Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Resoconto dell'Assemblea

Vai all'elenco delle sedute

XVIII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 26 settembre 2018

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,

   premesso che:

    il progetto del gasdotto TAP – «Trans Adriatic Pipeline» – è finalizzato al trasporto di gas naturale dalla regione del Mar Caspio all'Europa Occidentale e Sud-orientale, attraverso il «Corridoio meridionale del gas» (Southern Gas Corridor o Sgc). Il gasdotto, con origine in Grecia, attraversa l'Albania ed il Mare Adriatico per approdare in Italia meridionale sulla costa pugliese in prossimità del comune di Melendugno (Lecce);

    il suddetto «Corridoio meridionale del gas» attraversa sette Paesi e prevede la creazione di tre reti di gasdotti: il South Caucasus Pipeline (Azerbaijan, Georgia, Turchia), il Trans Anatolian Pipeline (Turchia) e appunto il TAP – «Trans Adriatic Pipeline» (Grecia, Albania, Italia). Il Tap rappresenta quindi una continuazione dei gasdotti SCP (South Caucasus Pipeline) e Tanap (Trans Anatolian Pipeline);

    il gasdotto Tap noto anche come Gasdotto Trans-Adriatico, fa quindi parte del suddetto Corridoio meridionale del gas. Si tratta di un insieme di progetti di infrastrutture parzialmente finanziati dall'Unione europea e destinati a incrementare la diversificazione delle fonti e la sicurezza degli approvvigionamenti, grazie al trasporto di nuovo gas naturale, proveniente dall'Asia centrale. È dunque un pezzo, quello finale, di un progetto più ampio: un gasdotto lungo complessivamente quasi 4 mila chilometri, di cui il tracciato TAP in senso stretto si snoderà lungo circa 870 chilometri – di cui 545 chilometri in Grecia, 211 chilometri in Albania, 105 chilometri nell'Adriatico e 8 chilometri in Italia;

    l'opera è già realizzata per oltre il 75 per cento. Mentre però in Grecia e in Albania i lavori da tempo sono in fase avanzatissima (tra Grecia e Albania il 95 per cento dei tubi sono stati già saldati e tirati sul terreno), i lavori del in Italia sono in deciso ritardo;

    i numeri dell'opera sono considerevoli: 40 miliardi di dollari di investimento nel corridoio meridionale del gas; 4,5 miliardi di euro nel tratto Turchia-Grecia-Albania; 400 milioni in Italia; 1,5 miliardi di finanziamento dalla Bei, la banca europea per gli investimenti (in quanto il gasdotto rientra tra i progetti energetici strategici dell'Unione europea; fino ad altri 500 milioni dalla Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (Bers);

    si prevede che l'apertura e l'operatività del Corridoio Sud sarà probabilmente intorno al 2020, con l'arrivo del gas azero attraverso il Tap per circa 8,8 miliardi di metri cubi aggiuntivi, e attraverso una rotta del tutto indipendente da quelle attuali di fornitura all'Italia. Saranno 8,8 miliardi di metri cubi di gas prodotto dai giacimenti ShahDeniz in Azerbaijan e vincolati da contratti long-term della durata di 25 anni;

    il Tap, consentirà quindi l'importazione di circa 8,8 miliardi di metri cubi di gas azero in Italia, con un potenziale incremento di capacità per ulteriori 10 miliardi di metri cubi;

    il gas naturale serve in Italia oltre 23 milioni di consumatori, e il sistema infrastrutturale italiano del gas è sviluppato su oltre 290.000 chilometri di reti e quasi 17 miliardi di metri cubi di stoccaggio. L'Italia è il terzo mercato europeo del gas per consumi. Peraltro, il mercato italiano delle auto a metano è il più sviluppato in Europa, con quasi 1 milione di veicoli (oltre il 75 per cento del totale europeo);

    riguardo allo sviluppo di nuove infrastrutture di import via gasdotto, la Strategia energetica nazionale 2017 (Sen), adottata con il decreto ministeriale 10 novembre 2017, definisce strategico il progetto Tap, anche come infrastruttura che può aiutare a migliorare la sicurezza complessiva degli approvvigionamenti per l'Italia;

    analizzando la sicurezza degli approvvigionamenti e le potenziali criticità derivanti da eventuali interruzioni delle forniture di gas dagli attuali Paesi esportatori verso l'Italia, la Sen 2017 evidenzia come «la dipendenza dalla Russia del sistema energetico italiano è aumentata nel tempo: dei 65,3 miliardi di metri cubi importati nel 2016 (+6,7 per cento rispetto al 2015), la Russia fornisce circa il 41,3 per cento (pari a circa 27 miliardi di metri cubi), equivalenti ad un peso sui consumi complessivi nazionali di gas del 38 per cento»;

    nel caso di una sospensione totale e prolungata delle importazioni dalla Russia (ad esempio, per blocco o incidente rilevante degli attuali gasdotti) il gasdotto Tap, è tra le possibili fonti di fornitura alternativa;

    per aumentare la sicurezza delle forniture di gas, nel luglio del 2014 il Ministero dello sviluppo economico ha quindi autorizzato l'importazione del gas azero in Italia per 25 anni attraverso i gasdotti Tanap e Tap, a partire dal 2020, tramite il Consorzio la società svizzera Axpo;

    il procedimento di valutazione di impatto ambientale (Via) relativo a tale infrastruttura si è concluso l'11 settembre 2014 con l'emanazione di un decreto positivo di compatibilità ambientale, poi modificato con un decreto del 16 aprile 2015 e, successivamente, il progetto è stato autorizzato dal Ministero dello sviluppo economico. Il decreto di Via, pur positivo, è comunque condizionato al rispetto di un articolato e complesso quadro prescrittivo;

    il gasdotto Tap ha quindi avviato i lavori nel primo semestre del 2016, dopo aver completato la fase di aggiudicazione dei contratti di appalto;

    la realizzazione del gasdotto consentirà certamente all'Italia di aumentare la sicurezza di approvvigionamento, la diversificazione delle fonti e la concorrenza all'interno del sistema nazionale. In definitiva, aumenterà il livello di sicurezza nazionale di un Paese come il nostro strutturalmente dipendente dalle fonti energetiche estere, favorendo la riduzione dei costi dell'energia per imprese e famiglie e la competitività;

    va considerato che l'eventuale mancata realizzazione dell'opera costituirebbe quindi un grave danno per l'Italia, perché bloccherebbe il processo di diversificazione delle fonti energetiche, in un Paese in cui l'attuale livello dei prezzi medi del gas naturale è del 10 per cento più alto dei prezzi del Nord Europa. Sotto questo aspetto, quindi, la realizzazione del Tap comporterebbe un importante risparmio in bolletta per le famiglie;

    peraltro il gasdotto, che consentirà, come si è visto, l'importazione di circa 8,8 miliardi di metri cubi di gas, raddoppiabili, contribuisce a contenere l'impatto negativo della produzione di energia sull'ambiente e sulla salute delle persone, in virtù delle ridotte emissioni del gas naturale rispetto alle sue alternative fossili;

    il gas naturale assume un ruolo chiave e decisivo nella transizione energetica verso la decarbonizzazione, stante la crescita delle rinnovabili, in quanto è una fonte di energia meno inquinante rispetto a carbone e petrolio. Già oggi, in media, una centrale a gas emette la metà dell'anidride carbonica di una centrale a carbone, a parità di produzione;

    il processo di decarbonizzazione farà sì che nei prossimi anni i consumi di gas aumenteranno, e le centrali elettriche a gas saranno quelle che più aiuteranno la rivoluzione energetica verso la totale uscita dal carbone basata sulle fonti rinnovabili;

    se gli investimenti nelle fonti di energia rinnovabili sono decisivi nei prossimi anni per poter stabilizzare l'aumento della temperatura media globale ben sotto i 2 °C, con sforzi aggiuntivi per arrivare +1,5 °C, come prescritto dall'accordo di Parigi del dicembre 2015, il ruolo del gas naturale è e sarà oggettivamente decisivo ancora per molti lustri, proprio in quanto è la fonte fossile di transizione più sostenibile e meno inquinante, e genera emissioni inferiori rispetto agli altri combustibili fossili;

    sono peraltro state fatte anche stime – soggette a importanti variazioni – del costo del ritiro dell'impegno nazionale rispetto al gasdotto: tra i 40 e i 70 miliardi di euro, secondo quelle della Socar (ente energetico dell'Azerbaijan) e della Bp, entrambe partner della cordata che sta realizzando il Corridoio meridionale del gas. Una valutazione che considera anche i costi di approvvigionamento maggiori e mancato gettito fiscale per il nostro Paese. Ma anche considerando stime più prudenziali, si valutano comunque in almeno 15 miliardi di euro, i danni per un eventuale ritiro dall'Italia dalla Tap e per i mancati profitti;

    il gasdotto Tap è stato fin dal principio un progetto contrastato e contestato, fatta di battaglie politiche, opposizione di buona parte delle popolazioni coinvolte, scontri legali, denunce, sequestri di cantieri, fino agli esposti per presunta violazione della «direttiva Seveso» sul controllo dei pericoli di incidenti rilevanti in determinate attività industriali;

    certamente ad amplificare i contrasti, ha contribuito il fatto che in questi anni è stato insufficiente il confronto con le comunità locali, e molte decisioni che riguardano il loro territorio sono state troppo spesso calate dall'alto, e sono stati sottovalutati il necessario monitoraggio e coinvolgimento, e la capacità di ascoltare le istanze dei territori, e le loro rimostranze e preoccupazioni. Contrasti acuiti anche dall'inevitabile impatto ambientale dell'infrastruttura, e ancor di più dalla bellezza naturalistica del luogo di approdo del gasdotto, una costa che – tra l'altro – vive di turismo;

    ancora una volta, e anche riguardo all'infrastruttura Tap, il Governo conferma di non avere una posizione chiara e univoca al suo interno, e così la maggioranza che lo sostiene. Vi è ancora una volta quella che appare ai firmatari del presente atto di indirizzo una totale imbarazzante indeterminatezza, e l'assenza di una posizione condivisa sulle scelte da compiere e le decisioni da prendere, con contraddittorie dichiarazioni espresse in questi mesi;

    nel corso della conferenza stampa ufficiale, al termine dell'incontro bilaterale con il Presidente degli Stati Uniti d'America, Donald Trump, tenutosi alla Casa Bianca nel mese di luglio 2018, il Presidente del Consiglio ha avuto modo di definire il Gasdotto Trans-Adriatico (TAP) come «un'opera strategica per quanto riguarda l'approvvigionamento energetico del nostro Paese e del Mediterraneo»;

    il Vice Presidente del Consiglio e Ministro del lavoro e delle politiche sociali e dello sviluppo economico, Luigi Di Maio, ha quindi sostenuto l'esatto contrario di quanto espresso dal Premier, affermando – nel corso di un intervento alla Fiera del Levante a Bari – che «Il Movimento Cinque Stelle era ed è contrario al TAP»;

    a ciò si aggiunga che il Ministro per il Sud, Barbara Lezzi, si è spesa senza riserve nella causa «No TAP» e, ancora recentemente, ha sostenuto che «il TAP non è un genere di investimento che serve all'Italia e che non porterà significativi vantaggi al popolo italiano»;

    il Presidente del Consiglio ha già effettuato alcuni incontri con le istituzioni locali e i tecnici, promettendo di «garantire una verifica presso i ministeri competenti della procedura sin qui seguita»;

    nel mese di giugno 2018, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Sergio Costa, sempre con riguardo al progetto TAP, in un'intervista con l'agenzia internazionale di stampa Reuters dichiarava che «il fascicolo TAP è sul tavolo (...). Il presupposto è che vista la strategia energetica, visti i consumi di gas in calo, quell'opera oggi appare inutile», aggiungendo inoltre che l'opera «sarà revisionata, così come prescritto nel contratto, come le altre opere di concerto con altri ministeri»;

    al di là del fatto che – contrariamente a quanto dichiarato dal Ministro Costa – nel «contratto di governo» non vi è alcun riferimento all'infrastruttura, anche i dati reali sul consumo di gas contraddicono quanto dichiarato dal Ministro. Al contrario di quanto affermato dal Ministro Costa infatti, nel 2017 i consumi italiani sono stati di 75,1 miliardi di metri cubi, pari a un sostenuto aumento della domanda del +6 per cento rispetto al 2016. E anche per i primi quattro mesi del 2018, la tendenza complessiva indica che la domanda è in crescita del +1,8 per cento Rispetto ai primi quattro mesi del 2017,

impegna il Governo:

1) alla luce delle posizioni contrastanti presenti all'interno della compagine di Governo, a chiarire quanto prima quale sia la posizione dell'Esecutivo in merito alla realizzazione del Gasdotto Trans-Adriatico (TAP);

2) a garantire la prosecuzione e la conclusione della realizzazione dell'intera opera infrastrutturale per l'approvvigionamento di gas naturale, quale opera strategica per sicurezza di approvvigionamento e diversificazione delle fonti energetiche in grado di favorire la riduzione dei costi dell'energia, nonché in considerazione del ruolo chiave del gas naturale nella transizione energetica verso la decarbonizzazione in quanto fonte di energia meno inquinante rispetto agli altri combustibili fossili, carbone e petrolio;

3) a tenere aperto, pur nella necessità di portare a conclusione l'opera nei tempi attualmente previsti, il confronto e il dialogo con le comunità e le istituzioni locali, al fine di consentire la prosecuzione dei lavori del Tap nell'ambito di scelte il più possibile condivise;

4) ad assumere tutte le iniziative necessarie per garantire un sensibile incremento delle misure di compensazione ambientale a favore delle comunità il cui territorio è interessato dalla realizzazione del gasdotto Tap e opere complementari;

5) a monitorare e a garantire che la realizzazione dell'opera avvenga nel pieno rispetto delle prescrizioni ambientali, anche valutando ulteriori iniziative volte alla minimizzazione degli impatti sull'ambiente.
(1-00046) «Gelmini, Carfagna, Occhiuto, D'Attis, Labriola, Elvira Savino, Cortelazzo, Gagliardi, Casino, Giacometto, Mazzetti, Ruffino, Barelli, Bendinelli, Carrara, Della Frera, Fiorini, Polidori, Porchietto, Squeri, Nevi, Marrocco».


   La Camera,

   premesso che:

    sono sempre più ricorrenti le affermazioni circa la presentazione di un disegno di legge da parte del Governo austriaco per conferire la cittadinanza dell'Austria e il relativo passaporto ai cittadini italiani di lingua ladina e tedesca della provincia autonoma di Bolzano;

    il summenzionato disegno di legge sarebbe diretta conseguenza di una lettera inviata alle autorità austriache da 19 consiglieri (su 35) provinciali di Bolzano, i quali affermano che: «gli altoatesini hanno perso la loro cittadinanza austriaca con l'annessione involontaria dell'Alto Adige da parte dell'Italia. Il recupero della cittadinanza sarebbe ora un atto di riparazione»;

    tale iniziativa fu accolta e inserita all'interno del programma della coalizione al Governo dell'Austria. Annunciata dapprima da Werner Neubauer, responsabile della FPÖ per i rapporti con l'Alto Adige, e poi confermata dal vice cancelliere austriaco Heinze Christian Strache, che aveva fatto sapere di voler addirittura fare pressioni per l'autodeterminazione del Südtirol;

    da allora il Governo austriaco ha organizzato una commissione di esperti, che sarebbe, secondo quanto riportato dal quotidiano tirolese Tiroler tageszeitung in data 21 luglio 2018, in procinto di presentare il disegno di legge, annunciato per settembre 2018;

    secondo le indiscrezioni, la doppia cittadinanza sarebbe affidata alla regione amministrativa del Tirolo, con annessa iscrizione al registro elettorale di Innsbruck. Quindi i cittadini di lingua tedesca residenti a Bolzano potrebbero votare per il Parlamento austriaco e anche per il Parlamento europeo in cambio di una tassa che si aggirerebbe intorno ai 660 euro, ma nessun diritto sarebbe concesso ai residenti in Alto Adige per quanto concerne i servizi di welfare o la prestazione del servizio militare o civile;

    a seguito dell'Accordo De Gasperi-Gruber del 1946, da parte italiana fu poi approvato il cosiddetto «pacchetto dell'autonomia» di Bolzano che conteneva il secondo statuto di autonomia, che entrò in vigore il 20 gennaio del 1972 e condusse al modello positivo – universalmente riconosciuto come esempio di cooperazione e dialogo tra gruppi linguistici – dell'Alto Adige. Il riconoscimento dell'autonomia e la tutela delle minoranze sono principi fondamentali della Costituzione italiana, insieme all'unità e all'indivisibilità dello Stato. Il modello di autonomia ha altresì favorito lo straordinario successo economico e sociale della provincia di Bolzano che vanta il prodotto interno lordo pro capite più alto tra le regioni e province italiane;

    esperienza tanto positiva che portò alla chiusura definitiva del contenzioso tra Austria e Italia nell'estate del 1992 in ambito Onu, con la concessione da parte dell'Austria all'Italia della cosiddetta «quietanza liberatoria» con cui Vienna riconosce il pieno adempimento dell'accordo De Gasperi-Gruber;

    un ulteriore passo in avanti fu poi segnato con l'adesione dell'Austria all'Unione europea nel 1995, che condusse alla realizzazione dell'euroregione Tirolo-Alto Adige/Südtirol-Trentino e quindi al definitivo superamento delle frontiere regionali, sostituendo alla separazione la cooperazione interregionale, e facendo diventare così la regione un importante modello per il futuro, non sempre facile, processo di integrazione europea;

    per queste ragioni, le ricorrenti affermazioni circa la presentazione di un disegno di legge da parte del Governo austriaco per conferire la cittadinanza dell'Austria e il relativo passaporto ai cittadini italiani di lingua ladina e tedesca della provincia autonoma di Bolzano, hanno destato preoccupazione,

impegna il Governo:

1) a ribadire, anche nelle sedi dell'Unione europea, i rischi potenziali che potrebbe comportare, per la popolazione di lingua italiana, un'eventuale approvazione della legge austriaca sulla concessione della cittadinanza e del passaporto ai cittadini dell'Alto Adige;

2) a difendere il modello di autonomia e convivenza pacifica instaurato in Alto Adige che ha radici tipiche ed esclusive di questo territorio.
(1-00047) «D'Uva, Molinari».


   La Camera,

   premesso che:

    l'articolo 114, comma 1, della Costituzione, così come modificato dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, recita: "La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato"; il comma 3 del medesimo articolo dispone: «Roma è la Capitale della Repubblica. La legge dello Stato disciplina il suo ordinamento»;

    la riforma del titolo V del 2001 ha altresì mutato il regionalismo italiano prevedendo – all'articolo 116, comma 3, della Costituzione – che la legge dello Stato possa disporre, su iniziativa della regione interessata, ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, nelle sole materie di competenza legislativa concorrente tra Stato e regioni e nei settori dell'organizzazione della giustizia di pace, dell'istruzione, dell'ambiente e dei beni culturali;

    a tal riguardo, ad oggi risultano avanzate richieste di autonomia differenziata da ben 8 regioni;

    la legge 7 aprile 2014, n. 56, ha radicalmente mutato l'ordinamento delle province, attraverso un riordino sia del quadro istituzionale sia delle competenze, disponendo, in particolare, che, nelle more della riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione, le province siano enti territoriali di secondo grado ed abbiano funzioni di area vasta nei settori espressamente indicati dalla medesima legge (pianificazione territoriale provinciale di coordinamento, pianificazione dei servizi di trasporto in ambito provinciale, costruzione e gestione delle strade provinciali, regolazione della circolazione stradale, programmazione provinciale della rete scolastica, raccolta ed elaborazione di dati nonché assistenza tecnico-amministrativa agli enti locali, gestione dell'edilizia scolastica, controllo dei fenomeni discriminatori in ambito occupazionale, promozione delle pari opportunità sul territorio provinciale);

    la legge 5 maggio 2009, n. 42, recante «Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione», all'articolo 24, definisce puntualmente l'ordinamento transitorio di Roma Capitale;

    con il decreto legislativo n. 156 del 2010, che contiene disposizioni recanti attuazione dell'articolo 24 della citata legge n. 42 del 2009, in materia di ordinamento transitorio di Roma Capitale, all'articolo 1, comma 2, si precisa che: «Le norme di cui al presente decreto costituiscono limite inderogabile per l'autonomia normativa dell'Ente e possono essere modificate, derogate o abrogate dalle leggi dello Stato solo espressamente»; ma l'inciso più cogente è rappresentato dall'espressione del principio sul decentramento di cui all'articolo 3, comma 5, secondo periodo: «Lo statuto disciplina, nei limiti stabiliti dalla legge, i municipi di Roma Capitale, quali circoscrizioni di decentramento, in numero non superiore a quindici, favorendone l'autonomia amministrativa e finanziaria»;

    Roma Capitale ha approvato lo statuto con deliberazione dell'Assemblea capitolina n. 8 del 7 marzo 2013;

    il regolamento del decentramento amministrativo, approvato con deliberazione n. 10 dell'8 febbraio 1999 dal consiglio comunale, ha assunto il compito di disciplinare in modo razionale le competenze attribuite ai municipi, considerate le diramazioni territoriali dell'amministrazione capitolina;

    il contratto per il Governo del cambiamento ha recepito le criticità della Capitale dovute principalmente all'obsolescenza dell'attuale assetto normativo e per tale ragione si è deciso di rimodernare il «disegno attuativo delle disposizioni costituzionali su Roma Capitale (articolo 114 della Costituzione), con legge dello Stato», anche attraverso «un nuovo patto tra la Repubblica e la sua Capitale, restituendole nuova e definitiva dignità»;

    concretamente l'attuale amministrazione capitolina ha operato scelte orientate al migliore funzionamento della cosiddetta «macchina amministrativa» mediante l'approvazione da parte dell'Assemblea capitolina della mozione n. 62 del 31 maggio 2018, la quale impegna la sindaca e la giunta: «a realizzare la sperimentazione di nuove forme di decentramento municipale anche attraverso le attività e il supporto dell'Osservatorio sul decentramento nonché della Consulta dei presidenti, l'attuazione di “progetti di decentramento speciale” presentati dai singoli municipi», nonché a «promuovere la più ampia forma di decentramento anche nell'ambito delle sperimentazioni necessarie in attuazione degli articoli 5 e 114 della Costituzione della Repubblica italiana»;

    allo scopo di attuare un serio piano di miglioramento delle criticità operative che di fatto impediscono la fluida realizzazione degli obiettivi indicati nelle linee programmatiche capitoline, l'Assemblea di Roma Capitale ha ulteriormente provveduto ad approvare l'ordine del giorno n. 49 in data 31 luglio/1° agosto 2018, con l'obiettivo di snellire e migliorare l'assetto amministrativo di Roma;

    appare pertanto necessario e urgente far ripartire un serio dibattito nelle sedi istituzionali nazionali sul futuro della capitale d'Italia; un dibattito costruttivo, programmatico e non dettato dal carattere emergenziale, come è accaduto negli ultimi anni quando si è parlato della città di Roma. Un dibattito che prosegua nel solco tracciato dall'attuale programma capitolino e che tenga conto delle specifiche criticità che si rilevano nel complesso tessuto economico e sociale della capitale;

    l'articolo 4, comma 2, del decreto legislativo 17 settembre 2010, n. 156 («Disposizioni recanti attuazione dell'articolo 24 della legge 5 maggio 2009, n. 42, in materia di ordinamento transitorio di Roma»), dispone che: «Il sindaco di Roma Capitale può essere udito nelle riunioni del Consiglio dei ministri all'ordine del giorno delle quali siano iscritti argomenti inerenti alle funzioni conferite a Roma Capitale»,

impegna il Governo:

1) ad adottare tutte le iniziative necessarie al fine di garantire un rafforzamento dell'ordinamento di Roma Capitale in attuazione dell'articolo 114, terzo comma, della Costituzione, a partire dal decentramento amministrativo e dal ruolo dei municipi, in attuazione dell'articolo 5 della Costituzione;

2) ad adottare iniziative per realizzare un progetto di rilancio di Roma Capitale e della macchina amministrativa capitolina, attraverso un'azione normativa idonea al potenziamento del ruolo della città di Roma quale capitale della Repubblica;

3) ad avviare, preliminarmente alla realizzazione di un progetto di rilancio, un approfondimento nelle opportune sedi in ordine ai principali conflitti di competenza tra Roma Capitale, regione Lazio, Città metropolitana di Roma Capitale e Stato e le problematiche relative all'attuazione e all'applicazione delle disposizioni relative all'ordinamento di Roma Capitale;

4) a valutare l'opportunità di coinvolgere il sindaco di Roma Capitale nelle riunioni del Consiglio dei ministri all'ordine del giorno delle quali siano iscritti argomenti inerenti – a vario titolo – alle funzioni conferite a Roma Capitale;

5) ad implementare, attraverso le iniziative di competenza, la riforma del federalismo fiscale al fine di completare l'attuazione dell'articolo 119 della Costituzione, che prevede non soltanto l'equilibrio dei bilanci degli enti locali e territoriali, nel rispetto dei vincoli economici e finanziari derivanti dall'ordinamento dell'Unione europea, ma anche l'autonomia di entrata e di spesa;

6) ad adottare ogni iniziativa di competenza al fine di attuare l'articolo 116, terzo comma, della Costituzione, con particolare riferimento alle iniziative di autonomia differenziata già avanzate dalle regioni;

7) ad adottare iniziative per riformare l'ordinamento degli enti locali al fine di armonizzare le disposizioni vigenti in materia con la riforma costituzionale del titolo V della parte seconda della Costituzione, in un quadro di efficienza e di funzionalità.
(1-00048) «Francesco Silvestri, De Angelis, Massimo Enrico Baroni, Gerardi, Baldino, Saltamartini, Daga, Zicchieri, De Toma, Flati, Frusone, Mariani, Ruocco, Salafia, Tuzi, Vignaroli».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, per sapere – premesso che:

   a distanza di centodieci anni ancora esiste una delle più vecchie baraccopoli del nostro Paese, pesante eredità del terremoto che nel 1908 aveva duramente colpito Messina. Un reticolato di baracche e unità abitative «provvisorie», malsane, coperte da eternit che sprigionano letali fibre d'amianto, senza fognature e senza alcun servizio o quasi, e che si è andato estendendo negli anni;

   si tratta di insediamenti dove vivono 6.400 persone in situazione di condizioni di estremo degrado. Una vera e propria emergenza igienico-sanitaria e sociale;

   gli ambiti territoriali di risanamento sui quali insistono le costruzioni sono quelli individuati dai vecchi piani particolareggiati redatti all'indomani della legge n. 10 del 1990: Annunziata, Giostra-Ritiro-Tremonti, Camaro, Fondo Saccà, Bordonaro-Gazzi-Taormina, Santa Lucia;

   i citati ambiti territoriali hanno un'estensione di circa 230.770 metri quadrati, e sulla base dei dati ricavati dalla relazione del comune di Messina relativi al censimento effettuato nell'agosto del 2018, in detti ambiti vivono oltre 2.100 famiglie pari a 6.400 persone;

   la situazione socio-sanitaria e ambientale dei citati insediamenti è gravissima: aree fortemente degradate; rifiuti abbandonati sul suolo pubblico; scarichi fognari a cielo aperto; costruzioni precarie e baracche senza i minimi requisiti igienici ed edilizi, spesso con tettoie in cemento-amianto o in lamiera; presenza diffusa di ratti. L'interno delle numerose costruzioni non rispetta i requisiti minimi previsti per gli ambienti abitativi;

   l'azienda sanitaria provinciale di Messina ha evidenziato come moltissime costruzioni siano ricoperte da onduline in cemento amianto in avanzato stato di deterioramento;

   in conseguenza della gravissima situazione igienico-sanitaria-ambientale, il sindaco di Messina, Cateno De Luca, ha emanato un'ordinanza contingibile e urgente (n. 163 del 6 agosto 2018) per lo sgombero e la demolizione di tutte le strutture abitative che insistono negli ambiti di risanamento;

   entro il 31 ottobre 2018, il suddetto sgombero dovrà riguardare tutte le persone e cose da tutte le strutture abitative che insistono negli ambiti di risanamento e la contestuale recinzione, messa in sicurezza e vigilanza dei siti. Contestualmente, l'ordinanza ha previsto anche la demolizione, entro il 31 dicembre 2018, di qualsiasi manufatto che insiste negli ambiti individuati;

   il 19 settembre 2018, la giunta regionale siciliana ha approvato la richiesta di dichiarazione dello stato di emergenza socio-sanitaria ambientale riguardante le suddette zone di risanamento –:

   se, alla luce della gravissima situazione socio-sanitaria e ambientale che interessa i suddetti ambiti territoriali di Messina, il Governo non intenda deliberare al più presto lo stato di emergenza di rilievo nazionale, ai sensi dell'articolo 24 del decreto legislativo 2 gennaio 2018, n. 1.
(2-00119) «Germanà, Siracusano, Prestigiacomo, Bartolozzi, Minardo, Scoma».

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VII Commissione:


   FUSACCHIA e CAIATA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:

   le recenti vicende che hanno interessato l'ambito delle squadre di Lega-Pro sono state acutizzate anche dalla confusione generata dal susseguirsi di ricorsi alle contrastanti sentenze dei diversi collegi, concernenti i ripescaggi;

   tale situazione ha determinato innegabili pesanti conseguenze in relazione all'avvio del campionato, incidendo negativamente sia sul funzionamento che sull'immagine delle società coinvolte;

   l'assenza di un'adeguata disciplina per un'efficace regolamentazione del semiprofessionismo nelle squadre di Lega-pro ha ulteriormente gravato sullo stato di salute delle medesime società –:

   quali iniziative normative e di altra natura intenda adottare per rendere la giustizia amministrativa sportiva più efficiente, superando così le incongruenze presenti nell'ambito del campionato di Lega-Pro, regolamentando il semiprofessionismo e agevolando le squadre di Lega-Pro, sulle quali gravano onerosi costi sociali, in modo da garantire la loro sopravvivenza.
(5-00540)


   BELOTTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:

   il calcio professionistico italiano versa da tempo in una situazione di crisi, culminata nei mesi scorsi con la mancata qualificazione al Mondiale 2018 disputatosi in Russia;

   questo pesantissimo flop sportivo è solo una delle gravi conseguenze dello stato di precarietà che caratterizza il mondo del calcio professionistico e dilettantistico in Italia, che vede continui fallimenti delle società di calcio, anche importanti, come si è visto nei mesi scorsi con la FC Bari 1908 che ha dato l'addio al calcio professionistico dopo 110 anni di storia; il Cesena è invece fallito dopo 78 anni, a causa di un debito economico enorme, 73 milioni di euro, dei quali circa 40 con l'erario, e poi ancora la Lucchese, il Trapani e la Reggiana;

   negli ultimi anni altri fallimenti celebri hanno riguardato, solo per citare realtà che hanno militato in serie A e B: Parma, Como, Latina, Mantova, Messina, Modena, Vicenza, Reggina, Venezia, Padova, Varese, Siena, Treviso, Trieste, Taranto, Arezzo, Mantova;

   negli ultimi 15 anni sono ben 147 le società professionistiche di calcio fallite con montagne di debiti mai prima rilevati, non iscritte per fidejussioni non conformi, sotto processo per gravi illeciti annullati per vizi di procedura;

   si tratta di un numero impressionante di società che ha creato sconforto e rabbia in migliaia di tifosi, visto che queste squadre rappresentano un simbolo identitario importante per le proprie comunità;

   la giustizia sportiva e quella amministrativa si sono dimostrate incapaci di dare risposte definitive sulle ammissioni e sui ripescaggi, con conseguenti pesanti risvolti economici per le società interessate;

   troppo spesso, nella più totale confusione, si riscrivono calendari e classifiche a colpi di sentenze, con società che spariscono per poi ricomparire in Eccellenza, nei Dilettanti o in Serie C, con nome e gagliardetto nuovo, svilendo l'aspetto sportivo;

   anche la Serie B in questa stagione sta vivendo una situazione di totale caos con il campionato, ormai alla terza giornata, nei giorni scorsi sospeso dal Tar, con provvedimento revocato il giorno seguente e in attesa di una nuova decisione nelle prossime ore;

   recentemente anche il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega allo sport, secondo quanto riferito dalla stampa, ha auspicato un intervento del collegio di garanzia in mancanza del quale ha prospettato la necessità di iniziative normative –:

   quali iniziative il Governo intenda adottare, per quanto di competenza, per porre rimedio a quelle che appaiono all'interrogante situazioni di totale caos, che ormai si ripetono ogni anno, minando la credibilità dei campionati di calcio più importanti, al fine di ristabilire la certezza del diritto.
(5-00541)


   MOLLICONE e FRASSINETTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:

   lo sport è unanimemente riconosciuto come elemento qualificante di qualsiasi contesto sociale, capace di creare aggregazione, socialità, condivisione e di svolgere, in particolare nei più giovani, un ruolo altamente educativo;

   la necessità di dotarsi di strutture adeguate è quanto mai sentita nel nostro Paese (non soltanto nelle zone maggiormente depresse), visti i ritardi accumulati nel corso degli anni e l'assenza di una qualsivoglia strategia che mettesse al centro, al di là dei legittimi interessi dello sport professionistico, la pratica di base dello sport;

   la valorizzazione degli enti di promozione sportiva – e la conseguente collaborazione istituzionale con gli stessi – risulta fondamentale per la diffusione capillare dello sport, e iniziative in questa direzione sono auspicabili, soprattutto nei territori dove c'è carenza di strutture e di attività sportive;

   è necessario, come elemento per predisporre interventi mirati, il completamento nel più breve tempo possibile del censimento di tutti gli impianti sportivi, al fine di valutarne le finalità, il reale utilizzo, ma soprattutto lo stato, viste l'obsolescenza e pericolosità di diverse strutture; tale censimento permetterebbe, inoltre, di pianificare al meglio gli interventi nei territori, evitando inutili riproposizioni di strutture già esistenti a scapito magari di altre effettivamente necessarie;

   il sottosegretario Giorgetti nella sua audizione di fronte alle Commissioni cultura di Camera e Senato, in merito al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 28 marzo 2018 relativo al credito d'imposta per l'ammodernamento degli impianti calcistici, ha affermato che il Governo intende «allargare a tutti gli impianti sportivi la possibilità di avere questa forma di incentivo»;

   nella stessa sede il sottosegretario, a proposito del bando «sport e periferie», ha annunciato di voler creare «un meccanismo di cofinanziamento, insieme al Credito sportivo, superando il contributo a fondo perso, e chiedendo una compartecipazione agli enti interessati, in modo da ampliare la massa di finanziamenti a disposizione per quanto riguarda l'impiantistica sportiva. Un'iniziativa aperta, questa volta, anche agli impianti sportivi destinati non all'alto agonismo»;

   da quanto appreso dal sottosegretario Giorgetti «l'istituto di Credito Sportivo, dopo anni e anni di commissariamento, è finalmente operativo» –:

   a che punto sia la ricognizione nazionale delle strutture sportive esistenti e quali siano gli strumenti normativi e la tempistica per mettere a disposizione i fondi necessari all'ammodernamento dei vecchi impianti e alla realizzazione di nuovi.
(5-00542)


