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Resoconto dell'Assemblea

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XVIII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Venerdì 23 marzo 2018

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta scritta:


   PATASSINI, LATINI, PAOLINI, CAPARVI, MARCHETTI, BELLACHIOMA, D'ERAMO, DURIGON, GERARDI, SALTAMARTINI, DE ANGELIS e ZICCHIERI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:

   ad un anno e mezzo dagli straordinari eventi sismici che, a decorrere dal 24 agosto 2016, hanno colpito il centro Italia, la ricostruzione stenta a partire, anche per il verificarsi di una serie di problematiche soprattutto procedurali;

   nell'ambito delle proroghe concesse con gli ultimi provvedimenti legislativi della XVII legislatura, con il comma 5 articolo 2-bis, decreto-legge n. 148 del 2017 (legge n. 172 del 2017), è stata prevista la compilazione e presentazione delle schede AeDES (Agibilità e danno nell'Emergenza Sismica), da parte dei tecnici professionisti, corredata della relativa perizia giurata e della documentazione, entro la data del 31 marzo 2018, pena la cancellazione del professionista dall'elenco speciale, il mancato riconoscimento al professionista del compenso per l'attività svolta e l'inammissibilità della domanda di contributo di cui all'articolo 8 del decreto-legge n. 189 del 2016;

   gli ordini professionali territoriali lamentano un quadro complesso e difficoltoso di operatività in cui si trovano ad operare i tecnici professionisti, in quanto, per moltissimi casi, le notifiche delle schede FAST (schede cui devono seguire le schede AeDES) sono state sostituite dalla pubblicazione in data vicina alla scadenza o sono state notificate tardivamente; oltre a ciò, i tribunali presso cui devono essere giurate le schede AeDES lamentano un notevole sovraccarico di lavoro e non riescono a fronteggiare nei tempi la grande richiesta;

   inoltre, con il comma 4, lettere b) e c), articolo 2-bis, del sopraccitato decreto-legge n. 148 del 2017, è stato modificato l'articolo 8, comma 4, del decreto-legge n. 189 del 2016, prevedendo:

    la presentazione agli uffici speciali per la ricostruzione della documentazione relativa ai danni di lieve entità, entro la data del 30 aprile 2018, pena l'inammissibilità della domanda di contributo;

    la possibilità per il commissario straordinario di disporre il differimento di tale termine, per una sola volta e comunque non oltre il 31 luglio 2018;

   purtroppo, l'accavallarsi di tali scadenze con il passaggio alla XVIII legislatura aggrava la preoccupazione dei terremotati e dei professionisti incaricati, anche per il gran numero di progetti ancora da presentare;

   le note degli uffici speciali ricostruzione delle regioni Marche e Umbria, inviate ai sindaci e agli ordini professionali, testimoniano la situazione critica in atto, visto che solo per la regione Marche sono ancora attese 14.235 perizie giurate (AeDES) e sono circa 5.000/6.000 i progetti di ricostruzione per danni lievi;

   l'avvicinarsi delle scadenze degli importanti adempimenti per l'accesso ai contributi della ricostruzione crea ansie e paure nei cittadini colpiti dal terremoto, anche in considerazione del prorogarsi dei tempi per il ritorno alle normali condizioni di vita e di lavoro;

   peraltro, mentre il termine del 30 aprile 2018 potrebbe essere prorogato dal commissario, fino al 31 luglio 2018, il termine per la presentazione delle schede AeDES, fissato dalla legge, può essere prorogato solo con una norma di rango primario;

   non sarebbe corretto colpire le categorie professionali che, non solo hanno dato il loro pronto contributo nelle prime fasi del post emergenza, ma sono anche indispensabili per il buon esito della ricostruzione;

   la proroga dello stato di emergenza, prevista dal Consiglio dei ministri del 22 febbraio 2018, dimostra le difficoltà riscontrate nel periodo post terremoto e, quindi, la necessità di prorogare anche i termini previsti per gli adempimenti procedurali da parte dei tecnici incaricati –:

   se il Presidente del Consiglio dei ministri intenda convocare urgentemente il Consiglio dei ministri per adottare un decreto-legge per l'immediato differimento delle due sopraccitate scadenze (presentazione schede AeDES e domande di contributo per danni lievi), allo scopo di risolvere effettive difficoltà di rispetto dei termini per i professionisti interessati e per i cittadini colpiti dal sisma del centro Italia 2016-2017 ed evitare ovvie ripercussioni negative sul processo di ricostruzione.
(4-00007)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta scritta:


   LA MARCA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   l'Italia, per il suo livello di internazionalizzazione e di proiezione a livello globale e per l'entità dei flussi turistici in entrata ha un obiettivo e forte interesse a facilitare la mobilità territoriale sia degli italiani che operano all'estero che degli stranieri che si trovano nel nostro Paese;

   il Canada, sotto tale profilo, è uno dei partner di maggiore interesse, da un lato per la dimensione dell'interscambio e la presenza di un'ampia e consolidata comunità italiana nella società canadese, dall'altro per l'interessante numero di cittadini canadesi residenti in Italia;

   è noto che le differenze esistenti tra i sistemi giuridici dei due Paesi in materia di motorizzazione civile hanno prolungato nel tempo la definizione di un accordo tra i due Paesi, dal momento che in Canada, a differenza dell'Italia, le competenze in materia di mobilità appartengono alle province e ai territori, con conseguente limitazione dei poteri decisionali del governo federale;

   è accaduto così che dalla prima bozza di accordo-quadro del 2006 si è passati all'incontro svoltosi nel marzo 2012 tra funzionari del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e funzionari dell'ambasciata canadese, a seguito del quale veniva riproposto un testo di accordo quadro tra Governo italiano e Governo federale, ulteriormente rivisitato e nuovamente inviato, fino a giungere alla richiesta da parte canadese di un testo meno dettagliato e più aperto, tale da consentire successivamente la definizione di accordi operativi con le singole province canadesi;

   dopo la messa a punto di una nuova versione nella quale erano sottolineati ed enfatizzati le competenze e il ruolo degli enti territoriali, si è finalmente giunti il 23 marzo 2017 alla sottoscrizione dell'accordo quadro tra il Vice Ministro Benedetto della Vedova per il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale e l'ambasciatore del Canada in Italia Peter McGovern sul reciproco riconoscimento delle patenti di guida;

   già all'indomani dell'importante evento, frutto, come si è visto, di oltre un decennio di contatti e relazioni sulla materia, l'interrogante, che già in precedenza aveva, in molteplici forme e occasioni, richiesto la firma dell'accordo quadro, ha ripreso le sue insistenti sollecitazioni per passare alla fase degli accordi operativi con le singole province, a partire da quelle nelle quali esiste una maggiore presenza di italiani;

   da contatti diretti intercorsi, ad esempio, con i rappresentanti della provincia del Québec si è potuta acquisire la disponibilità di quel Governo provinciale a sottoscrivere un accordo con l'Italia, alla luce delle competenze dirette da esso possedute e nel quadro dei criteri enunciati nell'accordo quadro –:

   quale sia lo stato delle relazioni tra il Governo italiano e le singole province canadesi in merito all'auspicata definizione degli accordi operativi sul reciproco riconoscimento delle patenti di guida e quali siano realisticamente le previsioni temporali che il Governo pensi di potere avanzare affinché si arrivi alle intese prima con i Governi del Québec e dell'Ontario, che sembrano le più mature in ordine di tempo, e poi con le altre province del Canada.
(4-00005)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   FOTI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   nel piano economico-finanziario approvato a suo tempo da Autostrade Centro Padane spa era prevista la realizzazione della variante della strada provinciale n. 6 di Carpaneto (tra Crocetta e San Giorgio Piacentino), tant'è che nel giugno del 2010 ebbero ad inizio i relativi lavori, poi soggetti ad interruzione per ragioni attinenti alla situazione finanziaria della detta società, con conseguente risoluzione del contratto d'appalto in essere;

   se è vero che i lavori in questione risultano sospesi da circa cinque anni, altrettanto vero è che le opere realizzate (pari al 33 per cento del valore di quelle previste) rischiano di diventare del tutto inutilizzabili senza un'immediata riapertura del cantiere che qui interessa;

   Autovia Padana spa è subentrata il giorno 1° marzo 2018 nella gestione dell'Autostrada A21 Brescia-Cremona-Piacenza alla Società Autostrade Centro Padane spa in virtù della convenzione rep. 16051/7665 stipulata con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti in data 31 maggio 2017;

   la predetta convenzione prevede, oltre alla gestione del collegamento autostradale, la realizzazione e la gestione di nuovi investimenti, tra i quali quelli in questione, tecnicamente definiti «interventi sulla viabilità di adduzione alla A21 in Piacenza»;

   le pure opportune rassicurazioni riguardanti la volontà, da parte della detta società, di dare corso al completamento degli interventi di che trattasi secondo gli impegni previsti nel piano economico finanziario allegato alla convenzione sottoscritta con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, non individuano con certezza il momento della ripresa dei lavori in questione –:

   se siano noti al Ministro interrogato detti tempi e, in ogni caso, se intenda assumere iniziative per accertarli; conseguentemente, quando – salvo cause di forza maggiore – gli stessi dovrebbero essere conclusi.
(5-00001)


   FOTI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   sono evidenti e quotidiani i gravi disservizi che da tempo negativamente incidono sull'operatività dell'ufficio della motorizzazione di Piacenza legati al comparto dei mezzi pesanti;

   negli ultimi anni è diventato molto difficile, infatti, eseguire operazioni di collaudo e di revisione dei detti mezzi in tempi consoni, così come, negli ultimi mesi del 2017, numerosi operatori del settore si sono visti costretti a rinunciare ad eseguire alcuni incarichi agli stessi conferiti, non potendo garantire ai clienti né l'esecuzione delle previste operazioni di collaudo, né la produzione della documentazione richiesta per l'immatricolazione di mezzi pesanti. Addirittura, in alcuni casi, gli operatori del settore si sono dovuti recare ad effettuare le operazioni richieste dai clienti presso officine terze (anziché presso gli uffici della motorizzazione di Piacenza) che avevano la possibilità di eseguire le operazioni direttamente in loco, con evidente aggravio dei costi;

   al di là di tecnicismi specifici legati alle operazioni di collaudo/revisione, buona parte delle problematiche sono dovute alla carenza di organico dei tecnici della motorizzazione. Ad oggi, infatti, sono presenti presso gli uffici della motorizzazione civile di Piacenza 3 tecnici operativi che devono effettuare operazioni di revisione, collaudi ed esami patente. A titolo esemplificativo, la motorizzazione civile di Parma, dalla quale dipendono ora gli uffici di Piacenza, ha in organico 4 ingegneri e 3 geometri, con un carico di mezzi pesanti di gran lunga inferiore rispetto all'ufficio di Piacenza (all'evidenza, i criteri utilizzati per l'assegnazione del personale tengono probabilmente conto delle vendite ed immatricolazioni di vetture ad uso privato);

   nel 2017 risultano all'interrogante essere state effettuate 12.408 domande di revisione (di cui almeno 11.000 eseguite) legate ai mezzi pesanti e risulta altresì essere stato introdotto un modus operandi che stabilisce dei tempi fissi in funzione dell'operazione di revisione da eseguire;

   ad oggi risulta altresì all'interrogante che non sia possibile prenotare le revisioni previste per il mese di marzo 2018 che verranno effettuate non prima del 10 giugno 2018 (tutte le prenotazioni prima di quella data risultano infatti esaurite) e ciò nonostante il fatto che, nel caso di controlli in Stati esteri, i mezzi rischiano di essere ritenuti circolanti contro legge, con applicazione di conseguenti sanzioni per mancata revisione –:

   se e quali urgenti iniziative intenda assumere al riguardo il Ministro interrogato.
(5-00002)

Interrogazione a risposta scritta:


   VANESSA CATTOI, BINELLI, FUGATTI e SEGNANA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   nella prima serata di ieri, 22 marzo 2018, si è consumato l'ennesimo episodio di violenza su un treno, quando alla stazione di Ala, sul convoglio regionale diretto a Verona proveniente da Rovereto, è stata aggredita la capotreno;

   questa donna di Bolzano, che svolge con professionalità il proprio lavoro in Trenitalia da molti anni, non ha subito fortunatamente un'aggressione fisica, ma è stata aggredita verbalmente da un giovane ragazzo di colore che ha reagito con violenza quando gli è stato chiesto di esibire il titolo di viaggio;

   in seguito a questo grave accaduto, la capotreno è rimasta a bordo del convoglio che ha ripreso la corsa dopo una lunga fermata alla stazione, mentre l'aggressore ha tentato la fuga per le strade di Ala inseguito dai carabinieri –:

   alla luce della crescita esponenziale degli episodi di violenza che vedono vittime il personale dipendente di Trenitalia da parte di passeggeri sprovvisti di biglietto, quali iniziative i Ministri interrogati intendano mettere in atto per garantire la sicurezza del personale impegnato nel lavoro sui treni.
(4-00001)

INTERNO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FOTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   il Comando dei vigili del fuoco di Piacenza, così come evidenziato in passato anche in atti di sindacato ispettivo a firma dell'interrogante, lamenta da tempo una preoccupante e irrisolta carenza di personale operativo. In particolare, allo stato, si registra una scopertura di circa 50 unità che, in un organico di circa 180 operativi, è pari ad oltre il 30 per cento del personale assegnato;

   la rappresentata situazione negativamente incide sulla funzionalità del predetto Comando, tant'è che, sempre più spesso, si verifica la sospensione di un distaccamento sul territorio provinciale per consentire la piena operatività, per altro indispensabile per garantire la sicurezza del personale operativo e del cittadino;

   alle predette carenze di personale si devono aggiungere le assenze per le malattie, gli infortuni, le ferie, la partecipazione ai corsi di formazione e aggiornamento, indispensabili per offrire un servizio professionale alla popolazione;

   la situazione sopra evidenziata è stata, in più occasioni, oggetto di denuncia da parte delle organizzazioni sindacali. Ne è la riprova il fatto che un'organizzazione sindacale risulta tuttora impegnata in uno stato di agitazione sulla questione;

   pare evidente che il protrarsi di una siffatta situazione non può ulteriormente essere tollerato, non solo per le negative conseguenze che incidono sul servizio, ma anche perché non si può all'infinito contare sull'abnegazione del personale in servizio, personale che — va evidenziato — negli anni si è oltremodo impegnato per garantire la miglior copertura possibile del territorio provinciale, consentendo — tra l'altro — l'apertura prima del distaccamento di Bobbio e, poi, di quello di Castel San Giovanni, pur in assenza di una qualsiasi decisione che permettesse l'incremento organico effettivo;

   per di più, come attestato da alcuni inopinati commenti seguiti ad un incendio sviluppatosi a Castel San Giovanni, si corre anche il rischio che sul personale operativo si scarichino responsabilità, in ordine — ad esempio — ai tempi di intervento, che lo stesso non ha minimamente –:

   se è quali urgenti iniziative intenda assumere al riguardo il Ministro interrogato, essendo evidente che la situazione qui rappresentata è grave e che alla stessa deve essere data, anche da parte delle istituzioni, una risposta immediata, che si concretizzi nei fatti.
(5-00003)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta scritta:


   PAOLO RUSSO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   il decreto legislativo n. 206 del 2007 disciplina l'attuazione della direttiva 2005/36/CE relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali, nonché della direttiva 2006/100/CE, che adegua determinate direttive sulla libera circolazione delle persone a seguito dell'adesione di Bulgaria e Romania;

   per quanto riguarda il riconoscimento dei titoli per l'esercizio della professione docente, la normativa prevede che il riconoscimento possa essere richiesto «per gli insegnamenti per i quali l'interessato sia legalmente abilitato nel Paese che ha rilasciato il titolo ed a condizione che tali insegnamenti trovino corrispondenza nell'ordinamento scolastico italiano»;

   il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca valuta l'accoglimento o meno dell'istanza di riconoscimento dopo aver verificato la corrispondenza e la correttezza del percorso di formazione frequentato in altro Stato;

   per quanto riguarda i titoli conseguiti in Romania, il Ministero sta agendo con criteri restrittivi nel senso di sospendere i procedimenti, adducendo la incompletezza della documentazione relativa all'attestazione dell'autorità competente rumena e chiedendo ai docenti una integrazione, ovvero «la regolare attestazione della competente autorità in Romania sul valore legale della formazione posseduta»;

   il Ministero chiederebbe il rilascio da parte delle autorità rumene di un ulteriore documento che attesti ai cittadini italiani la conformità alla direttiva 2005/36/CE dei titoli che hanno conseguito regolarmente in Romania, nelle stesse modalità e dalla stessa autorità con cui viene rilasciata una dichiarazione di conformità ai cittadini rumeni per il riconoscimento della professione di docente in Italia – cosiddetto certificato Adeverinta;

   la richiesta di integrazione documentale da parte del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca esula da quanto previsto in materia di documentazione da accludere alla domanda di riconoscimento di cui all'articolo 17, comma 1, del decreto legislativo n. 206 del 2007;

   il Ministero rumeno, interpellato in tal senso dai cittadini interessati, non ritiene necessaria ai sensi della normativa europea, questa integrazione documentale e conferma la validità della certificazione rilasciata anche ai fini del riconoscimento del titolo in Italia;

   il Ministero rumeno ha in merito le seguenti indicazioni:

    il rilascio dell'attestazione di conformità degli studi con le disposizioni della direttiva 2005/36/CE concernente il riconoscimento delle qualifiche professionali può essere effettuato esclusivamente ai cittadini dell'Unione che abbiano effettuato il ciclo di studi universitari ed ottenuto una laurea in Romania e non agli altri cittadini dell'Unione in possesso di una laurea in un altro Stato membro e che abbiano frequentato successivamente corsi di pedagogia (i.e. corsi post-universitari) in Romania;

    le attestazioni rilasciate dal Ministero rumeno ai nostri connazionali ricadono nell'ipotesi del rilascio dell'attestazione concernente la certificazione delle competenze per la professione di docente, maturate attraverso il completamento con successo di un programma accreditato di formazione psicopedagogica di primo livello e/o di secondo livello, all'interno delle unità di istruzione o delle istituzioni di istruzione superiore accreditate della Romania;

    la certificazione rilasciata è pienamente conforme alla normativa rumena e dell'Unione europea nonché all'articolo 17 del decreto legislativo n. 206 del 2007, per l'esercizio in Italia della professione di docente –:

   se i Ministri interrogati non ritengano di adoperarsi, anche mediante l'adozione di un apposito provvedimento, per trovare celermente una soluzione alla vicenda al fine di accogliere le preoccupazioni e le richieste dei cittadini italiani che hanno conseguito il titolo di abilitazione all'insegnamento in Romania, nonché di evitare l'avvio di possibili e costosi contenziosi da parte di coloro che hanno riposto aspettative sulla spendibilità della loro formazione.
(4-00002)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta scritta:


   FIDANZA, OSNATO, FRASSINETTI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:

   è grave la Situazione di crisi che sta vivendo il mondo vitivinicolo dell'Oltrepò Pavese, in particolare dopo lo scandalo che ha interessato la cantina «Terre d'Oltrepò» e il fallimento della cantina «La Versa», principali realtà aziendali dello stesso;

   soprattutto in seguito allo scandalo che ha investito la prima delle citate cantine tutto l'indotto del settore vitivinicolo della zona, che rappresenta la principale fonte di reddito del territorio, si sta trovando in serie difficoltà;

   in seguito al fallimento della cantina «La Versa», nel febbraio del 2017 la stessa è stata rilevata da «Terre d'Oltrepò» che così è diventata la realtà che gestisce oltre il cinquanta per cento delle uve e del vino della zona;

   il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, pro tempore, Maurizio Martina, si è pubblicamente espresso a più riprese in favore di questa operazione, lasciando trasparire un forte impegno diretto suo personale e del Ministero a sostegno della stessa;

   in particolare, in un'intervista pubblicata sul quotidiano La Provincia Pavese in data 30 agosto 2016, il Ministro, rispondendo ad una domanda circa il futuro delle cantine sociali, ha dichiarato che «In Oltrepò ci sono esperienze molto importanti e casi che, ovviamente, vanno affrontati con grande attenzione. Bisogna lavorare sul potenziale di questo territorio. Siamo qui anche per spronare i produttori a non perdersi d'animo. Siamo al loro fianco per pensare insieme a un'operazione di rilancio del territorio»;

   inoltre, con particolare riferimento alla cantina «Terre d'Oltrepò», il Ministro ha affermato che «ha una forza incredibile che va sfruttata al meglio. Il compito del Ministero, nei limiti delle sue responsabilità, è anche aiutare la cantina a superare questo momento difficile»;

   l'acquisizione della cantina «La Versa» da parte di «Terre d'Oltrepò» è stata approvata anche dall'assessore all'agricoltura della regione Lombardia, il quale su La Provincia Pavese del 4 marzo 2017 ha dichiarato: «I monopoli non possono esistere in un mercato competitivo e talmente vasto come quello del vino. E poi un piccolo monopolio territoriale non è nulla rispetto al mondo globalizzato che è quello a cui dobbiamo guardare. L'obiettivo della Regione è che la produzione si concentri su livelli alti, abbiamo bisogno di valore e non di quantità e che le uve vengano remunerate in modo adeguato»;

   da più parti sono state espresse lodi per cantine Terre d'Oltrepò in relazione al modello imprenditoriale e alla recente acquisizione;

   il direttore generale della Cantina di Soave ha dichiarato al blog del noto giornalista ed enologo Franco Ziliani: «Purtroppo, secondo me, interessi esterni e contrari al territorio Oltrepò con l'operazione La Versa hanno messo una grossa pietra sulla possibilità di rinascita della zona. Ci vuole poco a capire chi ha interesse a continuare ad approvvigionarsi a basso costo. Broni si è prestata “(...)” la politica e Martina ci hanno messo del loro»;

   il monopolio del mercato delle uve che si è venuto a creare nella zona dell'Oltrepò proprio in seguito alla citata acquisizione da parte della cantina «Terre d'Oltrepò» sta causando la continua diminuzione dei prezzi delle uve e, di conseguenza, sta danneggiando tutti gli imprenditori agricoli della zona –:

   se il Ministero per le politiche agricole alimentari e forestali abbia svolto un ruolo attivo nel favorire il processo di acquisizione della cantina «La Versa» da parte di «Terre d'Oltrepò», e, se del caso, se abbia valutato i rischi derivanti dalla creazione di un sostanziale monopolio su un territorio piccolo come quello dell'Oltrepò Pavese con conseguente significativo ribasso dei prezzi delle uve;

   quali azioni si intendano intraprendere per ripristinare una normale dinamica dei prezzi delle uve nel citato territorio, che consenta di valorizzare l'elemento qualitativo della produzione autoctona, remunerando adeguatamente i viticoltori conferenti e preservando quindi vitigni d'eccellenza tipici del territorio oltrepadano.
(4-00008)

SALUTE

Interrogazioni a risposta scritta:


   PAOLO RUSSO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   con il termine maculopatia o degenerazione maculare si indica qualsiasi patologia che comporti una degenerazione della macula, che è la parte centrale della retina, deputata in condizioni normali alla visione centrale distinta, che permette di vedere i particolari, di leggere, di guidare, di distinguere i volti;

   la degenerazione maculare è, nella maggior parte dei casi, legata all'età: nei Paesi industrializzati risulta essere la prima causa di ipovisione nei soggetti di età superiore ai 50 anni, la prima causa di cecità e la terza se si considerano anche i Paesi meno sviluppati;

   secondo i dati e le ricerche condotte in materia nel 2020 circa 196 milioni di persone saranno colpite da maculopatia;

   attualmente, per bloccare la maculopatia, sono state individuate terapie a base di farmaci anti VEGF o di corticosteroidi a rilascio prolungato che vengono iniettati all'interno degli occhi per migliorare la visibilità, limitare o bloccare il peggioramento della malattia;

   in Italia l'accesso alle cure appare molto complicato, perché le iniezioni intravitreali: devono essere eseguite esclusivamente in sala operatoria e per questo i farmaci necessari alla cura della maculopatia sono collocati in fascia H, quella dei prodotti utilizzabili esclusivamente in sede ospedaliera;

   l'Italia è l'unico Paese dove è prevista questa rigidità in materia di terapie intravitreali: in altri Stati europei, così come negli Stati Uniti, le iniezioni possono essere eseguite direttamente in ambulatorio; infatti il numero dei pazienti assistiti, che, per quanto riguarda gli altri Paesi, supera il milione, in Italia si riduce a circa 300 mila persone;

   la sala operatoria si ritiene sede più appropriata per questo tipo di intervento, in quanto garantirebbe maggior sicurezza soprattutto per quanto il rischio di contrarre la endoftalmite, una grave infezione intraoculare che può portare alle perdita completa della vista;

   analisi condotte a livello internazionale al fine di valutare il tasso di incidenza di endoftalmite hanno dimostrato che l'incidenza complessiva di questa infezione è pari allo 0,043 per cento poco più di 4 casi ogni 10.000 iniezioni, e che non risultano differenze tra gli interventi condotti in sala operatoria e quelli condotti negli ambulatori;

   in Italia questa patologia colpisce circa il 2 per cento della popolazione e interessa quasi un milione di persone di età superiore ai 55 anni con circa 63 mila nuovi casi ogni anno;

   i farmaci indicati per la cura delle maculopatie presentano importanti differenze di costo per singola dose che incidono sul costo della cura a carico del Servizio sanitario nazionale –:

   quali iniziative intenda assumere il Ministro interrogato affinché le modalità di prescrizione dei farmaci di cura delle maculopatie e della loro somministrazione siano riviste con una certa sollecitudine e sia introdotta la possibilità, anche per gli ambulatori di oftalmologia che presentano determinati requisiti di sicurezza per i pazienti, dispensare farmaci contro la patologia maculare e di operare iniezioni intravitreali.
(4-00003)


   FUGATTI, BINELLI, VANESSA CATTOI, SEGNANA e ZANOTELLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   il punto nascite di Cavalese è stato protagonista di una vicenda tribolata, vittima di vincoli burocratici diversi, sorti ad ogni tentativo di procedere ad una riapertura;

   in origine il Ministero della salute ha riconosciuto la specificità del territorio, concedendo la deroga alla soglia dei 500 parti annui. Mancavano, però, il numero minimo di professionisti per garantire il funzionamento 24 ore al giorno del reparto. A tal proposito si è provveduto ad ottemperare alle richieste ministeriali;

   nei giorni scorsi si è appreso come la lettera del Ministero in risposta alle richieste provinciali per l'ospedale di Cavalese, renda noto che condizione necessaria per la riapertura del Punto nascite è la presenza non solo di una seconda sala parto sempre pronta e disponibile H24 per le emergenze ostetriche del blocco travaglio/parto, ma anche di una sala operatoria sempre pronta e disponibile per le emergenze H24 nel blocco travaglio/parto;

   a causa di quanto dichiarato dal Ministero della salute, secondo cui la riapertura del Punto nascite è subordinata alla predisposizione della seconda sala parto e della sala operatoria, pare chiaro che si presenta impossibile la riapertura immediata del Punto nascita di Cavalese come promesso dalla provincia di Trento;

   è quanto mai insolito che assessorato e dipartimenti non abbiano comunicato con trasparenza e tempestività ad operatori e cittadinanza la situazione relativa alle strutture decentrate della sanità provinciale, destando sorpresa nei cittadini nell'apprendere che le comunicazioni del Ministero fossero giunte in Trentino già da diverse settimane;

   appare difficile comprendere quali siano le reali intenzioni della provincia (assessore e dirigenti) per l'ospedale di Cavalese, visto il mancato rispetto degli impegni presi con i cittadini per la pronta riattivazione del servizio entro settembre 2017, nonché, presumibilmente, entro aprile 2018;

   appare incomprensibile per quale motivo non si sia già in tempi precedenti provveduto a iniziare le progettazioni per la sala operatoria necessaria per garantire il punto nascite di Cavalese. Appare oscura la mancanza di atti dell'assessorato provinciale al fine di attivarsi per la costruzione di tale sala operatoria nei mesi scorsi, ben sapendo che tale struttura è e sarebbe stata necessaria per l'ottenimento della deroga –:

   se il Ministro interrogato, essendo a conoscenza della situazione, intenda assumere iniziative al fine di prevedere una deroga alla temporanea assenza delle sale operatorie richieste per il mantenimento in attività del punto nascita di Cavalese, al fine di tutelare il bene primario della salute dei cittadini ed i medici che erano stati assunti in prospettiva di una riapertura del punto nascita ad aprile.
(4-00006)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta scritta:


   MOLTENI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   i continui problemi relativi al recapito della posta in alcune zone del comune di Cantù, che si protraggono ormai da anni, stanno esasperando i cittadini che vedono regolarmente leso il proprio diritto ad usufruire di un diritto universale, come quello postale, di qualità;

   in alcune zone di Cantù il servizio è regolare, ma in altre, sia al centro città che in periferia, la situazione non è più tollerabile: la posta viene consegnata con ritardi esorbitanti, al punto di ricevere fatture per pagamenti scadute anche tre mesi prima;

   sembra che il problema sia da ricondurre principalmente alla carenza di portalettere, le cui assunzioni sono legate a contratti precari, mai consolidati, nonostante l'azienda si fosse impegnata a regolarizzarli nel corso di cinque anni;

   il servizio universale è affidato a Poste Italiane spa fino al 30 aprile 2026 ed è espletato sulla base di un contratto di programma 2015-2019, che «regola i rapporti tra lo Stato e Poste Italiane S.p.A. nel perseguimento di obiettivi di coesione sociale ed economica, che prevedono la fornitura di servizi utili al cittadino, alle imprese e alle pubbliche amministrazioni»;

   ai sensi dell'articolo 3, comma 7, del decreto legislativo n. 261 del 1999, come modificato dall'articolo 1, comma 276, della legge n. 190 del 23 dicembre 2014 (legge di stabilità 2015), e della 395/15/CONS, in alcune aree la consegna degli invii postali viene effettuata a giorni lavorativi alterni;

   a fronte del contributo che la società riceve per l'onere pubblico, pari a 262,4 milioni di euro all'anno, non sembra corrispondere un servizio di qualità, nonostante sulla «Carta dei servizi postali», pubblicata il 10 ottobre 2017, si legga che «grazie alla presenza capillare su tutto il territorio nazionale, ai forti investimenti in ambito tecnologico e al patrimonio di conoscenze rappresentato dai suoi oltre 140mila dipendenti, Poste Italiane ha assunto un ruolo centrale nel processo di crescita e modernizzazione del Paese» –:

   come il Ministro intenda intervenire per mettere fine alla insostenibile situazione che subiscono da anni i cittadini del comune di Cantù e per garantire l'effettiva erogazione di un servizio pubblico di qualità, nel rispetto dell'accordo siglato fra Poste Italiane spa e lo Stato, anche valutando un modello organizzativo che intervenga sui giorni di consegna e sul numero dei portalettere alternativo a quello proposto dalla società negli ultimi anni che si è dimostrato assolutamente fallimentare.
(4-00004)

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   ARLOTTI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   il 12 giugno 2016 è entrato in vigore l'orario estivo Trenitalia 2016;

   con esso è attivo il nuovo collegamento Frecciarossa Milano-Bari-Lecce, con corse il sabato e la domenica;

   come paventato dall'interrogante in un precedente atto di sindacato ispettivo, gli orari del collegamento risultano lontani dalle reali necessità della clientela, in quanto il prolungamento in Salento è stato ottenuto anticipando di quasi 2 ore la partenza da Milano la mattina (alle 6.00) e posticipando di circa un'ora l'arrivo serale a Milano (alle 23.50);

   sulla riviera romagnola, in particolare, fino alla scorsa estate esisteva un servizio dedicato alla clientela turistica milanese (in partenza da Milano alle 7.50 e ripartenza da Rimini alle 18.38), mentre gli attuali orari del sabato e della domenica (partenze alle 6.00 da Milano senza alcuna possibile adduzione dal trasporto regionale e dal trasporto locale e alle 21.42 da Rimini con arrivo a Milano troppo tardi per trasporto regionale e locale) non consentono un reale utilizzo del treno da parte dei turisti;

   inoltre, con l'attuale orario, il sabato e la domenica vengono a mancare tutte le coincidenze tra Frecciarossa e trasporto regionale nei nodi di Rimini, Ancona, Pescara, Foggia e Bari, togliendo passeggeri alla sostenibilità economica del treno;

   è evidente pertanto la necessità di riprogrammare l'attuale servizio Frecciarossa Milano Adriatica per evitare che l'attuale servizio Milano-Lecce venga soppresso definitivamente a dicembre per scarso utilizzo;

   tra le ipotesi vi potrebbero essere ad esempio: 1) ripristinare il sabato e la domenica il servizio Milano-Bari-Milano 9593-9594 come nei giorni feriali (lun/ven), 2) potenziare la tratta Milano-Rimini-Ancona dal 25 giugno al 10 settembre, con una coppia di Frecciarossa periodico estivo Milano – Ancona che venga in supporto alle necessità turistiche della riviera romagnola e marchigiana il sabato e la domenica ad un orario coerente alle necessità della clientela turistica milanese verso la riviera romagnola; 3) sostituire l'attuale servizio Frecciabianca 9813 (Milano 12.35 – Lecce 21.48) e 9818 (Lecce 8.03 – Milano 17.25) con una coppia di treni Milano – Lecce – Milano, con possibili orari Milano 13.45 – 21.55 Lecce e Lecce 09.05 – 17.15 Milano, da effettuare tutti i giorni (un collegamento in partenza da Milano alle ore 13.45 sarebbe perfetto per la clientela in partenza subito dopo pranzo in una fascia oraria al momento non soddisfatta verso l'adriatica, ricordando che il treno Italo 9995 Milano-Ancona alla stessa ora era il treno con il maggior riempimento dell'offerta adriatica di NTV, mentre il ritorno verso nord con il transito a Rimini alle ore 20 consentirebbe di intercettare anche i turisti ed i visitatori della Fiera); 4) garantire in tutte le fermate del Frecciarossa orari sincronizzati per le coincidenze con il trasporto regionale verso altre direttrici –:

   se il Ministro interrogato non ritenga necessario, per rispondere alla domanda di mobilità turistica e non, assumere iniziative affinché sia riprogrammato l'attuale servizio Frecciarossa Milano-Adriatica sia potenziata la tratta Milano-Rimini-Ancona almeno dal 25 giugno;

   se il Ministro interrogato non ritenga di sensibilizzare Trenitalia affinché sia effettuata, con gli uffici turistici una campagna di comarketing per far conoscere e incentivare l'utilizzo dei servizi di cui in premessa.
(4-13546)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, occorre premettere che i servizi ferroviari delle denominati Frecce: Frecciarossa, Frecciargento e Frecciabianca sono effettuati da Trenitalia in regime di mercato e, non essendo oggetto di alcun corrispettivo pubblico, si sostengono esclusivamente con i ricavi da traffico; la programmazione di tali servizi si basa, pertanto, su valutazioni di carattere commerciale finalizzate a garantirne la sostenibilità economica.
  In relazione al prolungamento su Lecce della coppia di «Frecciarossa» Milano-Bari e viceversa nei giorni di sabato, domenica e festivi è stata interessata la società Ferrovie dello Stato che ha comunicato quanto segue.
  Il prolungamento da/per Lecce, nel fine settimana e nei giorni festivi, della coppia di Frecciarossa Milano-Bari e viceversa è stato attivo, in via sperimentale, da giugno 2016 a gennaio 2017; dopo tale data il treno è stato nuovamente attestato su Bari per l'intera settimana a causa delle basse frequentazioni registrate sulla tratta oltre il capoluogo pugliese che ne determinava l'insostenibilità economica.
  Trenitalia informa, altresì, che con la programmazione in vigore dal mese di aprile del 2017 gli orari sono stati modificati, prevedendo al mattino la partenza da Bari (invece che da Milano) e il rientro in serata dal capoluogo lombardo.
  Il collegamento in questione, infatti, è prevalentemente rivolto ad assicurare un servizio veloce tra la Puglia e Milano e viceversa.

Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti: Riccardo Nencini.


   ARLOTTI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:

   il bando di concorso per il reclutamento di «60 esperti per il patrimonio culturale» ex articolo 8 del decreto-legge n. 83 del 2014 è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale IV serie speciale – concorsi ed esami n. 98 del 22 dicembre 2015;

   a fine 2016 una commissione di dirigenti ministeriali ha selezionato i vincitori del bando, dopo un'attenta valutazione dei titoli di studio e professionali, alla quale ha fatto seguito un regolare esame orale;

   dal 1° gennaio di quest'anno i vincitori del bando (archeologi, bibliotecari e archivisti) hanno preso servizio funzionari di area III (posizione economica F1) alle dipendenze del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo;

   il 30 settembre 2017 il loro rapporto di lavoro con il Ministero terminerà senza proroghe; nonostante l'immissione in ruolo dei 500 nuovi funzionari vincitori o idonei del concorso recentemente conclusosi, per quanto riguarda i funzionari archeologi il Ministero risulta essere sotto organico di 270 unità, cifra questa che da gennaio 2018 aumenterà in vista dei prossimi pensionamenti;

   la graduatoria del concorso a tempo indeterminato, composta da 203 professionisti fra vincitori e idonei, non sarà sufficiente a colmare queste mancanze;

   il rinnovo del contratto dei vincitori del bando «60 esperti per il patrimonio culturale» non andrebbe a ledere i diritti dei 500 prossimi assunti, bensì concorrerebbe a porre rimedio alle gravi criticità sopra citate, grazie alla professionalità e all'esperienza maturate –:

   se il Ministro non ritenga opportuno affrontare la questione del rinnovo del contratto a tempo determinato.
(4-17865)

  Risposta. — Si riscontra l'interrogazione parlamentare in esame con la quale l'interrogante ha chiesto notizie sulla possibilità di proroga del rapporto di lavoro a tempo determinato instaurato a seguito del bando di concorso per «60 esperti per il patrimonio culturale».
  Al riguardo, si rappresenta che, nella consapevolezza dell'elevata qualità del lavoro svolto dai predetti funzionari e al fine di salvaguardare le professionalità - acquisite, nella legge 27 dicembre 2017, n. 205 — bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020 è stata inserita la possibilità di una proroga per tali contratti.
  Infatti, l'articolo 1, comma 306, di tale legge dispone: «I contratti a tempo determinato stipulati dagli istituti e luoghi della cultura, ai sensi dell'articolo 8 del decreto-legge 31 maggio 2014, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 luglio 2014, n. 106, possono essere prorogati per l'anno 2018, non oltre il limite massimo di 36 mesi, anche discontinui, previsto dall'articolo 19, comma 1, del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, come richiamato dall'articolo 36, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e nel limite di 1 milione di euro per l'anno 2018».
  Si evidenzia, inoltre, che ai sensi dell'articolo 1, comma 328, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 — legge di stabilità 2016, il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo è stato autorizzato all'assunzione a tempo indeterminato di 500 funzionari da inquadrare, nel rispetto della dotazione organica di cui alla tabella B allegata al regolamento di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 29 agosto 2014, n. 171, nella III area del personale non dirigenziale, posizione economica F1, nei profili professionali di antropologo, archeologo, architetto, archivista, bibliotecario, demoetnoantropologo, promozione e comunicazione, restauratore e storico dell'arte.
  La scelta di bandire tale concorso ha contestualmente favorito lo stesso contingente di personale vincitore della procedura selettiva dei «60 esperti».
  Difatti, i bandi del suddetto concorso contemplavano espressamente l'attribuzione fino ad un massimo di 30 (trenta) punti in base all'esperienza professionale maturata alla data di scadenza dei termini per la presentazione della domanda di partecipazione e molti di essi sono risultati vincitori anche in ragione del maggior punteggio, in sede valutativa, attribuito all'attività lavorativa presso gli istituti del MiBACT.
  Peraltro, nelle more dell'espletamento dei concorsi questo Ministero, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 4 aprile 2017, è stato autorizzato allo scorrimento dalle graduatorie degli idonei del sopra citato bando per n. 200 funzionari esperti del patrimonio culturale e, da ultimo, l'articolo 1, comma 305, della legge 27 dicembre 2017, n. 205 di approvazione del bilancio di previsione dello Stato per l'esercizio finanziario 2018, ha autorizzato questa Amministrazione ad assumere altre 200 unità di personale, mediante ulteriore scorrimento delle graduatorie.
  In tal modo sarà ulteriormente favorito l'ingresso anche a titolo definitivo nell'amministrazione di giovani che hanno dimostrato impegno e professionalità.
  In definitiva, negli ultimi anni, a fronte delle carenze di organico rilevate ed al blocco del
turn over, oramai operativo da diversi anni, questo Ministero è riuscito a consentire, sia con il reclutamento dei 60 esperti a tempo determinato che con il concorso sopra ricordato (e con i ricordati scorrimenti di graduatoria), l'ingresso in Amministrazione di «nuove forze».
  Ciò al fine di invertire la tendenza registratasi negli ultimi anni e reintegrare l'organico dell'amministrazione dei beni culturali con giovani di alta professionalità che concorreranno negli anni futuri a tutelare, valorizzare, promuovere l'eccezionale patrimonio culturale italiano.

Il Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali e il turismo: Antimo Cesaro.


   BALDASSARRE. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   come riportato da vari siti internet e blog di informazioni vi è un serio rischio per quel che concerne il futuro del «Museo di Doccia», il prezioso museo ubicato in Sesto Fiorentino, adiacente alla storica azienda Richard Ginori;

   il museo andrà all'asta il 23 febbraio 2017 alle ore 12 con un prezzo minimo di 4.334.700 euro;

   come riportato dai media i beni sarebbero di «proprietà della società Museo Richard Ginori in liquidazione volontaria e del fallimento Richard Ginori ma sono posti in vendita inscindibilmente tra loro insieme all'immobile»;

   inoltre, si apprende che poche settimane fa il consiglio comunale avrebbe approvato in maniera unanime la mozione «Il futuro della Manifattura Richard Ginori a Sesto Fiorentino» in cui le varie forze politiche avrebbero auspicato che l'azienda acquisisca al più presto il terreno su cui sorge la fabbrica, trovando un accordo con i liquidatori, e che si riqualifichi lo stabilimento per il rilancio definitivo dell'azienda e del museo stesso;

   come riportato dal «Corriere Fiorentino» sembrerebbe che esiste una prelazione da parte dello Stato per quel che concerne l'acquisizione di tali beni;

   sul Sole24ore, in un articolo a firma Vincenzo Chierchia, viene chiesto al Ministro interrogato di trovare: «il modo di intervenire, si faccia un grande progetto di tutela e valorizzazione per un Museo di rilievo internazionale oggi costretto a restare chiuso.»;

   il Ministero dello sviluppo economico, nel tutelare il « made in Italy», riserva particolare attenzione a settori peculiari, come quello delle ceramiche, avendo istituito anche un «Comitato nazionale ceramico», nel quale – come si può leggere sul sito del Ministero – «è stato affrontato il problema di rilanciare i marchi, dei poli e dell'alta istruzione professionale, dell'aggiornamento annuale dei dati di settore e della promozione dei contratti di rete di impresa» –:

   se il Governo sia a conoscenza della situazione su descritta;

   se il Governo non ritenga di importanza strategica assumere iniziative per mantenere in funzione un «pezzo di storia» quale è il Museo di Doccia nel settore delle ceramiche;

   quali urgenti e calibrati interventi il Governo intenda promuovere per salvaguardare, tutelare e valorizzare il Museo di Doccia tenendo, in particolare attenzione che la chiusura definitiva del museo o lo smistamento delle sue opere in altri musei inciderà negativamente sul futuro dell'antica fabbrica che verrebbe ridimensionata e trasferita in zone industriali perdendo così il legame con la sua storia che l'ha resa unica in tutto il mondo.
(4-15318)

  Risposta. — Si riscontra l'atto di sindacato ispettivo sopra indicato, nel quale l'interrogante, con riferimento al museo Richard-Ginori della manifattura di Doccia di Sesto fiorentino (Firenze) ha chiesto di conoscere le iniziative che il Ministero dei beni e delle attività culturale e del turismo intende intraprendere riguardo all'acquisizione del museo di Doccia e delle collezioni presenti.
  Come è noto, il Ministro Franceschini il 30 marzo 2017, in occasione del G7 della cultura a Firenze, si era impegnato ad acquisire la proprietà del museo di Doccia e delle relative collezioni.
  Una decisione di straordinaria importanza e per niente scontata considerato che la procedura d'acquisto era assai complessa a causa delle particolari condizioni giuridiche e proprietarie del museo.
  Nonostante le predette difficoltà, l'immobile, in data 27 novembre 2017, è stato acquistato al prezzo di 700.000 euro, inferiore alle valutazioni precedentemente effettuate dall'agenzia del demanio e dal tribunale di Firenze ed entro 120 giorni dalla predetta data saranno cedute al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo anche le collezioni e gli allestimenti museali della Richard Ginori, beni culturali di eccezionale interesse storico-artistico.
  Ciò è stato possibile mediante il procedimento regolato dall'articolo 28-
bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973 che prevede la possibilità del pagamento di imposte dirette tramite cessione di beni culturali.
  Il complesso del museo Richard-Ginori a Sesto Fiorentino comprende:

   l'immobile adibito a sede del museo stesso;

   circa 8.000 opere in porcellana e ceramica, modelli in gesso, terracotta, piombo e cera;

   il «Museo delle Terre», ovvero una serie di vasi in maiolica e vetro contenenti campioni dei materiali utilizzati per la produzione, in parte esposti e in parte conservati nei depositi del museo e dello stabilimento;

   circa 1.200 modelli in gesso, in deposito presso lo stabilimento;

   circa 3.500 lastre in metallo incise usate per stampare le decalcomanie, in deposito presso lo stabilimento;

   3.416 pietre cromolitografiche, in deposito presso lo stabilimento.

  Nello stesso edificio in cui si trova la collezione viene conservato anche l'archivio storico, costituito da una raccolta di circa 5.000 disegni, una biblioteca storica, una biblioteca moderna specialistica e una fototeca.
  Dal 2015 l'archivio storico, in collaborazione con la soprintendenza archivista della Toscana, è stato trasferito provvisoriamente presso l'archivio di Stato di Firenze per motivi conservativi e di tutela.
  L'immobile, che occupa oltre 2300 mq., è stato realizzato su progetto degli architetti Pier Niccolò Berardi e Fabio Rossi come sede del museo, con la specifica finalità di ospitare le porcellane e le raccolte della storica produzione della manifattura Richard-Ginori.
  La collezione del museo Richard-Ginori testimonia, attraverso i modelli e le realizzazioni finali in porcellana, la nascita e lo sviluppo della manifattura di Doccia a partire dal 1735 sino ai nostri giorni.
  È una collezione di fondamentale importanza per la storia della porcellana italiana e europea, e in generale della storia dell'arte italiana, poiché documenta, al massimo livello di qualità e con grande ricchezza e varietà di opere, vicende artistiche e culturali che coprono oltre tre secoli di storia, a partire dagli sviluppi della scultura tardo barocca fiorentina della prima metà del Settecento, passando dal fiorire della manifattura nei secoli successivi, sino al momento di grande importanza della direzione artistica e della produzione firmata Giò Ponti tra il 1923 e il 1930.
  Le raccolte sono state dichiarate di eccezionale interesse storico artistico con decreto ministeriale del 7 dicembre 1962, integrato con decreto ministeriale n. 232 del 23 aprile 2012, emanato dalla direzione regionale della Toscana e con il quale la collezione è stata riconosciuta come pertinenziale all'edificio.
  Secondo il vincolo, al complesso museale afferiscono, infatti, oltre all'edificio e alle collezioni artistiche, anche l'archivio storico e gli strumenti di produzione della manifattura (lastre in rame incise, forme e modelli, e museo delle terre): documenti di enorme importanza per la storia della produzione della porcellana europea, in gran parte ancora conservati in edifici facenti parte del complesso aziendale, adiacente al museo.
  Si rappresenta, infine, che in data 14 febbraio 2018 il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ha stipulato un accordo di valorizzazione con la regione Toscana e con il comune di Sesto Fiorentino, con l'obiettivo di:

   promuovere la conservazione, la catalogazione, lo studio, la comunicazione l'esposizione di testimonianze materiali, artistiche e documentarie, legate alle produzioni di porcellane artistiche realizzate, nelle diverse epoche e con marchi diversi, a Sesto Fiorentino;

   definire il modello di gestione e l'elaborazione dei conseguenti piani strategici di sviluppo culturale e programmi di valorizzazione.

  Per un'adeguata gestione del museo, sarà costituita una «Fondazione di partecipazione», aperta anche a soggetti privati, in particolare ad associazioni per la salvaguardia e valorizzazione del patrimonio culturale e al settore dell'imprenditoria, che hanno già manifestato interesse nel sostenere il rilancio del Museo, quale riferimento culturale e identitario del territorio.
  Mantenendo la promessa fatta al G7 della cultura, è stata salvata una collezione eccezionale che è parte fondamentale del patrimonio italiano.
  

La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismo: Ilaria Carla Anna Borletti dell'Acqua.


   BATTELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   l'attuale depuratore di Cornigliano versa ormai direttamente nel torrente Polcevera i liquami provenienti dalle abitazioni circostanti, creando seri problemi ambientali soprattutto nella zona della Fiumara e a Sud di via Cornigliano. Peraltro, il fenomeno è amplificato dalla concentrazione di melma nel Polcevera;

   l'impianto sembra essere a norma per quanto riguarda la qualità del filtro dell'acqua, ma non per gli odori, per cui si rende necessaria la realizzazione di un nuovo impianto a norma;

   il 23 settembre 2016 è stato sottoscritto il contratto tra comune, Mediterranea delle Acque e Società per Cornigliano per la cessione del diritto di superficie delle aree ex Ilva per la realizzazione di un nuovo impianto di trattamento di fanghi e acque. Secondo quanto previsto dal dettaglio contrattuale, il nuovo depuratore dovrà sorgere sui 15 mila metri quadrati di aree ex Ilva e di proprietà dell'autorità portuale, all'interno di un terreno bonificato dalla Società per Cornigliano;

   già nel 2009 sono stati stanziati fondi per la modifica degli impianti di depurazione, ma i lavori non hanno mai avuto seguito. Risulta, inoltre, che sono stati pianificati ingenti investimenti fino al 2025, che si vanno ad aggiungere ai ben 6,7 milioni di euro stanziati nel 2009 al 2015, ai 4 milioni per il 2016 e 2017 e ai 5 milioni di euro per il 2018;

   l'attuale impianto non risulta all'interrogante essere tarato per poter trattare il percolato. D'altra parte, questo aveva già portato, in passato, all'apertura di una maxi inchiesta sulla discarica di Scarpino, a seguito della quale la procura della Repubblica aveva impartito dettagliate prescrizioni affinché si arrivasse alla riapertura del sito di «Scarpino»: fra le altre, trattare il percolato in un impianto dedicato;

   l'assessore comunale, a seguito ad un'interrogazione presentata in consiglio comunale, ha affermato che sulla questione è stato richiesto l'intervento della Asl per verificare la possibile presenza di problemi di carattere igienico-sanitario, nonché dell'Arpal per valutare l'opportunità di eseguire controlli per il rischio legato alla balneazione;

   tuttavia, nel mese di aprile 2017 è stata presentata nuovamente una denuncia sulla violazione del decreto legislativo n. 36 del 2003 («Attuazione della direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti»);

   occorrerebbe accertare le singole responsabilità circa il malfunzionamento del depuratore, e, se del caso, stabilire una procedura di revisione della struttura conformemente alle disposizioni di legge, che consenta, la messa in sicurezza e la ripresa della piena funzionalità dell'impianto di depurazione, nonché l'effettiva messa in opera del nuovo impianto entro la data di scadenza prefissata e attraverso lo stanziamento dei fondi appositamente destinati alla sua realizzazione –:

   di quali elementi disponga il Ministro interrogato in merito a quanto esposto in premessa e se non intenda promuovere una verifica, da parte del Comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente, in ordine alla situazione del depuratore di Cornigliano, il cui funzionamento non appare conforme alle norme in materia di tutela della salubrità ambientale e che, rischia di avere un forte e irreversibile impatto sulle zone limitrofe di grande rilevanza paesaggistica, con conseguenze significative non solo sulla salute della collettività ma anche sulla preservazione della fauna e della flora del posto.
(4-17485)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare, occorre evidenziare che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è impegnato costantemente e con la massima attenzione a vigilare e ad intraprendere e portare avanti tutte le azioni di competenza volte alla risoluzione delle problematiche nel settore fognario depurativo ancora presenti nel territorio nazionale.
  Per quanto riguarda la depurazione - inclusa nel processo verticale del Servizio idrico integrato (S.I.I.) composto appunto da acquedotto, fognatura e depurazione – la normativa di settore, in particolare l'articolo 149, comma 1, del decreto legislativo n. 152 del 2006, affida agli enti di governo d'ambito, in sede di predisposizione e/o aggiornamento del piano d'ambito, il compito di condurre le attività di ricognizione delle infrastrutture, la programmazione degli interventi e la redazione di un piano economico finanziario.
  Al riguardo, la regione Liguria ha attuato parzialmente il Servizio idrico integrato poiché ad oggi non tutti i comuni degli enti di governo d'ambito hanno conferito le infrastrutture, così come previsto dall'articolo 153 del sopracitato decreto legislativo, al gestore.
  Per quanto concerne le problematiche relative al depuratore in questione, la Regione Liguria ha fatto presente che, al fine di superare le criticità derivanti dallo scarico dei reflui provenienti da detto impianto nel tratto finale del torrente Polcevera, il gestore del servizio idrico integrato ha svolto nel corso dell'estate 2017 operazioni ispettive legate alla tenuta delle condotte rivolte, previo collaudo, alla definitiva veicolazione delle acque reflue trattate verso la condotta di scarico a mare.
  Riguardo la realizzazione del nuovo impianto di depurazione, denominato Depuratore area centrale Dac, da localizzare nelle aree ex Ilva, in sostituzione dell'attuale depuratore di Valpolcevera, la regione Liguria ha segnalato che su detto intervento è stata avviata la procedura di Via regionale in data 27 dicembre 2017, con la pubblicazione sul portale ambientale regionale della documentazione presentata in data 11 dicembre 2017 da Iren acqua spa.
  Attualmente è in fase conclusiva, da parte del competente settore regionale, con il contributo dei soggetti interessati, la verifica della completezza della documentazione, a cui farà seguito, dopo eventuale richiesta di integrazioni, la pubblicazione dell'avviso pubblico e il conseguente avvio della fase pubblica prevista dal procedimento di Via.
  Per quanto riguarda la discarica di Scarpino relativamente all'impianto di depurazione del percolato ad osmosi inversa che dovrà essere istallato (potenzialità di 220 mc/h) si segnala quanto segue:

   l'importo a base di gara per le 6 annualità ammontava a euro 45.727.200 (euro 7.621.200 annui);

   la gara è stata esperita e l'intervento aggiudicato;

   i cronoprogrammi attualmente prevedono l'operatività di tale impianto per agosto 2018 (due mesi dopo quanto previsto in prima battuta);

   l’iter autorizzativo per il relativo scarico da parte della città metropolitana è attualmente in fase conclusiva.

  In prospettiva lo scenario, che dovrà essere verificato nella Via relativa al Dac, prevede l'invio del percolato di Scarpino 1 e 2, tramite l'esistente condotta dedicata, al nuovo impianto di depurazione, Depuratore area centrale Dac, aree ex Ilva, che dovrà garantire le idonee capacità di trattamento del percolato pretrattato. Il nuovo invaso di Scarpino 3 sarà invece totalmente separato dai precedenti per quanto riguarda raccolta e smaltimento del percolato che verrà inviato, tramite autobotti, ad impianto di smaltimento autorizzato.
  In data 18 gennaio 2018, il gestore Amiu ha inoltre presentato la documentazione progettuale integrativa relativa al nuovo invaso di Scarpino 3 e la città metropolitana di Genova convocherà a breve una specifica conferenza di servizi volta all'autorizzazione finale della nuova discarica, di cui si prevede l'operatività – per il primo lotto – a partire dal maggio 2018 (con potenziale abbancamento di rifiuti urbani trattati in altri impianti).
  Sempre secondo quanto riferito dalla regione, l'Amiu ha inoltre in corso la progettazione dell'impianto di trattamento meccanico biologico (capacità prevista circa 100.000 t/anno) cui si affiancherà, nello stesso sito, un biodigestore anaerobico (capacità circa 60.000 t/anno).
  Da ultimo, si segnala che l'Arpal sta collaborando con la Procura della Repubblica nell'inchiesta da questa aperta in relazione al malfunzionamento del depuratore di Genova-Cornigliano.
  Per quel che concerne la ripercussione che il percolamento può aver arrecato alla balneabilità delle nostre coste, la predetta agenzia ha evidenziato che questo è avvenuto nel bacino del torrente Polcevera, defluente in mare all'interno della diga foranea, in piena area portuale, vale a dire in zona di per sé inibita alla balneazione. I primi tratti balneabili ad est e ad ovest del porto, distanti comunque chilometri dalla foce del torrente, sono «Spiaggia Multedo», a occidente, e «Punta Vagno», ad oriente. Come si evince anche consultando i dati
on-line, disponibili a partire dalla pagina https://www.arpal.gov.it/homepae1acqua/aguemarinocostiere/balneazione.html, il primo è risultato balneabile per l'intera stagione, mentre il secondo ha avuto quest'anno un unico periodo di non balneabilità, compreso tra le date del 10 e 12 maggio.
  Alla luce di quanto esposto, si rassicura comunque che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per quanto di competenza, continuerà a tenersi informato ed a svolgere le proprie attività di monitoraggio e sollecito, senza ridurre in alcun modo il livello di attenzione sulla questione.
  

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   BENEDETTI, BUSINAROLO, COZZOLINO, SPESSOTTO e MASSIMILIANO BERNINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   il 15 febbraio 2017 è stato firmato l'accordo novativo finalizzato all'aggiornamento dell'accordo integrativo per la tutela delle risorse idriche del bacino del Fratta – Gorzone attraverso l'implementazione di nuove tecnologie nei cicli produttivi, nella depurazione e nel trattamento dei fanghi del distretto conciario vicentino del 5 dicembre 2005 sottoscritto tra regione Veneto, Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, associazioni ed enti territoriali interessati;

   dal verbale della deliberazione della giunta della regione Veneto n. 359/DGR del 22 marzo 2017 (relatore Gianpaolo E. Bottaccin), si evince che nell'ambito delle risorse previste dall'accordo integrativo, restano a disposizione circa 23 milioni di euro a valere sui fondi ministeriali;

   all'articolo 3 del suddetto accordo, recante «Interventi per il risanamento del bacino Fratta-Gorzone», le parti ribadiscono che il risanamento della parte alta del bacino del Fratta—Gorzone costituisce una delle condizioni indispensabili per l'utilizzazione delle risorse idriche a valle e si impegnano entro tre mesi dalla sottoscrizione dell'accordo novativo a definire il programma definitivo degli interventi previsti al comma 2, con l'indicazione dei crono-programmi di attuazione e la determinazione dei relativi costi; si stabilisce inoltre che entro trenta giorni dalla sottoscrizione dello stesso, le parti firmatarie si impegnano a definire un programma preliminare di interventi, che verrà poi inserito nel programma di interventi definitivo sopra menzionato;

   il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha assicurato il mantenimento degli impegni finanziari assunti con i precedenti accordi di programma prevedendo che le risorse saranno impegnate per il cofinanziamento degli interventi indicati nel programma preliminare e del progetto per il trattamento e recupero dei fanghi –:

   se sia stato definito e trasmesso al Ministero il programma preliminare degli interventi indicato in premessa;

   se il Ministro non intenda precisare quante risorse abbia messo o intenda mettere a disposizione per il cofinanziamento degli interventi di cui al programma preliminare;

   se nel bilancio del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare siano disponibili le risorse finanziarie finalizzate al perseguimento degli obiettivi e alla realizzazione dei progetti indicati nell'accordo, con particolare riferimento ai circa 23 milioni di euro, a valere su fondi ministeriali, per la realizzazione dell'impianto di trattamento dei fanghi.
(4-16950)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, riguardante l'accordo novativo finalizzato all'aggiornamento dell’«Accordo integrativo per la tutela delle risorse idriche del bacino del Fratta-Garzone attraverso l'implementazione di nuove tecnologie nei cicli produttivi, nella depurazione e nel trattamento fanghi del distretto conciario vicentino», sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  Il perfezionamento dell'atto programmatorio in parola è avvenuto in data 27 giugno 2017 con la sottoscrizione digitale da parte Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, dopo che lo stesso atto era stato sottoscritto digitalmente dalla regione Veneto e dagli altri enti territoriali interessati.
  Dalla predetta data, pertanto, decorrono i termini per gli impegni assunti da parte dei firmatari dell'accordo.
  Con l'accordo novativo vengono riprogrammati i 23 milioni di euro di risorse ministeriali ad oggi non ancora utilizzati, 10 dei quali da destinare ai fanghi del settore conciario. Il Ministero, d'intesa con la regione e gli enti locali, valuterà i criteri di priorità per l'allocazione dei 23 milioni di euro, tenendo conto della cantierabilità degli interventi e delle finalità dei precedenti accordi. Per tali risorse si dà conferma della disponibilità sul bilancio del Ministero.
  Il Ministero, ha inoltre previsto e programmato di assegnare una parte di risorse a valere sul Fondo sviluppo e coesione in quota ambiente dei fondo strutturali 2014/2020, per interventi di tutela della risorsa idrica nelle aree contaminate da sostanze perfluoroalchiliche (Pfas).
  L'attività istruttoria interessa diverse amministrazioni, ed è attualmente in corso, pertanto, non appena perverranno significative informazioni circa gli esiti, saranno comunicate a tutti i soggetti interessati.
  Si rassicura, comunque, che le problematiche rappresentate sono tenute in debita considerazione da parte di questo Ministero, il quale continuerà a svolgere le proprie attività mantenendo alto il livello di attenzione, e a svolgere un'attività di monitoraggio e sollecito.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   BENEDETTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   i Pfas, sostanze perfluoralchiliche, interferenti endocrine e cancerogene in classe IARC 2B, sono composti chimici prodotti artificialmente con funzioni olio e idro repellenti. Queste sostanze, che possono essere associate a forti rischi per la salute, sono state prodotte fin dagli anni Sessanta in Veneto e poi versate per decenni nelle acque superficiali;

   la contaminazione da Pfas delle matrici ambientali, in particolare le acque interne superficiali e di falda, ha purtroppo raggiunto un livello allarmante nel Veneto, interessando un'area di più di 150 chilometri quadrati (dato ARPAV 2015) nell'ambito delle province di Vicenza, Verona, Padova, Rovigo, con 70 comuni interessati e circa 350.000 persone coinvolte, ma vista la complessità di un fenomeno che continua a propagarsi, potenzialmente, i cittadini coinvolti potrebbero essere 800.000;

   il primo monitoraggio effettuato dalla regione Veneto sulle acque di rete o di pozzo ha riscontrato in 31 comuni valori di queste sostanze oltre la soglia;

   per tutelare la salute della popolazione, sono state emesse ordinanze per la chiusura o la limitazione dell'uso di pozzi in diversi comuni della zona interessata;

   nelle acque sotterranee sono stati rilevati valori di contaminazione maggiori o uguali a 100 ng/l in 21 comuni, 15 in provincia di Vicenza, 3 in provincia di Padova e 3 in provincia di Verona;

   un primo studio di biomonitoraggio dell'Istituto superiore di sanità concluso lo scorso anno su un campione rappresentativo della popolazione residente, esposta e non esposta, ha evidenziato che i livelli di Pfas nel siero degli esposti sono significativamente superiori ai livelli dei non esposti: oltre 70 ng/g siero nel siero degli esposti, concentrazione prossima allo zero nei non esposti;

   sempre l'Istituto superiore di sanità come evidenziato anche nell'interrogazione n. 4/15019, nella nota del 19 febbraio 2016, protocollo n. 4930, nel calcolare le stime di esposizione parziali alle sostanze perfluoroalchiliche, ha segnalato che i dati riferibili a uova di allevamenti familiari e di pesce di cattura indicano potenziali criticità meritevoli di ulteriori e più mirati approfondimenti, attese le concentrazioni di Pfas che, in condizioni di consumi prolungati nel tempo, considerati i parametri tossicologici, potrebbero determinare il superamento delle dosi giornaliere accettabili;

   nel luglio 2016 il direttore dell'area generale sanità e sociale, dottor D. Mantoan, ha richiesto di svolgere una valutazione retrospettica della mortalità e dell'incidenza di patologie tra i dipendenti della ditta Rimar/Miteni, incaricando del suo svolgimento il registro regionale dei casi di mesotelioma, afferente al sistema epidemiologico regionale; da tale ricerca condotta sui lavoratori risultano valori alterati del sangue oltre che un tasso di mortalità superiore alla media;

   il Noe di Treviso, con nota 13 giugno 2017 inviata al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, secondo quanto riportato anche dagli organi di informazione, ha comunicato la presenza di contaminanti chimici pfoa-pfass nelle acque ed il conseguente allarmante inquinamento nelle falde e nei terreni, causato da Miteni di Trissino, produttrice di Pfass per decenni, inquinamento esteso nelle province di Vicenza, Verona e Padova, con effetti sanitari sui residenti;

   il 27 febbraio 2017 alcuni sindaci veneti e le delegazioni di otto comuni del Basso Vicentino e Bassa Veronese hanno sottoscritto una lettera inviata anche al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, in cui si chiede un intervento immediato per la bonifica del territorio ed il riconoscimento del disastro ambientale;

   l'articolo 300 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, Norme in materia ambientale, identifica il danno ambientale come: «qualsiasi deterioramento significativo e misurabile, diretto o indiretto, di una risorsa naturale o dell'utilità assicurata da quest'ultima»; l'articolo 302 del suddetto decreto, al comma 9, classifica ed indica esattamente le caratteristiche del «ripristino» come: nel caso delle acque, delle specie e degli habitat protetti, «il ritorno delle risorse naturali o dei servizi danneggiati alle condizioni originarie»; nel caso del terreno, «l'eliminazione di qualsiasi rischio di effetti nocivi per la salute umana e per la integrità ambientale»; l'articolo 305, comma 2, stabilisce che il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, in qualsiasi momento, ha facoltà di: «b) adottare, o ordinare all'operatore di adottare, tutte le iniziative opportune per controllare, circoscrivere, eliminare o gestire in altro modo, con effetto immediato, qualsiasi fattore di danno, allo scopo di prevenire o limitare ulteriori pregiudizi ambientali e effetti nocivi per la salute umana o ulteriori deterioramenti ai servizi» –:

   quali utili iniziative abbia adottato il Ministro interrogato, autorità competente e responsabile in materia di identificazione e valutazione del danno ambientale, ai fini del ripristino dei luoghi, ovvero della situazione precedente al danno verificatosi, e del risarcimento dello stesso, come previsto alla normativa vigente.
(4-18547)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa all'inquinamento delle acque da sostanze perfluoroalchiliche in alcune province del Veneto, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  Com'è noto, la problematica relativa alle sostanze perfluoralchiliche (Pfas) e le conseguenti azioni da porre in essere per mitigare e successivamente azzerarne la contaminazione, non sono un problema solo italiano bensì esteso anche a molti altri paesi europei. Il rimedio nasce non a caso da un impulso europeo, al quale hanno dato immediato seguito attività ed azioni nazionali che in modo coordinato e puntuale hanno toccato tutti i profili che attengono a queste sostanze che impattano
in primis sulla salute, sull'ambiente, ma anche sulle attività produttive e sull'agricoltura.
  In via preliminare, va precisato che le sostanze perfluoroalchiliche (Pfas) sono composti utilizzati da decenni in diversi settori industriali, formati da una catena alchilica di lunghezza variabile (totalmente fluorurata) e da un gruppo funzionale costituito da un acido carbossilico o solfonico.
  Le sostanze a catena lunga (più di sei atomi di carbonio) sono quelle che destano maggiori preoccupazioni sotto il profilo sanitario ambientale e quelle maggiormente utilizzate sono state l'acido perfluorottanoico (Pfoa) e l'acido perfluorottansolfonico (Pfos).
  L'attuale regolamentazione europea concernente i Pfas prevede il divieto di produzione, immissione sul mercato e uso del Pfos, ai sensi del regolamento (Ue) n. 757/2010, in attuazione della convenzione internazionale di Stoccolma sugli inquinanti organici persistenti.
  Per quanto riguarda il Pfoa, la regolamentazione europea ha previsto nel 2014 il divieto di immissione sul mercato per la vendita al pubblico del Pfoa come componente di miscele, ai sensi del regolamento Ue n. 317/2014.
  Più recentemente, con il regolamento (Ue), 2017/1000 adottato nel giugno scorso, è stata approvata una nuova restrizione ai sensi del regolamento
Reach (votata dalla maggioranza degli Stati membri, con il voto favorevole della delegazione italiana) che prevede il divieto, entro tre anni (ovvero a partire dal 2020), della produzione e dell'immissione sul mercato di sostanze miscele e articoli che contengono più di 25 microgrammi/kg (µg/kg) di Pfoa.
  Oltre al Pfoa al Pfos, già oggetto di specifici divieti e restrizioni, altri Pfas a catena lunga risultano per il momento inclusi nell'elenco delle sostanze preoccupanti dal punto di vista sanitario e ambientale (le cosiddette
Substances of Very High Concern - SVHC). A questo riguardo, la Germania e la Svezia si sono impegnate a presentare, ai sensi del regolamento Reach, un dossier di dati per proporre una restrizione a livello europeo per altri Pfas a catena lunga.
  Dallo scorso luglio sono in corso degli approfondimenti scientifici da parte di Istituti di ricerca internazionali riguardo la tossicità dei Pfas a catena corta. Al termine di questa attività, l'agenzia europea per le sostanze chimiche (ECHA) e gli Stati membri dell'Unione europea, stabiliranno se per queste sostanze occorre adottare specifiche misure di gestione del rischio o particolari restrizioni.
  Infine si segnala che anche l'Ocse si sta occupando del tema dei Pfas, avendo di recente intrapreso un'attività di raccolta dati sugli impieghi delle migliaia di sostanze perfluoroalchiliche utilizzate nei diversi settori industriali. Scopo dell'indagine dell'Ocse è quello di facilitare lo scambio di informazioni tra i soggetti interessati alla produzione e all'utilizzo di sostanze perfluoroalchiliche.
  A livello nazionale, nel 2013 a seguito della prima segnalazione della presenza delle sostanze Pfas nelle matrici ambientali dell'area del vicentino, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha istituito un gruppo tecnico di lavoro per i necessari approfondimenti della situazione di contaminazione da Pfas nelle acque sotterranee e superficiali. In tale gruppo di lavoro, tuttora operativo, sotto il coordinamento del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sono presenti gli esperti dell'Istituto superiore di sanità (ISS), dell'Irsa-Cnr, dell'Istituto superiore per la ricerca e la protezione ambientale (ISPRA).
  A seguito delle risultanze delle attività del Gruppo tecnico di lavoro, con decreto legislativo n. 172 del 2015 sono stati definiti gli Standard di qualità ambientale (SQA) per le sostanze prioritarie nelle acque superficiali, ivi inclusi alcuni composti perfluorurati.
  Con decreto ministeriale 6 luglio 2016 sono stati poi individuati i valori soglia (VS) per la definizione del «buono stato chimico» delle acque sotterranee, tra cui i valori soglia di alcuni composti perfluorurati.
  In parallelo con l'attività di supporto tecnico-scientifico, dall'inizio del 2016, il Ministero dell'ambiente ha riassunto un ruolo pro-attivo nella
governance di un accordo di programma con la regione Veneto, con gli enti territoriali e le associazioni industriali sottoscritto nel 2005, finalizzato alla realizzazione delle condizioni per il riequilibrio del bilancio idrico nel distretto vicentino della concia, anche attraverso interventi nel settore acquedottistico, fognario, e depurativo. Nell'ambito di tale accordo, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha compiuto la scelta di lasciare le risorse ministeriali, ammontanti a 23 milioni di euro fino ad oggi non ancora spesi, 10 dei quali da destinare al settore conciario. Tenendo conto del nuovo quadro conoscitivo e dei nuovi obiettivi strategici risultanti dal Piano di gestione delle acque del 2016, sotto la guida del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è stato, inoltre, messo a punto un testo di accordo novativo che conferma la volontà di mantenere gli impegni finanziari assunti in coerenza con gli obiettivi individuati, e nel quale il Ministero si impegna a reperire ulteriori risorse per il perseguimento degli obiettivi legati alla problematica dei Pfas. Obiettivi, lo si ricorda, prima non previsti all'interno del precedente accordo ma che, grazie al Ministero, trovano la loro evidenza nell'accordo novativo, a dimostrazione della centralità attribuita dal Governo a questa emergenza. Tale accordo si è formalizzato il 6 luglio 2017.
  In seguito alla richiamata ricerca sperimentale sulla presenza di Pfas svolta nel 2013, l'Arpa Veneto ha individuato la principale area di contaminazione nella provincia di Vicenza. Ha, successivamente, esteso il controllo a tutto il territorio regionale, attraverso le reti di monitoraggio delle acque sotterranee e superficiali nonché, in stretto coordinamento con la regione del Veneto e l'Istituto superiore di sanità, ad altre matrici ambientali, quali acque marine e lagunari, fanghi e alimenti.
  A seguito di tale studio, Arpav rilevava un inquinamento sia delle acque di falda sotterranee, sia di quelle superficiali in un territorio più vasto, compreso nei comuni delle province di Vicenza, Verona e Padova interessati da Pfas non solo nel corpo idrico di falda, ma anche nelle condotte di acqua potabile che nella provincia di Verona servono i comuni di Arcole, Veronella, Zimella, Pressana, Roveredo di Guà, Albaredo d'Adige e Cologna Veneta, in quanto dette condotte attingono dalla falda sita nel comune di Lonigo.
  Le autorità regionali procedevano a mettere in sicurezza l'acqua potabile della zona interessata, tramite l'utilizzo di filtri a carboni attivi, già nel 2013.
  L'analisi sul sistema degli scarichi fognari del territorio interessato ha messo in evidenza che le concentrazioni più alte provenivano dal depuratore di Trissino; tra le principali fonti da cui avevano origine le quantità di Pfas scaricate in fognatura vi era l'azienda chimica Miteni s.p.a. posta nel comune di Trissino.
  La Miteni opera dietro autorizzazione integrata ambientale da parte della regione Veneto, che ha autorizzato la produzione di determinate sostanze, che sono sottoposte a determinati limiti massimi entro i quali possono essere prodotte.
  Il procedimento amministrativo di caratterizzazione e bonifica del sito è seguito dagli Enti competenti per territorio in cui ha sede legale l'azienda Miteni ovvero nell'ambito della provincia di Vicenza.
  Con riferimento al quadro ambientale relativo all'inquinamento del sito industriale ove insiste l'impianto della Miteni s.p.a., a marzo 2017, il Noe, con l'ausilio dei tecnici dell'Arpav, ha iniziato una serie di attività investigative ed ispettive nei confronti dello stabilimento.
  Alla luce delle considerazioni esposte nella relazione del comando carabinieri nucleo operativo ecologico di Treviso ed in particolare, tenuto conto della notevole estensione e della gravità dello stato di inquinamento, della mancata rimozione della sua sorgente, peraltro a contatto o quasi con la falda, dei gravi rischi per la salute che il protrarsi della contaminazione potrebbe comportare, oltre all'aggravamento del danno ambientale ed infine dalla non totale efficacia della barriera idraulica presente presso lo stabilimento, si prevede un maggiore coinvolgimento dei soggetti istituzionali interessati.
  Nello specifico, si prevede la possibilità per la regione Veneto di autorizzare l'applicazione a scala pilota di tecnologie di bonifica innovative e di valutare l'opportunità di emanare un apposito provvedimento finalizzato a ricondurre il procedimento amministrativo di bonifica ad un ente amministrativo sovraordinato rispetto all'attuale Comune, dotato di adeguate capacità tecniche, come la stessa regione del Veneto. Si prevede, altresì, un l'approfondimento dei monitoraggi ambientali da parte di Arpav e un maggior coinvolgimento di Ispra su tali tematiche.
  Si segnala, inoltre, che i militari del Noe di Treviso, in collaborazione con il Noe di Milano e con il personale della sezione di polizia giudiziaria dei carabinieri di Vicenza, nel corso di una complessa attività info-investigativa, coordinata dalla procura della Repubblica di Vicenza, l'8 marzo scorso hanno proceduto ad alcune perquisizioni nelle sedi della ditta in questione e deferito 9 dirigenti, cui sono stati contestati i reati di adulterazione e contraffazione di sostanze alimentari ed inquinamento ambientale, nonché la violazione della normativa in materia di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche.
  L'amministrazione provinciale di Vicenza ha comunicato, altresì, di aver attivato, il 18 gennaio 2017, il procedimento di riesame dell'autorizzazione integrata ambientale alla Miteni.
  Per quanto concerne la messa in sicurezza del sito, l'Arpav ha evidenziato che il monitoraggio delle concentrazioni al punto di conformità, realizzato a sud dello stabilimento, ha reso necessaria la richiesta, da parte degli enti, di ulteriori attività di miglioramento delle barriere presenti. Quanto richiesto è stato realizzato nel 2017, mediante attivazione di 3 nuovi pozzi in prossimità del torrente Poscola, 3 nuovi pozzi profondi fino ad intercettare il substrato fratturato nel lato sud dello stabilimento ed un ulteriore approfondimento di un pozzo nella parte centrale dello stabilimento. Sono state, inoltre, realizzate ulteriori verifiche di tipo idrogeologico per valutare le caratteristiche dell'acquifero. Complessivamente, fino a marzo 2017, sono stati estratti dalle due barriere presenti 26 chilogrammi di Pfoa, 6 chilogrammi di Pfos e 20 chilogrammi di altri Pfas, per un totale di 52 chilogrammi. Le acque emunte dalla barriera in parte vengono trattate con un sistema di filtri a carbone, in parte vengono inviate all'impianto di depurazione interno alla ditta. Il monitoraggio dell'efficacia della barriera viene verificato da Arpav tramite il controllo analitico di tre piezometri di valle.
  Come detto, il fenomeno di inquinamento da Pfas ha assunto nel tempo una valenza interprovinciale.
  Per quanto riguarda il territorio veronese interessato dalla contaminazione da Pfas, tali sostanze, attraverso gli scarichi della Miteni nel depuratore di Trissino, vengono poi immesse nel condotto consortile dell'A.Ri.C.A., dove confluiscono anche gli scarichi di altri depuratori della zona, sfociando nel fiume Fratta nel territorio di Cologna Veneta. Queste sostanze, grazie agli apporti idrici del canale LEB, subiscono altre diluizioni, venendo disperse nel reticolo irriguo che serve le aree coltivate di quelle zone, con il rischio della loro conseguente penetrazione nelle piante e negli animali e quindi nella catena alimentare.
  Per l'ambito veronese, gli enti pubblici competenti stanno procedendo, ai fini della tutela della salute dei cittadini e dell'integrità dell'ambiente, ad attenti e costanti monitoraggi dell'area, in adesione ad un programma di carattere regionale.
  Tutti i comuni interessati hanno emesso ordinanze adeguate al proprio contesto. La maggior parte ha obbligato i privati a dichiarare l'esistenza dei pozzi e ad effettuare delle analisi, disponendo in alcuni casi il divieto di utilizzo per uso potabile dell'acqua prelevata dai pozzi privati.
  La provincia di Verona ha reso noto di aver accertato superamenti di concentrazione di Pfoa nel comune di Soave, area di servizio «Scaligera Nord», riconducibili ad Eni s.p.a., nel 2014. La predetta contaminazione non risulta collegata né a quella di natura idrocarburica né a quella da Pfas ascritta alla ditta Miteni, ma sembra derivare da una sorgente posta all'interno dell'area di servizio ed essere sostanzialmente confinata alla stessa e ai terreni limitrofi. L'intervento di bonifica per la rimozione dei contaminanti idrocarburici attuato da Eni è pressoché giunto a conclusione, mentre permane la problematica ambientale legata alla presenza di Pfas e Btf, come attestano le più recenti analisi delle acque sotterranee fatte pervenire dall'Arpav di Verona.
  Il superamento delle CSC per il Pfoa era stato registrato nel 2016 anche nel comune di Pescantina ma, con successive analisi del marzo e giugno 2017, il superamento non è stato confermato.
  Per entrambi i casi il settore ambiente della provincia di Verona ha attivato procedimenti per l'identificazione del responsabile della contaminazione, che sono tuttora in corso. Risulta inoltre accertata da Arpav la presenza di Pfas, anche in concentrazioni sensibili, nel percolato di numerose discariche per rifiuti non pericolosi presenti sul territorio provinciale, senza però un corrispondente riscontro nelle acque sotterranee prelevate dalle relative reti di monitoraggio.
  Per quanto concerne la provincia di Rovigo, l'Arpav ha rappresentato che la contaminazione unica riscontrata in questa provincia, già evidenziata nello studio del CNR del 2013, riguarda alcune stazioni sul fiume Po ed è riconducibile a fonti di pressione situate a monte dell'ingresso del Po nel Veneto.
  Per tale provincia, l'azienda sanitaria polesana ha fatto presente che, a far data dal 2016 ad oggi, sono stati eseguiti un totale di 224 campionamenti per la ricerca Pfas, comprensivi di prelievi effettuati presso insediamenti del settore alimentare che utilizzano acqua proveniente da approvvigionamento autonomo dopo trattamento di potabilizzazione. I rapporti di prova della sezione laboratori Arpav, relativi ai prelievi effettuati dal 2016 ad oggi da personale dell'azienda medesima sull'acqua destinata al consumo umano presso le 9 centrali di potabilizzazione ed ai punti significativi delle reti di distribuzione, non hanno evidenziato superamenti dei valori di
performance fissati dall'Istituto superiore di unità. Tutti i valori riscontrati risultano inferiori anche ai recenti limiti più restrittivi stabiliti dalla regione Veneto.
  Sempre secondo quanto riferito dall'azienda sanitaria polesana, mentre l'acqua destinata al consumo umano proveniente da centrali di potabilizzazione che derivano acqua dal fiume Adige ha evidenziato valori di Pfas al di sotto del limite di rilevabilità dello strumento, l'acqua proveniente da centrali che derivano acqua dal fiume Po o da pozzi artesiani golenali ha evidenziato la presenza di Pfas ma non il superamento dei livelli di
performance fissati dall'Istituto superiore di sanità e dalla regione Veneto.
  Per quanto concerne il danno ambientale, a seguito di richiesta da parte del consiglio di bacino Bacchiglione e di dieci comuni interessati dalla contaminazione si è attivata la relativa procedura.
  Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha da subito attivato Ispra per l'attività tecnica di competenza ed ha richiesto agli enti locali interessati dalla contaminazione di trasmettere notizie aggiornate in merito alle eventuali iniziative intraprese a seguito dell'emanazione del già richiamato decreto ministeriale del 6 luglio 2016 che fissa i valori soglia da considerare per la classificazione dello stato chimico delle acque sotterranee. È stato inoltre attivato un tavolo tecnico all'interno del sistema nazionale a rete (Snpa), finalizzato ad affrontare i seguenti aspetti: monitoraggio delle acque superficiali e sotterranee; analisi delle pressioni e degli impatti; raccolta dei dati di monitoraggio delle Arpa (Sintai); regolamento
Reach; analisi di siti potenzialmente contaminati; valutazione del danno ambientale.
  Alla luce delle informazioni esposte, si rassicura che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare continuerà a svolgere le proprie attività mantenendo alto il livello di attenzione su questa delicata questione.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   MASSIMILIANO BERNINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   in data 3 agosto 2015 è stata avviata la procedura d'impatto ambientale e il procedimento per la localizzazione dell'opera per il progetto strada statale 675 «Umbro Laziale» – completamento del collegamento del porto di Civitavecchia con il nodo intermodale di Orte-Monte Romano-Civitaveccchia;

   il progetto è inserito nell'elenco delle infrastrutture strategiche di cui alla delibera Cipe del 21 dicembre 2001 n. 121 come «Trasversale nord Orte-Civitavecchia», in conformità a quanto previsto dalla «legge-Obiettivo» n. 443 del 2001;

   la proponente Anas, nell'ambito della Valutazione di incidenza ambientale ha redatto uno studio di incidenza fermandosi alla fase 1 (screening), concludendo che il tracciato selezionato «non produrrà incidenze significative». Tali conclusioni sono state contestate dalla Commissione tecnica VIA che in data 20 gennaio 2017 ha espresso parere negativo, sottolineando che sarebbe stato necessario passare alle fasi 2, 3 e 4 della Vinca come richiesto dalla Commissione stessa;

   nella risposta all'interrogazione n. 5-12231 del 20 settembre 2017 il Governo, nella persona del sottosegretario Del Basso De Caro, ha dichiarato che, successivamente all'acquisizione del parere negativo di VIA in sede di conferenza di servizi, si è provveduto ad avviare il procedimento di composizione del dissenso presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, come previsto dall'articolo 183, comma 6, del decreto legislativo n. 163 del 2006;

   il dipartimento per il coordinamento amministrativo (Dica) della Presidenza del Consiglio dei ministri, incaricato della relativa istruttoria, ha evidenziato che la proposta di approvazione del progetto potrà essere sottoposta all'esame del Cipe solo a seguito dell'eventuale adozione del provvedimento di compatibilità ambientale, demandato, appunto, al Consiglio dei ministri. È stato quindi richiesto al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare di fornire eventuali prescrizioni o misure di mitigazione;

   il 14 luglio 2017 la Commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale (Ctvia) ha provveduto a trasmettere il proprio parere n. 2453 del 7 luglio 2017 con cui ha affermato come «non sia possibile elaborare eventuali prescrizioni e misure di mitigazione, come richiesto dalla Presidenza del Consiglio, per la variante progettuale costituita dal tracciato cosiddetto “verde” [...] in quanto gli impatti ambientali che si configurano dall'analisi della documentazione fornita dal proponente sono tali da non poter essere mitigati o compensati»;

   il 1° dicembre 2017, durante il Consiglio dei ministri n. 60 il Governo ha deliberato il provvedimento di compatibilità ambientale del progetto preliminare senza attendere il completamento della Vinca né il relativo parere del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;

   la direttiva 92/43/CEE «Habitat», all'articolo 6, paragrafo 3, prevede che le autorità competenti diano il loro accordo su un piano o progetto «soltanto dopo aver avuto la certezza che esso non pregiudicherà l'integrità del sito» –:

   se il Governo intenda rendere pubbliche le prescrizioni, le osservazioni e le raccomandazioni di cui alla delibera del Consiglio dei ministri (seduta n. 60) del 1° dicembre 2017;

   se il Governo, alla luce di quanto riportato in premessa, intenda assicurare il completamento della Vinca seppure successivamente al provvedimento di compatibilità ambientale, e se, in caso affermativo intenda garantire che tale svolgimento sarà propedeutico alla delibera del Cipe sul tracciato in questione;

   se il Governo abbia stimato i tempi dello svolgimento della citata Vinca e se intenda garantire, durante tutto il processo, la dovuta trasparenza e quindi la pubblicazione degli studi effettuati da Anas (in tutte le loro fasi), così da permettere la partecipazione del pubblico e di tutti gli stakeholder, come sarebbe stato possibile se l'Anas avesse rispettato le richieste della Ctvia quando ancora era in corso la valutazione di impatto ambientale.
(4-18821)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, cui si risponde per delega della Presidenza del Consiglio dei ministri, si forniscono i seguenti elementi di risposta sulla base delle informazioni pervenute dalla Direzione generale per le strade e le autostrade e per la vigilanza e la sicurezza nelle infrastrutture stradali del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e da Anas.
  Occorre premettere che nella seduta del 1° dicembre 2017 il Consiglio dei Ministri ha deliberato, a norma dell'articolo 183, comma 6 del codice dei contratti pubblici (decreto legislativo n. 163 del 2006), il provvedimento di compatibilità ambientale del progetto preliminare per la realizzazione del completamento della strada statale (SS) 675 «Umbro-laziale», asse Orte-Civitavecchia, tratta Monte Romano est — S.S. 1 Aurelia, approvando il tracciato, selezionato da Anas, nel rispetto delle prescrizioni, delle osservazioni e delle raccomandazioni di carattere paesaggistico e ambientale impartite nel corso della conferenza di servizi indetta dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.
  Anas, pertanto, in sede di redazione del progetto definitivo dell'opera, dovrà recepire le predette prescrizioni, osservazioni e raccomandazioni con riferimento al progetto preliminare nonché sviluppare uno studio d'incidenza ambientale dell'opera, comprensivo della cosiddetta «valutazione appropriata», redatto secondo le prescrizioni di legge, sulla cui base provvederà ad effettuare la valutazione d'incidenza ambientale dell'intervento sul territorio interessato.
  La regione Lazio provvederà, quindi, a verificare lo studio d'incidenza ambientale allegato al progetto definitivo della strada statale 675, anche al fine di individuare possibili ulteriori misure di mitigazione e di compensazione necessarie per la tutela e la salvaguardia delle componenti ambientali e paesaggistiche del territorio in argomento.

Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti: Riccardo Nencini.


   PAOLO BERNINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   come si apprende dai media, un daino ferito, il 6 ottobre 2016, ha trovato riparo in un'area verde dello spartitraffico della superstrada Livorno-Pisa-Firenze;

   sempre secondo quanto si apprende dagli organi di stampa, a seguito di una valutazione tra regione, provincia, asl e «una veterinaria» della Lipu è stata presa la decisione di procedere con l'abbattimento dell'animale, anziché di provvedere a soccorrerlo e curarlo come prevede la normativa vigente;

   tale provvedimento, secondo quanto si apprende dalla stampa, sarebbe stato motivato da ragioni di presunta «pericolosità» dell'animale;

   il daino era rimasto ferito in un incidente e per questo avrebbe trovato riparo nello spartitraffico. Appare evidente che ci sia stata omissione di soccorso, per quanto previsto dal nuovo codice della strada che obbliga al soccorso degli animali appartenenti a tutte le specie, sia domestiche che selvatiche da parte di chi lo ha investito, quanto dagli organi preposti alla tutela, soccorso e cura della fauna selvatica;

   le specie selvatiche sono patrimonio indisponibile dello Stato, la cui tutela e soccorso sono demandate alle regioni e alle province, le quali attraverso i centri di soccorso propri o gestiti da associazioni garantiscono l'intervento e il recupero degli animali feriti. È quindi opportuno contattare direttamente la polizia provinciale o il Corpo forestale dello Stato;

   è da rammentare, inoltre, che il veterinario è un libero professionista incaricato di pubblico servizio e che il codice deontologico della professione veterinaria, che consta di un insieme di precetti che la Federazione nazionale degli ordini dei veterinari italiani (FNOVI) ha approvato per regolare il corretto esercizio della professione veterinaria, all'articolo 1 evidenzia: «(...) il rispetto degli animali e del loro benessere in quanto esseri senzienti»; inoltre all'articolo 9 si sottolinea che l'attività del medico veterinario debba esplicarsi «(...) secondo scienza, coscienza e professionalità» e all'articolo 16 si prevede che «Il Medico Veterinario ha l'obbligo, nei casi di urgenza ai quali è presente, di prestare le prime cure agli animali nella misura delle sue capacità e rapportate allo specifico contesto, eventualmente anche solo attivandosi per assicurare ogni specifica e adeguata assistenza»;

   in diversi Paesi, tra cui il Canada, sono in uso specifici dispositivi ad ultrasuoni che fungono da dissuasori per la fauna selvatica, ma anche per cani e gatti in quanto segnalano agli animali l'arrivo dei veicoli. Tali strumenti, economici e di facile applicazione, sono degli strumenti che possono garantire la sicurezza dei passeggeri quanto degli animali;

   considerato che il daino era ferito, non appare idonea, condivisibile e legittima la scelta di abbattimento dell'animale –:

   di quali elementi dispongano i Ministri interrogati in merito all'episodio descritto e, in particolare, in che modo si sia desunta la presunta «pericolosità» dell'animale e se l'abbattimento sia avvenuto nel rispetto di quanto dispone la normativa vigente;

   se i Ministri interrogati non ritengano opportuno valutare iniziative per l'apposizione su ogni moto e autoveicolo di ogni stazza di specifico dispositivo ad ultrasuoni, già in uso per esempio in Canada, che, «avvisando» dell'arrivo degli autoveicoli, funziona come dissuasivo per tutti gli animali selvatici ed anche per cani e gatti e previene efficacemente pericolosi incidenti;

   se i Ministri non ritengano necessario assumere iniziative per istituire un numero unico di riferimento per il soccorso agli animali facilitando così l'intervento, il consolidamento e l'implementazione dei servizi di pronto soccorso veterinario delle asl, una attenta ridefinizione e riorganizzazione dei centri di soccorso per gli animali selvatici e un coordinamento tra tutti gli organismi coinvolti al fine di consentire la corretta applicazione della norma e di porre a regime la sua naturale attuazione.
(4-16603)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa all'investimento di un esemplare di daino avvenuto il 6 ottobre 2016 conclusosi con l'abbattimento dell'animale, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare, si fa presente che il fenomeno degli investimenti di specie faunistiche risulta essere ricorrente e coinvolge molte specie animali, in particolare gli ungulati che spesso, nell'attraversare strade o autostrade, provocano incidenti, anche mortali, agli automobilisti in transito.
  L'incidente oggetto dell'interrogazione potrebbe essere uno dei molti casi in cui i veterinari, per porre fine alle sofferenze degli animali feriti gravemente, procedono alla soppressione dei medesimi. Quando necessario, tali operazioni vengono condotte in tutte le regioni secondo procedure codificate che tengono conto della normativa in materia di tutela degli animali.

  Per completezza d'informazione, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha comunque richiesto e sollecitato eventuali maggiori dettagli alla regione Toscana, pertanto, qualora dovessero giungere ulteriori elementi informativi sulla questione, si provvederà a fornire un aggiornamento.
  Ad ogni modo, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per quanto di competenza, continuerà comunque a svolgere la propria attività di monitoraggio e sollecito, mantenendo alto il livello di attenzione sul tema.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   PAOLO BERNINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:

   gli orsi sono protetti da varie norme nazionali e internazionali;

   il progetto Life Ursus è iniziato dal 1999 con la reintroduzione di orsi provenienti dall'est Europa con l'obiettivo di ripopolare la zona, ma a farne le spese sono stati gli orsi stessi;

   ormai, da anni, sono emersi i gravi problemi da parte della provincia di Trento nell'attuare forme di tutela e di protezione nei confronti di questi;

   nessuno degli orsi del Trentino ha manifestato comportamenti impropri della specie; si tratta piuttosto di animali che, in determinate condizioni anche di pericolo, hanno messo in atto comportamenti etologicamente normali e perfettamente prevedibili; la definizione di «orsi problematici» è del tetto inadeguata e derivante da presupposto scorretto e gravissimo;

   spesso gli orsi sono stati considerati responsabili di danni che invece non sono loro ascrivibili;

   ad oggi gli orsi morti (accertati) sono 19 di cui 10 uccisi dall'uomo e tra questi 5 ad opera della provincia di Trento e della forestale in operazioni di cattura, 17 quelli non rilevati geneticamente, 2 emigrati e 2 ricatturati e costretti a vivere in cattività. Jurka ha pagato con la reclusione a vita e la sterilizzazione, l'atto di essersi comportata come è naturale che fosse, compiendo qualche scorribanda in relazione alle quali scarsissimi interventi dissuasivi sono stati posti in essere, come invece fu richiesto in modo secco e determinato dallo staff dell'allora Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;

   l'uccisione dell'orsa Daniza in provincia di Trento lascia aperti numerosi interrogativi sotto molti aspetti anche in relazione al progetto Life Ursus e il conseguente piano di ripopolamento degli orsi in provincia di Trento;

   si parla ampiamente sulla stampa di gravi lesioni riportate dall'uomo aggredito, ma queste, da quanto è dato sapere, non sono state in alcun modo certificate da perizia medico-veterinaria legale. Così come alcune associazioni sostengono che sia stato il presunto aggredito ad essere l'aggressore dell'orso;

   a sostegno del provvedimento contingibile e urgente la provincia Autonoma di Trento non ha posto in essere alcuna attività istruttoria tesa a verificare anche con perizie medico-veterinarie legali, la veridicità e la coerenza del racconto del soggetto rimasto vittima della presunta aggressione;

   non si comprende da quali elementi comportamentali si sia proceduto a qualificare l'animale «pericoloso» al punto di giustificarne e ordinarne la cattura e financo, ove ritenuto necessario, l'abbattimento;

   la telenarcosi è una tecnica per la cattura degli animali selvatici, da utilizzare nei soli casi in cui non siano possibili una cattura o un contenimento privo di rischi per gli animali stessi e per gli operatori; tecnica praticata con fucile che si annovera tra le armi da sparo, in ossequio a quanto previsto dall'articolo 2 della legge n. 110 del 1975 e che costituisce atto medico che presuppone l'uso di farmaci anestetici (regolamentato dal decreto legislativo n. 193 del 2006) da inocularsi tramite un dardo, come specificato anche da una nota del Ministero della salute in data 13 dicembre 2004. La Corte di cassazione con la sentenza del 3 febbraio 1968 conferma che, ove queste pratiche non siano effettuate da personale medico le stesse vanno ad assumere rilevanza penale ai sensi dell'articolo 348 del codice penale che ai sensi dell'articolo 65 del decreto del Presidente della Repubblica n. 320 del 1954, recante «Regolamento di polizia veterinaria», le inoculazioni devono essere effettuate da medici veterinari –:

   quali siano le ragioni scientifiche, etologiche, veterinarie e comportamentali, debitamente provate ed argomentate da professionisti, che rendano necessarie la cattura dell'orso;

   se vi siano le prove certificate legalmente dal personale medico veterinario che attestino che le lesioni riportate dall'escursionista siano causate da un orso;

   in base a quali presupposti normativi sia possibile rinchiudere l'orso;

   quali specifiche motivazioni ed istruttorie siano alla base dell'ordinanza citata;

   quali soggetti siano autorizzati ad effettuare l'uso della telenarcosi, quale esperienza debbano avere per poter effettuare tale pratica, e quale sia il protocollo anestetico.
(4-18957)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa a problematiche legate all’«uccisione» dell'orsa Daniza, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare nonché dagli altri soggetti preposti, si rappresenta quanto segue.
  Come già risposto a precedenti interrogazioni sulla medesima questione, si ritiene opportuno sottolineare, in via preliminare, che il Ministero dell'ambiente ha seguito sin dall'inizio la vicenda Daniza con estrema attenzione e costanza, tramite l'acquisizione costante di informazioni, fornite dalla provincia autonoma di Trento e vagliate con il supporto dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) e del corpo forestale dello Stato (Cfs), nonché con incontri con gli enti preposti ed esperti internazionali di settore, nei limiti delle competenze che l'ordinamento ed il Pacobace piano d'azione interregionale per la conservazione dell'orso bruno nelle alpi centro-orientali) attribuiscono ai vari soggetti pubblici interessati.
  L'ordinanza contingibile e urgente concernente l'orsa Daniza è stata emessa dalla provincia autonoma di Trento il 16 agosto 2014. Il successivo 19 agosto 2014 l'Ispra, su richiesta del Ministero dell'ambiente, ha emesso un parere concernente il comportamento dell'orso, le possibili misure di intervento ed il possibile destino dei due cuccioli. L'Ispra ha definito il comportamento di Daniza non anomalo, in quanto realizzato a difesa dei cuccioli. Ha tuttavia concluso che la cattura per captivazione permanente dell'esemplare dovesse ritenersi tra le azioni previste dal Pacobace in risposta al comportamento registrato, a maggior ragione per il fatto che Daniza era già in precedenza entrata in contatto con esseri umani rendendosi protagonista di cosiddetti «falsi attacchi» sempre in difesa dei propri piccoli, seppur senza conseguenze gravi. L'Ispra ha inoltre precisato che l'eventuale rimozione di Daniza, considerata la consistenza della popolazione di orso nelle alpi centrali, non avrebbe reso indispensabile un rilascio sostitutivo. In merito ai cuccioli, l'Ispra ha invece sottolineato che ne andava evitata la cattura. In caso di captivazione permanente della madre, tuttavia, occorreva un attento monitoraggio degli stessi anche con tecniche radiotelemetriche, al fine di assicurare la tempestiva registrazione di eventuali comportamenti anomali o di condizioni di denutrizione.
  Il Ministero ha prontamente chiesto alla provincia autonoma di Trento, con nota del 20 agosto 2014, una dettagliata relazione e trasmesso le indicazioni dell'Ispra sui cuccioli. Nella lettera, sono stati sottolineati i risultati del progetto di ripopolamento e conservazione dell'orso, ed è stato richiesto di effettuare una specifica considerazione sul destino dei cuccioli, al fine di salvaguardarne la libertà e la sopravvivenza.
  In ogni contatto avuto con la provincia di Trento, il Ministero ha sempre rappresentato la necessità di prestare particolare attenzione alla condizione dei cuccioli in caso di cattura della madre, facendo proprie le indicazioni dell'Ispra e comunicando all'Ente provinciale le note di valutazione del Cfs.
  La provincia di Trento ha inviato la relazione il 1° settembre 2014, confermando la permanenza dei presupposti e delle condizioni per l'esercizio del potere di ordinanza contingibile e urgente. L'ente provinciale ha concluso le operazioni di cattura con l'esito che conosciamo in data 10 settembre 2014.
  Vista la conclusione delle operazioni, l'11 settembre 2014 il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha chiesto alla provincia di Trento una dettagliata relazione sull'operato della squadra che ha effettuato l'intervento di telenarcosi, anche al fine di valutare il protocollo adottato dagli operatori. Tale relazione è stata acquisita il 16 settembre 2014 e posta al vaglio tecnico di Ispra, che non ha sollevato rilievi di sorta. Con nota del 15 settembre 2014, il Cfs ha informato il Ministero circa le attività svolte dal servizio Cites (convenzione di Washington sul commercio internazionale delle specie di fauna e flora minacciate di estinzione) nell'immediatezza del decesso dell'orsa Daniza, comunicando contestualmente la propria intenzione di non collaborare alla cattura con telenarcosi di altri esemplari di orso in attesa di approfondimenti sulla sicurezza dei protocolli di anestesia. Nell'ambito del procedimento penale aperto a seguito dell'uccisione dell'orsa Daniza, la Procura della Repubblica di Trento ha disposto due autopsie, la prima presso l'Istituto zooprofilattico Sperimentale (Izs) delle Venezie a Legnaro (PD), la seconda presso l'Izs di Grosseto, in quanto Centro di referenza nazionale per la medicina forense veterinaria. La vicenda giudiziaria si è conclusa con provvedimento di archiviazione del Procuratore della Repubblica n. 312/2015 R.G. mod. 45 dd. dell'8 maggio 2015. Il giudice ha accolto la richiesta di oblazione da parte del veterinario, che ha pagato un'ammenda di 2.000 euro, con la quale si estingue il reato.
  L'esito della telenarcosi, inoltre, ha indotto il Ministero a sospendere temporaneamente l'autorizzazione alla cattura di orsi in Veneto e in altre regioni in attesa di verifiche ulteriori sui protocolli di cattura.
  Con riferimento ai due cuccioli di Daniza, sin dal 16 agosto 2014, giorno dell'ordinanza contingibile e urgente della provincia di Trento, è stata posta grande attenzione al destino dei piccoli e sono stati tenuti nel debito conto i pareri dell'Ispra e del Cfs. La scelta di lasciarli in libertà, attentamente monitorati, è stata frutto di attenta valutazione della letteratura scientifica esistente ed ha trovato ampio supporto nei numerosi esperti scientifici internazionali sentiti da Ispra e che da anni seguono con interesse l'intero processo di ritorno degli orsi sulle alpi, evento quest'ultimo riconosciuto come un enorme successo di conservazione da parte delle autorità italiane. Dal mese di settembre 2014, i cuccioli di Daniza, completamente autonomi, sono stati oggetto di monitoraggio sul campo da parte della provincia di Trento, dapprima e fino alla fine di ottobre 2014, con tecniche radiotelemetriche, successivamente, con metodi indiretti. Sono state inoltre intraprese diverse altre iniziative tese a salvaguardarne la libertà e la sopravvivenza (tra cui, confronti e tavoli tecnici con i massimi esperti europei del settore, redazione di linee guida per la gestione dei cuccioli di orso privi della madre, diffusione di depliant informativi, predisposizione di apposita segnaletica stradale luminosa per ridurre i rischi di investimento). Sulla base del costante monitoraggio effettuato dalla provincia autonoma di Trento, dalle notizie disponibili alla data del 19 settembre 2017 (https://grandicarnivori.provincia.tn.it/News/E-F20- figlia-di-Daniza-l-orsa-radiocollarataieri-sera), si riporta che F20, la figlia di Daniza, marcata ancora nel 2014, è stata catturata, radiocollarata e rilasciata la sera del 18 settembre 2017 in Val Genova, mentre il fratello di F20 risultava vivo e presente all'ultimo rilevamento genetico effettuato nel 2016.
  Pare inoltre opportuno soffermarsi sulla ripartizione delle competenze tra le varie Amministrazioni coinvolte nella vicenda al fine di fornire indicazioni utili alla definizione del corretto quadro giuridico entro i cui limiti il Ministero ha operato.
  L'ordinanza contingibile e urgente è uno strumento che il Presidente della provincia può legittimamente adottare, ai sensi dell'articolo 52 del decreto del Presidente della Repubblica n. 670 del 1972, in ragione dell'esistenza di un pericolo concreto per l'incolumità pubblica, al di fuori e indipendentemente delle procedure «ordinarie» di cui al decreto del Presidente della repubblica n. 357 del 1997, come affermato anche dal Consiglio di Stato (confronta, ad esempio consiglio di Stato, Sez. VI, Sentenza 03362/2012). Lo stesso Pacobace, del resto, al paragrafo 3.4.2, riconosce all'amministrazione territorialmente competente il ruolo di soggetto decisore nelle azioni energiche non programmabili in caso di orsi problematici e situazioni critiche.
  Sempre in merito al decesso dell'orsa Daniza, occorre richiamare i limiti posti dal nostro ordinamento alle competenze delle amministrazioni interessate.
  Come affermato in precedenza, infatti, Tar e Consiglio di Stato hanno avuto modo di affermare che la sussistenza di una situazione di pericolo per l'incolumità e la sicurezza pubblica vale a giustificare l'adozione di uno specifico provvedimento
extra ordinem contingibile ed urgente da parte della provincia. In situazioni di questo tipo, dunque, non è prevista alcuna autorizzazione ministeriale, né alcun parere dell'Ispra.
  L'ordinanza contingibile e urgente con la quale è stata adottata la scelta di catturare l'orsa, inoltre, si colloca tra le previsioni del Pacobace (piano d'azione sottoscritto dal Ministero dell'ambiente, province di Trento e di Bolzano, regioni Friuli Venezia Giulia, Lombardia e Veneto, Ispra) concernenti le azioni energiche non programmabili in caso di orsi problematici e situazioni critiche (paragrafo 3.4.2., misure i e j); infatti, «le decisioni per l'attuazione dei provvedimenti previsti per gli orsi problematici e nelle situazioni critiche, sono assunte dall'amministrazione competente per territorio e materia attraverso la propria struttura preposta alla gestione delle specie selvatiche, che viene così a rivestire il ruolo di soggetto decisore».
  Con riferimento al Pacobace ed alla popolazione di orsi del Trentino, Veneto, Lombardia e Friuli Venezia Giulia, va sottolineato che il progetto di reintroduzione dell'orso, estremamente ambizioso, si è dimostrato un successo che ha avuto i massimi riconoscimenti in tutto il contesto internazionale, registrando un incremento della popolazione di orso ben superiore alle previsioni.
  Prima della vicenda Daniza, nessuna modifica unilaterale del Pacobace è mai stata adottata e nemmeno richiesta. Nel corso degli ultimi anni si è verificato un notevole incremento demografico della popolazione dell'orso nelle alpi centro-orientali, con conseguente aumento delle situazioni problematiche, sia in termini di danni diretti causati dai plantigradi, sia di pericolosità, legata all'aumento della frequenza di incontri ravvicinati tra uomo e orso. Ciò ha reso necessaria, anche ai fini di una migliore accettazione sociale della specie, una gestione più rapida ed efficace di quei singoli individui cosiddetti «problematici», responsabili di una rilevante quota dei danni economici e delle situazioni di pericolo più significative.
  Le amministrazioni responsabili dell'attuazione del Pacobace, su iniziativa della provincia di Trento, hanno quindi concordato con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare Ispra una modifica del capitolo 3 del piano d'azione, che definisce l’«orso problematico» in maniera più precisa, prevedendo inoltre, nell'ambito della definizione del grado di problematicità dei possibili comportamenti di un orso e relative azioni possibili (tabella 3.1), l'inclusione della categoria «orso che provoca danni ripetuti a patrimoni per i quali l'attivazione di misure di prevenzione e/o di dissuasione risulta inattuabile o inefficace» tra quelle per le quali può essere consentita l'attivazione di azioni energiche comprese la cattura per captivazione permanente e l'abbattimento. Ferme restando tutte le azioni di dissuasione che dovranno essere poste in essere secondo la normativa vigente, è mantenuta invariata l'obbligatorietà della richiesta di autorizzazione al Ministero per ogni intervento di rimozione. Tale modifica, formalmente approvata dalle amministrazioni coinvolte, è stata resa esecutiva con decreto direttoriale Prot. 0015137 Pnm del 30 luglio 2015.
  Benché gli interventi di gestione della fauna e quindi degli orsi sono di competenza regionale ovvero delle province autonome, la conservazione e gestione degli orsi è, comunque, oggetto di costante contatto e confronto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare con la provincia, con il supporto di Ispra, anche secondo quanto previsto nell'ambito del Pacobace. In tal senso, si segnala che dal 2015 è stata formalmente istituita una commissione tecnica fra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, la provincia autonoma di Trento e Ispra sulla gestione dell'orso e dei grandi carnivori e che da allora la commissione si incontra regolarmente e affronta tutte le questioni relative alla gestione e conservazione dell'orso.
  In relazione alla presenza di cuccioli e alla loro gestione, si riporta che nell'ambito dell'attuazione del Pacobace sono state definite anche delle linee guida per la gestione di cuccioli di orso privi della madre. Dalle informazioni acquisite alla data del 4 ottobre 2017 la provincia si sta attenendo alle citate linee guida.
  Della questione sono interessate anche altre amministrazioni territorialmente competenti, pertanto laddove dovessero pervenire nuovi elementi informativi, si provvederà ad un aggiornamento.
  Ad ogni modo, si rassicura che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per quanto di competenza, continuerà a svolgere la propria attività, senza ridurre il livello di attenzione sulla questione.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   PAOLO BERNINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:

   la condizione nella quale sono i cuccioli dell'orsa KJ2, a seguito della sua uccisione, ha posto gli animali in situazione di difficoltà, fatica e stress psico-fisico. I cuccioli di orso bruno, infatti, in natura possono vivere con la madre dai due fino ai quattro anni durante i quali imparano le tecniche di sopravvivenza, quale cibo sia di maggiore valore nutrizionale e come procurarselo: essi imparano anche come cacciare, pescare e difendersi. Tali sono gli apprendimenti degli stessi nel corso dello sviluppo, tramite processi imitativi, durante tutto il periodo di vita condiviso con la madre. È evidente come, per cause forzate, ai cuccioli verranno a mancare queste necessarie fasi di crescita e di naturale sviluppo e acquisizione di tutti i pattern comportamentali che ogni orso cresciuto con la propria madre avrebbe;

   le orse proteggono i loro cuccioli, spaccano loro i tronchi di legno nei quali sono contenuti le tane degli insetti di cui si nutrono, li conducono in luoghi di alimentazione distanti dalla tana e che i cuccioli frequenteranno talvolta da adulti. Le madri costruiscono in autunno le tane nelle quali scaldare i cuccioli nella stagione invernale;

   è altrettanto evidente che trattandosi di cuccioli molto giovani, questi non siano in grado di gestirsi completamente da soli, procacciandosi il cibo in modo sufficiente o difendersi da altri orsi maschi o da lupi, potenziali loro predatori;

   più di una ricerca effettuata su cuccioli orfani di orso bruno ha dimostrato che è necessario mettere a disposizione cibo agli orsi orfani, con particolari specifiche metodiche, affinché il cibo non sia ricollegato alla presenza e alla figura umane, per poter consentire un regolare approvvigionamento alimentare, soprattutto con l'avvicinarsi del letargo, e la sopravvivenza;

   un'altra ricerca dimostra l'esigenza di aiutare gli orsi con cibo supplementare;

   il cofattore fondamentale per un'alta percentuale di sopravvivenza di cuccioli di orso bruno rimasti orfani è quindi l'accesso a cibo supplementare, oltre alla disponibilità di un vasto areale di territorio che mitigherebbe la possibilità di attacco da parte di predatori (orsi maschi, lupi). La medesima ricerca suggerisce di ricorrere ad una madre adottiva, soprattutto qualora gli orfani fossero ancora nella fase di allattamento, poiché con una elevata percentuale di successo le orse possono adottare e gestire anche fino a sei orsetti quando vi sia sufficiente cibo a disposizione, naturalmente presente o fornito su tutto il territorio, per consentire non solo alla madre ma anche a tutti i cuccioli, di crescere regolarmente;

   per quanto sopra descritto appare evidente all'interrogante che sussistano i presupposti per rilevare una cattiva gestione a cui i cuccioli sono stati sottoposti, in ragione della privazione della madre in tempi prematuri e con modalità drammatiche; gli stessi, stanno conseguentemente subendo gravi danni, sia sotto il profilo etologico che sotto il profilo fisico;

   la scienza suggerisce che i piccoli possono vivere anche fino ai 4 anni con la madre; se ne deduce il grado di rilevanza di questa relazione e la necessità imprescindibile che per la corretta e sana formazione socio-etologica si consenta a questo importante rapporto di svilupparsi in modo naturale –:

   se e quali iniziative i Ministri interrogati intendano assumere, per quanto di competenza, per garantire la sopravvivenza dei cuccioli e la loro tutela;

   se i Ministri non intendano assumere iniziative per affidare la gestione dei cuccioli al nucleo forestale del Comando dei carabinieri che, tramite un coordinatore, possa provvedere a costituire un pool di esperti per valutare le migliori soluzioni per garantire la sopravvivenza e la tutela dei cuccioli in natura con ogni dovuta precauzione;

   se i Ministri siano a conoscenza delle esperienze di gestione in natura di cuccioli di orso bruno riportate anche dalla letteratura scientifica, esperienze da cui si può attingere per la realizzazione immediata di un piano di azione e messa sicurezza degli stessi.
(4-18963)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, nonché dalla provincia autonoma di Trento, si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare si evidenzia che una sintesi delle attività condotte dalla provincia autonoma di Trento, inclusa l'attività di informazione e formazione per le scuole e per tutti i cittadini è ricavabile dal sito www.orso.provincia.tn.it/, oltre che dal rapporto annuale che la provincia produce per informare sull'intero progetto di reintroduzione e conservazione dell'orso, disponibile anch'esso sul sito.
  Un monitoraggio scientifico degli orsi bruni viene costantemente realizzato dalla provincia autonoma di Trento. I risultati di tale monitoraggio sono riportati ogni anno nel sopracitato e dettagliato rapporto pubblico. Ciononostante, data la natura elusiva degli orsi e i concreti rischi derivanti da ogni operazione di cattura sia per gli operatori che per gli orsi, non risulta tecnicamente possibile munirli tutti di radio collare. L'applicazione dei collari viene praticata in tutte le occasioni in cui risulta possibile, con particolare riferimento agli orsi che, per diversi motivi, si trovano nelle aree in cui è più probabile un'interazione con l'uomo o con attività umane. Questo vale peraltro per tutte le popolazioni di orso al mondo. Il monitoraggio con telemetria Gps e Vhf costituisce, tuttavia, assieme al monitoraggio genetico, uno dei principali strumenti di gestione degli orsi presenti in provincia di Trento.
  Come già risposto a precedenti interrogazioni sulla medesima questione, si rappresenta che, in data 22 luglio 2017 si è verificata l'aggressione di un uomo da parte di un orso, successivamente determinata su base genetica come l'orsa KJ2, già responsabile di due aggressioni nel 2015 oltre ad una serie di falsi attacchi (aggressioni da parte dell'orso nelle quali non vi è però stato contatto fisico con la vittima). Il tipo di comportamento registrato il 22 luglio 2017 rientra tra i più gravi nella tabella sul grado di pericolosità degli orsi e dei relativi interventi, come codificata nel piano d'azione per conservazione dell'orso bruno nelle Alpi centro-orientali (Pacobace), e in questo caso le azioni previste includono l'opzione della cattura o dell'abbattimento dell'individuo.
  Si fa presente inoltre che la provincia autonoma di Trento ha immediatamente informato il Ministero dell'ambiente e in data 24 luglio 2017 il Presidente della provincia ha formalmente riferito sulla vicenda informando di aver adottato un'ordinanza contingibile e urgente per la sicurezza pubblica, nella quale si ordina il monitoraggio intensivo dell'area, l'identificazione rapida dell'esemplare, la sua rimozione attraverso cattura o abbattimento in funzione delle circostanze di tempo e luogo sussistenti al momento.
  Si specifica che l'ordinanza contingibile e urgente in questione è un atto autonomo della provincia autonoma di Trento, cui il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare non ha alcun titolo per opporsi. Si ricorda inoltre che il Ministero impugnò una analoga ordinanza della provincia contro l'orsa DJ3. In tale occasione, con sentenze n. 70 del 24 febbraio 2012 del TAR di Trento e n. 3362 del 31 maggio 2013 del Consiglio di Stato, venne confermata la validità dell'ordinanza della provincia autonoma di Trento.
  Pertanto, per autonoma decisione della provincia, l'orsa KJ2 è stata abbattuta in data 12 agosto 2017 sulla base dei presupposti dell'ordinanza. A tal proposito, la provincia ha evidenziato le esigenze di sicurezza ed incolumità pubblica, in quanto non era possibile prevedere i tempi necessari per addivenire alla cattura a scopo di captivazione, come auspicato in più occasioni dal Ministero dell'ambiente.
  Relativamente ai cuccioli di KJ2, si evidenza che recenti immagini degli animali sono state registrate a settembre-ottobre 2017 nel gruppo del monte Bondone (https://grandicarnivori.provincia.tn.it/Video/Orso/Cuccioli-di-Kj2).
  È opportuno inoltre ricordare come gli interventi di gestione della fauna e quindi degli orsi sono di competenza regionale ovvero delle province autonome.
  La conservazione e gestione degli orsi è, comunque, oggetto di costante contatto e confronto del Ministero dell'ambiente con la provincia, con il supporto di Ispra, anche secondo quanto previsto nell'ambito del Pacobace.
  Si segnala, altresì, che dal 2015 è stata formalmente istituita una commissione tecnica fra il Ministero dell'ambiente, la provincia autonoma di Trento e Ispra sulla gestione dell'orso e dei grandi carnivori e che da allora la commissione si incontra regolarmente e affronta tutte le questioni relative alla gestione e conservazione dell'orso.
  In relazione alla presenza di cuccioli e alla loro gestione, si riporta che nell'ambito dell'attuazione del Pacobace sono state definite anche delle linee guida per la gestione di cuccioli di orso privi della madre. Dalle informazioni acquisite alla data del 4 ottobre 2017 la provincia si sta attenendo alle citate linee guida.
  Della questione sono interessate anche altre amministrazioni territorialmente competenti, pertanto laddove dovessero pervenire nuovi elementi informativi, si provvederà ad un aggiornamento.
  Ad ogni modo, si rassicura che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per quanto di competenza, continuerà a svolgere la propria attività, senza ridurre il livello di attenzione sulla questione.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   PAOLO BERNINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   i media riportano un ulteriore fatto di cronaca gravissimo avvenuto di recente a Radicofani (Si) e che segnala la dimensione del dramma che riguarda l'uccisione di lupi che sta avvenendo indisturbata anche e soprattutto in Toscana;

   nello specifico, a Radicofani, due lupi impiccati sono stati legati al cartello di ingresso della città, come già avvenuto in altre circostanze, come ad esempio a Scansano;

   pochi giorni fa un ennesimo episodio similare è avvenuto in provincia di Rieti;

   già in precedenti interrogazioni l'interrogante ha evidenziato come questa deriva inaccettabile e questo attacco al patrimonio indisponibile dello Stato siano un fenomeno recrudescente, anche a causa di impropri e inadeguati progetti sul territorio che, anziché risolvere le conflittualità, le hanno acuite, favorendo questi episodi macabri ed inaccettabili per un Paese civile;

   infatti, si riscontrano episodi di uccisione dei lupi in aumento. Si rammenta che il lupo è patrimonio indisponibile dello Stato (secondo la ratio della legge n. 968 del 27 dicembre 1977 che ha elevato la fauna selvatica da «res nullius» a «res communitatis», cioè «patrimonio indisponibile dello Stato») e si tratta quindi di una specie particolarmente protetta da numerose normative nazionali ed internazionali;

   laddove sono state messe in pratica una serie di azioni «con l'uso di appropriati strumenti di prevenzione si riesce a minimizzare il conflitto tra predatori e zootecnia. Per esempio l'amministrazione provinciale di Firenze è impegnata fin dal 2005 in un progetto di prevenzione che ha portato alla riduzione della predazione del 90 per cento» (fonte Dottor Duccio Berzi «Tecniche, strategie e strumenti per la prevenzione dei danni da predatori al patrimonio zootecnico», Centro per lo studio e la documentazione sul lupo);

   secondo i dati del progetto «LIFE Medwolf» (LIFE11 NAT/IT/069), realizzato in Toscana, tra le aziende che hanno denunciato danni da predazione da canidi nel 2014, il 98 per cento di queste possiede allevamenti e pascoli non vigilati da pastori, il 57 per cento non ha cani da pastore-guardiania e solo il 41 per cento ha due cani ogni 500 pecore, l'85 per cento non ha recinzioni per prevenire l'attacco da parte di predatori;

   il progetto sopraccitato, sulla base del registro ufficiale delle predazioni, riporta che solo lo 0,3 per cento è la reale percentuale del patrimonio zootecnico ovino colpito dalla predazioni nel 2014, nell'ambito territoriale preso in considerazione dall'indagine scientifica;

   la presenza del lupo è un inequivocabile segnale positivo per tutto l'ecosistema e per la biodiversità, è quindi un indicatore biologico, in qualità di top predator, di un ambiente ecologicamente sostenibile;

   si è registrata la chiara posizione della Commissione europea che nell'aprile 2014 (E-002258-14) ha espresso la sua viva preoccupazione nei confronti degli atti di bracconaggio dei lupi, considerandolo «una minaccia per la salute dell'ambiente naturale, in particolare per il conseguimento degli obiettivi della direttiva "Habitat" e del primo obiettivo della strategia dell'UE per la biodiversità» –:

   se e quali iniziative i Ministri intendano assumere per la prevenzione di altri gravi atti di bracconaggio, anche in considerazione della perdita di patrimonio indisponibile dello Stato, e se a tal fine abbiano intenzione di assumere iniziative per ottenere il dovuto risarcimento, nonché per costituirsi parte civile negli eventuali procedimenti penali;

   se e quali iniziative intendano assumere i Ministri interrogati in relazione al grave danno causato dall'uccisione di un gran numero di lupi (considerato che gli esemplari rinvenuti rappresentano presumibilmente una minima parte di quelli uccisi realmente), vista la protezione speciale di cui gode la specie e anche alla luce del grave danno all'immagine – nazionale e internazionale – che si determina e del rischio di boicottaggio dei prodotti agricoli che risulterebbe esser stato prospettato da alcune associazioni.
(4-18975)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa alla gestione e tutela del lupo in Italia, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare, si premette che il Governo, consapevole delle problematiche connesse, si è attivato da circa due anni per aggiornare il piano d'azione del lupo.
  In via generale, sono diversi i progetti Life, finanziati dalla Commissione europea, conclusi o ancora in corso, finalizzati alla gestione della specie e delle problematiche ad essa connesse: Wolfalps (Alpi), M.I.R.C.O. (Parco Nazionale dell'Appennino Tosco-Emiliano e Parco Nazionale del Gran Sasso e dei Monti della Laga), Ibriwolf (Provincia di Grosseto), Wolfnet (Parco nazionale del Pollino, Parco nazionale della Majella, Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna (provincia dell'Aquila), Medwolf (provincia di Grosseto e Portogallo).
  Più recentemente, è stato commissionato a 70 esperti, con il contributo di Ispra e dell'Unione zoologica italiana (UZI), la redazione di un piano di conservazione e gestione del lupo in Italia. Il Piano prevede il ricorso a diverse azioni. Un'intera parte del piano è dedicata a 22 azioni per la gestione; tra queste, le azioni di prevenzione e contrasto delle attività illegali, le azioni per prevenire la presenza di cani vaganti e l'ibridazione lupo-cane, le azioni per la prevenzione e la mitigazione dei conflitti con le attività zootecniche, la predisposizione di strutture di captivazione di lupi e, da ultimo, l'applicazione di deroghe al divieto di rimozione di lupi dall'ambiente naturale successivamente alla verifica del rispetto di rigorosi presupposti, condizioni, limiti e criteri di applicazione.
  Tali prerequisiti consistono nella richiesta di deroga avanzata dall'amministrazione regionale, che quindi ha il pieno controllo sull'attivazione del processo; la documentazione prodotta dalla regione che attesti lo stato favorevole della popolazione del lupo e la non incidenza della deroga sulla conservazione della popolazione stessa; la documentazione prodotta dalla Regione che attesti la messa in opera delle più idonee misure di prevenzione e di controllo del randagismo canino; la documentazione prodotta dalla regione che attesti l'assenza di altre soluzioni valide; la documentazione prodotta dalla regione sull'attuazione delle misure di competenza previste dal piano.
  Sulla base di quanto detto, Ispra è chiamata ad una valutazione caso per caso e deve accertare la sussistenza di tali requisiti e la piena rispondenza delle condizioni fissate dalla normativa vigente per questo tipo di deroga.
  Solo a seguito del parere di Ispra, il Ministero può autorizzare la rimozione di singoli individui, in un contesto che deve mantenere un carattere di eccezionalità.
  Pertanto, i passaggi sopra rappresentati evidenziano che si tratta di un procedimento amministrativo molto elaborato, che è sottoposto ad un parere dell'ISPRA e che non costituisce un automatico riconoscimento della deroga.
  Per questo motivo, stime recenti della dimensione della popolazione invernale alpina di lupo ottenute dai rilievi del citato progetto Life Wolfalps, indicano una consistenza compresa tra 100-130 individui. A questi va aggiunta la popolazione appenninica stimata, attraverso un metodo deduttivo basato sulle attuali migliori conoscenze di cinque parametri biologici, in un valore mediano di 1.580 animali con una valutazione dell'incertezza associata compresa tra 1.070 e 2.472 (Boitani & Salvatori, 2015).
  Valori simili sono stati estrapolati tramite una revisione sistematica della bibliografia condotta da Galavemi nel 2015 che riportano un valore complessivo per il territorio italiano compreso tra un minimo di 1.269 individui ed un massimo di 1.800.
  L'attivazione di un sistema organico di monitoraggio del carnivoro a scala nazionale rappresenta la principale priorità d'azione identificata dal piano d'azione nazionale per la conservazione del lupo (Genovesi, 2002). Un'adeguata conoscenza dei più importanti parametri di popolazione e dei danni che questo predatore provoca agli allevamenti rappresenta la necessaria premessa per mettere a punto più efficaci strumenti di intervento per la conservazione della specie e per l'attenuazione dei conflitti con l'uomo. La realizzazione di un programma nazionale di monitoraggio è inoltre espressamente prevista dal decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1997.
  Per quanto riguarda le iniziative adottate al fine di garantire un equilibrio che limiti le situazioni di conflitto con le attività produttive, è opportuno evidenziare come diverse azioni siano state adottate a partire dagli anni ’70, finalizzate alla conservazione del lupo, che hanno compreso sia misure legislative adottate dalle amministrazioni locali, sia programmi di conservazione promossi dalle amministrazioni locali, dagli enti gestori di aree protette, da ONG e da istituti di ricerca pubblici.
  Al fine di prevenire i conflitti del lupo con la zootecnia, diverse amministrazioni promuovono la messa in opera di strumenti di prevenzione dei danni, anche attraverso il finanziamento di recinzioni per la stabulazione notturna delle greggi. A titolo di esempio, si cita la Regione Piemonte che, in collaborazione con la provincia di Torino ed i parchi di Salbentrand e delle alpi marittime, ha attivato il programma "Il lupo in Piemonte: azioni per la conoscenza e la conservazione della specie, per la prevenzione dei danni al bestiame domestico e per l'attuazione di un regime di coesistenti stabile tra lupo e attività economiche". Tale programma, cofinanziato dall'Unione Europea tramite il programma Interreg, si è articolato nelle seguenti attività principali: monitoraggi, ricerca, informazione e preparazione.
  Analogamente, la regione Emilia-Romagna ha cofinanziato un programma Life per la conservazione del lupo in dieci siti di Interesse Comunitario (SIC) ricadenti all'interno di tre Parchi regionali e del Parco nazionale dell'Appennino Tosco-Emiliano, di più recente istituzione. Il progetto prevede il monitoraggio del lupo e delle popolazioni preda, la messa in opera di sistemi di prevenzione dei danni, la sensibilizzazione delle popolazioni locali e la produzione di linee guida per una corretta gestione del lupo. Il Parco nazionale del Pollino ha promosso un progetto intensivo di quattro anni di ricerca finalizzato a definire consistenza numerica, distribuzione, struttura spaziale e sociale, uso del territorio e dell'habitat, dispersione, alimentazione, impatto sulla zootecnia. Parallelamente, l'Ente Parco ha cofinanziato un programma Life triennale, in collaborazione con il WWF, volto al controllo del randagismo canino, alla messa in opera di strumenti di prevenzione (recinzioni elettrificate e cani da guardiania) e a promuovere una migliore opinione sul lupo da parte delle popolazioni locali.
  La nuova stesura del piano per il lupo è stato il frutto di un intenso lavoro di mediazione del Ministero, che ha accolto larga parte delle richieste pervenute dalle Regioni. Il testo, andato in discussione in Conferenza Stato-Regioni il 6 dicembre 2018, prevedeva la sospensione per due anni della decisione sulla possibilità del ricorso alle deroghe per il prelevamento dei lupi. Altra novità era il coordinamento nazionale per le azioni di monitoraggio della specie, su cui il Ministero aveva previsto di impegnare un milione e mezzo di euro fino al 2020. L'obiettivo era quello di arrivare quanto prima a dotare il Paese delle 22 azioni contenute nel piano, scritte dai massimi scienziati ed esperti in materia. Il Piano per il lupo è necessario alla salvaguardia della specie dal fenomeno del bracconaggio e a migliorare attraverso un percorso per fasi la convivenza tra uomo e lupo.
  Tuttavia, si segnala che piano non è stato ancora approvato presso la conferenza Stato-Regioni poiché, nella riunione convocata il 6 dicembre 2018, è stata nuovamente rinviata ogni decisione in merito all'adozione del piano medesimo.
  Come anche accennato sopra, per quanto riguarda le risorse economiche, la nuova stesura del Piano prevedeva impegni del Governo, mentre per quanto riguarda la prevenzione e gli indennizzi dei danni da lupo si ricorda che queste sono di competenza delle regioni, che a tal fine possono avvalersi anche dei fondi europei.
  Della questione sono interessate anche altre amministrazioni territorialmente competenti, pertanto laddove dovessero pervenire nuovi elementi informativi, si provvederà ad un aggiornamento.
  Ad ogni modo, si rassicura che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per quanto di competenza, continuerà a svolgere la propria attività, senza ridurre il livello di attenzione su tale importante questione.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   STELLA BIANCHI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   l'impianto di trattamento meccanico-biologico (Tmb) di proprietà dell'Ama, situato a Roma in via Salaria 981 è da anni al centro di costanti proteste da parte dei cittadini residenti nella zona a causa dei miasmi e delle esalazioni provenienti dallo stesso che è di proprietà di Ama; si tratta di esalazioni che invadono, tra gli altri, i quartieri di Villa Spada, Fidene, Colle Salario, Nuovo Salario;

   nel sito vengono trattati rifiuti indifferenziati attraverso procedure meccaniche e processi biologici con i quali la frazione di rifiuti umida viene separata da quella secca. L'impianto non è in grado di smaltire rapidamente l'enorme quantità di rifiuti che viene conferita giornalmente, con la conseguenza che i rifiuti indifferenziati si accumulano all'interno del deposito trasformandolo a tutti gli effetti in una discarica. Va poi precisato che nell'impianto si svolge un lungo processo di fermentazione che dura 28 giorni. L'odore pestilenziale che si produce si diffonde nelle zone limitrofe densamente popolate, causando forti disagi, particolarmente forti per chi vive a ridosso dell'impianto che si trova a soli 50 metri dalla prima casa e a 150 metri dall'asilo;

   le associazioni sindacali hanno più volte denunciato lo stato di abbandono dell'impianto e la totale assenza di ogni forma di manutenzione. Mancano al suo interno sistemi di aereazione e di aspirazione delle polveri adeguati e di copertura dei rifiuti, mentre la sala manovra non sarebbe pressurizzata e le norme di sicurezza non verrebbero rispettate;

   tali carenze infrastrutturali si ripercuotono sulla salubrità delle zone circostanti e sulla salute dei cittadini e mettono a repentaglio la sicurezza degli addetti ai lavori. All'interno dell'impianto Tmb Ama di via Salaria si sono, infatti, verificati numerosi incidenti. L'ultimo è avvenuto nel luglio 2017 quando il braccio di un mezzo meccanico, che stava movimentando i rifiuti all'interno della fossa di scarico della struttura, ha urtato inavvertitamente contro il soffitto, causando il distaccamento di un pannello in cemento, caduto poi contro la portiera del mezzo;

   più volte è stata annunciata la chiusura del Tmb Ama di via Salaria e la sua riconversione, sempre rimandate. Da ultimo, l'amministrazione capitolina guidata dalla sindaca Raggi ha annunciato la sua chiusura entro il 2019 a condizione che la quota della raccolta differenziata raggiunga il 70 per centro: obiettivo che, allo stato attuale, appare estremamente difficile da raggiungere. L'attuale amministrazione capitolina guidata dalla sindaca Raggi ha inoltre di fatto cancellato i piani previsti dall'amministrazione precedente senza che questi fossero sostituiti da un piano industriale della nuova gestione di Ama in grado di garantire concretamente il rafforzamento dell'autonoma nella gestione del ciclo dei rifiuti e dunque il percorso necessario per arrivare alla chiusura del Tmb Ama di via Salaria –:

   quali iniziative, per quanto di competenza, il Governo intenda intraprendere al fine di monitorare le segnalate criticità dell'impianto Tmb Ama di via Salaria e dell'area su cui esso insiste, anche promuovendo una verifica da parte del comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente, nell'ottica di assicurare la piena legalità, l'efficienza e il rispetto della tutela ambientale, della sicurezza dei lavoratori e della salute dei cittadini.
(4-17800)

  Risposta. Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa all'impianto Tmb Ama di via Salaria (Roma), sulla base degli elementi acquisiti; si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare si evidenzia che le problematiche attinenti alla gestione dei rifiuti di Roma, devono essere inquadrate nell'ambito della più complessa tematica del ciclo dei rifiuti dell'intera regione Lazio. Ad ogni modo, la rilevanza istituzionale delle questioni attinenti Roma Capitale, e l'esistenza della procedura di infrazione comunitaria 2011/4021 — causa C — 323/13, hanno reso necessario l'intervento di questo Dicastero per il superamento delle criticità.
  A seguito delle problematiche occorse già nell'estate 2016 nel Lazio ed in particolar modo a Roma, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, nell'ambito delle competenze attribuite in merito alla vigilanza sulla corretta applicazione delle norme comunitarie e nazionali sul ciclo dei rifiuti, ha provveduto, con nota del 2 agosto 2016, a richiedere agli uffici regionali competenti i dovuti e necessari controlli sull'impiantistica regionale, con il supporto di Arpa Lazio.
  Con nota del 4 agosto 2016, la regione Lazio ha riscontrato la richiesta di questo Dicastero, rappresentando di aver richiesto ad Arpa Lazio di procedere ad una verifica degli impianti al fine di predisporre la richiesta relazione riepilogativa.
  Ai fini dell'esaustività delle verifiche, questo Ministero ha inviato all'amministrazione regionale ulteriori solleciti e richieste di integrazione dei controlli rispettivamente con note del 6 settembre 2016, del 16 novembre 2016, del 23 gennaio 2017, del 2 febbraio 2017 e del 29 marzo 2017.
  A seguito delle note vicende giudiziarie che hanno portato al sequestro in diversi impianti del territorio regionale del Lazio, le criticità nella gestione del ciclo dei rifiuti della Capitale si sono riproposte anche a ridosso dell'estate 2017, rendendo necessario il contributo di questo Ministero che ha avviato i lavori del Tavolo di coordinamento assieme alla regione Lazio ed al comune di Roma capitale nel tentativo di individuare le opportune soluzioni al sistema gestionale ed impiantistico di riferimento.
  Ad ogni modo si fa presente che, tra le competenze attribuibili al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, non rientrano anche quelle di indagine tecnica ed ispettiva su tutti gli impianti di gestione e smaltimento dei rifiuti, specificatamente attribuite agli enti territoriali e di controllo competenti che, nel caso specifico, si sono prontamente attivati anche su impulso del Ministero.
  Per quanto attiene in particolare l'impianto TMB Salario, la direzione regionale Governo del ciclo rifiuti della regione Lazio segnala che con nota del 31 luglio 2015 ha dato avvio al procedimento di riesame dell'AIA., al fine di sottoporre a nuova valutazione lo schema di flusso delle attività di impianto e di conseguenza le tipologie di rifiuti producibili dallo stesso. A tal riguardo si sono tenute tre sedute di conferenza dei servizi in data 2 dicembre 2015, 1o giugno 2016 e 3 maggio 2017, nel corso delle quali, tra le altre cose, AMA s.p.a. è stata chiamata a produrre un nuovo Piano di Monitoraggio e Controllo da sottoporre al previsto parere di Arpa Lazio ai sensi dell'articolo 29-
quater, comma 6, del decreto legislativo n. 152 del 2006.
  In particolare, nel corso dell'ultima seduta, si sono informati i partecipanti che Arpa Lazio con nota dell'11 aprile 2017 ha richiesto che AMA Spa riproduca ex-novo non solo la predetta nuova proposta del piano di monitoraggio e controllo, bensì tutta la documentazione prevista alla base dell'AIA. In ordine a ciò Ama Spa ha trasmesso presso gli uffici dell'area ciclo rifiuti, con nota del 10 luglio 2017, la nuova proposta del piano di monitoraggio e controllo. Ad ogni modo ARPA Lazio, in data 21 luglio 2017 ha dichiarato di non essere in grado di esprimere il parere previsto sul PMeC in questione. Allo stato il procedimento è ancora in corso.
  La stessa direzione regionale Governo del ciclo rifiuti della regione Lazio comunica inoltre che in data 18 maggio 2017, su segnalazione del Comitato cittadino del quartiere Fidene, l'area ciclo rifiuti della regione ha incaricato Arpa Lazio di effettuare un'ispezione straordinaria sull'istallazione in questione, al fine di verificare la corretta gestione dello stesso con particolare rispondenza alle prescrizioni e condizioni della vigente A.I.A. A seguito di ciò, ARPAL ha fornito, con propria nota del 1° giugno 2017 apposita relazione dalla quale sono emerse talune inadempienze gestionali da parte di AMA Spa nella conduzione dell'istallazione in questione. Tali inadempienze sono state sanzionate a norma dell'articolo 29-
decies, comma 9 del decreto legislativo n. 152 del 2006. Si segnala altresì che in data 23 giugno 2017 è stato richiesto di riferire circa taluni "imprevisti" segnalati con la medesima relazione. Di detta diffida, così come previsto, ne è stata data comunicazione 211’ Autorità Giudiziaria, e in data 4 luglio 2017 AMA Spa la riscontrava.
  In seguito, la stessa Arpal ha effettuato un nuovo sopralluogo in data 8!agosto 2017 dal quale sono risultati ancora anomalie nella corretta gestione del sito. In merito a ciò, l'AMA spa, con nota dell'11 settembre 2017, riferiva di aver svuotato l'area di conferimento dei RSU dell'impianto in questione, e di aver proceduto a pulirle e disinfestarle in data 26 agosto 2017.
  Al riguardo, si fa presente comunque che la direzione governo del ciclo dei rifiuti della regione Lazio, quale autorità competente, ha provveduto a inviare l'impianto a riesame proprio per intervenire sull'autorizzazione ambientale e contestualmente ha provveduto a richiedere più volte verifiche all'Arpa Lazio, diffidando in via amministrativa e procedendo alla segnalazione all'autorità giudiziaria laddove sono emerse problematiche diverse.
  Si rassicura in ogni caso che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per quanto di competenza, prosegue nella sua azione costante di monitoraggio senza ridurre in alcun modo lo stato di attenzione su tale importante tematica.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   BIANCOFIORE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   la A22 è una delle 10 concessionarie a maggioranza pubblica: l'83 per cento è in mano agli enti locali di Trentino, Alto Adige, Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna;

   i Governi di sinistra attraverso il cosiddetto «sblocca Italia» hanno concesso ad Autobrennero una proroga della gestione e l'attuale Governo si appresta a concedere una nuova concessione trentennale della concessione già scaduta nel 2014 senza gara secondo le norme del nuovo codice degli appalti e nel rispetto delle direttive comunitarie; nessuna privatizzazione, anzi si parla di una pubblicizzazione (si tratta di una società in house), in quanto la nuova concessionaria dovrà essere per il 100 per cento nella titolarità degli enti locali e le province autonome di Trento e Bolzano, per giunta, hanno la maggioranza assoluta della società;

   quanto appena riportato mostra la chiara volontà da parte del Governo di favorire una concessionaria a maggioranza pubblica, a vantaggio della Svp per mantenere la presa su un asset molto importante;

   è dei giorni scorsi la nomina come presidente di A22 di Luigi Olivieri ex parlamentare, dell'Ulivo con l'ennesimo accordo tra Pd e Patt;

   la A22 è costantemente in emergenza visti i livelli di esercizio a cui è sottoposta a causa dell'enorme massa di mezzi provenienti da tutta l'Europa del Nord;

   il numero dei morti degli ultimi anni sull'autostrada è aumentato di molto e nessun tipo di regolazione è stato messo in atto;

   non si conoscono per nulla gli esiti delle rendite dell'accantonamento, il cosiddetto fondo Ferrovia, che rappresenta solo l'1,5 per cento dell'intera somma necessaria per tutte le opere ferroviarie del corridoio, del valore odierno di circa 630 milioni di euro, esclusi gli interessi maturati dal momento della sua costituzione, che non si sa dove siano finiti, quando era lecito attendersi che andassero ad incrementare lo stesso Fondo come si deduce dalla legge istitutiva del Fondo medesimo;

   la pretesa delle province autonome di Trento e Bolzano, della stessa Autostrada del Brennero spa di versare, come la legge stabilisce, allo Stato le risorse del «fondo ferrovia» ad oggi accantonato solo quando sarà formalizzata la proroga della attuale concessione, per 30 anni senza gara, appare all'interrogante come un vero e proprio «ricatto» politico;

   la situazione in cui si trova Olivieri oggi, in quanto presidente dell'Autobrennero, è ancora più complessa in quanto secondo la legge provinciale del 2010 (punto «B») sarebbe tra coloro che devono restituire il compenso «per intero», in quanto percettore di un «vitalizio» derivante dalla carica di ex deputato per almeno due legislature;

   l'interrogante auspica che l'A22 rimanga in mani italiane legata al territorio, ma la gara per la concessione, come da direttiva europea, eviterebbe la costante lottizzazione politica dell'infrastruttura e soprattutto che le province autonome vengano sempre considerate al di sopra delle regole –:

   se nella vicenda che ha riguardato la concessione dell'A22 siano state pienamente osservate le direttive europee sulla concorrenza ed il mercato nonché la legge sugli appalti pubblici;

   se il Governo non intenda rendere noto a quanto ammontino gli interessi maturati sul «fondo ferrovia» dal 1997, anno della sua istituzione, nonché le motivazioni che hanno portato a non contabilizzare tali interessi ad incremento dello stesso «fondo Ferrovia», così come riscontrabile dai bilanci della stessa Autostrada del Brennero spa.
(4-18886)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, cui si risponde per delega della Presidenza del Consiglio dei ministri, si forniscono i seguenti elementi di risposta sulla base delle informazione pervenute dalla Direzione per la vigilanza sulle concessioni autostradali di questo Ministero.
  Nell'ambito delle interlocuzioni intercorse tra il Governo italiano e la Commissione europea, per la tratta autostradale Brennero-Modena, è emersa la possibilità di ricorrere in alternativa alla gara, all'applicazione dell'articolo 17 della direttiva europea 2014/23/Ue recepito nell'ordinamento italiano dall'articolo 5 del decreto legislativo n. 50 del 2016, che prevede la possibilità per l'amministrazione aggiudicatrice di affidare direttamente un contratto di concessione ad una società a prevalente partecipazione pubblica, qualora vengano rispettati determinati requisiti.
  L'affidamento della concessione autostradale tramite il suindicato istituto dell’
in house assicurerebbe benefici economico-finanziari per le finanze pubbliche derivanti, tra l'altro, dal versamento del fondo ferrovia, dalla prosecuzione degli accantonamenti, dal pagamento del valore della concessione e dagli interventi infrastrutturali sull'arteria.
  Con riferimento alla costante situazione di emergenza della A22 derivante dal numero elevato di mezzi, si fa presente che tale problematica è stata oggetto di numerosi incontri sia a livello nazionale che internazionale nell'ambito dei quali sono stati individuati specifici gruppi di lavoro che dovranno intervenire sulla promozione del trasporto ferroviario in alternativa a quello su gomma.
  Relativamente al numero di decessi registrati negli ultimi anni sull'autostrada, si evidenzia che dai dati inerenti l'incidentalità nell'ultimo decennio sulla tratta Brennero-Modena, emerge non soltanto un decremento del numero totale di incidenti (884 nel 2017 contro i 1.185 nel 2008), ma anche del numero di incidenti con feriti (242 nel 2017 contro i 307 nel 2008), del numero di feriti (422 nel 2017 contro i 556 nel 2008), del numero di incidenti con morti (13 nel 2017 contro i 15 nel 2008) e del numero di morti (15 nel 2017 contro i 19 nel 2008). Il Tasso di Incidentalità Globale (T.I.G.) relativo all'intera tratta autostradale ha raggiunto nel 2017 il valore minimo di 17,81 (a fronte del 25,45. del 2008).
  La società concessionaria autostrada del Brennero, ai sensi di quanto previsto dall'articolo 55, comma 13 della legge n. 449 del 1997, a partire dal 1998, ha effettuato gli accantonamenti destinati al cofinanziamento del potenziamento dell'infrastruttura ferroviaria, acquistando negli anni i titoli di Stato, conformemente alla medesima disposizione. In particolare, i suddetti titoli di Stato sono sempre stati acquistati nel rispetto della tempistica, delle modalità, nonché dei valori nominali contemplati dal Piano economico-finanziario.
  Al 30 aprile 2014, data di scadenza della concessione, l'accantonamento previsto dalla suindicata legge ammontava a 550 euro milioni, pari al valore nominale dei titoli di Stato presenti nel «deposito ferrovia». Contestualmente a tali acquisti, la concessionaria ha accantonato annualmente, come previsto dalla legge medesima, il corrispondente valore nominale dei titoli di Stato in uno specifico fondo (fondo ferrovia).
  Le modalità e le tempistiche con cui autostrada del Brennero s.p.a. dovrà corrispondere allo Stato il fondo ferrovia sono state recentemente disciplinate dall'articolo 13-
bis, comma 2 del decreto-legge n. 148 del 2017, il quale prevede che entro trenta giorni dalla data dell'affidamento di cui al comma 4, la società Autobrennero spa provvede a versare all'entrata del bilancio dello Stato le risorse accantonate in regime di esenzione fiscale fino alla predetta data nel fondo di cui all'articolo 55, comma 13, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, che sono riassegnate allo stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze e trasferite alla società Rete ferroviaria italiana (RFI) Spa, senza alcuna compensazione a carico del subentrante. Le ulteriori quote annuali da accantonare ai sensi del medesimo articolo 55, comma 13, della legge n. 449 del 1997 sono versate dal concessionario dell'infrastruttura A22 Brennero-Modena con le modalità di cui al periodo precedente entro trenta giorni dall'approvazione del bilancio dell'anno di riferimento. Le risorse versate ai sensi del presente comma sono utilizzate per le finalità di cui al citato articolo 55, comma 13, della legge n. 449 del 1997, nell'ambito del contratto di programma – parte investimenti tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e la RFI Spa.
Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti: Riccardo Nencini.


   BINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   la manutenzione ciclica delle carrozze di Trenitalia destinate al servizio ferroviario sulla media distanza viene effettuata nel polo tecnologico di Osmannoro, frazione del comune di Sesto Fiorentino, in provincia di Firenze;

   l'officina attualmente occupa 220 ferrovieri e circa 50 addetti di ditte esterne; le carrozze in manutenzione ciclica presso l'officina sono meno di 2.000; hanno un'età media tra i 40 e i 50 anni e non sono dotate di sistema antincendio; in base al decreto ministeriale sulla sicurezza nelle gallerie ferroviarie per i veicoli circolanti sulla rete italiana, entro l'8 aprile del 2021 le imprese ferroviarie, e quindi anche Trenitalia, dovranno dotare il materiale rotabile per trasporto passeggeri di impianto antincendio; l'inserimento del sistema antincendio in tutte le vecchie carrozze richiede un investimento consistente, per questo Trenitalia ha ritenuto conveniente l'acquisto di nuovo materiale rotabile, riducendo la flotta impiegata nella media distanza a circa 500/600 carrozze;

   per garantire un regolare ciclo di manutenzione ogni 4/5 anni, sono sottoposte a manutenzione presso l'officina circa 400/500 carrozze all'anno;

   l'impianto è utilizzato anche per la manutenzione dei treni regionali Trenitalia della Toscana; in questo comparto sono impiegati circa 230 ferrovieri;

   la sostituzione delle carrozze vetuste e i nuovi acquisti di materiale rotabile equipaggiato di impianto antincendio potrebbero determinare una consistente riduzione delle commesse per manutenzione dell'officina di Osmannoro;

   per mantenere gli attuali livelli di occupazione sarebbe necessario affidare all'officina delle lavorazioni su altre carrozze o treni di nuova generazione oltre a quelle sui treni a media percorrenza e sui treni regionali della Toscana;

   sia l'accordo sottoscritto il 3 marzo 1999 tra Ministero dei trasporti, Ferrovie dello Stato, regione Toscana, comune di Firenze e provincia di Firenze, che il successivo protocollo del 2005 tra i medesimi soggetti prevedevano lo sviluppo del Polo manutentivo di Osmannoro e, in particolare, il trasferimento ad esso delle attività e della manutenzione «ciclica» del materiale rotabile dalle officine di Porta a Prato;

   le officine, sia quella adibita alla manutenzione dei treni nazionali, che quella per i treni regionali, sono costruite secondo i più aggiornati criteri tecnologici; sono collocate in un contesto ottimale, ad adeguata distanza dai centri urbani, ma opportunamente collegate sia alla rete ferroviaria che a quella stradale e non distanti dalla direzione tecnica di Trenitalia di Firenze dedicata all'ingegneria della manutenzione e del materiale rotabile nuovo, con circa 200 addetti fra ingegneri e personale altamente qualificato; nella vicina Pistoia, si trova la società Hitachi che ha costruito il treno AV 1000 e altri con tecnologie all'avanguardia che potrebbe collaborare con l'officina di Osmannoro;

   l'officina per la manutenzione ciclica dispone di 5 binari lunghi 380 metri e di un reparto per la tornitura delle ruote dei treni di ultima generazione; con modico investimento può essere attrezzata per nuove lavorazioni;

   la manutenzione corrente dei treni della Toscana, attualmente realizzata nei capannoni che possono accogliere 1 o 2 carrozze o locomotive, richiede un investimento aggiuntivo di circa 50 milioni di euro per raddoppiare tali strutture da 70 a 150 metri e oltre di lunghezza; i nuovi convogli richiedono infatti interventi di manutenzione a treno completo –:

   se il Governo non intenda assumere iniziative, per quanto di competenza, per valorizzare gli investimenti effettuati, le competenze, l'esperienza e la professionalità delle maestranze, e per salvaguardare l'occupazione, promuovendo l'affidamento ad Osmannoro, dotata di torneria ruote, la manutenzione ciclica dei nuovi treni regionali e dei rotabili che circolano sulla rete nazionale, non solo di Trenitalia, ma anche di altre aziende ferroviarie;

   quali urgenti iniziative di competenza intenda assumere per l'ampliamento dei capannoni di Osmannoro destinati alla manutenzione corrente dei treni «Rock e Pop» della Toscana.
(4-18883)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  Va premesso che le problematiche connesse alla definizione di una strategia volta al rilancio del polo tecnologico di Osmannoro ed all'individuazione di soluzioni atte a risolvere l'annesso risvolto occupazionale, nonché le questioni attinenti all'ammodernamento ed all'adeguamento della officina, sono da ricondurre a valutazioni sostanzialmente commerciali effettuate in piena autonomia dalle imprese ferroviarie interessate e nel rispetto delle prescrizioni tecniche dettate in materia di sicurezza.
  Ad ogni modo, al fine di fornire una risposta a quanto segnalato nell'interrogazione in parola, sono stati chiesti chiarimenti al gruppo Ferrovie dello Stato italiane (FSI) che ha riferito quanto segue.
  Circa la possibilità di mantenere gli attuali livelli occupazionali del Polo tecnologico di Osmannoro, Fsi assicura che il suddetto impianto non risentirà, in termini di occupazione complessiva, dell'introduzione dei nuovi treni per il servizio regionale, oggetto degli investimenti attualmente programmati da Trenitalia.
  Infatti, i minori volumi di ciclica – conseguenti alla dismissione di parte del parco vetture media distanza – verranno compensati da attività aggiuntive legate all'introduzione di altre tipologie di carrozze e di ulteriori sistemi da manutenere, nonché dall'incremento delle lavorazioni richieste da altre Imprese.
  Inoltre, le altre attività verranno riviste e quelle specialistiche (come, ad esempio, la revisione degli apparati Acpf, delle sale, dei carrelli e dei convertitori) cresceranno con l'arrivo del nuovo materiale rotabile; in generale, la manutenzione ciclica evolverà verso un modello a moduli, con incremento delle lavorazioni sui componenti.

Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti: Riccardo Nencini.


   BORGHESI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:

   archeologi, bibliotecari e archivisti, che hanno prestato servizio come funzionario di area III (posizione economica F1) alle dipendenze del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo presso alcuni degli istituti in forte carenza di personale vedranno scadere il proprio rapporto di lavoro il 30 settembre 2017;

   trattasi di «esperti del settore» appositamente selezionati da una commissione di dirigenti ministeriali, che ha valutato i titoli di studio e professionali e li ha sottoposti ad un esame orale, secondo quanto stabilito dal bando di concorso per il reclutamento di «60 esperti per il patrimonio culturale», pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale IV serie speciale — concorsi ed esami n. 98 del 22 dicembre 2015 (ex articolo 8 del decreto-legge n. 82 del 2014), concorso al quale hanno partecipato in migliaia;

   tale gruppo di persone era stato reclutato nel 2015 «al fine di fare fronte a esigenze temporanee per il miglioramento e potenziamento degli interventi di tutela, vigilanza e ispezione, protezione e conservazione nonché valorizzazione dei beni culturali in istituti e luoghi della cultura statali»;

   si è a conoscenza del «concorso per l'assunzione a tempo indeterminato presso il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo di 500 funzionari di area III F1»;

   l'immissione in ruolo di nuove leve non deve tuttavia disperdere la professionalità e la competenza di altrettanti valevoli professionisti del settore chiamati a tamponare carenze emergenziali –:

   se ed in e termini il Governo intenda intervenire per salvaguardare le professionalità già acquisite dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, senza compromettere diritti ed interessi legittimi di altri colleghi, a tutela dell'inestimabile patrimonio culturale italiano.
(4-17931)

  Risposta. — Si riscontra l'interrogazione parlamentare in esame con la quale l'interrogante ha chiesto notizie sulla possibilità di proroga del rapporto di lavoro a tempo determinato instaurato a seguito del bando di concorso per «60 esperti per il patrimonio culturale».
  Al riguardo, si rappresenta che, nella consapevolezza dell'elevata qualità del lavoro svolto dai predetti funzionari e al fine di salvaguardare le professionalità acquisite, nella legge 27 dicembre 2017, n. 205 – bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020 è stata inserita la possibilità di una proroga per tali contratti.
  Infatti, l'articolo 1, comma 306, di tale legge dispone:

   I contratti a tempo determinato stipulati dagli istituti e luoghi della cultura, ai sensi dell'articolo 8 del decreto-legge 31 maggio 2014, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 luglio 2014, n. 106, possono essere prorogati per l'anno 2018, non oltre il limite massimo di 36 mesi, anche discontinui, previsto dall'articolo 19, comma 1, del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, come richiamato dall'articolo 36, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e nel limite di 1 milione di euro per l'anno 2018.

  Si evidenzia, inoltre, che ai sensi dell'articolo 1 comma 328, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 – legge di stabilità 2016, il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo è stato autorizzato all'assunzione a tempo indeterminato di 500 funzionari da inquadrare, nel rispetto della dotazione organica di cui alla tabella B allegata al regolamento di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 29 agosto 2014, n. 171, nella III area del personale non dirigenziale, posizione economica F1, nei profili professionali di antropologo, archeologo, architetto, archivista, bibliotecario, demoetnoantropologo, promozione e comunicazione, restauratore e storico dell'arte.
  La scelta di bandire tale concorso ha contestualmente favorito lo stesso contingente di personale vincitore della procedura selettiva dei «60 esperti».
  Difatti, i bandi del suddetto concorso contemplavano espressamente l'attribuzione fino ad un massimo di 30 (trenta) punti in base all'esperienza professionale maturata alla data di scadenza dei termini per la presentazione della domanda di partecipazione e molti di essi sono risultati vincitori anche in ragione del maggior punteggio in sede valutativa, attribuito all'attività lavorativa presso gli istituti del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo.
  Peraltro, nelle more dell'espletamento dei concorsi questo Ministero, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 4 aprile 2017, è stato autorizzato allo scorrimento dalle graduatorie degli idonei del sopra citato bando per n. 200 funzionari esperti del patrimonio culturale e, da ultimo, l'articolo 1, comma 305, della legge 27 dicembre 2017, n. 205 di approvazione del bilancio di previsione dello Stato per l'esercizio finanziario 2018, ha autorizzato questa amministrazione ad assumere altre 200 unità di personale, mediante ulteriore scorrimento delle graduatorie.
  In tal modo sarà ulteriormente favorito l'ingresso anche a titolo definitivo nell'amministrazione di giovani che hanno dimostrato impegno e professionalità.
  In definitiva, negli ultimi anni, a fronte delle carenze di organico rilevate ed al blocco del
turn over, oramai operativo da diversi anni, questo Ministero è riuscito a consentire, sia con il reclutamento dei 60 esperti a tempo determinato che con il concorso sopra ricordato (e con i ricordati scorrimenti di graduatoria), l'ingresso in Amministrazione di «nuove forze».
  Ciò al fine di invertire la tendenza registratasi negli ultimi anni e reintegrare l'organico dell'amministrazione dei beni culturali con giovani di alta professionalità che concorreranno negli anni futuri a tutelare, valorizzare, promuovere l'eccezionale patrimonio culturale italiano.
  

Il Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali e il turismo: Antimo Cesaro.


   BRAMBILLA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   la legge n. 157 del 1992 «Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio» stabilisce, all'articolo 27, che la vigilanza sull'applicazione della legge stessa è affidata agli agenti dipendenti degli enti locali delegati dalle regioni, «alle guardie volontarie delle associazioni venatorie, agricole e di protezione ambientale nazionali presenti nel Comitato tecnico faunistico-venatorio nazionale e a quelle delle associazioni di protezione ambientale riconosciute dal Ministero dell'ambiente», oltre che, naturalmente, «agli ufficiali, sottufficiali e guardie del Corpo forestale dello Stato (oggi carabinieri forestali), alle guardie addette a parchi nazionali e regionali, agli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria, alle guardie giurate comunali, forestali e campestri ed alle guardie private riconosciute ai sensi del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza». È affidata, inoltre, alle guardie ecologiche e zoofile riconosciute da leggi regionali;

   con decreto del Ministero dell'ambiente del 6 febbraio 2001, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 134 del 12 giugno 2001, è stata istituita la riserva naturale statale «Gola del Furlo» affidata all'amministrazione provinciale di Pesaro e Urbino la relativa gestione;

   con convenzione stipulata in data 8 ottobre 2001, approvata con decreto del Ministero dell'ambiente dell'11 ottobre 2001, è stato disciplinato l'affidamento in gestione della riserva naturale statale «Gola del Furlo» all'amministrazione provinciale di Pesaro e Urbino, in applicazione di quanto disposto dall'articolo 4, comma 1, del decreto ministeriale 6 febbraio 2001;

   la provincia di Pesaro e Urbino, in qualità di organismo di gestione, ha inteso potenziare la sorveglianza sul territorio della riserva, esercitata dai carabinieri e dagli appartenenti alle forze di polizia, con la qualifica di agente o di ufficiale di polizia giudiziaria, affidando compiti di supporto a guardie volontarie;

   a tale scopo sono state stipulate nel 2009 convenzioni con le onlus Foxes e Raggruppamento guardie giurate ecologiche volontarie della provincia di Pesaro e Urbino, aderente alla Feder G.E.V. nazionale;

   con determinazione n. 2043 del 23 dicembre 2016 la provincia ha invece deciso di affidare lo stesso compito all'Asso G.E.V. onlus guardie ecologiche volontarie, costola del succitato raggruppamento guardie giurate ecologiche volontarie della provincia di Pesaro e Urbino, stanziando un contributo finanziario di 12.100 euro;

   non risulta all'interrogante che l'Asso G.E.V. onlus sia in possesso dei requisiti previsti dall'articolo 27 della legge n. 157 del 1992 e in particolare che figuri tra le associazioni riconosciute dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, mentre nell'elenco compare FederGev, alla quale aderisce il Raggruppamento guardie giurate ecologiche volontarie della provincia di Pesaro e Urbino cui la convenzione non è stata rinnovata e che pertanto si trova in gravi difficoltà economiche ed operative –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti sopraindicati, se l'associazione Asso G.E.V. onlus rientri tra quelle riconosciute dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e, in caso contrario, quali iniziative intenda adottare, nell'ambito delle proprie competenze, per assicurare il rispetto della normativa vigente.
(4-17097)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  Secondo quanto riferito dalla provincia di Pesaro e Urbino, l'amministrazione provinciale è titolare, sulla base della normativa della regione Marche disciplinante il servizio volontario di vigilanza ecologica (legge regionale n. 29 del 1992 e relativo regolamento attuativo n. 1/2010), tra le altre, delle seguenti competenze:

   procedere alla nomina (da sottoporre all'approvazione prefettizia) delle guardie ecologiche volontarie nei confronti di chi ha superato i relativi corsi di formazione;

   redigere i programmi per lo svolgimento delle attività delle guardie ecologiche volontarie, nel rispetto del regolamento regionale;

   organizzare i corsi di formazione professionale e di aggiornamento;

   istituire e provvedere all'aggiornamento di un elenco delle guardie ecologiche volontarie.

  In particolare, sul piano operativo, le guardie ecologiche volontarie (GEV) sono organizzate in gruppi provinciali – dotati di un proprio regolamento di servizio – che «costituiscono lo strumento attraverso il quale le province, nonché gli enti e organismi pubblici titolari di competente in materia di tutela del patrimonio naturale e dell'ambiente, intrattengono i rapporti con le guardie ecologiche volontarie» (articolo 3 legge regionale n. 29 del 1992).
  La provincia ha, inoltre, evidenziato che il predetto regolamento regionale n. 1/2010 ha specificato i requisiti di natura organizzativa che i gruppi provinciali delle Gev devono soddisfare per potersi convenzionare con la Provincia e con gli altri enti che intendano fruire del servizio di vigilanza ecologica volontaria. In particolare l'articolo 2, comma 1, stabilisce che «in ogni provincia le Gev in possesso della nomina prevista dall'articolo 7 della legge operano in via esclusiva mediante l'organizzazione in gruppi dotati dei seguenti requisiti:

   a) iscrizione nel registro regionale delle organizzazioni di volontariato di cui all'articolo 3 della legge regionale 13 aprile 1995, n. 48 (disciplina del volontariato);

   b) dotazione di un regolamento di servizio approvato dall'autorità di pubblica sicurezza ai sensi dell'articolo 2 del regio decreto-legge 26 settembre 1935, n. 1952 (disciplina del servigio delle guardie particolari giurate);

   c) numero minimo di venticinque Gev;

   d) disponibilità ad espletare l'attività di vigilanza programmata per una media mensile per ciascuna Gev non inferiore alle otto ore».

  Sempre il regolamento regionale, all'articolo 4, commi 1 e 2, precisa quanto segue:

  «1. Le province stipulano con i gruppi di cui all'articolo 2 apposite convenzioni, che riguardano in particolare:

   a) le modalità di svolgimento dell'attività, sulla base del programma di cui all'articolo 6, comma 1, lettera b), della legge;

   b) la tutela assicurativa e legale;

   c) la dotazione dei mezzi e delle attrezzature da destinare al servizio;

   d) le attività di aggiornamento formativo.

  2. La Provincia, nell'ambito dell'attività delle Gev di cui al comma 1, lettera a), può prevedere che i gruppi provinciali espletino l'attività medesima, mediante convenzioni o accordi, a favore di altri enti titolari di competenze in materia di tutela del patrimonio naturale e ambientale. In tal caso la Provincia assicura il raccordo delle attività con quelle programmate».
  Alla richiamata normativa regionale, disciplinante l'organizzazione del servizio di vigilanza ecologica, fa esplicito rinvio anche la legge statale n. 157 del 1992, di disciplina dell'attività venatoria, laddove, all'art. 27, comma 2, ultimo periodo, precisa che la vigilanza venatoria «è affidata altresì alle guardie ecologiche e zoofile riconosciute da leggi regionali».
  Pertanto alla luce del predetto quadro normativo, l'amministrazione provinciale, quale ente gestore della riserva statale del Furlo, ha fatto presente di aver affidato, nell'ambito della riserva medesima, mediante convenzione, il servizio di vigilanza ecologica come definito all'articolo 2 della legge regionale n. 29 del 1992, ai gruppi provinciali in possesso dei requisiti prescritti dal succitato articolo 4 del regolamento regionale n. 1 del 2010. Al riguardo, l'amministrazione provinciale di Pesaro e Urbino rileva altresì che, sulla base dell'elenco delle guardie ecologiche in servizio tenuto dalla stessa amministrazione, ad oggi, solo il gruppo «Asso G.e.v.» con n. 33 guardie volontarie soddisfa il requisito numerico di cui alla lettera
c), comma 1, dell'articolo 2 del regolamento, mentre tutti gli altri gruppi provinciali, compreso il raggruppamento Gev aderente alla Feder Gev, hanno ciascuno una dotazione di guardie ecologiche volontarie non superiore alla decina di unità.
  Alla luce delle informazioni esposte, si rassicura comunque che, per quanto di competenza, il Ministero dell'ambiente continuerà a svolgere un'attività di monitoraggio, nonché a tenersi informato anche attraverso gli altri enti istituzionali competenti.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   con la legge di bilancio – approvata nel mese di dicembre 2016 – è stata introdotta su iniziativa del Ministro interrogato una disposizione per combattere il fenomeno del secondary ticketing;

   la norma prevede «sanzioni amministrative pecuniarie, da 5.000 euro a 180.000 euro per ciascuna violazione accertata» e, «nei casi più gravi», «l'oscuramento del sito Web attraverso il quale la violazione è stata posta in essere», pur lasciando spazio a «qualsiasi altra forma di collocamento di titoli di accesso ad attività di spettacolo effettuata in nodo occasionale, purché senza fini commerciali»;

   il provvedimento si ritiene fondamentale per il settore della musica, al fine di contrastare in modo efficace il fenomeno inaccettabile del bagarinaggio online;

   tuttavia, perché il provvedimento diventi effettivo, sarà necessario attendere il decreto attuativo che stabilirà le regole tecniche –:

   se il Governo non ritenga urgente – soprattutto alla luce di casi balzati alla cronaca negli ultimi mesi, in cui i biglietti dei concerti erano esauriti in pochi minuti per poi riapparire su mercati secondari a prezzi gonfiati – assumere iniziative per la tempestiva adozione del decreto attuativo volto a disciplinare il mercato di vendita dei biglietti per spettacoli e concerti per l'efficienza e la sicurezza informatica delle vendite stesse a vantaggio e a tutela degli utenti.
(4-15493)

  Risposta. — Si riscontra l'atto di sindacato ispettivo in esame, nel quale l'interrogante chiede quali iniziative urgenti questo Ministero, per quanto di competenza, intende adottare per arginare definitivamente il fenomeno del secondary ticketing, allo scopo di tutelare i consumatori e tutti gli stakeholder dell'industria dello spettacolo.
  Il fenomeno del
secondary ticketing ha assunto livelli di espansione preoccupanti, alimentando di fatto un mercato parallelo non autorizzato e dannoso sia per gli artisti sia per i consumatori a causa della pesante lievitazione dei prezzi di vendita dei biglietti rispetto ai canali ufficiali.
  Proprio per contrastare tale fenomeno, definito dal Ministro Franceschini «intollerabile», alla legge di bilancio 2017, è stato presentato uno specifico emendamento recepito nella legge n. 232 del 2916, articolo 1, commi 545 e 546.
  Le predette disposizioni normative, sono volte a contrastare la vendita di titoli di accesso ad attività di spettacolo effettuata da soggetti diversi dai titolari dei sistemi di emissione dei biglietti.
  L'adozione delle specifiche e delle regole tecniche volte ad aumentare l'efficacia e la sicurezza informatica delle vendite dei titoli di accesso mediante sistemi di biglietterie automatizzati, è demandata ad un decreto interministeriale (Ministero dell'economia e delle finanze, Ministero della giustizia e Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo), che ad oggi è in fase di definizione.
  In particolare, al fine di contrastare l'elusione e l'evasione fiscale, nonché di garantire la tutela dei consumatori, si dispone che la vendita, o qualsiasi altra forma di collocamento, di titoli di accesso ad attività di spettacolo effettuata da soggetti diversi dai «titolari, anche sulla base di apposito contratto o convenzione, dei sistemi per la loro emissione», è punita, salvo che il fatto non costituisca reato, con l'inibizione della condotta e con una sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 a 180.000 euro.
  In caso di utilizzo delle reti di comunicazione elettronica, è prevista, inoltre, la rimozione dei contenuti o, nei casi più gravi, l'oscuramento del sito internet attraverso il quale la violazione è stata posta in essere, fatte salve le azioni risarcitorie.
  Non sono indicati esplicitamente i parametri di gravità delle condotte in quanto i compiti di accertamento e intervento spettano all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom) e alle altre autorità competenti (quale potrebbe essere, ad esempio, la polizia postale), che agiscono d'ufficio o su segnalazione degli interessati.
  Al riguardo, si ricorda, inoltre, che il decreto legislativo n. 70 del 2012, di recepimento della direttiva 2009/140/CE e della direttiva 2009/136/CE, modificando il codice delle comunicazioni elettroniche (decreto legislativo 259/2003), ha esplicitato il ruolo dell'Agcom come autorità nazionale di regolamentazione per le comunicazioni elettroniche.
  Per quanto concerne, più specificamente, la tutela inibitoria da parte dell'Agcom, nel caso in esame, questa si concreta sostanzialmente, ai sensi del decreto legislativo n. 70 del 2003, nell'imporre all’
Internet provider di rimuovere i contenuti relativi alla vendita abusiva dei biglietti o di utilizzare gli accorgimenti tecnici volti ad impedire l'accesso al sito (o alla pagina web).
  Va, inoltre, ricordato che lo stesso decreto legislativo n. 70 del 2003 considera il
provider civilmente responsabile di tali contenuti nei casi in cui, richiesto dall'autorità amministrativa di vigilanza (o dall'autorità giudiziaria), non ha agito prontamente per impedire l'accesso a detto contenuto, ovvero se, avendo avuto conoscenza del carattere illecito o pregiudizievole per un terzo del contenuto di un servizio al quale assicura l'accesso, non ha provveduto ad informarne l'autorità competente.
  Si evidenzia, infine, che il giudice del tribunale di Roma — IX sezione civile, con ordinanza n. 3568 dell'8 giugno 2017 (promosso dalla Siae con l'intervento
ad adiuvandum di Federconsumatori e Codacons), ha inibito a Live nation srl, Seatware Ltd, Viagogo AG l'ulteriore vendita, diretta o indiretta, sul mercato secondario dei biglietti dei concerti degli U2 del 15 e 16 luglio 2017 fissando una penale di euro 2000,00 per ogni ulteriore biglietto venduto in tal modo ed ha condannato le resistenti a rifondere le spese di giudizio.
  Il tribunale ha riconosciuto immediata efficacia a quanto previsto dall'emendamento alla legge di bilancio 2017, si ricorda, fortemente voluto dal Ministro Franceschini, che ha introdotto appunto la possibilità di inibire la vendita dei biglietti e di infliggere multe a chi assume comportamenti illeciti, nonché, ove la condotta sia effettuata attraverso le reti di comunicazione elettronica, con la rimozione dei contenuti, o, nei casi più gravi, con l'oscuramento del sito
web attraverso il quale la violazione è stata posta in essere, fatte salve le azioni risarcitorie.
  Alla luce di quanto sopra esposto, questo Ministero, per quanto di competenza, non può che esprimere la propria soddisfazione per avere introdotto un intervento legislativo per contrastare il cosiddetto fenomeno del bagarinaggio
online a tutela delle categorie artistiche, nonché per garantire ed assicurare il necessario supporto alle istituzioni direttamente coinvolte nel contrasto a tale fenomeno che causa, tra l'altro, una evasione fiscale totale, data la collocazione prevalentemente in sedi estere compiacenti delle piattaforme online di rivendita secondaria.
Il Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali e il turismo: Antimo Cesaro.


   BRIGNONE, CIVATI e ANDREA MAESTRI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:

   la cronaca della regione Marche, il 26 settembre 2017, riportava la notizia che sabato 23 settembre, in zona Montacuto (Ancona), un cacciatore nell'ambito dell'esercizio della caccia sparava un colpo di fucile per colpire un uccello, ma il piombino feriva alla schiena una ragazza che era nel giardino di casa;

   il cacciatore, esercitava l'attività venatoria presumibilmente in caccia vagante nell'ambito territoriale di caccia consentito, ma evidentemente le distanze di sicurezza erano molto ridotte;

   la ragazza ferita era nel giardino della propria abitazione quando sentiva un atroce dolore alla schiena e subito dopo vedeva una pioggia di pallini da caccia che fortunatamente non sono riusciti a colpire né lei né altre persone, compresi i bambini residenti nel medesimo complesso abitativo;

   spaventata, la ragazza si affacciava alla rete che delimitava il giardino per capire di cosa si trattasse e notava un cacciatore con una preda tra le mani e un segugio al seguito;

   tuttavia, va segnalato che in base all'articolo 21 della legge n. 157 del 1992, la caccia è vietata a meno di 100 metri da case, stabili e fabbricati, incluse situazioni che prevedono la presenza umana;

   con l'apertura della stagione venatoria, ogni anno si assiste a moltissimi incidenti di caccia, molti dei quali con feriti gravi o decessi;

   solo nella scorsa stagione, dalla fine di agosto del 2016 (data di apertura della caccia nelle prime regioni) a fine gennaio del 2017, sono stati trentuno i cacciatori morti, di cui quattro per colpi partiti accidentalmente dal fucile;

   quarantadue invece sono i cacciatori feriti, di cui diciannove colpiti da fucili e sei le persone ferite, perché scambiate per prede dai cacciatori;

   oltre alle vittime umane, vanno ricordati i notevoli costi ambientali legati alla caccia: oltre 100 milioni di animali uccisi durante ogni stagione venatoria, 17 mila tonnellate di piombo, 510 tonnellate di antimonio, 85 di arsenico rilasciate dalle munizioni e 300 milioni di cartucce che producono 6 mila tonnellate di plastica disperse nell'ambiente (dati dell'Ispra);

   secondo gli interroganti, la legge n. 157 del 1992, impone nella stagione venatoria inaccettabili limitazioni alla libertà del cittadino, che per tutelare la propria incolumità deve limitarsi a stare nella propria abitazione, poiché altrimenti potrebbe trovarsi in una condizione di rischio –:

   se il Governo sia a conoscenza dei fatti narrati in premessa;

   poiché l'articolo 21 della legge n. 15 del 1992 prevede la tutela, limitata alla pura e semplice ottica risarcitoria degli articoli 12 e 25, se il Governo non ritenga di dover assumere iniziative volte a garantire la sicurezza umana nell'ambito dell'esercizio venatorio, in particolar modo in riferimento a quanto disposto dal citato articolo 21, comma 1, lettera a), e), f), g), che stabilisce i parametri a cui i cacciatori devono attenersi;

   considerato che con l'esercizio venatorio spesso viene meno la tutela dell'incolumità fisica delle persone – poiché la sola tutela prevista dalla normativa vigente è quella risarcitoria – violando quindi il diritto alla sicurezza, se il Governo intenda adottare iniziative che garantiscano la prevenzione al fine di evitare altri episodi come quello descritto in premessa.
(4-17943)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  La legge 11 febbraio 1992, n. 157 stabilisce le distanze di sicurezza relative all'esplosione di colpi con armi da fuoco sia ad anima liscia che ad anima rigata, in prossimità di centri abitati, vie di comunicazioni, ferrovie e strutture adibite a posto di lavoro, e prevede altresì sanzioni penali per tutti coloro che non rispettano tali distanze di sicurezza.
  Inoltre, il Testo unico sulle leggi di pubblica sicurezza (Tulps) prevede una serie di divieti e relative sanzioni penali ed amministrative per i trasgressori in materia di armi, munizioni, esplosivi, custodia delle armi stesse e norme di sicurezza.
  Come evidenziato, la materia è strettamente formata al fine di scongiurare accadimenti come quelli citati.
  D'altra parte, questi divieti sono stati introdotti nell'ambito di una pratica, l'esercizio venatorio, anch'esso regolato per legge.
  In ogni caso, si evidenzia che questo Ministero monitora costantemente l'impatto regolatorio delle normative di settore, valutando il raggiungimento delle finalità degli atti normativi, nonché gli effetti prodotti su cittadini, imprese e pubbliche amministrazioni.
  L'analisi richiede il ricorso alla consultazione dei diversi portatori di interessi, in modo da raccogliere dati e opinioni da coloro sui quali la normativa in esame ha prodotto i principali effetti.
  Lo scopo è quello di ottenere, a distanza di un certo periodo di tempo dall'introduzione di una norma, informazioni sulla sua efficacia, nonché sull'impatto concretamente prodotto sui destinatari, anche al fine di superare le criticità operative che dovessero emergere e valutare possibili revisioni della disciplina in vigore.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, si rassicura che il Ministero continuerà a tenere alto il livello di attenzione sulla questione.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   BRIGNONE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:

   il giorno 8 ottobre 2017, un uomo di cinquantanove anni di Vicolungo è stato colpito a morte dal fucile di un cacciatore;

   secondo quanto ricostruito dalle forze dell'ordine, intervenute sul posto, la vittima era in compagnia della moglie per raccogliere castagne tra le campagne di Cavaglio e Ghemme (To), quando un colpo di fucile lo colpiva;

   la moglie allertava immediatamente il 118, che intervenuto sul posto non ha potuto che costatare il decesso dell'uomo;

   parrebbe che il cacciatore abbia sparato credendo di trovarsi di fronte a un cinghiale;

   i cacciatori, circa una decina, fermati dalle forze dell'Ordine dopo il tragico evento, hanno negato di aver sparato, presupponendo che l'autore del gesto si sia allontanato –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti narrati in premessa;

   considerato che dall'inizio della stagione venatoria (un mese circa) sono cinque le persone decedute per incidenti di caccia, sette i feriti gravi e nella sola giornata di ferma domenica 8 ottobre 2017, i morti ammazzati a fucilate dai cacciatori sono stati due, se il Governo non ritenga di assumere urgenti iniziative al fine di evitare ulteriori perdite di vite umane;

   se non si ritenga necessario assumere iniziative normative urgenti per la immediata sospensione dell'attività venatoria su tutto il territorio italiano al fine di fermare il massacro di milioni di animali ed evitare che possano perdere la vita ed essere ferite gravemente così tante persone.
(4-18100)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa al tragico evento accaduto tra le campagne di Cavaglio e Ghemme (Torino) dovuto all'attività venatoria e all'eventuale sospensione di tale attività su tutto il territorio italiano, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente Direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  La normativa vigente (articolo 21 della legge n. 157 del 1992) stabilisce le distanze di sicurezza relative all'esplosione di colpi con armi da fuoco sia esse ad anima liscia che ad anima rigata, in prossimità di centri abitati, vie di comunicazione, ferrovie e strutture adibite a posto di lavoro. Si prevedono altresì sanzioni penali per tutti coloro che non rispettano tali distanze di sicurezza.
  Inoltre, il Tulps (Testo unico sulle leggi di pubblica sicurezza) prevede una serie di divieti e relative sanzioni penali ed amministrative per i trasgressori in materia di armi, munizioni, esplosivi, custodia delle armi stesse e norme di sicurezza.
  Pertanto, come sopra evidenziato, la materia è strettamente normata, proprio al fine di scongiurare tragici accadimenti come quelli citati dall'interrogante.
  Si ricorda, inoltre, che le richiamate prescrizioni sono state introdotte in relazione ad una pratica, l'esercizio venatorio, anch'esso disciplinato da norme di legge finalizzate alla protezione degli animali selvatici attraverso l'introduzione di regole generali per lo svolgimento dell'attività venatoria.
  Ad ogni modo, si rassicura che questo Ministero monitora costantemente l'impatto regolatorio delle normative di settore, anche al fine di superare le criticità operative che dovessero emergere e valutare possibili revisioni della disciplina, valutando il raggiungimento delle finalità degli atti normativi, nonché gli effetti prodotti su cittadini, imprese e pubbliche amministrazioni.
  L'analisi richiede il ricorso alla consultazione dei diversi portatori di interessi, in modo da raccogliere dati e opinioni da coloro sui quali la normativa in esame ha prodotto i principali effetti.
  Lo scopo è quello di ottenere, a distanza di un certo periodo di tempo dall'introduzione di una norma, informazioni sulla sua efficacia, nonché sull'impatto concretamente prodotto sui suoi destinatari.
  Alla luce delle informazioni esposte, per quanto di competenza, il Ministero dell'ambiente proseguirà nella sua azione costante di monitoraggio senza ridurre in alcun modo lo stato di attenzione su tale importante questione.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   BRUNO BOSSIO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   la situazione del trasporto ferroviario in Calabria continua ad essere caratterizzata da una seria carenza strutturale e dal continuo taglio di servizi;

   come denunciato recentemente dalle organizzazioni sindacali FILT CGIL, FIT CISL, UIL Trasporti, UGL Trasporti, il territorio calabrese è stato condannato, di fatto, all'isolamento ferroviario da una politica di tagli e di mancata «previsione di investimenti per il potenziamento delle infrastrutture, di rinnovamento del materiale rotabile» come, del resto, si evince dallo stesso piano industriale 2014/2017 presentato da Ferrovie dello Stato italiane;

   a tutto ciò si aggiungano i problemi derivanti da un mancato piano di assunzioni per favorire il ricambio generazionale del personale operante nella regione Calabria e la mancanza di potere decisionale dei dirigenti locali in conseguenza dell'accentramento delle scelte strategiche aziendali di Ferrovie dello Stato italiane e Trenitalia;

   di recente, ad esempio, come denunciato dalle stesse, organizzazioni sindacali, Trenitalia ha, secondo l'interrogante «arbitrariamente», inviato in trasferta il personale del settore cargo Calabria presso impianti di altre regioni, cosicché questi è diventato «Il serbatoio da cui attingere risorse per colmare le esigenze del territorio del Centro Nord», operazione che sembra delineare una vera e propria strategia di «dismissione completa del trasporto merci su ferro da e per la Calabria»;

   tutto ciò avviene nonostante la presenza del porto di Gioia Tauro che, al contrario, richiederebbe un potenziamento del sistema del trasporto merci su ferro;

   sulla stampa locale e nazionale oltre che sui social network non si contano più le segnalazioni di utenti che, nonostante l'apertura della stagione estiva, denunciano ritardi e disservizi su tutta le reti ferroviaria calabrese ed in particolare su quella ionica, nonché la vetustà delle carrozze e le loro condizioni igieniche indegne di un Paese civile;

   a tutto ciò si aggiunga la mancanza di una seria politica di garanzia della sicurezza del personale viaggiante e degli stessi passeggeri tanto che, nonostante i recenti episodi di violenza emersi anch'essi con grande clamore sugli organi di stampa, nessun treno calabrese è stato inserito nel programma di convogli da scortare con personale POLFER;

   in Trenitalia e Ferrovie dello Stato italiano, nonostante siano sostenute in gran parte da denaro pubblico, continuano a prevalere secondo l'interrogante di strategie «aziendaliste» che, nei fatti, tagliano servizi nelle aree non sviluppate e, di conseguenza, contribuiscono a mantenere tali aree in una condizione di sotto-sviluppo;

   tutto quanto sopra esposto mette a serio rischio lo stesso diritto alla mobilità di persone e merci sul territorio calabrese –:

   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda assumere per richiamare Trenitalia e Ferrovie dello Stato italiano, ad una politica di investimenti che inverta la tendenza in atto e le riporti alla loro mission fondamentale di aziende che devono garantire il diritto alla mobilità di merci e persone su tutto il territorio nazionale e, soprattutto, nelle aree meno sviluppate, come la Calabria.
(4-09905)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta sulla base delle informazioni pervenute dalla direzione generale per il trasporto e le infrastrutture ferroviarie di questo Ministero e dalla società rete ferroviaria italiana (RFI) – gruppo ferrovie dello Stato italiane.
  In merito agli aspetti concernenti per il potenziamento delle infrastrutture ferroviarie, giova ricordare che la rete ferroviaria calabra di livello nazionale (rete RFI) è costituita da circa 852 chilometri di linee così classificate:

   37 per cento di linee fondamentali;

   63 per cento di linee complementari.

  Sono 113 le stazioni attive sul territorio in cui si effettua servizio viaggiatori.
  Dette linee, analogamente a tutte le altre della rete nazionale, sono attrezzate con tecnologia di protezione per la marcia in sicurezza del treno.
  Gli indici di densità di rete rispetto all'area servita e rispetto alla popolazione sono piuttosto elevati (se confrontati con quelli di altre regioni) e anche l'accessibilità globale della rete (calcolata come il numero di stazioni per l'area d'influenza di una stazione rapportata alla superficie della regione) è tra le più alte d'Italia.
  Le vere problematiche della rete della regionale calabra riguardano, quindi, non tanto la sua estensione e la sua accessibilità, ma, spesso, l'arretratezza tecnologica, la vetustà degli impianti (specie lungo la fascia jonica) e lo sviluppo di sinergie con le altre modalità di trasporto.
  È per questo che negli ultimi anni, grazie alla «cura del ferro» ed agli ingenti finanziamenti posti in campo dal Governo, si è intervenuto sugli interventi di potenziamento e di velocizzazione, sui collegamenti con i porti, gli aeroporti e gli scali intermodali, fermo restando la priorità assoluta costituita dalla necessità di garantire la sicurezza delle persone e delle merci trasportate.
  La linea ferroviaria jonica, completata nel 1875, attendeva da anni una grande opera di ammodernamento finalizzata alla velocizzazione e al potenziamento di un'area del Paese in assoluta difficoltà in termini di collegamenti ed infrastrutture. Ad oggi, infatti, l'elettrificazione riguarda solo i tratti da Reggio Calabria a Melito Porto Salvo (RC) e da Sibari (CS) a Taranto, mentre restano il binario unico, le gallerie e i viadotti che caratterizzano tutto il tracciato realizzato nella prima fase post-unità d'Italia.
  In questa direzione e con l'obiettivo della velocizzazione e della contestuale messa in sicurezza della linea è stato sottoscritto il recente protocollo d'intesa tra questo Ministero, la regione Calabria e Rfi che prevede, in quattro anni di lavoro, con un investimento di oltre 450 milioni di euro interventi finalizzati a velocizzare la linea ferroviaria jonica attraverso il completamento dell'istituzione del rango di velocità C (tema velocizzazione).
  Nel progetto sono previsti, inoltre, interventi diretti alla messa in sicurezza della linea (tema sicurezza) come l'eliminazione di alcuni passaggi a livello per migliorare gli standard prestazionali e qualitativi dei servizi di trasporto su ferro, il rinnovo degli scambi e dei binari, nei punti della rete in cui è necessario, il prolungamento di alcuni sottopassi e la costruzione di nuovi.
  I lavori sono iniziati a giugno nel tratto Catanzaro Lido e Sibari e si inseriscono nel sistema Catanzaro Lido-Lamezia che consentirà di connettere la linea ferroviaria jonica anche all'aeroporto di Lamezia dove dovrà arrivare la stazione (tema intermodalità).
  In generale, per quanto riguarda gli investimenti in ambito ferroviario, le nuove risorse allocate per gli interventi nella regione Calabria con il nuovo contratto di programma (CdP) – parte Investimenti 2017-2021 tra questo Ministero e Rfi – esaminato favorevolmente dal CIPE nella riunione dello scorso 7 agosto e attualmente in corso di approvazione ammontano a circa 460 milioni di euro.
  In particolare, con 397 milioni di euro (di cui 307 a valere sui fondi FSC), è stato finanziato l'intervento di Adeguamento e velocizzazione linea ferroviaria jonica tratta Sibari-Melito Porto Salvo. Come detto, l'intervento consiste nella velocizzazione della linea ferroviaria jonica che rientra nella competenza di Rfi, nella tratta Sibari-Melito P.S., attraverso l'istituzione del rango di velocità C, la soppressione o la protezione di alcuni passaggi a livello presenti in punti particolarmente critici, il rinnovo con velocizzazione dei deviatoi (con particolare riguardo alle varie tratte: Rocca Imperiale-Sibari, Sibari-Corigliano, Corigliano-Crotone, Crotone-Cutro, Cutro-Catanzaro Lido, Catanzaro Lido-Locri, Locri-Melito P.S.), l'installazione di barriere antirumore nei punti di maggiore impatto sulle aree a più forte antropizzazione in conseguenza dell'aumento della velocità, il rinnovo di non meno di 280 chilometri di binario. Son previsti, inoltre, i prolungamenti di alcuni sottopassi di stazione esistenti e le costruzioni di nuovi, per rendere possibile l'effettuazione di movimenti contemporanei in alcune stazioni e facilitare l'accesso al mare, nei punti in cui maggiore è l'impatto dell'infrastruttura ferroviaria in termini di «cesoia» dei centri abitati, il ripristino del 4° Binario della Stazione di Melito P.S., la riqualificazione delle stazioni, il raddoppio in affiancamento, ove necessario, per assicurare lo sviluppo dell'offerta di trasporto, e l'elettrificazione, in coerenza con l'evoluzione del modello di offerta.
  Ulteriori 20 milioni di euro (che completano la copertura del costo complessivo pari a 60 milioni) sono destinati ad interventi di upgrading e potenziamento tecnologico dell'itinerario Salerno-Reggio Calabria e linee afferenti. Il programma comprende interventi di upgrading tecnologico ed infrastrutturale dell'asse Battipaglia-Reggio Calabria per migliorare la regolarità della circolazione, ottimizzando lo sfruttamento della capacità e conseguire, in sinergia con altri interventi in corso, significativi recuperi sui tempi di percorrenza. Gli interventi prioritari riguardano la velocizzazione nelle tratte Campora-Lamezia Rosarno e Lamezia-Catanzaro-Sibari.
  Le principali realizzazioni riguardano: modifiche agli impianti tecnologici, con
upgrade del sistema di distanziamento per implementazione del quinto codice sul blocco automatico a correnti codificate (BAcc da 4 a 5 codici) nella tratta Campora S. Giovanni-Lamezia T.-Rosarno) rettifica del tracciato di alcune curve ed interventi tecnologici per l'aumento della velocità di linea con rango P nella tratta Campora-Rosarno: istituzione rango C sulle tratte Sibari-Crotone-Catanzaro L. e Catanzaro L.-Lamezia T. C.le.
  Sono in corso i lavori sulle tratte Campora S. Giovanni-Lamezia T.-Rosarno, Sibari-Crotone-Catanzaro L. e Catanzaro L.-Lamezia T. C.le. È in corso la progettazione definitiva degli interventi sulla tratta Campora-Rosarno, incluso lo Studio di impatto ambientale richiesto dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.
  Nuove risorse, per complessivi 50 milioni di euro, sono destinate agli interventi di adeguamento prestazionale del corridoio TEN-T Scandinavia-Mediterraneo (porti Adriatico e Mezzogiorno). Tali risorse sono destinate alla realizzazione di opere prioritarie a completamento della prima fase del programma di adeguamento prestazionale merci, ed in particolare per l'adeguamento a modulo della linea Adriatica e per l'adeguamento a massa assiale, modulo e sagoma dell'itinerario tra Bari/Taranto e Gioia Tauro con tratta antenna verso la Basilicata. È stata avviata a realizzazione una 1ª fase di interventi di adeguamento a modulo del corridoio. Sono in fase di progettazione gli interventi di adeguamento delle sagome, che interesseranno prioritariamente le tratte tra Bari e Gioia Tauro.
  Nonostante i consistenti investimenti realizzati, l'attuale linea tirrenica ferroviaria soffre, però, della mancanza dell'alta velocità ferroviaria, una condizione che blocca gran parte del traffico passeggeri e rende più lunga la durata dei viaggi da e per la Calabria. In attesa di colmare anche questo gap infrastrutturale, con il nuovo CdP — parte Investimenti 2017-2021 sono stati stanziati 6 milioni di euro per realizzare lo studio di fattibilità di un progetto che consenta un tempo di percorrenza tra Roma e Reggio Calabria di circa tre ore e di sei ore da Milano.
  Le nuove risorse allocate con il nuovo CdP-I 2017-2021 si aggiungono a quelle già disponibili nell'aggiornamento 2016 al CdP-I 2012-2016 che, per gli interventi in regione Calabria, assommano a oltre 1,2 miliardi di euro.
  I principali interventi ferroviari già finanziati nel precedente Aggiornamento 2016 sono i seguenti.
  Interventi di adeguamento tecnologico e infrastrutturale per l'incremento delle prestazioni e dell'affidabilità della linea Battipaglia-Regio Calabria (finanziamento di 230 milioni di euro per la completa realizzazione dell'intervento).
  Gli interventi, articolati in 14 sottoprogetti, interessano oltre la regione Calabria anche la Basilicata e la Campania. I sottoprogetti relativi alla Calabria sono 10, per un costo complessivo di 200 milioni di euro e consistono nell'omogeneizzazione dell'attrezzaggio tecnologico della linea, adeguamento a sagoma PC 45 di alcune gallerie, messa a Modulo del PRG di alcune stazioni con velocizzazione degli itinerari, realizzazione di una nuova sottostazione elettrica (Sse) a Vibo-Pizzo con annessa linea primaria di alimentazione, riclassamento a 150 kv della SSE di Sambiase e del Posto di trasformazione AT di Feroleto, rifacimento galleria Coreca, tra Amantea e Campora S.G., realizzazione di un nuovo ponte sul torrente Petrace fra le stazioni di Gioia Tauro e Palmi, realizzazione Apparato centrale computerizzato (ACC) e adeguamento del Piano regolatore generale (Prg) della stazione di Lamezia Terme, completamento del sistema di gestione centralizzata della circolazione dell'intero compartimento presso la sala circolazione di Reggio Calabria.
  Quasi tutti gli interventi sono già esercizio, mentre sono in realizzazione il PRG Gioia Tauro, la ricostruzione del ponte sul fiume Petrace, l'ACC e PRG Lamezia T. e interventi di completamento del Dirigente centrale operativo (DCO) unico di Reggio Calabria-Aletaponto-Sibari-Paola (Bivio S. Antonello) (finanziamento di 155 milioni di euro per la «Fase prioritaria»).
  Il progetto si inserisce nell'ambito degli interventi per il potenziamento del collegamento fra il porto Gioia Tauro ed il corridoio Scandinavia-Mediterraneo versante adriatico. Il Progetto Metaponto-Sibari-Bivio S. Antonello prevede, come fase prioritaria, la realizzazione delle opere suddivise in quattro lotti indipendenti:

   lotto 1): Rinnovo linea trazione elettrica (TE). Potenziamento linea di contatto da 320 a 440 mmq da Castiglione Cosentino a Trebisacce, con esclusione delle tratte interessate dalle varianti di tracciato e semplificazione impianti a Spezzano Albanese, Mongrassano e Montalto;

   lotto 2): Adeguamenti a Prg stazioni, con messa a modulo merci a 750 metri della stazione di Amendolara, velocizzazione itinerari a 60 chilometri orari, realizzazione sottopassaggio pedonale e marciapiede di servizio h55 e L=150/250 metri, semplificazione impianti, stazioni di Amendolara, Rocca Imperiale e San Marco Roggiano;

   lotto 3): Interventi nelle località Cassano, Tarsia e Torano. Realizzazione di rettifiche di tracciato (circa 10,5 chilometri) per innalzamento velocità a 150 chilometri orari a Cassano, Torano e Tarsia con rifacimento della sede ferroviaria: corpo stradale, TE, armamento, opere di regimentazione idraulica, modifiche ed adeguamenti degli impianti di sicurezza e telecomunicazioni dell'intera tratta. Nuova travata metallica di 5 campate per complessivi 260 metri (sul torrente Esaro Grondo realizzata in corrispondenza delle rettifiche di tracciato previste nella zona di Tarsia). Soppressione PL di Torano con realizzazione di viabilità alternativa. Messa a Modulo merci a 750 metri della stazione di Torano con realizzazione di sottopassaggio pedonale e marciapiede di servizio h55 e L=150/250 metri. Trasformazione di Tarsia in fermata con realizzazione marciapiede di servizio h55 e L=150/250 metri. Soppressione dell'Impianto di Cassano. Spostamento di due passaggi a livello a seguito degli interventi di rettifica curve;

   lotto 4) Varianti di tracciato. Soppressione passaggi a livello e realizzazione di viabilità alternativa in prossimità della stazione di Acri con soppressione della stazione e rettifiche di tracciato per circa 3 chilometri per innalzamento velocità a 150 chilometri orari.

  Risultano completati i lavori dei lotti 1 e 3 mentre sono in corso di ultimazione quelle dei lotti 2 e 4.
  Velocizzazione tirrenica sud (finanziamento di 100 milioni di euro completamente finanziati.
  Le opere in corso consistono nell’upgrade dei sistemi di segnalamento con tecnologie innovativi sulle tratte Maratea-Scalea, modifiche Sistema controllo marcia treno (SCMT) sull'intera tratta Battipaglia-Reggio Calabria, inserimento in Apparato centrale computerizzato multistazione (ACCM) delle stazioni di Praja, Scalea, Nocera T., S. Pietro M., Eccellente, Vibo e Rosarno.
  Per quanto attiene, poi, agli aspetti inerenti il servizio ferroviario, fermo restando la competenza regionale per il TPL, si precisa che con il Contratto di servizio a media e lunga percorrenza 2017-2026, relativo ai servizi di trasporto ferroviario passeggeri rientranti nel perimetro del Servizio universale, questo Ministero ha, da un lato, mantenuto tutti i servizi IC e ICN da/per la regione Calabria, intensificando anche gli sforzi per ottenere nuovi collegamenti come l'istituzione della nuova coppia di IC RC-TA a metà febbraio, e dall'altro ha proceduto all'avvio del completo rinnovamento del materiale rotabile-utilizzato in Contratto di servizio media e lunga percorrenza.
  Infine, relativamente al settore merci questa Amministrazione ha avviato il sostegno, in un mercato liberalizzato, di aiuti alle imprese con l'attuazione delle disposizioni di cui alla legge n. 190 del 2014 e al decreto-legge n. 185 del 2015 convertito in legge, con modificazioni, dall'articolo 1, comma 1, legge n. 9 del 2016.
Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti: Riccardo Nencini.


   BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   l'11 luglio 2016 il tribunale di Vercelli ha condannato la società Sacal, Società Alluminio Carisio s.p.a. per danno ambientale, disponendo la bonifica dell'area interessata ed ulteriori interventi di riparazione primaria;

   il 18 aprile 2017 il giornale online «Notizia oggi Vercelli» riporta come il vento forte abbia creato sollevamento e dispersione delle polveri degli scarti di lavorazione dell'acciaieria Sacal, che risulterebbe non aver provveduto alla bonifica dell'area, disattendendo le disposizioni del tribunale di Vercelli;

   si registrano le denunce dei cittadini e dello stesso sindaco di Carisio, Pietro Pasquino, che avrebbe presentato denuncia all'Arpa e richiesta di rilevamenti nella zona per constatare la contaminazione ambientale da diossine;

   le polveri sembrano aver raggiunto i campi coltivati, con danno per le colture e la salute umana a fronte della pericolosità delle sostanze depositate nei pressi dell'acciaieria;

   il sollevamento delle polveri procurerebbe dispersione di diossine, sostanze che, da diversi studi scientifici vengono collegate a molteplici danni alla salute, tra i quali tumori, nonché in grado di accumularsi in vegetali e animali in quanto liposolubili, giungendo infine all'uomo tramite il consumo di vegetali, carni e altri derivati animali;

   l'amministrazione comunale, nella persona del primo cittadino, ha commissionato a uno specialista un'indagine epidemiologica sull'andamento della mortalità per tutte le cause dal 1980 a marzo 2017 compreso e riguardante il territorio del comune. I risultati sono stati illustrati a fine maggio del corrente anno durante un consiglio comunale e mostrano un incremento preoccupante di patologie tumorali nella frazione Crocicchio, che dista un chilometro dalla sopra citata fonderia, rispetto alla media regionale. Nella popolazione maschile di detta frazione si riscontrano eccessi di mortalità per linfomi, rischi doppi di neoplasie del polmone e un incremento del 56 per cento dei casi di tumore complessivi. Per quanto riguarda la popolazione femminile la situazione in frazione Crocicchio si presenta ancor più drammatica con eccessi statisticamente significativi per mieloma, neoplasie ematologiche, cancro al colon retto, al pancreas, all'apparato digerente. Secondo il ricercatore, «l'aumento, specialmente tra le donne, di tumori a carico di singoli organi dell'apparato digerente o nel loro complesso, si potrebbe spiegare che in un contesto rurale sia ipotizzabile, verosimilmente, una maggiore residenzialità storica delle donne in loco con una conseguente maggior esposizione (anche indoor) a possibili inquinanti ambientali e ad un maggior consumo di ortaggi rispetto all'uomo più tendente a spostamenti locali per motivi di lavoro e consumo di pasti fuori casa.» –:

   se il Governo non intenda assumere ogni iniziativa di competenza per la riparazione del danno ambientale con il sollecito smaltimento dei cumuli di scorie giacenti presso l'impianto Sacal, come disposto dalla sentenza dell'11 luglio 2016;

   quali iniziative di competenza intenda intraprendere ai fini di una valutazione dell'entità e della quantificazione del danno ambientale conseguente alla ulteriore dispersione e propagazione delle polveri provenienti dall'acciaieria nel territorio circostante, con particolare riferimento ai terreni agricoli, e se non ritenga necessarie compensazioni per gli effetti dannosi causati all'agricoltura.
(4-16422)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa ai danni ambientali causati dalla dispersione delle polveri degli scarti di lavorazione dell'acciaieria Sacal Spa situata a Carisio, comune del vercellese, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  Nel merito si fa presente in via preliminare, che l'Ispra, nella propria relazione di valutazione del danno ambientale di maggio 2016, ha evidenziato che le imputazioni del relativo procedimento si riferivano, sotto un primo profilo, a fenomeni di aerodispersione e di ricaduta di diossine e Pcb generati da alcune fonti emissive.
  Si rappresenta, inoltre, che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare si è costituito parte civile nel procedimento penale n. 2684/12 a carico di alcuni soggetti per il risarcimento del danno ambientale derivante dalla illecita gestione della fonderia di alluminio della Sacal.
  Con sentenza n. 1327/2016 pronunciata dal tribunale di Vercelli nel procedimento in parola, sono stati condannati due imputati nonché la Sacal Spa, quale responsabile civile, al risarcimento in forma specifica del danno ambientale da effettuarsi attraverso il completamento delle operazioni di bonifica, in conformità ai tempi ed ai modi descritti dalla legge e dalle competenti autorità amministrative, nonché mediante gli ulteriori interventi di riparazione primaria che risulteranno necessari in seguito alla caratterizzazione dell'area in oggetto. Il piano di caratterizzazione delle aree esterne è stato presentato dalla Sacal agli inizi del 2017 e nel giugno 2017 era in corso di istruttoria.
  La pronuncia del tribunale di Vercelli ha inoltre disposto la restituzione ai condannati delle scorie, precedentemente poste sotto sequestro giudiziale, ai fini del loro smaltimento, secondo le procedure di bonifica in atto.
  Si precisa, peraltro, che l'area in oggetto non è ricompresa tra i siti di interesse nazionale e quindi le procedure di bonifica sono di competenza regionale, secondo quanto previsto dal decreto legislativo n. 152 del 2006 e, qualora i soggetti responsabili della contaminazione non provvedano direttamente agli adempimenti disposti dal predetto decreto, gli stessi sono a carico del comune o della regione, come indicato nell'articolo 250, salvo il diritto di rivalsa degli stessi enti.
  In relazione alla forte ondata di vento che ha interessato la zona in questione, il 18 aprile 2017, l'Arpa Piemonte ha fatto presente che tutto il territorio nord-ovest della Regione è stato interessato da fenomeni di forte vento e che per il giorno in esame è stato emesso un bollettino di allerta meteo per vento forte destinato alle aree interessate, tra cui anche quella in cui è locata l'acciaieria Sacal.
  L'Arpa ha riferito, altresì, che, a seguito dell'episodio del 18 aprile 2017, non è pervenuta al proprio dipartimento, da parte del comune di Carisio, alcuna richiesta ufficiale di rilevamenti nella zona tesi a constatare la contaminazione ambientale da diossine.
  In particolare la medesima Arpa precisa che la contaminazione ambientale da diossine a carico della matrice suolo nelle aree circostanti lo stabilimento Sacal è oggetto di uno dei procedimenti di bonifica di cui l'autorità competente è lo stesso comune e che comunque l'agenzia conduce da diversi anni (con cadenza bimestrale per 3 postazioni e mensile per 1 postazione), il monitoraggio delle deposizioni atmosferiche per la ricerca dei microinquinanti (Pcdd/F e Pcb).
  Sempre secondo quanto riferito dall'Arpa, in seguito all'evento atmosferico del 18 aprile 2017, in data 21 aprile, l'agenzia ha effettuato un sopralluogo con il Servizio di polizia provinciale nucleo ambientale, nel corso del quale la ditta ha dichiarato di aver provveduto, al momento dell'evento, ad intensificare la bagnatura dei piazzali al fine di limitare il sollevamento di polveri diffuse dalla viabilità e dagli stoccaggi interni e di non aver registrato fenomeni di danneggiamento delle coperture realizzate sui cumuli. Al riguardo, la provincia ha riferito che, nel corso di un sopralluogo appositamente effettuato, è stata appurata l'integrità di tali coperture.
  Per quanto concerne la problematica relativa ai cumuli, secondo quanto riferito dall'Arpa e dalla prefettura di Vercelli, i cumuli sotto sequestro sono denominati A, B, C, D, e «ignoto». Il giudice ha demandato al comune l'emanazione di apposita ordinanza di smaltimento degli stessi. Nel frattempo, la Sacal nell'ambito del procedimento di riesame dell'A.I.A. ha presentato una proposta di allontanamento con ipotesi diverse per i diversi cumuli. Con il riesame dell'A.I.A. sono state autorizzate le operazioni proposte per i cumuli B e C, nel rispetto delle prescrizioni degli enti competenti. Le relative operazioni sono in corso.
  Ad ogni modo, si fa presente che della questione sono interessate varie amministrazioni, pertanto qualora dovessero giungere ulteriori elementi informativi, si provvederà a fornire aggiornamenti.
  Si rassicura, comunque, che per quanto di competenza il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare continuerà a svolgere le proprie attività senza ridurre in alcun modo il livello di attenzione sulla questione.
  

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   BUSTO, DAGA, DE ROSA, CRIPPA, MICILLO, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   il 23 dicembre 2015 Sogin ha presentato istanza per l'avvio della procedura di assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale (Via) di due progetti sperimentali noti come «Realizzazione di un impianto per il trattamento e condizionamento delle resine a scambio ionico esaurite della Centrale di Trino – WOT e SiCoMor». In data 7 gennaio 2016 ne è stato dato avviso al pubblico per la presentazione di osservazioni;

   in data 7 giugno 2016, con determinazione dirigenziale codice DVA-DEC-2016-0000226, viene decretata l'esclusione dalla valutazione di impatto ambientale dei due progetti sperimentali, a condizione che Sogin ottemperi ad alcune prescrizioni;

   a luglio 2016, il sindaco di Trino, Alessandro Portinaro, è stato nominato tra i consiglieri di amministrazione della stessa Sogin;

   contrariamente a quanto riportato nel progetto, a mezzo stampa (La Stampa Vercelli del 1o dicembre 2016), il presidente di Sogin, Marco Enrico Ricotti ha affermato che sarà costruito «un impianto che non avrà alcun impatto radiologico sull'ambiente»;

   il 16 novembre 2016 il consiglio comunale di Trino ha approvato una convenzione tra comune e Arpa Piemonte per il monitoraggio di aria, acqua e altre matrici ambientali. Tale monitoraggio straordinario non andrebbe a sostituire ma a integrare quello erogato da Sogin, almeno secondo quanto dichiarato dal sindaco Portinaro durante la commissione comunale aperta al pubblico del 17 gennaio 2017;

   si noti che, nell'articolo 1 della determina ministeriale del 7 giugno 2016, si fa riferimento a una precedente determina del 2015 con la quale veniva esclusa la procedura di Via per altro progetto sulla centrale di Trino, dal quale sarebbe peraltro scaturita la necessità di ampliare e implementare la rete di monitoraggio, oggetto della suddetta convenzione tra comune di Trino e Arpa Piemonte del novembre 2016 –:

   quali eventuali problematiche abbia rilevato il Governo nell'ambito della verifica di assoggettabilità a Via del progetto di cui in premessa, alla luce delle criticità che possono aver indotto alla stipula della convenzione sopra citata;

   se sia stata fatta una verifica degli impatti cumulativi dei diversi progetti;

   in che modo intenda adoperarsi, per quanto di competenza, per disporre ulteriori attività di controllo sull'area, a tutela della salute dei cittadini di Trino e dell'ambiente;

   se il Governo non intenda promuovere, per quanto di competenza, una valutazione di impatto sulla salute (Vis) dei progetti sopra richiamati, visto che il centro abitato di Trino è a 1.800 metri dai suddetti impianti;

   se il Governo non ritenga necessario assumere iniziative per prevedere una compensazione per i cittadini residenti, in assenza di Via ed eventualmente di Vis, una volta avvenuta l'eventuale constatazione del danno ambientale procurato dalla presenza di tali impianti sperimentali.
(4-16539)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  Nel procedimento di verifica di assoggettabilità a Via del progetto «Centrale di Trino – Aggiornamento delle modalità di gestione dei rifiuti radioattivi e relativo stoccaggio provvisorio in sito», presentato da Sogin S.p.a. nel mese di settembre 2014, il provvedimento di esclusione della procedura di Via, con prescrizioni, del 30 aprile 2015, prevede, alla prescrizione n. 3 che il proponente, in riscontro alle richieste formulate dalla regione Piemonte, avvii «[...] con la Regione Piemonte e l'Arpa Piemonte un tavolo tecnico per:

   a. Studiare interventi di mitigazione/compensazione ambientale relativi al presente progetto;

   b. Aggiungere una postazione fissa di monitoraggio della contaminazione radioattiva in aria da gestire in accordo con ARPA;

   c. Avviare il monitoraggio della radioattività in varie matrici ambientali da concordare con Arpa [...]».

  In data 26 maggio 2015 il proponente ha chiesto alla regione Piemonte l'avvio del tavolo tecnico in ottemperanza alla prescrizione n. 3 sopra citata.
  Successivamente, in data 23 dicembre 2015, la società Sogin S.p.a. ha presentato istanza di verifica di assoggettabilità alla Via per il progetto «Realizzazione di un impianto per il trattamento e condizionamento delle resine a scambio ionico esaurite della Centrale di Trino – WOT e SiCoMor». Il procedimento si è concluso con il provvedimento direttoriale di esclusione dalla procedura di Via, con prescrizioni, del 7 giugno 2016, che recepisce le considerazioni e le valutazioni espresse dalla Commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale Via e Vas nel parere n. 2089 del 27 maggio 2016.
  Nel corso dell’
iter istruttorio di verifica di assoggettabilità per il progetto sopra richiamato, sono stati tenuti in debita ed approfondita considerazione tutti gli aspetti ambientali relativi all'opera di cui trattasi, compresi gli impatti cumulativi dei vari progetti e le misure per il monitoraggio delle varie componenti ambientali.
  In particolare, con riferimento al monitoraggio integrato, si rappresenta che le prescrizioni ai nn. 2 e 3, previste dal provvedimento direttoriale del 7 giugno 2016, richiedono al proponente di concordare con Arpa Piemonte un'integrazione al piano di monitoraggio radiologico dell'acqua di falda superficiale e di utilizzare la postazione fissa di monitoraggio della contaminazione radioattiva in aria prevista dalla prescrizione n. 3, lettera
b) della determinazione del 30 aprile 2015, con le eventuali modifiche che si rendessero necessarie, per il monitoraggio delle attività previste dal progetto presentato nel dicembre 2015.
  Si ricorda, infine, che la documentazione progettuale presentata dalla società proponente nel corso del procedimento di verifica di assoggettabilità alla Via per il progetto dell'impianto per il trattamento e condizionamento delle resine a scambio ionico esaurite, insieme con il parere della Commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale – Via e Vas n. 2089 del 27 maggio 2016 ed il provvedimento direttoriale del 7 giugno 2016 sono pubblicati sul sito web di questo Ministero all'indirizzo:
http://www.va.minambiente.it/it-IT/Oggetti /Documentazione/1595/2651.
  Della questione sono comunque interessate anche altre amministrazioni, pertanto, qualora dovessero pervenire ulteriori, significativi, elementi informativi, si provvederà a fornire un aggiornamento.
  Alla luce delle informazioni esposte, questo Ministero continuerà a svolgere le attività e valutazioni di competenza in materia con il massimo grado di attenzione, nonché a svolgere un'attività di monitoraggio e a tenersi informato, anche al fine di valutare un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:

   come si apprende da quotidiani locali, quali infovercelli24.it, martedì 10 ottobre 2017 la regione Piemonte ha dichiarato lo stato di massima pericolosità per incendi boschivi su tutto il territorio piemontese, vietando dunque le azioni che possano determinare anche solo potenzialmente l'innesco di incendio;

   nello stesso momento nel vercellese si procede con la consueta bruciatura delle stoppie del riso, pur se accompagnata da polemiche di chi la considera ormai superata e dannosa per l'ambiente (in particolare per la già scarsa qualità dell'aria nel vercellese);

   La Stampa di Vercelli e Provincia dell'11 ottobre 2017 riporta come le rilevazioni di Arpa Piemonte abbiano constatato una concentrazione allarmante di PM10 nella zona tra Caresana e Motta de’ Conti nel giorno 4 ottobre 2017, rispettivamente di 105 e 120 microgrammi per metro cubo, quando il limite consentito è di 50 µg/m3. Tale superamento dei limiti non rappresenta un fatto isolato vista l'alta concentrazione di polveri sottili superiori al limite consentito registrate negli ultimi giorni in tutta la Bassa Vercellese;

   l'allarme sollevato sull'inquinamento in tutta l'aria della Pianura Padana è già stato oggetto della risoluzione in Commissione n. 7-01158, con particolare riguardo al livello di PM10 e alla riduzione delle aspettative di vita per la stessa popolazione residente;

   qualche giorno fa, un anziano agricoltore di 84 anni è stato ritrovato morto carbonizzato in un suo campo accanto a un rogo di stoppie che potrebbe essere sfuggito al controllo ad Ottobiano (Pavia);

   il regolamento della provincia di Vercelli sulle condizioni per l'eliminazione, mediante combustione, delle stoppie costituenti residui del raccolto stagionale di prodotti agricoli, come stabilito dall'articolo 59 del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, «Testo Unico delle Norme di Pubblica Sicurezza», dall'articolo 19 del decreto legislativo n. 267 del 2000 e successive modificazioni e integrazioni (Testo unico enti locali) e l'articolo 7 del decreto legislativo n. 267 del 2000 e successive modificazioni e integrazioni, stabilisce determinati criteri per l'abbruciatura delle stoppe, al fine di assicurare la pubblica sicurezza. Tra questi si rileva la valutazione delle condizioni ambientali e meteorologiche e il divieto della pratica in caso di vento o nebbia;

   secondo notiziavercellioggi.it del 6 ottobre 2017 le regole definite dal regolamento provinciale non sarebbero rispettate, con particolare riguardo al divieto di abbruciatura fino a 100 metri dalle strade, tanto che, in più di un caso, è stata richiesto l'intervento dei vigili del fuoco a spegnere gli incendi che hanno superato tale limite. Allo stesso modo non è stata rispettata la disposizione di evitare gli incendi in caso di vento, come testimoniato da diverse immagini pubblicate sui giornali locali delle colonne di fumo trasportate dal vento –:

   se il Governo non intenda assumere iniziative normative per garantire la tutela dell'incolumità e della salute pubblica, con riferimento alla dibattuta pratica di abbruciatura delle stoppie del riso;

   se il Governo non intenda assumere iniziative, per quanto di competenza, per rafforzare i controlli al fine di evitare le infrazioni denunciate dai media locali piemontesi.
(4-18129)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  Occorre premettere che la regolamentazione della pratica dell'abbruciamento è demandata ai comuni ed alle altre amministrazioni locali competenti in materia ambientale, le quali hanno facoltà di sospendere, differire o vietare la combustione del materiale, mentre spetta agli organi di controllo locali la verifica del rispetto delle suddette norme.
  Si evidenzia, altresì, che l'attività di combustione dei residui vegetali al fine del riciclaggio delle sostanze concimanti o ammendanti in essi contenute rappresenta una buona pratica agricola ed una delle modalità di utilizzazione dei residui vegetali in agricoltura. Tale attività non rientra nella fattispecie della combustione illecita dei rifiuti come stabilito dal comma 6 dell'articolo 256 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 che recita: «Si applicano le sanzioni di cui all'articolo 255 se le condotte di cui al comma 1 hanno a oggetto i rifiuti di cui all'articolo 184, comma 2, lettera
e). Fermo restando quanto previsto dall'articolo 182, comma 6-bis, le disposizioni del presente articolo non si applicano all'abbruciamento di materiale agricolo o forestale naturale, anche derivato da verde pubblico o privato». Pertanto l'attività di combustione è considerata illecita solo se ha come oggetto i rifiuti vegetali provenienti da aree verdi, quali giardini, parchi e aree cimiteriali.
  Sullo stesso tema interviene anche il comma 6-
bis dell'articolo 182 del decreto legislativo n. 152 del 2006 il quale specificatamente prevede che: «Le attività di raggruppamento e abbruciamento in piccoli cumuli e in quantità giornaliere non superiori a tre metri steri per ettaro dei materiali vegetali di cui all'articolo 185, comma 1, lettera f), effettuate nel luogo di produzione, costituiscono normali pratiche agricole consentite per il reimpiego dei materiali come sostanze concimanti o ammendanti, e non attività di gestione dei rifiuti. Nei periodi di massimo rischio per gli incendi boschivi, dichiarati dalle regioni, la combustione di residui vegetali agricoli e forestali è sempre vietata. I comuni e le altre amministrazioni competenti in materia ambientale hanno la facoltà di sospendere, differire o vietare la combustione del materiale di cui al presente comma all'aperto in tutti i casi in cui sussistono condizioni meteorologiche, climatiche o ambientali sfavorevoli e in tutti i casi in cui da tale attività possano derivare rischi per la pubblica e privata incolumità e per la salute umana, con particolare riferimento al rispetto dei livelli annuali delle polveri sottili (PM10)».
  Da quanto sopra esposto, il tema in argomento risulta essere dunque già opportunamente disciplinato dalla normativa vigente.
  Ad ogni modo, secondo quanto riferito dall'Arpa Piemonte, i dati relativi al caso in esame non sono valori di concentrazione misurati bensì si tratta di valori stimati mediante modellistica.
  L'Arpa, infatti, con cadenza giornaliera, pubblica sul portale di sistema Piemonte le mappe raffiguranti lo stato di qualità dell'aria stimato su ogni comune piemontese in relazione agli indicatori giornalieri definiti dal decreto legislativo n. 155 del 2010 per PM10, biossido di azoto NO2 ed ozono O3.
  Le informazioni sono ottenute ogni giorno integrando i risultati prodotti dal sistema modellistico di chimica e trasporto utilizzato da Arpa Piemonte ed i dati osservati dalle stazioni del Sistema regionale di rilevamento della qualità dell'aria.
  Per quanto concerne i dati misurati, per il territorio del vercellese, le stazioni del Sistema regionale di rilevamento della qualità dell'aria sono ubicate nei comuni di Vercelli (Vercelli – Coni e Vercelli – Gastaldi), Cigliano (Cigliano – Autostrada) e Borgosesia (Borgosesia – Tonella).
  Nelle stazioni di Vercelli – Coni (l'unica stazione di fondo in area suburbana relativamente prossima ai terreni agricoli adibiti a risaia), e Vercelli – Gastaldi (stazione di traffico) i valori misurati nel periodo dall'1/09 al 17/10, presentano analogo profilo di andamento rispetto ai dati misurati nelle altre stazioni «limitrofe» ubicate nei territori dell'alessandrino e del novarese.
  Complessivamente le predette stazioni, al netto di qualche episodio ascrivibile ad eventi locali, incrementano o decrementano i valori di concentrazione in modo coerente alla situazione meteorologica dell'area piemontese nella quale sono installate. Durante i periodi di alta pressione i valori di concentrazione aumentano e, viceversa, quando la situazione meteorologica diventa favorevole alla dispersione degli inquinanti, i valori di PM10 decrescono. Spicca tra tutti il dato di PM10 particolarmente elevato (sia in relazione al suo valore assoluto sia in confronto con quelli misurati) rilevato nella giornata del 6 ottobre scorso presso la stazione di Oleggio-Gallarate (stazione di traffico) che tuttavia è verosimilmente riconducibile ai veicoli pesanti in manovra nel limitrofo parcheggio sterrato.
  Alcune valutazioni sui dati PM10 misurati nell'ultimo bimestre nelle stazioni delle aree del territorio piemontese a vocazione risicola e quindi (potenzialmente) interessate dal fenomeno dell'abbruciamento stoppie (provincie di Vercelli, Novara, Alessandria) confrontati con i valori registrati presso una stazione di fondo rurale (Vinchio, in provincia di Asti), verosimilmente non interessata dagli abbruciamenti, e con il valore medio delle stazioni di fondo urbano di Alessandria, Asti e Novara, evidenziano un generale aumento dei valori a partire dal 9 ottobre. Gli incrementi, ancorché con intensità e distribuzioni differenti non sempre regolari, paiono più evidenti in riferimento alle stazioni di Casale e di Vercelli.
  Se per quanto concerne Casale e Vercelli, territori a vocazione risicola, tali incrementi possono essere compatibili con la presenza di abbruciamenti che non sono stati dispersi efficacemente dalla meteorologia, Arpa evidenzia che nello stesso periodo l'innalzamento dei valori è avvenuto anche a Torino, territorio non risicolo, per fattori di pressione differenti.
  Si fa presente, da ultimo, che secondo quanto riferito dalla regione Piemonte, con apposita determinazione del Settore protezione civile, la regione può impedire l'abbruciamento di residui vegetali in determinati periodi dell'anno per motivi di pericolo incendi; ultimo tra tali provvedimenti, la dichiarazione di massima pericolosità per incendi boschivi, datata 10 ottobre 2017.
  Oltre a tale strumento, nel caso in esame, la provincia di Vercelli si è dotata di un apposito regolamento di divieto di combustione di residui vegetali.
  In aggiunta a tali strumenti, in attuazione dell'Accordo tra le Regioni del bacino padano, atto alla mitigazione della concentrazione del PM10 in atmosfera, il Settore emissioni e rischi ambientali della regione Piemonte, con la determinazione n. 463 del 31 ottobre 2017, ha stabilito che su tutto il territorio regionale vige il divieto di abbruciamento di residui vegetali dall'1/10 al 31/03 dell'anno successivo in maniera permanente.
  Nelle settimane in corso, l'assessorato all'ambiente della regione Piemonte si è fatto promotore di incontri con le amministrazioni comunali la cui popolazione supera i 20.000 abitanti, per illustrare gli aspetti dell'accordo del bacino padano e i contenuti delle più recenti normative regionali in attuazione dello stesso.
  Alla luce delle informazioni esposte, si rassicura comunque che il Ministero dell'ambiente continuerà a svolgere le proprie attività, senza ridurre in alcun modo il livello di attenzione sulla questione.
  

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   gli incendi che hanno colpito il Piemonte, con particolare riguardo alla Val Susa, la Val Chiusella, il Cuneese e il Biellese hanno procurato una devastazione di habitat naturali e boschivi e degli stessi centri abitati, con il risultato di migliaia di persone sfollate dalle proprie case;

   il perdurare degli incendi per ben tre settimane non costituisce un caso isolato nell'anno in corso, vista l'emergenza estiva avvenuta in Sicilia, Abruzzo e Campania, tale da procurare la distruzione di 146.000 ettari di boschi con danni enormi per gli ecosistemi e gli animali e con effetti disastrosi sul clima e sul fragile assetto idrogeologico del nostro Paese. Gli stessi sindacati dei vigili del fuoco in una loro nota stampa parlano di una situazione drammatica e denunciano come l'assenza del Corpo forestale abbia portato l'Italia indietro di 40 anni nella prevenzione e nel contrasto agli incendi boschivi;

   la gravità del fenomeno, 5.000 ettari di territorio piemontese distrutto, peggiora la già compromessa situazione della qualità dell'aria piemontese – a Beinasco sono stati registrati 354 microgrammi al metro cubo, 7 volte la soglia massima, di Pm 10 – tanto da poter parlare di una vera e propria emergenza sanitaria;

   la matrice degli incendi è in buona parte dolosa, al punto che in alcuni casi sono stati già rintracciati i responsabili degli atti criminosi e stessi inneschi, ma non può essere esclusa una cattiva gestione politica dell'intero territorio, con la complicità della cattiva gestione nazionale e della dismissione del Corpo forestale dello Stato;

   ad aggravare la situazione e il pericolo per l'incolumità pubblica e per le persone ha partecipato il perdurare della stagione venatoria, con i cacciatori che inseguivano gli animali in fuga dalle fiamme;

   il sollecito delle associazioni ambientaliste per la tutela della fauna selvatica e degli ambienti naturali è nella direzione della sospensione della stagione venatoria, che già non avrebbe neppure dovuto essere aperta date le condizioni di stress ambientale che perdurano ormai da tutta l'estate. Intanto, una delibera regionale ha sospeso l'attività venatoria fino alla fine del mese di novembre 2017 nei comparti alpini colpiti dagli incendi e una sospensione fino al 10 novembre nelle aree limitrofe. Si ricorda inoltre che la regione dovrebbe individuare le zone da escludere dall'esercizio venatorio per 10 anni, come da articolo 10 della legge n. 353 del 2000;

   le misure attuate per il blocco dell'attività venatoria non risultano agli interroganti sufficienti ad affrontare la situazione piemontese. A tal proposito gli interroganti avevano presentato la risoluzione n. 7-01336 e la mozione 1-01675, in accordo con le associazioni, per sospendere la stagione venatoria almeno per l'anno in corso e per le zone maggiormente interessate dagli incendi. Nonostante gli appelli e le raccomandazioni dello stesso Ispra la stagione venatoria è stata invece anticipata al 2 settembre in tutte le regioni italiane;

   nel testo della risoluzione, così come nell'interrogazione n. 5-12453, era stato sollevato il problema del mancato aggiornamento dei piani faunistici, da farsi ogni 5 anni, così come disposto dalla legge n. 157 del 1992. Con particolare riguardo al Piemonte, sembra che la regione non abbia concluso l’iter di aggiornamento iniziato nel 2013 –:

   se il Governo non ritenga opportuno assumere iniziative per istituire un fondo di solidarietà nazionale per le criticità che riguardano persone e animali, e un piano di emergenza per il ripristino degli equilibri eco-sistemici e faunistici compromessi;

   quali iniziative il Governo intenda promuovere, per quanto di competenza, per la valutazione della qualità dell'aria e l'attivazione di misure volte alla tutela della popolazione residente nelle aree adiacenti agli incendi;

   se il Governo non intenda assumere iniziative in tutte le sedi competenti affinché venga sospesa l'attività venatoria in Piemonte per l'anno 2017/2018, al fine della tutela degli habitat e dell'incolumità pubblica;

   se il Governo non intenda assumere le iniziative di competenza per l'aggiornamento dei piani faunistici venatori, previsto ogni cinque anni dalla legge n. 157 del 1992, in base a valutazioni scientifiche sullo stato di salute degli habitat e delle varie specie.
(4-18403)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa alle problematiche conseguenti agli incendi che hanno interessato la regione Piemonte, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  Si fa presente, in via preliminare, che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha diretta competenza in materia di incendi per i piani anti incendi boschivi (o piani AIB) delle aree protette statali (parchi nazionali e riserve naturali statali), in attuazione dell'articolo 8, comma 2, della legge n. 353 del 2000, col supporto degli enti gestori di tali aree protette che curano in modo particolare la «previsione» e la «prevenzione» degli incendi boschivi.
  Sul resto del territorio c'è la diretta competenza delle regioni per la programmazione e pianificazione AIB su tutto il territorio di relativa pertinenza, nonché per la lotta attiva, anche all'interno delle suddette aree protette statali (articolo 7 e articolo 8 comma 4 della stessa legge n. 353 del 2000).
  Ad ogni modo, si fa presente che il Ministero dell'ambiente, nell'urgenza degli incendi in Val di Susa ha interessato il capo dipartimento della protezione civile con nota del 27 ottobre 2017, al fine di mettere in atto ogni forma di collaborazione e sinergia per un efficace contrasto agli incendi boschivi.
  Per quanto riguarda la protezione della fauna, il divieto di caccia previsto dall'articolo 10 della legge n. 353 del 2000 entra in vigore sulle aree che risultano dal «Catasto delle aree percorse dal fuoco», la cui pubblicazione annuale è a cura del singolo comune, il quale ha sistematicamente a disposizione
on line tutti i perimetri degli incendi boschivi su cartografia informatizzata e georiferita, realizzata prima da parte del corpo forestale dello Stato ed ora dai carabinieri-forestali del Cutfaac in attuazione del decreto legislativo n. 177 del 2016.
  Si ricorda, inoltre, che la sospensione dell'attività venatoria per calamità naturali o altre situazioni che potrebbero compromettere la tutela della fauna selvatica, rientra tra le competenze regionali, come stabilito dall'articolo 19 della legge n. 157 del 1992, che norma le modalità con cui le regioni devono intervenire in contesti del genere.
  Al riguardo, Ispra, con nota del 25 agosto 2017, sulle «limitazioni dell'attività venatoria a causa della siccità e degli incendi che hanno colpito il Paese», richiamando quanto previsto dalla legge n. 157 del 1992, articolo 19, comma 1, ha consigliato alle regioni di adottare alcune misure da valutare caso per caso e, in alcune circostanze, in funzione del permanere delle condizioni climatiche critiche.
  La legge n. 157 del 1992, all'articolo 14, comma 7, prevede altresì che le «regioni provvedono ad eventuali modifiche o revisioni del piano faunistico venatorio e del regolamento di attuazione con periodicità quinquennale».
  Sulla questione, la regione Piemonte ha fatto presente che, a seguito dei gravi incendi boschivi che hanno flagellato varie zone del territorio piemontese la Giunta Regionale in data 27 ottobre 2017, con deliberazione n. 29-5843, ai sensi dell'articolo 2 della legge nazionale n. 157 del 1992, secondo cui «L'esercizio dell'attività venatoria è consentito purché non contrasti con l'esigenza di conservazione della fauna selvatica e non arrechi danno effettivo alle produzioni agricole.» ha deciso di sospendere temporaneamente l'esercizio dell'attività venatoria per la stagione 2017/2018, nelle aree interessate dagli incendi, da individuarsi, stante l'urgenza della situazione e l'evolversi continuo del fenomeno, con apposito provvedimento del dirigente del settore conservazione e gestione della fauna selvatica e acquacoltura, sulla base delle segnalazioni/richieste formulate dagli ambiti territoriali di caccia (ATC) e dei comprensori Alpini (CA).
  La regione ha evidenziato, altresì, che, considerato che la situazione incendi risultava ben più estesa e preoccupante rispetto alle segnalazioni pervenute, la giunta regionale, in virtù dell'articolo 19 della legge n. 157 del 1992 che recita: «1. Le regioni possono vietare o ridurre per periodi prestabiliti la caccia a determinate specie di fauna selvatica di cui all'articolo 18, per importanti e motivate ragioni connesse alla consistenza faunistica o per sopravvenute particolari condizioni ambientali, stagionali o climatiche o per malattie o altre calamità.», con Deliberazione n. 1-5855 del 31 ottobre 2017, ha statuito, dopo aver sentito le amministrazioni provinciali e la città metropolitana di Torino, di sospendere temporaneamente la caccia nei sottoindicati territori come di seguito specificato:

   
   CACN2 e CACN4 e nelle aziende agri-turistico-venatorie e faunistico-venatorie presenti nei relativi territori, fino al 30 novembre 2017 stante il fatto che tali territori sono direttamente interessati da vari incendi;

   CATO1, CATO3, CATO5 e nelle aziende agri-turistico-venatorie e faunistico-venatorie presenti nei relativi territori fino al 30 novembre 2017 stante il fatto che tali territori sono direttamente interessati da vari incendi;

   CATO2, CATO4, ATCTO1, ATCTO2, ATCTO3, e nelle aziende agri-turisticovenatorie e faunistico-venatorie presenti nei relativi territori, fino al 10 novembre 2017, quali aree confinanti indicate dalla Città Metropolitana di Torino, per le quali risulta opportuno creare una fascia di sicurezza.

  Successivamente in data 17 novembre 2017, con provvedimento n. 17-5930 la giunta regionale, vista la nota del settore protezione civile della regione n. 54320 del 14 novembre 2017, con la quale vengono indicati i Comuni interessati dagli incendi nei quali sono stati effettuati interventi da parte delle squadre AIB, con la specificazione di quelli maggiormente colpiti nel cui elenco compaiono tutti quelli indicati dalla città metropolitana; visti i bollettini meteorologici Arpa, consultabili direttamente on-line, che evidenziano condizioni di tempo spiccatamente autunnale sul Piemonte, con neve sulle Alpi e piogge in pianura e con una situazione meteo invariata per i prossimi giorni e ritenuto pertanto che non vi sono più gli elementi d'urgenza e di pericolo per la fauna selvatica, ha deliberato di sospendere l'attività venatoria nelle aree e nei comuni, come di seguito indicati, oltre il 30 novembre 2017 e fino alla formale definizione delle perimetrazioni di cui alla legge nazionale n. 353 del 2000 o salvo diversa destinazione del territorio da parte della provincia, nell'ambito del Pfvp:

   In provincia di Cuneo: CACN2 «Valle Varaita», Comune di Bellino; Comune di Casteldelfino, Comune di Pontechianale; CACN4 «Valle Stura» – settore Sambuco/Pietraporzio; CACN4 «Valle Stura» – settore Fedio/San Maurizio/Trinità.

   In provincia di Torino: in tutto il territorio dei comuni di Bussoleno, Caprie, Cumiana, Giaveno, Locana, Mompantero, Novalesa, Perrero, Ribordone, Roure, Rubiana, Sparone, Traversella, Pramollo, Chianocco, Venaus, Susa, Vistrorio, Rueglio, Cantalupa e Frossasco limitatamente ai territori ricadenti nella zona alpi di cui ai comprensori alpini interessati (CATO 1, CATO 3, CAT05) .

  Con il predetto provvedimento di giunta, la regione ha stabilito inoltre che, per quanto riguarda l'attività venatoria nelle Afv e Aatv, valgono i principi e le limitazioni territoriali già previsti; l'attività di addestramento e allenamento cani, sempre al fine della tutela della fauna selvatica già provata dalle avverse condizioni atmosferiche siccitose prima e dagli incendi dopo, è da intendersi sospesa in tali aree; di dare atto che in tutte le altre aree non indicate nei punti precedenti l'attività venatoria può riprendere.
  A ciò si aggiungono le numerose ordinanze sindacali di chiusura della caccia emesse dai sindaci per motivi di sicurezza e il coordinamento con le amministrazioni provinciali, la città metropolitana di Torino, il corpo forestale dei carabinieri e la protezione civile, al fine di valutare su tutto il territorio piemontese le varie situazioni di criticità per l'adozione di ulteriori provvedimenti di limitazione o chiusura dell'attività venatoria.
  In merito a quanto previsto dall'articolo 10 dalla legge n. 353 del 2000, la regione Piemonte ha rappresentato di aver richiesto, in data 9 novembre 2017, al corpo forestale dello Stato notizie certe sui tempi delle perimetrazioni delle aree interessate dal fuoco e di aver richiesto alla direzione regionale protezione civile un elenco ufficiale dei comuni interessati dai vari incendi con l'indicazione di quelli maggiormente colpiti.
  In merito alla situazione del Piano-faunistico-venatorio regionale, sempre secondo quanto riferito dalla regione, la giunta regionale con deliberazione n. 21-6368 del 17 settembre 2013 ha approvato: la proposta di piano-faunistico-venatorio regionale; il rapporto ambientale e la valutazione di incidenza e il piano di monitoraggio del piano-faunistico-venatorio regionale; la dichiarazione di sintesi.
  Attualmente i documenti sopraccitati si trovano presso il consiglio regionale per la loro approvazione definitiva.
  La regione ha, infine, comunicato che in data 22 novembre 2017, la terza commissione consiliare ha approvato il disegno di legge n. 182, presentato dalla giunta regionale, in materia faunistico-venatoria, che prevede nuove disposizioni per l'approvazione del piano faunistico-venatorio regionale.
  A quanto fin qui esposto si aggiunga che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare sta attivando una apposita azione a livello nazionale per favorire il recupero delle aree percorse dal fuoco, con specifico finanziamento pubblico, mediante un apposito programma.
  Alla luce delle informazioni esposte, si rassicura che il Ministero continua a svolgere le proprie attività di monitoraggio e sollecito, senza ridurre in alcun modo il livello di attenzione sulla questione.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   CANCELLERI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   il corridoio plurimodale tirrenico nord Europa itinerario Agrigento-Caltanissetta A19 strada statale n. 640 «di Porto Empedocle», ammodernamento e adeguamento alla categoria B del decreto ministeriale 5 novembre 2009, dal chilometro 44+000 allo svincolo con l'A19, costituisce uno dei maggiori assi viari regionali e la principale via di comunicazione tra Agrigento e Caltanissetta;

   durante il corso dei lavori, il viadotto San Giuliano è stato sottoposto ad un notevole aumento del traffico veicolare anche da parte dei mezzi pesanti delle imprese incaricate della realizzazione del progetto e chiuso per problemi seri di staticità, portando all'attivazione di procedure di monitoraggio;

   si apprende da un articolo del Giornale di Sicilia del 29 novembre 2017 che il viadotto San Giuliano sarà riaperto a breve e che continua il monitoraggio dello stesso, anche se in una riunione del 4 maggio 2017, tenutasi a Roma con i vertici di Anas e Ministero delle infrastrutture e dei trasporti era stato riferito all'interrogante che il monitoraggio era finito e si aspettavano i risultati, con l'interrogazione a risposta in Commissione n. 5-11005 l'interrogante chiedeva i risultati del monitoraggio e come e quando sarebbe stato ripristinato il viadotto;

   sempre dallo stesso articolo si evince che, dirigenti del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare hanno chiesto chiarimenti sul ripristino della strada statale 22-bis, che, secondo loro, non rientra nelle opere di mitigazione, quindi tra le opere di compensazione;

   bisogna ripristinare tutta la strada statale 122-bis perché la sede stradale è stata danneggiata dal quotidiano passaggio dei mezzi pesanti della ditta CMC impiegati per i lavori in corso sulla strada statale 640, attraversata più volte per raggiungere la «Cava Giglio» a Petralia Sottana, creando stato di degrado e disagio, mettendo a elevato rischio l'incolumità di centinaia di cittadini che ogni giorno la percorrono, oltre alle migliaia di macchine che da Agrigento e Caltanissetta devono recarsi in A19 e che percorrono la via Borremans fino allo svincolo ad oggi in uso per l'autostrada;

   con riferimento alla parte della strada statale 122-bis che va dalla via Borremans alla stazione Xirbi è stato preso un impegno da parte del Governo pro tempore a seguito dell'approvazione della risoluzione n. 8-152 da parte della IX Commissione (Trasporti, Poste e Telecomunicazioni) il 10 novembre 2015 e si aspetta urgentemente di ripristinare la restante parte fino a S. Caterina Villarmosa –:

   quali siano i risultati ottenuti a seguito del monitoraggio del viadotto San Giuliano;

   come si intenda procedere al ripristino della viabilità;

   quando inizieranno i lavori di riparazione del viadotto e quando verranno ultimati;

   quali tipologie di opere si prevedano per il ripristino del viadotto;

   come il notevole aumento del traffico veicolare che c'è stato su questo viadotto da parte di mezzi d'opera delle società Empedocle2 e di CMC abbia potuto influire sul cedimento;

   quali siano le ragioni che abbiano portato a escludere il ripristino della 122-bis che rientrava tra le opere di compensazione;

   in quali tempi si preveda di dare seguito a quanto previsto nella risoluzione n. 8-152 e di assumere iniziative per ripristinare la restante parte fino a S. Caterina Villarmosa che presenta carattere d'urgenza.
(4-18727)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta sulla base delle informazioni pervenute dalla direzione generale per le strade e le autostrade e per la vigilanza e la sicurezza nelle infrastrutture stradali, di questo Ministero e dalla società Anas.
  La società Anas comunica che il monitoraggio del viadotto San Giuliano è in fase di ultimazione. Fa presente, altresì, che trattandosi di un monitoraggio di tipo geotecnico per conseguire risultati rappresentativi è indispensabile estenderlo ad un orizzonte temporale di registrazione e di analisi dei dati necessariamente ampio e non inferiore ad un anno.
  Per il ripristino del tratto della ex strada statale 122
bis, oggi di competenza comunale, anche denominata Via Borremans, la progettazione di interventi di risanamento del piano viabile e delle opere di protezione è in fase di ultimazione; gli stessi saranno attuati con gradualità entro la prossima primavera.
  In merito ai disagi evidenziati sulla strada statale 122
bis, di competenza Anas, la medesima fa presente che gli stessi erano previsti già in fase progettuale, considerato che la suddetta arteria stradale rientra nel piano di cantierizzazione dell'opera, indipendentemente dalla chiusura del viadotto San Giuliano, per ragioni di sicurezza della circolazione stradale, avvenuta a seguito di un movimento franoso di rilevanti dimensioni e che necessita, ai fini della riapertura, di indispensabili interventi di consolidamento strutturale.
  Anas fa presente che la chiusura al transito del viadotto San Giuliano non è stata influenzata dall'aumento del traffico per i lavori in corso in quanto la struttura è stata progettata per sopportare carichi molto più gravosi, così come previsto dalla normativa vigente.
  Relativamente al passaggio dei mezzi d'opera sulla suddetta arteria stradale e alla usura indotta sulla stessa, si rappresenta che l'articolo 34 del codice della strada, avente per oggetto oneri supplementari a carico dei mezzi d'opera per l'adeguamento delle infrastrutture stradali, ha imposto al contraente generale e ai propri affidatari e sub affidatari che eseguono i lavori di ammodernamento il possesso, ai fini della circolazione, di apposito contrassegno comprovante l'avvenuto pagamento di un indennizzo di usura per un importo pari alla tassa di possesso, da corrispondere contestualmente alla stessa e per la medesima durata. I proventi del suddetto indennizzo di usura affluiscono in un apposito capitolo del bilancio dello Stato per poi essere assegnati all'ente proprietario della strada (Anas per il caso specifico) a esclusiva copertura delle spese per le opere connesse al rinforzo, all'adeguamento e all'usura della infrastruttura.
  Anas evidenzia che proprio sulla base della suddetta normativa, ha avviato le procedure di affidamento per gli ulteriori interventi manutentivi necessari, oltre a quelli già realizzati, al fine di migliorarne lo stato attuale e di ripristinarne la piena efficienza del manto stradale.
  
Detta società conferma, quindi, che le opere di ripristino della 122 bis non fanno parte delle opere di compensazione che, in ogni caso, hanno natura prevalentemente ambientale e sono definite e approvate sotto l'esclusiva competenza del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.
Il Vice Ministro delle infrastrutture e dei trasporti: Riccardo Nencini.


   CAPELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   da vari giorni da un'area limitrofa al centro urbano di Quartu Sant'Elena, nei pressi del parco di Molentargius fuoriescono fumi che stanno provocando gravi disagi alla popolazione, oltre che molta preoccupazione, dato che non è chiaro quali siano i materiali che stanno bruciando e provocando i fumi citati;

   al riguardo, il sindaco di Quartu Sant'Elena ha emanato una serie di ordinanze volte alla tutela della sicurezza pubblica, ordinando ai cittadini residenti in un raggio di 500 metri rispetto al sito in questione, di tenere in casa biancheria, giocattoli, alimenti ed anche animali, mentre nella stessa area è proibita la permanenza prolungata all'aperto delle persone;

   occorre ricordare che l'area umida di Molentargius è stata fino ai primi anni ’90 una vera discarica a cielo aperto, dove liquami e sostanze inquinanti venivano sversate, per poi riversarsi in mare;

   proprio negli anni ’90, per la bonifica del sito, vennero erogate cifre notevoli, poi più volte rinnovate per completare gli interventi necessari;

   si ricordi, in particolare, la delibera del Cipe n. 60 del 30 aprile 2012, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 160 dell'11 luglio 2012, con la quale, tra, l'altro, venivano stanziati 400 mila euro per la realizzazione della rete di distribuzione delle acque depurate provenienti dall'impianto di Molentargius;

   l'area in questione ospita, inoltre, importanti specie animali, tra le quali i rarissimi fenicotteri rosa, mentre il parco naturale regionale di Molentargius è riconosciuto come sito di importanza comunitaria (S.i.c.) e zona di protezione speciale (Z.p.s.);

   la situazione, però, resta talmente preoccupate che è stata disposta la chiusura di una scuola che si trova nella «zona rossa», in attesa di chiarire a cosa siano dovuti i fumi che stanno interessando la zona medesima –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto su esposto e quali iniziative intenda assumere, nell'ambito delle sue competenze, collaborando anche con la regione e gli enti locali interessati, per fronteggiare una situazione preoccupante, che fa temere che non tutto sia stato davvero bonificato nella zona di Molentargius sopra ricordata.
(4-17936)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, concernente le problematiche dell'area «Molentargius» a Quartu S. Elena, in Sardegna, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente regione Sardegna, si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare, si precisa che il parco regionale del Molentargius è un'area umida estesa su un territorio di circa 1600 ettari, delimitata dall'espansione urbana dei comuni di Cagliari, Quartu Sant'Elena, Selargius, Quartucciu e dal lungomare del Poetto. Lo stesso è stato istituito con legge regionale n. 5 del 26 febbraio 1999 con l'obiettivo di tutelare e valorizzare un sito di interesse internazionale, già inserito dal 1977 nella convenzione Ramsar per la sua rilevanza come luogo di sosta, svernamento e nidificazione di numerose specie di uccelli acquatici.
  Nell'area sono presenti bacini sia di acqua dolce che salata, separati dalla piana di Is Arenas. Le zone ad acqua dolce sono costituite dagli stagni di «Bellarosa Minore» e «Perdalonga», nati come vasche di espansione delle acque meteoriche. Le zone di acqua salata comprendo gli specchi d'acqua dell'ex sistema produttivo delle Saline di Stato di Cagliari, costituiti dal «Bellarosa Maggiore» o «Molentargius», dallo Stagno di Quartu, dalle altre vasche salanti (saline di Cagliari) e dal «Perda Bianca».
  Nel mese di luglio 2017, un'area di circa 7.000 metri quadri del Parco è stata interessata da un incendio, che ha interessato grande parte del canneto ubicato nel comune di Quartu Sant'Elena.
  Pertanto, in data 18 settembre 2017, il comune di Quartu segnalava la presenza nell'aria di odori altamente sgradevoli e soffocanti, causati dal persistere delle emissioni di fumi provenienti dall'area del Molentargius, manifestando la necessità di monitorare l'aria e effettuare accertamenti circa l'eventuale rischio per la salute pubblica.
  Il sindaco del comune di Quartu Sant'Elena ha rivolto, quindi, al prefetto di Cagliari la richiesta di urgente convocazione di un tavolo tecnico per intraprendere eventuali azioni tese alla tutela della salute pubblica.
  Nella successiva data del 19 settembre, il prefetto di Cagliari ha provveduto a convocare un tavolo tecnico avente per oggetto «problematica relativa all'emissione di fumi nel parco di Molentargius – Quartu Sant'Elena», costituito dai rappresentanti degli enti ed organismi tecnici coinvolti per rispettive competenze per procedere agli urgenti interventi ritenuti necessari.
  Contestualmente, in data 19 settembre, personale afferente al Servizio di igiene e sanità pubblica dell'ASSL di Cagliari dell'ATS (Azienda per la tutela della salute della Sardegna) ha eseguito un sopralluogo presso il sito di Molentargius ed ha accertato che i fumi acri ed intensi interessavano un areale urbano per un raggio di circa 500 metri, entro i quali ricadono una scuola dell'infanzia e primaria e diverse strutture sanitarie.
  Con una nota di pari data, pertanto, il servizio igiene e sanità pubblica dell'ASSL di Cagliari ha prontamente trasmesso al sindaco di Quartu Sant'Elena ed altri enti alcuni suggerimenti precauzionali in attesa di vere altri elementi utili sui materiali brucianti e sulla composizione dei fumi derivati.
  Inoltre, a seguito dalla riunione in prefettura è intervenuto il Sindaco del Comune di Quartu Sant'Elena che ha provveduto con la massima urgenza all'attivazione del Centro operativo comunale (C.O.C.), costituito dagli enti competenti, per fronteggiare l'emergenza.
  In data 20 settembre 2017, il Sindaco di Quartu Sant'Elena ha convocato presso il Centro operativo comunale (COC) un ulteriore tavolo tecnico, al fine di valutare le azioni da intraprendere per fronteggiare la situazione emergenziale.
  In tale riunione, si è stabilito di provvedere con somma urgenza alla copertura dell'area interessata dall'incendio con una coltre di terra ed argilla, al fine di far cessare l'emissione dei fumi. Tale intervento è stato attuato con la massima celerità nei giorni seguenti.
  Il Coc si è riunito anche nelle successive date del 22 settembre 2017, del 26 settembre 2017 e del 29 settembre 2017.
  In quest'ultima data, il sindaco del comune di Quartu Sant'Elena «sulla base delle risultanze degli approfondimenti emersi nella presente seduta, ha dichiarato chiusa l'emergenza sanitaria», sulla base delle comunicazioni dell'Arpas sulla qualità dell'aria e del servizio igiene pubblica della ASSL del 28 settembre, con conseguente revoca delle ordinanze sindacali assunte.
  In data 25 settembre 2017, l'agenzia regionale per la protezione dell'ambiente (ARPAS) ha posizionato, nel cortile della scuola di via Turati nel comune di Quartu Sant'Elena (zona limitrofa al Parco) il mezzo mobile per la verifica della qualità dell'aria attraverso il monitoraggio degli inquinanti ambientali aerodispersi. A tal proposito, sono state rilevate giornalmente le concentrazioni delle seguenti sostanze: SO2, NOx, CO, O3, PM10, BTX, le cui concentrazioni, a tutt'oggi, non presentano alcun superamento dei limiti normativi. Per quanto riguarda la determinazione delle diossine e degli IPA viene fatto presente che non è possibile avere una lettura immediata in quanto è necessario l'intervento del laboratorio e l'analisi comporta tempi tecnici più lunghi.
  Viene segnalato altresì che le aree del parco e le aree limitrofe sono state oggetto di vari depositi incontrollati di rifiuti e, per le aree esterne al parco, il comune di Quartu Sant'Elena sta intervenendo mediante il proprio sistema di gestione dei rifiuti per l'eliminazione di tali inconvenienti.
  La Regione Sardegna rappresenta inoltre che, per arginare tali fenomeni, è necessario attivare sistemi di videosorveglianza in modo da controllare gli accessi al Parco e l'individuazione dei responsabili, ponendo in capo a tali soggetti i costi relativi alle attività di rimozione, avvio a recupero o smaltimento, ripristino dello stato dei luoghi nonché eventuale bonifica.
  In merito agli eventi occorsi nell'area di Molentargius, viene evidenziato che sono stati attivati da parte dei competenti Assessorati regionali tutti gli interventi di loro competenza. L'assessorato della difesa dell'ambiente, in particolare, ha attivato gli interventi di propria competenza direttamente o tramite l'Arpas, insieme al parco regionale di Molentargius, alla protezione civile ed al Corpo forestale di vigilanza ambientale, ed ha partecipato attivamente a tutti i tavoli tecnici e le riunioni che si sono tenute sull'argomento.
  Il competente Servizio demanio e patrimonio dell'assessorato degli enti locali, finanze e urbanistica (titolare regionale delle aree in cui si è verificato l'evento incendiario), che deve attivarsi ai sensi e per gli effetti degli articoli 192 (rimozione di eventuali rifiuti) e 242 e seguenti (caratterizzazione e bonifica dell'area) del decreto legislativo n. 152 del 2006, sta collaborando con l'assessorato della difesa dell'ambiente alla soluzione del problema. A tal fine sono state individuate due differenti soluzioni.
  Innanzitutto, per quanto riguarda l'intervento di manutenzione straordinaria lo stesso verrà affidato in delega al parco regionale di Molentargius, previa convenzione da stipularsi con la regione. In alternativa, il Parco stesso gestirà la fase di progettazione e di individuazione del soggetto cui affidare i lavori/servizi, mentre i pagamenti alle imprese aggiudicatarie della progettazione e dell'esecuzione dei lavori/servizio verrà effettuato direttamente dal Servizio demanio e patrimonio dell'assessorato degli enti locali, finanze e urbanistica.
  Della questione sono interessate anche altre amministrazioni, pertanto, qualora dovessero pervenire nuovi e utili elementi informativi, si provvederà a fornire aggiornamenti.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, il Ministero continuerà a tenersi informato e continuerà a svolgere un'attività di sollecito nei confronti dei soggetti territorialmente competenti, anche al fine di valutare eventuali coinvolgimenti di altri soggetti istituzionali.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   CAPELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   ormai quattro anni fa, il 13 novembre 2013, il cosiddetto «ciclone Cleopatra» sconvolse la Sardegna, causando vittime e gravi danni alle infrastrutture;

   tra queste ultime venne particolarmente danneggiato il ponte di Oloè, ubicato sulla strada provinciale 46 Oliena-Dorgali, laddove trovò la morte l'agente di polizia Luca Tanzi;

   dopo di allora numerose sono state le vicissitudini del ponte sopra citato, come descritte nell'atto di sindacato ispettivo n. 4-17826 del mese di settembre 2017;

   al succitato atto di sindacato ispettivo aveva risposto il Governo il 6 ottobre 2017, fornendo, tra l'altro, notizia che l'Anas era soggetto attuatore della convenzione tra giunta regionale della Sardegna, provincia di Nuoro, e, appunto, l'Anas, per la realizzazione di un sistema di protezione attiva per il monitoraggio e l'allerta in relazione alle piene della strada provinciale 46, in prossimità del ponte di Oloè, con studi ed indagini per il rifacimento del ponte stesso e relativi raccordi alla viabilità esistente;

   nella stessa risposta il Governo informava che l'Anas aveva fatto presente che entro il mese di ottobre 2017 avrebbe provveduto all'affidamento dei servizi tecnici per lo studio idraulico propedeutico alla progettazione e alla realizzazione del sistema di allerta attivo per le piene, per l'esecuzione dei rilievi di dettaglio nell'alveo fluviale a monte e a valle del ponte e per l'esecuzione dei sondaggi geognostici sull'asse del nuovo tracciato stradale, al fine di giungere nel minore tempo possibile alla redazione di uno studio di fattibilità tecnico ed economico della nuova opera, condiviso con gli enti interessati per quantificare l'impegno finanziario necessario;

   non risulta, però, all'interrogante che questo ultimo impegno sia stato in qualche modo adempiuto dall'Anas nei tempi annunciati dal Governo –:

   quali iniziative di competenza intenda intraprendere il Ministro interrogato in modo che l'Anas adempia a quanto sopra esposto, attivando la procedura per l'essenziale costruzione del nuovo ponte e risolvendo la situazione assurda che da sin troppo tempo dura con grave disagio per i cittadini, che richiedono soluzioni concrete e non solo lodevoli impegni.
(4-18425)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta sulla base delle informazioni pervenute dalla direzione generale per le strade e le autostrade e per la vigilanza e la sicurezza nelle infrastrutture stradali di questo Ministero e dalla società Anas.
  Ad aggiornamento di quanto già comunicato in risposta dell'interrogazione n. 4-17826 aggiornamento si comunica che Anas ha avviato le attività di progettazione relative al sistema di allerta delle piene idrauliche del fiume Cedrino e quelle relative allo studio di fattibilità di una nuova opera di attraversamento della strada provinciale 46.
  Detto studio è stato affidato ad una società esterna, esperta in modellistica idraulica fluviale, che consegnerà alla regione Sardegna e alla provincia di Nuoro gli elaborati prodotti, entro maggio 2018, conformemente agli accordi convenzionali, portando a compimento, pertanto, le attività di competenza.

Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti: Riccardo Nencini.


   CARIELLO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:

   la Galleria nazionale della Puglia «Girolamo e Rosaria Devanna» comprende una cospicua serie di opere di interesse culturale nazionale. La Galleria ha sede nel Palazzo Sylos-Calò, sito nel comune di Bitonto. Il palazzo, già nell'elenco degli edifici monumentali d'Italia del 1902 ad opera dell'allora Ministero della pubblica istruzione è stato acquisito dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, eccetto alcuni locali siti al livello della strada appartenenti a privati. Tale acquisizione permise nel 2009 l'inaugurazione della Galleria dedicata a Girolamo e Rosaria Devanna, i due generosi donatori della favolosa quadreria comprendente 229 tele e 108 disegni;

   il professor Devanna, collezionista ed esperto d'arte, ha di recente tenuto una conferenza stampa, in cui denunciava il mancato esercizio del diritto di prelazione da parte delle istituzioni pubbliche nell'atto di vendita tra privati dei locali adiacenti il Palazzo Sylos-Calò avvenuto nel settembre 2016. Nell'immediato, la comunità locale riscontra una reticenza a proseguire nelle donazioni da parte dei mecenati che maggiormente hanno alimentato la Galleria. Inoltre, visto che attualmente sono ben ottantaquattro le opere rimaste in deposito, è emerso che gli stessi collezionisti possano ritirare le opere, atteso che gli accordi di cessione dei beni prevedono il vincolo dell'esposizione al pubblico. Durante la medesima conferenza stampa, il professor Nicola Pice, già sindaco del comune di Bitonto, è intervenuto mostrando una nota del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo del 29 settembre 2016, in cui si evince l'invito del Ministero a valutare la possibilità di esercitare il diritto di prelazione inviato a tutti gli enti interessati. Nella stessa occasione viene citato un accantonamento del Ministero (pari a trecentomila euro) al tempo della istituzione della Galleria, che sarebbe stato utilizzato per l'acquisto dei locali annessi al palazzo in caso di vendita futura;

   il segretariato regionale del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo per la Puglia ha precisato in una nota successiva che «ha compiuto tutti gli atti previsti per legge ed in particolare ha trasmesso la comunicazione agli enti territoriali interessati per l'eventuale esercizio del diritto di prelazione sui predetti locali oggetto degli articoli citati». Il segretario regionale ha precisato, inoltre, che non risulta alcun «finanziamento accantonato da oltre 10 anni» per l'acquisto dei suddetti locali e ricorda di aver esercitato, nel 2014, «il diritto di prelazione su sei locali del Palazzo Sylos Calò, sede della Galleria, al fine di consentire l'ampliamento della fruizione della collezione Devanna»;

   il comune di Bitonto, la città metropolitana di Bari, la regione Puglia ed il segretariato regionale del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, pur informati della vendita tra privati dei locali annessi al palazzo, non hanno esercitato il diritto di prelazione sull'acquisto di questi ambienti, lasciando che fossero acquistati da privati che, secondo le dichiarazioni del professor Devanna, «li adibiranno a negozio di moda». Tale disinteresse mostrato dalle pubbliche istituzioni rischia oggi di mettere in serio pericolo il futuro del polo museale;

   a fronte di questi avvenimenti l'amministrazione comunale, in una conferenza stampa tenuta dal sindaco Michele Abbaticchio e dall'assessore Rino Mangini, ha comunicato che la famiglia del collezionista d'arte e l'amministrazione comunale hanno mostrato interesse a stringere accordi direttamente con gli acquirenti privati dei locali in questione. Stando alle dichiarazioni dell'amministrazione comunale, i due locali verranno ristrutturati e messi a disposizione dai titolari per attività coerenti con quelle della Galleria nazionale –:

   se il Ministro interrogato fosse a conoscenza dei sopra citati accadimenti, sui quali è necessarie fare chiarezza, e se il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo sia stato consultato nell'ambito della redazione del programma di sviluppo e conservazione della Galleria nazionale della Puglia annunciato di recente dall'amministrazione locale;

   se esistano fondi statali stanziati per l'acquisto dei locali ed il completamento della struttura adibita a polo museale.
(4-15366)

  Risposta. — Si riscontra l'atto di sindacato ispettivo in esame, col quale l'interrogante chiede se il Ministero fosse a conoscenza della vendita a privati di due locali facenti parte del palazzo Sylos-Calò, sede della Galleria nazionale della Puglia, e se intende acquisire al demanio dello Stato tutti i locali ancora di proprietà privata e se esistono fondi stanziati a tale scopo.
  Il polo museale della Puglia, interpellato sulla questione, ha comunicato di non avere agli atti nessuna nota o comunicazione relativa alla vendita tra privati dei locali facenti parte del palazzo Sylos Calò, sede della Galleria nazionale della Puglia e, precisamente quelli segnati in catasto al Fg 49, p.lla 466 subb. 7 e 8 i quali, insieme ai subb. 3 e 4, sono gli unici ancora di proprietà privata.
  La direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici della Puglia, al fine di assicurare la completa fruibilità e valorizzazione dell'immobile e delle collezioni in esso custodite, nel 2014, aveva esercitato il diritto di prelazione su altri locali dello stesso palazzo Sylos Calò (Fg 49, p.lla 466, subb. 1, 2, 5, 6, 9 e 25; decreti rep. n. 763 del 3 novembre 2014 e rep. 887 del 28 novembre 2014), per i quali, peraltro, aveva proceduto a richiedere somme per il restauro nella programmazione MiBACT lavori pubblici 2015-2017 e in quella del triennio 2016-2018.
  Pur apprezzando l'interesse dell'amministrazione comunale di Bitonto a stringere «accordi direttamente con gli acquirenti privati dei locali in questione per destinarli ad attività coerenti con quelle della Galleria nazionale della Puglia», come riportato nel testo dell'interrogazione, questa amministrazione ritiene tuttavia quanto mai indispensabile acquisire in via definitiva al demanio dello Stato tutti i locali di palazzo Sylos Calò ancora di proprietà privata, al fine di consentire un adeguato allestimento e la completa valorizzazione e fruizione delle collezioni museali, in virtù anche delle nuove acquisizioni.
  Per quanto riguarda le relative risorse, la Direzione generale bilancio ha comunicato – nel quadro della programmazione per il triennio 2014-2016 – una disponibilità sul capitolo 7505 del bilancio di questo Ministero di euro 252.912,00 per l'anno 2015 e di euro 519.350,00 per l'anno 2016.
  Inoltre, il decreto-legge 29 dicembre 2016, n. 243 recante «Interventi urgenti per la coesione sociale e territoriale, con particolare riferimento a situazioni critiche in alcune aree del mezzogiorno» convertito con legge 27 febbraio 2017, n. 18, prevede all'articolo 7-
sexies programma «Magna Grecia» specifiche risorse collocate in un apposito fondo dello stato di previsione di questo Ministero per il polo museale pugliese pari ad euro 100.000,00 per ciascuno degli anni 2017, 2018 e 2019.
  Da ultimo, si evidenzia che con decreto ministeriale del 16 maggio 2017 – di definizione delle modalità e delle procedure per la selezione dei progetti di cui alla predetta legge n. 18 del 2017 – lo stanziamento di cui sopra (articolo 3, comma 2) è stato assegnato al polo museale della Puglia proprio per «...la valorizzazione della Galleria Nazionale della Puglia “Girolamo e Rosaria Devanna” e al completamento della struttura che ospita le opere in essa contenute» (articolo 1, comma 2).
  Ne discende, da quanto sopra, l'intendimento di questo Ministero di salvaguardare e valorizzare il patrimonio della Galleria nazionale di Bitonto che, in sinergia con le altre iniziative collegate con la città di Matera «Capitale europea della cultura per il 2019», consente di individuare nuove linee di sviluppo del territorio mediante la nascita di un sistema culturale integrato e stimolando lo sviluppo di una forte identità territoriale, la cui tutela rientra nel più ampio progetto di potenziamento di tutto il patrimonio culturale pugliese, in grado di sviluppare una forte e radicata identità territoriale.

Il Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali e il turismo: Antimo Cesaro.


   CARNEVALI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   l'articolo 381 del decreto del presidente della Repubblica 16 dicembre 1992, n. 495, (Regolamento di esecuzione e di attuazione del codice della strada), prevede al fine di agevolare la mobilità delle persone invalide che: «Per la circolazione e la sosta dei veicoli a servizio delle persone invalide con capacità di deambulazione impedita, o sensibilmente ridotta, il comune rilascia apposita autorizzazione in deroga, previo specifico accertamento sanitario»;

   l'interpretazione delle parole «con capacità di deambulazione impedita o sensibilmente ridotta» deve intendersi nella sua accezione più espansiva, ricomprendendo tutti quegli invalidi che non soffrono di una malattia agli arti inferiori che ne limita la mobilità, ma che sono affetti da una patologia comunque rilevante al punto da avere indirette conseguenze sulla mobilità della persona;

   questa interpretazione risulta dal decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1996, n. 503, (Regolamento recante norme per l'eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici, spazi e servizi pubblici) che all'articolo 12 ha previsto il contrassegno speciale anche alle persone non vedenti, a prescindere dalla loro capacità motoria;

   il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha confermato in più occasioni (parere n. 2242 del 14 maggio 2015; nota del Dipartimento per i trasporti, la navigazione, gli affari generali ed il personale, n. 1567 del 11 marzo 2016) una interpretazione estensiva dell'articolo 381 del citato decreto del Presidente della Repubblica. In particolare, si afferma nel succitato parere: «il contrassegno potrebbe essere rilasciato a persone, come il disabile psichico, che teoricamente non presentano problemi di deambulazione, ma che proprio a causa della loro specifica patologia, non possono essere considerate autonome nel rapporto con la mobilità»;

   all'interrogante risulta che, nonostante questa costante linea interpretativa del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, l'applicazione della norma — in particolare da parte delle aziende sanitarie competenti a certificare il diritto all'autorizzazione — non sia omogenea sul territorio nazionale e conforme a tale interpretazione. In diverse occasioni, infatti, ne sarebbe stata preferita una più restrittiva dell'articolo 381;

   in particolare, questa difformità di trattamento riguarderebbe le persone con disturbi comportamentali, intellettivi e cognitivi o disturbi dello spettro autistico che peraltro hanno trovato in questa legislatura pieno riconoscimento con la legge 18 agosto 2015, n. 134;

   al fine di garantire che a queste persone venga riconosciuto il diritto al contrassegno speciale, a parere dell'interrogante, si rende necessario l'intervento dei Ministri interrogati –:

   se i Ministri interrogato intendano adottare le iniziative di competenza, anche con una circolare o una specifica nota interpretativa, al fine di garantire che alle persone con disturbi comportamentali, intellettivi e cognitivi o disturbi dello spettro autistico sia riconosciuto il diritto al contrassegno speciale di cui all'articolo 381 del decreto del presidente della Repubblica 16 dicembre 1992, n. 495.
(4-18261)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, per quanto di competenza, si forniscono i seguenti elementi di risposta sulla base delle informazioni pervenute dalla direzione generale per la sicurezza stradale di questo Ministero.
  Occorre preliminarmente evidenziare che l'articolo 381 del decreto del Presidente della Repubblica 16 dicembre 1992, n. 495 (regolamento di esecuzione ed attuazione del codice della strada), come aggiornato e modificato con decreto del Presidente della Repubblica 30 luglio 2012, n. 151, al comma 2 parla, ai fini, del rilascio del «contrassegno di parcheggio per disabili», di persone invalide con capacità di deambulazione impedita o sensibilmente ridotta.
  Pertanto, il disabile potrà richiedere, con le modalità previste dal successivo comma 3, il rilascio dell'autorizzazione al comune di residenza, solo se preventivamente è stata accertata una invalidità dall'ufficio medico-legale dell'azienda sanitaria locale di appartenenza e che la stessa abbia rilasciato una certificazione medica dalla quale risulti che le condizioni fisiche della persona comportano una impedita o sensibile riduzione della capacità di deambulazione tale da rendere possibile l'esercizio del diritto disciplinato dal sopra richiamato articolo 381.
  Tuttavia lo stesso articolo, pur prevedendo tale condizione, non fa esplicito riferimento agli arti inferiori né alla patologia che la ha determinata. Quindi, a parere di questa amministrazione, esso non dovrebbe essere interpretato in senso eccessivamente restrittivo, tanto che a sostegno di quanto detto, il decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1996, n. 503, prevede, all'articolo 12, comma 3, che la normativa relativa al contrassegno speciale sia estesa anche alla categoria dei non vedenti.
  Questa amministrazione, anche in passato, come sottolineato anche dall'interrogante, ha sostenuto che il contrassegno potrebbe essere rilasciato a persone, come il disabile psichico, autistico, che teoricamente non presentano problemi di deambulazione ma che proprio a causa della loro specifica patologia non possono essere considerate autonome nel rapporto con la mobilità e la strada e necessitano comunque della mediazione di terze persone che le accompagnano e gestiscono i loro spostamenti.
  È evidente che solo l'ufficio medico-legale dell'azienda sanitaria locale di appartenenza del disabile, per competenza e sotto la propria responsabilità, potrà pronunciarsi circa la sussistenza dei requisiti per ottenere il rilascio del contrassegno.
  In tale contesto è opportuno precisare come questo Ministero non possa entrare nel merito di un'attività resa in ambito sanitario non avendo, infatti, alcuna competenza di tipo medico-legale per poter confutare la pronuncia dell'ufficio medico-legale né sostituirsi ad esso nelle valutazioni mediche di sua competenza, la quale ha come effetto solamente secondario il rilascio di un titolo la cui attinenza col settore del trasporto è limitata al modo di esercitare il diritto connesso previsto nel regolamento.

Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti: Riccardo Nencini.


   CAUSIN. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   nel recepire la direttiva 2004/54/CE che ha introdotto misure aggiuntive per l'innalzamento della sicurezza nelle gallerie di lunghezza superiore a 500 metri presenti lungo la rete stradale transeuropea (TERN), il legislatore nazionale ha sottolineato, tra le altre cose, la necessità che le infrastrutture presentino caratteristiche di resistenza al fuoco;

   in particolare al punto 2.7 dell'allegato B del decreto legislativo 5 ottobre 2006, n. 264, di recepimento della menzionata direttiva, si specifica che «la struttura principale di tutte le gallerie in cui un cedimento locale della struttura possa avere conseguenze catastrofiche, come ad esempio le gallerie sommerse o le gallerie che possono causare il cedimento di importanti strutture adiacenti, deve assicurare un livello sufficiente di resistenza al fuoco»;

   diversamente, non sono presenti prescrizioni sui materiali da costruzione da impiegare all'interno della galleria, benché il loro contributo, sia in termini di potere calorifico che di emissioni di fumi e sostanze tossiche, possa essere significativo ai fini della salvaguardia degli utenti e della conservazione delle opere. Questo problema si presenta, in particolare, per i materiali usati massivamente all'interno delle gallerie, come ad esempio nelle pavimentazioni stradali, che possono contribuire a contenere i carichi d'incendio e il danneggiamento della stessa struttura principali, influendo altresì sullo svolgimento delle operazioni di soccorso;

   la centralità degli standard e delle condizioni armonizzate dei prodotti di costruzione con riferimento alla sicurezza in caso di incendio, diversamente, è stata oggetto di intervento normativo europeo con il regolamento (CE) 305/2011 che, tra le altre cose, ha stabilito al punto 2 dell'allegato 1 la necessità che le opere di costruzione debbano essere concepite e realizzate, in modo che la generazione e la propagazione del fuoco e del fumo al loro interno siano limitate;

   in altri ordinamenti europei come quello tedesco il recepimento della direttiva 2004/54/CE si è tradotto in una precisa indicazione di impiego nelle gallerie di soli materiali di costruzione di classe A (DIN 4102) e nell'ordinamento italiano tali requisiti vengono richiesti al punto 1.2 dell'allegato II del decreto ministeriale del 28 ottobre 2005 in materia di requisiti di sicurezza per le gallerie ferroviarie –:

   se il Ministro interrogato non reputi opportuno assumere iniziative normative per introdurre modifiche al decreto legislativo 5 ottobre 2006, n.264, volte a prevedere nelle gallerie autostradali di lunghezza superiore a 800 metri l'impiego di materiali, anche per le pavimentazioni autostradali, che garantiscano maggiori standard di sicurezza in caso di incendio.
(4-18123)

  Risposta. — Con riferimento agli atti di sindacato ispettivo in esame, sulla base delle informazioni pervenute dalla direzione generale per le strade e le autostrade e per la vigilanza e la sicurezza nelle infrastrutture stradali e dalla commissione permanente per le gallerie di questo Ministero, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  Il decreto legislativo n. 264 del 2006 in recepimento della direttiva 2004/54/Ce sulla sicurezza nelle gallerie della rete TERN non definisce in dettaglio gli aspetti tecnici riferiti alle singole misure di sicurezza previste.
  Questa amministrazione, congiuntamente al Ministero dell'interno – dipartimento dei vigili del fuoco, sta predisponendo una proposta di regola tecnica per le gallerie stradali che dovrebbe disciplinare una serie di aspetti tecnici, non definiti compiutamente dal citato decreto legislativo n. 264 del 2006, in particolare finalizzati alla prevenzione incendi, in cui potrà essere tenuto in considerazione anche l'aspetto delle pavimentazioni e di quelle in calcestruzzo in particolare.

Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti: Riccardo Nencini.


   CIMBRO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   il 30 dicembre 2014 la società Centro Bitumati 2000 srl, sita in Cassina Nuova di Bollate, subentrava alla Società Cooperativa Selciatori e Posatori. I suoi impianti di conglomerati bituminosi producono un impasto a caldo di miscele di bitume e materiali inerti come ghiaia e sabbie. Quando il bitume viene riscaldato, parte dei composti organici in esso contenuti si liberano in atmosfera, alcuni dei quali tossici e potenzialmente cancerogeni. Il tutto provoca un alto rischio, non solo per la salute degli operatori del settore, ma anche per tutti coloro che ne respirano i fumi;

   il National Institute of Occupational Safety and Health ha dichiarato che i fumi emessi nella produzione dei conglomerati bituminosi vanno considerati come potenzialmente cancerogeni, e la cancerogenicità è legata alla presenza nei fumi di idrocarburi policiclici aromatici (IPA), oltre a quella dell'idrogeno solforato e della soda caustica, senza dimenticare che nel caso di esposizione a bambini e ragazzi, i fattori di rischio legati debbono essere aumentati; infatti, nella fattispecie nelle vicinanze si trova un istituto scolastico di primo grado;

   nel 2016, l'azienda ha fatto richiesta di poter aumentare la capacità produttiva da 60 mila ad oltre 500 mila tonnellate l'anno, lavorando nelle 24 ore;

   due successivi controlli di Arpa però, uno del 28 settembre e uno del 9 novembre, sempre del 2016, hanno evidenziato diverse difformità rispetto alle autorizzazioni in possesso dell'azienda, oltre che lo splafonamento della produzione annua avvenuta sempre nel corso del 2016 rispetto alla concessione già in possesso;

   nel dicembre del 2016 sono state raccolte ben 1.297 firme dei residenti delle zone limitrofe, a causa delle molestie sia odorigene che di rumore, le quali sono state poi consegnate al comune di Bollate e all'A.T.S. –:

   a fronte della ingente richiesta di aumento della capacità produttiva di cui in premessa, quali iniziative il Governo intenda adottare, nell'ambito delle proprie competenze e di concerto con la città metropolitana di Milano, per assicurare un monitoraggio della situazione di rischio determinata dai fumi e dalle polveri nonché da agenti inquinanti potenzialmente cancerogeni eventualmente promuovendo una verifica da parte del comando dei Carabinieri per la tutela dell'ambiente.
(4-18530)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa alla società Centro Bitumati 2000 s.r.l., sita in Cassina Nuova di Bollate, sulla base degli elementi acquisiti dalla regione Lombardia, si rappresenta quanto segue.
  Riguardo all'insediamento produttivo interessato, la regione ha riferito di aver richiesto informazioni agli enti competenti all'esercizio di funzioni autorizzative e di controllo, con particolare riferimento a città metropolitana di Milano, Arpa, Ats e comune di Bollate ed ha precisato che tutti questi enti stanno affrontando la questione con gli strumenti giuridico/amministrativi a loro disposizione e con un significativo lavoro di condivisione delle informazioni e delle strategie praticabili.
  Stante anche la peculiarità del territorio regionale, costituito da una presenza rilevante di attività industriali, spesso collocate in prossimità di aree residenziali, la regione Lombardia con la delibera di giunta regionale n. 3018 del 2012 «Determinazioni generali in merito alla caratterizzazione delle emissioni gassose in atmosfera derivanti da attività a forte impatto odorigeno caratterizzazione delle emissioni odorigene» ha, peraltro, inteso fornire a tutti gli operatori una serie di strumenti di carattere tecnico-procedurale utili – se non ad individuare valori limite «puntuali» – quantomeno a gestire situazioni problematiche, in primo luogo, attraverso un confronto tra tutti i soggetti interessati (azienda, comune, autorità competente, Arpa e Ats).
  La stessa regione ha precisato che, dalla documentazione acquisita, è possibile evincere che la società Centro Bitumati 2000 s.r.l. è autorizzata dal 2015 all'esercizio di un impianto di produzione conglomerati cementizi e bituminosi nel comune di Bollate, a seguito di volturazione dall'impresa Coop Selciatori e Posatori Strade e Cave S.r.l.
  Nello stesso anno la società ha presentato istanza per il rilascio dell'autorizzazione unica ambientale per scarico in pubblica fognatura, poi integrata anche per il profilo delle emissioni in atmosfera. Per quanto concerne proprio la matrice emissioni in atmosfera l'istanza era relativa ad una modifica sostanziale degli impianti già precedentemente autorizzati. La modifica oggetto dell'istanza prevedeva in particolare un incremento quantitativo della produzione di conglomerato bituminoso, da 60.000 tonnellate annue a 200.000 tonnellate annue.
  Prima del rilascio dell'autorizzazione, e precisamente nel settembre 2016, a fronte di segnalazioni di molestie olfattive nei dintorni dello stabilimento di via Pace, la polizia locale del comune di Bollate ha richiesto ad Arpa di effettuare dei controlli, che l'agenzia ha regolarmente posto in essere effettuando due sopralluoghi presso lo stabilimento, rispettivamente in data 28 settembre 2016 e 9 novembre 2016.
  Dalla relazione conclusiva, inviata tempestivamente al comune e alla città metropolitana, è emerso che l'azienda Centro Bitumati 2000 s.r.l. aveva aumentato la propria capacità produttiva ed implementato gli impianti utilizzati, senza essere in possesso della preventiva autorizzazione, ancora in fase istruttoria.
  Pertanto, nel gennaio di quest'anno, la città metropolitana di Milano ha provveduto ad adottare formale diffida a carico dell'azienda, ai sensi dell'articolo 278, lettera
a) del decreto legislativo n. 152 del 2006, imponendo di ottemperare entro 90 giorni alle prescrizioni individuate da Arpa, tornando alla potenzialità ridotta autorizzata, pena la revoca dell'autorizzazione e la chiusura dell'impianto.
  Con lettera dell'11 maggio scorso, la società ha comunicato alla città metropolitana, al comune di Bollate e ad Arpa di avere adempiuto a quanto previsto dalla diffida, riportando la potenzialità produttiva degli impianti di conglomerato bituminoso entro il limite quantitativo di 60.000 tonnellate annue, anche con limitazione della potenza dei bruciatori presenti in sito.
  Nel frattempo – e cioè prima dell'adozione della suddetta diffida – la società aveva comunque presentato integrazioni spontanee nel corso dell'istruttoria per il rilascio dell'Aua, proponendo modifiche per le emissioni in atmosfera, migliorative rispetto alle soluzioni presenti nel progetto iniziale, ossia:

   convogliamento degli sfiati delle cisterne di stoccaggio del bitume ad un filtro a carboni attivi e realizzazione di un nuovo condotto di emissione in atmosfera E60;

   realizzazione di un sistema di confinamento, captazione, convogliamento e trattamento delle emissioni diffuse derivanti dalle fasi di carico/scarico del conglomerato bituminoso in uscita da sotto il mescolatore fino alla sommità dei sili di stoccaggio del prodotto finito;

   precisazioni circa l'assetto impiantistico a servizio della linea di produzione del misto cementato;

   revisione tabelle materie prime e produzioni.

  Tali soluzioni sono in corso di valutazione nel procedimento per il rilascio dell'Aua relativo alle emissioni in atmosfera, il cui allegato tecnico, in caso di esito positivo dell'istruttoria, conterrà tutte le prescrizioni di carattere tecnico e gestionale necessarie per il contenimento delle emissioni diffuse e la conseguente limitazione dell'impatto olfattivo connesso.
  Lo scorso aprile, il Suap del comune di Bollate ha rilasciato l'Aua, limitatamente agli scarichi in fognatura delle acque reflue.
  Parallelamente all’
iter istruttorio di autorizzazione, le autorità pubbliche competenti si sono comunque attivate per una soluzione condivisa delle problematiche lamentate dal territorio, tramite appositi tavoli tecnico-politici.
  Al fine di una maggiore condivisione possibile delle soluzioni tecniche in corso di autorizzazione, nel gennaio 2017 la città metropolitana ha altresì incontrato il comune di Bollate per illustrare l'allegato tecnico predisposto da Arpa, e per concordare con l'impresa e con l'amministrazione comunale, il piano di monitoraggio e le modalità di attuazione degli interventi relativi alle modifiche inerenti le emissioni in atmosfera, al fine di contenere le molestie segnalate.
  L'attenzione delle autorità competenti alla questione è confermata anche dalla partecipazione delle stesse agli incontri proposti dal comune di Bollate.
  Nel febbraio di quest'anno, infatti si sono nuovamente riuniti la città metropolitana, Arpa, l'ufficio d'ambito, Ats e il parco regionale delle Groane.
  In tali occasioni, sia l'agenzia che l'Ats hanno confermato la propria disponibilità a fornire supporto tecnico per eventuali ulteriori informazioni e/o controlli che il comune o la città metropolitana ritenessero opportuni e a partecipare al tavolo tecnico previsto dalla sopra richiamata delibera di giunta regionale n. 3018 del 2012 per le molestie olfattive.
  Alla luce di quanto sopra, la regione non sembra riscontrare comportamenti omissivi imputabili agli enti competenti a svolgere funzioni amministrative e di controllo sull'impianto produttivo in parola.
  Infatti, secondo l'amministrazione regionale, ognuno nell'esercizio della propria discrezionalità amministrativa, sta approntando le migliori soluzioni possibili per la risoluzione delle criticità segnalate, pur nella oggettiva complessità della situazione.
  Per completezza di informazione, con riferimento ai profili sanitari, la Direzione generale
welfare ha fornito il contributo informativo pervenuto dall'agenzia di tutela della salute (Ats) Milano città metropolitana.
  La predetta agenzia ha comunicato di avere da subito fornito al comune di Bollate e agli altri enti interessati la disponibilità a prestare il proprio contributo nell'ambito dei tavoli tecnici avviati, cui partecipa regolarmente.
  Nel corso di un incontro tenutosi lo scorso febbraio, l'Ats ha evidenziato la necessità di conoscere con esattezza la tipologia e la quantità degli inquinanti prodotti e di tenere conto anche della qualità di fondo dell'aria, derivante sia da altre attività ubicate in zona, sia dal traffico veicolare ordinariamente presente.
  Nel marzo scorso, nel corso di un ulteriore incontro tenutosi presso la sede della città metropolitana, la stessa Ats ha evidenziato alcuni punti critici fonte dei disturbi lamentati dai cittadini, quali il mancato lavaggio dei piazzali e dei mezzi e la mancata copertura dei carichi in uscita, circostanze queste che hanno causato l'incremento sia delle polveri aerodisperse sia delle emissioni olfattive.
  La regione Lombardia ha fatto presente, infine, che, riscontrata la diffusione sul territorio di problematiche connesse alle attività di produzione di bitume, per via della tipologia dei materiali utilizzati e della specificità del ciclo produttivo di tali impianti (peraltro spesso collocati in prossimità di centri abitati) unitamente all'Arpa avvierà a breve un confronto specificamente finalizzato alla individuazione di misure tecnico-gestionali da introdurre nelle autorizzazioni di tali impianti e volti a limitare la diffusione di emissioni odorigene.
  Alla luce delle informazioni esposte, si rassicura comunque che il Ministero dell'ambiente, per quanto di competenza, continuerà a tenersi informato senza ridurre in alcun modo il livello di attenzione sulla questione.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   CIPRINI, TRIPIEDI, LOMBARDI, CHIMIENTI, COMINARDI e DALL'OSSO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:

   nel 2016 il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo indica in Gazzetta Ufficiale n. 41 del 24 maggio 2016 un concorso pubblico per l'assunzione a tempo indeterminato di 500 funzionari da inquadrare nella III area del personale non dirigenziale, posizione economica F1, in vari profili professionali;

   nel luglio 2017 la Commissione interministeriale Ripam, preso atto della conclusione dell’iter concorsuale per i profili oggetto del bando, autorizzava la pubblicazione delle relative graduatorie per i profili di funzionari archeologi, storici dell'arte, archivisti, demoetnoantropologi, promozione e comunicazione, bibliotecari, antropologi;

   gli idonei del suddetto concorso potrebbero essere utilizzati per coprire i sempre maggiori servizi cui deve rispondere il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, tanto più che risulterebbe una carenza di personale presso il suddetto Ministero;

   tuttavia, secondo quanto si apprende dal Comitato spontaneo degli idonei al concorso del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo per 500 funzionari da inquadrare nella III area del personale non dirigenziale, posizione economica F1, il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo non ha ancora provveduto allo «scorrimento» della suddetta graduatoria;

   eppure, lo scorrimento della graduatoria del suddetto concorso consentirebbe al Ministero – in base al principio di economicità e speditezza dell'azione amministrativa – anche un notevole risparmio economico e di tempo così ovviando all'eventuale assunzione di «precari» ovvero ai costi derivanti dalla gestione di ulteriori procedure di reclutamento di personale amministrativo, anche in applicazione di quanto previsto dal decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125 –:

   se il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo intenda procedere con le assunzioni dei candidati idonei del concorso di cui in premessa con lo «scorrimento» della relativa graduatoria, anche in attuazione delle norme di cui al decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, assicurando così la celere assunzione tanto dei vincitori quanto degli idonei;

   quali tempi preveda il Ministro interrogato per l'assunzione degli idonei del concorso di cui in premessa.
(4-18785)

  Risposta. — Si riscontra l'atto di sindacato ispettivo in esame con il quale l'interrogante ha chiesto di conoscere elementi istruttori sull'assunzione degli idonei di cui al concorso «500 funzionari MiBACT».
  Si ricorda, in primo luogo, che ai sensi dell'articolo 1, comma 328, della legge 28 dicembre 2018, n. 208 — legge di stabilità 2016, il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo è stato autorizzato all'assunzione a tempo indeterminato di 500 funzionari da inquadrare, nel rispetto della dotazione organica di cui alla tabella B allegata al regolamento di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 29 agosto 2014, n. 171, nella III area del personale non dirigenziale, posizione economica F1, nei profili professionali di antropologo, archeologo, architetto, archivista, bibliotecario, demoetnoantropologo, promozione e comunicazione, restauratore e storico dell'arte.
  Con decreto direttoriale del 22 aprile 2016 la gestione di tutte le procedure concorsuali finalizzate all'assunzione dei diversi profili professionali afferenti ai «500 MiBACT» è stata delegata alla commissione interministeriale Ripam.
  Si evidenzia al riguardo che, per quanto concerne i profili professionali «antropologi» (n. 6 unità, di cui 5 vincitori e 1 idoneo) «bibliotecari» (n. 52 unità, di cui 25 vincitori e n. 27 idonei), «demoetnoantropologi» (n. 12 unità, di cui n. 5 vincitori e n. 7 idonei), «storici dell'arte» (n. 65 unità, di cui 40 vincitori e n. 25 idonei), «archeologi» (n. 129 unità, di cui n. 90 vincitori e n. 39 idonei), i funzionari assunti hanno firmato il relativo contratto individuale di lavoro e stanno prendendo servizio presso le sedi di lavoro prescelte, che devono ritenersi definitive, salvo rinunce e conseguenziali scorrimenti, nonché fatta salva la sopravvenienza di un diverso ordine dell'autorità giudiziaria.
  Inoltre, per quanto concerne il profilo professionale «promozione e comunicazione», in data 8 gennaio 2018, sono stati convocati per la sottoscrizione dei relativi contratti individuali di lavoro n. 40 unità di personale (di cui 30 vincitori e n. 10 idonei).
  Anche per il ruolo degli archivisti di stato, con decreto dirigenziale del 13 febbraio 2018, è stata approvata definitivamente la graduatoria generale di merito per il reclutamento di n. 95 unità di personale.
  I vincitori, e ulteriori n. 36 idonei, sono stati convocati in data 23 febbraio 2018 per sottoscrivere il relativo contratto di lavoro e procedere alla scelta delle sedi di assegnazione.
  Si precisa che lo scorrimento degli idonei, per un totale di n. 200 unità, è stato reso possibile a seguito del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 4 aprile 2017.
  Sono ancora in corso, invece, anche per alcuni ricorsi presentati, le relative procedure di selezione per i ruoli di architetto e restauratore.
  Con il suddetto decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, questo Ministero è stato, altresì, autorizzato ad assumere anche n. 100 funzionari amministrativi mediante lo scorrimento di graduatorie di altre pubbliche amministrazioni, segnatamente quella del concorso «120 funzionari Ripam/coesione».
  Infine, l'articolo 1, comma 305, della legge 27 dicembre 2017, n. 205 di approvazione del bilancio di previsione dello Stato per l'esercizio finanziario 2018, ha autorizzato questa amministrazione ad assumere fino ad un massimo di n. 200 unità di personale, appartenenti all'area III – posizione economica F1, mediante ulteriore scorrimento delle graduatorie di concorso delle procedure di selezione pubblica di cui all'articolo 1, comma 328 e seguenti, della legge 28 dicembre 2015, n. 208.
  Pertanto, l'iniziale contingente di assunzioni previsto in 500 unità è stato portato a 1000, come preannunciato nell'intervento del Ministro Franceschini all'inaugurazione del primo festival dello sviluppo sostenibile svoltosi a Napoli dal 22 maggio al 7 giugno 2017.
  Ciò al fine di invertire la tendenza registratasi negli ultimi anni e reintegrare l'organico del Ministero con giovani di alta professionalità che concorreranno a tutelare, valorizzare, promuovere l'eccezionale patrimonio culturale italiano.
  

