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Resoconto dell'Assemblea

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XVIII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Giovedì 5 dicembre 2019

ATTI DI INDIRIZZO

Risoluzione in Commissione:


   La III Commissione,

   premesso che:

    il Presidente della Repubblica boliviana Evo Morales, il vicepresidente Álvaro García Linera, e la Presidente del Senato Adriana Salvatierra, tutti appartenenti al Mas (Movimento per il socialismo), si sono recentemente dimessi sull'onda di violente proteste di piazza e su esplicita pressione delle Forze armate;

    si è generato così un vuoto istituzionale di potere, «colmato» nell'autoproclamazione della vicepresidente del Senato Jeanine Áñez Chàvez (rappresentante di Unidad Democrática, una delle forze di opposizione all'interno dell'attuale Parlamento) quale presidente ad interim;

    altrettanto recente è la fuga di Morales in Messico, Paese che ha concesso asilo politico all'ormai ex presidente, così come l'arresto di due membri del Tribunale elettorale, accusati di aver truccato i risultati delle elezioni presidenziali del 20 ottobre 2019;

    la Bolivia è drammaticamente polarizzata; non si contano ormai i casi di atti vandalici nei confronti delle abitazioni private di leader politici di spicco, soprattutto figure vicine al presidente dimissionario;

    Evo Morales è stata la figura presidenziale più longeva della storia boliviana. I suoi quattordici anni al potere hanno segnato una cesura decisiva rispetto al passato. Il «proceso de cambio» boliviano è un fenomeno storico, sociale e politico estremamente complesso. Morales è alla guida da oramai vent'anni del Mas-Ipsp, acronimo che sta per Movimento per il socialismo – Strumento politico per la sovranità dei popoli;

    nel primo mandato presidenziale, Morales ha realizzato alcune importanti riforme che hanno portato una maggiore attenzione verso le richieste della popolazione Indios, come la nazionalizzazione del gas, la convocazione di un'Assemblea costituente, l'avvio di programmi infrastrutturali e di sviluppo e sussidi sociali universalistici;

    attualmente, le scelte politiche di Morales hanno prodotto un cospicuo calo di consensi rispetto al 2014 e, per la prima volta, il 15 dicembre 2019 si troverebbe costretto ad affrontare un ballottaggio, con il rischio che si ripeta quanto accaduto al referendum del 21 febbraio del 2016. L'esponente socialista, alla guida del Paese ininterrottamente dal 2006 e costantemente presentatosi all'opinione pubblica mondiale come il «paladino dei poveri», è stato di recente accusato dal quotidiano britannico The Guardian di avere effettuato «spese pazze», utilizzando fondi statali. In particolare, il leader boliviano avrebbe stornato denaro dai programmi governativi anti-povertà per finanziare la costruzione di una sua «maestosa residenza»;

    nel 2016 Morales ha provato a cambiare la Costituzione proponendo ai boliviani un referendum sulla possibilità di una sua ricandidatura, attraverso la riforma dell'articolo 168 della Costituzione che prevede una sola rielezione consecutiva;

    il 51,3 per cento dei votanti si era espresso per il «no» alla sua ricandidatura, contro il 48,7 per cento dei sì. A quel punto Morales è riuscito a raggiungere il suo obbiettivo con altri mezzi, ossia attraverso un ricorso al Tribunale costituzionale – considerato vicino all'esecutivo – che ha finito per autorizzarne la sua ricandidatura, qualificandola come un «diritto umano garantito dai trattati internazionali ratificati dal paese»;

    nonostante la bocciatura nel referendum, Morales ha deciso di ricandidarsi, secondo il firmatario del presente atto, violando la Costituzione;

    i risultati elettorali del 2019 sono ritenuti da molti poco trasparenti. A seguito dello spoglio, Morales ha ottenuto il 47,07 per cento, contro il 36,51 per cento dello sfidante ed ex presidente Carlos Mesa. Un risultato non sufficiente per garantire la sua rielezione seppur ancora parziale a seguito dei numerosi ricorsi presentati per sospetto di brogli nel dipartimento di Pando;

    a seguito del riconteggio delle schede, il Tribunale supremo elettorale ha ribaltato l'esito delle elezioni, conferendo la vittoria a Morales, il quale ha criticato duramente il suo avversario Mesa, accusandolo di voler organizzare un «colpo di stato di destra»;

    a seguito della decisione del Tribunale supremo elettorale, decine di migliaia di persone sono scese in piazza e il capo dell'opposizione Mesa ha accusato il governo di aver messo in piedi una «vergognosa ed esplicita alterazione dei risultati», chiedendo che le manifestazioni pacifiche continuino,

impegna il Governo:

   a porre in essere ogni iniziativa necessaria per tutelare la sicurezza e l'incolumità della comunità italiana in Bolivia;

   a porre in essere ogni iniziativa di competenza volta a favorire la transizione politica democratica della Bolivia attraverso nuove elezioni;

   a riconoscere Jeanine Áñez Chàvez come presidente pro-tempore della Bolivia.
(7-00387) «Delmastro Delle Vedove».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta orale:


   ANZALDI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   un articolo pubblicato sul sito di informazione «Linkiesta.it», basato sulle rivelazioni dell'ex dipendente della Casaleggio Associati Marco Canestrari, rivela che in occasione delle elezioni del 2013, del 2014 e del 2018 la società Casaleggio Associati, vicina al Movimento 5 stelle, avrebbe utilizzato metodi di sottrazione irregolare dei dati di utenti Facebook, anticipando un sistema che poi su larga scala sarebbe stato usato successivamente da Cambridge Analytica, protagonista dello scandalo che ha colpito 87 milioni di profili in Usa e Regno Unito per l'elezione di Donald Trump e il referendum sulla Brexit;

   attraverso una applicazione collegata al Blog di Beppe Grillo, la Casaleggio Associati avrebbe ottenuto pressoché ogni dato disponibile non solo sugli attivisti che avevano scaricato l’«app», ma anche sui loro amici di Facebook: indirizzo e-mail, luogo di nascita e di residenza, orientamento politico e religioso e altro;

   sempre secondo quanto rivelato a «Linkiesta.it» da un ex dipendente di Casaleggio, a gestire materialmente l'applicazione che avrebbe sottratto i dati sarebbe stato l'allora dipendente della Casaleggio Associati Pietro Dettori, che oggi risulta essere collaboratore del Ministro degli affari esteri Luigi Di Maio alla Farnesina e che nel precedente Governo lavorava presso gli uffici della presidenza del Consiglio, come collaboratore dell'allora vicepresidente Di Maio;

   se i sospetti e le accuse emersi su «Linkiesta.it» fossero confermati, si sarebbe di fronte ad un grave abuso che avrebbe colpito non si sa quanti cittadini italiani, peraltro nell'ambito di una fase delicata per la democrazia del nostro Paese come una campagna elettorale per scegliere i rappresentanti parlamentari –:

   di quali elementi disponga circa il ruolo, nella vicenda, di Pietro Dettori, fino a poche settimane fa dipendente di Palazzo Chigi e oggi collaboratore, presso il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale del Ministro Luigi Di Maio.
(3-01180)

Interrogazione a risposta scritta:


   MULÈ. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:

   la vicenda giudiziaria che ha coinvolto Giuseppe Gulotta nella strage di Alcamo, negli anni di piombo, rappresenta il più grave errore giudiziario della storia italiana;

   nel 1976 Gulotta, insieme ad altri quattro indiziati, viene arrestato per l'omicidio di due carabinieri, uccisi nella caserma Alkmar di Alcamo Marina, in provincia di Trapani;

   per estorcere la confessione, Gulotta racconta di essere stato torturato, legato ad una sedia e colpito per ore da un nugolo di persone con una pistola puntata alla testa;

   l'imputato ha denunciato più volte di aver confessato gli omicidi soltanto perché costretto a seguito delle torture subite, ma nel 1990 Gulotta viene condannato definitivamente all'ergastolo;

   nel maggio 2008 uno dei carabinieri trapanesi, Renato Olino, presente agli interrogatori del 1976, denuncia le torture inferte agli indiziati e nel 2012, su richiesta della stessa accusa, Gulotta viene assolto con formula piena dalla corte d'appello di Reggio Calabria;

   nel 2014 la Cassazione conferma la pronuncia della Corte d'appello e tre anni dopo arriva il risarcimento parziale di 6,5 milioni di euro per Gulotta, per la sola ingiusta detenzione per i 22 anni trascorsi in carcere;

   dopo 9 processi e 36 anni di calvario giudiziario, Gulotta ha citato in giudizio l'Arma dei carabinieri e i vertici del Governo, da Giuseppe Conte ai Ministri della difesa, Lorenzo Guerini, e dell'interno, Luciana Lamorgese, chiedendo un indennizzo di 69 milioni di euro per i danni morali ed esistenziali;

   a tal proposito, la risposta delle istituzioni è, ad avviso dell'interrogante, sconcertante, considerato che l'Avvocatura dello Stato nelle memorie in ogni grado di giudizio ha specificato che «non ci fu nessun atto di tortura, né ci sono prove che lo attestano»;

   secondo l'Avvocatura, infatti, «Gulotta si limita a produrre una serie di carte che non dimostrano il fatto dannoso» e la richiesta di risarcimento non deve essere accolta, poiché lo stesso Gulotta ha già ricevuto una «macroscopica cifra» e il possibile risarcimento è prescritto «in ragione del decorso del tempo» –:

   se non s'intenda chiarire la posizione del Governo, espressa attraverso l'Avvocatura dello Stato, nella vicenda riportata in premessa, anche in merito alle dichiarazioni rese dal carabiniere Renato Olino circa le torture subite dal Gulotta e circa la conseguente non autenticità della sua confessione che ha generato una drammatica situazione che ha determinato gravissimi danni biologici e morali.
(4-04264)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, per sapere – premesso che:

   il Giornale di Vicenza oggi in edicola racconta la vicenda di Amal (nome di fantasia), studente dodicenne bengalese dell'ovest vicentino, che ha lanciato via mail un disperato grido di aiuto ad un vicino di casa qualche settimana fa;

