motivata dal fatto che tali distaccamenti risulterebbero ubicati «in aree in cui la viabilità non riveste più interesse strategico per la Polizia Stradale»;

   il distaccamento di Rocca San Casciano dista 30 chilometri dalla sezione di polizia stradale di Forlì ed è collocato in un'importante arteria come la strada statale 67, che collega la Romagna con Firenze, conosciuta per essere pellegrinaggio di migliaia di motociclisti che raggiungono il «passo del Muraglione»;

   la soppressione del distaccamento di Rocca San Casciano rappresenta un danno per la prevenzione della sicurezza in tutta la vallata del Montone, soprattutto in un momento storico dove gli incidenti con esiti mortali sono in aumento;

   i reparti della polizia stradale di Rocca San Casciano e Lugo rappresentano presidi irrinunciabili per garantire il controllo del territorio e contrastare la microcriminalità;

   per mantenere il distaccamento a Rocca San Casciano, negli ultimi anni l'amministrazione comunale si è impegnata a trovare una sede senza costi a carico dello Stato e, da giugno 2019, ha concesso un locale in comodato d'uso gratuito, sottoscrivendo una convenzione con la prefettura di Forlì-Cesena;

   il consiglio comunale di Lugo ha approvato all'unanimità una mozione a difesa del presidio di polizia stradale, ricevendo il sostegno trasversale di tutte le forze politiche, economiche, sindacali e sociali del territorio e lo stesso è stato fatto dal consiglio comunale di Rocca San Casciano e da molte amministrazioni dell'Unione dei comuni della Romagna forlivese tra cui Forlì, città capoluogo;

   a difesa del presidio di Rocca San Casciano è sorto un Comitato civico trasversale di amministratori, rappresentanti di forze socio-economiche, cittadini e motociclisti, per una raccolta firme e per l'organizzazione di manifestazioni pubbliche di supporto;

   durante l'esame del disegno di legge di conversione del decreto cosiddetto Milleproroghe, il Governo ha accolto alcuni ordini del giorno che impegnano a valutare l'opportunità di differire l'adozione definitiva del piano di razionalizzazione –:

   quali iniziative il Ministro interrogato intenda porre in essere per mantenere i presidi di polizia stradale oggi esistenti a Rocca San Casciano e Lugo a tutela della sicurezza e dell'ordine pubblico, non solo del comprensorio forlivese, ma di tutta la Romagna.
(5-03725)


   PRISCO, GALANTINO, DEIDDA, FERRO, DONZELLI, MONTARULI, SILVESTRONI, ZUCCONI e LUCASELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   con ricorso al Tar i ricorrenti chiedevano l'annullamento del decreto del capo della polizia n. 333-B/12D.3.19/5429 del 13 marzo 2019, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana del 15 marzo 2019 per l'avvio al corso di formazione di 1.851 allievi agenti della polizia di Stato;

   con ordinanza 00372/2020 - Reg. Prov. Cau - n. 08446-2019 Reg. Ric. il Tar Lazio disponeva l'esecuzione dell'ordinanza n. 12636-2019, del 5 novembre 2019. In particolare, i partecipanti al concorso per allievi agenti della polizia di Stato chiedevano di adottare le misure attuative ex articolo 114, comma 4, lettera c), del codice del processo amministrativo;

   con ordinanza cautelare n. 5342 del 2 agosto 2019, il Tar Lazio, peraltro, disponeva l'ammissione con riserva dei ricorrenti alla prosecuzione dell’iter concorsuale già oggetto di impugnazione al Tar nell'ambito dello stesso procedimento;

   malgrado i provvedimenti ut supra indicati, codesto ente non ha ancora dato esecuzione all'ordine giudiziale emesso dal tribunale amministrativo e già passato in giudicato;

   tale ritardo reca nocumento, nonché un abuso a danno dei partecipanti del concorso oggetto di procedura amministrativa che hanno diritto a veder realizzato il loro interesse legittimo –:

   quali siano le ragioni inerenti alla mancata esecuzione delle ordinanze indicate in premessa e quali urgenti iniziative intenda adottare per rendere più celere il processo di assunzione, anche in ragione della necessità di pubblica sicurezza nelle città.
(5-03726)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CASCIELLO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   pochissimi giorni orsono, la prefettura di Caserta ha deciso di revocare la scorta ad Antonello Velardi, il giornalista che ha anche svolto il ruolo di sindaco della città di Marcianise fino alle dimissioni dello scorso autunno, ritenute cessate le condizioni di rischio per il giornalista;

   la vicenda è stata resa nota da una comunicazione congiunta di Federazione nazionale della stampa, il sindacato dei giornalisti della Campania e l'Unione cronisti: «Riteniamo grave e inaccettabile la decisione della Prefettura di Caserta di revocare la scorta al collega Antonello Velardi. Velardi, caporedattore del Mattino, da sindaco di Marcianise ha denunciato la corruzione e il malaffare sfidando apertamente la criminalità organizzata e ricevendo, per questo, ripetute minacce, anche di recente, quando non ricopriva più la carica di sindaco»;

   si legge ancora nella nota di Fnsi, Sugc e Unione cronisti: «Non c'è dunque nessuna ragione che possa giustificare la scelta della Prefettura di Caserta di lasciarlo senza tutela. Denunciare il malaffare è sempre un gesto coraggioso, indipendentemente dal fatto che tale gesto sia compiuto nella funzione di sindaco o di giornalista. Esprimiamo pertanto pieno sostegno a Velardi e chiediamo al ministero dell'interno di intervenire tempestivamente per confermargli la scorta. Antonello non è solo, siamo con lui»;

   la vicenda «Velardi», prontamente denunciata dalla Fnsi, dal Sugc e dall'Unione cronisti, è solo la lente d'ingrandimento di un problema serio che, in Campania come altrove, coinvolge tanti cronisti e rappresentanti delle istituzioni;

   si tratta di operatori dell'informazione che lavorano in trincea o che, come Velardi, si sono esposti in prima persona per il bene della comunità e per far rispettare le «regole», sfidando la malavita organizzata e i gruppi di potere affaristici, spesso collusi con i poteri forti, e ai quali le autorità di pubblica sicurezza e le istituzioni non possono far mancare sostegno e tutela nel loro impegno quotidiano nei territori di frontiera;

   sono, dunque, elevati l'allarme e l'attenzione sul fenomeno degli atti intimidatori nei confronti di giornalisti e dei rappresentanti delle istituzioni e la tutela della sicurezza dei medesimi rappresenta un pilastro della democrazia –:

   se il Governo sia a conoscenza dei fatti di cui in premessa e se non intenda adottare le iniziative di competenza per ripristinare urgentemente il servizio di scorta per il dottor Velardi e, in caso negativo, se non ritenga di indicarne le ragioni.
(4-04860)


   TONELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   sull'emittente turca TrtArabi, una tv locale turca, è stato trasmesso un servizio in lingua araba in cui veniva suggerito e consigliato agli immigrati irregolari che hanno intenzione di partire verso l'Europa di raggiungere, tra tutte le possibili destinazioni, proprio la città di Bologna;

   addirittura, nel corso del servizio, mediante l'uso di cartine geografiche, sarebbero state fornite precise indicazioni circa l'itinerario da percorrere e le diverse ed eventuali rotte attraverso le quali raggiungere la città di Bologna;

   dopo il recente annuncio del presidente turco Erdogan di riaprire la frontiera verso l'Europa, si stima che siano circa 2 milioni gli immigrati irregolari che si stanno dirigendo verso il valico di Pazarkule, al confine con la Grecia e la Bulgaria, nel tentativo di oltrepassare la frontiera;

   il 1° marzo 2020 le autorità greche hanno reso noto di aver fermato, in un solo giorno, quasi diecimila migranti che tentavano di entrare via terra dalla Turchia, mentre Frontex, l'Agenzia europea per il controllo delle frontiere, ha portato ad «alto» il livello di allerta su tutte le frontiere dell'Unione europea con la Turchia;

   sebbene sia di per sé già grave il fatto che un servizio della televisione turca suggerisca agli immigrati clandestini diretti in Europa come meta proprio Bologna, quale fosse un luogo senza alcun rischio di eventuali controlli, a maggior ragione in tale contesto, il servizio andato in onda sull'emittente TrtArabi non può che destare ancor più grande preoccupazione e preannunciare una vera e propria catastrofe per il sistema sociale e produttivo emiliano-romagnolo, già messo a dura prova per gli ingenti danni che sta provocando l'emergenza per il Covid-19 –:

   quali iniziative il Governo abbia già intrapreso o intenda intraprendere, nel più breve tempo possibile, al fine di impedire flussi migratori clandestini dalla «rotta balcanica» e, in particolare, scongiurare il rischio che la regione Emilia-Romagna, anche per effetto del servizio andato in onda sull'emittente turca TrtArabi, si trovi a dover gestire, proprio in un periodo delicatissimo come quello attuale, una nuova ondata di immigrati irregolari sul proprio territorio.
(4-04866)


   DEIDDA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   Carbonia, capoluogo della provincia del Sud Sardegna, con una popolazione di 27.812 abitanti, rappresenta una dei principali centri del Sulcis, risultando la nona città in Sardegna per numero di abitanti, nonché la più popolosa della provincia e, in generale, dell'intero sud-ovest sardo;

   da anni, la città di Carbonia, come l'intero territorio del Sulcis Iglesiente, è stato colpito da una grave crisi sul piano economico-industriale, al punto da collocarsi nella penultima posizione delle classifiche sul prodotto interno lordo e sul reddito pro capite, nonché su quello della disoccupazione giovanile: primato, quest'ultimo, che, peraltro, condivide con l'altra provincia sarda del Medio-campidano;

   il report del Sindacato Cisl Sardegna ha evidenziato anche che il tasso di deprivazione della popolazione anziana in Sardegna è pari all'8,93 per cento: in altre parole, 9 anziani su 100 anziani non risultano in possesso di un reddito sufficiente per far fronte ai bisogni primari e, i tassi più alti, si rilevano rispettivamente nell'area di Carbonia e del Medio Campidano;

   contestualmente all'impoverimento dei suindicati territori, si registra un aumento costante dei reati e degli episodi di microcriminalità, oltre che di fenomeni legati allo spaccio di sostanze stupefacenti e, in particolare, sono aumentati gli attentati incendiari, i furti nelle abitazioni del centro e nelle frazioni, nonché gli episodi di vandalismo;

   le autorità preposte, a fronte dei suindicati, allarmanti dati e, più in generale, in ragione di una sensazione di insicurezza diffusa sia nel centro di Carbonia che nelle frazioni, hanno cercato di garantire una maggiore presenza sul territorio delle varie forze di polizia, anche se la vastità del territorio comunale necessiterebbe di un incremento dei mezzi umani e materiali considerato il dispendio di energie e mezzi notevole –:

   se sia a conoscenza dei fatti sopraesposti e quali iniziative intenda assumere al fine di implementare ulteriormente l'organico delle forze dell'ordine, nonché i mezzi a disposizione per la tutela della sicurezza nella città di Carbonia.
(4-04869)

ISTRUZIONE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'istruzione, per sapere – premesso che:

   il Ministero dell'istruzione è impegnato a promuovere e potenziare percorsi formativi di sensibilizzazione e formazione degli studenti riguardo ai cambiamenti ambientali in atto sul nostro Pianeta, per la formazione di una nuova cittadinanza responsabile e compatibile con le condizioni ecosistemiche e quindi una cittadinanza sempre più sostenibile;

   le azioni intraprese dal Ministero risultano di estrema importanza, poiché si vive, come ormai noto, in un'epoca in cui le attività antropiche hanno notevoli impatti ambientali determinando, tra le diverse conseguenze, una eccessiva produzione di CO2;

   una maggiore diffusa consapevolezza rappresenta, pertanto, la prima importante risorsa per la tutela della nostra «casa comune» e le istituzioni scolastiche, in quanto luogo di formazione delle future generazioni, diventano quindi lo spazio primario;

   da quanto appreso attraverso i mezzi di informazione, l'Associazione nazionale presidi e l'Ente nazionale idrocarburi (Eni) nei mesi scorsi hanno annunciato l'avvio di un programma di incontri sui temi della sostenibilità ambientale – cambiamento climatico, efficienza energetica, rifiuti, bonifiche ambientali – per la formazione dei docenti delle scuole italiane, in base alla direttiva n. 170 del 2016 del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca «Accreditamento/qualificazione enti, riconoscimento corsi», in applicazione di una modifica della legge n. 92 del 2019;

   l'Eni, in relazione alla sua attività di ricerca, estrazione e raffinazione di idrocarburi, ha gravi responsabilità dirette sui cambiamenti climatici e sul grave stato di inquinamento in cui versano i territori da bonificare; tale ente rappresenta, inoltre, un attore principale, a scopo di business, nel campo della produzione di sistemi e di fonti energetiche che modificano l'efficienza energetica;

   l'ente in parola, è utilizzatore di centinaia di sostanze chimiche, tossiche e pericolose che immette nell'ambiente e che possono essere all'origine dell'inquinamento dei territori, come ad esempio si osserva nel bacino dell'area Sin della Valbasento, in Basilicata, o riguardo alla devastazione di aree delicate del pianeta, come quella del fiume Niger in Africa;

   le attività di ricerca, estrazione e raffinazione dell'Eni, produttore di enormi quantità di rifiuti tossici e pericolosi da smaltire continuamente, sono impattanti, ricorrendo all'utilizzo non solo di sostanze chimiche inquinanti, ma anche a procedimenti tecnici altamente dannosi per l'ecosistema, come la reiniezione in profondità delle acque di strato;

   sono noti altresì i gravissimi incidenti nei pozzi petroliferi, negli oleodotti e nei centri di raffinazione e stoccaggio del citato ente, come accaduto nel 2017 al Cova di Viggiano, in Basilicata, nella più grande area estrattiva e di raffinazione d'Italia, in cui materiale fossile, fuoriuscito per 7 anni dai serbatoi di contenimento, ha contaminato i reticoli idrici dei territori, le falde idriche e i terreni circostanti –:

   se il Ministro interpellato, per le ragioni di cui in premessa, non ritenga opportuno evitare che le società altamente impattanti, come nel caso specifico, formino docenti e studenti su tematiche ambientali e di bonifica o che società di business formino gli stessi sull'efficienza energetica.
(2-00662) «Cillis, Alberto Manca, Gallinella, Gagnarli, Maglione, Lovecchio, Lombardo, Cadeddu, Del Sesto, Masi, Deiana, Testamento, Brescia, Bruno, Buompane, Businarolo, Cabras, Cancelleri, Luciano Cantone, Carabetta, Carbonaro, Carelli, Carinelli, Casa, Caso, Cassese, Maurizio Cattoi, Chiazzese, Cimino, Ciprini, Bella».