Il Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali e il turismo: Antimo Cesaro.


   CIRIELLI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:

   con il decreto legislativo n. 97 del 2016 si è proceduto a dettare nuovi obblighi di trasparenza a carico dei dirigenti pubblici, quali principali strumenti di prevenzione della corruzione e della cattiva amministrazione;

   in particolare, è stato esteso anche ai dirigenti pubblici l'obbligo di pubblicare nella sezione trasparenza dei siti delle amministrazioni di appartenenza, la loro situazione patrimoniale, obbligo già vigente per i pubblici amministratori;

   suddetto decreto ha concesso sei mesi di tempo per adempiere ai nuovi obblighi di trasparenza, che diventeranno pertanto pienamente operativi dal 23 dicembre 2016, come previsto dall'articolo 42, comma 1, del decreto legislativo n. 97 del 2016;

   nonostante ciò, la sezione web «amministrazione trasparente» dell'Istituto agronomico per l'oltremare di Firenze risulta, ad avviso dell'interrogante, molto carente delle informazioni obbligatorie relative al profilo del presidente e agli altri organi di indirizzo politico amministrativo, già previste dal decreto legislativo n. 33 del 2013: dal trattamento economico alla dichiarazione dei redditi, dalla dichiarazione di inconferibilità e incompatibilità ai tassi di assenza aggiornati al 2016 –:

   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative di competenza intenda adottare affinché si proceda alla pubblicazione dei dati mancanti da parte dei dirigenti dell'Istituto, nonché all'avvio della procedura disciplinare nei confronti dei dirigenti responsabili, prevista in caso di violazione dei suddetti obblighi di pubblicazione.
(4-14998)

  Risposta. — Nell'atto parlamentare si denuncia la mancata pubblicazione, sul sito dell'Istituto agronomico per l'oltremare di Firenze (IAO), dei dati di cui agli articoli 14 e 16 del decreto legislativo n. 33 del 2013 così come modificato dal decreto legislativo n. 97 del 2016, relativi ai suoi organi di indirizzo politico-amministrativo e ai dirigenti.
  L'Iao è stato soppresso a partire dal 1o gennaio 2016 ai sensi dell'articolo 32 comma 6 della regge 11 agosto 2014 n. 125, e «le sue funzioni e le inerenti risorse umane, finanziarie e strumentali, compresi i relativi rapporti giuridici attivi e passivi, sono stati contestualmente trasferiti all'Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (AICS), senza che sia stata esperita alcuna procedura di liquidazione, anche giudiziale».
  Sul rispetto da parte dell'Aics degli obblighi imposti dalla normativa vigente sulla trasparenza, consultata l'Anac e fatte le opportune verifiche sul sito dell'agenzia, quest'ultima ha precisato quanto segue:

   Il sito Aics recepisce il dettato dell'articolo 14 comma 1, lettere a), b), c), d) ed e) del decreto legislativo n. 33 del 2013 per il direttore e per i dirigenti. Con riguardo a tali cariche sono pertanto pubblicati: l'atto di nomina, con indicazione della durata dell'incarico o del mandato elettivo (a); il curriculum (b); i compensi di qualsiasi natura connessi all'assunzione della carica; (c); la presenza o meno di altre cariche (d) o incarichi (e) con oneri a carico della finanza pubblica. Per il direttore sono anche indicati gli importi di viaggi e missioni pagati con soldi pubblici nel 2016 (dato richiesto all'articolo 14, comma 1 lettera c) (secondo periodo) da intendersi in vigore per la sola carica apicale).

   Per quanto riguarda i tassi di assenza del personale a tempo indeterminato (articolo 16 decreto legislativo n. 33 del 2013) sul sito dell'Aics esiste una apposita sezione nella rubrica «Personale». In questa sono presenti i dati relativi al trimestre luglio-settembre 2017 e quelli complessivi relativi all'anno 2016.

  L'Aics ha, inoltre, indicato che, a seguito di ricorso al Tar del Lazio, i giudici amministrativi hanno deciso in via definitiva con effetto dal 2 aprile 2017 di bloccare l'efficacia delle note con cui il segretario generale del Garante aveva chiesto di fornire i dati patrimoniali dei dirigenti; si tratta delle informazioni prescritte all'articolo 14 comma 1 lettera f), cioè la dichiarazione concernente i diritti reali sui beni immobili o mobili registrati, la titolarità di imprese, azioni, e altro e la copia dell'ultima dichiarazione dei redditi. L'agenzia ha, pertanto, ritenuto di non pubblicare tali notizie. La decisione è stata in seguito suffragata dalla delibera n. 382 del 12 aprile 2017, con cui l'Anac ha sospeso l'efficacia di una sua precedente delibera (n. 241/2017) limitatamente alle indicazioni relative all'applicazione dell'articolo 14, comma 1, lettera c) ed f) del decreto legislativo n. 33 del 2013 per tutti i dirigenti pubblici, compresi quelli del Ssn. Tali punti di vista sono stati inoltre rafforzati dalla sentenza del TAR Lazio, sezione I quater, 19 settembre 2017 n. 9828.
  

Il Viceministro degli affari esteri e la cooperazione internazionale: Mario Giro.


   CIRIELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   il giglio marino è una pianta erbacea, bulbosa, che nasce spontaneamente sulle nostre spiagge e in molte regioni è tutelata come specie protetta; fa parte dell'ecosistema dunale delle spiagge, con le sue radici trattiene la sabbia dall'erosione e la sua impollinazione avviene mediante una falena, solo quando il vento spira al di sotto dei 2 chilometri orari; i suoi fiori bianchi e profumati, da giugno a settembre, tappezzano le nostre dune o quello che ne rimane delle stesse;

   Angelo Vassallo, sindaco di Pollica, in provincia di Salerno, ucciso il 5 settembre 2010, aveva capito l'importanza e la bellezza di questa pianta erbacea e così sulla spiaggia di Acciaroli era riuscito a gestire un'area di 1450 metri quadrati per amministrare l'area intraprese contro il Demanio un'azione legale fino ad arrivare al Tar per avere l'agognata «concessione»; un'area dove il suo comune pagava un canone al demanio;

   il 29 maggio 2011 la Fondazione Angelo Vassallo, seguendo tutto l’iter burocratico-legale, delimitò con una recinzione in pali di castagno e a proprie spese, l'area del giglio marino, al fine di preservare l'area, mentre l'amministrazione di Pollica conservava il compito di manutenerla e proteggerla dai vandali; per la prima volta l'area era interdetta al passaggio, al calpestio e alla raccolta dei fiori;

   dopo soli 2 anni, nel luglio 2013, l'area subì un primo scempio con il passaggio di mezzi meccanici che distrussero la parte limitrofa all'area e una parte dell'area stessa; la staccionata che delimitava l'area non esisteva più: la Fondazione comunicò a mezzo stampa l'accaduto senza sortire alcun effetto; l'unico che cercò di giustificare l'accaduto fu l'attuale sindaco di Pollica, Stefano Pisani, adducendo come scusante che non c'era stato nessuno scempio, anzi egli con la sua azione meritoria provvedeva a tutelare il giglio marino;

   nel luglio 2015 la Fondazione documentò il completo abbandono dell'area del Giglio Marino e dell'area limitrofa con una serie di foto che evidenziavano la realizzazione di due camminatoi, sentieri, che da due case private poste a monte della spiaggia, attraversavano l'area del giglio marino e l'area attigua; si tratta di sentieri che servivano e che servono ai residenti delle case per accedere comodamente alla spiaggia e al mare; inoltre, si metteva in luce la colonizzazione di erbacce e piante infestanti, la presenza di materiale di risulta, pietre, cemento, ghiaia, di buste di plastica e contenitori di plastica;

   ad aggi la situazione che si presenta è davvero desolante: un'area di pochi metri in completo abbandono, con i sentieri presenti nel 2015 diventati praticamente autostrade;

   il comune di Pollica, titolare della concessione, doveva provvedere alla protezione, tutela e manutenzione della stessa area –:

   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa, quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere per favorire la protezione dell'area del giglio marino, diventato il simbolo identitario del «sindaco pescatore».
(4-17771)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa alla tutela del giglio di mare sulle spiagge di Pollica (Salerno), sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  Il giglio di mare
(Pancratium maritimum) è una pianta geofita bulbosa della famiglia delle Amaryllidaceae, che cresce spontaneamente sui litorali sabbiosi del Mar Mediterraneo e del Mar Nero.
  La specie, seppur importante e caratteristica nella formazione delle dune litoranee poste generalmente entro i 50 metri dalla linea di battigia, tipica degli habitat codice 2110 «Dune mobili embrionali» e 2210 – «Dune fisse del litorale del
Crucianellion maritimae», non rientra negli allegati delle specie direttamente tutelate dalla direttiva 92/43/CEE «Habitat», sulla cui applicazione il Ministero dell'ambiente svolge attività di vigilanza.
  Tra l'altro, il litorale di Pollica non è caratterizzato dalla presenza di alcun sito della rete natura 2000.
  Allo stato attuale, la
P. maritimum non risulta peraltro ancora catalogata dalla IUCN come specie minacciata a livello dell'areale (NE – Not Evaluated) e non inserita nella lista rossa della flora italiana, tuttavia risulta protetta in alcune regioni italiane nelle proprie liste floristiche.
  Premesso dunque che la questione esula dalle dirette competenze del Ministero dell'ambiente, lo stesso ha provveduto ad interessare gli enti locali competenti.
  Al riguardo, l'autorità comunale, con nota del 28 novembre 2017, ha comunicato di aver sempre preservato e di continuare a preservare «le aree di tutto il litorale in cui è presente il giglio di mare, assicurando la pulizia ordinaria con apposito personale e con interventi pure mirati e straordinari con Associazione Ambientaliste nell'ambito delle manifestazioni “Puliamo il Mondo”, anche con la presenza delle scuole del territorio».
  Inoltre la medesima autorità comunale ha chiarito che:

   «l'area si presenta libera e pulita, con la vegetazione che cresce spontanea ed indisturbata»;

   dette aree di interesse vegetazionale sono inserite «nelle ordinanze balneari, nei regolamenti per il demanio marittimo e nelle concessioni demaniali, come aree da preservare, manutenere e tutelare, anche come conditio sine qua non per il rilascio delle concessioni demaniali medesime»;

   «la stagione estiva, appena trascorsa, ha visto anche il potenziamento di apposito servizio di vigilanza, tutela e rispetto del litorale, delle dune e della vegetazione di riferimento, senza che nulla fosse lasciato al caso o alla mancata tutela».

  Alla luce di quanto rappresentato dal comune di Pollica, risulta dunque che l'Amministrazione comunale abbia posto in essere diverse azioni di tutela per la specie oggetto di approfondimento.
  Della questione sono, comunque, interessate anche altre amministrazioni territorialmente competenti, pertanto laddove dovessero pervenire nuovi elementi informativi, si provvederà ad un aggiornamento.
  Ad ogni modo, si rassicura che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare continuerà a svolgere la propria attività, senza ridurre il livello di attenzione sulla questione.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   CIVATI, ANDREA MAESTRI, BRIGNONE e PASTORINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   nel mese di dicembre 2017, Total E&P S.p.a., insieme a Mitsui S.p.a. e Shell, inaugureranno l'entrata in produzione del giacimento «Tempa Rossa», insediamento produttivo strategico e di preminente interesse nazionale, per una produzione stimata di 5.000 barili di petrolio al giorno, situato nel comune di Corleto Perticara (Potenza);

   il progetto comprende la lavorazione e lo stoccaggio del greggio nel Centro Oli di Corleto Perticara – ancora in fase di costruzione – e nella Raffineria Eni di Taranto, il cui utilizzo è stato bloccato dalla regione Puglia, che ha posto il veto sul progetto di ampliamento dell'infrastruttura;

   in assenza di una soluzione di lavorazione e stoccaggio vicina al giacimento, Total ha annunciato che, fin quando non sarà completata la costruzione del Centro Oli di Corleto Perticara, trasporterà gli oli estratti in due siti di sua proprietà, Raffineria di Roma S.p.a. e Falconara Marittima, utilizzando circa 170 autobotti al giorno. Ciò determinerà un gravissimo impatto ambientale in termini di inquinamento atmosferico, e renderà ancor più insostenibile la produzione di idrocarburi;

   particolarmente complicata, tuttavia, si presenta la situazione dell'impianto Raffineria di Roma S.p.a., situato a Malagrotta, che ad oggi produce bitume per le piste degli Aeroporti di Roma, contribuendo notevolmente all'inquinamento atmosferico e idrico del territorio della Valle Galeria, già gravemente compromessa dai numerosi impianti industriali e dalla tristemente famosa discarica;

   per poter lavorare e stoccare il grezzo nell'impianto romano, Total ha introdotto un procedimento di verifica di assoggettabilità a Via per «Implementazione di un sistema logistico per la ricezione, stoccaggio ed esportazione di greggio presso il sito della ex raffineria di Roma», determinando l'indignazione degli abitanti della zona e di alcune associazioni, che hanno presentato osservazioni in merito alla pericolosità legata all'ampliamento e alla messa in produzione del sito;

   in particolare, già Total ha previsto emissioni inquinanti atmosferiche, acustiche e idriche sia in fase di cantiere che in fase di esercizio, le quali comprometterebbero definitivamente il territorio, già sottoposto a fortissimo rischio idrogeologico, e dove, tra l'altro, insiste il sito di interesse Comunitario «Macchia Grande di Ponte Galeria» rientrante nella rete di siti protetti «Natura 2000» e nella Riserva naturale statale «Litorale Romano»;

   le osservazioni presentate dalle associazioni ambientaliste denunciano lo stato di quasi totale abbandono dell'impianto da parte di Totale, le numerose fuoriuscite di idrocarburi nel Rio Galeria, nonché sarebbe stata rilevata, a quanto consista agli interroganti, una quantità considerevole di furti o tentativi di furto di carburante dalle condotte interrate, che, a causa degli allagamenti repentini a cui la zona è soggetta, si spezzano o deteriorano;

   in questo quadro, contrasterebbe con l'obiettivo di tutela dell'ambiente e della salute dei cittadini, concedere a Total S.p.a. di sfruttare ulteriormente un territorio già compromesso da punto di vista ambientale, senza operare le necessarie bonifiche a suo carico, abbandonando buona parte dell'impiantistica, causando numerose compromissioni di acque e terreni agricoli. Inoltre, ci si interroga sull'opportunità di permettere a Total S.p.a. di trasportare 170 autobotti al giorno sulla rete stradale, determinando un notevole impatto ambientale, in contrasto con la transizione sostenibile ed ecologica della produzione di energia –:

   se il Governo sia a conoscenza della situazione esposta in premessa e se non intenda attivarsi, per quanto di competenza, ai fini della definizione di una soluzione alternativa al trasporto del greggio presso la Raffineria di Roma;

   se non ritenga urgente assumere iniziative, per quanto di competenza, al fine di monitorare lo stato di inquinamento dell'area sopra richiamate dovuto allo stato di quasi totale abbandono del medesimo impianto.
(4-18333)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare, per quel che concerne il «Programma delle infrastrutture strategiche (legge n. 443/2001) opere per lo sviluppo del giacimento di idrocarburi denominato “Tempa Rossa”» di cui alla delibera Cipe del 23 marzo 2012 e di cui fa parte la concessione «Gorgoglione» e quindi il centro oli di Corleto Perticara, il Ministero dello sviluppo economico ha precisato quanto di seguito.
  La soluzione progettuale iniziale per il trasporto del greggio prodotto nell'ambito della concessione Gorgoglione prevede il trasferimento, mediante oleodotto, alla raffineria Eni di Taranto, all'interno della quale devono essere tuttavia realizzati alcuni lavori di adeguamento delle strutture logistiche per permettere lo stoccaggio ed il carico del grezzo su navi petroliere.
  Non essendo ancora concluso il procedimento di autorizzazione dei predetti lavori di adeguamento, della durata di almeno due anni, la Total E&P s.p.a., rappresentante unico per il titolo minerario in argomento, ha in un primo momento individuato, come soluzione temporanea alternativa, la realizzazione di un centro di carico per autobotti in area attigua al costruendo centro olio, che permetterebbe di trasferire una parte del greggio tramite autobotti ai terminali costieri.
  Stante quanto indicato dalla società, la movimentazione via autobotti della produzione del greggio comporterebbe una possibilità di trasferimento di circa 20.000 Bopd contro una previsione di produzione di 50.000 Bopd previsti dal progetto con il trasferimento via oleodotto.
  Il Ministero dello sviluppo economico, ritenendo la soluzione indicata dalla società una diversa modalità di convogliamento del greggio, rispetto a quanto previsto nell'iniziale programma lavori, con conseguente riduzione della produzione, ha richiesto alla stessa società una specifica istanza di variazione del programma dei lavori relativo al progetto Tempa rossa.
  In riscontro a tale richiesta, il rappresentante unico ha comunicato di aver sottoscritto con la società Eni un accordo per utilizzare le infrastrutture esistenti presso la raffineria di Taranto, rendendo così possibile la ricezione, il trattamento e l'esportazione del greggio Tempa rossa nel corso del 2018 e del 2019, per un quantitativo pari alla capacità produttiva del greggio di 50.000 barili al giorno, seppur con rigidi vincoli operativi all'interno, dovuti alle preesistenti operazioni di raffineria.
  Sempre secondo quanto riferito dal Ministero dello sviluppo economico, la società ha specificato che l'utilizzo delle autobotti, e quindi del centro di carico, rappresenta una misura aggiuntiva e complementare rispetto a quella tramite oleodotto, da utilizzarsi solo nei casi strettamente necessari, di indisponibilità della raffineria o dell'oleodotto a ricevere il greggio.
  Rimane comunque necessario per il Ministero dello sviluppo economico acquisire istanza di variazione dell'iniziale programma lavori nonché specifica documentazione tecnica pertinente, al fine di procedere alla relativa istruttoria, eventualmente anche previa consultazione della commissione per gli idrocarburi e le risorse minerarie, e all'eventuale decretazione finale che tenga conto di ogni aspetto, ivi compreso quello ambientale, nel rispetto della vigente normativa di settore.
  A tale riguardo, si precisa che il procedimento di verifica di assoggettabilità a Via presentato ai sensi dell'articolo 19 del decreto legislativo n. 152 del 2006 dalla società Raffineria di Roma S.p.A. per il progetto «Implementazione di un sistema logistico per la ricezione, stoccaggio ed esportazione di greggio presso il sito della ex-raffineria di Roma» si è concluso con determinazione direttoriale del 10 gennaio 2018 resa sulla base degli esiti del parere della commissione tecnica di Verifica dell'impatto ambientale – Via e Vas n. 2588 del 18 dicembre 2017, con cui è stata determinata la necessità di assoggettamento alla procedura di Valutazione dell'impatto ambientale del progetto sopra richiamato.
  La documentazione progettuale ed amministrativa presentata dalla società proponente nel corso del procedimento di verifica di assoggettabilità alla VIA, insieme con le osservazioni dei soggetti interessati, le controdeduzioni presentate dalla società, la documentazione di chiarimento predisposta volontariamente, il parere n. 2588 della commissione tecnica – Via e Vas e la determinazione direttoriale sono pubblicate sul portale delle valutazioni ambientali del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.
  Per quanto concerne il procedimento di Valutazione di impatto ambientale per l'intervento «Realizzazione di baie di carico auto-cisterne per trasferimento greggio stabilizzato dal Centro Oli “Tempa Rossa” e la posa di due condotte interrate di collegamento» presentato dalla società Total E&P Italia S.p.A. in data 11 agosto 2017, ai sensi degli articoli 167, comma 5 e 183 del decreto legislativo n. 163 del 2006, per quanto applicabile ai sensi dell'articolo 216 del decreto legislativo n. 50 del 2016, lo stesso è tuttora all'esame istruttorio presso la commissione tecnica di Verifica dell'impatto ambientale – Via e Vas del Ministero dell'ambiente.
  La documentazione progettuale ed amministrativa presentata dalla società Total E&P Italia S.p.A. nel corso del procedimento di compatibilità ambientale, insieme con le osservazioni del pubblico pervenute al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sono pubblicate anch'esse sul portale delle valutazioni ambientali dello stesso Ministero.
  Nel corso dell’
iter istruttorio di valutazione ambientale del progetto presentato da Total E&P Italia S.p.A. saranno naturalmente tenute in debita considerazione tutte le osservazioni e i pareri presentati da soggetti privati ed enti pubblici, unitamente alle controdeduzioni che la società proponente è tenuta a trasmettere prima della conclusione dei procedimenti.
  Alla luce delle informazioni esposte, si rassicura comunque che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare continuerà a svolgere le proprie attività, senza ridurre il livello di attenzione sulla questione.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   CORDA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   il colosso Ceco dell'energia EPH rappresenta una delle più importanti realtà produttive della Sardegna nord-occidentale. A seguito della dismissione dei gruppi 1 e 2 della centrale termoelettrica di Fiume Santo (Sassari) è stato deciso di procedere alla demolizione dei gruppi stessi mediante la tecnica delle esplosioni controllate;

   la centrale è dotata di sistemi ambientali molto avanzati in grado di abbattere gli elementi inquinanti, ma il problema deriva dal fatto che il sito delle lavorazioni dista solo poche centinaia di metri (600) dai siti di importanza comunitaria «Stagno di Pilo» e «Stagno di Casaraccio» (ITB010002);

   gli stessi siti rientrano tra le aree naturali protette della provincia di Sassari e sono entrambi due delle più importanti aree umide del nord Sardegna; infatti ospitano diverse specie nidificanti, tra i quali l'airone rosso ed il tarabusino;

   inoltre risultano di fondamentale importanza per lo svernamento del fenicottero rosa e di diversi anatidi migratori;

   considerando la vicinanza a queste aree strategiche per la tutela della fauna e della flora di importanza europea, l'uso di cariche esplosive metterebbe a rischio l'ambiente e la salute pubblica, in quanto le esplosioni produrrebbero polveri altamente nocive e contaminanti che si disperderebbero nell'aria e contaminerebbero il suolo causando danni tanto per il territorio, quanto per gli esseri animali e vegetali presenti in queste zone –:

   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti e se abbia adottato o intenda adottare iniziative idonee al fine di tutelare questi siti di interesse comunitario e prevenire eventuali ricadute negative che potrebbero ripercuotersi su tutto l'ambiente e il territorio circostante e sugli essere animali che vi abitano ed, in particolare, sull'avifauna presente;

   se si intenda assumere ogni iniziativa di competenza per favorire una revisione del progetto di demolizione mediante l'utilizzo di cariche esplosive, sostituendolo magari con altre modalità di smantellamento che potrebbero avere inoltre ripercussioni positive anche in ambito economico-sociale.
(4-17343)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, o inerente la demolizione mediante esplosivi di due gruppi della centrale termoelettrica di fiume Santo (SS), in prossimità del SIC ITB10002 «Stagno di Pilo e di Casaraccio» e in un'area in cui è presente, altresì, la ZPS ITB013012 «Stagno di Pilo, Casaraccio e Saline di Stintino», sulla base degli elementi acquisiti dall'agenzia regionale per la protezione dell'ambiente della Sardegna (Arpas), si rappresenta quanto segue.
  Nel marzo 2017, a seguito di informazione degli organi di stampa, Arpas ha inviato alla 6a commissione del comune di Sassari e per conoscenza agli altri Enti competenti, una nota nella quale ha manifestato perplessità in ordine alla variante del piano di
decommissioning riguardante la demolizione con esplosivo della ciminiera dei gruppi 1 e 2, proponendosi per un incontro tecnico finalizzato alla discussione del problema degli impatti ambientali.
  Il 19 maggio 2017 si è tenuta, pertanto, presso l'assessorato dell'ambiente della regione Sardegna una riunione tecnica tra funzionari del servizio valutazioni ambientali e rappresentanti della società Fiumesanto s.p.a. nella quale gli uffici regionali hanno esaminato la problematica constatando, sulla base di quanto proposto dalla società proponente, che la variante si è resa necessaria a seguito dei cedimenti riscontrati nel rivestimento interno della ciminiera, e dei notevoli deterioramenti delle caldaie, tali da non rendere percorribile l'esecuzione delle demolizioni meccaniche in sicurezza.
  Successivamente, con nota del 12 luglio 2017, l'assessorato dell'ambiente della Regione Sardegna, Servizio valutazioni ambientali, ha informato Arpas dell'avvenuta approvazione della richiesta di variante con documento Dgda n. 12100 del 12 giugno 2017, con l'invito a voler porre in essere tutte le attività di competenza.
  Sulla base di quanto indicato dalla regione, il dipartimento Arpas di Sassari e Gallura ha convocato per il 10 agosto un primo incontro per valutare la variante di progetto e indicare i presidi di mitigazione degli eventuali impatti ambientali e le procedure di controllo.
  Ad esito dell'incontro del 10 agosto, nel quale, oltre alla società hanno presenziato la provincia di Sassari e il comune di Sassari, è stato chiesto alla Fiumesanto s.p.a. di produrre un documento di dettaglio che riportasse un idoneo progetto di monitoraggio
ante e post operam degli impatti sull'aria ambiente e sulle acque legati all'intervento di demolizione, una adeguata descrizione progettuale dei presidi utilizzati per contenere al massimo la diffusione di polveri nell'ambiente circostante e la dispersione di acque potenzialmente contaminate nel sito di demolizione. Detto elaborato progettuale in bozza è stato successivamente discusso e condiviso in un ulteriore incontro tecnico tenutosi il 16 novembre 2017.
  Della questione sono, comunque, interessate diverse amministrazioni, pertanto, non appena perverranno ulteriori, significativi, elementi informativi, si provvederà a fornire un aggiornamento.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a tenersi informato e a svolgere un'attività di monitoraggio, anche al fine di valutare un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   CORDA e BASILIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   già dagli anni Novanta è nota la vicenda del cosiddetto «sarcofago della morte» sito nel tratto di strada delle 131 tra Sanluri e Sardara che continua incessantemente a scaricare veleni nei campi sardi per chilometri e chilometri. Si tratta di una vicenda oltre che di malaffare anche di disinteresse totale della politica locale;

   quella che doveva essere una grande opera di smaltimento si è rivelata una frode in pubbliche forniture. Secondo la procura di Cagliari la Sardinia Gold Mining avrebbe venduto il materiale di scarto della produzione aurifera nella miniera di Santu Miali. Un affare di smaltimento che avrebbe consentito ai protagonisti della vicenda un guadagno smisurato;

   la politica non è esente da colpe. Ci si chiede perché l'allora presidente della regione Mauro Pili, nonostante non sia mai stato coinvolto in nessuna indagine della magistratura, non abbia mai indagato sulla vicenda e come sia stato possibile che non sapesse niente della questione, considerato che la regione deteneva il 30 per cento della suddetta società;

   lo stesso Ugo Cappellacci, ex presidente della Sardinia Gold Mining ed ex presidente della regione Sardegna, nonostante fosse a conoscenza della vicenda, non ha minimamente pensato a prendere i provvedimenti necessari per risolvere questo disastro. Gli stessi rilievi possono essere mossi nei confronti dell'attuale assessore all'ambiente Donatella Spano che, ad avviso degli interroganti, mai ha posto, fino ad oggi, la sua attenzione su tale grave situazione –:

   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti e se abbia adottato o intenda adottare iniziative, per quanto di competenza, al fine di evitare un disastro ambientale preannunciato, ponendo fine al continuo sversamento di scorie tra le campagne sarde tra cui mercurio, cadmio, arsenico e altri metalli cancerogeni.
(4-17789)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  Nel 2009, a seguito di richiesta dell'autorità giudiziaria, Arpa Sardegna dipartimento di Cagliari ha svolto un sopralluogo congiunto con il Nucleo operativo ecologico di Cagliari sul tratto di strada della strada statale 131 compreso tra il comune di Sanluri e il comune di Sardara, nell'area dal km 47.3 sino al km 56. Durante il sopralluogo, a cui hanno partecipato incaricati Anas, sono stati prelevati n. 5 campioni di rilevati stradali e 5 campioni di acque superficiali nei canali di raccolta. In sintesi i risultati delle determinazioni analitiche sono stati i seguenti: superamenti delle Csc Tab. 1 B, in 1 campione di rilevato (1815) per il mercurio, 17 mg/kg; elevati valori in 3 campioni di acque dei canali di raccolta confluenti nel rio S'Acqua Cotta per as, cu, solfati e ph acido; i campioni prelevati nelle acque superficiali dei corsi d'acqua non hanno invece mostrato superamenti.
  Gli esiti dei sopralluoghi sono stati trasmessi all'autorità giudiziaria.
  Sempre secondo quanto riferito dall'Arpas, il 22 dicembre 2015, a seguito della richiesta di Anas, si è tenuto un tavolo tecnico congiunto presso il compartimento Anas di Cagliari, presenti Arpas dipartimento di Cagliari, Arpas Dts, Regione Sardegna servizio bonifiche e Provincia del medio campidano. A seguito del predetto incontro, Anas ha elaborato ed inviato, nel febbraio 2016, un piano delle indagini preliminari da svolgere sul tratto della strada statale 131 tra Sanluri e Sardara.
  L'indagine preliminare, ai sensi dell'articolo 242, comma 2, e dell'articolo 245 del decreto legislativo n. 152 del 2006, consisterà nell'esecuzione di 12 sondaggi a carotaggio con l'obbiettivo di campionare interamente i rilevati potenzialmente contaminati e il suolo superficiale sottostante. Sono previste anche campionature delle acque sotterranee su 14 stazioni individuate dal progetto. Sui campioni prelevati verranno eseguite analisi chimiche su una suite di metalli concordata e successivi test di cessione ed acido base per caratterizzare i materiali in funzione delle eventuali successive indagini e interventi di bonifica.
  Il 20 aprile 2016, la Provincia del Medio Campidano ha fornito un parere favorevole in relazione alla proposta di indagine preliminare presentata da Anas. Il parere è stato sottoscritto congiuntamente dalla Provincia del Medio Campidano, Arpas e regione Sardegna, con una serie di indicazioni integrative.
  Anas deve quindi provvedere, per competenza, all'esecuzione delle indagini ambientali previste sul tratto della strada statale 131 e sue pertinenze, dal chilometro 47+00 al chilometro 58+500, comunicandone il cronoprogramma agli enti.
  La regione Sardegna è in attesa degli esiti delle indagini ambientali da parte di Anas, sollecitati dalla regione con nota del 6 settembre 2017, alla quale l'azienda medesima ha risposto in data 14 settembre 2017, comunicando di essere prossima all'appalto delle suddette indagini e che per l'esecuzione delle stesse sono previsti 67 giorni dal verbale di consegna. Si evidenzia, a tale proposito, che per poter pianificare qualsiasi intervento di bonifica o messa in sicurezza è necessario disporre degli esiti delle indagini di caratterizzazione.
  Della questione sono comunque interessate diverse amministrazioni, pertanto, qualora dovessero pervenire ulteriori elementi informativi, si provvederà a fornire un aggiornamento.
  Alla luce delle informazioni esposte, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a tenersi informato e a svolgere un'attività di monitoraggio, anche al fine di valutare un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.
  

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   CORDA, BASILIO e RIZZO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   sono ormai giorni che alcuni quartieri di Quartu S. Elena sono appestati da odori nauseabondi. Il fumo tossico che avvolge la città è generato dalla combustione, lenta e pervicace, di rifiuti di varia natura e sostanze non conosciute nella zona umida d'importanza internazionale di Molentargius;

   si tratta di autocombustione di rifiuti, innescata dai gas sotterranei che si sono generati dopo che l'acqua dello stagno di Molentargius si è ritirata. Le esalazioni di combustione di tali sostanze di vario tipo stanno generando un vera e propria emergenza, mettendo a rischio la salute pubblica dei cittadini;

   non si spiega come sia possibile che l'area di Molentargius, parco naturale regionale tra i più importanti d'Europa, zona umida d'importanza internazionale, che dovrebbe rappresentare un'area incontaminata e protetta, possa essere adibita a discarica di veleni –:

   se il Ministro interrogato abbia intenzione di attivare in modo repentino le necessarie iniziative di competenza per verificare, per il tramite del comando carabinieri per la tutela dell'ambiente, lo stato del territorio in questione in ragione della gravità della situazione riportata e delle conseguenze nocive che potrebbero da essa derivarne per la salute pubblica e individuare le cause di tale disastroso inquinamento.
(4-17900)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame sulla base degli elementi forniti dalla regione Sardegna, si rappresenta quanto segue.
  Occorre evidenziare, in via preliminare, che il parco regionale del Molentargius è un'area umida estesa su un territorio di circa 1600 ettari, delimitata dall'espansione urbana dei comuni di Cagliari, Quartu Sant'Elena, Selargius, Quartucciu e dal lungomare del Poetto. Nasce nel 1999 (legge regionale n. 5 del 26 febbraio 1999) con l'obiettivo di tutelare e valorizzare un sito di interesse internazionale, già inserito dal 1977 nella convenzione Ramsar per la sua rilevanza come luogo di sosta, svernamento e nidificazione di numerose specie di uccelli acquatici.
  Nell'area sono presenti bacini sia di acqua dolce che salata, separati dalla piana di Is Arenas. Le zone ad acqua dolce sono costituite dagli stagni di «Bellarosa Minore» e «Perdalonga», nati come vasche di espansione delle acque meteoriche. Le zone di acqua salata comprendono gli specchi d'acqua dell'ex sistema produttivo delle Saline di Stato di Cagliari, costituiti dal «Bellarosa Maggiore» o «Molentargius», dallo Stagno di Quartu, dalle altre vasche salanti (saline di Cagliari) e dal «Perda Bianca».
  Con specifico riferimento al caso in questione, la regione Sardegna ha fatto presente che in data 18 settembre 2017, il comune di Quartu segnalava la presenza nell'aria di odori altamente sgradevoli e soffocanti, causati dal persistere delle emissioni di fumi provenienti dall'area del Molentargius, manifestando la necessità di monitorare l'aria ed effettuare accertamenti circa l'eventuale rischio per la salute pubblica.
  Il sindaco del comune di Quartu Sant'Elena ha rivolto, quindi, al prefetto di Cagliari la richiesta di urgente convocazione di un tavolo tecnico per intraprendere eventuali azioni tese alla tutela della salute pubblica.
  In data 19 settembre, il prefetto di Cagliari ha provveduto a convocare un tavolo tecnico avente ad oggetto «problematica relativa all'emissione di fumi nel Marco di Molentargius – Quartu Sant'Elena», costituito dai rappresentanti degli enti ed organismi tecnici coinvolti per rispettive competenze, per procedere agli urgenti interventi ritenuti necessari.
  In pari data, personale afferente al Servizio di igiene e sanità pubblica dell'Assl di Cagliari dell'ATS (Azienda per la tutela della salute della Sardegna) ha eseguito un sopralluogo presso il sito di Molentargius ed ha accertato che i fumi acri ed intensi interessavano un'area urbana per un raggio di circa 500 metri, entro, i quali ricadono una scuola e diverse strutture sanitarie. Pertanto, il Servizio igiene e sanità pubblica dell'Assl di Cagliari ha prontamente trasmesso al sindaco di Quartu Sant'Elena alcuni suggerimenti precauzionali in attesa di avere ulteriori elementi utili sui materiali brucianti e sulla composizione dei fumi derivati.
  In data 20 settembre 2017, il sindaco di Quartu Sant'Elena ha convocato presso il Centro operativo comunale (Coc) un ulteriore tavolo tecnico, al fine di valutare le azioni da intraprendere per fronteggiare la situazione emergenziale.
  In tale riunione si è stabilito di provvedere con somma urgenza alla copertura dell'area interessata dall'incendio con una coltre di terra ed argilla, al fine di far cessare l'emissione dei fumi. Tale intervento è stato attuato con la massima celerità nei giorni seguenti.
  Il C.o.c si è riunito anche nelle seguenti date: 22 settembre 2017, 26 settembre 2017, 29 settembre 2017.
  Nell'incontro del 22 settembre, sono stati evidenziati, da parte degli enti competenti, dei problemi logistici per lo spegnimento dei focolai. Stanti tali difficoltà, Arpas ha attivato immediatamente la procedura per l'utilizzo del mezzo mobile per il monitoraggio della qualità dell'aria Giornalmente sono state rilevate le concentrazioni delle seguenti sostanze: SO21 NOx1 CO31 O31 PM10 BTX, le quali non presentavano nessun superamento dei limiti normativi.
  Con riferimento alla determinazione delle diossine ed Ipa, i campioni da analizzare sono stati inviati presso l'Arpa Piemonte per le analisi di laboratorio.
  Nella seduta del 29 settembre 2017, il Sindaco «sulla base delle risultanze degli approfondimenti emersi nella presente seduta, ha dichiarato chiusa l'emergenza sanitaria», sulla base delle comunicazioni dell'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente (Arpas) sulla qualità dell'aria e del servizio igiene pubblica della Assl del 28 settembre, con conseguente revoca delle ordinanze sindacali assunte.
  In data 18 ottobre 2017 sono pervenuti i risultati dei campioni eseguiti nel periodo dal 26 settembre 2017 al 2 ottobre 2017 dai quali non si rileva alcuna criticità; in data 26 ottobre 2017 sono pervenuti i risultati dei campioni eseguiti nel periodo dal 3 ottobre 2017 al 9 ottobre 2017 dai quali non si rileva alcuna criticità; sono ancora in corso le analisi dei campioni prelevati successivamente al 9 ottobre 2017.
  In data 2, 3 e 4 ottobre 2017 personale tecnico del dipartimento di Cagliari e Medio Campidano, congiuntamente al corpo forestale e di Vigilanza Ambientale (CFVA) della stazione di Cagliari, ha effettuato un sopralluogo e dei campioni di suolo presso il sito in argomento per l'indagine preliminare che precederà il Piano di caratterizzazione e quindi la bonifica.
  In data 2 ottobre 2017 ARPAS – Dipartimento di Cagliari e Medio Campidano, ha effettuato un sopralluogo congiunto con il Cfva della Stazione di Cagliari e con l'ente parco di Molentargius, al fine di constatare la fattibilità dell'avvio dell'indagine preliminare ambientale. Nel corso di tale intervento, è stata verificata la completa copertura con materiale di cava dell'area interessata dall'incendio e la realizzazione di una trincea prevista per evitare l'ulteriore propagazione della combustione. Tale intervento ha evidenziato, da un esame visivo, la presenza nel materiale escavato di rifiuti urbani domestici.
  In data 4 e 5 ottobre 2017 sono stati effettuati ulteriori accertamenti per la realizzazione del piano di indagine preliminare previsto. In seguito alla presa visione dell'estensione del sito in esame sono stati individuati nove punti di indagine localizzati sulla base di un criterio di tipo casuale.
  Dopo aver individuato e georeferenziato le nove stazioni di campionamento, posizionati i relativi picchetti, si è proceduto alla realizzazione dei pozzetti. Tali pozzetti sono stati spinti sino alla profondità da 1,10 a 1,60 metri dal piano campagna, sino ad intercettare l'orizzonte delle argille limose/limi argillosi e con dimensione media di 1,20 x 1,20 metri.
  I campioni sono stati prelevati lungo il fronte di scavo, evitando lo strato di materiale di cava posizionato in superficie. Sono stati prelevati in totale: sei campioni di
top soil e nove campioni di suolo superficiale sino al fondo scavo.
  Il materiale, una volta prelevato e omogeneizzato, è stato disposto in appositi contenitori, opportunamente conservati e inviati al laboratorio Arpas di Cagliari e all'Arpa Piemonte per le determinazioni analitiche. Le operazioni analitiche sono in corso di esecuzione.
  Della vicenda sono interessate diverse amministrazioni, pertanto, qualora dovessero pervenire ulteriori elementi informativi, si provvederà a fornire un aggiornamento.
  Alla luce delle informazioni esposte, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà, comunque, a svolgere un'attività di monitoraggio, nonché a tenersi informato anche attraverso gli altri Enti istituzionali competenti.
  

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   DAGA, TERZONI, MICILLO, BUSTO, ZOLEZZI, DE ROSA e VIGNAROLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   l'Onu ha dichiarato il diritto all'acqua un diritto universale e fondamentale, ha sottolineato che l'acqua potabile e per uso igienico è un diritto essenziale relativo alla dignità della persona e raccomanda agli Stati di attuare iniziative per garantire acqua potabile di qualità, accessibile, economica;

   la regione Toscana ha dichiarato lo stato di emergenza ed emanerà a breve un piano di interventi urgenti;

   la regione Lombardia lamenta la quantità di acqua invasata nei grandi laghi più bassa del 2007;

   il 17 agosto 2017 è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale la dichiarazione dello stato di emergenza idrica per le regioni Lazio ed Umbria:

   da 15 anni l'Italia è soggetta a 3 procedure di infrazione; la situazione sembra peggiorare come dimostrano gli ultimi dati di Legambiente: l'insufficiente depurazione e gli scarichi inquinanti rappresentano il reato più contestato e in crescita rispetto all'anno precedente, e rappresentano il 31,7 per cento delle infrazioni contestate;

   il 22 marzo 2017 l'Istat ha presentato uno studio dal quale si evince che nel 2015 è andata dispersa una media del 38,2 per cento delle acque immesse in rete, a fronte del 35,6 per cento del 2012, il che mostra una situazione di enorme degrado degli acquedotti e delle reti in tutto il Paese;

   eppure il decreto ministeriale 8 gennaio 1997, n. 99, dice che «Le procedure di valutazione delle perdite di cui al presente regolamento sono finalizzate alla formulazione di “bilanci idrici nelle reti e negli impianti” e che “In dipendenza dell'esito dei bilanci, il gestore procederà ad una appropriata e specifica ‘campagna di ricerca delle perdite’ per provvedere alle necessarie riparazioni”. Esso inoltre stabilisce che “Il gestore trasmette annualmente al Ministero dei lavori pubblici Osservatorio dei servizi idrici, entro il mese di febbraio appositi rapporti redatti secondo gli standard indicati nel punto 4 dell'allegato e indicanti i dati sui volumi d'acqua degli impianti di acquedotto e di fognatura nonché il valore dei parametri di valutazione delle perdite”»;

   l'articolo 146, comma 3, del decreto legislativo n. 152 del 2006 dispone che «Entro un anno dalla data di entrata in vigore della parte terza del presente decreto, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare,[...] adotta un regolamento per la definizione dei criteri e dei metodi in base ai quali valutare le perdite degli acquedotti e delle fognature. Entro il mese di febbraio di ciascun anno, i soggetti gestori dei servizi idrici trasmettono all'Autorità di vigilanza sulle risorse idriche e sui rifiuti ed all'ente di governo dell'ambito competente i risultati delle rilevazioni eseguite con i predetti metodi». Il successivo articolo 170, comma 3, lettera h), dispone che «fino all'emanazione del decreto di cui all'articolo 146, comma 3, continua ad applicarsi il decreto ministeriale 8 gennaio 1997, n. 99»;

   il «collegato ambientale» 2016 prevedeva la creazione di un fondo di garanzia per opere idriche di potenziamento, depurazioni e fognature; eppure risulta che il relativo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri sia ancora bloccato –:

   se i Ministri interrogati e gli enti d'ambito fossero a conoscenza dei dati relativi alle perdite delle infrastrutture idriche e, in caso affermativo, perché non si sia intervenuti;

   come mai non sia stato ancora emanato il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che consentirebbe di sbloccare il fondo di garanzia per le opere idriche;

   quali iniziative intenda porre in essere il Governo, al fine di sostenere gli investimenti necessari a ristrutturare e ammodernare le reti per captazione e distribuzione e adeguare gli impianti di depurazione.
(4-17853)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  Come già riferito il 5 ottobre 2017 in risposta dell'interrogazione n. 5-12373, si ricorda che lo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, di cui all'articolo 58, comma 2 della legge n. 221 del 28 dicembre 2015, che prevede l'istituzione di un fondo di garanzia delle opere pubbliche finalizzate al potenziamento delle infrastrutture idriche, ivi comprese le reti di fognatura e depurazione, in tutto il territorio nazionale, è stato predisposto da questo Ministero ed è stato trasmesso alla Presidenza del Consiglio dei ministri per i successivi adempimenti.
  Ad aggiornamento, si comunica che la Presidenza ha espresso alcune osservazioni e ha richiesto di nuovo l'acquisizione dei concerti delle amministrazioni interessate.
  Il 15 febbraio 2018 si è tenuta una riunione presso questo Ministero, con le amministrazioni coinvolte e con l'autorità di regolazione per energia, reti e ambiente, al fine di definire un testo che tenga conto anche delle disposizioni, nel frattempo intervenute, contenute nella legge di bilancio 2018, che riguardano la disciplina del Fondo stesso.
  Il testo del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri così definito sarà poi oggetto di intesa in sede di Conferenza unificata.
  

Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti: Riccardo Nencini.


   D'AGOSTINO e VEZZALI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:

   il Teatro «Carlo Gesualdo» di Avellino costituisce una realtà nel panorama culturale che nel corso degli anni si è affermata a livello nazionale, distinguendosi per la qualità dei cartelloni proposti e per le iniziative portate avanti, alcune delle quali hanno avuto attenzione anche al di là dei confini nazionali;

   il teatro versa in condizioni di difficoltà finanziarie;

   da tempo sono in corso verifiche di tipo contabile e amministrativo da parte dell'amministrazione comunale di Avellino;

   tale condizione di difficoltà finanziaria rischia di mettere in discussione il futuro del teatro;

   attualmente la gestione del teatro è affidata a un commissario;

   c'è il rischio, paventato da molti durante l'ultima seduta del consiglio comunale di Avellino, che la gestione del teatro possa essere assegnata al Comune, determinando una sorta di «annacquamento» che rischia di essere decisamente dannoso per la gestione dello stesso;

   a giudizio dell'interrogante, inoltre, sarebbe gravissimo, come prospettato, chiudere il teatro anche se solo per un anno, se non altro perché ci sarebbero conseguenze estremamente dannose per la sua reputazione;

   ancora non sono cominciati i lavori per definire il nuovo cartellone, nonostante questo sia il periodo durante il quale solitamente tale attività viene avviata;

   a giudizio dell'interrogante, si rende necessario unire gli sforzi affinché le politiche di contenimento della spesa pubblica non colpiscano quelle realtà di impegno che ben funzionano e che hanno contribuito in maniera significativa alla crescita culturale e civile della provincia di Avellino;

   la città di Avellino e l'intera provincia non possono consentirsi di perdere una realtà come il Gesualdo;

   a giudizio dell'interrogante è necessario che tutti i livelli istituzionali assicurino un impegno diretto e concreto per scongiurare la chiusura del Teatro Carlo Gesualdo;

   occorre completare le verifiche amministrative e contabili in corso, ma queste devono essere espletate nella massima celerità per evitare che abbiano come conseguenza non solo l'accertamento della verità ma anche, paradossalmente, la chiusura del teatro –:

   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda assumere per sostenere il Teatro «Carlo Gesualdo» di Avellino e per scongiurarne la chiusura.
(4-16193)

  Risposta. — Si riscontra l'atto di sindacato ispettivo in esame, con il quale l'interrogante ha chiesto di conoscere quali iniziative di competenza intende assumere questo Ministero riguardo al Teatro «Carlo Gesualdo» di Avellino in gravi difficoltà finanziarie ed attualmente commissariato.
  Secondo quanto riferito dalla competente direzione generale dello spettacolo di questa l'amministrazione, risulta che il teatro «Carlo Gesualdo» non ha inoltrato istanza di contributo a questa amministrazione per il triennio 2015/2017, e, pertanto, non riceve attualmente contributi a valere sul fondo unico per lo spettacolo (FUS).
  Si forniscono, quindi, alcuni elementi informativi che la direzione generale ha potuto acquisire dalla «Fondazione Campania dei Festival», (ente «
in house» della regione Campania) che ha recentemente firmato un protocollo d'intesa con l'Amministrazione comunale di Avellino per la gestione di una rassegna presso il Teatro «Carlo Gesualdo».
  Dal 28 giugno 2016 detta istituzione teatrale è stata, infatti, commissariata e gestita interamente dal comune di Avellino, nella persona del segretario generale dell'ente dottor Riccardo Feola nella qualità di commissario straordinario. Successivamente, con deliberazione n. 47 del consiglio comunale del 9 maggio 2017, l'istituzione è stata messa in liquidazione affidando la gestione corrente del teatro al comune di Avellino.
  In precedenza, con delibera di giunta n. 333 del 25 novembre 2016, il comune stesso aveva approvato la realizzazione di una rassegna dal titolo «Sipari Aperti Festival degli altri mondi» presso il teatro «Carlo Gesualdo».
  In seguito, l'amministrazione comunale di Avellino ha firmato, in data 24-05-2017, un protocollo d'intesa con la fondazione Campania dei festival che programma e realizza progetti per le politiche di sviluppo della cultura teatrale, dello spettacolo e delle arti visive in Campania, finalizzati ad attività di rassegne, laboratori, scuole di teatro, tra cui quella già ammessa a finanziamento e sopra ricordata dal titolo «Sipari aperti festival di altri mondi».
  Il Ministero, al fine di scongiurare la chiusura del Teatro «Carlo Gesualdo», considerata anche la rilevanza che questo assume nel panorama culturale a livello nazionale, continuerà a monitorare lo stato amministrativo e contabile della struttura, oltreché a incentivare, attraverso i propri organi periferici, la realizzazione di ulteriori eventi e progetti, fonte di introiti necessari per la sopravvivenza del Teatro.

Il Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali e il turismo: Antimo Cesaro.


   D'AGOSTINO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   la città di Ariano Irpino in provincia di Avellino è una realtà sempre più significativa in termini di abitanti, così come sono tantissimi i residenti dei comuni limitrofi che vi si recano per i più svariati motivi;

   in attesa che si realizzi la stazione Hirpinia dell'alta capacità in località Santa Sofia, sarebbe giusto consentire a chi ne ha necessità di usufruire dei treni ad alta velocità che da Lecce collegano Roma e transitano per la stazione di Ariano Irpino, ma non vi fanno sosta;

   la linea in questione, percorsa in senso inverso, permette attualmente il collegamento tra Benevento, Foggia, Bari e Lecce;

   una sosta ad Ariano, anche in tale direzione, agevolerebbe le tantissime persone, in particolare gli studenti, che dal Tricolle si recano soprattutto a Foggia e a Bari;

   si tratta complessivamente di un bacino di utenza di oltre 70mila persone;

   a giudizio dell'interrogante, il Governo dovrebbe valutare questa opportunità ed eventualmente di intervenire sui vertici di Ferrovie dello Stato affinché prevedano due soste del Frecciargento anche ad Ariano Irpino;

   si tratta di un'esigenza concreta e di un diritto di chi vive in quella realtà –:

   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda adottare affinché Ferrovie dello Stato italiane garantisca che il treno ad Alta velocità Frecciargento che collega Lecce a Roma faccia almeno due soste ad Ariano Irpino nell'arco della giornata.
(4-18438)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  Va premesso che le questioni sollevate fanno riferimento a servizi, collegamenti alta velocità. (AV), gestiti in piena autonomia commerciale dall'impresa ferroviaria Trenitalia che ne determina le regole e le modalità di attuazione. Infatti, i servizi ferroviari «Frecce» sono effettuati in regime di mercato e, non essendo oggetto di alcun corrispettivo pubblico, si sostengono esclusivamente con i ricavi da traffico; la programmazione di tali servizi si basa, pertanto, su valutazioni di carattere commerciale, finalizzate a garantirne la sostenibilità economica.
  Ad ogni modo, al fine di fornire una risposta sulle problematiche segnalate dall'interrogante, sono stati chiesti chiarimenti al gruppo ferrovie dello Stato italiane (Fsi) che ha riferito quanto segue.
  I treni «Frecciargento» sono destinati a servire stazioni sulle quali convergono flussi di traffico rilevanti, con un numero limitato di fermate e utilizzando anche linee ad AV.
  I volumi di traffico di media-lunga percorrenza della stazione di Ariano Irpino attualmente registrati, non consentono alla medesima società di prevedere la fermata dei treni «Frecciargento» Roma-Bari-Lecce e viceversa.
  Peraltro, Fsi fa osservare che la stazione di Ariano Irpino è direttamente collegata con Roma (e con la Puglia) da una coppia di Intercity (IC) giornalieri alla quale si aggiunge un'ulteriore coppia di IC nel fine settimana. Ulteriori soluzioni di viaggio sono possibili con l'interscambio tra i servizi regionali e quelli di media-lunga percorrenza.

Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti: Riccardo Nencini.


   D'AMBROSIO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   sulla linea ferroviaria Bari-Barletta, nel tratto Andria-Corato, affidata alla gestione della Ferrotramviaria spa, il 12 luglio 2016 avveniva uno scontro frontale tra due convogli che causava 23 morti e 50 feriti, per cui è di tutta evidenza la necessità di accelerare i lavori di adeguamento e messa in sicurezza, ormai in ritardo di anni, su tutta la linea;

   in particolare, la società Ferrotramviaria spa, con nota del 28 giugno 2016 inviata all'interrogante ed in merito all'interramento della linea ferroviaria nell'abitato di Andria, affermava che «il progetto definitivo dell'interramento è stato completato ed è attualmente presso i competenti uffici del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per l'approvazione definitiva. Ottenuta tale approvazione provvederemo, ai sensi di quanto previsto nel nuovo codice degli appalti, alla validazione del progetto e all'avvio delle procedure espropriative. Tutto ciò premesso, Le rappresento che è nostro intendimento avviare le procedure di gara tra ottobre e novembre del 2016»;

   in data 4 maggio 2017, non essendosi concretizzata la predetta previsione di avvio delle procedure di gara, l'interrogante inviava una nota di richiesta di chiarimenti all'azienda rimasta senza risposta;

   con nota del 9 ottobre 2017 la stessa società Ferrotramviaria spa in un nuovo riscontro all'interrogante affermava che «il progetto definitivo dell'intervento è stato trasmesso alla Regione Puglia nello scorso mese di Giugno, ai fini della istruttoria e del procedimento di propria competenza. Il progetto è stato oggetto di revisione alla luce degli aggiornamenti legislativi in materia di appalti pubblici nonché a seguito della emanazione del D.M. Infrastrutture e Trasporti 5/8/2016 e del conseguente passaggio delle ferrovie rientranti nell'ambito di applicazione del decreto legislativo 112/2015 sotto il regime delle direttive e disposizioni ANFS. Il suddetto progetto dovrà essere sottoposto a verifica preliminare da parte di un validatore indipendente di sicurezza accreditato presso ANFS e dovrà quindi essere presentato all'ANFS per i necessari pareri. Superate queste fasi, previa approvazione del Progetto da parte della Regione Puglia, si potrà passare all'avvio delle procedure di gara. Riteniamo che tanto possa aver luogo nel primo semestre del 2018»;

   pare, dai riscontri citati, che nel tempo il procedimento si sia complicato e vi è l'evidenza di un significativo slittamento dell'avvio della gara, tutte situazioni che confliggono con le prese di posizioni e le assicurazioni date ai massimi livelli all'indomani della tragedia ferroviaria –:

   quali iniziative, per quanto di competenza, siano state eventualmente già intraprese o si intendano intraprendere per consentire la realizzazione dell'interramento ferroviario nell'abitato di Andria.
(4-18116)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta sulla base delle informazioni pervenute dalla Direzione generale per i sistemi di trasporto ad impianti fissi ed il trasporto pubblico locale, di questo Ministero.
  Occorre premettere che in applicazione del decreto legislativo n. 422 del 1997, le funzioni ed i compiti di amministrazione e programmazione dei servizi ferroviari regionali sono stati conferiti alle regioni, rimanendo in capo a questa Amministrazione le funzioni e i compiti in materia di sicurezza ferroviaria, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 753.
  In merito all'intervento citato dall'interrogante, il 21 dicembre 2012 questo Ministero ha provveduto, su richiesta della regione Puglia, al rilascio dei nulla-osta (
ex articolo 3 del citato decreto del Presidente della Repubblica n. 753 del 1980) n. 8706 e n. 8708 sui progetti definitivi riguardanti rispettivamente la realizzazione della nuova stazione di Andria sud e il raddoppio della tratta Ruvo di Puglia-Corato.
  Inoltre, su analoga richiesta della regione Puglia, questo Dicastero in data 5 agosto 2014 ha rilasciato il nulla osta ai fini della sicurezza anche sul progetto per il raddoppio della tratta Corato-Andria sud, che è stato trasmesso alla regione Puglia per i successivi adempimenti di competenza.
  Si fa presente, altresì, che con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti del 5 agosto 2016, emanato in adempimento all'articolo 1, comma 6 del decreto legislativo 15 luglio 2015, n. 112, concernente l'attuazione della direttiva 2012/34/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 novembre 2012, è avvenuto il passaggio delle competenze in materia di sicurezza sulle ferrovie regionali interconnesse da questo Ministero all'Agenzia nazionale per la sicurezza ferroviaria – Ansf – (tra cui rientra anche la tratta ferroviaria in questione).
  Concludendo, si rappresenta che rientra nei compiti delle regioni e nella fattispecie della regione Puglia l'approvazione dei progetti relativi agli interventi programmati dal medesimo ente territoriale e all'Ansf i compiti di vigilanza sulla sicurezza ferroviaria e sui rispettivi interventi, che la esercita secondo le proprie funzioni conferite dalla normativa nazionale ed europea.
  

Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti: Riccardo Nencini.


   DE ROSA, BUSTO, DAGA, MICILLO, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   la società Remna s.r.l. potrebbe ottenere a breve l'autorizzazione a costruire una mini centrale idroelettrica in un tratto del Rio Carne, situato nel territorio del comune di Pigna, in Liguria, provincia di Imperia;

   il Rio Carne è affluente del torrente Nervia, inserito in zona SIC IT1315719, mentre l'area interessata dal progetto è prossima al SIC IT1315421 (Monte Toraggio Pietra Vecchia). Tale progetto, alterando la morfologia dell'alveo, causerà un impatto sui siti di interesse comunitario e sui corridoi ecologici (rete natura 2000 habitat);

   nelle relazioni naturalistiche, presentate dalla Remna a sostegno del progetto, non si tiene conto della delibera della giunta regionale n. 1122 del 2012 in materia di costruzione di mini centrali idroelettriche. In particolare, il paragrafo 4.2, nel definire i criteri di localizzazione dispone espressamente che non sono ammesse derivazioni e opere connesse qualora sia accertata la presenza di specie tutelate e segnatamente del gambero di fiume (austropotamobius Pallipes Italicus) e del suo habitat, una specie protetta dalla direttiva europea 92/43/CEE, o interventi che interessino corsi d'acqua all'interno di aree carsiche, come nel caso del Rio Carne. La presenza del gambero è stata ampiamente documentata nel corso degli anni, in ultimo da una relazione dei carabinieri forestali redatta insieme all'università di Genova nel settembre 2016;

   le associazioni e i comitati territoriali hanno dichiarato la propria forte contrarietà al progetto che se realizzato comprometterebbe irreversibilmente l'ecosistema acquatico e la biodiversità per circa 600 metri a valle della griglia di captazione, danneggiando luoghi incontaminati di indiscutibile valore ambientale;

   la zona inoltre è vincolata dalla Soprintendenza per i beni architettonici e ambientali (Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo) –:

   se e quali iniziative di competenza intenda assumere per la piena conservazione dei siti di importanza comunitaria presenti nella zona interessata dal progetto il quale dovrebbe essere sottoposto a procedura di valutazione di impatto ambientale e a procedura di valutazione di incidenza ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357;

   se il Governo non ritenga necessario convocare, per quanto di competenza, un tavolo di confronto con i soggetti istituzionali interessati, al fine di evitare una irreversibile compromissione dell'ecosistema che caratterizza il Rio Carne e il Torrente Nervia.
(4-17622)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  Si premette che l'area interessata dal progetto è prossima, ma esterna, al sito di interesse comunitario IT1315421 «Monte Toraggio Pietra Vecchia», mentre la significatività della proposta nei confronti dei siti Natura 2000 è di competenza delle autorità regionali, delegate alla gestione delle zone speciali di conservazione e zone di protezione speciale dal decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1997.
  Al riguardo, la regione Liguria – dipartimento territorio ambiente infrastrutture e trasporti, ha fatto presente di aver ricevuto la richiesta di concessione idrica a scopo idroelettrico da parte della Remna s.r.l., sul rio Carne, in comune di Pigna. Il relativo procedimento è in corso di istruttoria, secondo quanto previsto dal regio decreto n. 1775 del 1933 («Testo unico delle disposizioni di legge sulle acque e impianti elettrici»), finalizzato esclusivamente all'ottenimento della concessione all'emungimento di acqua a scopo idroelettrico.
  Nell'ambito del procedimento in parola è stato richiesto, dal settore difesa del suolo di Savona e Imperia, e rilasciato dall'autorità di bacino regionale il previsto parere obbligatorio e vincolante ai sensi dell'articolo 7 del citato regio decreto n. 1775 del 1933, in ordine alla compatibilità dell'utilizzazione dell'acqua con il piano regionale di tutela e controllo sull'equilibrio del bilancio idrico/idrologico. Il parere è stato rilasciato positivamente con le prescrizioni che verranno imposte qualora la concessione venga rilasciata.
  Tra le prescrizioni risulta l'obbligo dell'esecuzione di monitoraggi sia ante che post realizzazione delle opere in progetto, al fine di garantire sempre il mantenimento dell'habitat fluviale.
  Per quanto risulta agli atti delle istruttorie condotte dal settore difesa del suolo di Savona e Imperia, si fa presente che:

   dal punto di vista idraulico, l'intervento non altera il regime idraulico del rio Carne, come evidenziato nel provvedimento provinciale di Imperia n. h2/154 del 7 aprile 2016;

   l'intervento non ricade in zona sito di interesse comunitario e risulta a valle dell'area carsica, come certificato dai competenti uffici della regione preposti a tali verifiche.

  La regione Liguria, dunque, evidenzia che il progetto è stato esaminato dai diversi settori regionali a diverso titolo interessati, nessuno dei quali ha ravvisato elementi ostativi al prosieguo dell'istruttoria.
  Tuttavia, parallelamente, presso la provincia di Imperia si è svolto il procedimento finalizzato al rilascio di autorizzazione unica, di cui alla legge regionale n. 16 del 2008, relativo al progetto sopra indicato, autorizzazione unica in un primo momento positivamente rilasciata, ma successivamente annullata (in data 12 dicembre 2017) in via di autotutela dalla stessa amministrazione.
  In particolare, l'autorizzazione unica in parola è stata annullata dalla provincia di Imperia in via di autotutela in quanto sono emerse, successivamente a tale provvedimento, diverse criticità, soprattutto, in quanto i previsti lavori erano stati autorizzati in assenza della necessaria preventiva autorizzazione da rilasciarsi a cura della soprintendenza, ai sensi dell'articolo 21 del decreto legislativo n. 42 del 2004, considerato che gli stessi lavori interferiscono con un manufatto (ponte sul rio Carne) sottoposto a tutela ai sensi dell'articolo 12 del citato decreto.
  Della questione sono, comunque, interessate diverse amministrazioni, pertanto, qualora dovessero pervenire ulteriori elementi informativi, si provvederà a fornire un aggiornamento.
  Alla luce delle informazioni esposte, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a tenersi informato e a svolgere un'attività di monitoraggio, anche al fine di valutare un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.
  

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   DE ROSA, BUSTO, DAGA, MICILLO, TERZONI, ZOLEZZI e VIGNAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   il decreto ministeriale 14 febbraio 2013, n. 22, «Regolamento recante disciplina della cessazione della qualifica di rifiuto di determinate tipologie di combustibili solidi secondari (CSS), ai sensi dell'articolo 184-ter, comma 2, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152» ha istituito un Comitato di vigilanza e controllo con il compito di garantire il monitoraggio della produzione e dell'utilizzo del CSS-combustibile ai fini di una maggiore tutela ambientale e dell'uniforme applicazione del regolamento sul territorio nazionale;

   si registrano, tuttavia, proposte progettuali che presentano margini di incertezza in merito alla corretta applicazione delle citate disposizioni, come nel caso esemplificativo del progetto d'inserimento di una nuova linea produttiva (impianto in pirolisi) nell'impianto di recupero rifiuti non pericolosi in comune di Cernusco sul Naviglio (Milano), presentato dalla società Tregenplast s.r.l. Tale processo, secondo quanto consta agli interroganti, prevede la conversione catalitica a caldo (pirolisi) di rifiuti plastici (poliolefine) per la produzione di combustibili derivati: olio combustibile denso Btz, gasolio per riscaldamento, Virgin-nafta destinati al riutilizzo presso il sito di proprietà e/o alla commercializzazione;

   dalle indicazioni progettuali non è chiaro quale sia il regime dei «prodotti di recupero» utilizzati, se siano qualificabili come rifiuti o come combustibili riconducibili all'ambito di applicazione dell'articolo 184-ter del decreto legislativo n. 152 del 2006 che impone il rispetto di specifiche condizioni;

   come noto, il procedimento di pirolisi, oltre a oli combustibili di poco pregio, genera gas di sintesi ed è considerata una tecnologia non priva di rischi per la salute dei cittadini e per l'ambiente;

   le principali criticità di tali impianti riguardano gli aspetti emissivi, in un territorio, quale quello della provincia di Milano, dove la qualità dell'aria è già fortemente compromessa, tanto da richiedere l'attivazione di misure straordinarie previste dal «protocollo regionale sulla qualità dell'aria» –:

   se, all'esito dell'attività di monitoraggio di cui all'articolo 15 del decreto ministeriale 14 febbraio 2013, n. 22, siano emerse fattispecie analoghe a quella descritta in premessa e se non ritenga opportuna un'iniziativa normativa che definisca in termini puntuali i presupposti per il rilascio delle autorizzazioni per i predetti impianti, nel rispetto delle più ampie garanzie di partecipazione dei cittadini;

   considerata la grave situazione di inquinamento atmosferico registrata in alcune regioni del Nord, se non intenda assumere iniziative normative anche per definire limiti di emissione atmosferica più stringenti, ovvero la transitoria sospensione dei procedimenti di autorizzazione di progetti che in ragione degli impatti cumulativi possano determinare un aggravamento non tollerabile delle condizioni di qualità dell'aria.
(4-18392)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa all'impianto di recupero dei rifiuti non pericolosi localizzato nel comune di Cernusco sul Naviglio, gestito dalla società Tregenplast s.r.l., in base agli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  Occorre in primo luogo evidenziare che i riferimenti al decreto ministeriale 14 febbraio 2013, n. 22, regolamento recante disciplina della cessazione della qualifica di rifiuto di determinate tipologie di combustibili solidi secondari (CSS), ai sensi dell'articolo 184-
ter, comma 2, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 non sono compatibili con il caso in esame. Tale decreto infatti stabilisce i criteri specifici da rispettare affinché determinate tipologie di combustibile solido secondario (CSS), come definito dall'articolo 183, comma 1, lettera cc) del medesimo decreto legislativo, cessano di essere qualificate rifiuto. Esso dunque, pur riferendosi al combustibile derivato da rifiuti, non è applicabile ai combustibili derivati dal processo di pirolisi dei rifiuti.
  Inoltre, l'articolo 293, comma 1, del decreto legislativo n. 152 del 2006 stabilisce che i materiali e le sostanze elencate nell'allegato X alla parte V, non possono essere utilizzati come combustibili se costituiscono rifiuti ai sensi della parte IV del medesimo decreto. Rimane soggetta alla normativa vigente in materia di rifiuti la combustione di materiali e sostanze che non sono conformi all'allegato X alla parte V del decreto in questione o che comunque costituiscono rifiuti ai sensi della parte IV dello stesso decreto. Il punto
s) del citato allegato X stabilisce, inoltre, che tra i combustibili consentiti è ammesso il gas di sintesi proveniente dalla gassificazione di combustibili consentiti, limitatamente allo stesso comprensorio industriale nel quale il gas è prodotto.
  Poiché i rifiuti plastici contenenti oleofine non risultano compresi nell'elenco dei combustibili consentiti dal citato allegato, non sembra possibile ammettere, tra i combustibili consentiti, il gas di sintesi ottenuto dalla gassificazione dei rifiuti. Pertanto la combustione di tale gas rimane soggetta alla normativa vigente in materia di rifiuti di cui alla parte IV del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.
  Il Titolo III-
bis del codice dell'ambiente, all'articolo 237-quater, dove viene definito l'ambito di applicazione della disciplina sull'incenerimento e coincenerimento dei rifiuti, al comma 2, in particolare, stabilisce che: «sono esclusi dall'ambito di applicazione, tra gli altri, gli impianti di gassificazione o di pirolisi, se i gas prodotti da siffatto trattamento termico dei rifiuti sono purificati in misura tale da non costituire più rifiuti prima del loro incenerimento e da poter provocare emissioni non superiori a quelle derivanti dalla combustione del gas naturale».
  Sulla base della richiamata normativa, ne consegue che, se l'impianto di gassificazione sarà autorizzato dalla competente autorità ad esercire operazioni di recupero all'esito delle quali il gas di sintesi ottenuto ha cessato la qualifica di rifiuto ed inoltre il gas, prima della combustione, è stato purificato in modo tale da non produrre emissioni superiori a quelle derivanti dalla combustione di gas naturale, tale gas potrà essere equiparato al gas naturale e dunque soggetto all'applicazione della disciplina di cui alla parte V del testo unico ambientale, come un combustibile tradizionale.
  Per quanto concerne, nello specifico, il caso della società Tregenplast, la regione Lombardia ha evidenziato, altresì, che nell'ambito del progetto presentato – per la cui fase di verifica di valutazione d'impatto ambientale, la regione stessa risulta autorità competente — è stato chiarito che i materiali in uscita dall'impianto saranno classificati come rifiuti e non come combustibili riconducibili all'ambito di applicazione dell'articolo 184-
ter del decreto legislativo n. 152 del 2006.
  Alla luce delle informazioni esposte, si rassicura comunque che il Ministero dell'ambiente prosegue nella sua azione costante di monitoraggio senza ridurre in alcun modo lo stato di attenzione su tale questione.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   da mesi cittadini, lavoratori e organizzazioni sindacali denunciano al deputato interrogante una ingravescente situazione circa la linea ferroviaria Circumvesuviana;

   in particolare, i cittadini denunciano la lesione del diritto ad avere un mezzo di trasporto sicuro, puntuale e funzionante; secondo quanto riferito, le mancanze dell'azienda sarebbero le più varie: treni soppressi senza preavviso, ritardi ingiustificati, condizioni di viaggio improponibili, prezzi dei biglietti sempre più alti che non trovano riscontro con il servizio offerto;

   peraltro, la linea in questione è per molti cittadini della provincia l'unico mezzo, o comunque il più veloce, per raggiungere Napoli. Ogni giorno in stazione si ascoltano le testimonianze di lavoratori, studenti, pendolari, che a causa dei ritardi e delle soppressioni dei treni, vivono quotidiani disagi;

   da ultimo, nella giornata di giovedì 19 settembre 2013 si è sviluppato un principio di incendio: il treno della Circumvesuviana n. 858 era partito da pochi minuti da Baiano ed era diretto a Napoli, quando si è incendiato intorno alle 18.30 sui binari tra Nola e Saviano;

   come si apprende da fonti di stampa, circa cento persone sono state costrette a scendere in mezzo alle campagne, aiutate dal personale della Circum, che è intervenuta per i soccorsi;

   nella discesa, un passeggero ha riportato una leggera slogatura della caviglia, mentre il resto dei pendolari non ha, invece, subito ferite. Soltanto nella tarda serata il treno è stato riportato nella stazione più vicina;

   l'episodio, documentato da un video non ha avuto conseguenze, ma ha provocato panico tra la gente che stava sul treno: ad andare in fiamme sarebbe stato il pantografo, che si trova sul tetto del convoglio;

   le organizzazioni sindacali sono scese subito sul piede di guerra, preannunciando la proclamazione di uno stato di agitazione, dal momento che la situazione è (non solo) a loro giudizio diventata insostenibile;

   in effetti, questo è l'ultimo episodio di una lunga serie di incidenti che sono successi nelle ultime settimane. In particolare, da una rapida ricognizione sui siti internet degli organi di stampa locale, è possibile rilevare come solo negli ultimi due mesi siano accaduti i seguenti «disguidi»: l'11 settembre, il maltempo ha causato la caduta di un albero che ha comportato l'interruzione della linea Circumvesuviana per diverse ore, creando gravosi ritardi e disagi alla cittadinanza; il 7 agosto si è registrato un episodio analogo a quello denunciato nel presente atto ispettivo: un principio di incendio si è sviluppato sul treno delle 7,09 diretto da porta Nolana a Sorrento, che si è fermato alla stazione di Castellammare e i viaggiatori sono stati invitati a scendere (ad andare in fiamme sarebbero stati alcuni fili elettrici, il treno è poi ripartito ed è arrivato alla stazione di Sorrento con 40 minuti di ritardo); nelle giornate di 17, 18 e 20 giugno si sono verificati pesanti disagi con ritardi, corse soppresse e blocchi della linea;

   da tutto ciò si evince che la situazione non è più sostenibile e che occorre pertanto prendere immediati ed efficaci provvedimenti –:

   quali siano le informazioni in possesso del Ministro interrogato circa l'incidente verificatosi il 19 settembre 2013;

   quali iniziative intenda assumere il Governo per fornire risposte a cittadini e lavoratori su una situazione che non solo rende pessima la qualità della vita degli utenti della linea circumvesuviana, ma che rappresenta anche un pericolo per la pubblica incolumità alla luce dei numerosi incidenti che si verificano e che solo fortunosamente ad oggi non hanno prodotto conseguenze ben più gravi.
(4-01911)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, sulla base delle informazioni pervenute dal Ministero dell'economia e delle finanze e dalla direzione generale per i sistemi di trasporto ad impianti fissi e il trasporto pubblico locale di questo di questo Ministero, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  In via generale, come evidenziato dal Ministero dell'economia e delle finanze, la regione Campania sta operando in regime di ordinarietà e, pertanto, la responsabilità relativamente alla gestione e all'attuazione degli interventi risulta di esclusiva competenza della stessa. Parimenti, la regione è la sola a disporre del potere di intervenire in caso di inefficienze e/o di ritardi nelle attività della società Ente autonomo Volturno (Eav). Inoltre, lo statuto dell'Eav prevede, all'articolo 8-
bis, espressamente il controllo analogo della regione sulla società.
  Premesso ciò, per quanto attiene agli specifici episodi segnalati nell'interrogazione in parola, Eav, cui sono stati chiesti chiarimenti dagli uffici di questo Ministero anche in relazione ai profili della sicurezza dell'esercizio ferroviario, riferisce che nessun incidente risulta avvenuto in data 19 settembre 2013.
  La medesima società fa presente di aver rinvenuto gli atti di un'inchiesta relativa ad un evento analogo a quello oggetto dell'interrogazione parlamentare in argomento avvenuto il 18 settembre 2013.
  Da tali atti emerge che un'apposita commissione, nominata dall'allora direzione d'esercizio, evidenziò come non fosse stato possibile rinvenire le reali cause dell'evento atteso che l'elettrotreno coinvolto era sotto sequestro giudiziario.
  Peraltro, anche dopo il dissequestro del suddetto elettrotreno, non sarebbe stato in alcun modo possibile risalire alle cause del principio di incendio, considerati i danni provocati al sottocassa dell'elettrotreno n. 013.
  Inoltre, l'Eav riferisce che i danni subiti dal materiale rotabile sono stati tali da renderne, sia economicamente sia tecnicamente, sconveniente la riparazione, per cui detto materiale è stato inserito tra i 20 elettrotreni oggetto di richiesta di rottamazione all'Amministrazione regionale.
  Nulla di analogo risulta per il giorno 7 agosto 2013, di cui pure è cenno nella interrogazione parlamentare.
  Quanto ai disservizi segnalati, la medesima società assicura di aver gestito gli stessi secondo le ordinarie normative e procedure; tali disservizi hanno purtroppo arrecato disagio all'utenza in termini di regolarità del servizio, ma alcun riflesso è stato registrato sulla sicurezza dell'esercizio ferroviario.
  

Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti: Riccardo Nencini.


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   l'area del nolano – da molti oggi definita «Campania infelix» – è un territorio che confina a sudest con Tufino e a nordovest con Acerra. Tale territorio, ormai, può ben definirsi una delle pattumiere ufficiali della Campania, nonché dell'Italia intera. Infatti, l'area del nolano è divenuta oggi lo sversatoio privato delle ecomafie locali e nazionali, nel contrasto delle quali sia la magistratura che le forze dell'ordine, senza un adeguato impianto normativo, poco possono fare;

   è scandaloso ripercorrere l'immobilismo che ha caratterizzato nel corso degli ultimi decenni l'atteggiamento delle autorità di governo di ogni livello per un territorio definito con un termine ormai quasi di moda «il triangolo della morte»;

   gli abitanti dell'area nolana stanno pagando un pesantissimo tributo umano soprattutto a livello di patologie oncologiche la cui incidenza desta preoccupazione e raccapriccio soprattutto con riferimento a soggetti di giovane età che sempre più spesso vengono «inspiegabilmente» colpiti da mali incurabili;

   il danno – già di per sé rovinoso per una intera comunità – diviene beffa nel momento in cui si ottiene la «legalizzazione della tossicità» di un luogo, così come accade nell'inferno delle discariche di Palenzano 1 e 2, ovvero le più grandi discariche «autorizzate» mai aperte nell'area nolana;

   tali siti si trovano nel comune di Tufino (Napoli) in località «Schiava», nelle vicinanze della strada provinciale per Visciano. Le discariche sono state realizzate in una vecchia cava di tufo esaurita, tipicamente caratterizzata dalle pareti a scarpa verticale. Furono aperte dall'allora prefetto delegato all'emergenza rifiuti attraverso poteri in deroga a lui conferiti con decreto, proprio per sopperire all'emergenza. Napoli e il napoletano soffocavano nell'immondizia e il nolano a qualcuno sembrò uno spazio «adatto» per portarceli. Nella stessa zona è presente un'altra cava di tufo, ancora in funzione, in un'area a rischio sottoposta a vincolo idrogeologico dal Piano stralcio per l'assetto idrogeologico dell'autorità di bacino nord-occidentale della Campania (2010);

   così come si legge da un reportage pubblicato sul sito web www.formatoa3.it tali siti, esauriti per il conferimento dei rifiuti (sarebbero stati aperti per quattro lunghi anni dal 1996 al 1999), allo stato attuale sono in fase di gestione post operativa: Palenzano 1 presenta una copertura superficiale costituita da «capping finale» (strato di terra, argilla, terra, seminagione di erba e alberi vari); Palenzano 2 presenta invece una copertura superficiale provvisoria in terreno, nelle more della realizzazione del capping finale. All'interno di Palenzano 1 è realizzato un impianto di captazione del biogas, gestito dal Consorzio Asia e affidato alla ditta «Asja Elettrogas». La captazione avviene tramite pozzi verticali collegati ad una centrale di aspirazione. Nel piazzale è presente una centrale a metano che ha la funzione di supporto. L'energia elettrica prodotta viene venduta all'ENEL. Accanto alle discariche è stato realizzato uno stabilimento di tritovagliatura e imballaggio rifiuti (STIR), accessibile attraverso una rotatoria realizzata appositamente nelle vicinanze dello svincolo dell'autostrada A16 Napoli-Canosa;

   sempre secondo quanto si legge nel sopracitato reportage, queste differenti funzioni restituiscono l'immagine di un luogo fortemente sfigurato, in cui alla preesistente vocazione agricola si sono sostituite funzioni espulse dai centri cittadini a livello regionale e provinciale, incompatibili sia con la presenza antropica che con quella naturale. La questione assume pertanto uno sfondo caratterizzato da un triplice ordine di problematiche: al problema discariche, infatti, oggi parzialmente rimosso con la chiusura degli impianti, si aggiungono le scomode presenze della cava ancora in funzione e dello STIR, nel quale non arrivano materiali frutto di una raccolta differenziata corretta, ma anche una frazione organica non composta altamente nociva;

   tali siti, infatti, ad oggi sono stati ricoperti, ma non bonificati e, come spesso accade, nell'opinione pubblica non c'è l'adeguata consapevolezza del fatto che sono state lì interrate ingentissime quantità di rifiuti speciali, molti dei quali pericolosi. Da fonti di stampa, l'interrogante avrebbe addirittura appreso la presenza di rifiuti ospedalieri del presidio sanitario nolano, nonché di altri rifiuti tossici provenienti dall'Italia settentrionale;

   in tali discariche, pertanto, il percolato prodotto dai rifiuti si infiltra sotto il terreno nell'indifferenza generale;

   così come sostenuto da fonti di stampa, infatti, si sarebbe in presenza di una bomba ecologica sotterrata, che non solo sarebbe pronta ad esplodere da un momento all'altro, ma che nel frattempo starebbe dando i suoi frutti contaminati che avvelenano le popolazioni residenti nell'area;

   secondo quanto si apprende da fonti di stampa (in particolare dall'articolo «Palenzano, la terra dei veleni», pubblicato sul sito web www.ilgiornalelocale.eu a firma di Bianca Bianco), si calcola che nel corso dei quattro anni in cui Palenzano 1 e Palenzano 2 sono state aperte (come si è detto dal 1996 al 1999 circa), i due siti abbiano accolto 1,250 milioni di metri cubi di rifiuti di ogni tipo. Nel frattempo il percolato, gli scarichi dei camion, i rifiuti, la puzza, si erano già mangiati frutteti e noccioleti, la ricca agricoltura di quelle terre;

   negli anni, gli agricoltori della zona avrebbero visto morire le piante e le coltivazioni, così come sarebbe stato certificato da una consulenza alla facoltà di agraria di Portici nel quale gli studiosi avrebbero accertato la morte dei noccioleti;

   sempre secondo quanto si apprende dal sopracitato articolo, a diciassette anni dall'apertura di Palenzano 1 e 2, a tredici dalla loro chiusura, con danni ambientali conclamati, natura sfigurata e (forse) un incremento delle patologie tumorali e del sangue negli abitanti della zona, non si parla ancora di bonifica. Per Palenzano 1 fu sostenuto che era stata bonificata, ma non è del tutto vero, dal momento che non è possibile confondere la bonifica con una «messa in sicurezza»;

   sempre secondo il reportage pubblicato sul sito web www.formatoa3.it restituire dignità a questi luoghi, coincide necessariamente con una presa di posizione nei confronti di tutte queste problematiche, interpretate come facce di uno stesso problema: politiche settoriali e gestione errata dell'emergenza rifiuti, a livello regionale e di Governo centrale, hanno determinato un danno ambientale di valore altissimo per questi territori un tempo noti per la produzione di noci e ciliegie –:

   quali siano le informazioni in possesso del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in merito alle vicende delle discariche di Palenzano 1 e 2 e se il Ministro stesso non sia intenzionato ad attivare tutti i poteri in suo possesso affinché si addivenga nel più breve tempo possibile ad una effettiva e completa bonifica dei siti indicati, dal momento che una pericolante «messa in sicurezza» non può essere considerata una garanzia definitiva per il territorio interessato;

   se il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare non ritenga, altresì, doveroso, sempre nell'ambito delle sue competenze e anche per il tramite del Comando Carabinieri per la tutela dell'ambiente, verificare il corretto funzionamento dell'impianto di captazione del biogas e la compatibilità ambientale dello stabilimento di tritovagliatura e imballaggio rifiuti (STIR), effettuando soprattutto il monitoraggio delle tipologie di rifiuti che vengono «smaltite» in detto impianto;

   se il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, nell'ambito delle sue competenze, non ritenga di dover avviare un'ampia campagna di riqualificazione di un territorio che un tempo rappresentava una delle zone più fertili di tutto il territorio nazionale;

   se il Ministro della salute, nell'ambito dei suoi poteri, non sia intenzionato a porre in essere una indagine epidemiologica per verificare se sussista una alterazione statistica nell'incidenza delle patologie che possono essere causate dall'esposizione della cittadinanza ai materiali altamente nocivi tutt'oggi presenti all'interno delle discariche di Palenzano 1 e 2.
(4-03202)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare, la regione Campania ha fatto presente che la discarica di Paenzano 1 è stata realizzata, nell'ottobre del 1995, e che la gestione della stessa è stata demandata all'Ente Nazionale per le Energie Alternative ed in seguito, dalla prefettura di Napoli, al consorzio di bacino NA3, con i poteri emergenziali in materia di rifiuti.
  Per la predetta discarica Paenzano 1 sono stati realizzati i lavori di sistemazione finale ai sensi del decreto legislativo n. 36 del 2003.
  I conferimenti sono iniziati nell'anno 1996 e sono terminati nell'anno 1999 per un quantitativo totale di 1.250.000 t. di rifiuti urbani.
  Con ordinanza commissariale n. 151 del 28 marzo 2001, è stato approvato il progetto di sistemazione finale, messa in sicurezza e ripristino ambientale della discarica "Schiava" Paenzano 1, 2° stralcio. I relativi lavori sono stati effettuati e conclusi nell'anno 2001. Allo stato attuale non risultano criticità ambientali nel sito, i cui monitoraggi vengono effettuati periodicamente secondo la normativa vigente.
  Sempre secondo quanto riferito dalla regione Campania, la discarica Paenzano 2 è stata realizzata dalla prefettura di Napoli con i poteri derivanti dal periodo di emergenza rifiuti nella regione e che è stata aperta a partire dal febbraio 1999. In forza di successive ordinanze prefettizie di proroga, la stessa discarica ha concluso l'esercizio il 17 gennaio 2001.
  Il 18 gennaio 2001 è stata posta sotto sequestro dalla procura della repubblica di Nola ed è attualmente in attesa della sistemazione finale e messa in sicurezza.
  I conferimenti sono iniziati nell'anno 1999 e sono terminati nell'anno 2001 per un quantitativo totale di 1.350.000 t. di rifiuti urbani.
  Al termine della fase attiva, sul corpo rifiuti è stata realizzata una copertura superficiale provvisoria in terreno.
  Nell'anno 2011, la Sapna, società provinciale di Napoli, subentrata
ex lege nella gestione del sito, ha redatto un progetto per la realizzazione della chiusura definitiva della discarica, secondo quanto previsto dal decreto legislativo n. 36 del 2003, presentato presso gli uffici competenti regionali per l'approvazione e la successiva autorizzazione.
  Allo stato attuale, l’
iter approvativo non è stato ancora concluso. Anche in questo la regione Campania ha evidenziato che i monitoraggi vengono effettuati periodicamente secondo la normativa vigente.
  La medesima regione ha altresì comunicato che su entrambe le discariche è presente una rete di captazione del biogas prodotto, costituita da pozzi verticali, che lo convoglia all'impianto di valorizzazione energetica ubicato presso l'area servizi di Paenzano 1.
  L'impianto a servizio delle due discariche è gestito dalla società Elea Utilities, che vende l'energia prodotta all'Enel. La captazione del biogas, pari a circa 200.000 mc mensili, è ad oggi in fase di esaurimento.
  Sempre secondo quanto riferito dalla regione, nonostante le discariche siano state realizzate in un periodo ante decreto legislativo n. 152 del 2006 (Testo unico ambientale) e decreto legislativo n. 36 del 2003 (normativa di settore in materia di discariche), la gestione Sapna ha messo in atto la sorveglianza ed il controllo delle matrici ambientali attenendosi a quanto previsto dal decreto legislativo n. 36 del 2003, adottando tutti gli accorgimenti utili necessari a prevenire e ridurre i rischi per l'ambiente e ad intervenire tempestivamente nel caso si dovessero verificare imprevisti.
  Fermo restando la necessità di procedere con la realizzazione del
capping della discarica di Paenzano 2, l'amministrazione regionale ha riferito che le analisi ed il monitoraggio delle discariche avvengono puntualmente e le risultanze degli stessi sono messe a conoscenza di tutti gli enti preposti e che nella maggioranza dei casi, non si verificano superamenti che lascino ricondurre alla discarica come fonte di contaminazione. Sempre la regione ha precisato che per effetto della legge n. 26 del 2010, la gestione delle discariche realizzate nella fase emergenziale sono state trasferite alle amministrazioni provinciali al fine di provvedere alla gestione delle stesse. La società provinciale Sapna provvede alla rimozione del percolato e alla gestione ordinaria su entrambe le discariche.
  Entrambe le discariche sono state censite nel vigente piano regionale di bonifica della Campania come siti potenzialmente contaminati aventi rispettivamente i cod. 3085A001 e 3085A002.
  L'amministrazione regionale ha precisato, altresì, che nell'ambito della programmazione delle risorse Fondo sviluppo e coesione 2014/2020, con deliberazione di giunta Regionale n. 731 del 13 dicembre 2016, sono stati assegnati fondi per la caratterizzazione delle due discariche e in data 16 ottobre 2017, con decreto n. 479, è stata individuata la città metropolitana di Napoli quale soggetto attuatore e sono stati approvati i criteri ed indirizzi per il trasferimento dei fondi.
  La regione Campania con il finanziamento della caratterizzazione intende verificare l'effettivo stato di contaminazione dei siti, così come prescritto dalla norma di cui all'articolo 242 del decreto legislativo 152 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni.
  In merito alla gestione dell'impianto di tritovagliatura ed imballaggio dei rifiuti di Tufino, la regione ha fatto presente che lo stesso è in esercizio dal 2001, dapprima sotto la gestione Fibe/Fisia impianti e nel 2005, a seguito di risoluzione del contratto tra la Fibe/Fisia ed il commissario di Governo all'emergenza rifiuti, l'impianto è passato sotto il controllo commissariale, rimanendo in gestione alla stessa società.
  Successivamente, con la fine dello stato di emergenza del 31 dicembre 2009, l'impianto è transitato nella competenza della società provinciale di Napoli Sap.Na, che a tutt'oggi detiene la gestione dello stesso secondo l'autorizzazione integrata ambientale.
  Lo Stabilimento di tritovagliatura ed imballaggio rifiuti è autorizzato per il conferimento dei rifiuti solidi urbani Codice Europeo dei rifiuti 20 marzo 2001, rifiuti provenienti dalla raccolta quotidiana nei comuni della provincia di Napoli, la stessa provincia che dai dati emersi dall'indagine Ispra per il 2016, ha raggiunto circa il 45 per cento di raccolta differenziata.
  Dal 2010 il conferimento dei rifiuti è andato progressivamente diminuendo. Oggi, infatti, l'impianto tratta circa 600 tonnellate giornaliere di rifiuti urbani Codice europeo dei rifiuti 20 marzo 2001, rispetto ad una potenzialità pari a circa il doppio dei quantitativi.
  L'impianto stabilimento di tritovagliatura e imballaggio rifiuti di Tufino è costituito da tre aree di lavorazione del rifiuto tal quale, ovvero area di tritovagliatura e selezione, area di stabilizzazione, area di raffinazione.
  Nell'area di tritovagliatura e selezione, sono presenti 2 linee di lavorazione del rifiuto. Il processo è del tipo a secco, automatizzato, e si attua attraverso le seguenti lavorazioni:

   - triturazione grossolana dei rifiuti, finalizzata ad aprire i contenitori (sacchetti e altro) ed a conferire al materiale la pezzatura ottimale per i successivi trattamenti;

   - selezione meccanica (attraverso doppia vagliatura) finalizzata alla suddivisione dei rifiuti nei seguenti flussi di materiale:

   - frazione tritovagliata secca (Fts);

   - frazione umida tritovagliata (Fut);

   - metalli ferrosi;

   - scarti solidi non utilizzabili;

   - pressatura della frazione tritovagliata.

  Il tritovagliato può essere sia pressato in balle sigillate con film di polietilene (pressa imballatrice+filmatrice) che semplicemente pressato (pressa stazionaria) per il trasporto al termovalorizzatore di Acerra.
  La frazione organica subisce i seguenti trattamenti:

   - Stabilizzazione aerobica della frazione umida tritovagliata, attraverso processo biologico controllato in aia aerata (Mvs) a cumuli statici. Il trattamento è finalizzato ad ottenere un materiale stabilizzato, con una perdita di processo pari a circa il 30 per cento del suo peso iniziale (Codice europeo dei rifiuti 19 maggio 2001);

   - Raffinazione della frazione umida tritovagliata stabilizzata (Futs), allo scopo di recuperare l'eventuale materiale plastico ancora presente per utilizzarlo nella produzione del tritovagliato secco, il trattamento avviene tramite un vaglio mobile con fori da 25 mm ubicato nel capannone Mvs, materiale utilizzabile per interventi di ripristino ambientale (Codice europeo dei rifiuti 19 maggio 2003). Entrambe le fazioni stabilizzate vengono smaltite a cura della società provinciale in impianti per il recupero energetico o per la copertura giornaliera delle discariche, siti fuori dal territorio regionale.

  I capannoni pre-raffinazione e post-raffinazione vengono utilizzati come stoccaggio di Futs e Fts.
  L'impianto in questione è monitorato costantemente dall'autorità preposte al controllo Arpac ed asl e la società provinciale anche in questo caso, effettua periodicamente il monitoraggio dell'intera area, ed allo stato attuale, non risultano problematiche relative a criticità ambientali.
  Sempre la regione Campania, in particolare la direzione generale per la tutela della salute ed il coordinamento del sistema sanitario regionale, in merito alle discariche Palenzano 1 e 2, ha precisato che il comune di Tufino rientra tra i 35 comuni della ex asl Napoli 4, il cui territorio è coperto dal "Registro tumori", a far data dal 1° gennaio 1996.
  Tale monitoraggio, dal gennaio del 2008, è stato esteso all'intera area della attuale Napoli 3 sud, comprendente 57 comuni ed una popolazione di 1.078.000 abitanti.
  Il comune di Tufino rientra quindi nell'area geografica, la cui popolazione residente, da circa 20 anni, è sottoposta a monitoraggio costante, per quel che riguarda la patologia oncologica.
  Dai dati di incidenza oncologica, attualmente disponibili e riferiti sia al periodo 1996/2007 che agli ultimi sette anni, 2008/2014 e tutti trasmessi alla banca dati nazionale dell'associazione italiana registri tumori, non emerge nel territorio del comune di Tufino, alcun eccesso di incidenza oncologica, per nessuna delle 54 sedi di tumore indagate, sia nei maschi che nelle femmine.
  Nel giugno del 2017, in relazione alla indagine conoscitiva attivata dalla XII commissione permanente — igiene e sanità del Senato della Repubblica su "Inquinamento ambientale ed effetti sull'incidenza dei tumori, delle malformazioni feto-neonatali ed epigenetica" è stato condotto dal registro tumori asl Napoli 3 sud, e da questo trasmesso alla stessa commissione, uno studio
ad hoc riferito a tutti i comuni della stessa asl e mirato ad evidenziare possibili cluster geografici di patologia oncologica correlati a fattori di pressione ambientale.
  Sempre la regione Campania ha precisato che 34 dei 59 comuni indagati afferiscono all'area geografica "Terra dei fuochi" e tra questi il comune di Tufino. Lo studio ha indagato, oltre all'insieme dei tumori, tredici singole sedi topografiche per i maschi e tredici per le femmine, relativamente alle quali sono presenti in letteratura studi ecologici che ne riportano eccessi di rischio in presenza di discariche, anche se con evidenza valutata inadeguata per inferire la presenza o l'assenza di un'associazione causale (Pirastu et All; E&P 2010 — suppl. 3).
  Le sedi topografiche sono state indagate per entrambi i generi e per i tumori all'esofago, allo stomaco, al fegato, alle vie biliari, le leucemie, il linfoma di Hodgkin, il linfoma non Hodgkin, al polmone, al rene, alla vescica ed al sistema nervoso centrale, per i soli maschi, al testicolo e per le sole donne, alla mammella.
  Lo studio ha prodotto per ogni tumore indagato, e per ogni genere, mappe geografiche di rischio, con dettaglio comunale e sub comunale, riferite a rischi relativi per singolo tumore calcolati con metodo bayesiano gerarchico e corretti per deprivazione socio-economica.
  La regione Campania ha fatto presente, peraltro, che anche da tale studio più specificamente mirato alla valutazione della possibile correlazione tra cancro e fattori di pressione ambientale, non è emerso alcun eccesso di rischio del comune di Tufino in relazione all'intero territorio di riferimento dei 59 comuni indagati.
  In considerazione del lungo tempo di latenza dei tumori ha, comunque, precisato che, sebbene ad oggi, non emergano nel comune di Tufino eccessi di patologia oncologica, ne evidenze di possibili correlazioni tra dato ambientale e tumori, il fatto non esclude la possibilità che tali evidenze possano rilevarsi nel tempo, anche in aree sub comunali.
  Questa valutazione epidemiologica ha condotto il gruppo di lavoro del registro tumori della asl Napoli 3 sud ad attivare un sistema di monitoraggio della patologia oncologica mirato alla rilevazione del rischio anche in ambiti sub comunali, con analisi di dettaglio riferite alle particelle censuali dei muri. Attualmente, quindi, tutti i comuni afferenti alla asl Napoli 3 sud sono monitorati con tale sistema di rilevazione ed analisi del rischio.
  Il monitoraggio costante nel tempo della patologia oncologica sul territorio, che va sotto il nome di epidemiologia descrittiva, rende possibile l'attivazione di "
alert" epidemiologici in caso di rilevazione di dati di incidenza oncologica "osservati" che siano superiori ai dati "attesi". In tal caso, vanno attivati studi aggiuntivi, di epidemiologia analitica, mirati ad indagare sulle cause specifiche che possano aver determinato l'eccesso di patologia oncologica osservato.
  Le attuali evidenze epidemiologiche relative al comune di Tufino, non evidenziano, allo stato, alcun
alert epidemiologico e, di conseguenza, non indicano la necessità ed opportunità dell'attivazione di tali studi.
  Alla luce delle informazioni esposte, si rassicura comunque che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare continuerà a tenersi informato ed a svolgere le proprie attività di monitoraggio e sollecito, mantenendo alto il livello di attenzione sulla questione.
  

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   LUIGI DI MAIO, DELL'ORCO, SIBILIA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti è in corso di emanazione un decreto dirigenziale al fine di adottare le nuove istruzioni tecniche per la progettazione, l'omologazione e l'impiego delle barriere stradali di sicurezza; il decreto è stato trasmesso dal Ministero dei trasporti al Ministero per lo sviluppo economico, che ha provveduto all'inoltro per la notifica in sede europea (n. di notifica 2014/483/I del 6 ottobre 2014) prima della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale;

   secondo quanto segnalato ai deputati interroganti, il suddetto decreto non garantisce gli standard di sicurezza previsti invece dalle istruzioni tecniche attualmente in vigore e, considerando che la fuoriuscita di strada è la seconda causa di morte sulle strade extraurbane, ciò risulta in contrasto con l'impegno preso dal nostro Paese in sede europea di ridurre del 50 per cento entro il 2020 il numero delle vittime stradali;

   sempre secondo quanto segnalato ai deputati interroganti, l'abbassamento della soglia di attenzione verso la sicurezza stradale è evidente già nelle finalità a cui devono essere preposte le barriere di ritenuta stradale: mentre infatti nelle attuali istruzioni di cui al decreto ministeriale n. 223 del 18 febbraio 1992 l'intento è complessivamente quello «di realizzare le condizioni di maggior sicurezza possibile», nell'articolo 3 del decreto in approvazione si parla più specificatamente di «evitare la fuoriuscita dalla piattaforma stradale», restringendo poi ulteriormente il campo ai soli casi in cui ci si trovi nelle condizioni d'urto contemplate dalla norma UNI EN 1317-2. Questa formulazione a parere degli interroganti non giova certo al miglioramento della sicurezza, ma piuttosto va verso una diminuzione delle responsabilità degli operatori;

   passando poi ad analizzare le vere e proprie prescrizioni della norma, ai deputati interroganti è stata segnalata una generale riduzione dei livelli minimi di contenimento delle barriere prescritte in tutti i casi e in tutte le condizioni, non considerando la sicurezza dei conducenti dei veicoli pesanti né l'intrinseca pericolosità di alcuni siti. Tale riduzione dei livelli minimi di contenimento sembra, tra l'altro, in contrasto con studi che dimostrano al contrario la necessità di aumentare i livelli di contenimento come quello commissionato da Autostrade per l'Italia e pubblicato dal professore Marchionna sulla rivista Le Strade (4/2009) che indica che mediamente il 95o percentile dell'energia di impatto è pari a circa 1000 kJ. Questo valore del percentile è quello che comunemente si adopera per definire il valore caratteristico delle azioni per le costruzioni civili;

   sempre secondo quanto segnalato ai deputati interroganti, sul bordo ponte delle autostrade la prossima norma prevede una capacità di contenimento pari ad H2 su più di 2000 chilometri di autostrada. Su questi stessi tratti l'attuale norma prevede, di contro, una capacità di contenimento pari ad H3. La scelta della nuova norma sarebbe fortemente a svantaggio della sicurezza in tutti quei casi in cui la maggior parte dei veicoli pesanti circolanti sono del tipo autocarro pesante, autotreno o autoarticolato. Ciò accade perché l'energia di impatto di questi ultimi può essere facilmente maggiore di quella corrispondente al livello H2. Secondo le segnalazioni inoltrate ai deputati interroganti, considerando i possibili angoli di fuoriuscita e le possibili velocità di impatto (tutte compatibili con i limiti di velocità esistenti), si avrebbe che più della metà degli autoarticolati e degli autotreni a pieno carico hanno una energia di fuoriuscita maggiore di quella contenibile con il livello H2. Se si adopera il criterio impiegato nello studio commissionato da Autostrade per l'Italia, si ha che i veicoli sopraindicati sarebbero ancora meno cautelati. Prendendo in considerazione l'autostrada A16, sulla quale il giorno 29 luglio 2013 hanno perso la vita 39 persone a seguito dello sfondamento di una barriera bordo ponte, la prossima norma consentirebbe di impiegare una barriera di classe H2 (287 kJ) contro le attuali H3-H4 (462-724 kJ) richieste dalla norma in vigore. In relazione a tale incidente, la geometria della carreggiata, il tipo di veicolo e la possibile velocità più volte riportate dai giornali portano a ritenere che l'energia di impatto del mezzo possa essere stata maggiore di 300 kJ (fino a 450 kJ circa). Da ciò si evincerebbe facilmente che la nuova norma renderebbe «legale» il mancato contenimento di un impatto identico a quello di fine luglio 2013;

   sul bordo laterale delle autostrade e delle strade extraurbane principali si prevede sempre e comunque il livello di contenimento H2, anche sui rilevati molto alti e sui muri di sostegno. Tale scelta, anche in questo caso secondo quanto segnalato ai deputati interroganti, si porrebbe fortemente a svantaggio della sicurezza in tutti quei casi in cui la maggior parte dei veicoli pesanti circolanti sono del tipo autocarro pesante, autotreno o autoarticolato. Ciò accade perché, come sopra detto, l'energia di impatto di questi ultimi può essere facilmente maggiore di quella corrispondente al livello H2;

   altra questione di particolare rilievo segnalata ai deputati interroganti è il fatto che rispetto alla normativa oggi in vigore, non si pone alcun limite all'impiego di barriere con elevato livello di severità per l'urto delle autovettura (classe C). Ciò è stato fatto trascurando del tutto la circostanza che le vetture, come mostrato da alcuni crash test TB11 contemplati nella UNI EN 1317, possono deformarsi in maniera molto pericolosa per gli occupanti nel caso di barriere con elevato livello di severità e non considerando in alcun modo che in tutti i Paesi europei l'impiego di tale livello viene consentito soltanto in casi eccezionali. A ciò bisogna anche aggiungere che vi sarebbe un numero limitatissimo di barriere di produttori italiani con livello C e l'impiego di quest'ultimo aprirebbe ulteriormente il mercato italiano a produttori esteri. Da una indagine effettuata da alcuni docenti sulle barriere presenti sul mercato italiano risulta che le barriere con Livello C siano soltanto 3, su un insieme che conta circa 100 modelli. Di queste, due di esse sono destinate ad impieghi quasi del tutto «particolari»;

   la nuova normativa inoltre consentirebbe che, nel caso delle strade esistenti, le ruote dei veicoli pesanti finiscano nella scarpata anche per più di un metro e ciò ne aumenta enormemente il rischio di ribaltamento;

   l'impiego dei terminali speciali viene posto in secondo piano rispetto ai terminali «semplici» di avvio, ciò senza considerare che questi ultimi rispetto ai primi non offrono alcuna minima certezza riguardo alla sicurezza dell'impatto dei veicoli leggeri;

   un'ultima considerazione riguarda infine la mancanza di indicazioni per le strade urbane locali e di quartiere. Sebbene infatti le istruzioni siano destinate a strade con velocità di progetto maggiore o uguale a 70 km/h, per la sicurezza dei cittadini si ritiene che non si possa lasciare del tutto prive di qualsiasi regola le strade urbane locali. Tra l'altro le precedenti istruzioni tecniche unitamente alla circolare del giugno 2010 (6o capoverso del paragrafo 3) fornivano le basi per regolare l'installazione delle barriere di sicurezza anche in questi casi –:

   quale sia stato il motivo di revisione al ribasso delle istruzioni tecniche e se ciò sia stato fatto sulla scorta di studi, basati anche sull'analisi degli incidenti realmente accaduti e di quanto accadrebbe per i veicoli molto pesanti (quali autotreni ed autoarticolati), che dimostrano inequivocabilmente l'utilità di ridurre le attuali prescrizioni;

   se il Ministro interrogato non ritenga che le istruzioni in corso di approvazione deresponsabilizzeranno gli operatori in tutti i casi in cui l'urto non avvenga nelle esatte condizioni della UNI EN 1317, anche a parità di energia trasversale;

   se il Ministro voglia fornire alcuni dati che evidenzino i possibili effetti dell'apertura all'impiego di barriere con elevato livello di severità (classe C), sia in termini di diffusione sulle strade sia in termini di produttori presenti sul mercato, anche considerato che la norma è stata notificata senza una valutazione di impatto;

   se non si ritenga in funzione di un generale miglioramento della sicurezza stradale e in funzione del raggiungimento dell'obiettivo in sede europea della riduzione del 50 per cento delle vittime stradali entro il 2020, di valutare la possibilità di modificare la normativa in corso di approvazione aumentando il livello di contenimento delle barriere previsto, introducendo un limite all'impiego delle barriere con elevato livello di severità (classe C), riducendo la possibile deflessione dinamica delle barriere nel caso di scarpata;

   se il Ministro non ritenga di dover modificare o integrare le normative tecniche in corso di approvazione con indicazioni anche per strade urbane locali che non rientrino nel campo di applicazione delle predette istruzioni tecniche, prescrivendo comunque per i progettisti il riferimento alla tabella C e alla tabella 3.6.III delle norme tecniche di costruzione del 2008.
(4-07400)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, sulla base delle informazione pervenute dalla direzione generale per la sicurezza stradale di questo Ministero, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  Va premesso che la modifica al testo introduttivo della bozza delle nuove istruzioni tecniche è stata apportata proprio al fine di meglio esplicitare lo scopo per il quale sono progettati, fabbricati e installati, i dispositivi di ritenuta stradale, senza quindi determinare alcuna «diminuzione delle responsabilità degli operatori».
  La bozza dunque non incide, né potrebbe incidere, sui profili di competenza e responsabilità che sono fissati dall'articolo 14 del decreto legislativo n. 285 del 1992 (Codice della strada).
  In particolare, l'articolo 3 di detta bozza specifica che le barriere di sicurezza stradale e gli altri dispositivi di ritenuta sono posti in opera al fine di evitare, nel rispetto delle condizioni d'urto contemplate nelle norme della serie EN 1317, la fuoriuscita dalla piattaforma stradale dei veicoli in svio, limitando gli effetti dell'urto sugli occupanti dei veicoli stessi ed evitando al contempo l'interessamento di persone o cose poste all'esterno dell'infrastruttura, obbligando il progettista della sistemazione dei dispositivi a valutare le conseguenze del possibile incidente, sia per gli occupanti del veicolo leggero che tenda a sviare dalla carreggiata sia per gli altri utenti della strada e per le aree limitrofe, ripetendo e rafforzando le formulazioni delle precedenti istruzioni tecniche (in particolare si richiamava la salvaguardia degli utenti della strada e dei terzi esterni eventualmente presenti).
  Uno degli elementi cardine della norma consiste proprio nell'aver eliminato la discrezionalità del progettista.
  Circa, poi, l'articolo del professor Marchionna, occorre rilevare come questo faccia riferimento al concetto di «urto più probabile», che corrisponde a una energia di impatto di 15,137 kJ (urto di una autovettura di massa 1450 kg impattante a 76 km/h con un angolo di 12,5°). Il professore, contestando quindi l'impianto della norma vigente, suggerisce di far riferimento al 90o percentile che corrisponde a una energia di impatto di 254,62 kJ, inferiore al contenimento garantito dalle barriere di classe H2 (287,5). In linea con quanto sopra, sulle autostrade e sulle strade extraurbane principali la classe minima richiesta dalla nuova formulazione della norma è proprio la H2 (mentre prima era ammessa, in alcuni casi, anche la H1). L'adozione di un valore di progetto di 1000 kJ è palesemente irrealistico, infatti la massima energia contenuta dalla classe H4 nel caso di urto con autocarro è di 572 kJ, da non confondere con l'energia propria degli autoarticolati che è artificiosamente maggiorata per finalità di calcolo, solo per tener conto delle diverse modalità d'urto.
  Il riferimento al 95° percentile è una estrapolazione della progettazione delle strutture che non trova riscontro nel settore della progettazione delle infrastrutture stradali dove, al contrario, la velocità operativa di riferimento per le analisi di tipo ingegneristico è usualmente definita con riferimento all'85° per centile. L'ipotesi Marchionna di assumere il 90° percentile è quindi da ritenersi già cautelativa rispetto agli usuali standard di progettazione stradale e pienamente in linea con il dettato della nuova norma.
  Riguardo al bordo ponte delle autostrade, la classe H2 sarà ammessa solo per le opere d'arte su strade con un traffico giornaliero bidirezionale di veicoli pesanti molto basso (non superiore a 5000 veicoli/giorno ovvero 2500 veicoli pesanti al giorno per ciascuna direzione di marcia) con esclusione di tutte le opere sovrapassanti strade di tipo A, B, C, D. E o ferrovie o di tipo F (se quest'ultime sono caratterizzate da un traffico giornaliero medio complessivo bidirezionale > 1000 veicoli/giorno o, se il traffico giornaliero medio complessivo bidirezionale non fosse noto, aventi carreggiata di larghezza superiore a 5 metri).
  Sulla base dei dati 2010, solo il 20 per cento rete autostradale ha un traffico rientrante in questa classe. Stimando che la maggior parte delle opere sovrapassi un'altra infrastruttura, la classe H2 potrebbe essere usata solo nelle opere d'arte in casi limitati di tratte autostradali che, si ricorda, sono caratterizzate da un traffico molto basso. L'attuale norma prevede, per contro, la possibilità di usare la barriera di classe H2 non solo in tutte le situazioni con percentuali di traffico pesante molto basso (riscontrabili in alcune autostrade urbane a forte traffico come il G.R.A. di Roma) ma anche in tutte le opere d'arte di luce minore di 10 metri che sovrapassano altre strade (in pratica la maggior parte delle opere d'arte con cui le viabilità secondarie sottopassano le autostrade).
  In tutti questi casi, la nuova formulazione impone la classe minima H3, con la sola eccezione di scavalcamenti su viabilità locali di larghezza minore di 5 metri o con traffico bassissimo.
  La nuova proposta non riduce, quindi, i livelli di protezione ma li rimodula in funzione del nuovo indicatore di rischio adottato (numero di veicoli pesanti e non più percentuale di veicoli pesanti) prevedendo, in modo univoco, classi più elevate laddove necessario, e classi inferiori laddove non sia giustificata l'adozione di una classe di contenimento troppo elevata rispetto alla composizione del traffico che caratterizza l'infrastruttura.
  Si evidenzia infatti che, in via generale, barriere di classe più elevata sono dispositivi tipicamente più rigidi, che assorbono meno l'energia di impatto e in maniera meno progressiva e sono quindi meno efficaci nel controllare le conseguenze post-urto e la severità dell'urto sugli occupanti delle autovetture, che rappresentano la parte prevalente e più vulnerabile dell'utenza nonché quella maggiormente interessata dagli incidenti stradali.
  Resta fermo, poi, che l'ambito di applicazione del progetto di norma è riferibile alle nuove progettazioni e agli eventuali adeguamenti necessari. L'immagine di barriere con capacità di contenimento pari ad H2 su circa duemila chilometri di autostrada è quindi palesemente priva di fondamento.
  Lo studio del professor Marchionna mostra che meno del 10 per cento delle condizioni analizzate portano ad energia superiore alla H2, pur avendo considerato la velocità massima imposta e il massimo angolo di impatto (32,5° a fronte di un angolo di 20° considerato dalle norme).
  Riguardo agli angoli di fuoriuscita e alle possibili velocità di impatto, le segnalazioni sono fuorvianti in quanto non tengono conto delle effettive traiettorie di svio e dei relativi angoli di impatto, in realtà fattori non noti. Nel citato studio l'angolo di impatto è sempre assunto pari al massimo ed è basato sul modello Rsap del 2002, oggi superato dal più recente Rsap3 del 2013. Questo nuovo modello porta a stimare, per autotreni e autoarticolati a pieno carico, percentuali nettamente inferiori al 50 per cento, come indicato nell'interrogazione, di superamento per il contenimento della classe H2.
  Nell'articolo si fa anche riferimento al tragico incidente avvenuto sull'autostrada A16 in data 29 luglio 2013 asserendo, senza alcun riscontro tecnico-scientifico, che, applicando le disposizioni delle nuove istruzioni tecniche, la nuova norma renderebbe legale il mancato contenimento di un impatto identico a quello dell'incidente, ciò senza valutare le condizioni in cui è avvenuto l'impatto, il tipo di barriera installata, la relativa installazione e lo stato di manutenzione: esclusivamente quindi sulla base dell'erroneo assunto che, in generale, le nuove istruzioni tecniche prevedono un abbassamento del livello di contenimento delle barriere. Al riguardo, si evidenzia che la bozza di decreto, per le barriere riferite al caso preso in esame, non prevede alcuna diminuzione della classe minima rispetto alla vigente normativa e non offre maggiore spazio all'operato dei concessionari rispetto alla situazione attuale.
  Con riferimento al bordo laterale di autostrade, la bozza di norma tecnica prevede che nel caso di tratte in affiancamento ad altre infrastrutture (con esclusione delle sole locali a destinazione particolare o assimilabili), a strutture sensibili come edifici pubblici o privati, scuole, ospedali e altro, che in caso di fuoriuscita o urto dei veicoli potrebbero subire danni comportando quindi pericolo anche per i non utenti della strada, la classe minima sia la H3 per tutte le classi di traffico.
  La normativa vigente consente invece di mettere sul bordo laterale classi H1 o H2 lasciando al progettista la scelta se adottare (solo per le condizioni di traffico massime) la classe H3 senza fornire alcun criterio oggettivo di scelta. Uno degli elementi cardine della nuova norma consiste nell'aver eliminato la discrezionalità del progettista nella scelta H2-H3 (nel caso del bordo laterale delle strade a maggior traffico), individuando in quali condizioni vada usata la H2 e in quali la H3. Si evita così la possibilità di avere situazioni ad alto rischio in cui vengono utilizzate barriere di classe di contenimento più bassa o, viceversa, situazioni a minor rischio nelle quali vengono utilizzate le barriere a più alto contenimento che, si sottolinea, sono più critiche per gli urti delle autovetture. Si segnala, inoltre, che nell'attuale configurazione normativa nelle condizioni di traffico medie (livello II) non è mai previsto l'impiego di barriere di classe H3, oggi invece prescritto in caso di affiancamento ad altre infrastrutture o strutture sensibili.
  Riguardo alle barriere con livello di severità C, esse sono previste dalla normativa EN 1317 e, come evidenziato, hanno la funzione di risolvere problematiche specifiche e vietarne l'uso sarebbe pertanto improprio. Nella nuova norma è chiarito che:

   «Il progettista della sistemazione dei dispositivi di ritenuta di cui all'articolo 2 del decreto ministeriale 18 febbraio 1992, nel prevedere la protezione dei punti previsti nell'articolo 4, definirà, motivandole, le caratteristiche prestazionali dei dispositivi da adottare, secondo quanto indicato nelle presenti istruzioni, stabilendo:

    le classi di contenimento di progetto in relazione ai diversi punti di destinazione;

    i livelli di severità definiti come previsto dalle norme della serie EN 1317.».

  L'adozione di un livello di severità C dovrà essere quindi opportunamente motivato dal progettista.
  Si segnala altresì che il riferimento alla deformazione del veicolo è errato. L'indicatore che controlla la deformazione del veicolo è il Vcdi, che viene rilevato si ma che non rientra nella classificazione del livello di severità.
  Riguardo alla questione delle ruote dei veicoli pesanti, l'attuale normativa non prevede alcuna regolamentazione ed è frequente vedere sulle strade barriere installate sulle scarpate, in particolare sulle strade esistenti. La nuova norma prevede invece delle limitazioni, ovviamente differenziate per strade nuove e per strade esistenti. L'analisi delle linee guida internazionali, ad esempio il ben noto
Roadside design Guide del 2010, ha confermato la validità della soluzione proposta, considerato anche che si tratta di una azione dinamica della durata di una frazione di secondo che interessa tipicamente solo un semiasse. Si precisa, peraltro, che il punto più interno delle ruote non può trovarsi per più di 35 centimetri sulla scarpata.
  Rispetto alla segnalazione riguardante i terminali speciali, si tratta della formulazione già prevista nell'attuale normativa e non ci sono evidenze sperimentali che portino a modificarla. I terminali speciali possono comunque risultare pericolosi nel caso di urto laterale (con il fianco del mezzo), problematica che viene invece mitigata con l'impiego dei terminali semplici deviati rispetto al flusso di traffico.
  Riguardo alla questione delle strade urbane e locali, occorre precisare che la bozza di decreto rappresenta una disposizione di rango inferiore rispetto al decreto ministeriale 223 del 1992 che, come richiamato, limita il campo di applicazione alle sole strade con velocità di progetto maggiore o uguale a 70 km/h. Il riferimento a viabilità non comprese nel campo di applicazione della norma era evidentemente un errore del decreto ministeriale 21 giugno 2004 ed è stato corretto. Nel merito tecnico l'estensione del concetto di impiego di barriere di sicurezza alle strade urbane di quartiere e locali è errata, in quanto comporterebbe la necessità di proteggere tutti gli ostacoli delle strade all'interno delle città (semafori, pali della luce, manufatti e altro) con dispositivi aventi una lunghezza pari ad almeno quella di funzionamento (tipicamente 90 metri) testati, come minimo, con una berlina da 1500 kg di massa che urta ad 80 Km/h con un angolo di impatto di 20o. Oltre alla dubbia utilità, appare evidentemente irrealizzabile in un ambiente per sua natura fortemente antropizzato.
  Quanto alla circolare citata nell'atto in esame, essa richiama solo l'attenzione dei progettisti sul fatto che nei casi non coperti dalla norma (ad esempio le strade urbane locali e di quartiere) è compito del progettista stesso individuare le situazioni ove si rendono necessarie protezioni (e non necessariamente barriere di sicurezza o altri dispositivo di ritenuta ma, ad esempio, strutture di protezione gettate in opera con la struttura dell'opera d'arte) in relazione alla presenza o all'insorgenza di condizioni di potenziale pericolo. Tale concetto, già di per sé pleonastico perché evidentemente rientrante nelle responsabilità del progettista, può essere espresso in una circolare ma non in una norma che disciplina una materia diversa (le barriere di sicurezza e gli altri dispositivi di ritenuta) da impiegare sulle strade con velocità di progetto pari o superiore a 70 km/h.
  Come già evidenziato, non è stata fatta una «revisione al ribasso». Per la definizione delle soglie si è fatto riferimento a dati di distribuzione del traffico messi a disposizione degli enti gestori delle strade.
  La non coincidenza dell'urto con le esatte condizioni di prova, non è certamente una conseguenza dell'impostazione della normativa italiana ma delle norme europee della serie EN 1317, le quali prevedono solo prove in condizioni d'urto convenzionali e comunque nulla che riguardi la definizione del livello minimo di contenimento. Lo scopo delle prove convenzionali è proprio quello di verificare che il dispositivo garantisca i livelli prestazionali nelle condizioni date per l'impiego su strada delle barriere, ciò sia nella normativa vigente come in quella di futura emanazione.
  Né la normativa attuale né le normative degli altri paesi europei prevedono modalità di verifica della risposta della barriera nei confronti di un impatto che, a parità di energia, avvenga con angolo, velocità o massa diversi.
  Come detto in precedenza, l'impiego delle barriere di classe C deve essere opportunamente motivato e non è previsto un uso generalizzato di questi dispositivi.
  In ogni caso, la bozza di norma non può intervenire nel caso di strade con velocità di progetto inferiore a 70 km/h.
  Il riferimento alla tabella 3.6.III delle norme tecniche del 2008 è palesemente errato in quanto contenuta nell'articolo 3.6.3.3.1 «Traffico veicolare sotto ponti o altre strutture». Si tratta infatti delle azioni da considerare per il dimensionamento delle strutture poste sotto ponti o altre strutture (pile che possono far cadere la struttura se impattate da un mezzo pesante) e non per il dimensionamento dei sicurvia che sono invece soggetti alla verifica prevista dall'articolo 3.6.3.3.2 «Traffico veicolare sopra i ponti» della citata norma del 2008 (100 kN e non 1000 kN come indicato nella tabella citata). Tale verifica è già prevista dalla citata norma e vale per tutte le opere (anche per le opere da realizzare su strade urbane locali e di quartiere) ed una sua ripetizione in una norma diversa sarebbe inopportuna, in quanto potrebbe portare ad incongruenze nel caso di aggiornamento delle citate norme tecniche per le costruzioni.
  Comunque, rispetto a quanto affermato nell'atto in esame, si evidenzia che le istruzioni tecniche indicano le classi minime da adottare, rispetto alle quali il progettista potrà valutare in merito all'uso di barriere caratterizzate da un livello di contenimento più elevato, anche in funzione delle caratteristiche plano-altimetriche del tracciato e/o delle condizioni climatiche dell'infrastruttura. Su tale aspetto è in via di predisposizione una bozza di linee guida per l'installazione dei dispositivi di ritenuta stradale, nella quale trattare le possibili e svariate problematiche che possono riscontrarsi nel corso della progettazione o della installazione dei dispositivi stessi.
  Prevedere, come propongono gli interroganti, l'installazione di barriere (sostanzialmente su tutte le strade, salvo forse su quelle ove non sia consentito il transito di mezzi pesanti) caratterizzate da un più elevato livello di contenimento senza tener conto degli effetti che l'urto di un'autovettura contro siffatta barriera determina, porterebbe, in via generale, ad una maggiore severità d'urto per gli occupanti dell'autovettura e, quindi, a effetti potenzialmente più rischiosi per gli stessi. Senza omettere la considerazione che ciò potrebbe comportare un aumento dei costi per gli enti gestori e proprietari delle strade, e conseguentemente per la collettività.
  In definitiva, con riferimento a «una generale riduzione dei livelli minimi di contenimento delle barriere prescritte in tutti i casi e in tutte le condizioni», è opportuno evidenziare come gli interventi e le iniziative messe in atto da questo Dicastero contrastino con qualunque ipotesi di abbassamento generale degli standard di sicurezza stradale; e infatti tutte le attività intraprese hanno significativamente contribuito agli importanti risultati raggiunti in termini di riduzione della mortalità stradale di circa il 5 per cento dal 2001 al 2013.
  In merito all’
iter del provvedimento in parola, si evidenzia che la bozza di aggiornamento delle istruzioni tecniche inerenti l'uso e l'installazione dei dispositivi di ritenuta stradale è stata predisposta ai sensi dell'articolo 8, comma 2, del decreto ministeriale 18 febbraio 1992 «Regolamento recante istruzioni tecniche per la progettazione, l'omologazione e l'impiego delle barriere stradali di sicurezza» e dell'articolo 2, comma 5, del decreto ministeriale 28 giugno 2011 «Disposizioni sull'uso e l'installazione dei dispositivi di ritenuta stradale». Le nuove istruzioni aggiornano le istruzioni tecniche allegate al decreto ministeriale 21 giugno 2004.
  Per la predisposizione della citata bozza, gli uffici tecnici del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti si sono avvalsi del supporto del gruppo di lavoro barriere, istituito presso lo stesso dicastero; ai lavori hanno partecipato i rappresentanti degli utilizzatori (Aiscat, Anas ed enti locali), le associazioni dei costruttori di barriere, l'Ente italiano di normazione (UNI), docenti universitari ed esperti di settore, nonché le altre strutture ministeriali competenti in materia.
  La bozza di decreto è stata ultimata – con la sostanziale condivisione del citato gruppo e con espressione di apprezzamento sull'impostazione generale da parte dei rappresentanti dell'Associazione familiari e vittime della strada – e trasmessa per il parere obbligatorio del Consiglio superiore dei lavori pubblici il 24 gennaio 2013. Solo l'Acai (Associazione fra i costruttori italiani in acciaio) ha manifestato il proprio dissenso sul testo della bozza di decreto, formalizzando le proprie osservazioni oltreché a questo Ministero anche al predetto Consiglio superiore. Con voto n. 14/2013 il suddetto consesso esprimeva parere favorevole sullo schema di provvedimento con una serie di osservazioni e prescrivendo, o suggerendo, alcune modifiche e integrazioni che venivano puntualmente recepite.
  In ottemperanza alla direttiva 98/34/CE – successivamente abrogata dalla direttiva (UE) 2015/1535 del Parlamento europeo e del Consiglio del 9 settembre 2015 – che prevede una procedura d'informazione a livello europeo, il progetto di norma così modificato è stato inviato, per il tramite del Ministero dello sviluppo economico, alla Commissione europea.
  Allo stato, si informa che la suddetta procedura di informazione del progetto di norma si è conclusa.
  Gli uffici competenti di questo Ministero stanno predisponendo il decreto ministeriale relativo all'aggiornamento delle istruzioni tecniche inerenti l'uso e l'installazione dei dispositivi di ritenuta stradale al fine di proseguire l’
iter amministrativo per l'adozione del provvedimento.
Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti: Riccardo Nencini.


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   l'interrogante ha appreso da fonti di stampa dell'operazione della polizia provinciale di Nola che nel pomeriggio di martedì 24 novembre 2015, dopo un sopralluogo effettuato d'intesa con gli ambientalisti dell'associazione Fare Ambiente, che ne avevano denunciato il degrado, sono stati messi i sigilli a tre grossi locali sottostanti un fabbricato per civili abitazioni ubicati nell'area popolata della zona «Ponte» di Pomigliano D'Arco;

   gli agenti, dopo aver constatato il profondo stato di abbandono in cui versa l'intera struttura, hanno accertato che nei locali, senza alcun tipo di precauzione, erano depositati da più di 10 anni, più di 3.500 bidoni di vernice lavabile, circa 500 flaconi di materiale vario (shampoo per auto, sbloccante per tubi idraulici, kit per riparazione pneumatici). Molti solventi erano in condizioni di elevata pericolosità;

   sono stati trovati, inoltre, circa 5 metri cubi di inerti da demolizione e cumuli di piastrelle. Inoltre, mentre alcuni bidoni sono risultati vuoti, numerosi erano intatti e altri corrosi dalla ruggine a causa delle infiltrazioni d'acqua. Inoltre, nel seminterrato sono stati rinvenuti rifiuti di vario genere, come plastica e suppellettili –:

   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto illustrato in premessa e se siano note le ragioni per cui, per oltre dieci anni, i materiali descritti siano stati lasciati in quelle condizioni;

   se i Ministri interrogati non ritengano, per quanto di rispettiva competenza e anche per il tramite del comando carabinieri per la tutela dell'ambiente, di doversi attivare al fine di monitorare il territorio ed evitare che la situazione di abbandono dell'area indicata in premessa possa degenerare contaminando irrimediabilmente il territorio;

   se i Ministri interrogati non ritengano, per quanto di rispettiva competenza e anche per il tramite del comando carabinieri per la tutela dell'ambiente, di doversi attivare al fine di organizzare una scrupolosa mappatura del territorio della cosiddetta «terra dei fuochi», al fine di individuare eventuali altre «bombe ecologiche» simili a quella descritta in premessa avvalendosi di modalità e strumenti migliori di quelli già previsti negli ultimi anni che si sono evidentemente rivelati inutili e inefficaci.
(4-11555)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame relativa alla situazione di degrado ambientale presente nei locali sottostanti un fabbricato per civili abitazioni nell'area della zona "Ponte", nel comune di Pomigliano D'Arco, si rappresenta quanto segue.
  La prefettura di Napoli ha fatto presente che, il 24 novembre 2015, è stata effettuata una verifica presso il parco CO.GE.M. sito in Pomigliano D'Arco, al fine di riscontrare quanto denunciato in un esposto circa la presenza di materiali tossici in alcuni locali del citato immobile.
  All'esito dei controlli, è stata accertata una situazione di notevole abbandono in due locali siti al piano terra del citato condominio nonché in un piano interrato, sottostante ad essi, nei quali erano stoccati da tempo circa 3500 bidoni di vernice lavabile, 500 flaconi di materiale vario (shampoo per auto, sbloccante per tubi idraulici, kit per riparazione pneumatici), 5 mc di inerti da demolizione e cumuli di piastrelle. Parte dei bidoni risultavano vuoti, alcuni intatti ed altri corrosi dalla ruggine.
  Proprietaria dell'immobile è la società CO.GE.M. Costruzioni Generali Meridionali s.r.l.
  Tutto l'immobile di circa 800 mq, con i materiali e i rifiuti stoccati, è stato sottoposto a sequestro giudiziario, in violazione delle norme ambientali e l'amministratore unico è stato deferito all'autorità giudiziaria che successivamente ha convalidato la misura cautelare reale.
  In data 11 gennaio 2016, il personale tecnico dell'ARPA Campania, unitamente a quello del corpo di polizia provinciale, ha eseguito la classificazione dei rifiuti presenti nei locali.
  La prefettura ha rappresentato, inoltre, che della questione è stato interessato il sindaco del comune di Pomigliano D'Arco, al fine di attivare le procedure che il caso di specie richiede per la salvaguardia della salute pubblica e dell'ambiente.
  Con provvedimento dirigenziale n. 9 del 6 ottobre 2016 dell'Area Territorio — infrastrutture e sviluppo sostenibile del comune di Pomigliano D'Arco, la società CO.GE.M. Costruzioni Generali Meridionali s.r.l. e per essa l'amministratore unico, è stata diffidata ad adottare interventi per la rimozione e lo smaltimento dei rifiuti abbandonati e rinvenuti nei locali di sua proprietà, secondo la natura degli stessi come da classificazione effettuata dai tecnici dell'ARPA Campania e di procedere altresì al ripristino dello stato dei luoghi ad operazione ultimata.
  Nel caso di inosservanza si sarebbe proceduto all'esecuzione in danno da parte del comune e al successivo recupero delle somme anticipate, fatta salva l'applicazione delle sanzioni previste dalle leggi di settore e dai regolamenti comunali.
  Il legale rappresentate della società, in data 26 ottobre 2016 ha comunicato al comune l'impossibilità di ottemperare all'ordinanza in quanto i rifiuti non potevano essere rimossi, atteso che gli stessi erano presenti in locali sottoposti a sequestro nell'ambito di un procedimento penale allo stato pendente nella fase delle indagini preliminari.
  Pertanto, il comune di Pomigliano D'Arco, nel novembre 2016, ha rappresentato alla società che la presenza del provvedimento cautelare non costituiva ostacolo all'ordinanza rimanendo in capo al legale rappresentante il compito di richiedere il dissequestro finalizzato allo smaltimento dei rifiuti presenti nell'immobile, per cui veniva riassegnato un ulteriore termine temporale per l'ottemperanza.
  Stante le difficoltà oggettive nel comunicare con la società in quanto non reperibile all'indirizzo indicato e preso atto dell'inottemperanza, l'ente comunale ha inoltrato richiesta di dissequestro temporaneo dell'immobile, al fine di procedere ad un sopralluogo per la stima dei rifiuti per il loro smaltimento, in danno alla società e per il conseguente avvio della procedura prevista.
  Il tribunale di Nola, in data 29 novembre 2017, e il comando di polizia metropolitana, in data 1o dicembre 2017, hanno disposto il dissequestro temporaneo dell'immobile per la durata di 10 giorni al solo fine della stima e verifica dei rifiuti ivi giacenti e per il successivo avvio dell’
iter per lo smaltimento.
  La prefettura di Napoli, in ultimo, ha fatto presente che il corpo di polizia della città metropolitana di Napoli opera nell'accertamento e nella repressione degli illeciti contro l'ambiente e il territorio sia come dovere d'istituto sia come derivante dalla partecipazione al patto per la terra dei fuochi, sottoscritto nel luglio 2013 con l'ufficio dell'incaricato per il fenomeno dei roghi di rifiuti in Campania e da due specifici protocolli d'intesa, sottoscritti dalla città metropolitana di Napoli, il primo con la procura generale presso la Corte d'appello di Napoli e le procure della repubblica presso i tribunali di Napoli, Nola, Torre Annunziata e Napoli Nord, il secondo con la procura presso la sezione giurisdizionale per la Campania della Corte dei conti.
  In merito alla necessità di una mappatura del territorio della cosiddetta "Terra dei fuochi", la regione Campania ha fatto presente che per le attività previste dalla legge n. 6 del 2014 di conversione del decreto-legge n. 136 del 2013, è stato costituito un apposito gruppo di lavoro, la cui composizione è stata nel tempo modificata, da ultimo con direttiva interministeriale del 7 aprile 2017.
  Il gruppo di lavoro, sulla base dei dati e delle informazioni disponibili, nonché delle indicazioni per lo svolgimento delle attività ex articolo 8 della legge n. 6 del 2014, in conformità alla direttiva ministeriale dell'8 aprile 2014, ha provveduto ad effettuare una serie di indagini ed analisi relativi a beni ricadenti nel perimetro della cosiddetta terra dei fuochi, le cui risultanze sono consultabili sul sito dell'ARPA Campania, nella sezione terra dei fuochi.
  Alla luce delle informazioni esposte, si rassicura comunque che il Ministero dell'ambiente continuerà a svolgere le proprie attività senza ridurre in alcun modo il livello di attenzione sulla questione.
  

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   la località «Vasca San Sossio» nel comune di Marigliano (Napoli) è una delle aree della Campania a più alta criticità ambientale;

   l'antica vasca borbonica di laminazione di circa 3.000 metri quadrati, posta alla confluenza dei torrenti «Fosso dei leoni» e «Santa Maria del Pozzo», che raccolgono le acque ruscellanti e meteoriche provenienti dal monte Somma-Vesuvio, è diventata, nel corso degli ultimi trent'anni, una discarica di rifiuti tossici e pericolosi sversati a più riprese dalla criminalità organizzata;

   nel 2006, a seguito di indagini condotte dall'Agenzia regionale di protezione ambientale della Campania, furono scoperte, a causa di strani fenomeni di autocombustione, decine e decine di metri cubi scorie di fonderia miste a «fluff frazione leggera e polveri contenenti sostanze pericolose» interrate sotto il letto della vasca e lungo le aree spondali;

   in successive circostanze, le sostanze pericolose interrate con lo spostamento del terreno superficiale hanno prodotto ulteriori fenomeni di autocombustione, emettendo nell'atmosfera concentrazioni altissime di S.O.V., benzene, toluene, xileni, metanolo;

   nel 2006, a seguito di nuove indagini condotte dall'Azienda sanitaria locale (ASL Na 4 – Dipartimento di prevenzione) insieme al Corpo forestale dello Stato, fu individuato anche un collettore fognario abusivo di ignota provenienza che sfocia tuttora a cielo aperto nel letto della Vasca San Sossio, i cui campioni di acqua risultavano di gran lunga superiori ai limiti di emissione fissati dal decreto legislativo n. 152 del 1999 e successive modificazioni e integrazioni;

   nel 2008, il Commissariato straordinario di Governo per l'emergenza bonifiche e tutela delle acque in Campania stanziava 4.824.000,00 euro per alcuni interventi non ben specificati sul territorio del comune di Marigliano (Napoli);

   lo stanziamento veniva destinato alla messa in sicurezza di emergenza (MISE) della «Vasca San Sossio» fu affidato a RECAM, poi diventato ASTIR (Azienda per lo sviluppo sostenibile del territorio e per interventi di recupero ambientale);

   a quanto consta, però, all'interrogante l'area di Vasca San Sossio a Marigliano non ha mai ricevuto una bonifica vera e propria e tutti i rifiuti tossici, tra cui «fluff frazione leggera e polveri contenenti sostanze pericolose», non sono stati rimossi;

   il 22 maggio 2015 il Ministro per le infrastrutture e i trasporti, Graziano Delrio, durante un sopralluogo rassicurò la popolazione di Marigliano su un impegno a rappresentare la questione davanti alle commissioni parlamentari competenti per favorire il risanamento del sito ma – a distanza di quasi due anni – l'attuazione degli interventi di bonifica dei suoli e delle falde dell'area contaminata non risultano neppure in fase di progettazione –:

   se i Ministri interrogati siano al corrente delle gravissime condizioni di inquinamento ambientale di Vasca San Sossio a Marigliano (Na);

   se non ritengano di dover fornire elementi, per quanto di competenza, circa la situazione critica evidenziata in premessa e aggravata dalla mancata bonifica dei suoli contaminati, nonché del mancato ripristino ambientale dell'area;

   di quali elementi disponga il Governo circa gli interventi di bonifica finanziati nel 2008, con 4.824.000,00 euro di cui in premessa;

   se intenda valutare se sussistano i presupposti per assumere iniziative di competenza volte ad effettuare le indispensabili operazioni di perimetrazione, segnalazione dei pericoli, caratterizzazione e isolamento dei terreni contaminati;

   se l'area inquinata di «Vasca San Sossio» sia stata indagata attraverso il telerilevamento dei parametri geofisici (magnetometrici radiometrici e termici) previsto dal progetto M.I.A.P.I. (Monitoraggio e individuazione delle aree potenzialmente inquinate), se siano state individuate nell'area variazioni magnetiche e radiometriche e se siano stati effettuati ulteriori accertamenti da parte del Comando dei Carabinieri per la tutela dell'ambiente.
(4-15954)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa alla località «Vasca San Sossio» nel comune di Mirigliano (NA), sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare, si evidenzia che gli interventi di messa in sicurezza e bonifica concernenti il sito in argomento non rientrano nelle competenze del Ministero dell'ambiente, ai sensi dell'ordinanza n. 2948 del 25 febbraio 1999 recante
«misure concernenti gli interventi intesi a fronteggiare la situazione di emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti nella regione Campania e del risanamento ambientale, idrogeologico e di regimazione idraulica».
  La realizzazione di attività di bonifica nel comune di Marigliano, ricompreso nell'ex sito di bonifica di interesse nazionale (SIN) «Litorale Domitio Flegreo ed Agro Aversano», è da sempre stata quindi in capo, sebbene in via sostitutiva, ai vari commissari di Governo succedutisi nella gestione degli stati di emergenza ambientale che hanno interessato il territorio della regione Campania.
  Successivamente, con l'emanazione del decreto ministeriale dell'11 gennaio 2013, n. 7, il Sin «Litorale Domitio Flegreo ed Agro Aversano» è stato inserito nell'elenco dei siti «che non soddisfano i requisiti di cui all'articolo 252 comma 2, del decreto legislativo n. 152 del 2006 come modificato dall'articolo 36 della Legge 7 agosto 2012, n. 134» e, pertanto, non è più ricompreso tra siti di interesse nazionale.
  In particolare, l'articolo 1, comma 2, del citato decreto ministeriale n. 7 del 2013 dispone che la competenza per le necessarie operazioni di verifica ed eventuale bonifica all'interno dei siti non più ricompresi tra i Sin, viene trasferita alle regioni territorialmente interessate che subentrano nella titolarità dei relativi procedimenti.
  Ciò premesso, si segnala che, nell'ambito dell'accordo di programma «Programma Strategico per le Compensazioni Ambientali nella Regione Campania», del 18 luglio 2008, ed in particolare nello specifico accordo operativo con il comune di Marigliano, del 4 agosto 2009, viene menzionato, a titolo meramente ricognitivo, tra gli interventi già programmati e finanziati a carico del commissario delegato
ex Opcm n. 3654 del 2008 (commissario delegato per le bonifiche e la tutela delle acque in Campania), un intervento per la rimozione dei rifiuti oggetto di abbandono incontrollato e la messa in sicurezza e bonifica del sito Vasca di laminazione San Sossio.
  Il suddetto commissario delegato, nel rapporto finale di luglio 2009 – gennaio 2010 relativo alle attività svolte fino alla cessazione delle attività (31 gennaio 2010), affermava, altresì, di essersi avvalso della ARPAC Multiservizi – società
in house dell'ARPA Campania, per alcune procedure di bonifica consistenti nella rimozione di cumuli di rifiuti abbandonati in aree pubbliche. Nell'elenco delle suddette procedure è riportato un ordine di servizio relativo ad un intervento nel comune di Marigliano denominato «Vasca di laminazione (vasca San Sossio)», in località San Vito, il cui stato veniva indicato come eseguito.
  Nel riepilogo analitico della situazione debitoria, allegato al medesimo rapporto finale, è indicata l'attività relativa al «Piano operativo per la M.I.S.E. relativo al sito "Vasca di laminazione (Vasca San Sossio) in località San Vito nel comune di Marigliano (ARPAC) a valere sui fondi di cui alla D.G.R. n. 257 del 25 settembre 2008 (12 ML)», con un impegno di euro 55.899,89, interamente da liquidare.
  In seguito, con l'Opcm n. 3849 del 2010, è stato nominato il commissario delegato, incaricato della liquidazione della struttura commissariale di cui all'Opcm n. 3654 del 2008, con particolare riferimento alla chiusura della gestione contabile e del contenzioso pendente, ed al trasferimento agli enti ordinariamente competenti delle attività residue. Tale incarico si è concluso il 31 dicembre 2012, con il subentro della regione Campania nella gran parte delle procedure in fase di conclusione.
  Dall'esame della cartografia che riporta le zone sulle quali sono stati effettuati i voli elitrasportati per il rilievo dei valori magnetometrici, radiometrici e termografici risulta che la zona in cui ricade la località «Vasca San Sossio» in comune di Marigliano non è stata oggetto di rilievo. Pertanto, detta zona non è stata successivamente oggetto di ulteriori accertamenti da parte del comando carabinieri per la tutela dell'ambiente.
  Secondo quanto riferito dalla regione Campania, il sito in argomento è stato più volte oggetto di sopralluoghi da parte di ARPA Campania. Tra gli altri, il 7 ottobre 2015, tecnici della predetta Agenzia, a seguito di un esposto per criticità ambientale di associazioni ambientali e di cittadini, hanno verificato lo stato dei luoghi e campionato del materiale polverulento di colore grigio presente in modesta quantità per sottoporlo ad analisi presso i propri laboratori dalle quali è emerso che si trattava di rifiuto speciale pericoloso ai sensi del decreto legislativo n. 152 del 2006 e pertanto da smaltire in discarica per rifiuti pericolosi. Le caratteristiche di pericolosità del rifiuto in parola erano dovute ad un'alta concentrazione di idrocarburi policiclici aromatici derivanti, presumibilmente, da fenomeni di combustione.
  Alla luce del sopralluogo e dei risultati delle analisi svolte, l'Agenzia ha prescritto, ai sensi degli articoli 192 e 242 del decreto legislativo n. 152 del 2006, la rimozione, da parte del soggetto obbligato, di tutti i rifiuti presenti sul sito previa redazione di idoneo piano di caratterizzazione e smaltimento, anche per eventuali rifiuti interrati. A seguito della rimozione, dopo aver effettuato le propedeutiche indagini geoelettriche e geofisiche, sarebbe stato necessario, altresì, svolgere le indagini preliminari di caratterizzazione del suolo, sottosuolo e falda per la determinazione di eventuali superamenti delle Csc.
  Nelle more dello svolgimento di tutte le attività di cui sopra, ha prescritto, inoltre, la messa in sicurezza
ad horas dei rifiuti pericolosi caratterizzati effettuandone l'immediata rimozione.
  La stessa Agenzia ha, peraltro, prescritto, quale misura precauzionale volta a mitigare il malcostume dell'incendio dei rifiuti, l'installazione di videocamere di sorveglianza sul sito come previsto per i comuni aderenti al patto della terra dei fuochi, nonché l'interdizione dell'accesso all'area ai non autorizzati con opportuna segnaletica.
  Successivamente, l'ARPAC, congiuntamente al corpo forestale dello stato comando provinciale di Napoli, ha effettuato un nuovo sopralluogo nel 2016 durante il quale ha riscontrato la presenza, tra la vegetazione, di vari pneumatici e materiale plastico semicombusto in parte interrato. Le sponde che delimitano la vasca erano ricoperte anch'esse da vegetazione spontanea alta e folta. In alcuni punti, sulla superficie dell'area e sulle sponde della vasca, sono state riscontrate tracce di abbruciamenti e la presenza di materiali semicombusti. Inoltre, è stato rilevato un solco largo circa un metro non ricoperto da vegetazione al cui interno era presente del materiale polverulento, frammisto a terreno, di colore scuro e pezzi di plastica combusti e semicombusti. Questo materiale è stato già oggetto di campionamento da parte dei tecnici dell'agenzia in data 7 ottobre 2015.
  L'ARPAC fa presente, altresì, che i rifiuti ritrovati, per poter essere avviati al recupero e/o smaltimento, è necessario che vengano preventivamente raccolti, selezionati e classificati a cura del produttore, assegnando il competente codice Cer.
  Da ultimo, l'Agenzia ritiene che sia necessario approfondire l'indagine sull'area in questione investigando anche nel sottosuolo. Prima di ciò, è opportuno effettuare, a cura del soggetto obbligato, oltre al decespugliamento dell'area e la rimozione di tutti i rifiuti affioranti e parzialmente interrati, una campagna di indagini di tipo non invasivo, quali geofisiche, tali da permettere la ricostruzione stratigrafica del terreno costituente il sito e l'individuazione di eventuali rifiuti interrati. L'esito di tali indagine non invasive permetterà di acquisire le informazioni necessarie per le successive indagini invasive da effettuarsi.
  Pertanto, ARPAC nel febbraio 2016, ha prescritto al soggetto obbligato, ai sensi dell'articolo 192 del decreto legislativo n. 152 del 2006, la rimozione di tutti i rifiuti presenti sul sito e il successivo svolgimento di indagini preliminari volte ad accertare eventuali superamenti delle Csc.
  Alla luce delle informazioni esposte, si rassicura, comunque, che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare continuerà a svolgere le proprie attività di monitoraggio e sollecito, e a tenersi informato anche attraverso i vari soggetti istituzionali coinvolti, senza ridurre in alcun modo il livello di attenzione sulla questione.
  