   «Come faccio con la scuola? Avevo quattro verifiche non ho potuto studiare, neanche ho fatto i compiti. Lo puoi dire alla maestra?»;

   secondo la ricostruzione del cronista il dodicenne sarebbe stato portato via dall'Italia verso il Bangladesh dalla madre insieme ai due fratelli;

   Amal ha lasciato improvvisamente la scuola, gli amici i compagni di classe e la città dove aveva sempre vissuto dalla nascita;

   è seguita altra mail: «mi hanno portato in Bangladesh mentendomi. Non so cosa fare.»;

   il dodicenne viene descritto come bambino intelligente, avido di sapere, pieno di 10 nelle pagelle e «campioncino» di scacchi;

   sembrava una bella storia di integrazione;

   ma negli ultimi mesi le cose sono cambiate;

   i genitori hanno accusato il papà di un compagno di classe di Amal, di volerlo convertire al cristianesimo (circostanza negata con fermezza dall'interessato) e sono entrati in conflitto con i servizi sociali e l'ufficio tutela minori dell'Ulss 8 berica;

   sono queste probabilmente le cause del trasferimento della madre con i figli nel Paese di origine, mentre il padre è rimasto nel nostro Paese;

   a sostegno di Amal si è mobilitata la comunità locale;

   il segretario della Uiltec di Vicenza si è dichiarato disposto a pagare il viaggio aereo di rientro in Italia per madre e figli;

   è stato inviato un esposto ai più alti vertici istituzionali e al Ministro interrogato –:

   quali iniziative di competenza intenda assumere per agevolare il rientro in Italia di Amal, consentendogli di completare il suo percorso scolastico ed educativo.
(2-00583) «Zanettin».

Interrogazioni a risposta scritta:


   BILLI, FORMENTINI, ZOFFILI, GRIMOLDI, PICCHI e RIBOLLA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   la risoluzione n. 7-00134, presentata dal primo firmatario del presente atto, per impegnare il Governo pro tempore alla realizzazione della carta di identità elettronica (Cie) per gli italiani all'estero, è stata approvata dalle Commissioni riunite esteri e affari costituzionali in data 18 giugno 2019, sbloccando una situazione ferma da anni, durante i quali i Governi della scorsa legislatura non erano riusciti ad ottenere nessun risultato concreto;

   nel mese di luglio 2019 l'allora Ministro dell'interno Matteo Salvini ha firmato il decreto per approvare la Cie per gli italiani all'estero, dimostrando interesse e attenzione alle problematiche degli italiani all'estero;

   pertanto, a settembre 2019 è partita la fase sperimentale di emissione della Cie per gli italiani all'estero nelle tre sedi pilota di Vienna, Atene e Nizza;

   entro il 2020 la Cie dovrebbe poter essere richiesta ed emessa direttamente dai consolati italiani nei Paesi dell'Unione europea ed in quelli nei quali la Cie garantisce libertà di circolazione, come ad esempio Svizzera, Monaco Principato, San Marino, Norvegia, Città del Vaticano, Liechtenstein, Andorra, Islanda;

   in diversi Paesi europei, quali ad esempio Germania, Francia e Regno Unito, la carta di identità cartacea risulta superata: i maggiori istituti nazionali, tra i quali le banche, gli agenti di cambio, la polizia di frontiera e le amministrazioni locali accettano con sempre più difficoltà la carta cartacea a causa della facilità di contraffazione, richiedendo la Cie per compiere una qualsiasi operazione;

   il primo firmatario del presente atto aveva depositato l'interrogazione n. 4-03358 alla fine del mese di luglio 2019 per chiedere che una fase pilota fosse avviata anche nella circoscrizione di Lugano senza ricevere risposta dal Governo –:

   quali siano gli esiti di questa sperimentazione, quali siano le criticità identificate e quali iniziative intenda assumere il Governo per superare tali criticità.
(4-04259)


   FORMENTINI, ZOFFILI, PICCHI, RIBOLLA, BILLI, DI SAN MARTINO LORENZATO DI IVREA, GRIMOLDI e COMENCINI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   la Repubblica di Turchia ed il Governo di accordo nazionale libico hanno siglato il 28 novembre 2019 un memorandum d'intesa avente ad oggetto la delimitazione delle rispettive zone economiche esclusive (Zee);

   stando alle fonti greche che ne hanno riferito, l'accordo prevedrebbe la contiguità delle Zee libica e turca per un tratto che interesserebbe anche la Repubblica di Cipro e la Grecia, anche se l'esatta conformazione dei rispettivi perimetri non è ancora nota;

   particolarmente temuta è l'eventualità di una congiunzione tra le Zee libica e turca che isoli la Grecia continentale da Creta e dalla Repubblica di Cipro;

   il Governo di accordo nazionale libico e la Turchia avrebbero contestualmente stretto anche un accordo di cooperazione nella sfera militare;

   il 1° dicembre 2019 della situazione si sono occupati i Ministri degli esteri della Grecia e dell'Egitto, appositamente riunitisi, che hanno successivamente annunciato la volontà dei rispettivi Paesi di procedere analogamente alla delimitazione rispettiva delle loro Zee;

   il Governo greco ha altresì formalizzato la propria intenzione di espellere dal Paese l'ambasciatore del Governo di Accordo nazionale libico se questi non fornirà entro il 5 dicembre 2019 dettagli esaustivi sui contenuti dell'accordo sulle Zee stretto con la Repubblica di Turchia;

   la diplomazia ellenica si è attivata anche presso la Commissione europea ed in particolare il servizio di azione esterna della Ue;

   la crisi che si profila può oggettivamente ripercuotersi sul complesso delle attività legate al progetto energetico East Med, che coinvolge anche l'Italia, e può rappresentare un fattore di rischio anche per le attività di trivellazione condotte da Eni nelle acque cipriote –:

   di quali informazioni disponga il Governo in merito all'accordo del 28 novembre 2019 sulla delimitazione delle Zee turca e libica;

   se, in conseguenza dell'accordo, si ravvisino elementi di rischio per le attività delle società italiane coinvolte nel progetto East Med e nello sfruttamento delle risorse energetiche situate nella Zee cipriote;

   quali iniziative si intendano assumere per fronteggiare una situazione eventualmente pregiudizievole degli interessi nazionali italiani nella regione del Mediterraneo orientale.
(4-04262)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   VIANELLO e ERMELLINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   il rumore ambientale di origine aeroportuale è un fattore di rischio che può avere importanti ripercussioni sulla salute delle persone esposte. Studi osservazionali e sperimentali hanno dimostrato che l'esposizione al rumore aumenta l'incidenza di ipertensione e malattie cardiovascolari e compromette le prestazioni cognitive dei bambini e determina un maggior numero di ricoveri per ictus e cardiopatie e un eccesso di rischio di ricovero per patologie cardiovascolari tra i residenti nei pressi degli aeroporti. Inoltre, vi è anche un impatto sulla qualità dell'aria; le emissioni di inquinanti in aria variano al variare dei motori e dei carburanti impiegati, con conseguente rilascio di CO2, CO, Ce, NOx, particelle sospese, e un numero variabile di sostanze chimiche organiche;

   l'aeroporto di Bari o Aeroporto Karol Wojtyla, è il principale aeroporto pugliese, situato nel quartiere di Palese-Macchie e quindi adiacente a un popoloso agglomerato urbano;