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta orale:


   FASSINA e FRATOIANNI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   il decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4, recante disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza e di pensioni, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 26 del 2019, assegna ad Anpal Servizi (già Italia lavoro spa), società in house di Anpal, un ruolo fondamentale nella gestione del reddito di cittadinanza (RdC);

   quando è stata approvata la legge n. 26 del 2019 Anpal Servizi disponeva di 1.103 addetti, di cui circa 654 precari con contratti a tempo determinato e di collaborazione. Questi lavoratori posseggono competenze importanti, tra specialisti della ricollocazione e dell'orientamento, e costituiscono un patrimonio professionale essenziale per il rafforzamento e la riqualificazione dei centri per l'impiego e per l'implementazione del RdC. Soprattutto ora, nella cosiddetta «fase 2» di questa misura, servirebbe il massimo di solidità contrattuale degli operatori, a garanzia della qualità dei servizi per l'impiego e delle politiche attive del lavoro in Italia;

   il decreto-legge n. 101 del 2019, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 128 del 2019 ha anche come obiettivo la stabilizzazione dei precari storici di Anpal Servizi. La norma è intervenuta per sanare una lunga storia di vulnerabilità contrattuale degli operatori, in un momento in cui si sta potenziando questo comparto del welfare attraverso il rafforzamento dei servizi pubblici per il lavoro e gli investimenti in politiche attive;

   nell’iter di conversione del decreto-legge n. 162 del 2019 (cosiddetto Milleproroghe) è stato approvato alla Camera, con l'impegno di LeU, un emendamento che alloca ulteriori risorse per le spese di personale al fine di procedere ad assunzioni subordinate a tempo indeterminato di tutto il bacino dei precari storici;

   il 14 febbraio 2020 la Ministra Catalfo ha dichiarato che ci si avviava alla chiusura «della vicenda dei precari di ANPAL Servizi». Gli interroganti apprendono, però, da un comunicato stampa delle Camere del lavoro autonomo a precario – prima organizzazione sindacale per numero di iscritti ma non ancora riconosciuta da Anpal Servizi – che il 28 febbraio scadranno i contratti a tempo determinato di 9 lavoratori, a cui potrebbe essere garantita la continuità occupazionale attraverso l'applicazione del «decreto dignità». Si tratta di risorse impegnate anche nelle attività della direzione generale immigrazione e integrazione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Attività di primaria importanza, come l'assistenza tecnica al «tavolo caporalato» (istituito dalla legge n. 136 del 2018). Inoltre, nella suddetta dichiarazione stampa la Ministra ha aggiunto che «per oltre 500 operatori del mercato del lavoro che operano in tutta Italia ci sarà un contratto stabile», mentre il bacino di precari storici che ha diritto alla stabilizzazione, secondo quanto indicato dalla legge n. 128 del 2019, ammonta ad oltre 650 unità. LeU chiede che venga coerentemente rispettata la suddetta norma e si avvii il piano di stabilizzazione di tutti i precari storici;

   un articolo dell’Linkiesta del 25 febbraio 2020 riporta che il presidente di Anpal, professor Domenico Parisi, nel corso del suo anno di attività avrebbe sostenuto spese pari a 166 mila euro per voli mensili verso il Mississippi, per l'alloggio a Roma e per l'autista personale. Una ingente quantità di risorse integrative alla propria retribuzione. Inoltre, nell'articolo si afferma anche che il professor Parisi, allo scopo di sostenere le proprie spese, abbia approvato unilateralmente un regolamento aziendale di Anpal Servizi dopo la «bocciatura» di questo atto da parte del consiglio di amministrazione di Anpal –:

   in quali tempi intenda adottare le iniziative di competenza per dare attuazione all'obiettivo di stabilizzazione del personale precario di cui al decreto-legge n. 101 del 2019, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 128 del 2019, anche in considerazione delle scadenze dei contratti a termine e delle maggiori risorse stanziate dal decreto «Milleproroghe», come convertito, e di quelle recuperabili da una più oculata gestione delle spese della presidenza di Anpal.
(3-01341)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MARTINCIGLIO e FICARA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   il decreto-legge n. 4 del 2019, convertito dalla legge n. 26 del 2019, ha istituito il reddito di cittadinanza, misura di contrasto alla povertà, alla disuguaglianza e all'esclusione sociale, la cui concessione è subordinata alla sussistenza di requisiti previsti dalla legge;

   ai sensi dell'articolo 2, comma 1, lettera c), del decreto-legge n. 4 del 2019, infatti, ostano alla concessione del beneficio il godimento di alcuni beni durevoli ivi puntualmente descritti;

   in particolare, la legge dispone che «1) nessun componente il nucleo familiare deve essere intestatario a qualunque titolo o avente piena disponibilità di autoveicoli immatricolati la prima volta nei sei mesi antecedenti la richiesta, ovvero di autoveicoli di cilindrata superiore a 1.600 cc o motoveicoli di cilindrata superiore a 250 cc, immatricolati la prima volta nei due anni antecedenti, esclusi gli autoveicoli e i motoveicoli per cui è prevista una agevolazione fiscale in favore delle persone con disabilità ai sensi della disciplina vigente; 2) nessun componente deve essere intestatario a qualunque titolo o avente piena disponibilità di navi e imbarcazioni da diporto di cui all'articolo 3, comma 1, del decreto legislativo 18 luglio 2005, n. 171»;

   dalla lettura combinata dell'articolo 2 del decreto-legge n. 4 del 2019 e dell'articolo 3 del decreto legislativo n. 171 del 2005 (codice della navigazione da diporto) che definisce tutte e tipologie di costruzioni destinate alla navigazione da diporto, si evincerebbe, dunque, che non osti alla concessione del reddito di cittadinanza l'intestazione o la piena disponibilità dei «natanti da diporto» ossia «di unità a remi ovvero con scafo di lunghezza pari o inferiore a dieci metri, misurata secondo la norma armonizzata di cui alla lettera c)»;

   ove questa lettura fosse corretta, ne deriverebbe il paradosso che, mentre al possessore di autoveicolo o motoveicolo del valore, rispettivamente, di 25.000 e 10.000 euro sarebbe preclusa la possibilità di richiedere il reddito di cittadinanza, la stessa preclusione non opererebbe per il possessore di un «natante da diporto» che, in presenza di determinate caratteristiche (ad esempio, lunghezza di 9 metri e dotazione di due motori da 250 cc), potrebbe avere un valore nettamente superiore a quello di un autoveicolo (nell'esempio fatto, anche oltre i 100.000 euro);

   a ciò si aggiunga che, anche in caso di un intervento modificativo della normativa richiamata, residuerebbe l'impossibilità di procedere a un effettivo controllo sul valore dei «natanti da diporto»;

   dal momento che le imbarcazioni qualificate come tali dal citato decreto legislativo n. 171 del 2005 – ad eccezione di quelle presenti nelle aree della laguna veneta e dei laghi Maggiore, Varese e pochi altri – sono prive del contrassegno identificativo;

   con riferimento a quest'ultimo aspetto, ad avviso della interrogante, sarebbe opportuno sanare il vulnus normativo che, non consentendo di identificare le migliaia di unità da diporto esistenti, rende questi beni di fatto «invisibili» e, come tali, non soggetti a controllo, con ricadute che impattano, oltre che sulla «discutibile» concessione del beneficio del reddito di cittadinanza, anche su altre situazioni, quali, a titolo di esempio, la responsabilità in caso di sinistri che coinvolgono persone o cose, o i casi di richiesta di soccorso in mare –:

   quali iniziative i Ministri interrogati, per quanto di competenza, intendano adottare per:

    a) evitare casi di «ingiustizia sociale» conseguenti alla possibilità per il possessore di unità da diporto del valore di decine e centinaia di migliaia di euro di percepire «legittimamente» il reddito di cittadinanza;

    b) per sanare la carenza normativa che, ad oggi, non consentendo di identificare le migliaia di unità da diporto esistenti, ne rende impossibile, di fatto, il controllo.
(5-03706)


   EPIFANI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   a Goldoni Arbos di Migliarina di Carpi (Modena) è una storica impresa per la costruzione di trattori e macchine per l'agricoltura, acquisita nel 2016 dalla multinazionale Foton Lovol Hevy industry Ltd, uno dei principali protagonisti della meccanica agricola sul mercato cinese;

   il tribunale di Modena, a seguito dell'udienza del 19 maggio 2016, con ordine emanato il 25 maggio 2016, ha approvato la richiesta di concordato con i creditori con continuità aziendale presentata dalla Goldoni s.p.a. salvaguardandone in tal modo l'attività produttiva e preservando un marchio noto a livello internazionale. Il piano di concordato ha richiesto che l'azienda produttrice di trattori venisse totalmente acquisita da Lovol Heavy Industry Ltd Group. L'intesa posta a base del passaggio di proprietà prevedeva la salvaguardia dello stabilimento e dell'occupazione sulla base di un piano industriale approvato dalle parti;

   nella stessa area industriale della Goldoni si è sviluppato un centro di ricerca e sviluppo macchine per il settore agricolo, Lovos Arbos Spa, costituendo il complesso Goldoni Arbos. La platea occupazionale coinvolta da questo complesso industriale Arbos Group Spa è costituita da circa 240 lavoratori dipendenti dalla Goldoni s.p.a., 50 (con alta professionalità) dipendenti dalla Arbos, che si occupa di progettazione e prototipazione, 100 dipendenti dalla Matermacc, con sede a San Vito del Tagliamento (Pordenone), produttrice di attrezzature per la meccanica agricola, e da diverse decine di lavoratori occupati in aziende della zona direttamente dipendenti dal processo produttivo della Goldoni;

   nel corso del 2019 la Goldoni ha prima rallentato e poi sospeso i pagamenti dei fornitori a partire da settembre 2019. Il 7 febbraio 2020 l'azienda ha infine depositato al tribunale di Modena l'avvio di una procedura concorsuale di concordato preventivo, interrotto l'assolvimento degli impegni verso i fornitori e ridotto drasticamente la produzione;

   da fonti giornalistiche si evince che il 21 febbraio 2020 si è tenuto un incontro tra le rappresentanze sindacali Rsu e Fiom di Carpi e la direzione aziendale rappresentata dal dottor Andrea Bedosti e da due dirigenti cinesi. L'azienda ha confermato il percorso intrapreso verso il concordato preventivo, il cui avvio e stato ratificato dal tribunale di Modena il 13 febbraio. Il tribunale ha concesso tre mesi per la sua definizione, il cui termine ultimo sarà il 13 maggio. È stata confermata la convocazione del tavolo presso la regione Emilia-Romagna per il 4 marzo 2020. È stato chiesto con forza dalla delegazione sindacale e istituzionale presente all'incontro che a quell'appuntamento siano presenti soggetti in grado di avviare una trattativa tra le parti;

   intanto, si faranno ben presto sentire gli effetti della procedura sulle condizioni materiali non solo dei fornitori creditori, che vedono bloccati i loro crediti, ma anche verso i lavoratori Goldoni, con il congelamento sospensivo dei crediti maturati fino al 13 febbraio, retribuzione, ferie, permessi e Tfr, istituti che la legge fallimentare prevede siano sospesi fino all'avvio del concordato;

   la situazione è particolarmente grave per i lavoratori dell'azienda, perché gli ammortizzatori sociali sono stati esauriti con la precedente crisi del 2016. Occorre dunque mettere in campo ulteriori sforzi per capire se possa essere portato avanti il piano di sviluppo prospettato dalla nuova proprietà nel 2016, evitando così la procedura di concordato preventivo e le eventuali conseguenze derivate –:

   se non ritenga opportuno adottare iniziative, per quanto di competenza, per salvaguardare i livelli occupazionali del complesso industriale Arbos Group s.p.a. e per evitare che i lavoratori restino senza tutele, in attesa dell'avvio del concordato.
(5-03710)