   MARIN, APREA, CASCIELLO, MARROCCO, PALMIERI e SACCANI JOTTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:

   i giochi olimpici sono la manifestazione sportiva, ma non solo, più importante che ogni 4 anni si svolge a livello mondiale e che l'Italia ha avuto l'onore e l'onere di ospitare una volta nell'edizione estiva, nel 1960 a Roma, e due volte nell'edizione invernale, nel 1956 a Cortina e nel 2006 a Torino;

   è ancora viva in tutto il mondo sportivo italiano la ferita per la mancata candidatura di Roma come sede dei XXXIII Giochi Olimpici e Paralimpici estivi del 2024 in seguito alla decisione esclusivamente politica del sindaco Virginia Raggi e del M5S di ritirare la candidatura della Capitale nonostante il forte sostegno del Comitato Olimpico internazionale (Cio);

   la grande considerazione di cui gode il mondo sportivo italiano all'interno del CIO, dovuta all'autorevolezza dei componenti italiani del Cio, a partire da Franco Carraro e Mario Pescante, insieme al prestigio di cui gode il Coni, fanno sì che l'Italia possa presentare una candidatura apprezzata per i Giochi olimpici e Paralimpici invernali del 2026 e anche che la candidatura fosse apprezzata;

   tale autorevolezza in sede Cio ha permesso che fosse accettato anche il concetto innovativo di candidatura condivisa su un territorio molto ampio, cosiddetta a tre punte, di Torino, Milano e Cortina, le 3 città che si sono inizialmente proposte autonomamente come sede delle Olimpiadi;

   il Governo, fatti salvi i concetti di spesa e di sostenibilità, ha assicurato inizialmente il proprio sostegno anche economico alla candidatura italiana a ospitare i Giochi Olimpici del 2026;

   la città di Torino ha deciso di sfilarsi da questa candidatura cosiddetta a 3 punte, manifestando l'intenzione di voler concorrere da sola, mentre Cortina e Milano sono andate a Losanna alla sede del Cio per presentare la loro candidatura di un progetto a 2 punte con consistenti possibilità di successo;

   nel corso di un'audizione in commissioni riunite Camera e Senato il sottosegretario Giorgetti ha dichiarato che il Governo non sosterrà il progetto di candidatura di Cortina e Milano, affermando che per lui la candidatura dell'Italia alle Olimpiadi invernali del 2026 «è morta qui» –:

   quali siano le motivazioni e le valutazioni che hanno portato il Governo a ritirare nel giro di pochi giorni il proprio sostegno al progetto di candidatura condivisa, considerato che era già stata espressa pubblicamente la decisione di sostenere, anche economicamente, la candidatura «a 3 punte» ora diventata «a due», e che appaiono molte le possibilità di successo italiano.
(5-00543)


   ROSSI, ASCANI, PICCOLI NARDELLI, FRANCESCHINI, DI GIORGI, ANZALDI, PRESTIPINO e CIAMPI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:

   con l'articolo 15 del decreto-legge 25 novembre 2015, n. 185, il Governo Renzi ha istituito il fondo «Sport e Periferie» con una dotazione complessiva di 100 milioni di euro nel triennio 2015-2017 ai fini del potenziamento dell'attività sportiva agonistica nazionale e dello sviluppo della relativa cultura in aree svantaggiate e zone periferiche urbane e con l'obiettivo di rimuovere gli squilibri economico sociali e incrementare la sicurezza urbana;

   al suddetto fondo risultano destinati – dal riparto del fondo per il finanziamento degli investimenti e lo sviluppo infrastrutturale del Paese istituito dall'articolo 1, comma 140, della legge 11 dicembre 2016, n. 232 – ulteriori 75 milioni di euro;

   il finanziamento aggiuntivo di 75 milioni è stato destinato – dall'allora Ministro per lo sport – a coprire tutti i piccoli interventi di rigenerazione e adeguamento degli impianti di importo inferiore ai 300 mila euro, così da finanziare interventi in oltre 500 impianti in Italia;

   con l'approvazione della legge n. 108 del 21 settembre 2018, di conversione del decreto-legge n. 91 del 2018, promosso dal Governo, cosiddetto proroga termini, si differisce al 2020 la realizzazione dei progetti destinati alla riqualificazione delle periferie;

   rispetto alla gravità dei rilievi evidenziati dal Partito Democratico in fase di discussione del «proroga termini», il Governo ha assunto un vago impegno – durante un incontro con l'Associazione nazionale dei comuni italiani – ad inserire nel primo decreto utile una norma che di fatto dia la possibilità di recuperare la realizzabilità dei progetti già in fase avanzata;

   potenziare l'attività sportiva in aree svantaggiate e in zone periferiche urbane ha l'obiettivo di rimuovere gli squilibri economico-sociali e incrementare la sicurezza urbana –:

   se il Governo non intenda adottare iniziative per assicurare il finanziamento di 75 milioni di euro già destinati a piccoli interventi di rigenerazione e adeguamento di oltre 500 impianti sportivi in Italia.
(5-00544)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CIAMPI e CECCANTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   da lunedì 24 settembre 2018 un terribile incendio sta devastando un ampio territorio nei comuni di Vecchiano, Buti, Calci e Vicopisano (provincia di Pisa). Ad oggi, mercoledì 26 settembre 2018, gli ettari devastati sarebbero alcune centinaia;

   l'incendio ha causato feriti lievi e danneggiato alcuni edifici, provocando l'evacuazione di circa 700 persone dalle loro abitazioni e la chiusura temporanea dell'aeroporto di Pisa;

   soltanto l'intervento tempestivo di numerose unità di vigili del fuoco provenienti dalla Toscana e dall'Emilia Romagna, con il supporto della Protezione civile, di numerosi volontari e l'utilizzo di Canadair ed elicotteri antincendio ha impedito conseguenze ancora più tragiche;

   l'incendio ha colpito particolarmente il Monte Serra, luogo di particolare pregio paesaggistico e naturale, la cui cima ospita alcune delle postazioni radio-televisive più importanti d'Italia: infatti il segnale dei ripetitori copre gran parte della Toscana, parte della Liguria ed alcuni comuni dell'Umbria e Piemonte;

   è in corso il censimento dei danni ai privati ed alle aziende. Le fiamme hanno distrutto centinaia di ettari di oliveti e produzioni di pregio dal punto di vista agricolo e paesaggistico, con ripercussioni inevitabili per ambiente, economia, lavoro e turismo;

   il Monte Serra e le zone limitrofe sono spesso interessate da incendi; nella stessa area era divampato un rogo solo pochi giorni prima;

   dalle prime indiscrezioni stampa trapela che l'incendio potrebbe essere di natura dolosa;

   il presidente della regione Toscana Enrico Rossi ha il firmato il decreto che attiva lo stato di emergenza regionale. Con il provvedimento sono stati anche stanziati 200 mila euro per coprire le spese di soccorso e assistenza;

   lo stesso Enrico Rossi ha ribadito l'urgenza di programmare urgenti interventi di bonifica: «spento l'incendio – ha dichiarato – bisogna togliere tutti gli alberi bruciati, togliere gli accumuli di cenere e soprattutto ricostruire un quadro idrogeologico che impedisca che alle prime piogge la montagna dilavi sui paesi e poi verso la piana con una velocità dell'acqua che potrebbe essere potenzialmente anche distruttiva» –:

   se il Governo intenda deliberare al più presto lo stato di emergenza per i territori interessati dall'incendio;

   se il Governo non ritenga opportuno assumere iniziative normative per stanziare risorse apposite anche a partire dal prossimo disegno di legge di bilancio, anche al fine di contrastare il dissesto idrogeologico;

   se il Governo non intenda promuovere un maggiore e più efficace controllo del territorio del Monte Serra, colpito da numero incendi nel corso degli anni, al fine di prevenire altri atti di natura dolosa.
(5-00534)

Interrogazione a risposta scritta:


   ANZALDI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   si segnala da tempo e da più parti come l'attività del blogwww.iacchite.com si caratterizzi per la diffusione quotidiana di notizie spesso non vere e di fake news spesso diffamanti nei confronti di rappresentanti istituzionali;

   tale blog ai fini giuridici non risulterebbe essere qualificato come testata giornalistica (registrata) e pertanto non risulterebbe sottoposto, a quanto consta all'interrogante, alla ordinaria disciplina concernente la stampa;

   il responsabile di questo blog, il signor Gabriele Carchidi risulterebbe essere stato condannato, nonché sottoposto ad indagini riguardanti numerosi procedimenti anche per gravi reati;

   lo stesso, in quanto iscritto all'ordine dei giornalisti professionisti della Lombardia, risulterebbe essere stato destinatario di un provvedimento disciplinare da parte del suddetto ordine;

   tale azione disinformativa costante, sistematica risulta, ad avviso dell'interrogante, comunque in grado di determinare orientamenti e sensi comuni distorcenti la realtà, con rischi anche per la sicurezza, in quanto i diversi soggetti oggetto degli articoli del blog vengono esposti a rischio di minacce e violenze, temendo anche per la propria incolumità;

   tale sistematica campagna informativa viene utilizzata per un'azione invasiva e permanente di denigrazione attraverso social media e motori di ricerca sulla rete web –:

   se e quale seguito abbiano avuto presso il Consiglio dell'ordine dei giornalisti i provvedimenti giudiziari che interessano il responsabile del citato blog e se non ritenga, per quanto di competenza, di verificare una possibile violazione della normativa da parte di un blog che, seppur non registrato come sito di informazione, si caratterizza, ad avviso dell'interrogante, comunque per diffondere notizie orientate, infondate e spesso diffamanti con i rischi evidenziati in premessa.
(4-01212)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VI Commissione:


   GIACOMONI, MARTINO, BARATTO, BIGNAMI, BENIGNI, CATTANEO e ANGELUCCI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   il provvedimento direttoriale n. 195385 del 21 agosto 2018 con il quale l'Agenzia delle entrate ha dato attuazione alla procedura di sospensione delle compensazioni contenenti profili di rischio, ad avviso degli interroganti, potrebbe provocare non già il blocco delle compensazioni indebite, quanto piuttosto quello di tutte le possibili compensazioni a causa della fin troppo genericità delle indicazioni ivi contenute;

   infatti, scorrendo i criteri selettivi sulla base dei quali l'Agenzia delle entrate potrà procedere al blocco dei modelli di pagamento «F24», contenenti crediti in compensazione, emerge, purtroppo, che non sono indicati specifici crediti o debiti suscettibili a far scattare la sospensione del pagamento, venendo richiamate «tutte le tipologie di debito» pagate e «tutte le tipologie di credito compensate» nel modello di pagamento che, secondo il citato provvedimento direttoriale, sono suscettibili di far scattare la procedura di sospensione e perfino di scarto, successivo, del modello di delega «F24»;

   alla luce di quanto precede sembrerebbe quasi, ad avviso degli interroganti, che il fisco cerchi di intercettare e reprimere non tanto le indebite compensazioni, quanto piuttosto «tutti» gli utilizzi di crediti in compensazione, con la conseguenza che si potrebbe addirittura ipotizzare la presenza di un tentativo di dissuasione dal relativo utilizzo;

   sul punto si rammenta che, ai sensi dell'articolo 1, comma 990, della legge di bilancio 2018, il perimetro dei crediti a rischio si sarebbe dovuto definire con maggiore precisione e dettaglio e il provvedimento direttoriale avrebbe dovuto, conseguentemente, stabilire criteri specifici per l'individuazione dei crediti a rischio di indebito utilizzo, senza invece riferirsi all'intero ambito di tutti i crediti compensabili;

   il rischio concreto è, quindi, oggi che dal prossimo 29 ottobre 2018, data di entrata in vigore del provvedimento direttoriale, ogni delega con utilizzo di crediti in compensazione sarà passibile di sospensione e di possibile scarto, con il risultato di limitare al massimo la compensazione dei crediti nel modello di delega «F24» una cosa, con tutta evidenza, molto diversa dal contrastare le indebite compensazioni;

   tutto ciò sta ovviamente allarmando contribuenti e professionisti per il clima di incertezza e confusione che si è venuto a creare –:

   quali iniziative il Governo intenda assumere affinché l'Amministrazione finanziaria provveda, con la massima sollecitudine, a definire precisamente i criteri per la sospensione delle compensazioni, delineando in modo puntuale quali siano i profili di rischio, al fine di non compromettere, in alcun modo, l'utilizzo legittimo delle compensazioni.
(5-00537)