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   DIENI, D'UVA e VILLAROSA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:

   la Costituzione prevede, all'articolo 117, secondo comma, tra la materia di competenza esclusiva dello Stato la tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali;

   la Corte Costituzionale, a partire dalla sentenza n. 94 del 2003, ha precisato che la normativa «riserva alla esclusiva competenza statale anzitutto la “apposizione di vincolo, diretto e indiretto, di interesse storico o artistico e vigilanza sui beni vincolati” e tutto quanto riguarda “autorizzazioni, prescrizioni, divieti, approvazioni e altri provvedimenti, anche di natura interinale, diretti a garantire la conservazione, l'integrità e la sicurezza dei beni di interesse storico o artistico” ed “esercizio del diritto di prelazione”»; il primo comma dell'articolo 152 del medesimo testo normativo afferma, invece, che «lo Stato, le regioni e gli enti locali curano, ciascuno nel proprio ambito, la valorizzazione dei beni culturali»;

   il riferimento normativo è in tal senso il codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137;

   la conservazione, integrità e sicurezza dei beni culturali di particolare pregio è questione di cui lo Stato non può disinteressarsi neppure nel caso in cui siano le omissioni delle regioni a statuto speciale, nelle loro competenze, a porre in pregiudizio beni di valore inestimabile per la Nazione;

   questo è il caso delle opere conservate all'interno del Museo di Messina, di cui si è occupato di recente un articolo apparso su la Repubblica del 22 giugno 2016 dal titolo «Messina aspetta il museo fantasma chiuso da vent'anni»;

   l'articolo rimarca come il nuovo museo di Messina sia «pronto da vent'anni e mai aperto [...] pensato e progettato per dare spazio ai beni recuperati dal terribile terremoto del 1908 rimasti in gran parte nei magazzini fino o già posizionati nella nuova struttura per l'allestimento finale»;

   si tratta di «un patrimonio complessivo di 20 mila pezzi tra reperti archeologici, opere pittoriche, elementi architettonici, monete, maioliche, gioielli, manufatti preziosi e tanto altro»;

   in esso risultano peraltro conservate da 20 anni, «alcune tavole di Antonello da Messina e due tele del Caravaggio»;

   il lungo stato di abbandono, lontano da pubblico e riflettori, non può che destare serie preoccupazioni circa lo stato di conservazione di tali inestimabili capolavori;

   come sostiene l'articolo, infatti, «l'umidità cammina nelle pareti esterne» del Museo, mentre dopo un ventennio, per motivi che non sono stati completamente chiariti, esso resta chiuso;

   nonostante i vincoli costituzionali e, di conseguenza, quelli statutari, che pongono la «conservazione delle antichità e delle opere artistiche» nelle competenze esclusive della regione siciliana, restano spazi, previsti dallo stesso statuto regionale, al Governo nazionale per intervenire nei casi più gravi di violazione dello stesso, tra cui, a parere degli interroganti, devono risultare anche le omissioni sulla tutela delle opere artistiche di inestimabile valore, come quelle conservate nel Museo di Messina –:

   di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa e alle criticità evidenziate dagli organi si stampa;

   quali iniziative di competenza intenda assumere per promuovere, di concerto con le regioni e gli enti locali, un piano di rilancio delle strutture museali su tutto il territorio nazionale, considerato che queste, come nel caso del Museo di Messina sopra descritto, custodiscono un patrimonio culturale di inestimabile valore.
(4-13704)

  Risposta. — Si riscontra l'atto di sindacato ispettivo sopra indicato, nel quale l'interrogante chiede di sapere quali iniziative il Ministero intenda assumere per promuovere, di concerto con le regioni e gli enti locali, un piano di rilancio, per quanto di competenza, del Museo interdisciplinare regionale di Messina (MuMe).
  Premettendo che questo Ministero ha competenza esclusivamente sui luoghi e sugli istituti della cultura tra cui i musei statali, e che la stessa competenza di tutela sul patrimonio culturale siciliano è attribuita dallo statuto di autonomia speciale e dai decreti attuativi direttamente agli uffici regionali, si comunica quanto segue, sulla base degli elementi forniti dal competente Dipartimento dei beni culturali e dell'Identità siciliana della regione Siciliana.
  Il 17 giugno 2017 è stata completata e inaugurata la nuova sede del Museo interdisciplinare regionale di Messina (MuMe): la realizzazione di un museo, adeguato per dimensioni alla straordinaria consistenza del patrimonio civico, era infatti fra le «priorità» della ricostruzione di Messina dopo il terremoto del 1908.
  La struttura architettonica, la cui costruzione era stata avviata nel 1984, è stata consegnata nel 1995, non risultando, tuttavia, idonea alla tipologia delle collezioni, in ragione anche dei fondi insufficienti e discontinui per la definizione dell'allestimento in rapporto alle superfici di oltre 4700 mq.
  La regione Siciliana riferisce che negli ultimi anni, grazie alla sinergia tra gli uffici del Dipartimento regionale beni culturali e dell'identità siciliana e la Direzione del Polo regionale di Messina, è stato possibile dare un'accelerazione ai programmi finalizzati alla fruizione della struttura, definendo interventi di adeguamento tecnologico e completamento dei percorsi espositivi, grazie a finanziamenti dell'Unione europea e seguenti impegni della regione.
  In particolare, le risorse che hanno portato alla definitiva consegna dello spazio museale sono state le seguenti:

   1985-1994: euro 7.900.000 (realizzazione nuovo Museo regionale di Messina);

   1995-2009: euro 1.200.000 (modifica spazi);

   2014-2015: euro 1.988.800 (Po Fesr 2007-2013: adeguamento e modifica dotazioni e impianti;

   2016-2017: euro 428.835 (capitoli ordinari – definizione allestimento e impianti, adeguamento percorsi accesso).

  Il Museo interdisciplinare regionale di Messina si inserisce in un ampio Parco museale che, per dimensioni e superfici espositive e operative, si configura come uno dei più grandi del Meridione d'Italia. Si estende, complessivamente, su 17.118 metri quadri, nell'areadell'ex monastero di S. Salvatore dei Greci, attorno al quale è stato concepito e progettato negli anni Ottanta.
  Gli spazi del Parco museale di Messina sono stati così ripartiti:

   1. Museo interdisciplinare regionale: 4700 metri quadri di superficie su due livelli;

   2. Filanda Mellinghoff: 1.100 metri quadri di superficie. Sede eventi e mostre temporanee;

   3. Area a verde esterna: 5.300 metri quadri di superficie. Ospita già reperti architettonici recuperati dalle macerie e ricomposti;

   4. Seminterrato: 3.000 metri quadri. Ospita la biblioteca, gli archivi e il caveau e i depositi;

   5. Magazzini storici.

  Adesso, rivisitato il percorso espositivo delle opere (oltre 700), il museo della città metropolitana di Messina racconta, attraverso la ricca e poliedrica collezione permanente, la sua storia millenaria dal III secolo a.C. alle soglie del XX secolo.
  Fra i capolavori, i due grandi dipinti «Resurrezione di Lazzaro» e «Adorazione dei Pastori», realizzati dal Caravaggio in fuga in Sicilia, oltre alle opere di Antonello da Messina («Polittico di San Gregorio», prima opera datata e firmata del suo catalogo, e la tavoletta bifronte acquistata nel 2006 alla Christie's di Londra con un «Ecce Homo» e una «Madonna con Bambino e francescano» di recente esposta a Taormina in occasione del G7).
  Nel mese di dicembre 2016 erano già stati aperti al pubblico (e resi immediatamente fruibili) il settore archeologico e l'ala nord del MuMe, con la grande produzione Manierista, i due Caravaggio, la raccolta dei caravaggeschi. Il 17 giugno si è consegnato l'intero percorso medievale moderno, dall'iscrizione arabo-normanna, attraverso i secoli successivi, fino a qualche anno prima della catastrofe, con un'opera del 1904.
  Va sottolineato che una parte della collezione (270 opere), inclusi gli Antonello ed i Caravaggio, è stata sempre fruibile in tutti questi anni nella storica sede della ex Filanda Mellinghoff, antico opificio ottocentesco risparmiato dal sisma, che ha anche ospitato memorabili mostre come l'Antologica di Antonello nel 1981. L'antica Filanda è oggi destinata alla ospitalità di mostre temporanee, come le recenti esposizioni sul Futurismo (2015) e sul Mediterraneo (2016) in regime di
art sharing con il Mart di Rovereto, e quella con il Ritratto Trivulzio di Antonello, proveniente da Palazzo Madama di Torino.
  Da subito si è registrato un notevole incremento di visitatori e un riscontro mediatico internazionale. Da segnalare le visite del professor Salvatore Settis, del Conservatore generale onorario del dipartimento dei dipinti del Louvre, Sylvain Laveissière, del direttore del laboratorio di restauro del Guggenheim di Venezia, Luciano Pensabene, del Presidente e CEO del Metropolitan Museum di New York, Daniel Weiss.
  Alla luce della riapertura della struttura al pubblico, il Ministero conferma che non sussiste, neppure in astratto, un'ipotesi di rischio per l'inestimabile patrimonio culturale del Museo in parola. Sarà comunque cura dell'amministrazione, in collaborazione con il dipartimento dei beni culturali siciliano, svolgere attività periodiche di ricognizione e monitoraggio, e ove necessario, interventi conservativi.

Il Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali e il turismo: Antimo Cesaro.


   D'INCÀ e BRUGNEROTTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   la vicenda di Fabio Vettorel, ragazzo feltrino di diciannove anni, detenuto da oltre 4 mesi in regime di carcerazione preventiva ad Amburgo, a seguito degli episodi legati al summit del G20 del 9 luglio 2017, sta assumendo dei caratteri paradossali e kafkiani;

   arrestato insieme ad altre 73 persone, tra cui 11 italiani, che nel corso di questi mesi sono stati rimessi in libertà, Fabio Vettorel rimane l'unico italiano ad essere ancora in carcere con capi d'imputazione che appaiono inverosimili quali: il disturbo alla quiete pubblica, il tentativo di causare danni mediante mezzi pericolosi, resistenza a pubblico ufficiale e testimonianze dubbie ed imbarazzanti;

   le accuse a carico di Vettorel non giustificano, secondo gli interroganti, il trattamento giudiziario che sta subendo il giovane feltrino. Infatti si apprende da organi di stampa delle affermazioni della madre di Fabio, Jamila Baroni, la quale nel descrivere le vicende processuali a cui ha assistito, afferma che i testimoni dell'accusa: «sono cinque poliziotti che non hanno mai visto Fabio (...) uno più imbarazzante dell'altro (...). Uno di loro, ad esempio, sostiene di aver visto partire 15 grandi pietre dallo spezzone di corteo in cui si trovava Vettorel. Il suo collega testimonia il contrario. E per le telecamere della polizia che filmano quel luogo in quell'ora, di pietre non ne hanno inquadrata mezza»;

   forti perplessità sorgono in merito alla gestione arbitraria della legge e alla violazione dei diritti da parte delle autorità tedesche. Infatti il 2 ottobre 2017 la madre Jamila racconta di essere andata nel carcere di Hanoverstad e di aver scoperto che il figlio era stato trasferito in un altro carcere senza che nessuno abbia avvisato né lei, né il padre, né l'avvocato;

   il 15 novembre 2017 il tribunale di Amburgo si pronunciava positivamente in merito alla richiesta di scarcerazione provvisoria avanzata dai legali di Vettorel. La procura di Amburgo, però, ha impugnato la decisione, chiedendo di rinviare la liberazione in attesa della pronuncia del giudice superiore cui si è appellata;

   nell'ordinanza con cui si concedeva la remissione in libertà di Fabio Vettorel, il giudice Wolkenhauer, ispirandosi al principio della presunzione di innocenza dell'ordinamento tedesco e al valore rieducativo della carcerazione preventiva scrive letteralmente «Nella decisione (se scarcerarlo o meno, ndr) occorre tenere conto in misura determinante anche dell'effetto educativo della custodia cautelare»;

   l'ordinanza in questione getta, però, un'ulteriore ombra su una vicenda in cui lo stato di diritto sembra essere stato calpestato più volte, come gli osservatori internazionali hanno fatto notare;

   infatti tutte queste clamorose incongruenze, in merito al rispetto della legalità, hanno attirato anche le attenzioni di Amnesty International che chiede la scarcerazione di Fabio e rileva le irregolarità ed il mancato rispetto della raccomandazione (2006) 13 del Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa, secondo la quale il fatto che una non sia sospettata di aver commesso un reato non sia cittadino o non abbia la residenza dello stato in cui è avvenuto il presunto reato non è un motivo sufficiente per stabilire che vi sia quel rischio di fuga che giustificherebbe la detenzione preventiva;

   inoltre, non pare che nel caso di Vettorel le autorità giudiziarie abbiano preso in considerazione misure alternative, quali ad esempio l'obbligo di residenza in Germania in attesa del processo, o forme di controllo in Italia con la cooperazione delle autorità di quest'ultimo Paese –:

   se intendano adoperarsi, con urgenza, per assicurare che la vicenda di cui in premessa possa risolversi positivamente nel pieno rispetto delle procedure processuali da parte delle autorità tedesche, tutela dei diritti e dei principi di legalità e di libertà personale che devono essere garantiti nei confronti di tutti i cittadini europei.
(4-18611)

  Risposta. — La Farnesina, per il tramite del Consolato generale di Hannover, ha seguito con grande attenzione la vicenda dei ventisette connazionali fermati dalla polizia tedesca nel corso delle manifestazioni che hanno avuto luogo durante il G20 svoltosi ad Amburgo il 7 e 8 luglio 2017.
  Appresa la notizia del fermo, la nostra rappresentanza consolare si è da subito attivata al fine di prestare agli interessati ogni possibile assistenza. Oltre a stabilire e mantenere un contatto con i loro familiari e con gli avvocati, sono state effettuate visite consolari per verificare il regime detentivo imposto ai connazionali e il loro stato psico-fisico.
  In tutti gli incontri avuti, sono sempre apparsi in un buono stato di salute e le loro condizioni detentive non hanno mai destato particolari preoccupazioni. Nei frequenti contatti con le autorità carcerarie ci si è costantemente premurati di sostenere, nei limiti del possibile, le loro richieste e non si è mancato di intervenire per agevolare la soluzione di problemi legati soprattutto alle comunicazioni – telefoniche ed epistolari – con l'esterno, con riferimento soprattutto ai contatti con i familiari.
  Dei ventisette connazionali fermati, ventuno sono stati rimessi in libertà poco dopo, mentre sei sono stati trattenuti.
  Di questi, la signora Marta Rocco è stata liberata il 10 agosto 2017. Su di lei la competente autorità giudiziaria tedesca deve ancora pronunciarsi su un'eventuale richiesta di rinvio a giudizio.
  I signori Orazio Sciuto, Riccardo Lupano, Emiliano Puleo e Alessandro Rapisarda sono stati condannati a pene inferiori ai due anni di reclusione e tutti rilasciati con sospensione condizionale della sanzione.
  Quanto al signor Fabio Vettorel, avverso il provvedimento della custodia cautelare il legale del connazionale aveva presentato un ricorso alla Corte istituzionale, ravvisando un intento discriminatorio ai danni del suo assistito in quanto cittadini tedeschi sottoposti a indagini di uguale tenore per i medesimi fatti erano stati rapidamente rimessi in libertà. Detto ricorso è stato rigettato dalla suprema Magistratura tedesca.
  Il 16 ottobre 2017 è iniziato il procedimento penale a carico dell'interessato. Nel corso dell'udienza, l'avvocato difensore ha presentato istanza di ricusazione del giudice per asserita mancanza di imparzialità nei confronti del connazionale. Anche detta istanza è stata respinta. In occasione di una successiva udienza che ha avuto luogo lo scorso 15 novembre 2017, il legale che assiste il signor Vettorel aveva nuovamente chiesto che l'interessato fosse rimesso in libertà in attesa che si concludesse il processo a suo carico. Il giudice ha deciso positivamente subordinando la scarcerazione al pagamento di una cauzione di 10.000 euro, alla dimora ad Amburgo e all'obbligo di firma tre volte a settimana. Avverso tale provvedimento la pubblica accusa, in due successive occasioni, ha presentato ricorso, che è stato però entrambe le volte respinto. Il signor Vettorel è stato pertanto scarcerato il 27 novembre 2017. Le succitate misure restrittive sono state revocate la settimana scorsa. Le prossime udienze, dopo l'ultima svoltasi a porte chiuse lo scorso 23 gennaio, sono calendarizzate nel mese di febbraio 2018.
  Il nostro Consolato generale ad Hannover si è fortemente impegnato per fornire al ragazzo tutta la necessaria assistenza durante la permanenza nel penitenziario, mantenendo uno stretto e costante contatto con la madre, la signora Baroni, e con il legale che assiste il connazionale, nonché partecipando alle udienze che vedevano coinvolto il signor Vettorel. La nostra rappresentanza consolare continuerà a seguire da vicino il procedimento penale, presenziando – ove consentito – anche alle successive udienze.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionale: Vincenzo Amendola.


   FANTINATI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   come riferisce L'Arena del 27 aprile 2017, nel quartiere veronese di San Michele «le fognature scaricano nel fiume Adige»;

   il quotidiano veronese riferisce di «uno spettacolo impietoso – tra sporcizia e inquinamento, con parte dei liquami che non riescono a raggiungere il depuratore di Basso Aquar, ma interrompono la loro corsa in una vasca di compensazione nella zona dei Molini di San Michele per poi finire in Adige con conseguenze facilmente immaginabili»;

   l'incuria ha, poi, favorito il deterioramento della copertura della vasca dello scarico fognario, ormai marcia, con il rischio reale che possa sprofondare;

   le segnalazioni dei cittadini raccontano che, soprattutto nelle giornate di maltempo, «l'acqua piovana viene convogliata in gran parte nella rete fognaria, si mescola con gli scarichi dei privati e le acque sporche, per poi finire in Adige»;

   quella che si sta delineando ai Molini di San Michele è una situazione di grave degrado cittadino, che ha provocato l'erosione degli argini del fiumiciattolo che porta acqua all'Adige dalla Fonte delle Monache e che, mischiandosi con le acque nere, s'infiltra in profondità e crea danni, non solo in termini d'inquinamento, ma anche per il dissesto idrogeologico che rende pericolosa quest'area per i contadini che con i trattori rischiano di sprofondare;

   a correre gravi rischi è anche un'area, a pochi metri dall'Adige, dove sono custoditi numerosi cavalli;

   si tratta di un'emergenza, dunque, più volte segnalata dai cittadini ad Acque Veronesi, che nei giorni scorsi aveva adottato una soluzione provvisoria, mettendo in sicurezza la copertura della vasca;

   numerose ormai sono le procedure di infrazione europea nelle quali incorre l'Italia a causa della situazione del servizio idrico integrato per quanto riguarda depurazione e fognature, si pensi all'esistenza di scarichi fognari non depurati;

   la normativa di riferimento in materia di trattamento dei reflui è la direttiva 91/271/CEE, recepita dall'Italia con il decreto legislativo 3 aprile del 2006, n. 152 (testo unico ambientale);

   la direttiva prevede che tutti i centri abitati con più di 2.000 abitanti siano forniti di adeguati sistemi di reti fognarie e trattamento delle acque reflue, in funzione del numero degli abitanti equivalenti e dell'area di scarico delle acque (area normale o area sensibile);

   per le inadempienze nell'attuazione della direttiva l'Italia ha già subito due condanne da parte della Corte di giustizia europea, la C565-10 (procedura 2004-2034) e la C85-13 (procedura 2009-2034) e l'avvio di una nuova procedura di infrazione (procedura 2014-2059) –:

   di quali elementi disponga il Governo in merito alla vicenda descritta in premessa;

   considerata l'importanza della tutela dei fiumi, dei laghi e di ogni corso d'acqua, quale iniziative di competenza s'intendano adottare al fine di garantire la corretta applicazione della normativa in materia.
(4-16476)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dalla Regione Veneto, si rappresenta quanto segue.
  Le informazioni riportate dall'interrogante, tratte da fonti di stampa del 27 aprile 2017, riguardano il funzionamento del manufatto sfioratore a servizio di una rete fognaria di tipo misto che raccoglie sia le acque reflue, prodotte dagli insediamenti domestici e produttivi, sia le acque meteoriche e che, secondo quanto previsto dall'articolo 33 delle Norme tecniche di Attuazione del Piano di tutela delle acque della regione Veneto, entra in funzione in caso di eventi piovosi di particolare intensità (rapporto tra portata in tempo secco e portata di pioggia pari ad almeno 1/5).
  La rete fognaria recapita all'impianto «Città di Verona» di via Avesani (nell'interrogazione indicato come Basso Aquar) di potenzialità pari a 410.000 abitanti equivalenti e in grado di trattare adeguatamente i reflui in arrivo dalla rete fognaria afferente, nel rispetto dei limiti fissati dalla normativa comunitaria e nazionale di settore.
  La Regione evidenzia, inoltre, che l'agglomerato di Verona non è oggetto delle procedure di infrazione in materia di acque reflue urbane avviate dalla Commissione europea per la non corretta attuazione della direttiva 91/271/ CEE.
  Sempre secondo quanto riferito dalla regione Veneto, alla data del 24 luglio 2017 erano in corso i lavori di potenziamento dell'impianto di sollevamento in corrispondenza dello sfioro ed era previsto di eseguire la posa di un sistema grigliante in corrispondenza dello sfioro stesso ed una risistemazione del tratto di canale (estesa pari a circa 50 m) di collegamento tra lo sfioro e il fiume Adige.
  Relativamente alla tutela dei fiumi, dei laghi e di ogni corso d'acqua, si rappresenta che il «Piano di gestione» predisposto, con cadenza sessennale, da ciascuna Autorità di bacino distrettuale è lo strumento di pianificazione per poter ottemperare agli obiettivi della direttiva quadro acque 2000/60/CE, direttiva che stabilisce i principi fondamentali della politica sulla gestione e tutela delle acque dell'Unione europea e recepita nel nostro ordinamento con il decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.
  Detti obiettivi, basati sui principi di precauzione, azione preventiva, riduzione dell'inquinamento alla fonte e principio «chi inquina paga» comprendono, tra l'altro, la tutela degli ecosistemi acquatici dagli impatti di origine antropica e l'uso razionale delle risorse naturali.
  Recentemente, inoltre, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha istituito un tavolo di lavoro congiunto con le Autorità di bacino distrettuali per supportarle nella revisione dei Piani di gestione in argomento - ciclo 2015-2021- e fornire loro indirizzi generali per la realizzazione dell'attuale quadro pianificatorio.
  Quanto riferito testimonia che le problematiche rappresentate dall'interrogante sono tenute in debita considerazione da parte di questo Ministero, il quale, alla luce delle informazioni esposte, per quanto di competenza, continuerà a svolgere un'attività di monitoraggio, nonché a tenersi informato anche attraverso gli altri Enti istituzionali competenti.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   FANTINATI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:

   il 13 ottobre 2017, il Consiglio dei ministri ha approvato un decreto-legge che introduce disposizioni urgenti in materia finanziaria e per esigenze indifferibili;

   la norma contenuta all'articolo 17 – Liberalizzazione in materia di collecting diritti d'autore – disciplina la raccolta dei diritti d'autore della Siae, la società italiana degli autori ed editori;

   nel comunicato stampa del Governo si legge: «è superato il monopolio della SIAE in materia di raccolta dei diritti d'autore, estendendo a tutti gli organismi di gestione collettiva – ossia gli enti senza fine di lucro e a base associativa – operanti sul territorio dell'UE, la possibilità di operare direttamente sul mercato italiano, senza alcuna intermediazione da parte della SIAE»;

   solo l'Italia e la Repubblica Ceca conservano un monopolio nel mercato dell'intermediazione dei diritti d'autore;

   la direzione generale sul digitale della Commissione europea, nel febbraio 2017, aveva richiamato il Governo italiano al recepimento integrale ed effettivo della direttiva «Barnier» (2014/26) sul copyright delle opere musicali, normativa, invece, disattesa, ad avviso dell'interrogante, anche dal recentissimo decreto-legge che non ha accolto le indicazioni in tema di liberalizzazione della gestione dei diritti d'autore;

   la direttiva «Barnier» stabilisce la libertà degli autori di scegliere a chi affidare la rappresentanza dei propri diritti, se a una società di gestione collettiva oppure a una entità di gestione indipendente;

   Soundreef, principale competitor di Siae, è società privata a scopo di lucro che quindi non risponde ai requisiti di legge malgrado migliaia di cantanti italiani, tra cui Fedez e Gigi D'Alessio, abbiano deciso liberamente di affidare alla stessa la tutela del proprio catalogo;

   una disputa legale e commerciale da mesi vede contrapposti Siae e Soundreef –:

   quali siano stati i criteri adottati per definire i requisiti di cui devono essere in possesso gli enti o le associazioni per operare «direttamente sul mercato italiano, senza alcuna intermediazione da parte della SIAE».
(4-18178)

  Risposta. — Si riscontra l'atto di sindacato ispettivo in esame, con il quale l'interrogante ha chiesto di conoscere i criteri adottati in merito al recepimento della direttiva 2014/26/UE.
  La suddetta direttiva, sulla scorta degli specifici criteri di delega fissati dalla legge n. 170 del 2016, all'articolo 20, è stata recepita nell'ordinamento italiano con il decreto legislativo n. 35 del 2017.
  Quest'ultimo, secondo quanto stabilito dalla legislazione europea, ha introdotto principi utili ad operare la più completa armonizzazione di
governance delle società di gestione collettiva dei diritti d'autore in Europa ed a favorire la diffusione della musica on-line attraverso la concessione di licenze multi territoriali.
  È stato sancito, tra gli altri, il diritto del «titolare dei diritti» di autorizzare un organismo di gestione collettiva di sua scelta a gestire i diritti o le categorie di diritti per i territori di sua scelta, indipendentemente dallo Stato membro di nazionalità, residenza e stabilimento dell'organismo di gestione collettiva o del titolare dei diritti. Tale previsione non riguarda invece, quantomeno a livello europeo, le entità di gestione indipendente. Ciò anche in considerazione della diversa natura giuridica degli organismi di gestione collettiva — enti associativi privi di scopro di lucro — rispetto a quella delle entità di gestione indipendente — non costituite da autori e aventi scopo di lucro. Giova infatti ricordare che la tutela della proprietà intellettuale è, in base al diritto europeo, un interesse pubblico meritevole di tutela che può giustificare limiti o deroghe alla libera circolazione dei servizi.
  Invece il legislatore italiano, con l'articolo 4 del decreto legislativo n. 35 del 2017, ha esteso questa libertà di scelta anche a favore delle entità di gestione indipendente, dunque ampliando tale facoltà oltre quanto previsto dalla direttiva.
  Alla luce della giurisprudenza della Corte di giustizia, il legislatore italiano ha peraltro, in un primo momento, ritenuto prudente conservare una riserva legale in favore della Siae per quanto riguarda l'attività di intermediazione dei diritti di autore, peraltro espressamente prevista dal legislatore in sede di emanazione dei principi di delega, e la totale liberalizzazione del mercato della gestione collettiva dei diritti connessi al diritto d'autore, secondo quanto disposto dall'articolo 39 del decreto-legge n. 1 del 2012 convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, che ha posto fine al monopolio del nuovo Imaie.
  Riguardo ai presunti profili di incompatibilità di alcune disposizioni contenute nel decreto legislativo n. 35 del 2017 con la direttiva 2014/26/UE, come già anticipato nella comunicazione del 12 settembre 2017 del Ministro Franceschini e del Sottosegretario per le politiche europee Gozi alla Commissione Ue, il Governo italiano, nella consueta ottica di collaborazione con la Commissione Ue, ha adottato il decreto-legge 16 ottobre 2017, n. 148, e con l'articolo 19 ha effettuato alcuni correttivi alla normativa vigente assicurando una effettiva concorrenza tra gli organismi di gestione collettiva.
  Tale norma, il cui contenuto è stato il frutto di un costante dialogo con la Commissione Ue, e che costituisce attuazione dell'articolo 5 della direttiva in parola, consente a tutti gli organismi di gestione collettiva operanti nel territorio Ue, non aventi fini di lucro e costituiti su base associativa, di poter procedere direttamente alla raccolta dei diritti, oltre che alla rappresentazione dei propri associati.
  È stata, altresì, eliminata la riserva di legge in favore della Siae.
  Quindi, dal 1° gennaio 2018 in Italia potranno nascere nuove agenzie di
collecting del diritto d'autore, purché risultino enti non a scopo di lucro.
  In conclusione, si ritiene che il Governo abbia negli ultimi anni intrapreso importanti iniziative per una gestione efficiente e trasparente dei diritti d'autore e dei diritti connessi e, nel continuo confronto con le istituzioni europee e con il Parlamento nazionale, intende proseguire in questo senso per disciplinare al meglio un settore tanto importante per la crescita economica e culturale del Paese, in considerazione della primaria esigenza di garantire pienamente la tutela della proprietà intellettuale e del diritto d'autore.
  

Il Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali e il turismo: Antimo Cesaro.


   FRACCARO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   nell'interrogazione n. 4-04106 del 19 marzo 2014 si chiedeva al Governo se intendesse tenere in considerazione l'appello delle associazioni ambientaliste (CIPRA Italia, Italia Nostra, Legambiente, LIPU, Mountain Wilderness, PAN-EPPAA e WWF) che ambiva ad avviare le procedure presso l'Unione europea al fine di valutare la possibilità di inserire il parco nazionale dello Stelvio nell'ambito di un parco transnazionale all'interno di un'area strategica di valenza internazionale. Si chiedeva inoltre come il Governo intendesse garantire il coinvolgimento della regione Lombardia, oltre che delle realtà associative, istituzionali e politiche interessate, nella discussione in ordine alla ridefinizione dell'assetto del parco nazionale nella commissione paritetica delle province autonome di Trento e Bolzano;

   con l'interrogazione n. 4-07738 del 5 febbraio 2015 si chiedeva al Governo di rendere pubblico il parere del Ministero dell'ambiente in ordine allo smembramento del parco nazionale dello Stelvio con il fine di consentire un dibattito informato che coinvolgesse sia gli organi legislativi locali che le realtà associative;

   è stato emanato il decreto legislativo 13 gennaio 2016, n. 14, pubblicato successivamente sulla Gazzetta Ufficiale dell'8 febbraio 2016 avente ad oggetto «Norme di attuazione dello statuto speciale della regione autonoma Trentino-Alto Adige, recante modifiche ed integrazioni all'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 22 marzo 1974, n. 279, in materia di esercizio delle funzioni amministrative concernenti il Parco nazionale dello Stelvio». Tale atto normativo è stato adottato, a quanto consta agli interroganti, senza che il Governo tenesse in alcuna considerazione i numerosi appelli per la difesa dell'unità del parco nazionale dello Stelvio sebbene questi abbiano avuto ampio risalto sulla stampa nazionale e locale e abbiano ottenuto largo appoggio da parte della società civile, come peraltro dimostrato dalle decine di migliaia di cittadini che hanno sottoscritto le petizioni lanciate sulle piattaforme digitali di Change org e Legambiente;

   nel febbraio 2016, la provincia di Bolzano ha istituito un gruppo di lavoro per definire l'orientamento da seguire nella futura gestione della porzione di competenza del territorio del parco dello Stelvio. Al tavolo del gruppo di lavoro sono stati invitati i rappresentanti dei comuni altoatesini del parco, gli ambientalisti della val Venosta e i gruppi di interesse locale e provinciale. Tra i gruppi di interesse provinciale figurano i rappresentanti dell'associazione provinciale dei cacciatori. Sono stati invece esclusi, a quanto consta agli interroganti, i rappresentanti delle associazioni ambientaliste riconosciute a livello nazionale e che operano nella provincia di Bolzano;

   dall'assenza di risposte ufficiali alle predette interrogazioni e dalla mancanza di comunicazioni pubbliche da parte del Governo in relazione ai temi sollevati nelle premesse, emergerebbe, a giudizio degli interroganti, il disinteresse delle istituzioni nazionali e locali in ordine alla progettazione di un'area protetta transnazionale nonché la volontà di sottrarsi al dialogo e all'ascolto delle istanze provenienti dalle realtà associative ambientaliste e dalla società civile –:

   se il Governo intenda porre in essere iniziative di competenza al fine di favorire l'avvio di un forum partecipativo aperto alle associazioni ambientaliste e alla società civile come sede di confronto e discussione per la definizione, d'intesa con la regione e le province autonome, di linee guida di indirizzo per l'approvazione di un piano di gestione unitario e di regole operative e gestioni omogenee in riferimento alla gestione di porzioni di territorio del parco nazionale dello Stelvio, di cui sono competenti la regione Lombardia e le province autonome di Trento e di Bolzano.
(4-12645)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  Con l'intesa siglata tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, province autonome di Trento e Bolzano e regione Lombardia dell'11 febbraio 2015, avente ad oggetto l'attribuzione di funzioni statali e dei relativi oneri finanziari riferiti al parco nazionale dello Stelvio, ai sensi dell'articolo 1, comma 515, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, e dell'articolo 11, comma 8, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, convertito con modificazioni dalla legge 11 agosto 2014, n. 116, è stato concordato che le funzioni gestionali e i relativi oneri finanziari sono trasferiti dallo Stato alle due province autonome di Trento e Bolzano e alla regione Lombardia. Tale attribuzione acquisterà efficacia con l'entrata in vigore delle norme di attuazione dello Statuto per il Trentino-Alto Adige e del relativo atto legislativo di recepimento per la regione Lombardia.
  La configurazione unitaria del parco nazionale sarà assicurata attraverso la previsione di un unico piano e regolamento del parco, predisposto dalle due province e dalla regione per la parte di rispettiva competenza territoriale, sulla base dei principi della legge quadro delle aree protette del 6 dicembre 1991 n. 394 e degli indirizzi e linee guida formulati da un comitato di indirizzo e coordinamento. Su tali documenti il Ministero dell'ambiente si è riservato, ai fini dell'approvazione, un parere vincolante.
  In proposito si informa che le linee guida per la redazione del piano e regolamento del parco nazionale dello Stelvio sono state approvate dal predetto comitato di coordinamento e di indirizzo nella seduta del 19 gennaio 2017 e che è stata avviata la predisposizione dei detti documenti da parte della regione Lombardia e delle province autonome di Trento e Bolzano da sottoporre, ai fini dell'approvazione, anche al parere vincolante del Ministero dell'ambiente.
  Allo stesso comitato, cui fanno parte anche rappresentanti dei comuni del parco e delle associazioni di protezione ambientale, compete la formulazione di indirizzi e linee guida per la ricerca scientifica, la biodiversità, la didattica, la comunicazione, il potenziamento del rapporto con la rete internazionale dei parchi, la valorizzazione del capitale naturale, culturale e la promozione del turismo sostenibile.
  Alla luce delle informazioni esposte, si rassicura, comunque, che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare continuerà a svolgere le proprie attività mantenendo alto il livello di attenzione sulla questione.
  

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   FRATOIANNI, PANNARALE, DURANTI, MATARRELLI e SANNICANDRO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   le dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia, Carmine Schiavone, davanti alla «Commissione Parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti» e riportate nel verbale di audizione del 7 ottobre 1997, disegnano un quadro spaventoso di quanto accaduto negli anni ’90 in Italia rispetto alla gestione del traffico illecito di rifiuti ad opera delle organizzazioni criminali. All'interno delle dichiarazioni rese da Schiavone alla Commissione, ce n'è una che riguarda l'utilizzo del territorio pugliese: «...parlavamo spesso di Puglia, c'erano discariche nelle quali si scaricavano sostanze che venivano da fuori, in base ai discorsi che facevamo negli anni fino al 1990-1991...». Schiavone parla di Salento, ma dichiara pure di aver sentito parlare delle province di Bari e Foggia, quali luoghi utilizzati per lo sversamento e l'occultamento di rifiuti altamente pericolosi;

   il traffico illecito, sempre secondo le rivelazioni del collaboratore di giustizia, riguardava sostanze tossiche, fanghi industriali, rifiuti di lavorazione, rifiuti radioattivi e altre sostanze ad elevatissimo potenziale inquinante, capaci di determinare conseguenze mortali sulle popolazioni dei territori interessati;

   il collaboratore di giustizia, Silvano Galati, ex esponente dell'organizzazione mafiosa «Sacra Corona Unita», nel 2005 ha rivelato agli inquirenti che nelle campagne del comune di Casarano (Lecce) sono stati sepolti rifiuti tossici. Si consideri, che la zona del casaranese è fortemente interessata dalla presenza di colture, in particolare oliveti e vitigni, che caratterizzano un'economia locale prevalentemente agricola;

   le rivelazioni, nonostante siano state rese circa vent'anni fa, inquietano e preoccupano a tutt'oggi perché, se comprovate da fatti concreti, raccontano di un'ecomafia locale che avrebbe messo in serio pericolo la vita di tante comunità pugliesi. Pertanto, è necessario procedere alla precisa ricostruzione dei fatti, ad una verifica puntuale e scrupolosa delle fonti, e verificare la presenza sul territorio pugliese dei siti inquinati da sostanze altamente pericolose e cangerogene. Successivamente, si dovrà procedere alla valutazione del grado di tossicità dei siti inquinati e alla bonifica dei luoghi contaminati –:

   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti suddescritti;

   se non si ritenga necessario avviare un'azione di accertamento sul territorio pugliese per verificare, luoghi e dimensione dello smaltimento illecito di rifiuti pericolosi e cancerogeni;

   se all'epoca siano stati informati i prefetti competenti e i vertici della polizia di Stato dei fatti ricordati in premessa.
(4-02426)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa ad un possibile occultamento di rifiuti pericolosi in alcuni territori del Salento, nella provincia di Foggia e di Bari, e all'avvio di possibili azioni di accertamento per verificare luoghi e dimensione dello smaltimento illecito di rifiuti, sulla base delle informazioni acquisite, si rappresenta quanto segue.
  L'Arpa Puglia ha comunicato che il procedimento volto all'individuazione di aree oggetto di smaltimento illecito di rifiuti mediante interramento degli stessi è stato oggetto di specifica attività da parte della procura di Lecce che si è avvalsa, per le fasi di campionamento e successive determinazioni analitiche, della collaborazione della medesima agenzia regionale. In particolare, l'Arpa Puglia – dipartimento ambientale provinciale Lecce è stata coinvolta nei procedimenti di bonifica dei seguenti siti:

   Ex discarica comunale di Rsu – Salve loc. «Spiggiani»;

   Ex distributore di carburanti Apisem spa R&G Semeraro – LECCE via Taranto;

   Ex discarica comunale di Rsu – Alesanno loc. «Le Mattine»;

   Ex inceneritore Saspi – LECCE.

  Per ciascuno dei quattro siti l'Arpa ha predisposto una relazione dove viene riportata la descrizione delle caratteristiche del sito, l’iter del procedimento amministrativo, lo stato di contaminazione riscontrato nonché le misure di dettaglio che hanno visto il coinvolgimento dell'agenzia.
  La procura generale di Lecce ha, inoltre, evidenziato che la necessità di un più approfondito rilievo del territorio in relazione alla problematica, di grande allarme per l'opinione pubblica locale, relativa all'ipotesi di sotterramento di rifiuti pericolosi, ha indotto l'ufficio requirente ad utilizzare nuovi sistemi integrati di controllo, aereo e terrestre, pur senza tralasciare le tradizionali attività di indagine.
  È stato, pertanto, utilizzato il sistema di telerilevamento aereo del gruppo di esplorazione aeromarittima della guardia di finanza di Pratica di Mare, dotato di apparecchiature per rilievi aerei iperspettrali e termici.
  Gli accertamenti sono stati svolti in maniera coordinata dalla guardia di finanza, dal comando generale e territoriale dell'allora corpo forestale, dai carabinieri del Noe e dalla relativa sezione aerea. I dati ricavati sono stati elaborati con la collaborazione di istituti universitari.
  L'indagine si è sviluppata con interventi coordinati delle varie forze di polizia finalizzati ai riscontri, con acquisizione di documenti e conoscenza diretta del territorio. Questo ha consentito di circoscrivere gli accertamenti ad un limitato numero di siti, sui quali le anomalie spettrali indicate dal telerilevamento rendevano necessario un controllo specifico, anche con applicazione di georadar.
  Si è provveduto, all'inizio del 2015, ad eseguire le ispezioni dei luoghi anche con i mezzi messi a disposizione dai vigili del fuoco per lo scavo, finalizzato ad eventuale individuazione di rifiuti interrati.
  Come già detto, alle operazioni ha presenziato, altresì, personale di Arpa Puglia per i campionamenti finalizzati alle successive analisi.
  Nonostante l'accuratezza dei rilievi, le misurazioni hanno escluso la presenza di radioattività e le analisi dettagliatamente eseguite da Arpa dei campioni di terreno non hanno indicato alcuna anomalia, nelle zone oggetto di specifica indicazione da parte del collaboratore di giustizia Silvano Galati. Conseguentemente, limitatamente ai siti oggetto di ispezione, si è chiesta l'archiviazione nei confronti dei proprietari degli stessi.
  Infine, la procura generale di Lecce ribadisce che la problematica dei rifiuti interrati è tutt'ora attuale e molto ampia, come emerge in numerosi altri giudizi, alcuni relativi ad interramenti di origine remota, per i quali è stata sollecitata l'attivazione delle autorità amministrative per le attività di rilevamento e di bonifica.
  Con nota del 15 febbraio 2017, la procura della repubblica di Bari – direzione distrettuale antimafia ha riferito che, per quanto attiene alle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia Carmine Schiavone, un significativo riscontro può essere rinvenuto nell'ambito del procedimento penale n. 7287/13 (cosiddetta operazione «
Black Land»), ove si è accertato che uno dei trasportatori facenti parte dell'organizzazione dedita al traffico dei rifiuti figurava nella lista fornita dal predetto collaboratore di giustizia alla commissione parlamentare sul ciclo dei rifiuti negli anni novanta.
  L'indagine, caratterizzata da complesse attività di intercettazione, videoriprese, servizi di osservazione, ispezioni, accertamenti dello stato dei luoghi, consulenze ambientali, ha consentito di focalizzare e smantellare un traffico illecito di oltre 300.000 tonnellate di rifiuti speciali che interessava le regioni della Puglia (area foggiana), Campania (area salernitana) e Basilicata (area potentina).
  Nell'occasione sono stati accertati i rapporti tra la criminalità organizzata campana della Valle del Sele e quella foggiana.
  Le richieste di misure cautelari personali e reali sono state integralmente accolte dal giudice per le indagini preliminari e confermate dal tribunale del riesame. Vi sono stati sequestri nei confronti di persone fisiche e giuridiche, per beni aventi un valore complessivo di circa 10 milioni di euro.
  Il 17 dicembre 2014, innanzi al giudice delle udienze preliminari del tribunale di Bari, si è concluso il giudizio abbreviato relativo all'operazione «
Black Land», in cui sono state definite la maggior parte delle posizioni processuali nei cui confronti era stata esercitata azione penale. Le richieste del pubblico ministero sono state integralmente accolte con condanne e confische patrimoniali.
  Il giudizio dibattimentale pende, attualmente, per le residue posizioni innanzi al tribunale di Foggia.
  La procura di Bari riferisce, inoltre, che nell'ambito di un altro fascicolo relativo al traffico illecito di rifiuti dalla Campania verso la Puglia, ha proceduto all'assunzione di informazioni da alcuni collaboratori di giustizia campani.
  Sempre secondo quanto riferito dalla procura generale di Lecce, può ritenersi confermata, grazie anche all'attività svolta dal comando provinciale del Cfs (ora gruppo carabinieri forestale di Bari), l'esistenza di traffici di rifiuti diretti verso la Puglia e verso cave ubicate nella provincia barese, che tuttavia risalirebbero a periodi collocabili tra la fine degli anni ’80 e la metà degli anni ’90, con alcuni casi riferibili anche agli inizi del 2000.
  Tali rivelazioni hanno assunto una rilevanza investigativa utile alla comprensione della dinamica generale del fenomeno, benché riferite ad eventi criminosi prescritti.
  Si è svolta, inoltre, sempre nell'ambito del medesimo procedimento, un'ampia attività di indagine sul territorio, finalizzata a riscontrare ogni segnalazione di interramenti di rifiuti utile a fornire riscontro alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia.
  Ciò ha consentito di riportare alla luce diverse quantità di rifiuti interrati, con consequenziali verifiche dello stato dei luoghi, effettuate anche mediante caratterizzazione, per riscontrare l'eventuale configurazione del danno all'ambiente e connesse responsabilità. Le tipologie di rifiuti ritrovate sono molteplici (cumuli di materiali contenenti amianto, rifiuti da demolizione, miscele bituminose, pneumatici fuori uso, rifiuti urbani, scarti di lavorazioni industriali-concerie, batterie per autovetture, catrame di carbone, cemento e mattoni, materiale ferroso, pezzi di camion rottamati, filtri, carcasse di ovini e caprini, cumuli di letame).
  L'attività svolta ha consentito di acquisire elementi, segnalati alle pubbliche amministrazioni competenti, per l'avvio delle iniziative previste in caso di abbandono di rifiuti o di siti contaminati.
  Alla luce delle informazioni esposte, si evince, pertanto, che su questi temi non è mai mancata, fin dal primo giorno, la grande determinazione del Governo. La consapevolezza delle difficoltà, dei ritardi da colmare, dei danni enormi che ha determinato per troppo tempo l'assenza di una vera cultura ambientale, non ci ha fatto perdere la speranza di invertire finalmente la rotta, di affrontare con fiducia e spinta propulsiva quell'enorme sfida morale, oltre che di sviluppo, rappresentata dalla tutela e dalla valorizzazione del nostro patrimonio ambientale. È evidente che non si può, in alcun modo, abbassare la guardia rispetto ad un fenomeno criminoso che provoca danni all'ambiente e alla salute e rappresenta, per la criminalità organizzata, una fonte di enormi introiti illeciti.
  In ogni caso, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a monitorare le attività in corso nonché a svolgere un'attività di sollecito nei confronti di tutti i soggetti istituzionali interessati e coinvolti, anche al fine di valutare un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.
  

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   FRUSONE, PETRAROLI e CHIMIENTI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   in data 7 febbraio 2017 il direttore generale del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti Coletta, invia una lettera indirizzata a tutte le società concessionarie, in cui scrive «(...) facendo seguito a numerose segnalazioni, pervenute da parte dell'utenza autostradale e relative alla mancata assistenza presso alcune barriere di esazione, si ribadisce la necessità di prevedere per ogni stazione un presidio fisico h24 finalizzato a garantire all'utenza autostradale un'assistenza immediata nei casi di cattivo funzionamento dei sistemi o in qualsiasi altra ipotesi in cui il cliente si trovi in difficoltà»;

   da quanto riportato da fonti di stampa, in data 28 marzo 2017 durante un incontro con le sigle sindacali, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ribadisce l'importanza e l'obbligatorietà del presidio fisico h24 ai caselli autostradali per garantirne la sicurezza;

   in data 18 aprile 2017 è stato indetto uno sciopero nazionale di tutti i dipendenti delle società concessionarie autostradali, indetto da Filt Cgil, Cisl Reti, Uiltrasporti, Sla Cisal e Ugl. La vertenza, come spiegato dai sindacati, è stata incentrata sul presidio fisico 24 ore su 24 di tutti i caselli autostradali. Le sigle dichiarano che alcune società autostradali non assicurano tale presidio in alcuni caselli;

   secondo quanto riportato dal comunicato diffuso a seguito dello sciopero, sarebbe in particolare, la società Strada dei Parchi, ad avere un atteggiamento non conforme alle linee dettate dallo stesso Ministero, la quale avrebbe installato, a giudizio degli interroganti con modalità di dubbia legittimità, sulle porte manuali, un sistema di rilevamento automatico delle targhe, al fine di riscuotere successivamente il pedaggio;

   in data 14 aprile 2017 viene riportato sul sito della suddetta società di concessione «Un nuovo sistema rilevazione targhe installato su tutti i caselli consentirà di pagare alle Poste (...). La concessionaria Strada dei Parchi informa di aver completato l'installazione del SART (Sistema Automatico Rilevamento Targhe) su tutte le porte di esazione riservate al pagamento in contanti nei 28 caselli delle autostrade A24 e A25»;

   da quanto riportato anche nell'ultimo comunicato sindacale sarebbe attualmente pendente un ricorso innanzi al Consiglio di Stato promosso dalla stessa direzione generale per la sorveglianza sulle concessionarie autostradali del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti contro la società Strada dei Parchi –:

   quali iniziative il Ministro interrogato intenda assumere per far fronte alla grave situazione venutasi a creare con alcune società concessionarie, in particolar modo con la società Strada dei Parchi;

   se non ritenga urgente e necessario assumere iniziative, per quanto di competenza, per la sospensione del sistema «SART», attivato dalla società Strada dei Parchi, che sarebbe, di fatto, in contrasto con le disposizioni impartite finora dalla stessa direzione generale del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.
(4-16609)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta sulla base delle informazioni pervenute dalla direzione generale per la vigilanza sulle concessioni autostradali.
  In merito alla questione del presidio dei caselli di esazione lungo le autostrade in concessione ed in particolare lungo le autostrade A24 e A25, affidate in concessione alla società Strada dei parchi, si rappresenta che questo Ministero ha disposto che in tutti i caselli fosse garantito un presidio fisso h24 che, anche in presenza di casse automatiche, garantisse l'assistenza all'utenza.
  La società Strada dei parchi ha ottenuto l'annullamento di tale disposizione dal Tar Lazio e attualmente è in corso il ricorso presso il Consiglio di Stato.
  Pertanto, attualmente, lungo le autostrade A24 e A25, tutti i caselli risultano presidiati h24 ad eccezione di 4 caselli ubicati nel tratto montano, il cui presidio è garantito con un operatore ogni due caselli.
  Modifiche all'attuale organizzazione potranno essere previste solo a seguito dell'emissione della sentenza del Consiglio di Stato.
  Infine, relativamente al sistema Sart (sistema automatico rilevamento targhe) si fa presente che lo stesso non costituisce metodo autorizzato per l'esazione dei pedaggi ma è stato realizzato dalla società concessionaria al fine di tutelarsi in sede di recupero dei mancati pagamenti di pedaggio da parte di automobilisti che attraversano le stazioni senza rispettare le prescrizioni ivi impartite, sia in presenza di esattori che in caso di pagamento automatico.

Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti: Riccardo Nencini.


   GADDA, REALACCI, MARIANI, MORETTO, VAZIO, FAMIGLIETTI, PARRINI, ASCANI, ROTTA, IORI, DALLAI, MORANI, DONATI, MARCO DI MAIO, MANFREDI, ERMINI, GALPERTI, VENITTELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   le tecnologie della climatizzazione e della refrigerazione fanno affidamento sui cosiddetti gas refrigeranti Hfc introdotti con l'adozione del protocollo di Montréal del 1987, in sostituzione dei clorofluorocarburi, principali responsabili della distruzione dello strato di ozono;

   questi gas, a causa anche del massiccio e talvolta indiscriminato uso che se ne è fatto, sono da definirsi assolutamente perniciosi nelle loro formulazioni chimiche e sintetiche attuali. Inoltre, è stato constatato che gli Hfc, pur non essendo sostanze ozono-lesive, sono potenti gas serra che possono avere un impatto sul cambiamento climatico migliaia di volte maggiore rispetto all'anidride carbonica;

   con l'Accordo di Kigali, gli Stati si sono impegnati a ridurre la produzione e il consumo di Hfc di oltre l'80 per cento nel corso dei prossimi trenta anni. Tale programma di riduzione era già stato adottato dall'Unione europea con il regolamento (UE) 517/2014 (cosiddetto F-gas), che ha abrogato e sostituito il precedente regolamento (UE) 842/06;

   ad oggi in Italia non esiste ancora il decreto di attuazione di tale regolamento europeo, nonostante il termine fissato agli Stati membri fosse il 31 dicembre 2016. A causa di questo ritardo, la Commissione europea ha dato avvio anche ad una procedura di pre-infrazione nei confronti del nostro Paese (EU PILOT 9154/2017);

   in assenza di questo strumento e del decreto sanzionatorio che dovrà essere emanato successivamente, gli operatori del settore segnalano molteplici problemi soprattutto di interpretazione che rendono impossibile dare seguito alle nuove regole europee;

   le associazioni delle imprese produttrici – molte delle quali eccellenze mondiali – esprimono, in particolare, preoccupazione per le questioni di carattere ambientale e di sicurezza che derivano dall'assenza di un quadro normativo nazionale certo, che consenta di chiarire le competenze e di predisporre una sana pianificazione aziendale;

   agli interroganti risulta che, con la collaborazione delle associazioni di categoria e ambientaliste, è stato predisposto dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare uno schema di decreto attuativo contenente le nuove disposizioni, ma che ad oggi tale schema non sia stato ancora approvato dal Consiglio dei ministri;

   si ricorda che, solo dopo l'adozione di questo primo decreto, sarà possibile elaborare quello con lo schema sanzionatorio, particolarmente delicato per la questione dei controlli e del rispetto degli obblighi comunitari;

   oltre a questa condizione di attesa, si fa presente che le imprese produttrici sono messe sotto pressione anche da un secondo ostacolo irrisolto: i prodotti refrigeranti, infatti, sono uno dei pochi rifiuti speciali e pericolosi non ancora dotati di una gestione dei costi ambientali di trattamento e smaltimento –:

   quali tempi il Governo ipotizzi siano necessari affinché si arrivi all'adozione del decreto di cui in premessa e quali tempi e modalità preveda per la stesura e l'adozione del decreto recante la disciplina delle violazioni;

   se il Ministro intenda attivare un tavolo tecnico e di confronto che coinvolga le associazioni del settore affinché si possa gestire in maniera ottimale il trattenimento e lo smaltimento dei rifiuti nella filiera e, al contempo, ridurne i costi particolarmente elevati per gli operatori.
(4-18093)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dalle competenti Direzioni generali del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  Nel 1985 la comunità internazionale, rispondendo alle preoccupazioni della comunità scientifica, ha siglato la «Convenzione di Vienna per la protezione della fascia dell'ozono». L'obiettivo principale del trattato è di proteggere la salute umana e l'ambiente dagli effetti dannosi che derivano o possono derivare dalle attività umane che modificano lo strato di ozono. In attuazione della Convenzione di Vienna, nel 1987 è stato firmato il Protocollo di Montreal che disciplina le modalità per la riduzione della produzione e del consumo delle sostanze pericolose per la fascia di ozono stratosferico al fine della loro completa eliminazione.
  Le sostanze ozono lesive disciplinate dal Protocollo di Montreal sono: clorofluorocarburi (Cfc), halon, tetracloruro di carbonio (Ctc), tricloroetano (Tca), bromuro di metile (MB), idrobromofluorocarburi (Hbfc), idroclorofluorocarburi (Hcfc) e bromoclorometano (Bcm).
  Le sostanze ozono lesive sono state impiegate per gli usi più disparati. In particolare, nel corso degli anni ’80, i Cfc sono stati utilizzati nel settore della refrigerazione (frigoriferi, congelatori, condizionatori d'aria sia negli edifici che negli autoveicoli, e altro), in quello delle schiume poliuretaniche come agenti espandenti (pannelli isolanti, schiume spray, imbottiture di sedili per auto, e altro), come propellenti per qualsiasi prodotto spray (bombolette, inalatori per asmatici e altro), e come agenti pulenti o solventi (soprattutto nell'elettronica di alta precisione, nel settore aeronautico, spaziale, informatico e altro). Tali sostanze sono state poi successivamente rimpiazzate, in quasi tutti gli usi esistenti, dagli Hcfc. Gli Hcfc sono delle molecole con proprietà simili, e quindi buoni sostituti dei Cfc, ma con un più basso potenziale di distruzione dell'ozono (
ozone depletion potential o Odp). Tuttavia non sono totalmente innocue per l'ozono ed è per questo che anche gli Hcfc sono stati inseriti in un programma di riduzione graduale di utilizzo che conduca alla sospensione della loro produzione entro la fine del 2019.
  Sin dagli inizi degli anni ’90, in sostituzione degli Hcfc, sono stati introdotti gli idrofluorocarburi (Hfc) che non contribuiscono alla riduzione dello strato di ozono stratosferico e al tempo stesso presentano buone proprietà di non infiammabilità e di tossicità molto bassa.
  Gli Hfc, pur non avendo alcun impatto sullo strato di ozono, presentano tuttavia un elevato potenziale di riscaldamento globale (
Global warming potential o Gwp) ovvero la capacità di assorbire la radiazione termica irradiata dalla superficie terrestre intrappolando il calore tra la superficie stessa e la troposfera. Il risultato di questo meccanismo è un generale e diffuso surriscaldamento della Terra, il cosiddetto «effetto serra». Il Protocollo di Kyoto, sottoscritto nel dicembre 1997 da più di 160 Paesi ed entrato in vigore il 16 febbraio 2005 dopo la ratifica anche da parte della Russia, ha riconosciuto le capacità di riscaldamento globale dei gas fluorurati (F-gas) e li ha inclusi nell'elenco dei gas serra al fine di controllarne le emissioni in atmosfera.
  Al fine di prevenire e minimizzare le emissioni di F-Gas e adempiere agli obblighi derivanti dal protocollo di Kyoto, il 17 maggio 2006 il Parlamento europeo e il Consiglio hanno adottato il regolamento (CE) n. 842/2006 su taluni gas fluorurati ad effetto serra. Tale regolamento è stato poi abrogato il 20 maggio 2014 con la pubblicazione del regolamento (UE) n. 517/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 aprile 2014 sui gas fluorurati a effetto serra. Rispetto al Regolamento (CE) n. 842/2006, il regolamento (UE) n. 517/2014, mantiene l'obiettivo di protezione dell'ambiente rafforzando e introducendo specifiche disposizioni volte alla riduzione delle emissioni dei gas fluorurati a effetto serra (F-gas). In particolare, le seguenti disposizioni vengono estese a nuovi soggetti e apparecchiature e prodotti:

   controllo delle perdite di F-gas (articoli 4 e 5);

   obblighi di recupero di F-gas (articolo 8);

   obblighi di certificazione delle persone e delle imprese (articolo 10);

   controllo dell'uso di F-gas (articolo 13).

  Inoltre, il Regolamento introduce:

   ulteriori restrizioni relative all'immissione in commercio di determinati prodotti e apparecchiature (articolo 11 e allegato III);

   specifiche disposizioni in materia di apparecchiature precaricate con Hfc (articolo 14);

   riduzione della quantità di Hfc immessa in commercio (meccanismo di assegnazione di quote di Hfc-phase-down) (articoli 15, 16, 17 e 18).

  Durante la XXVIII riunione delle Parti del Protocollo di Montreal, tenutasi a Kigali (Ruanda) dal 10 al 15 ottobre 2016, le parti hanno approvato l'emendamento XXVIII/1 al testo del Protocollo relativo alla riduzione di quegli idrofluorocarburi (Hfc) elencati in uno specifico allegato all'emendamento. L'adozione di tale emendamento nasce dalla necessità di affrontare il tema dell'impatto sul clima derivante dall'introduzione degli Hfc come principali sostituti degli Hcfc, soprattutto nei settori della refrigerazione e del condizionamento d'aria. Gli Hfc, infatti, non hanno un impatto sullo strato di ozono stratosferico, ma alcuni di loro hanno un elevato potenziale di riscaldamento globale (Gwp) e, quindi, un forte impatto sul clima.
  L'emendamento adottato divide i Paesi in tre gruppi in funzione della data rispetto alla quale devono congelare la produzione e il consumo di Hfc. Gli impegni di riduzione partiranno nel 2019 per i Paesi sviluppati (Paesi A2), con delle deroghe per Bielorussia, Federazione Russa, Kazakistan, Tagikistan e Uzbekistan; gran parte dei Paesi in via di sviluppo, tra i quali Cina, Brasile e Sud Africa (Paesi A5 Gruppo 1), dovranno congelare (e dunque impedire che aumenti) il consumo e la produzione di Hfc nel 2024; una terza fascia di Paesi, tra i quali l'India e i Paesi del Golfo (Paesi A5 Gruppo 2), dovrà congelare il consumo e la produzione di Hfc nel 2028. Alla fine delle varie fasi di riduzione, tutti i Paesi sono tenuti a consumare e produrre non più del 15-20 rispetto alle loro rispettive quote base al 2036 per i Paesi sviluppati, al 2045 per i Paesi in via di sviluppo Gruppo 1 e al 2047 per Paesi in via di sviluppo del Gruppo 2.
  La normativa nazionale attualmente vigente in materia di gas fluorurati è costituita dal decreto del Presidente della Repubblica 27 gennaio 2012, n. 43 recante attuazione del regolamento (CE) n. 842/2006 e il decreto legislativo 5 marzo 2013, n. 26 che disciplina il regime sanzionatorio per la violazione delle disposizioni di cui al regolamento (CE) n. 842/2006 su taluni gas fluorurati ad effetto serra.
  Al fine di dare attuazione alle nuove disposizioni introdotte dal Regolamento (UE) n. 517/2014 ed in particolare dall'articolo 10, paragrafo 10 del Regolamento (UE) n. 517/2014, si è reso necessario predisporre uno schema di decreto che modifica e supera, abrogandole, le attuali disposizioni in materia di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 43 del 2012.
  Il Ministero dell'ambiente ha avviato l’
iter di adozione del decreto di recepimento della normativa in materia di gas fluorurati ad effetto serra. Tale decreto è ora all'esame del dipartimento per gli affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio dei ministri e si auspica possa essere definitivamente approvato entro la metà del 2018.
  Lo schema di decreto è stato predisposto dalla competente Direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare previa consultazione con i principali enti/amministrazioni e le associazioni di settore ambientaliste.
  Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, ha inoltre già da tempo avviato un dialogo con le associazioni di settore al fine di affrontare il tema della gestione «ottimale» dei gas fluorurati a effetto serra. In particolare sono stati svolti diversi incontri con i produttori, gli importatori e gli esportatori di tali sostanze nonché con le associazioni di settore (produttori/costruttori di apparecchiature, manutentori,...) e le associazioni ambientaliste per vagliare le diverse proposte per la gestione del gas durante il ciclo di vita delle apparecchiature coinvolte.
  In merito allo smaltimento dei gas refrigeranti si segnala altresì che il 22 giugno 2017 il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha sottoscritto, ai sensi dell'articolo 206 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, un accordo di programma con la società
Hudson Technologies Europe s.r.l. per la corretta gestione dei gas refrigeranti ed estinguenti.
  L'accordo di programma si prefigge di aumentare nel nostro Paese il livello di raccolta e recupero dei gas refrigeranti ed estinguenti divenuti rifiuti. A tale scopo, l'accordo propone l'attivazione di una filiera di raccolta e rigenerazione dei gas refrigeranti ed estinguenti, che si rivolgerà soprattutto ai piccoli manutentori di impianti dai quali oggi deriva la maggior parte dei rifiuti prodotti. Mediante il suddetto l'accordo di programma si è stabilito un chiaro ed uniforme sistema di adempimenti che permetteranno di raggiungere il maggior vantaggio ambientale garantendo e mantenendo la massima tutela della normativa ambientale e di settore.
  È evidente che, nel rispetto del principio della concorrenza, tale accordo potrà essere replicato in seguito ad eventuali istanze di altri soggetti interessati a porre in essere sistemi di raccolta e rigenerazione analoghi.
  Quanto riferito testimonia che le problematiche rappresentate dagli interroganti sono tenute in debita considerazione da parte di questo Ministero, il quale ha provveduto, e provvederà per il futuro, alle attività e valutazioni di competenza in materia con il massimo grado di attenzione, e a svolgere un'attività di monitoraggio ed impulso.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   GASPARINI, CINZIA MARIA FONTANA, CASATI, MAURI e COVA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   l'aeroporto Milano-Bresso «Franco Bordoni Bisleri» è collocato in una delle aree più popolose della città metropolitana di Milano, e all'interno del più grande parco pubblico d'Europa: il Parco nord;

   il Parco nord è una realtà voluta dai cittadini che si sono impegnati per la sua realizzazione e sono partecipi alla gestione. Per anni si sono battuti per la ricollocazione dell'aeroporto, considerandolo incompatibile con la presenza del Parco e lo hanno infine accettato con le limitazioni previste dall'accordo siglato nel 2007;

   l'aeroporto opera sotto la giurisdizione della direzione aeroportuale Lombardia dell'Ente nazionale per l'aviazione civile (Enac);

   l'Ente nazionale per l'aviazione civile disciplina la circolazione attraverso proprie ordinanze e, nello specifico con l'ordinanza n. 3 del 2011 del 15 novembre 2015, alla quale si è di recente succeduta l'ordinanza n. 7 del 2016 del 15 giugno 2016, in vigore dal 10 luglio 2016;

   il regolamento di scalo del 2011 costituiva il punto di caduta degli accordi intercorsi con il protocollo d'intesa del 31 luglio 2007, sottoscritto dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, regione Lombardia, provincia di Milano, Consorzio Parco nord Milano, comuni di Bresso, Cinisello Balsamo e Milano: detto protocollo, aveva costituito soluzione di mediazione sul tema dell'incompatibilità dell'aeroporto con il polmone verde di Parco nord;

   in particolare, l'articolo 2 del protocollo 2007 escludeva opere o interventi che potessero configurare un potenziamento della capacità di traffico;

   il regolamento di scalo n. 1 del 15 dicembre 2011, infatti, individuava quali soggetti operanti all'interno dell'aeroporto: Aero Club Milano, Elite Aviation, A.o.p.a. (Aircraft owners and pilots association) Italia e Cap (club aviazione popolare);

   tale tipologia di operatori configura l'aeroporto come scuola piloti o infrastruttura per piccoli aerei da turismo (traffico consentito vfr — volo a vista);

   il nuovo regolamento adottato da Ente nazionale per l'aviazione civile in vigore dal 10 luglio del 2016, tradisce, a giudizio degli interroganti, lo spirito ed il dettato del protocollo del 2011, ampliando operatività dello scalo al traffico comunitario civile di aviazione generale e di aerotaxi, senza limitazione per il numero di posti e voli;

   poco prima dell'adozione del regolamento di scalo n. 7 del 2016 (datato 15 giugno) il prefetto di Milano ha rilevato inadeguate misure di sicurezza dell'aeroporto e con decreto del 22 marzo 2016 ha regolato le attività di volo dello scalo per garantire la sicurezza pubblica, in costanza di un'utilizzazione della infrastruttura per tipologia di traffico diversa da quella in esercizio dal 1° luglio 2016;

   la diversa destinazione di utilizzo tradisce gli accordi a suo tempo intercorsi e costituisce una modifica tanto più grave se si considera che il comune di Bresso e quelli limitrofi hanno una popolazione tra le più dense d'Italia (Bresso 7.765 abitanti per chilometro quadrato, Sesto San Giovanni 6.975 abitanti per chilometro quadrato, Cinisello Balsamo 5.900 abitanti per chilometro quadrato);

   la diversa destinazione di traffico non avrebbe dovuto prescindere da una verifica dei livelli di inquinamento acustico ed ambientale e del deterioramento della qualità della vita degli insediamenti urbani limitrofi, che risulta agli interroganti totalmente omessa dal nuovo regolamento dell'Enac;

   il consiglio comunale di Bresso alla presenza di rappresentanti dell'Enac il 25 maggio 2016, ha votato all'unanimità il mandato al sindaco per farsi promotore presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, il prefetto di Milano e l'Enac, affinché l'aeroporto di Bresso rimanga una scuola per piloti e uno spazio per piccoli aerei da turismo, evidenziando la preoccupazione delle popolazioni dei comuni limitrofi all'aeroporto «per la presenza di una pista di atterraggio di dimensioni ridotte e di un sistema di sicurezza e antincendio non adatto a voli di dimensioni elevate»;

   a seguito dell'ordine del giorno del comune di Bresso e del comune di Cinisello Balsamo, il prefetto di Milano ha convocato un tavolo di confronto per ricercare una soluzione condivisa e coerente con gli accordi sottoscritti, tavolo che si è dotato di una struttura tecnica che ad oggi non ha ancora consegnato il proprio parere;

   in data 31 maggio 2017, l'Agenzia del demanio, con comunicazione, prot.N.2017/7239/DRL-STM1, dava riscontro alla richiesta della prefettura in merito alle procedure di demanializzazione delle aree da destinare al nuovo sedime aeroportuale ed evidenziava che non aveva titolo per affidare a terzi soggetti concessionari la gestione dello scalo, confermando quindi che le concessioni ad una molteplicità di soggetti, tra i quali la società Sky Service, fossero irregolari;

   decaduta la concessione Sky Service ed altre, nonostante le dichiarazioni dell'Agenzia del demanio, il 6 novembre 2017, l'ENAC ha avviato una nuova procedura per l'affidamento in concessione dell'aeroporto, nel cui disciplinare d'offerta si richiedono «Strategie societarie finalizzate allo sviluppo dell'attività di volo» –:

   quali iniziative intenda assumere il Governo, per quanto di competenza, per garantire il rispetto degli impegni formalizzati nel protocollo di cui in premessa, con particolare riferimento alla recente assunzione di iniziative che avrebbero come effetto il potenziamento del traffico;

   quali iniziative di competenza il Governo intenda adottare per garantire adeguati livelli di sicurezza, salute e contrasto all'inquinamento ambientale e acustico per le popolazioni limitrofe allo scalo;

   se il Governo intenda convocare i sottoscrittori del citato protocollo d'intesa per verificarne la corretta attuazione, con particolare attenzione alla tutela della sicurezza e della salubrità ambientale, su cui si sono espresse istituzioni locali e cittadini, costituitisi in comitati a difesa del Parco nord, proprio nell'ottica di tutelare l'ambiente e la sicurezza.
(4-18892)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta sulla base delle informazione pervenute dalla direzione generale per gli aeroporti ed il trasporto aereo di questo Ministero e dall'Ente nazionale per l'aviazione civile (Enac).
  L'aeroporto di Bresso rientra nel novero dei beni appartenenti al demanio aeronautico, di cui all'articolo 692 del Codice della navigazione, assegnato in uso gratuito e attualmente gestito direttamente dall'Enac, nelle more dell'individuazione di un gestore, come previsto dal regolamento Enac «Affidamento aeroporti demaniali per l'aviazione generale» – Edizione 1, Emendamento 1 del 22 dicembre 2016.
  Le strutture dell'aeroporto ospitano diversi sodalizi e società aeronautiche con finalità turistiche, aero-scolastiche e di lavoro aereo tra cui l'Aero club Milano, l'Aereo club Bresso, A.O.P.A. Italia-
Aircraft owners and pilots association, la Società élite aviation S.r.l., società Sky services S.p.A., Società Ifa S.r.l. All'interno dello scalo, in un'area appositamente dedicata, è operativo anche il servizio di elisoccorso di Areu Lombardia.
  In data 15 giugno 2016, in occasione dell'affidamento, in concessione, dei beni demaniali corrispondenti a singole porzioni delle infrastrutture aeroportuali, conseguenti all'espletamento di procedure pubbliche selettive, la Direzione aeroportuale Lombardia di Enac ha emanato, sentiti i concessionari e gli operatori presenti, un nuovo Regolamento di scalo, al fine di aggiornare le disposizioni vigenti sullo scalo – anche alla luce del mutato assetto dei concessionari – e le procedure volte ad assicurare il corretto utilizzo delle infrastrutture in esso presenti ed il mantenimento di condizioni operative idonee per le attività di volo.
  In merito alla nota problematica dell'asserita «apertura dell'aeroporto alle operazioni di volo commerciali», nel novellato Regolamento di scalo Enac non rileva alcun elemento innovativo rispetto alle precedenti disposizioni.
  I servizi di aerotaxi (più in generale di
business aviation) sugli aeroporti non certificati, quali quelli normalmente destinati all'aviazione generale (ma anche su tutte le avio ed elisuperfici registrate ed anche su aree occasionali) già da tempo sono svolti, secondo la vigente normativa nazionale ed internazionale, senza limitazioni, ad eccezione di quelle di natura tecnica ed operativa derivanti dalla compatibilità delle infrastrutture di volo con le specifiche prestazioni dei velivoli interessati.
  È quindi consentita l'effettuazione di tali servizi aerotaxi senza limitazione al numero di posti, previa verifica dalla sola compatibilità aeronautica tra aeroporto e velivolo. Sarà pertanto responsabilità dell'operatore verificare l'adeguatezza delle infrastrutture in termini di caratteristiche fisiche ed operative con le prestazioni del velivolo e con i requisiti di certificazione del velivolo e dell'operatore.
  Le limitazioni delle infrastrutture dell'aeroporto di Milano Bresso, sono indicate nel Regolamento di scalo che non ha pertanto introdotto alcun potenziamento delle attività consentite sullo scalo ma ha contribuito a precisarle. Dette limitazioni sono pubblicate in Aip Italia.
  In ordine, poi, allo stato di attuazione delle attività previste nel Protocollo di intesa del 2007 citato, tese a conciliare le esigenze dell'attività aviatoria dell'aeroporto con i limitrofi centri abitati di Bresso, Cinisello Balsamo, Sesto San Giovanni e il Parco Nord, Enac riferisce quanto segue:

   gli interventi previsti nel piano di riassetto dell'aeroporto elaborato da Enac sono stati tutti realizzati, ad eccezione della recinzione aeroportuale, il cui progetto e affidamento sono in fase di ultimazione;

   la cessione al Parco nord di aree del sedime aeroportuale non più funzionali all'attività aviatoria sono state realizzate;

   lo spostamento dell'attività di elisoccorso presente sul lato ovest del sedime (area prossima al centro abitato di Bresso) è stata portata a termine, con successiva ricollocazione e affidamento in concessione ad Areu Lombardia dell'eliporto nell'area est;

   le concessioni dei singoli beni appartenenti al demanio aeronautico in essere alla data di indizione del bando, considerata peraltro la destinazione d'uso attribuita agli stessi, non hanno riguardato né la realizzazione di opere aggiuntive, né la definizione di nuovi servizi aeroportuali, escludendo la possibilità di nuovi progetti di utilizzo dell'infrastruttura volti a modificare la destinazione d'uso dei singoli beni demaniali e dell'infrastruttura aeroportuale nel suo complesso;

   il Regolamento di scalo, di recente emanazione, non ha disatteso alcun vincolo oggetto del Protocollo d'intesa, atteso che non sono state apportate modifiche in senso estensivo all'operatività dello scalo, perseguibili peraltro esclusivamente mediante interventi di natura infrastrutturale, mai eseguiti ed estranei alle competenze della Direzione aeroportuale di Enac.

  In data 15 novembre 2017 l'Enac ha pubblicato il bando di gara per l'affidamento in concessione ventennale dell'aeroporto «Franco Bordoni Bisleri» di Bresso.
  La procedura è stata espletata ai sensi del citato regolamento Enac in coerenza con le disposizioni ed i principi – laddove applicabili – del Codice dei contratti pubblici (decreto legislativo n. 50 del 2016), nel rispetto dei principi comunitari di libera concorrenza, non discriminazione, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità, pubblicità, economicità, efficacia, tempestività, correttezza, nonché ai sensi della legge 7 agosto 1990 n. 241, ove applicabile.
  Le aree oggetto della concessione si limitano alle sole aree individuate dal decreto n. 101 del 29 ottobre 2003, di questo Ministero di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, e assegnate in uso gratuito all'Enac, ai sensi dell'articolo 8, comma 2, del decreto legislativo n. 250 del 1997, quali beni del demanio aeroportuale – ramo trasporti – aviazione civile costituenti l'aeroporto «Franco Bordoni Bisleri» di Bresso – specificati nell'Annesso XV ed individuati con delibera adottata in data 7 marzo 2002 dall'Ufficio commissariale di cui all'articolo 8, comma 4 del citato decreto legislativo n. 250 del 1997, allegata al disciplinare di gara.
  L'affidamento in concessione ventennale ha in particolare come oggetto la conduzione, la manutenzione e l'uso dei beni facenti parte del sedime aeroportuale, nonché l'espletamento delle attività di cui allo schema di convenzione allegata alla documentazione di gara.
  L'affidatario, sotto il controllo e la vigilanza dell'Enac, dovrà:

   amministrare e gestire l'infrastruttura aeroportuale secondo criteri di trasparenza e non discriminazione;

   garantire le attività e le prestazioni richieste dalle norme vigenti in materia e dalle prescrizioni emanate dagli enti competenti.

  Il disciplinare di gara, al punto 2.3, nell'attribuire all'affidatario dello scalo l'onere di «realizzare tutte le opere di manutenzione ordinarie e straordinarie atte ad assicurare i servizi essenziali e l'operatività dello scalo nella sua interezza», non prevede la realizzazione di opere aggiuntive, né la definizione di nuovi servizi aeroportuali, volti ampliare l'attività o a modificare la destinazione d'uso dei singoli beni demaniali e dell'infrastruttura aeroportuale nel suo complesso.
  Enac riferisce altresì che al capo 2.1 concernente l'oggetto della concessione, il disciplinare di gara, richiama esplicitamente Protocollo di intesa finalizzato all'individuazione di modalità per un riassetto aeroportuale, sottoscritto in data 31 luglio 2007 dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, dall'Agenzia del demanio, dalla provincia di Milano, dal comune di Bresso, dal comune di Cinisello Balsamo, dal Consorzio Parco nord, dal comune di Milano ed Enac ed allegato al bando di gara.
  Nel mese di dicembre 2017 si è tenuta la riunione del «tavolo tecnico» sull'aeroporto di Bresso convocato dalla Prefettura di Milano che ha sostanzialmente evidenziato l'opposizione delle amministrazioni locali alla pubblicazione del bando Enac di affidamento in concessione dell'aeroporto. Nella stessa seduta i rappresentanti delle istituzioni locali hanno annunciato la presentazione di un ricorso amministrativo.
  In relazione a tale ricorso n. 3015/2017 il 12 gennaio scorso il Tar Lombardia ha respinto la domanda di sospensione cautelare, presentata dal comune di Bresso, dal comune di Cinisello Balsamo e dal Parco nord Milano, con ordinanza n. 74/2018, ritenendo che non fosse sostenuta da adeguati profili di fondatezza.
  Resta comunque attivo, presso la prefettura di Milano, il tavolo di confronto tra i vari soggetti ed organismi interessati per la soluzione delle problematiche inerenti la gestione dell'aeroporto in argomento.
  

Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti: Riccardo Nencini.


   GINOBLE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   la giunta regionale del Molise, (deliberazione della giunta regionale n. 712 del 2014 – deliberazione della giunta regionale n. 76 del 2015) ha ammesso al finanziamento pubblico la realizzazione di un «tunnel di raccordo stradale tra il porto di Termoli ed il lungomare Cristoforo Colombo», per un importo di 5.000.000 di euro, a valere su risorse comunitarie;

   il 25 giugno 2015 la giunta comunale di Termoli ha approvato il progetto preliminare per la realizzazione di tale opera, quantificandone i costi in 11.125.094 euro, di cui 5.000.000 coperti dai fondi FSC 2007-2013 e i restanti 6.125.094 a carico del comune di Termoli;

   il 27 luglio 2015, con deliberazione n. 196, la giunta comunale di Termoli ha formulato una rimodulazione dell'intervento, integrandolo con un parcheggio multipiano interrato al di sotto di piazza Sant'Antonio e Pozzo Dolce, da realizzare tramite finanza di progetto, ritenendo le due opere (tunnel e parcheggio) complementari strategiche; tale rimodulazione è stata approvata con delibera di giunta regionale n. 41 del 2015;

   il tunnel che dovrebbe collegare l'area portuale di Termoli con il lungomare nord attraverserebbe terreni ad alto rischio idrogeologico e, passando a soli due metri sotto le fondazioni della struttura medievale della Torretta Belvedere, metterebbe in pericolo la stabilità della fragili strutture del centro storico, in prossimità del castello Svevo di epoca Federiciana;

   la zona più danneggiata sarebbe però quella del cosiddetto piano Sant'Antonio: un'area attualmente degradata ma destinata a verde pubblico a pochi metri dall'arenile che costituisce una splendida terrazza naturale sul mare e sul Borgo Antico;

   fin dalla presentazione del primo progetto numerosi cittadini di Termoli si sono costituiti in Comitato referendario per promuovere un referendum consultivo previsto dallo statuto comunale – ma i quesiti sono stati bocciati – mentre altri cittadini hanno promosso una petizione popolare, raccogliendo oltre 3.000 firme in pochi giorni;

   il 16 febbraio 2017 il comitato referendario dei cittadini ha depositato tre nuovi quesiti su cui il comune non si è ancora pronunciato;

   il referendum consultivo è stato richiesto altresì in consiglio regionale del Molise attraverso una mozione votata favorevolmente da 11 consiglieri su 20;

   nella conferenza dei servizi decisoria per la «Realizzazione di un sistema integrato per la viabilità e mobilità sostenibile del Comune di Termoli», svoltasi il 10 agosto 2017, è stato formalizzato il parere negativo sul progetto della Soprintendenza ai beni paesaggistici e culturali del Molise, ribadito in sede di conferenza di servizi decisoria conclusiva del 7 novembre 2017;

   in data 10 novembre 2017 è stata pubblicata sull'Albo pretorio del comune di Termoli la determinazione conclusiva della conferenza di servizi decisoria – (n. di registro generale 2059 del 9 novembre 2017 e n. di settore 90) che risulta decisamente anomala in quanto, pur essendo a firma di un tecnico (R.U.P.), contiene quello che all'interrogante appare un attacco all'operato del comitato referendario e, soprattutto, nei confronti della Soprintendenza;

   il 16 novembre 2017 il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo Franceschini, facendo proprio il parere negativo della Soprintendenza, ha firmato l'opposizione avverso la determinazione conclusiva della conferenza di servizi decisoria;

   il 7 dicembre 2017, ha avuto luogo la prima riunione presso la Presidenza del Consiglio dei ministri in merito, non essendo l'amministrazione comunale di Termoli disponibile ad accogliere il parere della Soprintendenza, non ha prodotto alcun accordo ed è stata aggiornata al 19 dicembre 2017 –:

   quali iniziative il Governo intenda intraprendere a tutela del patrimonio storico, architettonico e paesaggistico-ambientale della comunità di Termoli alla luce di quanto esposto in premessa.
(4-18885)

  Risposta. — Si riscontra l'atto di sindacato ispettivo in esame, nel quale l'interrogante, richiede al Ministero dei beni culturali quali iniziative intende intraprendere a tutela del patrimonio storico, architettonico e paesaggistico della comunità di Termoli in merito al progetto del comune di Termoli di un tunnel che dovrebbe collegare l'area portuale con il lungomare nord.
  Occorre premettere che questo Ministero segue, attraverso i propri uffici territoriali, con attenzione e da diversi anni, questo progetto e che gli elementi sono stati forniti dalla competente Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio del Molise.
  Come correttamente rammentato dall'interrogante, il comune di Termoli ha approvato il progetto preliminare il 25 giugno del 2015 con una delibera di Giunta comunale ed in assenza di un parere del Ministero.
  Il successivo 7 agosto 2015, il Comune ha proceduto all'approvazione dello schema di avviso pubblico di
Project financing per la progettazione, costruzione e gestione di un parcheggio interrato multipiano in piazza S. Antonio, integrato con il progetto preliminare del tunnel stesso.
  Il 5 novembre 2015, la giunta comunale ha dichiarato di pubblico interesse l'unica proposta pervenuta da parte della ditta De Francesco Costruzioni s.a.s., che ha assunto la veste di promotore.
  Il successivo 27 maggio 2016 il comune ha indetto la Conferenza di servizi istruttoria, in relazione alla quale la Soprintendenza belle arti e paesaggio del Molise ha trasmesso, il successivo 1o giugno, la nota n. 3905, con la quale si chiedeva la documentazione progettuale cartacea, non pervenuta, e si precisava che il parere unico per la tutela paesaggistica e archeologica spettava al segretariato regionale MiBACT per il Molise.
  Secondo notizie fornite dalla stessa Soprintendenza, nei mesi successivi, sono seguite riunioni e incontri tecnici, nel corso dei quali il segretario regionale del Molise
pro-tempore e la Soprintendenza hanno chiesto di effettuare sondaggi e saggi di scavo nelle aree di intervento.
  Soltanto il 14 luglio del 2017, la ditta De Francesco ha trasmesso una relazione archeologica relativa alla sola esecuzione di carotaggi, che la Soprintendenza ha però ritenuto non esaustivi per la verifica dell'impatto archeologico.
  Il 10 agosto 2017, si è svolta presso la regione Molise la prima seduta della Conferenza di servizi decisoria, il cui verbale è verosimilmente noto all'interrogante, in relazione alla quale la Soprintendenza-archeologia, belle arti e paesaggio del Molise ha espresso e depositato, in pari data, il negativo parere di competenza, fornendo dettagliate motivazioni in ordine alla tutela paesaggistica, archeologica e monumentale.
  In particolare, nella nota depositata, è stato ribadito che le aree interessate sono sottoposte a vincolo paesaggistico (ai sensi del decreto ministeriale del 2 febbraio 1970 e del Piano territoriale paesaggistico di area vasta n. 1 «Basso Molise», approvato con delibera del Consiglio Regionale del Molise n. 253 del 1o ottobre 1997, della legge regionale n. 24 del 1989) e a tutela architettonica in relazione al castello svevo della città vecchia e all'ex cinema Adriatico; inoltre, l'area di piazza S. Antonio è stata in passato oggetto di rinvenimenti relativi a sepolture antiche.
  Lo scorso 13 settembre 2017, su richiesta del comune di Termoli, si è svolto presso la sede della Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio del Molise, un incontro al quale hanno partecipato il Soprintendente, il segretario regionale del Molise del Mibact e l'architetto funzionario di zona, il Sindaco della Città di Termoli, nonché un referente della Di Francesco Costruzioni, al fine di verificare possibili soluzioni.
  Nel corso della riunione la Soprintendenza ha proposto di verificare la possibilità di una modifica del progetto nella parte in cui esso - attraverso il tunnel - intercetta gli spazi aperti e anche ipogei relazionati con il borgo medievale.
  Segnalando altresì le preoccupazioni e le criticità di ordine archeologico, è stato richiesto di valutare la possibilità di modifiche al progetto, da un lato in relazione al tracciato del tunnel, dall'altro in relazione alla conservazione del costone naturale che separa il borgo antico dalla città otto-novecentesca e che il progetto prevede di sostituire con un'edilizia civile ad usi commerciali e ricettivi. La mancata realizzazione di questa parte delle opere previste non comprometterebbe la realizzazione dei parcheggi né dell'auditorium, facendo salvi quindi gli obiettivi pubblici che il comune intende perseguire.
  La Soprintendenza riferisce che il sindaco di Termoli ha rappresentato che nessuna sostanziale modifica sarebbe possibile, in quanto il progetto, essendo il risultato di un processo concorsuale oggetto di pubblica gara, non sarebbe emendabile.
  Comunque, avverso la determinazione conclusiva della Conferenza di servizi n. 90 del 09 novembre 2017, pubblicata il 10 novembre 2017, con la quale il comune di Termoli ha espresso l'assenso definitivo alla realizzazione dell'intervento in questione, questo Ministero, con nota protocollo n. 34096 del 17 novembre 2017, ha proposto opposizione ai sensi dell'articolo 14-
quinquies della legge n. 241 del 1990.
  Nei successivi incontri tenutesi presso la Presidenza del Consiglio dei ministri Dipartimento per il coordinamento amministrativo, in data 4 e 19 dicembre 2017 e 9 gennaio 2018, questa Amministrazione ha ribadito la propria posizione non favorevole sul progetto, anche se le modifiche proposte nel corso delle suddette riunioni sono state considerate migliorative rispetto al progetto iniziale.
  In considerazione di quanto sopra, tutti gli atti istruttori e i verbali predisposti sono stati inoltrati al Consiglio dei ministri per i conseguenti adempimenti.
  

La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismo: Ilaria Carla Anna Borletti dell'Acqua.


   GIANCARLO GIORGETTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   nel centro europeo dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale sul lago Maggiore è stato realizzato un nuovo magazzino, denominato «area 41»;

   vari giornali e siti online (T news 14 giugno – Corriere della Sera Milano, cronaca del 13 giugno 2017) riportano che il nuovo magazzino, costruito dall'Unione europea e in attesa dell'autorizzazione da parte dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, ISPRA, dovrà ospitare scorie nucleari;

   si tratta di un sito poco distante dal luogo ove in passato funzionavano due reattori nucleari costruiti da Euratom, l'agenzia per l'energia atomica europea;

   nel sito opera oggi il centro di ricerca Joint research centre (Jrc), che si occupa di ambiente, scienza ed emergenze meteorologiche, verso l'obiettivo di gestire il processo di disattivazione di tutte le scorie prodotte in passato e arrivare al cosiddetto « Green field», ossia un ambiente sano e senza contaminazione; infatti, il nome in codice del programma avviato nel 1999, è «DeWM», ossia «Disattivazione degli impianti e di gestione dei rifiuti radioattivi»;

   non è chiaro se il nuovo deposito conterrà solo i rifiuti del centro di ricerca Jrc o anche altri scarti nucleari di varia provenienza;

   durante la conferenza stampa del 10 giugno 2017, i dirigenti dell’Jrc, per dimostrare l'assenza di pericoli, hanno fatto sapere ai sindaci della zona che si tratta della continuazione dello stoccaggio dei materiali già conservati da Ispra e hanno anche aperto il magazzino ai giornalisti e ad alcuni artisti per mostrare lo spazio dove, dal 29 settembre e per due settimane, si terrà una mostra d'arte con i fusti vuoti che in passato hanno ospitato le scorie nucleari;

   tuttavia, cresce la preoccupazione dei cittadini locali, in quanto presso l'Ispra si producono rifiuti atomici dalla fine degli anni ’60 e il nuovo deposito, si dice il secondo più grande di tutta l'Europa, solleva una serie di interrogativi su cosa effettivamente verrà portato e depositato sul proprio territorio –:

   se il Governo intenda acquisire elementi dalla Commissione europea e fornire notizie sulla tipologia, sulla provenienza e sulla quantità di rifiuti che sono destinati al nuovo magazzino «area 41» del centro europeo dell'Ispra sul lago Maggiore informando i cittadini locali in merito, per attenuare le preoccupazioni e rispondere gli interrogativi su cosa effettivamente verrà portato e depositato sul territorio.
(4-16964)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dall'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), si rappresenta quanto segue.
  Si fa presente che ai sensi della legge 1° agosto 1960, n. 906, di approvazione ed esecuzione dell'accordo fra il Governo italiano e la Commissione europea dell'energia atomica (Euratom) per l'istituzione di un Centro comune di ricerche nucleari di competenza generale presso Ispra (VA) e delle modalità di applicazione della legge italiana allo stabilimento di Ispra (VA), le attività del Centro comune di ricerche sono sottoposte alla legge italiana e particolarmente alle disposizioni legislative riguardanti la sicurezza degli impianti nucleari e la protezione sanitaria della popolazione e dei lavoratori.
  Il Jrc di Ispra, in preparazione delle future attività di smantellamento delle installazioni nucleari del Centro ed in accordo con il decreto interministeriale del 23 luglio 2008, che regola l'esercizio della stazione di gestione dei rifiuti radioattivi (Sgrr) che, tra l'altro, prevede che tutti i rifiuti radioattivi devono essere trattati e condizionati secondo qualificati processi da sottoporre a specifica approvazione di Ispra, ha realizzato un edificio denominato «Deposito temporaneo di rifiuti radioattivi solidi condizionati di seconda categoria» (
Interim storage facility — Isf). Tale infrastruttura è autorizzata con decreto interministeriale del 3 maggio 2011, ai sensi dell'articolo 28 del decreto legislativo n. 230 del 1995.
  Lo scopo del nuovo deposito temporaneo di rifiuti radioattivi è, in via esclusiva, quello di accogliere i rifiuti attualmente depositati presso le varie aree del sito Jrc di Ispra (VA) nonché quelli provenienti dalle future attività di smantellamento delle installazioni nucleari esistenti. L'esigenza di realizzare il deposito Isf trova una ulteriore motivazione nella necessità di riunificare in un unico deposito lo stoccaggio sia dei rifiuti radioattivi presenti sia di quelli di futura produzione, strettamente riconducibili alle operazioni di smantellamento degli impianti nucleari del Jrc di Ispra e con caratteristiche di idoneità per essere successivamente conferiti al deposito nazionale italiano di rifiuti radioattivi.
  I rifiuti attualmente esistenti sul sito del Jrc di Ispra, derivanti essenzialmente dalle attività di ricerca nucleare condotte negli anni 60-80, si presentano principalmente nelle seguenti forme:

   rifiuti solidi di varia tipologia;

   rifiuti solidi condizionati secondo standard in vigore in passato (ad esempio fusti bitumati);

   rifiuti tecnologici che provengono dalle normali attività di esercizio;

   rifiuti liquidi di processo in fusti metallici e serbatoi (fanghi).

  Il dimensionamento del deposito Isf ha considerato quindi in via esclusiva i rifiuti da trattare e condizionare già presenti nel Centro comune di ricerche, nonché quelli di futura produzione derivanti principalmente dallo smantellamento dei seguenti impianti:

   reattore Ispra-1;

   complesso Essor;

   laboratorio Caldo studi e ricerche;

   stazione di trattamento e raccolta rifiuti radioattivi liquidi.

  Tutti i rifiuti radioattivi (sia solidi che liquidi) destinati all'Isf, prima di essere sottoposti ai processi di condizionamento e confezionamento, verranno sottoposti a trattamenti finalizzati alla riduzione del volume finale del rifiuto stesso.
  Sulla base dell'inventario dei rifiuti radioattivi fornito dall'Ispra, aggiornato alla data del 31 dicembre 2015, risultano presenti nel Centro comune di ricerche di Ispra (VA) i seguenti quantitativi di rifiuti:

TIPOLOGIA
RIFIUTI

A vita media molto breve

Attività molto
bassa

Bassa attività

Media attività

Alta attività

Sorgenti

m3

GBq

m3

GBq

m3

GBq

m3

GBq

m3

GBq

GBq

  Condizionati

705,00

93200,00

  Non
  condizionati

797,00

1,66

2845,00

447,37

423,00

3386,76

261,00

Totale

797,00

1,66

2845,00

447,37

1128,00

96586,76

261,00

  ISPRA segnala, inoltre, che attualmente è in fase di realizzazione un nuovo impianto, denominato «Grouting station», che consentirà il condizionamento dei rifiuti radioattivi permettendone quindi, per quanto sopra detto, lo stoccaggio nel deposito Isf.
  Della questione sono, comunque, interessate diverse amministrazioni, pertanto, qualora dovessero pervenire ulteriori elementi informativi, si provvederà a fornire un aggiornamento.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, il Ministero continuerà a tenersi informato e a svolgere un'attività di monitoraggio, anche al fine di valutare un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   GIULIETTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   si intende porre all'attenzione del Ministro la situazione nella quale si trovano a vivere i residenti nella frazione Calzolaro del comune di Umbertide (Perugia), abitata da circa un migliaio di persone, considerando anche agriturismi, case vacanze, bar e attività di ristorazione;

   la bellezza e la vivacità turistica della zona sono da tempo gravemente pregiudicate dalla presenza di continui gas e odori intollerabili che permeano tutta l'area di giorno e di notte;

   nella frazione, a ridosso dell'abitato, si trova l'impianto di recupero per rifiuti speciali non pericolosi della società Splendorini Molini Ecopartners srl, in cui vengono trattate tipologie di rifiuti consistenti in scarti del settore agricolo, alimentare, lattiero caseario e relative catene di trasformazione e distribuzione;

   l'impianto negli anni è stato autorizzato ad incrementare i quantitativi di materiale trattato e, da 14.000 tonnellate/anno è passato a 21.000 tonnellate/anno nel 2013, 35.000, tonnellate/anno nel 2016, fino ad arrivare a 50.000, tonnellate/anno nel corrente anno;

   la provincia di Perugia, infatti, con determinazione n. 4922 del 20 novembre 2015 autorizzava l'impianto Splendorini a trattare 35.000 tonnellate/anno nel 2016, per poi aumentare la quantità a 50.000 tonnellate/anno dal 2017;

   la tipologia di materiali trattati comporta emissioni maleodoranti intollerabili che inevitabilmente danneggiano gli abitanti;

   va inoltre segnalato che, a poca distanza da Calzolaro, in località Bonsciano (comune Città di Castello), si trova una centrale a biomasse che contribuisce all'emissione di gas maleodoranti che si riversano sulla frazione Calzolaro;

   va rilevato che la presenza di tali impianti industriali ha determinato un notevole incremento del passaggio di mezzi pesanti, quali Tir e camion, rendendo pericolosa la strada che attraversa l'abitato e incrementando l'insalubrità dell'aria;

   inoltre, con nota del 10 luglio 2017 l'A.R.P.A., Agenzia regionale per la protezione ambientale dell'Umbria – area dipartimentale Umbria nord, ha comunicato alla regione Umbria, al comune di Umbertide ed alla ASL1 Umbria, i risultati del monitoraggio sistematico degli odori effettuato in località Calzolaro nel periodo maggio 2016 – marzo 2017;

   dopo aver effettuato un monitoraggio tramite sistemi di olfattometria e multisensoriali (naso elettronico), l'A.R.P.A. significa di avere registrato numerosi eventi di cattivo odore;

   comunica, inoltre, che nel periodo maggio-giugno 2017, sia il personale dell'A.R.P.A. che il personale della polizia municipale, ha in più occasioni evidenziato un disturbo olfattivo conclamato e persistente;

   specifica altresì che i sopralluoghi effettuati nei giorni 8-17-30 maggio e 21 giugno 2017 hanno evidenziato la presenza di odori disturbanti di difficile tollerabilità;

   riferisce altresì l'A.R.P.A. che il disturbo olfattivo in alcune occasioni è legato al trasporto dei rifiuti in ingresso, dei rifiuti prodotti e del prodotto finito e si verifica anche per i mezzi che escono vuoti;

   precisa l'A.R.P.A. che le verifiche ispettive non hanno tuttavia mai evidenziato, per quanto verificato, il mancato rispetto delle prescrizioni autorizzative da parte della società Splendorini. L'A.R.P.A. conclude la comunicazione individuando una serie di misure da adottare per la eliminazione e riduzione degli odori, proponendo una modifica delle vigenti autorizzazioni concesse alla ditta;

   è evidente che tale situazione pregiudica il diritto delle persone alla salute, ad un ambiente salubre, a godere pienamente degli immobili di proprietà;

   le emissioni ed i gas maleodoranti danneggiano il diritto al normale svolgimento della vita all'interno della propria abitazione ed il diritto alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini di vita quotidiane;

   la presenza di tali emissioni danneggia inoltre le attività turistiche e svaluta la zona inesorabilmente;

   gli abitanti di Calzolaro hanno manifestato più volte il grave disagio che sono costretti a vivere ogni giorno, protestando e chiedendo controlli ed interventi, senza tuttavia ottenere alcun effettivo risultato –:

   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda mettere in atto, anche promuovendo una verifica da parte del comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente, per verificare lo stato del territorio di Calzolaro nell'ottica di garantire il diritto dei suoi abitanti a vivere in un ambiente idoneo e salubre, elemento necessario e determinante per la qualità della vita di ciascuno.
(4-17324)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa al disturbo olfattivo persistente presso il centro abitato della frazione di Calzolaro del comune di Umbertide (Perugia), sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto, segue.
  In via preliminare, occorre precisare che, ai sensi dell'articolo 196 del Testo unico ambientale (decreto legislativo n. 152 del 2006, parte IV) spetta alle regioni sia l'approvazione dei progetti di nuovi impianti per la gestione dei rifiuti e dei rifiuti pericolosi sia l'autorizzazione alle modifiche degli impianti esistenti nonché l'autorizzazione all'esercizio delle operazioni di smaltimento e di recupero dei rifiuti, anche pericolosi.
  Ai sensi della predetta norma, è obbligo delle regioni predisporre, adottare ed aggiornare il Piano regionale di gestione dei rifiuti, promuovere la gestione integrata dei rifiuti, incentivarne la riduzione e il recupero.
  Rientra infine nelle competenze delle regioni anche la delimitazione, nel rispetto delle linee guida generali, degli ambiti territoriali ottimali per la gestione dei rifiuti urbani e assimilati, nonché la definizione di criteri per l'individuazione, da parte delle province, delle aree non idonee alla localizzazione degli impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti e per l'individuazione dei luoghi o impianti idonei allo smaltimento.
  A tale riguardo, per completezza di informazione, si comunica che è in fase di redazione da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare il decreto attuativo dell'articolo 195, comma 1, lettera
p) del Testo unico ambientale che disciplina i criteri generali relativi alle caratteristiche delle aree non idonee alla localizzazione degli impianti di smaltimento dei rifiuti.
  Relativamente al controllo delle emissioni anche olfattive, spetta alla provincia provvedere ad effettuare tale attività, con il supporto dell'Agenzia di protezione dell'ambiente territorialmente competente per quanto concerne i rilievi tecnici.
  Con specifico riferimento all'impianto della ditta Splendorini Molini Ecopartner S.r.l., la regione Umbria ha rappresentato che lo stesso è costituito da due linee dedicate al recupero di rifiuti di natura organica finalizzate alla produzione di prodotti solidi e liquidi, utilizzabili per la produzione di biogas.
  La ditta Splendorini è autorizzata ai sensi dell'articolo 208 del decreto legislativo n. 152 del 2006 all'esercizio dell'impianto in questione dall'anno 1992 sulla base di numerosi atti amministrativi. L'ultimo è stato rilasciato dalla provincia di Perugia (determina dirigenziale n. 4922 del 2015) che ha autorizzato l'aumento della quantità fino ad un massimo di 35.000 T/anno fino al 31 dicembre 2016 e 50.000 T/anno dagli anni successivi, rispetto alle quantità precedentemente autorizzate, pari a 21.000.
  La ditta è titolare di autorizzazione unica ambientale di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 59 del 2013 (scarichi emissioni in atmosfera, acustica), rilasciata dal comune di Umbertide, n. 10 del 2014 come ultimo aggiornamento di ottobre 2015.
  La regione ha evidenziato che sia nei procedimenti amministrativi per il rilascio e modifica dell'autorizzazione di cui all'articolo 208 del decreto legislativo n. 152 del 2006 (gestione rifiuti), sia in quelli dell'autorizzazione unica ambientale di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 59 del 2013 (scarichi idrici, emissioni, acustica) i soggetti intervenuti hanno sempre espresso pareri favorevoli con prescrizioni.
  L'Arpa Umbria, da parte sua, ha comunicato di aver effettuato numerosi sopralluoghi ispettivi con conseguenti proposte di provvedimenti sia penali che amministrativi agli organi competenti, provvedendo anche ad effettuare una serie di monitoraggi, nel periodo maggio 2016-marzo 2017, nella località Calzolaro, sia con specifico riferimento alla qualità dell'aria che alla presenza di odori disturbanti. In particolare:

   monitoraggio sistematico degli odori: indagine sociologica;

   monitoraggi tramite sistemi di olfattometria dinamica (odorprep);

   monitoraggi con sistemi multisensoriali (nasi elettronici).

  La relazione conclusiva, inviata alla regione Umbria in data 10 luglio 2017, ha evidenziato la presenza di numerosi eventi di cattivo odore con una frequenza di odori molesti fra 2 per cento e 5 per cento del tempo di studio, e proponeva l'aggiornamento e la modifica dei provvedimenti autorizzativi.
  A seguito di tale proposta di Arpa, la regione ha avviato il procedimento per la modifica delle autorizzazioni, convocando una serie di conferenze di servizi, di cui l'ultima decisoria del 26 ottobre 2017. In aggiunta a ciò, la stessa regione, con atti del 27 luglio 2017 e del 31 ottobre 2017, ha disposto delle misure correttive gestionali per il contenimento delle emissioni odorigene. In particolare, è stato imposto il divieto, entro 30 giorni, di conferimento all'impianto dei rifiuti urbani costituiti dalla frazione organica umida della raccolta differenziata di provenienza domestica (CER 200108).
  Sulla base della disposizione adottata e ad oggi non impugnata, la regione ha evidenziato che la ditta potrà lavorare solo rifiuti speciali che sulla base dei regolamenti comunali non siano stati assimilati ai rifiuti urbani. Non è possibile indicare una quantità, anche ipotetica, di tale flusso di rifiuti speciali (generalmente i rifiuti speciali di cucine, mense e ristoranti sono sempre assimilati ai rifiuti urbani) e comunque dovranno essere oggetto di uno specifico servizio di raccolta e gestiti tramite contenitori chiusi fino alla fase di trattamento.
  Tuttavia i cattivi odori sono causati anche dalla lavorazione degli altri rifiuti speciali, comunque biodegradabili.
  L'amministrazione regionale ha fatto presente, altresì, che, con le prescrizioni in materia di emissioni contenute nella modifica all'autorizzazione vigente) (determina dirigenziale 11559 del 7 novembre 2017) viene stabilito che la ditta dovrà captare e convogliare al biofiltro l'aria dell'intero stabilimento, compresa la parte oggi non interessata (sezione rifiuti solidi) e che tutte le lavorazioni, compresa la fase di scarico, dovranno avvenire in ambiente confinato, anche nell'attuale assetto impiantistico.
  Pertanto anche la delicata fase di scarico dovrà essere effettuata con mezzi tali da consentire la chiusura della porta di accesso.
  La stessa Arpa ha segnalato che la limitazione imposta dalla regione potrà, nei tempi previsti, limitare il disagio lamentato dai residenti.
  Ad ogni modo, si rassicura che, per quanto di competenza, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare continuerà a tenersi informato ed a svolgere le proprie attività di monitoraggio e sollecito, anche attraverso i vari soggetti istituzionali competenti.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   GRIMOLDI e MOLTENI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   alle ore 17.20 di venerdì 28 ottobre 2016, il cavalcavia n. 17 della strada provinciale 49, nel comune di Annone, è crollato sopra la strada statale n. 36 del lago di Como e dello Spluga, al chilometro 41 e 900, provocando la morte di una persona e cinque feriti;

   sul posto sono intervenuti 7 ambulanze, l'elisoccorso da Milano e quello da Como, oltre a numerose squadre di carabinieri, polizia stradale e vigili del fuoco, che hanno lavorato intensamente, per due giorni per rimuovere le lastre di cemento armato dalla strada statale n. 36;

   il disastroso incidente è avvenuto con il passaggio di un Tir di trasporto eccezionale che è precipitato sulla superstrada, schiacciando alcune auto;

   tre ore prima del crollo, il cantoniere dell'Anas addetto alla sorveglianza del tratto della strada statale n. 36 aveva effettuato un controllo a causa del distacco di alcuni calcinacci segnalati dai passanti, ma né lui né gli addetti alla mobilità della provincia di Lecco, responsabile della viabilità sulla strada provinciale n. 49, sono intervenuti tempestivamente per vietare il traffico e chiudere la strada statale e quella provinciale;

   si apprende dai giornali che gli addetti alla mobilità della provincia hanno richiesto un'ordinanza formale da parte di Anas che implicava l'ispezione visiva e diretta da parte del capocentro Anas, il quale si è attivato, ma proprio mentre giungeva sul posto il cavalcavia è crollato;

   sono in corso accuse reciproche tra Anas e provincia di Lecco; il Ministro interrogato ha istituito una commissione d'inchiesta sull'accaduto e sono in corso indagini della procura di Lecco per verificare le responsabilità;

   non è chiaro se la competenza sulla manutenzione del viadotto sia dell'ANAS o della provincia di Lecco; tuttavia, è lampante per gli interroganti che la causa del disastro sia la cattiva manutenzione e messa in sicurezza della rete viaria;

   è dal 2 agosto 2016 che gli utenti della strada e tutte l'economia locale sono sottoposti a rilevanti disagi a causa dell'ordinanza dell'ANAS che ha imposto un limite di velocità di 90 chilometri orari sulla strada statale n. 36, con lo scopo, a quanto consta agli interroganti, di porre rimedio alla mancata manutenzione della strada da parte della stessa dell'ANAS;

   il crollo del cavalcavia rende evidente che misure come l'abbassamento della velocità sono precarie e inadeguate e non in grado di risolvere le carenze di sicurezza stradale;

   d'altra parte, i sostanziosi tagli ai finanziamenti dell'Anas imposti dal Governo hanno inciso pesantemente sulla manutenzione e sulla messa in sicurezza della rete viaria nazionale; a ciò hanno contribuito anche per gli interroganti, la confusione e la disorganizzazione create dal progressivo smantellamento delle province e dal taglio drastico delle risorse a disposizione delle stesse, che rende impossibile la corretta ed indispensabile manutenzione e la messa in sicurezza della rete viaria di competenza –:

   se il Ministro interrogato intenda fornire chiarimenti, per quanto di competenza, in merito al tragico incidente;

   quale sia il soggetto competente alla manutenzione del cavalcavia n. 17 della strada provinciale n. 49, nel comune di Annone, crollato sopra la strada statale n. 36 del lago di Como e dello Spluga;

   quale sia l'ammontare delle risorse statali istanziate in favore dell'Anas da parte del Governo per la manutenzione della rete viaria nazionale e quale sia l'ammontare delle risorse stanziate e delle spese per la manutenzione ordinaria e straordinaria della strada statale n. 36;

   se il Governo intenda assumere iniziative per lo stanziamento di maggiori risorse in favore delle province e dei comuni per consentire l'adeguata e necessaria manutenzione e messa in sicurezza della rete viaria di loro competenza.
(4-14691)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta sulla base delle notizie pervenute dalla direzione generale per le strade e le autostrade e per la vigilanza e la sicurezza nelle infrastrutture stradali di questo Ministero.
  Al fine di provvedere ai necessari accertamenti per analizzare e verificare quanto accaduto riguardo al drammatico incidente verificatosi il 28 ottobre 2016, con decreto ministeriale n. 346 del 29 ottobre 2016 è stata nominata una apposita Commissione ministeriale ispettiva composta da personale di comprovata esperienza professionale che in data 27 gennaio 2017 ha prodotto apposita relazione i cui esiti sono al vaglio dei competenti uffici.
  Considerata l'esigenza di procedere in tempi celeri al ripristino della viabilità interrotta, in data 4 aprile 2017, Anas è stata autorizzata a procedere con la progettazione e la ricostruzione del cavalcavia di Annone Brianza.
  La società Anas ha completato il progetto esecutivo per la ricostruzione sia del cavalcavia n. 17 della SP 49, in località Annone Brianza, sia del cavalcavia in località Isella, nel comune di Civate, entrambi in sovrappasso alla SS 36 «del Lago di Como e dello Spluga».
  Anas ha pubblicato in data 29 novembre 2017 il bando di gara d'appalto per l'affidamento dei lavori di ricostruzione del cavalcavia di Annone Brianza, ed i relativi lavori sono stati aggiudicati in data 2 febbraio 2018, seppure trattasi di aggiudicazione inefficace.
  Il termine dilatorio previsto dal codice per la piena efficacia dell'aggiudicazione e la stipula del contratto scadrà il 9 marzo 2018. A seguire di quella data, ove non sopraggiungano motivi ostativi, potrà avviarsi la procedura di consegna dei lavori.
  Più in, generale, per quanto attiene all'ammontare delle risorse statali stanziate in favore di Anas per la manutenzione straordinaria e le opere di messa in sicurezza, si osserva che con decreto interministeriale n. 588 del 27 dicembre 2017 è stato approvato il contratto di programma Ministero delle infrastrutture e dei trasporti-Anas 2016-2020, registrato alla Corte dei conti in data 29 dicembre 2017 e pubblicato su sito
internet di questo Ministero.
  Da ultimo, per quanto riguarda le risorse in favore di province e comuni, si fa presente che è attualmente in corso di finalizzazione un decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti che, in attuazione del dettato dell'articolo 1, commi 1076, 1077 e 1078 della legge di stabilità 2018, definisce criteri e modalità per il finanziamento di interventi relativi a programmi straordinari di manutenzione della rete viaria di province e città metropolitane.
  

Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti: Riccardo Nencini.


   GRIMOLDI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   la superstrada Vigevano-Malpensa è una delle opere più attese dal territorio in quanto rappresenta un nodo strategico per il comprensorio dei comuni Vigevano, Abbiategrasso, Magenta;

   si tratta di un'infrastruttura importantissima, sia per risolvere gli annosi problemi di viabilità e i congestionamenti da traffico, sia per favorire gli investimenti e i collegamenti strategici, a partire da quello con l'aeroporto di Malpensa tratto quest'ultimo già realizzato;

   l'opera risulta già finanziata; il progetto preliminare è stato già approvato da parte del Cipe e il progetto definitivo ha ricevuto il parere positivo, con alcune prescrizioni, del Consiglio superiore dei lavori pubblici nell'adunanza del 27 luglio 2017;

   il giornale L'informatore del 19 ottobre 2017 riporta le dichiarazioni del viceministro Nencini all'assemblea di Confindustria, in merito alla disponibilità di 220 milioni di euro per la superstrada, alla necessità di ultimare in tempi brevi l'integrazione del progetto, secondo le prescrizioni del Consiglio superiore dei lavori pubblici, e alla chiusura della conferenza di servizi;

   occorre la convocazione urgente da parte dell'Anas dei comuni interessati dalle variazioni progettuali per poter concludere la conferenza di servizi, e inviare il progetto al Cipe per l'approvazione definitiva e per la conseguente messa in appalto dell'opera;

   trascorsi i mesi di settembre e ottobre 2017 senza sviluppi né notizie in merito alla conferenza di servizi sopra citata, i sindaci del comprensorio si dichiarano molto preoccupati, anche in considerazione dello stato avanzato dei lavori relativi al ponte sul Ticino, opera quest'ultima collegata alla superstrada e in attesa di conclusione entro la fine del 2018;

   il giornale la Provincia pavese del 5 novembre 2017 riporta la richiesta dei sindaci interessati in merito alla certezza sui tempi di realizzazione della superstrada, inviata al Ministro il 20 ottobre 2017; infatti, l'opera risulta sostenuta da 6 comuni per un totale di 132.389 abitanti e da tutte le categorie produttive del comprensorio che evidenziano una perdita per il mancato sviluppo del territorio, pari a 130 milioni di euro, conseguente all'eventuale mancata realizzazione dell'opera –:

   se il Ministro interrogato intenda adoperarsi, per quanto di competenza, affinché l'Anas convochi al più presto i comuni interessati dalle variazioni progettuali prescritte dal Consiglio superiore dei lavori pubblici, ai fini della conclusione della conferenza di servizi, dell'approvazione definitiva del progetto da parte del Cipe e della conseguente messa in appalto dell'opera.
(4-18497)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta sulla base delle informazioni pervenute dalla direzione generale per le strade e le autostrade e per la vigilanza e la sicurezza nelle infrastrutture stradali, di questo Ministero e dalla società Anas.
  Il progetto definitivo dei lavori di costruzione del collegamento tra la strada statale 11 «Padana Superiore» a Magenta e la tangenziale ovest di Milano. Variante di Abbiategrasso sulla strada statale 494, nonché l'adeguamento in sede del tratto Abbiategrasso-Vigevano fino al nuovo ponte sul Ticino è stato predisposto dalla società Anas.
  Il progetto costituisce il completamento dell'itinerario stradale di collegamento tra l'aeroporto internazionale di Milano-Malpensa e la tangenziale ovest di Milano e garantisce un significativo potenziamento della viabilità di connessione con l'aeroporto tale da migliorare sensibilmente la rete stradale a sud-ovest di Milano.
  L'intervento complessivo è stato suddiviso in tre tratte funzionali di cui la tratta A è compresa tra la strada statale 11, in comune di Magenta e l'interconnessione verso Abbiategrasso, in comune di Albairate, per una lunghezza complessiva di km 10+073. La tratta B è compresa tra l'interconnessione in comune di Albairate e la tangenziale ovest di Milano, per una lunghezza complessiva di km 12+052 e la tratta C è compresa tra l'interconnessione di Albairate ed il termine del tratto di adeguamento in sede in comune di Abbiategrasso, per una lunghezza complessiva è di km 10+194.
  Il completamento del nuovo collegamento stradale tra l'aeroporto di Malpensa e Milano è stato inserito nel primo Programma delle infrastrutture strategiche, attuativo della legge obiettivo (n. 443 del 2001).
  Il progetto preliminare è stato approvato dal Cipe il 31 gennaio 2008 e pubblicato sulla
Gazzetta ufficiale n. 183 del 6 agosto 2008.
  La conclusione positiva dell’
iter istruttorio ha determinato, ai sensi dell'articolo 3 del decreto legislativo n. 190 del 2002, la compatibilità ambientale dell'opera, perfezionando l'intesa Stato-regione sulla sua localizzazione.
  Anas ha comunicato di avere completato la redazione del progetto definitivo e nel febbraio 2009 ha avviato le procedure di cui all'articolo 166 del decreto legislativo n. 163 del 2006 per l'approvazione del progetto e il finanziamento dell'opera.
  Nell'ambito di tali procedure sono stati raccolti tutti i pareri tecnici favorevoli con prescrizioni sul progetto definitivo, ma il Cipe non ha emesso la delibera conclusiva di chiusura delle procedure poiché non erano stati reperiti tutti i necessari finanziamenti.
  Considerata la criticità finanziaria sopra menzionata, Anas ha predisposto il progetto definitivo di un primo stralcio funzionale lungo la direttrice da Magenta ad Abbiategrasso comprendente tutta la tratta A, parte della B, fino a congiungersi con la strada provinciale 114 «Baggio-Abbiategrasso», la tratta C ed il ponte nuovo a Magenta per una lunghezza complessiva pari a 18,1 km ed una sezione stradale di categoria «C – extraurbana secondaria» secondo il decreto ministeriale del 5 novembre 2001.
  In data 15 marzo 2015 la società Anas ha trasmesso il progetto definitivo dello stralcio funzionale a questo Ministero e alle amministrazioni competenti, ai sensi dell'articolo 166 del decreto legislativo n. 163 del 2006; il 21 luglio 2015 è stato inviato anche al Consiglio superiore dei lavori pubblici, ai sensi degli articoli 1 e 3 del decreto ministeriale n. 203 del 2015.
  Il Consiglio superiore, nell'adunanza del 27 luglio 2017 ha emesso il parere positivo n. 28 del 2017 con prescrizioni da attuarsi nella successiva fase progettuale.
  Il costo complessivo del primo stralcio funzionale ammonta a circa 218 milioni di euro; all'interno del contratto di Programma Mit-Anas 2016-2020 il progetto è stato suddiviso in due tratte funzionali: tratta A, da Magenta ad Abbiategrasso per un importo pari a circa 100 milioni di euro (finanziato dal «Mutuo Malpensa» legge n. 345 del 1971) e tratta C, da Abbiategrasso a Ozzero per un importo pari a circa 118 milioni di euro (finanziato per 2,0 milioni di euro dal contratto di programma 2014 e per 116,00 milioni di euro dal contratto di programma 2015).
  Infine, si rappresenta che il 14 dicembre 2017, questo Ministero ha convocato la seduta della Conferenza di servizi al fine di concludere l’
iter autorizzativo. Attualmente è in corso l'istruttoria al fine dell'approvazione in sede Cipe.
Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti: Riccardo Nencini.


   GUIDESI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   l'articolo su Repubblica del 27 febbraio 2017, «Terza corsia, al processo chieste condanne per manager di Autostrade, Btp e Toto. Il procedimento per reati ambientali», con riferimento al processo per i reati ambientali connessi alla realizzazione, tra il 2005 e il 2010, della terza corsia dell'Autostrada del Sole, tra Bologna e Firenze, e della variante di valico, evidenzia richieste di condanne a sette anni di reclusione per i manager di Autostrade Gennarino Tozzi e Tonino Russo, nonché a cinque e quattro anni per Alfonso Toto e Francesco Talone, presidente e dirigente della Toto Costruzioni;

   analoghe notizie e approfondimenti sono stati pubblicati dal quotidiano online Primadanoi.it del 1° marzo 2017, che riporta che i reati contestati sono a vario titolo traffico illecito di rifiuti, gestione di discariche abusive, danneggiamento del lago di Bilancino, crolli in galleria, abbandono incontrollato di fanghi di cantiere e materiali da demolizione;

   il Corriere della Sera del 28 maggio 2017 ha pubblicato l'articolo dal titolo «Un emendamento rischia di cancellare i crediti della società verso il concessionario» in cui mette in evidenza l'emendamento presentato dal Governo che, ai fini dei lavori post terremoto per la manutenzione e messa in sicurezza dell'autostrada dei Parchi, di fatto, abbuonerebbe a Toto 121 milioni di euro che l'Anas rivendica da due anni ma che il concessionario non paga; il quotidiano rileva che si tratta delle rate scadute del prezzo del corrispettivo di gara con cui l'imprenditore (allora con Autostrade) si è aggiudicato la concessione; il costo, fissato a dicembre 2002, era di 568 milioni di euro e, all'epoca, si concordò una rateizzazione con gli interessi, regolarmente pagata fino al 2013, quando il ruolo di concedente della rete autostradale è passato dall'Anas al Mit, e che fu successivamente interrotta con l'avvio di contenziosi e rivendicazioni da parte di Anas di una somma di 303 milioni di euro di capitale residuo, più 121 milioni di euro di rate scadute;

   in ogni modo, l'articolo 52-quinquies del decreto-legge n. 50 del 2017 prevede ora la restituzione all'Anas da parte di Toto, in tre rate con scadenza 2028-2029-2030, della somma anticipata di 111.720.000,00 euro, con pagamento delle restanti rate;

   il 7 giugno 2017 il citato quotidiano online Primadanoi.it riporta la notizia che Alfonso Toto è stato condannato a 4 mesi per aver omesso il versamento di Iva di 20 milioni di euro nel 2013;

   in data 10 agosto 2016, Autostrade per l'Italia Spa ha indetto un bando di gara a procedura ristretta per lavori di «Ampliamento alla quinta corsia dell'Autostrada A8 — dalla barriera di Milano Nord all'Interconnessione di Lainate — lotto 2 dal km 7+302,38 al km 9+990,62», dall'importo a base di gara pari a 85.211.216,84 euro, con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa in cui l'offerta economica valeva 80 punti su cento;

   il 13 settembre 2017, in seduta pubblica, Autostrade per l'Italia (Aspi) ha comunicato i punteggi tecnici ottenuti dalle 26 imprese partecipanti, e redatto la classifica finale dalla quale si evince che l'aggiudicazione verrà fatta in favore della Società Toto Costruzioni, qualora la prima classificata Vitali spa, ammessa alla gara con riserva in attesa della sentenza del Consiglio di Stato del 4 dicembre 2017, si escluda dalla competizione –:

   come sia possibile che la Toto Costruzioni Spa, sotto accusa insieme a dirigenti di Aspi, quest'ultima anche committente nella gara di cui in premessa, possa vedersi aggiudicata una nuova commessa con caratteristiche simili a quella oggetto del processo in corso;

   di quali elementi disponga il Governo circa l'offerta presentata dalla Toto Costruzioni nella gara sopra richiamata, in particolare se risulti che debba essere applicata la procedura di verifica dell'anomalia dell'offerta, per provare la sostenibilità di uno sconto superiore al 40 per cento.
(4-18294)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, sulla base delle informazioni pervenute dalla direzione generale per la vigilanza sulle concessionarie autostradali, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  La gara per l'affidamento dei lavori di «Ampliamento alla quinta corsia dell'autostrada A8 dalla barriera di Milano nord all'interconnessione di Lainate – lotto 2 dal Km 7+302,38 al Km 9+990,62», bandita dalla stazione appaltante Autostrade per l'Italia S.p.A., è stata svolta conformemente a quanto previsto dal decreto legislativo n. 50 del 2016.
  La commissione di gara, di nomina ministeriale, ha proceduto all'ammissione di tutti gli offerenti aventi titolo, tra cui le imprese Toto S.p.A. e Vitali S.p.A. In particolare, per quest'ultima società, è stata disposta la riammissione con riserva, a seguito di specifica ordinanza da parte del Tar Milano.
  In funzione delle offerte tecnico-economiche pervenute, la suindicata commissione ministeriale ha quindi stilato la relativa graduatoria.
  Attualmente, risulta ancora pendente un giudizio avanti il Tar Milano circa la legittimità dei requisiti di partecipazione del concorrente Vitali S.p.A., riammesso, come sopra precisato, dalla commissione ministeriale dopo la prequalifica con riserva, e risultato essere primo in graduatoria.
  Il 5 gennaio 2018 è stata pubblicata la sentenza «non definitiva» del Tar Milano che sospende il giudizio in attesa della decisione della Corte di giustizia europea su una questione pregiudiziale ad essa sottoposta, riguardante la compatibilità di una norma italiana con il diritto comunitario.
  La stazione appaltante valuterà, nella sua autonomia, le eventuali azioni da intraprendere, tenuto anche conto degli ingenti ritardi che si stanno registrando sulla conclusione della procedura di gara.
  

Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti: Riccardo Nencini.


   LATRONICO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:

   a seguito del bando di concorso per il reclutamento di «60 esperti per il patrimonio culturale», pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale IV serie speciale - concorsi ed esami n. 98 del 22 dicembre 2015 - ex articolo 8 del decreto-legge n. 83 del 2014 e dopo specifica selezione, il 1° settembre 2016 sono entrati in servizio, come funzionari di area III (posizione economica F1), archeologi, bibliotecari e archivisti destinati poi dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo presso le sedi specificamente individuate;

   in questi mesi di servizio sono emerse le notevoli competenze e l'elevata qualità del lavoro svolto da tali funzionari come emerso anche dalle lettere di referenze firmate dai dirigenti degli istituti in cui gli stessi hanno prestato servizio;

   il 30 settembre 2017 il rapporto di lavoro di queste 60 unità con il Ministero arriverà a scadenza e non è prevista alcun tipo di proroga;

   ciò determinerà una seria carenza di professionisti dei beni culturali, nonostante l'immissione in ruolo di 500 nuovi funzionari vincitori o idonei del concorso recentemente conclusosi;

   entrando più nello specifico, per quanto concerne i funzionari archeologi, il Ministero risulta essere addirittura sotto organico di 270 unità, cifra destinata ad aumentare da gennaio 2018 a causa dei prossimi pensionamenti;

   la graduatoria del concorso a tempo indeterminato, composta da 203 professionisti fra vincitori e idonei, non sarà numericamente sufficiente a colmare queste mancanze; pertanto l'eventuale proroga e/o rinnovo contrattuale degli archeologi non andrebbe a ledere i diritti dei 500 prossimi assunti, ma concorrerebbe, altresì, a porre rimedio alle gravi criticità e lacune presenti nel tessuto organizzativo del Dicastero –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di tale situazione e quali concrete iniziative di competenza intenda intraprendere per tutelare la professionalità di tali funzionari archeologi, eventualmente garantendo loro, nei limiti e nel rispetto delle attuali leggi, una prosecuzione del rapporto di lavoro, alla luce delle notevoli carenze in organico del Ministero.
(4-17876)

  Risposta. — Si riscontra l'interrogazione parlamentare in esame con la quale l'interrogante ha chiesto notizie sulla possibilità di proroga del rapporto di lavoro a tempo determinato instaurato a seguito del bando di concorso per «60 esperti per il patrimonio culturale».
  Al riguardo, si rappresenta che, nella consapevolezza dell'elevata qualità del lavoro svolto dai predetti funzionari e al fine di salvaguardare le professionalità acquisite, nella legge 27 dicembre 2017, n. 205 — bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020 è stata inserita la possibilità di una proroga per tali contratti.
  Infatti, l'articolo 1, comma 306, di tale legge dispone: «I contratti a tempo determinato stipulati dagli istituti e luoghi della cultura, ai sensi dell'articolo 8 del decreto-legge 31 maggio 2014, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 luglio 2014, n. 106, possono essere prorogati per l'anno 2018, non oltre il limite massimo di 36 mesi, anche discontinui, previsto dall'articolo 19, comma 1, del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, come richiamato dall'articolo 36, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e nel limite di 1 milione di euro per l'anno 2018».
  Si evidenzia, inoltre, che ai sensi dell'articolo 1, comma 328, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 — legge di stabilità 2016, il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo è stato autorizzato all'assunzione a tempo indeterminato di 500 funzionari da inquadrare, nel rispetto della dotazione organica di cui alla tabella B allegata al regolamento di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 29 agosto 2014, n. 171, nella III area del personale non dirigenziale, posizione economica F1, nei profili professionali di antropologo, archeologo, architetto, archivista, bibliotecario, demoetnoantropologo, promozione e comunicazione, restauratore e storico dell'arte.
  La scelta di bandire tale concorso ha contestualmente favorito lo stesso contingente di personale vincitore della procedura selettiva dei «60 esperti».
  Difatti, i bandi del suddetto concorso contemplavano espressamente l'attribuzione fino ad un massimo di 30 (trenta) punti in base all'esperienza professionale maturata alla data di scadenza dei termini per la presentazione della domanda di partecipazione e molti di essi sono risultati vincitori anche in ragione del maggior punteggio, in sede valutativa, attribuito all'attività lavorativa presso gli istituti del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo.
  Peraltro, nelle more dell'espletamento dei concorsi questo ministero, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 4 aprile 2017, è stato autorizzato allo scorrimento dalle graduatorie degli idonei del sopra citato bando per n. 200 funzionari esperti del patrimonio culturale e, da ultimo, l'articolo 1, comma 305, della legge 27 dicembre 2017, n. 205 di approvazione del bilancio di previsione dello Stato per l'esercizio finanziario 2018, ha autorizzato questa amministrazione ad assumere altre 200 unità di personale, mediante ulteriore scorrimento delle graduatorie.
  In tal modo sarà ulteriormente favorito l'ingresso anche a titolo definitivo nell'amministrazione di giovani che hanno dimostrato impegno e professionalità.
  In definitiva, negli ultimi anni, a fronte delle carenze di organico rilevate ed al blocco del turn over, oramai operativo da diversi anni, questo Ministero è riuscito a consentire, sia con il reclutamento dei 60 esperti a tempo determinato che con il concorso sopra ricordato (e con i ricordati scorrimenti di graduatoria), l'ingresso in Amministrazione di «nuove forze».
  Ciò al fine di invertire la tendenza registratasi negli ultimi anni e reintegrare l'organico dell'amministrazione dei beni culturali con giovani di alta professionalità che concorreranno negli anni futuri a tutelare, valorizzare, promuovere l'eccezionale patrimonio culturale italiano.
  

Il Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali e il turismo: Antimo Cesaro.


   ANDREA MAESTRI, CIVATI, BRIGNONE e PASTORINO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   la condizione della linea ferroviaria Jonica che collega Taranto e Reggio Calabria, nonostante coinvolga tre regioni e numerosi centri portuali e turistici è in uno stato di degrado storico tristemente noto, con continui tagli ai collegamenti e una situazione drammatica per i pendolari;

   per aver protestato contro questa situazione di abbandono, il 15 settembre 2012, 14 persone furono denunciate con l'accusa di «interruzione di pubblico servizio» e richiesto loro il rimborso di 5 mila euro per i danni causati durante la manifestazione, organizzata da associazioni del territorio, avvenuta presso la stazione di Rossano (CS). Il 18 settembre 2017 sono state tutte assolte, perché «il fatto non sussiste»;

   il rapporto Pendolaria 2016 di Legambiente riporta per la Calabria: dal 2010 a oggi, tagli nel servizio ferroviario calabrese pari al -26,4 per cento; aumento delle tariffe del +20 per cento; età media dei treni circolanti di 22,1 anni; da Reggio a Taranto esistono solo 6 collegamenti al giorno tramite intercity e/o regionali e autobus, con 1, 2 o 3 cambi per un tempo di percorrenza che va dalle 6 alle 8 ore e 52 minuti, oltre a un collegamento con autobus che è il più competitivo con 5 ore e 15 minuti;

   a maggio 2017 è stato sottoscritto, dal presidente della regione Calabria, dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e dal direttore generale RFI, un protocollo d'intesa per i collegamenti ferroviari sulla linea jonica, con un investimento di circa 500 milioni di euro (delibera Cipe 1° dicembre 2016: investimenti per 307 milioni di euro su fondi regionali di sviluppo e coesione del POR Calabria + 200 milioni di euro di risorse recuperate da un precedente progetto di Rfi e da fondi nazionali). Tra i principali interventi: la velocizzazione della linea jonica (innalzamento al rango C, che non riguarda l'alta velocità per la quale è previsto il «Rango P»); l'eliminazione di passaggi a livello per migliorare le prestazioni dei servizi di trasporto; il rinnovo degli scambi e dei binari dove è necessario; la riqualificazione delle stazioni; il rispetto dei tempi per l'esecuzione dei lavori; gli interventi di manutenzione straordinaria e di potenziamento infrastrutturale sulla linea Sibari-Crotone-Catanzaro. Altri 70 milioni di euro sono stati destinati all'acquisto di treni nuovi e dovrebbero far parte di un ulteriore accordo da sottoscrivere con Trenitalia, che dovrebbero entrare in esercizio fra il 2019 e il 2022;

   le associazioni della rete Fibc (Ferrovia ionica bene comune) denunciano l'impossibilità di accedere dal sito della regione alla documentazione progettuale di Rfi relativa agli interventi e all'interezza del finanziamento;

   da queste si evincerebbe, quindi, che le risorse pubbliche della regione Calabria sono state attribuite a Rfi senza che sia stato reso pubblico il progetto delle opere (con relative tavole tecniche), il capitolato con i singoli interventi (e relativi computo metrico e valorizzazione economica delle opere), il cronoprogramma degli interventi. Gli unici elaborati resi pubblici sarebbero quelli della linea Sibari-Catanzaro;

   nel giugno 2017 sono cominciati i lavori della linea jonica calabrese con la manutenzione del tratto ferroviario Sibari-Catanzaro, che è stato totalmente chiuso al transito e dovevano terminare entro il 10 settembre. Un parziale cedimento strutturale della volta in Galleria Cutro ha causato il primo ritardo e prorogato la riapertura a fine mese –:

   se il Governo sia a conoscenza della documentazione progettuale di Rfi relativa agli interventi sulla linea ferroviaria jonica Reggio Calabria-Taranto;

   alla luce delle criticità sopra evidenziate, quali iniziative di competenza intenda assumere per garantire la piena applicazione del principio di legalità di cui all'articolo 97 della Costituzione e dei principi di pubblicità e trasparenza, di cui alla legge n. 241 del 1990 e al decreto legislativo n. 97 del 2016, il cosiddetto «freedom of information act» italiano;

   se non ritenga opportuno aprire un tavolo tecnico permanente coinvolgendo i soggetti interessati e i rappresentanti delle associazioni della rete Fibc, per una valutazione delle opere di progetto, per il monitoraggio, per il controllo e per l'avanzamento dei lavori, in un'ottica di pieno rispetto nei confronti della popolazione calabrese storicamente svantaggiata da servizi ferroviari obsoleti, insufficienti e a rischio infiltrazioni malavitose.
(4-17970)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta sulla base delle informazioni pervenute dalla direzione generale per il trasporto e le infrastrutture ferroviarie di questo Ministero e dalla società Rete ferroviaria italiana (Rfi) – Gruppo ferrovie dello Stato italiane.
  Riguardo alle modalità di affidamento delle risorse pubbliche a Rete ferroviaria italiana (Rfi), la società del gruppo Fsi preposta alla gestione dell'infrastruttura ferroviaria nazionale, si ricorda che in base al decreto ministeriale 138 T/2000 di questo Ministero, la società gestisce in regime di concessione l'infrastruttura ferroviaria nazionale. Tale concessione è stata rilasciata per la durata di 60 anni.
  Come è noto, le principali attività correlate alla missione di Rfi sono rappresentate dalla:

   progettazione, costruzione, messa in esercizio, gestione e manutenzione dell'infrastruttura ferroviaria nazionale, ivi incluse le stazioni passeggeri e gli impianti merci modali e intermodali, nonché gestione dei sistemi di controllo e di sicurezza connessi alla circolazione dei convogli, ivi compreso il sistema alta velocità/alta capacità;

   promozione dell'integrazione delle infrastrutture ferroviarie e cooperazione con altri gestori delle infrastrutture ferroviarie;

   altri compiti attribuiti al gestore dell'infrastruttura ai sensi della vigente normativa, quali: accesso all'infrastruttura ed ai servizi, riscossione del canone per l'utilizzo dell'infrastruttura da parte delle imprese ferroviarie, nonché ogni ulteriore attività necessaria o utile per il perseguimento dei fini istituzionali indicati dalle competenti Autorità nazionali e comunitarie.

  Lo strumento cui è affidata la disciplina degli aspetti economici e finanziari del rapporto di concessione tra lo Stato e il gestore dell'infrastruttura è il contratto di programma il quale recepisce la pianificazione, delineata in coerenza con gli indirizzi e i vincoli nazionali e comunitari, relativi allo sviluppo e alla gestione dell'infrastruttura ferroviaria e alla programmazione economico-finanziaria, nonché con le esigenze industriali di Rfi.
  Per gli interventi compresi nel contratto di programma il gestore dell'infrastruttura è beneficiario di finanziamenti comunitari, nazionali e degli enti locali.
  L'assegnazione di questi finanziamenti avviene tramite provvedimenti normativi, deliberazioni e convenzioni.
  Come previsto dall'atto di concessione e dalla normativa italiana, nella fase di attuazione degli interventi Rfi rispetta la destinazione delle risorse pubbliche.
  Il 7 agosto 2017 è stato esaminato favorevolmente dal Cipe il contratto di programma-parte Investimenti 2017-2021, tra questo Ministero e Rfi e, nonostante il complesso
iter approvativo del nuovo contratto non si sia ancora concluso, il suo contenuto è già reso pubblico sul sito web del gestore, in ottemperanza al decreto legislativo n. 112 del 2015.
  Il Contratto di programma definisce, altresì, gli obblighi spettanti al gestore in virtù del rapporto di concessione con lo Stato (articolo 4) nonché il controllo e monitoraggio dell'Amministrazione sull'operato dello stesso (articoli da 7 a 10). Tali norme, soddisfano, pertanto, le richieste dell'interrogante in merito alla conoscenza da parte dell'Amministrazione, della documentazione progettuale di Rfi nonché in merito alle disposizioni in materia di pubblicità e trasparenza di cui al decreto legislativo n. 97 del 2016. È evidente, infatti, che l'operato del gestore deve essere conforme al complesso quadro di normative che regolano la programmazione, la progettazione e la realizzazione degli investimenti infrastrutturali per la realizzazione e/o ammodernamento di opere ferroviarie che garantiscano, tra l'altro, la sicurezza e lo sviluppo della rete.
  In merito ai finanziamenti in questione Rfi riferisce che, nell'ambito della programmazione 2014-2020 del Fondo sviluppo e coesione (Fsc), la delibera Cipe n. 25 del 2016 ha definito in 11,5 miliardi di euro il volume di risorse destinate al Piano operativo infrastrutture di competenza di questo Ministero.
  Con la successiva delibera Cipe n. 54 del 2016, pubblicata il 14 aprile 2017, il Piano operativo infrastrutture è stato articolato in assi tematici, di cui quello contraddistinto dalla lettera B è riferito ad interventi nel settore ferroviario, al quale sono state destinate risorse per 2.056 milioni di euro.
  La regione Calabria è stata beneficiaria di una quota significativa di queste risorse:

   studio di fattibilità per la realizzazione dell'alta velocità ferroviaria Salerno-Reggio Calabria e sistema integrato stazione ferroviaria-aerostazione di Lamezia Terme (6 milioni di euro);

   adeguamento e velocizzazione linea ferroviaria Jonica – tratta Sibari-Melito – Porto Salvo (307 milioni di euro).

  Sempre Rfi riferisce che l'investimento relativo all'adeguamento e velocizzazione linea ferroviaria jonica – tratta Sibari-Melito Porto Salvo, comprende i seguenti interventi:

   la velocizzazione della linea Jonica;

   l'eliminazione di alcuni passaggi a livello per migliorare gli standard di sicurezza e qualitativi – regolarità e puntualità – dei servizi di trasporto su ferro e su gomma, anche attraverso la realizzazione di opere viarie alternative;

   l'adeguamento degli scambi e dei binari funzionale all'istituzione di un rango di velocità più elevato;

   il prolungamento di alcuni sottoposi e la costruzione di nuovi;

   la riqualificazione delle stazioni, con priorità a quelle con maggiore traffico di viaggiatori.

  La Giunta regionale della Calabria, con delibera di Giunta regionale n. 0372 del 27 settembre 2016, ha:

   preso atto del Rapporto di fattibilità del potenziamento della linea ferroviaria ionica;

   dato mandato per l'avvio di ogni necessaria intesa istituzionale con questa Amministrazione, anche con riferimento alla programmazione delle risorse Fsc 2014/2020 per il potenziamento della linea ferroviaria Jonica;

   dato mandato per l'avvio di ogni necessaria intesa con questo Ministero e con Rfi per la definizione del quadro economico riguardo gli interventi previsti per il potenziamento della linea ferroviaria jonica.

  A seguito delle interlocuzioni da parte della regione Calabria con questa Amministrazione e con Rfi, nell'ambito del Fsc 2014/2020 «Cabina di regia», il Cipe, nella seduta del 1o dicembre 2016, ha approvato l'intervento denominato adeguamento e velocizzazione linea ferroviaria Jonica – tratta Sibari-Melito Porto Salvo per un importo pari a 307 milioni di euro.
  Su richiesta della regione sono state inoltre destinate al potenziamento della linea Jonica risorse statali pari a 90 milioni di euro, previste nell'aggiornamento 2016 del contratto di programma — parte investimenti, originariamente destinate alla progettazione e realizzazione di n. 3 varianti sulla linea tirrenica.
  Complessivamente per il programma di interventi finalizzato al potenziamento della direttrice Jonica sono stati quindi resi disponibili 397 milioni di euro.
  Inoltre, con il protocollo d'intesa del 17 maggio 2017, regione Calabria e Rfi si sono impegnate a collaborare per tutte le fasi del Macro intervento, adeguamento e velocizzazione linea ferroviaria Jonica – tratta Sibari-Melito Porto Salvo, finalizzato in particolare alla velocizzazione della linea Jonica.
  Nel protocollo d'intesa sono stati inoltre pianificati i seguenti investimenti sulla linea Jonica:

   l'attuale quadro normativo prevede la sostituzione, nei limiti della convenienza tecnica ed economica, dell'armamento non conforme agli standard, costruttivi: es. sostituzione traverse in legno, estensione della lunga rotaia saldata, componentistica di tipo innovativo negli apparecchi del binario. In questo ambito sono stati avviati interventi nella tratta Sibari-Catanzaro lido, compresa la messa in sicurezza della galleria di Cutro, con risorse statali già nella disponibilità di Rfi, pari a 40 milioni di euro;

   per proseguire nel programma di soppressione dei passaggi a livello sulla linea Jonica, è stata prevista la possibilità che, con specifiche convenzioni, gli enti locali possano contribuire con finanziamenti, ai quali si aggiungeranno le risorse statali di competenza Rfi fino ad un importo massimo pari a euro 671.000 per ciascuna opera sostitutiva, con una previsione di spesa massima per l'intera tratta Jonica pari a 40 milioni di euro.