   in data 19 novembre 2014 il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha emanato, con esito positivo ma con prescrizioni, il decreto di compatibilità ambientale del masterplan dell'aeroporto di Bari Karol Wojtyla che prevede l'ampliamento del terminal passeggeri, la realizzazione del nuovo polo cargo, l'estensione del sedime aeroportuale verso le aree dell'Aeronautica militare per la rilocalizzazione di enti di Stato e Aeroclub e nuove infrastrutture land side destinate alla viabilità e alla sosta, a fronte dell'aumento del traffico aereo;

   tra le prescrizioni impartite il Ministero deve valutare l'ottemperanza, tra le altre, delle prescrizioni:

    n. 2 che prescrive una campagna di monitoraggio dell'impatto acustico nei pressi dell'aeroporto e, in particolare, sui ricettori sensibili e sugli edifici residenziali;

    n. 3 che prescrive, in caso di rilevamento presso gli edifici residenziali di livelli acustici superiori ai limiti normativi, l'installazione di apposite strutture antirumore;

    n. 4 che prescrive una mappatura acustica e piani di azione attorno alla zona aeroportuale per la concorsualità dell'impatto acustico dovuto al rumore aeroportuale e al traffico veicolare;

    n. 5 che prescrive le limitazioni dei decolli/atterraggi in particolari situazioni meteo e in particolare procedure antirumore sul decollo in testata 25;

    n. 6 che prescrive una campagna di monitoraggio sulle varie sorgenti emissive provenienti dallo scalo e il posizionamento di un numero adeguato di postazioni fisse di monitoraggio che possano analizzare in continuo le emissioni;

    n. 8 che prescrive il rilascio del parere paesaggistico di compatibilità/sostenibilità ambientale dell'ente parco naturale regionale di «Lama Balice» con gli approfondimenti tecnici richiesti con la nota del 3 giugno 2014 del comitato tecnico di gestione del medesimo ente parco;

   l'ottemperanza per le prescrizioni n. 2, 3, 4, 5, 6 deve essere verificata in fase di esercizio, per la prescrizione n. 8 l'ottemperanza avrebbe dovuto esser verificata ante opera –:

   se il Ministro intenda fornire elementi sullo stato di ottemperanza alle prescrizioni del decreto ministeriale in questione e, in particolare, alle prescrizioni 2, 3, 4, 5, 6 e 8 richiamate in premessa.
(5-03242)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta scritta:


   TRIZZINO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   la somma delle giocate annuali in Italia relative al gaming d'azzardo è salita negli ultimi 20 anni in modo vertiginoso passando dai 4 miliardi di euro nel 2000, ai 47,5 del 2008, fino alla cifra massima di 96 miliardi di euro del 2016 pari alla spesa per l'istruzione, e al 4 per cento del prodotto interno lordo italiano. In questo comparto, il primato spetta alle slot machine posto che gli italiani, dei suddetti 95 miliardi di euro spesi, versano nelle macchinette quasi il 50 per cento, 49 miliardi di euro;

   ad oggi sono presenti sul territorio nazionale circa 350.000 apparecchi di gioco con un rapporto di uno ogni 173 abitanti, facendo dell'Italia la prima in Europa per somme giocate e numero di slot in rapporto agli abitanti;

   dopo diversi casi di gestione illecita degli apparecchi in questione sono stati introdotti dei sensori interni alle slot con la possibilità di riprese audio-video esterne, tramite l'installazione di una «scatola nera», il tutto collegato ad internet tramite un software di gestione per garantire un telecontrollo «a distanza», nonché per ricerche di guasti ed esecuzione di aggiornamenti dei sistemi operativi;

   da un servizio televisivo della trasmissione «Le Iene» del 1° dicembre 2019, si apprenderebbe che i dipendenti delle società di slot machine, possessori delle password di accesso al programma di gestione delle schede delle stesse macchinette, fornirebbero le suddette credenziali dietro ricchi compensi, a determinati soggetti;

   il programma di gestione permetterebbe di accedere in tempo reale alle informative delle schede di ogni slot machine situata sul territorio nazionale, riportando così, oltre al nome della macchinetta e alla sua ubicazione precisa, l'attuale incasso, quanto ha già restituito in vincite ma soprattutto il momento in cui determinerà una nuova vincita;

   da quanto si apprenderebbe dall'inchiesta giornalista, il costo della password varierebbe in base alle zone e a quanto le macchinette site nelle specifiche aree di competenza frutterebbero, ma fino a raggiungere cifre di 20.000 euro al mese –:

   se il Governo sia a conoscenza di quanto esposto in premessa;

   quali iniziative urgenti il Governo intenda intraprendere, per quanto di competenza, per contrastare il business illegale che si sta creando attorno alla detenzione delle credenziali di accesso dei software di gestione delle slot machine, garantendo al contempo la trasparenza e la legalità del gioco;

   se non si ritenga opportuno adottare le iniziative di competenza per avviare un approfondimento sul ruolo che il gioco d'azzardo ha nella società italiana.
(4-04258)

GIUSTIZIA

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro della giustizia, il Ministro della difesa, il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:

   nel 2012, nell'ambito di un'operazione denominata «Reset», sono state indagate 17 persone per concorso in associazione a delinquere, estorsione e favoreggiamento, l'operazione è stata condotta dal sostituto procuratore Alessio Marangelli e dalla polizia di Stato del commissariato di Lucera;

   tra gli indagati c'erano anche 4 militari appartenenti all'Arma dei Carabinieri di stanza a Lucera, in provincia di Foggia (Giovanni Aidone, Giuseppe Sillitti, Michele Falco e Luigi Glori), ritenuti, responsabili dalla procura della Repubblica di Lucera (soppressa con la riforma degli uffici giudiziari); la restrizione della libertà personale fu richiesta dal dottor Domenico Seccia (già procuratore di Lucera, ed oggi a capo della procura della Repubblica di Fermo), dal sostituto procuratore Alessio Marangelli (assegnato alla procura di Foggia); il dottor Severino Antonucci, allora giudice per le indagini preliminari, confermò la misura cautelare. La custodia carceraria venne disposta presso il carcere militare di Santa Maria Capua Vetere (Caserta), con isolamento diurno e notturno; il tribunale di Bari nell'ottobre 2012, ha annullato, dopo circa un mese di detenzione, la misura carceraria a carico dei 4 militari per totale insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza sostenuti dai magistrati e dal giudice per le indagini preliminari;

   il tribunale di Bari ha dichiarato, in particolare, che «il presupposto ravvisato dal g.i.p. per l'attribuzione del fatto a titolo omissivo agli indagati è indimostrato... né il g.i.p. e né il p.m. evidenziano elementi fattuali denotanti la conoscenza da parte degli indagati dell'esistenza di estorsioni... il compendio indiziario posto a fondamento della ordinanza custodiale non appare idoneo a fondare l'applicazione della misura custodiale applicata»;

   i magistrati hanno fatto ricorso alla suprema Corte di cassazione per contrastare il provvedimento emesso dal tribunale di Bari. Anche in questo caso, nel 2013, la Corte ha rigettato le posizioni dei magistrati definendole «forzature»;

   a maggio 2013 nel corso del 161° anniversario della fondazione della polizia di Stato è stato conferito un encomio solenne da parte del Ministro dell'interno pro tempore a beneficio di Zendoli Luciano, Lorusso Michele, Orillo Alessandro, Conte Mario e Di Gioia Luigi, che sembrerebbe da ricollegarsi all'operazione «Reset»;

   nel settembre 2013, la corte di assise di Foggia ha stabilito la totale insussistenza dei fatti addebitati ai carabinieri con sentenza pienamente assolutoria;

   nel luglio 2014, anche la corte di assise di appello di Bari (su richiesta dello stesso procuratore generale) ha confermato quanto già pronunciato in primo grado ed evidenziava i comportamenti lacunosi commessi dagli inquirenti;

   durante il dibattimento tenutosi presso la corte di assise di Foggia, con riferimento all'operato del dottor Alessio Marangelli, sarebbe emerso che: la procura della Repubblica di Lecce (funzionalmente competente a decidere dei reati attribuiti ai magistrati operanti sul territorio di Lucera), non ha ravvisato reati a carico del dottor Marangelli, sebbene sia stato evidenziato che «nonostante l'apparente negazione dei fatti ad opera del dott. Marangelli, è lo stesso contenuto del “decreto” da lui sottoscritto che conferma quali fossero le azioni illecite, sia pure in forma “simulata”, che il magistrato aveva ordinato verbalmente e, poi, in forma scritta, di compiere ai militari dei Carabinieri. Occorre ora verificare se il grave e certamente illegittimo comportamento del dottor Marangelli “consistito nell'ordinare anche con modalità tali da integrare, se compiute, gravissimi reati contro il patrimonio e/o contro la persona, integri o meno fattispecie di reato”»; «... è pertanto evidente che nel caso di specie l'ordine dato dal dottor Marangelli esorbitasse dai confini tracciati con le massime della suprema Corte sopra riportate». Quanto in concreto avvenuto oggetto delle specifiche doglianze del maresciallo Sillitti e del tenente Ponine, «vale a dire l'ordine di compiere una (finta) rapina...certamente delinea un ordine non legittimo e che, quindi, correttamente i militari non eseguivano, ma ciò nonostante tutto ciò non integra una condotta autonomamente penalmente rilevante»; il giudicante ritiene che (...) pur versandosi in ipotesi di violazione di legge difettino nel caso di specie gli altri elementi del delitto di cui all'articolo 323 del codice penale (...) deve, quindi, ordinarsi l'archiviazione del procedimento con riferimento alla posizione del dr. Marangelli Alessio, la cui condotta certamente non conforme ai crismi della legittimità andrà valutata in altra sede, non integrando alcun illecito di natura penale;