   PEZZOPANE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   da articoli di stampa si apprende che, il 28 febbraio 2020, le organizzazioni sindacali Filcams cgil, Fisascat cisl uiltucs hanno ricevuto una comunicazione con la quale la società Hera srl (società controllata da Conad) annuncia complessivamente 135 licenziamenti negli ipermercati a marchio Iperconad di Città Sant'Angelo (PE), Colonnella (TE) e Ortona (CH);

   nel dettaglio, a Città Sant'Angelo gli esuberi sono 65 su un organico di 221 dipendenti (tutti part-time, e già oggetto in precedenza di ammortizzatori sociali e riduzione dell'orario di lavoro); a Colonnella gli esuberi sono 40 su un organico di 174 dipendenti, mentre a Ortona sono 30 su un organico di 153 dipendenti;

   si tratta di una scelta inaccettabile a circa un anno dal subentro nella gestione dei punti vendita, che comporterà una riduzione pesantissima del personale impiegato;

   tale procedura di licenziamento collettivo dei punti vendita Iperconad si intreccia con l'operazione di subentro nei punti vendita Auchan-sma-ipersimply, che comporterà ulteriori licenziamenti ed esuberi sui alcuni dei punti vendita interessati;

   in pratica, a giudizio dell'interrogante da una parte Conad assume una posizione di mercato di assoluto vantaggio, dall'altra non si assume alcuna responsabilità sugli effetti sociali delle operazioni commerciali messe in pratica;

   appare indispensabile condividere un percorso istituzionale per frenare la crescita di vertenze che si concludono con la perdita di posti di lavoro, un percorso che veda il pieno coinvolgimento di tutti gli attori istituzionali del territorio, prima tra tutte la regione che, al contrario, sinora appare inerte sul fronte economico e occupazionale;

   dietro ogni posto di lavoro perso c'è una famiglia in difficoltà e c'è la necessità di intervenire per reintrodurre quella forza lavoro licenziata in una posizione attiva nel mercato del lavoro, pena irrimediabili conseguenze sul tessuto sociale del territorio –:

   quali urgenti iniziative, per quanto di competenza, intenda intraprendere al fine di favorire una soluzione che eviti i richiamati provvedimenti di licenziamento, in un territorio che già sta subendo una forte contrazione dell'occupazione.
(5-03716)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BAGNASCO e CASSINELLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   a seguito delle condizioni di maltempo verificatesi nel Savonese e in Liguria nel mese di novembre 2019, che hanno prodotto il crollo di due piloni della funivia gestita da Funivie spa, l'attività dell'impianto funiviario che collega l'entroterra savonese e Cairo Montenotte è fermo ormai da mesi;

   tale condizione ha posto in una situazione di grave difficoltà i circa 80 dipendenti di Funivie spa ai quali non sono garantiti la retribuzione dei prossimi mesi, nonché il mantenimento dello stesso posto di lavoro a seguito dell'ipotesi comunicata da Funivie s.p.a al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti di abbandonare la gestione dell'infrastruttura funiviaria;

   appare urgente individuare al più presto forme e strumenti di sostegno al reddito in grado di tutelare i lavoratori di Funivie s.p.a. –:

   quali iniziative intendano adottare i Ministri interrogati, per quanto di competenza, al fine di prevedere forme di sostegno al reddito per i lavoratori di Funivie s.p.a. rimettere in funzione la funivia che costituisce un impianto strategico per la filiera del carbone e fronteggiare una situazione di crisi che, coinvolgendo l'indotto, potrebbe riguardare circa 600 lavoratori.
(4-04857)


   MAGGIONI e LOCATELLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per le pari opportunità e la famiglia. — Per sapere – premesso che:

   l'assistenza sociale in favore dei minori, politica imprescindibile per uno Stato che si prefigge di tutelare i diritti, soprattutto dei più deboli, è una funzione che ricade prevalentemente sugli enti locali di livello comunale;

   i cambiamenti sociali cui si sta assistendo rendono indispensabile un rafforzamento delle politiche di tutela dei minori, a causa del continuo aumento di situazioni di disagio che si ripercuotono proprio sui bambini;

   gli interventi di inclusione, protezione e tutela dei minori, ad oggi, non sono supportati da adeguate risorse e i fondi esistenti, come ad esempio, il fondo nazionale per l'infanzia e l'adolescenza e/o la quota del fondo nazionale per le politiche sociali, risultano frammentati e insufficienti;

   gli enti locali hanno numerose carenze di organico e, per quanto attiene al settore dell'assistenza sociale, dispongono di poche unità di assistenti sociali, talvolta non adeguatamente formate, e difettano di altre figure chiave, quali in particolare i mediatori culturali, gli educatori, gli psicologi consulenti;

   il servizio sanitario nazionale dovrebbe garantire a minori e famiglie alcune prestazioni sanitarie e sociosanitarie, in particolare il supporto psicologico e psicoterapeutico ai minori in situazione di disagio, in stato di abbandono o vittime di maltrattamenti e abusi, forme di consulenza e assistenza in favore degli adolescenti, supporto psicologico e sociale ai nuclei familiari in condizioni di disagio nonché a quelli che procedono all'affidamento o all'adozione;

   il problema principale è ad ogni modo la scarsità di fondi in favore degli enti locali, il che rende quasi impossibile l'adempimento delle funzioni istituzionali e la realizzazione di politiche mirate in materia di tutela dei minori;

   la realizzazione di servizi per i minori rappresenta un costo ingente per gli enti locali chiamati a organizzare e gestire il sistema di protezione e cura dei bambini;

   i costi delle strutture variano tra le diverse regioni e province, sfiorando anche i centocinquanta euro al giorno per minore, cui bisogna aggiungere ulteriori oneri derivanti da problemi odontoiatrici, oculistici, specialistici in genere;

   l'ente locale è quindi soggetto a costi che, nell'arco di un anno, ammontano a oltre 50 mila euro per ogni minore, cifra che è tanto più difficile da gestire quanto maggiore è il numero di bambini nei cui confronti è disposta la forma di protezione –:

   se il Governo stia valutando di adottare iniziative per istituire un fondo strutturale dedicato, che consenta di avviare un piano nazionale di interventi per la tutela dei minori;

   se il Governo stia valutando di adottare iniziative per introdurre una forma di compartecipazione da parte dello Stato dei costi sostenuti dagli enti locali per l'affidamento dei minori a comunità di tipo familiare o istituti di assistenza.
(4-04868)


   FASSINA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   CFT, abbreviazione di Cooperativa Facchinaggio e Trasporto mercato ortofrutticolo Novoli, viene fondata nel 1974 trasformando il vecchio «gruppo» dei facchini del mercato ortofrutticolo di Firenze, nato nei primi anni del ‘900;

   oggi Cft è il punto di riferimento per la grande distribuzione in Toscana. La cooperativa è capofila di un gruppo di società controllate e partecipate che fanno di Cft una delle maggiori realtà italiane della logistica, attiva in tutto il Paese e capace di offrire servizi variegati ai massimi standard qualitativi. Il gruppo Cft dà lavoro ogni giorno a circa 5.500.persone e ha un fatturato annuo di circa 300 milioni di euro;

   il bilancio del 2016 di Cft viene approvato dall'assemblea dei soci con poche decine di migliaia di euro in negativo. Il bilancio del 2017 viene approvato con circa un milione di euro in negativo, ma durante l'assemblea viene assicurato che il debito verrà sanato con la vendita di diversi immobili;

   il 3 marzo 2017 la Cft apre una procedura di stato di crisi. Circa 100 persone lavorano per Cft presso la piattaforma logistica di Etruria Retail, sita in località Badesse del comune di Monteriggioni (Siena). Diversi di questi lavoratori erano soci-lavoratori che, all'atto dell'assunzione, si sono impegnati dapprima a versare 850 euro come soci speciali e poi, dopo diversi mesi dall'assunzione, a corrispondere un capitale sociale di 10.000 euro una volta divenuti soci ordinari;

   il 27 gennaio 2019 l'assemblea di Cft ha approvato il piano industriale di salvataggio e rilancio dell'impresa e le misure ad esso collegate per riportare in sicurezza la storica cooperativa fiorentina di logistica. Poco dopo il consiglio di amministrazione ha deciso di presentare presso il tribunale di Firenze una domanda di concordato in bianco, ai sensi dell'articolo 182-bis della legge fallimentare;

   dopo l'accoglimento da parte del tribunale e dei creditori, il 4 novembre 2019, del piano di ristrutturazione del debito, il 1° dicembre 2019 l'assemblea dei soci ha approvato il bilancio 2018 (con più di 100 milioni di euro di debito) e ha avviato la nuova governance dell'azienda. Verso la metà di dicembre 2019, Cft decide di inviare lettere ai soci, che, nel frattempo, sono diventati dipendenti di un'altra società a seguito di un cambio di appalto, in cui viene richiesta la quota sociale da 10.000 euro sottoscritta al momento dell'assunzione, o comunque la cifra non versata. Questa richiesta è difficile da ottemperare per molti di questi lavoratori, che percepiscono tra i 900 e i 1200 euro al mese e che, in alcuni casi, dovrebbero a Cft una somma pari a 9000 euro;

   alle rimostranze di sindacati e lavoratori, la cooperativa ha risposto che la richiesta delle quote sottoscritte ma non versate è un obbligo di legge previsto dal codice civile ed è una previsione contenuta nel piano di ristrutturazione aziendale omologato dal tribunale. Inoltre, nei casi di difficoltà da parte dei soci-dipendenti, potrebbe essere concessa una rateizzazione del versamento, ma la modalità di pagamento non risolve il problema –:

   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto descritto in premessa e quali iniziative intendano intraprendere, per quanto di competenza, per contribuire a salvaguardare la continuità produttiva e occupazionale, unitamente agli ex lavoratori della Cft.
(4-04874)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

XIII Commissione:


   MAGLIONE, GAGNARLI, GALLINELLA, CILLIS, CADEDDU, DEL SESTO, GALIZIA, LOVECCHIO, CIMINO, PIGNATONE, LOMBARDO, CASSESE, PARENTELA, ALBERTO MANCA e MARZANA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:

   con decreto del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali n. 17070 del 2012 è stato istituito l'Osservatorio nazionale del paesaggio rurale, delle pratiche agricole e conoscenze tradizionali e lo stesso decreto prevede che a presiedere tale organo sia il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali;

   entro il 1° marzo di ogni anno, il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e le regioni raccolgono e trasmettono all'Osservatorio i dossier di candidatura per l'inserimento nel registro, secondo una apposita modulistica pubblicata sul sito internet istituzionale del Ministero, predisposta dall'Osservatorio e concordata con tutte le regioni e provincie autonome;

   l'Osservatorio valuta a maggioranza le candidature entro il 15 settembre di ogni anno e decide se iscriverle o meno nel registro in base all'origine, al valore storico, allo stato di conservazione, alla ricchezza di diversità bio-culturale, alle qualità estetiche;

   entro il 30 settembre di ogni anno, con decreto del Ministro, sono iscritti nel registro i paesaggi rurali le pratiche agricole e le conoscenze tradizionali valutati positivamente dall'Osservatorio, nonché le cancellazioni;

   ad oggi sono in attesa di approvazione 6 dossier, ossia il paesaggio storico della Bonifica Leopoldina in Valdichiana, il paesaggio agrario di olivastri storici del Feudo di Belvedere, il paesaggio del sito di Melanico del Comune di Santa Croce di Magliano, il mosaico agricolo e campi allagati della Piana di Rieti, il paesaggio policolturale di Fibbianello del comune di Semproniano e i vigneti terrazzati del versante retico della Valtellina;

   detto riconoscimento può rappresentare un valore aggiunto per i territori interessati, sia dal punto di vista paesaggistico e di tutela, sia dal punto di vista commerciale per gli imprenditori agricoli che insistono in dette aree –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti descritti e quali iniziative intenda adottare, anche prendendo in considerazione una riunione straordinaria dell'Osservatorio, affinché si provveda ad evadere le richieste di approvazione sopra menzionate.
(5-03717)


   SPENA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:

   dopo la catastrofica annata olivicola 2018-2019 nella quale la produzione di olio di oliva è stata di sole 175 mila tonnellate, l'annata 2019-2020, a fronte di una buona prestazione produttiva (circa 330 mila tonnellate), registra un crollo dei prezzi dell'olio. A gennaio 2019 il listino prezzi dell'olio extra vergine sfuso della Camera di commercio di Bari quotava euro 6,10 al chilogrammo, a novembre euro 3,80 al chilogrammo, con un calo quasi del 50 per cento;

   l'8 novembre 2019, quando la caduta del prezzo dell'olio italiano era nota, è stato pubblicato il regolamento di esecuzione (UE) 2019/1882 della Commissione, recante apertura di gare per l'importo dell'aiuto all'ammasso privato di olio di oliva, per contenere l'immissione sul mercato di grandi quantità di olio comunitario. Ha destato preoccupazione tra gli operatori il fatto che nella premessa del regolamento è espressamente citato solo il calo dei prezzi degli oli sui mercati spagnolo, greco e portoghese;

   secondo le associazioni di settore nelle tre gare che si sono tenute tra novembre 2019 e gennaio 2020, non solo sono stati ammessi pochissimi produttori italiani, ma addirittura i prezzi di ammissione all'aiuto (per tonnellata al giorno) si sono mossi in un range tra zero e 0,88 euro per l'olio extra vergine di oliva, mentre l'olio di oliva lampante è arrivato fino a 1,10 euro;

   il meccanismo dell'ammasso prevede che la Commissione europea valuti le offerte di ammasso privato, stabilisca un prezzo massimo di acquisto e accetti le eventuali offerte al di sotto di tale prezzo. Non è dato di sapere quali siano le aziende ed i Paesi di provenienza dell'olio ammesso all'aiuto, ma il sospetto che si tratti principalmente di olio spagnolo appare abbastanza chiaro agli operatori nazionali;

   il decreto-legge «emergenze agricole» n. 27 del 2019 prevedeva diverse misure di emergenza a sostegno della liquidità delle imprese del settore oleario, che dovevano vedere attuazione tra il giugno e il luglio del 2019 e che invece non sono state ancora attuate –:

   di quali informazioni disponga il Ministro interrogato rispetto alle questioni delineate in premessa e se non ritenga opportuno richiedere misure eccezionali a livello comunitario, ad esempio ai sensi dell'articolo 219 (Misure per contrastare le turbative del mercato – cosiddetto «Ocm unica») del regolamento (UE) n. 1308/2013 che consente alla Commissione di intervenire per evitare minacce di turbativa del mercato causate da aumenti o cali significativi dei prezzi.
(5-03718)