   TOPO e FREGOLENT. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   negli ultimi anni, i Governi a guida Pd hanno messo in atto numerose misure volte a contrastare le frodi sull'Iva, specialmente con riferimento alle forniture di beni e servizi effettuate nei confronti dei soggetti pubblici;

   in primo luogo, con la legge di stabilità per il 2015, è stato introdotto il meccanismo della scissione dei pagamenti (cosiddetto split payment) sulle operazioni effettuate nei confronti di soggetti pubblici, considerati ad alta affidabilità fiscale, che consente all'erario di acquisire direttamente l'imposta dovuta per il tramite di tali soggetti;

   nel solco degli interventi antifrode, la menzionata legge di stabilità per il 2015 ha inoltre incrementato il numero delle ipotesi di applicazione del già vigente meccanismo di inversione contabile (reverse charge) a fini dell'Iva, estendendo tale sistema anche ad ulteriori ambiti del settore edile, del settore energetico e della grande distribuzione alimentare e subordinando l'efficacia della misura all'autorizzazione della Commissione europea, in base alle norme europee in materia di Iva;

   la relazione tecnica al provvedimento stima un maggior gettito, a decorrere dal 2015, rispettivamente di circa 900 milioni di euro dallo split payment e di circa 1,6 miliardi di euro dal reverse charge, al netto degli effetti derivanti dal ciclo economico;

   i contribuenti su cui si applicano tali fattispecie subiscono la riduzione dell'Iva a debito e quindi si trovano ad avere maggiori crediti Iva netti, con conseguenti possibili problemi di liquidità; per superare tale problematica sono stati introdotti meccanismi di tutela che consentono di ridurre tali costi, dando la possibilità di compensare i crediti Iva anche in modo «orizzontale» con altre imposte o contributi dovuti o, in alternativa, dando la possibilità di richiedere il rimborso anticipato rispetto ai tempi ordinari;

   le stime riportate in uno studio dell'Agenzia delle entrate, che ha valutato gli effetti indotti dall'introduzione dello split payment sul gettito Iva, consentendo di monitorare il comportamento dei fornitori della pubblica amministrazione prima e dopo l'adozione dello split payment, mostrano che, nel 2015, si è verificata una riduzione del gap Iva, imputabile ai fornitori della pubblica amministrazione, pari a circa 2,5 miliardi di euro, ai quali si è aggiunto un ulteriore miliardo recuperato nel 2016; dai dati emergerebbe quindi che l'Iva che prima dello split payment non veniva versata da una parte dei contribuenti supera ampiamente la maggiore Iva rimborsata –:

   quali siano i dati relativi agli incassi annuali derivanti dall'applicazione dei meccanismi anti-frode dello split payment e del reverse charge.
(5-00538)


   MANIERO, TRANO, RUOCCO, APRILE, CABRAS, CANCELLERI, CASO, CURRÒ, GIULIODORI, GRIMALDI, MARTINCIGLIO, MIGLIORINO, RADUZZI, RUGGIERO, ZANICHELLI e ZENNARO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   in Germania sono stati predisposti interventi pubblici per 250 miliardi di euro per finanziare il «salvataggio» delle banche tedesche. Il costo totale delle crisi bancarie per il contribuente tedesco è stato pari a 70 miliardi di euro. Tale costo – come rilevato anche dall'economista Hellwig – sarebbe stato maggiore in assenza di salvataggi indiretti predisposti da altri Governi. Nel primo semestre 2008 le esposizioni delle banche di Germania – e Francia – verso controparti residenti nei Paesi periferici superava i 1.900 miliardi di dollari. Oltre al Fondo monetario internazionale scesero in campo i governi dell'eurozona stanziando 80 miliardi di euro, in tal modo gli interventi in Grecia del 2010, Irlanda del 2010 e Spagna del 2012 hanno indirettamente aiutato le banche tedesche. Anche i 1.000 miliardi di euro di «prestiti LTRO» erogati dalla Banca centrale europea all'apice della crisi invece di essere investiti nell'economia reale sono stati utilizzati dalle banche periferiche per regolare debiti commerciali verso la Germania e per assorbire l'offerta di titoli di Stato nazionali svenduti dalle banche tedesche. Decisivo è stato anche l'intervento del Governo americano su AIG, tutelando indirettamente l'esposizione di Deutsche Bank. In base alle analisi degli economisti tutte le esposizioni delle banche tedesche sono state finanziate per il 70 per cento da governi diversi da quello tedesco;

   a differenza di Stati Uniti, Islanda, Gran Bretagna, Svizzera e la stessa Italia, la Germania non ha mai avviato un'indagine sulla crisi del sistema bancario per il tramite di una commissione indipendente. L'assenza di questa iniziativa non ha consentito di verificare la genesi della crisi finanziaria di banche come DeutscheBank, WestLB, HsHNordbank, SachsenLB, Landesbank BadenWurttemberg, HypoRealEstate, CommerzBank e DresdnerBank, altresì impedendo la possibilità di verificarne l'impatto sistemico. In particolar modo le preoccupazioni maggiori si riscontrano per DeutscheBank che, come rilevato anche dal Fondo monetario internazionale, è la maggior fonte di rischi sistemici al mondo, soprattutto a causa della forte esposizioni in titoli derivati –:

   al fine di tutelare la stabilità del sistema euro e del sistema bancario e finanziario nazionale da potenziali impatti sistemici – anche valutando, ove ne sussistano i presupposti, di chiedere informazioni alla Banca centrale europea ai sensi dell'articolo 25 dello Statuto – se sia stata quantificata l'esposizione delle banche tedesche in prodotti derivati, se la medesima esposizione sia stata oggetto di valutazione nei cosiddetti stress test e, qualora a seguito dell'analisi le banche tedesche si trovassero in una posizione failing or likely to fail, quali iniziative di competenza, anche in sede di Unione europea, intenda adottare al fine di indurre le banche tedesche a ridurre i rischi assunti.
(5-00539)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LOMBARDO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   il comma 649 dell'articolo 1 della legge 27 dicembre 2013, n. 147, in materia di superficie assoggettabile a Tari recita: «Nella determinazione della superficie assoggettabile alla TARI non si tiene conto di quella parte di essa ove si formano, in via continuativa e prevalente, rifiuti speciali, al cui smaltimento sono tenuti a provvedere a proprie spese i relativi produttori, a condizione che ne dimostrino l'avvenuto trattamento in conformità alla normativa vigente. Per i produttori di rifiuti speciali assimilati agli urbani, nella determinazione della TARI, il comune disciplina con proprio regolamento riduzioni della quota variabile del tributo proporzionali alle quantità di rifiuti speciali assimilati che il produttore dimostra di aver avviato al riciclo, direttamente o tramite soggetti autorizzati»;

   la formulazione del comma 649 presuppone per l'esclusione della superficie assoggettabile alla Tari che la produzione di rifiuti speciali avvenga in modo continuativo e prevalente, in una superficie delimitata con esclusiva produzione di rifiuti speciali e ove, al contempo, la presenza umana non comporti produzione di rifiuti urbani. Sulla questione è di recente intervenuta la Corte di Cassazione con sentenza n. 26637 del 10 novembre 2017, affermando il principio per cui l'esenzione o la riduzione delle superfici tassabili deve intendersi limitata a quella parte di esse su cui insiste l'opificio vero e proprio, perché solo in tali locali possono formarsi rifiuti speciali;

   inoltre, elemento fondamentale per l'esclusione di tali superfici è la capacità dei produttori di dimostrare l'avvenuto trattamento dei rifiuti speciali secondo la normativa vigente; pertanto, non basterà la sola dimostrazione della presa in carico da parte di imprese che svolgono attività di smaltimento di rifiuti speciali che, il più delle volte, non si occupano anche del loro trattamento. Come si evince dall'articolo 12 del decreto legislativo n. 22 del 1997, a tenere nota del trattamento sono le imprese atte allo smaltimento dei rifiuti e non i produttori ai quali, per ottemperare alla normativa ambientale, basterà dimostrare di aver sostenuto il costo per lo smaltimento tramite il formulario ex articolo 193 del codice ambientale che non tiene conto dell'avvenuto trattamento. Ciò produce una discrasia tra le norme ambientali e le norme tributarie;

   per i rifiuti speciali assimilabili agli urbani, viene rimandato ai comuni che, con proprio regolamento, possono prevedere la riduzione della parte variabile del tributo proporzionalmente rispetto alle quantità dei rifiuti speciali che i produttori stessi dimostrino di avere avviato al recupero, direttamente o tramite soggetti autorizzati. Se da una parte è certo il dato a cui si fa riferimento, dall'altra non è chiaro quale sia la seconda quantità su cui viene calcolato il rapporto: considerata l'impossibilità del calcolo dell'ammontare totale dei rifiuti, di fatto i comuni si sono ritrovati a interpretate liberamente la regola, che si è spesso tradotta in una riduzione forfettaria della parte variabile che non tiene conto della proporzionalità –:

   se, alla luce della sopracitata pronuncia della Corte di Cassazione, sussista in capo ai produttori l'obbligo di dimostrare e delimitare le aree in cui si producono rifiuti speciali non assimilabili agli urbani, onde sottrarle alla tassazione;

   quali siano le modalità con le quali i produttori dovranno adempiere al citato obbligo e come potranno dimostrare l'avvenuto trattamento dei rifiuti;

   quale certificazione/attestazione il contribuente/produttore sarà tenuto a produrre per ottenere la detassazione delle porzioni di superficie, atteso che la quarta copia del citato formulario sembrerebbe limitare la sua funzione conoscitiva alla sola presa in carico e non anche all'avvenuto trattamento;

   su quale importo totale sarà necessario calcolare il rapporto con i rifiuti speciali assimilabili agli urbani avviati al recupero di cui al terzo periodo del citato comma 649, in modo tale da rendere proporzionale la riduzione della parte variabile della Tari.
(5-00535)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta scritta:


   FERRO. — Al Ministro della giustizia, al Ministro per la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:

   con decreto del 18 novembre 2016 la direzione generale del personale e della formazione presso il dipartimento dell'organizzazione giudiziaria, del personale e dei servizi del Ministero della giustizia ha indetto «un concorso pubblico, per titoli ed esami, a n. 800 posti a tempo indeterminato per il profilo professionale di Assistente Giudiziario, area funzionale seconda, fascia economica F2, nei ruoli del personale del Ministero della giustizia — Amministrazione Giudiziaria»;

   con decreto del 21 aprile 2017, il Ministro della giustizia ha disposto, di concerto con il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, la copertura di ulteriori 600 posti, utilizzando la graduatoria approvata all'esito del suindicato concorso e nei limiti dei candidati dichiarati idonei da detta graduatoria;

   il numero complessivo delle assunzioni effettuate all'esito del concorso è stato, quindi, portato 1.400 unità (800 vincitori e 600 idonei);

   la graduatoria definitiva veniva approvata in data 14 novembre 2017 e, in data 15 dicembre 2017, il Ministero pubblicava l'elenco delle sedi disponibili raggruppate per distretto di corte d'appello e rese disponibili dall'amministrazione per la scelta dei vincitori che riporta complessivamente 1.400 sedi e, quindi, un numero di sedi pari al numero delle assunzioni che sarebbero state effettuate all'esito del concorso;

   la scelta della sede di servizio avveniva, tramite convocazioni, in ordine di graduatoria, garantendo priorità agli 800 vincitori, mentre i 600 idonei effettuavano la scelta della sede di servizio tra le sedi residuate;

   i vincitori, dunque, prendevano servizio nelle sedi scelte, in data 8 gennaio 2018, mentre i 600 idonei prendevano servizio in data 9 febbraio 2018;

   in data 23 febbraio 2018, il Ministero della giustizia pubblicava sul proprio sito istituzionale «le date per l'assunzione di ulteriori 1.000 idonei», precisando che «dal 12 al 16 marzo 2018 si procederà con lo scorrimento della graduatoria idonei [...]» (divenuti 1.024 a seguito di rinunce del primo blocco di assunti e poi 1.014). È bene precisare che già nel dicembre 2017 il Ministero aveva stanziato ulteriori fondi per l'assunzione di altre 1.000 unità;

   il 9 marzo 2018, però, il Ministero pubblicava l'elenco delle sedi disponibili e il calendario delle convocazioni per la scelta delle sedi e la firma del contratto individuale di lavoro da parte degli «ulteriori 1.024 idonei del concorso», ma nell'elenco delle sedi disponibili erano inserite ulteriori e diverse sedi rispetto a quelle riportate nell'elenco pubblicato in data 15 dicembre 2017;

   è, dunque, evidente che i soggetti collocati in graduatoria tra i primi 600 idonei si vedevano pregiudicato, a seguito della pubblicazione di due diversi elenchi di sedi disponibili, il loro legittimo interesse a scegliere la sede di servizio tra tutte quelle disponibili e tra tutte quelle non ancora occupate da coloro che li avevano preceduti in graduatoria, cosicché, ad oggi, chi occupava una posizione più bassa in graduatoria ha avuto possibilità di optare per una sede di servizio più prossima alla propria residenza;

   è evidente, dunque, la lesione di legittimi interessi dei vincitori e degli idonei, atteso che i provvedimenti adottati dal Ministero mancano, in primis, di ragionevolezza oltre che, chiaramente, di trasparenza, ledendo altresì il principio meritocratico –:

   se i Ministri interrogati abbiano avuto modo di rilevare tale incresciosa situazione e se convengano sulla necessità di porvi rimedio nel breve termine e, in caso affermativo, quali iniziative intendano adottare al riguardo.
(4-01211)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DE MENECH. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   lungo la strada provinciale 422 del Cansiglio, che collega Vittorio Veneto al Pian del Cansiglio, passando per il comune di Fregona, alcuni passanti hanno notato e segnalato l'inizio di un cedimento del manto stradale, che potrebbe con il tempo comportare un cedimento della sede stradale;

   negli ultimi anni in questa strada è cresciuto molto il transito di veicoli a seguito di un aumento del turismo;

   inoltre alcune segnalazioni hanno interessato, sempre sulla provinciale 422, nel comune di Fregona in località Fratte il «Ponte della Serenissima» e lungo la provinciale 151 «Pedemontana del Cansiglio», il ponte in località Piai e quello di Breda, dove vi sono le Grotte del Caglieron, sito naturalistico terzo classificato nel 2016, all'ottavo censimento dei «luoghi del cuore» del F.A.I. con oltre 38000 voti e sempre più meta ambita turisticamente –:

   di quali elementi disponga il Governo circa la sicurezza della viabilità nei tratti sopra indicati alla luce della necessità di tutelare l'incolumità degli utenti.
(5-00536)

Interrogazione a risposta scritta:


   NEVI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo. — Per sapere – premesso che:

   l'articolo 45 del decreto-legge n. 69 del 2013 — Disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia — ha modificato le norme in materia di accertamento dei requisiti di idoneità delle macchine agricole di cui all'articolo 107 del decreto legislativo n. 285 del 1992, nel senso di prevedere che tale accertamento possa aver luogo, oltre che mediante visita e prova da parte degli uffici competenti del dipartimento per i trasporti terrestri, anche «da parte di strutture o Enti aventi i requisiti stabiliti con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti di concerto con il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali»;

   tali modificazioni hanno portato la legislazione nazionale ad allinearsi alla normativa comunitaria in materia di omologazione delle macchine agricole, la quale prevede che l'autorità competente preposta al rilascio delle omologazioni possa delegare la fase operativa a strutture ritenute idonee, così come definito dalle norme contenute nel regolamento (UE) n. 167 del 2013, noto come «Mother Regulation», che costituisce il riferimento normativo per l'omologazione delle macchine agricole;

   in altri Paesi europei, le autorità competenti hanno delegato da anni strutture esterne autorizzate a operare in tutti i Paesi dell'Unione per il rilascio delle omologazioni, in funzione della propria autorità delegante, con il conseguente pagamento degli oneri a quest'ultima;

   le omologazioni comunitarie delle macchine agricole nel nostro Paese vengono effettuate prevalentemente da tali strutture estere delegate, con conseguente perdita di denaro per le pubbliche amministrazioni e di lavoro, essendo impiegato prevalentemente personale estero –:

   se i Ministri interrogati intendano adottare con urgenza le iniziative di competenza per l'emanazione del decreto di definizione dei requisiti necessari a individuare enti e strutture che possono effettuare l'accertamento della conformità delle macchine agricole alle prescrizioni tecniche previste dalla legge;

   se non ritengano necessario assumere iniziative affinché sia data anche a enti italiani la possibilità di svolgere le omologazioni nazionali e comunitarie così da riportare allo Stato italiano una cospicua parte dei diritti oggi versati a Stati esteri, nonché di offrire possibilità di lavoro a tecnici italiani.
(4-01206)

INTERNO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ANZALDI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   in data 25 settembre 2018, si è sviluppato un incendio all'interno del quartiere residenziale di Pisticci Scalo che anche a causa del vento si è rapidamente propagato interessando un'area di vegetazione in prossimità della tratta ferroviaria Potenza-Metaponto e a pochissimi metri di distanza dalle palazzine di Via Manfredonia;

   i vigili del fuoco tempestivamente avvertiti dagli abitanti sono intervenuti domando l'incendio e scongiurando che le fiamme potessero ulteriormente avanzare in direzione dell'abitato mettendo a rischio l'incolumità delle persone;

   non è la prima volta che nel corso della stagione estiva l'area all'interno del perimetro del quartiere residenziale è interessata da incendi; altri due incendi si sono registrati nel mese di luglio 2018 e in una circostanza anche in quel caso, a pochi metri dalle palazzine di via Ravenna;

   il ripetersi di simili episodi non va assolutamente sottovalutato anche dal punto di vista della sicurezza e dell'ordine pubblico e vanno appurate le cause dei richiamati incendi;

   l'area in questione è circondata da verde non sempre adeguatamente curato;

   le pinete e l'area che costeggia la ferrovia in tutto l'attraversamento del quartiere andrebbero adeguatamente pulite, proprio per prevenire situazioni di rischio;

   a poche centinaia di metri è ubicata un'area industriale che ricade nella «legislazione Seveso» elemento che richiederebbe una maggiore attenzione –:

   se il Governo sia a conoscenza di quanto riportato in premessa e quali iniziative di competenza intenda assumere al fine di convocare anche presso la competente prefettura, un tavolo istituzionale con il comune di Pisticci, Rete ferroviaria italiana, Consorzio per lo sviluppo industriale e valutare una serie di interventi come pulizia straordinaria, manutenzione del verde, installazione di videocamere, istituzione, almeno nel periodo giugno-settembre, di un presidio mobile dei vigili del fuoco, finalizzati a contrastare il rischio incendi a tutela della cittadinanza.
(5-00531)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RIZZETTO e BUCALO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

   carenza di docenti di sostegno specializzati e mancata realizzazione di piani didattici personalizzati: ecco le principali criticità ormai insite nella scuola italiana, che violano il diritto allo studio degli alunni con disabilità, come sancito dalla Costituzione italiana e dalla Convenzione dell'Onu sui diritti delle persone con disabilità;

   in particolare, sembra che la mancanza di docenti specializzati riguardi circa 40 mila posti di ruolo; di conseguenza, sono tanti i portatori di bisogni educativi speciali a cui non viene garantito il diritto di andare a scuola quotidianamente e ricevere un'adeguata formazione;

   pertanto, anche il nuovo anno scolastico 2018/2019 si è aperto, per gli istituti scolastici, con l'emergenza di dover reperire insegnanti per gli incarichi di sostegno. Al riguardo, a titolo di esempio, solo in Friuli Venezia Giulia ne mancherebbero addirittura circa 400;

   in alcune regioni, la mancanza di insegnanti di sostegno, si unisce a quella di personale amministrativo e ciò comporta ulteriori ritardi nelle chiamate per ricoprire gli incarichi;

   inoltre, è necessario intervenire sulla formazione dei docenti di sostegno, poiché un'adeguata crescita formativa non può di certo essere assicurata da personale privo di adeguate competenze in materia;

   si ritiene dunque urgente mettere a disposizione fondi ed elaborare un adeguato piano di reclutamento e formazione dei docenti di sostegno –:

   quali siano gli orientamenti del Ministro su quanto sopra esposto e se e quali iniziative intenda adottare per garantire il diritto allo studio alle persone con disabilità che necessitano di specifici bisogni educativi, come espresso in premessa.
(5-00532)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PASTORINO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   è interesse dello Stato e del Governo promuovere e potenziare le università pubbliche, tra le quali si colloca nei posti di eccellenza l'università degli studi di Milano (UniMi), la più consistente università lombarda con oltre 60.000 studenti iscritti e 4.000 lavoratori tra docenti e personale tecnico;

   le principali università europee non sono mai state trasferite dall'originario sito, ma si sono potenziate a partire da questo. Al contrario, quelle di Genova e Siena hanno effettuato investimenti immobiliari «esterni» ricavandone forti crisi gestionali;