   sia il tenente Pozone Enrico che il maresciallo Sillitti sono stati trasferiti in altre sedi, con immaginabili conseguenze negative in termini di progressione di carriera;

   l'articolo 54-bis della legge n. 165 del 2001 stabilisce che il pubblico dipendente che denuncia all'autorità giudiziaria condotte illecite di cui sia venuto a conoscenza in ragione del rapporto di lavoro non può essere sanzionato, licenziato o sottoposto ad una misura discriminatoria, diretta o indiretta, avente effetti sulle condizioni di lavoro per motivi collegati direttamente o indirettamente alla denuncia;

   risulta che il Consiglio superiore della magistratura, organo di auto-governo della magistratura, abbia prosciolto da ogni addebito il dottor Alessio Marangelli, il quale continua a permanere nel suo ufficio di procura del tribunale di Foggia –:

   di quali elementi disponga il Ministro della giustizia, per quanto di competenza, circa gli esiti del procedimento disciplinare a carico del dottor Marangelli;

   alla luce dei fatti esposti in premessa, se il Governo, per quanto di competenza, non intenda acquisire elementi in merito alla correttezza e alla legittimità dei procedimenti di trasferimento riguardanti il tenente Pozone e il maresciallo Sillitti;

   alla luce delle risultanze processuali, se il Governo non intenda assumere le iniziative di competenza in relazione agli encomi ricevuti dai componenti della Polizia di Stato, richiamati in premessa.
(2-00582) «Cancelleri».

Interrogazione a risposta orale:


   ZANGRILLO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   come noto, la legge n. 3 del 2019, recante «Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione, nonché in materia di prescrizione del reato e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici», ha modificato gli articoli 158, 159 e 160 del codice penale;

   in via di estrema sintesi, la riforma introdotta — inserita in fase emendativa nel corso dell'esame in sede referente alla Camera dei deputati, con un'operazione di «ampliamento del perimetro del provvedimento» del tutto discutibile e rocambolesca — sospende il corso della prescrizione dalla data di pronuncia della sentenza di primo grado (sia di condanna che di assoluzione) o dal decreto di condanna, fino alla data di esecutività della sentenza che definisce il giudizio o alla data di irrevocabilità del citato decreto;

   la legge n. 3 del 2019, all'articolo 1, comma 2, fissa l'entrata in vigore della riforma della prescrizione al 1° gennaio 2020. Lo stesso Governo pro tempore aveva infatti preannunciato in maniera chiara la volontà di realizzare entro tale termine un intervento riformatore del codice di procedura penale volto alla drastica riduzione dell'irragionevole durata dei processi in Italia, intendendo così marginalizzare l'impatto concreto dell'eliminazione della prescrizione dopo la sentenza di primo grado. In buona sostanza, ad avviso dell'interrogante le forze di Governo dell'epoca, consapevoli che l'intervento così operato era «una bomba nucleare sul processo» (per usare le parole dell'allora Ministro per la pubblica amministrazione Giulia Bongiorno), da un lato hanno collocato l'ordigno, dall'altro hanno spostato il tempo dell'esplosione;

   lo stesso Ministro della giustizia, Bonafede, aveva parlato di un «accordo politico» che «prevede che approfittiamo di questo anno anche per scrivere la riforma del processo penale. Il Governo avrà la delega dal Parlamento con scadenza 2019»;

   ebbene: dall'approvazione della riforma della prescrizione ad oggi, non è stata però esaminata dalle Camere alcuna proposta normativa concreta in tal senso. Solo a fine luglio 2019 è stato approvato dal Consiglio dei ministri «salvo intese» un disegno di legge delega che avrebbe dovuto stabilire i princìpi e criteri direttivi per riformare il processo civile, il processo penale, l'ordinamento giudiziario, la disciplina sull'eleggibilità e il ricollocamento in ruolo dei magistrati, il funzionamento e l'elezione del Consiglio superiore della magistratura e la flessibilità dell'organico dei magistrati. L'avvicendamento di maggioranza, il cambio di Governo, l'evoluzione in atto del quadro politico, lasciano facilmente immaginare che non si riuscirà ad approvare alcun testo prima della fine dell'anno. Senza dunque entrare nel dettaglio della riforma del processo penale è evidente che questa non potrà certamente essere operativa prima del 1° gennaio 2020, termine dal quale dispiegherà la sua efficacia la soppressione — di fatto — della prescrizione;

   ad ogni evidenza, ciò travolge e fa venire meno il presupposto — a giudizio dell'interrogante debolissimo e risibile — che aveva in qualche modo giustificato la sostanziale soppressione della prescrizione, altrimenti del tutto inaccettabile sia dal punto di vista politico che, prima ancora, giuridico. Inaccettabilità che, preme segnalare, è stata rilevata dagli operatori del diritto ad ogni livello — avvocati, magistrati, esponenti del mondo universitario — con una lunga serie di interventi, manifestazioni e scioperi;

   il 20 novembre 2019 si è svolta un'interrogazione a risposta immediata in Assemblea sul tema (n. 3-01129), in relazione alla quale il Governo ha dato una risposta, ad avviso dell'interrogante non soddisfacente;

   mancano ormai 26 giorni: un intervento è ormai indifferibile e urgente –:

   se il Ministro interrogato intenda adottare iniziative normative urgenti per evitare l'ormai imminente entrata in vigore della riforma, o meglio dell'abolizione de facto, della prescrizione.
(3-01178)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TRIZZINO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   la Costituzione italiana sancisce, all'articolo 27, terzo comma, che «le pene devono tendere alla rieducazione del condannato»;

   da questa enunciazione si ricava uno dei fondamentali principi del nostro ordinamento penale, il quale costituisce altresì l'espressione di una delle basilari funzioni della pena stessa;

   il condannato, nella visione costituzionale, non deve solo «subire» la pena ma partecipare attivamente al proprio reinserimento sociale, che viene visto come il fine ultimo dell'istituzione carceraria;

   la legge sull'ordinamento penitenziario promuove strumenti di risocializzazione, quali l'istruzione, le attività culturali, religiose e anche lavorative, cercando di ridurre al contempo l'impiego di strumenti impositivi;

   quanto detto incontrerebbe il limite della drammatica situazione emergenziale delle carceri italiane, sottodimensionate per il numero di detenuti presenti e quindi impossibilitate a organizzare al meglio le diverse attività rieducative;

   nello specifico, presso il carcere «Ucciardone» di Palermo, negli anni, sono state attivate numerose attività socio/lavorative molto produttive ai fini del reinserimento sociale dei condannati detenuti: laboratori teatrali, creazione di una sartoria, allestimento di un pastificio e tante altre utilissime attività lavorative e culturali;

   sono di questi giorni alcune specifiche denunce, così come riportato da il Giornale di Sicilia, sporte dalle associazioni di categoria, in merito proprio alla chiusura di molte di queste attività e all'impossibilità di riattivare questi necessari servizi per i detenuti, facendo venir meno gli obiettivi posti proprio dall'articolo 27 della Costituzione e dall'intero ordinamento penale –:

   quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare in merito alla problematica descritta.
(5-03245)

Interrogazione a risposta scritta:


   GIANNONE. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   la legge n. 54 del 2006, che ha istituito l'affido condiviso, afferma il principio della bigenitorialità, che stabilisce, il «diritto del minore a mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori»;

   quando nei confronti di uno dei genitori si dimostra una carenza o inidoneità educativa tale da considerare l'affidamento condiviso una soluzione pregiudizievole contraria all'interesse del minore, la strada da percorrere è quella dell'affidamento esclusivo;

   l'affidamento esclusivo viene considerato un'eccezione e deve essere motivato. Ha bisogno della dimostrazione dell'idoneità del genitore al quale viene affidato il minore e l'inidoneità dell'altro;

   l'articolo 155-sexies del codice civile prevede che: il minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore, ove capace di discernimento, è ascoltato dal presidente del tribunale dal giudice delegato nell'ambito dei procedimenti nei quali devono essere adottati provvedimenti che lo riguardano;

   l'articolo 403 del codice civile prevede che: «quando il minore è moralmente o materialmente abbandonato o è allevato in locali insalubri o pericolosi, oppure da persone per negligenza, immoralità, ignoranza o per altri motivi incapaci di provvedere all'educazione di lui, la pubblica autorità, a mezzo degli organi di protezione dell'infanzia, lo colloca in luogo sicuro, sino a quando si possa provvedere in modo definitivo alla sua protezione». Il collocamento ex articolo 403 del codice civile costituisce un provvedimento provvisorio, destinato ad avere effetto soltanto finché la competente autorità emetta quello definitivo;

   la Stampa ha riportato la storia di S.T, chiamandola Lucia, nome di fantasia, una donna che, dopo la separazione col marito si è occupata del figlio per 10 anni, poi le è stato tolto. E da quest'anno il minore è affidato in via esclusiva al padre. Oggi S. T. come racconta all'agenzia Dire, vede suo figlio in uno spazio protetto, «una volta a settimana per un'ora, in una saletta del comune con sbarre alle finestre e con due operatrici a 50 centimetri che devono vagliare foto, video, giochi, domande». La ragione è in una consulenza tecnica d'ufficio del 2016, disposta dalla corte d'appello che le addebita di aver imbrigliato il figlio «in un conflitto di lealtà, che gli impedisce l'accesso al padre», chiedendo «un intervento urgente di collocamento del bambino presso il padre passando prima 10-15 giorni in uno spazio neutro di transizione». Il tutto motivato solo dai vissuti materni «pervasivi e penalizzanti»;

   la Corte di cassazione ha evidenziato che il giudice, nel momento in cui la consulenza tecnica concluda per una diagnosi che non è supportata dalla scienza medica ufficiale, è tenuto ad approfondire per verificarne il fondamento. Non si può inoltre concludere per l'affidamento esclusivo del minore al padre basandosi solo su un giudizio non debitamente motivato d'inadeguatezza della madre, in un contesto di tale conflittualità;

   «Andremo in Cassazione probabilmente – dichiara l'avvocato di parte – dopo che è stata respinta la richiesta di ascoltare il minore e ampliare il diritto di visita della mamma, alla quale la responsabilità genitoriale non è stata sospesa. I servizi – conclude – dichiarano di aver ascoltato il bambino più volte, ma non esiste una prova, e la bigenitorialità come sarebbe garantita con questo regime di visita?» –:

   quali iniziative urgenti intenda adottare, per quanto di competenza, al fine di garantire la piena applicazione della legge n. 54 del 2006 in modo tale che i diritti dei genitori separati e dei loro figli possano essere realmente tutelati, anche alla luce del principio di bigenitorialità richiamato in premessa;

   se intenda intraprendere iniziative normative affinché la sindrome di alienazione parentale (Pas o Ap), o conflitto di lealtà o sindrome della madre malevola, costrutti privi di validità scientifica, non vengano più utilizzati nei tribunali e nelle consulenze tecniche d'ufficio, anche alla luce del pronunciamento della Corte di cassazione.
(4-04261)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BUSINAROLO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   in data 26 luglio 2019 è stato pubblicato il bando di gara europeo per la realizzazione della galleria naturale Lonato nell'ambito della linea Alta velocità/alta capacità Brescia-Verona;

   il valore dell'appalto è pari a euro 204.983.361,21 Iva esclusa;

   in base al contratto integrativo sottoscritto nel giugno 2018 tra Cepav Due ed R.f.i. s.p.a., la linea Alta velocità/alta capacità Brescia-Verona deve essere realizzata con l'affidamento mediante gara del 60 per cento dei lavori;

   la linea Alta velocità/alta capacità è sottoposta al controllo del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare che devono verificare anche la conformità delle procedure di gara;

   l'elevato valore dell'opera, in via ipotetica, avrebbe dovuto consentire l'interessamento di una pluralità di aziende non solo nazionali ma anche internazionali;

   la gara è andata deserta;

   a giudizio dell'interrogante appare indispensabile conoscere se la mancanza di offerte sia dipesa da fattori legati alla predisposizione del progetto esecutivo o comunque da fattori soggettivi imputabili al general contractor –:

   se, alla luce di quanto descritto in premessa, si intendano fornire chiarimenti relativamente ai motivi che hanno determinato l'assenza di offerte alla gara indetta da Cepav Due e se tali motivi si riferiscano a carenze progettuali che non hanno consentito alle ditte di partecipare o se la gara sia andata deserta a causa di una eventuale scarsa remuneratività dei lavori da realizzare;

   se, in ordine alla vicenda sopra descritta, si intendano fornire ulteriori chiarimenti circa i seguenti punti:

   a) se, allo stato, sussistano richieste al Governo e/o alla Commissione europea di derogare all'obbligo di affidare il 60 per cento dei lavori mediante gara pubblica;

   b) se i ritardi nella realizzazione della galleria di Lonato possano comportare nuovi costi per lo Stato o per R.f.i. s.p.a.;

   c) se sussistano richieste da parte di R.f.i. e del general contractor di modificare l'accordo economico sottoscritto tra le parti.
(5-03244)


   MACCANTI, CAPITANIO, CECCHETTI, DONINA, GIACOMETTI, RIXI, TOMBOLATO e ZORDAN. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   dal 19 dicembre 2017 è produttivo di effetti giuridici il decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti del 27 aprile 2017 (Gazzetta Ufficiale n. 140 del 19 giugno 2017), recante caratteristiche per l'omologazione e per l'installazione di dispositivi finalizzati a visualizzare il tempo residuo di accensione delle luci dei nuovi impianti semaforici;

   il citato decreto ha sancito l'obbligo – per tutti gli enti proprietari di strade di uso pubblico individuate dall'articolo 2 del codice della strada – di impiegare i dispositivi finalizzati a visualizzare il tempo residuo di accensione delle luci (cosiddetto countdown) nel caso di installazione di nuovi impianti semaforici, o nel caso della integrale sostituzione di impianti esistenti intesa quale sostituzione delle lanterne e del regolatore semaforico –:

   alla luce delle disposizioni richiamate in premessa, se e quale tipo di controllo il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti stia effettuando, per quanto di competenza, sull'effettiva osservanza dell'obbligo di impiegare i citati countdown semaforici da parte di tutti gli enti proprietari di strade.
(5-03248)

INTERNO

Interrogazione a risposta orale:


   ZOFFILI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   nella notte di mercoledì 27 novembre 2019 nel campo rom in via Luigi Candoni, a Roma, una neonata di cinque mesi è stata colta improvvisamente da un malore nel box 26 e poco dopo, nonostante l'intervento di un'autoambulanza, è deceduta;

   secondo i primi riscontri riportati dalla stampa e sebbene le circostanze della morte siano ancora da chiarire con l'autopsia, la bimba viveva in condizioni di assoluto degrado e abbandono tanto che, secondo il rapporto del medico del 118 intervenuto sul posto, sarebbe morta per malnutrizione;

   il tragico fatto sarebbe avvenuto nella parte bosniaca, divisa da un muro da quella rumena, del campo nomadi di via Candoni, uno dei più grandi della Capitale, con oltre 400 residenti e rom, e una zona inaccessibile sia per i passanti che spesso vengono aggrediti con pietre sia per i furti e le sassaiole contro il personale Atac che ha il deposito lì accanto;

   il container dove è avvenuta la tragedia è stato sequestrato dai carabinieri della compagnia Eur che hanno denunciato il padre, che ha già precedenti per reati contro il patrimonio, e la madre della piccola, di 30 e 24 anni, per maltrattamenti in famiglia;

   la coppia ha altri quattro figli, tre maschietti e una femminuccia, fra uno e sette anni, che vivevano tutti nello stesso box e che ora si trovano in una struttura protetta;

   anche i medici del Sant'Eugenio, che hanno visitato i quattro figli della coppia prima di affidarli ai volontari della casa d'accoglienza dove rimarranno fino alla decisione del giudice dei tribunale dei minorenni sul loro affidamento, hanno confermato lo stato di sporcizia e di degrado in cui vivevano i bambini;

   secondo quanto riportato da il Corriere della Sera, gli altri figli della coppia potrebbero essere affidati ad altri parenti, sempre nello stesso campo rom, anche se, alla luce della tragedia della loro sorellina, potrebbe essere attivata la procedura per la sospensione della patria potestà nei confronti dei genitori, che potrebbero essere accusati della morte della figlia come conseguenza di alti o reato;

   sempre di questi giorni è la notizia dell'arresto a Roma di Vasvija Husic, una trentenne bosniaca borseggiatrice seriale nota alle cronache con il nome di «Madame furto», che sarebbe stata arrestata più di quaranta volte ma sempre rilasciata in quanto in stato di gravidanza;