   VIVIANI, BUBISUTTI, GASTALDI, GOLINELLI, LIUNI, LOLINI, LOSS, MANZATO e PATASSINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:

   con decreto n. 407 del 26 luglio 2019 del Sottosegretario di Stato per le politiche agricole, alimentari, forestali e il turismo, sono state adottate «Misure per la pesca dei piccoli pelagici nel Mar Mediterraneo e misure specifiche per il Mare Adriatico»;

   l'articolo 8, comma 2, del suddetto provvedimento stabilisce che «con apposito decreto ministeriale potranno essere determinati i criteri e le modalità di erogazione degli aiuti alle imprese di pesca che effettuano l'interruzione temporanea obbligatoria di cui al presente provvedimento, a valere sul Fondo Feamp 2014/2020 ai sensi dell'articolo 33 del regolamento (UE) n. 508/2014»;

   numerose imprese di pesca stanno manifestando viva preoccupazione per il tema degli indennizzi a valere sul Feamp, conseguenti alle interruzioni obbligatorie dell'attività di pesca, già effettuate nel corso del 2019 in applicazione del decreto n. 407 del 2019, in quanto, a distanza di sette mesi dall'adozione del citato decreto, questo non risulta essere ancora del tutto operativo, poiché non è stato emanato il decreto attuativo relativo a quella parte (articolo 8, comma 2) che lo rende esecutivo e che consente la distribuzione delle risorse per indennizzare i pescatori del fermo subito;

   questa inerzia aggrava la situazione dei pescatori italiani, danneggiandoli ulteriormente, a differenza di come avviene in Croazia, Paese che ha già provveduto, come ogni anno, in favore dei propri pescatori che praticano lo stesso tipo di pesca, a regolare la materia con medesime disposizioni derivanti dalle pertinenti raccomandazioni delle Commissione generale per la pesca nel Mediterraneo (Cgpm) –:

   se sia a conoscenza della situazione esposta in premessa e se intenda assumere immediate e tempestive iniziative per tutelare le imprese che praticano la pesca dei piccoli pelagici in Adriatico con i sistemi volante e circuizione e garantire l'adozione del decreto di cui in premessa che stabilisca le modalità di erogazione dell'indennizzo per l'arresto già effettuato nel 2019, atteso dalle imprese interessate.
(5-03719)


   CENNI e INCERTI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:

   la produzione di tabacco «Kentucky» per il sigaro Toscano rappresenta un settore di nicchia molto prestigioso: 235 aziende in Italia con una superficie di 1.362 ettari e un raccolto di prodotto secco di 2.339 quintali;

   il 65 per cento delle aziende che producono tabacco «Kentucky» sono concentrate in Toscana, e in particolare nella zona della Valtiberina e nei comuni di Anghiari, Sansepolcro e Monterchi;

   le aziende stanno producendo sottocosto: a fronte di un costo minimo a quintale di prodotto secco (cioè pronto per l'uso) di 800 euro, il prezzo medio di vendita per l'agricoltore è spesso inferiore a 600 euro;

   negli ultimi 10 anni si è verificato un aumento dei prezzi per i produttori e, contemporaneamente, un irrigidimento delle perizie alla consegna del prodotto che ha conseguentemente favorito una diminuzione del tabacco raccolto a ettaro di circa il 25 per cento per avere una qualità migliore;

   è quindi palese come questa situazione complessiva stia danneggiando i coltivatori di tabacco «Kentucky», che hanno spesso operato investimenti molto consistenti, mettendo a repentaglio la stessa sopravvivenza delle imprese e dei livelli occupazionali coinvolti;

   va segnalato, in questo contesto, che l'uso di prodotti chimici nel tabacco Kentucky è molto inferiore, per quantità e tossicità, a quelli usati in molte altre colture, come gli ortaggi e la frutta;

   l'azienda che produce il sigaro Toscano è la Manifatture Sigaro Toscano spa, un'impresa fortemente in attivo e che ha registrato un utile nel 2018 di 18,91 milioni di euro (nel 2017 era 17,3 milioni di euro);

   Manifatture sigaro toscano assorbe oltre il 90 per cento a valore dell'intero raccolto nazionale di Kentucky e arriva quasi al 100 per cento nel caso della foglia da «fascia»;

   nel mese di febbraio del 2019 è stato firmato un protocollo di intesa tra Manifatture sigaro toscano e il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali per l'acquisto di tabacco Kentucky destinato alla produzione dei sigari a marchio Toscano –:

   se il protocollo di intesa, citato in premessa, tra Manifatture sigaro toscano e il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali stia producendo reali effetti benefici per le imprese agricole coinvolte e quali iniziative urgenti il Governo intenda assumere, al fine di sostenere la redditività delle aziende italiane che producono tabacco «Kentucky».
(5-03720)

POLITICHE GIOVANILI E SPORT

Interrogazioni a risposta immediata:


   GADDA, FREGOLENT, NOBILI, D'ALESSANDRO, MORETTO e TOCCAFONDI. — Al Ministro per le politiche giovanili e lo sport. — Per sapere – premesso che:

   le misure adottate con il decreto-legge n. 6 del 2020 per contrastare la diffusione del Covid-19 appaiono appropriate ad un'emergenza sanitaria che richiede il massimo sforzo da parte di operatori, cittadini e delle istituzioni nazionali, regionali e locali;

   le disposizioni attuative previste dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 1° marzo 2020 hanno specificato le misure da adottarsi nei territori coinvolti e le attività sottoposte a regime autorizzatorio, tra le quali figurano le attività sportive professionistiche, dilettantistiche ed amatoriali;

   con avviso dell'Ufficio sport della Presidenza del Consiglio dei ministri del 2 marzo 2020, si precisa che è fatto salvo «lo svolgimento dei predetti eventi e competizioni e delle sedute di allenamento degli atleti tesserati agonisti»;

   tale definizione rischia di ingenerare differenti interpretazioni a causa del richiamo alla qualifica di «atleta agonista», che, come noto, cambia a seconda della disciplina sportiva, dell'età dell'atleta, dell'organismo affiliante, quindi delle federazioni e degli enti di promozione sportiva coinvolti. Nel regolamento di questi ultimi, inoltre, è previsto che gli atleti svolgano attività non agonistica ma con modalità competitive. Senza contare il richiamo all'ambito in cui opera la sospensione che attiene «allo sport di base e all'attività motoria in genere». Si tratta anche in questo caso di definizione di difficile interpretazione rispetto all'utilizzo degli impianti sportivi riconosciuti dalle federazioni sportive nazionali, dalle discipline sportive associate e dagli enti di promozione sportiva;

   secondo dati Coni, i tesserati delle federazioni sportive sarebbero 4 milioni e 703 mila atleti, ai quali si aggiungono circa il doppio dei tesserati agli enti di promozione sportiva, oltre alle migliaia di basi associative informali e praticanti amatoriali; gli operatori sportivi sono oltre 1 milione e le società sportive affiliate risultano essere 63.517;

   lo sport praticato a ogni livello rappresenta un importante veicolo di inclusione sociale e benessere delle persone coinvolte; il radicamento e la capillarità di tali attività sul territorio nazionale evidenziano, altresì, come lo sport abbia una incidenza sul fronte occupazionale, sull'economia e sul turismo legato agli eventi sportivi;

   le suddette misure di contenimento hanno ripercussioni economiche sulle attività che prevedono abbonamenti o iscrizioni giornaliere, come nel comparto del fitness e del benessere –:

   quali iniziative di competenza intenda adottare, a fronte della necessità di tutelare la salute dei cittadini, per chiarire le incertezze interpretative che ancora sussistono e per rilanciare l'attività sportiva praticata ad ogni livello, a partire dalla promozione di grandi eventi, e quali siano le misure di sostegno all'occupazione e alla sostenibilità economica delle attività connesse allo sport costrette alla temporanea cessazione.
(3-01349)


   LOLLOBRIGIDA, MELONI, ACQUAROLI, BALDINI, BELLUCCI, BIGNAMI, BUCALO, BUTTI, CAIATA, CARETTA, CIABURRO, CIRIELLI, LUCA DE CARLO, DEIDDA, DELMASTRO DELLE VEDOVE, DONZELLI, FERRO, FOTI, FRASSINETTI, GALANTINO, GEMMATO, LUCASELLI, MANTOVANI, MASCHIO, MOLLICONE, MONTARULI, OSNATO, PRISCO, RAMPELLI, RIZZETTO, ROTELLI, SILVESTRONI, TRANCASSINI, VARCHI e ZUCCONI. — Al Ministro per le politiche giovanili e lo sport. — Per sapere – premesso che:

   i dati relativi alla criminalità minorile in Italia, segnatamente in alcune aree del Paese, confermano uno scenario complesso su cui appare prioritario richiamare l'attenzione delle istituzioni, nella prospettiva di individuare soluzioni percorribili atte al contenimento del fenomeno e all'integrazione e al coinvolgimento dei minori a rischio;

   l'evento di cronaca che ha interessato la città di Napoli il 1° marzo 2020, con la morte di un quindicenne che nel tentativo di rapina in pieno centro è stato colpito a morte dalla vittima, un carabiniere in borghese nel tentativo di difendersi, rappresenta la conferma di una piaga sociale, in particolar modo nelle aree dove maggiore è l'incidenza della criminalità organizzata e dove si registra spesso una mancanza di indirizzo socio-educativo da parte delle famiglie, legate esse stesse ad un contesto di criminalità;

   stando ai dati Istat contenuti nel «Report giustizia criminalità e sicurezza», nel 2018 sono stati seguiti dagli uffici di servizio sociale per i minorenni oltre ventunomila soggetti e la prima causa di denuncia per i minori continua a essere il reato di furto, in secondo luogo i delitti legati all'uso e allo spaccio di stupefacenti;

   secondo l'Osservatorio nazionale sull'adolescenza, il 6-7 per cento dei giovani con un'età inferiore ai 18 anni vive esperienze di criminalità di gruppo, cosiddetto fenomeno delle «baby gang», mentre il Quinto rapporto di Antigone sugli istituti penali per i minorenni segnala l'elevato numero di minori segnalati per associazione mafiosa, aumentati nel 2018 del 93,8 per cento rispetto al 2014;

   appare evidente che il numero maggiore di delitti compiuti da minori si colloca nelle aree con significativa presenza di criminalità organizzata, dove si registra un'inevitabile tendenza all'emulazione sociale in ragione dell'inesistenza di modelli alternativi di riferimento per i giovani, che si ritrovano in un contesto di illegalità e di delinquenza in cui risultano assenti riferimenti di socialità e di integrazione e dove le istituzioni, a partire dalla scuola, che dovrebbero svolgere un ruolo preponderante, non detengono adeguati strumenti di controllo, condivisione e coinvolgimento –:

   se non ritenga di intraprendere adeguate iniziative di competenza tese al monitoraggio del disagio tra i minori e quali interventi educativi e formativi integrati si intendano assumere nella prospettiva di implementare la collaborazione tra scuola, servizi di assistenza e famiglie dei minori a rischio.
(3-01350)


   FUSACCHIA. — Al Ministro per le politiche giovanili e lo sport. — Per sapere – premesso che:

   il servizio civile è un pilastro essenziale per costruire una cittadinanza consapevole, dal momento che, come dichiarato dallo stesso Dipartimento per le politiche giovanili e il servizio civile universale in data 5 settembre 2019, è «uno strumento di pace e di integrazione, una forma di aiuto a chi vive in disagio o ha minori opportunità, un atto di amore e di solidarietà verso gli altri, una occasione di confronto con altre culture, una risorsa per il Paese, una esperienza utile per avvicinarsi al mondo del lavoro»;

   con il decreto legislativo n. 40 del 2017 il servizio civile da nazionale è diventato universale, con l'obiettivo di renderlo un'esperienza aperta a tutti i giovani che desiderano svolgerlo;

   l'impatto reale del servizio civile per i giovani e per il Paese dipendono dalla disponibilità di fondi che consentono di farne uno strumento reale che non resti sulla carta;

   in data 24 febbraio 2020 il Forum del terzo settore ha ricordato come «il fondo nazionale resta a 140 milioni di euro di effettiva disponibilità, sufficienti per un contingente di soli 20.000 posti»;

   a quanto si apprende da notizie di stampa non risulterebbero assegnati al servizio civile universale i 70 milioni di euro aggiuntivi provenienti dal «Fondo per l'attuazione del Piano nazionale per la riqualificazione sociale e culturale delle aree urbane degradate» del bilancio della Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento per le parti opportunità – (atto Camera n. 2090), grazie al quale ulteriori 13 mila ragazze e ragazzi potrebbero partecipare al programma –:

   come intenda garantire, per quanto di competenza, un adeguato finanziamento del servizio civile capace di portare ad un costante, progressivo e significativo ampliamento della platea dei giovani interessati al programma.
(3-01351)