  In merito all'articolazione degli interventi, Rfi riferisce che al fine di affidare i lavori ad imprese certificate nello specifico settore gli interventi di potenziamento della linea Jonica, aventi un costo complessivo di 397 milioni di euro, sono stati articolati in quattro Codici unici di progetto (CUP):

   1. interventi infrastrutturali – sottopassi 75 milioni di euro;

   2. interventi infrastrutturali – armamento e opere civili 196 milioni di euro;

   3. interventi di potenziamento tecnologico 67 milioni di euro;

   4. interventi di soppressione passaggi a livello 59 milioni di euro.

  Al riguardo, in merito all’iter approvativo e all'esecuzione dei lavori, i quattro interventi identificati dai Cup, avranno iter autorizzativo distinto sulla base del diverso impatto sul territorio.
  Rfi precisa che nella fattispecie l’
iter approvativo non prevede lo strumento del dibattito pubblico, fase del processo di sviluppo di un progetto infrastrutturale finalizzata a condividere e diffondere le informazioni, la partecipazione dei cittadini e la condivisione delle scelte, secondo l'articolo 22 del nuovo codice appalti.
  Il dibattito pubblico è previsto dalla norma solo nei casi di nuove linee ferroviarie per il traffico a grande distanza e potenziamento di linee esistenti con lunghezza maggiore di 30 km e costo maggiore di 500 milioni di euro.
  I lavori in corso sono stati affidati da Rfi ad imprese certificate attraverso lo strumento negoziale dell'Accordo quadro avente evidenza pubblica, ai sensi del vigente codice dei contratti pubblici, a valle della definizione di una progettazione di un capitolato di appalto.

Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti: Riccardo Nencini.


   ANDREA MAESTRI, CIVATI, BRIGNONE e PASTORINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   l'aggiornamento della mappatura del rischio industriale in Italia, a livello nazionale e regionale, è un compito dell'Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale);

   la mappa permette di conoscere l'entità e la distribuzione territoriale dei fattori di rischio di incidenti rilevanti legati alle attività industriali e il suo aggiornamento è dunque un presupposto importante alla ricerca e all'attuazione dei diversi strumenti di prevenzione e di controllo dei rischi;

   per l'elaborazione di tale mappa l'articolo 15 del decreto legislativo n. 334 del 1999 predispose – nei limiti delle risorse finanziarie previste – presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare che ne curava l'aggiornamento in collaborazione con l'Agenzia nazionale per la protezione dell'ambiente (Anpa) divenuta oggi Ispra, l'inventario degli stabilimenti suscettibili di causare incidenti rilevanti. L'inventario si basava sulle informazioni, tratte dalle notifiche e dalle schede d'informazione alla popolazione (Allegato V del decreto legislativo n. 334 del 1999), fornite dai gestori degli stabilimenti e pervenute al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare a partire dall'ottobre 2000 e, successivamente all'entrata in vigore del decreto, è stato continuamente aggiornato mediante le informazioni pervenute da parte anche del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, delle regioni, delle prefetture e altro;

   l'inventario, aggiornato, permetterebbe di avere a disposizione una serie di notizie (dati identificativi dell'azienda e dello stabilimento, attività, ubicazione geografica e georeferenziazione, sostanze detenute con i rispettivi quantitativi e altro): importanti elementi preliminari per la determinazione del rischio potenziale per la popolazione e l'ambiente derivante dalla presenza nelle vicinanze di una determinata industria classificata ai sensi dell'articolo 6/7 e dell'articolo 8 del decreto legislativo n. 334 del 1999;

   a seguito dell'entrata in vigore della direttiva 2012/18/UE (Seveso III), il decreto di recepimento della stessa, il decreto legislativo n. 105 del 2015, all'articolo 5 ha stabilito di affidare all'Ispra il compito di predisporre e aggiornare l'Inventario, di cui il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha mantenuto l'indirizzo e il coordinamento. A regime doveva essere utilizzato anche per la trasmissione da parte dei gestori delle notifiche per permettere all'Ispra di verificarne la completezza e la conformità e consentire la comunicazione di informazioni corrette alla Commissione europea ai sensi dell'articolo 21 comma 3 della Direttiva e della decisione europea 895/2014. Il decreto ha anche suddiviso gli stabilimenti in due grandi gruppi, gli stabilimenti di «soglia inferiore» in cui sono presenti cioè quantità inferiori di sostanze pericolose, e stabilimenti di «soglia superiore» in cui le sostanze pericolose sono presenti in quantità più elevate;

   risulta però agli interroganti che sul sito del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare la pagina dedicata all'inventario – diventato Inventario nazionale degli stabilimenti a rischio di incidente rilevante – sia aggiornata al 31 maggio 2015, nonostante sia riportato che «L'elenco viene aggiornato semestralmente. A seguito dell'entrata in vigore del D.lgs. 105/2015, gli aggiornamenti successivi al 1° giugno 2015 saranno effettuati a partire dal mese di giugno 2016». Così come risulta che sul sito dell'Ispra, la pagina relativa alla Mappatura del rischio industriale in Italia contiene dati aggiornati al 30 aprile 2015 –:

   se il Governo intenda chiarire i motivi del mancato aggiornamento dell'inventario nazionale degli stabilimenti a rischio di incidente rilevante e conseguentemente della mappatura del rischio industriale in Italia;

   se non ritenga opportuno e urgente assumere iniziative volte a stanziare le risorse necessarie affinché vengano entrambi aggiornati per l'importanza che rivestono ai fini della ricerca e dell'attuazione dei diversi strumenti di prevenzione e di controllo dei rischi.
(4-18389)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa all'aggiornamento della mappatura del rischio industriale in Italia, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  Il decreto legislativo n. 105 del 2015, all'articolo 5, stabilisce che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare coordina ed indirizza la predisposizione e l'aggiornamento, da parte dell'Ispra, dell'inventario degli stabilimenti suscettibili di causare incidenti rilevanti, degli esiti di valutazione dei rapporti di sicurezza e delle ispezioni. L'Inventario è utilizzato anche al fine della trasmissione delle notifiche da parte dei gestori e dello scambio delle informazioni tra le amministrazioni competenti.
  L'entrata in vigore del predetto decreto legislativo n. 105 del 2015, che ha abrogato e sostituito il precedente decreto legislativo n. 334 del 1999, ha comportato l'aggiornamento dell'Inventario degli stabilimenti a rischio di incidente rilevante, da effettuarsi in base alle informazioni trasmesse dai gestori con le prescritte notifiche. Tali notifiche, ai sensi dell'articolo 13, comma 5, del citato decreto, sono inviate dai gestori all'Ispra via posta elettronica certificata (PEC) firmata digitalmente e, a regime, tramite un servizio telematico connesso con l'inventario degli stabilimenti. Il termine ultimo per l'invio delle notifiche a seguito dell'entrata in vigore del nuovo decreto era fissato al 31 maggio 2016.
  Come previsto dalla norma in questione, l'Ispra ha realizzato l'applicativo per l'invio telematico delle notifiche che, su indicazione del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, è stato reso operativo da aprile 2016, in via transitoria, e dal 1° giugno 2016 in via definitiva. L'Istituto ha inviato allo stesso Ministero, su sua richiesta, rapporti periodici sullo stato di aggiornamento dell'inventario, alle date del 25 novembre 2016 e del 30 aprile 2017.
  Al riguardo, secondo quanto riferito da Ispra, al 30 ottobre 2017, risultano inviate all'istituto tramite l'applicativo informatico, 941 notifiche, di cui 718 sono state esaminate, 115 sono in corso di valutazione e 108 sono state restituite ai gestori per il completamento.
  Sono inoltre in corso accertamenti su stabilimenti, già notificati ai sensi del decreto legislativo n. 334 del 1999, dai quali sono pervenute comunicazioni in merito alla loro assoggettabilità al nuovo decreto legislativo n. 105 del 2015.
  Sempre al 30 ottobre 2017, sono 871 i gestori di diversi stabilimenti abilitati all'inserimento delle notifiche, mentre risulta che circa 450 gestori non hanno ancora inserito la notifica sull'applicativo, avendo inviato una notifica valida via posta elettronica certificata entro il 31 maggio 2016.
  L'Ispra si trova, dunque, a gestire ancora un periodo transitorio dovuto alla duplice modalità consentita di invio delle notifiche stesse, mantenendo comunque aggiornate le informazioni ricevute e trasmettendo al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare aggiornamenti semestrali relativi alle notifiche presentate dai gestori soggetti al decreto legislativo n. 105 del 2015.
  Il periodo transitorio sopra citato avrà termine quando per tutti gli stabilimenti soggetti al decreto sarà disponibile una notifica sull'applicativo web, mentre è in fase di redazione l'aggiornamento della situazione al 30 ottobre 2017. Nel contempo Ispra sta sollecitando i gestori che non hanno provveduto all'inserimento delle notifiche e si sta adoperando per l'inserimento d'ufficio nell'applicativo predisposto, delle notifiche valide pervenute via posta elettronica certificata.
  Alla luce di quanto sopra, la stessa Ispra ha sospeso la pubblicazione della mappatura del rischio industriale, prevedendo di riprenderla nel 2018.
  Da ultimo, pur condividendo la valutazione circa l'importanza del ruolo dell'inventario degli stabilimenti in relazione alla prevenzione ed al controllo dei rischi, si fa presente che la norma prevede che la gestione dell'Inventario sia effettuata con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente (articolo 29 decreto legislativo n. 105 del 2015) e che pertanto non risulta possibile lo stanziamento di ulteriori risorse.
  Si rappresenta, infine, che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, dal mese di settembre scorso ha affiancato l'Istituto nelle attività operative di verifica presso i gestori, con l'obiettivo di ultimare l'aggiornamento e definire l'elenco nel più breve tempo possibile.
  Alla luce delle informazioni esposte, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e continua a svolgere la propria attività, senza ridurre in alcun modo il livello di attenzione sulla questione.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   MANNINO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   la riserva naturale orientata «Torre Salsa» è un'area naturale protetta di 762 ettari che si estende tra Siculiana marina ed Eraclea Minoa in provincia di Agrigento, istituita dalla regione siciliana ed affidata in gestione dal 23 giugno 2000 al Wwf Italia;

   la riserva – che costituisce un pregio del patrimonio naturalistico regionale e nazionale — ricade all'interno di un sito d'importanza comunitaria (SIC ITA040003) presso il comune di Siculiana;

   con deliberazione della giunta comunale n. 21 del 10 marzo 2016, l'amministrazione di Siculiana ha approvato il progetto per la realizzazione di una «struttura turistico-ricettiva, ADLER mare spa-resort e centro benessere» da realizzarsi in contrada Torre Salsa, presentato dalla società Ritempra s.p.a.;

   con provvedimento finale Suap n. 2 del 24 gennaio 2017, il comune di Siculiana ha autorizzato la realizzazione delle opere e degli interventi di cui al progetto de quo, lavori che dovranno avere inizio entro 1 anno dalla data di rilascio della autorizzazione richiamata ed ultimati entro 3 anni dalla data di comunicazione di inizio dei lavori;

   la sopra citata struttura turistica nascerà in contiguità con i terreni della riserva di Torre Salsa, ed in parte all'interno della fascia di rispetto del sito di interesse comunitario; tale progetto prevede l'utilizzo di una parte dei tracciati interni e di alcune spiagge che saranno privatizzate e rese di esclusiva pertinenza della struttura, a discapito della piena accessibilità e fruibilità delle stesse da parte dei cittadini;

   al riguardo, occorre evidenziare come alcuni dei pareri/nulla osta acquisiti durante la fase istruttoria relativa al progetto in questione (parere U.T.C. sulla conformità urbanistica, prot. n. 8579 del 25 ottobre 2011, parere azienda sanitaria provinciale, prot. n. 10535 del 6 novembre 2011, parere assessorato regionale risorse agricole ed alimentari, prot. 9521 del 2 dicembre 2011) siano piuttosto risalenti nel tempo e, pertanto, a giudizio dell'interrogante non più idonei ad assolvere appieno alla specifica funzione rispetto alla quale sono stati rilasciati e, conseguentemente, suscettibili di essere considerati privi di efficacia;

   si sottolinea che, pur non potendo imprimere ad un'area una condizione giuridica di inedificabilità assoluta per il solo fatto che la stessa sia inclusa nei siti di interesse comunitario (SIC) e in zone di protezione speciale – (ZPS) Consiglio di Stato, Sez. V, sent. n. 892, dal 25 febbraio 2014 – qualsiasi intervento che degradi integralmente o parzialmente l’habitat per la cui conservazione è stata individuata l'area protetta ben potrà essere precluso;

   ad avviso degli interroganti, le opere e gli interventi previsti nel progetto per la realizzazione del resort in questione possono senz'altro configurarsi — anche ai fini di una apposita segnalazione da inoltrare alla Commissione europea — quali impatti ed attività che incidono, in maniera significativa e negativa, sulla conservazione e sulla gestione del sito, il quale può essere leso non soltanto per effetto di attività dirette su quest'ultimo ma anche nell'ipotesi di minacce e pressioni che si verifichino finanche nelle immediate vicinanze dello stesso, ma che siano, tuttavia, idonee a comprometterne, totalmente o parzialmente, l'integrità –:

   di quali elementi disponga il Ministro interrogato in relazione a quanto esposto in premessa, quali iniziative di competenza intenda assumere per tutelare il sito di importanza comunitaria nel quale è situata la riserva di Torre Salsa e se, ed in che modo, la realizzazione della struttura turistica in questione possa considerarsi compatibile con l'esigenza di assicurare, in ogni caso, un adeguato equilibrio tra la conservazione del sito ed un uso sostenibile del territorio, anche in ossequio ai principi comunitari di precauzione e prevenzione dell'azione ambientale.
(4-15738)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa alla realizzazione, da parte della società Ritempra s.p.a., di una struttura turistico-ricettiva in prossimità della riserva naturale orientata «Torre Salsa» e, parzialmente, all'interno del Sic ITA040003 «Foce del Magazzolo, Foce del Platani, Capo Bianco, Torre Salsa», sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  Con nota del 16 marzo 2017, il comune di Siculiana ha trasmesso al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare il provvedimento finale Suap n. 02 del 24 gennaio 2017, recante «Provvedimento unico conclusivo. Società — RITEMPRA S.p.a., con sede a via Rezia n. 7 ad Ortisei (BZ), (precedente sede 00187 Roma in via Sardegna n. 4) cod. fisc. 06291381009, per la realizzazione di una "struttura turistico-ricettiva, Adler mare S.p.a. — resort e centro benessere da sorgere in C/da Torre Salsa e individuato catastalmente foglio di mappa n. 1 particelle nn. 28, 33, 108, 4030, 432, 434, 436, 438 e 440», quale sintesi del processo autorizzativo esperito.
  Per quanto riguarda gli aspetti ambientali risulta che sia stata espletata, da parte della regione Siciliana, la procedura di valutazione di impatto ambientale, con integrata valutazione di incidenza, conclusa con Ddg dell'Assessorato ambiente regionale n. 1055 del 19 dicembre 2013, con esito positivo con prescrizioni.

  Dal predetto atto si evince altresì che lo stesso Wwf, Ente gestore della riserva «Torre Salsa», con nota del 10 agosto 2012, si sia espresso sul progetto in modo favorevole, con prescrizioni, sia per quanto riguarda il parere di competenza in materia di aree protette e sia per gli aspetti afferenti la valutazione di incidenza.
  Nel provvedimento regionale risulta inoltre che sembrerebbero essere state valutate come non significative le interferenze sulla componente faunistica, in quanto «i lavori in progetto e la frequentazione antropica (sia durante la fase di cantiere che di esercizio) non potranno disturbare o impedire le migrazioni, visto che l'area di progetto dista diversi chilometri dalle zone umide presenti e che le opere architettoniche in progetto non prevedono l'interruzione di corridoi ecologici».
  Per quanto riguarda invece la durata dei provvedimenti autorizzativi, con specifico riferimento alla procedura di Via, ai sensi del decreto legislativo n. 152 del 2006, i progetti approvati devono essere realizzati entro cinque anni dalla pubblicazione del provvedimento ovvero entro un periodo più lungo, qualora espressamente previsto nel decreto di Via.
  Relativamente agli aspetti sui quali il Ministero dell'ambiente svolge un ruolo di vigilanza, dagli atti ufficiali prodotti risulta che, come previsto dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1997, la competente autorità regionale si sia espressa nell'ambito della propria discrezionalità tecnica sulla procedura di valutazione di incidenza, e che l'Ente gestore della riserva «Torre Salsa» abbia dato il proprio nulla osta al progetto.
  Della questione sono interessate anche altre Amministrazioni, pertanto laddove dovessero pervenire nuovi elementi informativi, si provvederà ad un aggiornamento.
  Ad ogni modo, si rassicura che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare continuerà a svolgere la propria attività, senza ridurre il livello di attenzione sulla questione.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   MANNINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   il comma 2-bis dell'articolo 41 della legge 24 dicembre 2012, n. 234 riporta «nel caso di violazione della normativa europea accertata con sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea di condanna al pagamento di sanzioni a carico della Repubblica italiana, ove per provvedere ai dovuti adempimenti si renda necessario procedere all'adozione di una molteplicità di atti anche collegati tra loro, il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro competente per materia, sentiti gli enti inadempienti, assegna a questi ultimi termini congrui per l'adozione di ciascuno dei provvedimenti e atti necessari. Decorso inutilmente anche uno solo di tali termini, il Consiglio dei ministri, sentito il soggetto interessato, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri e del Ministro competente per materia, adotta i provvedimenti necessari, anche normativi, ovvero nomina un apposito commissario. Alla riunione del Consiglio dei ministri è invitato il Presidente della Giunta regionale della regione interessata al provvedimento. Le disposizioni di cui al presente comma si applicano anche agli inadempimenti conseguenti alle diffide effettuate in data anteriore alla data di entrata in vigore della presente disposizione che si fondino sui presupposti e abbiano le caratteristiche di cui al primo periodo»;

   nella legge 7 agosto 2016, n. 160 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 24 giugno 2016, n. 113, recante misure finanziarie urgenti per gli enti territoriali e il territorio) v'è l'articolo 22 che al comma 1 dispone: «Al fine di garantire la dotazione finanziaria necessaria per la realizzazione degli interventi attuativi della sentenza di condanna della Corte di giustizia dell'Unione europea del 2 dicembre 2014 relativa alla procedura di infrazione comunitaria n. 2003/2077, tutte le risorse finanziarie statali destinate, a qualsiasi titolo, alla messa a norma delle discariche abusive oggetto della sentenza di condanna, e non impegnate alla data di entrata in vigore del presente articolo, ancorché già trasferite alle amministrazioni locali e regionali o a contabilità speciali, sono revocate e assegnate al commissario straordinario nominato ai sensi del comma 2-bis dell'articolo 41 della legge 24 dicembre 2012, n. 234, su specifico conto di contabilità speciale; intestato al commissario straordinario, presso la sezione di Tesoreria provinciale dello Stato di Roma, ai sensi degli articoli 8 e 10 del decreto del Presidente della Repubblica 20 aprile 1994, n. 367»;

   è il generale dell'Arma dei carabinieri Giuseppe Vadalà il commissario straordinario per la realizzazione degli interventi necessaria, all'adeguamento alla normativa vigente di 58 discariche abusive oggetto di diffida i cui termini sono infruttuosamente scaduti; lo ha stabilito il Consiglio dei ministri del 24 marzo 2017, su proposta del Presidente Paolo Gentiloni e del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare Gian Luca Galletti;

   il Generale Vadalà arriva in sostituzione del Generale di Brigata Donato Monaco, dimessosi nel mese di gennaio 2017 per motivi personali;

   dopo le varie interlocuzioni con la Commissione europea e in attesa degli esiti della verifica della documentazione trasmessa in data 2 dicembre 2016, rimangono in procedura di infrazione 133 discariche abusive, pari a una sanzione semestrale di 27.800.000 euro, per 58 di queste sarà operativo il Commissario straordinario –:

   se il commissario Giuseppe Vadalà avrà a disposizione una struttura – necessaria alla redazione di progetti, bandi di gara e avanzamento lavori ovvero contabilità – di tecnici provenienti anche dai Ministeri interessati, al fine di adempiere al suo mandato ossia di intervenire con celerità ed efficienza per ottemperare a quanto stabilito dalla Corte di giustizia dell'Unione europea nella sentenza del 2 dicembre 2014 contro l'Italia.
(4-16062)

  Risposta. — Con riferimento alle problematiche evidenziate nell'interrogazione in esame sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  Preliminarmente, si osserva che il caso relativo alla mancata esecuzione della prima sentenza di condanna del 26 aprile 2007 riguarda la violazione della direttiva rifiuti 75/442/CEE (modificata dalla direttiva 91/156/CEE), della direttiva 91/689/CEE e della direttiva 1999/13/CE in riferimento a 200 discariche presenti sul territorio di 18 regioni italiane. Si tratta, in particolare:

   di n. 198 discariche dichiarate non conformi agli articoli 4, 8 e 9 della direttiva 75/442/CEE e all'articolo 2, paragrafo 1 della direttiva 91/689/CEE per le quali sono necessarie operazioni di messa in sicurezza e/o bonifica;

   di n. 2 discariche dichiarate non conformi all'articolo 14, lettere da a) a c) della direttiva 1999/31/CE, per le quali si rendeva necessario dimostrare l'approvazione di piani di riassetto oppure l'adozione di decisioni definitive di chiusura.

  Il 2 dicembre 2014 la Corte di giustizia dell'Unione europea ha condannato l'Italia al pagamento, per le suddette violazioni, di una sanzione forfettaria di 40 milioni di euro e di una penalità semestrale di 42, 8 milioni di euro da pagarsi fino all'esecuzione completa della sentenza.
  La sentenza ha una determinazione digressiva della sanzione pecuniaria: si prevede, infatti, la riduzione di 400.000 euro per la messa a norma di ciascuna discarica contenente rifiuti pericolosi e di 200.000 euro per la messa a norma di ciascuna discarica contenente rifiuti non pericolosi. Inoltre, la Commissione europea ha chiarito che, per dare esecuzione alla sentenza, non basta garantire che nei siti oggetto della condanna non siano più depositati rifiuti o che i rifiuti già depositati siano gestiti in conformità alla normativa UE in materia, ma occorre altresì verificare che i rifiuti non abbiano inquinato il sito e, in caso di inquinamento, eseguire le attività di messa in sicurezza o bonifica del sito ai sensi dell'articolo 240 del Codice dell'ambiente.
  L'elenco completo delle discariche oggetto del procedimento di esecuzione della sentenza è stato trasmesso informalmente dalla Commissione europea nel marzo 2015 per il tramite della Rappresentanza permanente d'Italia presso l'Unione europea. Tali discariche erano così ripartite sul territorio nazionale:

   Abruzzo 28;

   Basilicata 2;

   Calabria 43 di cui 1 di rifiuti pericolosi;

   Campania 48 di cui 1 di rifiuti pericolosi;

   Emilia Romagna 1 di rifiuti pericolosi;

   Friuli Venezia Giulia 3;

   Lazio 21 di cui 1 di rifiuti pericolosi;

   Liguria 6 di cui 4 di rifiuti pericolosi;

   Lombardia 4 di cui 2 di rifiuti pericolosi;

   Marche 1 di cui 1 di rifiuti pericolosi;

   Molise 1;

   Piemonte 1 di cui 1 di rifiuti pericolosi;

   Puglia 12;

   Sardegna 1;

   Sicilia 12 di cui 1 di rifiuti pericolosi;

   Toscana 6;

   Umbria 1 di cui 1 di rifiuti pericolosi;

   Veneto 9.

  A seguito all'attività istruttoria svolta dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sono stati notificati, alle regioni e agli enti locali interessati, 161 decreti di diffida del Presidente del Consiglio ai sensi dell'articolo 8, commi 1 e 2 della legge 5 giugno 2003, n. 131, in vista dell'eventuale esercizio del potere sostitutivo straordinario di cui all'articolo 120, secondo comma, della Costituzione.
  I termini imposti nelle diffide del Presidente del Consiglio dei ministri non sono tutti scaduti e la situazione è quotidianamente monitorata dal Ministero.
  L'elenco completo delle discariche abusive e lo stato delle attività di bonifica è riportato sul sito istituzionale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare al seguente indirizzo:
http://www.minambiente.it/pagina/discariche-abusive.
  Si rappresenta, inoltre, che in data 24 marzo 2017 il Consiglio dei ministri ha nominato Commissario straordinario per la realizzazione degli interventi necessari all'adeguamento alla normativa vigente delle discariche abusive presenti sul territorio nazionale il Generale di brigata dell'Arma dei carabinieri Giuseppe Vadalà.
  L'elenco dei siti commissariati inizialmente contava 58 discariche, oggi ridotto a 51 per l'esclusione, ad aprile 2017, con la decisione SG- Greffe(2017) D/6030 del 18 aprile 2017 del sito di Sernaglia della Battaglia (Veneto) e dei siti di Rotondi, Durazzano e Cusano Mutri (Campania), di Isola del Giglio (Toscana) e dei siti di Monte San Giovanni Campano e Patrica (Lazio) con la decisione SG-Greffe (2017) D/13722 del 4 settembre 2017.
  Alla data odierna permangono quindi in procedura di infrazione sotto l'egida del Commissario Vadalà le 51 discariche riportate di seguito con specificazione dei comuni e delle località dove sono ubicate:
  

   Abruzzo: Casalbordino (CH) – San Gregorio;

   Calabria: Davoli – Vasi, Longobardi (Cs) – Tremoli Tosto, Mormanno (Cs) – Ombrelle, San Calogero (Vv) – Papaleo, Tortora – Sicilione, Belmonte calabro (Cs) – Manche, Belmonte calabro (Cs) – Santa Caterina, Martitrano (Cz) – Ponte del soldato, Pizzo (Vv) – Marinella, Sangineto (Cs) – Timpa di civita, Verbicaro – Acqua dei bagni, Amantea (Cs) – Grassullo, Joppolo (Vv) – Calafatoni (Colantoni), Magisano (Cz) – Finoieri, Taverna (Cz) – Torrazzo, Arena (non Gerocarne) (VV) – Lapparni, Badolato (Cz) – San Marini, Petronà (Cz) – Pantano Grande, Sellia (Cz) – Aria;

   Campania:San Lupo (Bn) – L. Defenzola, Castelvetere di Valfortore (Bn) – Lama Grande, Tocco Caudio (Bn) – Paudone, Puglianello (Bn) – Marrucaro; Pescosannita (Bn) – Lame, Sant'Arcangelo Trimonte (Bn) – Nocecchia Pianella, Sant'Arsenio (Sa) – Loc. Difesa, Benevento – Ponte Valentino;

   Lazio: Filettino (Fr) – Cerreta, Oriolo Romano – Ara San Baccano, Riano (Rm) – Piana Perina, Trevi nel Lazio – Carpineto, Trevi nel Lazio – Casette Caponi (alias Fornace);

   Puglia:Lesina (Fg) – Pontone Pontonicchio/Coppa Faccio Olive, Sannicandro di Bari (Ba) – Pezze Pescorosso; Binetto (Ba) – Pezze di Campo, San Pietro Vernotico (Br) – Marciaddare, Ascoli Satriano (Fg) – Mezzana La Terra, Santeramo in Colle (Ba) – Montefreddo;

   Sicilia: Cammarata (Ag) – San Martino, Cerda (Pa) – Caccione, Leonforte – Tumminella, Monreale (Pa) – Zabbia, Paternò (Ct) – C.da Petulenti, San Filippo del Mela (Me) – C. da Sant'Agata, Augusta – Campo Sportivo;

   Veneto: Venezia – Marghera (Malcontenta C), Chioggia (Ve) Borgo San Giovanni, Mira (VE) – Borbiago, via Teramo, Salzano (Ve) – Sant'Elena di Robegano, Venezia – Marghera (area Miatello).

  In data 22 novembre 2017 l'incarico del Commissario Vadalà è stato esteso alle seguenti n. 22 ulteriori discariche:

   Abruzzo: Bellante (Te) – Sant'Arcangelo Bellante, Pizzoli (Aq) – Caprareccia, Castel di Sangro (Aq) – Pera Papera-Le Pretare, Celenza sul Trigno (CH) – Difesa, Lama dei Peligni (CH) – Cieco, Ortona dei Marsi (Aq) – Fosso San Giorgio, Palena (CH) – Carrera, Penne (Pe) – Colle Freddo, San Valentino in Abruzzo Citerione (Pe) – Il Fossato, Taranta Peligna (CH) – Colle di M; Vasto (Ch) – Cantalupo, Vasto (Ch) – Lota;

   Calabria:Colosimi (CS) – Colle Frantantonio, Acquaro (Vv) – Carrà, Reggio-Calabria (Rc) – Malderiti;,

   Campania: Andretta (AV) – Frascineto, Castelpagano (BN) – Campo della Corte, Pagani (SA) – Torretta;

   Lazio: Villa Latina – Camponi;

   Sicilia: Siculana – C.da Scalilli, Mistretta – C.da Muricello;

   Veneto: Venezia – Moranzani B.

  Tutte le informazioni inerenti l'attività del Commissario Vadalà sono disponibili sul seguente sito istituzionale: http: presidenza.governo.it/AmministrazioneTrasparente /Organizzazione/CommissariStraordinari/CS Vadala.html .
  Ad ogni buon fine si rappresenta che per quanto riguarda la redazione di progetti, bandi di gara e avanzamento lavori e contabilità, l'Ufficio del Commissario si sta avvalendo, attraverso la stipula di appositi protocolli, di 8 differenti stazioni appaltanti (Provveditorati alle oo.pp. di Sicilia e Calabria, di Lazio, Abruzzo e Sardegna, di Veneto, Friuli e Trentino Alto Adige, di Sogesid S.p.A.:, di Invitalia spa; dell'Anbi, di Veneto Acque e di Aspo) e di 3 diverse centrali uniche di committenza — Cuc – dei comuni di Paternò (CT), Lesina (FG), Sannicandro di Bari (BA), Binetto (BA), Santeramo in Colle (BA) e del comune di Vasto (CH), che hanno aderito all'avviso pubblico pubblicato nello scorso mese di luglio, secondo quanto previsto dall'articolo 10, comma 4 del decreto-legge 24 giugno 2014 n. 91.
  L'ufficio del Commissario si avvale, inoltre, del personale messo a disposizione dall'Arma dei carabinieri.
  In conclusione si rassicura l'interrogante che, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a monitorare le attività in corso nonché a svolgere un'attività di sollecito nei confronti di tutti i soggetti istituzionali interessati e coinvolti.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   MANNINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   nella sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea del 2 dicembre 2014, la Corte è arrivata alla conclusione che l'Italia non ha adottato tutte le misure necessarie a dare esecuzione alla sentenza del 2007 e che è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza del diritto dell'Unione europea. Di conseguenza, la Corte ha condannato l'Italia a pagare una somma forfettaria di 40 milioni di euro. La Corte di giustizia dell'Unione europea ha rilevato poi che l'inadempimento perdura da oltre sette anni e che, dopo la scadenza del termine impartito, le operazioni sono state compiute con grande lentezza; un numero importante di discariche abusive si registra ancora in quasi tutte le regioni italiane. Essa considera quindi opportuno infliggere una penalità decrescente, il cui importo è ridotto progressivamente in ragione del numero di siti che saranno messi a norma, conformemente alla sentenza, computando due volte le discariche contenenti rifiuti pericolosi. La Corte ha condannato quindi l'Italia a versare altresì una penalità semestrale a far data dal 2 dicembre 2014 e fino all'esecuzione della sentenza del 2007. La penalità è calcolata, per quanto riguarda il primo semestre, a partire da un importo iniziale di 42.800.000 euro. Da tale importo sono detratti 400.000 euro per ciascuna discarica contenente rifiuti pericolosi messa a norma e 200.000 di euro per ogni altra discarica messa a norma;

   le 200 discariche oggetto della sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea del 2 dicembre 2014 sono ubicate nelle regioni seguenti: Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Molise, Piemonte, Puglia, Sardegna, Sicilia, Toscana, Umbria e Veneto;

   l'Italia ha pagato, per ora, 40 milioni di euro come multa forfettaria e 39.800.000, 33.400.000, 27.800.000 euro come multe relative al primo, secondo e terzo semestre successivo alla sentenza;

   il comma 2-bis dell'articolo 41 della legge 24 dicembre 2012, n. 234 riporta «nel caso di violazione della normativa europea accertata con sentenza della CGUE di condanna al pagamento di sanzioni a carico della Repubblica italiana, ove per provvedere ai dovuti adempimenti si renda necessario procedere all'adozione di una molteplicità di atti anche collegati tra loro, il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro competente per materia, sentiti gli enti inadempienti, assegna a questi ultimi termini congrui per l'adozione di ciascuno dei provvedimenti e atti necessari. Decorso inutilmente anche uno solo di tali termini, il Consiglio dei ministri, sentito il soggetto interessato, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri e del Ministro competente per materia, adotta i provvedimenti necessari, anche normativi, ovvero nomina un apposito commissario. Alla riunione del Consiglio dei ministri è invitato il Presidente della Giunta regionale della regione interessata al provvedimento. Le disposizioni di cui al presente comma si applicano anche agli inadempimenti conseguenti alle diffide effettuate in data anteriore alla data di entrata in vigore della presente disposizione che si fondino sui presupposti e abbiano le caratteristiche di cui al primo periodo»;

   è il generale dei Carabinieri Giuseppe Vadalà il commissario straordinario per la realizzazione degli interventi necessari all'adeguamento alla normativa vigente di 58 discariche abusive oggetto di diffida i cui termini sono infruttuosamente scaduti; lo ha stabilito il Consiglio dei ministri del 24 marzo 2017, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri Gentiloni e del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare Galletti –:

   quali siano le garanzie ottenute dagli enti locali per l'adozione di ciascuno dei provvedimenti e degli atti necessari riguardanti le discariche oggetto della citata condanna della Corte di giustizia dell'Unione europea, che non rientrano nelle competenze del Commissario Vadalà, e quali siano i «termini congrui» entro cui gli enti interessati dovranno adottare i provvedimenti e gli atti necessari.
(4-16068)

  Risposta. — Con riferimento alle problematiche evidenziate nell'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  Com'è noto, il 2 dicembre 2014 la Corte di Giustizia dell'Unione Europea ha condannato l'Italia al pagamento di una sanzione forfettaria di circa 40 milioni di euro e di una penalità semestrale, calcolata per il primo semestre a partire da un importo iniziale di 42.800.000 euro, in ragione della mancata esecuzione della sentenza di condanna del 26 aprile 2007 da parte delle amministrazioni comunali e regionali nel cui territorio ricadono le discariche non in regola con la direttiva rifiuti 75/442/CE (modificata dalla direttiva 91/156/CEE), con la direttiva 91/689 e con la direttiva 1999/13/CE. La sentenza di condanna riguardava complessivamente 200 discariche presenti sul territorio di 18 regioni italiane. Si tratta, in particolare:

   di n. 198 discariche dichiarate non conformi agli articoli 4, 8 e 9 della direttiva 75/442/CEE e all'articolo 2, paragrafo 1 della direttiva 91/689/CEE per le quali si rendevano necessarie operazioni di messa in sicurezza e/o bonifica;

   di n. 2 discariche dichiarate non conformi all'articolo 14, lettere da a) a c) della direttiva 1999/31/CE, per le quali si rendeva necessario dimostrare l'approvazione di piani di riassetto oppure l'adozione di decisioni definitive di chiusura.

  La sentenza ha una determinazione digressiva della sanzione pecuniaria: si prevede, infatti, la riduzione di 400.000 euro per la messa a norma di ciascuna discarica contenente rifiuti pericolosi e di 200.000 euro per la messa a norma di ciascuna discarica contenente rifiuti non pericolosi. Inoltre, la Commissione europea ha chiarito che, per dare esecuzione alla sentenza, non basta garantire che nei siti oggetto della condanna non siano più depositati rifiuti o che i rifiuti già depositati siano gestiti in conformità alla normativa Ue in materia, ma occorre altresì verificare che i rifiuti non abbiano inquinato il sito e, in caso di inquinamento, eseguire le attività di messa in sicurezza o bonifica ai sensi dell'articolo 240 del Codice dell'ambiente.
  L'elenco completo delle discariche oggetto del procedimento di esecuzione della sentenza è stato trasmesso informalmente dalla Commissione europea nel marzo 2015 per il tramite della Rappresentanza permanente d'Italia presso l'Unione europea. Tali discariche erano così ripartite sul territorio nazionale:

   Abruzzo 28; Basilicata 2; Calabria 43 di cui 1 di rifiuti pericolosi; Campania 48 di cui 1 di rifiuti pericolosi; Emilia Romagna 1 di rifiuti pericolosi; Friuli Venezia Giulia 3; Lazio 21 di cui 1 di rifiuti pericolosi; Liguria 6 di cui 4 di rifiuti pericolosi; Lombardia 4 di cui 2 di rifiuti pericolosi; Marche 1 di cui 1 di rifiuti pericolosi; Molise 1; Piemonte 1 di cui 1 di rifiuti pericolosi; Puglia 12; Sardegna 1; Sicilia 12 di cui 1 di rifiuti pericolosi; Toscana 6; Umbria 1 di cui 1 di rifiuti pericolosi; Veneto 9.

  A seguito dell'attività istruttoria svolta dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sono stati notificati, alle regioni e agli enti locali interessati, 161 decreti di diffida del Presidente del Consiglio ai sensi dell'articolo 8, commi 1 e 2 della Legge 5 giugno 2003, n. 131, in vista dell'eventuale esercizio del potere sostitutivo straordinario di cui all'articolo 120, secondo comma, della Costituzione.
  I termini imposti nelle diffide del Presidente del Consiglio dei ministri non sono tutti scaduti e la situazione è quotidianamente monitorata dal Ministero.
  L'elenco completo delle discariche abusive e lo stato delle attività di bonifica è riportato sul sito istituzionale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare al seguente indirizzo: http://www.minambiente.it/pagina/discariche-abusive.
  Si rappresenta, inoltre, che in data 24 marzo 2017 il Consiglio dei ministri ha nominato Commissario straordinario per la realizzazione degli interventi necessari all'adeguamento alla normativa vigente delle discariche abusive presenti sul territorio nazionale il generale di brigata dell'Arma dei carabinieri Giuseppe Vadalà.
  L'elenco dei siti commissariati inizialmente contava 58 discariche, oggi ridotto a 51 per l'esclusione, ad aprile 2017, con la decisione SG-Greffe(2017) D/6030 del 18 aprile 2017, del sito di Sernaglia della Battaglia (Veneto) e dei siti di Rotondi, Durazzano e Cusano Mutri (Campania), di Isola del Giglio (Toscana) e dei siti di Monte San Giovanni Campano e Patrica (Lazio) con la decisione SG-Greffe (2017) D/13722 del 4 settembre 2017.
  Alla data odierna permangono quindi in procedura di infrazione sotto l'egida del Commissario Vadalà le 51 discariche riportate di seguito con specificazione dei comuni e delle località dove sono ubicate:

   Abruzzo: Casalbordino (CH), San Gregorio;

   Calabria: Davoli, Vasi; Longobardi (CS), Tremoli Tosto; Mormanno (CS), Ombrelle; San Calogero (VV), Papaleo; Tortora, Sicilione; Belmonte calabro (CS), Manche; Belmonte calabro (CS), Santa Caterina; Martirano (CZ), Ponte del soldato; Pizzo (VV), Marinella; Sangineto (CS), Timpa di civita; Verbicaro (CS), Acqua dei bagni; Amantea (CS), Grassullo; Joppolo (VV), Calafatoni (Colantoni); Magisano (CZ), Finoieri; Taverna (CZ), Torrazzo; Arena (non Gerocarne) (VV), Lapparni; Badolato (CZ), San marini; Petronà (CZ), Pantano Grande; Sellia (CZ), Aria;

   Campania: San Lupo (BN), L. Defenzola; Castelvetere di Valfortore (BN), Lama Grande; Tocco Caudio (BN), Paudone; Puglianello (BN), Marrucaro; Pescosannita (BN), Lame; Sant'Arcangelo Trimonte (BN), Nocecchia Pianella; Sant'Arsenio (SA), Loc. Difesa; Benevento, Ponte Valentino;

   Lazio: Filettino (FR), Cerreta; Oriolo Romano, Ara San Bacano; Riano (RM), Piana Perina; Trevi nel Lazio, Carpinato; Trevi nel Lazio, Casette Caponi (alias Fornace);

   Puglia: Lesina (FG), Pontone Pontonicchio/Coppa Faccio Olive; Sannicandro Di Bari (BA), Pezze Pescorosso; Binetto (BA), Pezze di Campo; San Pietro Vernotico (BR), Marciaddare; Ascoli Satriano (FG), Mezzana La Terra; Santeramo in Colle (BA), Montefreddo;

   Sicilia: Cammarata (AG), San Martino; Cerda (PA), Caccione; Leonforte, Tumminella; Monreale (PA), Zabbia; Paternò (CT), C. da Petulenti; San Filippo del Mela (ME), C. da Sant'Agata; Augusta, Campo Sportivo;

   Veneto: Venezia, Marghera (Malcontenta C); Chioggia (VE), Borgo San Giovanni; Mira (VE), Borbiago, via Teramo; Salzano (VE), Sant'Elena di Robegano; Venezia, Marghera (area Miatello).

  In data 22 novembre 2017 l'incarico del commissario Vadalà è stato esteso alle seguenti n. 22 ulteriori discariche:

   Abruzzo: Bellante (TE), Sant'Arcangelo Bellante; Pizzoli (AQ), Caprareccia; Castel di Sangro (AQ), Petra Papera – Le Pretare; Calenza sul Trigno (CH), Difesa; Lama dei Peligni (CH), Cieco; Ortona dei Marsi (AQ), Fosso San Giorgio; Palena (CH), Carrera; Penne (PE), Colle Freddo; San Valentino in Abruzzo Citeriore (PE), Il Fossato; Taranta Peligna (CH), Colle di M; Vasto (CH), Cantalupo; Vasto (CH), Lota;

   Calabria: Colosimi (CS), Colle frantantonio; Acquaro (VV), Carrà; Reggio Calabria (RC), Malderiti;

   Campania: Andretta (AV), Frascineto; Castelpagano (BN), Campo della Corte; Pagani (SA), Torretta;

   Lazio: Villa Latina, Camponi;

   Sicilia: Siculiana, C. da Scalilli; Mistretta, C. da Muricello;

   Veneto: Venezia, Moranzani B.

  Tutte le informazioni inerenti l'attività del commissario Vadalà sono comunque disponibili sul seguente sito istituzionale: http://presidenza.governo.it/AmministrazioneTrasparente/Organizzazione/CommissariStraordinari/CS_Vadala.html.
  Avviata la fase di espunzione delle discariche messe a norma e di commissariamento per i siti non ancora messi in regola, si procederà all'esercizio dell'azione di rivalsa, ai sensi dell'articolo 43 della legge 23 dicembre 2012, n. 234, nei confronti delle Amministrazioni regionali e comunali interessate dalla sentenza di condanna della Corte di giustizia. Attraverso l'acquisizione dell'intesa prevista dall'articolo 43, comma 7, della legge 23 dicembre 2012, n. 234, si procederà al reintegro delle somme anticipate dall'Amministrazione statale, ai sensi dell'articolo 43, comma 9-
bis, della medesima legge, per il pagamento delle sanzioni comminate dalla Corte di giustizia dell'Unione europea con la sentenza di condanna ed erogate sino al 15 dicembre 2017, anche a fronte delle ingiunzioni di pagamento della Commissione europea relative alle successive penalità semestrali previste dalla citata sentenza.
  In conclusione si rassicura l'interrogante che, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a monitorare le attività in corso nonché a svolgere un'attività di sollecito nei confronti di tutti i soggetti istituzionali interessati e coinvolti.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   MANNINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   l'articolo 14 della direttiva europea 1999/31/CE riguarda le discariche preesistenti e riporta: «Gli Stati membri adottano misure affinché le discariche che abbiano ottenuto un'autorizzazione o siano già in funzione al momento del recepimento della presente direttiva possano rimanere in funzione soltanto se i provvedimenti in appresso sono adottati con la massima tempestività e al più tardi entro otto anni dalla data prevista all'articolo 18, paragrafo 1: a) entro un anno dalla data prevista nell'articolo 18, paragrafo 1, il gestore della discarica elabora e presenta all'approvazione dell'autorità competente un piano di riassetto della discarica comprendente le informazioni menzionate nell'articolo 8 e le misure correttive che ritenga eventualmente necessarie al fine di soddisfare i requisiti previsti dalla presente direttiva, fatti salvi i requisiti di cui all'allegato I, punto 1; b) in seguito alla presentazione del piano di riassetto, le autorità competenti adottano una decisione definitiva sull'eventuale proseguimento delle operazioni in base a detto piano e alla presente direttiva. Gli Stati membri adottano le misure necessarie per far chiudere al più presto, a norma dell'articolo 7, lettera g), e dell'articolo 13, le discariche che, in forza dell'articolo 8, non ottengono l'autorizzazione a continuare a funzionare; c) sulla base del piano approvato, le autorità competenti autorizzano i necessari lavori e stabiliscono un periodo di transizione per l'attuazione del piano. Tutte le discariche preesistenti devono conformarsi ai requisiti previsti dalla presente direttiva, fatti salvi i requisiti di cui all'allegato I, punto 1, entro otto anni dalla data prevista nell'articolo 18, paragrafo 1; d) i) entro un anno dalla data prevista nell'articolo 18, paragrafo 1, gli articoli 4, 5, e 11 e l'allegato II si applicano alle discariche di rifiuti pericolosi; ii) entro tre anni, dalla data prevista nell'articolo 18, paragrafo 1, l'articolo 6 si applica alle discariche di rifiuti pericolosi»;

   il 18 giugno 2015, la Commissione, nell'ambito della procedura di infrazione 2011/2215, ha emesso nei confronti dell'Italia un parere motivato complementare ex articolo 258 del TFUE per la violazione degli obblighi imposti dall'articolo 14 della direttiva 1999/31/CE sulle discariche di rifiuti. In particolare, la Commissione considera irregolari 102 discariche già esistenti o autorizzate al 16 luglio 2001 per le quali, entro il 16 luglio 2009, in base alla normativa europea si sarebbe dovuto prevedere e dare esecuzione ad un adeguato piano di riassetto ovvero procedere alla chiusura, qualora detto piano fosse risultato inadeguato. Sulla base delle informazioni, risulta alla Commissione che, nonostante i progressi compiuti, sul territorio italiano vi sono ancora 46 discariche con riferimento alle quali non sono stati adempiuti gli obblighi previsti dalla direttiva. Le regioni interessate sono l'Abruzzo (15 discariche), la Basilicata (19 discariche), la Campania (2 discariche), il Friuli Venezia Giulia (4 discariche), la Liguria (1 discarica per rifiuti pericolosi) e la Puglia (5 discariche);

   la Commissione europea, in data 17 maggio 2017, ha deciso di deferire l'Italia alla Corte di giustizia dell'Unione europea per la mancata bonifica o chiusura di 44 discariche che costituiscono un grave rischio per la salute umana e l'ambiente. Malgrado i precedenti ammonimenti della Commissione, l'Italia ha omesso di adottare misure per bonificare o chiudere 44 discariche non conformi, come prescritto dall'articolo 14 della direttiva relativa alle discariche di rifiuti (direttiva 1999/31/CE del Consiglio). Come altri Stati membri, l'Italia era tenuta a bonificare entro il 16 luglio 2009 le discariche che avevano ottenuto un'autorizzazione o che erano già in funzione prima del 16 luglio 2001 («discariche esistenti»), adeguandole alle norme di sicurezza stabilite in tale direttiva, oppure a chiuderle. Considerata l'insufficienza dei progressi in quest'ambito, la Commissione ha trasmesso un parere motivato supplementare nel giugno 2015, nel quale si esortava l'Italia a trattare adeguatamente 50 siti che rappresentavano ancora una minaccia per la salute e l'ambiente. Nonostante alcuni progressi, nel maggio 2017 non erano ancora state adottate le misure necessarie per adeguare o chiudere 44 discariche. Nell'intento di accelerare il processo la Commissione ha deciso di deferire l'Italia alla Corte di giustizia dell'Unione europea –:

   quali iniziative il Governo intenda intraprendere affinché l'Italia eviti la condanna della Corte di giustizia dell'Unione europea;

   quali siano i comuni e le località dove sono ubicate le discariche ancora oggi oggetto della procedura di infrazione 2011-2215.
(4-16623)

  Risposta. — Con riferimento alle problematiche evidenziate nell'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  Com'è noto, la procedura di infrazione 2011_2215 riguarda il mancato adeguamento o la mancata chiusura di 44 discariche «preesistenti» alla data di entrata in vigore della direttiva 1999/31/CE sulle discariche di rifiuti.
  Dette discariche «preesistenti» autorizzate o in funzione alla data del 16 luglio 2001, dovevano, in attuazione delle norme transitorie previste dall'articolo 14 della direttiva discariche, essere adeguate alla nuova disciplina comunitaria dalle autorità competenti. Inoltre, in caso di mancato adeguamento o di cessazione dell'attività di smaltimento dei rifiuti durante il periodo transitorio, la direttiva 1999/31/CE obbligava gli Stati membri ad «adottare le misure necessarie per far chiudere al più presto» le suddette discariche.

  In attuazione di quanto prescritto dalla direttiva, il legislatore nazionale ha pertanto imposto, con il recepimento della suddetta disposizione, operato dall'articolo 17 del decreto legislativo n. 36 del 2003, i seguenti obblighi:

   obbligo di presentazione di un piano di adeguamento entro 6 mesi dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo per le discariche preesistenti (articolo 17, comma 3);

   obbligo di adozione del suddetto piano e di ultimazione finale dei lavori di adeguamento entro il 16 luglio 2009 (articolo 17, comma 4);

   obbligo, nel caso di mancata approvazione del piano di adeguamento di adottare un provvedimento che prescriva modalità e tempi di chiusura della discarica (articolo 17 comma 5).

  Nel caso in parola, aperto nei confronti del nostro Paese nel 2011, la Commissione europea ha deferito l'Italia alla Corte di giustizia ed ha depositato a tal fine un ricorso ai sensi dell'articolo 258 Tfue in data 21 agosto 2017.
  I 44 siti ora al vaglio della Corte di Giustizia dell'Unione europea ricadono sul territorio di 5 regioni e sono così ripartiti: 11 in Abruzzo, 23 in Basilicata, 2 in Campania, 3 in Friuli Venezia Giulia di cui 2 nel S.I.N. di Grado e Marano, 5 in Puglia.
  Si deve precisare che, nel corso degli anni, sono state trasmesse alla Commissione europea le informazioni relative al progressivo adeguamento di numerose discariche segnalate con la lettera di messa in mora notificata nel 2011 grazie al costante monitoraggio da parte di questo Ministero circa gli interventi realizzati dalle regioni competenti.
  A tal proposito, si ricorda che l'ordinamento nazionale attribuisce alle regioni competenze esclusive per il rilascio ed il controllo dell'attuazione degli atti autorizzativi delle discariche di rifiuti ed in particolare per il rispetto delle condizioni di chiusura e gestione post-operativa di detti impianti.
  Nel parere motivato complementare di giugno 2015, che segnalava 50 discariche ancora non conformi, ripartite sul territorio di 6 regioni (Abruzzo, Basilicata, Campania, Friuli Venezia Giulia, Liguria e Puglia), le contestazioni della Commissione europea riguardavano, nella stragrande maggioranza dei casi, il completamento dei lavori di chiusura di discariche che avevano cessato da tempo l'attività di smaltimento dei rifiuti.
  Detti interventi di chiusura definitiva delle discariche preesistenti prevedono, in attuazione dell'articolo 12 del decreto legislativo n. 36 del 2003 e del relativo allegato 1, la copertura definitiva della discarica, la realizzazione e la messa in opera di un sistema di regimazione delle acque e l'avvio del monitoraggio dell'impianto e delle matrici ambientali una volta completato l'intervento di chiusura certificato dalla regione o dalla provincia territorialmente competente.
  Da giugno 2015 ad oggi, le Autorità italiane hanno aggiornato periodicamente la Commissione europea sullo stato degli interventi di adeguamento e chiusura delle discariche, per ultimo con comunicazione del 17 aprile 2017.
  Il deferimento alla Corte è intervenuto, quindi, per 44 discariche preesistenti nonostante i progressi realizzati ed i precisi impegni assunti dalle Autorità competenti per il completamento rapido di detti interventi.
  Oltre all'attività d'impulso e di monitoraggio delle attività delle regioni interessate alla procedura d'infrazione da parte di questo Ministero e tenuto conto dei ritardi accumulati nella realizzazione degli interventi per la chiusura di alcune discariche per le quali non erano disponibili i fondi necessari alla realizzazione delle suddette attività, il Governo italiano ha inoltre stanziato specifiche risorse a valere sul Fondo di sviluppo e coesione 2014-2020 con il Piano operativo dell'ambiente approvato dal CIPE con delibera 55 del 2016 pubblicata sulla
Gazzetta Ufficiale n. 88 del 14 aprile 2017.
  In ulteriori casi, le regioni hanno erogato risorse proprie con i Patti per il Sud da utilizzare per la realizzazione degli interventi.
  Si fornisce di seguito l'elenco completo dei 44 impianti indicati nel ricorso della Commissione europea con specificazione dei comuni e delle località dove sono ubicate le suddette discariche:

   Abruzzo: Capestrano - Tirassegno, Corfinio - Cannucce, Castelvecchio Calvisio - Termine, Corfinio - Case querceto, S. Omero - Ficcadenti, L'Aquila - Ponte delle Grotte, Capistrello - Trasolero, Campotosto - Reperduso, Francavilla - Valle Anzuca, Castellalto - Colle Coccu, Mosciano S. Angelo - Santa Assunta.

   Basilicata: Lauria - Carpineto, Atella - Cafaro, Potenza - Montegrosso - Pallareta, Potenza - Montegrosso - Pallareta, San Mauro Forte - Priati, Corleto Perticara - Tempa Masone, Pescopagano - Domacchia, Roccanova - Serre, Tito - Valle del Forno, Salandra - Piano del Governo, Ferrandina - Venita, Avigliano - Serra Le Brecce, Latronico - Torre, Maratea - Montescuro, Rapolla - Albero in Piano, Sant'Angelo Le Fratte - Farisi, Senise - Palomabara, Moliterno - Tempa La Guarella, Genzano di Lucania - Matinella, Tito - Aia dei Monaci, Rionero in Vulture - Ventaruolo, Matera - La Martella, Marsiconuovo - Galaino.

   Campania: Montecorvino Pugliano - Parapoti, San Bartolomeo in Galdo - Serra Pastore.

   Friuli Venezia Giulia: Trivignano - ex Cava Zof, Torviscosa - La Valletta - S.I.N. Laguna di Grado e Marano, Torviscosa - società Caffaro (area 8 d - 8 c e 8 e) - S.I.N. Laguna di Grado e Marano.

   Puglia: Andria - D'Oria G. & C. s.n.c., Canosa - CO.BE.MA., Bisceglie - CO.GE.SER., Andria - F.lli Acquaviva, Trani - Igea s.r.l.

  Con la recente notifica del controricorso in Corte di giustizia da parte dell'Avvocatura generale dello Stato, si auspica che sarà possibile dimostrare l'osservanza degli obblighi imposti dall'Unione europea nel caso in oggetto e scongiurare il rischio di condanna grazie all'impegno manifestato dalle Amministrazioni locali competenti ed alle risorse stanziate dal Governo con il Piano operativo Ambiente.
  Alla luce delle informazioni esposte, si rassicura l'interrogante che, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a monitorare le attività in corso nonché a svolgere un'attività di sollecito nei confronti di tutti i soggetti istituzionali, interessati e coinvolti.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   MANNINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:

   l'articolo 10 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 116, disciplina «misure straordinarie per accelerare l'utilizzo delle risorse e l'esecuzione degli interventi urgenti e prioritari per la mitigazione del rischio idrogeologico nel territorio nazionale e per lo svolgimento delle indagini sui terreni della Regione Campania destinati all'agricoltura»;

   il comma 2-ter del citato articolo 10 dispone che «per l'espletamento delle attività previste nel presente Articolo, il Presidente della Regione può delegare apposito soggetto attuatore il quale opera sulla base di specifiche indicazioni ricevute dal presidente della Regione e senza alcun onere aggiuntivo per la finanza pubblica. Il soggetto attuatore, se dipendente di società a totale capitale pubblico o di società dalle stesse controllate, anche in deroga ai contratti collettivi nazionali di lavoro delle società di appartenenza, è collocato in aspettativa senza assegni, con riconoscimento dell'anzianità di servizio dalla data del provvedimento del conferimento dell'incarico e per tutto il periodo di svolgimento dello stesso. Dall'attuazione della presente disposizione non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica»;

   in ragione di quanto previsto dal citato articolo 10, a far data dal 23 novembre 2014, il presidente della giunta regionale della Calabria, Gerardo Mario Oliverio, è subentrato nelle funzioni di commissario;

   con decreto commissariale n. 127 del 9 marzo 2015, il presidente della regione Calabria, in qualità di commissario per il dissesto idrogeologico, ha nominato soggetto attuatore l'ingegner Carmelo Gallo, libero professionista;

   il decreto di nomina prevede che al soggetto attuatore venga riconosciuto un compenso annuo fissato in 110.000 euro, oltre oneri e ritenute, e che tali oneri sono posti a carico dei quadri economici degli interventi, nell'ambito delle somme di cui al comma 4 dell'articolo 10 della citata legge n. 116 del 2014, vale a dire gli importi di cui al comma 5 dell'articolo 92 della legge n. 163 del 2006;

   sul sito istituzionale del commissario per il dissesto idrogeologico in Calabria (www.dissestocalabria.it) sono pubblicati i decreti con i quali il soggetto attuatore dispone la liquidazione e il pagamento dei compensi relativi ai mesi di gennaio, febbraio e marzo 2017 pari a 34.891,94 euro, iva e oneri inclusi spettanti al medesimo soggetto attuatore, ingegner Carmelo Gallo –:

   di quali elementi disponga in merito alla legittimità della nomina dell'ingegner Carmelo Gallo, ingegnere libero professionista non dipendente della pubblica amministrazione, quale soggetto attuatore per la mitigazione del rischio idrogeologico in Calabria e quale sia stata la procedura utilizzata per la selezione del suddetto professionista esterno;

   se ritenga coerente con il quadro normativo che al soggetto attuatore sia riconosciuto il compenso di cui al decreto commissariale n. 127 del 9 marzo 2015, posto che i relativi oneri sono a carico della finanza pubblica;

   se non intenda chiarire se il soggetto attuatore possa adottare atti aventi natura finanziaria e, in particolare, atti riguardanti la determinazione e liquidazione dei propri compensi;

   se sussistano altri casi di soggetti attuatori non dipendenti della pubblica amministrazione.
(4-17410)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  Per quanto concerne, in primo luogo, la questione relativa al compenso del soggetto attuatore stabilito dal decreto del commissario straordinario per la mitigazione del rischio idrogeologico nella regione Calabria n. 127 del 9 marzo 2015, il Ministero dell'economia e delle finanze ha osservato, in via generale, che l'articolo 10, comma 2-
ter del decreto-legge 24 agosto 2014, n. 91, convertito con legge 11 agosto 2014, n. 116 prevede, per quanto interessa in questa sede, che l'organo titolare della funzione, individuato nel presidente della regione in qualità di commissario di Governo, possa delegare ad apposito soggetto attuatore le attività relative alla mitigazione del rischio idrogeologico nel territorio di competenza; quest'ultimo opera, per espressa previsione di legge, «senza alcun onere aggiuntivo per la finanza pubblica».
  Il comma 4 della medesima disposizione sancisce, poi, che per tutte le attività tecnico-amministrative riconducibili alla mitigazione del rischio idrogeologico, il presidente della regione (o comunque, se nominato, il soggetto attuatore) possa avvalersi di determinate strutture organizzative, anche aventi veste formale privatistica, ponendo le relative spese a carico delle risorse destinate agli incentivi per la progettazione di cui all'articolo 92, comma 5, del decreto legislativo n. 163 del 12 aprile 2006, e dell'articolo 16 del decreto del Presidente della Repubblica 5 ottobre 2010, n. 207.
  Dal quadro normativo vigente sopra delineato, non si evince un esplicito divieto di nomina di un libero professionista quale soggetto attuatore, né tantomeno, secondo quanto riferito dal Ministero dell'economia e delle finanze, appare preclusa l'astratta prevedibilità di un compenso in favore del predetto soggetto.
  L'unico limite al legittimo riconoscimento di un compenso è costituito dalla norma speciale che impone che non vi sia alcun onere aggiuntivo per la finanza pubblica e dalla norma generale che prevede che tutti gli incarichi affidati a professionisti esterni debbano essere affidati a seguito di procedure selettive pubbliche. Di tale ultimo requisito non si ha contezza.
  In proposito al primo punto, il Ministero dell'economia e delle finanze osserva che qualsiasi emolumento al cui pagamento si faccia fronte con risorse non preventivamente accantonate allo specifico fine costituisca onere aggiuntivo per la finanza pubblica e come tale non possa essere corrisposto al soggetto attuatore.
  Sempre secondo quanto riferito dal Ministero dell'economia, non sembrerebbe in linea con il delineato quadro normativo porre gli oneri finanziari derivanti dagli emolumenti in questione a carico delle risorse destinate all'incentivazione per la progettazione poiché la citata norma di cui al comma 4, dell'articolo 10 non si occupa delle spese per il compenso del soggetto attuatore – per il quale resta fermo il limite posto dal comma 2-
ter della medesima disposizione – bensì riserva dette risorse alla copertura delle spese per le strutture o uffici di cui il commissario straordinario si avvale per le attività di progettazione degli interventi, per le procedure di affidamento dei lavori, per le attività di direzione dei lavori e di collaudo, nonché per ogni altra attività di carattere tecnico-amministrativo connessa alla progettazione, all'affidamento e alla esecuzione dei lavori, ivi inclusi servizi e forniture. Alla luce di tali considerazioni, il prelievo degli oneri per far fronte al compenso del soggetto attuatore dagli incentivi per la progettazione comporterebbe una riduzione non consentita delle relative risorse e, conseguentemente, un onere a carico della finanza pubblica.
  Il Ministero dell'economia e delle finanze ha, infine, osservato che il soggetto attuatore può porre in essere tutti gli atti nei limiti della delega conferitagli dal presidente della regione. In astratto, dunque, lo stesso è competente all'adozione di atti aventi natura finanziaria, ivi compresi quelli relativi alla liquidazione di propri compensi, purché le somme di spettanza siano attestate dai competenti uffici, nel rispetto delle norme di contabilità.
  Per quanto concerne il compenso, la regione Calabria ha rappresentato che lo stesso non genera «nuovi o maggiori oneri» per la finanza pubblica, essendo ricompreso all'interno dei quadri economici degli interventi e restando invariato, quindi, il valore complessivo dell'accordo di programma in fase di attuazione. Poiché l'accordo di programma in questione è dotato di una apposita e specifica contabilità speciale, con separata comunicazione del 9 marzo 2015, è stata inoltrata alla Banca d'Italia la specifica delega al soggetto attuatore quale «sostituto del titolare della contabilità speciale». Attraverso tale delega, lo stesso, in qualità dunque di soggetto attuatore, risulta abilitato alla traenza dei titoli di spesa ed opera con la propria firma digitale sul sistema Geocos (Gestione ordinativi contabilità speciale) del Ministero dell'economia e delle finanze.
  Ad ogni modo, poiché il corpo normativo del comma 2-
ter, dell'articolo 10, del decreto-legge n. 91 del 2014 non forniva elementi certi in merito all'interpretazione della disposizione laddove impone che la nomina del soggetto attuatore non debba comportare «alcun onere aggiuntivo per la finanza pubblica», il Ministero dell'ambiente, con nota del 26 ottobre 2015, ha posto un quesito all'avvocatura generale dello Stato di cui si è in attesa di risposta, di recente sollecitata. Su analoga questione inerente la regione Puglia la direzione generale competente del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, in via cautelativa, ha comunque ritenuto di ribadire che l'incarico di soggetto attuatore deve essere attribuito «senza alcun onere aggiuntivo per la finanza pubblica».
  Alla luce delle informazioni esposte, fermo restando la necessità, per tutte le amministrazioni coinvolte, di avere contezza di tutti gli elementi informativi relativi al caso in esame, per quanto di competenza, si rassicura che il Ministero continuerà a tenersi informato, senza ridurre in alcun modo il livello di attenzione sulla questione.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   MATARRESE, VARGIU, DAMBRUOSO e PIEPOLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   secondo quanto si evince dagli organi di stampa, sembrerebbe che, a fronte delle rilevanti risorse stanziate per il contrasto al dissesto idrogeologico nel corso di questa legislatura, persistano problematiche procedurali che impediscono l'aggiudicazione delle gare di appalto, l'inizio dei lavori e quindi la spesa dei fondi;

   sembra, infatti, che il 94 per cento dei 9.230 progetti facenti parte del piano antidissesto siano «non cantierabili»;

   il processo che dovrebbe consentire l'esecuzione dei lavori in tutto il Paese sembrerebbe chiuso in un circolo vizioso: da un lato, si rileva l'incapacità degli enti locali a dotarsi di progetti idonei a consentire la spesa delle risorse stanziate, dall'altro, le stazioni appaltanti pare non possano affidare progettazioni esecutive di opere se queste non risultano debitamente finanziate. Inoltre, gli enti locali lamentano iter procedurali troppo complessi e stringenti che impediscono l'utilizzo dei fondi stanziati;

   secondo quanto si evince dalla risposta del Governo ad un recente atto di sindacato ispettivo (interrogazione n. 5-12057), a parere degli interroganti, non si registra alcun risultato apprezzabile nell'avanzamento delle progettualità, nemmeno a seguito dell'istituzione del «Fondo per la progettazione degli interventi contro il dissesto idrogeologico» che il Governo ha reso disponibile nel 2015 per favorire l'efficace avanzamento dello stato progettuale relativo alle opere di mitigazione del rischio idrogeologico e per renderle immediatamente cantierabili;

   la conseguenza di questo stallo decennale è l'impossibilità di far fronte ad un problema che tutti i governi che si sono succeduti nel corso delle legislature hanno paradossalmente definito «urgente» e gli effetti di questa situazione di impasse sono ancora oggi evidenti in diverse regioni d'Italia;

   in Puglia, ad esempio, la difficoltà degli enti locali di elaborare i progetti si unisce alle predette lungaggini burocratiche che complicano ancor di più la loro definizione;

   secondo quanto si evince dagli organi di stampa, i 100 milioni di euro stanziati dalla regione nell'ambito del «Patto per il Sud» ... potrebbero essere persi perché i comuni pugliesi non sono in grado di predisporre i progetti da mandare in gara... e perché «...le procedure previste da Palazzo Chigi per attingere al fondo di rotazione dei progetti sono a dir poco complicate: ben cinque diversi passaggi prima di poter ottenere una quota dei 12 milioni di euro destinati alla Puglia...»;

   i particolari della vicenda pugliese sono rilevanti poiché comuni alle difficoltà che affrontano tutti gli enti locali del Paese. Affinché la progettazione esecutiva sia finanziata, infatti, le proposte «...devono essere inserite nel Registro nazionale per la difesa del suolo, sottoposte ad una fase di istruttoria dell'Autorità di distretto, poi a quella amministrativa del Ministero dell'Ambiente, quindi a quella dell'appaltistica e della cantierabilità della struttura di missione della Presidenza del Consiglio dei ministri e poi a quella dell'ISPRA...»;

   le difficoltà che devono affrontare gli enti locali nell'ambito della definizione dei loro progetti non risultano compatibili con i tempi entro i quali è possibile acquisire i fondi disponibili; si tratta di tempi che appaiono insufficienti: nel caso dei Patti per il Sud per la Puglia, infatti, hanno un limite fissato al 31 dicembre 2019 per l'assunzione degli impegni giuridicamente vincolanti –:

   se il Ministro interrogato non intenda adottare iniziative di competenza, anche normative, volte a definire una riorganizzazione complessiva dell'intero processo amministrativo che disciplina l'accesso alle risorse stanziate per il contrasto al fenomeno del dissesto idrogeologico al fine di garantirne lo snellimento, la semplificazione ed il miglioramento della funzionalità, nonché al fine di contribuire ulteriormente all'accelerazione delle procedure necessarie alla cantierizzazione dei progetti, considerato che resta fermo l'obbligo per gli enti locali di dotarsi di progetti idonei allo scopo e conformi alle disposizioni di legge.
(4-17890)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  In relazione alle problematiche procedurali relative all'accesso alle risorse stanziate per il dissesto idrogeologico, questo Ministero evidenzia che la procedura attuale, per quanto riguarda le attuali e le future programmazioni degli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico, prevede la riunificazione in un unico strumento di tutte le necessità del territorio, facendole confluire in un unico database, il ReNDiS (Repertorio nazionale degli interventi di difesa del suolo) dell'Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale).
  La procedura medesima prevede inoltre che le regioni, ciascuna per il territorio di rispettiva competenza, inseriscano e validino, attraverso la compilazione di una apposita scheda, le richieste di finanziamento nel sistema citato.
  Le suddette richieste sono valutate secondo le procedure, le modalità ed i criteri fissati dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 28 maggio 2015, relativo alla «Individuazione dei criteri e delle modalità per stabilire le priorità di attribuzione delle risorse agli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico», per garantire la necessaria trasparenza nella programmazione delle risorse finanziarie rese disponibili e la migliore efficacia nell'utilizzo di tali risorse rispetto agli obiettivi di protezione dell'incolumità di persone e beni esposti a rischio idrogeologico.
  In particolare, tale accertamento istruttorio si prevede venga effettuato, di volta in volta, non appena risultano disponibili le risorse da destinare per l'avvio delle nuove programmazioni.
  Nell'ottica di una semplificazione di tali procedure questo Ministero si è già attivato per l'adozione di opportune misure di snellimento, senza incidere sulla qualità della programmazione.
  La complessità delle procedure non ha però impedito un avanzamento nella programmazione degli interventi e delle attività progettuali.
  Al riguardo è opportuno segnalare che attualmente risulta in fase avanzata di definizione presso questo dicastero l'istruttoria degli interventi da finanziare nell'ambito della linea di azione denominata «Interventi di riduzione del rischio idrogeologico e di erosione costiera» del Piano Operativo «Interventi per la tutela del territorio e delle acque (FSC 2014-2020)». Tale linea di azione prevede nel territorio della regione Puglia il finanziamento di n. 16 interventi, già selezionati tra le proposte di intervento contenute nel citato
database ReNDiS secondo i criteri fissati dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 28 maggio 2015, per un importo complessivo pari ad euro 32.896.313,33.
  Inoltre, per quanto riguarda l'avanzamento delle attività progettuali previste dal Fondo per la progettazione di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 14 luglio 2016, questo Ministero, con un recente provvedimento dello scorso dicembre, ha finanziato nella regione Puglia l'importo di euro 11.499.215,97 per la progettazione di n. 61 interventi, il cui importo totale vale oltre 200 milioni di euro.
  In ultimo, va ricordato che il Governo si è di recente attivato per sottoscrivere i «Patti per il Sud», tra cui figura anche quello con la regione Puglia, già firmato in data 10 settembre 2016.
  Con essi la Presidenza del Consiglio dei ministri ed i rispettivi enti coinvolti condividono la volontà di attuare una strategia di azioni sinergiche e integrate, miranti alla realizzazione degli interventi necessari per la infrastrutturazione del territorio, la realizzazione di nuovi investimenti industriali, la riqualificazione e la reindustrializzazione delle aree industriali, e ogni azione funzionale allo sviluppo economico, produttivo e occupazionale del territorio metropolitano. In questo ambito, tra le linee di sviluppo e le relative aree di intervento previste, figurano anche azioni nel campo delle infrastrutture e dell'ambiente.
  In particolare, il patto con la regione Puglia identifica interventi per la tutela del suolo e la tutela delle coste per un importo complessivo pari ad euro 372.505.000,00, di cui euro 100.000.000,00 a valere su risorse Fsc 2014-2020.
  Si rappresenta, infine, che per l'attuazione degli interventi di difesa del suolo il legislatore, con l'articolo 10 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, ha individuato i presidenti delle regioni come commissari straordinari delegati per il sollecito espletamento delle procedure relative alla realizzazione degli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico. Tale provvedimento stabilisce misure straordinarie e poteri di deroga che già consentono di accelerare l'esecuzione degli interventi urgenti e prioritari per la mitigazione del rischio idrogeologico nel territorio nazionale.
  Quanto riferito testimonia che le problematiche rappresentate dagli interroganti sono tenute in debita considerazione da parte di questo Ministero, il quale ha provveduto, e provvederà per il futuro, alle attività e valutazioni di competenza in materia con il massimo grado di attenzione, e a svolgere un'attività di monitoraggio e sollecito, tenendosi informato anche attraverso gli altri enti istituzionali competenti.
  

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   MELILLA, ZARATTI, PALAZZOTTO, FRANCO BORDO e KRONBICHLER. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   il 12 giugno 2016 era la data prevista per un nuovo treno veloce tra Pescara e Roma. Questo collegamento veloce doveva essere la risposta attesa da anni per rilanciare il collegamento ferroviario tra Pescara e Roma: se questo fosse avvenuto, il treno sarebbe tornato un vettore utile non solo per l'area metropolitana Pescara-Chieti ma anche per le aree interne dell'Abruzzo;

   al contrario invece i dati rilevati ci dicono di un ulteriore rallentamento della marcia dei treni: prima del cambio d'orario (12 giugno 2016) il treno 23673 partiva da Pescara alle ore 6.15, per arrivare a Roma alle 9.59; oggi parte alla stessa ora per arrivare alle 10.04 (+ 5’). Il treno 23679 partiva alle ore 9.22 e arrivava a Roma alle ore 12.59; oggi parte alle ore 9.21 per arrivare alle ore 13.06 (+8’). Il treno 23685 partiva da Pescara alle ore 14.06 per arrivare a Roma alle ore 17.59; dopo il cambio dell'orario arriva alle ore 18.04 pur partendo alla stessa ora (+5’);

   l'osservatorio della mobilità della Federconsumatori Abruzzo sottolinea come non sia accettabile che i tempi di percorrenza continuino a dilatarsi penalizzando fortemente i pendolari di tale tratta ferroviaria;

   è necessario ricordare nel 1970 erano necessarie tre ore e tre minuti per collegare Pescara a Roma Termini e oggi occorre usi un'ora in più –:

   se corrisponda al vero la decisione di attivare un treno veloce nella tratta Pescara Roma, come peraltro annunciato, e quali iniziative intenda assumere nei confronti di Trenitalia per evitare che siano compiute scelte di penalizzazione dell'utenza abruzzese.
(4-13602)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta sulla base delle informazioni assunte presso la direzione generale per il trasporto e le infrastrutture ferroviarie di questo Ministero e la società Ferrovie dello Stato.
  Occorre premettere che ai sensi e per gli effetti del decreto legislativo n. 422 del 1997 la programmazione dei servizi regionali,, che assicurano principalmente la mobilità della clientela pendolare, è di competenza delle regioni.
  Infatti, come è noto, in base alla normativa vigente, i rapporti delle singole regioni con Trenitalia sono disciplinati da contratti di servizio, nell'ambito dei quali vengono stabiliti, tra l'altro, il volume e le caratteristiche dei servizi da effettuare sulla base delle risorse economiche che ciascuna regione destina al trasporto ferroviario nel proprio territorio.
  È evidente, pertanto, come ogni determinazione in ordine alle dimensioni e alla tipologia d'offerta non possa che essere assunta in ambito regionale e, nella fattispecie, da parte della regione Abruzzo.
  Per quanto concerne i collegamenti tra Pescara e Roma va rilevato che, con il cambio orario di dicembre 2016, la regione Abruzzo ha promosso l'implementazione di un nuovo modello di esercizio attuando una programmazione che ha modificato l'offerta commerciale su tale relazione.
  In particolare, sono stati istituiti tre collegamenti veloci che al mattino partono da Pescara per Roma e altrettanti che al pomeriggio partono da Roma per Pescara, con un tempo di percorrenza complessivo di 3 ore e 22 minuti; questi collegamenti hanno sensibilmente abbattuto i tempi di percorrenza rispetto al passato e sono attestati, nella maggior parte dei casi, a Roma Termini (invece di Roma Tiburtina), consentendo così ai viaggiatori di poter usufruire del numero notevole di interconnessioni presenti nel principale scalo romano.
  

Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti: Riccardo Nencini.


   MELILLA, QUARANTA, RICCIATTI, SCOTTO, PIRAS, DURANTI, SANNICANDRO, KRONBICHLER, FERRARA e ZARATTI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   le autostrade A24 e A25 che collegano l'Abruzzo al Lazio e a Roma hanno bisogno di una manutenzione generale anche in considerazione della loro collocazione in un'area ad alto rischio sismico;

   in conseguenza degli eventi sismici del 2009, la legge n. 228 del 2012 ha disposto specifiche misure atte a consentire la messa in sicurezza dei viadotti, l'adeguamento degli impianti di sicurezza in galleria e ogni ulteriore opera di adeguamento;

   il progetto di adeguamento sismico dei viadotti può essere sintetizzato nelle seguenti fasi:

   a) rinforzo delle pile mediante idrodemolizione dello strato corticale ed impiego di malte speciali;

   b) interventi sui testa pila finalizzati alla installazione dei nuovi dispositivi di appoggio;

   c) installazione di smorzatori viscosi trasversali sulle pile e sulle spalle;

   d) solidarizzazione delle solette degli impalcati per creare una continuità secondo uno schema a catena cinematica;

   e) realizzazione di nuovo impalcato in struttura mista acciaio-calcestruzzo nei viadotti con impalcato degradato, secondo lo schema a catena cinematica, prevedendo l'ampliamento dell'attuale carreggiata di circa 50 centimetri per adeguare la larghezza della corsia di emergenza;

   f) realizzazione di un solettone a tergo delle spalle a cui collegare gli smorzatori;

   il programma degli investimenti inseriti nel nuovo Piano economico e finanziario di strada dei parchi per la durata residua di concessione sino al 2030, prevede un rilevante programma di investimenti comprensivo dell'adeguamento sismico dell'autostrada per euro 1.035.000.000 da attuarsi entro il 2023;

   nelle more dell'approvazione del suddetto Piano economico e finanziario è emersa la necessità urgente di eseguire preventivamente alcuni interventi di antiscalinamento, che consistono sostanzialmente nel ripristino dei ritegni sismici originari –:

   quali siano le decisioni assunte dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e dalla società concessionaria per la esecuzione degli interventi di verifica della vulnerabilità sismica e in generale per la messa in sicurezza di una infrastruttura strategica come l'Autostrada dei Parchi non solo per le regioni Abruzzo e Lazio, ma per l'intero sistema nazionale, anche in considerazione delle rilevanti ricadute positive sul piano occupazionale e sociale dei suddetti investimenti.
(4-16358)


   MELILLA, KRONBICHLER, SCOTTO, ZARATTI, QUARANTA, SANNICANDRO, PIRAS, DURANTI, RICCIATTI, NICCHI e FERRARA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   le autostrade A24 e A25 che collegano l'Abruzzo al Lazio e a Roma hanno bisogno di una manutenzione generale anche in considerazione della loro collocazione in un'area ad alto rischio sismico;

   in conseguenza degli eventi sismici del 2009, la legge n. 228 del 2012 ha disposto specifiche misure atte a consentire la messa in sicurezza dei viadotti, l'adeguamento degli impianti di sicurezza in galleria e ogni ulteriore opera di adeguamento;

   il progetto di adeguamento sismico dei viadotti può essere sintetizzato nelle seguenti fasi:

    1) rinforzo delle pile mediante idrodemolizione dello strato corticale ed impiego di malte speciali;

    2) interventi sui testa pila finalizzati alla installazione dei nuovi dispositivi di appoggio;

    3) installazione di smorzatori viscosi trasversali sulle pile e sulle spalle;

    4) solidarizzazione delle solette degli impalcati per creare una continuità secondo uno schema a catena cinematica;

    5) realizzazione di nuovo impalcato in struttura mista acciaio-calcestruzzo nei viadotti con impalcato degradato, secondo lo schema a catena cinematica, prevedendo l'ampliamento dell'attuale carreggiata di circa 50 centimetri, per adeguare la larghezza della corsia di emergenza;

    6) realizzazione di un solettone a tergo delle spalle a cui collegare gli smorzatori;

   il programma degli investimenti inseriti nel nuovo piano economico e finanziario di Strada dei Parchi per la durata residua di concessione sino al 2030, prevede un rilevante programma di investimenti comprensivo dell'adeguamento sismico dell'autostrada per 1.035.000.000 euro da attuarsi entro il 2023;

   nelle more dell'approvazione del suddetto piano economico e finanziario è emersa la necessità urgente di eseguire preventivamente alcuni interventi di antiscalinamento, che consistono sostanzialmente nel ripristino dei ritegni sismici originari –:

   quale siano le decisioni assunte dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti dalla società concessionaria per la esecuzione degli interventi di verifica della vulnerabilità sismica e in generale per la messa in sicurezza di una infrastruttura strategica come l'Autostrada dei Parchi non solo per le regioni Abruzzo e Lazio, ma per l'intero sistema nazionale, anche in considerazione delle rilevanti ricadute positive sul piano occupazionale e sociale dei suddetti investimenti.
(4-16379)

  Risposta. — Con riferimento agli atti di sindacato ispettivo in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta sulla base delle informazioni pervenute dalla direzione generale per la vigilanza sulle concessioni autostradali, di questo Ministero.
  Le autostrade A24 e A25, a seguito dei recenti eventi sismici, sono state interessate da fenomeni di dissesto che non hanno, comunque, compromesso la transitabilità delle stesse in condizioni di sicurezza, a seguito di interventi da parte della società concessionaria Strada dei parchi sia di ordinaria che di straordinaria manutenzione.
  Con dispositivo n. 6767 del 14 aprile 2017 è stato approvato il progetto esecutivo per le opere di messa in sicurezza urgente lungo le autostrade A24 e A25, ai fini della prevenzione della scalinatura degli impalcati.
  Nelle more dell'adeguamento sismico definitivo, previsto dal nuovo Pef (in fase di esame), gli interventi in corso, suddivisi per tre tipologie di opere, consistono nella realizzazione di appoggi ausiliari realizzati con pacchetti di elastomero armato su strutture metalliche robuste, utili in occasione di eventi sismici a garantire il corretto posizionamento degli impalcati ed evitare lo scalinamento.
  L'importo del progetto approvato ammonta ad euro 169.456.289,05 di cui euro 144.972.417,03 per lavori.
  I lavori sono stati affidati all'impresa collegata Toto S.p.a. in affidamento diretto, e sono stati consegnati il 6 maggio 2017, il termine di ultimazione degli stessi è stato fissato al 7 novembre 2018.
  Infine, si fa presente che la predetta direzione generale per la vigilanza sulle concessioni autostradali ha provveduto ad emanare apposite circolari relative alle opere d'arte ubicate lungo le autostrade in concessione, acquisendo da parte di tutte le società concessionarie rassicurazioni in merito al costante monitoraggio delle condizioni strutturali delle stesse che garantiscono le normali condizioni di sicurezza agli utenti autostradali.
  

Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti: Riccardo Nencini.


   MELILLA, GREGORI, NICCHI, QUARANTA, MATARRELLI, SANNICANDRO, SCOTTO, FERRARA, ZARATTI, PIRAS, DURANTI, RICCIATTI e FRANCO BORDO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   all'Autostrada dei Parchi sono stati concessi aumenti dei pedaggi autostradali nel 2018 del 12,8 per cento;

   negli ultimi 15 anni i pedaggi delle A24 e A25 sono aumentati di oltre il 200 per cento;

   è un fatto intollerabile a fronte di una inflazione annua di poco superiore mediamente all'1 per cento;

   nel 2017 l'inflazione in Italia è stata dell'1,3 per cento e dunque non è giustificabile un aumento esorbitante (di dieci volte rispetto all'inflazione) come quello accordato alla società di gestione delle autostrade che collegano Abruzzo e Lazio;

   sono in corso assemblee di sindaci e utenti sia nel versante laziale che in quello abruzzese. La protesta sta dilagando;

   dopo l'epifania è previsto un incontro dei presidenti delle regioni Lazio e Abruzzo con il Ministro Delrio per bloccare questi aumenti ingiustificati;

   un anno fa le organizzazioni dell'autotrasporto della Cna e dei consumatori hanno denunciato che le autostrade A24 e A25 non hanno rilevatori di nebbia e di ghiaccio, hanno una percentuale bassa di stalli per i veicoli pesanti, un numero insufficiente di stazioni di servizio (addirittura nessuna da Chieti a Magliano dei Marsi per oltre 100 chilometri), standard bassi per la sicurezza e la salvaguardia dell'ambiente. La messa in sicurezza antisismica (il cui confine con la manutenzione ordinaria e straordinaria, a carico del gestore, è molto stretto) della autostrada laziale e abruzzese è a totale carico dello Stato e sono stati stanziati ingenti risorse per centinaia di milioni di euro;

   l'autostrada è una infrastruttura fondamentale per l'economia abruzzese e laziale e questi aumenti rischiano di essere una ulteriore mazzata per il settore dell'autotrasporto, per i lavoratori pendolari, e in generale per i consumatori –:

   quali iniziative di competenza intenda assumere per la revoca di questi aumenti dei pedaggi autostradali.
(4-18983)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, sulla base delle informazioni pervenute dalla direzione generale per la vigilanza sulle concessionarie autostradali di questo Ministero, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  L'aumento tariffario accordato alla società Strada dei parchi per l'anno 2018, pari complessivamente al 12,89 per cento risulta perlopiù relativo a recuperi di incrementi tariffari maturati negli anni passati (anni 2015-2017) e precedentemente non riconosciuti a seguito dell'adozione di misure di contenimento tariffario finalizzate ad incentivare la ripresa economica.
  Il riconoscimento dei suindicati incrementi pregressi in sede di adeguamento tariffario per l'anno 2018 si è reso necessario anche al fine di recepire le pronunce giudiziarie passate in giudicato in merito ai ricorsi presentati dalla società concessionaria avverso gli aggiornamenti tariffari degli anni precedenti. Le autorità giudiziarie in questione, accogliendo le istanze della società, hanno infatti stabilito al contempo la nomina di un commissario
ad acta da parte del Ragioniere generale dello Stato qualora non si fosse ottemperato al riconoscimento alla concessionaria delle suddette differenze tariffarie.
  Il mancato riconoscimento delle tariffe maturate avrebbe determinato oltretutto effetti cumulativi che, nel tempo, sarebbero potuti risultare sconvenienti per l'utenza. I crediti derivanti dai minori riconoscimenti annuali sono infatti soggetti a remunerazione, secondo le pattuizioni convenzionali, al tasso di congrua remunerazione del capitale (wacc), determinando conseguentemente ulteriori costi regolatori che si riflettono nelle variazioni tariffarie degli esercizi successivi.
  L'incremento tariffario accordato alla società Strada dei parchi è stato, ad ogni modo, determinato sulla base di quanto stabilito nella convenzione di concessione vigente fra concessionaria e concedente, applicando i criteri individuati dalle delibere Cipe di riferimento n. 319 del 1996 e n. 39 del 2007.
  Il mancato riconoscimento degli incrementi tariffari così come risultanti dall'applicazione delle metodologie e dei criteri previsti dal contratto di concessione avrebbe pertanto comportato per l'amministrazione una responsabilità patrimoniale.
  Allo stato attuale, le regioni Lazio e Abruzzo stanno comunque procedendo, all'individuazione di misure agevolative per l'utenza, facendosi direttamente carico dei relativi costi.
  Contestualmente, è in corso l'aggiornamento del piano economico — finanziario della società concessionaria nell'ambito del quale saranno specificamente regolati tutti gli interventi di messa in sicurezza dell'infrastruttura previsti a termini di legge. Tali, interventi prevedono anche la compartecipazione dello Stato mediante l'erogazione di contributi pubblici, finalizzata anch'essa alla minimizzazione dei costi a carico dell'utenza. Nello stesso piano economico — finanziario saranno, inoltre, individuate ulteriori misure sempre con l'obiettivo di ottimizzare i livelli tariffari a beneficio degli utenti.
  

Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti: Riccardo Nencini.


   MICILLO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, TERZONI, ZOLEZZI e SIBILIA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:

   è notizia recente quella del sequestro del cantiere posto in località «Montagna», nel territorio di Morcone (Benevento), ove erano da poco iniziati i lavori per l'installazione di un campo eolico da 57 megavatt da realizzarsi nel comune di Morcone e Pontelandolfo in provincia di Benevento;

   a seguito di segnalazioni da parte di comitati di cittadini e associazioni ambientaliste sono emerse irregolarità consistenti dal mancato rispetto di prescrizioni elencate nell'autorizzazione unica della regione Campania (decreto dirigenziale n. 999/2014);

   i cantieri sarebbero risultati sprovvisti dei cartelli previsti ex lege e soprattutto gli stessi lavori si sarebbero svolti in assenza di autorizzazione efficace, in quanto l'autorizzazione di cui al citato decreto prescrive la redazione del piano di assestamento forestale (PAF) da parte del comune di Morcone che invece allo stato attuale risulta non vigente;

   con il decreto di cui sopra, il comune di Morcone si è impegnato a modificare l'attuale destinazione d'uso delle particelle interessate alla concessione;

   l'area oggetto dell'autorizzazione, presenta, inoltre, le seguenti caratteristiche:

    trattasi di pascolo montano ex articolo 14, comma, 4 della legge regionale Campania n. 11 del 1996;

    vi è presenza di usi civici ampiamente attestati e regolati dalla legge della regione Campania n. 11 del 1981 e pertanto si crea un vincolo paesaggistico in base all'articolo 142, comma 1, lettera h) del decreto legislativo n. 42 del 2004;

    si tratta di area dichiarata «zona speciale di conservazione» (ZSC) nonché area qualificata come «sito di importanza comunitaria» SIC-IT8020009 «Pendici Meridionali del Monte Mutria»;

   la legge della regione Campania n. 6 del 2016, articolo 15, comma c), d) ed f), prevede la non idoneità all'installazione di impianti eolici con potenza superiore ai 20 megavatt in determinate aree;

   il decreto autorizzativo non appare assicurare il rispetto delle procedure previste dalle linee guida per l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili di cui al decreto ministeriale 10 settembre 2010, n. 47987, soprattutto con riferimento alla Parte IV (inserimento degli impianti nel paesaggio e sul territorio), punti 16 e 17 e rispettivi allegati;

   con atto n. 717 del 28 aprile 2017 il consigliere della regione Campania del Movimento 5 Stelle Vincenzo Viglione ha elaborato una interrogazione sulla medesima problematica –:

   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della situazione sopra descritta e quali iniziative, per quanto di competenza intendano intraprendere al fine di tutelare l'area all'interno della quale si è tentato di installare le pale eoliche, tenendo in debita considerazione la legittima tutela del territorio, dell'ecosistema e del paesaggio in un luogo che costituisce sito di interesse comunitario e zona speciale di conservazione;

   quali iniziative si intendano assumere per garantire, in questo caso e in quelli analoghi, la piena applicazione della normativa recata dal decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'ambiente e con il Ministro per i beni e le attività culturali, del 10 settembre 2010, recante le linee guida per l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili;

   quali iniziative di verifica e di controllo siano state assunte, per quanto di competenza, in ordine alla situazione sopra descritta e quali altre saranno messe in atto.
(4-16810)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  Si fa presente, in via preliminare, che secondo quanto riferito dalla regione Campania, l'autorizzazione alla costruzione e all'esercizio dell'impianto di produzione di energia elettrica mediante tecnologia eolica è avvenuta con provvedimento della regione – direzione generale per lo sviluppo economico con decreto dirigenziale regionale n. 999 del 31 ottobre 2014. Per quanto concerne, invece, il procedimento di verifica di assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale, integrata con la valutazione d'incidenza, lo stesso si è concluso con i decreti n. 114 del 2008, n. 193 del 2011 e n. 78 del 2013, con i quali è stato espresso parere favorevole di compatibilità ambientale con prescrizioni, i cui esiti, sempre secondo quanto riferito dall'Amministrazione regionale, non risultano aver formato oggetto di impugnazione e sono stati trasfusi nel provvedimento autorizzatorio sopra citato.
  Inoltre, per quanto concerne i piani di assestamento forestali (P.a.f.), la regione Campania ha evidenziato, altresì, che la legge regionale n. 11 del 1996 prevede che con gli stessi, con validità decennale, vengano pianificate le attività relative ai soli beni silvo-pastorali di proprietà dei comuni e degli enti pubblici e dispone che debbano contenere solo «precise indicazioni circa le modalità per il godimento dei diritti di uso civico da parte degli aventi diritto in base alla legge regionale del 17 marzo 1981, n. 11».
  La normativa forestale in vigore nonché la legge regionale n. 11 del 1996 non dispongono che i Paf debbano pianificare la gestione di beni di natura diversa da quelli silvani e pastorali. Per di più, la regione fa presente che, nella fattispecie, le aree gravate da uso civico di categoria A (ovvero bosco e pascolo,
ope legis) sono state oggetto, ai sensi dell'articolo 12 della legge n. 1766 del 1927, di un provvedimento di mutazione di destinazione d'uso, coerentemente alle disposizioni dettate dall'articolo 4, comma 2, lettera n) della legge regionale n. 13 del 2008.
  Sempre secondo quanto riferito dalla regione Campania, il comune di Morcone (BN) aveva avviato l'iter istruttorio per l'aggiornamento e modifica del suo Piano di assestamento forestale, vigente per il decennio 2007/2016. Detta istruttoria non si è tuttavia conclusa entro il termine della vigenza del Paf (31 dicembre 2016).
  Pertanto, la regione Campania, con le note del 5 gennaio 2017 e del 17 febbraio 2017, ha comunicato all'Ente l'archiviazione del procedimento in questione.
  Successivamente, il comune di Morcone con nota del 13 febbraio 2017, ai sensi del disposto della legge regionale n. 11 del 1996, ha chiesto di «tramutare la richiesta di modifica ed aggiornamento del Paf, in richiesta di revisione». Al riguardo, la regione ha raccomandato al comune, nella redazione della revisione del proprio Paf, per le motivazioni sopra espresse, di escludere le aree destinate a parco eolico dalla futura pianificazione forestale e di individuarle, in ogni caso, chiaramente.
  Tanto premesso, per lo specifico caso, la regione Campania ha segnalato di non ravvisare la necessità della presenza di un Paf, vigente all'atto dell'avvio delle opere già autorizzate con decreto dirigenziale regionale n. 999 del 31 ottobre 2014, data in cui il Paf 2007/2016 era ancora in vigore, poiché i terreni di uso civico in questione hanno perso, ancorché in via temporanea, la loro originaria destinazione silvo-pastorale trattandosi, oramai, di un'area non altrimenti utilizzabile nelle forme di legge, come esplicitamente dichiarato nella deliberazione di Consiglio comunale di Morcone n. 17 del 10 settembre 2013.
  Peraltro, la regione sottolinea che, anche per l'esigua estensione dei terreni oggetto della mutata destinazione d'uso, non viene compromesso l'esercizio dei diritti civici da parte degli aventi diritto, che possono soddisfarli sulla restante massa demaniale civica estesa circa 540 ettari, in base al decreto del Regio commissario per la liquidazione degli usi civici in Napoli di assegnazione terreni a categoria del 13 maggio 1939.
  Pertanto, alla luce di tutte le considerazioni innanzi espresse, l'amministrazione regionale ha evidenziato che non sono venute meno le condizioni in ordine al mutamento di destinazione d'uso delle particelle 7, Fg. 39 e 1, Fg. 73 site in agro di Morcone, gravate da uso civico, già assentito dalla regione. Quest'ultima avrà cura di vigilare che nella revisione del Paf, di Morcone, attualmente in corso, le aree destinate ad impianti eolici siano escluse dalla futura pianificazione forestale e individuate, in ogni caso, chiaramente, come da prescrizioni già impartite al comune interessato.
  Della questione sono comunque interessate diverse amministrazioni, pertanto, qualora dovessero pervenire ulteriori elementi informativi, si provvederà a fornire un aggiornamento.
  Alla luce delle informazioni esposte, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a tenersi informato e a svolgere un'attività di monitoraggio, anche al fine di valutare un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   MINNUCCI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:

   la legge n. 633 del 1941 sul diritto d'autore disciplina il processo di raccolta e prima distribuzione dei compensi di cui hanno diritto, tra gli altri, i produttori originari di opere audiovisive e i produttori di videogrammi. La predetta legge dispone che la Siae incassi detti compensi e ne ripartisca il settanta per cento, in parti uguali, tra i soggetti sopra specificati compresi gli artisti, interpreti ed esecutori;

   nonostante i dettami normativi, però, risulta che la Siae ad oggi corrisponda la totalità dei compensi incassati solo a tre associazioni di categoria (Univideo, Anica e Apt), considerate come maggiormente rappresentative, indipendentemente dal fatto che i produttori siano o meno associati alle predette associazioni maggiormente rappresentative;

   alcuni produttori di opere audiovisive italiani e stranieri non associati hanno, così, proceduto a richiedere a Siae, attraverso la formazione di una nuova organizzazione collettiva, di poter ricevere quanto loro spettante già per le competenze relative al 2012, ma né Siae né le associazioni di categoria menzionate hanno risposto alle richieste presentate né tantomeno si sono dimostrate favorevoli all'apertura di un qualsiasi tavolo di confronto per risolvere la controversia;

   il sistema in atto, evidentemente, crea un'inspiegabile disparità di trattamento, che produrrà peraltro effetti anti competitivi nei confronti di tutte le altre organizzazioni, ancor più inspiegabile se si pensa che Siae è ad oggi oggetto di un'istruttoria da parte dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato per uso di posizione dominante (A508 – provvedimento n. 265319), e che le stesse associazioni di categoria sono state persino riconosciute incapaci ed inefficienti nell'ambito dell'attività di distribuzione dei compensi, così come da sentenza della corte di appello di Roma n. 570/2017;

   infine, si sottolinea che le associazioni di produttori di fonogrammi e videogrammi che gestiscono i compensi per copia privata sono state esentate dal costituirsi in organismi di gestione collettiva, o entità di gestione indipendente, così come disposto dall'articolo 8, comma 4, del decreto legislativo 15 marzo 2017, n. 35, a giudizio dell'interrogante in evidente contrasto con la direttiva 2014/26/UE –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione sopra descritta e quali iniziative di competenza intenda intraprendere, anche sul piano normativo, al fine di ovviare alle disparità sopra descritte.
(4-18876)

  Risposta. — Si riscontra l'atto di sindacato ispettivo indicato in esame, con il quale l'interrogante ha chiesto notizie riguardo alla corresponsione dei compensi per copia privata incassati dalla Siae con riferimento a opere audiovisive e videogrammi.
  Al riguardo, sulla base degli elementi forniti dalla competente direzione generale biblioteche e istituti culturali, si rappresenta quanto segue.
  L'articolo 71-
octies, comma 3, della legge n. 633 del 1941 prevede che la Siae ripartisca la quota copia privata video in misura del 30 per cento agli autori e del 70 per cento, in parti uguali, ai produttori originari di opere audiovisive, ai produttori di videogrammi e agli artisti interpreti esecutori.
  Tale ripartizione, ai sensi del richiamato articolo di legge, può essere effettuata dalla Siae anche per il tramite delle associazioni maggiormente rappresentative delle categorie interessate. Al 2016, tali associazioni erano le seguenti:
  

   Apt, con riferimento alla parte relativa all'audiovisivo/tv;
   

   Anica, con mandato a Anica Servizi s.r.l., relativamente alla quota parte di spettanza del settore audiovisivo/Cinema;
   

   Univideo, con mandato ad Asea s.r.l., per la quota parte di spettanza dei produttori di videogrammi.
   

  Gli accordi sottoscritti con la Siae (a partire dal 1998 e periodicamente rinnovati) hanno sempre previsto l'impegno delle associazioni a ripartire le somme anche nei confronti di produttori non associati, ciascuna per il proprio settore.
  Anica e Apt, intermediarie della quota di spettanza del medesimo settore, hanno sempre condiviso le relative percentuali, successivamente comunicandole alla Univideo, in qualità di unica associazione maggiormente rappresentativa dei produttori di videogrammi, ha sempre distribuito l'intera quota spettante al settore
ex lege.
  Inoltre, gli accordi sottoscritti tra le predette associazioni e Siae, hanno sempre contemplato la possibilità di ingresso nel comparto di nuovi soggetti mediante l'inclusione della clausola per cui, in detta ipotesi, la ripartizione è sospesa sino alla rideterminazione delle rispettive quote di rappresentatività.
  In tal senso, gli accordi hanno sempre anche previsto che alla determinazione delle quote di rappresentatività le associazioni dovranno provvedere in tempi ragionevoli, al fine di non pregiudicare gli interessi degli aventi diritto appartenenti alla categoria.
  Quanto alle richieste, concernenti l'ammontare dei compensi per copia privata a partire dal 2012, presentate da alcuni produttori di opere audiovisive (italiani e stranieri) afferenti ad una neo costituita associazione di categoria maggiormente rappresentativa, da quel che consta, la Siae ha provveduto ad informare tale associazione, comunicando l'ammontare dei compensi — già ripartiti — a far data dal 2012.
  Corre l'obbligo di ricordare, infatti, che nel 2016 si è affacciato sul mercato un nuovo soggetto che, nel rappresentare di aver ricevuto mandato da diverse imprese del comparto audiovisivo, cinematografico e videografico, ha ufficializzato alla Siae di voler direttamente percepire la quota del compenso di spettanza dei propri associati. La Siae ha perciò informato, con apposita nota del 29 novembre 2016, tutte le associazioni interessate della necessità di sospendere gli accordi in vigore per rideterminare le quote di spettanza, provvedendo al contempo a sospendere l'attività di ripartizione a far data dalle competenze relative all'anno in corso (2016), sino alla composizione di una posizione condivisa tra tutti i soggetti coinvolti.
  A quel che risulta, alle parti è stata data ampia facoltà, sino al primo semestre del 2017, di raggiungere un accordo mediante l'intervento fattivo di Siae.

  Tuttavia le parti non sono pervenute ad una posizione condivisa, per cui la Siae, nell'interesse degli aventi diritto, ha provveduto a ripartire, nel mese di luglio 2017, in via del tutto prudenziale, un primo acconto dei compensi per copia privata sulle competenze del 2016 tra i tre soggetti originariamente sottoscrittori dell'accordo, differendo la ripartizione di un secondo acconto all'esito di ulteriori approfondimenti.
  Stante la rilevanza del tema, attesa la necessità di approfondire e di addivenire a criteri di ripartizione il più possibile condivisi, la Siae ha recentemente provveduto a convocare un tavolo di confronto tra tutte le associazioni di categoria, al contempo portando a conoscenza dell'intera vicenda l'AgCom affinché, nella sua qualità di autorità vigilante sulla corretta attuazione del decreto legislativo n. 35 del 2017, possa monitorare l'andamento delle trattative.
  Occorre rilevare, infine, che l'esclusione disposta dall'articolo 8, comma 4, del decreto legislativo n. 35 del 2017, secondo cui la distribuzione dell'equo compenso da parte delle associazioni di produttori di fonogrammi, opere audiovisive e videogrammi non costituisce attività di amministrazione ed intermediazione dei diritti connessi al diritto d'autore, e dunque non è soggetta alla disciplina del decreto legislativo n. 35 del 2017, non è soltanto pienamente compatibile con la normativa europea di riferimento, ma è anche necessaria al fine di garantirne il corretto recepimento nell'ordinamento nazionale.
  In primo luogo, si osserva che il diritto all'equo compenso per copia privata non è pienamente assimilabile ad un diritto d'autore o ad un diritto connesso al diritto d'autore, costituendo essenzialmente un indennizzo dovuto ai titolari dei diritti (sia d'autore che connessi al diritto d'autore), per controbilanciare il diritto alla «copia privata», riconosciuto a chi acquista ed utilizza per uso personale strumenti di riproduzione. Questa rilevante diversità rappresenta pertanto la prima ragione per cui la ripartizione dell'equo compenso non è assoggettata alla medesima disciplina, prevista per l'intermediazione del diritto d'autore.
  La direttiva 2014/26/UE, inoltre, circoscrive il proprio ambito di applicazione alla disciplina dell'attività degli organismi di gestione collettiva e, in misura minore, delle entità di gestione indipendente. Entrambe queste tipologie di soggetti, per quanto rileva in questa sede, sono definite come un «un organismo autorizzato ... a gestire i diritti d'autore o i diritti connessi ai diritti d'autore per conto di più di un titolare dei diritti, a vantaggio collettivo di tali titolari come finalità unica o principale» (articolo 3, paragrafo 1, lettere
a) e b) della direttiva 2014/26/UE).
  Dunque, solamente i soggetti che esercitano come finalità unica o principale l'attività di intermediazione e gestione di diritti d'autore o di diritti connessi al diritto d'autore sono soggetti a tale disciplina europea e, di conseguenza, a quella nazionale di recepimento. Ne consegue che non possono trovare applicazione, con riferimento alle associazioni di produttori di fonogrammi, opere audiovisive e videogrammi, le disposizioni del decreto legislativo n. 35 del 2017, atteso che queste associazioni non svolgono quale attività unica o principale la redistribuzione degli importi riconosciuti a titolo di equo compenso. L'imposizione a questi soggetti dei rilevanti oneri, soprattutto di natura organizzativa, previsti per gli organismi di gestione collettiva, si configurerebbe perciò come un'ipotesi di
gold plating, non consentita dall'ordinamento europeo.
  Occorre infine rilevare che, anche a seguito di una recente pronuncia del Consiglio di Stato (Cons. St. sez. VI, 25 ottobre 2017, n. 938/2017), sarà comunque necessario intervenire complessivamente sul sistema di regole della copia privata e del relativo equo compenso.
  

Il Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali e il turismo: Antimo Cesaro.


   MIOTTO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:

   al fine di promuovere lo sviluppo della cultura e la conoscenza del patrimonio culturale, la legge 28 dicembre 2015, n. 208 ha assegnato ai giovani che hanno compiuto diciotto anni nell'anno 2016, residenti in Italia, in possesso di permesso di soggiorno ove richiesto, un bonus di euro 500, utilizzabile per l'acquisto di: biglietti per assistere a rappresentazioni teatrali e cinematografiche e spettacoli dal vivo, libri, ingresso a musei, mostre ed eventi culturali, monumenti, gallerie, aree archeologiche, parchi naturali;

   le modalità di attribuzione e utilizzo del bonus sono state definite con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 15 settembre 2016 n. 187;

   tale bonus operativo dal 3 novembre 2016 e utilizzabile fino al 31 dicembre 2017, può essere speso dagli aventi diritto che si sono iscritti entro il 30 giugno 2017 (questo termine, inizialmente posto al 31 gennaio 2017, è stato così prorogato dal decreto-legge 30 dicembre 2016, n. 244 articolo 11, comma 2) alla piattaforma 18App;

   l'amministrazione responsabile per l'attuazione del decreto è il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo che si avvale dell'Agenzia per l'Italia digitale e delle società Sogei e Consap, mentre l'attività di comunicazione istituzionale è curata dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, Dipartimento per l'informazione e l'editoria;

   gli aventi diritto nati nel 1998 sono 574.953 dei quali solo 351.522 si sono iscritti entro il 30 giugno 2017 alla piattaforma 18App per usufruire del bonus;

   le risorse stanziate inizialmente – 290 milioni di euro – sono state utilizzate solo in parte (il totale dei bonus spesi dai nati nel ’98, a settembre 2017, ammonta a 86,3 milioni di euro circa);

   tra gli aventi diritto che si sono iscritti entro il 30 giugno 2017, acquisendo quindi a pieno titolo il diritto ad utilizzare il bonus, in molti stanno riscontrando problemi legati all'emissione del bonus, a causa di problemi tecnici relativi alla piattaforma 18app e al sistema di accreditamento tramite il Sistema pubblico di identità digitale (Spid), come rilevabile da trasmissioni radiofoniche di denuncia, da petizioni popolari e addirittura dalle informazioni fornite sui social dalla comunicazione istituzionale dedicata (numero verde, facebook) –:

   se il Governo sia a conoscenza dei problemi esposti in premessa;

   se non ritenga di dover intervenire per garantire agli aventi diritto che hanno eseguito correttamente la procedura prevista, l'effettiva erogazione del bonus nei termini previsti per l'utilizzo (31 dicembre 2017) valutando, se del caso, di assumere iniziative per una proroga di tali termini.
(4-18137)

  Risposta. — Si riscontra l'atto di sindacato ispettivo in esame con il quale l'interrogante chiede al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo quali iniziative intende assumere per incrementare il livello di consumo di prodotti culturali da parte dei giovani e rendere efficiente il funzionamento del bonus di cui alla legge 28 dicembre 2015, n. 208, comma 979, ai sensi del quale: «ai cittadini residenti nel territorio nazionale, in possesso, ove previsto, di permesso di soggiorno in corso di validità, i quali compiono diciotto anni di età nell'anno 2016, è assegnata, nel rispetto del limite di spesa di cui al comma 980, una Carta elettronica. La Carta, dell'importo nominale massimo di euro 500 per l'anno 2016, può essere utilizzata per assistere a rappresentazioni teatrali e cinematografiche, per l'acquisto di libri nonché per l'ingresso a musei, mostre ed eventi culturali, monumenti, gallerie, aree archeologiche, parchi naturali e spettacoli dal vivo.».
  Con riferimento agli specifici quesiti contenuti nell'interrogazione in oggetto, si risponde in base ai dati forniti dai competenti uffici del ministero.
  Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 15 settembre 2016, n. 187, pubblicato nella
Gazzetta Ufficiale — serie generale n. 242 del 17 ottobre 2016 si è data attuazione all'articolo 1, comma 979, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 che ha introdotto il «bonus cultura» per i diciottenni ovvero ha riconosciuto la possibilità di erogare 500 euro in favore di quei giovani che hanno compiuto la maggiore età nel 2016 affinché possano assistere a rappresentazioni teatrali e cinematografiche, acquistare libri (categoria comprendente ebook e audiolibri), nonché i titoli di ingresso a musei, mostre ed eventi culturali, monumenti, gallerie, aree archeologiche, parchi naturali e spettacoli dal vivo.
  Il relativo all'articolo 3, comma 2, ha stabilito che i dati anagrafici sono accertati attraverso il sistema pubblico per la gestione dell'identità digitale di cittadini e imprese (Spid) dando così attuazione all'articolo 64 del decreto legislativo n. 82 del 2005 (codice dell'amministrazione digitale), il quale prevede che per favorire la diffusione di servizi di rete e agevolare l'accesso agli stessi da parte di cittadini e imprese, anche in mobilità, è istituito, a cura dell'agenzia per l'Italia digitale (AgID), il sistema pubblico per la gestione dell'identità digitale di cittadini e imprese.
  Le modalità per l'attribuzione dell'identità digitale sono contenute nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 24 ottobre 2014, che ha trovato piena applicazione nell'iniziativa in oggetto.
  Ai quattro
provider già autorizzati dall'AgID a rilasciare l'identità digitale, cioè Poste italiane, Tim, Infocert e Sielte recentemente si sono aggiunti Aruba, Namirial e SpidItalia. È inoltre possibile richiedere lo SPID anche utilizzando, qualora se ne sia già in possesso, una carta d'identità elettronica, una carta nazionale dei servizi (Cns) o la firma digitale. In questi ultimi casi si può completare la registrazione totalmente online tramite un lettore di smart card da collegare al computer.
  Tutte le informazioni sono rinvenibili sul sito
www.18app.italia.it, che rinvia laddove occorre e per la specifica competenza al sito www.spid.gov.it, oltre a contenere in appositi link ubicati nel footer della homepage indicazioni e spiegazioni, distinte per argomento.
  Ai sensi dell'articolo 7 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 187 del 2016 gli esercenti presso i quali è possibile utilizzare la carta, sia con acquisti fisici — cioè recandosi direttamente presso l'esercizio commerciale — che
online, sono inseriti in un apposito elenco, al quale si possono registrare utilizzando le credenziali fornite dall'agenzia delle entrate, quindi con la semplice indicazione della partita Iva, del codice Ateco dell'attività prevalentemente svolta, della denominazione e dei luoghi dove viene svolta l'attività, della tipologia dei beni e dei servizi che l'esercente offre tra quelli oggetto dell'iniziativa, ovvero, come previsto dall'articolo 5, comma 2, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 187 del 2016, già sopra elencati.
  L'adesione è quindi su base volontaria, eccezion fatta per le strutture museali e i luoghi della cultura del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, che sono stati inseriti di default nell'elenco.
  Consapevole del numero degli esercenti che potenzialmente svolgono attività molto affini allo spirito dell'iniziativa di promozione della cultura e dell'avvicinamento ad essa dei giovani diciottenni, ma il cui codice Ateco dell'attività prevalentemente svolta non è direttamente riconducibile ad essa (si pensi ad esempio ai tanti ipermercati specializzati ormai anche nella vendita dei libri), il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ha attivato una casella di posta elettronica certificata
18app@mailcert.beniculturali.it, alla quale i suddetti esercenti possono richiedere comunque l'iscrizione all'elenco ex articolo 7 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, previa breve descrizione dell'attività normalmente svolta, nella quale si devono evidenziare le affinità con gli ambiti previsti dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri e, soprattutto, il codice Ateco secondario che le identificano. Questa procedura ha consentito finora a 1.200 esercenti di potersi iscrivere all'iniziativa.
  I diciottenni iscrittisi alla 18app entro il 30 giugno 2017, termine previsto dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 187 del 2016 sono stati 351.522 su una popolazione di residenti stimata in 576.953, come da relazione tecnica allegata al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri sopra citato, a cui corrisponde un plafond impegnato di euro 175.761.000 rispetto ai 290 milioni stanziati per l'iniziativa.
  Sono stati generati 4.760.768 buoni di spesa, di cui 2.121.752 per acquisti «fisici» e 2.639.016 da spendere mediante operazioni
e-commerce. I coupon validati dagli esercenti, cioè presentati all'incasso sono:

   1.678.584 per gli acquisti fisici, a cui corrisponde una spesa pari ad euro 52.755.055,70;

   1.749.149 per gli acquisti online, per una spesa pari ad euro 65.664.992,98.

  Al 30 giugno 2017 gli esercenti iscritti (intendendo con ciò i punti vendita presso cui è possibile effettuare gli acquisti, sia fisici che online) erano 5.684.
  La legge 11 dicembre 2016, n. 232, all'articolo 1, comma 626, ha esteso l'iniziativa anche ai ragazzi nati nel 1999, che compiono dunque la maggiore età nel 2017, ampliando il ventaglio dei beni acquistabili col bonus aggiungendo la musica registrata (intendendo con cd, dvd musicali e musica
online, corsi di musica, di teatro e di lingua straniera).
  Con
Gazzetta Ufficiale n. 218 del 18 settembre è stato pubblicato il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 136 del 4 agosto 2017, attuativo della norma sopra richiamata e modificativo del precedente n. 187 del 18 settembre 2016. Dal 19 settembre 2017 è consentito dunque ai neo diciottenni l'iscrizione alla 18app.
  Si rappresenta, infine, che la legge 27 dicembre 2017, n. 205, che ha approvato il bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2018 e il bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020, le disposizioni di cui all'articolo 1, comma 979, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, sono state prorogate ai soggetti che compiono la maggiore età negli anni 2018 e 2019.
  Nella manovra sono infatti inclusi 290 milioni di euro annui che confermano la card da 500 euro per i giovani residenti in Italia che compiono 18 anni.
  Nel testo della legge manca una norma specifica, come avvenuto negli anni passati, ma le risorse sono state inserite nel bilancio di previsione di questo ministero mediante rifinanziamento del relativo capitolo di spesa n. 1430 «Somma per l'assegnazione ai cittadini che compiono diciotto anni nel 2018 di una carta elettronica da utilizzare per rappresentazioni teatrali e cinematografiche, nonché per l'ingresso a musei, mostre, eventi culturali e spettacoli dal vivo...».
  Aver favorito il consumo culturale dei giovani nelle sue diverse tipologie, aver attivato canali di comunicazione dedicati tra l'amministrazione e i giovani, aver dotato di Spid una ampia fascia di neo diciottenni, aver sollecitato l'innovazione tecnologica anche presso gli esercenti e, in particolare, negli istituti e luoghi della cultura, ha consentito, sulla base dei predetti risultati positivi, di proporre la proroga del bonus in questione.
  La legge di bilancio 2018, conferma, dunque, l'impegno del Governo a favore della cultura e dei giovani.

Il Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali e il turismo: Antimo Cesaro.


   NACCARATO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   Sesa spa (società estense servizi ambientali) ha sede nel comune di Este (Padova) in via Comuna;

   Sesa è al 51 per cento di proprietà del comune di Este e al 49 per cento di proprietà della società Finam Group spa di Angelo Mandato, che è anche vice presidente del consiglio di amministrazione di Sesa;

   l'azienda si occupa di raccolta, lavorazione, trasformazione, smaltimento di diverse tipologie di rifiuti;

   i cittadini dei comuni interessati dal servizio di Sesa lamentano la presenza di forti odori che provengono dagli impianti di via Comuna e dai terreni agricoli presenti, nella zona;

   gli stessi cittadini manifestano forti preoccupazioni per l'aumento del volume di rifiuti trattati negli impianti gestiti da Sesa e l'arrivo di ingenti quantità di rifiuti anche dal Sud Italia;

   inoltre, i comitati e le associazioni di cittadini hanno segnalato in più occasioni lo sversamento di «digestato» (fertilizzante che si ottiene dalla fermentazione anaerobica di biomasse con liquami o letami di origine animale) da parte del socio privato di Sesa sui terreni agricoli della bassa padovana;

   secondo i cittadini, in particolare, l'espansione di Sesa ha incrementato il fenomeno degli odori e lo spargimento di ingenti quantità di digestato nelle campagne;

   in questo territorio sono presenti diversi insediamenti quali mangimifici, aziende avicole e soprattutto impianti per la produzione di biomasse e impianti deputati alla biodigestione che concorrono alla produzione di odori ed esalazioni;

   oltre agli odori, le comunità locali hanno più volte denunciato pubblicamente una serie di fenomeni spiacevoli quali irritazioni cutanee, problemi respiratori, acque inquinate;

   gli stessi cittadini dubitano che il digestato sversato nei terreni sia in quantità conforme ai limiti di legge;

   i cittadini e le associazioni nelle quali si sono costituiti sono preoccupati per la salubrità dell'aria, per la qualità dell'acqua e per la salute pubblica;

   nel corso degli anni più volte cittadini ed amministratori locali si sono rivolti alle autorità competenti per la verifica del rispetto delle norme e della tutela della salute;

   recentemente l'attività di mobilitazione e protesta dei cittadini si è intensificata –:

   se il Ministro sia al corrente dei fatti sopra esposti;

   se e quali iniziative intenda assumere per quanto di competenza, anche per il tramite del comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente per verificare lo stato dei luoghi, a tutela dell'ambiente e della salute dei cittadini di Ospedaletto Euganeo (Padova), Este (Padova) e della bassa padovana, promuovendo altresì controlli mirati a verificare il rispetto delle norme in relazione agli sversamenti di digestato nei terreni agricoli interessati.
(4-17472)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa alle attività dell'azienda S.E.S.A s.p.a. ubicata nel comune di Este, nel basso padovano, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  La regione Veneto ha riferito che l'Agenzia regionale per la prevenzione e protezione ambientale del Veneto, debitamente interessata della questione, ha comunicato di aver effettuato controlli nell'ambito delle ispezioni integrate ambientali programmate e verifiche puntuali a seguito di segnalazioni da parte di enti o di privati cittadini.
  Nella fattispecie, l'installazione S.E.S.A. S.p.a. è costituita principalmente da 3 sezioni impiantistiche deputate al recupero e allo smaltimento dei rifiuti (impianto di digestione anaerobica e compostaggio, discarica, impianto di selezione) e di unità destinate alla produzione e distribuzione di energia elettrica e termica.
  Le diverse sezioni impiantistiche sono attualmente autorizzate con i seguenti provvedimenti:

   decreto regionale del direttore area tutela sviluppo territorio n. 38 del 12 maggio 2017 per quanto riguarda l'impianto di compostaggio e di biodigestione anaerobica;

   provvedimento provinciale n. 333/IPPC/2016 del 13 maggio 2016 per quanto riguarda l'impianto di smaltimento (discarica);

   provvedimento provinciale n. 55091EC/2012 del 15 maggio 2012 per quanto riguarda l'impianto di selezione.

  Sempre secondo quanto riferito dalla regione, i controlli previsti dall'autorizzazione integrata ambientale sono condotti nel rispetto dei relativi piani di monitoraggio e controllo e gli esiti vengono poi trasmessi, tramite opportuna relazione, agli enti competenti.
  Nel corso di tali controlli periodici operati dall'Agenzia regionale per la prevenzione e protezione ambientale del Veneto la gestione degli impianti è risultata essere conforme alle prescrizioni autorizzative senza impatto significativo sulle matrici ambientali, mentre le campagne di monitoraggio della qualità dell'aria tramite radielli hanno evidenziato valori di sostanze organiche volatili confrontabili con le aree urbane.
  Per quanto riguarda i controlli puntuali derivanti da segnalazioni o da richieste pervenute dagli enti territoriali, questi si sono rivolti sia al controllo sul materiale in uscita dagli impianti e destinato allo spandimento sul terreno agricolo, sia alla verifica della presenza di odori nel territorio correlata all'esercizio dell'impianto.
  Al fine di comprendere con maggior dettaglio le modalità e i tempi con i quali vengono effettuate le attività di spandimento degli ammendanti è stato richiesto alla S.E.S.A. s.p.a. di trasmettere i piani di spandimento del compost e del digestato.
  In questo modo sarà possibile per l'Agenzia regionale per la prevenzione e protezione ambientale del Veneto programmare ed effettuare controlli mirati relativamente all'utilizzo agronomico contempo, cercare di individuare con l'adozione di opportune metodiche, l'origine dei diversi odori correlata con la presenza nella zona della bassa padovana di altre fonti di pressione odorigena, quali allevamenti avicunicoli e suinicoli o altri impianti a biomassa.
  La regione Veneto ha evidenziato, altresì, che anche negli anni precedenti, periodo 2000-2015, i controlli effettuati dall'Agenzia regionale per la prevenzione e protezione ambientale del Veneto, pur accertando, in condizioni particolari, disagi relativi a odori correlabili a specifiche sostanze odorigene derivanti dall'esercizio dell'impianto, non hanno evidenziato rilievi tali da ricondursi ad inosservanze delle norme attualmente in vigore in materia di impatto olfattometrico.
  Sempre in merito alla questione odorigena, secondo quanto riferito dalla prefettura di Padova, il comune di Este ha avviato un'indagine in collaborazione con l'università di Udine per verificare se gli odori siano effettivamente in aumento e se gli stessi provengano da S.E.S.A. e per pervenire ad una definizione del problema, intervenendo su tutte le fonti odorigene del territorio di Este e di quello limitrofo del comune di Ospedaletto.
  Per quanto concerne la percentuale di rifiuti provenienti dal sud, secondo quanto riferito dalla prefettura, il dato non sarebbe in aumento ed anzi è rimasto invariato negli ultimi 4-5 anni ed è tendenzialmente destinato a diminuire.
  Per quanto concerne il digestato prodotto da biodigestore agricolo, sempre sulla base degli elementi informativi forniti dalla prefettura, esso non viene più distribuito in agricoltura dalla S.E.S.A. s.p.a. L'attività è stata interrotta per scelta autonoma della Società che ha deciso di trattarlo internamente, senza effettuare spandimenti sui terreni agricoli.
  Il comune di Este ha, da ultimo, rappresentato di non aver ad oggi ricevuto alcun referto medico o documento ufficiale da parte delle autorità competenti ai controlli relativo ai problemi respiratori e alle irritazioni cutanee indicati, né a fenomeni di inquinamento dell'acqua. Ad ogni buon conto, ha disposto un'accurata indagine epidemiologica che si sta concludendo e verrà presentata prossimamente, ma i primi dati in possesso sembrano indicare una corrispondenza con la media regionale.
  Alla luce delle informazioni esposte, si rassicura comunque che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare prosegue nella sua azione costante di monitoraggio senza ridurre in alcun modo lo stato di attenzione su tali questioni.
  

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   OLIARO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   nel comune di Sestri è di nuovo emergenza a causa dei troppi liquami provenienti dalla maxidiscarica di Scarpino;

   in merito alla situazione di collasso del sito della discarica di Scarpino causa le forti piogge le vasche di decantazione che raccolgono il percolato hanno tracimato nel Rio Cassinelle e Chiaravagna coprendo l'acqua con schiuma e odore irrespirabile creando il panico tra i residenti che già nei giorni precedenti a causa della abbondanti piogge avevano avvertito esalazioni di ammoniaca e disturbi come nausee, occhi rossi e gole irritate;

   l'assessore comunale all'ambiente Valeria Garrotta ha convocato nel suo ufficio i responsabili dell'igiene della Asl Tre, mentre il pm Cotugno ha chiesto una relazione ai vigili dell'ambiente;

   solo venerdì 17 gennaio 2014 nelle vasche erano arrivati 4 mila metri cubi di percolato in 24 ore, contro i 25 metri cubi che vengono raccolti in condizioni di normalità;

   come riporta la stampa locale, è stata data l'autorizzazione a riversare le acque sporche nei torrenti;

   tale situazione si è creata in seguito alle piogge prolungate e di notevole intensità che hanno colpito il territorio in questi giorni e che continueranno anche nei prossimi;

   Arpal sta effettuando altri accertamenti nel Rio Cassinelle per sapere quanto sia inquinato –:

   quali iniziative si ritenga opportuno assumere al fine di verificare, anche per il tramite del comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente, tale situazione di emergenza ambientale che le precipitazioni previste per i prossimi giorni rendono drammatica.
(4-03231)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa alla maxidiscarica di Scarpino nel comune di Sestri (GE), sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare, secondo quanto riferito dalla regione Liguria, si fa presente che alla data attuale la discarica di Scarpino risulta non operativa e sono in corso le attività di progettazione e realizzazione di interventi diretti ad un adeguamento complessivo dell'impianto alle disposizioni che disciplinano l'esercizio delle discariche, inclusa la costruzione di un impianto di trattamento del percolato prodotto dai precedenti lotti di coltivazione della stessa.
  La regione ha, inoltre, evidenziato, che le problematiche di tipo sanitario sono state verificate ed affrontate dalle autorità competenti nella contingenza dei fenomeni di sversamento del percolato nel periodo iniziale del 2014 e nel mese di ottobre dello stesso anno, nella contingenza di fenomeni piovosi di notevole intensità, e da allora non si sono più verificate.
  Per quanto riguarda la discarica di Scarpino relativamente all'impianto di depurazione del percolato ad osmosi inversa che dovrà essere istallato (potenzialità di 220 mc/h) si segnala quanto segue:

   l'importo a base di gara per le 6 annualità ammontava a euro 45.727.200 (euro 7.621.200 annui);

   la gara è stata esperita e l'intervento aggiudicato;

   i cronoprogrammi attualmente prevedono l'operatività di tale impianto per agosto 2018 (due mesi dopo quanto previsto in prima battuta);

   l’iter autorizzativo per il relativo scarico da parte della città metropolitana attualmente in fase conclusiva.

  In prospettiva lo scenario, che dovrà essere verificato nella valutazione di impatto ambientale relativa depuratore area centrale, prevede l'invio del percolato di Scarpino 1 e 2, tramite l'esistente condotta dedicata, al nuovo impianto di depurazione, depuratore area centrale DAC, aree ex Ilva, che dovrà garantire le idonee capacità di trattamento del percolato pretrattato. Il nuovo invaso di Scarpino 3 sarà invece totalmente separato dai precedenti per quanto riguarda raccolta e smaltimento del percolato che verrà inviato, tramite autobotti, ad impianto di smaltimento autorizzato.
  In data 18 gennaio 2018, il gestore Azienda multiservizi e igiene urbana ha inoltre presentato la documentazione progettuale integrativa relativa al nuovo invaso di Scarpino 3 e la città metropolitana di Genova convocherà a breve una specifica conferenza di servizi volta all'autorizzazione finale della nuova discarica, di cui si prevede l'operatività – per il primo lotto – a partire dal maggio 2018 (con potenziale abbancamento di rifiuti urbani trattati in altri impianti).
  Sempre secondo quanto riferito dalla Regione, l'Azienda multiservizi e igiene urbana ha inoltre in corso la progettazione dell'impianto di trattamento meccanico biologico (capacità prevista circa 100.000 t/anno) cui si affiancherà, nello stesso sito, un biodigestore anaerobico (capacità circa 60.000 t/anno).
  Alla luce di quanto esposto, si rassicura comunque che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per quanto di competenza, continuerà a tenersi informato ed a svolgere le proprie attività di monitoraggio e sollecito, senza ridurre in alcun modo il livello di attenzione sulla questione.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   PALESE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   l'articolo 3 del decreto-legge n. 243 del 2016 convertito dalla legge n. 18 del 2017 (pubblicata sulla Gazzetta ufficiale n. 49 del 28 febbraio 2017) istituisce un fondo da 1 milione di euro per l'anno 2017 per finanziare un piano straordinario di indagine di approfondimento teso alla verifica dello stato delle matrici ambientali al fine di scongiurare l'emergere di criticità dovute alla presenza dell'impianto di discarica in località Burgesi, nel comune di Ugento;

   allo scopo di finanziare la realizzazione del piano, da predisporre a cura della regione Puglia con la collaborazione di Arpa Puglia e Asl competente, nel bilancio del Ministero dell'ambiente è stato istituito un Fondo per la verifica dello stato di qualità delle matrici naturali in località Burgesi/Ugento con uno stanziamento, in termini di competenza e cassa, di 1 milione di euro per l'anno 2017;

   tale articolo, inserito nella relativa legge di conversione deriva da una proposta dell'interrogante, in seguito all'allarme suscitato dalle dichiarazioni di un pentito nell'ambito di una inchiesta della procura di Lecce e la stessa procura invitò regione, provincia di Lecce e comuni del territorio interessato, ad attivarsi quanto prima per procedere a campionamenti, verifiche, bonifiche;

   venne ipotizzato che nel territorio sottostante la discarica possano essere stati tombati rifiuti pericolosi e tossici, mettendo così a rischio la salute e la pubblica incolumità dei cittadini dei comuni di Ugento, Acquarica e Presicce;

   sull'onda di questi allarmi e di quelli in seguito arrivati anche formalmente dai sindaci dei comuni interessati, il Presidente della regione Puglia effettuò un sopralluogo tecnico nella discarica, garantendo che quanto prima i suoi uffici si sarebbero attivati;

   ad oggi non risulta all'interrogante che la regione Puglia si sia attivata per attingere al fondo istituito con l'articolo 3-ter del decreto n. 243 del 2016, né che sia stata avviata alcuna procedura per predisporre la realizzazione del Piano straordinario –:

   se quanto denunciato in premessa corrisponda al vero;

   se al Ministro interrogato risulti o meno che la regione si stia attivando per attingere al fondo istituito presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, ai sensi dell'articolo 3-ter del decreto-legge n. 243 del 2016, convertito dalla legge n. 18 del 2017;

   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda assumere per verificare quali azioni siano state compiute per la predisposizione del piano di cui in premessa per la cui realizzazione è stato istituito il suddetto fondo, tenendo conto che dall'esito delle verifiche sul territorio in cui insiste la discarica in località Burgesi dipende la tutela della salute pubblica di centinaia di migliaia di cittadini.
(4-16206)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa all'emergenza ambientale dell'impianto di discarica in località Burgesi (LE), sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  Nel merito, la prefettura di Lecce ha comunicato che la procura di Lecce, a conclusione delle indagini svolte, rispetto al traffico illecito di rifiuti nell'impianto sito in Ugento, in località Burgesi, nel dicembre 2016, ha notificato alla regione Puglia e al comune di Ugento una richiesta di archiviazione del procedimento penale nr. 12592 del 2016.

  Il pubblico ministero, nel disporre l'archiviazione, «visto l'elevato rischio ambientale emerso dalle indagini svolte», ha tuttavia previsto a carico del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, della regione Puglia e del comune di Ugento, l'adozione dei provvedimenti necessari alla bonifica del sito e al rispristino dei luoghi interessati dall'illecito smaltimento di rifiuti pericolosi. Con il medesimo provvedimento, ha inoltre delegato la polizia giudiziaria a nominare un ausiliario per «gli accertamenti richiedenti specifiche competenze, il monitoraggio dei pozzi di captazione del percolato, mediante mirate analisi tese alla ricerca del Pcb disponendo di effettuare, in caso di esito positivo, il monitoraggio delle acque di falda sia dei pozzi di discarica, sia su eventuali altri pozzi di captazione di acqua per scopi irrigui presenti nella zona e limitrofi alla stessa discarica».
  È stato pertanto avviato un percorso finalizzato all'individuazione delle iniziative da intraprendere.
  Sempre secondo quanto riferito dalla prefettura, nel corso delle riunioni, che hanno avuto luogo presso l'assessorato alla qualità dell'ambiente della regione Puglia e alle quali hanno partecipato l'Arpa Puglia, Asl Lecce, i comuni di Ugento, Acquarica del Capo e Presicce, è stata condivisa la necessità di implementare le azioni di monitoraggio della discarica e dell'area vasta, affidando all'Arpa Puglia e ad Asl Lecce la predisposizione di un piano di investigazione, nonché a definire sia le indagini da condurre sul corpo di discarica, sia le analisi da effettuare sulle componenti animali/vegetali e il set di sostanze da ricercare.
  Per quanto concerne i profili autorizzativi relativi alla discarica «Monteco s.r.l.», la medesima prefettura ha riferito che secondo quanto comunicato dalla regione Puglia, la sezione autorizzazioni ambientali, a seguito della nota del 25 gennaio 2017, con la quale i sindaci di Ugento, Acquarica del Capo e Presicce chiedevano il riesame dei rilievi effettuati dal Cnr sulle acque di falda e trasmessi all'autorità giudiziaria di Lecce, nell'ambito del citato procedimento penale, ha aggiornato il Piano di monitoraggio e controllo, incrementando la frequenza dei controlli per il monitoraggio delle acque sotterranee ed inserendo il monitoraggio dei parametri Pcb e Pcdd-Pcdf nella matrice acque sotterranee. Ha, inoltre, invitato Arpa Puglia ad effettuare con urgenza un'ispezione straordinaria sul corpo di discarica «Monteco s.r.l.», al fine di verificare il rispetto puntuale delle prescrizioni imposte al gestore.
  Per quanto concerne l'utilizzo del fondo da un milione di euro per l'anno 2017, istituito con l'articolo 3-
ter del decreto-legge n. 243 del 2016, convertito dalla legge n. 18 del 2017, per finanziare un piano straordinario di indagine e approfondimento dello stato delle matrici ambientali, finalizzato ad evitare le criticità connesse alla presenza dell'impianto di discarica in località Burgesi di Ugento, la regione Puglia ha riferito di aver approvato il «Piano Operativo di monitoraggio straordinario della falda idrica salentina, della rete di distribuzione potabile e dell'invaso del Locone» con delibera di giunta n. 1320 del 2 agosto 2017, con la quale si è inoltre dato atto che le attività di indagine e ricerca ricomprese nello stesso piano costituiscono atti di indirizzo per le attività richiamate nel piano straordinario per la verifica in località Burgesi, di cui all'articolo 3-bis della richiamata legge 27 febbraio 2017, n. 18.
  La regione ha riferito, inoltre, che con la sopracitata delibera, sono state attribuite ad Arpa Puglia, all'azienda sanitaria locale Lecce e all'istituto zooprofilattico sperimentale di Puglia e Basilicata, le attività ordinarie rispettivamente del piano annuale dei controlli ambientali e del Piano di prevenzione, prevedendo altresì la possibilità di stipulare eventuali convenzioni con liti sovraordinati per controlli di parte terza a valle dell'adozione del provvedimento di impegno delle risorse di cui alla legge 27 febbraio 2017, n. 18 da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.
  Circa il paventato utilizzo dello stesso fondo per fini diversi da quelli previsti dalla più volte richiamata legge 27 febbraio 2017, n. 18, la regione Puglia ha precisato che le attività di studio, indagine e ricerca indicate nel «Piano operativo di Monitoraggio e Controllo della contaminazione ambientale nell'ecosistema acquatico degli invasi del Locone e del Pertusillo» rientrano nell'ambito del Piano straordinario per la verifica ambientale in località Burgesi.
  Atteso che il sistema idrico salentino è alimentato prevalentemente dalla falda idrica salentina, vulnerabile agli inquinanti presenti in superficie a causa della natura carsica del sottosuolo, ma anche dalle acque del Pertusillo e di altri invasi a monte, la regione ha ritenuto necessario effettuare una caratterizzazione della qualità dell'acqua a monte, così da poter individuare la presenza di fonti di inquinamento lungo il tronco di distribuzione (discarica Burgesi).
  Pertanto, a parere della regione, il piano è incentrato sulla valutazione del possibile inquinamento dell'area interessata dalla discarica, con particolare riferimento alla eventuale contaminazione della falda.
  La regione ha inoltre evidenziato che la citata deliberazione di giunta non prevede alcun impegno di spesa, ma solo il rimando allo stesso centro di costo relativo ai monitoraggi che la regione Puglia intende potenziare con programmi straordinari.
  Con riferimento all'utilizzo del fondo istituito ai sensi della predetta legge, il Ministero dell'ambiente con decreto dirigenziale del 21 novembre 2017 ha impegnato a favore della regione Puglia la somma di euro 1.000.000,00 prevista dalla legge stessa.
  Il predetto decreto è stato trasmesso alla regione Puglia nel gennaio scorso, comunicando che il trasferimento delle risorse ivi previste, sarà valutato solo successivamente alla definizione del contenzioso (R.G n. 1832 del 2017 del 19 agosto 2017) avviato dal comune di Burgesi nei confronti della regione Puglia per l'annullamento, previa sospensione, della delibera della giunta della regione Puglia n. 567 del 18 aprile 2017: «Presa d'atto del Piano Operativo di monitoraggio e controllo della contaminazione ambientale nell'ecosistema degli invasi del Locone e del Pertusillo» e della delibera della giunta della regione Puglia n. 1320 del 2 agosto del 2017. «Presa d'atto del Piano Operativo di monitoraggio straordinario della falda idrica salentina, della rete di distribuzione potabile e dell'invaso del Locone. Modifica ed aggiornamento della DGR del 18 aprile 2017, n. 567», nonché di ogni altro atto connesso, presupposto e/o consequenziale.
  Per completezza di informazione, la prefettura ha riferito che il dipartimento di prevenzione della Asl Lecce ha comunicato che il servizio igiene degli alimenti e nutrizione (SIAN), competente per controlli delle acque destinate ad uso umano, ha avviato un piano di monitoraggio della falda acquifera nelle immediate vicinanze della località denominata «Burgesi».
  Il dipartimento di prevenzione di Asl Lecce ha inoltre ritenuto necessario approfondire in tutto il territorio provinciale il monitoraggio delle acque di falda utilizzate dalla popolazione ai fini della sicurezza e dell'igiene degli alimenti di origine animale e vegetale, elaborando il progetto «MINORE» che avrà come obiettivo il sopraindicato monitoraggio nelle zone a rischio di inquinamento per utilizzo dei prodotti fitosanitari non ancora monitorati come il glifosato e i suoi metaboliti.
  La versione definitiva del progetto, condiviso con l'assessorato della regione Puglia e con Arpa, è stata presentata alla direzione del dipartimento per la promozione della salute, benessere sociale, sport della regione Puglia per l'approvazione.
  Alla luce delle informazioni esposte, si rassicura comunque che il Ministero dell'ambiente e delle tutela del territorio e del mare, per quanto di competenza, continuerà a svolgere le proprie attività senza ridurre in alcun modo il livello di attenzione sulla questione.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   PALESE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   l'articolo 3-ter del decreto-legge n. 243 del 2016 convertito dalla legge n. 18 del 2017 (pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 49 del 2017) istituisce un fondo da 1 milione di euro per l'anno 2017 per finanziare un piano straordinario di indagine di approfondimento teso alla verifica dello stato delle matrici ambientali, al fine di scongiurare l'emergere di criticità dovute alla presenza dell'impianto di discarica in località Burgesi, nel comune di Ugento;

   allo scopo di finanziare la realizzazione del piano, da predisporre a cura della regione Puglia, con la collaborazione dell'Arpa Puglia e dell'asl competente, nel bilancio del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è stato istituito un fondo per la verifica dello stato di qualità delle matrici naturali in località Burgesi/Ugento con uno stanziamento, in termini di competenza e cassa, di 1 milione di euro per l'anno 2017;

   l'inserimento di tale articolo aggiuntivo, poi approvato, fu proposto dall'interrogante in seguito all'allarme suscitato dalle dichiarazioni di un pentito nell'ambito di una inchiesta della procura di Lecce e la stessa procura invitò regione, provincia di Lecce e comuni del territorio interessato, ad attivarsi quanto prima per procedere a campionamenti, verifiche, bonifiche;

   venne ipotizzato che nel territorio sottostante la discarica possano essere stati tombati rifiuti pericolosi e tossici, mettendo così a rischio la salute e la pubblica incolumità dei cittadini dei comuni di Ugento, Acquarica, Presicce;

   sull'onda di questi allarmi e di quelli in seguito arrivati anche formalmente dai sindaci dei comuni interessati, il presidente della regione Puglia effettuò un sopralluogo tecnico nella discarica garantendo che quanto prima i suoi uffici si sarebbero attivati;

   ad oggi non risulta all'interrogante che la regione Puglia si sia attivata per predispone la realizzazione del piano straordinario per Burgesi;

   risulta, invece, da notizie di stampa, che la giunta regionale pugliese avrebbe attinto al fondo istituito con l'articolo 3-ter del decreto n. 243 del 2016, non già per avviare il piano straordinario per Burgesi, ma per verificare la contaminazione da idrocarburi delle acque del Pertusillo;

   se quanto denunciato fosse vero, ciò sarebbe gravissimo e, ad avviso dell'interrogante, configurerebbe una irregolarità formale e materiale, oltre che un utilizzo improprio da parte della regione, di fondi che una legge dello Stato aveva vincolato ad altro utilizzo –:

   se quanto denunciato in premessa corrisponda al vero;

   se al Ministro interrogato risulti che la regione Puglia abbia attinto alle risorse del fondo citato per un utilizzo diverso da quello previsto dalla legge;

   in caso di accertamento di tale irregolarità, posto che il fondo è istituito nel bilancio del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, se non ritenga di assumere ogni iniziativa di competenza volta a pervenire all'immediata predisposizione del piano per Burgesi e a vincolare le risorse sopra indicate a tali finalità, tenendo conto che dall'esito delle verifiche sul territorio in cui insiste la discarica dipende la tutela della salute pubblica di centinaia di migliaia di cittadini.
(4-17027)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa all'emergenza ambientale dell'impianto di discarica in località Burgesi (Lecce), sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  Nel merito, la prefettura di Lecce ha comunicato che la procura di Lecce, a conclusione delle indagini svolte, rispetto al traffico illecito di rifiuti nell'impianto sito in Ugento, in località Burgesi, nel dicembre 2016, ha notificato alla regione Puglia e al comune di Ugento una richiesta di archiviazione del procedimento penale nr. 12592/2016.
  Il pubblico ministero, nel disporre l'archiviazione, «visto l'elevato rischio ambientale emerso dalle indagini svolte», ha tuttavia previsto a carico del Ministero dell'ambiente, della regione Puglia e del comune di Ugento, l'adozione dei provvedimenti necessari alla bonifica del sito e al ripristino dei luoghi interessati dall'illecito smaltimento di rifiuti pericolosi. Con il medesimo provvedimento, ha inoltre delegato la polizia giudiziaria a nominare un ausiliario per «gli accertamenti richiedenti specifiche competenze, il monitoraggio dei pozzi di captazione del percolato, mediante mirate analisi tese alla ricerca del PCB, disponendo di effettuare, in caso di esito positivo, il monitoraggio delle acque di falda sia dei pozzi di discarica, sia su eventuali altri pozzi di captazione di acqua per scopi irrigui presenti nella zona e limitrofi alla stessa discarica».
  È stato pertanto avviato un percorso finalizzato all'individuazione delle iniziative da intraprendere.
  Sempre secondo quanto riferito dalla prefettura, nel corso delle riunioni, che hanno avuto luogo presso l'assessorato alla qualità dell'ambiente della regione Puglia e alle quali hanno partecipato ARPA Puglia, ASL Lecce, i comuni di Ugento, Acquarica del Capo e Presicce, è stata condivisa la necessità di implementare le azioni di monitoraggio della discarica e dell'area vasta, affidando ad Arpa Puglia e ad ASL Lecce la predisposizione di un piano di investigazione, nonché a definire sia le indagini da condurre sul corpo di discarica, sia le analisi da effettuare sulle componenti animali/vegetali e il
set di sostanze da ricercare.
  Per quanto concerne i profili autorizzativi relativi alla discarica «Monteco s.r.l.», la medesima prefettura ha riferito che secondo quanto comunicato dalla regione Puglia, la sezione autorizzazioni ambientali, a seguito della nota del 25 gennaio 2017, con la quale i sindaci di Ugento, Acquarica del Capo e Presicce chiedevano il riesame dei rilievi effettuati dal CNR sulle acque di falda e trasmessi all'autorità giudiziaria di Lecce, nell'ambito del citato procedimento penale, ha aggiornato il piano di monitoraggio e controllo, incrementando la frequenza dei controlli per il monitoraggio delle acque sotterranee ed inserendo il monitoraggio dei parametri PCB e PCDD-PCDF nella matrice acque sotterranee. Ha, inoltre, invitato ARPA Puglia ad effettuare con urgenza un'ispezione straordinaria sul corpo di discarica «Monteco s.r.l.», al fine di verificare il rispetto puntuale delle prescrizioni imposte al gestore.
  Per quanto concerne l'utilizzo del fondo da un milione di euro per l'anno 2017, istituito con l'articolo 3-
ter del decreto-legge n. 243 del 2016 convertito dalla legge n. 18 del 2017, per finanziare un piano straordinario di indagine e approfondimento dello stato delle matrici ambientali, finalizzato ad evitare le criticità connesse alla presenza dell'impianto di discarica in località Burgesi di Ugento, la regione Puglia ha riferito di aver approvato il «Piano Operativo di monitoraggio straordinario della falda idrica salentina, della rete di distribuzione potabile e dell'invaso del Locone» con delibera di giunta n. 1320 del 2 agosto 2017, con la quale si è inoltre dato atto che le attività di indagine e ricerca ricomprese nello stesso piano costituiscono atti di indirizzo per le attività richiamate nel piano straordinario per la verifica in località Burgesi, di cui all'articolo 3-bis della richiamata legge 27 febbraio 2017, n. 18.
  La regione ha riferito, inoltre, che con la sopracitata delibera, sono state attribuite ad ARPA Puglia, all'azienda sanitaria locale Lecce e all'Istituto zooprofilattico sperimentale di Puglia e Basilicata, le attività ordinarie rispettivamente del piano annuale dei controlli ambientali e del piano di prevenzione, prevedendo altresì la possibilità di stipulare eventuali convenzioni con finti sovraordinati per controlli di parte terza a valle dell'adozione del provvedimento di impegno delle risorse di cui alla legge 27 febbraio 2017, n. 18 da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.
  Circa il paventato utilizzo dello stesso fondo per fini diversi da quelli previsti dalla più volte richiamata legge 27 febbraio 2017, n. 18, la regione Puglia ha precisato che le attività di studio, indagine e ricerca indicate nel «Piano operativo di Monitoraggio e Controllo della contaminazione ambientale nell'ecosistema acquatico degli invasi del Locone e del Pertusillo» rientrano nell'ambito del piano straordinario per la verifica ambientale in località Burgesi.
  Atteso che il sistema idrico salentino è alimentato prevalentemente dalla falda idrica salentina, vulnerabile agli inquinanti presenti in superficie a causa della natura carsica del sottosuolo, ma anche dalle acque del Pertusillo e di altri invasi a monte, la regione ha ritenuto necessario effettuare una caratterizzazione della qualità dell'acqua a monte, così da poter individuare la presenza di fonti di inquinamento lungo il tronco di distribuzione (discarica Burgesi).
  Pertanto, a parere della regione, il piano è incentrato sulla valutazione del possibile inquinamento dell'area interessata dalla discarica, con particolare riferimento alla eventuale contaminazione della falda.
  La regione ha inoltre evidenziato che la citata deliberazione di giunta non prevede alcun impegno di spesa, ma solo il rimando allo stesso centro di costo relativo ai monitoraggi che la regione Puglia intende potenziare con programmi straordinari.
  Con riferimento all'utilizzo del fondo istituito ai sensi della predetta legge, il Ministero dell'ambiente con D.D. del 21 novembre 2017 ha impegnato a favore della regione Puglia la somma di euro 1.000.000,00 prevista dalla legge stessa.
  Il predetto decreto è stato trasmesso alla regione Puglia nel gennaio 2018, comunicando che il trasferimento delle risorse ivi previste, sarà valutato solo successivamente alla definizione del contenzioso (R.G. n. 1832/17 del 19 settembre 2017) avviato dal comune di Burgesi nei confronti della regione Puglia per l'annullamento, previa sospensione, della delibera della giunta della regione Puglia n. 567 del 18 aprile 2017 «Presa d'atto del Piano Operativo di monitoraggio e controllo della contaminazione ambientale nell'ecosistema degli invasi del Locone e del Pertusillo» e della delibera della giunta della regione Puglia n. 1320 del 2 agosto 2017 «Presa d'atto del Piano Operativo di monitoraggio straordinario della falda idrica salentina, della rete di distribuzione potabile e dell'invaso del Locone. Modifica ed aggiornamento della DGR del 18 aprile 2017, n. 567», nonché di ogni altro atto connesso, presupposto e/o consequenziale.
  Per completezza di informazione, la prefettura ha riferito che il dipartimento di prevenzione della ASL Lecce ha comunicato che il servizio igiene degli alimenti e nutrizione (SIAN), competente per controlli delle acque destinate ad uso umano, ha avviato un piano di monitoraggio della falda acquifera nelle immediate vicinanze della località denominata «Burgesi».
  Il dipartimento di prevenzione di ASL Lecce ha inoltre ritenuto necessario approfondire in tutto il territorio provinciale il monitoraggio delle acque di falda utilizzate dalla popolazione ai fini della sicurezza e dell'igiene degli alimenti di origine animale e vegetale, elaborando il progetto «MINORE» che avrà come obiettivo il sopraindicato monitoraggio nelle zone a rischio di inquinamento per utilizzo dei prodotti fitosanitari non ancora monitorati come il Glifosato e i suoi metaboliti.
  La versione definitiva del progetto, condiviso con l'assessorato della regione Puglia e con Arpa, è stata presentata alla direzione del dipartimento per la promozione della salute, benessere sociale sport della regione Puglia per l'approvazione.
  Alla luce delle informazioni esposte, si rassicura comunque che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per quanto di competenza, continuerà a svolgere le proprie attività senza ridurre in alcun modo il livello di attenzione sulla questione.
  