   UniMi è interessata da un progetto di delocalizzazione di alcune facoltà nei terreni sui quali è stato realizzato Expo 2015. Infatti, circa un anno e mezzo fa la Statale ha intrapreso con il rettore uscente professor Vago (il 1° ottobre entrerà in carica il nuovo rettore professor Franzini) un percorso per trasferire nell'ex area Expo le facoltà scientifiche che oggi si trovano nel quartiere di Città studi;

   il progetto è stimato in un costo complessivo di 390 milioni di euro, di cui 135 milioni verrebbero finanziati da Governo e regione, con il vincolo di impiegare le risorse per il trasferimento di sede. Dal momento che era già stato contestato il fatto che per UniMi contribuire per la restante parte sarebbe stato un grosso rischio, il professor Vago ha proposto di finanziare il progetto differentemente: la Statale non alienerebbe, almeno per ora, gli stabili di Città studi, ma dovrebbe contribuire nell'immediato con circa 58 milioni di euro e, mediante lo strumento del project financing, fornirebbe la parte restante con un contributo pari a circa 20 milioni di euro per 30 anni, per un totale di 600 milioni di euro;

   tuttavia, la cifra di 600 milioni di euro è un'enormità che potrebbe mettere in grave difficoltà la Statale con il solo obiettivo di non far fallire il progetto di riqualifica dell'area Expo, su cui tra l'altro, i cittadini milanesi avevano votato un referendum con cui il 95,29 per cento hanno chiesto che nell'area in questione venisse realizzato un grande parco;

   inoltre, il rettore uscente è stato nominato dal presidente della regione Lombardia come sub consigliere per «progetti strategici», fra i quali rientra il progetto Campus. Tale situazione determina, ad avviso dell'interrogante, un palese conflitto di interessi se il progetto del professor Vago verrà realizzato il quartiere di Città studi perderà 20 mila studenti. Il comune di Milano ha dichiarato che la vocazione del quartiere resterà universitaria, ma non è chiaro come; in realtà, rischio è che diventi terreno di speculazione edilizia, considerato che sono in trasferimento dal quartiere anche l'ospedale Besta e l'istituto dei tumori. Cambiamenti che verosimilmente avranno ripercussioni anche sul tessuto commerciale della zona interessata –:

   se non ritengano, per quanto di competenza, di analizzare, preventivamente e attentamente, tutti gli aspetti riguardanti l'impegnativa operazione di trasferimento delle facoltà scientifiche della Statale nell'area ex-Expo;

   se non si ritenga, dato che, con l'impegno finanziario richiesto per il trasferimento è facilmente ipotizzabile il superamento della soglia massima di indebitamento, di dover controllare, per quanto di competenza, che i risvolti finanziari di tale operazione non superino le soglie previste dal decreto legislativo n. 49 del 2012 e pari al 15 per cento delle entrate non vincolate in bilancio;

   se il Governo disponga di elementi circa le possibili ricadute negative sul futuro gestionale di UniMi di un investimento tanto ingente;

   se il consiglio di amministrazione e il senato accademico di UniMi abbiano richiesto un parere in merito, da parte del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca in relazione a un impegno che avrà delle importanti ripercussioni vincolanti per l'università.
(4-01207)


   OCCHIUTO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

   il quadro generale dello stato dell'edilizia scolastica in Italia presenta una situazione estremamente critica su tutto il territorio nazionale sul piano dei numerosi adempimenti e adeguamenti normativi cui le scuole devono attenersi: certificazione di agibilità dei locali, di idoneità statica, di prevenzione antincendio, verifica di vulnerabilità sismica;

   sulla base del XVI rapporto di Cittadinanzattiva, redatto su dati del Ministero dell'istruzione dell'università e della ricerca e della Presidenza del Consiglio, il 70 per cento degli edifici adibiti a sede scolastica non è conforme alla legge per mancato adeguamento ad una delle numerose norme in materia di sicurezza;

   la Corte dei conti, nella relazione sul piano straordinario per la messa in sicurezza degli edifici scolastici, di cui alla legge n. 289 del 2002, recentemente pubblicata, osserva che dopo 13 anni trascorsi dalla sua programmazione originaria, su 2.651 interventi programmati, considerando i tre programmi stralcio, il 24,02 per cento non risultava attivo al 31 dicembre 2017, e il 61 per cento dei progetti concluso;

   sulla situazione incide certamente la vetustà degli edifici, considerato che il 68 per cento è stato costruito prima dell'entrata in vigore della normativa antisismica; il 50 per cento risale ad epoca precedente all'introduzione dell'obbligatorietà del collaudo statico;

   sulla base dell'anagrafe degli edifici scolastici, che alla data del 4 giugno 2018 aveva censito 39.847 edifici scolastici, il 43 per cento circa di questi risulta localizzata in zona sismica 1 e 2, ma solo il 21 per cento di queste scuole risulta adeguato alla normativa tecnica di costruzione antisismica;

   in una recente pronuncia sull'obbligo di adeguamento alla normativa antisismica la Corte di Cassazione ha previsto la legittimità del sequestro preventivo in caso di violazione delle norme sulla sicurezza, con conseguenze sul patrimonio scolastico che potrebbero essere di portata estremamente significativa, in quanto, ove fossero riscontrate irregolarità con le norme antisismiche, gli edifici non dovrebbero essere destinati all'istruzione scolastica e potrebbero essere soggetti a sequestro;

   sul tema è intervenuta anche l'Associazione nazionale presidi che ha espresso in particolar modo preoccupazione per la tenuta delle controsoffittature e delle strutture interne agli edifici chiedendo interventi straordinari, in considerazione del fatto che negli ultimi 4 anni si sono verificati ben 156 crolli per un totale di 24 feriti;

   la situazione presenta picchi di negatività nelle regioni del Sud quali la Campania, l'Abruzzo, la Calabria e la Sicilia dove è forte il rischio sismico e dove si colloca in maggior numero di edifici scolastici in zona sismica;

   la Corte dei conti segnala l'assoluta incongruità delle risorse stanziate in relazione al fabbisogno prioritario e registra un calo di investimenti nelle regioni meridionali;

   gli istituti scolastici sono luoghi che accolgono quotidianamente gli studenti e gli operatori che vi trascorrono la maggior parte della giornata e dell'anno e dovrebbero quindi rappresentare luoghi sicuri e affidabili sia per coloro che vi svolgono quotidianamente la propria attività lavorativa, sia per i ragazzi che lì si formano che per i genitori che affidano alla scuola i propri figli –:

   se il Ministro interrogato non ritenga di dover intervenire urgentemente, per quanto di competenza, affinché vengano effettuate in ogni edificio scolastico, nel più breve tempo possibile, tutte le verifiche tecniche atte a verificare le condizioni degli edifici ai fini della loro utilizzabilità, in particolare in merito allo stato delle controsoffittature, con una particolare attenzione per le regioni del Sud, nelle quali si trova il maggior numero di edifici scolastici a forte rischio sismico;

   se il Governo non ritenga di dover eventualmente potenziare, per quanto di competenza, il monitoraggio in materia di rispetto di tempi e tipologie di interventi di adeguamento e messa in sicurezza degli edifici adibiti a servizio scolastico.
(4-01208)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI, FORESTALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RIZZETTO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   il patrimonio forestale nazionale è parte del capitale naturale nazionale ed è un bene di rilevante interesse pubblico da tutelare e valorizzare;

   pertanto, nel rispetto delle competenze di regioni e autonomie locali, è necessario pianificare idonei interventi di gestione forestale per assicurare e sostenere le funzioni ambientali, economiche e sociali;

   in Friuli Venezia Giulia, ad esempio, nella gestione e manutenzione forestale sono state individuate una serie di criticità, che si ritiene debbano essere eliminate, in base al principio di semplificazione amministrativa, anche attraverso l'adozione di un piano complessivo che possa apportare dei correttivi per garantire più efficienza;

   in particolare, è necessario snellire gli iter procedurali che rallentano le attività di servizio, per agevolare, innanzitutto, gli operatori nelle loro mansioni e deve essere semplificato l'eccessivo carico burocratico legato alle acquisizioni dei beni;

   inoltre, in base alle esigenze del settore e a tutela dei lavoratori del servizio manutenzioni forestali, è necessario intervenire normativamente sui contratti di lavoro, anche nell'ottica di garantire il necessario ricambio generazionale –:

   se e quali iniziative intendano adottare i Ministri interrogati, per quanto di competenza, al fine di adottare un piano che possa garantire nella gestione e nella manutenzione forestale più efficienza dei servizi attraverso lo snellimento delle procedure burocratiche e che sostenga il personale in base alle peculiarità del settore.
(5-00533)

Interrogazione a risposta scritta:


   ZANICHELLI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo. — Per sapere – premesso che:

   le produzioni vitivinicole Dop e Igp del nostro Paese rappresentano una grande ricchezza di qualità e di biodiversità; secondo l'articolo del Sole 24 Ore del 31 agosto 2018 l'Italia è tornata a essere leader mondiale nella produzione di vino, scavalcando in questo modo la leadership francese; si stima, infatti, che la produzione nazionale per il 2018 ammonterà a circa 55,8 milioni di ettolitri di vino (il 21 per cento rispetto al 2017);

   incrementi a doppia cifra si registrano in molte regioni d'Italia. Complessivamente, i volumi attesi dovrebbero essere maggiorati del 20 per cento rispetto all'anno precedente;

   il Ministro delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo ha firmato il 30 luglio 2018 il decreto di nomina per il prossimo triennio del Comitato nazionale vini Dop e Igp, un organo del Ministero delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo che ha la competenza consultiva e propositiva in materia di tutela e valorizzazione qualitativa e commerciale dei vini Dop e Igp;

   i disciplinari di produzione dei vini (che corrisponde alla prescrizione che disciplina l'ottenimento di un prodotto agricolo o alimentare, ossia la norma di legge che definisce i requisiti produttivi e commerciali di un prodotto a Dop o Igp o Deco o Stg) identificano, tra gli altri, le zone di produzione delle uve destinate alla vinificazione e i vitigni di ciascun «terroir»;

   il rispetto di tali disciplinari di produzione è una garanzia per i consumatori sia in termini di processi produttivi che di qualità dei prodotti ottenuti;

   è ricorrente la prassi, specie per i vini di più largo consumo, di utilizzare uve non previste dai disciplinari, acquistate illegalmente in regioni d'Italia e poi vinificate frodando i consumatori;

   tale pratica illegale comporta un grave turbamento del prezzo di mercato delle uve destinate alla vinificazione, con significative ricadute sul reddito dei viticoltori;

   l'uso di uve acquistate illegalmente spesso sfugge ai controlli sanitari, con grave rischio per i consumatori;

   annualmente gli organi di stampa riportano notizie su questa prassi illecita con il risultato che, nonostante i controlli effettuati dalle autorità preposte, sola una piccolissima parte del fenomeno viene portata alla luce –:

   se il Ministro interrogato intenda adottare iniziativa per porre un nuovo piano di controlli e/o incrementare il personale preposto ai controlli medesimi, nonché attivare nuovi sistemi produttivi che impediscano o limitino il proseguimento di questa pratica illegale, al fine di migliorare le produzioni e assicurare il rispetto dei disciplinari di produzioni;

   se intenda adottare iniziative per potenziare l'Ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione frodi dei prodotti agroalimentari per attuare una più puntuale ed efficace repressione di questo fenomeno.
(4-01210)

SALUTE

Interrogazione a risposta scritta:


   EVA LORENZONI, FORMENTINI, BORDONALI, DONINA e DARA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   dal mese di agosto 2018 si rincorrono frequenti notizie di stampa in merito alla situazione dell'epidemia di polmonite batterica che si è sviluppata nel bresciano;

   a seguito dei controlli effettuati dai laboratori dell'Agenzia per la tutela della salute di Brescia (Ats) è stata ufficializzata la presenza del batterio della legionella in nove dei dieci campioni prelevati dalle torri di raffreddamento di tre grandi impianti industriali della zona; è stato quindi appurato che è stata l'aria e non l'acqua del fiume Chiese né tantomeno degli acquedotti, a veicolare il batterio della legionella;

   il numero delle persone infettate dall'inizio dell'emergenza è quasi a quota cinquecento: come affermato dal personale medico, ci si trova di fronte a un evento complesso, senza precedenti in Italia; la pista principale resta infatti la legionella, ma ad oggi ancora non si escludono concause;

   la popolazione è sempre più preoccupata e la preoccupazione incomincia a manifestarsi anche tra le autorità e gli amministratori locali;

   l'assessorato regionale al welfare si è attivato immediatamente, mobilitando tempestivamente l'Ats il cui lavoro d'indagine prosegue senza sosta per rintracciare le cause precise di questa epidemia anomala;

   gli ospedali bresciani stanno dando ulteriore prova della loro efficienza gestendo al meglio i casi di polmonite, ma in questo quadro è fondamentale che le istituzioni, sia regionali che nazionali, agiscano in modo sinergico e compatto per fronteggiare l'emergenza e individuarne le cause;

   occorre fornire delle risposte chiare ai cittadini, anche per evitare allarmismi infondati, ma soprattutto per dare indicazioni ancora più precise circa la corretta profilassi da adottare –:

   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno supportare, con ogni mezzo, la regione Lombardia per individuare le cause dell'epidemia e per valutare gli interventi e le verifiche più opportuni.
(4-01209)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

X Commissione:


   SILVESTRONI e ZUCCONI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   l'Unione europea ha definito piccole e medie imprese (pmi) imprese che occupano meno di 250 persone, il cui fatturato annuo non supera i 50 milioni di euro, oppure il cui bilancio annuo non supera i 43 milioni di euro. Queste aziende che sono il vero motore dell'economia continentale si stima che diano lavoro a 75 milioni di persone e rappresentano il 99 per cento tutte le imprese;

   una piccola azienda italiana nel 2018 anche dopo il «decreto dignità» può essere soggetta a ben 111 controlli da parte di 15 diversi istituti, agenzie o enti pubblici. In linea puramente teorica, praticamente uno ogni 3 giorni, ed è stato calcolato che per assolvere i 15 diversi pagamenti richiesti dal fisco italiano, le nostre piccole e medie imprese perdono complessivamente 285 ore l'anno, con un prelievo fiscale che mediamente supera il 68 per cento degli utili realizzati dall'azienda. Un risultato che non ha eguali tra i principali Paesi dell'Unione europea;

   nonostante le promesse del Governo, la pressione del fisco non si è abbassata ancora, tant'è che i tempi e i costi della burocrazia sono diventati una patologia che caratterizza negativamente il sistema produttivo italiano con adempimenti burocratici per le imprese che pesano sulle aziende Italiane per circa 23 miliardi di euro l'anno pari ad un punto e mezzo di prodotto interno lordo –:

   quali urgenti iniziative intenda assumere il Ministro interrogato per realizzare una necessaria quanto urgente sburocratizzazione per le piccole e medie imprese e, in particolare, se ritenga, anche per il tramite di iniziative normative, di ridurre il carico delle norme e dei consequenziali adempimenti a cui sono sottoposte le piccole e medie imprese.
(5-00545)


   ALEMANNO e VALLASCAS. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   dopo anni di dibattito a cavallo tra il 2017 e 2018 in Italia è stata introdotta una politica di sostegno per il Sud con l'obiettivo di rafforzare la performance dell'economia del Mezzogiorno con una serie di interventi, quali l'approvazione dei due «Decreti Mezzogiorno», uno dei quali prevede l'istituzione delle zone economiche speciali;

   in tal senso, il decreto-legge 20 giugno 2011, n. 91, «Disposizioni urgenti per la crescita economica nel Mezzogiorno», cosiddetto «Decreto Mezzogiorno» (convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2017, n. 123) recante «Disposizioni urgenti per la crescita economica nel Mezzogiorno» ha previsto, all'articolo 4: «Al fine di favorire la creazione di condizioni favorevoli in termini economici, finanziari e amministrativi, che consentano lo sviluppo, in alcune aree del Paese, delle imprese già operanti, nonché l'insediamento di nuove imprese in dette aree, sono disciplinate le procedure, le condizioni e le modalità per l'istituzione di una Zona economica speciale, di seguito denominata “ZES”»;

   gli articoli 4 e 5 del decreto sono appunto dedicati alla istituzione delle zone economiche speciali;

   l'istituzione di una zona economica speciale, come sottolinea l'articolo 4, comma 1, porta come conseguenza principale la possibilità per le imprese di sfruttare importanti benefìci inerenti alle semplificazioni amministrative che consentano lo sviluppo di imprese già insediate e che si insedieranno, attraendo anche investimenti esteri;

   molte delle zone economiche speciali individuate, hanno al loro interno la presenza di Consorzi per lo sviluppo industriale (Asi), che saranno ovviamente coinvolti dalle misure sopracitate previste dall'istituzione delle zone economiche speciali. I Consorzi sono a loro volta controllati dalle regioni, che sono tenute in caso di gravi e persistenti irregolarità di gestione, a sciogliere gli stessi e a nominare un commissario;

   nel caso della regione Puglia, il 2 agosto 2018 è stato approvato con delibera di giunta n. 1442 il piano di sviluppo strategico per la costituzione delle zone economiche speciali «Adriatica» e «Jonica», con le relative perimetrazioni delle aree interessate;

   nella suddetta regione ci sono numerosi casi di mancata realizzazione di servizi primari (come opere fognarie e idriche) da parte dei Consorzi di sviluppo industriale –:

   se il Governo sia a conoscenza di quanto sopra esposto e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda intraprendere per sostenere l'opportunità di sviluppo d'impresa e di competitività che le zone economiche speciali rappresenteranno per i territori prescelti.
(5-00546)


   BENAMATI, MORETTO, BONOMO, GAVINO MANCA, MOR, NARDI, NOJA e ZARDINI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   l'articolo 3, comma 1-bis, del decreto-legge 25 luglio 2018, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 settembre 2018, n. 108, ha prorogato dal 1° luglio 2019 al 1° luglio 2020 la data della cessazione del regime «di maggior tutela» nel settore del gas naturale e dell'energia elettrica, stabilita dall'articolo 1, commi 59 e 60, della legge 4 agosto 2017, n. 124, ritardando il processo di passaggio previsto che ha la finalità di estendere il mercato libero, favorendo regimi di sana concorrenza tra gli operatori, obbligandoli a fornire offerte trasparenti e «certificate», e di mettere i consumatori nella condizione di scegliere in maniera chiara e consapevole le offerte di luce e gas più vantaggiose e affidabili;

   lo slittamento della data incide su un mercato dove, alla fine del 2017, 15,7 milioni di utenze hanno scelto il mercato libero, cifra che rappresenta il 43,2 per cento del mercato, e 20,5 milioni il mercato tutelato (56,5 per cento del mercato), mentre 91 mila risultano essere quelle in regime di salvaguardia (lo 0,3 per cento);

   l'articolo 1, commi 67-68, della citata legge n. 124 del 2017, rinvia a un decreto del Ministro dello sviluppo economico la definizione delle misure necessarie a garantire l'ingresso consapevole nel mercato dei clienti finali, secondo meccanismi che assicurino la concorrenza e la pluralità di fornitori e di offerte nel mercato libero;

   il timore è che la mancata emanazione del citato decreto ministeriale, che sta determinando un rallentamento del processo di riforma, e la proroga della data per il passaggio di regime siano sintomatici di una volontà di vanificare il processo di riforma del mercato energetico, mentre sarebbe necessario utilizzare il tempo a disposizione per offrire un meccanismo che fornisca le maggiori certezze ai consumatori in termini di trasparenza, affinché possano scegliere nel modo più consapevole –:

   quali siano gli orientamenti del Governo in merito alla riforma di cui in premessa e se abbia intenzione di proseguire nel percorso delineato dalla legge 4 agosto 2017, n. 124, teso a favorire la concorrenza in un settore così importante per la vita di cittadini e imprese.
(5-00547)


   ANDREUZZA e PATASSINI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   già nel 2017 con la scelta del tema «Future Energy» cui è stata dedicata l'esposizione internazionale (Expo) svoltasi ad Astana in Kazakistan, si è posta l'attenzione mondiale sulla questione energetica per l'immediato futuro, con particolare riguardo sia alla domanda in continua crescita sia all'esigenza di una produzione di energia sostenibile ed efficiente, perseguibile grazie ai progressi della ricerca, alle tecnologie innovative, alle politiche per aumentare l'efficienza energetica e favorire lo sviluppo delle fonti rinnovabili;

   il tema, che si pone in continuità con il dibattito mondiale dell'Accordo di Parigi sul clima e dell'Agenda 2030 di sviluppo sostenibile adottati dalle Nazioni Unite, richiede investimenti e incentivi che favoriscano lo sviluppo dell'innovazione tecnologica e la prestazione di servizi avanzati nei settori dell'energia e dei processi industriali, con particolare riferimento all'uso razionale dell'energia;

   in Italia oltre seimila professionisti lavorano nel comparto energetico: si tratta di operatori qualificati sempre più richiesti dalle aziende e protagonisti di un trend molto positivo anche dal punto di vista occupazionale. Secondo il Centro Studi Avvenia, società del gruppo Terna attiva nel settore dell'efficienza energetica, il settore delle energie rinnovabili e del risparmio energetico rappresenta, infatti, un terreno fertile anche dal punto di vista lavorativo, soprattutto per le giovani risorse;

   lo sviluppo tecnologico ha come scopo primario quello di accrescere la competitività delle aziende e, per raggiungere questo obiettivo, oggi più che mai si rende necessario anche nel nostro Paese porre l'efficientamento energetico al centro di ogni progetto di sviluppo dell'economia delle imprese –:

   quali iniziative intenda adottare il Governo per favorire lo sviluppo e la competitività delle aziende italiane che operano nel settore dell'energia, rivolgendo particolare attenzione alle misure di efficientamento e risparmio energetico promosse sul territorio nazionale.
(5-00548)


   BARELLI e PORCHIETTO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   con delibera 23 novembre 2017, 783/2017/R/COM, l'Autorità di regolazione per energia reti e ambiente (Arera) ha stabilito per tutti i clienti finali, domestici e non domestici, di luce e gas, che il recesso per cambio fornitore venga inviato unicamente dal fornitore subentrante a quello uscente, tramite il Sistema informativo integrato (SII). Sostanzialmente si prevede un mandato a recedere fornito dal cliente in sede di sottoscrizione di un nuovo contratto, connettendo l'esercizio del recesso alla presenza di un soggetto scelto dal cliente, in grado di garantire una fornitura;

   tale delibera si conforma alla realtà dei piccoli consumatori (utenti in bassa tensione o che consumano meno di 200.000 Smc/anno di gas), che hanno la possibilità di un preavviso di soli 30 giorni per il cambio fornitore;

   viceversa, per i clienti elettrici in media e alta tensione, o con consumi di gas superiori ai 200.000 smc/anno, (in sostanza: per le imprese) che hanno contratti a tempo indeterminato, si prevedono clausole lasciate liberamente alla contrattazione delle parti e termini di preavviso di recesso mediamente molto lunghi (dai 12 ai 24 mesi); tale meccanismo appare lesivo dei loro diritti e interessi;

   non è pensabile che 12 mesi prima, in un mercato che negli ultimi anni è stato «scosso» da forti oscillazioni di prezzo, l'azienda debba aver necessariamente scelto il fornitore subentrante e sia costretta a passare tramite questo e il SII, pena la non possibilità di disdire il contratto sottoscritto. Anche da un punto di vista legale questa limitazione è discutibile, in quanto andrebbe ad esautorare il potere negoziale di contrarre e rescindere contratti;

   in sede di consultazione preparatoria alla delibera alcuni soggetti partecipanti hanno segnalato che tale previsione potrebbe non rispondere pienamente alla volontà ultima del cliente, la cui realizzazione è tutelata dalla regolazione e da Arera;

   alcuni fornitori, contestando che la procedura di recesso non è stata eseguita seguendo la delibera n. 783 del 2017, già oggi ritengono il recesso ricevuto direttamente dal cliente non valido. Nei nuovi contratti questa modalità obbligata di recesso è inserita come clausola –:

   se il Governo non intenda adottare iniziative, per quanto di competenza, volte alla revisione complessiva della disciplina del recesso contrattuale per i clienti del settore elettrico e del gas, al fine di tutelare la libertà contrattuale delle imprese in relazione a quanto segnalato in premessa, nel pieno rispetto delle esigenze degli utenti.
(5-00549)

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Cenni e Ciampi n. 5-00504, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 21 settembre 2018, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Ceccanti.

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interrogazione a risposta in Commissione Golinelli n. 5-00427 del 13 settembre 2018.

Ritiro di una firma da un'interpellanza.

  Interpellanza urgente Vianello e altri n. 2-00117, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 25 settembre 2018: è stata ritirata la firma del deputato Rizzone.