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


   MINARDO. — Al Ministro per la pubblica amministrazione, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   ancora oggi persistono gravissimi ritardi nei pagamenti alle imprese da parte della pubblica amministrazione, il cui debito in Italia ha registrato un trend che nel confronto internazionale rimane tra i più elevati nell'Unione europea;

   secondo l'ultimo aggiornamento del Ministero dell'economia e delle finanze, nel 2018 la piattaforma dedicata ai pagamenti della pubblica amministrazione ha registrato che i tempi medi ponderati necessari per saldare, in tutto o in parte, le fatture sono pari a 54 giorni, a cui corrisponde un ritardo medio di 7 giorni sulla scadenza delle fatture stesse;

   si è in presenza di una situazione di assoluta gravità: i ritardi permangono ben oltre i limiti imposti dalle leggi nazionali ed europee;

   è indubbio che tale contesto strozza l'economia, costringendo molte aziende, di ogni settore, a tensioni finanziarie e crisi di liquidità spesso intollerabili e insostenibili;

   stante la vigente normativa, le pubbliche amministrazioni sono tenute a pagare le fatture entro 30 giorni dalla data del ricevimento, ad eccezione degli enti del servizio sanitario nazionale, per i quali il termine massimo di pagamento è fissato in 60 giorni;

   il rispetto delle predette scadenze è un fattore di cruciale importanza per il buon funzionamento dell'economia nazionale e rientra nel rispetto delle direttive europee in materia di pagamenti dei debiti commerciali, su cui la Commissione europea effettua un puntuale e rigoroso controllo –:

   quali elementi si intendano fornire su quanto descritto in premessa in merito ai ritardi nei pagamenti e quali iniziative, per quanto di competenza, i Ministri interrogati intendano assumere al riguardo.
(4-04864)

SALUTE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   NOVELLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   da settimane la comunità internazionale, e di conseguenza anche il nostro Paese, stanno cercando di fronteggiare la gravissima diffusione dell'epidemia da coronavirus (Covid-19);

   nel nostro Paese gli ultimi dati parlano di 34 morti e 1.694 contagi e, in questi ultimi giorni, si sta purtroppo assistendo a una accelerazione nel numero di nuovi casi;

   a provare a contrastare questa vera e propria emergenza sanitaria sono in prima linea tutti gli ospedali e i presìdi sanitari che operano sul territorio e chiaramente i medici e il personale sanitario;

   si tratta di una condizione, quella del personale medico e sanitario, aggravata ulteriormente dalla situazione critica in cui versa la sanità, oggetto da troppi anni di tagli e da una gravissima carenza di personale;

   diversi sindacati di medici, avevano da tempo messo in allerta sulla carenza e sull'inadeguatezza delle strutture sanitarie;

   il report del Global health security (GHS) 2019, sulla capacità per un Paese di affrontare un'eventuale pandemia sul proprio territorio, colloca l'Italia diciottesima in Europa (su 28 membri) e 31esima nel mondo. Se poi si guarda più nello specifico alla capacità di risposta del sistema sanitario nazionale a un'epidemia, in questo caso l'Italia deve accontentarsi del cinquantaquattresimo posto (e all'interno di questa macro-categoria il fanalino di coda è rappresentato dall'accesso alle cure sanitarie in questa situazione, per cui l'Italia è addirittura 74esima nel mondo);

   nel nostro Paese sono disponibili poco più di cinquemila posti letto per la terapia intensiva e circa il 10 per cento dei pazienti colpiti da Covid-19 necessita proprio di questo tipo di assistenza. Il rischio di «saturazione» è di conseguenza molto alto ed è quindi probabile andare a saturare questi reparti degli ospedali, come del resto già denunciato dalla regione Lombardia, dove si sta vivendo la situazione più critica –:

   quali iniziative urgenti si intendano adottare al fine di implementare le sale di terapia intensiva e di provare a far fronte al probabile aumento dei soggetti che necessitano di questo tipo di assistenza.
(5-03712)


   GADDA. — Al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:

   l'Italia è tra i Paesi europei a più rapida crescita della domanda di prodotti fitocannabinoidi per il trattamento di patologie gravi e debilitanti. Il fabbisogno stimato dall’International Narcotic Control Board per usi terapeutici e di ricerca è passato dai 40 chilogrammi del 2013 ai 1.950 chilogrammi del 2020 e ci si attende che raggiungerà le 4 tonnellate nel 2025;

   le associazioni dei pazienti, gli operatori sanitari, i farmacisti e diverse regioni denunciano da tempo la scarsa disponibilità dei prodotti fitocannabinoidi presso le farmacie autorizzate, la discontinuità della distribuzione e le forti differenze territoriali. Questa situazione crea un grave impatto sulla continuità dei trattamenti e, talvolta, spinge purtroppo i pazienti e le loro famiglie a rivolgersi ai mercati illegali mossi dalla disperazione;

   il 31 ottobre 2019 nello svolgimento delle interrogazioni a risposta immediata in Commissioni, il Sottosegretario per la salute ha espresso l'intenzione del dicastero di incrementare la produzione nazionale di infiorescenze di cannabis, ora limitata a circa 150 chilogrammi, identificando il ruolo sempre più centrale dello Stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze;

   la scarsità di risorse finanziarie e le lunghe tempistiche per lo sviluppo del progetto potrebbero essere incompatibili con le esigenze di copertura del fabbisogno. Inoltre, la presenza di un sistema centralizzato impedisce il rilascio in consumo di una gamma di prodotti in grado di tenere conto di tutte le esigenze terapeutiche;

   per sopperire alle carenze nella produzione nazionale, attualmente la quasi totalità dei prodotti terapeutici a base di cannabis proviene dall'estero tramite un accordo con il Ministero della salute olandese e mediante bandi periodici per l'acquisto di ulteriori quantitativi, al fine di rispondere al fabbisogno complessivo;

   il sistema dei bandi per l'importazione ha dimostrato in più occasioni limiti e inefficienze, da ultimo nel giugno 2019 quando si è assistito al ritiro di un ordinativo di prodotto già assegnato. L'Agenzia industrie difesa ha dichiarato di aver annullato il lotto a causa della sopravvenuta irrilevanza, nel quadro del fabbisogno nazionale, di una tipologia di cannabis non ritenuta necessaria. Da più parti è stata denunciata l'impostazione in vigore secondo la quale il prezzo è ad oggi il principale criterio per l'aggiudicazione del bando, con un impatto diretto sulla qualità del prodotto;

   a seguito del diffondersi di un crescente accordo della comunità scientifica sull'impiego terapeutico della cannabis e della conseguente elevata crescita della domanda da parte di medici e pazienti, i principali Paesi europei stanno andando in una direzione diversa da quella fin qui percorsa dal nostro Paese, sviluppando sistemi di produzione, trasformazione e distribuzione dei prodotti fitocannabinoidi basati sulla concessione di licenze –:

   quali iniziative di competenza intenda adottare, in ottemperanza alla normativa esistente, per superare la criticità dell'attuale sistema di produzione, distribuzione e importazione della cannabis terapeutica, al fine di soddisfare le esigenze di tutti i malati che ne abbiano fatto richiesta a ampliare la gamma di prodotti reperibili sul mercato sulla base delle specifiche esigenze;

   se il Governo intenda, adottare iniziative per introdurre un sistema di accreditamento volto a conferire licenze di importazione, produzione e distribuzione dei prodotti fitocannabinoidi, come adottato in altri importanti Paesi europei.
(5-03713)

Interrogazioni a risposta scritta:


   TARTAGLIONE. — Al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:

   nella provincia di Isernia, la maggior parte degli allevamenti zootecnici pratica il pascolamento sia in montagna sia nelle aree di collina, contribuendo a preservare la biodiversità di questi territori, peraltro classificati in più aree come aree Natura 2000 e aree ad alto valore naturalistico;

   il settore zootecnico rappresenta un valore fondamentale per la vitalità delle aree rurali molisane e, in particolare, di quelle interne. Negli scorsi mesi i servizi veterinari molisani hanno riscontrato casi di brucellosi negli allevamenti ai pascoli legati all'ingresso in regione di animali infetti provenienti da alcune regioni limitrofe;

   si è dovuto procedere con la misura drastica dell'abbattimento, al fine di contenere la diffusione nella stessa regione e in regioni confinanti;

   i focolai di infezione sono dovuti a una gravissima mancanza dei servizi veterinari delle regioni di provenienza degli animali infetti, che non hanno provveduto in modo efficace e adeguato al monitoraggio e all'attuazione delle misure di profilassi che sono obbligatorie da diversi anni nel nostro Paese;

   ancora più grave è il fatto che sia stato autorizzato lo spostamento di animali infetti. L'inaspettata presenza di casi di brucellosi nella regione Molise sta causando gravissimi danni al settore zootecnico e, in particolare, al suo potenziale produttivo. Gli allevamenti dove sono stati riscontrati casi di brucellosi stanno cessando l'attività, in quanto si trovano nell'impossibilità di rimpiazzare gli animali abbattuti;

   è ben noto che, quando un allevamento chiude, in particolare nelle aree di montagna, non viene sostituito da nuove attività con rischi enormi soprattutto per l'ambiente e la biodiversità. La situazione è ancor più grave, in quanto si avvicina la stagione del pascolamento estivo. In presenza di focolai nelle zone colpite non sarà possibile autorizzare il pascolamento e non sarà possibile la movimentazione degli animali, con conseguente ulteriore danno;

   occorrono misure urgenti e risorse finanziarie che consentano, agli allevatori, di ripristinare il potenziale produttivo e, alla regione, di far fronte a una condizione che necessita monitoraggi e profilassi intensificati e su tutti gli allevamenti –:

   quali iniziative urgenti si intendano adottare, nell'ambito delle proprie competenze, per dare soluzione alla situazione di cui in premessa e per rendere disponibili per gli allevatori risorse finanziarie per riacquistare i capi di bestiame che sono e saranno abbattuti, al fine di ripristinare il potenziale produttivo aziendale.
(4-04862)


   SASSO. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   è stato confermato anche dalle competenti autorità sanitarie il primo caso di infezione da Covid-19 nella regione Puglia, e, in particolare, tratterebbe di un giovane residente a Torricella, in provincia di Taranto, risultato positivo al tampone per la ricerca del virus;

   secondo a stampa, il giovane sarebbe rientrato a Torricella da Codogno, zona focolaio del virus in Lombardia, con un volo aereo dall'aeroporto di Malpensa a Brindisi il 24 febbraio 2020;

   poco dopo il suo rientro e al manifestarsi dei primi sintomi riconducibili al virus, l'uomo sarebbe stato quindi trasferito, su indicazione delle autorità sanitarie, a Taranto all'ospedale San Giuseppe Moscati, nel reparto malattie infettive, dove, dopo una serie di test ed analisi effettuate dal Policlinico di Bari, è risultato positivo al Covid-19;

   tutte le procedure sono state rispettate e attualmente il pronto soccorso di Moscati è chiuso al pubblico, i medici dell'ospedale di Taranto e il paziente sarebbero in isolamento, mentre fonti dell'Asl di Taranto hanno precisato che alcuni parenti dell'uomo, anch'essi in isolamento, sono stati sottoposti a controlli e si è ancora in attesa dei risultati delle loro analisi;

   a fornire ulteriori dettagli sulla vicenda vi sarebbe un post pubblicato sul proprio profilo Facebook dal consigliere regionale, nonché medico di Torricella, Peppe Turco, il quale riferisce di essere stato, assieme al sindaco, allertato immediatamente dall'uomo del suo rientro da Codogno, di avergli detto di stare in isolamento con i familiari che avevano avuto contatti con lui e di avvertirlo se fossero sorti sintomi della malattia;

   l'uomo avrebbe soggiornato a Codogno dal 19 febbraio e sarebbe rientrato in Puglia il 24, poiché «Da Codogno lo hanno tranquillizzato a ripartire per Torricella, rispettando la quarantena», sebbene sia notorio a tutti l'assoluto divieto per chiunque a lasciare Codogno già a partire dal 23 febbraio;

   difatti, in attuazione del decreto-legge n. 6 del 2020 recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da Covid-19, è stato emanato un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri con cui, all'articolo 1, comma 1, veniva disposto a partire dal 23 febbraio il divieto di allontanamento di chiunque dai comuni all'allegato 1, tra i quali è appunto ricompreso quello di Codogno;

   ai sensi dell'articolo 4 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 23 febbraio 2020 l'esecuzione delle misure previste è demandata al prefetto territorialmente competente;

   a quanto si apprende, l'uomo sarebbe stato autorizzato a lasciare Codogno il giorno successivo all'entrata in vigore delle disposizioni di cui al sopra citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, ossia il 24 febbraio, e, pertanto, se ciò fosse vero, tutto ciò sarebbe avvenuto chiaramente in violazione di legge e senza alcun riguardo del più elementare senso civico e di rispetto della comunità;

   nonostante l'uomo per rientrare abbia utilizzato diversi mezzi di trasporto, tra cui un volo aereo, e sia potuto pertanto venire a contatto potenzialmente con moltissime persone, il Presidente della regione ha assicurato che «Tutte le persone con le quali il soggetto è stato in contatto dopo il soggiorno a Codogno verranno sottoposte a tampone e poste in quarantena nelle prossime ore secondo i protocolli previsti» –:

   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa; in particolare, se corrisponda al vero che l'uomo sia stato autorizzato a lasciare il comune di Codogno in vigenza del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 23 febbraio 2020 e, in tal caso, come sia stato possibile il suo allontanamento da tale zona; alla luce comunque di quanto accaduto, quali iniziative intendano assumere, per quanto di competenza, a tale riguardo.
(4-04871)