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   PALESE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti del 4 agosto 2016, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 17 settembre 2016, n. 218, è stato stabilito il passaggio della proprietà di Ferrovie sud est dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti a Ferrovie dello Stato italiane;

   con l'approvazione di un emendamento presentato dall'interrogante al comma 7 dell'articolo 47 del decreto-legge n. 50 del 2017, che prevede il trasferimento a Ferrovie sud est di 70 milioni di euro da parte dello Stato, da utilizzare nell'ambito del piano di risanamento a copertura delle passività, fermi restando atti e provvedimenti precedenti, è stato definito l'obiettivo di blindare il processo di passaggio a Ferrovie dello Stato italiane, stabilire gli obblighi della nuova proprietà e garantire il risanamento della società con conseguente garanzia dei livelli occupazionali e del potenziamento e miglioramento dei servizi agli utenti;

   ad oggi non risulta che vi siano stati investimenti né interventi di alcun genere da parte di Ferrovie dello Stato italiane per aumentare i livelli di sicurezza, per sostituire il vecchio materiale rotabile, per migliorare in generale i servizi agli utenti che, invece, come dimostrano quotidianamente le cronache locali, continuano a peggiorare e ad essere tagliati con stazioni e biglietterie chiuse, collegamenti soppressi o costantemente in ritardo, convogli stracolmi, turisti e pendolari lasciati a terra per ore e giorni –:

   se il Ministro sia a conoscenza della situazione denunciata in premessa e se stia vigilando per verificare che Ferrovie dello Stato italiane adempia agli obblighi che la legge impone alla nuova proprietà;

   se esista un piano industriale di rilancio delle Ferrovie sud est, cosa preveda e a che punto di attuazione sia;

   se e come siano stati utilizzati i 70 milioni di euro aggiuntivi previsti dalla cosiddetta «manovrina»;

   se il Ministro non ritenga di dover chiedere conto a Ferrovie dello Stato italiane dell'attuale gestione disastrosa del trasporto pubblico locale salentino.
(4-17323)

  Risposta. — Con riferimento all'anno di sindacato ispettivo in esame, sulla base delle informazione pervenute dalla direzione generale per il trasporto pubblico locale di questo ministero, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  Va considerato che la Ferrovia del Sud-est – con l'incorporazione nel gruppo FS italiane e nell'ambito di una procedura concordataria e dei suoi conseguenti riflessi nell'attività gestionale – ha avviato un immediato e massiccio piano di investimenti infrastrutturali e del materiale rotabile, volto ad un tempestivo recupero della potenzialità dell'offerta e allo sviluppo di medio lungo periodo della qualità del servizio ferroviario e automobilistico.
  Nei primi mesi della nuova gestione, Ferrovie del Sud-est ha effettuato interventi in tutte le aree di
business, tra cui citiamo: un primo intervento di verifica delle caratteristiche geometriche e interventi di messa in sicurezza della rete; un successivo intervento strutturale delle linea 1 e linea 1BIS (linee con i maggiori volumi di passeggeri per circa 90 chilometri complessivi) attualmente in corso, che prevede il rifacimento completo della massicciata ferroviaria, l'automazione di numerosi passaggi a livello e l'istallazione del Sistema controllo marcia treno (SCMT); sempre in ambito ferroviario è iniziata una contestuale incisiva operazione di manutenzione straordinaria dei rotabili ferroviari. Nel settore automobilistico, gli interventi si sono concretizzati nell'acquisto di 69 pullman (20 per cento della flotta) e della loro progressiva immissione in servizio (con termine il 30 settembre), anche qui accompagnata da interventi manutentivi pesanti sulla rimanente flotta.
  Nel contempo è stato definito l'importante piano di investimenti di medio lungo termine (al 2021), che permetterà all'azienda di rinnovare completamente l'offerta ferroviaria con l'ingresso in esercizio di nuovi elettrotreni, il rifacimento delle principali stazioni della rete (attivazione sottopassi pedonali, innalzamento delle pensiline viaggiatori, rifacimento dei piani binari). Notevoli gli interventi anche nel settore automobilistico con l'acquisto di altri 70 mezzi (entro primo semestre 2018) che, assieme agli investimenti già attivati, porterà l'età della flotta da 15,6 anni a inizio 2017 a meno di 8 anni.
  Contestualmente sarà rivista l'intera struttura commerciale con l'incremento dei punti vendita e dei sistemi di bigliettazione e di controlleria, attivazioni di offerte intermodali ferro-gomma, rifacimento dell'interno sistema di informazione al pubblico, integrazione dell'offerta di Ferrovie del Sud-est con l'offerta di altri vettori ferroviari nazionali.
  Di seguito, il piano di investimenti varato ed in esecuzione.
  Piano di investimenti (per un totale di 523 milioni di euro — articolazione (per ogni intervento in parentesi è esposto il costo dell'operazione e la data di completamento prevista)).

  Flotta treni (77 milioni di euro):

   1) attrezzaggio Sistema controllo marcia treno di bordo 77 rotabili (inizio 2018);

   2) immissione in servizio 5 elettrotreni Newag (primo semestre 2018);

   3) immissione in servizio ulteriori 6 elettrotreni Newag (2019).

  Flotta bus (25 milioni di euro):

   1) acquisizione 69 bus usati (2017);

   2) acquisto 68 bus nuovi (2018);

   3) attrezzaggio intera flotta con equipment di bordo.

  Infrastruttura (421 milioni euro):

   1) attivazione Sistema controllo marcia treno anello di Bari (2018):

   2) elettrificazione linea Bari-Taranto via Casamassima (primo semestre 2018);

   3) rinnovo binari anello di Bari (2018);

   4) Sistema controllo marcia treno area Salento completamento rete (primo semestre 2019):

   5) installazione Rtb (2019);

   6) elettrificazione linee del Salento (2021);

   7) soppressione passaggio a livello Oberdan e passaggio a livello Accademia e opere sostitutive (2021);

   8) raddoppio parziale e interramento Triggiano (2022);

   9) nuovo polo intermodale di Mungivacca (2022);

   10) restyling e decoro stazioni per fasi (2017-2021);

   11) automazione passaggi a livello (2018-2021).

  In analitico, i costi dell'Infrastruttura sono così suddivisi:

   armamento – 80 milioni di euro;

   tecnologie sicurezza – 90 milioni di euro;

   passaggi a livello – 21 milioni di euro;

   opere civili: – 100 milioni di euro;

   elettrificazione – 130 milioni di euro.

  Inoltre, con riferimento al secondo quesito, la società Ferrovie del Sud-est comunica che il piano di rilancio, basato sulla realizzazione degli investimenti sopra elencati è accompagnato da misure gestionali e organizzative volte a ridisegnare i processi ferroviari al fine di ottenere il certificato di sicurezza da parte dell'agenzia italiana per la sicurezza delle ferrovie (ANSF); analoghe misure gestionali e organizzative riguardano il settore automobilistico.
  Infine, per quanto riguarda i 70 milioni di euro aggiuntivi, previsti dalla cosiddetta «manovrina», gli stessi saranno resi disponibili nel momento in cui Ferrovie del Sud- est avrà provveduto a rimuovere lo squilibrio patrimoniale.

Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti: Riccardo Nencini.


   PALMIERI e POLVERINI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:

   il 3 novembre 2016 il Parlamento ha approvato la legge n. 220 del 2016 recante la disciplina del cinema e dell'audiovisivo;

   la legge ha previsto tre deleghe al Governo ad adottare uno o più decreti legislativi in materia di tutela dei minori, di promozione delle opere europee e italiane e di rapporti di lavoro nel settore cinematografico e audiovisivo;

   la legge prevede inoltre, per essere attuata, l'emanazione di 25 decreti attuativi;

   a causa della mancata emanazione anche di un solo decreto legislativo le imprese del settore registrano notevoli difficoltà e per alcune sono a rischio la loro stessa sopravvivenza nonché i relativi posti di lavoro;

   si rendono quanto mai urgenti l'emanazione delle norme di attuazione e l'immediata operatività dei decreti per far ripartire la produzione –:

   a che punto sia la predisposizione degli schemi di decreti legislativi attuativi delle deleghe nonché l’iter di emanazione dei numerosi decreti ministeriali previsti dalla legge n. 220 del 2016.
(4-17942)

  Risposta. — Si riscontra l'atto di sindacato ispettivo in esame con il quale l'interrogante ha chiesto di conoscere lo stato d'attuazione della legge n. 220 del 2016 concernente la disciplina del cinema e dell'audiovisivo.
  Al riguardo si comunica quanto segue.
  La legge n. 220 del 2016 ha ridefinito la disciplina relativa al cinema e all'audiovisivo al fine di rilanciare e sviluppare un settore strategico non solo dal punto di vista culturale e sociale ma anche economico.
  In particolare, l'articolo 1 ha affidato alla Repubblica la promozione e il sostegno del cinema e dell'audiovisivo, quali fondamentali mezzi di espressione artistica, di formazione culturale e di comunicazione sociale, che contribuiscono alla definizione dell'identità nazionale e alla crescita civile, culturale ed economica del paese, promuovono il turismo e creano occupazione.
  Gli obiettivi dell'intervento pubblico comprendono, fra gli altri, la garanzia del pluralismo dell'offerta cinematografica e audiovisiva, il consolidamento dell'industria cinematografica nazionale, la promozione delle coproduzioni internazionali e della circolazione e distribuzione, in Italia e all'estero, della produzione cinematografica e audiovisiva, la conservazione e il restauro del patrimonio filmico e audiovisivo nazionale, la cura della formazione professionale, il sostegno dell'educazione all'immagine nelle scuole, la valorizzazione del ruolo delle sale cinematografiche e dei festival cinematografici.
  Allo Stato e, in particolare, al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, l'articolo 10 ha attribuito, fra le altre, funzioni relative alla promozione dell'immagine del Paese, all'attrazione di investimenti esteri, alla promozione della formazione.
  Inoltre, la normativa
de qua ha affidato allo Stato il pieno ed equilibrato sviluppo del mercato cinematografico, impedendo il formarsi di fenomeni distorsivi della concorrenza, ed ha affidato a questo Ministero la vigilanza e l'applicazione delle eventuali sanzioni.
  Molte sono le novità introdotte dalla legge n. 220 del 2016, e tra le principali si evidenziano le seguenti:

   è stato istituito nello stato di previsione del Mibact, a decorrere dal 2017, il Fondo per lo sviluppo degli investimenti nel cinema e l'audiovisivo, alimentato, a regime, con gli introiti erariali derivanti dalle attività del settore. Il finanziamento non può essere inferiore a euro 400 milioni annui;

   è stato introdotto un sistema di contributi automatici per le opere di nazionalità italiana — a valere sul predetto Fondo — che modificando la procedura attuale prevede l'attribuzione dei finanziamenti previa verifica della commissione per la cinematografia (di cui all'articolo 8 del decreto legislativo n. 28 del 2004);

   sono stati introdotti contributi selettivi – sempre a valere sul Fondo – destinati, in particolare, alle opere prime e seconde, alle opere realizzate da giovani autori, alle opere di particolare qualità artistica, alle imprese di nuova costituzione e alle microimprese;

   sono state previste apposite sezioni del medesimo Fondo destinate a finanziare, rispettivamente, il piano straordinario per il potenziamento del circuito delle sale cinematografiche e il piano straordinario per la digitalizzazione del patrimonio cinematografico e audiovisivo;

   sono state introdotte misure di rafforzamento della disciplina del tax credit per il settore cinematografico e audiovisivo;

   è stata prevista la costituzione di una sezione speciale nel Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese destinata a garantire operazioni di finanziamento alle imprese per la realizzazione di prodotti audiovisivi e cinematografici;

   in sostituzione della sezione cinema della consulta dello spettacolo, è stato istituito il consiglio superiore per il cinema e l'audiovisivo.

  Per numerosi profili, come rappresentato dall'interrogante, il testo ha previsto l'adozione di atti secondari e la predisposizione, mediante specifica delega attribuita al Governo, di tre decreti legislativi intesi a rivedere le disposizioni vigenti.
  Quest'ultimi, approvati dal Consiglio dei ministri in data 22 novembre 2017, riguardano le seguenti materie:

   il decreto legislativo n. 202 del 2017, che attua l'articolo 35 della legge n. 220 del 2016, mira a rafforzare le tutele nei confronti dei lavoratori del settore e al pieno riconoscimento delle diverse professionalità che lo animano. Nello specifico le nuove norme sottraggono la produzione di opere audiovisive al tetto previsto per il numero massimo di contratti a tempo determinato rispetto a quelli a tempo indeterminato e riconoscono le specificità del settore cinema e audiovisivo ai fini dell'apprendistato professionalizzante. Inoltre, il testo prevede l'emanazione di un regolamento che stabilisca criteri validi su tutto il territorio nazionale per definire una classificazione settoriale uniforme per le professioni artistiche e tecniche del settore cinematografico e audiovisivo. Tale regolamento dovrà essere approvato previa intesa con la conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, sentite le organizzazioni maggiormente rappresentative dei lavoratori e degli operatori nel settore.

  In attuazione dell'articolo 33 della legge il decreto legislativo n. 203 del 2017 delinea un nuovo sistema di tutela dei minori nella visione di opere cinematografiche e audiovisive, caratterizzato da tre principali innovazioni:

   abolizione della censura dell'opera (viene meno il divieto assoluto di uscita in sala di un'opera, così come l'uscita condizionata a tagli o modifiche della pellicola);

   definizione di un sistema di classificazione più flessibile, maggiormente conforme alle diverse tipologie di opere e coerente con il generale allargamento del pubblico in sala, che comprende oggi anche bambini molto piccoli;

   introduzione del principio di responsabilizzazione degli operatori cinematografici, che sono chiamati a individuare la corretta classificazione dell'opera in base alla fascia d'età del pubblico destinatario e a sottoporla alla validazione della Commissione per la classificazione delle opere cinematografiche, che va a sostituire le attuali sette Commissioni per la revisione cinematografica.

  Quattro le categorie previste per la classificazione delle opere, compresi gli spot pubblicitari:

   opere per tutti;

   opere non adatte ai minori di anni 6;

   opere vietate ai minori di anni 14;

   opere vietate ai minori di anni 18.

  Un apposito regolamento dell'autorità per le garanzie nelle comunicazioni disciplinerà anche la classificazione delle opere audiovisive destinate al web e dei videogiochi al fine di assicurare il giusto equilibrio tra la tutela dei minori e la libertà di manifestazione del pensiero e dell'espressione artistica.
  Infine, il decreto legislativo n. 204 del 2017 attua l'articolo 34 della legge n. 220 del 2016 e ha l'obiettivo di razionalizzare la disciplina degli strumenti e delle procedure in materia di promozione delle opere italiane ed europee da parte dei fornitori di servizi di media audiovisivi. Questa operazione di razionalizzazione intende introdurre procedure più trasparenti ed efficaci in materia di obblighi di investimento e programmazione e prevedere un adeguato sistema di verifica e valutazione dell'efficacia e un appropriato sistema sanzionatorio.
  Per quanto riguarda lo stato di attuazione della legge in esame, quindi, tutti gli atti sono stati adottati entro i termini previsti, come da situazione analitica che segue:

   incompatibilità componenti Consiglio superiore e funzionamento dell'organo (articolo 11, comma 7) - decreto ministeriale 2 gennaio 2017;

   decreto del Presidente del Consiglio dei ministri su proposta MIBACT: modalità di gestione del Fondo cinema e audiovisivo e (articolo 13, comma 4) - decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 20 maggio 2017;

   nomina Consiglio superiore (8 personalità del settore cinema-audiovisivo nominate dal Ministro, 2 delle quali su designazione della conferenza unificata + 3 membri scelti dal Ministro tra nomi proposti da associazioni di categoria) (articolo 11, comma 4) - decreto ministeriale 6 marzo 2017;

   decreto del Presidente del Consiglio dei ministri su proposta MIBACT: criteri nazionalità italiana (articolo 5, commi 2 e 3, articolo 6, comma 4) - decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 11 luglio 2017;

   riparto del Fondo fra le tipologie di contributi (articolo 13, comma 5) - decreto ministeriale 13 luglio 2017;

   parametri e requisiti per destinazione di un'opera audiovisiva prioritariamente al pubblico per la visione nelle sale cinematografiche (articolo 2, comma 1, lettera B) - decreto ministeriale 14 luglio 2017;

   decreto ministeriale:individuazione dei casi di esclusione delle opere cinematografiche e audiovisive dai benefici previsti dalla legge (articolo 14, comma 4) - decreto ministeriale 14 luglio 2017;

   criteri per la programmazione qualificata delle sale d'essai (articolo 2, comma 1, lettera m) – decreto ministeriale 14 luglio 2017;

   contributi automatici (articolo 25, comma 1) – decreto ministeriale 31 luglio 2017;

   contributi selettivi (articolo 26, comma 4) - decreto ministeriale 31 luglio 2017;

   contributi per attività di promozione cinematografica e audiovisiva: (articolo 27, comma 4) – decreto ministeriale 31 luglio 2017;

   regole sul deposito delle opere presso la cineteca nazionale e costituzione rete delle cineteche (articolo 7, commi 5 e 6) - decreto ministeriale 31 luglio 2017;

   disposizioni applicative in materia di credito di imposta per le imprese di produzione cinematografica ed audiovisiva di cui all'articolo 15 della legge n. 220 del 2016 – decreto ministeriale 4 agosto 2017;

   disposizioni applicative dei crediti d'imposta nel settore cinematografico e audiovisivo di cui agli articoli 16, 17, comma 1, 18, 19 e 20 della legge n. 220 del 2016 – decreto ministeriale 4 agosto 2017;

   disposizioni applicative del credito d'imposta per le industrie tecniche e di post-produzione di cui all'articolo 17, comma 2, della legge n. 220 del 2016 – decreto ministeriale 4 agosto 2017;

   disposizioni applicative in materia di credito di imposta per le imprese di produzione di videogiochi di cui all'articolo 15 della legge n. 220 del 2016 – decreto ministeriale 4 agosto 2017;

   decreto del Presidente del Consiglio dei ministri su proposta MIBACT: Piano straordinario circuito sale (articolo 28, comma 2) – decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 4 agosto 2017;

   disposizioni applicative del Piano straordinario per il potenziamento del circuito delle sale cinematografiche e polifunzionali (Gazzetta Ufficiale n. 239 del 12 ottobre 2017) – decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 4 agosto 2017;

   decreto del Presidente del Consiglio dei ministri su proposta MIBACT: Piano straordinario digitalizzazione patrimonio cinematografico e audiovisivo (articolo 29, comma 4) – decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 24 ottobre 2017;

   decreto del Presidente del Consiglio dei ministri su proposta MIBACT: funzionamento registro pubblico delle opere cinematografiche e audiovisive (articolo 32, comma 7) – testo definitivo inviato a MISE e DICA in data 12 dicembre 2017, in firma;

   decreto ministeriale: indirizzi e parametri generali per gestione fondi da parte delle film commission (articolo 4, comma 5) – il 19 dicembre 2017 è terminata l'istruttoria tecnica in conferenza Stato-regioni;

   delega per la riforma delle disposizioni legislative in materia di tutela dei minori nel settore cinematografico e audiovisivo (articolo 33) - decreto legislativo 7 dicembre 2017, n. 202;

   delega per la riforma della promozione delle opere europee e italiane da parte dei fornitori di servizi di media audiovisivi (articolo 34) - decreto legislativo 7 dicembre 2017, n. 203;

   delega per la riforma delle norme in materia di rapporti di lavoro nel settore cinematografico e audiovisivo (articolo 35) - decreto legislativo 7 dicembre 2017, n. 204.
Il Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali e il turismo: Antimo Cesaro.


   PALMIZIO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   nel luglio del 2018 dovrebbero avere inizio i cantieri per il potenziamento della linea ferroviaria «Direttissima» Bologna-Prato-Firenze, la direttrice che attraversa la Val di Setta, che dovrebbero protrarsi per (almeno) tre anni;

   i lavori comporteranno l'interruzione della linea tra le 9,30 e le 16,30 dal lunedì al venerdì, e l'interruzione quasi totale durante il weekend e ciò ha inevitabilmente generato forte preoccupazione per i numerosi pendolari (studenti e lavoratori) che giornalmente utilizzano questa linea ferroviaria;

   il traffico ferroviario tra Bologna e Prato, in particolare, verrà garantito solo durante determinati orari e su un unico binario;

   i sindaci delle zone interessate hanno concordato un'azione comune, chiedendo chiarimenti alla regione Emilia-Romagna e a Rete ferroviaria italiana, senza, tuttavia, ricevere adeguate risposte;

   è necessario trovare un compromesso tra la necessità di implementare le infrastrutture e quella di tutelare la quotidianità dei cittadini, limitando al massimo, durante questi lavori, i disagi dei pendolari e garantendo il servizio negli orari di punta;

   a giudizio dell'interrogante, quando è stata presa la decisione di sopprimere il traffico ferroviario lungo la Direttissima, non sono stati opportunamente considerati i disagi a carico degli utenti –:

   se il Ministro interrogato non intenda valutare la possibilità di prevedere un tavolo di confronto con la regione Toscana, la regione Emilia-Romagna e Rete ferroviaria italiana per insediare i cantieri di lavoro in orari diversi da quelli in cui la Direttissima è utilizzata maggiormente, magari utilizzando le ore notturne, in cui comunque il servizio è fermo, e se sia già previsto un piano per limitare il più possibile i disagi in questi 3 anni di lavori.
(4-18381)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta sulla base delle informazioni pervenute dalla direzione generale per il trasporto e le infrastrutture ferroviarie di questo ministero e dalla società Rete ferroviaria italiana (RFI) – gruppo Ferrovie dello Stato italiane (FSI).
  La linea Bologna-Prato, cuore del corridoio europeo Scandinavia-Mediterraneo, a partire da luglio 2018 sarà interessata da importanti lavori di potenziamento per adeguarne le caratteristiche agli
standard previsti dalla rete europea per il traffico delle merci.
  Si tratta di opere indispensabili a garantire il collegamento dei porti dell'area logistica costiera toscana e del sistema logistico e portuale emiliano romagnolo con il centro e il nord dell'Europa, ma complessivamente tutto il traffico ferroviario ne beneficerà, in termini di maggiore regolarità del servizio e potenzialità della linea. Inoltre, nel periodo dei lavori, saranno eseguiti in tutte le stazioni della linea interventi funzionali a garantire una maggiore accessibilità.
  Rete ferroviaria italiana, regione Emilia Romagna e regione Toscana hanno stilato un protocollo d'intesa che definisce la tipologia degli interventi, il relativo cronoprogramma determinando così le modifiche al servizio viaggiatori e merci.
  Il documento è il risultato di un processo di condivisione avviato da Rete ferroviaria italiana e dalle due regioni interessate all'inizio dell'estate 2017, con lo scopo di consentire la realizzazione di questi importanti lavori limitando il più possibile i disagi, inevitabili, per i viaggiatori.
  Per consentire il passaggio dei treni adibiti al trasporto di semirimorchi e
container high cube (autostrada viaggiante), Rete ferroviaria italiana precisa che verrà ampliata la «sagoma» della linea (P/C80) secondo i requisiti per l'interoperabilità.
  Gli interventi riguarderanno sia l'infrastruttura – binari, linea di contatto, gallerie – sia gli impianti tecnologici.
  L'attività più complessa sarà quella di allargamento di circa 20 chilometri di gallerie (su un totale di 40 chilometri), che richiederà la fresatura delle volte, l'abbassamento del piano del ferro e l'adeguamento della linea di alimentazione elettrica dei treni.
  L’
upgrading dei sistemi di gestione della circolazione sulla linea aumenterà invece efficienza e affidabilità a beneficio di tutto il traffico ferroviario sulla linea, non solo merci ma anche pendolare e di media/lunga percorrenza.
  Contestualmente, saranno eseguiti lavori di miglioramento dell'accessibilità nelle stazioni di Pianoro, Monzuno, San Benedetto Val di Sambro, Grizzana, Vernio e Vaiano. In particolare saranno alzati i marciapiedi dei binari (55 cm –
standard europeo per i servizi metropolitani) per facilitare l'accesso ai treni; realizzati percorsi tattili a terra per ipovedenti; installati gli ascensori; riqualificato il fabbricato viaggiatori.
  Saranno inoltre istallati nuovi sistemi di illuminazione a risparmio energetico e resi più performanti i sistemi di informazione al pubblico.
  Le stazioni di Monzuno e Vaiano, inoltre, saranno attrezzate per permettere il passaggio di treni merci lunghi fino a 750 metri (
standard europeo).
  Durante i tre anni di lavoro saranno valutate le possibilità di creare, laddove possibili, parcheggi di mezzi gommati per favorire lo scambio intermodale.
  Il costo dell'intervenni supera i 300 milioni di euro.
  Per quanto riguarda il cronoprogramma, Rete ferroviaria italiana riferisce che il cantiere, il cui avvio è previsto come già detto a luglio 2018, avrà una durata di tre anni e mezzo.
  Per garantire la continuità del servizio sulla linea, ancorché in misura ridotta, l'attività è stata divisa in tre fasi della durata di circa un anno ciascuna.
  Seguirà un'ultima fase, della durata di sei mesi, durante la quale sarà completato l’
upgrading delle dotazioni tecnologiche di tutte le gallerie della linea.
  La prima tratta interessata sarà quella fra la Pianoro e San Benedetto Val di Sambro (luglio 2018-giugno 2019), seguita da quella fra San Benedetto Val di Sambro e Vernio (giugno 2019-giugno 2020) e infine la Vernio-Prato (giugno 2020-giugno 2021).
  Per consentire le attività propedeutiche all'apertura dei cantieri, è stata inoltre programmata la chiusura totale della linea Bologna-Prato nei
weekend 27/28 gennaio e 3/4 febbraio 2018.
  Infine, in merito alle modifiche all'orario ferroviario, si segnala che Rete ferroviaria italiana, regione Emilia Romagna, regione Toscana e imprese ferroviarie stanno predisponendo il nuovo orario ferroviario che sarà in vigore sulla linea durante i lavori. Il servizio ferroviario sarà integrato da bus il cui modello, allo studio delle due regioni e delle imprese ferroviarie, prevede sia missioni veloci sia missioni capillari alla stessa stregua dell'attuale modello ferroviario.
  Entro marzo del 2019, inoltre, la regione Emilia Romagna condurrà un'indagine mirata a mappare l'utilizzo della linea per meglio pianificare servizi sostitutivi che riducano il più possibile i disagi agli utenti durante i lavori.
  Il modello individuato prevede da lunedì a venerdì, nella tratta interessata dall'intervento principale, la circolazione a binario unico dalle 00.01 alle 9.30 e dalle 16.30 alle 24.00 e la sospensione totale del traffico dalle 9.30 alle 16.30. Con questa articolazione le fasce orarie maggiormente utilizzate saranno salvaguardate.
  Nelle fasce limitrofe a quella in lavorazione, per consentire attività propedeutiche, di completamento e di manutenzione, il traffico ferroviario verrà invece sospeso dalle 9.30 alle 14.30.
  Complessivamente, nei giorni feriali escluso il sabato, sarà garantito il 90 per cento dei treni regionali nelle fasce pendolari e sarà possibile far circolare il 65 per cento dei treni a lunga percorrenza (il 100 per cento in fascia notturna) e il 70 per cento dei convogli merci.
  Il mantenimento di questo livello di offerta nei giorni feriali, congiuntamente all'obiettivo di rendere l'opera fruibile in tempi coerenti con la politica europea del trasporto merci, renderà indispensabile, il sabato e la domenica/festivi (dalle ore 09.30 del sabato alle 24 di domenica) per tutti la durata del cantiere, la sospensione totale del traffico ferroviario fra Pianoro e Prato.
  L'obiettivo da perseguire è quello di ultimare le opere in linea con quanto previsto dall'Unione europea in merito al completamento della rete transeuropea dei trasporti (TEN-T) e dei nove corridoi principali, che formeranno le arterie dei trasporti – passeggeri e merci – del mercato unico europeo.
  L'opzione di eseguire i lavori in periodo notturno comporterebbe, il blocco del traffico merci e dei servizi a lunga percorrenza (intercity ed euronight) impostati sulla linea che dovrebbero essere deviati su altri itinerari, laddove possibile, o cancellati, nonché l'impossibilità di disporre di un'opera in tempi coerenti con la politica europea in quanto la durata dei lavori supererebbe i 10 anni.
  Quanto sopra è stato illustrato, in presenza delle regioni, ai sindaci dei comuni emiliani in appositi incontri avvenuti il 21 novembre e il 15 dicembre a Bologna, mentre ai sindaci dei comuni toscani il 23 novembre a Prato. Inoltre, il 23 novembre, lo stessa tema è stato esposto alla giunta regionale della regione Emilia.
  

Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti: Riccardo Nencini.


   PALMIZIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   il 15 novembre 2017 apre a Bologna il «FICO Eataly World», il più grande parco agroalimentare del mondo che comprende 2 ettari di campi e stalle all'aria aperta, con 200 animali e 2.000 cultivar, 8 ettari coperti con 40 fabbriche che produrranno prodotti in loco, oltre 45 luoghi di ristoro, bar e chioschi di cibo di strada e circa 9.000 metri quadrati di botteghe e mercato più diverse altre aree;

   l'inaugurazione è stata concordata dal comune di Bologna, promotore del progetto, con FICO Eataly World, la società di gestione del parco, la Fondazione FICO per l'educazione alimentare e alla sostenibilità, Prelios sgr, che ha istituito e gestisce il Fondo Pai (Parchi agroalimentari italiani) per la sua realizzazione, e con CAAB - Centro agroalimentare Bologna;

   il parco agroalimentare è situato a circa un chilometro e mezzo da un inceneritore, che, secondo le ultime rilevazioni, produrrebbe cadmio in quantità elevate, superando da 3 a 10 volte le quantità consentite;

   si tratta di uno degli inceneritori più grandi dell'Emilia-Romagna, sito in via del Frullo 5, di proprietà della multiutility Hera e attivo sin dal 1973. Spesso all'ingresso dell'impianto i fumi avvolgono l'aria fino al cielo, producendo una coltre densa ed impenetrabile;

   l'inceneritore Hera smaltisce rifiuti solidi urbani speciali e «pericolosi, catalogati anche come sanitari contagiosi», scrive Hera stessa sul suo sito. Per la presenza dell'impianto, gli oncologi di Medicina democratica, un'associazione nazionale, nel gennaio del 2012, hanno certificato «la possibilità di un aumento dei rischi di malattie tumorali a fegato, pancreas, vescica, colon, linfoma non-Hodgkin, polmone, ovaie, nonché aborti spontanei, nascite pretermine, malformazioni fetali, malattie cardiovascolari e respiratorie»;

   lo stesso patron di Eataly, Oscar Farinetti, nel 2014 si espresse così sull'eventuale apertura del parco agroalimentare nella zona: «Se c'è un inceneritore che fa male alla salute di sicuro non apro perché sarei un delinquente. Se fosse vero magari può essere la motivazione per chiudere l'inceneritore... chi lo sa!» –:

   se il Governo sia a conoscenza della vicenda e se non intenda urgentemente adottare tutte le iniziative di competenza per verificare, anche per il tramite del comando Carabinieri per la tutela dell'ambiente e con l'ausilio dell'istituto superiore di sanità, i rischi connessi alle sostanze tossiche rilasciate nell'aria e nella zona circostante dall'inceneritore Hera, anche alla luce di un progetto incentrato sull'industria agroalimentare, sul cibo «bio» e di alta qualità in una zona in cui non sembrano esserci evidentemente le condizioni per attuarlo in piena sicurezza ed in piena salute.
(4-18487)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  Occorre evidenziare, in via preliminare, che le funzioni relative al rilascio delle autorizzazioni degli impianti di termovalorizzazione ricadono nelle competenze delle regioni che si avvalgono delle agenzie regionali di protezione dell'ambiente per gli aspetti relativi al controllo tecnico e al monitoraggio ambientale.
  Si rileva, ad ogni buon conto, che l'impianto di termovalorizzazione di rifiuti urbani e speciali, sito in comune di Granarolo dell'Emilia (BO) in Via del Frullo n° 5 attualmente autorizzato con atto PG 95771 rilasciato in data 29 luglio 2015 dalla città metropolitana di Bologna, emesso in termini di riesame del precedente atto P.G. n° 134442 del 31 marzo 2008. L'Autorizzazione integrata ambientale stabilisce le condizioni di esercizio dell'impianto intese come prescrizioni gestionali e di controllo e monitoraggio, a cui il gestore deve rigorosamente attenersi. Il piano di monitoraggio e controllo sulle diverse componenti ambientali interessate, costituisce parte integrante dell'autorizzazione integrata ambientale. Il rispetto delle prescrizioni dell'Autorizzazione integrata ambientale diventano l'oggetto principale del controllo da parte di Arpa Emilia Romagna, quale organo di vigilanza.
  I dati sul corretto funzionamento dell'impianto sono rilevati dal gestore tramite apposito sistema di monitoraggio, in esecuzione dell'obbligo di autocontrollo delle emissioni previsto dalla suddetta autorizzazione integrata ambientale, e trasmessi ad Arpae di Bologna ai fini della opportuna valutazione e dei controlli di competenza.
  Sulla base delle informazioni acquisite dall'organo di controllo, non emergono tuttavia valori anomali per le emissioni dell'impianto di termovalorizzazione sopra citato che, peraltro, non risulta abbia avuto episodi di malfunzionamento ed incidenti.
  In particolare, per i parametri cadmio e tallio i valori di emissione dell'impianto risultano essere abbondantemente entro i limiti di legge.
  Più in particolare, Arpae ha fatto presente che il sistema di abbattimento delle emissioni dell'inceneritore del Frullo è tecnologicamente fra i più avanzati e risponde alle migliori tecniche disponibili (BAT). È composto da più sezioni di trattamento fumi, di cui una sezione a semi-umido (quencher), una a secco (filtri a maniche) e una a umido (torri di lavaggio/scrubber). In coda all'impianto vi è una sezione di abbattimento catalitico degli NOx e Diossine.
  La componente visibile delle emissioni in atmosfera, di colore bianco, è costituita da vapore acqueo, proveniente prevalentemente dalle torri di raffreddamento.
  Le prescrizioni dell'autorizzazione integrata ambientale prevedono, per il controllo delle emissioni in atmosfera, un sistema di monitoraggio in continuo e un controllo periodico degli inquinanti (quelli che non possono tecnicamente essere analizzati in continuo, es. metalli). All'interno dell'atto autorizzativo viene recepita anche una prescrizione della Via provinciale per la riqualificazione e ristrutturazione dell'impianto che stabilisce di «mantenere un monitoraggio costante dell'area interessata dalle ricadute per tutta la durata dell'attività di incenerimento dei rifiuti sul sito del Frullo».
  Per quanto concerne il monitoraggio in continuo, vengono monitorati in continuo: ossido di carbonio, polveri, carbonio organico totale, acido cloridrico, acido fluoridrico, ossidi di azoto, ossidi di zolfo, ammoniaca.
  
I dati sono visibili in tempo reale sul sito web del gestore (http://ha.gruppoheralt/impianti/termovalorizzatori/bologna) e in report mensili elaborati da Arpae (https://www.arpae.it/dettaglio_generale.asp?id=2656&idlivello=1758).
  Arpae effettua il controllo sulla corretta funzionalità ed efficacia del sistema tecnico di monitoraggio. L'agenzia verifica la corretta gestione e la funzionalità del sistema di monitoraggio in continuo. I dati vengono acquisiti direttamente dal sistema di registrazione in dotazione all'impianto. Questi vengono valutati in relazione ai limiti prescritti in autorizzazione integrata ambientale con l'obiettivo di individuare eventuali anomalie e intervenire con azioni correttive che possono essere messe in campo per evitare il ripetersi dell'anomalia. I dati vengono elaborati in report mensili e pubblicati sul sito di Arpae.
  Per quanto concerne, invece, il monitoraggio periodico, vengono effettuati controlli periodici con frequenza trimestrale (4 analisi all'anno) sui seguenti parametri:

   metalli (antimonio, arsenico, cadmio, cobalto, cromo, manganese, mercurio, nichel, piombo, rame, stagno, tallio, vanadio);

   Materiale particellare Pm10 e Pm2.5;

   diossina, Ipa, Pcb.

  I livelli di concentrazione degli inquinanti misurati con i controlli periodici risultano ad oggi ampiamente al di sotto dei limiti di riferimento.
  Per quanto riguarda, nello specifico, i livelli di concentrazione dei metalli, questi risultano sempre prossimi ai limiti di rilevabilità strumentale. In particolare i livelli rilevati di cadmio sono oltre 100 volte più bassi del valore limite.
  Si precisa, peraltro, che i metalli sono contenuti nelle polveri e, a parte il mercurio, la metodica di analisi di questi (compreso il cadmio) prevede che vengano analizzati proprio sulle polveri emesse. Il sistema di monitoraggio rivela, grazie alle diverse fasi di abbattimento fumi, una bassissima emissione di materiale particellare, da cui deriva anche una conseguente scarsissima emissione di metalli.
  Con riferimento, infine, al monitoraggio ambientale, ed in particolare alla qualità dell'aria sul territorio circostante l'impianto di incenerimento, nel 2009, in continuità e in sostituzione di altri protocolli precedentemente sottoscritti (il primo risale al 1998) è stato firmato l'ultimo protocollo di Intesa tra provincia di Bologna, comuni di Bologna, Castenaso e Granarolo, Arpa, Ausl, università di Bologna – dipartimento di scienze e tecnologie agroambientali – Centro sperimentale per l'uso del suolo e Fea s.r.l. Il protocollo è in fase di rinnovo.
  Nel rispetto del protocollo d'intesa, sono state installate due stazioni di monitoraggio della qualità dell'aria, poste rispettivamente in via Bettini e in via del Frullo, con monitoraggio delle polveri, Ipa e metalli. Il monitoraggio è stato avviato nel gennaio 2011 ed è ancora attivo.
  Per il coordinamento delle attività previste dal protocollo è stato istituito un tavolo tecnico che si incontra ogni sei mesi per valutare gli esiti delle indagini in corso e decidere eventuali azioni di intervento.
  Sempre in riferimento al monitoraggio ambientale Arpae ha fatto presente che dai dati misurati nelle due stazioni di monitoraggio si rileva che i metalli analizzati non hanno mai evidenziato delle anomalie, dal punto di vista delle concentrazioni, attestandosi ampiamente al di sotto del limite di legge, cadmio compreso.
  Sempre secondo quanto riferito dalla predetta agenzia, i risultati del cosiddetto progetto Moniter sono stati presentati nel 2011 e pubblicati in una collana denominata «Quaderni di Moniter». Il quaderno 06-12 riguarda «gli effetti degli inceneritori sulla salute». Il documento è formato da quattro rapporti (esiti riproduttivi, aborti spontanei, malformazioni congenite ed effetti a lungo termine) predisposti da altrettanti gruppi tecnici e approvati dal comitato scientifico di Moniter, che ne ha vagliato la correttezza metodologica.
  Sul progetto Moniter, la regione Emilia-Romagna ha evidenziato che lo stesso costituisce un complesso sistema di indagini attivato, con deliberazione di giunta regionale del 2007, al fine di organizzare un sistema di sorveglianza ambientale e di valutazione epidemiologica nelle aree circostanti gli impianti di incenerimento dei rifiuti solidi urbani nella regione. Esso rappresenta uno degli studi epidemiologici più completi mai realizzati in Italia sull'impatto degli inceneritori di rifiuti urbani. Infatti, a differenza degli altri studi che possono considerarsi locali e quindi condizionati dalla posizione in cui è posto l'inceneritore e dalle sue caratteristiche prestazionali, Moniter ha preso in esame l'insieme di tutti gli inceneritori di rifiuti presenti sul territorio regionale. Le valutazioni che se ne ricavano sono applicabili agli impianti di incenerimento in generale e non ad uno in particolare.
  Lo studio non rileva significative differenze fra i risultati per la popolazione analizzata e il resto della regione ad eccezione di un tema che è quello delle nascite pretermine. Sulla base di tali indicazioni, sono stati effettuati ulteriori approfondimenti sul tema nel progetto denominato «Supersito». I nati pretermine sono stati messi in relazione con i livelli di inquinamento legato a tutte le altre sorgenti emissive sull'intero territorio regionale.
  Inoltre, sempre secondo quanto riferito dalla regione, l'azienda Usl di Bologna ha contribuito periodicamente al monitoraggio sanitario dell'area circostante l'impianto, con la descrizione dello stato di salute della popolazione residente nei comuni di Granarolo dell'Emilia e Castenaso. La sorveglianza sanitaria espletata sui dati di mortalità per tutte le cause e per le patologie neoplastiche, come anche sugli esiti riproduttivi, non ha evidenziato, nell'area in questione, un quadro epidemiologico difforme da quello del resto del territorio regionale.
  Alla luce delle informazioni esposte, per quanto di competenza, si rassicura comunque che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare continuerà a svolgere le proprie attività, senza ridurre in alcun modo il livello di attuazione sulla questione.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   PARENTELA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   il reato contestato e prescritto a carico di quattordici imputati nel processo sui rifiuti pericolosi sepolti in località «Tranquilla», nel sito dell'ex fornace, a San Calogero, centro posto all'estremo Sud della provincia di Vibo Valentia, è quello di «disastro ambientale colposo»;

   dopo cinque anni di rinvii, tra scioperi degli avvocati e mancanza di giudici, non è stato possibile nemmeno dichiarare l'intervenuta prescrizione per mancanza del giudice titolare;

   in località «Tranquilla» non è mai stata avviata la bonifica. Lì continuano a rimanere sepolte 130 mila tonnellate di rifiuti provenienti dalle centrali termoelettriche a carbone Enel di Brindisi, Priolo Gargallo e Termini Imerese, ritenuti fortemente inquinanti e pericolosi in quanto di derivazione industriale. Si tenga presente che lo smaltimento, per via della presenza di due corsi d'acqua, potrebbe avere ripercussioni molto pesanti sull'ambiente;

   la mega-discarica – ritenuta dagli esperti la più pericolosa d'Europa – è al centro di un giro d'affari di assoluto rilievo: oltre 18 milioni di euro, sarebbero stati spesi per lo smaltimento dei fanghi nella vecchia fabbrica di laterizi, come emerso all'epoca dell'inchiesta –:

   di quali elementi disponga il Governo, per quanto di competenza, con riferimento alla richiamata vicenda e in particolare sulla presenza di rifiuti pericolosi sepolti in località «Tranquilla», nel sito dell'ex fornace, a San Calogero;

   se non si ritenga opportuno assumere iniziative, per il tramite del Comando carabinieri per la tutela dell'ambiente per compiere verifiche sullo stato di inquinamento ambientale della zona sopracitata, anche al fine di tutelare il diritto alla salute dei cittadini delle aree coinvolte.
(4-17968)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa alla questione dei rifiuti pericolosi interrati in località Tranquilla, nel comune di San Calogero, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare, corre l'obbligo di precisare che il sito in esame non è inserito né nella procedura di infrazione n. 2003/2007 cosiddetta «Discariche Abusive», né in quella n. 2011/2015 denominata «Discariche preesistenti».
  Ad ogni modo, secondo vanto riferito dalla prefettura di Vibo Valentia, il 5 novembre 2009, il comando compagnia della Guardia di finanza di Vibo Valentia, coadiuvato dal personale del dipartimento provinciale di Vibo Valentia dell'Arpa Calabria, ha posto sotto sequestro un'area dell'ex opificio industriale Fornace Tranquilla s.r.l., sita nel predetto comune di San Calogero (VV), località Tranquilla, poiché contenente circa 127 mila tonnellate di rifiuti pericolosi.
  Gli esami di laboratorio effettuati dall'Arpa Calabria sul predetto materiale, su richiesta della Procura della Repubblica di Vibo Valentia, evidenziavano una situazione di pericolo.

  A seguito di tali esami, il sindaco del comune di San Calogero, con ordinanza n. 18 del 2010, ordinava ai proprietari e ai conduttori dei terreni adiacenti al citato opificio di procedere alla distruzione dei prodotti agricoli e dei vegetali, fino ai risultati delle ulteriori analisi da parte dell'Arpa Calabria e dell'azienda sanitaria provinciale.
  Il 13 gennaio 2011, il comando compagnia della Guardia di finanza di Vibo Valentia, nell'ambito dell'operazione di polizia denominata «Poison», ha denunciato venti persone per violazione dell'articolo 260 del decreto legislativo n. 152 del 2006.
  Sempre secondo quanto riferito dalla prefettura, successivamente, nel novembre 2011, i nuovi rilievi effettuati dall'Arpa Calabria sulle acque superficiali per il rilevamento della presenza di metalli pesanti, consentiva di appurare che i campioni prelevati rientravano nei limiti di legge.
  Il Ministero della giustizia ha comunicato, inoltre, che i fatti segnalati sono oggetto del procedimento penale n. 3623 del 2009 del Registro generale notizie di reato, la cui udienza dibattimentale è fissata per il prossimo 22 febbraio 2018.
  Per quanto concerne la bonifica dell'area interessata dalla vicenda, la prefettura ha fatto presente che il comune di San Calogero, stando alle informazioni fornite dall'Arma dei carabinieri, ha richiesto un contributo straordinario alla regione Calabria.
  Alla luce delle informazioni esposte, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare assicura comunque che continuerà a svolgere le proprie attività di monitoraggio e sollecito, senza ridurre in alcun modo il livello di attenzione su questa delicata questione.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   PARENTELA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:

   la fiumara Reschia nasce nel territorio di San Nicola da Crissa e attraversa la parte inferiore di Monterosso Calabro. Insieme con il torrente Fallà, il Reschia rappresenta il maggior immissario del bacino dell'Angitola, nel quale confluisce da destra; pertanto, alla salubrità delle acque del Reschia è subordinata quella dell'intera oasi protetta Wwf, di cui costituisce una delle attrattive principali. Durante le giornate dell'Oasi che il Wwf di Vibo Valentia è solito organizzare in primavera e che richiamano comitive provenienti da tutta la regione, i visitatori non mancano di effettuare escursioni lungo la fiumara, sempre apprezzata per le sue acque cristalline e per la magnifica varietà di flora e fauna che caratterizza tutta l'area che attraversa. Si tratta di un luogo da preservare, quindi, e per questo è stato rivolto un appello dall'associazione ambientalista alle istituzioni ad intervenire;

   l'interrogante ha appreso da un articolo apparso sulla Gazzetta del Sud del 7 novembre 2017 – del quale si riportano alcuni estratti – che sostanze di dubbia natura sono state scaricate nelle acque del fiume Reschia, uno dei due principali immissari del lago Angitola, oasi del Wwf e zona umida di importanza internazionale ai sensi della Convenzione di Ramsar;

   il Wwf di Vibo Valentia, attraverso il presidente provinciale Angelo Calzone ha evidenziato che: «l'acqua si presenta scura, a tratti addirittura nera: segno evidente che a monte vengono immesse sostanze delle quali, al momento, si ignora la natura» (...) «Alto è il rischio che si possa essere in presenza di sostanze nocive per l'ambiente, che alterano la composizione naturale dell'acqua, con conseguenze nefaste per la fauna e la flora del torrente e del lago» mentre «si esclude che il fenomeno possa essere dovuto a scarichi fognari in quanto l'acqua non era maleodorante» (...) «Non mancano i rischi per la salute umana. Infatti, lungo il fiume Reschia ci si imbatte qualche volta nei pescatori di frodo, pur avendo sempre monitorato la situazione, anche attraverso l'intervento del Corpo forestale, per scoraggiare tale pratica. Qualora dovesse essere confermata la presenza di sostanze inquinanti, il pesce pescato nel torrente Reschia costituirebbe un potenziale pericolo per la salute di chi lo consuma»;

   l'oasi dell'Angitola, area Sic (Sito di interesse comunitario), è conosciuta per la straordinaria varietà di animali e piante che ospita, vantando anche la presenza di molte specie rare. Oltre a molti volatili e rapaci protetti, che trovano nell'oasi il clima favorevole alla nidificazione, tante sono le specie acquatiche (gallinella d'acqua, diverse varietà di anatra, ma anche martin pescatore, testuggine palustre e nutrice dal collare) che popolano il bacino e i suoi immissari. Quanto alla flora, essa è costituita in prevalenza dal pino d'Aleppo, pioppo nero, salice bianco, ontano nero, eucalipto e quercia da sughero;

   un'alterazione della composizione delle fiumare e, quindi, del lago potrebbe avere ripercussioni devastanti sull'intera oasi, compromettendo il mantenimento delle catene trofiche acquatiche e della vegetazione di sponda –:

   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda adottare per garantire la tutela dell'oasi che si trova all'interno del perimetro del sito di interesse comunitario «dune dell'Angitola» e se non ritenga opportuno promuovere una urgente verifica, per il tramite del comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente, al fine di monitorare i livelli di inquinamento fluviale nell'area di cui in premessa, scongiurando al contempo, i pericoli per la flora, la fauna e la salute umana.
(4-18436)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa alla fiumara Reschia, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare, la regione Calabria ha comunicato che la fiumara Reschia non rientra nei corpi idrici oggetto di monitoraggio ai fini della classificazione, ai sensi della direttiva quadro acque 2000/60/CE.
  Tuttavia, la stessa regione ha precisato che nella prossima campagna di verifica dello stato ecologico verrà inserita una stazione di monitoraggio nel predetto fiume.
  L'Arpa Calabria ha fatto presente, inoltre, di essersi attivata, riguardo il possibile inquinamento del Reschia, immissario del lago Angitola, effettuando una verifica della segnalazione con sopralluogo e prelievo di campioni e, nel contempo, sollecitando l'Arma dei carabinieri ad effettuare le indagini ambientali per l'individuazione di eventuali scarichi anomali e consentire così un intervento congiunto per il prelievo di campioni e le successive analisi a supporto delle indagini.
  Le acque, al momento del prelievo, apparivano limpide. Sono stati comunque effettuati prelievi di campioni di acqua da avviare alle analisi microbiologiche, chimiche ed ecotossicologiche, comprensive dei principali parametri atti ad evidenziare un'eventuale grave alterazione della qualità delle acque.
  Sempre secondo quanto riferito da ARPACAL, i risultati dei parametri chimici sottoposti ad analisi non hanno evidenziato presenza di oli e grassi animali e vegetali, né fenoli, né metalli pesanti e l'analisi ecotossicologica (individui immobili 5 per cento) conferma una qualità delle acque non compromessa all'atto del prelievo. L'analisi microbiologica riporta un indice di contaminazione fecale pari a 220/100 ml di
Escherichia coli. Non sono state eseguite indagini sui sedimenti.
  Tali risultati sono stati inviati al commissario straordinario del Parco naturale delle Serre, ai Carabinieri e al dipartimento ambiente della regione Calabria, quest'ultimo competente per una valutazione complessiva dei dati, alla luce dell'aggiornamento del piano di tutela delle acque, per gli usi ritenuti idonei (aggiornamento dei punti della rete di monitoraggio) o per avviare specifici monitoraggi d'indagine sull'area.
  L'Arpa ha, infine, segnalato, che, non potendo comunque escludere l'immissione occasionale di scarichi anomali nel torrente, rimaneva in attesa del coinvolgimento delle autorità territorialmente competenti per fornire l'eventuale supporto tecnico atto a prevenire o individuare illeciti ambientali.
  Alla luce delle informazioni esposte, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per quanto di competenza, continuerà a svolgere le proprie attività e continuerà a tenersi informato anche al fine dell'eventuale coinvolgimento di altri i soggetti istituzionali competenti.
  

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   PIRAS. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:

   nelle ultime settimane è stato chiuso il nono corpo di ballo italiano, quello della «Fondazione Arena di Verona», portando quindi il numero complessivo degli stessi da 13 – così come 13 erano le Fondazioni Lirico Sinfoniche – a 4. Per fare un paragone, in Francia vi sono 95 fra corpi di ballo di teatri d'opera e compagnie di residenza municipali, mentre in Germania sono 50. Non vi è dubbio, a detta dell'interrogante, che una tale repentina – e ingiustificata – riduzione possa sottendere una volontà politica di dismissione dell'arte della danza e del balletto in Italia;

   come si apprende da diversi organi di stampa, oltre che da una petizione lanciata sulla piattaforma « Change.org» destinata al Presidente della Repubblica e al Ministro interrogato (dal titolo «Morte dei Corpi di Ballo delle Fondazioni Liriche») e già sottoscritta da oltre 13 mila persone fra cui Carla Fracci, «sono 1 milione e 400 mila i giovani in Italia che studiano Danza, mentre (per fare un raffronto utile) non raggiungono il milione gli iscritti alle scuole di calcio. Chiudere i Corpi di Ballo dei grandi teatri d'Opera significa togliere le motivazioni e spegnere le passioni di questi giovani. Significa privarci di 1.400.000 ragazzi che crescono con uno scopo, una disciplina e l'educazione all'impegno (...) Se ci fossero 10 Fondazioni lirico sinfoniche con 10 Corpi di Ballo di 50 ballerini l'una, incluso direttori, maîtres de Ballet, assistenti e collaboratori, costerebbero 20 milioni di euro lordi l'anno. Il che ovviamente significa 10 milioni di euro, in quanto il 50% ritornerebbe allo Stato in contributi e tasse»;

   la danza è fra le altre cose – così come si evince anche da una pubblicazione riferita ad una ricerca ventennale ufficializzata nel Convegno mondiale di cardiologia di Parigi 2011 – una delle attività più formative e complete per la mente ed il corpo oltre ad essere «l'attività fisica che ha assoluto migliori risultati per la salute, per la forma, per le endorfine prodotte e per i benefici straordinari per la prevenzione delle malattie cardiovascolari». Più volte inoltre lo stesso Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo della Cultura ha affermato come lo spettacolo dal vivo produca ricchezza economica, crescita culturale, benessere, indotto produttivo e ritorno di immagine;

   in base a quanto previsto dalla legge n. 800 del 1967, all'articolo 1, «lo Stato considera l'attività lirica e concertistica di rilevante interesse generale, in quanto intesa a favorire la formazione musicale, culturale e sociale della collettività nazionale. Per la tutela e lo sviluppo di tali attività lo Stato interviene con idonee provvidenze», mentre con la lettera b) dell'articolo 2 si dettaglia «un fondo da erogare in sovvenzioni a favore di manifestazioni liriche, concertistiche, corali e di balletto da svolgere in Italia ed all'estero e di altre iniziative intese all'incremento ed alla diffusione delle attività musicali»;

   ad oggi le fondazioni che hanno chiuso i corpi di balli si ritrovano a dover acquistare gli spettacoli di balletto all'estero, mortificando in tal modo le professionalità sviluppatesi nel nostro Paese, ivi comprese quelle dei giovani coreografi emergenti –:

   se il Ministro interrogato non intenda rivedere le politiche messe in campo sino ad ora, in riferimento alle problematiche espose in premessa e se non intenda avviare immediatamente delle iniziative – iniziando da quelle di natura economica – volte a salvaguardare e implementare una delle eccellenze italiane come la danza.
(4-15756)

  Risposta. — Si riscontra l'atto di sindacato ispettivo in esame, nel quale l'interrogante, con riferimento alla chiusura del nono corpo di ballo italiano, quello della Fondazione Arena di Verona, che ha portato il numero complessivo degli stessi da 13 — così come 13 erano le fondazioni lirico sinfoniche — a 4, chiede quali iniziative il Ministero intenda intraprendere per salvaguardare e implementare una delle categoria d'eccellenza italiane come la danza.
  Si risponde sulla base degli elementi forniti dalla direzione generale spettacolo di questa amministrazione.
  Per quel che concerne la cessazione dell'attività del corpo di ballo veronese, si comunica che la Fondazione Arena di Verona, in data 28 giugno 2016, ha trasmesso al commissario straordinario di Governo la documentazione inerente la procedura prevista dall'articolo 11 del decreto-legge 8 agosto 2013, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 ottobre 2013, n. 112, come integrato dall'articolo 1, comma 356, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, a seguito della richiesta di adesione al piano di risanamento 2016-2018 avanzata il 5 gennaio 2016.
  Il citato articolo 11, tra i contenuti inderogabili per aderire al piano di risanamento da parte delle fondazioni lirico-sinfoniche in stato di crisi, prevede al comma 1, lettera
c), «la riduzione della dotazione organica del personale tecnico e amministrativo fino al cinquanta per cento di quella in essere al 31 dicembre 2012 e una razionalizzazione del personale artistico».
  Nella relazione di accompagnamento al suddetto piano si legge che «Il Piano di risanamento prevede inoltre, in aggiunta a quanto siglato con le OO.SS., la cessazione dell'attività del corpo di ballo stabile attraverso procedura di mobilità
ex 223/1991, e/o campagna di incentivazione all'esodo».
  Al 19 giugno 2017 – come si evince dal verbale dei revisori dei conti n. 39 della fondazione – n. 13 tersicorei, coinvolti nella procedura di licenziamento collettivo, hanno sottoscritto in sede protetta l'atto transattivo di rinuncia all'impugnazione ed hanno optato per la corresponsione dell'incentivo pattuito (oltre alle spettanze di fine rapporto) e sull'impegno assunto dalla fondazione ad impiegare con contratti a termine – per un periodo non inferiore a 120 giorni – gli stessi lavoratori nelle prossime stagioni areniane.
  Per gli altri 6 tersicorei, costituenti l'ex corpo di ballo, che non hanno aderito alla proposta transattiva, opera il fondo rischi accantonamento a fronte del potenziale rischio derivante dal contenzioso lavoristico.
  Per tali lavoratori, si attendono le pronunce giudiziali, le cui date di udienza sono già state stabilite.
  Per quanto concerne il piano di risanamento della Fondazione Arena di Verona,
ex articolo 1, comma 355, della legge n. 208 del 2015, si evidenzia che detto piano è stato approvato con decreto interministeriale (Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo – Ministero dell'economia e delle finanze) dell'8 settembre 2017 e trasmesso, per il prescritto controllo, alla Corte dei conti e all'ufficio centrale del bilancio di questo ministero.
  L'approvazione di detto piano, consentirà alla fondazione di poter accedere al contributo di 10.292.792,12 euro deliberato dal Mibact con decreto dirigenziale del 28 luglio 2017, n. 1248, di riparto del Fondo unico per lo spettacolo 2017 per le fondazioni lirico sinfoniche.
  Questa amministrazione, quindi, ben consapevole che l'attività lirica e concertistica ha un rilevante interesse generale, in quanto finalizzata, ai sensi dell'articolo 1 della legge 14 agosto 1967, n. 800, a «favorire la formazione musicale, culturale e sociale della collettività nazionale», si è adoperata sia in sede di risanamento che in sede di rilancio della Fondazione.
  Essendosi conclusa la fase del commissariamento, si presume che entro breve termine, la fondazione procederà alla ricostituzione dei suoi organismi fondamentali per tornare alla normalità e programmare il rilancio della fondazione stessa.
  Si auspica che il rilancio economico possa passare anche attraverso l'innalzamento della qualità degli spettacoli.
  Ciò consentirà di suscitare, altresì, l'interesse da parte dei privati, che potranno partecipare ed investire sulla fondazione e godere – ai sensi della legge n. 106 del 2014 cosiddetto Art bonus – di importanti benefici fiscali sotto forma di credito di imposta.
  Riguardo ai corpi di ballo italiani, però, non può non considerarsi l'agire in piena autonomia gestionale, così come sancito nell'articolo 3, comma 2, del decreto legislativo 29 giugno 1996, n. 367, che, tra l'altro, evidenzia il modo di operare delle fondazioni secondo criteri di imprenditorialità ed efficienza e nel rispetto del vincolo di bilancio.
  Premesso tutto quanto sopra, riguardo alla Fondazione Arena di Verona, si rappresenta che l'accelerazione del risanamento delle fondazioni lirico-sinfoniche e di rilancio del sistema nazionale musicale di eccellenza costituisce una delle priorità politiche individuate nell'atto di indirizzo del Ministro per il triennio 2017-2019.
  Questione, quest'ultima, che trova una specifica regolamentazione nell'articolo 7 del disegno di legge n. 2287 concernente «Disposizioni in materia di spettacolo e deleghe al Governo per il riordino della materia», approvato dal Senato in data 20 settembre 2017 e dalla Camera dei deputati l'8 novembre 2017.
  La predetta disposizione normativa sposta al 31 dicembre 2019 il termine per consentire alle fondazioni di adeguarsi ai nuovi parametri organizzativi e gestionali creando i presupposti per una riforma organica che, rispetto agli interventi d'urgenza del passato, da una parte interessi tutte le fondazioni – non solo quelle in crisi – e dall'altra cerchi di favorire il concorso per il sostegno di tutti i soggetti (Stato, regioni, enti locali, finanziatori privati).
  Il codice riordina tutti i settori dello spettacolo, che vanno dal teatro alla musica, alla danza, agli spettacoli viaggianti, alle attività circensi, ai carnevali storici, alle rievocazioni storiche e alla danza, regolamentando la ripartizione del fondo unico per lo spettacolo, il cui stanziamento viene contestualmente incrementato.
  Il codice, inoltre, allarga l'Art-Bonus – oggi previsto solo per le fondazioni liriche – anche a orchestre, teatro e danza.

Il Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali e il turismo: Antimo Cesaro.


   PISICCHIO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:

   la Camerata musicale barese, soggetto dotato di personalità giuridica, è il più antico cenacolo musicale di Bari che può contare su una importante storia culturale e musicale lunga oltre settantacinque anni, durante i quali ogni manifestazione ha suscitato grandi emozioni e riscosso consensi entusiastici di cultori dell'arte e della musica e da un vasto pubblico di cultori, appassionati e soci;

   la sua attività è stata riconosciuta dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo con l'assegnazione di recenti riconoscimenti per l'alto contributo dato dalla Camerata alla cultura;

   la Camerata musicale ha ospitato nel teatro Petruzzelli, da 75 anni riconosciuto dal pubblico e dalla critica come «il luogo» in cui tradizionalmente si svolgevano le programmazioni in cartellone, artisti e complessi di eccelso rilievo a cominciare da Arthur Rubistein che inaugurò la stagione 1956-1957, e da prestigiosi musicisti – concertisti quali Uto Ughi, Salvatore Accardo, Aikita Magaloff e Aldo Ciccolini, che ha dato un saggio insuperabile appena prima della sua fine, e da numerosissimi altri, tra i quali di recente Paolo Conte;

   la Camerata, inoltre, ha sempre privilegiato l'incontro tra la musica e le giovani generazioni, offrendosi anche ad una dimensione «pedagogica» che ha consentito a più generazioni di baresi la conoscenza della grande musica;

   la lunga tradizione di ospitalità del cartellone della Camerata nel teatro Petruzzelli viene oggi revocata in dubbio a causa delle difficili condizioni contrattuali avanzate dalla controparte. È pervenuta, infatti, dalla Fondazione Petruzzelli la proposta contrattuale per la stagione 2016-2017 contenente clausole che oggettivamente disincentivano la Camerata dalla possibilità dell'utilizzo del teatro. Si tratta, infatti, della proposta di un contratto per adesione e non certo la risultante di un incontro di volontà di entrambe le parti, contenente clausole eccessivamente onerose che, in alcuni passaggi, possono apparire addirittura vessatorie e comunque non compatibili con la natura di servizio pubblico cui è vocato il Teatro Petruzzelli;

   insieme alla pesante onerosità del contratto, si segnala anche la irrazionale prescrizione delle date concesse per gli spettacoli, diverse da quelle richieste per esigenze elementari, legate alla necessità di allestire per tempo il cartellone degli eventi musicali, molti mesi orsono dalla Camerata;

   tutto questo avviene in un contesto di gravissima difficoltà per l'ente Petruzzelli, già al centro di recenti episodi indagati dalla magistratura penale ed oggi a rischio di dissesto finanziario a causa di passate gestioni della Fondazione, che avrebbero fatto dichiarare all'attuale presidente dottor Gianrico Carofiglio: «siamo sull'orlo del baratro» –:

   quali urgenti iniziative il Ministro interrogato intenda assumere per concorrere, per quanto di competenza, a far sì che non venga depauperato il patrimonio culturale e musicologico barese con la inevitabile rinuncia della Camerata musicale all'utilizzo del palcoscenico del Petruzzelli, a causa dell'oneroso contratto proposto dalla Fondazione.
(4-13379)


   PISICCHIO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:

   la cultura musicologica barese trova da oltre un 75ennio nella Camerata musicale un punto di riferimento alto per la concertistica, il jazz, il balletto e la musica contemporanea, consolidando un ruolo pedagogico per generazioni di baresi che hanno potuto conoscere i migliori artisti ed esecutori presenti sulla scena mondiale, personalità come Arthur Rubistein, Uto Ughi, Salvatore Accardo, Nikita Magaloff, Aldo Ciccolini, per citarne solo alcune;

   la Camerata musicale barese, istituzione dotata di personalità giuridica, riceve per la sua attività il riconoscimento del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, non solo con l'accesso alle risorse del Fondo unico per lo spettacolo, ma anche con l'assegnazione di recenti riconoscimenti per l'alto contributo dato alla cultura, tanto da essere annoverata la prima associazione di tutto il Sud Italia, isole comprese;

   il «luogo» per antonomasia dello spettacolo «alto» della città di Bari è il teatro Petruzzelli, che ha ospitato, fin dal primo concerto di Rubistein nel 1957, le attività del cenacolo musicale rappresentato dall'istituzione musicologica barese, costruendo così una tradizione apprezzata dal pubblico e dalla critica non solo del territorio;

   tuttavia, come già da noi rappresentato in una interrogazione rivolta al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo il 7 giugno 2016 (la n. 4/13379), la felice tradizione di presenza del cartellone della Camerata nel teatro Petruzzelli viene oggi minacciata a causa delle difficili condizioni contrattuali avanzate dalla istituzione che rappresenta il politeama. La Fondazione Petruzzelli si è dotata di un regolamento per l'uso del teatro da parte di terzi e previsto anche un trattamento privilegiato a favore di soggetti destinatari di contributi Fus ma, di fatto, il rapporto che ne è scaturito, almeno con riferimento all'esperienza della Camerata barese, si è configurato come quello di un contratto per adesione e non certo come l'esito di un normale negoziato tra due parti, soprattutto per quanto riguarda la scelta delle date per le esibizioni; tale fatto non è apparso muoversi secondo l'interrogante nella logica del servizio pubblico che si addice al teatro Petruzzelli;

   nella precedente interrogazione si segnalava l'onerosità del contratto, ma occorre anche aggiungere la indisponibilità da parte della Fondazione Petruzzelli di consentire una programmazione delle date concesse per gli spettacoli, che, com'è naturale nel mondo della concertistica, dove le programmazioni hanno cadenza triennale, non possono essere allestite nell'arco di un semestre;

   questo stato di cose — per tacere della indisponibilità dell'utilizzo dell'intero palcoscenico e del tempo giornaliero, creando disagio alle esigenze di prova degli artisti — compromette l'allestimento del cartellone, impedendo la realizzazione di concerti con artisti del calibro di Valery Sokolof, Andras Schiff, Schlomo Mintz, Maxim Vengerov che devono essere impegnati a volte con più anni di anticipo, negando alla platea pugliese la fruizione di momenti di grandissima qualità, utili alla crescita culturale di spettatori che sono costretti a spostarsi in altre città italiane per assistere ai concerti –:

   quali urgenti iniziative il Ministro interrogato intenda assumere per concorrere, per quanto di competenza, a rendere possibile, ai sensi dell'articolo 9 della Costituzione, la fruizione da parte dei cittadini baresi del patrimonio musicale rappresentato da una istituzione come la Camerata musicale, che lo stesso Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo riconosce come entità culturale di rilievo nazionale, ma che oggi, a causa delle difficoltà relative all'agibilità del teatro Petruzzelli nonché alla difficoltà di disporre del palcoscenico, rischia di essere pregiudicata depauperando, così, la città di Bari di un importante strumento di crescita culturale.
(4-17918)

  Risposta. — Si riscontrano gli atti di sindacato ispettivo in esame, aventi medesimo contenuto, nei quali l'interrogante, con riferimento alle condizioni contrattuali, relative alle concessioni d'uso, tra camerata musicale barese, entità culturale di rilievo nazionale, e la fondazione Petruzzelli di Bari che ostacolerebbero la messa in scena di spettacoli musicologici, chiede di sapere quali iniziative questo Ministero intenda assumere per concorrere, per quanto di competenza, a rendere possibile la fruizione da parte dei cittadini baresi dei concerti della camerata, anche a fronte delle difficoltà relative all'agibilità del teatro Petruzzelli, in via di restauro.
  Si risponde sulla base degli elementi forniti dalla competente direzione generale spettacolo.
  Da quando, nel mese di settembre 2009, il teatro Petruzzelli venne consegnato alla fondazione Petruzzelli e teatri di Bari con atto di giunta comunale di Bari, a seguito di identico atto tra questo Ministero e il comune di Bari, la fondazione Petruzzelli si sarebbe prodigata per dare alle maggiori realtà culturali della città la possibilità di usufruire di uno spazio culturale importante, in assenza di altri luoghi disponibili perché in via di restauro (teatro Piccinni, teatro Margherita, auditorium del conservatorio «Nino Rota»).
  La fondazione Petruzzelli, nel contempo, per la sua configurazione giuridica, risponde a criteri tipici della gestione pubblica in quanto, pur essendo dotata di personalità di diritto privato, rientra, ai sensi della legge n. 196 del 2009, nell'elenco Istat delle amministrazioni pubbliche, e, pertanto, opera secondo criteri di imprenditorialità ed efficienza e nel rispetto dei vincoli di bilancio (
ex articolo 3, comma 2, decreto legislativo n. 367 del 1996). Ciò ha altresì garantito che l'ente si dotasse di un regolamento delle concessioni d'uso, elaborato e approvato dal proprio consiglio di indirizzo, che riserva particolari vantaggi economici e di disponibilità di date alla camerata musicale barese, oltre che al teatro pubblico pugliese.
  In virtù di questo regolamento, nel 2016, è stato siglato un accordo fra fondazione Petruzzelli e camerata musicale barese, della durata di due anni, grazie al quale nel 2016 e nel 2017 la camerata ha usufruito di n. 16 giornate di spettacolo per ciascun anno (il 25 per cento di tutte le concessioni offerte in ciascuno dei due anni a terzi) in presenza degli speciali vantaggi economici previsti in regolamento.
  Inoltre, la fondazione lirica barese, nel corso del triennio 2014-2017, ha aumentato progressivamente il numero di alzate di sipario, come comprovato dai punteggi dati dalla commissione musica del Ministero in occasione del riparto Fus del 2016, avendo sempre più bisogno della disponibilità d'uso del proprio teatro. E così avverrà anche per la programmazione del 2018 e delle stagioni a venire, con una conseguente riduzione delle giornate a disposizione delle istituzioni e associazioni ospiti.
  In questo contesto, la recente riapertura dell'auditorium del conservatorio di musica di Bari potrebbe rappresentare per la camerata barese una valida alternativa per diversificare le proprie programmazioni anche in quell'autorevole luogo di spettacolo che si confà molto di più alle esigenze artistiche e culturali di associazioni che, come la camerata, sono destinate alla programmazione di concerti e non di eventi lirici o teatrali.
  Si evidenzia, infine, che allo scopo di sostenere le attività di spettacolo, il Governo ed il Parlamento hanno implementato, nel 2017, la dotazione finanziaria de Fus di circa 14 milioni di euro, il che ha consentito alla camerata musicale barese di ottenere nel 2017 un contributo di euro 364.278,00, in aumento del 7 per cento rispetto al 2016.
  Questo Ministero continuerà a prodigarsi per riservare la giusta attenzione alle aspettative della camerata musicale barese, confermata già dalla garanzia d'accesso alle risorse del Fondo unico per lo spettacolo e dall'assegnazione di importanti riconoscimenti per l'alto contributo culturale. Non v'è dubbio che una tale entità di rilievo nazionale meriti di essere adeguatamente considerata, anche per l'importante funzione di diffusione a molte generazioni di cittadini baresi della grande cultura musicologica.
  

Il Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali e il turismo: Antimo Cesaro.


   PISO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   l'incremento tariffario applicato sulle autostrade A24 ed A25 (Società Strada dei Parchi), a decorrere dal 1° gennaio 2018, è pari al 12,89 per cento;

   tale incremento è stato riconosciuto dalla direzione generale per la vigilanza sulle concessioni autostradali del Ministero dalle infrastrutture e dei trasporti;

   l'aumento risulta essere inferiore solo a quello riconosciuto alla «RAV» (Raccordo Autostradale Valle d'Aosta) + 52,69 per cento alla «Milano-Serravalle Milano Tangenziali Spa» + 13,91 per cento;

   l'A24 e l'A25 sono state definite dal sopra menzionato Ministero «Autostrade di montagna»;

   i tracciati della A24 e della A25 sono caratterizzati da forti pendenze, molti viadotti anche di grande altezza ed un numero consistente di tratte in galleria –:

   considerato che i residenti di Roma che utilizzano le infrastrutture in questione pagano un ticket per spostarsi all'interno del territorio del proprio comune percentualmente in linea con chi fruisce di quelle tratte che rendono l'A24 e l'A25 «Autostrade di montagna», ovvero con caratteristiche che rendono questa viabilità onerosa per gli aspetti economico-manutentivi, se non ritenga opportuno ed equo prendere in considerazione una revisione del regime dei pedaggi per quanto attiene ai residenti nella Capitale e come si intenda affrontare la pesante situazione degli abitanti in zona Settecamini che, oltre al risibile utilizzo dell'infrastruttura (poco più di 2 chilometri), per uscire dal tratto urbano dell'autostrada sono costretti non solo a pagare un pedaggio ma anche ad incanalarsi nella corsia laterale senza poter utilizzare le corsie centrali, sottoponendosi ogni giorno a file chilometriche.
(4-19008)

  Risposta. — Con riferirne o all'atto di sindacato ispettivo in esame, sulla base delle informazione pervenute dalla direzione generale per la vigilanza sulle concessionarie autostradali di questo ministero, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  L'aumento tariffario accordato alla società. Strada dei parchi per l'anno 2018, pari complessivamente al 12,89 per cento, risulta perlopiù relativo a recuperi di incrementi tariffari maturati negli anni passati (anni 2015-2017) e precedentemente non riconosciuti a seguito dell'adozione di misure di contenimento tariffario finalizzate ad incentivare la ripresa economica.
  Il riconoscimento dei suindicati incrementi pregressi in sede di adeguamento tariffario per l'anno 2018 si è reso necessario anche al fine di recepire le pronunce giudiziarie passate in giudicato in merito ai ricorsi presentati dalla società concessionaria avverso gli aggiornamenti tariffari degli anni precedenti. Le autorità giudiziarie in questione, accogliendo le istanze della società, hanno infatti stabilito al contempo la nomina di un commissario
ad acta da parte del ragioniere generale dello Stato qualora non si fosse ottemperato al riconoscimento alla concessionaria delle suddette differenze tariffarie.
  Il mancato riconoscimento delle tariffe maturate avrebbe determinato oltretutto effetti cumulativi che, nel tempo, sarebbero potuti risultare sconvenienti per l'utenza. I crediti derivanti dai minori riconoscimenti annuali sono infatti soggetti a remunerazione, secondo le pattuizioni convenzionali, al tasso di congrua remunerazione del capitale (wacc), determinando conseguentemente ulteriori costi regolatori che si riflettono nelle variazioni tariffarie degli esercizi successivi.
  L'incremento tariffario accordato alla società Strada dei’ parchi è stato, ad ogni modo, determinato sulla base di quanto stabilito nella convenzione di concessione vigente fra concessionaria e concedente, applicando i criteri individuati dalle delibere CIPE di riferimento n. 319 del 1996 e n. 39 del 2007.
  Il mancato riconoscimento degli incrementi tariffari così come risultanti dall'applicazione delle metodologie e dei criteri previsti dal contratto di concessione avrebbe pertanto comportato per l'amministrazione una responsabilità patrimoniale.
  Allo stato attuale, le regioni Lazio e Abruzzo stanno comunque procedendo, all'individuazione di misure agevolative per l'utenza, facendosi direttamente carico dei relativi costi.
  Contestualmente, è in corso l'aggiornamento del piano economico-finanziario della società concessionaria nell'ambito del quale saranno specificamente regolati tutti gli interventi di messa in sicurezza dell'infrastruttura previsti a termini di legge. Tali interventi prevedono anche la compartecipazione dello Stato mediante l'erogazione di contributi pubblici, finalizzata anch'essa alla minimizzazione dei costi a carico dell'utenza. Nello stesso piano economico-finanziario saranno, inoltre, individuate ulteriori misure sempre con l'obiettivo di ottimizzare livelli tariffaria beneficio degli utenti.
  Infine, si evidenzia che la rete autostradale di competenza della società Strada dei parchi (A24 e A25) è caratterizzata da una tariffa unitaria chilometrica di montagna. Le tariffe delle autostrade classificate di montagna sono più elevate di quelle di pianura, in ragione dei maggiori costi connessi alla tipologia di infrastruttura (ponti, viadotti, ecc.) e alla manutenzione.
  Inoltre, in ragione della particolare conformazione di tipo urbano di detta autostrada, è operativo un sistema di pedaggiamento «di tipo aperto» nella tratta compresa tra l'inizio del tratto autostradale, posto all'intersezione con la tangenziale est di Roma e la barriera di Roma Est.
  L'autostrada A24 ha infatti inizio a Roma, con progressiva chilometro 0+000 sul Grande raccordo anulare (GRA), crescente tanto verso la tangenziale est di Roma quanto verso Teramo e Pescara.
  Diversamente dai sistemi «di tipo chiuso», dove il cliente ritira un biglietto in entrata e lo consegna in uscita, pagando il pedaggio corrispondente al percorso effettuato, nei sistemi di pedaggiamento «di tipo aperto», la riscossione del pedaggio avviene solo per gli utenti che utilizzano le uscite finali del tratto aperto, con corresponsione di un pedaggio commisurato ad una percorrenza convenzionale.
  In particolare, nel tratto in questione, il pedaggio è corrisposto dagli utenti in uscita/entrata dalle stazioni di Lunghezza, Ponte di nona e Settecamini provenienti da/diretti per la tangenziale est di Roma. Per contro, nel tratto iniziale compreso tra la tangenziale est di Roma e il Grande raccordo anulare non viene riscosso alcun pedaggio.
  La scelta relativa alla tipologia del sistema di esazione adottato, nonché al posizionamento di stazioni controllate e svincoli liberi, alle lunghezze in base alle quali calcolare i pedaggi, è stata così individuata sulla base dei vincoli di progetto, oltre che dalla necessità di garantire la fluidità e le migliori condizioni di sicurezza del traffico.

Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti: Riccardo Nencini.


   POLVERINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:

   secondo quanto si apprende da diverse fonti giornalistiche, ad oggi sarebbe impossibile percorrere la strada provinciale 209 Valnerina che, all'altezza del chilometro 62, presenta un'ostruzione nel passaggio. In particolare, l'episodio risale al mese di settembre 2016 quando, a causa degli eventi sismici, alcuni massi e rocce, dopo essersi staccati dalla parete che sovrasta la citata strada provinciale, si sono riversati sull'asfalto, causando diversi danni ad alcuni mezzi pesanti parcheggiati nei pressi ma, soprattutto, provocando un'ostruzione alla viabilità che ha costretto i vigili del fuoco di Visso ad evacuare temporaneamente alcuni residenti e recuperare gli animali domestici;

   da allora, non sembra che la situazione sia cambiata e la citata strada provinciale 209 Valnerina risulta attualmente non percorribile: com'è noto, tuttavia, essa rappresenta un collegamento strategico, poiché collega i comuni della Valnerina della provincia di Macerata e Perugia a Terni e, in ultima analisi, alla città di Roma. Essa rappresenta, inoltre, un passaggio fondamentale per il commercio ed il turismo di quei luoghi, oltre ad essere un importante viatico per le numerose opere di ricostruzione a seguito del grave sisma che ha colpito quelle zone;

   inoltre, è necessario considerare che una frana caduta circa dieci mesi fa e non ancora rimossa, non solo costringe coloro i quali volessero raggiungere i comuni di Visso, Castelsantangelo sul Nera ed Ussita ad affrontare una vera e propria odissea chilometrica, attraverso una viabilità alternativa, che quasi decuplica la percorrenza, ma sta imponendo di fatto alle popolazioni residenti in quei luoghi, nonché ai commercianti ed ai rappresentanti delle attività produttive, già duramente provati dal violento sisma, un isolamento insensato, collegato a molteplici disagi pratici che sembrano aver spostato le lancette del tempo indietro di alcuni secoli –:

   di quali elementi disponga il Governo circa i motivi per i quali non si è ancora provveduto ad una celere riapertura della citata strada e se intenda intraprendere le iniziative, per quanto di competenza, al fine di favorire una pronta risoluzione della questione, anche attraverso interventi volti ad ottenere almeno una viabilità provvisoria, mediante l'eventuale ausilio del Genio dell'Esercito, come accaduto nei casi di Amatrice e Norcia, così da consentire alle popolazioni di uscire dall'isolamento nel quale la frana sembra averli ingiustamente condannati e che potrebbe compromettere definitivamente le loro attività, già pesantemente segnate dal sisma.
(4-17578)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta sulla base delle informazioni pervenute dalla direzione generale per le strade e le autostrade e per la vigilanza e la sicurezza nelle infrastrutture stradali di questo ministero e dalla società Anas.
  Il Governo con il decreto-legge n. 189 del 2016 (convertito, con modificazioni, nella legge n. 229 del 15 dicembre 2016) ha conferito ad Anas l'incarico di ripristinare e mettere in sicurezza le infrastrutture stradali statali nonché quello di coordinare e supportare gli interventi sulla rete viabile di competenza degli enti territoriali e locali.
  Al riguardo, per la strada provinciale Valnerina, Anas ha effettuato una complessa attività di indagini geologiche, rilievi tecnici e progettazioni, attivando 4 distinti interventi, per un investimento complessivo di circa 8,8 milioni (stralcio I - fase 1a), da realizzare dal chilometro 62+000 al chilometro 65+800.
  Anas informa che il 17 ottobre 2017. ha aperto al traffico locale, in tre fasce orarie (7:00-8:00; 12:00-13:00: 17:00-18:00) con senso unico alternato, la strada provinciale Valnerina nel comune di Visso (Macerata).
  I lavori hanno consentito di mettere in sicurezza il versante roccioso della strada provinciale e avviare la ricostruzione del tratto interessato. Il transito, in corrispondenza della frana e attualmente garantito, in maniera provvisoria, mediante una pista di circa 600 metri, appositamente realizzata e costantemente monitorata dal personale tecnico di Anas.
  Il completo ripristino del corpo stradale sarà, invece, concluso entro la fine del corrente mese mentre i lavori di posa in opera delle barriere stradali e delle opere di protezione (reti paramassi) sono già stati ultimati nel dicembre 2017.
  

Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti: Riccardo Nencini.


   PRODANI e RIZZETTO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:

   il Porto Vecchio di Trieste (Punto Franco Nord), realizzato nell'ultimo trentennio dell'800 su una superficie di 67 ettari prospicienti il centro città comprendente e cinque moli, banchine di carico e scarico e raccordi ferroviari, è riconosciuto quale uno tra gli ambiti di archeologia industriale marittima più rilevanti del Mediterraneo: i magazzini, posti al suo interno, che contano una cubatura di oltre un milione di metri, appartengono alla classificazione disciplinata dalle regole costruttive specifiche dei lagerhauser dei porti del Nord Europa;

   negli ultimi decenni, il Porto Vecchio ha subito, da un punto di vista produttivo, un parziale e progressivo abbandono. Sono stati comunque, negli ultimi dieci anni, recuperati i varchi doganali, il magazzino 1 sul molo IV e, quali esempi di archeologia industriale-portuale, il magazzino 26, la più ampia costruzione del sito, l'edificio della centrale idrodinamica e l'edificio della sottostazione elettrica, ancora oggi sedi di macchine generatrici di energia conservate nella loro interezza nell'edificio originario. Questi due ultimi edifici speciali sono stati restaurati e riutilizzati (come Polo museale del Porto dal 2012), su iniziativa di Italia Nostra e grazie a un protocollo di intesa tra autorità portuale, regione Friuli Venezia Giulia e Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, con utilizzo di fondi pubblici ed europei;

   la legge 23 dicembre 2014, n. 190, (legge di stabilità 2015) ha stabilito la sdemanializzazione di gran parte dei 60 ettari del Porto Vecchio, sancendo la fine della pubblica utilità dell'area nonché, in capo al commissario di Governo del Friuli Venezia Giulia, il trasferimento del regime di punto franco ad altre aree da individuare. In particolare, la legge stabilisce anche il passaggio del Porto Vecchio al patrimonio disponibile del comune di Trieste, che dovrà occuparsi della vendita dell'area e del trasferimento «dei relativi introiti all'Autorità Portuale di Trieste per gli interventi di infrastrutturazione del Porto Nuovo e delle nuove aree destinate al regime internazionale di Punto Franco»;

   il 5 novembre 2015, il comune di Trieste ha pubblicato il bando per un’«Indagine esplorativa di mercato finalizzata all'individuazione di un operatore cui affidare l'incarico per la redazione di linee guida per l'impostazione e la redazione delle linee guida del Piano Strategico di valorizzazione delle aree facenti parte del Porto Vecchio di Trieste»; le attività oggetto dell'incarico, divise in 3 fasi, per la durata di minimo 180 giorni, «consistono sostanzialmente nel fornire supporto ed elementi conoscitivi e propositivi finalizzati alla trasformazione delle informazioni e dei dati relativi al contesto dell'area ed a quelli più ampi del territorio, inclusi quelli di natura economico-finanziaria, in conoscenza utile all'Amministrazione comunale per assumere le decisioni più appropriate finalizzate a rendere appetibile per potenziali investitori anche stranieri investimenti e iniziative economiche nell'area del Porto Vecchio.»;

   il bando stabilisce che la valutazione delle offerte tecnico-economiche sarà demandata ad una apposita commissione giudicatrice ed indica, quale responsabile del procedimento, il dottor Walter Toniati, direttore del servizio progetti strategici e appalti, contratti e affari generali del comune di Trieste;

   in particolare, la prima fase prevede, «l'evidenza dei punti di forza e delle criticità, dei fabbisogni, da sviluppare e implementare con possibili e fattibili soluzioni, dei limiti e vincoli (urbanistici, morfologici, ambientali e altro), dei rischi e delle opportunità» mentre, la seconda, l’«Indicazione delle zone di modificazione fisica dell'area del Porto Vecchio secondo aree omogenee di, conservazione o restauro, riqualificazione, l'analisi dei limiti e dei vincoli insistenti sull'area»;

   come riportato da Il Piccolo, il 25 gennaio 2016, la Commissione, composta da soli tre membri, «presieduta da Walter Toniati (responsabile dell'Ufficio progetti strategici del Comune) e composta anche dal segretario generale dell'Authority Mario Sommariva e dal docente universitario Vittorio Torbianelli, ha vagliato attentamente le dodici offerte» ed ha affidato l'incarico a Ernst&Young financial business advisor Milano, per un importo di 170 mila euro;

   il 27 gennaio 2016, come riporta Il Piccolo, durante una conferenza pubblica, è stato lo stesso Toniati a spiegare come, tra alcuni mesi, «con l'intavolazione di Magazzini e fabbricati a favore del Comune, l'amministrazione dovrà sobbarcarsi il pagamento di imposte e tasse, quote di assicurazione, vigilanza, manutenzioni ordinarie e straordinarie. Non solo, dovrà anche provvedere all'infrastrutturazione dell'area (allacciamenti fognari, idrici, elettrici, informatici, ecc.), che non potrà essere a carico dei futuri investitori. C'è già un progetto con una stima dei costi e una spesa prevista di 9 milioni di euro per una porzione di 100 mila metri quadrati – aveva aggiunto – per 600 mila quadrati non si può moltiplicare per sei perché vi sono economie di scala, ma comunque si tratterà di spendere alcune decine di milioni di euro»;

   in data 27 gennaio 2016, il prefetto di Trieste Garufi, in qualità di commissario di Governo per la regione Friuli Venezia Giulia, ha decretato, con prot. 19/8-5/2016, il trasferimento di una porzione del regime di Punto Franco dal Porto Vecchio a 5 aree distribuite sul territorio triestino, individuate e proposte dall'Autorità portuale di Trieste;

   l'associazione Italia Nostra già da molti anni è impegnata fattivamente per il recupero e la tutela dell'area di Porto Vecchio. Una missiva del 24 dicembre 2013 (Prot. 009951) indirizzata da Giangiacomo Martines, direttore regionale per i beni culturali e paesaggistici per il Friuli Venezia Giulia, all'allora Ministro Bray, nel rimarcare il pregio architettonico e monumentale di Porto Vecchio, ha sottolineato la necessità, indicata da Italia Nostra, di intervenire con urgenza per la messa in sicurezza ed il restauro leggero degli edifici del Porto Vecchio, anche al fine del suo riutilizzo in termini economici, turistici e culturali. La missiva indica che il citato restauro era stato proposto attraverso l'elaborazione di un Masterplan, che meritava la massima attenzione da parte del Ministero, ampiamente condiviso con l'Autorità portuale, la provincia e l'Università degli studi ed attraverso dei finanziamenti europei, opportunamente individuati dall'associazione;

   l'8 aprile 2014 il Direttore del servizio II tutela del patrimonio architettonico del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, Stefano D'Amico ha risposto (prot. 009372) al Gabinetto del Ministro e alla direzione regionale dei beni culturali per il Friuli Venezia Giulia che, «esaminato il dettagliato e accurato Masterplan per il Porto vecchio 2013 ritiene» pregevole, oltre che necessario, il progetto di riqualificazione di Italia Nostra attraverso il rinnovo del Protocollo d'intesa scaduto nel 2010 e attraverso il ricorso agli strumenti finanziari europei;

   successivamente, il 3 luglio 2014 (n. prot. 16709) Francesca Gandolfo, direttore del servizio II tutela del patrimonio architettonico del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, ha scritto al gabinetto del Ministro, alla direzione regionale del Friuli Venezia Giulia e alla Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici del Friuli Venezia Giulia (con riferimento alla nota di Gabinetto del 23 giugno 2013 e alla lettera della direzione regionale del Friuli Venezia Giulia del 24 dicembre 2013) di aver già espresso parere positivo sul progetto di Italia Nostra per il Porto vecchio e di ritenere utile e opportuno predisporre un secondo sopralluogo in Porto vecchio «a patto che sia garantita la partecipazione fattiva di tutti i soggetti interessati, al fine di giungere ad un'effettiva condivisione degli scopi, degli obiettivi, e delle priorità degli interventi». Obiettivo ormai raggiunto nel corso del 2015 e condiviso da tutti gli enti coinvolti;

   il 5 novembre 2015 l'architetto Francesco Scoppola, direttore generale delle belle arti e del paesaggio del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo (Prot. 27064), nel ribadire il proprio giudizio favorevole ad iniziative che tutelino e valorizzino il patrimonio storico monumentale dell'importante distretto portuale di Trieste, ivi compresa l'organizzazione di un workshop internazionale, ha comunicato che «per i necessari sopralluoghi è stata interessata la Soprintendenza territorialmente competente»;

   Italia Nostra, come riportato da una nota pubblicata su Il Piccolo del 23 agosto 2015, ha già criticato le notizie relative alla ricerca, da parte del comune di Trieste, di un advisor, a cui «affidare le decisioni essenziali sullo sviluppo di tutta l'area, senza che si siano già dettate le linee guida generali da rispettare, ed alle quali vorremmo partecipare anche noi con nostre proposte, al di là dell'esclusività dell'azione politica». Il comunicato ribadisce che «Siamo sicuramente preparati, con le professionalità all'interno dell'associazione prosegue la nota – ad affrontare tutti i problemi, che conosciamo benissimo ed a dare il nostro contributo alla loro soluzione, e non si può correre il rischio, come è già successo in passato, di affidare ad un unico "terzo" scelte fondamentali, attraverso intermediazioni, che alla fine hanno creato più che altro contrasti e polemiche, evidenziandone la debolezza»;

   secondo un comunicato stampa diffuso da Italia Nostra, sezione di Trieste, il 2 marzo 2016, «sarebbe stato più opportuno e confacente lasciare la ricerca dell’advisor ad un secondo tempo, organizzando sin da subito un Workshop ad alto livello istituzionale, onde individuare insieme ad esperti internazionali i criteri e le modalità migliori per il riuso del Porto Vecchio. Italia Nostra aveva già patrocinato e reso disponibile pubblicamente un Comitato scientifico internazionale per il Porto, che avrebbe potuto procedere anche in accordo con l'AIPAI (Associazione Italiana per il Patrimonio Archeologico Industriale): ma tutte le nostre segnalazioni e le richieste (inviate anche via PEC) al riguardo sono state completamente ignorate, come quella più recente di un sollecito incontro con il Sindaco. Eppure, dopo il masterplan redatto a cura dall'Associazione (con la collaborazione di professionisti ed esperti) che pur illustrava le sostanziali linee guida e le opportunità di sviluppo e di riqualificazione dell'area del Porto vecchio, nonché i molti convegni organizzati da Italia Nostra sul tema, un Workshop con il contributo di questi esperti avrebbe certamente costituito una straordinaria occasione a costi quasi nulli. Inesplicabile è dunque perché non si è voluto approfittare di un lungo ed accurato lavoro già svolto, che avrebbe consentito ancor prima il reperimento di validi obiettivi strategici e di investitori.»;

   il 20 febbraio 2016, Il Piccolo riporta dell'invio, da parte del sindaco di Trieste, di due documenti tecnici accompagnati dalla bozza di un protocollo d'intesa per la richiesta di investimenti statali, pari a 18 milioni di euro, corredati da un protocollo d'intesa Governo-regione-comune, abbozzato insieme alla presidente Debora Serracchiani, per attivare gli investimenti sollecitati;

   Il Piccolo del 3 marzo 2016, nell'articolo «Lascia Toniati, il tecnico del Porto vecchio», riferisce che «il responsabile dell'Ufficio progetti strategici del Comune costituito dal sindaco Roberto Cosolini, in particolare per seguire il processo di sdemanializzazione del Porto vecchio, ha chiesto e ottenuto quattro anni di aspettativa dal ruolo di dipendente comunale e già dal 1o marzo ha assunto la carica di direttore generale dell'Istituto nazionale di oceanografia e geofisica sperimentale». A seguito dell'addio del dirigente comunale, l'articolo riporta che il sindaco Roberto Cosolini starebbe «per affidare l'incarico temporaneo di reggente al dirigente Walter Cossutta, dopodiché bandiremo subito il concorso interno per il nuovo dirigente titolare dell'Ufficio progetti strategici.»;

   a parere degli interroganti risulta grave il fatto che il responsabile del procedimento e responsabile dell'ufficio progetti strategici del comune di Trieste, a poco più di un mese dall'affidamento dell'incarico ad Ernst&Young, lasci la propria funzione. Risultano, poi, oscuri i motivi che abbiano portato il comune di Trieste ad ignorare il Masterplan già realizzato da Italia Nostra e a non proseguire, di concerto con l'associazione ed il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, sulla strada per determinare le linee guida della riqualificazione che la corrispondenza tra le istituzioni aveva già delineato –:

   quali siano gli orientamenti del Ministro interrogato, alla luce dei pareri positivi espressi dagli organi competenti del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo sul MasterPlan e sul workshop internazionale proposti da Italia Nostra;

   se il Ministro interrogato intenda confermare che il « Workshop internazionale» sia lo strumento più adatto a definire le linee guida per il recupero del Porto Vecchio;

   per quali ragioni, nella composizione della commissione giudicatrice costituita per il bando di cui in premessa, non sia stata prevista la presenza di rappresentanti della soprintendenza;

   se il Ministro non ritenga necessario e urgente assumere iniziative per la messa in sicurezza dei magazzini di cui in premessa e per favorire, a tale scopo, l'utilizzo di fondi europei attraverso una programmazione nazionale ed europea.
(4-12738)


   PRODANI e MUCCI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:

   il Porto Vecchio di Trieste (Punto Franco Nord), realizzato nell'ultimo trentennio dell'800 su una superficie di 67 ettari prospicienti il centro città e comprendente cinque moli, banchine di carico e scarico e raccordi ferroviari, è riconosciuto quale uno tra gli ambiti di archeologia industriale marittima più rilevanti del Mediterraneo: i magazzini, posti al suo interno, che contano una cubatura di oltre un milione di metri, appartengono alla classificazione disciplinata dalle regole costruttive specifiche dei lagerhauser dei porti del Nord Europa;

   negli ultimi decenni, il Porto Vecchio ha subito, da un punto di vista produttivo, un parziale e progressivo abbandono. Sono stati recuperati, negli ultimi dieci anni, i varchi doganali, il magazzino 1 sul molo IV e, quali esempi di archeologia industriale-portuale, il magazzino 26, l'edificio della centrale idrodinamica e l'edificio della sottostazione elettrica, ancora oggi sedi di macchine generatrici di energia conservate nella loro interezza nell'edificio originario. Questi due ultimi edifici sono stati restaurati e riutilizzati (come Polo museale del Porto dal 2012), su iniziativa di Italia Nostra e grazie a un protocollo di intesa tra Autorità Portuale, regione Friuli Venezia Giulia e Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, con utilizzo di fondi pubblici ed europei;

   la legge 23 dicembre 2014, n. 190, (legge di stabilità 2015) ha stabilito la sdemanializzazione di gran parte dei 60 ettari del Porto Vecchio, sancendo la fine della pubblica utilità dell'area nonché, in capo al commissario di Governo del Friuli Venezia Giulia, il trasferimento del regime di Punto Franco ad altre aree da individuare. In particolare, la legge stabilisce anche il passaggio del Porto Vecchio al patrimonio disponibile del Comune di Trieste, che dovrà occuparsi della vendita dell'area e del trasferimento «dei relativi introiti all'Autorità Portuale di Trieste per gli interventi di infrastrutturazione del Porto Nuovo e delle nuove aree destinate al regime internazionale di Punto Franco»;

   l'associazione Italia Nostra da molti anni è impegnata fattivamente per il recupero e la tutela dell'area di Porto Vecchio. Una missiva del 24 dicembre 2013 (Prot 009951) indirizzata da Giangiacomo Martines, Direttore Regionale per i beni culturali e paesaggistici per il Friuli Venezia Giulia, all'allora Ministro Bray, nel rimarcare il pregio architettonico e monumentale di Porto Vecchio ha sottolineato la necessità, indicata da Italia Nostra, di intervenire con urgenza per la messa in sicurezza ed il restauro leggero degli edifici del Porto Vecchio, anche al fine del suo riutilizzo in termini economici, turistici e culturali. La missiva indica che il citato restauro proposto attraverso l'elaborazione di un Masterplan, meritasse la massima attenzione da parte del Ministero, ampiamente condiviso con l'Autorità Portuale, la Provincia e l'Università degli Studi ed attraverso dei finanziamenti europei, opportunamente individuati dall'associazione;

   dal 2013 ad oggi l'interlocuzione tra Italia Nostra e il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo è stata caratterizzata, da parte di quest'ultimo, da una valutazione positiva sia nei riguardi del Masterplan inerente il Porto Vecchio, che nell'organizzazione di un workshop internazionale finalizzato a raccogliere e integrare gli aspetti di conoscenza e di progettualità prodotti nel tempo su Porto Vecchio da studiosi e da associazioni interessate alla tutela dei patrimoni storici e culturali;

   il 20 febbraio 2016 Il Piccolo riporta dell'invio al Governo, da parte del Sindaco di Trieste, di due documenti tecnici accompagnati dalla bozza di un protocollo d'intesa per la richiesta di investimenti statali, pari a 18 milioni di euro, corredati da un protocollo d'intesa Governo-Regione-Comune abbozzato insieme alla Presidente Debora Serracchiani, per attivare gli investimenti sollecitati;

   il 1o maggio 2016 il comitato interministeriale per la programmazione economica (Cipe), ha approvato il Piano Cultura e Turismo proposto dal Ministro dei beni e attività culturali e del turismo. Da una nota stampa del 2 maggio il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo dichiara che il piano stanzia un miliardo di euro del Fondo Sviluppo e Coesione 2014-2020 per realizzare 33 interventi di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale e di potenziamento del turismo culturale; tra i vari interventi da attuare nelle regioni italiane, il piano prevede «50 milioni per il restauro e la valorizzazione del Porto Vecchio di Trieste, destinato a divenire un grande attrattore culturale transfrontaliero»;

   il 2 maggio, nel corso della presentazione alla stampa del piano #UnMiliardoperlacultura, il Ministro Franceschini ha dichiarato pubblicamente che «Portovecchio è una delle sfide più importanti che il Paese dovrà affrontare nei prossimi anni. È un posto incredibile, era il porto degli Asburgo, e può diventare una delle operazioni più importanti in Europa di riqualificazione di un'intera città. Questi 50 milioni sono destinati ad interventi importanti che apriranno anche il tema della destinazione di quest'area, con una discussione a livello nazionale»;

   in data 3 maggio 2016, un articolo del quotidiano Il Piccolo riporta che «Il documento presentato di recente agli uffici della Presidenza del Consiglio, dopo che il 10 febbraio un primo dossier era già stato consegnato a Lotti, stima per i primi interventi infrastrutturali funzionali a quelli successivi (comprensivi però anche di specifiche ristrutturazioni) un fabbisogno complessivo di 53.700.000 euro. (...)»;

   l'articolo, inoltre, elenca una serie di interventi, prevalentemente indirizzati ad opere di infrastrutturazione ed alla creazione del nuovo museo del mare ma non specifica, né riporta, la documentazione ufficiale che attesti la programmazione e le tempistiche dei lavori; nessuna risorsa sarebbe destinata alle urgenti opere di messa in sicurezza e di restauro leggero di cui le strutture del Porto Vecchio necessitano;

   l'interrogante ha depositato in data 12 maggio 2016, l'interrogazione 4-13166, ancora senza risposta, nella quale ha chiesto al Ministro un piano dettagliato degli interventi, le priorità e le specifiche per ogni singola opera da realizzare;

   in data 12 maggio 2016, l'Associazione Italia Nostra ha inviato una lettera indirizzata al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, Dario Franceschini, al segretario generale Antonio Pasqua Recchia, al soprintendente belle arti e paesaggio Friuli Venezia Giulia Corrado Azzolini, al commissario straordinario dell'autorità portuale di Trieste - Zeno D'Agostino e al sindaco di Trieste Roberto Cosolini avente come oggetto le «proposte sull'utilizzo dei fondi del piano stralcio del fondo per lo sviluppo e la coesione approvato dal CIPE il 1o maggio 2016 destinati al Porto Vecchio». Nel testo, oltre a ribadire che una parte delle aree e degli immobili del Porto Vecchio è in corso il trasferimento al comune di Trieste, «non è noto a che punto siano tali attività catastali. Tuttavia è chiaro che il trasferimento del diritto di proprietà dello Stato al Comune non può far venire meno l'applicabilità delle norme generali in materia di beni culturali di proprietà pubblica, contenute nel codice civile (articolo 822-824) e nel codice dei beni culturali (articolo 53-59): in base a tali norme il Comune è tenuto a rispettare il regime di inalienabilità dei beni, per i quali sia stata accertata la sussistenza di un interesse culturale. Come dispone infatti l'articolo 53 del codice dei beni culturali, i beni appartenenti allo Stato, alle regioni e agli altri enti pubblici territoriali, che rientrino nelle tipologie indicate all'articolo 822 del codice civile (cioè gli immobili riconosciuti di interesse storico, archeologico e artistico a norma delle leggi in materia, le raccolte dei musei, delle pinacoteche degli archivi, delle biblioteche), costruiscono il demanio culturale, e non possono essere alienati, ne formare oggetto di diritti a favore di terzi, se non nei limiti con le modalità previsti dal codice dei beni culturali, e cioè, in caso di immobili la cui esecuzione risalga a più di 70 anni, solo in caso di accertamento dell'insussistenza dell'interesse culturale, attraverso il procedimento di cui all'articolo 12 del codice predetto»;

   l'associazione ribadisce la necessità «di promuovere urgentemente un Workshop internazionale, che possa costituire un momento di confronto ad alto livello, per la messa a punto degli interventi immediatamente cantierabili necessari a conservare e valorizzare gli antichi magazzini asburgici del Porto Vecchio di Trieste, soggetti da tempo al vincolo culturale»;

   Italia Nostra nella comunicazione specifica, infine, come sia fondamentale, rispetto alle azioni programmate dal comune, la realizzazione di interventi di messa in sicurezza immediata degli immobili di interesse storico architettonico in condizioni di grave degrado. Per tali provvedimenti di messa in sicurezza, secondo la stima elaborata dall'associazione si ritiene che possano essere sufficienti circa 26 milioni di euro;

   in data 28 maggio 2016, il Piccolo di Trieste riporta la notizia della firma del protocollo per la valorizzazione del Porto Vecchio, tra il Presidente del Consiglio dei ministri Matteo Renzi, il sindaco di Trieste Roberto Cosolini, la presidente della regione Debora Serracchiani e il commissario del porto Zeno d'Agostino. Il patto «sblocca 50 milioni di investimenti per l'infrastrutturazione dell'antico scalo». L'articolo illustra come «le parti firmatarie s'impegnano in particolare a realizzare le opere per l'infrastrutturazione e l'inserimento dell'area del Porto vecchio nel tessuto cittadino e a elaborare il Piano strategico di valorizzazione predisponendo gli strumenti urbanistici necessari. Altro aspetto fondamentale dell'intesa è la costituzione entro trenta giorni di un Tavolo coordinato dalla Regione» –:

   se il ministro interrogato intenda chiarire l'utilizzo dei fondi del piano stralcio del Fondo per lo sviluppo e la coesione approvato dal Comitato interministeriale per la programmazione economica il 1o maggio 2016 destinati al Porto Vecchio di Trieste;

   se il Ministro interrogato ritenga che il «Workshop internazionale» di cui in premessa sia lo strumento più adatto a definire le linee guida per il recupero del porto Vecchio, alla luce del protocollo siglato a Trieste di cui in premessa e dell'annuncio di costituzione di un tavolo coordinato dalla regione Friuli Venezia Giulia;

   quali iniziative intenda adottare, alla luce dell'articolo 53 del codice dei beni culturali, posto che, come riportato in premessa, i beni che costituiscono demanio culturale non possono essere alienati;

   se il Ministro interrogato non ritenga necessario e urgente assumere iniziative di competenza per la messa in sicurezza dei magazzini di cui in premessa e per favorire, a tale scopo, l'utilizzo di fondi europei attraverso una programmazione nazionale ed europea;

   se non reputi che l'intervento di destinazione dei fondi individuati di cui in premessa debba prioritariamente riguardare la messa in sicurezza ed il recupero dei magazzini storici.
(4-13414)


   PRODANI e MUCCI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   il porto vecchio di Trieste (punto franco nord), realizzato nell'ultimo trentennio dell'800 su una superficie di 67 ettari prospicienti il centro città e comprendente cinque moli, banchine di carico e scarico e raccordi ferroviari, è riconosciuto quale uno tra gli ambiti di archeologia industriale marittima più rilevanti del Mediterraneo: i magazzini, posti al suo interno, che contano una cubatura di oltre un milione di metri, appartengono alla classificazione disciplinata dalle regole costruttive specifiche dei lagerhauser dei porti del Nord Europa;

   negli ultimi decenni, il porto vecchio ha subito, da un punto di vista produttivo, un parziale e progressivo abbandono. Sono stati, comunque, recuperati i varchi doganali, il magazzino 1 sul molo IV e, quali esempi di archeologia industriale-portuale, il magazzino 26, l'edificio della centrale idrodinamica e l'edificio della sottostazione elettrica;

   la situazione riguardante il porto vecchio è stata esaminata e sollevata dall'interrogante in diversi atti di sindacato ispettivo depositati e pubblicati, in particolare le interrogazioni n. 4-13166 del 12 maggio 2016 e n. 4-13414 dell'8 giugno 2016, ancora senza risposta;

   il 28 maggio 2016, il Piccolo di Trieste riporta la notizia della firma del protocollo per la valorizzazione del porto vecchio tra il Presidente del Consiglio dei ministri Matteo Renzi, il sindaco di Trieste Roberto Cosolini, la presidente della regione Friuli Venezia Giulia Debora Serracchiani e il commissario del porto Zeno d'Agostino. L'articolo illustra come il patto «sblocca 50 milioni di investimenti per l'infrastrutturazione dell'antico scalo» e che «le parti firmatarie s'impegnano in particolare a realizzare le opere per l'infrastrutturazione e l'inserimento dell'area del porto vecchio nel tessuto cittadino e a elaborare il Piano strategico di valorizzazione predisponendo gli strumenti urbanistici necessari. Altro aspetto fondamentale dell'intesa è la costituzione entro trenta giorni di un Tavolo coordinato dalla Regione»;

   nella medesima giornata, il sito Retecivica del comune di Trieste ha diffuso, attraverso una nota stampa, la notizia della firma del protocollo per la «valorizzazione delle aree già facenti parte del compendio del Porto Vecchio» tra la Presidenza del Consiglio dei ministri, la regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, il comune di Trieste e l'autorità portuale di Trieste;

   in particolare, l'articolo 3, comma 1, afferma che: «le azioni, che di volta in volta saranno concordate tra le Parti, saranno dirette, secondo le Linee dettate dal presente Protocollo, a individuare modalità e percorsi operativi condivisi per: realizzare le opere per l'infrastrutturazione e l'inserimento dell'area nel tessuto cittadino; individuare le soluzioni relative alle tematiche delle aree soggette a usi governativi; adempiere agli obblighi in materia tavolare; definire le tematiche fiscali; elaborare il Piano strategico di valorizzazione e predisporre gli strumenti urbanistici; effettuare il monitoraggio e l'eventuale revisione dei vincoli insistenti sull'area; ricercare le risorse e acquisire finanziamenti per provvedere alla progettazione e realizzazione delle opere di urbanizzazione ed infrastrutturazione sopra indicate nel porto vecchio di Trieste; individuare idonee forme di ristoro delle spese sostenute del comune di Trieste; esaminare e definire ogni altra tematica che dovesse manifestarsi, necessaria per la realizzazione del programma di interventi»; l'articolo 5, comma 1, del protocollo istituisce, entro 30 giorni dalla stipula, «il Tavolo dei sottoscrittori composto da un rappresentante di ciascuna Parte, coordinato dal rappresentante della Regione» –:

   se si intenda chiarire secondo quali modalità si procederà alla valutazione della prospettata revisione dei vincoli presenti nel compendio di porto vecchio assicurando la tutela culturale e paesaggistica dei beni e salvaguardando le esigenze di valorizzazione dell'area, della messa in sicurezza e del loro restauro;

   se, alla luce di quanto esposto all'interno del protocollo d'intesa, si intendano definire in maniera chiara le linee programmatiche su cui si dovrebbe fondare l'elaborazione del piano strategico di valorizzazione assegnato al tavolo dei sottoscrittori e se si intenda coinvolgere anche l'associazione Italia Nostra che da anni segue puntualmente con impegno tutte le vicende legate alla riqualificazione del distretto storico portuale triestino.
(4-13520)

  Risposta. — Si riscontrano gli atti di sindacato ispettivo nn. 4-13414, 4-12738, 4-13520, aventi medesimo contenuto, nei quali l'interrogante, con riferimento al progetto di restauro e valorizzazione del Porto vecchio di Trieste, programmato nel piano cultura e turismo proposto dal Ministro Franceschini ed approvato in data 1o maggio 2016 dal comitato interministeriale per la programmazione economica — Cipe, chiede se il Ministero intenda fornire, per l'area in questione, un piano dettagliato degli interventi previsti, delle modalità e delle tempistiche necessarie per l'erogazione dei finanziamenti statali pari a 50 milioni di euro, e se intenda, inoltre, chiarire come l'operazione si concili con il mandato attribuito dal comune di Trieste all’advisor Ernst&Young per l'impostazione e la redazione delle linee guida del piano strategico di valorizzazione delle aree facenti parte del Porto vecchio di Trieste.
  Il Porto vecchio di Trieste (punto franco nord), realizzato nell'ultimo trentennio dell'800 su una superficie di 67 ettari prospicienti il centro città, e comprendente cinque moli, banchine di carico e scarico e raccordi ferroviari, è riconosciuto quale uno tra gli ambiti di archeologia industriale marittima più rilevanti del Mediterraneo: i magazzini, posti al suo interno, che contano una cubatura di oltre un milione di metri, appartengono alla classificazione disciplinata dalle regole costruttive specifiche dei
lagerhauser dei porti del nord Europa.
  Il Porto vecchio ha subito, nell'ultimo decennio, un parziale e progressivo abbandono, soprattutto da un punto di vista produttivo. Un'azione di recupero ha permesso il restauro e la riutilizzazione di due edifici come polo museale del Porto dal 2012, su iniziativa di Italia nostra e grazie a un protocollo di intesa tra autorità portuale, regione Friuli Venezia Giulia e questo Ministero, con utilizzo di fondi pubblici ed europei.
  La legge 23 dicembre 2014, n. 190, (legge di stabilità 2015) ha, tuttavia, stabilito la sdemanializzazione di gran parte dei 60 ettari del Porto vecchio, sancendo la fine della pubblica utilità dell'area.
  Nel gennaio 2016 il comune di Trieste ha attribuito all’
advisor Ernst&Young la funzione di consulenza per la redazione delle linee guida in merito all'approvazione del piano strategico per la valorizzazione del Porto vecchio, individuando modelli funzionali e operativi per il raggiungimento degli obiettivi previsti.
  Il successivo 1o maggio 2016, il Cipe ha approvato il piano cultura e turismo proposto dal Ministro Franceschini, stanziando un miliardo di euro del fondo sviluppo e coesione 2014-2020 per la realizzazione di 33 interventi miranti al rilancio della competitività territoriale del Paese attraverso l'attivazione dei potenziali di attrattività turistica di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale, e di potenziamento dell'offerta turistico-culturale. Una parte dei fondi stanziati, pari a 50 milioni di euro, è stata destinata proprio al restauro e alla valorizzazione del Porto vecchio.
  Lo scorso 28 maggio 2016, inoltre, è stato firmato dall'allora Presidente del Consiglio dei ministri Renzi, dalla presidente della regione Friuli Venezia Giulia, dal sindaco di Trieste e dal commissario straordinario dell'autorità portuale della medesima città, un protocollo d'intesa per la valorizzazione del Porto vecchio, e la realizzazione di un grande attrattore culturale transfrontaliero.
  L'accordo prevede, in seguito della sdemanializzazione, l'annessione al patrimonio del comune di Trieste, delle aree del Porto vecchio con esclusione delle banchine, l'Adriaterminal e la fascia costiera. Tale intervento è inserito nel piano stralcio turismo e cultura del Ministero con l'obiettivo di realizzare, come indicato nel protocollo, un esemplare intervento di sviluppo territoriale mediante il recupero e la valorizzazione del patrimonio culturale e paesaggistico.
  Le parti firmatarie sono impegnate, tra l'altro, a realizzare le opere necessarie per l'inserimento dell'area del Porto vecchio nel contesto cittadino predisponendo tutti gli strumenti urbanistici necessari. Il Ministro Franceschini, presente alla firma dell'accordo, nel corso della presentazione alla stampa del piano #UnMiliardoperlacultura, ha dichiarato che il restauro e recupero di Porto vecchio rappresenteranno una sfida per i prossimi anni.
  Lo stanziamento di 50 milioni dovrà essere utilizzato per la realizzazione di un grande progetto che porti nuovamente il Porto vecchio a ricoprire il suo ruolo originario di grande porta dell'Europa centro-orientale sul Mediterraneo.
  Al termine della sua visita il Ministro Franceschini, ha raggiunto Porto vecchio a bordo di un convoglio del
TramWay, restaurato di recente; per il futuro si sta valutando l'ipotesi di realizzare un progetto che colleghi l'antico scalo di Porto vecchio con altri luoghi caratteristici della città di Trieste.
  A seguito del procedimento di sdemanializzazione avviato dal Governo con la legge di stabilità 2015, il comune di Trieste si avvia a diventare il nuovo soggetto titolare della quasi totalità dell'area del Porto vecchio di Trieste e soggetto legittimato ad effettuare le scelte amministrative che rientrano nelle sue attribuzioni, ferma restando la competenza degli uffici periferici di questo Ministero per quanto riguarda gli aspetti legati alla tutela dei manufatti esistenti e dell'area vincolata.
  Per quanto concerne in particolare il progetto di riqualificazione dell'area del Porto vecchio, questa Amministrazione vede favorevolmente una valorizzazione e recupero del Porto vecchio di Trieste che dovrà necessariamente passare attraverso la presentazione di progetti ed iniziative da sottoporre alle attente valutazioni di questo Ministero, così da assicurare una riqualificazione che contemperi le esigenze dello sviluppo economico con quelle della tutela dell'area vincolata.
  

Il Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali e il turismo: Antimo Cesaro.


   PRODANI e RIZZETTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:

   la legge 28 dicembre 2015, n. 208 ha introdotto un bonus di 500 euro per acquisti di natura culturale destinato ai giovani che abbiano compiuto 18 anni nel 2016;

   l'attuazione della norma si è resa possibile solo dal 3 novembre 2016, con quasi un anno di ritardo, mediante l'attivazione del sito «18app.» Gli utenti devono registrarsi dopo aver ottenuto l'identità Spid attraverso 4 diversi possibili provider: Poste italiane, Tim, Infocert, Sielte;

   gli acquisti possono essere effettuati sia in luoghi fisici, che mediante operazioni di e-commerce. Anche per gli esercenti è necessario accreditarsi: dopo una prima registrazione, occorre accedere al sito per poter richiedere il rimborso del buono ottenuto dall'utente ed emettere la relativa fattura;

   il quotidiano La Stampa, nell'articolo del 9 febbraio 2017, ha informato delle lamentele, giunte in redazione, di numerosi maggiorenni «alle prese con il farraginoso meccanismo burocratico studiato per permettere ai ragazzi di ottenere gli agognati 500 euro governativi. (...) L’iter sembrava più doverli preparare all'impatto con la burocrazia italica, piuttosto che ampliare i loro orizzonti culturali. Il risultato: il Governo è stato costretto a prolungare la scadenza dei termini di iscrizione, inizialmente prevista per il 30 gennaio scorso, fino al 30 giugno 2017 nella speranza di far decollare l'iniziativa. Al 17 gennaio scorso, in teoria ad appena due settimane dal precedente termine per iscriversi, la Presidenza del Consiglio ha informato che su 572.437 ragazzi che hanno compiuto 18 anni, 230 mila si sono iscritti alla piattaforma 18app. In pratica, il 40 per cento degli aventi diritto. E finora la Presidenza del Consiglio ha speso il 6,3 per cento di quanto stanziato»;

   La Stampa ha precisato che «dalle lettere arrivate, l'inghippo ci sembrava piuttosto la scarsità di adesioni all'iniziativa da parte di librerie, cinema, teatri, musei, negozi musicali e rivenditori di biglietti. Molti diciottenni, pur avendo superato le prime fasi burocratiche, si lamentavano di un'unica cosa: “Non sappiamo dove spenderli”. Tanto che qualcuno ha cominciato a “rivendersi” il bonus in cambio di soldi»;

   la testata ha pubblicato, infine, una mappa dell'Italia nella quale sono state segnalate le zone con gli esercizi aderenti: in 7.012 comuni, sugli 8000 totali, non risultano esserci attività che abbiano aderito all'iniziativa;

   Gian Marco Monfreda, portavoce della Rete degli Studenti Medi, ha dichiarato, nell'articolo del 10 febbraio 2017, pubblicato su Il Fatto Quotidiano, come «i cinquecento euro sono stati solo una paghetta e nulla di più. Ci sono pochi esercenti che si sono registrati. Persino nelle grandi città non si trovano negozianti che partecipano a questo progetto e fuori dalle metropoli o dai capoluoghi di provincia ci sono realtà dove non c'è un solo punto vendita che ha aderito all'iniziativa. Eppure la cultura non è solo per chi abita nelle metropoli». La difficoltà a spendere i soldi governativi ha messo in moto l'ingegno dei ragazzi che hanno alimentato un mercato nero dei coupon sui social network, «hanno iniziato avendone i voucher per avere soldi. Avremmo preferito una manovra che garantisse l'equità sociale. Va detto con chiarezza: molti di noi non avevano proprio necessità di quei 500 euro» –:

   quali iniziative urgenti, il Governo intenda attuare per incrementare il livello di consumo di prodotti culturali da parte dei giovani e rendere efficiente il funzionamento del bonus di cui in premessa;

   quali iniziative di competenza, intenda assumere per implementare la relativa rete di venditori.
(4-15587)

  Risposta. — Si riscontra l'atto di sindacato ispettivo in esame, con il quale l'interrogante chiede al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo quali iniziative intende assumere per incrementare il livello di consumo di prodotti culturali da parte dei giovani e rendere efficiente il funzionamento del bonus di cui alla legge 28 dicembre 2015, n. 208, comma 979, ai sensi del quale: «ai cittadini residenti nel territorio nazionale, in possesso, ove previsto, di permesso di soggiorno in corso di validità, i quali compiono diciotto anni di età nell'anno 2016, è assegnata, nel rispetto del limite di spesa di cui al comma 980, una Carta elettronica. La Carta, dell'importo nominale massimo di euro 500 per l'anno 2016, può essere utilizzata per assistere a rappresentazioni teatrali e cinematografiche, per l'acquisto di libri nonché per l'ingresso a musei, mostre ed eventi culturali, monumenti, gallerie, aree archeologiche, parchi naturali e spettacoli dal vivo».
  Con riferimento agli specifici quesiti contenuti nell'interrogazione in oggetto, si risponde in base ai dati forniti dai competenti uffici del ministero.
  Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 15 settembre 2016 n. 187, pubblicato nella
Gazzetta Ufficiale – serie generale n. 242 del 17 ottobre 2016 si è data attuazione all'articolo 1, comma 979, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 che ha introdotto il «bonus cultura» per i diciottenni ovvero ha riconosciuto la possibilità di erogare euro 500 in favore di quei giovani che hanno compiuto la maggiore età nel 2016 affinché possano assistere a rappresentazioni teatrali e cinematografiche, acquistare libri (categoria comprendente ebook e audiolibri), nonché i titoli di ingresso a musei, mostre ed eventi culturali, monumenti, gallerie, aree archeologiche, parchi naturali e spettacoli dal vivo.
  Il relativo all'articolo 3, comma 2, ha stabilito che i dati anagrafici sono accertati attraverso il sistema pubblico per la gestione dell'identità digitale di cittadini e imprese (SPID), dando così attuazione all'articolo 64 del decreto legislativo n. 86 del 2005 (codice dell'amministrazione digitale), il quale prevede che per favorire la diffusione di servizi di rete e agevolare l'accesso agli stessi da parte di cittadini e imprese, anche in mobilità, è istituito, a cura dell'agenzia per l'Italia digitale (AgID), il sistema pubblico per la gestione dell'identità digitale di cittadini e imprese.
  Le modalità per l'attribuzione dell'identità digitale sono contenute nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 24 ottobre 2014, che ha trovato piena applicazione nell'iniziativa in oggetto.
  Ai quattro
provider già autorizzati dall'AgID a rilasciare l'identità digitale, cioè Poste italiane, Tim, Infocert e Sielte recentemente si sono aggiunti Aruba, Namirial e SpidItalia. È inoltre possibile richiedere lo Spid anche utilizzando, qualora se ne sia già in possesso, una carta d'identità elettronica, una carta nazionale dei servizi (CNS) o la firma digitale. In questi ultimi casi si può completare la registrazione totalmente on- line tramite un lettore di smart card da collegare al computer.
  Tutte le informazioni sono rinvenibili sul sito www.18app.italia.it, che rinvia laddove occorre e per la specifica competenza al sito www.spid.gov.it, oltre a contenere in appositi
link ubicati nel footer della homepage indicazioni e spiegazioni, distinte per argomento.
  Ai sensi dell'articolo 7 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 187 del 2016 gli esercenti presso i quali è possibile utilizzare la carta, sia con acquisti fisici – cioè recandosi direttamente presso l'esercizio commerciale – che
online, sono inseriti in un apposito elenco, al quale si possono registrare utilizzando le credenziali fornite dall'agenzia delle entrate, quindi con la semplice indicazione della partita IVA, del codice Ateco dell'attività prevalentemente svolta, della denominazione e dei luoghi dove viene svolta l'attività, della tipologia dei beni e dei servizi che l'esercente offre tra quelli oggetto dell'iniziativa, ovvero, come previsto dall'articolo 5, comma 2, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 187 del 2016, già sopra elencati.
  L'adesione è quindi su base volontaria, eccezion fatta per le strutture museali e i luoghi della cultura del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, che sono stati inseriti di default nell'elenco.
  Consapevole del numero degli esercenti che potenzialmente svolgono attività molto affini allo spirito dell'iniziativa di promozione della cultura e dell'avvicinamento ad essa dei giovani diciottenni, ma il cui codice Ateco dell'attività prevalentemente svolta non è direttamente riconducibile ad essa (si pensi ad esempio ai tanti ipermercati specializzati ormai anche nella vendita dei libri), il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ha attivato una casella di posta elettronica certificata 18app@mailcert.beniculturali.it, alla quale i suddetti esercenti possono richiedere comunque l'iscrizione all'elenco
ex articolo 7 del decreto del Presidente del Consiglio di ministri, previa breve descrizione dell'attività normalmente svolta, nella quale si devono evidenziare le affinità con gli ambiti previsti dal decreto del Presidente del Consiglio di ministri e, soprattutto, il codice Ateco secondario che le identificano. Questa procedura ha consentito finora a 1.200 esercenti di potersi iscrivere all'iniziativa.
  I diciottenni iscrittisi alla 18app entro il 30 giugno 2017, termine previsto dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 187 del 2016, sono stati 351.522 su una popolazione di residenti stimata in 576.953, come da relazione tecnica allegata al decreto del Presidente del Consiglio di ministri sopra citato, a cui corrisponde un plafond impegnato di euro 175.761.000 rispetto ai 290 milioni stanziati per l'iniziativa. Sono stati generati 4.760.768 buoni di spesa, di cui 2.121.752 per acquisti «fisici» e 2.639.016 da spendere mediante operazioni
e-commerce. I coupon validati dagli esercenti, cioè presentati all'incasso sono:

   1.678.584 per gli acquisti fisici, a cui corrisponde una spesa pari ad euro 52.755.055,70;

   1.749.149 per gli acquisti online, per una spesa pari ad euro 65.664.992,98.

  Al 30 giugno 2017 gli esercenti iscritti (intendendo con ciò i punti vendita presso cui è possibile effettuare gli acquisti, sia fisici che online) erano 5.684.
  La legge 11 dicembre 2016, n. 232, all'articolo 1 comma 626, ha esteso l'iniziativa anche ai ragazzi nati nel 1999, che compiono dunque la maggiore età nel 2017, ampliando il ventaglio dei beni acquistabili col bonus aggiungendo la musica registrata (intendendo con ciò lingua straniera).
  Con
Gazzetta Ufficiale n. 218 del 18 settembre è stato pubblicato il decreto del Presidente del Consiglio di ministri n. 136 del 4 agosto 2017, attuativo della norma sopra richiamata e modificativo del precedente decreto del Presidente del Consiglio di ministri n. 187 del 18 settembre 2016. Dal 19 settembre 2017 è consentito dunque ai neo diciottenni l'iscrizione alla 18app.
  Si rappresenta, infine, che la legge 27 dicembre 2017, n. 205, che ha approvato il bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2018 e il bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020, le disposizioni di cui all'articolo 1, comma 979, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, sono state prorogate ai soggetti che compiono la maggiore età negli anni 2018 e 2019.
  Nella manovra sono infatti inclusi 290 milioni di euro annui che confermano la card da 500 euro per i giovani residenti in Italia che compiono 18 anni.
  Nel testo del disegno di legge manca una norma specifica, come avvenuto negli anni passati, ma le risorse sono state inserite nel bilancio di previsione di questo ministero mediante rifinanziamento del relativo capitolo di spesa n. 1430 «Somma per l'assegnazione ai cittadini che compiono diciotto anni nel 2018 di una carta elettronica da utilizzare per rappresentazioni teatrali e cinematografiche, nonché per l'ingresso a musei, mostre, eventi culturali e spettacoli dal vivo».
  Aver favorito il consumo culturale dei giovani nelle sue diverse tipologie, aver attivato canali di comunicazione dedicati tra l'amministrazione e i giovani, aver dotato di Spid una ampia fascia di neo diciottenni, aver sollecitato l'innovazione tecnologica anche presso gli esercenti e, in particolare, negli istituti e luoghi della cultura, ha consentito, sulla base dei predetti risultati positivi, di proporre la proroga del bonus in questione.
  La legge di bilancio 2018, conferma, dunque, l'impegno del governo a favore della cultura e dei giovani.

Il Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali e il turismo: Antimo Cesaro.


   PRODANI e RIZZETTO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:

   il distretto turistico è un'unione di più imprese pubbliche e private che collaborano per perseguire un unico obiettivo comune, ossia quello di valorizzare il territorio nel quale sono insediate;

   il 24 luglio 2013, il Governo ha accolto l'odg 9/1248-A-R/188 dell'interrogante con il quale si è impegnato a favorire lo sviluppo dei distretti, valutando l'opportunità di semplificarne l’iter formativo e di estendere fino al 31 dicembre 2014 il termine per la loro delimitazione territoriale;

   lo scrivente, nell'atto n. 5-00845 del 4 agosto 2013, ha chiesto al Ministro interroga quali «iniziative intendesse assumere a supporto dello sviluppo dei distretti turistici». Come riportato nella risposta fornita dal Sottosegretario di Stato ai Beni e alle attività culturali e del turismo Simonetta Giordani il 18 settembre 2013, «il Governo, ed in particolare il Mibact, ritiene che la costruzione dei distretti turistici debba necessariamente avvenire dal basso sulla spinta degli enti locali e di soggetti privati, (...) secondo una strategia coordinata e condivisa da tutti gli attori privati e istituzionali (...). Occorre pensare a un rilancio d sostegno alle forme di aggregazione spontanea, dalle semplificazioni burocratiche alle agevolazioni di carattere fiscale, che sia esteso a tutte le aree definibili come di interesse turistico sull'intero territorio nazionale per la riqualificazione e il rilancio dell'offerta turistica dei territori»;

   il 21 dicembre 2016, l'interrogante ha presentato presso la X Commissione della Camera dei deputati la risoluzione n. 7-00216, il cui dispositivo, impegna il Governo ad assumere «misure urgenti a supporto dello sviluppo dei distretti turistici e per il rilancio del settore nel suo complesso»;

   il 10 febbraio 2017, la Commissione affari istituzionali, nel corso dell'esame al Senato del decreto-legge 224/2016, ha approvato l'emendamento 11.36, che, introducendo il nuovo comma 3-bis, ha prorogato dal 30 giugno 2016 al 31 dicembre 2017 l'obbligo regionale di delimitare i Distretti turistici istituiti con decreto del MIBACT;

   tale scadenza, inizialmente fissata al 31 dicembre 2012, era stata già prorogata al 30 giugno 2013 dalla Legge di Stabilità per il 2013 (legge n. 228/2012, articolo 1, comma 388), successivamente differita al 31 dicembre 2015 dal decreto-legge 83/2014 e infine prorogata fino al 30 giugno 2016 dall'articolo 5, comma 1 del decreto-legge 210/2015 convertito, con modificazioni, dalla legge 25 febbraio 2016, n. 21;

   nello specifico, l'articolo 3, comma 5, del decreto-legge n. 70 del 2011, dispone che «la delimitazione dei distretti da parte dalle regioni avvenga d'intesa con il Mibact e con i Comuni interessati, previa Conferenza di Servizi, che è obbligatoriamente indetta se richiesta da imprese del settore turistico che operano nei medesimi territori»;

   la delimitazione dei distretti turistici è condizione necessaria alla loro costituzione, da effettuarsi attraverso un decreto ministeriale. Infatti, il comma 4, dell'articolo 3, del decreto-legge n. 70 del 2011 prevede che «possano essere istituiti, con decreto del Mibact, su richiesta delle imprese del settore che operano nei territori interessati, previa intesa con le Regioni interessate, i Distretti turistici con gli obiettivi di riqualificare e rilanciare l'offerta turistica a livello nazionale e internazionale, di accrescere lo sviluppo delle aree e dei settori del Distretto, di migliorare l'efficienza nell'organizzazione e nella produzione dei servizi, di assicurare garanzie e certezze giuridiche alle imprese che vi operano con particolare riferimento alle opportunità di investimento, di accesso al credito, di semplificazione e celerità nei rapporti con le pubbliche amministrazioni. Per i suddetti distretti sono previste agevolazioni fiscali, amministrative e finanziarie»;

   ai sensi dell'articolo 3, comma 6, alle imprese dei distretti, costituite in rete ai sensi dell'articolo 3, comma 4-ter del decreto-legge n. 5/2009, si applicano le disposizioni agevolative in materia amministrativa, finanziaria, per la ricerca e lo sviluppo di cui all'articolo 1, comma 368, lettere b), c) e d) della legge 23 dicembre 2005, n. 266, e successive modificazioni, previa autorizzazione rilasciata con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze di concerto con il Ministero dello sviluppo economico, da adottare entro sei mesi dalla relativa richiesta. Alle medesime imprese, sebbene non costituite in rete, si applicano comunque, su richiesta, le disposizioni agevolative in materia fiscale (cosiddetta tassazione di distretto) di cui all'articolo 1, comma 368, lettera a), della citata legge n. 266/2005;

   i distretti turistici costituiscono, inoltre, zone «a burocrazia zero», con esclusione delle aree soggette a vincolo paesaggistico territoriale o del patrimonio storico artistico, ai sensi dell'articolo 37-bis del decreto-legge n. 79 del 2012 –:

   quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare per la costituzione dei distretti turistici nei tempi previsti evitando ulteriori proroghe.
(4-16081)

  Risposta. — Si riscontra l'atto di sindacato ispettivo in esame, nel quale l'interrogante chiede notizie riguardo alla costituzione dei distretti truristici.
  Con riferimento agli specifici quesiti contenuti nell'interrogazione in oggetto, si risponde in base agli elementi forniti dalla competente direzione generale del turismo.
  I distretti turistici costieri sono stati previsti dall'articolo 3 del decreto-legge n. 70 del 2011, convertito in legge n. 106 del 2011, modificato dall'articolo 66, comma 1-
bis, del decreto-legge n. 83 del 2012, convertito in legge n. 134 del 2012, allo scopo di favorire la ripresa del comparto e di riqualificare e rilanciare l'offerta nazionale, migliorando l'efficienza dell'organizzazione e della produzione dei relativi servizi.
  Con il decreto-legge 31 maggio 2014, n. 83 – coordinato con la legge di conversione 29 luglio 2014, n. 106 – è stata riconosciuta la possibilità di istituire distretti turistici anche al di fuori dei territori costieri, ovvero nelle aree interne del paese.
  In particolare, all'articolo 10, comma 6, lettera
a), punto 3, si legge:

   5-bis. «Nell'ambito dei distretti, come individuati ai sensi dei commi 4 e 5, possono essere realizzati progetti pilota, concordati con i Ministeri competenti in materia di semplificazione amministrativa e fiscalità, anche al fine di aumentare l'attrattività, favorire gli investimenti e creare aree favorevoli agli investimenti (AFAI) mediante azioni per la riqualificazione delle aree del distretto, per la realizzazione di opere infrastrutturali, per l'aggiornamento professionale del personale, per la promozione delle nuove tecnologie».

  Tra i numerosi sgravi fiscali contenute nel decreto-legge n. 70 del 2011 — meglio noto come decreto sviluppo — spiccano tra le altre anche le agevolazioni per reti e distretti turistici.
  L'obiettivo è evidente: creare reti di relazioni in un settore strategico per l'economia del paese poiché, per rilanciare un'offerta turistica che possa rispondere alle esigenze sia del mercato nazionale che di quello internazionale è necessario «fare sistema».
  In seguito a una formale richiesta delle imprese, e dopo un accordo sottoscritto con le regioni, i distretti vengono istituiti formalmente attraverso un decreto di questo ministero.
  Le imprese potranno redigere un contratto di rete attraverso il quale, dopo aver aderito al distretto, sarà possibile — singolarmente o in gruppo — misurare la propria capacità in termini di innovazione e competitività rispetto al mercato di riferimento, definendo forme e ambiti di collaborazione.
  Il contratto di rete potrà anche prevedere la realizzazione di un fondo economico comune, messo in piedi e gestito dalle imprese per favorire lo sviluppo della rete stessa; queste dovranno anche costituire un organo comune responsabile dell'esecuzione del programma di rete, con poteri definiti e la partecipazione di ciascuna all'attività dell'organo.
  La presenza di un distretto costituito da una rete di imprese sarà condizione necessaria per l'accesso alle agevolazioni in materia amministrativa, finanziaria, ricerca e sviluppo di cui all'articolo 1, comma 368, lettere
b) e c), della legge n. 266 del 2005 e successive modificazioni e integrazioni, previa autorizzazione rilasciata con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze di concerto con il Ministero dello sviluppo economico.
  Le agevolazioni previste dalla medesima legge sono applicabili in ogni distretto, indipendentemente dalla costituzione della rete di imprese.
  Tra gli altri vantaggi, i distretti sono zone a burocrazia zero, in cui saranno messi a disposizione sportelli unici di coordinamento delle attività delle agenzie fiscali e dell'Inps, con evidente beneficio per le imprese.
  Presso gli sportelli, infatti, sarà possibile presentare istanze rivolte ad ogni altra amministrazione statale e ottenere tutti gli opportuni riscontri.
  Comunque, restano escluse dalle misure di semplificazione le autorizzazioni e gli altri atti di assenso prescritti dal codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42
  La normativa richiamata, pertanto, non stanzia finanziamenti né prevede, di conseguenza, la presentazione di istanze finalizzate ad ottenere tali benefici.
  I vantaggi, per le imprese turistiche ricadenti nei distretti, sono quelli contenuti nella legge e sopra richiamati.
  Con la conversione del cosiddetto «decreto Milleproroghe», inoltre, il termine scaduto il 30 giugno 2016, entro il quale regioni dovevano procedere alla delimitazione dei distretti turistici è stato differito al 31 dicembre 2017.
  Ad oggi, senza nessuna ulteriore proroga ed entro i termini previsti, sono stati istituiti 50 distretti turistici come riportato sul sito di questo ministero.
  L'obiettivo è quello di riqualificare e rilanciare l'offerta turistica a livello nazionale e internazionale, accrescere lo sviluppo, migliorare l'efficienza nell'organizzazione e produzione di servizi, favorire gli investimenti e l'accesso al credito e snellire i procedimenti amministrativi.

La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismo: Dorina Bianchi.