   la donna, che ora è stata condannata a due anni di reclusione avendo le analisi questa volta smentito lo stato di gravidanza dichiarato falsamente al momento dell'arresto per poter usufruire ancora del differimento della pena, è madre di ben undici figli e dovrebbe scontare complessivamente oltre 25 anni di carcere;

   la tragica situazione di incuria, anche familiare, in cui versano i bambini rom per le condizioni di assoluto degrado, abbandono e sporcizia in cui sono costretti a vivere quotidianamente è stata più volte già segnalata nei mesi scorsi dall'interrogante con diverse interrogazioni (interrogazione a risposta orale n. 3-00467, interrogazione a risposta scritta 4-02532, interrogazione a risposta scritta 4-02288, interrogazione a risposta orale 3-00858) anche su casi analoghi accaduti in altri accampamenti di altre città, come la tragica morte di Esperanza a Cagliari –:

   quali iniziative il Ministro interrogato per quanto di competenza, intenda assumere in merito alle suddette problematiche relative agli accampamenti Rom, con particolare riguardo alla tutela dei minori che vivono all'interno degli stessi.
(3-01179)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PAITA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   contrariamente alla tendenza generale che verte verso la specializzazione, quale strumento per una maggiore efficacia e operatività, la polizia di Stato ha deciso di porre in essere diversi passaggi di competenze tra uffici di specialità e questure;

   in particolare, tra essi ricade il caso dell'ufficio polizia di frontiera presso lo scalo marittimo di La Spezia che, secondo gli intendimenti, dovrebbe vedere una devoluzione delle attribuzioni di frontiera alla questura territorialmente competente;

   l'ufficio polizia di frontiera in questione insiste nel comprensorio di uno dei maggiori porti mercantili italiani interessato anche da regolare attività crocieristica e opera in complementarietà con enti dotati di competenze non sovrapponibili, come capitaneria di porto, Guardia di finanza e autorità portuale;

   va considerata l'ampiezza dell'area portuale e la sua rilevanza nazionale, che è altresì già parte di un piano operativo triennale dell'autorità di sistema portuale, ove si prevede un ampliamento pari a 140.000 metri quadrati di nuovi riempimenti destinati ad attività commerciale;

   in considerazione dell'importanza crescente del porto in questione, l'assenza di un autonomo ufficio polizia di frontiera potrebbe essere passibile di impoverire la presenza e l'intervento della polizia di Stato in un'area strategica, con riflessi negativi sulla sicurezza –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto riferito in premessa e quali iniziative di competenza intenda porre in essere.
(5-03243)

Interrogazione a risposta scritta:


   GAGLIARDI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   la polizia di frontiera è un servizio e una specialità di polizia consistente nel controllo di coloro che transitano presso un varco di confine nazionale e nella tenuta in sicurezza della relativa frontiera. Il controllo dei viaggiatori fornisce la verifica della regolarità dei transiti sotto diversi aspetti con controlli mirati sull'immigrazione clandestina; per le merci il controllo ha funzioni doganali e daziarie, con particolare riguardo a droghe e armi;

   nel porto di La Spezia, considerato strategico per il Paese non solo per gli aspetti militari, ma anche per il commercio e il turismo, dove solo nel 2018 sono transitati oltre un milione e mezzo di container e circa 470 mila crocieristi si chiude l'ufficio di polizia di frontiera, un presidio a tutela della collettività su una delle porte di accesso più delicate. Eppure le operazioni compiute dal personale in servizio presso lo scalo marittimo dimostrano che la presenza di tale ufficio è tutt'altro che inutile; ne è un esempio l'operazione effettuata ad agosto 2019, in cui sono stati scoperti diversi clandestini a bordo di una nave mercantile;

   il progetto di accorpamento con la questura priverebbe il settore specialistico di frontiera di funzioni, strumenti e risorse che finora sono serviti unicamente alla prevenzione in ambito marittimo: nulla di questo si avrebbe più; ciò nonostante il fatto che tra poco a La Spezia sarà operativo il primo cento di controllo delle merci in Italia a Santo Stefano Magra, nel retroporto Spezzino;

   l'intento di razionalizzare le risorse, accorpando il personale di polizia di frontiera con quello della questura, avrebbe come conseguenze un impatto negativo sul livello di sicurezza del territorio;

   il presidio spezzino è fondamentale, poiché trattasi di un porto tra i più sviluppati del Paese, dove gli scambi commerciali e turistici crescono ogni anno. Tra l'altro, il golfo di La Spezia riveste anche un importante ruolo militare: la polizia di frontiera in questo scenario è garanzia di sicurezza –:

   se, anche alla luce di quanto riportato in premessa, non si ritenga necessario, al fine di garantire quei livelli di controllo e sicurezza del territorio finora assicurati anche dal presidio della polizia di frontiera, recedere dal progetto di accorpamento dello stesso con la questura di La Spezia.
(4-04254)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta scritta:


   MULÈ. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   sono sempre più numerosi i casi di cronaca che riportano di bambini dimenticati all'interno di automobili, con i connessi gravi rischi di morte per ipertermia;

   da un'attenta analisi dei fatti accaduti, si rileva come nella maggior parte dei casi, i tragici eventi si verificano soprattutto nel momento in cui ai genitori, o ai familiari, è affidato il compito di accompagnare i minori presso gli asili nido e le scuole dell'infanzia, prima di recarsi sul posto di lavoro;

   gli esperti forniscono diverse interpretazioni tutte correlate in maniera più o meno diretta all'inconscio e all'automatismo con il quale certe azioni vengono eseguite: si tratta della cosiddetta «amnesia dissociativa» che si traduce nei fatti in un vero e proprio disturbo che comporta l'incapacità di ricordare importanti informazioni personali, a causa di traumi o forte stress;

   l'introduzione di dispositivi di allarme a bordo dei veicoli per prevenire i casi di abbandono di bambini di età inferiore ai quattro anni, così come previsto dalla legge 1° ottobre 2018, n. 117, seppur fondamentale, non sembra essere sufficiente per contrastare tale fenomeno;

   si ravvisa, ad avviso dell'interrogante, la necessità di prevedere un maggiore coinvolgimento degli istituti scolastici e soprattutto degli asili nido e delle scuole dell'infanzia, al fine di arginare il fenomeno in questione;

   sul punto, le novità introdotte dal decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, con le quali si prevedono specifiche modalità di gestione dei rapporti tra istituti scolastici e famiglie attraverso gli strumenti telematici, hanno fornito l'opportunità ai dirigenti scolastici di prevedere il servizio di sms ed e-mail per comunicare ai genitori ritardi e assenze degli alunni;

   alla luce dei casi sopra riportati, il medesimo sistema potrebbe essere utilizzato dal personale responsabile delle scuole dell'infanzia, ed in particolar modo degli asili nido, al fine di informare tempestivamente i genitori dell'assenza dei minori, evitando, in questo modo, l'abbandono di questi ultimi nei veicoli chiusi –:

   se i Ministri interrogati non intendano adottare le opportune iniziative di competenza, anche di natura normativa, al fine di dotare le scuole dell'infanzia, nonché asili nido, enti o centri deputati alla tutela dei minori, di sistemi informatici che siano in grado di segnalare in tempi rapidi l'assenza del minore alla famiglia e, nei casi estremi, di allertare le autorità competenti, al fine di evitare il verificarsi dei drammatici eventi riportati in premessa.
(4-04256)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta scritta:


   DAVIDE AIELLO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   nel mese di maggio 2019, come si evince da notizie giornalistiche diffuse via internet, da «palermotoday/cronaca», la società Ksm spa con sede a Palermo è stata condannata dalla corte d'appello, sezione lavoro, del tribunale di Palermo, al reintegro di due guardie giurate a seguito di un licenziamento per «cambio d'appalto» avvenuto nel 2017, per avere di fatto eluso le norme sul licenziamento;

   la medesima fonte giornalistica riporti che a febbraio 2019 è stata sottoscritta la terza mobilità nel giro di tre anni per la società di vigilanza Ksm spa dopo che già in data 29 ottobre 2018 aveva avviato la procedura di licenziamento collettivo ex articolo 4 e 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223, e l'anno precedente aveva già attivato la procedura per il licenziamento di circa 200 guardie giurate;

   a seguito delle diverse segnalazioni inoltrate all'Inps e all'ispettorato del lavoro competenti per territorialità e del relativo verbale di convocazioni collettive dell'ispettorato territoriale del lavoro di Palermo del 4 giugno 2019, è stato richiesto un intervento ispettivo per le seguenti irregolarità denunciate:

    omesso pagamento del Tfr dei dipendenti presso i fondi (dal 2014) come da procedimenti presso il competente tribunale del lavoro di Palermo numeri: 7988/17 – 8309/17 – 473/18 –1241/18 – 6345/18 – 866/19;

    omesso pagamento del «quinto» dello stipendio alle banche, pur avendolo trattenuto dallo stipendio del lavoratore;