   TIRAMANI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   la diffusione dell'epidemia da coronavirus (Covid-19) è, ormai, stabilmente al centro delle cronache delle ultime settimane; nel momento in cui si scrive si contano 42 decessi e circa 1.700 contagi solamente nel nostro Paese;

   a poche ore dai primi casi accertati, nonostante il contesto di grande preoccupazione, un medico piemontese di Vercelli, già direttore del pronto soccorso dell'ospedale Sant'Andrea, ha ritenuto di condividere sul proprio profilo twitter il post che si riporta letteralmente di seguito: «c'è qualcosa di sottilmente ironico nel fatto che mentre si vomitava bile sulle malattie portate dallo sporco povero, il gretto migrante, il barcone affollato, il #coronavirus viaggiava in business con i manager padani»;

   si ritiene inaccettabile che un primario di pronto soccorso faccia ironia e sciacallaggio politico nel pieno di un'epidemia che sta mettendo a dura prova il servizio sanitario nazionale;

   non meno grave è il fatto che la «battuta» di cui si discute è stata condivisa nelle more degli accertamenti sanitari finalizzati all'individuazione del «paziente zero», additandosi superficialmente come responsabile della diffusione del virus un manager lombardo che, poi, si è scoperto essere totalmente estraneo al focolaio lodigiano;

   il post è, dunque, per l'interrogante inaccettabile in considerazione del ruolo ricoperto dal medico e pure inesatto in punto di fatto, in quanto fondato su una supposizione smentita dall'esito degli accertamenti diagnostici –:

   quale sia la posizione del Ministro, per quanto di competenza, in relazione alla vicenda esposta in premessa;

   se, nei confronti del medico che ha condiviso il post citato in premessa, risulti siano stati attivati procedimenti disciplinari e, in caso di risposta affermativa, se siano stati adottati, nello specifico, provvedimenti sanzionatori.
(4-04878)

SUD E COESIONE TERRITORIALE

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro per il sud e la coesione territoriale, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:

   nei giorni scorsi il Ministro per il sud, unitamente al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro dell'istruzione, ha annunciato in conferenza stampa a Gioia Tauro il prossimo avvio di un piano strategico per il Sud che si pone come obiettivo quello di ridurre il divario tra cittadino e territorio per avviarne uno sviluppo forte e durevole mediante l'utilizzo dei fondi strutturali e dei fondi di sviluppo e coesione con una previsione di investimenti di oltre 100 miliardi di euro;

   secondo la fonte autorevole della Banca d'Italia, infatti, un incremento degli investimenti pubblici nel Mezzogiorno pari all'1 per cento del suo prodotto interno lordo per un decennio, determinerebbe un forte effetto espansivo per l'intera economia italiana, mentre si deve rilevare che dal 2008 al 2018 gli stessi risultano addirittura dimezzati con una crescita esponenziale della disoccupazione ed una elevata percentuale di emigrazione giovanile;

   in Calabria, in particolare, si registra una differente situazione tra i due versanti tirrenico e jonico. Infatti, mentre la dorsale tirrenica è servita dall'Autostrada A2, da una ferrovia elettrificata con doppio binario e da ben due aeroporti nonché da un porto commerciale come quello di Gioia Tauro, la dorsale jonica versa in una situazione drammatica, in quanto la strada statale 106 è estremamente insicura e con un elevato tasso di incidentalità tanto da meritarsi l'appellativo di «strada della morte» e attraversa tutti i centri abitati costieri, rallentando notevolmente il traffico soprattutto nei periodi estivi, oltre a costituire un serio pericolo per gli abitanti degli stessi centri; la linea ferroviaria a unico binario è elettrificata soltanto fino a Sibari e sulla stessa viaggiano pochi treni regionali perennemente in ritardo e solo una coppia di intercity da Reggio Calabria a Taranto; i porti di Crotone e Corigliano non sono adeguatamente valorizzati, nonostante ricadano nella competenza dell'autorità portuale di Gioia Tauro, tuttora commissariata, e siano decorsi diversi anni dall'istituzione della stessa; l'aeroporto S. Anna di Crotone, il primo aeroporto a essere realizzato in Calabria, funziona a scartamento ridotto, nonostante il riconoscimento della continuità territoriale, ed è privo di collegamenti da e per le altre zone che potrebbe servire;

   in particolare, va evidenziato che tutta la programmazione di nuove infrastrutture nell'area jonica sembra quasi essere stata effettuata per convogliare lo spostamento del traffico aereo, stradale e ferroviario verso l'area tirrenica, cosicché si rischia un isolamento totale assolutamente ingiustificato che penalizza gli abitanti dei luoghi e impedisce ogni sviluppo economico con il rischio sempre più concreto di uno spopolamento della zona nonostante le potenzialità di questo bellissimo territorio ricco di bellezze naturali e artistiche, ricco di una storia millenaria, di tesori archeologici e di vestigia storiche, ricco di una produzione agricola e vinicola eccellente, ricco di piccole imprese di natura artigianale, ma condannato a impoverirsi sempre di più per la mancanza di infrastrutture adeguate;

   per la zona jonica della Calabria, pertanto, assume particolare rilevanza l'annunciato piano per il Sud che prevede, tra l'altro un impegno del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti per oltre 33 miliardi di euro, nell'alveo del quale promuovere la realizzazione e il completamento di opere in ambito ferroviario, stradale, idrico ed edilizio, al fine di spezzare l'isolamento delle aree e dei cittadini in condizioni di bisogno, ma anche per porre le basi al fine di rilanciare l'economia dell'intero territorio;

   fra le opere indicate quali destinatarie degli interventi vi sono esclusivamente la strada statale 106 jonica e la linea alta velocità Salerno/Reggio Calabria;

   attualmente sulla strada statale 106 stanno per partire i lavori di realizzazione del terzo megalotto da Roseto Capo Spulico a Sibari e, recentemente, è stata finanziata la progettazione della variante tra Crotone e Simeri, mentre il restante percorso continua a essere pensato in termini di adeguamento e messa in sicurezza dell'esistente con scarse garanzie di sicurezza –:

   se intendano, nell'ambito delle proprie competenze, adottare iniziative per promuovere una sostanziale parità infrastrutturale tra i due versanti calabresi e porre l'intera regione nelle condizioni di aspirare, nell'ottica del piano per il Sud, al raggiungimento della inclusione e della connessione con il resto della nazione e al rilancio e allo sviluppo dell'economia;

   se non si intenda rivedere completamente la progettazione della strada statale 106, nella sua interezza da Sibari a Reggio Calabria, non più nella prospettiva di semplice messa in sicurezza e/o di adeguamento, ma di realizzazione di una nuova strada sicura realizzata secondo gli standard europei, una strada di categoria b), a doppia carreggiata e due corsie per senso di marcia, così come verrà realizzato il terzo megalotto da Roseto Capo Spulico a Sibari e come dovrebbe essere realizzata la progettazione da Crotone a Simeri;

   se non intendano adottare iniziative, per quanto di competenza, per prevedere, oltre alla linea alta velocità Salerno/Reggio Calabria, adeguati interventi infrastrutturali su tutta la linea ferroviaria jonica, promuovendo in tempi celeri la conclusione dei lavori di elettrificazione attualmente in corso tra Sibari e Catanzaro Lido e privilegiando, prioritariamente, la realizzazione dell'elettrificazione e di ogni altro intervento per l'intero percorso fino a Reggio Calabria.
(2-00659) «Barbuto, Villani, Nappi, Scutellà».

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CATTANEO e PORCHIETTO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   l'articolo 13-bis del decreto-legge n. 101 del 2019, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 128 del 2019 modifica il sistema sanzionatorio previsto dall'articolo 42 del decreto legislativo n. 48 del 2011 (Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE), in materia di incentivi nel settore elettrico e termico, erogati dal Gestore dei servizi energetici (Gse);

   con le nuove norme, a seguito di accertamento di una violazione rilevante, il Gse può decurtare l'incentivo in misura ricompresa fra il 10 e il 50 per cento (mentre precedentemente la decurtazione poteva essere disposta in misura ricompresa fra il 20 e l'80 per cento), con riduzione della metà (invece che di un terzo) in caso di violazioni spontaneamente denunciate dal soggetto responsabile, al di fuori di un procedimento di verifica e controllo. Si prevede, inoltre, che la minore sanzione si applica agli impianti in esercizio, oggetto di procedimenti amministrativi o giurisdizionali in corso;

   inoltre, agli impianti di potenza compresa tra 1 e 3 kw nei quali, a seguito di verifica, risultino installati moduli non certificati o con certificazioni non rispondenti alla normativa di riferimento, si applica una decurtazione del 10 per cento della tariffa incentivante (in luogo del precedente 30 per cento) sin dalla data di decorrenza della convenzione;

   la riforma del sistema sanzionatorio, entrata in vigore il 3 novembre 2019, tuttavia non e ancora stata attuata in quanto il Gse non ha, a tutt'oggi, reso note le procedure per la presentazione dell'istanza di revisione delle sanzioni applicate a carico delle tariffe incentivanti;

   sono oltre 50.000 gli impianti interessati da questa incertezza normativa che sta provocando rilevanti ripercussioni economiche agli operatori che hanno presentato istanza ai sensi della normativa previgente;

   il 30 gennaio 2020 alcune associazioni di produttori di energia elettrica da impianti fotovoltaici hanno scritto una lettera al Ministro interrogato per chiarire che «...la logica del taglio delle tariffe come unica tipologia di sanzione appare sbagliata (...) e che si auspica un drastico cambiamento di rotta per il futuro (...) l'applicazione delle sanzioni dovrebbe seguire una logica di salvaguardia della produzione di energia da fonti rinnovabili, anche in virtù degli obiettivi comunitari esplicitati dal Pniec (...). Tale logica dovrebbe portare a impostare le sanzioni con decurtazioni massime del 10 per cento fatto salvo i casi accertati nei quali è in corso un procedimento penale, in modo da ridurre il rischio di perdite, parziali o totali, delle produzioni energetiche degli impianti fotovoltaici...»;

   per le citate associazioni, qualsiasi taglio delle tariffe, anche minimo, si traduce in seri problemi di sostenibilità finanziaria delle aziende di riferimento, con inevitabili difficoltà a garantire la continuità della manutenzione degli impianti stessi e quindi la loro operatività –:

   se non ritenga opportuno adottare le iniziative di competenza affinché il Gestore dei servizi energetici definisca le istruzioni e la modulistica applicative delle disposizioni dell'articolo 13-bis del decreto-legge n. 101 del 2019, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 128 del 2019;

   se si intendano adottare le iniziative di competenza per chiarire se alle istanze di revisione delle sanzioni presentate ai sensi dell'articolo 42 del decreto legislativo n. 48 del 2011 previgente si applichino automaticamente le nuove disposizioni o se invece debba essere proposta nuova istanza;

   se non ritenga opportuno adottare iniziative per rivedere il sistema sanzionatorio sopra citato secondo modalità che non incidano sulla tariffa incentivante, in considerazione del fatto che la sua riduzione percentuale, applicata per tutta la durata del periodo incentivato, comporta problemi di sostenibilità degli investimenti effettuati.
(5-03740)

Interrogazioni a risposta scritta:


   FASSINA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   Vibac Group è un'azienda multinazionale produttrice di pellicole e nastri adesivi. Ha cinque impianti operativi in Italia e a gennaio 2020 la proprietà ha ufficializzato con una lettera la volontà di chiudere lo stabilimento di Mercatale a Vinci, mettendo a rischio 120 posti di lavoro;

   si tratta di un annuncio che arriva dopo l'accordo sul rilancio dell'azienda dello scorso anno e l'investimento da oltre due milioni di euro per l'acquisto di una nuova linea produttiva. Anche nove anni fa, infatti, l'azienda (allora Syrom) rischiò la chiusura, scongiurata grazie all'intervento del gruppo leader nel settore del packaging adesivo con altri quattro stabilimenti in Italia (ad Alessandria, Termoli, L'Aquila e Potenza), uno acquisito recentemente in Serbia, due in Canada e uno in Sud Africa;

   il 23 gennaio 2020 lavoratori hanno trovato i cancelli chiusi, produzione cessata e messa in mobilità di 120 persone;

   i lavoratori e le loro famiglie, insieme alle organizzazioni sindacali e all'intera comunità coinvolta, si stanno battendo da settimane per impedire la chiusura;

   i lavoratori e i sindacati avevano avuto sentori di problemi leggendo i bilanci e, infatti, l'8 gennaio avevano chiesto un incontro all'azienda. Risulta all'interrogante che da parte aziendale, non solo, non vi è stata alcuna risposta alla richiesta di incontro dei sindacati, ma è stata inviata la lettera di licenziamento collettivo per i 120 lavoratori dello stabilimento di Vinci, nella quale si specifica la volontà di non percorrere nessuna strada verso ammortizzatori sociali o organizzativi per scongiurarne la chiusura. Un atto unilaterale che, ad avviso dell'interrogante, calpesta la dignità dei lavoratori;

   da fonti di stampa si apprende che l'azienda avrebbe deciso di delocalizzare la produzione di Vinci nello stabilimento serbo, su cui sarebbero stati effettuati recenti investimenti. Se queste notizie fossero confermate, saremmo di fronte all'ennesimo caso di delocalizzazione produttiva per fini di riduzione di costo del lavoro e di messa in competizione di lavoratori della stessa multinazionale dei vari stabilimenti;

   quanto sta avvenendo alla Vibac di Vinci è l'ennesima dimostrazione della necessità che il nostro Paese si doti di una efficace politica industriale, di un sistema che valorizzi le relazioni sindacali di qualità e di misure di protezione sociale che non lascino soli i lavoratori a fronte di scelte aziendali unilaterali –:

   se non ritengano di dover convocare con urgenza un tavolo di crisi per la Vibac di Vinci e quali iniziative intendano intraprendere affinché vengano garantiti i livelli occupazionali dell'azienda.
(4-04858)