   PRODANI e RIZZETTO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:

   dal 22 maggio al 7 giugno 2017 si è svolto a Napoli il primo Festival italiano dello sviluppo sostenibile, promosso da ASviS – Alleanza Italiana per lo sviluppo sostenibile, e caratterizzato da oltre duecento eventi su tutto il territorio;

   il sito online di Repubblica, nell'articolo del 22 maggio, ha dichiarato che «lo scopo della manifestazione è richiamare l'attenzione sui diciassette obiettivi di sviluppo sostenibile e sull'attuazione dell'Agenda 2030 delle Nazioni Unite, che l'Italia ha sottoscritto nel 2015»;

   come riportato dal quotidiano, durante l'inaugurazione dell'evento, il Ministro interrogato ha annunciato «mille assunzioni nel settore dei beni culturali, che avverranno presto»;

   il Ministro, nell'occasione, ha evidenziato che «nel settore dei beni culturali non si fanno assunzioni da anni. Stiamo finendo adesso un concorso per cinquecento archeologi, storici dell'arte, bibliotecari, archivisti e antropologi. Siamo riusciti a passare, con una norma, da cinquecento a ottocento assunzioni, e io ho l'intento, a breve, di passare da ottocento a mille»;

   inoltre, il Ministro ha aggiunto che «investire in cultura è il miglior antidoto a tutti i mali di questo tempo, e al Mibact arriveranno tanti giovani di alta professionalità. È una vera e propria boccata d'ossigeno, anche rispetto al fatto che all'università si sono moltiplicati i corsi sui beni culturali, creando a volte aspettative troppo alte»;

   nel corso del suo intervento il Ministro ha ricordato come «molte delle attività messe in campo dal Governo in tema di cultura siano state immaginate pensando di correggere una distorsione. Noi tutti siamo orgogliosi del vasto patrimonio materiale e immateriale che abbiamo ma sembriamo rassegnati al fatto che si legga meno, si vada meno a teatro e al cinema. La rassegnazione è uno sbaglio tragico, ma ci sono finalmente, dal 2015, indicatori positivi che dimostrano che si può invertire la tendenza» –:

   alla luce dei fatti esposti in premessa, se il Ministro interrogato intenda chiarire le tempistiche e le modalità previste per le nuove assunzioni nel settore dei beni culturali.
(4-16869)

  Risposta. — Si riscontra l'atto di sindacato ispettivo in esame, nel quale l'interrogante, con riferimento alle dichiarazioni rilasciate dal Ministro Franceschini, che durante l'inaugurazione del primo Festival dello sviluppo sostenibile svoltosi a Napoli dal 22 maggio al 7 giugno 2017 si è espresso in merito alla necessità di incrementare le assunzioni nel settore dei beni culturali, chiede di sapere quali siano le tempistiche e le modalità previste per tali nuove assunzioni.
  Si ricorda, in primo luogo, che ai sensi dell'articolo 1, comma 328, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 – legge di stabilità 2016, il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo è stato autorizzato all'assunzione a tempo indeterminato di 500 funzionari da inquadrare, nel rispetto della dotazione organica di cui alla tabella B allegata al regolamento di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 29 agosto 2014, n. 171, nella III area del personale non dirigenziale, posizione economica F1, nei profili professionali di antropologo, archeologo, architetto, archivista, bibliotecario, demoetnoantropologo, promozione e comunicazione, restauratore e storico dell'arte.
  Con decreto direttoriale del 22 aprile 2016 la gestione di tutte le procedure concorsuali finalizzate all'assunzione dei diversi profili professionali afferenti ai «500 MiBACT» è stata delegata alla commissione interministeriale Ripam.
  Si evidenzia al riguardo che, per quanto concerne i profili professionali «antropologi» (n. 6 unità, di cui 5 vincitori e 1 idoneo), «bibliotecari» (n. 52 unità, di cui 25 vincitori e n. 27 idonei), «demoetnoantropologi» (n. 12 unità, di cui n. 5 vincitori e n. 7 idonei), «storici dell'arte» (n. 65 unità, di cui 40 vincitori e n. 25 idonei), «archeologi» (n. 129 unità, di cui n. 90 vincitori e n. 39 idonei), i funzionari assunti hanno firmato il relativo contratto individuale di lavoro e stanno prendendo servizio presso le sedi di lavoro prescelte, che devono ritenersi definitive, salvo rinunce e conseguenziali scorrimenti, nonché fatta salva la sopravvenienza di un diverso ordine dell'autorità giudiziaria.
  Inoltre, per quanto concerne il profilo professionale «promozione e comunicazione», in data 8 gennaio 2018, sono stati convocati per la sottoscrizione dei relativi contratti individuali di lavoro n. 40 unità di personale (di cui 30 vincitori e n. 10 idonei in attuazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 4 aprile 2017).
  Sono ancora in corso, invece, anche per alcuni ricorsi presentati, le relative procedure di selezione.
  Nelle more dell'espletamento dei concorsi questo Ministero, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 4 aprile 2017, è stato autorizzato allo scorrimento dalle graduatorie degli idonei del sopra citato bando per n. 200 Funzionari esperti del patrimonio culturale.
  Con il suddetto decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, questo Ministero è stato, altresì, autorizzato ad assumere anche n. 100 funzionari amministrativi mediante lo scorrimento di graduatorie di altre pubbliche amministrazioni, segnatamente quella del concorso «120 funzionari Ripam/Coesione».
  Infine, l'articolo 1, comma 305, della legge 27 dicembre 2017, n. 205, di approvazione del bilancio di previsione dello Stato per l'esercizio finanziario 2018, ha autorizzato questa Amministrazione ad assumere fino ad un massimo di n. 200 unità di personale, appartenenti all'Area III-posizione economica F1, mediante ulteriore scorrimento delle graduatorie di concorso delle procedure di selezione pubblica di cui all'articolo 1, comma 328 e seguenti, della legge 28 dicembre 2015, n. 208.
  Pertanto, l'iniziale contingente di assunzioni previsto in 500 unità è stato portato a 1000, come preannunciato nell'intervento del Ministro Franceschini citato nell'interrogazione.
  Ciò al fine di invertire la tendenza registratasi negli ultimi anni e reintegrare l'organico del Ministero con giovani di alta professionalità che concorreranno a tutelare, valorizzare, promuovere l'eccezionale patrimonio culturale italiano.
  

Il Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali e il turismo: Antimo Cesaro.


   PRODANI e RIZZETTO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   il codice della strada, decreto legislativo n. 285 del 1992 e successive modificazioni, prevede e all'articolo 7 sulla regolamentazione della circolazione nei centri abitati, l'istituzione delle zone a traffico limitato (Ztl, comma 9); Le Ztl sono autorizzate dai comuni, con deliberazione della giunta, o in caso di urgenza da un'ordinanza del sindaco, e l'ingresso o la circolazione dei veicoli a motore in queste aree può essere subordinato al pagamento di una somma;

   l'introduzione dei ticket turistici in molte città d'arte italiane, come riportato dal sito online di Federmobilità, «si presenta come soluzione ai problemi relativi sia alla congestione del traffico e sia ambientali. In realtà, sembra avere più la finalità di procurare ai Comuni entrate extra, non correlate in termini di migliore accoglienza nei confronti dei turisti che giungono con gli autobus, a partire dalla messa a disposizione di apposite strutture o dalla fornitura di materiale informativo»;

   inoltre, gli onerosi ticket turistici influiscono sui viaggiatori «sia nella scelta della destinazione che sulla preferenza del mezzo utilizzato per raggiungerla con riflessi immediati e pesanti, non solo sulle aziende di noleggio autobus con conducente ma su tutta la filiera turistica, visto che il costo del biglietto ricade sull'utente finale. In ultimo, questo comporta un costante e crescente calo nella scelta della destinazione Italia, in considerazione del fatto che l'autobus svolge una funzione fondamentale sull'intera filiera turistica, con riflessi immediati e pesanti, non solo sulle aziende di noleggio autobus con conducente, ma sull'economia del Paese. L'andamento della mobilità turistica ha, infatti, sensibili ricadute su altri settori, quali l'industria alberghiera, la ristorazione, le attività culturali, il pellegrinaggio religioso, insomma sull'intera filiera turistica che incide sul PIL nazionale in misura del 12,5 per cento»;

   secondo Federmobilità «le imprese di noleggio che fanno parte integrante della filiera del turismo, hanno forti legami con le agenzie di viaggio, e per questo motivo potrebbero svolgere un ruolo importante nella promozione del turismo, soprattutto nei comuni virtuosi e nelle città d'arte, contribuendo alle esigenze di programmazione dei flussi turistici, di contrasto del turismo “mordi e fuggi”, di pubblicizzazione di eventi ed iniziative commerciali»;

   negli ultimi anni, come ripetutamente denunciato dalle associazioni di categoria e come illustrato dal primo firmatario del presente atto nelle interrogazioni n. 4-14551 e n. 5-10107, ancora senza risposta, «le delibere comunali sui ticket bus contrastano con le norme fondamentali dell'ordinamento comunitario, violando il principio di proporzionalità ed ostacolando la libera prestazione di servizi ed il corretto funzionamento del mercato interno. (...) Le abnormi ed illegittime imposizioni tariffarie imposte agli autobus da numerosi comuni italiani sono dettate da esigenze di cassa dei comuni, che nulla hanno a che vedere con gli obiettivi di miglioramento della mobilità urbana, della decongestione del traffico e o della tutela dell'ambiente e del patrimonio artistico e che appaiono distorsive della concorrenza modale»;

   a giudizio degli interroganti; inoltre, le tasse di ingresso nelle Ztl rappresentano, per i turisti che utilizzano i veicoli pubblici non di linea, un ulteriore aggravio alle già ampiamente diffuse tasse di soggiorno, e la loro disomogeneità può costituire un grave ostacolo e un freno al turismo nazionale e internazionale –:

   alla luce dei fatti esposti in premessa, quali iniziative i Ministri interrogati intendano assumere per quanto concerne lo sviluppo della mobilità turistica;

   se intendano, nel rispetto delle autonomie locali, assumere le iniziative di competenza per garantire per il servizio pubblico non di linea una disciplina omogenea e razionale delle zone a traffico limitato nei centri urbani, tale da incentivare il turismo nazionale e internazionale.
(4-17161)

  Risposta. — Si riscontra l'atto di sindacato ispettivo in esame, nel quale l'interrogante chiede di conoscere quali iniziative il Ministero intende assumere per quanto concerne lo sviluppo della mobilità turistica e se intenda, nel rispetto delle autonomie locali, assumere le dovute iniziative di competenza per garantire per il servizio pubblico non di linea una disciplina omogenea e razionale delle zone a traffico limitato nei centri urbani, tale da incentivare il turismo nazionale e internazionale.
  Con riferimento agli specifici quesiti contenuti nell'interrogazione in oggetto, la competente direzione generale turismo ha comunicato quanto segue.
  Il Governo italiano è attualmente impegnato nella promozione di nuove modalità di fruizione turistica del patrimonio culturale nazionale tramite il «Piano Strategico per lo Sviluppo del Turismo 2017-2022» basato sul rinnovamento e ampliamento dell'offerta turistica delle destinazioni strategiche e sulla valorizzazione di nuove mete e nuovi prodotti, per accrescere il benessere economico, sociale e sostenibile e rilanciare così, su basi nuove, la
leadership del paese sul mercato turistico internazionale.
  In questo senso, per meglio rispondere alla crescente domanda turistica valorizzando al contempo le risorse sia culturali che ambientali di cui il nostro paese è ricco, si è resa necessaria una ridefinizione dei caratteri del turismo sostenibile.
  Infatti, il principio della sostenibilità prescrive una riduzione degli impatti, la destagionalizzazione, lo sviluppo e la promozione di elementi ecosostenibili costituenti la sua filiera produttiva, ed infine prevede l'adozione di strategie in grado di differenziare i «carichi» turistici territoriali in base al livello di maturazione delle singole destinazioni, senza trascurare, però, il miglioramento dei tassi di saturazione complessivi, in primo luogo di quelli della ricettività.
  Si è reso necessario, di conseguenza, porre in essere – d'intesa con i territori e le comunità locali – opportune politiche di sostenibilità (economica, ambientale e sociale) dei flussi turistici, soprattutto con riferimento alle grandi città d'arte (Roma, Firenze, Venezia
in primis) e alle altre grandi destinazioni che attraggono un'elevata percentuale del movimento turistico di stranieri e italiani.
  Pertanto, in coerenza con le «strategie per le infrastrutture e la logistica» del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, il piano strategico per lo sviluppo del turismo ha previsto una specifica linea di intervento che punti a favorire la mobilità delle destinazioni turistiche in un'ottica di sostenibilità agendo sui seguenti ambiti:

   mobilità sostenibile e sicura, che mira a mettere a sistema le diverse modalità di trasporto, facendo perno sui sistemi di trasporto rapido di massa (metropolitane/tram) e sui servizi di mobilità condivisa (car-sharing/bike-sharing);

   qualità della vita e competitività delle aree urbane, promuovendo una forte azione di rilancio del trasporto pubblico e di integrazione tra le politiche dei trasporti e le politiche delle città, al fine di rendere le grandi aree urbane più vivibili per i cittadini e più attrattive per il sistema turistico;

   sostegno alle politiche industriali di filiera, favorendo investimenti orientati all'innovazione nella produzione di mezzi di trasporto pubblico, infrastrutture e sistemi tecnologici (infrastrutture «smart», sistemi intelligenti di trasporto) e servizi innovativi, facendo delle stesse infrastrutture di trasporto un generatore di domanda turistica.

  Nel quadro strategico complessivo ora descritto, la decisione di imporre un sistema di tasse per l'accesso di pullman turistici nelle più note e sovraffollate città d'arte risponde alle esigenze di una gestione dei flussi di turisti coerente con un modello di sostenibilità mirato a favorire il decongestionamento e la destagionalizzazione, incrementando al tempo stesso la permanenza media e la fruizione lenta del patrimonio artistico e ambientale.
  Siena, per i centri minori, Firenze, per le città d'arte, e Roma, come città metropolitana, rappresentano esempi significativi e diversificati in cui le scelte dell'amministrazione locale hanno operato con successo nel gestire l'impatto ambientale e di carico antropico del turismo su gomma.
  Per ciascuno di questi comuni, le misure adottate sono state pianificate a partire dalle specifiche e precipue esigenze del territorio che differisce sia per dimensioni delle città stesse che obiettivi di
policy turistica.
  Per quanto attiene alle città con una popolazione maggiore di 250.000 abitanti, le politiche tariffarie sono parametrate soprattutto in base alla classe di emissioni e alle dimensioni dei veicoli.
  Nei centri minori invece la ponderazione delle tariffe avviene sulla base di parametri quali la durata della permanenza media e/o la fruizione di musei, infrastrutture e servizi turistici locali.
  Elemento trasversale alla maggior parte della città d'arte è l'applicazione di sconti per specifiche categorie, quali ad esempio gli studenti e le persone con problemi di mobilità fisica.
  Entrando più nel dettaglio, il comune di Siena, ad esempio con deliberazione della giunta n. 495 del 2014, ha modificato le tariffe da applicare ai bus turistici che sostano nelle strutture di Siena Parcheggi, riducendo di oltre il 50 per cento i costi in alta stagione e azzerandoli nel resto dell'anno se le comitive scelgono di pernottare in una struttura della città. Si è trattato di una politica per favorire la permanenza dei turisti, compensata da un ritocco in alto delle tariffe per i bus delle comitive «mordi e fuggi» che si fermano solo poche ore. In alta stagione, la sosta costa solo 60 euro, il 50 per cento in meno rispetto a prima, ed i giorni successivi sono addirittura gratuiti. In bassa stagione, il servizio è completamente gratis. Dopo un anno di sperimentazione delle nuove tariffe per la sosta dei bus turistici, nel 2016 sono arrivati i primi risultati positivi: le comitive che pernottano a Siena sono aumentate di circa il 10 per cento e sono tornate in funzione le navette per il trasporto dei turisti dai parcheggi al centro storico. Il numero complessivo dei pullman è cresciuto di circa 100 unità e nei prossimi anni sono attesi dati ancora migliori, considerato che i
tour operator decidono le loro strategie con grande anticipo e che probabilmente alcuni di loro non sono ancora stati in grado di cogliere le nuove opportunità varate lo scorso anno.
  Ed ancora, ulteriori significativi esempi di politiche sulla sostenibilità nelle città d'arte italiane li ritroviamo, come già detto, a Firenze dove l'attuale giunta comunale, con il documento di programmazione «Firenze Smart City Plan», ha inteso proiettarsi al 2030 al fine di perseguire una visione che permetta di immaginare Firenze nel lungo periodo e di dare alla città la possibilità di contabilizzare i benefici delle azioni in corso, mentre i cantieri per i grandi interventi infrastrutturali non hanno ancora ultimato il proprio lavoro.
  Il piano si pone, infatti, obiettivi forti che vedono Firenze capitale nazionale della mobilità elettrica, città turistica a misura d'uomo, che ottimizza il trasporto e permette a tutti
city-user di muoversi informati, consapevoli della situazione traffico in città, dei cantieri ma anche delle molteplici possibilità alternative al mezzo privato, che diventano quindi scelta possibile e preferibile. Si tratta di una strategia della mobilità incentrata sul concetto di «utilità» ai fini dell'ottimizzazione della qualità della vita del cittadino (tempi di percorrenza, costi, salute) e della minimizzazione delle ricadute ed esternalità tipiche della mobilità urbana (inquinamento atmosferico, rumore, congestioni) oltre che nel porre l'attenzione sulla riduzione dei costi.
  L'analisi delle emissioni di CO2 in atmosfera effettuate in occasione della redazione del piano per l'azione per l'energia sostenibile a Firenze hanno mostrato come la mobilità sia, con il suo 34 per cento il settore maggiormente responsabile. In questo senso possono essere lette tutte le azioni programmate e in corso al fine di permettere di muoversi liberamente, sostenibilmente e consapevolmente in città.
  Con riferimento ai bus turistici, le misure attualmente in vigore mirano allo sviluppo di un flusso turistico più stanziale e implementazione della vocazione di attrazione internazionale dell'area.
  Il sistema di tariffe è particolarmente articolato e si basa essenzialmente su due parametri: dimensione del bus e fascia di emissione del veicolo. Al fine di favorire l'incremento della permanenza media, è prevista una tariffa minore per i giorni successivi al primo e per bus che trasportano passeggeri che alloggiano in alberghi ubicati nel territorio comunale. Ulteriori scontistiche riguardano, poi, i bus che trasportano persone interessate a manifestazioni sportive, politiche, religiose, teatrali e le scolaresche.
  Poi è possibile far riferimento al comune di San Gimignano, il quale rappresenta un ulteriore caso significativo tra le città d'arte ad altissima densità turistica e con notevoli flussi di bus turistici (circa 18.000 nel 2016) che, grazie a una politica tariffaria integrata, è riuscito a gestire proficuamente l'afflusso di visitatori rendendo loro servizi di accoglienza ottimali.
  Infatti, con deliberazione della giunta comunale n. 34 del 10 marzo 2009, si è approvato il disciplinare per l'accesso e la circolazione di autobus mirato alla prevenzione dei problemi legati al decongestionamento del traffico veicolare e alla salvaguardia della sicurezza dei turisti e dei cittadini.
  In particolare, sono da evidenziare i provvedimenti che rispondono al perseguimento di obiettivi quali l'accessibilità diffusa, la destagionalizzazione e l'incremento di servizi turistici collegati alle visite del sito con un sistema di agevolazioni che prevede sconti del 50 per cento per gite scolastiche nel periodo novembre-febbraio, del 100 per cento in caso di prenotazione ingresso ai musei civici e del 100 per cento in caso di comitive di persone diversamente abili.
  Sono, inoltre, previsti collegamenti attraverso il servizio di trasporto pubblico locale grazie ai quali si raggiunge in pochi minuti il centro storico: a fronte dei ricavi provenienti dal pagamento delle tariffe dei bus turistici, i proventi sono stati investiti anche per il miglioramento e incremento dei trasporti locali in un'ottica di sistema integrato e intermodale.
  Infine, sembra opportuno menzionare la città di Roma dove il Piano generale del traffico urbano approvato dall'assemblea capitolina con delibera n. 21 del 16 aprile 2015, attualmente in vigore, prospetta una visione di medio termine, inserendo le regole previste in un quadro generale di interventi che devono fare sistema, con un passaggio graduale da una logica di mero controllo e repressione a una che premia e incentiva i comportamenti virtuosi che guardano la collettività. Largo quindi a
car e bike sharing, mobility management, trasporto pubblico, sosta tariffata, isole ambientali, open data e tecnologia per aiutare le scelte dei cittadini.
  L'obiettivo è quello di presentare, nel 2020, Roma come una città con un trasporto pubblico efficiente e più competitivo rispetto all'autovettura, dove spostarsi a piedi e in bicicletta sia facile e conveniente, camminare sulle strade e nei quartieri sia sicuro, prima di tutto per bambini e anziani; una mobilità multimodale e a basso impatto, inclusiva e aperta all'innovazione tecnologica.
  Per quanto riguarda nello specifico i pullman turistici, con «Il Piano di settore bus turistici per il Giubileo della Misericordia», sono state individuate le soluzioni per delocalizzare, dalle aree attrattive, gli afflussi dei pullman ottimizzando, conseguentemente, l'impiego delle aree di sosta di scambio per il successivo utilizzo dei servizi di trasporto pubblico locale, con particolare riferimento a quelli su ferro.
  I punti innovativi del regolamento tuttora in vigore hanno riguardato essenzialmente la modifica della tipologia dei permessi, piano tariffario, l'individuazione di nuove aree di fermata, di sosta breve e lunga in ztl 1 e ztl 2, l'aggiornamento della regolamentazione relativa al contenimento dell'inquinamento atmosferico, nonché l'inasprimento del sistema sanzionatorio e l'aumento dei controlli anche con sistemi telematici.
  La circolazione degli autobus nelle aree centrali della capitale ha infatti determinato negli anni notevoli criticità, con particolare riferimento al grande nucleo attrattore della Città del Vaticano, che ha comportato condizioni locali di congestione con forti ripercussioni in tutta la capitale.
  Al fine di superare tali criticità, sono state adottate progressivamente misure correttive al sistema, intervenendo più volte sul piano generale del traffico urbano, prima con la deliberazione dell'assemblea capitolina n. 10 del 13 marzo 2014 e successivamente con la deliberazione di assemblea capitolina n. 66 del 15 ottobre 2014 con le quali sono state apportate modifiche puntuali, introducendo regole specifiche per l'accesso all'area Vaticana e semplificando il sistema per il rilascio dei permessi. Tali punti innovativi e migliorativi hanno riguardato:

   il contingentamento di 1300 permessi in abbonamento annuale;

   il contingentamento, nelle giornate di mercoledì e domenica, dei permessi giornalieri validi per l'avvicinamento e la fermata nelle zone limitrofe all'area Vaticana;

   la revisione del sistema sanzionatorio;

   la ridefinizione dei criteri di gestione degli accessi in relazione alle caratteristiche emissive dei mezzi;

   l'aggiornamento del piano tariffario e l'introduzione di sistemi di scontistica.

  In particolare, con riferimento ai parametri penalizzanti i veicoli più inquinanti, è da rilevare il divieto di accesso ai veicoli euro 0, euro 1, e ai veicoli euro 2 e euro 3 senza filtro anti particolato (FAP).
  Grazie a questo sistema, nel corso degli ultimi tre anni il numero di pass giornalieri si è andato via via riducendo, si è passati dai 112 mila permessi rilasciati nel 2014 ai 94 mila del 2015 mentre nel 2016 da gennaio ad agosto sono stati poco più di 68 mila, con un marcato miglioramento del congestionamento di traffico causato dai pullman turistici.
  Alla luce di queste ampie premesse e fatte salve le competenze delle amministrazioni locali, in particolare dei comuni che possono adottare regole restrittive per l'accesso turistico in ambito urbano, applicate al solo centro storico o all'intera città (il «diritto di ingresso» è subordinato al rilascio di un permesso concesso dalle autorità cittadine, giustificato al fine di impedire l'eccessiva concentrazione di arrivi in orari e giorni «
full house» o «sold out»), emerge chiaramente come talune – circoscritte proporzionate e ragionevoli — limitazioni alla libera concorrenza e all'attività commerciale (tariffe per accesso di bus turistici nei centri storici delle città d'arte) sono imposti dalle prevalenti esigenze pubbliche di tutela del patrimonio culturale, della salute umana e dell'ambiente.
La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismo: Dorina Bianchi.


   PRODANI e RIZZETTO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:

   il fondo unico per lo spettacolo (Fus) istituito dalla legge n. 163 del 1985 costituisce il principale strumento di sostegno al settore dello spettacolo dal vivo e della cinematografia da parte dello Stato;

   le finalità del Fus consistono nel sostegno finanziario ad enti, istituzioni, associazioni, organismi ed imprese operanti nei settori delle attività cinematografiche, musicali, di danza, teatrali, circensi e dello spettacolo viaggiante, nonché nella promozione e nel sostegno di manifestazioni ed iniziative di carattere e rilevanza nazionali da svolgere in Italia o all'estero;

   i contributi alle fondazioni lirico-sinfoniche sono assegnati con i criteri e le procedure indicate nel decreto ministeriale 3 febbraio 2014;

   il 26 luglio 2017, il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ha approvato l'integrazione del piano di risanamento per il triennio 2016-2018 per quanto concerne la Fondazione Teatro Lirico «Giuseppe Verdi» di Trieste;

   come riportato nella nota stampa della Fondazione, pubblicata nella medesima giornata sul proprio sito online «il Decreto di approvazione, sottoscritto dal Ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo Dario Franceschini e dal Ministro dell'Economia e delle Finanze Pier Carlo Padoan, di fatto riconosce alla Fondazione una posizione di eccellenza tra gli Enti impegnati a sostenere il percorso di risanamento, stabilendo due primati: quella triestina è la prima ad avere pienamente superato tutte le scadenze del primo Piano (2013/2016) ed è la prima a vedere approvato il nuovo Piano di adeguamento fino al 2018 (previsto dal decreto-legge 24 giugno 2016, n. 113, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2016, n. 160, in particolare articolo 24 “Misure urgenti per il patrimonio e le attività culturali”), interamente redatto grazie a risorse interne, in un'ottica di contenimento dei costi. (...) L'approvazione del nuovo Piano si affianca ai successi della stagione appena conclusa, che ha registrato, per il secondo anno consecutivo, un incremento di pubblico, pari a +17 per cento per le attività 2016-2017»;

   in merito, il sovrintendente della Fondazione Stefano Pace, nell'intervista pubblicata da Il Piccolo di Trieste il 31 luglio 2017, ha commentato: «speriamo che non ci siano sorprese da parte del Fondo Unico dello Spettacolo. Abbiamo fatto un passo importante per la messa in sicurezza del Verdi (...). Siamo stati i primi a ottenere questo risultato superando l'esame a pieni voti»;

   secondo un articolo del 9 settembre 2017 pubblicato dal suddetto quotidiano triestino, il Consiglio di indirizzo del Teatro citato ha chiesto «un incontro con la Presidente della Regione Fvg Debora Serracchiani e con il Ministro Franceschini riguardo il taglio di 890 mila euro da parte del FUS nei confronti del Verdi di Trieste. (...) Come evidenziato nella nota diffusa dalla Fondazione, dopo la riunione del Consiglio di Indirizzo, sono state analizzate le diverse voci e i punteggi della ripartizione, in attesa degli incontri presso le competenti sedi istituzionali (...). La soluzione positiva dovrebbe prevedere il recupero dei quasi novecento mila euro assegnati quest'anno, indispensabili per garantire il pareggio di bilancio (obiettivo imprescindibile del piano di risanamento)»;

   inoltre, «si rileva una vera e propria emorragia di risorse del Fus, a decorrere dal 2012, visto che da 11 milioni di stanziamento previsti per il primo piano, si è progressivamente passati a 7,8 per l'anno 2017. La RSU non nasconde la preoccupazione per la situazione. Negli anni, rinunciando per esempio al premio di produzione, i sindacati hanno sempre perseguito azioni per mantenere i posti di lavoro e evitare esuberi. Il Verdi occupa attualmente 240 persone. Sotto accusa, da parte dei sindaci, è stata la scelta del ministero di non prorogare l'attribuzione del 5 per cento del Fus alle Fondazioni virtuose, ovvero quelle che hanno chiuso il bilancio in attivo per tre esercizi consecutivi (è il caso del Verdi). Per questo anche la Rsu, in modo unitario, ha chiesto un incontro urgente alla presidente della regione Serracchiani» –:

   alla luce dei fatti esposti in premessa, quali iniziative urgenti il Ministro interrogato intenda porre in essere al fine di evitare i tagli ai fondi per la Fondazione teatro lirico «Giuseppe Verdi» di Trieste;

   quali iniziative intenda inoltre attuare al fine di scongiurare possibili ripercussioni per i lavoratori.
(4-17803)

  Risposta. — Si riscontra l'atto di sindacato ispettivo in esame, con il quale l'interrogante, con riferimento al taglio dei fondi a valere sul Fus, per un ammontare pari a 890 mila euro, destinati alla fondazione teatro lirico «Giuseppe Verdi» di Trieste, oltreché alla scelta di questa Amministrazione di non prorogare l'attribuzione del 5 per cento del Fus alle fondazioni virtuose che hanno chiuso il bilancio in attivo per tre esercizi consecutivi, chiede di sapere quali iniziative intenda assumere il Ministero al fine di scongiurare tagli alla fondazione triestina, che potrebbero impattare anche sui 240 lavoratori attualmente occupati al «Giuseppe Verdi».
  Si risponde sulla base degli elementi forniti dalla competente direzione generale spettacolo.
  Dal 2013 in poi, con la legge n. 112 del 2013 integrata dalla legge n. 106 del 2004, il Governo ed il Parlamento hanno posto in essere un serie di interventi legislativi finalizzati a far fronte allo stato di grave crisi del settore lirico-sinfonico, e pervenire al risanamento delle gestioni e al rilancio delle attività delle fondazioni.
  
In primis, è stato delineato un percorso di risanamento per le fondazioni in crisi che sono state chiamate a presentare un apposito piano, sottoposto ad approvazione – su proposta del commissario di Governo – sia del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo che del Ministero dell'economia e delle finanze. È stato, inoltre, istituito un fondo di rotazione, con una dotazione finanziaria di 125 milioni di euro, a cui hanno avuto accesso fino ad oggi n. 9 fondazioni lirico sinfoniche.
  Per quel che concerne la situazione relativa al flusso di contribuzione statale destinato alla fondazione lirico-sinfonica teatro lirico «Giuseppe Verdi» di Trieste nel periodo 2014-2017, si rappresenta quanto segue.
  Con riferimento al Fus, in via preliminare, si evidenzia che il 2014 è il primo anno in cui trova applicazione il decreto ministeriale 3 febbraio 2014 che individua, alla luce dei criteri di cui all'articolo 11 della legge n. 112 del 2013, i nuovi criteri di riparto del fondo unico per lo spettacolo da destinare alle fondazioni lirico-sinfoniche.
  In particolare, ai sensi dell'articolo 1 del citato decreto ministeriale 3 febbraio 2014:

   1. una sub-quota, nella misura del 50 per cento della quota, è ripartita in considerazione dei costi di produzione derivanti dai programmi di attività realizzata da ciascuna fondazione nell'anno precedente quello cui afferisce la ripartizione, sulla base degli indicatori di rilevazione della produzione di cui all'articolo 2;

   2. una sub-quota, nella misura del 25 per cento della quota, è ripartita in considerazione del miglioramento dei risultati della gestione attraverso la capacità di reperire risorse;

   3. una sub-quota, nella misura del 25 per cento della quota, è ripartita in considerazione della qualità artistica dei programmi, con particolare riguardo per quelli sia predisposti a realizzare segnatamente in un arco circoscritto di tempo spettacoli lirici, di balletto e concerti coniugati da un tema comune, sia ad attrarre turismo culturale.

  Ai sensi dell'articolo 6, comma 1, del predetto decreto ministeriale (dal 2014 e fino al 2016 – confronta articolo 11, comma 20-bis della legge n. 112 del 2013, «a decorrere dal 2014, a termini di legge, una sub-quota del 5 per cento è previamente destinata alle fondazioni che abbiano raggiunto, senza computare l'utilizzo dei fondi di cui all'articolo 11 della legge 7 ottobre 2013, n. 112, di conversione del decreto-legge 8 agosto 2013, n. 91, il pareggio di bilancio nei tre esercizi finanziari precedenti la ripartizione, con suddivisione della sub-quota in parti eguali tra le suddette fondazioni».
  La fondazione lirica triestina ha realizzato il pareggio di bilancio nel triennio precedente la ripartizione e, pertanto, ha ottenuto – dal 2014 fino al riparto 2016 – il «premio» di cui al citato articolo 6, comma 1, del decreto ministeriale 3 febbraio 2014.
  Per il 2017, tuttavia, tale premio non è stato riconosciuto ad alcuna fondazione lirica dal momento che l'articolo 11, comma 20-
bis, della legge n. 112 del 2013 lo prevedeva solo «per il triennio 2014-2016».
  Si evidenzia, inoltre, che nel 2017 la fondazione di Trieste ha conseguito una valutazione di qualità artistica pari a 40 punti, in aumento rispetto alle valutazioni del 2015 (punti 22) e del 2016 (punti 24). Il punteggio in aumento ha consentito di ridurre l'impatto della perdita del 2017, fermi restando gli altri indicatori costituiti dai costi di produzione e dal reperimento dei risultati di gestione.
  Ad ogni buon conto, in relazione ai fondi extra Fus, si evidenza che ai sensi della legge n. 232 del 2016 e della legge n. 19 del 2017, la fondazione lirico-sinfonica di Trieste ha ottenuto nel 2017 un contributo di euro 646.369,00 per far fronte ai debiti fiscali.
  Relativamente al Piano di risanamento, si evidenzia che in data 16 settembre 2014 è stato firmato il decreto interministeriale di approvazione del piano di risanamento, registrato dalla Corte dei conti in data 15 ottobre 2014. Tale circostanza ha determinato l'erogazione di euro 11.000.000 (a valere sul fondo di rotazione), che si aggiungono alla somma di euro 1.932.000 erogati ai sensi del comma 9, dell'articolo 11 del decreto-legge n. 91 del 2013.
  In data 20 giugno 2017 è stato, inoltre, firmato il decreto interministeriale di approvazione dell'integrazione di piano 2016-2018, registrato dalla Corte dei conti in data 19 luglio 2017.
  Si evidenzia, da ultimo, che in data 19 dicembre 2017 è stata sottoscritta con il comune di Trieste una convenzione — per l'importo di 300.000,00 euro — finalizzata al sostegno del progetto transfrontaliero di promozione e valorizzazione della cultura musicale e operistica promosso e attuato dal teatro Verdi.
  Gli interventi normativi sopra menzionati, nonché le relative misure adottate, mettono in evidenza come il Ministero si stia adoperando per garantire il pieno risanamento della fondazione lirica «Giuseppe Verdi», oltreché di tutte le altre eccellenze italiane del settore lirico-sinfonico, nella consapevolezza della rilevanza di tale realtà per la cultura italiana.
  

Il Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali e il turismo: Antimo Cesaro.


   PRODANI e RIZZETTO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:

   secondo la nota stampa del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo del 21 settembre 2017, «la Conferenza Unificata Stato-Regioni e il Consiglio Superiore dei beni Culturali hanno dato parere favorevole al piano strategico “Grandi progetti beni culturali” proposto dal Ministro interrogato. Il piano, che prevede investimenti per 65 milioni di euro per il restauro e la valorizzazione di musei e aree archeologiche, biblioteche, poli museali e attrattori culturali» destina 4 milioni di euro al restauro ed alla valorizzazione del parco del comprensorio del castello di Miramare;

   nell'articolo del 22 settembre 2017, il Piccolo di Trieste ha informato che «il Parco verrà radicalmente restaurato a partire dal 2019, dopo anni di polemiche sulle sue cattive condizioni. I lavori saranno finalizzati a ridisegnare e restaurare tutto il comprensorio, risolvendo i problemi e impiantando in modo filologico essenze e fiori utilizzati dai giardinieri di Miramare ai tempi di Massimiliano d'Asburgo.»;

   il primo firmatario del presente atto ha già affrontato la questione delle condizioni del Parco con le interrogazioni: n. 4-00897, n. 4-08760, n. 5-06613, n. 4-10833 n. 5-06847, n. 5-07202, n. 5-07240, n. 5-07297, n. 4-12216, n. 4-12217, n. 4-12877, n. 5-08816, n. 5-10545, n. 5-11789, n. 4-17909;

   nell'interrogazione n. 5-07089 è stata ricordata la mostra intitolata «Il Parco di Miramare e le condizioni di degrado» organizzata dalla sede di Trieste di Italia Nostra con l'Unione degli Istriani, l'Associazione Orticola del Friuli Venezia Giulia e la collaborazione dell'ingegner Stefania Musco, nella quale è stato illustrato lo stato complessivo di decadenza del parco al fine di portare l'attenzione sui problemi irrisolti e di interrogarsi sui modi per ridargli il decoro e l'identità perduti;

   infine, con l'interrogazione n. 5-07153, si è trattato «dell'accordo di programma ed un finanziamento congiunto Stato-regione, sottoscritti in data 4 gennaio 2012 secondo tre linee di intervento: parco del Castello (1.000.000 di euro), serre storiche (200.000 euro) e l'area delle serre nuove (600.000 euro)»; al riguardo si è sollecitato il Ministro «affinché predisponesse la pubblicazione dettagliata e puntuale dello stato di avanzamento degli interventi previsti dall'accordo di programma soprattutto inserendola in una programmazione ordinaria e straordinaria dei lavori di manutenzione e di corretta gestione di cui necessita il Parco di Miramare»;

   con il decreto interministeriale n. 328 del 2016 il Castello ed il Parco di Miramare sono stati riconosciuti quali organismi dotati di autonomia speciale, caratterizzati, in base al decreto ministeriale 23 dicembre 2014, da una struttura gestionale particolare, attribuita ad un direttore individuato attraverso un bando internazionale, un consiglio di amministrazione ed un comitato scientifico con funzione consultiva;

   dopo la conclusione della selezione pubblica per l'individuazione del nuovo direttore il 22 giugno 2017 si è insediata Andreina Contessa quale nuova direttrice del museo storico e del parco del castello di Miramare –:

   se il Ministro intenda chiarire secondo quali indirizzi e priorità saranno utilizzati i fondi del piano strategico destinati al restauro ed alla valorizzazione del parco storico del Castello di Miramare di Trieste;

   se e quali studi e proposte sul recupero del parco già realizzati verranno utilizzati per la progettazione e per la successiva manutenzione ordinaria e se saranno coinvolte, ed in quali modalità, le professionalità competenti in materia di parchi storici;

   se sia a conoscenza degli esiti dei lavori previsti per il parco con l'accordo di programma del 2012.
(4-18039)

  Risposta. — Si riscontra l'atto di sindacato ispettivo in esame, nel quale l'interrogante chiede di conoscere secondo quali indirizzi e priorità saranno utilizzati i fondi del piano strategico «Grandi progetti beni culturali», finalizzati al restauro e alla valorizzazione del museo storico e del Parco del castello di Miramare di Trieste.
  Si risponde sulla base degli elementi forniti dal segretariato generale di questo ministero.
  Il piano strategico «Grandi progetti beni culturali» - Annualità 2019 è stato approvato con decreto ministeriale del 29 settembre 2017, previ pareri favorevoli del consiglio superiore per i beni culturali e paesaggistici e della conferenza unificata, per un importo complessivo di euro 65.000.000,00, ai sensi di quanto previsto dall'articolo 7 comma 1 del decreto-legge 31 maggio 2014, n. 83 convertito con modificazioni dalla legge 29 luglio 2014, n. 106 e dall'articolo 1, comma 337 della legge 28 dicembre 2015 n. 208 (Legge di stabilità 2016).
  Per l'annualità 2019, il piano strategico «Grandi progetti beni culturali», in coerenza con quanto programmato nelle precedenti annualità (2014-2018), consolida l'obiettivo di rilancio della competitività territoriale del Paese ponendo la sua attenzione sui beni e sui siti di eccezionale interesse culturale e di rilevanza nazionale che necessitano di interventi organici di tutela e riqualificazione, di valorizzazione e promozione culturale, anche nell'ottica dell'incremento dell'offerta turistico culturale, tra i quali il museo storico e il Parco del castello di Miramare.
  Nello specifico, il finanziamento a questi destinato ammonta a euro 4.000.000,00, distinto in euro 320.000,00 come Fondo progetti e euro 3.680.000,00 come fondo opere, e rientra nella prima linea di azione, «Musei e aree archeologiche di rilevanza nazionale».
  Tale finanziamento traduce operativamente la prioritaria finalità del piano strategico in parola di rafforzamento del sistema delle grandi infrastrutture culturali nazionali che costituiscono autonomi luoghi di eccellenza per la conoscenza e la produzione culturale. Il museo storico e il Parco del castello di Miramare rientra, infatti, tra gli istituti autonomi dotati di rilevante interesse nazionale, di cui al decreto interministeriale n. 328 del 28 giugno 2016, e l'intervento in oggetto assume una rilevanza strategica nell'ottica dell'incremento dell'offerta turistico-culturale ponendosi in linea con le politiche, poste in essere dal Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo negli ultimi anni, volte a dare al patrimonio culturale un ruolo sia di strumento per la crescita economica e sociale dei territori che di diffusione, promozione e consolidamento dei valori culturali.
  L'attuazione degli interventi avverrà attraverso la stipula di un accordo operativo tra il segretariato generale (servizio II) e l'istituto autonomo Museo storico e il Parco del castello di Miramare, nel quale saranno stabiliti tempistiche, regole e condizionalità, ivi compresi i sistemi di controllo, monitoraggio e comunicazione secondo modalità mutuate dalla normativa comunitaria, nel rispetto delle prerogative di autonomia dell'istituto.
  Le azioni previste dal piano strategico nell'ambito della linea di azione in cui ricade l'intervento riguardano interventi volti a garantire le più adeguate condizioni di conservazione del patrimonio culturale e ad ampliare il livello della sua accessibilità e fruibilità. A questo fine, gli interventi genericamente previsti nel piano per tale linea di azione riguardano in via prioritaria:

   interventi di recupero e valorizzazione che, oltre a garantire obiettivi di conservazione, ne garantiscano l'adeguamento strutturale e la dotazione dei necessari servizi;

   interventi per l'incremento della fruibilità fisica e culturale, anche attraverso l'uso delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione (TIC);

   realizzazione di allestimenti museali e di percorsi di visita improntati alla massima accessibilità (es. percorsi di visita specifici: bambini, percorsi per persone con disabilità, strumenti di informazione, segnaletica, ecc);

   interventi volti al potenziamento dei sistemi e dispositivi di protezione e di sicurezza (per il patrimonio ed i suoi operatori/fruitori) nei siti e luoghi della cultura (telesorveglianza, sistemi di controllo remoto, ecc.).

  Sarà compito precipuo dell'istituto autonomo individuare, coerentemente con quanto previsto dal piano strategico, le priorità di intervento rispetto alle esigenze della struttura, con riferimento anche alle sinergie e alle condizioni di complementarietà con le altri fonti di finanziamento, ordinarie e straordinarie, tra le quali si colloca l'accordo di programma del 4 gennaio 2012 tra il Ministero per i beni e le attività culturali — sezione regionale per i beni culturali e paesaggistici del Friuli Venezia Giulia e la regione Autonoma Friuli Venezia Giulia citato nell'interrogazione in oggetto.
  Sarà altresì cura dello stesso istituto autonomo individuare le specifiche modalità, le professionalità e i riferimenti per la progettazione delle opere e per la successiva manutenzione ordinaria.
  Il ministero si impegna a monitorare il corretto svolgimento delle procedure e, successivamente, garantirà la massima supervisione sulle operazioni di restauro di valorizzazione dei siti culturali in parola affinché tornino a riacquisire la competitività necessaria per il più ampio progetto di rilancio del settore turistico nazionale.

La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismo: Ilaria Carla Anna Borletti dell'Acqua.


   PRODANI e RIZZETTO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:

   il 14 settembre 2016, la Commissione europea ha presentato ufficialmente al Parlamento europeo la nuova «direttiva sul copyright» che include dei piani per una nuova tassa sui link, ossia la concessione di nuovi ampi poteri per la pubblicazione di frammenti di testo utilizzati in collegamenti ipertestuali che dovranno essere pagati agli editori;

   il 2 maggio 2017 come riportato dalla nota stampa del Ministero dei bene e delle attività culturali e del turismo, il Ministro interrogato e il Ministro della cultura e della comunicazione della Repubblica francese Audrey Azoulay hanno firmato a Parigi una dichiarazione congiunta sul diritto d'autore, «che impegna Italia e Francia a individuare posizioni comuni per promuovere e preservare il fondamento della creatività nel contesto della riforma del quadro europeo del settore promossa dalla Commissione europea, in particolare mantenendo fermo il principio della territorialità del diritto d'autore, chiave di volta per il finanziamento e la diffusione della cultura»;

   «I due Paesi ritengono che tale riforma debba infatti essere parte integrante di una autentica strategia europea della cultura nell'era digitale, per favorire non solo l'accesso del pubblico alle opere, ma anche per sostenere la giusta remunerazione dei creatori e la continuità dell'economia della cultura, oltre che la diversità delle opere realizzate e la libertà di scelta del pubblico, attraverso un'adeguata responsabilizzazione degli intermediari online di opere protette da copyright»;

   «A tale proposito Italia e Francia reputano che, insieme alle proposte relative al diritto d'autore nel mercato unico digitale, sia indispensabile e urgente garantire l'aggiornamento e l'armonizzazione di un quadro efficace per l'effettiva tutela di tali diritti, in particolare per quanto riguarda le attività online»;

   la dichiarazione è stata accolta favorevolmente dalla Società italiana degli autori ed editori (Siae) che ha sottolineato come «l'impegno dei due Paesi sia in linea con la lettera promossa da IAE e sottoscritta dalle diverse Associazioni di categoria, consegnata proprio al Ministro Franceschini lo scorso mese di gennaio». In particolare, SIAE e le Associazioni di tutti i settori di Italia Creativa hanno chiesto al Governo «attenzione e sostegno nella difesa dell'intera filiera dalle concrete minacce allo sviluppo e nella protezione dei diritti degli autori dei contenuti creativi e culturali in Europa nella proposta di Direttiva Copyright». Secondo SIAE «l'accordo siglato è un passo fondamentale per una sfida che, a livello europeo, rappresenta 7 milioni di lavoratori, che operano nelle industrie creative e culturali e che necessitano di particolare attenzione e tutela»;

   come riportato dal sito online www.agendadigitale.eu «il cosiddetto pacchetto Copyright si compone di una Direttiva sul Copyright, e infine di un regolamento, che fa direttamente riferimento alla Direttiva SatCab»;

   la direttiva SatCab 93/83/EEC «facilita la ritrasmissione via satellite e via cavo di programmi radiotelevisivi da altri Paesi Membri. Grazie alla Direttiva, oggi un gran numero di canali Tv sono disponibili in Paesi diversi da quello di origine, col risultato di rafforzare la diversità culturale. Tra le iniziative del Mercato Unico Digitale, la revisione della Direttiva SatCab si pone l'obiettivo di verificare la necessità di ampliarne il campo di applicazione, estendendolo alle trasmissioni online dei broadcaster, e di adottare ulteriori misure per migliorare l'accesso transfrontaliero ai servizi delle emittenti radiotelevisive in Europa»;

   il 3 settembre 2017 a Venezia si è svolto il seminario sulla proposta di regolamento SatCab, un incontro di natura tecnica per gli operatori del mondo dell'audiovisivo, promosso dall'Associazione 100autori e da Anica, per spiegare le ragioni di una posizione nettamente contraria all'articolo 2 della proposta della Commissione europea;

   secondo il comunicato congiunto di 100 autori – Anica «se questa proposta venisse adottata un'emittente licenziataria dei diritti di utilizzazione televisiva di un'opera audiovisiva per il territorio di uno Stato membro potrebbe liberamente mettere a disposizione del pubblico tale opera on-line in tutti i paesi dell'UE»;

   lo sceneggiatore Stefano Sardo ha dichiarato che «per gli autori italiani che si battono oggi affinché in Italia si avvii una seria riforma sulle quote dei diritti questo Regolamento rappresenta un forte pericolo sia per il diritto d'autore che per tutto il mondo della produzione» –:

   con riferimento alla normativa sopra citata, quali iniziative il Ministro interrogato intenda assumere a sostegno dell'intera filiera creativa e culturale, promuovendo e preservando il diritto d'autore;

   quali iniziative intenda assumere per garantire il fondamento della creatività, nel contesto della riforma promossa dalla Commissione europea, in particolare sostenendo il principio della territorialità del diritto d'autore.
(4-18223)

  Risposta. — Si riscontra l'atto di sindacato ispettivo in esame, nel quale l'interrogante, in riferimento alla nuova normativa europea in materia di copyright, chiede di conoscere quali iniziative il Ministero intenda assumere a sostegno dell'intera filiera creativa e culturale, per promuovere e tutelare il diritto d'autore; ed ancora, quali iniziative intenda assumere per garantire il fondamento della creatività, nel contesto della riforma promossa dalla Commissione europea, in particolare a sostegno del principio della territorialità del diritto d'autore.
  Con riferimento all'interrogazione in esame, occorre rilevare che la problematica sollevata dall'interrogante in merito alle preoccupazioni degli autori e di tutta la filiera creativa sono da tempo all'attenzione di questo Ministero che, in virtù delle specifiche competenze in materia di diritto d'autore, sta seguendo con attenzione i lavori sul cosiddetto «pacchetto
copyright».
  Come è noto, le proposte della Commissione europea tese alla riforma del contesto normativo in materia di diritto d'autore sono la direttiva del Parlamento europeo e del consiglio sul diritto d'autore nel mercato unico digitale (cosiddetta direttiva
copyright) ed il regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, che stabilisce norme relative all'esercizio del diritto d'autore e dei diritti connessi applicabili a talune trasmissioni online degli organismi di diffusione radiotelevisiva e ritrasmissioni di programmi televisivi e radiofonici (cosiddetto regolamento SatCab).
  A livello nazionale le suddette proposte sono esaminate – oltre che dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo in quanto amministrazione capofila e con il supporto del comitato consultivo permanente per il diritto d'autore – nell'ambito del tavolo di coordinamento istituito presso il dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri, al quale partecipano i rappresentanti di tutte le altre amministrazioni interessate.
  A livello europeo i negoziati sulle proposte direttiva
Copyright e regolamento SatCab sono state assegnate al gruppo di lavoro «Proprietà Intellettuale» del Consiglio dell'Unione europea, al quale partecipa un rappresentante del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo.
  La sinergia tra le amministrazioni ha portato alla presentazione, nell'ambito dei lavori del predetto gruppo di lavoro, di posizioni orientate alla tutela dei diritti d'autore e dunque a difesa del principio di territorialità che ne costituisce il fondamento.
  Con riferimento al regolamento SatCab, in particolare l'articolo 2, recante applicazione del principio del paese d'origine ai servizi
online «ancillari», mutua il principio del paese di trasmissione proprio della direttiva SatCab (dir. 93/83/CEE) e lo applica ai servizi online definiti ancillari, evitando così la contemporanea applicazione delle normative interne degli Stati membri.
  L'applicazione di questo principio, come già evidenziato nella dichiarazione congiunta con il Ministro della cultura francese dello scorso maggio, costituisce un grave pericolo per l'industria culturale, in particolare per il settore dell'audiovisivo, poiché le esclusive territoriali rappresentano il modello di
business, nonché il perno del sistema di finanziamento, produzione e distribuzione dei contenuti.
  Consapevoli, pertanto, del grave pericolo che comporterebbe siffatta normativa, Italia, Francia, Spagna e Portogallo hanno elaborato e diffuso tra i delegati del gruppo di lavoro una posizione comune nella quale si richiede l'eliminazione dell'articolo 2 del regolamento.
  Recentemente la Presidenza estone ha diffuso un nuovo testo di compromesso nel quale l'applicazione del principio del paese d'origine è limitato ad
a) opere prodotte, commissionate o finanziate totalmente o coprodotte dall'organismo di radiodiffusione e b) opere per le quali il broadcaster ha ottenuto licenza da un terzo ma con l'eccezione di film, serie televisive o opere e altri materiali protetti inclusi nella trasmissione di eventi sportivi.
  Parallelamente, nell'ambito dei lavori del Parlamento europeo, la commissione JURI è competente per merito e sta ricevendo il parere delle altre commissioni; a riguardo potrebbe essere valutato e approfondito l'emendamento della commissione ITRE che limita l'ambito di applicazione del principio del paese d'origine ai notiziari e programmi di attualità. In tal caso solamente le azioni di comunicazione al pubblico e di messa a disposizione di notiziari e programmi di attualità che hanno luogo quando un servizio
online accessorio è fornito da un organismo di diffusione radiotelevisiva o sotto il suo controllo e la sua responsabilità, nonché le azioni di riproduzione dei notiziari e dei programmi di attualità necessarie per la fornitura del servizio online accessorio sono, nell'ambito dell'esercizio del diritto d'autore e dei diritti connessi pertinenti per tali azioni, considerate come aventi luogo esclusivamente nello Stato membro in cui si trova la sede principale dell'organismo di diffusione radiotelevisiva. Inoltre, un successivo emendamento fa salvi i principi di territorialità e libertà contrattuale previsti dal diritto d'autore, nonché i diritti di cui alla direttiva 2001/29/CE.
  Relativamente alla direttiva
copyright e nello specifico alle norme citate nell'interrogazione in esame – contenute nel titolo IV «misure miranti a garantire il buon funzionamento del mercato per il diritto d'autore» – la posizione italiana è in linea generale favorevole.
  Infatti, si ritiene che la disposizione sull'utilizzo di contenuti protetti da parte dei prestatori di servizi della società di informazione (articolo 13) costituisca un intervento significativo sul regime di responsabilità delle piattaforme online.
  Il Governo è inoltre orientato a integrare nell'articolato le raccomandazioni di cui al considerando 38.
  La norma di cui all'articolo 11 prevede l'introduzione di un nuovo diritto connesso a favore degli editori di giornali per la riproduzione e messa a disposizione del pubblico delle loro pubblicazioni a carattere giornalistico nel quadro degli utilizzi digitali.
  Tale protezione non si estende ai collegamenti ipertestuali (
hyperlinking) che non costituiscono comunicazione al pubblico. Mentre si applica agli estratti di opere a carattere giornalistico (snippets), a condizione che tali estratti siano espressione della creazione intellettuale dei loro autori.
  Al riguardo la posizione italiana ha evidenziato che la norma nazionale (legge n. 633 del 1941) qualifica le pubblicazioni giornalistiche come opere collettive e attribuisce il diritto di utilizzazione economica all'editore. La durata di tale diritto è di 70 anni dalla pubblicazione, contrariamente alla proposta di direttiva che prevede una durata di 20 anni. Ciò premesso, l'Italia ha espresso posizione favorevole alla norma in esame poiché riconosce il valore economico creato dagli editori e mira a proteggerne gli investimenti.
  In conclusione, non resta che ribadire come questo Ministero continui a porre in essere un forte impegno nella difesa dei principi fondanti posti alla base del contesto normativo a tutela del diritto d'autore che costituiscono, anche nell'ecosistema digitale, la chiave di volta per il finanziamento e la diffusione della cultura. Impegno che continuerà ad essere profuso in tutte le fasi del negoziato europeo, prima nell'ambito del gruppo proprietà intellettuale e successivamente in Coreper e nei negoziati interistituzionali.

Il Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali e il turismo: Antimo Cesaro.


   QUARTAPELLE PROCOPIO e FEDI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:

   numerose ragioni economiche, politiche e sociali conducono il nostro Paese ad essere sempre più implicato nelle vicende africane, come dimostrato dal ruolo centrale che in tempi recenti le istituzioni conferiscono all'Africa e alle relazioni dell'Italia con i Paesi africani;

   a tal fine, è un obiettivo prioritario accrescere l'interesse ed estendere le conoscenze degli italiani, e in particolare delle più giovani generazioni, per lo studio e la diffusione della storia, dell'arte, della letteratura e della cultura africana;

   uno dei fondi documentari ed archivistici più importanti tra quelli esistenti per lo studio, per la conoscenza e per la storia dell'Africa intera, ed in particolare della Libia, è chiuso da più di quattro anni in seguito ad una disastrosa vicenda amministrativa. Si tratta della biblioteca e degli archivi dell'Istituto per l'Africa e l'oriente (Isiao), che è la più importante in Italia per gli studi africani, ed è una delle prime in Europa per l'unicità e la dimensione delle sue collezioni; il decreto del Presidente della Repubblica del 16 gennaio 2017 sancisce che fra le competenze delegate al Vice Ministro Mario Giro, vi sono le questioni relative all'Isiao, ivi inclusi i provvedimenti afferenti alla liquidazione del medesimo; pertanto dopo le dimissioni di Antonio Armellini da commissario liquidatore, le residue attività liquidatorie sono svolte dall'Unità di analisi, programmazione e documentazione storico-diplomatica del MAECI;

   il fondo fotografico conservato insieme alla biblioteca è stato definito «la memoria visiva della nostra vicenda coloniale»; quello cartografico conserva una documentazione unica per la sua completezza sui territori più legati alla presenza storica italiana nel continente africano;

   questa situazione ha danneggiato gravemente gli studi in ambito africanistico, impedendo la continuità delle ricerche condotte dagli studiosi e dagli studenti delle nostre università;

   da pochi giorni il segretariato generale ha deciso di trasferirne tutto il patrimonio, compresa la biblioteca, al Museo delle civiltà. Il Museo, prodotto della fusione di quello preistorico etnografico «Pigorini», arti e tradizioni popolari, arte orientale «Tucci» e alto medioevo, avrà sede all'Eur, e condividerà i locali anche con il Museo nazionale di arte orientale, sito attualmente in Via Merulana, presso il palazzo Brancaccio;

   i locali presso l'EUR di Roma sono tutti di proprietà dell'INAIL, presi in locazione dal Mibact. Nel Piano strategico grandi progetti beni culturali 2017-2018, il Mibact ha programmato la spesa di 10 milioni di euro per la «Riorganizzazione, l'allestimento e la valorizzazione del Museo delle Civiltà»;

   attualmente tali musei, dal punto di vista del personale, sono drammaticamente carenti, poiché i funzionari e i professionisti altamente qualificati in pensione, non sono stati rimpiazzati. Ad esempio, al Museo Pigorini non c'è più nessun africanista. È ora in corso un concorso per l'assunzione di 500 funzionari al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, che comprende cinque demoetnoantropologi nel Lazio, che presumibilmente saranno destinati al museo delle civiltà. Nel Lazio si assumeranno anche dieci bibliotecari, che difficilmente verranno assegnati al museo, poiché già le maggiori biblioteche risultano carenti di personale –:

   quali siano tempi e le modalità d'attuazione della riunificazione del patrimonio che apparteneva all'ISIAO presso il Museo delle civiltà e come si intenda garantire la rapidità e la corretta conservazione del materiale, tenendo conto anche dei progetti di ristrutturazione dell'edificio;

   come si intenda assicurare la conservazione e il restauro del patrimonio, e specialmente della cartoteca e fototeca, e se non si valuti opportuno arricchire ulteriormente la biblioteca di africanistica, attraverso acquisti di monografie straniere e abbonamenti ai periodici stranieri e/o alle banche dati bibliografiche internazionali;

   quali ulteriori iniziative si intenda intraprendere per assicurare un'adeguata assegnazione di personale presso il Museo delle civiltà.
(4-16171)

  Risposta. — Si riscontra l'atto di sindacato ispettivo in esame, nel quale l'interrogante chiede al Ministero quali siano i tempi e le modalità d'attuazione della riunificazione del patrimonio che apparteneva all'Istituto italiano per l'Africa e l'oriente e come intenda garantire la corretta conservazione e il restauro del patrimonio culturale, nonché quali iniziative si prevede di intraprendere per assicurare un'adeguata assegnazione di personale presso il museo delle civiltà.
  Sulla base degli elementi forniti dalle direzioni generali competenti di questo ministero, si fa presente quanto segue.
  L'Istituto italiano per l'Africa e l'oriente (ISIAO), istituito dalla legge n. 505 del 1995, articolo 3, quale ente di diritto pubblico e soggetto alla vigilanza del Ministero degli affari esteri, nasce dalla fusione tra l'Istituto per il medio ed estremo oriente (ISMEO) e l'Istituto italo-africano (IIA).
  Con decreto 11 novembre 2011 del Ministero degli affari esteri, l'Istituto italiano per l'Africa e l'oriente è stato assoggettato a liquidazione coatta amministrativa.
  Il patrimonio dell'Istituto italiano per l'Africa e l'oriente includeva, oltre alle collezioni museali asiatiche e africane ereditate, rispettivamente, dall'Istituto per il medio ed estremo oriente e dall'Istituto italo-africano, anche una ricca biblioteca ed un archivio che comprende:

   l'archivio istituzionale dell'ente e degli enti suoi antecedenti (Istituto per il medio ed estremo oriente e dall'Istituto italo-africano);

   62 fascicoli provenienti dall'archivio del Museo africano;

   una cartoteca di oltre 3.500 carte geografiche dell'Africa e dei territori sotto controllo italiano, per un totale di 14.000 fogli, creata dal servizio cartografico del min. Africa italiana, nonché 6.000 pezzi tra carte e disegni asiatici;

   un archivio fotografico che, per la sola sezione africana, comprende 100.000 stampe, 300 album, ventimila negativi su lastra di vetro e varie centinaia su pellicola. La sezione di orientalistica dell'archivio fotografico comprende invece più di 30.000 pezzi tra lastre vetro e negativi del fondo Tucci, rulli di negativi delle missioni in Asia e archivio di documentazione oggetti e mostre.

  Per quanto riguarda la biblioteca dell'Istituto italiano per l'Africa e l'oriente, essa conserva i fondi librari delle biblioteche dell'Istituto italo-africano e dell'Istituto italiano per il medio ed estremo oriente e il suo patrimonio, unico in Italia, consta di oltre centoventimila volumi, duemilacinquecento testate di periodici, di raccolte rare e di pregio (manoscritti, silografie, antiche edizioni, carte geografiche).
  Tale importante patrimonio bibliografico, unitamente alla cartoteca e alla fototeca, è stato dichiarato di eccezionale interesse culturale dalla regione Lazio nel 2013, ai sensi dell'articolo 12, decreto legislativo n. 42 del 2004.
  La commissione di vigilanza della liquidazione coatta amministrativa dell'Istituto italiano per l'Africa e l'oriente ha ritenuto che l'archivio storico dell'Istituto italiano per l'Africa e l'oriente dovesse essere versato all'archivio storico del Ministero degli affari esteri (dove si trova attualmente), mentre cartoteca e fototeca sono stati stralciati dall'archivio e trasferiti alla biblioteca nazionale centrale di Roma, assieme alla biblioteca dell'Istituto italiano per l'Africa e l'oriente.
  La direzione generale biblioteche di questo Ministero, nell'ambito delle proprie competenze, non solo ha regolarmente monitorato lo stato di conservazione delle collezioni, intervenendo anche in occasione di un grave attacco fungino nel 2014, ma, a seguito del provvedimento che ha sottoposto l'Istituto italiano per l'Africa e l'oriente a liquidazione coatta amministrativa con disposizione congiunta dei Ministeri dell'economia e delle finanze e degli affari esteri l'11 novembre 2011 (
Gazzetta Ufficiale n. 11 del 14 gennaio 2012), ha costantemente verificato che l'importante patrimonio bibliografico non subisse perdite, danni e fosse, pertanto, opportunamente tutelato.
  Tutto il patrimonio dell'Istituto italiano per l'Africa e l'oriente è stato periziato dai tecnici del ministero. A seguito di intese con il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, la biblioteca e le raccolte fotografiche e cartografiche sono state collocate presso la Biblioteca nazionale centrale di Roma, che ha destinato a tali pregiate collezioni un'intera ala e ha assicurato un'adeguata conservazione del materiale, consentendo una corretta fruizione del patrimonio, da tempo non disponibile per l'utenza.
  Come giustamente ha ricordato l'interrogante, il museo delle civiltà rientra nel piano strategico grandi progetti beni culturali 2017-2018 del Ministero, programma che si articola in 22 interventi per un valore complessivo di 135 milioni di euro, di cui 12 riguardanti i musei e le aree archeologiche di rilievo nazionale (tra cui appunto il museo delle civiltà all'Eur, per il quale il ministero ha programmato la spesa di 10 milioni di euro – suddiviso in due annualità 2017 e 2018 da 5 milioni di euro cadauna – per la sua «Riorganizzazione, l'allestimento e la valorizzazione»), 6 attinenti le grandi biblioteche, archivi, scuole e 5 relativi al recupero e riqualificazione di poli culturali.
  Al museo delle civiltà afferiscono grandi strutture museali precedentemente autonome: il museo preistorico ed etnografico Pigorini, il museo dell'alto medioevo, il museo delle arti e tradizioni popolari e il museo nazionale di arte orientale. Quest'ultimo Istituto è depositario da tempo delle collezioni d'arte dell'Istituto italiano per l'Africa e l'oriente, nonché di quei beni che sono stati recentemente trasferiti dalla vecchia sede dell'Istituto italiano per l'Africa e l'oriente.
  Nelle more, dunque, dell'allestimento del museo delle civiltà, le collezioni d'arte dell'Istituto italiano per l'Africa e l'oriente vengono comunque esposte nella sede dell'Eur.
  La riapertura dei fondi bibliografici, cartografici e fotografici presso la Biblioteca nazionale centrale è stata inaugurata il giorno 9 maggio 2017, in occasione di una giornata pubblica, che ha previsto anche un momento di valorizzazione delle collezioni orientali e africane con particolare riguardo all'integrazione con le collezioni orientali della Biblioteca nazionale.
  Per l'occasione è stata infatti siglata una convenzione tra la Biblioteca nazionale e il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale per la tutela, la valorizzazione e la fruizione della Biblioteca dell'Istituto italiano per l'Africa e l'oriente.
  È stata inoltre allestita – nel periodo dal 9 maggio al 30 giugno 2017 – una esposizione emblematica dei tesori dell'Istituto italiano per l'Africa e l'oriente, inserita nell'ambito della campagna nazionale di promozione della lettura Il maggio dei libri, che ha incluso anche una sezione sulle preziose collezioni orientali della Biblioteca nazionale (mostra «Tra Africa e oriente – Le collezioni dell'Isiao alla BNC»).
  La riapertura di una delle biblioteche più complete in Europa sulla storia e la cultura delle civiltà di Africa ed Asia, a lungo attesa da studiosi ed accademici italiani e internazionali, è stata resa possibile dalla collaborazione del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, che dallo scorso novembre cura la liquidazione dell'ente, e da questo ministero.
  Gli sforzi comuni delle due amministrazioni hanno così permesso di salvaguardare la prestigiosa eredità culturale dell'Istituto italiano per l'Africa e l'oriente e di assicurarne di nuovo la fruibilità da parte del pubblico, restituendo alla cittadinanza uno strumento prezioso per coltivare ed approfondire la conoscenza di culture e popoli sempre più vicini nel mondo del XXI secolo.
  La biblioteca dell'Istituto italiano per l'Africa e l'oriente si articola in tre sezioni per un totale di oltre 180.000 volumi, suddivisi a loro volta in diversi fondi, che costituiscono una testimonianza unica per ricchezza e varietà del materiale custodito: tra di essi spiccano quelli di antichi manoscritti sanscriti e tibetani acquisiti dal fondatore della biblioteca, l'orientalista Giuseppe Tucci, il fondo Dubbiosi con numerose opere manoscritte in arabo ed il fondo Taddei, fondamentale per lo studio dell'arte del Gandhara.
  Sono parte integrante del patrimonio trasferito presso la sede della Biblioteca nazionale anche la fototeca africana e la cartoteca, già appartenute all'Istituto italo-africano, che contano rispettivamente oltre 100.000 tra fotografie e negativi risalenti al periodo coloniale italiano ed oltre 14.000 carte geografiche della stessa epoca storica.
  Tale patrimonio dell'Istituto italiano per l'Africa e l'oriente andrà ad integrarsi con le collezioni orientali della Bncr, in particolare il fondo cinese e giapponese, una raccolta unica in Italia per ricchezza e omogeneità di materiale.
  Riguardo, invece, ai beni dell'ex museo africano (consistenti in circa 12.000 oggetti) prima devoluti all'Istituto per l'Africa e l'oriente, poi al museo nazionale d'arte orientale, nel marzo 2017 si è provveduto a trasferire definitivamente presso il museo nazionale preistorico «L. Pigorini», risultato il destinatario ideale per affinità di interessi e raccolte, la restante parte di patrimonio ancora collocata in via Aldrovandi.
  Una parte di tali beni — in deposito temporaneo dal 2001 presso palazzo Brancaccio, sede del museo nazionale d'arte orientale (MNAO) – in attuazione del protocollo d'intesa (2182 del 3 novembre 2010) tra l'allora direzione generale delle antichità e l'istituto italiano per l'Africa e l'oriente, era già stata trasferita, negli ultimi due mesi del 2011, presso il predetto museo.
  Tutti i beni pervenuti — comprendente materiale storico militare, etnografico, archeologico, economico (parte della mostra campionaria) e la sezione artistica – come rappresentato dalla direzione generale musei, sono stati collocati in quattro depositi appositamente predisposti, dopo aver esperito le necessarie operazioni di primo intervento conservativo consistite nelle seguenti categorie: rimozione delle polveri, delle incrostazioni e dello sporco con metodi fisici e chimici, ricomposizione di frammenti o elementi mobili o parti accessorie onde evitare possibili dispersioni, controllo e raggruppamento di serie numeriche di più oggetti aventi lo stesso numero d'inventario, accorpamento di elementi pertinenti a singoli oggetti complessi.
  Successivamente alle operazioni preliminari di conservazione sono stati eseguiti interventi di restauro su manufatti il cui stato era molto compromesso e/o con fenomeni di degrado progressivo in atto come ad esempio 21 modelli di imbarcazioni lignee rappresentanti vari tipi di natanti a vela tipici dell'area siculo-maltese, mediorientale, etiopica, somala, araba, che sono stati sottoposti ad interventi strutturali con montaggio delle velatine e spostati in un deposito più consono alle nuove dimensioni per garantirne migliori condizioni di conservazione ambientale e renderne più agevole la movimentazione in sicurezza.
  I restauri non hanno interessato le sole imbarcazioni ma anche molti altri manufatti come scudi cerimoniali, armi, ceramiche, manufatti archeologici ed etnografici e ricostruzioni plastiche.
  Al momento sono in corso le verifiche sistematiche dello stato di conservazione della sezione artistica e grafica, con il relativo riscontro inventariale, l'aggiornamento degli elenchi e delle nuove collocazioni, operazioni che saranno presto estese ai restanti materiali della collezione.
  In un prossimo futuro, si prevede l'apertura di una sezione espositiva dedicata ai beni dell'ex Istituto italiano per l'Africa e l'oriente che sarà oggetto di specifica progettazione con esperti nominati
ad hoc nel quadro della definizione degli aspetti espositivi e di deposito assegnati al museo delle civiltà.
  I competenti uffici del Ministero, quindi, consci dell'inestimabile valore culturale e artistico delle collezioni dell'Istituto italiano per l'Africa e l'oriente, hanno assicurato la massima attenzione alle questioni evidenziate nell'interrogazione.
  Per la parte, infine, in cui l'interrogante chiede quali ulteriori iniziative il Ministero intenda intraprendere per assicurare un'adeguata assegnazione di personale presso il museo delle civiltà, si sottolinea l'impegno costante del Ministero ad assicurare l'ingresso di nuove unità di personale, a fronte del pensionamento di molteplici risorse umane.
  In particolare, il Ministero, ai sensi della legge n. 208 del 28 dicembre 2015, ha proceduto all'indizione del concorso pubblico per n. 500 funzionari relativi ai profili di storico dell'arte, bibliotecario, archivista, antropologo, architetto, restauratore, demoetnoantropologo e promozione e comunicazione per i quali sta procedendo ad effettuare le relative assunzioni.
  Si sottolinea che con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 4 aprile 2017 questo Ministero è stato autorizzato allo scorrimento per n. 200 funzionari esperti del patrimonio culturale, provenienti dalle graduatorie degli idonei del sopra citato «Bando dei 500».
  Inoltre, sempre con il suddetto decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, questo Ministero è stato autorizzato ad assumere anche n. 100 funzionari amministrativi mediante lo scorrimento di graduatorie di altre pubbliche amministrazioni, segnatamente quella del concorso «120 funzionari Ripam/Coesione».
  Oltre a ciò, l'articolo 1, comma 305, della legge 27 dicembre 2017, n. 205 di approvazione del bilancio di previsione dello Stato per l'esercizio finanziario 2018, autorizza questa amministrazione ad assumere fino ad un massimo di n. 200 unità di personale, appartenenti all'area III – posizione economica F1, mediante ulteriore scorrimento delle graduatorie di concorso delle procedure di selezione pubblica di cui all'articolo 1, comma 328 e seguenti, della legge 28 dicembre 2015, n. 208.
  Pertanto, l'iniziale contingente di assunzioni previsto in 500 unità, verrà portato a 1000.
  Ne discende che questo Ministero segue con particolare attenzione l’
iter connesso con la procedura in questione.
  Il piano di assunzioni, nel rispetto delle esigenze di funzionalità e del principio della ottimizzazione delle risorse finanziarie a disposizione e tenendo conto anche del riassetto organizzativo conseguente al ridimensionamento degli organici operato in esecuzione della normativa in materia di
spending review, sarà tale da garantire a questo Ministero il raggiungimento dei propri scopi.
  Tutelare, valorizzare, promuovere il patrimonio culturale e le politiche turistiche nazionali, favorirà l'innescarsi di meccanismi virtuosi nel tessuto produttivo italiano ed assegnerà ai beni culturali, nonché al turismo, un ruolo dinamico quali fattore di crescita e di sviluppo.
  

La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismo: Ilaria Carla Anna Borletti dell'Acqua.


   QUARTAPELLE PROCOPIO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   il 27 aprile 2017 moriva a Punta Cana (Repubblica Dominicana), in circostanze ad oggi ancora non chiarite, Alessandro Grandis, cittadino italiano residente a Savona che stava intraprendendo un viaggio di 7 mesi in America Latina;

   il ragazzo, 28 anni, era arrivato nella città dominicana il 25 aprile, dopo aver viaggiato attraverso il Sud America per più di 6 mesi e avendo come destinazione finale proprio la capitale del Paese, Santo Domingo, dove un suo amico italiano lo avrebbe interessato alla possibilità di aprire una farmacia;

   Grandis aveva trovato posto, tramite Couchsurfing, una piattaforma di scambio gratuito di ospitalità, a Punta Cana nel residence «La Joya Cocotal» in località Bavaro, presso due persone di nazionalità polacca: una ragazza di 25 anni (Patrycja Borzecka) e un uomo di 43 anni (Roman Wojciechowski), entrambi in un primo momento fermati dalla polizia locale ma di cui si sarebbero perse le tracce;

   il giorno 27 aprile, alle ore 7,10, il corpo del giovane veniva trovato dall'impiegato della manutenzione del residence a bordo della piscina, mentre era ancora agonizzante. A nulla sarebbe servito l'intervento del medico;

   il magistrato di Bavaro (Punta Cana) dopo solo due ore di indagine, avrebbe archiviato il fatto rubricandolo come suicidio: il ragazzo si sarebbe gettato dal balcone del residence;

   Grandis, secondo le testimonianze degli amici, dei parenti e della fidanzata, era persona solare e non aveva mai dato il minimo segno di depressione o inclinazione al suicidio e, anzi, aveva numerosi progetti professionali che voleva sviluppare come dimostra la tappa nella Repubblica Dominicana;

   la madre di Alessandro, dottoressa Rosa Cacace, medico legale, ha fatto pervenire gli estratti relativi agli esiti dell'autopsia effettuata dai quali emergerebbe che il ragazzo ha avuto un «traumatismo contuso cranio encefalico severo» ma anche fratture alle nocche e rottura del labbro inferiore non compatibili con la caduta;

   l'esame tossicologico risulta negativo;

   la famiglia Grandis è assistita in Italia dallo studio legale Gobbi, e nella Repubblica dominicana dall'avvocato Pascual Peguero Frias, legale di fiducia della comunità italiana ivi residente;

   il caso parrebbe archiviato come irrisolto (modalità giuridica del decesso indeterminata), anche se non sono pervenuti allo studio legale Gobbi i verbali di chiusura delle indagini;

   in data 19 ottobre 2017 l'avvocato domenicano Peguero Frias con un esposto alla procura della Repubblica Dominicana, al direttore della polizia nazionale e all'ambasciata italiana di Santo Domingo denunciava l'inconsistenza delle indagini e le molteplici lacune che hanno portato all'archiviazione del caso come irrisolto con l'obiettivo di far riaprire la pratica;

   anche la comunità italiana in loco non è rimasta silente e il 13 dicembre 2017 con ulteriore esposto alla polizia e all'ambasciata italiana a Santo Domingo denunciava il carattere approssimativo e superficiale delle indagini, nonché le contraddizioni inerenti alle poche testimonianze rese e pertanto chiedeva «una nuova investigazione sul caso» –:

   se e quali informazioni ulteriori il Governo abbia potuto ottenere sul caso in questione, stante anche la recente riapertura dell'ambasciata italiana a Santo Domingo, e come intenda agire presso le competenti autorità per arrivare a una ragionevole verità processuale.
(4-18839)

  Risposta. — Il Signor Alessandro Grandis è stato trovato senza vita il 27 aprile 2017 a Bavaro (Punta Cana), una località a 300 chilometri da Santo Domingo, lungo il bordo di una piscina nel residence «Cocotal», dove alloggiava insieme ad altri ragazzi europei. Il Signor Grandis, che si trovava in viaggio da sette mesi tra Sudamerica e Caraibi, era giunto nel paese solo pochi giorni prima.
  Informata del decesso dalle autorità locali, la rappresentanza diplomatica d'Italia nella Repubblica Dominicana ha prontamente stabilito un contatto con i familiari del giovane, per prestare loro ogni possibile assistenza. All'arrivo della madre sull'isola caraibica il 29 aprile 2017, la nostra ambasciata ha assistito la signora accompagnandola nei diversi incontri con le autorità dominicane competenti e aiutandola nel disbrigo delle pratiche burocratiche dettate dalla legge locale.
  Le circostanze del decesso sono tuttora oggetto di accertamento. La prima comunicazione ufficiale della polizia dominicana non faceva alcun riferimento alle possibili cause della morte, limitandosi a specificare che Grandis aveva riportato un trauma cranico a causa di un colpo alla nuca. Il giorno dopo, la sede ha ricevuto copia del referto della polizia di Bavaro che sosteneva che Alessandro poteva aver compiuto un gesto volontario. A quel punto la nostra rappresentanza diplomatica a Santo Domingo è prontamente intervenuta per chiedere l'immediata riapertura delle indagini (poi ottenuta).
  Nel frattempo, la salma del signor Grandis è stata trasferita, come da prassi, a Santo Domingo per effettuare l'autopsia. La richiesta italiana, in quel frangente, è stata di alterare il meno possibile la salma, anche per consentire alla madre del giovane, che di professione è medico legale, di potere vedere il feretro del figlio e rendersi così conto di persona della situazione.
  La signora ha avuto un colloquio con gli esperti dominicani ai quali ha potuto porre numerosi quesiti, ricevendo risposte puntuali. Ella ha poi avuto un incontro con il responsabile che coordina le indagini sul caso, incontro che ha permesso di fornire alla polizia ulteriori informazioni e di acquisire rassicurazioni da parte dominicana sul fatto che tutte le ipotesi sulle cause della morte restavano aperte, escludendo fermamente che le indagini fossero circoscritte al possibile suicidio. A conferma di ciò, la polizia ha vietato ad alcuni giovani con cui Alessandro divideva l'alloggio di lasciare il paese.
  Il 30 aprile 2017 è arrivato a Santo Domingo il padre del giovane, anch'egli medico di professione. Il 1o maggio i genitori, sempre assistiti dal personale diplomatico in sede, hanno rivisto il corpo del figlio e hanno poi deciso di recarsi a Bavaro, dove Alessandro era stato ritrovato senza vita, per ritirarne gli effetti personali.
  Nel frattempo, su indicazione della Farnesina, l'ambasciata ha compiuto un passo formale presso il Ministero degli affari esteri dominicano, rappresentando la viva aspettativa del nostro Paese che le indagini fossero condotte in modo attento e rigoroso e che venissero al più presto chiarite le circostanze della morte del connazionale.
  Le autorità dominicane sono sempre state estremamente collaborative e hanno risposto in modo sollecito a tutte le nostre richieste. Al fine di seguire al meglio le attività in corso, la famiglia, su suggerimento dell'ambasciata, ha deciso di rivolgersi a un avvocato locale per ottenere i risultati dell'autopsia ed eventuali altri documenti utili. La sede, per parte sua, si è subito messa in contatto con il legale designato per concordare eventuali interventi a sostegno della sua azione.
  A seguito della segnalazione della notizia di ipotesi di reato trasmessa dall'ambasciata alla procura della Repubblica di Roma, la magistratura italiana ha deciso di aprire un procedimento penale anche in Italia. Il 17 novembre 2017, la Farnesina ha ricevuto dalla procura di Roma una prima richiesta di aggiornamenti sullo stato delle indagini nella Repubblica Dominicana e ogni altra utile informazione. In merito, il Ministero di giustizia ha da ultimo comunicato che il procedimento in Italia risulta in fase di indagini preliminari, al momento coperte da segreto investigativo.
  La Farnesina, d'intesa con l'ambasciata d'Italia a Santo Domingo, continua a seguire con attenzione la vicenda giudiziaria, in stretto contatto con le autorità locali e con la famiglia del connazionale.
  

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionale: Vincenzo Amendola.


   RAMPELLI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:

   mentre il nostro Paese piange ancora le vittime dei tragici eventi sismici del 26 agosto e 24 ottobre 2016, all'emergenza e al dramma umano si aggiunge la grande preoccupazione per le sorti del patrimonio artistico conservato nelle aree colpite dal terremoto, con la computa dei tesori crollati o completamente distrutti sparsi nelle regioni interessate;

   la chiesetta di San Salvatore a Campi Norcia, l'Abbazia di San'Eutizio, la basilica di San Benedetto e la cattedrale di Santa Maria Argentea, a Norcia; la Torre civica e la chiesa di Sant'Agostino, ad Amatrice; la chiesa di San Cassiano e l'abbazia di Piobbico, a Sarnano; il campanile di Santa Maria in Via e della Porta Malatesta a Camerino, sono solo alcune delle straordinarie architetture, inestimabile patrimonio culturale del nostro Paese, oggi ridotte in macerie;

   si tratta, purtroppo, di una stima solo parziale dei monumenti disastrati, perché si sta parlando di territori in cui si concentra un numero impressionante di architetture, di ogni età, la maggior parte delle quali prive di manutenzione, pressoché da sempre, fatta eccezione per pochi casi;

   a confermarlo è la denuncia di Renato Boccardo, vescovo che regge la Curia di Spoleto-Norcia, secondo cui «Se si fosse realizzato un puntellamelo, le chiese non sarebbero state danneggiate così gravemente. Credo che la responsabilità sia anche del governo: il decreto-legge post sisma prevede che i Beni culturali possano essere messi in sicurezza solo se minacciano l'incolumità pubblica: una follia»;

   l'identità di una popolazione affonda le sue radici anche e soprattutto nel patrimonio storico, artistico e culturale costruito nel corso dei secoli. Eppure, nonostante siano passati oltre cinque mesi, le chiese continuano a crollare e i beni, più volte segnalati dai cittadini, restano esposti alle intemperie con il rischio di perderli per sempre;

   il problema non è il lavoro che la Soprintendenza ha promesso che verrà fatto; il problema è quello che le istituzioni non hanno fatto preventivamente per evitare che un pezzo importante del patrimonio artistico e culturale italiano andasse in frantumi;

   anche in questa occasione si provvederà a raccogliere le opere salvate da chiese e luoghi della cultura vari e anche in quest'occasione il Ministro competente si affannerà a dichiarare che «tutte le opere danneggiate e recuperate saranno ricollocate esattamente dove si trovavano. Certe pratiche del passato non si ripeteranno più», ma anche in questa occasione si lavorerà sulle emergenze, peraltro in maniera del tutto inadeguata e insufficiente;

   a mancare non sono soltanto le risorse economiche necessarie, a fare difetto è la politica nazionale in tema di salvaguardia del patrimonio culturale, la capacità di contrastare, non certamente gli eventi sismici, ma i danni che esso può provocare, in una normale ottica di prevenzione;

   basti pensare che il primo decreto-legge n. 189 del 17 ottobre 2016 non prevedeva interventi a carattere di urgenza per la messa in sicurezza dei beni a rischio di crollo, ma solo provvedimenti dedicati al recupero dei beni ormai compromessi e allo stoccaggio presso i locali dell'unità operativa di depositi temporanei: per questo motivo molte strutture rimaste ancora in piedi seppur danneggiate, hanno finito con lo sbriciolarsi a seguito delle successive scosse –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, considerata la gravità degli stessi, quali urgenti iniziative intenda assumere per salvaguardare il patrimonio artistico-culturale dei territori colpiti dai tragici eventi sismici del 26 agosto e 24 ottobre 2016, prevedendo la messa in sicurezza di quei monumenti già stressati dalle scosse, ma ancora recuperabili e verificare eventuali responsabilità e negligenze delle strutture statali preposte alla tutela dei beni di valore storico, artistico e culturale;

   quale concreta politica di prevenzione intenda adottare il Governo per evitare che nel futuro, anche prossimo, si ripetano simili perdite e quale sia la stima, ad oggi, del danno al patrimonio storico, artistico e culturale del nostro Paese.
(4-15730)

  Risposta. — Si riscontra l'atto di sindacato ispettivo in esame, nel quale l'interrogante chiede al ministero una stima dei danni al patrimonio storico, artistico e culturale a seguito degli eventi sismici che, a partire dal 24 agosto 2016, hanno colpito Abruzzo, Marche, Lazio e Umbria, nonché gli intendimenti per prevenire che si ripetano tali perdite.
  Si risponde in base ai dati forniti dai competenti uffici del segretariato generale, aggiornati al luglio 2017.
  Premettendo che i fenomeni tellurici che hanno colpito le regioni del centro Italia nell'estate del 2016, hanno causato ingenti danni proprio al patrimonio artistico-culturale, sia mobile che immobile, che dalle ultime stime fornite dal segretariato generale, a luglio 2017, ammonterebbe a circa 5000 immobili, la gestione dell'emergenza, nonché il recupero e la messa in sicurezza delle aree colpite è stata messa in atto senza discontinuità immediatamente dopo il verificarsi delle scosse.
  Infatti, nonostante le non poche difficoltà, sia logistiche che strumentali, dovute anche al continuo susseguirsi dello sciame sismico, il personale tecnico del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo è stato subito attivato per svolgere i necessari sopralluoghi e rilievi sul campo a cui è seguito un lavoro in
back office, sia per quanto riguarda gli aspetti organizzativi e logistici, sia per la post-produzione delle schede «anagrafiche del bene», necessarie per la valutazione del danno e l'eventuale organizzazione di ulteriori sopralluoghi da svolgersi, successivamente, laddove non fossero risultate esaustive le informazioni già rilevate.
  In seguito alle verifiche per la valutazione del danno, durante le quali sono stati messi in atto più di 6100 sopralluoghi di primo e di secondo livello al 31 luglio 2017, è stato avviato il piano di ricostruzione e restauro del patrimonio culturale, così come regolato dalla direttiva del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo del 23 aprile 2015, relativa alle «Procedure per la gestione delle attività di messa in sicurezza e salvaguardia del patrimonio culturale, in caso di emergenze derivanti da calamità naturali», pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale n. 169 del 23 luglio 2015.
  Tale direttiva, emanata a seguito delle intese intercorse con il dipartimento della protezione civile, il dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile, la conferenza episcopale italiana, ha costruito un modello, organizzativo e gestionale, volto ad assicurare la protezione del patrimonio culturale in emergenza assicurando al contempo che, nell'azione di salvataggio dei beni suddetti, vengano garantite anche le misure di sicurezza necessarie minime per i tecnici del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo sui posti di lavoro.
  I tecnici del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, per fronteggiare l'emergenza, sono stati affiancati nelle attività anzidette da Vigili del fuoco, Forze dell'ordine, Protezione civile, attraverso la Direzione comando e controllo (Dicomac) ed infine dai volontari.
  In particolare, l'attività istituzionale del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo è stata svolta, fin dalla notte del 24 agosto 2016, all'interno della organizzazione della Protezione civile, a livello centrale, tramite l'attivazione dell'unità di crisi e coordinamento nazionale del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo (UCCN), della quale fanno parte l'istituto superiore per la conservazione e il restauro, l'istituto centrale per il catalogo e la documentazione, l'istituto centrale per il recupero e la conservazione del patrimonio archivistico e librario, il comando carabinieri per la tutela del patrimonio culturale, partecipando con il suo coordinatore, il prefetto Fabio Carapezza Guttuso, al comitato nazionale operativo della protezione civile e, a livello regionale, tramite, l'attivazione delle Uccr, le unità di crisi e coordinamento regionali, coordinate dai segretari regionali del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, già operativi dalle prime ore del mattino dello stesso 24 agosto, e si è focalizzata principalmente sulla valutazione degli interventi di messa in sicurezza dei beni architettonici, storico-artistici, archeologici, archivistici e librari attraverso la realizzazione delle opere provvisionali, prevedendo sia lo spostamento delle opere che, più in generale, la predisposizione degli interventi necessari per evitare, o limitare, ulteriori danni alle strutture, nonché aggravamenti di danno al patrimonio culturale in esse contenuto.
  Riguardo alla messa in sicurezza dei beni mobili, nella stragrande maggioranza dei casi, trattasi di beni conservati nelle chiese (inclusi arredi liturgici storici di grande preziosità, con una prevalenza di grandi pale di altare, alcune di valore storico-artistico notevole) questa ha assorbito moltissime risorse umane e materiali e ha reso necessario uno sforzo organizzativo straordinario, che ha portato, secondo l'ultima stima nel luglio 2017, al salvataggio di più di 17000 beni culturali mobili storico-artistici e archeologici, e 9743 volumi di beni librari e 4513 metri lineari di beni archivistici prevalentemente ricoverati presso l'Archivio di Stato di Rieti e di Spoleto.
  È necessario segnalare che i danni al patrimonio culturale mobile, complessivamente considerato, sono stati ingenti, soprattutto per quei beni recuperati al di sotto delle macerie, laddove possibile. Meno danneggiati, invece, sono stati i beni recuperati da edifici non crollati ma a rischio di crollo.
  Le operazioni sono state gestite a livello territoriale da ciascuna Uccr mediante l'azione coordinata delle due unità operative «messa in sicurezza dei beni storico-artistici, archeologici, audio-visivi, archivistici e librari» e «depositi temporanei e laboratorio di pronto intervento sui beni mobili».
  Tutte queste opere sono state prelevate con un'azione coordinata tra i tecnici del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, i Vigili del fuoco, i Carabinieri del comando tutela patrimonio, i volontari della Protezione civile. Le delicate operazioni di imballaggio e scarico sono state sempre presidiate da tecnici restauratori che hanno approntato le prime misure d'urgenza, a seconda dei codici attribuiti in base alla gravità del danno.
  Le singole unità operative, inoltre, hanno assicurato all'interno dei depositi, l'inventariazione dei beni.
  Ovviamente, la messa in sicurezza del patrimonio immobiliare, ha richiesto un impegno organizzativo assai più elevato e, comunque, contrariamente a quanto affermato dall'interrogante, avviato contemporaneamente alle altre attività.
  Occorre, però, precisare che la messa in sicurezza dei beni immobili richiede la preventiva valutazione dei danni, oltre che una sia pur rapida progettazione. E, infatti, la rilevazione dei danni ha assorbito notevolissime risorse umane e materiali. Nonostante la complessità degli interventi strutturali operati con tempistiche più lunghe rispetto a quelli mobili, la messa in sicurezza ha portato, in ogni caso, nell'estate del 2017, a più di 950 interventi.
  Tecnicamente, tutta l'attività di messa in sicurezza del patrimonio culturale immobile è stata finalizzata alla messa in opera di presidi che fornissero alle strutture danneggiate una risorsa aggiuntiva nei confronti di meccanismi di rottura, già attivati o in fase di attivazione.
  I competenti uffici del Ministero evidenziano, peraltro, che l'intervento di messa in sicurezza ha previsto prevalentemente la posa in opera di presidi temporanei idonei ad evitare ulteriori danni alle strutture già lesionate, per azioni prevalentemente statiche, offrendo risorse aggiuntive valide solo nei confronti di eventuali azioni sismiche di contenuta intensità, in quanto nessun intervento provvisionale può offrire risorse adeguate a resistere ad azioni sismiche severe come quelle che purtroppo si sono succedute nei medesimi luoghi.
  La vastità dei danni ha prodotto anche numerosissimi crolli nelle coperture delle chiese delle quattro regioni. Con l'approssimarsi della stagione invernale è stato, pertanto, approntato un piano straordinario di coperture provvisorie, volto a proteggere dalle intemperie le macerie al di sotto delle quali si aveva certezza che ci fossero beni culturali mobili.
  Il piano, partito il 4 novembre 2016 con un primo elenco di 81 edifici, è stato condiviso con il soggetto attuatore dei Vigili del fuoco e con il coordinamento dell'esercito, con la suddivisione degli interventi da eseguire sugli immobili tra le due squadre che hanno effettuato i sopralluoghi necessari. Non tutti gli interventi, però, sono stati possibili a causa della pericolosità delle diverse situazioni. Ciò nonostante, la stragrande maggioranza degli interventi è stata realizzata entro Natale 2016 con l'utilizzo di coperture di teli di plastica, opportunamente zavorrati con sacchi di inerti.
  Una simile copertura è stata realizzata anche nelle chiese più importanti, come S. Benedetto a Norcia, S. Agostino e San Francesco ad Amatrice, tutte le chiese di Visso, di Ussita, di Montegallo, di Montefortino.
  Ed ancora, i tecnici del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, oltre alla messa in sicurezza dei beni mobili ed immobili colpiti dal sisma, hanno lavorato intensamente, sempre nell'ambito del coordinamento della Protezione civile, per la rimozione delle macerie e la selezione delle parti aventi valore culturale, da recuperare o conservare per il futuro ripristino degli edifici soprattutto ad Amatrice, Accumoli e ad Arquata.
  Al riguardo, dopo il primo evento, avendo un quadro di crolli generalizzati in interi centri storici e frazioni (Amatrice, Accumoli, Arquata), è stato individuato un percorso operativo
ad hoc.
  Dunque, al fine di rendere più efficienti le operazioni di rimozione, nonché, più affidabili i successivi interventi di recupero in vista del riutilizzo della maggior quantità possibile di materiale afferente non solo agli edifici monumentali, ma, anche all'edilizia storica (quali materiali lapidei, sia dell'apparato murario che di stipiti e soglie di porte e finestre, cornici, mensole, camini, eventuali elementi decorativi, balconi, ceramiche, legno lavorato, metalli lavorati, coppi ecc.), affinché la futura ricostruzione possa prevedere, per quanto possibile, il ricollocamento di alcuni materiali ed elementi connotativi dei luoghi e delle diverse unità abitative, anche al fine di un riconoscimento identitario da parte della popolazione, la direzione generale del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo competente (Dg archeologia, belle arti e paesaggio), ha emanato il 12 settembre 2016 con la nota prot. 11087 una direttiva per le procedure di rimozione e recupero delle macerie di beni tutelati e di edilizia storica.
  In considerazione della rilevanza, anche esterna, e dell'importanza della direttiva, anche il soggetto attuatore degli interventi di messa in sicurezza dei beni culturali mobili e immobili (articolo 5 dell'ordinanza 39 del Capo del dipartimento della protezione civile del 13 settembre 2016) ha fatto proprio il suddetto documento e, sulla base di questo ha diramato con nota n. 106 del 7 novembre 2016 al dipartimento della protezione civile coordinamento Di.Coma.C, e alle Uccr le ulteriori disposizioni per il trattamento delle macerie.
  Le macerie sono state classificate in tre categorie:

   Macerie di tipo A, derivanti da crolli di beni culturali. Queste macerie sono «beni culturali», vengono prelevate e trattate a parte nei depositi che il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ha individuato o nei pressi dei luoghi di crollo per poter essere riutilizzate nella fase di ripristino dei monumenti. Contengono sia parte di elementi decorati (capitelli, rosoni etc.) sia pietre, squadrate o meno, sia parti di affresco che vengono prelevati e conservati nei depositi delle opere d'arte;

   Macerie di tipo B, derivanti da crolli di edilizia storica non vincolata ma di interesse culturale. Questi macerie vengono trattate a parte, depositate in aree riservate nei siti di stoccaggio delle macerie generiche, vengono selezionate (su nastri trasportatori e su spandimento) da personale Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo con l'aiuto dei volontari della protezione civile e da tali macerie si generano reperti di tipo A, conservati come sopra e rifiuti di tipo C come di seguito;

   Macerie di tipo C derivanti dai crolli di edilizia recente di nessun interesse culturale che vengono trattate come rifiuto e non richiedono interventi del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo.

  Tale catalogazione è stata operata con la finalità di rendere più efficienti le operazioni di rimozione, nonché più affidabili i successivi interventi di recupero, anche in vista del successivo ricollocamento dei materiali. La tipologia di macerie è molto diversificata (materiali lapidei, sia dell'apparato murario che di stipiti e soglie di porte e finestre, cornici, mensole, camini, eventuali elementi decorativi, balconi, ceramiche, legno lavorato, metalli lavorati, coppi, ecc.) ed il suo riutilizzo contribuisce fortemente alla restituzione della identità ai luoghi interessati dal sisma.
  Pertanto, considerata anche la portata e la gravità degli eventi sismici, la stessa direzione generale ha ritenuto necessaria una riflessione teorica e tecnica sulla metodologia per ricostruire il territorio danneggiato dal sisma.
  Così, con decreto del direttore generale del 30 novembre 2016 (numero di repertorio 651) è stata disposta la «Costituzione del gruppo di lavoro per la formulazione di linee di indirizzo metodologiche e tecniche per la ricostruzione del patrimonio culturale danneggiato dal sisma del 24 agosto 2016».
  Infine, il segretariato generale ha precisato che, attualmente, è in corso la seconda fase di recupero e messa in sicurezza delle opere d'arte, ovvero:

   Delle opere d'arte al di sotto delle macerie degli edifici a cui finora, per motivi di impraticabilità delle strade dei centri abitati, non è stato possibile accedere. Sono numeri importanti, in particolare nelle Marche, e riguardano sia opere d'arte e arredi liturgici che frammenti di affreschi, crollati insieme alla parete di supporto. Sono operazioni di notevolissimo impegno perché implicano una preliminare messa in sicurezza dell'edificio, i cui resti sono quasi sempre caratterizzati da monconi parietali o brandelli di copertura che impedisce l'accesso senza opere preliminari di protezione. Inoltre, la ristrettezza degli spazi interni alle chiese e anche esterni (si tratta di strette vie dei centri storici) rende ulteriormente complesso impiantare cantieri ove poter lavorare le macerie e recuperare i beni sepolti.

   Degli affreschi rimasti in situ, aderenti a pareti pericolanti e a rischio di crollo di edifici finora inaccessibili per le ragioni suddette. Il problema è, se possibile, ancora più complesso di quello di cui al punto precedente perché il consolidamento in situ presuppone il consolidamento della parete di supporto, che a sua volta è strettamente connesso con la restante struttura, in presenza di crolli più o meno ampi ed estesi a tutte le componenti dell'edificio (volte, absidi, facciate, pareti perimetrali). Per avere un'idea della massività di tali interventi si consideri che nelle Marche il numero di chiese su cui occorre intervenire è di 78, mentre nel Lazio sono state individuate 15 chiese, in Abruzzo 21 e in Umbria 125.

   Gli organi, tipologia estremamente delicata e difficile da trattare. Il recupero deve essere fatto da esperti, pena l'inservibilità del bene dopo il restauro. Un ulteriore elemento di problematicità è dato dal fatto che molti organi sono intimamente connessi con le controfacciate delle chiese, quasi sempre oggetto di danni gravi o gravissimi, se non di crolli parziali.

  Invece, con la supervisione degli Istituti centrali del ministero (ISCR) si intende avviare una campagna speditiva di pronti interventi (velinature, fermabordi, ecc.).
  Però, essendo tali immobili, al momento, tutti non accessibili per la presenza delle macerie o essendo a rischio crollo, si prevede una prima fase di messa in sicurezza di quegli affreschi le cui chiese risultano agibili o parzialmente agibili, quindi meno pericolose.
  Al fine, inoltre, di assicurare il buon andamento e la necessaria unitarietà della gestione degli interventi operativi di messa in sicurezza del patrimonio culturale, delle azioni di recupero e della ricostruzione dei beni nei territori colpiti dal sisma delle regioni Abruzzo, Marche, Lazio e Umbria, è stato costituito, con decreto del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo n. 483 del 24 ottobre 2016, recante «Riorganizzazione temporanea degli Uffici periferici del Ministero nelle aree colpite dall'evento sismico del 24 agosto 2016, ai sensi dell'art. 54, comma 2-
bis del D.Lgs. 30.07.1999, n. 300 e s.m.i.», l'ufficio del soprintendente speciale per le aree colpite dal sisma del 24 agosto 2016, con sede a Rieti. Esso costituisce un'articolazione della direzione generale archeologia belle arti e paesaggio, di livello non generale, e rappresenta l'interlocutore di riferimento per tutti i soggetti coinvolti nella fase di ricostruzione post-sisma, in modo particolare con la struttura del Commissario straordinario e con la direzione di comando e controllo per il coordinamento e la continuità delle azioni del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo.
  L'ufficio svolge altresì una funzione di raccordo fra le strutture centrali e territoriali del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo nel rispetto dell'assetto organico di quest'ultimo e delle competenze delle soprintendenze, presenti nelle aree interessate, del cui personale può avvalersi.
  Per accelerare la realizzazione degli interventi di tutela del patrimonio culturale, l'ufficio si avvale, oltre al personale del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo in assegnazione, di una apposita segreteria tecnica costituita, per la durata di cinque anni a far data dal 2017, presso il segretariato generale del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo.
  L'attività dell'ufficio in questi mesi ha consentito la programmazione degli interventi di recupero dei beni ecclesiastici di costo non superiore ai 300.000 euro, eseguibili direttamente dalle diocesi.
  Tale programmazione è stata approvata e finanziata dal commissario straordinario per la ricostruzione, Vasco Errani, attraverso due ordinanze:

   ordinanza n. 23 del 5 maggio 2017 per complessivi euro 14.358.500 per 69 interventi;

   ordinanza n. 32 del 21 giugno 2017 per complessivi euro 29.152.500 per 111 interventi.

  Il lavoro del soprintendente speciale ha inoltre prodotto la programmazione e l'avvio dell'attuazione del primo piano stralcio di interventi sui beni culturali, approvato nella cabina di regia per la ricostruzione del 10 agosto 2017. Il piano ha stanziato 170 milioni di euro per la messa in opera di 103 interventi, che includono i monumenti più significativi e anche i più danneggiati dal sisma.
  Di conseguenza, con specifico riferimento ai quesiti dell'interrogazione si evidenzia, che:

   1. Il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ha attivato tempestivamente il sistema a rete di gestione degli eventi emergenziali in ambito beni culturali previsto nella direttiva del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo del 23 aprile 2015, inserito nel più ampio coordinamento territoriale gestito dal dipartimento nazionale della Protezione civile e che costituisce ormai in tutti gli eventi emergenziali derivanti da calamità naturali, il riferimento unico per la gestione delle emergenze sia per enti ed istituzioni che per tutti gli operatori e privati.
   2. L'intervento di puntellamento delle strutture danneggiate rientra tra quelli di messa in sicurezza del patrimonio culturale immobile che deriva da una serie di ulteriori attività preliminari consistenti in: rilievo da parte di squadre composte da personale Vigili del fuoco-Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e strutturisti esperti; messa in sicurezza del patrimonio culturale mobile eventualmente presente all'interno degli immobili danneggiati; progettazione anche solo di livello preliminare dell'intervento; verifica della fattibilità dell'intervento, sia in riferimento alle effettive condizioni di accesso e di accostabilità all'immobile e sia in termini di analisi delle condizioni di sicurezza minimi per gli operatori (Vigili del fuoco o personale di ditte); acquisto delle attrezzature, dei mezzi e dei materiali necessari all'attuazione dell'intervento di presidio.
   Le operazioni di puntellamento sono, quindi, attuabili con una tempistica non proprio immediata e sono comunque subordinate alle condizioni di ogni singolo luogo ed in particolare alle condizioni di sicurezza effettivamente presenti sia nell'immobile che nelle adiacenze dello stesso, che determinano quindi la tempistica di attuazione. Molti degli interventi evidenziati come necessari dalle squadre di rilievo del danno sono stati pianificati nell'ambito di un programma di interventi molto più esteso che teneva conto delle priorità che emergevano dall'analisi delle centinaia di criticità evidenziate negli oltre 5000 rilievi. La programmazione degli interventi è stata, peraltro, più volte adeguata e aggiornata in relazione al susseguirsi degli eventi sismici che, succedendosi con continuità sconcertante, hanno modificato lo scenario emergenziale, estendendolo e ampliandone la magnitudo del danno e quindi le priorità di intervento.
   La presenza, inoltre, di uno sciame sismico continuo e di scosse severe e ravvicinate ha imposto valutazioni di sicurezza degli operatori che hanno condizionato fortemente la cantierizzazione stessa degli interventi prevedendo una verifica delle condizioni di sicurezza e di accessibilità ai luoghi molto complessa. A tale proposito, si ricorda che nel crollo della basilica superiore di Assisi a seguito del terremoto del 1997, due tecnici della nostra soprintendenza persero la vita proprio per una scossa del nono grado della scala Mercalli impossibile da prevedere. Un prezzo altissimo che va scongiurato con tutti i mezzi a nostra disposizione.
   3. Relativamente alle politiche di prevenzione si evidenziano, di seguito, le principali iniziative poste in essere da questo Ministero, nell'ambito delle specifiche competenze.

  Per fornire i necessari indirizzi a tutti gli operatori del settore, con la direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri 12 ottobre 2007 recante: «Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri per la valutazione e riduzione del rischio sismico del patrimonio culturale con riferimento alle Norme tecniche per le costruzioni» il tema è stato affrontato nell'ambito di un gruppo di lavoro tecnico cui ha partecipato il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, definendo compiutamente il percorso metodologico per la definizione progettuale di interventi compatibili con la tutela del patrimonio culturale.
  Con la successiva direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri 9 febbraio 2011 recante: «Valutazione e riduzione del rischio sismico del patrimonio culturale con riferimento alle Norme tecniche per le costruzioni di cui al decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti del 14 gennaio 2008», il precedente documento è stato aggiornato per il necessario allineamento all'aggiornamento delle norme tecniche delle costruzioni (NTC/08), nel frattempo intervenuto.
  Al fine, poi, di sensibilizzare le amministrazioni pubbliche, i tecnici e i possessori o detentori di beni, sull'importanza della prevenzione nel campo della sicurezza strutturale del patrimonio culturale, e sulla necessità degli interventi di miglioramento sismico, il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo con la circolare del segretariato generale n. 15, ha voluto rimarcare la stretta connessione fra la sicurezza strutturale degli edifici vincolati e la funzione di tutela esercitata nell'ambito dei procedimenti di autorizzazione o rilascio di pareri, ponendo particolare accento sugli interventi di manutenzione straordinaria (secondo il decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001), che prevedono lavorazioni edili ed interventi che possono modificare il comportamento strutturale locale o globale degli edifici.
  Ed ancora, è stata effettuata la verifica di vulnerabilità sismica dei principali musei statali presenti nelle zone a maggiore sismicità, da cui si sono estrapolate le principali criticità strutturali connesse alle diverse tipologie architettoniche specifiche di tali destinazioni d'uso, che costituiranno elemento fondamentale nell'aggiornamento dei disposti legislativi e di indirizzo per i futuri interventi sul patrimonio culturale.
  Infine, seppure non richiesto nell'atto ispettivo cui si risponde, per completezza si ritiene opportuno informare anche sulle iniziative più recenti attivate dall'amministrazione per le zone colpite dagli eventi sismici iniziati il 24 agosto 2016.
  Il Ministero sta procedendo alla mappatura dei beni danneggiati per il tramite di un sistema informatizzato denominato SECUR ART, già strutturato con i dati anagrafici e di insediamento dei beni culturali di competenza del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e con uno specifico modulo dedicato agli «eventi emergenziali» nel quale stanno confluendo tutte le schede, georeferenziate, dei rilievi speditivi e dei rilievi di secondo livello del danno dei beni culturali immobili; tale attività consentirà la localizzazione dei beni danneggiati e fornirà la stima dei danni e l'analisi delle diverse tipologie di danno rilevate.
  Il piano di interventi relativo ai beni culturali di cui all'articolo 14 (Ricostruzione pubblica), comma 2, lettera
b), del decreto-legge 17 ottobre 2016, n. 189, rubricato «Interventi urgenti in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici del 2016», sarà elaborato, di concerto con l'ufficio del soprintendente speciale per le aree colpite dal sisma del 24 agosto 2016, dal commissario di Governo che ne prevedrà il finanziamento sulla base delle risorse disponibili, una volta terminata la fase di inserimento e verifica delle schede del danno nella citata banca dati; tale operazione, infatti, consentirà di avere la stima dei danni e quindi la quantificazione delle risorse economiche necessarie.
  Si evidenzia, inoltre, che il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ha aperto sin dai primi di novembre 2016 una raccolta fondi destinata agli interventi di restauro per i danni provocati dal sisma del centro Italia del 2016 tramite il portale denominato
Art bonus (l'istituto normativa che, come noto, prevede un credito d'imposta per le erogazioni liberali in denaro a sostegno del patrimonio culturale). Il portale offre un riferimento istituzionale per le erogazioni liberali, evitando che l'interesse si limiti ai monumenti più rappresentativi e quindi noti.
  Peraltro, il decreto legislativo n. 189 del 2016 ha esteso l’
Art bonus alle donazioni a favore del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo per interventi di manutenzione, protezione e restauro anche di beni culturali di interesse religioso (di enti e Istituzioni della Chiesa cattolica o di altre professioni) presenti nei comuni interessati dagli eventi sismici. La raccolta fondi è stata rivolta ai beni di elevato valore culturale individuati dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e a quelli ritenuti prioritari dagli enti religiosi, anche per le esigenze di culto. Le erogazioni liberali ricevute verranno quindi utilizzate per i suddetti interventi secondo le priorità indicate dagli uffici competenti e gli utilizzi verranno rendicontati così come previsto dalla norma.
  Quanto sopra esposto, evidenzia la complessità della situazione determinatasi a partire dagli eventi sismici del 24 agosto 2016 e dell'impegno posto in essere in questi mesi, da parte di questa amministrazione nelle sue varie articolazioni, in collaborazione con Vigili del fuoco e Protezione civile, per la messa in sicurezza e l'inizio del recupero dell'importante patrimonio culturale dei territori in questione.
  Ciò nella consapevolezza della rilevanza di tali beni culturali sia in termini assoluti che per la specifica identità dei luoghi interessati e della necessità di operare con la massima accuratezza e perizia tecnica per interventi di tale delicatezza.
  

La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismo: Ilaria Carla Anna Borletti dell'Acqua.


   REALACCI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   secondo la circolare del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 1o luglio 2016 n. 0010045, che risponde alla nota della direzione generale per l'ambiente dell'Unione europea del 9 dicembre 2015 n. 5705403, si prevede che un rifiuto cessa di essere tale (end of waste) quando è stato sottoposto ad un'operazione di recupero e soddisfa criteri specifici da adottare nell'ambito delle seguenti condizioni (articolo 184-ter del decreto legislativo 152 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni:

   a) la sostanza o l'oggetto è comunemente utilizzato per scopi specifici;

   b) esiste un mercato o una domanda per tale sostanza od oggetto;

   c) la sostanza o l'oggetto soddisfa i requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispetta la normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti;

   d) l'utilizzo della sostanza o dell'oggetto non porterà a impatti complessivi negativi sull'ambiente o sulla salute umana;

   queste condizioni generali necessitano di ulteriori specificazioni che sono rimandate a criteri comunitari. In mancanza di questi è possibile per gli Stati membri decidere per tipologie omogenee di rifiuti quando un determinato rifiuto cessi di essere tale. I criteri includono, se necessario, valori limite per le sostanze inquinanti e tengono conto di tutti i possibili effetti negativi sull'ambiente della sostanza o dell'oggetto;

   criteri così generali non sono però sufficienti alla complessa filiera del riciclo, sempre in costante sviluppo. In particolare, essi sono inefficaci nel definire un quadro normativo certo per alcune attività importantissime nell'ambito dell'economia circolare. In tal senso, è emblematico il caso di Fater spa che, accanto ad un'esperienza di eccellenza mondiale nel recupero di pannolini commerciali, grazie alla collaborazione con Contarina, non riesce a ottenere dalla regione Veneto la possibilità di aggiornamento dell'impianto di riciclo per quello che appare all'interrogante un «rimpallo» burocratico tra regione Veneto e Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;

   nonostante l'importanza strategica del progetto sia stata manifestata alla regione Veneto dalla stessa Commissione europea ad oggi la risposta della regione è stata di esprimersi attraverso un atto amministrativo che, mentre autorizza l’upgrade impiantistico di cui sopra e rappresenta l'opportunità di qualificare la plastica come non rifiuto purché certificata UNI 10667, dichiara anche che la regione non ha la potestà per emanare criteri specifici per l’end of waste (necessari per cellulosa e superassorbente), reclamando la troppa genericità della citata circolare ministeriale e ritenendola non sufficientemente chiara –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della questione, se ritenga fondate le critiche mosse dalla regione Veneto, e se non ritenga opportuno, anche per evitare svantaggi competitivi ad attività ad alto contenuto tecnologico e innovativo che permettono all'Italia di essere all'avanguardia sul fronte del recupero dei materiali assumere iniziative per definire un elenco di criteri « end of waste» più puntuale anche conformemente alla normativa comunitaria.
(4-14758)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisti, si rappresenta quanto segue.
  Per quanto riguarda la problematica relativa al recupero dei pannolini, si precisa che, a valle di un tavolo tecnico costituito da Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, ISPRA, ISS e FATER s.p.a., è stata predisposta una bozza di regolamento per la determinazione dei criteri
end of waste relativi a tale tipologia di rifiuti, dal cui trattamento post-consumo si ricavano cellulosa, miscela di plastiche e polimero superassorbente da utilizzare al posto del materiale vergine per tutta una serie di utilizzi.
  La bozza è stata predisposta sulla base dei pareri forniti da ISPRA e da ISS e presenta criteri molto vincolanti e stringenti affinché i materiali ottenuti cessino la qualifica di rifiuto.
  Infatti, sotto il profilo della prevenzione di rischi per l'ambiente e la salute umana, ed in considerazione della peculiare specificità del materiale in esame, ovvero la notevole variabilità di potenziali contaminanti biologici e chimici, inclusi metaboliti di farmaci citotossici, e la possibile persistenza di alcuni anche dopo il trattamento, l'approccio è stato di tipo precauzionale e basato su tre criteri fondamentali: il rigore nella destinazione d'uso del materiale prodotto che escluda rischi per la salute, la necessità di effettuare controlli analitici per ciascun lotto di produzione e l'utilizzo di analisi con frequenze temporali finalizzate ad individuare una potenziale variabilità stagionale del contenuto di farmaci all'interno dei materiali in oggetto, in considerazione della relativa variabilità stagionale di utilizzo.
  Per tale motivo, i rifiuti da PAP post-consumo, prima di essere trattati, dovranno essere sottoposti a un ciclo di sterilizzazione analogo a quello utilizzato per la sterilizzazione degli strumenti chirurgici a garanzia della completa sanificazione dei materiali, su cui, post-trattamento, andranno condotte analisi chimico-fisiche e microbiologiche.
  Relativamente agli utilizzi, non è consentito l'utilizzo dei materiali
end of waste provenienti da PAP nel settore alimentare e/o packaging per il settore alimentare, nel settore medico nonché nel settore manifatturiero per la produzione di giocattoli e di prodotti per la puericultura.
  Per quanto riguarda gli ulteriori flussi di rifiuti, si comunica che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha redatto due decreti relativi al pressato d'asfalto e polverina da pneumatici fuori uso (PFU) che attualmente sono stati notificati all'Unione europea.
  Sono infine allo studio i flussi costituiti da rifiuti da costruzione e demolizione, da vetroresina, da imbarcazione, da pastello di piombo.
  Alla luce delle informazioni esposte, si rassicura comunque che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, monitora costantemente l'impatto regolatorio della normativa di settore, senza ridurre in alcun modo il livello di attenzione sulla questione.
  

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   REALACCI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   i refrigeranti sono prodotti della chimica fondamentali per la distribuzione e conservazione del cibo e la sua salubrità, per il benessere delle persone, per la produzione industriale;

   si tratta degli Hfc (idrofluorocarburi) introdotti dal protocollo di Montréal (1987): pur non essendo ozono-lesivi come i precedenti Cfc, producono un potente effetto serra; per questo se ne prevede la rapida sostituzione con gas naturali o miscele a minor effetto climalterante;

   secondo uno studio di Legambiente e Cueim del 2014, a fronte di una diminuzione negli ultimi venti anni del 15 per cento delle emissioni totali di gas serra, le emissioni di gas fluorurati sono invece aumentate del 60 per cento, e per gli Hfc sono passate da 28 milioni di tonnellate nel 1990 alle attuali 84 (più 200 per cento). Nel nostro Paese l'aumento delle emissioni è stato del 466 per cento rispetto al 1990. Grazie all'emendamento di Kigali (2016) del Protocollo di Montréal, le Parti si sono impegnate a ridurre la produzione e il consumo di Hfc di oltre l'80 per cento nei prossimi 30 anni, consentendo così il contenimento della temperatura globale di circa mezzo grado;

   i nuovi obblighi avrebbero già dovuto essere rispettati dall'Italia attraverso l'attuazione del regolamento (UE) 517/14 (cosiddetto regolamento F-gas), ma, a quattro anni dall'emanazione del regolamento si è ancora in attesa di un nuovo decreto del Presidente della Repubblica attuativo;

   tale ritardo crea notevoli criticità, tra le quali:

    per l'ambiente, la situazione di vacatio legis non permette di rispettare le nuove regole dettate dal regolamento (UE) 517/14;

    per le centomila imprese di installazione e manutenzione, si rileva che esse, gestendo i refrigeranti Hfc presenti sul campo, si trovano in completa assenza di regole certe e della nuova definizione delle competenze;

    per le imprese produttrici del settore nel sistema confindustriale e non, leader mondiale tecnologico e di mercato, si registra una normativa in cambiamento costante, che comporta una costante pressione sui costi industriali e gestionali in un ambito estremamente competitivo a livello globale;

    con la collaborazione delle associazioni di categoria e ambientaliste è stato messo a punto dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare uno schema di decreto, pronto per l'approvazione del Consiglio dei ministri e la successiva emanazione da parte del Presidente della Repubblica;

    tale schema di decreto contiene nuove disposizioni per l'anagrafica delle emissioni per rendicontare il processo di recupero, riciclo, rigenerazione e dismissione delle sostanze in questione, con beneficio dell'ambiente;

    nella dichiarazione finale del G7 Ambiente di giugno 2017 a Bologna il Ministro ha sottoscritto l'importante passaggio della dichiarazione comune che, al punto 24, cita espressamente il phase-down degli Hfc come significativo contributo all'emendamento di Kigali;

    è stata già aperta dalla Commissione europea una procedura Eu Pilot (9154/2017) di pre-infrazione, alla quale il Ministero ha risposto inoltrando la bozza di decreto –:

    se non intenda assumere le iniziative di competenza per l'approvazione del decreto del Presidente della Repubblica attuativo del regolamento (UE) 517/14, così come per la messa a punto degli interventi normativi volti alla disciplina delle violazioni;

   poiché si rileva che i refrigeranti sono uno dei pochi rifiuti speciali e pericolosi non ancora dotati di una gestione dei costi ambientali di trattamento e smaltimento, se non intenda assumere iniziative al fine di attivare un tavolo tecnico e di lavoro che coinvolga le associazioni affinché si correggano immediatamente le storture dei costi particolarmente elevati per la filiera per il trattamento e lo smaltimento, per addivenire quanto prima alla definizione di un sistema consortile che consenta la piena applicazione della tracciabilità di filiera e del principio «chi inquina paga».
(4-18393)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dalle competenti direzioni generali del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  Nel 1985, la comunità internazionale, rispondendo alle preoccupazioni della comunità scientifica, ha siglato la «Convenzione di Vienna per la protezione della fascia dell'ozono». L'obiettivo principale del trattato è di proteggere la salute umana e l'ambiente dagli effetti dannosi che derivano o possono derivare dalle attività umane che modificano lo strato di ozono. In attuazione della convenzione di Vienna, nel 1987 è stato firmato il protocollo di Montreal che disciplina le modalità per la riduzione della produzione e del consumo delle sostanze pericolose per la fascia di ozono stratosferico al fine della loro completa eliminazione.
  Le sostanze ozono lesive disciplinate dal protocollo di Montreal sono: clorofluorocarburi (CFC), halon, tetracloruro di carbonio (CTC), tricloroetano (TCA), bromuro di metile (MB), idrobromofluorocarburi (HBFC), idroclorofluorocarburi (HCFC) e bromoclorometano (BCM).
  Le sostanze ozono lesive sono state impiegate per gli usi più disparati. In particolare, nel corso degli anni ’80, i Cfc sono stati utilizzati nel settore della refrigerazione (frigoriferi, congelatori, condizionatori d'aria sia negli edifici che negli autoveicoli, e altro), in quello delle schiume poliuretaniche come agenti espandenti (pannelli isolanti, schiume spray, imbottiture di sedili per auto, e altro), come propellenti per qualsiasi prodotto spray (bombolette, inalatori per asmatici, e altro) e come agenti pulenti o solventi (soprattutto nell'elettronica di alta precisione, nel settore aeronautico, spaziale, informatico, e altro). Tali sostanze sono state poi successivamente rimpiazzate, in quasi tutti gli usi esistenti, dagli Hcfc. Gli Hcfc sono delle molecole con proprietà simili, e quindi buoni sostituti dei Cfc, ma con un più basso potenziale di distruzione dell'ozono (
ozone depletion potential o Odp). Tuttavia non sono totalmente innocue per l'ozono ed è per questo che anche gli Hcfc sono stati inseriti in un programma di riduzione graduale di utilizzo che conduca alla sospensione della loro produzione entro la fine del 2019.
  Sin dagli inizi, degli anni ’90, in sostituzione degli Hcfc, sono stati introdotti gli idrofluorocarburi (Hcfc) che non contribuiscono alla riduzione dello strato di ozono stratosferico e al tempo stesso presentano buone proprietà di non infiammabilità e di tossicità molto bassa.
  Gli Hcfc, pur non avendo alcun impatto sullo strato di ozono, presentano tuttavia un elevato potenziale di riscaldamento globale (
global warming potential o GWP) ovvero la capacità di assorbire la radiazione termica irradiata dalla superficie terrestre intrappolando il calore tra la superficie stessa e la troposfera. Il risultato di questo meccanismo è un generale e diffuso surriscaldamento della Terra, il cosiddetto «effetto serra». Il Protocollo di Kyoto, sottoscritto nel dicembre 1997 da più di 160 Paesi ed entrato in vigore il 16 febbraio 2005 dopo la ratifica anche da parte della Russia, ha riconosciuto le capacità di riscaldamento globale dei gas fluorurati (F-gas) e li ha inclusi nell'elenco dei gas serra al fine di controllarne le emissioni in atmosfera.
  Al fine di prevenire e minimizzare le emissioni di F-gas e adempiere agli obblighi derivanti dal protocollo di Kyoto, il 17 maggio 2006 il Parlamento europeo e il Consiglio hanno adottato il regolamento (CE) n. 842 del 2006 su taluni gas fluorurati ad effetto serra.
  Tale regolamento è stato poi abrogato il 20 maggio 2014 con la pubblicazione del regolamento (UE) n. 517 del 2014 del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 aprile 2014 sui gas fluorurati a effetto serra. Rispetto al regolamento (CE) n. 842 del 2006, il Regolamento (UE) n. 517 del 2014, mantiene l'obiettivo di protezione dell'ambiente rafforzando e introducendo specifiche disposizioni volte alla riduzione delle emissioni dei gas fluorurati a effetto serra (F-gas). In particolare, le seguenti disposizioni vengono estese a nuovi soggetti e apparecchiature e prodotti:

   controllo delle perdite di F-gas (articoli 4 e 5);

   obblighi di recupero di F-gas (articolo 8);

   obblighi di certificazione delle persone e delle imprese (articolo 10);

   controllo dell'uso di F-gas (articolo 13).

  Inoltre, il Regolamento introduce:

   ulteriori restrizioni relative all'immissione in commercio di determinati prodotti e apparecchiature (articolo 11 e allegato III);

   specifiche disposizioni in materia di apparecchiature precaricate con HFC (articolo 14);

   riduzione della quantità di Hfc immessa in commercio (meccanismo di assegnazione di quote di Hfc – phase-down) (articoli 15, 16, 17 e 18).

  Durante la XXVIII riunione delle parti del protocollo di Montreal, tenutasi a Kigali (Ruanda) dal 10 al 15 ottobre 2016, le parti hanno approvato con decisione XXVIII/1 l'emendamento al testo del protocollo relativo alla riduzione di quegli idrofluorocarburi (Hfc) elencati in uno specifico allegato all'emendamento. L'adozione di tale emendamento nasce dalla necessità di affrontare il tema dell'impatto sul clima derivante dall'introduzione degli Hfc come principali sostituti degli Hfc, soprattutto nei settori della refrigerazione e del condizionamento d'aria. Gli Hfc infatti, non hanno un impatto sullo strato di ozono stratosferico, ma alcuni di loro hanno un elevato potenziale di riscaldamento globale (GWP) e, quindi, un forte impatto sul clima.
  L'emendamento adottato divide i paesi in tre gruppi in funzione della data rispetto alla quale devono congelare la produzione e il consumo di Hfc. Gli impegni di riduzione partiranno nel 2019 per i paesi sviluppati (paesi A2), con delle deroghe per Bielorussia, Federazione Russa, Kazakistan, Tagikistan e Uzbekistan; gran parte dei paesi in via di sviluppo, tra i quali Cina, Brasile e Sud Africa (paesi A5 gruppo 1) , dovranno congelare (e dunque impedire che aumenti) il consumo e la produzione nel 2024; una terza fascia di paesi, tra i quali l'India e i paesi del Golfo (paesi A5 gruppo 2), dovrà congelare il consumo e la produzione di Hfc nel 2028. Alla fine delle varie fasi di riduzione, tutti i paesi sono tenuti a consumare e produrre non più del 15-20 per cento rispetto alle loro rispettive quote base al 2036 per paesi sviluppati, al 2045 per i paesi in via di sviluppo gruppo 1 e al 2047 per paesi in via di sviluppo del gruppo 2.
  La normativa nazionale attualmente vigente in materia di gas fluorurati è costituita dal decreto del Presidente della Repubblica 27 gennaio 2012, n. 43 recante attuazione del regolamento (CE) n. 842 del 2006 e il decreto legislativo 5 marzo 2013, n. 26 che disciplina il regime sanzionatorio per la violazione delle disposizioni di cui al regolamento (CE) n. 842 del 2006 su taluni gas fluorurati ad effetto serra.
  Al fine di dare attuazione alle nuove disposizioni introdotte dal regolamento (UE) n. 517 del 2014 ed in particolare dall'articolo 10, paragrafo 10 del regolamento (UE) n. 517 del 2014, si è reso necessario predisporre uno schema di decreto che modifica e supera, abrogandole, le attuali disposizioni in materia di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 43 del 2012.
  Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha avviato l’
iter di adozione del decreto di recepimento della normativa in materia di gas fluorurati ad effetto serra. Tale decreto è ora all'esame del dipartimento per gli affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio dei ministri.
  Lo schema di decreto è stato predisposto dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare previa consultazione con i principali enti/amministrazioni e le associazioni di settore e ambientaliste.
  Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha inoltre già da tempo avviato un dialogo con le associazioni di settore al fine di affrontare il tema della gestione «ottimale» dei gas fluorurati ad effetto serra. In particolare sono stati svolti diversi incontri con i produttori, gli importatori e gli esportatori di tali sostanze nonché con le associazioni di settore (produttori/costruttori di apparecchiature, manutentori...) e le associazioni ambientaliste per vagliare le diverse proposte per la gestione del gas durante il ciclo di vita delle apparecchiature coinvolte.
  In merito allo smaltimento dei gas refrigeranti si segnala altresì che il 22 giugno scorso il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha sottoscritto, ai sensi dell'articolo 206 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, un accordo di programma con la società Hudson Technologies Europe s.r.l. per la corretta gestione dei gas refrigeranti ed estinguenti.
  L'accordo di programma si prefigge di aumentare nel nostro paese il livello di raccolta e recupero dei gas refrigeranti ed estinguenti divenuti rifiuti. A tale scopo l'accordo propone l'attivazione di una filiera di raccolta e rigenerazione dei gas refrigeranti ed estinguenti, che si rivolgerà soprattutto ai piccoli manutentori di impianti dai quali oggi deriva la maggior parte dei rifiuti prodotti. Mediante il suddetto accordo di programma si è stabilito un chiaro ed uniforme sistema di adempimenti che permetteranno di raggiungere il maggior vantaggio ambientale garantendo e mantenendo la massima tutela della normativa ambientale e di settore.
  È evidente che, nel rispetto del principio della concorrenza, tale accordo potrà essere replicato in seguito ad eventuali istanze di altri soggetti interessati a porre in essere sistemi di raccolta e rigenerazione analoghi.
  Quanto riferito testimonia che le problematiche rappresentate dall'interrogante sono tenute in debita considerazione da parte di questo Ministero, il quale ha provveduto, e provvederà per il futuro, alle attività e valutazioni di competenza in materia con il massimo grado di attenzione, e a svolgere un'attività di monitoraggio ed impulso.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   RICCIATTI, FRANCO BORDO, PIRAS, QUARANTA, SCOTTO, DURANTI, PANNARALE, SANNICANDRO, NICCHI, MELILLA, KRONBICHLER e FRATOIANNI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   il nuovo orario estivo di Trenitalia presenta la soppressione della fermata del freccia rossa nella città di Pesaro in favore del prolungamento della stessa linea fino a Lecce;

   il treno freccia rossa 9593-9594 da Milano per Ancona prolunga la sua corsa fino in Puglia ma non fermerà più da domenica prossima alla fermata di Pesaro come nelle precedenti stagioni estive (2013-2015);

   la risposta ufficiale di Trenitalia riguardo al taglio è incentrata sul fatto che la fermata di Pesaro è considerata non remunerativa e rallenta il viaggio del treno;

   il sindaco di Pesaro Matteo Ricci ha recentemente dichiarato che il turismo ha avuto un significativo incremento nell'anno 2015 pari a circa il 15 per cento in più di presenze;

   la fermata di Pesaro serviva un'utenza proveniente da Milano oltre ai turisti e il percorso previsto attualmente con il treno freccia bianca allunga il viaggio di un'ora, mentre passando da Rimini si impiegheranno altri 40 minuti e da Ancona addirittura un'ora e mezza –:

   se non ritenga di attivarsi, per quanto di competenza, affinché Trenitalia riconsideri la programmazione estiva delle fermate reintroducendo la fermata di Pesaro del frecciarossa;

   se non sia strategica per il turismo dell'area di Pesaro la permanenza della fermata del treno frecciarossa anche per la stagione estiva 2016;

   quali iniziative si intendano intraprendere per favorire trasporti più rapidi ed efficaci in vista della stagione estiva in arrivo e in considerazione della determinante importanza del settore turistico della zona di Pesaro.
(4-13482)

  Risposta. — Va premesso che le questioni sollevate fanno riferimento a servizi, collegamenti alta velocità (AV), gestiti in piena autonomia commerciale dall'impresa ferroviaria Trenitalia che ne determina le regole e le modalità di attuazione. Infatti, i servizi ferroviari «Frecce» («Frecciarossa», «Frecciargento» e «Frecciabianca») sono effettuati in regime di mercato e, non essendo oggetto di alcun corrispettivo pubblico, si sostengono esclusivamente con i ricavi da traffico; la programmazione di tali servizi si basa, pertanto, su valutazioni di carattere commerciale, finalizzate a garantirne la sostenibilità economica.
  Ad ogni modo, al fine di fornire una risposta sulle problematiche segnalate dall'interrogante, sono stati chiesti chiarimenti al Gruppo Ferrovie dello stato italiane (FSI) che ha riferito quanto segue.
  Per la coppia di «Frecciarossa» Milano-Bari e viceversa, attivata nel settembre 2015, non è stata prevista, sin dalla sua: istituzione, la fermata di Pesato. Infatti, questi treni sono destinati a collegare con un servizio veloce soprattutto i bacini di estremità e, in considerazione della lunghezza del percorso, per poter risultare vantaggiosi per la clientela devono contenere al massimo i tempi di percorrenza anche attraverso un numero ridotto di fermate, limitate alle stazioni sulle quali convergono flussi di traffico rilevanti.
  Peraltro Ferrovie dello Stato fa osservare che la stazione di Pesaro, per quanto concerne i treni di media-lunga percorrenza, è attualmente servita da un'adeguata offerta giornaliera, costituita da 12 coppie di «Frecciabianca» (da/per Milano, Torino e Venezia) e, in particolare, da una coppia di «Frecciarossa» in servizio sulla relazione Pescara-Milano e viceversa.
  A questi si aggiungono gli intercity, intercity notte del servizio universale.
  

Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti: Riccardo Nencini.


   RICCIATTI, ZARATTI, KRONBICHLER, FRANCO BORDO, FOLINO, NICCHI, MURER, FOSSATI, SCOTTO, PIRAS e QUARANTA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   Api raffineria di Ancona spa è una azienda petrolifera attiva nel territorio di Falconara Marittima (Ancona), comune con sito di interesse nazionale e completamente interno all'area ad alto rischio di crisi ambientale;

   nel 2015 la società petrolifera ha presentato un «Progetto di parziale adeguamento del ciclo desolforazione distillati medi per la produzione di combustibili marini a basso tenore di zolfo», sottoposto a verifica di assoggettabilità alla valutazione di impatto ambientale, da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;

   la raffineria Api è classificata come industria insalubre di prima categoria; nonostante ciò il Ministero, con il parere n. 1946 del 18 dicembre 2015 della commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale VIA e VAS e con la determina n. DVADEC-2015-485 del 23 dicembre 2015 della direzione generale per le valutazioni e le autorizzazioni ambientali ha ritenuto, nelle proprie valutazioni, di escludere dalla valutazione di impatto ambientale il citato progetto di nuovo impianto;

   nello studio preliminare ambientale che fa parte del progetto da sottoporre a verifica di assoggettabilità alta valutazione di impatto ambientale, al capitolo «qualità dell'aria nell'area di inserimento – rete di monitoraggio» la stessa società API raffineria evidenziava come «la percentuale minima di funzionamento richiesta dal decreto legislativo n. 155 del 2010 per poter elaborare i parametri statistici su base annuale e confrontarli con i limiti di legge, non risulta raggiunta in molti casi per inquinanti considerati» e che «le elaborazioni statistiche effettuate sono, pertanto, parzialmente rappresentative ai fini della verifica del rispetto degli SQA»;

   l'irregolare situazione rilevata dall'azienda API è stata sottolineata anche nelle osservazioni che i cittadini dell'Ondaverde Onlus inviarono al Ministero;

   la commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale VIA e VAS e la direzione generale per le valutazioni e le autorizzazioni ambientali del Ministero, a quanto consta agli interroganti, non espressero alcuna esigenza di accertamento né prescrizione riguardo a quella insufficiente conoscenza della qualità dell'aria a Falconara e, di fatto, fu assunta la conclusione dello studio preliminare ambientale di API raffineria secondo cui «i dati forniscono in ogni caso un quadro indicativo della situazione della qualità dell'aria relativamente agli inquinanti esaminati»;

   le tabelle del funzionamento degli analizzatori delle 3 centraline di Falconara Marittima della rete di rilevamento della qualità dell'aria sottoposte alla valutazione del Ministero dal progetto di API raffineria mostrano inequivocabilmente che la percentuale minima di funzionamento richiesta dal decreto legislativo n. 155 del 2010 non è stata raggiunta per molti parametri nel periodo dal 2009 al 2014;

   per la tipologia di attività della raffineria Api e in ragione della sua contiguità al centro abitato un «quadro indicativo della situazione della qualità dell'aria» non pare un parametro assolutamente sufficiente né accettabile;

   alla luce delle considerazioni riportate dovrebbero essere svolte analisi approfondite degli inquinanti che ricadono sulla città prima di autorizzare un nuovo impianto, al fine di salvaguardare l'interesse primario della salute dei cittadini –:

   se, in considerazione di un quadro di informazioni assolutamente parziale ed insufficiente, non si intendano assumere le iniziative di competenza per:

    a) verificare la correttezza della valutazione della commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale VIA e VAS riguardo alla sufficienza dei dati necessari alla stima delle ricadute degli inquinanti su Falconara;

    b) promuovere una indagine specifica sulle emissioni che ricadono su Falconara Marittima e sull'efficienza delle loro misurazioni volta a consentire agli organismi pubblici di controllo di operare valutazioni supportate da basi di dati rispettose dei parametri previsti dal decreto legislativo n. 155 del 2010;

    c) sospendere la valutazione di qualsiasi progetto industriale che presupponga la valutazione della qualità dell'aria dell'area di Falconara Marittima fintanto che non venga ristabilito il corretto funzionamento della rete di rilevamento della qualità dell'aria a Falconara Marittima.
(4-17279)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  Il procedimento di verifica di assoggettabilità alla procedura di valutazione di impatto ambientale per il progetto «Raffineria di Falconara Marittima – Parziale adeguamento del ciclo desolforazione distillati medi per la produzione di combustibili marini a basso tenore di zolfo», avviato in data 16 aprile 2015, si è concluso con il provvedimento direttoriale DVA-DEC-2015-000485, del 23 dicembre 2015, di esclusione dalla procedura di Via per il progetto di cui trattasi, subordinatamente al rispetto di prescrizioni.
  Con particolare riferimento agli aspetti relativi alla qualità dell'aria, si fa presente che gli stessi sono stati tenuti in opportuna ed approfondita considerazione nella redazione del parere della commissione tecnica per la verifica dell'impatto ambientale – Via e Vas n. 1946 del 18 dicembre 2015, di esito positivo all'esclusione dalla procedura di Via con prescrizioni per il progetto di adeguamento del ciclo di desolforazione distillati medi per la produzione di combustibili marini a basso tenore di zolfo della raffineria di Falconara Marittima.
  Inoltre, le osservazioni presentate dal pubblico nel corso del procedimento sono state puntualmente controdedotte dalla commissione tecnica – Via Vas e sono riportate nel parere sopra citato.
  Si segnala, infine, che il testo di detto decreto, insieme con il parere n. 1946, di esito positivo all'esclusione dalla procedura di Via con prescrizioni, reso dalla commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale – Via e Vas in data 18 dicembre 2015, è pubblicato sul portale delle valutazioni ambientali di questo Ministero all'indirizzo: http://www.va.minambiente.it/it-IT/Oggetti/Info/1535.
  Allo stesso indirizzo è altresì disponibile tutta la documentazione progettuale presentata, i pareri degli enti pubblici e le osservazioni dei soggetti privati pervenute nel corso dell'iter istruttorio.
  Si rappresenta, infine, che, secondo quanto disposto dal decreto legislativo n. 155 del 2010 e successive modificazioni e integrazioni, le autorità competenti in tema di valutazione e gestione della qualità dell'aria sono le regioni.
  Al riguardo, si segnala che l'approvazione della legge 28 giugno 2016, n. 132 istituisce un sistema nazionale a rete per la protezione dell'ambiente, finalizzato ad armonizzare da un punto di vista qualitativo e quantitativo le attività delle agenzie regionali di protezione ambientale sul territorio, nonché a realizzare un sistema integrato di controlli coordinati dall'istituto per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra).
  Attraverso un sistema nazionale a rete, in cui un ruolo strategico è attribuito ad Ispra, e con i cosiddetti «Lepta», ovvero i livelli essenziali delle prestazioni ambientali cui dovranno adeguarsi le agenzie, si attua un vero e proprio ripensamento dell'attuale sistema, fino ad oggi scandito da una diversità di approcci da regione a regione e da una grande frammentarietà che indeboliva di fatto la protezione dell'ambiente.
  Altre importanti novità introdotte dal provvedimento sono il sistema informativo nazionale ambientale e la rete dei laboratori accreditati: si rafforzano dunque in maniera evidente la trasparenza e la qualità scientifica dei controlli.
  Quanto riferito testimonia che le problematiche rappresentate dagli interroganti sono tenute in debita considerazione da parte di questo Ministero, il quale ha provveduto, e provvederà per il futuro, alle attività e valutazioni di competenza in materia con il massimo grado di attenzione e trasparenza, continuando a tenersi informato e a svolgere un'attività di monitoraggio, anche al fine di valutare un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   RIZZO, BASILIO, CORDA, FRUSONE e TOFALO. — Al Ministro della difesa, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   i delegati della rappresentanza militare, fin dal 1978, nello svolgimento del loro mandato vengono tutelati da apposite normative e regolamenti interni;

   l'articolo 1480 del codice dell'ordinamento militare, con riferimento al trasferimento del delegato, prevede che il trasferimento «ad altre sedi di militari di carriera eletti negli organi di rappresentanza, se pregiudicano l'esercizio del mandato, devono essere concordati con l'Organo di Rappresentanza a cui il militare, del quale si chiede il trasferimento, appartiene»;

   l'articolo del 883, comma 5, del regolamento testo unico delle disposizioni in materia di ordinamento militare, inoltre, con riguardo a tali trasferimenti aggiunge che «in caso di discordanza, prevalgono le motivate necessità di impiego dell'Amministrazione militare purché il delegato da trasferire possa essere sostituito nell'organo di rappresentanza»;

   con la delibera 1/2017 del Consiglio di base di rappresentanza n. 12 della direzione marittima di Ravenna, con la delibera 200/2017 del Consiglio intermedio di rappresentanza del Comando generale del corpo della Capitaneria di porto (massimo organismo nazionale della Guardia Costiera) e con la delibera 197/2017 del Consiglio centrale di rappresentanza dei militari dello Stato maggiore della marina si è denunciato il trasferimento di un delegato del Co.Ba.R. della direzione marittima di Ravenna, categoria marescialli, nonostante il parere contrario dei competenti organi della rappresentanza militare;

   i trasferimenti del personale della Guardia costiera non sono disposti dalla direzione del personale per la Marina, ma dal Comando generale delle capitanerie di porto;

   il trasferimento di un delegato della rappresentanza militare, senza le giuste motivazioni e senza neanche informare e coinvolgere, nei modi previsti dalla legge, gli altri membri della rappresentanza militare, potrebbe creare un grave precedente che lederebbe il funzionamento democratico dell'ordinamento, nonché configurarsi come forma di condizionamento del mandato (articolo 1479 del codice dell'ordinamento militare) dei delegati;

   nel caso in questione, non essendovi personale disponibile per la sostituzione del delegato trasferito, si dovrà procedere anche a votazioni straordinarie con un oggettivo costo, tenuto conto del carattere regionale dei consigli di base delle Capitanerie –:

   quali siano le motivazioni che hanno indotto il comando militare competente a dare seguito al trasferimento del militare indicato nelle delibere prodotte dalla rappresentanza militare di cui in premessa e se siano stati formalmente informati sia l'interessato che la stessa rappresentanza ai vari livelli e quali siano i requisiti, esclusivamente in possesso dal suddetto militare che ne hanno determinato il trasferimento in questione;

   quali spese abbia dovuto sostenere l'amministrazione della difesa per dare seguito al trasferimento del maresciallo e quali quelle per trasferire chi lo sostituirà;

   a quanto ammontino le spese per provvedere, per i pochi mesi rimanenti alla conclusione dell'attuale mandato della rappresentanza militare, ad elezioni straordinarie per l'elezione di un nuovo delegato;

   quali siano i profili di competenza del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti in merito al caso indicato in premessa e come intenda garantire al personale della Guardia costiera equo trattamento dei propri delegati in seno alle altre forze armate;

   se sia stato rispettato pienamente quanto disposto dal codice dell'ordinamento militare in materia e se non si intendano assumere iniziative volte a perseguire eventuali profili di responsabilità nei confronti di chi ha autorizzato il trasferimento del delegato;

   quanti trasferimenti, col diniego della rappresentanza militare anche delle capitanerie di porto, siano stati autorizzati negli ultimi dieci anni.
(4-17848)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, cui si risponde per delega della Presidenza del Consiglio dei ministri, è stato interessato il comando generale del Corpo delle capitanerie di porto, che ha comunicato quanto segue.
  Ai fini di un corretto inquadramento delle argomentazioni addotte dagli interroganti, è opportuno riepilogare i dati salienti della vicenda personale sottesa alla delibera iniziale Co.Ba.R. n. 12 della direzione marittima di Ravenna, cui hanno fatto seguito le successive deliberazioni del Co.I.R./CP e del Co.Ce.R./Marina.
  Nel dettaglio, il trasferimento
de quo ha interessato il Capo 1ºCI. NP, al tempo in servizio presso l'ufficio circondariale marittimo di Cesenatico il quale, nel corso della propria carriera, ha prestato servizio nelle sottoelencate sedi:

   Capitaneria di porto di Ravenna (dal 22 novembre 1995 al 16 dicembre 1996);

   Capitaneria di porto di Ancona (dal 17 dicembre 1996 al 31 ottobre 1998);

   Capitaneria di porto di Rimini (dal 1° novembre 1998 al 5 ottobre 1999);

   Ufficio locale marittimo di Cervia (dal 27 febbraio 2000 al 25 settembre 2005);

   Ufficio circondariale marittimo di Cesenatico (dal 26 settembre 2005 al 10 settembre 2017, data di esecuzione del censurato movimento).