    omesso pagamento del fondo sanitario integrativo per i lavoratori degli istituti e delle imprese della vigilanza privata (Fasiv);

    omessa applicazione dell'articolo 114, punto 8, del Contratto collettivo nazionale di lavoro sulla situazione ferie e permessi in busta paga e mancato pagamento dei permessi residui –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa;

   se e quali iniziative abbia adottato o intenda adottare, per quanto di competenza, al fine di ripristinare il corretto pagamento di quanto dovuto dalla società Ksm Spa ai propri dipendenti;

   quali iniziative di competenza, anche di carattere normativo, intenda adottare per tutelare i lavoratori dall'elusione della normativa sul licenziamento, anche qualora avvenisse attraverso eventuali procedure di «cambio appalto».
(4-04263)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GASTALDI, LIUNI, VIVIANI, BUBISUTTI, GOLINELLI, LOLINI, LOSS, MANZATO e PATASSINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:

   il programma di sviluppo rurale nazionale 2014-2020 (Psrn), sottomisura 17.1 «Assicurazione del raccolto, degli animali e delle piante» di cui all'articolo 37 del regolamento (UE) n. 1305/2013, riconosce un contributo pubblico per la copertura parziale dei costi sostenuti per il pagamento dei premi assicurativi da parte degli agricoltori;

   il sistema prevede il pagamento da parte dell'azienda agricola beneficiaria dell'intero premio, compresa la parte a carico del Psrn che dovrebbe essere rimborsata entro l'anno di riferimento;

   la complessità burocratica relativa alla gestione della misura 17.1 nella pratica si riflette in un ritardato termine dei pagamenti che sta mettendo in estrema difficoltà oltre agli agricoltori, anche i consorzi di difesa che, anticipando alle compagnie assicurative i versamenti delle quote di competenza delle aziende, si ritrovano più esposti con gli istituti bancari nella richiesta di prestiti;

   l'organismo pagatore Agea si è trovato fin dal 2015 a dover gestire questo sistema di rimborso, rilevando non poche difficoltà che hanno portato a un generalizzato ritardo nei pagamenti, in parte recuperato nel 2018, anno in cui si è arrivati a soddisfare un numero rilevante di pagamenti;

   ad oggi, nonostante gli sforzi compiuti, permangono alcune criticità in riferimento ai rimborsi assicurativi legati alla frutta, all'uva da vino e ad altre colture vegetali;

   secondo i dati forniti dai Consorzi di difesa, la provincia di Cuneo risultato quelle più colpite dai ritardati pagamenti, con riferimento al comparto frutticolo, strategico per l'economia del territorio, dove la Granda detiene il primato di area frutticola del Piemonte, con l'80 per cento degli ettari coltivati a frutta dell'intera regione e più di 4.000 aziende specializzate;

   situazioni analoghe si riscontrano anche per il comparto zootecnico nazionale e rischiano di generare grandi difficoltà nella gestione delle aziende agricole –:

   se il Ministro interrogato intenda adoperarsi immediatamente per la risoluzione della problematica esposta in premessa adottando le iniziative necessarie, a determinare una velocizzazione dei processi di rimborso, per una gestione più efficiente delle misure di sostegno alle aziende agricole;

   se intenda fornire in tempi ristretti un cronoprogramma di intervento per il rimborso dei pagamenti rimasti ancora in sospeso a partire dall'anno 2015.
(5-03246)


   GUIDESI, VIVIANI, BUBISUTTI, GASTALDI, GOLINELLI, LIUNI, LOLINI, LOSS, MANZATO, PATASSINI, BOLDI, DE MARTINI, FOSCOLO, SUTTO, LAZZARINI, LOCATELLI, PANIZZUT, TIRAMANI e ZIELLO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   il Nutri-Score, sviluppato in Francia, è un sistema che si concretizza in un logo che informa sulla qualità nutrizionale semplificata e completa la dichiarazione nutrizionale obbligatoria stabilita dalla normativa dell'Unione europea. Si basa su una scala di 5 colori, dal verde scuro all'arancio scuro, associati con le lettere dalla A alla E, al fine di semplificare la lettura da parte del consumatore;

   dovrebbe essere di prossima pubblicazione una relazione della Commissione europea sull'etichettatura nutrizionale Fop (front of packaging) nella quale sarebbe contenuto un esplicito endorsement nei confronti del sistema Nutri-Score;

   a maggio 2019 è stata pubblicata una iniziativa dei cittadini europei (Ice) dal titolo «Pro-Nutri-Score», con lo scopo di chiedere alla Commissione europea di imporre l'obbligo di un'etichettatura semplificata «Nutri-Score» sui prodotti alimentari, al fine di tutelare la salute dei consumatori e di garantire che vengano loro fornite informazioni nutrizionali di qualità;

   l'Italia durante la riunione Codex in Canada di maggio 2019 ha evidenziato la propria opposizione ai sistemi quali quello inglese a «semaforo» o «Nutri-score» francese e quello a «bollini neri», utilizzato in alcuni Paesi latino americani, ritenendo fondamentale assicurare al consumatore un'informazione obiettiva, scientificamente fondata e in linea con la normativa, dell'Unione europea;

   lo scopo dell'etichettatura nutrizionale sarebbe quello di informare i consumatori sulla presenza di grassi, zucchero e sale negli alimenti attribuendo ad essi, in modo arbitrario, un colore in base ai nutrienti che lo compongono che ne determinare la «pericolosità»;

   l'obiettivo di una corretta informazione al consumatore deve essere quello di aiutarli a fare scelte di consumo consapevoli, non fondato su una classificazione tra cibi «salubri» e «insalubri», forzando le loro scelte con segnali semaforici, indipendentemente da come gli alimenti saranno poi combinati e consumati nell'ambito delle diete quotidiane;

   l'Italia, infatti, aveva proposto un sistema alternativo, l'etichetta «a batteria», che attribuisce un punteggio alla presenza di grassi, zuccheri e sale rapportandoli però alla dose giornaliera consigliata nell'ambito di una dieta salutare;

   sistemi come quello «a semaforo» o «nutri-score», segnalando come «pericolosi» alimenti sani e salutari e che fanno parte della dieta mediterranea, andrebbero a favorire prodotti artificiali, promuovendo paradossalmente cibi «spazzatura» con edulcoranti al posto dello zucchero, e metterebbero all'indice prodotti come l'olio d'oliva ma anche specialità come il Grana Padano, il Parmigiano reggiano e il prosciutto di Parma, perché considerati ingiustamente insalubri;

   trincerandosi dietro la tutela della salute dell'uomo e la prevenzione da malattie cardiovascolari con l'utilizzo di questi sistemi, ad avviso degli interroganti, si potrebbe celare un voler indirizzare invece i comportamenti e i consumi dei cittadini verso prodotti di minor qualità con il rischio, non solo di mettere in pericolo la salute dei cittadini, ma anche di generare confusione nei consumatori e anche mettere in difficoltà il sistema produttivo di qualità del made in Italy;

   l'Italia, in base ad una stima approssimativa, da questo modello di «nutri-score» vedrebbe quasi l'85 per cento della propria produzione agroalimentare considerata come dannosa;

   è necessario mantenere alta l'attenzione su tutte quelle iniziative ancorate ai sistemi di etichettatura volti a penalizzare la promozione delle produzioni italiane e della stessa dieta mediterranea nei mercati esteri. Nel 2018 il made in Italy agroalimentare ha messo a segno un nuovo record delle esportazioni a 41,8 miliardi di euro –:

   quali iniziative urgenti, per quanto di competenza, intendano intraprendere, nelle opportune sedi, per fare chiarezza al riguardo e difendere il made in Italy agroalimentare e la salute dei cittadini italiani da sistemi di etichettatura che poco o nulla hanno a che fare con la vera tutela dei principi ai quali questi sistemi vorrebbero ispirarsi.
(5-03247)