   BIGNAMI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   nell'anno appena concluso in Italia si sono consumati poco più di 73,8 miliardi di metri cubi di gas naturale, 1,6 miliardi in più rispetto al 2018 e, sebbene con alcune oscillazioni, il trend generale del consumo di gas naturale nel nostro Paese, a partire dal 2014, è in costante aumento;

   nel 2019 la produzione di gas nazionale è stata di circa 5 miliardi di Smc (standard metri cubi) ovvero circa il 7 per cento del consumo;

   le riserve di gas naturale producibili nel sottosuolo del nostro Paese ammontano, ad oggi, ancora a circa 48 miliardi di standard metri cubi (dati del Ministero dello sviluppo economico), numero che viene costantemente aggiornato e rivalutato di anno in anno in seguito al rimpiazzo delle riserve prodotte con quelle nuove che vengono «scoperte» grazie a metodi di indagine più avanzati e alla maggiore conoscenza che si matura sui giacimenti;

   nei prossimi anni in Italia crescerà il contributo delle energie rinnovabili, ma nel 2030, anche secondo l'ambizioso piano energetico italiano, l'Italia consumerà ancora molto gas e petrolio, quasi tutto importato dall'estero;

   a seguito dei provvedimenti assunti da questo Governo e dal precedente potrebbe, a parere dell'interrogante, registrarsi un progressivo disimpegno delle compagnie petrolifere nei confronti dell'Italia. Su questo potrebbe aver inciso l'aumento dei canoni di concessione petrolifere, del mese di dicembre 2019. Il decreto firmato dal Ministro dello sviluppo economico Stefano Patuanelli e dal Ministro dell'economia e delle finanze Roberto Gualtieri rivede le «modalità di versamento delle maggiorazioni dei canoni annui per le concessioni di coltivazioni e stoccaggio nella terraferma, nel mare territoriale e nella piattaforma continentale italiana». In totale il Bollettino ufficiale degli idrocarburi e delle georisorse (Buig) dà conto di 45 decreti ministeriali di riduzioni delle aree di concessione di coltivazione di idrocarburi sia onshore sia offshore, tutti firmati dal direttore generale del Ministero dello sviluppo economico;

   è notizia di questi giorni lo slittamento al febbraio del 2021 del Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee (Pitesai), ovvero il piano che il Ministero dello sviluppo economico deve mettere a punto per indicare dove si potrà continuare ad esplorare ed estrarre idrocarburi, di conseguenza, congelando ancora l'attività e gli investimenti connessi alla ricerca e alla produzione di idrocarburi;

   la proposta di modifica prevede anche che, nelle aree che risulteranno incompatibili, il Ministero dello sviluppo economico avvierà i procedimenti di revoca dei permessi. Già esisteva una norma varata dal precedente Governo che aveva sospeso qualunque nuovo rilascio di permessi di ricerca e di concessioni di coltivazione di idrocarburi, sperando nel frattempo di redigere un piano di sostenibilità nazionale;

   nel solo territorio di Ravenna si stimano in circa 10 mila i lavoratori impiegati, direttamente o indirettamente, con la produzione di gas naturale nazionale che è la fonte più pulita per costituire il mix energetico in grado di sostenere la transizione verso un futuro in cui si useranno solo rinnovabili. Quanto sta avvenendo rischia di mettere in discussione anche la permanenza di Eni a Ravenna e il possibile ricollocamento dei lavoratori altrove;

   considerando che nei Paesi esteri produttori gli standard ambientali sono spesso nettamente inferiori all'Italia, se si azzererà la produzione nazionale, visto che il consumo nazionale non è in calo, sarà necessario aumentare il trasporto con navi e condotte, spesso osteggiate, con un impatto ambientale sensibilmente superiore a quello del gas prodotto in casa –:

   se si intendano adottare iniziative di carattere normativo al fine di tutelare la produzione nazionale di gas naturale, incentivandone gli investimenti e salvaguardando l'intero comparto che conta, ad oggi, migliaia di lavoratori.
(4-04863)


   FRATOIANNI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   Hera s.r.l., società controllata di Conad Adriatico soc. coop., opera nel settore della «grande distribuzione organizzata» ed è principalmente attiva nel commercio al dettaglio di generi alimentari e non alimentari nelle regioni Marche, Abruzzo, Molise, Puglia e Basilicata;

   Hera s.r.l., nel corso dei primi mesi dell'anno 2019, ha acquisito dal gruppo Finiper s.p.a., attraverso la cessione/affitto di ramo d'azienda, la gestione commerciale degli ipermercati di Colonnella (TE), Città Sant'Angelo (PE) e Ortona (CH);

   il piano di acquisizione da parte di Hera s.r.l., prevedeva una fase iniziale di adeguamento del modello organizzativo delle unità produttive acquisite agli standard dei punti vendita a marchio «Conad», nonché di revisione del format ipermercati e una fase successiva con interventi di risanamento e razionalizzazione dei costi, al fine di non compromettere ulteriormente i parametri di sostenibilità economica-organizzativa;

   nei giorni scorsi Hera s.r.l. ha manifestato l'intenzione di avviare una procedura di licenziamento collettivo del personale dipendente dei punti vendita di Colonnella (TE), Città Sant'Angelo (PE) e Ortona (CH) adducendo come motivazione un andamento negativo delle vendite e un'alta incidenza del costo del lavoro e dei costi di struttura e funzionamento;

   Hera s.r.l. avrebbe quindi deciso di far ricorso alla riduzione collettiva di personale in organico per un numero di 40 unità lavorative operanti nell'unità produttiva di Colonnella (TE) su un totale di 174 lavoratori complessivamente occupati, alla riduzione collettiva di personale in organico per un numero di 65 unità lavorative operanti nell'unità produttiva di Città Sant'Angelo (PE) su un totale di 221 lavoratori complessivamente occupati e alla riduzione collettiva di personale in organico per un numero di 30 unità lavorative operanti nell'unità produttiva di Ortona (CH) su un totale di 153 lavoratori complessivamente occupati;

   l'esubero di personale ammonterebbe, quindi, a un totale di 135 unità, tutte addette all'area vendita complessivamente considerata con accorpamento dei vari reparti;

   per l'unità produttiva di Città Sant'Angelo, inoltre, sarebbero in essere anche trattative per l'affidamento della stessa ad altra società nell'ambito delle logiche imprenditoriali della Cooperativa Conad Adriatico, controllante della società Hera s.r.l., che hanno l'obiettivo di affidare a soci imprenditori con idonee capacità, la gestione delle attività di vendita al dettaglio, al fine di consolidare e sviluppare le quote di mercato sul territorio di propria competenza;

   a parere dell'interrogante si è di fronte a un comportamento inaccettabile di Hera s.r.l. che ad appena un anno dal subentro nella gestione chiede una riduzione pesantissima di personale. Sarebbe l'ennesima operazione di acquisizione avvenuta completamente a spese dei lavoratori e delle lavoratrici –:

   quali iniziative urgenti intendano intraprendere i Ministri interrogati al fine di scongiurare il pericolo del licenziamento di 135 addetti nei punti vendita Conad citati in premessa;

   se intendano istituire un tavolo di trattativa con l'azienda, le parti sociali e gli enti locali interessati per individuare e attivare tutte le tutele possibili, al fine di salvaguardare il reddito e il lavoro delle lavoratrici e dei lavoratori Conad di Colonnella (TE), Città Sant'Angelo (PE) e Ortona (CH), coinvolti dalla procedura di licenziamento collettivo.
(4-04865)

UNIVERSITÀ E RICERCA

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'università e della ricerca, il Ministro della salute, per sapere – premesso che:

   mentre in diversi Paesi d'Europa (tra cui Germania, Francia e Spagna) il conseguimento della laurea in medicina è di per sé abilitante alla professione medica, in Italia sono necessari lo svolgimento di un tirocinio post lauream di tre mesi e il superamento di un esame di abilitazione scritto, le cui domande sono state finora attinte da un database noto;

   in attesa di una riforma organica nella direzione di una laurea abilitante non più rinviabile oggi in Italia, come dimostra in maniera inequivocabile la crisi sanitaria che si sta vivendo in queste settimane per la diffusione del coronavirus, il decreto «Fedeli» (decreto ministeriale n. 58 del 2018) era intervenuto con una serie di modifiche volte a sopperire alla situazione. In primis, introducendo il tirocinio abilitante all'articolo 3, comma 2, del decreto ministeriale in cui si stabilisce che i tre mesi di tirocinio devono essere svolti non più a fine corso, bensì tra il quinto e il sesto anno di studio, terminati «tutti gli esami fondamentali relativi ai primi 4 anni di corso previsti dall'ordinamento della sede dell'università»;

   con l'articolo 4, comma 6, il decreto ha di conseguenza aumentato le sessioni per l'esame di Stato portandole da due a tre, «nel mese di marzo, nel mese di luglio e nel mese di novembre», per poter così avere ad ogni sessione di laurea un corrispondente esame di Stato e di conseguenza generare laureati che siano da subito medici, senza perdite di tempo;

   l'articolo 4, comma 1, ha anche introdotto una novità che ha generato numerose polemiche tra gli studenti riguardante l'introduzione di una «modalità d'esame», si cita testualmente, molto più impegnativa non più basata su quiz attinti da un database noto ma sul modello del progress test. La necessità di organizzare al meglio il contenuto della nuova modalità di esame ha condotto il Governo precedente (con l'articolo 12, comma 1, del decreto-legge 30 aprile 2019, n. 35 «decreto Calabria») a far slittare i termini di avvio di questa modalità d'esame alla sessione del mese di luglio 2021, modificando quanto previsto dal «decreto Fedeli» che datava l'avvio a decorrere dalla sessione di esame del mese di luglio 2019;

   con l'ordinanza ministeriale n. 90 del 10 febbraio 2020, il Ministro Manfredi indice per l'anno 2020 la prima e la seconda sessione degli esami di Stato di abilitazione all'esercizio della professione di medico-chirurgo, lasciando scoperta la terza sessione di laurea dal corrispondente esame di Stato e questo nonostante sia esplicitato nella stessa ordinanza che «alcuni atenei hanno già avviato i tirocini pratico-valutativi di cui al decreto ministeriale n. 58 del 2018»;

   la conseguenza è che tale ordinanza annulla così il beneficio apportato dall'anticipazione dei tirocini previsto dal «decreto ministeriale Fedeli», che agli studenti, ai reparti e agli atenei hanno richiesto un notevole impegno;

   senza una sessione autunnale dell'esame di Stato chi si laureerà a luglio 2020 dovrà attendere fino alla primavera 2021 per abilitarsi, un limbo di tempo in cui i laureati non possono svolgere alcuna attività, né i tirocini abilitanti (perché già svolti), né un'attività lavorativa (perché non ancora medici), né partecipare ai bandi per le specializzazioni e corsi di medicina generale (perché non abilitati);

   si va così a creare un secondo imbuto formativo di cui il sistema sanitario italiano non ha bisogno e che va ad aggravare la situazione dei neolaureati già bloccati dall'imbuto delle specializzazioni per via delle insufficienti borse di studio. Per fotografare la situazione si riporta che nella sola università di Verona circa 90 laureati resteranno bloccati in questo limbo;

   gli interpellanti ricordano lo scenario europeo in cui, come premesso, la laurea abilitante è già una realtà consolidata, e che in Italia la carenza di medici specialisti e di medicina generale è denunciata da anni dai sindacati di categoria;

   vista la gravità della situazione sanitaria nel Paese, causata dalla diffusione del Covid-19, il Governo ha già previsto, con il decreto-legge 2 marzo 2020, n. 9, la possibilità di conferire incarichi di lavoro autonomo anche a personale medico e a personale infermieristico, collocato in quiescenza, con durata non superiore ai sei mesi, e comunque entro il termine dello stato di emergenza;

   inoltre, il Governo per andare incontro alle richieste dei laureati in medicina che avrebbero saltato la sessione di abilitazione prevista per il 24 febbraio 2020 poi annullata, ha annunciato il ripristino di questa sessione a breve –:

   se il Governo non ritenga di dover integrare l'ordinanza ministeriale n. 90 del 2020 con l'inserimento, insieme alla sessione «saltata» del febbraio 2020, anche della terza sessione di esame di Stato finora inspiegabilmente mancante, come era previsto da decreto ministeriale 9 maggio 2018, n. 58, così da permettere ai laureati della terza sessione di laurea 2020 di concludere il proprio percorso di abilitazione entro l'anno, e consentire l'immissione di giovani laureati nel sistema di cure e in special modo nel sistema territoriale che in queste settimane è fortemente messo alla prova.
(2-00665) «Emanuela Rossini, Schullian».

Apposizione di firme ad una mozione.

  La mozione Boldrini e altri n. 1-00334, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 26 febbraio 2020, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: La Marca, Carnevali.

Apposizione di firme ad una mozione e modifica dell'ordine dei firmatari.