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


   VIVIANI e GAGLIARDI. — Al Ministro per la pubblica amministrazione, al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   la società in house è una società dotata di autonoma personalità giuridica che presenta connotazioni tali da giustificare la sua equiparazione a un «ufficio interno» dell'ente pubblico che l'ha costituita, una sorta di longa manus dell'amministrazione stessa; non sussiste tra l'ente e la società un rapporto di alterità sostanziale, ma solo formale;

   l'ente che crea dette società è legittimato a disporre affidamenti diretti nei loro confronti, senza previo espletamento di gare; ciò in quanto, nella sostanza, non si tratta di un effettivo «ricorso al mercato» (outsourcing), ma di una forma di «autoproduzione» o, comunque, di erogazione di servizi pubblici direttamente ad opera dell'amministrazione, attraverso strumenti propri, come recentemente confermato dal Consiglio di Stato;

   nelle strutture sanitarie, in particolare per gli operatori socio-sanitari, l'inquadramento lavorativo si presenta disomogeneo e instabile, in quanto gli ospedali si avvalgono in alcuni casi di cooperative esterne per il reclutamento di detto personale, stipulando un apposito contratto ai fini dell'erogazione del servizio richiesto;

   tale situazione può determinare ricadute negative in capo alle amministrazioni sul piano della gestione delle risorse economiche e della mancata garanzia dei requisiti minimi di qualità del servizio esternalizzato;

   non è chiaro se alle suddette criticità si possa ovviare attraverso la costituzione di società in house idonee all'erogazione di tale servizio, internalizzando il personale esterno assunto presso le ditte appaltatrici;

   all'erogazione di servizi sanitari attraverso società in house sembrerebbe ostare la previsione di cui all'articolo 9-bis, comma 4, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, che vieta alle aziende sanitarie di costituire società di capitali aventi per oggetto sociale lo svolgimento di compiti diretti di tutela della salute; ai sensi dell'articolo 5, comma 5, della legge 11 gennaio 2018, n. 3, gli operatori socio-sanitari rientrano infatti nell'area delle professioni sociosanitarie;

   la normativa appare peraltro, confusa e la questione è oggetto di un acceso dibattito, come denotano alcune decisioni della giurisprudenza ordinaria e amministrativa, per cui sarebbe possibile derogare alla regola del concorso pubblico, in quanto le società in house, pur essendo sul piano sostanziale mere articolazioni della pubblica amministrazione, non cessano di essere società di diritto privato sul piano formale –:

   se, a fronte dei molteplici richiami normativi che disciplinano in modo diacronico la materia in questione, i Ministri interrogati intendano adottare iniziative per chiarire quale sia la corretta interpretazione delle disposizioni vigenti, anche alla luce degli orientamenti giurisprudenziali sul punto;

   se l'assunzione del personale nelle società in house possa avvenire senza concorso pubblico e se alla specifica categoria degli operatori socio-sanitari sia preclusa l'assunzione nelle aziende sanitarie locali attraverso la costituzione di società in house.
(4-04260)

SALUTE

Interrogazioni a risposta scritta:


   IORIO, MENGA e NAPPI. — Al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   dalla metà degli anni ’50 fino alla metà degli anni ’60, in Italia, è stato oggetto di commercializzazione un farmaco denominato Talidomide, somministrato, prevalentemente, alle donne incinte, per attenuare i disturbi associati alla gravidanza. Nella seconda metà degli anni ’60, rilevata la teratogenicità di tale farmaco, assodato che la somministrazione dello stesso è stata la causa di malformazioni gravissime sui feti, traducendosi in fenomeni come l'amelia o diversi tipi di focomelia, è stato ritirato dal commercio;

   comma 363, della legge n. 244 del 2007, ha previsto l'erogazione di un indennizzo a favore dei soggetti affetti da sindrome da talidomide, nati dal 1959 al 1965. Con l'articolo 2, comma 1, del decreto ministeriale n. 163 del 2009 è stato disposto che i soggetti che intendono ottenere l'indennizzo, possono presentare domanda entro il termine di dieci anni dalla data di entrata in vigore della legge n. 244 del 2007; con il comma 1, dell'articolo 21-ter del decreto-legge n. 133 del 2016 – convertito dalla legge n. 160 del 2016 – e stato previsto lo stesso indennizzo anche per soggetti nati nel 1958 e nel 1966, a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione;

   con la sentenza n. 55 del 2019, la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità del succitato comma 1 dell'articolo 21-ter, nella parte in cui l'indennizzo è riconosciuto dalla data di entrata in vigore della legge n. 160 del 2016 anziché dalla data di entrata in vigore della legge n. 244 del 2007, rilevando una evidente ed ingiustificata disparità di trattamento tra le due categorie di soggetti, e perciò lesiva dell'articolo 3 della Costituzione;

   la Corte costituzionale, nell'affermare che la misura prevista, ovverosia l'indennizzo, presenta natura assistenziale, basandosi sui princìpi di solidarietà collettiva, alla stregua degli articoli 2 e 38 della Costituzione, considerando il necessario bilanciamento tra esigenza di tutela del diritto al sostegno assistenziale, da una parte, e la garanzia del mantenimento dell'equilibrio nella gestione delle risorse finanziarie disponibili, dall'altra, ha ritenuto idoneo censurare la previsione di cui al suddetto articolo 21-ter, comma 1;

   è evidente che la Corte costituzionale ha ritenuto la misura assistenziale de qua meritevole di una particolare tutela, prevalente e sovraordinata rispetto a tutti gli altri elementi di natura costituzionale in gioco, compresi quelli finanziari. Pertanto, detto principio sarebbe da applicarsi anche nel caso in cui i soggetti nati tra il 1959 e il 1965, per qualsiasi ragione, non abbiano presentato domanda entro il suddetto termine decennale. Infatti, essendo tale indennizzo previsto per i cittadini che versano in una situazione di bisogno, come detto, meritevole di una particolare tutela, prevalente e sovraordinata rispetto a tutti gli altri elementi di natura costituzionale in gioco, compresi quelli finanziari, così come sancito dalla Corte, non si ravvisa alcuna motivazione logica che possa giustificare il suddetto termine decennale;

   alla luce dell'attuale quadro normativo e giurisprudenziale, ci si trova nella paradossale situazione in cui i nati nel 1958 e nel 1966, possono fare domanda per l'ottenimento dell'indennizzo, nonché degli arretrati a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge n. 244 del 2007, mentre ai nati tra il 1959 e il 1965 è ormai precluso totalmente l'esercizio del diritto all'allontanamento dell'indennizzo nonché dei relativi arretrati –:

   se, alla luce delle criticità rilevate, si intendano assumere le iniziative normative del caso per provvedere all'abrogazione e/o alla modifica del comma 1 dell'articolo 2 del decreto ministeriale 2 ottobre 2009, n. 163, nella parte in cui è previsto il termine decennale, al fine di garantire l'indennizzo previsto dalla legge a tutti i soggetti affetti da sindrome da talidomide, nati dal 1959 al 1965.
(4-04255)


   NOVELLI, BARTOLOZZI e SANDRA SAVINO. — Al Ministro della salute, al Ministro per le pari opportunità e la famiglia. — Per sapere – premesso che:

   secondo l'Organizzazione mondiale della sanità (Oms) le mutilazioni genitali femminili sono «forme di rimozione parziale o totale dei genitali femminili esterni o altre modificazioni indotte agli organi genitali femminili, effettuate per ragioni culturali o altre ragioni non terapeutiche»;

   le mutilazioni costituiscono un atto estremamente traumatico e hanno gravi conseguenze sulla salute delle bambine e delle giovani ragazze che le subiscono;

   le mutilazioni sono principalmente diffuse presso gruppi ed etnie dei Paesi dell'Africa subsahariana e della penisola arabica, ma sono praticate anche in Europa e in Italia, per effetto dell'immigrazione;

   secondo l'Oms sono dai 100 ai 140 milioni le donne nel mondo sottoposte a mutilazioni, le bambine sottoposte a tali pratiche sarebbero, ogni anno, circa 3 milioni;

   si conoscono vari tipi di mutilazioni genitali femminili con diversi livelli di gravità, di cui la più radicale è comunemente chiamata infibulazione;

   secondo la legge 9 gennaio 2006, n. 7, «Disposizioni concernenti la prevenzione e il divieto delle pratiche di mutilazioni genitali femminile», chiunque pratichi in Italia la mutilazione genitale femminile è punito con la reclusione da 4 a 12 anni, pena aumentata di un terzo se la mutilazione viene compiuta su una minorenne o per fini di lucro;

   il Ministero della salute, in base alla citata legge, ha emanato le linee guida destinate alle figure professionali sanitarie e alle altre figure professionali che operano con le comunità di immigrati provenienti da Paesi dove sono effettuate le pratiche di mutilazione genitale per realizzare un'attività di prevenzione, assistenza e riabilitazione delle donne e delle bambine già sottoposte a tali pratiche;

   la legge prevede anche l'istituzione di un numero verde dedicato alle vittime di mutilazione, l'avvio di programmi di cooperazione internazionale sul tema e la predisposizione di campagne informative –:

   quanti siano i casi di mutilazioni genitali femminili riscontrati in Italia negli ultimi anni;

   se il Governo a 13 anni dall'entrata in vigore della legge 9 gennaio 2006, n. 7 intenda adottare le iniziative di competenza per delineare un bilancio della sua applicazione e verificare se essa sia sufficiente a contrastare il fenomeno delle mutilazioni genitali femminili;

   se le linee guida emanate dal Ministero della salute abbiano trovato effettiva applicazione e come;

   quale sia l'attuale livello di finanziamento per l'attuazione delle disposizioni di cui alla legge 9 gennaio 2006, n. 7, e quali siano le previsioni per il futuro.
(4-04257)