  Mozione Boldrini e altri n. 1-00334, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 26 febbraio 2020, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Frate, Annibali, Cancelleri, Serracchiani, Quartapelle Procopio, Carinelli, Elisa Tripodi, Ehm, Bonomo, Barbuto, Villani, Rotta, Berlinghieri, Papiro, Carnevali, Baldini, Sportiello, Siragusa, Noja, Bologna, La Marca, Fornaro, Delrio, Brescia, Nobili, Sensi. Contestualmente, l'ordine delle firme si intende così modificato «Boldrini, Ascari, Boschi, Muroni, Giannone, Bruno Bossio, Benedetti, Frate, Pezzopane, Annibali, De Giorgi, Cenni, Cancelleri, Schirò, Sarli, Occhionero, Serracchiani, Quartapelle Procopio, Carinelli, Elisa Tripodi, Casa, Deiana, Giordano, Ehm, Bonomo, Barbuto, Villani, Rotta, Palmisano, Madia, Berlinghieri, Incerti, Ciampi, Gribaudo, Martinciglio, Papiro, Carnevali, Baldini, Sportiello, Prestipino, Siragusa, Ciprini, Noja, D'Arrando, Spadoni, Bologna, La Marca, Fornaro, Delrio, Brescia, Nobili, Sensi».

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta orale Cillis e Lovecchio n. 3-01335, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 26 febbraio 2020, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Cassese.

  L'interrogazione a risposta scritta Raduzzi n. 4-04846, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 27 febbraio 2020, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Currò, Giuliodori, Maniero, Martinciglio, Migliorino, Trano, Zennaro.

Pubblicazione di testi riformulati.

  Si pubblica il testo riformulato della risoluzione in Commissione Serritella n. 7-00422, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 312 del 26 febbraio 2020.

   Le Commissioni VIII e IX,

   premesso che:

    la Società italiana per il traforo autostradale del Fréjus per azioni (Sitaf S.p.a.) fa parte del gruppo Anas ed è stata costituita il 29 ottobre 1960 per iniziativa, nell'ambito della città di Torino, della camera di commercio, dell'Unione industriale, della provincia, del comune, nonché di primarie compagnie di assicurazione, istituti di credito e complessi industriali;

    Sitaf S.p.a. è concessionaria per la costruzione e la gestione del traforo del Fréjus (T4) e dell'autostrada Torino-Bardonecchia (A32) fino all'anno 2050, come stabilito dalla convenzione internazionale tra Italia e Francia del 23 febbraio 1973 e successivi provvedimenti governativi;

    Sitaf S.p.a. è partecipata dalla città Metropolitana di Torino e dal comune di Torino;

    le acquisizioni da soggetti pubblici da parte di quelli privati sono sempre avvenute senza gara pubblica;

    la Sitaf S.p.a. è inserita nell'elenco delle unità istituzionali che fanno parte del settore delle amministrazioni pubbliche, di cui alla Gazzetta Ufficiale del 30 settembre 2019;

    tali infrastrutture sono state costruite grazie al finanziamento del fondo centrale di garanzia per un importo superiore al miliardo di euro e per tale ragione il concedente, a garanzia della restituzione di tale importo, ha preteso di costituire un vincolo statutario sul mantenimento della maggioranza pubblica della società;

    all'interno della convenzione unica, sottoscritta il 22 dicembre 2009 tra Ministro delle infrastrutture e dei trasporti – direzione generale per la vigilanza sulle concessionarie autostradali e Sitaf S.p.a. il concessionario ha assunto l'obbligo di mantenere nel proprio statuto la clausola di partecipazione pubblica al capitale pari al 51 per cento, almeno fino a quando si renderanno necessari gli interventi finanziari legati alla garanzia rilasciata dallo Stato sui mutui della società;

    i soci pubblici hanno regolato i propri rapporti sino al 2019 attraverso accordi volti a garantire la stabilità azionaria dei soci pubblici (51 per cento), le modalità di controllo pubblico della società e la governance. Tali accordi si sono realizzati mediante un patto parasociale tra Anas S.p.a., città di Torino e l'allora provincia di Torino dal 2008 fino al 2014;

    fino al 2014, il 31,75 per cento delle azioni della Sitaf S.p.a. era dell'Anas S.p.a., il 10,65 per cento della società finanziaria del comune di Torino, denominata FCT Holding, l'8,69 per cento della provincia di Torino, per un totale di 51,09 per cento in mano pubblica;

    alla scadenza del patto parasociale, nel 2014, a causa della congiuntura economica, dei vincoli di bilancio e delle modificazioni dell'assetto istituzionale degli enti locali, sono state avviate procedure di dismissione delle partecipazioni societarie detenute dal comune e dalla provincia di Torino, attraverso un accordo procedimentale con Anas S.p.a., cui sono state trasferite la totalità delle azioni Sitaf S.p.a. detenute dai suddetti enti locali;

    tale accordo ha comunque garantito il mantenimento del controllo pubblico (51 per cento) sulla società;

    in particolare con delibera di giunta del 30 settembre 2014, n. 4356, il comune di Torino, in ottemperanza all'articolo 3, commi 27 e 29, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria per il 2008), ha determinato di dismettere la propria partecipazione in Sitaf S.p.a.;

    le quinta sezione del Consiglio di Stato, con sentenze n. 2425/2016 del 7 giugno 2016 e 7392/2019 del 28 ottobre 2019 (per ottemperanza), ha annullato gli atti propedeutici al suddetto trasferimento azionario ed ha dichiarato l'inefficacia del trasferimento stesso e, conseguentemente, ha ordinato alla città metropolitana di Torino (subentrata ex lege alla cessata provincia di Torino) e al comune di Torino, ripristinare le condizioni di opponibilità ai terzi della dichiarata inefficacia del contratto di trasferimento ad Anas S.p.a. e di dismettere ad evidenza pubblica la propria partecipazione in Sitaf S.p.a.;

    la città di Torino ha manifestato la volontà di procedere alla dismissione in ossequio al giudizio di ottemperanza di cui sopra mediante procedura di evidenza pubblica in capo alla propria società Fct S.p.a.;

    il consiglio metropolitano, nella seduta del 23 dicembre 2019, ha approvato all'unanimità un atto volto a sollecitare le autorità competenti in materia di trasporti per salvaguardare il controllo pubblico nella società Sitaf S.p.a.;

    le scelte gestionali del sistema autostradale hanno pesanti riflessi sulla viabilità ordinaria interconnessa, ragion per cui la partecipazione delle pubbliche amministrazioni locali risulta utile e necessaria per garantire, attraverso le indispensabili sinergie in tema di programmazione e realizzazione della manutenzione viaria e della gestione efficiente dei flussi di traffico, un servizio di mobilità migliore, più efficiente e più accessibile all'utenza;

    la gestione delle concessioni autostradali tutela l'esigenza di godere dei proventi dell'esercizio degli assi autostradali e di poterli destinare ad utilità collettiva, ma soprattutto di concorrere alle attività di manutenzione e di ammodernamento delle infrastrutture che, in una gestione puramente privatistica, potrebbero essere sacrificati alle mere logiche di impresa. I recenti fatti drammatici che hanno scosso l'opinione pubblica hanno aperto un dibattito che sostanzialmente individua nel partenariato pubblico-privato la soluzione più adeguata per garantire sia la qualità nell'erogazione del servizio, sia la redditività della gestione;

    l'Anas, attualmente proprietaria del 31,75 per cento delle azioni Sitaf S.p.a., attraverso la creazione della nuova società A.c.a. (Anas Concessioni autostradali S.p.a., interamente partecipata) ha reso esplicita la volontà di intervenire, anche in condizioni di mercato, nella gestione di asset autostradali strategici del comprensorio piemontese;

    è ampiamente nota la strategicità del corridoio che, attraverso la Valle di Susa, connette il Nord Ovest del nostro Paese con la Francia sia tramite il tunnel autostradale del Fréjus, sia per mezzo del canale ferroviario per merci e passeggeri che è in fase di potenziamento; questo corridoio diventerà essenziale nei prossimi anni a seguito della programmata chiusura del tunnel del Monte Bianco, che provocherà il raddoppio dei flussi di traffico merci tramite il Fréjus;

    allo stato attuale, le amministrazioni locali ed Anas S.p.a. sono poste di fronte alla possibilità di portare a termine il programma di disimpegno verso le concessioni autostradali, avviato negli anni ’90, oppure di operare un cambio di paradigma nella partecipazione alla gestione delle autostrade del territorio. La partecipazione pubblica di maggioranza, infatti, costituisce una più certa garanzia per la restituzione della parte residua del prestito concesso dal Fondo centrale di garanzia e mantiene sotto il controllo pubblico un asset strategico di livello nazionale e internazionale,

impegnano il Governo:

   ad adottare iniziative di competenza affinché sia rilevata direttamente la partecipazione azionaria della Città di Torino;

   ad adottare iniziative di competenza affinché Anas S.p.a. mantenga ed eventualmente rafforzi la propria partecipazione in Sitaf S.p.a., anche mediante accordi con la Città Metropolitana di Torino, che ha manifestato l'esigenza del mantenimento di una partecipazione pubblica;

   a porre in essere ogni necessaria iniziativa di competenza ai fini di mantenere il vincolo statutario di maggioranza pubblica in Sitaf S.p.a.;

   ad adottare le iniziative di competenza per potenziare le infrastrutture intermodali del corridoio che, attraverso la Val di Susa, connette il Nord-Ovest del Paese con la Francia, con particolare riguardo al canale ferroviario per merci e passeggeri.
(7-00422) «Serritella, Gariglio, Deiana, Fregolent».

  Si pubblica il testo riformulato della risoluzione in Commissione Caretta n. 7-00417, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 308 del 20 febbraio 2020.

   La XIII Commissione,

   premesso che:

    il 12 novembre la direzione generale del commercio della Commissione europea (Dg Trade) ha pubblicato sul proprio sito la notizia nella quale specifica di aver inviato alle autorità cambogiane una relazione preliminare che illustra i risultati dell'inchiesta avviata nel febbraio 2019 nell'ambito della procedura di revoca temporanea delle preferenze commerciali «EBA» (Everything But Arms, tutto tranne le armi);

    con regolamento delegato C(2020) 673, adottato collegialmente il 12 febbraio 2020, la Commissione europea ha ufficializzato la propria decisione di revocare le concessioni Eba, riapplicando la clausola della nazione più favorita (Cnpf) al traffico commerciale con la Cambogia, aggredendo, come riferito in una nota stampa della Dg Trade, una gamma di prodotti tra cui abiti, zucchero, scarpe e prodotti da viaggio per un totale di 1 miliardo di euro di esportazioni cambogiane in Unione europea;

    salvo obiezioni da parte del Parlamento europeo e del Consiglio dell'Unione europea, tali misure avranno effetto a partire dal 12 agosto 2020;

    tra i prodotti sottoposti a revoca di regime Eba, così come da regolamento (UE) n. 978/2012 novellato dal sopracitato regolamento delegato C(2020) 673, non figura il riso, decisione motivata dalle autorità della Commissione, poiché sullo stesso sarebbe già applicata la cosiddetta clausola di salvaguardia;

    predetta clausola di salvaguardia è tuttavia temporanea, con scadenza datata al 18 gennaio 2022, parziale, in quanto si applica unicamente al riso lavorato di tipo Indica, escludendo tutte le altre tipologie di risi come il riso semigreggio o il riso Japonica e prevede, al momento, un dazio di euro 150,00 a tonnellata, valore inferiore al dazio convenzionale, che ammonta a euro 175,00 per tonnellata;

    il regolamento europeo istituente la clausola di salvaguardia è stato impugnato dalle autorità cambogiane dinnanzi alla Corte di giustizia dell'Unione europea;

    l'assemblea generale delle Nazioni Unite ha condannato, con recente risoluzione Unga 74/399 del 29 dicembre 2019, il Myanmar per violazione dei diritti umani, provvedimento a cui non è ancora seguita una risposta europea;

    il regime sanzionatorio predisposto dalle autorità europee nei confronti della Cambogia non è, al momento, applicato nei confronti del Myanmar, che eppure si trova in una condizione di sostanziale violazione dei diritti umani, e da cui l'Unione europea importa enormi quantità di riso ogni anno,

impegna il Governo:

   ad adottare iniziative per includere il riso nell'elenco dei prodotti in relazione ai quali la Commissione europea ha deciso di revocare il regime Eba nei confronti della Cambogia, tutelando l'intera filiera produttiva italiana ed europea;

   in subordine, ad adottare iniziative per includere il riso nell'elenco dei prodotti sui quali la Commissione europea ha deciso di revocare il regime Eba nei confronti della Cambogia allo scadere degli effetti della clausola di salvaguardia, qualora questa infici l'inserimento del riso medesimo nell'elenco sopra menzionato;

   a promuovere un'azione unitaria da parte dell'Unione europea a tutela della filiera produttiva del riso dei Paesi dell'Unione, andando ad estendere alle importazioni provenienti dal Myanmar lo stesso regime sanzionatorio proposto nei confronti della Cambogia;

   a discutere, nelle sedi europee di competenza, l'opportunità di predisporre l'applicazione diretta delle misure di salvaguardia previste dal regolamento (UE) 978/2012 anche ai prodotti agricoli, permettendone l'entrata in vigore automatica in presenza di sostanziali ed inconsueti aumenti delle importazioni.
(7-00417) «Caretta, Ciaburro».

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:

   interrogazione a risposta in Commissione Paita n. 5-03421 del 21 gennaio 2020;

   interrogazione a risposta in Commissione Spena n. 5-03539 dell'11 febbraio 2020;

   interrogazione a risposta in Commissione Cenni n. 5-03594 del 14 febbraio 2020;

   interrogazione a risposta scritta Vietina n. 4-04734 del 17 febbraio 2020;

   interrogazione a risposta in Commissione Galantino n. 5-03634 del 19 febbraio 2020;

   interrogazione a risposta in Commissione De Girolamo n. 5-03659 del 24 febbraio 2020;

   interrogazione a risposta in Commissione Maglione n. 5-03665 del 25 febbraio 2020.