  Il comando generale sottolinea che tutte le destinazioni di servizio del sottufficiale in questione ricadono nella medesima area geografica.
  In particolare, dal 24 maggio 2012 al 10 settembre 2017, il predetto militare ha svolto il mandato di delegato (cat. B) CO.Ba.R. presso la direzione marittima di Ravenna, nonché di delegato CO.Ba.R (cat. C) dal 28 marzo 2001 al 28 marzo 2004 e di delegato Co.I.R/CP dal 10 aprile 2003 al 10 aprile 2005.
  Il sottufficiale in questione sul piano della formazione dall'11 settembre 2016 al 18 novembre 2016 ha frequentato il corso di aggiornamento professionale per «Normali e Complementari» marescialli, classificandosi 10° su 40 frequentatori.
  Al termine di tale corso il sottufficiale in parola è stato oggetto della procedura di «reimpiego», prevista dal para E.2 della circolare PERS. 01 (edizione 2015) del Comando generale, posta a tutela delle prioritarie esigenze di servizio del corpo.
  Al fine di attuare una procedura trasparente ed oggettiva, il reimpiego del personale è avvenuto attraverso le seguenti fasi:

   individuazione da parte dell'Amministrazione delle sedi esigenti, sulla base della programmazione ordinaria degli avvicendamenti;

   comunicazione a tutti gli interessati delle citate sedi, con richiesta di compilazione di lista di sedi in ordine di gradimento per l'impiego d'autorità o di inoltro di istanze di trasferimento per l'impiego in accoglimento domanda per una delle sedi esigenti.

  Sul punto, il comando precisa che il personale è Stato informato che l'inoltro di istanze di trasferimento, in funzione del conseguente vantaggio economico per l'Amministrazione, sarebbe stato preso in esame quale elemento di priorità rispetto alla mera manifestazione di un ordine di gradimento.
  I trasferimenti «in accoglimento domanda» – ovvero su richiesta dell'interessato – sono infatti privilegiati dall'Amministrazione, in quanto senza oneri rispetto ai trasferimenti disposti d'ufficio, che determinano invece un costo pari al versamento delle indennità previste dalla legge n. 86 del 2001.

   Comparazione del personale sulla base della graduatoria di fine corso, del profilo professionale, di eventuali specialità, abilitazioni o brevetti posseduti, della permanenza in (o fuori) regione di provenienza/aspirazione, della situazione anagrafica e familiare e di ogni ulteriore elemento utile ai fini del migliore impiego;

   approvazione del piano d'impiego ed assegnazione del personale alle sedi esigenti, con conseguente emanazione dei discendenti ordini di trasferimento.

  Alla luce del riferito quadro d'insieme, il citato sottufficiale ha inoltrato al comando generale, sia una istanza di trasferimento «a domanda» per la sede di Gabicce a Mare sia una lista delle sedi utili per l'impiego d'autorità, come detto in ordine di preferenza.
  Tra queste ultime, le prime 14 «desiderata» – tutte fuori dalla regione Emilia-Romagna, e perciò fuori dalla giurisdizione territoriale della direzione marittima di Ravenna CO.Ba.R. 12 – sono uffici minori, cioè ufficio locale marittimo o delegazioni di spiaggia. Presso tali sedi, ove effettivamente destinato, questi avrebbe potuto svolgere esclusivamente le funzioni di titolare.
  A tal proposito, il suddetto comando riferisce di aver tenuto conto dell'aspirazione del citato Militare a ricoprire un incarico di comando.
  Per completezza di informazione, il comando soggiunge che il sottufficiale in parola in data 18 maggio 2016, dunque prima di avere conoscenza dell'elenco delle sedi esigenti predisposto dal comando, aveva inoltrato istanza di trasferimento per Cervia, Bellaria, Rimini e Riccione. Ebbene nessuna delle predette destinazione è presente nell'elenco delle sedi esigenti comunicate ai frequentatori del corso con apposita nota. Per contro, la sede «esigente» di Ravenna, che non avrebbe soddisfatto le «aspirazioni» di comando del citato sottufficiale ma avrebbe potuto consentirgli di proseguire nell'attività di rappresentanza, è stata indicata dall'interessato al 15° posto delle preferenze, seppure per essa non è stata formalizzata alcuna richiesta di «trasferimento a domanda».
  In conclusione, ad esito della narrata procedura, con messaggio n. 81164 datato 30 giugno 2017 il comando generale del Corpo delle capitanerie di porto ha disposto l'impiego del militare presso la delegazione di spiaggia di Bibione per assumerne la titolarità dal 17 settembre 2017.
  Detta sede è stata indicata dal sottufficiale al nono posto della comunicata lista di aspirazioni, mentre le precedenti otto sedi gradite al medesimo (classificatosi 10° su 40 corsisti) sono state assegnate tenuto conto della priorità attribuita alle «domande di trasferimento» rispetto ai movimenti d'ufficio.
  Ed, infatti, sono state assegnate come segue:

   Gabicce a Mare: sede assegnata a domanda (al 5° classificatosi su 40);

   Marotta: sede assegnata a domanda (al 20° su 40);

   Numana: sede assegnata a domanda (all'8° su 40);

   Monte Silvano: sede assegnata a domanda (al 4° su 40);

   Tremiti; sede assegnata a domanda (al 23° su 40);

   Ponza: sede assegnata a domanda (a sottufficiale facente parte del corso di aggiornamento professionale 2015);

   Ventotene: sede assegnata d'autorità (al 9° su 40);

   Formia: sede assegnata d'autorità (al 1° su 40).

  Pertanto da quanto esposto se ne deduce che la procedura di assegnazione è stata trasparente e rispettosa delle disposizioni fissate dalla PERS. 01.
  Infatti, non è stato possibile assegnare al militare delegato la sede di Gabicce a Mare, stante l'istanza di trasferimento avanzata, perché assegnata ad altro militare collocatosi 5° nella graduatoria finale del corso il quale, peraltro, ne aveva fatte pure oggetto di domanda.
  Al predetto militare delegato Co.Ba.R, dunque, è stata attribuita la prima sede desiderata funzionale allo scopo.
  
Rebus sic stantibus, il comando generale fa sapere di avere acquisito e valutato l'avviso del Co.Ba.R. n. 12 circa il trasferimento di cui trattasi.
  In merito, detto comando chiarisce che il trasferimento è stato disposto in applicazione dell'articolo 883, comma 5, ultimo periodo, del decreto del Presidente della Repubblica n. 90 del 2010 recante
Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare (T.U.O.M), il quale dispone che: «In caso di discordanza, prevalgono le motivate necessità d'impiego dell'Amministrazione militare purché il delegato da trasferire possa essere sostituito nell'organo di rappresentanza secondo le norme stabilite ai commi 8 e 9».
  Come preliminarmente illustrato, la delibera Co.Ce.R./M. trae spunto dalla delibera Co.I.R. n. 200 datata 1° settembre 2017 nella quale, come già sopra indicato, si adduce, genericamente, che il trasferimento di un sottufficiale è fortemente limitativo del mandato di rappresentanza ricevuto in sede di elezioni in relazione all'importanza della carica elettiva ricoperta (...).
  L'utilizzo di simili locuzioni secondo il Comando generale del corpo delle Capitanerie di porto assurgono ormai a vere e proprie clausole di stile ricorrenti ogni qual volta viene espresso un parere sul trasferimento di un delegato. In cosa si sostanzi poi detta «forte limitazione» non è debitamente specificato dall'organismo di rappresentanza, che per l'appunto si limita ad invocare una attenta limitazione delle funzioni rappresentative esercitate.
  Del pari descrittiva risulta la correlata richiesta del Co.Ce.R/M., che si limita a contestare una generica mancanza di «motivazione».
  A ben vedere, invece, l'azione coordinata dell'organo intermedio e dell'organo centrale parrebbe affermare, erroneamente, non solo l'obbligatorietà della consultazione, ma persino la vincolatività del parere reso, in palese violazione del disposto dell'articolo 883 del T.U.O.M. che prevede che in caso discordanza «prevalgono le motivate necessità d'impiego dell'amministrazione militare, purché il delegato da trasferire possa essere sostituito nell'organo di rappresentanza».
  L'intervento dell'organo di rappresentanza, in questo frangente, serve a rappresentare e documentare, mediante adeguata motivazione, l'eventuale pregiudizio derivante all'esercizio del mandato.
  Al riguardo, il Comando precisa che, ai sensi dell'articolo 878, comma 2, Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare «la natura specifica delle materie che rientrano per legge nelle competenze degli organi di rappresentanza è richiamata negli articoli che seguono. Sono comunque escluse le materie concernenti l'ordinamento, l'addestramento, le operazioni, il settore logistico-operativo, il rapporto gerarchico-funzionale e l'impiego del personale». Il consapevole ed attento uso della risorsa umana, infatti, costituisce il principale strumento attraverso il quale garantire il raggiungimento dei pubblici interessi determinati dal legislatore.
  A motivo di ciò le norme sull'ordinamento militare prevedono che la competenza all'impiego del personale versi in capo alle autorità militari, anche quando si deve operare un bilanciamento tra interessi primari, quale ad esempio la tutela della rappresentanza.
  D'altra parte, anche qualora il militare fosse stato trasferito «a domanda» presso la sede di Gabicce a Mare avrebbe dovuto cessare dal mandato, dal momento che tale ufficio locale marittimo rientra nella giurisdizione territoriale della direzione marittima di Ancona (Co.Ba.R. n. 1).
  Infine, il comando sottolinea che la categoria «B», cui appartiene il sottufficiale, rimane rappresentata, in seno al Co.Ba.R. n. 12. da altro militare di pari grado.
  Al delegato trasferito, è inoltre subentrato dal 26 settembre 2017, per il periodo residuo, uno dei militari che, nelle votazioni a suo tempo effettuate, seguiva in graduatoria.
  A tal proposito, è possibile che si sia determinato un equivoco, in quanto il Co.Ba.R. n. 12 afferma che «ad oggi è stata verificata l'impossibilità di provvedere all'eventuale sostituzione in quanto già in precedenza altro personale non eletto ha manifestato la propria rinuncia a subentrare ad altro sottufficiale dimissionario» e che «per altre categorie vi è già una mancanza di delegati che rende difficoltosa l'attività del consiglio di rappresentanza».
  Orbene, tale circostanza non corrisponde agli elementi di informazione in possesso del comando generale, cui risulta invece che:

   il delegato in argomento, come già evidenziato, è stato sostituito da altro sottufficiale in servizio presso la Capitaneria di porto di Rimini, così come previsto dall'articolo 883, comma 8, del Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare;

   l'organo di rappresentanza di base permane funzionante indipendentemente dalla sostituzione del militare trasferito, ai sensi dell'articolo 883, comma 9, del Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare, «le elezioni straordinarie per la sostituzione dei delegati dei COBAR hanno luogo solo se le categorie dei militari cessati anticipatamente dal mandato non sono rappresentate da almeno un delegato».

  È perciò plausibile che detto equivoco abbia determinato negli organi di rappresentanza superiori l'erronea convinzione che il citato trasferimento stesse pregiudicando la normale azione di rappresentanza a livello di base e che tale circostanza non fosse stata correttamente valutata dal Comando generale del corpo delle capitanerie di porto.
  Concludendo, detto Comando riferisce che di recente, il Capo di Stato maggiore della Marina militare ha risposto alla delibera del Co.Ce.R./M. n. 197/X1 del 5 settembre 2017, evidenziando come le motivazioni addotte non trovano riscontro nel quadro normativo vigente.
  Il delegato militare è stato infatti trasferito, come previsto dalla PERS. 01, al termine del corso di aggiornamento professionale e destinato ad una sede di servizio in cui riveste un incarico di titolare (comandante) sulla base delle aspirazioni manifestate dallo stesso.
  Di tale trasferimento il Comando informa che ha dato comunicazione formale all'organo di rappresentanza, ai sensi dell'articolo 1480 del codice di ordinamento militare e dell'articolo 883 Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare, e che anche il militare è stato formalmente reso edotto del trasferimento nei termini di legge.
  Inoltre, il Comando ha comunicato che la spesa per il trasferimento del militare in questione ammonta ad un totale di euro 12.689,00 lordi (indennità distribuita su due anni). A questa cifra deve, nel caso di richiesta da parte del militare interessato, aggiungersi una spesa media di euro 4.000,00 per spese di trasporto mobili e masserizie ed una spesa media di euro 2.500,00 lordi per indennità di «prima sistemazione». Ad oggi il sottufficiale in parola non ha avanzato istanza di tale natura.
  La posizione nella sede di Cesenatico, resa vacante dal citato trasferimento, è stata altresì ripianata con altro sottufficiale già in servizio presso quella stessa sede e, pertanto, senza oneri a carico dell'amministrazione militare.
  Infine, in merito ai trasferimenti nell'ultimo decennio, il comando generale del Corpo delle Capitanerie di porto fa sapere che i trasferimenti d'autorità a seguito di diniego espresso dell'organo di rappresentanza militare sono stati n. 2 per gli ufficiali e n. 4 tra marescialli, sergenti e graduati, compreso quello in esame.
  

Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti: Riccardo Nencini.


   RIZZO, BASILIO, CORDA, FRUSONE e TOFALO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:

   la Rappresentanza militare della Marina militare ed, in particolare, quella della Guardia costiera, da anni pone l'attenzione sulla salute dei militari operanti nella sede sita all'interno del porto industriale di Taranto;

   il Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza della capitaneria di porto di Taranto, in una approfondita relazione indirizzata al comandante e alle altre autorità competenti sia il 26 aprile 2017 che il 28 marzo 2016, ha evidenziato il forte rischio per la salute e il disagio del personale che lavora vive e consuma i pasti a pochi metri dallo scarico di minerali ed emissioni di agenti inquinanti;

   anche il Co.I.R. CP ha deliberato il documento 197/XI del 28 giugno 2017 con cui si esprimeva forte preoccupazione per la tutela della salute dei lavoratori della capitaneria di porto di Taranto;

   le denunce del responsabile del servizio di prevenzione e protezione riferiscono che il cosiddetto «polverino», che si accumula sulle scrivanie, davanzali tastiere del P.C e altro, nonché nei locali della mensa lì situata, «continua ad essere una presenza costante, con le sue colorazioni nere e rosse, di carbone minerale, carbon coke e minerale di ferro, sono con ogni evidenza, le polveri proveniente dal secondo e Quarto sporgente Ilva, distante in linea d'aria poche centinaia di metri»;

   durante l'audizione del Co.Ce.R. del 26 luglio 2017 in merito al disegno di legge «Modifiche al decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, e altre disposizioni concernenti la sicurezza sul lavoro e la tutela assicurativa contro gli infortuni e le malattie professionali del personale delle Forze armate» il delegato della Marina in servizio presso la Guardia costiera di Taranto evidenziava lo stato di disagio vissuto dal personale che svolge servizio nel porto industriale, dove respirano contemporaneamente piombo, carbone, minerale, pbc, diossine, pm 10 e altro e mangiano in un ambito insalubre;

   da anni studi ufficiali come quello dello «studio sentieri» dell'Istituto superiore di sanità effettuato sul sito di interesse nazionale di Taranto attestano gli eccessi di mortalità legati all'aumento di particolato di origine industriale;

   nella stessa sede portuale ci sono gli alloggi del personale per famiglie dei lavoratori della capitaneria di Taranto, nonché quelli assegnati ai frequentatori dei corsi di formazione presso il Maricentadd nei pressi di Maridirselez –:

   se il Governo non intenda verificare la piena applicazione delle normative afferenti alla sicurezza nei luoghi di lavoro presso la capitaneria di porto di Taranto;

   se il Governo intenda accogliere le richieste provenienti dai rappresentanti dei lavoratori della capitaneria di porto di Taranto, con particolare riferimento alla sospensione dell'utilizzo della mensa e degli alloggi, con utilizzo di altre strutture da loro indicate distanti dalle fonti inquinanti;

   quali interventi di monitoraggio ambientale siano stati presi in considerazione per verificare lo stato di inquinamento delle zone di servizio del personale della capitaneria di porto di Taranto;

   in quali altre aree militari di competenza della capitaneria di porto dislocate sul territorio nazionale si siano verificate richieste di intervento per ragionevoli rischi derivanti da precarie condizioni di lavoro dal punto di vista ambientale.
(4-18158)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, per quanto di competenza di questo Ministero e sulla base delle informazione pervenute dal comando generale del corpo delle capitanerie di porto, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  Si premette che la capitaneria di porto di Taranto, nell'ambito e nei limiti delle proprie attribuzioni, ha attuato negli anni una serie di azioni volte a mitigare i rischi per la salute e l'incolumità del proprio personale.
  In particolare, in merito alle condizioni igienico-sanitarie dei locali cucina e mensa, si è provveduto ad elevare lo
standard di pulizia e di igiene ambientale (dal precedente livello «Basso» all'attuale «Medio») a tutti gli immobili in uso alla locale capitaneria di porto, sulla scorta delle indicazioni ricevute dalla commissione di valutazione di verifica dell'impresa alimentare del comando marittimo sud – Marina militare.
  Inoltre, nel rispetto delle osservazioni annotate a verbale del sopralluogo effettuato dal personale medico competente durante la riunione periodica riferita al decorso 2016:

   sono state sostituite le porte perimetrali dei locali cucina e mensa atte a contrastare la penetrazione di polverino di minerale;

   è stato adottato, dal mese di agosto 2017 il piano di autocontrollo elaborato con il metodo H.A.C.C.P. da una società accreditata alla verifica dell'idoneità degli alimenti e degli ambienti di lavoro, in ottemperanza alla normativa vigente.

  Va altresì specificato che il suddetto piano prevede la pianificazione di prove di tipo chimico e/o batteriologico secondo un programma di analisi prestabilito.
  Di recente è stata anche convocata la commissione di verifica della qualità e salubrità della mensa, prevista ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 31 luglio 1995, n. 394, con esito positivo.
  Riguardo poi agli uffici ubicati presso lo stabile sito in area portuale, è stata avviata la sostituzione degli infissi esterni, attualmente in profili di alluminio riconducibili agli anni ’70 ed ’80, mediante apposita richiesta di interventi di manutenzione straordinaria al competente manutentore unico nell'ambito dell'applicativo piano triennale interventi di manutenzione 2018-2020 (P.T.I.M.) dell'agenzia del demanio.
  In proposito, vale la pena di rammentare che, dall'agosto del 2001, è attiva sul tetto di tale porzione di immobile una postazione dell'agenzia regionale per la protezione dell'ambiente (ARPA) Puglia facente parte di una rete di monitoraggio delle deposizioni delle polveri sedimentabili dell'area tarantina.
  Oltre al citato monitoraggio, nel mese di marzo 2016, un'aliquota del personale militare selezionato in base ai criteri indicati dal personale medico in servizio presso il locale ospedale militare, ha partecipato al progetto di ricerca «Ambiente e salute del personale della Difesa» relativo alla valutazione dell'esposizione ambientale di idrocarburi policiclici aromatici (IPA) operante a varia distanza dall'area industriale di Taranto, organizzato dall'ispettorato di sanità in collaborazione con l'università degli studi di Bari – facoltà di medicina, che ha coinvolto tutti i comandi militari di Taranto (inclusa la capitaneria di porto) e di Brindisi.
  L'esito delle indagini condotte con l'esame di laboratorio è previsto che sia comunicato in forma riservata direttamente al militare interessato.
  Ciò nondimeno, l'autorità marittima ha avanzato richiesta affinché il coordinatore sanitario di area valuti la possibilità di condividere le risultanze del progetto in forma anonima, consentendo l'utilizzo dei dati emersi in chiave costruttiva di eventuali correttivi a tutela della salute del personale.
  Al riguardo, il coordinatore sanitario ha comunicato che il progetto è ancora in corso e che non appena saranno completati tutti i campionamenti presso i comandi e gli enti interessati, i responsabili dello studio procederanno alla loro analisi e contestualizzazione.
  Per completezza, corre l'obbligo di precisare che già da anni è stata incrementata la pulizia dei piazzali antistanti la caserma D'Onofrio e che gli uffici della locale capitaneria di porto siti in ambito portuale sono stati dotati di climatizzatori a pompa di calore, in modo da consentire al personale che vi presta servizio di mantenere chiuse le finestre durante l'orario lavorativo, limitando al massimo l'esposizione ad eventuali agenti inquinanti.
  In sede di ultimo sopralluogo effettuato, il medico competente ha dichiarato che la problematica delle polveri riveste carattere generale ed investe l'intero contesto urbano, dando corpo ad un danno di natura ambientale riconosciuto a livello nazionale che esorbita dalla portata della competenza/responsabilità del datore di lavoro.
  In conclusione, il Corpo delle capitanerie di porto — guardia costiera assicura che permane vigile l'attenzione, sia a livello centrale sia in ambito territoriale, riguardo la tutela della salute del proprio personale.
  

Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti: Riccardo Nencini.


   ROMANINI, BARUFFI, PATRIZIA MAESTRI, SENALDI, GNECCHI, MALISANI, MONTRONI, CAPONE, AMATO, VENITTELLI, TERROSI, ROCCHI, COMINELLI, PINNA, MORETTO, PRINA e COVA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:

   l'articolo 35 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, «codice dei beni culturali e del paesaggio», ha riconosciuto al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo la facoltà di concorrere alla spesa sostenuta dal proprietario, possessore o detentore di un bene culturale per l'esecuzione di interventi conservativi o di restauro per un ammontare non superiore alla metà della stessa. Se gli interventi sono di particolare rilevanza o riguardano beni in uso o godimento pubblico, il Ministero può concorrere alla spesa fino al suo intero ammontare;

   la finalità della norma è quella di sostenere in special modo i proprietari di immobili di particolare pregio culturale e per tale ragione assoggettati a normative specifiche la cui applicazione, garanzia di tutela del patrimonio artistico e storico-testimoniale del nostro Paese, si rivela spesso particolarmente onerosa, benché la conservazione di questi beni sia di evidente interesse pubblico;

   il decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, ha disposto (all'articolo 1, comma 26-ter) che «a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto e fino al 31 dicembre 2015 è sospesa la concessione dei contributi di cui agli articoli 35 e 37 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e successive modificazioni»;

   la legge 24 dicembre 2012, n. 228, «legge di stabilità 2013» (all'articolo 1, comma 77) ha modificato la norma sopraccitata prorogando la sospensione della concessione dei contributi fino al pagamento dei contributi già concessi alla data di entrata in vigore del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 e non ancora erogati ai beneficiari;

   la modifica introdotta con la legge di stabilità 2013 ha consentito al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo di riprendere l'erogazione dei contributi ex articolo 35 del decreto legislativo n. 42 del 2004 anche se la consistente mole di arretrato non ha consentito al Ministero di prendere in considerazione ulteriori istanze e nemmeno, ad oggi, di liquidare tutte quelle perfezionate nel 2012;

   con decreto ministeriale n. 95 del 27 febbraio 2017 il Ministero ha disposto l'approvazione del programma degli interventi finanziati ai sensi del codice dei beni culturali e del paesaggio, per un importo complessivo di 10.167.301 euro. La gran parte degli stanziamenti riguarda, tuttavia, lavori collaudati nel corso del biennio 2008-2009 evidenziando, quindi, un estremo ritardo tra l'esecuzione degli interventi e l'erogazione del contributo;

   a mero titolo esemplificativo si cita il caso delle province di Parma e Piacenza per le quali lo stock di contributi ancora da erogare sfiora i 3 milioni di euro, con grave pregiudizio per un'attività essenziale a supporto della conservazione dei beni culturali che, se svolta per tempo, assolverebbe anche alla funzione di volano per le economie locali –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione sopradescritta e se non intenda farsi promotore di uno stanziamento straordinario che consenta di evadere le richieste di contributo ex articoli 31, 35 e 36 del decreto legislativo n. 42 del 2004 giacenti, riattivando al contempo le procedure per la presentazione, da parte del possessore o del detentore, della richiesta di compartecipazione economica alle spese di restauro o conservazione del bene culturale di cui è custode.
(4-17281)

  Risposta. — Si riscontra l'atto di sindacato ispettivo in esame, nel quale l'interrogante chiede notizie riguardo alle iniziative che il Ministero intende assumere per accelerare le procedure di erogazione delle somme spettanti ai soggetti ammessi ai benefici contributivi di cui agli articoli 31, 35 e 36 del Codice dei beni culturali.
  Come ricordato nella stessa interrogazione, il decreto-legge n. 95 del 2012 (convertito in legge dall'articolo 1, comma 1, legge 7 agosto 2012, n. 135, e successive modificazioni ha previsto la sospensione dei contributi di cui trattasi a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del suddetto decreto e fino al pagamento dei contributi già concessi alla medesima data e non ancora erogati ai beneficiari.
  Pertanto, a partire dal 15 agosto 2012, non è stato più possibile rilasciare «dichiarazioni di ammissibilità» ai contributi di cui sopra da parte degli uffici competenti, neanche in relazione ad istanze pervenute in data antecedente al 15 agosto 2012 e gli eventuali provvedimenti adottati a partire dalla suddetta data devono ritenersi nulli.
  Con la recente manovra finanziaria, però, questo Ministero è riuscito a superare l’
impasse determinatesi nel 2012.
  Infatti, con la legge di bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020 sono stati stanziati ben 150 milioni di euro per il triennio 2018-2020, che si vanno a sommare ai circa 10 milioni di euro per ogni annualità già presenti sul relativo capitolo 7441, per un totale nel triennio considerato superiore a 180 milioni di euro che serviranno ad estinguere il debito originario pregresso, pari alla data del 31 dicembre 2015 per tutti gli interventi collaudati e da collaudare a circa 170 milioni di euro.
  Inoltre, l'articolo 1, comma 314, della stessa legge 27 dicembre 2017, n. 205 - legge bilancio 2018 - ha disposto l'abrogazione, a decorrere dal 1o gennaio 2019 dell'articolo 1, comma 26-ter, del decreto-legge n. 95 del 2012, che aveva sospeso l'erogazione dei contributi ed ha previsto che a decorrere dalla stessa data i contributi in oggetto siano concessi nel limite massimo di 10 milioni di euro per l'anno 2019 e di 20 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2020.
  Con l'intervento in questione, è stata, dunque, doverosamente risolta la problematica relativa all'erogazione dei contributi sospesi a seguito del decreto «spending review» ed è stato al contempo previsto un rilevante stanziamento per il futuro, che consentirà di ridare impulso agli interventi di restauro e conservazione su beni culturali ad iniziativa dei proprietari e così contribuire alla conservazione e valorizzazione dell'eccezionale patrimonio culturale italiano.

Il Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali e il turismo: Antimo Cesaro.


   SALTAMARTINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   ad oltre cinque mesi dal devastante incendio che ha distrutto lo stabilimento di stoccaggio rifiuti speciali pericolosi della Eco X di Pomezia, nulla è stato fatto per lo smaltimento delle 8.413 tonnellate di rifiuti bruciati e per la bonifica dell'area;

   anzi, le foto sui quotidiani mostrano un crescente abbandono sul luogo di ulteriori rifiuti, da ignoti, tant'è che l'area è diventata ormai un'enorme discarica a cielo aperto;

   si apprende dai giornali che, nonostante il sito sia ancora sotto sequestro e le indagini della magistratura in corso, il procuratore ha da tempo rilasciato l'autorizzazione per la bonifica, ma la regione Lazio, ente beneficiario della polizza fidejussoria stipulata dalla ditta Eco X a garanzia degli obblighi sullo smaltimento dei rifiuti, nonostante le sollecitazioni di cittadini e comitati di quartiere di Pomezia e Torvaianica, non ha ancora proceduto all'escussione della fidejussione;

   d'altra parte, il sindaco, che ha il potere e il dovere di garantire ai propri cittadini le attività di prevenzione in ordine ai disastri ambientali e il controllo sull'azienda di stoccaggio rifiuti che, secondo l'interrogante, palesemente non ha rispettato le regole, visto quanto è accaduto, non sembra aver svolto efficacemente le proprie funzioni, né risulta dagli articoli di stampa che attualmente stia effettuando controlli e monitoraggi su altri siti potenzialmente pericolosi sul territorio comunale e in ordine all'andamento degli inquinanti dispersi sull'ambiente, in termini di concentrazione su aria, suolo, falda idrica e quindi coltivazioni agricole e allevamenti zootecnici;

   i cittadini sono preoccupati perché con l'arrivo della stagione autunnale, basterebbe un temporale per trasformare la situazione in disastro ambientale, con inquinamento della falda idrica;

   il mercato agricolo dei prodotti di Pomezia sta subendo danni irreparabili, poiché i cittadini, preoccupati, evitano il consumo dei prodotti coltivati nella zona;

   la vicenda di Pomezia e delle modalità con cui vengono effettuati i controlli nello stabilimento della Eco X e in altri impianti simili sono state oggetto di discussione nella Commissione «ecoreati»; il 24 maggio 2017 hanno riferito in Commissione il direttore generale dell'Arpa Lazio e il procuratore della Repubblica presso il tribunale di Velletri che si sono dichiarati consapevoli dell'urgenza di ripristinare lo stato dei luoghi ed effettuare la bonifica;

   il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, in occasione delle risposte a numerose interrogazioni parlamentari, ha assicurato il Parlamento sulla propria volontà di continuare «a monitorare la situazione con la direzione competente e con l'Ispra, che è a disposizione dell'Arpa regionale per ogni necessario supporto tecnico»;

   anche la Ministra della salute ha dichiarato in Aula, in risposta ad una interrogazione, il proprio interesse per la messa in sicurezza del sito, proprio per non avere contaminazioni, riferendosi al ruolo dell'Istituto superiore di sanità per affiancare la regione nella definizione dei programmi di monitoraggio e di sorveglianza sanitaria dei cittadini esposti, e quindi per tutto quello che riguarda la «fase due», che, secondo la stessa Ministra doveva cominciare «nelle prossime ore» –:

   quali iniziative urgenti i Ministri abbiano già adottato o intendano adottare, per quanto di competenza, per monitorare la situazione dell'area inquinata dall'incendio dello stabilimento Eco X di Pomezia ed evitare che gli inquinanti ancora presenti nei materiali di risulta possano ulteriormente disperdersi nell'aria, nel suolo e nella falda idrica continuando a contaminare le persone e l'ambiente.
(4-18109)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa allo smaltimento dei rifiuti e bonifica dell'impianto di Eco X sito in via Pontina vecchia e recentemente oggetto di un devastante incendio, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, nonché dagli enti territoriali, si rappresenta quanto segue.
  Com'è noto, l'incendio si è verificato in un insediamento che svolgeva attività di gestione di rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi autorizzato dalla regione Lazio con determinazione del 21 aprile 2010 e successivamente modificata con determinazione del 23 febbraio 2015.
  La città metropolitana di Roma Capitale — dipartimento IV «tutela e valorizzazione ambientale» — servizio 2 «Tutela Acque, suolo e risorse idriche» in data 4 luglio 2013 ha rilasciato, per l'insediamento in oggetto, l'autorizzazione allo scarico delle acque reflue domestiche e delle acque di prima pioggia, ed il servizio 3 «Tutela Aria ed Energia» in data 11 luglio 2013 ha rilasciato l'autorizzazione alle emissioni in atmosfera.
  A seguito dell'incendio, l'insediamento è stato posto sotto sequestro da parte della procura di Velletri, e l'ASL di Viterbo ha confermato che le coperture di due capannoni contenevano amianto.
  In data 19 maggio 2017, il servizio 2 «Tutela Acque e risorse idriche» e il servizio 3 «Tutela Aria ed Energia» della città metropolitana di Roma Capitale, sopra citati, hanno pertanto sospeso l'efficacia delle autorizzazioni di propria competenza.
  Inoltre, secondo quanto riferito dalla regione Lazio, in data 16 novembre 2017, presso il complesso «Selva dei Pini» del comune di Pomezia, si è tenuta una riunione della conferenza di servizi specifica, cui hanno partecipato rappresentanti del comune di Pomezia, USL Roma 6 — S.Pre.S.A.L., città metropolitana di Roma Capitale, regione Lazio, ISPRA, Istituto zooprofilattico sperimentale del Lazio e della Toscana.
  Nel corso di tale riunione è stato esaminato il documento «Analisi dello stato dei luoghi e relazione tecnica-economica — ECO X S.r.l. Eco Servizi per l'Ambiente S.r.l. — Stabilimento via Pontina Vecchia, chilometro 33,381 — 00071 Pomezia (Roma)», redatto dalla società COGEA S.r.l., per conto della società ECO X, contenente l'analisi del sito e le indicazioni per le operazioni necessarie per la messa in sicurezza del sito, con relativi costi.
  In particolare, oltre a constatare, seppure da una valutazione solo preliminare, l'elevato importo delle spese necessarie per le azioni da intraprendere, si è discusso sulle modalità di messa in sicurezza del sito.
  Successivamente, la regione Lazio:
  

   con determinazione del 12 ottobre 2017, con opportune motivazioni, ha disposto di provvedere alla escussione delle polizze rilasciate a favore della società Eco servizi per l'ambiente S.r.l. per affitto ramo d'azienda emesse dalla società di assicurazione;
   

   con nota del 10 novembre 2017, ha provveduto a chiedere l'escussione della polizza fidejussoria alla compagnia assicuratrice;
   

   con nota del 21 novembre 2017, indirizzata al comune di Pomezia, facendo seguito a quanto emerso nel corso della suddetta conferenza dei servizi del 16 novembre 2017, ha confermato la disponibilità a mettere a disposizione del comune stesso delle risorse economiche finalizzate innanzitutto allo svolgimento delle operazioni di messa in sicurezza, rilevata l'inadempienza delle società. Con la stessa nota è stato precisato che, al fine di una precisa definizione delle operazioni da effettuare, oltre che della determinazione della tempistica di intervento, sarebbe stato auspicabile che al più presto lo studio trasmesso venisse integrato con i chiarimenti e le precisazioni richieste, tali da fornire maggiori dettagli sullo stato dei luoghi interessati dall'incendio e di quelli limitrofi. Con la stessa nota è stato chiesto al comune di trasmettere con immediatezza, e comunque entro 10 giorni, la quantificazione delle somme necessarie per tale preliminari attività.
   

  Alla nota di cui al punto precedente, il comune di Pomezia ha risposto con nota del 4 dicembre 2017, con la quale è stata quantificata in 185.407,44 la somma necessaria per le suddette attività preliminari.
  Infine, con ordinanza sindacale di pari data, è stato disposto che la società Eco X provvedesse entro e non oltre 30 giorni dalla notifica dell'ordinanza medesima, a cura e spese della società, a quanto di seguito elencato, nel rispetto della normativa vigente a tutela della salute pubblica e previa autorizzazione della Procura della Repubblica di Velletri:

   di dare avvio alla realizzazione degli interventi di messa in sicurezza secondo il programma indicato nel documento «Analisi dello stato dei luoghi e relazione tecnica-economica — ECO X S.r.l. Eco Servizi per l'Ambiente S.r.l. — stabilimento via Pontina vecchia chilometro 33,381 — 00071 Pomezia (Roma)», redatto dalla società COGEA S.r.l., con particolare riferimento all'incapsulamento ed inibizione del materiale contenente amianto al fine di evitare la possibile dispersione di fibre nell'aria, ed inoltre alla copertura dei cumuli dei rifiuti, onde evitare il dilavamento degli stessi ed il recapito delle acque di dilavamento nel corpo idrico superficiale;

   di integrare la relazione tecnica con ulteriori elementi tecnici-descrittivi, nonché di fare ulteriori analisi e indagini, per una migliore soluzione delle problematiche ambientali del sito.

  Sempre secondo quanto riferito dall'amministrazione regionale, decorso il periodo di 30 giorni dalla notifica della predetta ordinanza senza l'intervento della società, la regione Lazio avrebbe proceduto ad impegnare la somma necessaria come sopra determinata, al fine di avviare i lavori indicati.
  Ad oggi risulta che la regione abbia escusso e messo a disposizione del comune di Pomezia la fidejussione, pari a 700.000 euro, che però risultano insufficienti per le operazioni di caratterizzazione, messa in sicurezza e bonifica del sito, i cui costi totali sono stati stimati in oltre 5.000.000,00 di euro.
  Il comune di Pomezia sta verificando la possibilità di reperire ulteriori fondi per agire in danno nei confronti della ditta proprietaria del sito.
  Alla luce delle informazioni esposte, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà comunque a svolgere un'attività di monitoraggio, nonché a tenersi informato anche attraverso gli altri enti istituzionali competenti.
  

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   ELVIRA SAVINO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:

   negli ultimi giorni nel mondo della musica in Italia è tornato in primo piano lo scandalo del cosiddetto secondary ticketing, da molti definito bagarinaggio online, in occasione del concerto della band irlandese U2, previsto per il 15 luglio 2017 a Roma;

   il secondary ticketing (o reticketing) è un mercato di biglietti parallelo a quello autorizzato, che si svolge soprattutto su internet;

   sui circuiti del secondary ticketing i biglietti di concerti e altri eventi sono venduti a un prezzo maggiorato, spesso prima che si apra ufficialmente la prevendita e dopo che gli organizzatori abbiano dichiarato il sold-out. Questo costringe molti spettatori a rinunciare ai concerti o a pagare l'ingresso molto più del dovuto;

   sembra siano numerose le aziende che sfruttano il secondary ticketing ma che negano di fare bagarinaggio online, dichiarando di essere semplicemente delle piattaforme che offrono servizi di mediazione per la vendita dei biglietti;

   sull'argomento, in alcune puntate del programma televisivo Le Iene, andate in onda nel novembre 2016, sono stati trasmessi più servizi realizzati dal giornalista Matteo Viviani, che sarebbe riuscito ad entrare in possesso di documenti che provano l'esistenza di un legame tra la più grande azienda che organizza concerti in Italia, la Live Nation Italia, e il sito di bagarinaggio online Viagogo;

   si apprende dalla stampa che il 16 novembre 2016 la Guardia di finanza ha perquisito le sedi di due importanti promoter di concerti, Live Nation Italia e Vivo Concerti. Roberto De Luca, amministratore delegato della società organizzatrice di concerti Live Nation Italia, e Corrado Rizzotto, ex amministratore delegato di Vivo Concerti e ora alla guida di Indipendente Concerti, sarebbero indagati per associazione a delinquere finalizzata alla truffa;

   le denunce contro il fenomeno del secondary ticketing vanno avanti già da tempo. Si cita a titolo esemplificativo Claudio Trotta, fondatore della BarleyArts, azienda che si occupa della promozione di concerti di Bruce Springsteen, musicisti italiani e internazionali, che in aprile 2016 ha presentato un esposto penale alla procura di Milano, dopo che tra i 15 mila e i 20 mila biglietti del concerto di Bruce Springsteen a San Siro erano finiti sul mercato secondario, e che in quell'occasione ha, tra l'altro, dichiarato che «il biglietto nominale è un'opzione, ma c'è bisogno di una legge che lo renda obbligatorio e ne regolamenti l'uso. E comunque questi siti non si possono regolamentare. Vanno chiusi»;

   l'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha aperto un'istruttoria su tale fenomeno e su quattro operatori del mercato secondario per verificare eventuali violazioni del codice del consumo;

   l'istruttoria sarebbe diretta a verificare se:

    siano state predisposte adeguate misure informatiche, previsioni contrattuali e modalità di vendita;

    vi siano informazioni ingannevoli relative alle condizioni di vendita sui siti, che potrebbero rendere non chiara la natura e le caratteristiche del servizio di intermediazione svolto, la tipologia e il prezzo di vendita dei biglietti offerti;

   dal concerto dei Cold Play a quello di Bruce Springsteen e da ultimo quello degli U2, moltissimi appassionati di musica sono stati costretti a rinunciare al concerto –:

   quali iniziative urgenti il Ministro interrogato intenda adottare, per quanto di propria competenza ed in linea con le iniziative avviate dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato, per arginare definitivamente il fenomeno del secondary ticketing, allo scopo di tutelare i consumatori e tutti gli stakeholder dell'industria dello spettacolo.
(4-15249)

  Risposta. — Si riscontra l'atto di sindacato ispettivo in esame, nel quale l'interrogante chiede quali iniziative urgenti questo Ministero, per quanto di competenza, intende adottare per arginare definitivamente il fenomeno del secondary ticketing, allo scopo di tutelare i consumatori e tutti gli stakeholder dell'industria dello spettacolo.
  Il fenomeno del
secondary ticketing ha assunto livelli di espansione preoccupanti, alimentando di fatto un mercato parallelo non autorizzato e dannoso sia per gli artisti sia per i consumatori a causa della pesante lievitazione dei prezzi di vendita dei biglietti rispetto ai canali ufficiali.
  Proprio per contrastare tale fenomeno, definito dal Ministro Franceschini «intollerabile», alla legge di bilancio 2017 è stato presentato uno specifico emendamento recepito nella legge n. 232 del 2016, articolo 21, commi 545 e 546.
  Le predette disposizioni normative, sono volte a contrastare la vendita di titoli di accesso ad attività di spettacolo effettuata da soggetti diversi dai titolari dei sistemi di emissione dei biglietti.
  L'adozione delle specifiche e delle regole tecniche volte ad aumentare l'efficacia e la sicurezza informatica delle vendite dei titoli di accesso mediante sistemi di biglietterie automatizzati, è demandata ad un decreto interministeriale (Ministero dell'economia e delle finanze, Ministero della giustizia e Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo), che ad oggi è in fase di definizione.
  In particolare, al fine di contrastare l'elusione e l'evasione fiscale, nonché di garantire la tutela dei consumatori, si dispone che la vendita, o qualsiasi altra forma di collocamento, di titoli di accesso ad attività di spettacolo effettuata da soggetti diversi dai «titolari, anche sulla base di apposito contratto o convenzione, dei sistemi per la loro emissione», è punita con l'inibizione della condotta e con una sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 a 180.000 euro.
  In caso di utilizzo delle reti di comunicazione elettronica è prevista, inoltre, la rimozione dei contenuti o, nei casi più gravi, l'oscuramento del sito
internet attraverso il quale la violazione è stata posta in essere, fatte salve le azioni risarcitorie.
  Non sono indicati esplicitamente i parametri di gravità delle condotte in quanto i compiti di accertamento e intervento spettano all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom) e alle altre autorità competenti (quale potrebbe essere, ad esempio, la polizia postale), che agiscono d'ufficio o su segnalazione degli interessati.
  Al riguardo si ricorda, inoltre, che il decreto-legislativo 70 del 2012, di recepimento della direttiva 2009/140/CE e della direttiva 2009/136/CE, modificando il codice delle comunicazioni elettroniche (decreto legislativo n. 259 del 2003), ha esplicitato il ruolo dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni come autorità nazionale di regolamentazione per le comunicazioni elettroniche.
  Per quanto concerne, più specificamente, la tutela inibitoria da parte dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, nel caso in esame, questa si concreta sostanzialmente, ai sensi del decreto legislativo n. 70 del 2003, nell'imporre all’
internet provider di rimuovere i contenuti relativi alla vendita abusiva dei biglietti o di utilizzare gli accorgimenti tecnici volti ad impedire l'accesso al sito (o alla pagina web).
  Va, inoltre, ricordato che lo stesso decreto legislativo n. 70 del 2003 considera il
provider civilmente responsabile di tali contenuti nei casi in cui, richiesto dall'autorità amministrativa di vigilanza (o dall'autorità giudiziaria), non ha agito prontamente per impedire l'accesso a detto contenuto, ovvero se, avendo avuto conoscenza del carattere illecito o pregiudizievole per un terzo del contenuto di un servizio al quale assicura l'accesso, non ha provveduto ad informarne l'autorità competente.
  Si evidenzia, infine, che il giudice del tribunale di Roma — IX Sezione civile, con ordinanza n. 3568 dell'8 giugno 2017 (promosso dalla Siae con l'intervento
ad adiuvandum di Federconsumatori e Codacons), ha inibito a Live Nation S.r.l., Seatwared ltd, Viagogo AG l'ulteriore vendita, diretta o indiretta, sul mercato secondario dei biglietti dei concerti degli U2 del 15 e 16 luglio 2017 fissando una penale di 2000,00 euro per ogni ulteriore biglietto venduto in tal modo ed ha condannato le resistenti a rifondere le spese di giudizio.
  Il tribunale ha riconosciuto immediata efficacia a quanto previsto dall'emendamento alla legge di bilancio 2017, si ricorda, fortemente voluto dal Ministro Franceschini, che ha introdotto appunto la possibilità di inibire la vendita dei biglietti e di infliggere multe a chi assume comportamenti illeciti nonché, ove la condotta sia effettuata attraverso le reti di comunicazione elettronica, con la rimozione dei contenuti o, nei casi più gravi, con l'oscuramento del sito
web attraverso il quale la violazione è stata posta in essere, fatte salve le azioni risarcitorie.
  Alla luce di quanto sopra esposto, questo Ministero, per quanto di competenza, non può che esprimere la propria soddisfazione per avere introdotto un intervento legislativo per contrastare il cosiddetto fenomeno del bagarinaggio
online a tutela delle categorie artistiche, nonché per garantire ed assicurare il necessario supporto alle istituzioni direttamente coinvolte nel contrasto a tale fenomeno che causa, tra l'altro, una evasione fiscale totale, data la collocazione prevalentemente in sedi estere compiacenti delle piattaforme online di rivendita secondaria.
Il Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali e il turismo: Antimo Cesaro.


   SEGONI, ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS e TURCO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   a seguito di un'intensa attività di indagine ed investigazione dei militari dell'Arma dei carabinieri appartenenti al nucleo investigativo di polizia ambientale e forestale di Foggia, ad aprile 2017 è stato posto sotto sequestro per gestione illecita di rifiuti un terreno di proprietà del signor Francesco Annunziata;

   il 29 maggio 2017 era previsto che l'Arpa dovesse procedere alla caratterizzazione dei rifiuti presenti nel sito e qualche giorno prima, il 24 maggio, deposito è stato dato alle fiamme;

   il 25 maggio 2017 il DAP di Foggia inviava al sindaco di Foggia, all'Asl e alla prefettura un’e-mail in cui a seguito di intervento di personale ARPA Puglia, nell'ambito dei profili ambientali di competenza dell'Agenzia e nelle more dei riscontri del monitoraggio dell'aria, in corso, per quanto rilevabile in situ e considerata la natura presunta dei rifiuti in combustione, si proponeva alle autorità competenti di valutare l'opportunità di adottare, per il principio di massima precauzione, misure urgenti a salvaguardia della salute dei residenti nell'area interessata dalla scia di fumo in emissione, come da modello previsionale pertanto già inviato a codesti enti;

   in seguito alla missiva dell'Arpa, l'Asl alle 22,40 inviava una richiesta di adottare un'ordinanza sindacale ai fini precauzionali con la quale si invitava ad adottare delle misure precauzionali fino a un raggio di 400 metri dall'area dell'incendio; tali misure sono state inserite nell'ordinanza sindacale n. 20 del 25 maggio 2017 dal sindaco di Foggia;

   le attività di monitoraggio e campionamento da parte dell'Arpa sono tecnicamente iniziate il giorno 25 e gli esiti sono stati quelli di individuare valori di PM10 di entità molto variabile nelle zone con abitazioni, con picchi fino a circa 1000 μg/m3;

   da quanto esposto emerge chiaramente che, nell'immediatezza dell'incendio, non è stato preso nessun provvedimento in funzione del principio di massima precauzione;

   il 5 giugno 2017 dall'Arpa sarebbe stata trasmessa la scheda di emergenza ambientale al comune di Foggia in cui i valori rilevati non corrisponderebbero a quanto trasmesso mediante e-mail precedentemente dalla direttrice del DAP di Foggia;

   malgrado i dati tardivi emersi dall'Arpa, l'Asl con nota del 10 giugno 2017, a firma del direttore SIAP sud dottor Pasquale Gelsi, confermava la bontà del provvedimento già preso dal sindaco di Foggia;

   a differenza dell'incendio dell'impianto EcoX avvenuto a Pomezia il 5 maggio, dove l'Istituto zooprofilattico sperimentale di Lazio e Toscana e gli altri enti coinvolti regione Lazio, Arpa, Asl si sono riuniti lo stesso 5 maggio e hanno convenuto una serie di misure precauzionali, confermate da una nota del Ministero della salute che vietava di raccogliere e commercializzare ortaggi e foraggi in un buffer di 5 chilometri dal luogo dell'incendio, nel caso dell'incendio della discarica di Foggia, dove i valori di PM 10, dopo un giorno d'incendio, erano notevolmente più alti di quanto era stato rilevato a Pomezia, l'azione di concertazione tra gli enti è totalmente mancata;

   tale disastro ambientale è stato sottovalutato mettendo a rischio sia i residenti, sia i consumatori –:

   se il Governo non intenda chiarire le motivazioni per le quali non siano state adottate, per quanto di competenza, iniziative volte a verificare, contenere e riparare il danno ambientale, nonché a stimare gli effetti sulla salute dell'incendio sviluppatosi, al fine di tutelare la popolazione, e quali iniziative intenda assumere, anche sul piano normativo, per meglio definire le procedure da applicare in questi casi.
(4-17476)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  L'agenzia regionale per la protezione dell'ambiente (ARPA) della regione Puglia ha fatto presente che, in occasione dell'incendio verificatosi a partire dal mattino del 24 maggio 2017 in Via Castelluccio a Foggia ed a seguito di chiamata da parte dei Vigili del fuoco, il personale del dipartimento provinciale Arpa (DAP) di Foggia e del centro regionale Aria (CRA) è intervenuto sul posto, interfacciandosi altresì con personale della Asl, del Corpo forestale dello Stato (CFS) e della Polizia municipale.
  ARPA Puglia ha evidenziato inoltre che, appena ottenuti dal Cra i modelli previsionali per le giornate del 24 e 25 maggio, che evidenziavano l'area di ricaduta dei fumi rivenienti dall'incendio, gli stessi sono stati trasmessi già dalle ore 14:11 alla prefettura di Foggia ed in serata ritrasmessi al comune di Foggia.
  Nel pomeriggio del 25 maggio 2017, a seguito di segnalazione dei Vigili del fuoco che comunicava il perdurare dell'incendio, è nuovamente intervenuto personale del Cra per effettuare le misure di monitoraggio dell'aria.
  Nel frattempo, sempre secondo quanto riferito dall'Arpa Puglia, il dipartimento di Foggia si premurava di sollecitare i vari organi preposti, comune e Asl, in quanto, pur avendo tali enti già dal giorno precedente le informazioni necessarie ad emettere un'ordinanza in forma cautelativa, attraverso i modelli previsionali di ricaduta dei fumi, non avevano ancora provveduto in quanto, a loro avviso, mancavano i dati di monitoraggio.
  Pertanto quanto già sollecitato per le vie brevi, veniva poi formalizzato dal Dap di Foggia in data 25 maggio con nota delle ore 20:44, in cui si evidenziava l'opportunità di adottare «da parte delle autorità competenti, per il principio di massima precauzione, misure urgenti a salvaguardia della salute dei residenti nell'area interessata dalla scia di fumo in emissione come da modello previsionale già inviato».
  La stessa sera del 25 maggio 2017 i primi risultati ottenuti dal Cra sulla concentrazione di inquinanti, con valori di Pm10 di entità molto variabile nelle zone con abitazioni, con picchi fino a circa 1000 μg/m3, sono stati trasmessi con Pec delle ore 02:10 della notte del 25 maggio a tutti gli organi competenti. Nella Pec veniva evidenziato che le misurazioni erano state effettuate nel raggio di circa 1,5 chilometri.
  Anche durante la giornata del 26 maggio 2017 sono stati condotti ulteriori sopralluoghi, e da parte del Cra misurazioni di Pm10 fino ad una distanza di 20 chilometri nella direzione sotto vento rispetto all'incendio. Tutte le informazioni riguardanti prima i modelli previsionali di ricaduta dei fumi rivenienti dall'incendio per le giornate dei 26 e 27 maggio 2017, ed in seguito i primi risultati sulla concentrazione di inquinanti, con valori di Pm10 costantemente bassi interessando anche i centri abitati di Ascoli Satriano e Ordona, sono stati trasmessi la sera stessa a tutti gli organi competenti.
  A partire dal 30 maggio 2017 sono stati intrapresi i campionamenti di terreno finalizzati a determinare la presenza di inquinanti (Diossine, Furani, IPA e Metalli pesanti). Gli enti preposti sono stati costantemente aggiornati sull'attività di propria competenza sottolineando in particolare che si stava operando su un'area che andava dai 300 metri circa dal sito dell'incendio fino a circa 3 chilometri di distanza, quindi su un'area ben più ampia di quella dell'ordinanza che si limitava ad un raggio di 400 metri; questo proprio in base ai modelli previsionali di ricaduta dei fumi forniti dal Cra, per le giornate del 24, 25, 26 e 27 maggio 2017, e, soprattutto, dei valori di concentrazione di Pm10 che evidenziavano picchi fino a 1000 μg/m3 su un raggio di monitoraggio pari a 1,5 chilometri.
  In data 9 giugno 2017, sono state trasmesse la «Scheda emergenza ambientale» del 5 giugno redatta dal Cra e i verbali con cui si aggiornavano gli enti e si confermava, per il principio di massima precauzione, l'opportunità di adozione da parte degli enti preposti, ai sensi del decreto legislativo n. 502 del 30 dicembre 1992, articolo 7-
ter comma 1 lettera b), delle misure necessarie a tutela della collettività, considerando contaminata l'area oggetto di monitoraggio.
  L'Arpa Puglia ha evidenziato, altresì, che con la stessa nota si auspicava un incontro
ad hoc, promuovendo proprio «l'azione di concertazione tra Enti» che tuttavia è mancata ma che non poteva essere assunta da Arpa.
  Sempre secondo quanto rappresentato dall'agenzia, la situazione ambientale delineata dalle informazioni sulle direzioni del vento, sulle simulazioni modellistiche e sulle rilevazioni condotte dal centro regionale aria, trasmesse via via dal dipartimento provinciale Arpa di Foggia, è sempre stata coerente.
  Fin dal primo giorno, Arpa ha mostrato come la direzione del vento fosse tale da non interessare la città di Foggia, ma fosse rivolta, invece, nel verso opposto. I dati prodotti dalle successive rilevazioni sono stati coerenti con tale situazione, mostrando valori elevati di Pm10 sottovento, nelle immediate vicinanze dell'incendio, in specie a partire dal secondo giorno nel quale — a causa dell'esaurimento della spinta convettiva delle fiamme — il fumo ha iniziato a diffondersi a quota più bassa, con valori, invece, molto più bassi nelle zone abitate di Ascoli Satriano, a distanza di alcuni chilometri dal sito dell'incendio.
  La variabilità dei valori di Pm10 nelle immediate vicinanze dell'incendio è da considerarsi naturale e legata alla mutevolezza delle condizioni meteo e della direzione del vento per misure di tipo istantaneo. Sia nella comunicazione inviata dalla direttrice del Dap di Foggia che nella scheda sull'incendio, tuttavia, è ben evidenziato come, nelle immediate vicinanze, si siano registrati valori «di picco» di Pm10 dell'ordine di 1000 μg/m3.
  Di tutta l'attività condotta da Arpa a seguito dell'incendio è stata fatta comunicazione al nucleo investigativo d polizia ambientale dei carabinieri in quanto, sul sito sotto sequestro, erano già in corso indagini di polizia giudiziaria. La stessa autorità giudiziaria, unitamente agli enti preposti, è stata costantemente informata dell'evolversi di tutta l'attività condotta da parte dell'agenzia sul sito.
  In conclusione, Arpa Puglia evidenzia come l'intervento della stessa non sia stato tardivo, avendo visto la presenza e l'attività dei tecnici del Cra e del dipartimento provinciale Arpa di Foggia fin da primo giorno sul luogo dell'incendio, con la produzione di mappe di direzione del vento, di diffusione degli inquinanti, rilevazioni di inquinanti in aria e di contaminazione del suolo, e con costante disponibilità a fornire indicazioni e chiarimenti e al rapporto con gli enti competenti. In proposito, Arpa Puglia ha provveduto anche a fornire indicazioni sulla opportunità di provvedimenti a tutela della salute pubblica, al fine di indirizzare gli enti competenti.
  Della questione sono evidentemente interessate anche altre amministrazioni, pertanto, qualora dovessero pervenire ulteriori elementi informativi, si provvederà a fornire un aggiornamento.
  Alla luce delle informazioni esposte, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a svolgere un'attività di monitoraggio, nonché a tenersi informato anche attraverso gli altri enti istituzionali preposti.
  

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   SEGONI, ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS e TURCO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   in relazione alla project review in corso sul progetto di autostrada della Maremma, decisa dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e contenuta nell'allegato infrastrutture 2017, si è appreso che, in data 14 settembre 2017, presso la regione Toscana Anas S.p.a. ha presentato un primo studio di adeguamento della strada statale Aurelia;

   lo studio presentato da Anas presso la regione ed alla presenza dei sindaci interessati dal tracciato, rappresenta una prima ipotesi di adeguamento della strada statale 1 Aurelia per la sua trasformazione in superstrada, ai fini del superamento definitivo del progetto autostradale SAT;

   dai contenuti diffusi in modo pubblico e secondo i documenti inviati ai sindaci coinvolti risulta che lo studio presentato da Anas riguarda il solo tratto dalla strada statale 1 da Grosseto ad Ansedonia, mentre non riguarda il tratto Ansedonia-Tarquinia, che, allo stesso modo, necessita di essere adeguato. Nello specifico, si sottolinea che il tratto Ansedonia-Capalbio contiene ancora 12,5 chilometri completamente a due corsie, rappresentando quindi il tratto maggiormente critico ed insicuro di tutta la strada statale Aurelia da Tarquinia a Rosignano. Eppure, su questo tratto, che dovrebbe avere la priorità per la messa in sicurezza da parte di Anas, non è stato presentato alcuno studio e nessuna ipotesi di adeguamento della strada statale Aurelia –:

   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno assumere iniziative affinché l'Anas predisponga uno studio di adeguamento dell'intera tratta tra Grosseto-Tarquinia della strada statale Aurelia e affinché, a breve presenti un elaborato completo, in modo tale che conseguentemente venga approvato e realizzato un adeguamento della strada statale Aurelia da Grosseto a Tarquinia, con priorità di intervento sui tratti a due corsie in quanto maggiormente critici ed insicuri.
(4-18349)

  Risposta. — Con riferimento agli atti di sindacato ispettivo in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta sulla base delle informazioni pervenute dalla direzione generale per le strade e le autostrade e per la vigilanza e la sicurezza nelle infrastrutture stradali di questo Ministero e dalla società Anas.
  A seguito di specifica richiesta da parte di questo Ministero, Anas si è attivata per sviluppare una proposta di
project review del progetto relativo alla realizzazione dei lotti 2, 3, 4 e 5B della strada statale (SS) 1 Aurelia elaborato dall'attuale concessionario società autostrada tirrenica (SAT).
  Tale revisione progettuale è finalizzata ad avviare un utile confronto con il territorio.
  In particolare, per il tratto da San Pietro in Palazzi a Grosseto Sud di circa 106 chilometri (lotti 2 e 3), Anas ha proposto una revisione degli interventi di risanamento dell'attuale viabilità della strada statale 1 Variante Aurelia già previsti dal progetto definitivo redatto dalla società Sat e approvati dal Cipe con delibera n. 85 del 2012.
  Per il tratto, invece, da Grosseto sud ad Ansedonia di circa 40 chilometri (lotti 4 e 5B), dove l’
iter approvativo del progetto definitivo presso il Cipe è tuttora in itinere, ha sviluppato una sostanziale rivisitazione del tracciato anche sulla base delle risultanze di riunioni svoltesi il 2 agosto ed il 14 settembre 2017 presso la regione Toscana.
  Quanto, poi, al tratto da Ansedonia a Tarquinia di circa 40 chilometri, il progetto definitivo redatto da Sat – che prevede l'adeguamento della sede esistente della SS 1 Aurelia ad Autostrada con la suddivisione dell'intervento in due lotti denominati 5A e 6B – già approvato con la citata delibera Cipe n. 85 del 2012, non risulta oggetto di revisione progettuale.
  Attualmente, è in fase di definizione un protocollo di intesa tra questo Ministero, Anas, regione Toscana, Sat e Autostrade per l'Italia per definire la competenza sulle tratte da adeguare.

Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti: Riccardo Nencini.


   SIBILIA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   sul caso della galleria «Pavoncelli Bis» di Caposele (Avellino) l'interrogante ha presentato un'interrogazione a risposta scritta ai Ministri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e delle infrastrutture e dei trasporti in data 2 ottobre 2013 (n. 4-02037) e un'interrogazione a risposta in Commissione al Ministro dell'ambiente in data 1o aprile 2014 (n. 5-02520);

   in data 7 febbraio 2017 il sito di informazione online Più Economia (www.piueconomia.com) pubblicava un articolo dal titolo «Pavonceili bis, opera infinita: lavori di nuovo fermi da 5 mesi/“CHE SCANDALO”» in cui si evidenzia che «La lunghezza della nuova galleria è di 10.218,70 metri. Ad oggi, dopo più di 35 anni, mancano ancora diversi chilometri, nonostante il progetto iniziale risalga al 1985. (...) Infatti, i lavori di realizzazione della Pavoncelli Bis sono ormai fermi da più di cinque mesi senza nessuna comunicazione, secondo le indiscrezioni che arrivano dall'Alta Irpinia, da parte dei responsabili»;

   nell'articolo si legge che «Da voci di corridoio sembra che i lavori siano fermi fondamentalmente per due motivi: pare che la talpa (nome ufficiale Epb Tbm, Earth pressure balance Tunnel boring machine, da 220 metri, costruita in Germania, che dopo i lavori di consolidamento è utile per lo “sfondamento”) si sia impantanata per la natura del terreno e anche perché si sono verificati forti distacchi sulla volta del fronte di carotaggio. (...) Sembra anche che, e questo è affermato da più parti, si sia in presenza di forti presenze di gas con alto pericolo di scoppio. Le voci che girano trovano riscontro per primo nel parere dell'Autorità di Bacino. Il 23 settembre 2010 prot. n. 1119, l'autorità di Bacino Interregionale del fiume Sele, con propria nota n. 88/2010, esprimeva parere definitivo negativo alla realizzazione dell'intervento e ribadiva “le carenze conoscitive evidenziate nella citata determinazione 70/2010 sono sostenute dagli stessi progettisti e confermano l'opportunità di approfondire determinate conoscenze idrogeologiche e statiche per la posa in opera più sicura ed efficace della galleria”»;

   nell'articolo si sottolinea: «Riflettori puntati anche sul Pozzo A (opera accessoria alla realizzazione della galleria Pavoncelli Bis). Sembra che l'opera sia stata realizzata senza una chiara concessione edilizia bensì su una semplice comunicazione del sindaco, in cui si riportava che la commissione comunale si era riunita ed aveva espresso parere urbanistico favorevole. Sembra, ancora, che detta opera sia stata realizzata in piena zona RF3 (pericolosità da frana Pf3, senza peraltro nessuna opera di risanamento)»;

   nell'articolo si ricorda anche che «il fiume Sele in questi ultimi anni (casualmente in concomitanza con l'inizio dei lavori della galleria) diventa bianco di tanto in tanto con la conseguente morte di tutte le trote nelle sue acque. Le strade ridotte a mulattiere per il traffico incessante notte e giorno di automezzi pesanti (ben oltre la portata consentita). Vere scie di liquami vengono lasciate dal passaggio di questi camion che trasportano a rifiuto il materiale dello scavo, lasciando sulle strade comunali chissà quali reagenti che comunque vengono usati per lo scavo»;

   infine, nell'articolo si fa cenno alla centrale idroelettrica, opera accessoria alla galleria Pavoncelli Bis, che, «finanziata con fondi pubblici (CIPE), su suolo pubblico (Comune di Caposele) alimentata con acque pubbliche», pare «rimanga poi nella proprietà e/o nella gestione di un ente privato, una s.p.a.» –:

   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti sopra esposti e quali iniziative, per quanto di competenza, intendano assumere per fare chiarezza sui dubbi di cui in premessa che alimentano forti e condivisibili preoccupazioni da parte dei cittadini di Caposele.
(4-15547)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  Occorre evidenziare, in via preliminare, che i lavori per la realizzazione dell'opera meglio nota come «Pavoncelli bis» sono stati affidati ad una gestione commissariale ai sensi del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 6 novembre 2009 e successivo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 17 dicembre 2010 di proroga, nonché dell'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3858 del 12 marzo 2010.
  In data 24 ottobre 2017 lo scavo della galleria è stato completato con l'abbattimento dell'ultimo diaframma.
  L'agenzia regionale per la protezione dell'ambiente della Campania (ARPAC) ha fatto presente, inoltre, che il parere Via n. 587 del 3 dicembre 2010, facendo proprie le valutazioni del Sia ha prescritto, durante le fasi di realizzazione delle opere di completamento della galleria alternativa alla galleria «Pavoncelli» dell'acquedotto Sele - Calore, detta «Pavoncelli Bis» nei comuni di Caposele e Conza della Campania, il monitoraggio delle matrici suolo, acque sotterranee e superficiali, aria e rumore, con modalità di esecuzione da concordare con la medesima Arpa competente per territorio.
  Il piano di monitoraggio è stato oggetto di espressione di parere, cui ha fatto seguito la stipula di apposita convenzione del 4 dicembre 2013 tra l'Arpac, la Presidenza del Consiglio dei ministri - commissario
ex ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3858 del 12 marzo 2010 e la Caposele S.c.a.r.l., capogruppo mandataria dell'associazione temporanea di imprese aggiudicataria dell'appalto. La convenzione stabilisce le modalità, i tempi, nonché il numero dei sopralluoghi di verifica e dei campionamenti da eseguirsi in contraddittorio, nelle fasi ante operam, in operam e post operam (monitoraggio esteso per tre anni relativamente alla sola matrice acque sotterranee).
  Per l'esecuzione delle opere di scavo della galleria alternativa, è stata utilizzata una «talpa» (
Tunnel boring machine).
  Con riferimento al fermo dei lavori, il comune di Caposele ha fatto presente che gli stessi sono stati interrotti dal settembre 2016 all'aprile 2017, al raggiungimento della progressiva 6170, cioè a circa 2.300 metri dal loro completamento.
  Tale fermo, però, non è stato dovuto a problemi idrogeologici; lo scudo della
Tunnel boring machine, infatti, è rimasto incastrato nel terreno circostante che si andava scavando, con l'insorgere, quindi, di una forza di attrito laterale rilevante che impediva la prosecuzione dell'avanzamento dello scavo. Sempre secondo quanto riferito dal comune, si è trattato, in realtà, di una situazione non infrequente negli scavi meccanizzati in terreni notevolmente spingenti.
  Per sbloccare la
Tunnel boring machine, dopo vari tentativi effettuati con idrodemolizioni, è stato necessario scavare un cunicolo all'esterno dello scudo, così riducendo il succitato attrito; ciò ha consentito alla Tunnel boring machine di riprendere lo scavo, portandolo a compimento.
  Il comune a evidenziato, inoltre, che si è verificata, in alcuni tratti, la presenza di gas in galleria, peraltro ipotesi già prevista nel progetto a base dell'appalto, ma alla stessa è stato fatto fronte attraverso gli opportuni interventi di sicurezza e l'adozione di idonee procedure. Al riguardo, le attuali norme sulla sicurezza prevedono che, in caso di presenza di gas, vada redatta una relazione sul rischio di esplosione. Tale relazione è stata redatta anche nel caso di specie, al fine di esaminare ed attuare tutte le procedure necessarie per evitare il verificarsi di un'esplosione. Eventualità che infatti è stata evitata.
  Allo stato attuale, sono in corso attività di dismissione del cantiere
Tunnel boring machine e interventi complementari alla galleria, previsti dal progetto.
  Per quanto concerne gli additivi utilizzati durante lo scavo, l'Arpac ha segnalato che, in osservanza alle prescrizioni del decreto dirigenziale del 15 aprile 2015, la ditta appaltatrice, al fine di utilizzare additivi facilmente biodegradabili, ecocompatibili e non tossici, ha commissionato studi di condizionamento su additivi commerciali, già rispondenti a tali caratteristiche, all'università Federico II di Napoli, i cui esiti hanno dimostrato che l'additivo Condat CLB F5 AC, utilizzato nel corso delle attività di scavo meccanizzato, presenta lo stesso livello di eco-tossicità delle terre non condizionate, già a tempo 0.
  Il materiale scavato, per lotti, è stato oggetto di caratterizzazioni analitiche da parte dell'impresa, i cui risultati hanno evidenziato il rispetto dei limiti normati alla tab. 1, All. 5, parte IV, del decreto legislativo n. 152 del 2006.
  L'Arpac ha fatto presente, altresì, che i reflui prodotti nelle fasi lavorative (ciclo produttivo, meteoriche di dilavamento di prima pioggia e servizi igienici), sono stati autorizzati allo scarico in pubblica fognatura, previo trattamento depurativo chimico, con atto del 4 novembre 2013 e successivo rinnovo dell'8 giugno 2017, rilasciati dall'Aato Calore Irpino, per un volume annuo di 32.500 mc.
  Nel corso dei sopralluoghi di verifica effettuati dall'Arpac, e dagli esiti dei campionamenti, nonché dagli autocontrolli effettuati dalla ditta non sono emerse, in via generale, situazioni di criticità tali da compromettere le matrici ambientali monitorate.
  In relazione al pozzo «A», secondo quanto riferito dalla regione Campania, esso rientra nel progetto esecutivo approvato in via definitiva in conferenza di servizi, giusta ordinanza commissariale n. 134 del 2011, pubblicata su GURI n. 34 del 2011; esso ricade in zona RF3, ai sensi dell'art. 15 delle norme tecniche di attuazione del piano di bacino dell'autorità di bacino (AdB), secondo cui: «Nelle aree perimetrate a rischio reale molto elevato da frana, in relazione alle opere pubbliche o d'interesse pubblico esistenti, sono ammessi altresì ... gli interventi necessari per l'adeguamento di opere e infrastrutture pubbliche e di interesse pubblico», nel cui novero rientra l'opera in questione.
  Per quanto concerne il verificarsi di una colorazione biancastra delle acque del fiume Sele, sono intervenuti sul luogo Arpac, Corpo forestale dello Stato, carabinieri e Asl.
  In particolare, l'Arpac ha fatto presente di aver eseguito interventi in urgenza con sopralluoghi e campionamenti, come di seguito esplicitato:

   24 ottobre 2013 - fiume Sele - località Tredogge. Nel corso del sopralluogo, sebbene le acque del fiume si mostrassero chiare e prive di materiale in sospensione, è stata constatata la presenza di materiale di colore biancastro in più punti dell'alveo. Tale situazione, come da dichiarazione dei tecnici della Caposele Scarl, presenti in loco, erano riconducibili al rilascio di terreno in seguito alle attività di sistemazione del canale Vallone Acque delle Brecce, situato a monte del cantiere Pavoncelli Bis. Gli esiti analitici sul campione di acque superficiali prelevato non hanno evidenziato particolari valori di attenzione. Su richiesta ed indicazione di Arpac, la ditta ha adottato misure cautelati (es. non utilizzazione di mezzi meccanici, barriere, ecc) atte a mitigare gli impatti.

   10 gennaio 2014 - fiume Sele - tratto tra la località Caldaie del comune di Calabritto e la località Occhiato del comune di Caposele (circa 1,300 chilometri). L'attività è stata eseguita in emergenza su richiesta del servizio veterinario dell'Asl di Avellino per la moria di pesci verificatasi almeno tre giorni prima dell'intervento. A seguito della ricognizione dei luoghi, finalizzata alla verifica di immissioni o caratteristiche fisiche anomale, si appurava che le acque del fiume non presentavano anomalie. Non si rilevavano, infatti, odori o colorazioni particolari o iridescenze sul pelo libero dell'acqua né scarichi o immissioni anomale, ad eccezione delle confluenze a carattere torrentizio dei versanti limitrofi. Nel corso del sopralluogo sono stati prelevati n. 2 campioni di acque superficiali, rispettivamente alla località Caldaie del comune di Calabritto e alla località Occhiato del comune di Caposele. I valori dei dati analitici di entrambi i campioni di acque superficiali, relativamente ai parametri analizzati, non hanno evidenziato superamenti dei valori previsti alla Tab. 1/B, All. 2, Parte III, del decreto legislativo n. 152 del 2006 - qualità delle acque idonee alla vita dei pesci salmonidi e ciprinidi.

   10 ottobre 2014 - L'intervento è stato eseguito su richiesta del C.F.S. stazione di Lioni, per presenza di chiazze di idrocarburi. Nel corso del sopralluogo non sono state riscontrate le anomalie denunciate e sono stati acquisiti i campioni (reperti) prelevati dallo stesso C.F.S. per sottoporli ad analisi chimiche nei punti:

    fiume Sele - cantiere Pavoncelli (in prossimità del ponte di servizio);

    torrente Palmenta - a monte della confluenza nel fiume Sele;

    fiume Sele - a monte dell'immissione del torrente Palmenta.

  Gli esiti analitici non hanno evidenziato alterazione delle acque superficiali relativamente al parametro idrocarburi totali.

   7 agosto 2015 - Intervento eseguito su richiesta urgente della legione C.C. Campania stazione di Caposele per la presenza di scarico anomalo nel fiume Sele alla Via IV novembre del comune di Caposele.
   Nel corso del sopralluogo si constatava che in prossimità della confluenza di un collettore fognario comunale delle acque meteoriche localizzato in dx idraulica, le acque del fiume Sele apparivano torbide e di colore biancastro, circostanza che ha determinato il prelievo delle acque superficiali a monte e a valle dello scarico, non in atto al momento del sopralluogo. Durante la ricognizione dei luoghi è stato constatato che presso il cantiere Pavoncelli Bis erano in corso attività di pulizia dei piazzali e dell'impianto di trattamento, e reflui prodotti dall'attività cantieristica. Gli esiti analitici dei campioni indagati hanno rilevato presenza di sostanza organica, presumibilmente da attribuirsi a scarichi di natura industriale, per assenza di reflui di natura domestica, quali composti azotati, BOD5 e rapporto BOD5/COD, in concentrazioni molto basse.

   4 aprile 2016 - torrente Minuto - immissario del fiume Sele nei pressi del cantiere della Caposele Scarl. L'intervento è stato eseguito su richiesta urgente de C.F.S stazione di S. Angelo dei Lombardi per presenza di scarico anomalo nelle acque superficiali del torrente. Nel corso del sopralluogo è stato appurato lo scarico nel torrente delle acque d'infiltrazione estratte dalla galleria Pavoncelli. I campioni di dette acque superficiali prelevati hanno rilevato un incremento dei valori di concentrazione dei parametri COD, BOD5 e solidi sospesi tra il monte e il valle dello scarico.
   L'Arpac ha eseguito campionamenti di verifica delle acque superficiali in questione – successivamente all'evento – nel punto di campionamento AS04A, già inserito nel programma di monitoraggio, riscontrando il ripristino della qualità delle acque.
   Il materiale dello scavo è stato trasportato non a rifiuto, ma in quanto «terra e rocce da scavo», come prevede la normativa vigente, in una cava per il ripristino ambientale della stessa.

  In relazione alla centrale idroelettrica (da stralcio delibera Cipe n. 148 del 2006), la regione Campania ha rappresentato che il piano economico-finanziario sintetico, redatto sulla base del costo originario dell'intervento e presentato a corredo della relazione istruttoria del marzo 2006, evidenzia la mancanza di un «potenziale ritorno economico derivante dalla gestione», posto che gli interventi di cui si chiede il finanziamento sono catalogabili quali opere di rifacimento e come tali non modificano l'equilibrio economico e finanziario del gestore. Il piano evidenzia altresì – nel contesto di una complessiva valutazione del sistema acquedottistico in questione – che la produzione della centrale idroelettrica, finanziata separatamente dal commissario straordinario, verrà ceduta gratuitamente per gli usi pubblici del comune di Caposele.
  Quanto riferito testimonia che le problematiche rappresentate dall'interrogante sono tenute in debita considerazione da parte di questo Ministero, il quale ha provveduto, e provvederà per il futuro, alle attività e valutazioni di competenza in materia con il massimo grado di attenzione, e a svolgere un'attività di monitoraggio, tenendosi informato anche attraverso gli altri enti istituzionali competenti.
  

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   SIBILIA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   il territorio comunale di Montoro (Avellino) è stato interessato da eventi alluvionali nei giorni 2 e 11 settembre 2017 che hanno causato il riversamento di colate di fango e detriti su strade pubbliche e private con conseguenti difficoltà per la circolazione pedonale e carrabile, nonché problemi di natura igienico sanitaria;

   l'articolo 191, comma 1, del decreto legislativo n. 152 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni stabilisce che, «qualora si verifichino situazioni di eccezionale ed urgente necessità di tutela della salute pubblica e dell'ambiente, e non si possa altrimenti provvedere, il Presidente della Giunta regionale o il Presidente della provincia ovvero il Sindaco possono emettere, nell'ambito delle rispettive competenze, ordinanze contingibili ed urgenti per consentire il ricorso temporaneo a speciali forme di gestione dei rifiuti, anche in deroga alle disposizioni vigenti, garantendo un elevato livello di tutela della salute e dell'ambiente. Dette ordinanze sono comunicate al Presidente del Consiglio dei Ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio, al Ministro della salute, al Ministro delle attività produttive, al Presidente della regione e all'autorità d'ambito di cui all'articolo 201 entro tre giorni dall'emissione ed hanno efficacia per un periodo non superiore a sei mesi»;

   l'articolo 3, comma 5, del decreto-legge del 28 gennaio 2014, n. 4, relativamente ai materiali non già abbancati in siti di stoccaggio provvisorio, chiarisce quanto segue: «i rifiuti prodotti dagli eventi alluvionali sono classificati rifiuti urbani e ad essi è assegnato il codice CER 20.03.99. I Presidenti delle regioni interessate o i loro delegati definiscono le modalità di raccolta, trasporto, cernita, selezione, stoccaggio e destinazione finale indicando espressamente le norme oggetto di deroga e, fermo restando la tracciabilità di detti rifiuti, si avvalgono delle rispettive Agenzie regionali per la protezione ambientale (ARPA) e dei gestori del Servizio Pubblico Locale dei rifiuti urbani. Per i rifiuti urbani che abbiano il carattere della pericolosità i Presidenti delle regioni interessate o i loro delegati dispongono le misure più idonee ad assicurare la tutela della salute e dell'ambiente e sono smaltiti presso impianti autorizzati» –:

   di quali informazioni il Ministro interrogato sia in possesso, per quanto di competenza, relativamente ai fatti esposti in premessa e, in particolare, se i rifiuti accumulati lungo le strade pubbliche e private del comune di Montoro, a seguito degli eventi alluvionali del 2 e dell'11 settembre 2017, siano stati rimossi e dove siano stati provvisoriamente stoccati in tutta sicurezza per la salute umana e a tutela dell'ambiente.
(4-17935)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  Secondo quanto riferito dal comune di Montoro, in provincia di Avellino, nel mese di luglio e di agosto 2017 il territorio comunale è stato interessato da devastanti incendi che hanno distrutto centinaia di ettari demaniali in località Monte Salto, Vallone San Benedetto, Vallone San Cipriano, Vallone Palazzotto, Vallone Torello, Vallone Proaolo, Vallone Arenaro, Località Montagnelle.
  Inoltre, a seguito degli eventi meteorologici avversi del mese di settembre, il settore viabilità della provincia di Avellino è intervenuto attraverso le proprie squadre di manutenzione viaria, in data 11 settembre 2017, per liberare dai detriti un tratto di carreggiata della ex strada statale 88 nel centro abitato di Montoro alla località Piano, nei pressi del cimitero. Detto intervento, in fase emergenziale, è stato effettuato per consentire il transito lungo la citata arteria, prevedendo l'accumulo ai bordi della strada del materiale trasportato dalle acque alluvionali.
  Conseguentemente ai predetti eventi meteorologici, i tecnici del comune di Montoro e del consorzio di bonifica, unitamente al comando di polizia municipale, hanno effettuato un sopralluogo in data 6 e 11 settembre 2017 presso la frazione Piano rione Parrelle, lungo la porzione di versante del Monte Salto, sotteso al rione Parrelle, e più in dettaglio nelle aree di testata e di transito del Vallone Proaolo e del Vallone Torello, al fine di verificare le condizioni di rischio idrogeologico residuo e le attività da intraprendere nel più breve tempo possibile a tutela dell'abitato sottostante i richiamati valloni, redigendo apposito verbale.
  A seguito degli ulteriori avversi eventi atmosferici dell'11 settembre 2017 è stato immediatamente attivato il centro operativo comunale ed emessa ordinanza sindacale n. 140 del 2017 per la individuazione delle aree di abbancamento e stoccaggio provvisorio di terriccio vegetale fangoso e detriti riversatisi lungo la via Parrelle e via dei Due Principati.
  In pari data è stato redatto verbale di somma urgenza con il quale il comando di polizia municipale ha provveduto a convocare sul posto imprese locali che si sono rese disponibili ad effettuare i primi interventi di sgombero delle strade dal materiale proveniente da monte.
  Le ditte sono state incaricate di effettuare i primi interventi di messa in sicurezza. Inoltre, è stato dato ad apposita ditta l'incarico di trasportare il terreno vegetale fangoso in aree adiacenti le zone colpite dall'evento, nonché conferito incarico a laboratorio autorizzato di effettuare la caratterizzazione e le analisi su campioni dei terreni movimentati.
  Data la difficoltà di reperire aree di stoccaggio pubbliche, vista la richiamata ordinanza sindacale n. 140 del 2017, il comando di polizia municipale ha avuto la disponibilità, nell'immediatezza, da parte della proprietà privata del sito ubicato in via Giovanni Vernuccio, a poter utilizzare, gratuitamente, come area di primo stoccaggio la richiamata area. Nell'immediato è stata acquisita anche la disponibilità da parte della ditta esecutrice dei lavori a svolgere la funzione di custodia del cantiere e della relativa area di stoccaggio adeguatamente delimitata.
  Il materiale inviato al laboratorio è stato caratterizzato come segue: «Giudizio - il campione di terre e rocce da scavo analizzato rientra nella tabella 1 colonna A dell'allegato 5 del D.Lgs n. 152 del 2006 per i siti a verde pubblico, privato e residenziale, pertanto non risulta contaminato» (rapporto di prova n. 1298173988 del 15 settembre 2017 acquisito al protocollo dell'ente in data 27 settembre 2017 al n. 23937).
  Il comune di Montoro ha fatto presente, altresì, di essere in attesa di reperire le risorse necessarie per la corretta rimozione o il riutilizzo del materiale di che trattasi, e a tal fine ha attivato con gli enti sovracomunali preposti (prefettura di Avellino, consorzio di bonifica integrale Sarno, genio civile di Avellino e genio civile di Salerno, regione Campania settore protezione civile) gli interventi prioritari e di massima urgenza e indifferibilità volti a tutelare la vita umana in considerazione della gravità del dissesto idrogeologico ed ambientale in atto, che ha prodotto ulteriori eventi di colate detritiche che hanno interessato l'abitato a valle del Monte Salto ed hanno prodotto altri danni al patrimonio pubblico e privato oltre ad esporre a rischio la popolazione ivi residente.
  Della questione sono interessate, comunque, diverse amministrazioni, pertanto, qualora dovessero pervenire ulteriori elementi informativi, si provvederà a fornire un aggiornamento.
  Alla luce delle informazioni esposte, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a svolgere un'attività di monitoraggio, nonché a tenersi informato anche attraverso gli altri enti istituzionali competenti.
  

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   SIMONETTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   con sentenza n. 58 del 2015 la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 16, comma 4, della legge della regione Piemonte 24 ottobre 2002, n. 24, relativo agli obblighi dei gestori di discariche di corrispondere ai comuni che ospitano gli impianti un contributo annuo; in particolare il comma 4 citato si riferisce agli impianti di pretrattamento e trattamento di rifiuti di scarti animali;

   tale sentenza incide sulla legittimità del sistema di contribuzione a carico dei titolari di impianti, nei confronti dei comuni sede di discarica, di impianti di trattamento di rifiuti o di piattaforme di smaltimento di rifiuti urbani, assimilati agli urbani e speciali pericolosi e non pericolosi;

   la Corte ha dichiarato la natura tributaria, e non commutativa, del contributo, avente quali soggetti passivi i soggetti che gestiscono impianti, quali soggetti attivi i comuni sede degli impianti, quale presupposto economicamente rilevante la gestione di detti impianti e quale base imponibile una entità monetaria commisurata a «ogni 100 chilogrammi di materiale riutilizzato nell'anno»;

   a seguito alla dichiarazione della natura tributaria del contributo, la Corte ha ritenuto sussistere la violazione dell'articolo 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, in quanto la regione Piemonte ha istituito un tributo gravante sul presupposto dello svolgimento di attività rientrante nella gestione dei rifiuti, materia su cui sussiste riserva di legge statale di cui all'articolo 117 della Costituzione; in particolare, la Corte ha ritenuto che la riserva di legge statale «deve essere applicata nell'accezione che consenta di preservare il bene giuridico “ambiente” dai possibili effetti distorsivi derivanti da vincoli imposti in modo differenziato in ciascuna Regione»;

   sulla base di tale sentenza la regione Piemonte, in sede di revisione della disciplina di gestione dei rifiuti e del servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani, non prevede più tale tipologia di indennizzo;

   i comuni che ospitano sul loro territorio una discarica o un impianto di trattamento rifiuti sono sempre stati destinatari di compensazioni economiche, dirette ad indennizzare i disagi e gli impatti sul territorio e sui cittadini provocati dalla presenza di tali impianti, e hanno destinato tali risorse all'erogazione di servizi essenziali per i residenti;

   la preclusione di tali trasferimenti crea preoccupazione tra le amministrazioni comunali;

   dal sito internet della regione Piemonte si apprende che, sul possibile indennizzo ai comuni, sede di impianto di discarica, la regione Piemonte sta procedendo a interessare della questione i ministeri competenti –:

   alla luce della sentenza n. 58 del 2015 della Corte costituzionale e della competenza dello Stato in materia, se il Ministro non ritenga opportuna l'apertura di un tavolo di confronto con le regioni, ai fini dell'assunzione di iniziative volte a definire una disposizione a carattere nazionale che ristabilisca la possibilità di introduzione di indennizzi in favore dei comuni sede di impianti di discarica o di trattamento di rifiuti, e che eviti discriminazioni sul territorio nazionale.
(4-17462)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa all'assunzione di iniziative finalizzate a definire una disposizione a carattere nazionale che consenta l'introduzione di indennizzi in favore dei comuni sede di impianti di discarica o di trattamento rifiuti, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  Come noto, la questione è emersa a seguito della pronuncia della sentenza n. 58 del 2015 della Corte Costituzionale che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 16, comma 4, della legge della regione Piemonte del 24 ottobre 2002, n. 24, che impone ai gestori di discariche di corrispondere, ai comuni che ospitano tali impianti, un contributo annuo.
  Nel merito della questione, si precisa che l'articolo 3, della legge n. 549 del 1995, al comma 24, ha istituito il tributo speciale per il deposito in discarica individuando, quale soggetto passivo «il gestore dell'impresa di stoccaggio con obbligo di rivalsa nei confronti di colui che effettua il conferimento». La norma inoltre prevede che il tributo sia dovuto alle regioni e che il gettito derivante dall'applicazione del tributo affluisca in un apposito fondo della regione destinato a favorire la minore produzione di rifiuti, le attività di recupero di materie prime e di energia nonché a realizzare la bonifica dei suoli inquinati, comprese le aree industriali dismesse, il recupero delle aree degradate per l'avvio ed il finanziamento delle agenzie regionali per l'ambiente oltre che la istituzione e manutenzione delle aree naturali protette.
  L'impiego delle risorse è disposto dalla regione, nell'ambito delle destinazioni sopra indicate, con propria deliberazione, ad eccezione di quelle derivanti dalla tassazione dei fanghi di risulta, che sono destinate ad investimenti di tipo ambientale riferibili ai rifiuti del settore produttivo soggetto al predetto tributo.
  Tanto premesso, in considerazione delle finalità del provvedimento introdotto dalla regione Piemonte e anche alla luce del confronto avuto sul tema con gli enti territoriali coinvolti, il Ministero dell'ambiente ha dato parere favorevole alla modifica del comma 27, dell'articolo 3, della legge n. 549 del 1995 intervenuta, da ultimo, con l'articolo 1, comma 531, lettera
a), della legge. 27 dicembre 2017, n. 205, a decorrere dal 1° gennaio 2018.
  La modifica, contenuta nel citato emendamento, prevede che le regioni destinino parte del tributo riscosso, ai sensi del comma 27, dell'articolo 3 della legge n. 549 del 1995, ai comuni al fine di indennizzarli per i disagi provocati dalla presenza sul proprio territorio di un impianto di discarica o di un impianto di incenerimento senza recupero energetico.
  Tali risorse potranno essere utilizzate dai comuni stessi per interventi atti a mitigare gli impatti negativi ed a favorire la corretta gestione del ciclo integrato dei rifiuti. Inoltre lo stesso emendamento ha disposto la modifica del comma 30 dello stesso articolo 3, della legge n. 549 del 1995 nella parte in cui si pone in capo alle regioni la definizione delle modalità di ripartizione della quota di tributo, spettante ai comuni, sulla base di criteri generali, facenti riferimento al criterio socio-economico-ambientale, all'estensione dei comuni interessati, alla popolazione ivi residente nonché al sistema di viabilità del territorio.
  

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   SPESSOTTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   il decreto interministeriale Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare-Ministero delle infrastrutture e dei trasporti del 19 gennaio 2016, con cui è stata approvata la valutazione di impatto ambientale del Masterplan 2021 dell'aeroporto internazionale di Venezia Tessera, prevede, al 1o punto delle azioni obbligatorie, che Save, – come gestore aeroportuale – Enac – in qualità di proponente – ed Arpav presentino ai Ministeri competenti un piano di monitoraggio della qualità dell'aria, sia invernale che estiva, in siti già individuati nel Sia, al fine di effettuare le opportune verifiche ambientali;

   in data 14 dicembre 2016, l'interrogante inviava una richiesta di accesso agli atti al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, chiedendo copia del suddetto piano di monitoraggio per l'aeroporto di Venezia Tessera, piano che deve essere effettuato, come specificato nel citato decreto interministeriale, prima dell'avvio dei lavori, per le opere comprese nel nuovo MP2021;

   a tale richiesta, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare rispondeva di non aver ricevuto, a far data del 20 dicembre 2016, nessuna istanza da parte di Enac per l'avvio della procedura di verifica di ottemperanza delle prescrizioni del decreto di valutazione di impatto ambientale concernente il Masterplan 2021 dell'aeroporto di Venezia;

   si ricorda come, stando agli ultimi dati di ricerca sanitaria (si vedano, a titolo di esempio, le indagini epidemiologiche sui residenti vicino agli aeroporti di Ciampino e di Malpensa o lo studio del Censis del 2014), le persone che risiedono nei dintorni aeroportuali sono maggiormente esposte a disturbi di salute, legati a malfunzionamenti del sistema cardiocircolatorio, dei polmoni (tra cui asma, patologie polmonari croniche e cancro polmonare) del sistema immunitario (rischio di tumore al seno in continua crescita nelle donne) o dell'apparato psichico (ansia, depressione, disturbi del sonno, somatizzazioni) –:

   quali siano i motivi per cui non è stata ancora avviata da parte dei soggetti coinvolti la campagna di monitoraggio della qualità dell'aria nei siti dell'aeroporto di Venezia Tessera già individuati nel Sia, campagna che deve essere effettuata, come specificato nel citato decreto interministeriale, prima dell'avvio dei lavori;

   quali iniziative si intendano intraprendere, per quanto di competenza, nei confronti di Enac, affinché venga data immediata attuazione alla previsione contenuta nel decreto interministeriale del 19 gennaio 2016 in merito alla relazione contenente gli esiti della campagna di monitoraggio, da trasmettersi al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.
(4-16970)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  Il Masterplan 2021 dell'Aeroporto «Marco Polo» di Venezia Tessera è stato oggetto del decreto di compatibilità ambientale decreto ministeriale 2016-0009 del 19 gennaio 2016, di esito positivo subordinatamente al rispetto di specifiche prescrizioni.
  In particolare, la prescrizione di cui al punto A.1 del citato decreto di compatibilità ambientale prevede che la società proponente, in accordo con ARPA Veneto, predisponga, prima della realizzazione dell'opera, una nuova campagna di monitoraggio della qualità dell'aria, da effettuarsi sia in inverno che in estate. La prescrizione prevede, inoltre, che la società presenti gli esiti di tale campagna in una apposita relazione, e che tali dati siano comparati con i dati di qualità dell'aria riportati nella documentazione predisposta per l'istruttoria di valutazione ambientale del Master Plan 2021 dell'aeroporto di Venezia Tessera.
  ARPA Veneto, in data 23 febbraio 2017, ha trasmesso al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare una nota di condivisione degli indirizzi del piano di monitoraggio dell'ambientale presentato dalla società proponente, con riferimento anche alle azioni proposte per la matrice «atmosfera», rappresentando che tali azioni appaiono «[...] idonee ai fini di un efficace monitoraggio degli eventuali impatti ambientali che le attività di cantiere relative al Master Plan 2021 [...]».
  Con nota del 17 marzo 2017, la Società proponente ha presentato istanza di avvio del procedimento di verifica di ottemperanza alle prescrizioni di cui alla lettera A) nn. 1, 3, 5a, 5b, 7 e 8.
  In data 18 maggio 2017, la società proponente ha richiesto la sospensione dell’
iter istruttorio del procedimento di verifica di ottemperanza, con l'intento di integrare la documentazione fino a quel momento trasmessa, per rispondere in maniera più approfondita alle richieste delle suddette prescrizioni.
  Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, in data 19 maggio 2017, ha concesso la sospensione dei procedimenti di verifica di ottemperanza richiesta dalla società proponente, fissando, inoltre, in 60 giorni a partire dalla data della comunicazione il termine per la consegna della documentazione integrativa.
  In data 18 luglio 2017, la società proponente ha richiesto un'ulteriore proroga di 30 giorni ai termini per la consegna della documentazione di approfondimento. Detta proroga è stata concessa in data 20 luglio 2017.
  Con nota del 9 agosto 2017, la società proponente ha trasmesso la documentazione di approfondimento in risposta alle richieste delle prescrizioni di cui alla lettera A), nn. 1, 3, 5a, 5b, 7 e 8, ai fini del prosieguo dell'iter istruttorio del procedimento di verifica di ottemperanza.
  Il Ministero, con nota del 5 settembre 2017, ha disposto il riavvio dell'istruttoria di verifica di ottemperanza alle prescrizioni di cui alla lettera A) nn. 1, 3, 5a, 5b, 7 e 8.
  Alla data odierna, il procedimento di verifica di ottemperanza alle citate prescrizioni del decreto di compatibilità ambientale n. 9 del 19 gennaio 2016 si è concluso con la determinazione direttoriale DVA-DEC-2018-0000035 del 24 gennaio 2018. Il suddetto provvedimento, acquisito il parere positivo della commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale VIA/VAS, n. 2602 del 12 gennaio 2018, determina:

   l'ottemperanza alla prescrizione lettera A) n. 1;

   l'ottemperanza alla prescrizione lettera A) n. 3, per quanto di competenza del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;

   l'ottemperanza alla prescrizione lettera A) n. 5;

   l'ottemperanza alla prescrizione lettera A) n. 5b, per le attività preventive di impostazione del controllo sul traffico;

   la non ottemperanza alla prescrizione lettera A) n. 5b, per gli aspetti di attuazione, del decreto di compatibilità ambientale DEC – VIA n. 9 del 19 gennaio 2016, relativo al progetto «Aeroporto “Marco Polo” di Venezia Tessera – Master Plan 2021».

  Tutta la documentazione presentata nel corso del procedimento di verifica di ottemperanza alle prescrizioni di cui al decreto sopra richiamato, è pubblicata sul portale delle valutazioni ambientali all'indirizzo: http://www.va.minambiente.it/it-IT/Oggetti/Documentazione/1492/2870.
  Alla luce delle informazioni esposte, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a svolgere le attività e valutazioni di competenza in materia con il massimo grado di attenzione, nonché a tenersi informato anche attraverso gli altri enti istituzionali competenti.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   SPESSOTTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   la Giunta comunale di Venezia ha approvato il 17 ottobre 2017 la delibera che recepisce il «nuovo accordo di programma per l'adozione coordinata e congiunta di misure di risanamento per il miglioramento della qualità dell'aria nel Bacino padano», sottoscritto dalle regioni Veneto, Lombardia, Piemonte ed Emilia-Romagna e il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare il 9 giugno 2017;

   tale delibera definisce anche le linee d'indirizzo per l'adozione delle misure temporanee di contenimento dei livelli di concentrazione degli inquinanti atmosferici da applicarsi nel comune di Venezia nel corso della stagione termica con valenza dal 23 ottobre 2017 al 15 aprile 2018, con particolare riguardo ai livelli di concentrazione del Pm10;

   tali misure, finalizzate a un miglioramento della qualità dell'aria, riguardano però esclusivamente il traffico veicolare e l'utilizzo degli impianti termici per la climatizzazione invernale, mentre rimangono escluse dall'accordo forme di limitazioni al traffico acqueo che, come noto, rappresenta a Venezia la maggior voce di inquinamento da polveri sottili, anche a causa dell'utilizzo da parte dei natanti di gasolio o miscele benzina-olio, altamente inquinati;

   come emerge dalla lettura dei recenti dati delle centraline Arpav, localizzate nel centro storico di Venezia, il Rio Novo ha fatto registrare continui sforamenti per quanto riguarda le concentrazioni di diossido di azoto NO2, superiore anche di 3 volte la quantità massima prevista, e tali da classificare quest'area come la zona più inquinata di tutto il comune di Venezia, terraferma compresa;

   anche le polveri Pm 10 hanno raggiunto nella città lagunare, nel solo mese di ottobre 2017, ben sei superamenti nei primi quindici giorni del mese, per cui non sembra giustificato alla interrogante l'esclusione dei natanti dall'accordo di programma per la qualità dell'aria (si veda l'allegato «A» della delibera della giunta regionale del Veneto n. 86 del 06 giugno 2017) dalle misure di limitazione del traffico;

   Venezia è una tra le città più inquinate d'Italia, con le più alte percentuali europee, assieme a tutta la provincia, di morti premature a causa dello smog, e il trasporto acqueo rappresenta il settore maggiormente responsabile di emissioni inquinanti –:

   considerata la specificità della città di Venezia, se il Ministro intenda spiegare per quale motivo, nell'accordo siglato tra regioni padane e il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per il miglioramento dell'aria, non siano state inserite misure di limitazione del traffico anche per i natanti - quali taxi, grandi navi, motoscafi e mototopi - oltre che per le autovetture e i veicoli commerciali, considerato lo sforamento nel centro storico lagunare di Venezia dei limiti emissivi dati dall'alta concentrazione di Nox e polveri sottili;

   se il Ministro ritenga opportuno adottare iniziative urgenti — anche attraverso una modifica ad hoc dell'accordo di cui in premessa - volte a salvaguardare Venezia dall'inquinamento atmosferico ed acustico prodotto dai natanti circolanti nella città d'acqua, a tutela della salute pubblica e dei suoi cittadini.
(4-18245)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, concernente il miglioramento della qualità dell'aria nel bacino Padano, sulla base degli elementi acquisiti dalla direzione generale per i rifiuti e l'inquinamento di questo Ministero, si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare, si deve segnalare che le regioni del bacino padano, attraverso una intensa di collaborazione reciproca ed un continuo confronto con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sono da anni impegnate ad attuare attività comuni volte al raggiungimento degli ambiziosi obiettivi di qualità dell'aria posti a maggiore tutela della salute dei cittadini dalle direttive comunitarie e dalle norme nazionali di riferimento.
  Ciò nonostante, proprio in ragione della specificità meteo-climatica ed orografica di tali territori che impediscono la dispersione degli inquinanti, l'impegno delle sole amministrazioni regionali e locali non è stato sufficiente a risolvere il problema.
  Con l'accordo di bacino padano, sottoscritto nel dicembre 2013, le regioni Lombardia, Emilia-Romagna, Piemonte, Veneto, Friuli Venezia Giulia e Valle d'Aosta, le province di Trento e Bolzano, i Ministeri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, dello sviluppo economico, delle infrastrutture e dei trasporti, delle politiche agricole, alimentari e forestali e della salute, hanno individuato una serie di misure di breve, medio e lungo periodo volte a contrastare l'inquinamento atmosferico nelle zone del bacino padano. Per promuovere specifiche strategie di intervento sono stati individuati i settori maggiormente responsabili delle emissioni inquinanti, già oggetto di misure e strategie di intervento nella pianificazione regionale: la combustione di biomasse, il trasporto merci, il trasporto passeggeri, il riscaldamento civile, l'industria e la produzione di energia e l'agricoltura.
  Nonostante tale iniziativa abbia coinvolto tutti i livelli istituzionali, e nonostante la progressiva riduzione del numero delle zone di superamento dei valori limite e dell'entità dei superamenti per il materiale particolato PM10 e per il biossido di azoto, i livelli di tali inquinanti nell'aria continuano a superare i valori massimi stabiliti dalle norme comunitarie, soprattutto nelle aree del Nord Italia e nel bacino padano.
  In tale contesto, al fine di avviare una nuova e più determinata strategia che si integri con quanto già messo in campo dalle Regioni, è stato sottoscritto il nuovo accordo del bacino padano, limitato alle quattro regioni maggiormente interessate dalle problematiche di qualità dell'aria (Emilia Romagna, Lombardia, Piemonte e Veneto), in cui sono state definite una serie di ulteriori misure di mitigazione dell'inquinamento atmosferico da adottare, in modo congiunto e coordinato nei settori dei trasporti, del riscaldamento civile a biomassa e dell'agricoltura, che ad oggi risultano i tre settori che impattano sul territorio dell'intero bacino padano.
  Il nuovo accordo, pertanto, affronta in modo esteso i problemi comuni alle quattro regioni per le quali l'intervento nazionale di coordinamento e supporto risulta decisivo. Si segnala peraltro che, sulla base delle informazioni reperite dal comune di Venezia, per quanto riguarda l'aspetto relativo alla mobilità e circolazione acquea, che il regolamento per il coordinamento della navigazione locale nella laguna veneta, regola già le emissioni nocive da parte delle unità di navigazione.
  Si fa presente inoltre che, al fine di limitare al minimo le emissioni nocive delle navi in arrivo in città, il comune di Venezia, l'autorità di sistema portuale del Mare Adriatico e 41 compagnie di navigazione, a marzo 2017 hanno sottoscritto l'accordo volontario «Venice Blue Flag 2017», mentre è stato demandato all'Arpa Veneto il compito di valutare l'inquinamento atmosferico prodotto dal traffico navale, mediante l'utilizzo di diverse tecniche e strumenti, quali le misure di qualità dell'aria, le stime delle emissioni atmosferiche del traffico navale a Venezia, che quantificano gli inquinanti rilasciati in atmosfera a partire dai dati dei traffici portuali, e gli studi con strumenti modellistici.
  A tal proposito, secondo quanto riferito da Arpa Veneto, il centro storico di Venezia, caratterizzato da una mobilità dipendente dall'utilizzo esclusivo di natanti, l'accordo non prevede misure specifiche di limitazione al traffico.
  Il comune di Venezia, infatti, ha recepito i contenuti dell'accordo emanando la delibera di giunta n. 240 del 17 ottobre 2017 e le conseguenti ordinanze n. 74712017 n. 74712017 e la n. 74912017 per l'attuazione delle misure di contenimento dei livelli di concentrazione di PM10.
  Tutti i provvedimenti emanati sono reperibili sul sito istituzionale del comune di Venezia, al
link http://www.comune.venezia.it/it/content/misure-contenimento-deilivelliconcentrazione-pm 10.
  Il piano regionale di tutela e risanamento dell'atmosfera, approvato con delibera del consiglio regionale n. 90 del 2016, prevede già un elenco di azioni specifiche da attuare a Venezia, in relazione al settore dei trasporti e della mobilità. Trattasi dell'azione A7.4-
bis «Attivazione di un Accordo di programma tra ACTV, comune di Venezia, regione Veneto, Capitaneria di Porto e associazioni di categoria di trasportatori locali di merci su mezzi acquatici per il progressivo passaggio dall'attuale parco nautica non ecocompatibile a mezzi nautici con caratteristiche emissive migliori» e di tutte le azioni, dalla A8.6 alla A8.12-bis, che il piano prevede specificatamente per i porti.
  Proprio in adempimento all'azione A8. I 2-
bis «Predisposizione di un piano di monitoraggio che preveda l'utilizzo di laboratori mobili, previo accordo di programma tra comune di Venezia e dipartimento ARPAV Provinciale di Venezia» è stata attivata, dal 10 settembre 2017, la stazione di Venezia-Rio Novo.
  Di seguito, si riportano i primi dati di particolato PM10 e di riossido di azoto (NO2) relativi alla stazione di VE-Rio Novo a confronto con le altre stazioni della rete situate in centro storico e in terraferma, a Mestre. Attualmente nel centro storico di Venezia sono presenti due stazioni di monitoraggio: VE-Sacca Fisola (fondo urbano) e VE-Rio Novo (traffico urbano).
  Sempre secondo quanto riferito da Arpav, le stazioni di traffico presentano concentrazioni di NO2 più elevate rispetto alle stazioni di fondo, mentre per quanto riguarda le polveri PM10 non vi sono differenze evidenti tra concentrazioni registrate in stazioni di traffico e di fondo.
  In particolare, Arpav ha rappresentato su grafico il «giorno tipo» delle concentrazioni orario di NO2 registrate nel periodo dal 1° settembre 2017 al 23 ottobre 2017. Tale elaborazione ha permesso di evidenziare le macro differenze tra un sito e l'altro anche se, occorre sottolineare, il periodo preso in considerazione è molto limitato. Il grafico mostra che le stazioni di traffico di VE-Rio Novo, in centro storico, e di VE-Beccaria, stazione di traffico situata in terraferma, presentano concentrazioni orarie mediamente più elevate rispetto alle stazioni di fondo di VE-Sacca Fisola (centro storico) e di VE-Parco Bissuola (terraferma). La stazione di VE-Rio Novo e la stazione di VE-Beccaria mostrano i due tipici picchi delle concentrazioni orarie di NO2, al mattino e in serata, in corrispondenza del probabile incremento del traffico natanti, nel primo caso, e di veicoli nel secondo.
  I valori limite per l'NO2 stabiliti dal decreto legislativo n. 155 del 2010 sono il limite annuale fissato in 40 pglm3 e il limite orario pari a 200 ig/m3 da non superare per più di 18 volte per anno. La stazione di VE-Rio Novo, non ha registrato, nel periodo considerato, superamenti del valore limite orario di 200 pg/m3 anche se, evidentemente, presenta valori di NO2 più elevati rispetto alle altre stazioni, soprattutto durante la mattinata.
  Considerando l'altro parametro, PM10, sempre Arpav riferisce che non vi sono differenze sostanziali nei valori registrati nelle stazioni di traffico e di fondo, sia in centro storico che in terraferma. Il valore limite giornaliero di 50 pg/m3 è stato superato in tutte e quattro le stazioni nelle giornate dal 3 al 6 ottobre 2017. Un altro episodio di superamento del valore limite giornaliero si è verificato a partire dal 12 ottobre e si è prolungato fino al 22 ottobre.
  La problematica legata ai superamenti del PMIO non è locale ma coinvolge un'area più vasta, a scala regionale e addirittura di bacino padano.
  La stazione di VE-Rio Novo evidenzia, quindi, dai primi dati raccolti, una criticità in relazione alle concentrazioni orarie di NO2. La valutazione dovrà comunque essere eseguita, conformemente al decreto legislativo n. 155 del 2010 con una serie di dati sufficienti per il calcolo degli indicatori di legge e nel rispetto degli obiettivi di qualità del dato fissati dall'allegato I del medesimo decreto.
  Come ulteriori elementi informativi si segnala, in ogni caso, che il nuovo accordo stabilisce all'articolo 4 che ai fini del monitoraggio dell'attuazione dell'accordo stesso sia istituito un apposito gruppo di lavoro, composto da rappresentanti delle parti, avente il compito di effettuare periodicamente, comunque almeno una volta ogni sei mesi, una ricognizione in merito all'esecuzione degli impegni, e di formulare alle parti proposte relative all'integrazione o estensione dell'accordo.
  In tale quadro, tenuto conto che l'accordo stabilisce anche forme di coordinamento e raccordo tra le parti e i comuni delle zone interessate dalle misure, per la formulazione di indirizzi in merito all'applicazione degli interventi, risulta possibile, qualora ravvisato dalle parti, concordare integrazioni o estensioni dell'accordo dirette ad individuare ulteriori misure da attuare ai fini del miglioramento della qualità dell'aria e del contrasto all'inquinamento atmosferico.
  Da ultimo, per completezza di informazioni, si segnala che in data 7 novembre 2017 si è riunito il comitato interministeriale per Venezia. In quella sede è stata valutata, tra l'altro, la possibilità di riesaminare l'impianto del decreto Clini-Passera, laddove indica la necessità di individuare «vie di navigazione praticabili alternative» al Canale Giudecca per il raggiungimento della Marittima, coinvolgendo anche altre aree comprese nell'ambito della circoscrizione demaniale marittima di competenza dell'autorità di sistema portuale del Mare Adriatico settentrionale che, nel contesto del nuovo assetto organizzativo delle attività portuali, appaiono oggi raggiungibili in piena sicurezza.
  L'atto di indirizzo emerso, all'esito dell'incontro, rappresenta sicuramente un punto di equilibrio convincente tra la prioritaria tutela ambientale, lo sviluppo territoriale e l'attività imprenditoriale che contraddistingue Venezia. Ciò è stato il frutto di un ottimo lavoro congiunto da parte delle istituzioni interessate. La soluzione adottata al Governo, condivisa con i principali enti territoriali coinvolti, è quella proposta dall'autorità portuale secondo cui l'ingresso delle grandi navi non sarà più previsto dalla bocca di porto del Lido ma avverrà dalla bocca di porto Malamocco fermandosi a Marghera, senza interferire con il traffico commerciale e consentendo alle attività di coesistere.
  In questa fase, in attesa che venga organizzato il porto di Marghera, verranno messe in atto da parte dell'autorità marittima una serie di azioni volte a fissare nuovi criteri oggettivi che tengano conto di tutte le variabili architettoniche, paesaggistiche e ambientali, allo scopo di preservare l'intero ecosistema della Laguna.
  Della questione sono interessate anche altre amministrazioni, pertanto, qualora dovessero pervenire nuovi e utili elementi informativi, si provvederà a fornire aggiornamenti.
  Ad ogni modo, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare continuerà ad operare, assieme alle altre istituzioni competenti, con lo stesso livello di attenzione, avendo ben chiaro l'obiettivo principale: un attraversamento sostenibile di Venezia, che non pregiudichi ma anzi valorizzi ancor di più la straordinaria attrattiva di una città unica e ammirata in tutto il mondo.
  

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   TANCREDI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   nel recepire la direttiva 2004/54/CE, che ha introdotto misure aggiuntive per l'innalzamento della sicurezza nelle gallerie di lunghezza superiore a 500 metri presenti lungo la rete stradale trans-europea (Tern), il legislatore nazionale ha sottolineato, tra le altre cose, la necessità che le infrastrutture presentino caratteristiche di resistenza al fuoco;

   in particolare, al punto 2.7 dell'Allegato B del decreto legislativo 5 ottobre 2006, n. 264, di recepimento della menzionata direttiva, si specifica che «la struttura principale di tutte le gallerie in cui un cedimento locale della struttura possa avere conseguenze catastrofiche, come ad esempio le gallerie sommerse o le gallerie che possono causare il cedimento di importanti strutture adiacenti, deve assicurare un livello sufficiente di resistenza al fuoco»;

   diversamente, non sono presenti prescrizioni sui materiali da costruzione da impiegare all'interno della galleria, benché il loro contributo, sia in termini di potere calorifico che di emissioni di fumi e sostanze tossiche, possa essere significativo ai fini della salvaguardia degli utenti e della conservazione delle opere;

   questo problema si presenta in particolare per i materiali usati massivamente all'interno delle gallerie, come ad esempio nelle pavimentazioni stradali, che possono contribuire a contenere i carichi d'incendio e il danneggiamento della stessa struttura, influendo altresì sullo svolgimento delle operazioni di soccorso;

   la centralità degli standard e delle condizioni armonizzate dei prodotti di costruzione, con riferimento alla sicurezza in caso di incendio, diversamente, è stata oggetto di intervento normativo europeo con il regolamento (CE) 305/2011 che, tra le altre cose, ha stabilito al punto 2 dell'allegato 1 la necessità che le opere di costruzione debbano essere concepite e realizzate in modo che la generazione e la propagazione del fuoco e del fumo al loro interno siano limitate;

   in altri ordinamenti europei, come quello tedesco, il recepimento della direttiva 2004/54/CE si è tradotto in una precisa indicazione di impiego nelle gallerie di soli materiali di costruzione di classe A (DIN 4102);

   nell'ordinamento italiano tali requisiti vengono richiesti al punto 1.2 dell'allegato II del decreto ministeriale 28 ottobre 2005 in materia di requisiti di sicurezza per le gallerie ferroviarie –:

   se il Ministro interrogato non reputi opportuno assumere iniziative normative al fine di introdurre modifiche al decreto legislativo 5 ottobre 2006, n. 264, volte a prevedere nelle gallerie autostradali di lunghezza superiore a 800 metri l'impiego di materiali, anche per le pavimentazioni stradali, che garantiscano maggiori standard di sicurezza in caso di incendio.
(4-18142)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, sulla base delle informazioni pervenute dalla direzione generale per le strade e le autostrade e per la vigilanza e la sicurezza nelle infrastrutture stradali e dalla Commissione permanente per le gallerie di questo Ministero, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  Il decreto legislativo n. 264 del 2006 in recepimento della direttiva 2004/54/CE sulla sicurezza nelle gallerie della rete TERN non definisce in dettaglio gli aspetti tecnici riferiti alle singole misure di sicurezza previste.
  Questa Amministrazione, congiuntamente al Ministero dell'interno — dipartimento dei vigili del fuoco, sta predisponendo una proposta di regola tecnica per le gallerie stradali che dovrebbe disciplinare una serie di aspetti tecnici, non definiti compiutamente dal citato decreto legislativo n. 264 2006, in particolare finalizzati alla prevenzione incendi, in cui potrà essere tenuto in considerazione anche l'aspetto delle pavimentazioni e di quelle in calcestruzzo in particolare.

Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti: Riccardo Nencini.


   TARICCO, GRIBAUDO, ROMANINI, GASPARINI, RUBINATO, MIOTTO, ZANIN, CARRA, PAOLA BRAGANTINI, D'INCECCO, VENITTELLI e FALCONE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   con l'articolo 16-bis della legge 11 novembre 2014, n. 164 «decreto sblocca Italia», è stata modificata la disciplina degli accessi sulle strade affidate alla gestione della società Anas spa e la relative modalità di riscossione dei canoni, stabilendo che per gli accessi autorizzati alla data del 31 dicembre 2014 sulle strade gestite da Anas spa, a decorrere dal 1° gennaio 2015 non fosse dovuta alcuna somma fino al rinnovo dell'autorizzazione e che, per tali istanze di rinnovo dell'autorizzazione, si dovesse corrispondere una somma determinata in base a quanto stabilito con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti da adottare entro il 31 marzo 2015;

   la novella legislativa prevede per gli accessi esistenti alla data del 31 dicembre 2014 e privi di autorizzazione, che la società Anas spa, a seguito di istanza di regolarizzazione da parte del titolare, provveda alla verifica delle condizioni di sicurezza e determini, in base ai criteri contenuti nel decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti di cui al comma 23-quinquies dell'articolo 55 della legge n. 449 del 1997, il pagamento di una somma da corrispondere in un'unica soluzione; tale somma comunque non può superare l'importo del canone esistente prima della entrata in vigore della norma di modifica, aggiornato in base agli indici dei prezzi al consumo rilevati all'Istat;

   si sono rilevati numerosi casi di, incongruenze nell'applicazione delle norme, casi di aumenti spropositati dei canoni, nonché un'applicazione disomogenea sul territorio nazionale che ha avuto pesanti ripercussioni su famiglie, imprese e attività commerciali;

   la legge prevedeva, inoltre, di concludere ogni procedura di contenzioso col pagamento del 30 per cento di quanto dovuto o del 60 per cento, nel caso si intendesse ricorrere alla rateizzazione fino ad un massimo di nove rate annuali, e sancire l'obbligo per Anas spa di provvedere al censimento di tutti gli accessi esistenti, autorizzati e non, sulle strade di propria competenza al fine di garantire le condizioni di sicurezza della circolazione anche attraverso l'eventuale chiusura degli accessi abusivi entro il 30 giugno 2015;

   in data 3 agosto 2017, la Conferenza unificata ha sottoscritto l'intesa sul decreto del Presidente del Consiglio dei ministri per la revisione delle reti stradali di interesse nazionale e regionale ricadenti in Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Lazio, Liguria, Marche, Molise, Puglia, Toscana e Umbria e per altre regioni sono in definizione analoghi provvedimenti;

   il decreto, al fine di ridurre ulteriormente la pluralità di gestori e migliorare l'esercizio dell'intera rete, prevede il trasferimento ad Anas spa di 3.523 chilometri di strade dalle suddette regioni, portando a 30 mila chilometri la rete gestita per unificare il riferimento ad unico soggetto e garantire la continuità degli itinerari, evitando la frammentazione della gestione ed incrementando l'efficienza della manutenzione;

   ad oggi molti cittadini si trovano ancora a gestire contenziosi irrisolti con Anas spa, riguardanti richieste di regolarizzazione di accessi carrai, mancata regolarizzazione e conseguente mancato pagamento, mentre altri si sono visti negare le dovute autorizzazioni d'uso, nonostante i regolari pagamenti effettuati;

   tale situazione di incertezza e di contenzioso, protraendosi nel tempo complica ulteriormente il regolare svolgimento di attività produttive e determina gravi disagi per i cittadini e le imprese –:

   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto descritto in premessa e se non ritenga necessario assumere iniziative per effettuare una verifica approfondita delle varie casistiche occorse anche a livello regionale, facendo sì che Anas spa ottemperi all'obbligo del censimento degli accessi autorizzati e concluda con urgenza tutti i procedimenti di contenzioso in essere.
(4-18578)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta sulla base delle informazioni pervenute dalla direzione generale per le strade e le autostrade e per la vigilanza e la sicurezza nelle infrastrutture stradali di questo Ministero e dalla società ANAS.
  La normativa vigente, decreto del Presidente della Repubblica n. 495 del 1992, regolamento di esecuzione del codice della strada, prevede il rispetto dei requisiti di «interdistanza» conformemente ai quali un accesso, su strade extraurbane secondarie, costituenti la grande maggioranza della viabilità ANAS, è regolare, e quindi autorizzabile, soltanto se situato ad almeno 300 metri da altri accessi; tale distanza minima può ridursi a 100 metri «per tratti di strade che, in considerazione della densità di insediamenti di attività o di abitazioni, sono soggetti a limitazioni di velocità e per i tratti di strade compresi all'interno di zone previste come edificabili o trasformabili dagli strumenti urbanistici generali od attuativi vigenti» (articolo 45, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica n. 495 del 1992).
  È evidente che, un contesto territoriale molto antropizzato non permette fisicamente il rispetto di tali interdistanze e la successione di accessi irregolari/abusivi aperti a lato strada (per esempio a 80 o 90 metri uno dall'altro o anche meno) produce una situazione tale per cui l'eventuale chiusura dell'uno renderebbe, per ciò solo, automaticamente regolarizzabile quello vicino e viceversa.
  Risultano, quindi, del tutto comprensibili le criticità sedimentate in ragione del concorrere di taluni fattori quali: la rete stradale «storica» di Anas, la presenza, sulla predetta rete, di accessi aperti da tempo immemorabile, regolari secondo la precedente normativa ma divenuti irregolari con il nuovo codice della strada (anni 1992-1993), nonché, la necessità, ribadita anche dal Ministero dell'interno, di munire di formale autorizzazione tutti gli accessi, pena l'irrogazione dell'apposita sanzione amministrativa pecuniaria e accessoria (ripristino dello stato dei luoghi, cioè chiusura coattiva del varco).
  In tale quadro non mancano pronunce giurisdizionali che, ad esempio, rispetto a due accessi uno agricolo e l'altro commerciale non rispettanti la distanza minima e privi di formale provvedimento autorizzativo, affidano ad ANAS l'incarico di stabilite criteri preferenziali tra le esigenze dell'agricoltura e quelle dell'artigianato per poi scegliere, sulla base di detti criteri, quale varco chiudere e quale salvare. Nel tempo la società ANAS ha disposto con proprie circolari interne, in data anteriore alla legge n. 164, la temporanea sospensione delle procedure sanzionatorie e di chiusura coattiva degli accessi non rispondenti al requisito dell'interdistanza, ad eccezione dei casi (ad esempio curva, scarsa visibilità, corsie specializzate) «
ictu oculi» pericolosi per la sicurezza della circolazione veicolare e quindi per la pubblica incolumità. Quanto descritto spiega i motivi di valutazioni tecniche che sul territorio possono apparire come uno scenario di «applicazioni disomogenee» e di «contenziosi irrisolti».
  L'intervento normativo del 2014 – articolo 16-
bis decreto-legge n. 133 del 2014 cosiddetto Sblocca Italia, introdotto dalla legge di conversione 11 novembre 2014, n. 164 — non ha avuto un effetto realmente risolutivo. Tale articolo, benché rubricato «Disciplina degli accessi su strade affidate alla gestione della Società Anas», ha invero disciplinato soltanto l'aspetto economico della fattispecie (somme di denaro dovute dal titolare di un accesso all'ente proprietario della strada/ANAS ai sensi della previsione generale di cui all'articolo 27 del codice della strada), ma non già i profili controversi sul piano tecnico, autorizzativo e di gestione stradale.
  In sintesi, la novella legislativa del 2014 ha disposto, per i titolari di accessi ricadenti su rete viaria ANAS, un meccanismo fortemente agevolativo secondo cui il precedente «canone» annuale è sostituito da una somma da corrispondere in un'unica soluzione da determinarsi sulla base alle modalità e dei criteri fissati con un decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti ai sensi del citato decreto-legge n. 133 del 2014, il cui
iter risulta ancora in corso, in quanto in fase istruttoria è stato sottoposto a prescrizioni prima da parte del Consiglio di Stato e successivamente da parte del Ministero dell'economia e delle finanze, ad oggi sono in corso interlocuzioni con il predetto Ministero dell'economia e delle finanze per la soluzione delle criticità.
  In ogni caso ANAS assicura di avere già introdotto alcune modifiche nello spirito della predetta novella legislativa:

   non vengono più richiesti «canoni» per accessi, con la sola eccezione normativamente contemplata — degli accessi commerciali con impianti distributori carburanti e degli accessi a impianti carburanti;

   in sede di autorizzazione a nuovo accesso, ovvero di rinnovo di autorizzazione in essere, la documentazione predisposta da ANAS reca espressa menzione del fatto che la Società si riserva di chiedere il pagamento delle somme una tantum non appena sarà emanato l'apposito decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.
Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti: Riccardo Nencini.


   TOFALO, LUIGI GALLO, SIBILIA, SILVIA GIORDANO e MICILLO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:

   il 18 giugno 2017 un grave incendio ha colpito il sito Unesco del parco archeologico di Elea-Velia, in provincia di Salerno, all'interno del Parco nazionale del Cilento-Vallo di Diano-Alburni. L'incendio ha riguardato ampie zone centrali e anche aree contigue individuate dalla legge della regione Campania n. 5 del 2005;

   l'incendio ha colpito buona parte del promontorio, lato nord e sud, partì del quartiere settentrionale, il quartiere arcaico, via di Porta Rosa, parte del quartiere occidentale; anche Porta Rosa è stata raggiunta dalle fiamme, ma fortunatamente la Villa degli Affreschi è stata solo lambita. Per motivi di sicurezza il parco è stato riaperto solo parzialmente, mentre gran parte del sito è rimasto inaccessibile. Resta la preoccupazione anche per il conseguente aumento dei fattori di rischio idrogeologico in un'area delicata, con una storia di dissesti tuttora in essere;

   nella zona sono frequenti i roghi di matrice dolosa, ne è stato un esempio quello scoppiato nel settembre 2017; fortunatamente, le strutture maggiori non hanno subito danni e il recente taglio dell'erba è stato provvidenziale, ciò nonostante l'incendio è stato molto violento e ha richiesto l'intervento aereo;

   in tema di beni culturali, la tutela è di competenza esclusiva dello Stato, così come indicato dalla Carta Costituzionale all'articolo 117 e sembrerebbe che, con decreto dirigenziale del 27 ottobre 2014 siano stati assegnati al suddetto parco archeologico dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo circa 300.000 euro per interventi definiti urgenti, per i quali è stata fatta una presentazione ufficiale; si attende ancora, tuttavia, il taglio dell'erba, la manutenzione del verde, l'adozione di misure antincendio, l'installazione di telecamere e di altre misure a cui i fondi erano destinati –:

   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti e quali iniziative intenda attuare ad horas per ripristinare lo stato dei luoghi.
(4-17866)

  Risposta. — Si riscontra l'atto di sindacato ispettivo in esame, nel quale l'interrogante, sottolineando il grave incendio che ha interessato il parco archeologico di Velia, chiede quali iniziative intenda assumere il Ministero per valorizzare la zona del parco stesso.
  Sulla base degli elementi acquisiti dal segretariato regionale della Campania, si rappresenta quanto segue.
  In data 19 giugno 2017 il parco archeologico di Velia e stato interessato da un incendio di notevoli proporzioni, probabilmente di natura dolosa, sviluppatosi in un'area di proprietà demaniale, esterna al perimetro del parco già la sera del 18 giugno.
  L'incendio, riaccesosi la mattina del 19 giugno 2017 e propagatosi con rapidità a causa del forte vento e della nota situazione di prolungata siccità, ha interessato vaste zone dell'area, in particolare il versante occidentale della via di Porta Rosa e il versante meridionale della collina dell'Acropoli, senza causare danni alle evidenze archeologiche e agli edifici (uffici, biglietteria, sedi espositive, corpo di guardia eccetera) presenti nel parco, ma distruggendo gran parte della vegetazione nelle aree indicate.
  I vigili del fuoco del comando di Vallo della Lucania hanno provveduto a spegnere definitivamente l'incendio e, Incendio spento, operatori della comunità montana Lambro-Mingardo-Bussento hanno effettuato la bonifica dei luoghi.
  La soprintendenza ha disposto immediatamente la chiusura dell'area archeologica, nelle more dei sopralluoghi tecnici volti ad accertare gli eventuali danni e le misure di sicurezza da adottare, dandone comunicazione sui
social network e sulla stampa.
  Nel corso dei sopralluoghi effettuati nei giorni successivi all'evento, i Vigili del fuoco e il responsabile del servizio di sicurezza e prevenzione della soprintendenza hanno accertato che la perdita di vegetazione causata dall'incendio ha determinato l'instabilità dei versanti collinari che gravitano sulla via di Porta Rosa e sul sentiero che conduce all'Acropoli, con conseguente pericolo di caduta massi sui percorsi normalmente utilizzati dai visitatori per accedere all'area dell'Acropoli e alla Porta Rosa.
  La stessa soprintendenza, il 29 giugno 2017, disponeva la riapertura parziale del sito archeologico, limitando il percorso di visita alla sola città bassa.
  La chiusura parziale del sito, con l'inibizione ai visitatori delle aree di maggiore richiamo e interesse, ha determinato una riduzione del numero di utenti rispetto alla stagione estiva 2016, in parte arginata solo dall'apertura serale dell'Acropoli in alcune date del mese di agosto e della prima decade di settembre, realizzate grazie al progetto Campania
by night e al piano di valorizzazione MiBACT 2017 con il sostegno del comune di Ascea e dell'associazione VeliaTeatro.
  A prescindere dall'incendio occorso nel giugno 2017, l'area archeologica di Velia è stata spesso oggetto di incendi; l'episodio più esteso è avvenuto nel 2008, con le fiamme sviluppatesi dai binari ferroviari e propagatesi nel Parco attraverso la scarpata che lo separa dalla linea ferroviaria.
  L'incendio del 2016, invece, ha interessato esclusivamente aree esterne, ancorché contigue al Parco.
  La prevenzione di eventuali incendi nel Parco archeologico di Velia deve partire innanzitutto da una corretta manutenzione del verde, che interessa non solo l'area destinata a Parco, ma anche le aree di proprietà demaniale ubicate al di fuori del perimetro del Parco.
  Infatti l'estensione e le caratteristiche idrogeologiche dell'area, interessata dalla presenza di falda acquifera di superficie, determinano una celere ricrescita di vegetazione, che si presenta particolarmente invasiva e rigogliosa e che in taluni casi ricopre intere zone del Parco.
  Per tale ragione, l'area necessita di una manutenzione costante del verde con frequenti operazioni di taglio e scerbatura cui si farà fronte – come richiesto dalla soprintendenza – con l'assegnazione di n. 3 unità di personale destinate alla manutenzione del verde.
  Considerata tale situazione complessiva, è stato disposto un finanziamento per circa 9 milioni di euro a valere sul PON «Cultura e Sviluppo 2014-2020» per il progetto «Velia, città delle acque» articolato in una serie organica di interventi finalizzati alla salvaguardia e alla valorizzazione dell'area archeologica, ovvero a restituire al visitatore la completa fruizione del Parco anche in orari serali, eliminando le problematiche legate alla conservazione del sito, migliorandone la sostenibilità e la godibilità, anche in termini di accessibilità da parte di visitatori diversamente abili, e nel contempo potenziandone l'offerta culturale.
  Nel primo stralcio del progetto, per il quale sono in corso di espletamento le gare da parte di Invitalia, è previsto un intervento di pianificazione del verde all'interno del parco anche con la creazione di fasce tagliafuoco e piazzole di sosta in caso di incendio (come suggerito dai vigili del fuoco) e il ripristino della sentieristica.
  Per quanto attiene alla riqualificazione del viadotto ferroviario, la ex soprintendenza archeologica della Campania nel gennaio 2016, ha richiesto alla Rete ferroviaria italiana, interventi manutentivi sulle campate del viadotto ferroviario e ha proposto l'elaborazione di un progetto condiviso, anche con l'ex soprintendenza competente per la zona, per la riqualificazione generale dell'area, trasformando il viadotto da detrattore ambientale a elemento integrato al sito antico.
  RFI ha provveduto con celerità agli interventi manutentivi ed ha espresso in una nota a firma del proprio amministratore delegato la propria disponibilità all'elaborazione di una progettualità condivisa sull'area.
  Al momento tale progetto è in corso di prima stesura da parte di RFI.
  Con tale intervento, finalizzato a rendere immediatamente visibile l'area d'ingresso al parco, si coniuga il rifacimento della segnaletica esterna prevista nel progetto per la comunicazione e la fruizione sviluppato nell'ambito del PON a latere di quello sui lavori.
  Inoltre nel corso degli ultimi tre anni con i fondi, seppur carenti, della manutenzione ordinaria è stato rispristinato il sistema di allarme e videosorveglianza delle sedi espositive ubicate sull'acropoli e del deposito- galleria e sostituita anche la cabina elettrica che serve l'acropoli.
  Per quanto riguarda, infine, lo stanziamento di 300.000 euro assegnati con decreto dirigenziale 27 ottobre 2014 dalla direzione generale organizzazione alla ex soprintendenza per i beni archeologici di Salerno, Avellino, Benevento e Caserta, tali fondi sono stati impiegati per due interventi ritenuti di primaria importanza:

   1) lo smontaggio parziale e il rinforzo temporaneo delle coperture in lamiera ubicate nell'area dell'ingresso del parco archeologico, frequentemente divelte dal vento nel periodo invernale, rendendo così estremamente pericoloso in diversi punti l'attraversamento del viale di accesso al parco costringendo i visitatori ad un percorso alternativo. La necessità di preservare strutture murarie ha reso indispensabile, conseguentemente allo smontaggio per settori, un intervento di consolidamento delle creste murarie, l'interro parziale di alcune strutture e la creazione di sistemi di drenaggio per lo smaltimento delle acque meteoriche. Le risorse finanziarie hanno consentito lo smontaggio solo delle tettoie maggiormente deteriorate e il rinforzo temporaneo dell'intera copertura, che sarà completamente smontata con i lavori del II lotto del PON «Cultura e Sviluppo» e sostituita soltanto da due coperture di piccole dimensioni a protezione delle sezioni di scavo maggiormente indicative. Pertanto si proseguirà con il consolidamento delle creste murarie, le operazioni di reinterro e la creazione di sistemi per lo smaltimento delle acque;

   2) il ripristino e l'ampliamento dell'impianto elettrico del parco con la sostituzione della cabina elettrica a servizio della città bassa, la sostituzione dei paletti con l'illuminazione del viale d'ingresso all'area della Masseria Cobellis, totalmente divelti. Inoltre è stato illuminato con segnapassi il viale di accesso al Parco. Analogamente, si è provveduto per quanto riguarda l'acropoli. Infatti, numerosi fari risultavano non funzionanti e la Torre, che costituisce il riferimento visivo della città antica, il segno distintivo del paesaggio per gli abitanti locali e i turisti, era totalmente al buio. Tre linee di fari sono state pertanto sostituite con fari a led, a basso consumo energetico.

  L'area archeologica di Velia unitamente al parco archeologico di Paestum e alla Certosa di Padula sono parte di un più esteso sito denominato «Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano con le aree archeologiche di Paestum e Velia e la Certosa di Padula», iscritto nella lista del patrimonio mondiale dell'UNESCO dal 1998.
  Anche in questa prospettiva, si ribadisce, il forte impegno del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo per la tutela e la valorizzazione del sito anche nella prospettiva di crescita del complessivo contesto socio-culturale del territorio interessato.

La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismo: Ilaria Carla Anna Borletti dell'Acqua.


   TOFALO, LUIGI GALLO, SIBILIA, SILVIA GIORDANO e MICILLO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   il 26 marzo 2017 un servizio de «Le Iene» intitolato «Il vigile e il privilegio del sindaco» denuncia la pratica dell'ex-sindaco di Salerno, oggi Governatore della Campania, di procedere in contromano per una stradina vicino casa sua che gli permette di ridurre il percorso, dovuto ai sensi di marcia urbani, grazie al cartello «eccetto forze di polizia». Apparentemente nulla giustifica il permesso di transito contromano di un'auto di polizia, specialmente in questa traversa pericolosa e stretta;

   il 17 settembre 2017 il presidente della regione Campania, Vincenzo De Luca, con la propria auto blu, è coinvolto in un frontale con un motorino guidato da una ragazza di 22 anni. L'incidente causato dall'auto di servizio di Vincenzo De Luca ha riproposto un dibattito che sembrava essere stato messo a tacere, perché, se è vero e la macchina con a bordo il presidente procedeva contromano, e l'autista sembrerebbe non appartenere alle forze dell'ordine, ma essere semplicemente uno degli staffisti di Palazzo Santa Lucia (articolo «Le Cronache del Salernitano» del 18 settembre 2017), resta vero anche che ai due imbocchi di via Negri è segnalato l'accesso e il transito controsenso consentito alle vetture delle forze dell'ordine;

   il nuovo codice della strada, decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni, dispone all'articolo 6, comma 4 che l'ente proprietario della strada può «b) stabilire obblighi, divieti e limitazioni di carattere temporaneo o permanente per ciascuna strada o tratto di essa, o per determinate categorie di utenti, in relazione alle esigenze della circolazione o alle caratteristiche strutturali delle strade». In merito il comma 8 recita che «Le autorità che hanno disposto la sospensione della circolazione di cui ai commi 1 e 4, lettere a) e b), possono accordare, per esigenze gravi e indifferibili o per accertate necessità, deroghe o permessi, subordinati a speciali condizioni e cautele» e specifica che gli accordi per deroghe o permessi sono emessi solo in casi di esigenze gravi e indifferibili;

   nell'esempio di cui in premessa, tuttavia, l'attuale assetto normativo risulta applicato con modalità di dubbia legittimità piuttosto che per agevolare la gestione delle emergenze –:

   se i Ministri siano a conoscenza dei fatti esposti e se intendano assumere iniziative normative per modificare il codice della strada per disciplinare in modo più stringente eventuali deroghe o permessi in relazione a peculiari esigenze della circolazione stradale.
(4-17913)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, per quanto di competenza di questo Ministero e sulla base delle informazione pervenute dalla direzione generale per la sicurezza stradale, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  In merito alla vicenda descritta, si evidenzia che i competenti uffici di questo Ministero hanno provveduto, a seguito di una segnalazione di un gruppo di cittadini salernitani, a disporre un sopralluogo da parte di funzionari dell'ufficio periferico.
  In effetti, occorre far presente che la fattispecie evidenziata non è prevista dall'attuale assetto normativo in materia di circolazione stradale, né la stessa può considerarsi ricompresa tra quelle previste dagli articoli 6 e 7 del codice della strada (decreto legislativo n. 285 del 1992); tali disposizioni, infatti, limitano le deroghe ai casi nei quali sia stata disposta la sospensione della circolazione per motivi di sicurezza pubblica, di sicurezza della circolazione, di tutela della salute, di incolumità pubblica, di tutela del patrimonio stradale, per esigenze di carattere tecnico, ovvero per esigenze di circolazione o per le caratteristiche strutturali delle strade.
  In tale quadro, è di tutta evidenza che eventuali deroghe o permessi sono già disciplinati in maniera stringente.
  Inoltre, l'articolo 177, comma 2, del citato codice disciplina l'unica deroga operante per gli appartenenti alle forze dell'ordine nell'espletamento dei servizi urgenti di istituto, mediante uso congiunto del dispositivo acustico supplementare di allarme e di quello di segnalazione visiva a luce lampeggiante blu; fattispecie questa che non appare ricorrere nel caso
de quo.
Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti: Riccardo Nencini.


   TOTARO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:

   la legge di stabilità per il 2016 ha previsto l'assegnazione ai giovani che sarebbero diventati maggiorenni nel 2016 di un bonus di 500 euro, il cosiddetto bonus cultura, da spendere per assistere a rappresentazioni teatrali, cinematografiche e spettacoli dal vivo, acquistare libri, visitare musei, mostre ed eventi culturali, monumenti, gallerie, aree archeologiche e parchi naturali;

   per usufruire del bonus i giovani avrebbero dovuto iscriversi entro il 30 giugno 2017 alla piattaforma informatica «18App», e poi spenderlo entro il 31 dicembre dello stesso anno;

   rispetto alla totalità dei giovani divenuti maggiorenni nel 2016 poco più della metà si sono iscritti nei termini previsti alla piattaforma per poter utilizzare il bonus, e anche questi stanno riscontrando numerose difficoltà a causa di problemi tecnici della medesima piattaforma e del sistema di accreditamento tramite il sistema pubblico di identità digitale;

   le risorse stanziate per il bonus, pari a circa trecento milioni di euro, a due mesi dalla scadenza sono largamente inutilizzate –:

   se sia informato di quanto esposto in premessa e quali iniziative di competenza intenda assumere per garantire, ai giovani che si sono registrati, la piena fruizione del bonus, se del caso propagando il limite temporale per la spesa della somma.
(4-18238)

  Risposta. — Si riscontra l'atto di sindacato ispettivo in esame, con il quale l'interrogante chiede al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo quali iniziative intende assumere per incrementare il livello di consumo di prodotti culturali da parte dei giovani e rendere efficiente il funzionamento del bonus di cui alla legge 28 dicembre 2015, n. 208, comma 979, ai sensi del quale: «ai cittadini residenti nel territorio nazionale, in possesso, ove previsto, di permesso di soggiorno in corso di validità, i quali compiono diciotto anni di età nell'anno 2016, è assegnata, nel rispetto del limite di spesa di cui al comma 980, una Carta elettronica. La Carta, dell'importo nominale massimo di euro 500 per l'anno 2016, può essere utilizzata per assistere a rappresentazioni teatrali e cinematografiche, per l'acquisto di libri nonché per l'ingresso a musei, mostre ed eventi culturali, monumenti, gallerie, aree archeologiche, parchi naturali e spettacoli dal vivo.».
  Con riferimento agli specifici quesiti contenuti nell'interrogazione in esame, si risponde in base ai dati forniti dai competenti uffici del Ministero.
  Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 15 settembre 2016, n. 187, pubblicato nella
Gazzetta Ufficiale – Serie generale n. 242 del 17 ottobre 2016 si è data attuazione all'articolo 1, comma 979, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 che ha introdotto il «bonus cultura» per i diciottenni ovvero ha riconosciuto la possibilità di erogare euro 500 in favore di quei giovani che hanno compiuto la maggiore età nel 2016 affinché possano assistere a rappresentazioni teatrali e cinematografiche, acquistare libri (categoria comprendente ebook e audiolibri), nonché i titoli di ingresso a musei, mostre ed eventi culturali, monumenti, gallerie, aree archeologiche, parchi naturali e spettacoli dal vivo.
  Il relativo all'articolo 3, comma 2, ha stabilito che i dati anagrafici sono accertati attraverso il sistema pubblico per la gestione dell'identità digitale di cittadini e imprese (SPID), dando così attuazione all'articolo 64 del decreto legislativo n. 82 del 2005 (codice dell'amministrazione digitale), il quale prevede che per favorire la diffusione di servizi di rete e agevolare l'accesso agli stessi da parte di cittadini e imprese, anche in mobilità, è istituito, a cura dell'agenzia per l'Italia digitale (AgID), il sistema pubblico per la gestione dell'identità digitale di cittadini e imprese.
  Le modalità per l'attribuzione dell'identità digitale sono contenute nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 24 ottobre 2014, che ha trovato piena applicazione nell'iniziativa in oggetto.
  Ai quattro
provider già autorizzati dall'AgID a rilasciare l'identità digitale, cioè Poste italiane, Tim, Infocert e Sielte recentemente si sono aggiunti Aruba, Namirial e SpidItalia. È inoltre possibile richiedere lo SPID anche utilizzando, qualora se ne sia già in possesso, una carta d'identità elettronica, una carta nazionale dei servizi (CNS) o la firma digitale. In questi ultimi casi si può completare la registrazione totalmente on-line tramite un lettore di smart card da collegare al computer.
  Tutte le informazioni sono rinvenibili sul sito
www.18app.italia.it, che rinvia laddove occorre e per la specifica competenza al sito www.spid.gov.it, oltre a contenere in appositi link ubicati nel footer della homepage indicazioni e spiegazioni, distinte per argomento.
  Ai sensi dell'articolo 7 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 187 del 2016 gli esercenti presso i quali è possibile utilizzare la carta, sia con acquisti fisici – cioè recandosi direttamente presso l'esercizio commerciale – che
online, sono inseriti in un apposito elenco, al quale si possono registrare utilizzando le credenziali fornite dall'agenzia delle entrate, quindi con la semplice indicazione della partita IVA, del codice ATECO dell'attività prevalentemente svolta, della denominazione e dei luoghi dove viene svolta l'attività, della tipologia dei beni e dei servizi che l'esercente offre tra quelli oggetto dell'iniziativa, ovvero, come previsto dall'articolo 5, comma 2, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 187 del 2016, già sopra elencati.
  L'adesione è quindi su base volontaria, eccezion fatta per le strutture museali e i luoghi della cultura del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, che sono stati inseriti di default nell'elenco.
  Consapevole del numero degli esercenti che potenzialmente svolgono attività molto affini allo spirito dell'iniziativa di promozione della cultura e dell'avvicinamento ad essa dei giovani diciottenni, ma il cui codice ATECO dell'attività prevalentemente svolta non è direttamente riconducibile ad essa (si pensi ad esempio ai tanti ipermercati specializzati ormai anche nella vendita dei libri), il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ha attivato una casella di posta elettronica certificata
18app@mailcert.beniculturali.it alla quale i suddetti esercenti possono richiedere comunque l'iscrizione all'elenco ex articolo 7 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, previa breve descrizione dell'attività normalmente svolta, nella quale si devono evidenziare le affinità con gli ambiti previsti dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri e, soprattutto, il codice ATECO secondario che le identificano. Questa procedura ha consentito finora a 1.200 esercenti di potersi iscrivere all'iniziativa.
  I diciottenni iscrittisi alla 18app entro il 30 giugno 2017, termine previsto dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 187 del 2010, sono stati 351.522 su una popolazione di residenti stimata in 576.953, come da relazione tecnica allegata al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri sopra citato, a cui corrisponde un plafond impegnato di euro 175.761.000 rispetto ai 290 milioni stanziati per l'iniziativa.
  Sono stati generati 4.760.768 buoni di spesa, di cui 2.121.752 per acquisti «fisici» e 2.639.016 da spendere mediante operazioni
e-commerce. I coupon validati dagli esercenti, cioè presentati all'incasso sono:

   1.678.584 per gli acquisti fisici, a cui corrisponde una spesa pari ad euro 52.755.055,70;

   1.749.149 per gli acquisti online, per una spesa pari ad euro 65.664.992,98.

  Al 30 giugno 2017 gli esercenti iscritti (intendendo con ciò i punti vendita presso cui è possibile effettuare gli acquisti, sia fisici che online) erano 5.684.
  La legge 11 dicembre 2016, n. 232, all'articolo 1, comma 626, ha esteso l'iniziativa anche ai ragazzi nati nel 1999, che compiono dunque la maggiore età nel 2017, ampliando il ventaglio dei beni acquistabili col bonus aggiungendo la musica registrata (intendendo con ciò CD, DVD musicali e musica online), corsi di musica, di teatro e di lingua straniera.
  Con
Gazzetta Ufficiale n. 218 del 18 settembre è stato pubblicato il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 136 del 4 agosto 2017, attuativo della norma sopra richiamata e modificativo del precedente decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 187 del 18 settembre 2016. Dal 19 settembre 2017 è consentito dunque ai neo diciottenni l'iscrizione alla 18app.
  Si rappresenta, infine, che la legge 27 dicembre 2017, n. 205, che ha approvato il bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2018 e il bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020, le disposizioni di cui all'articolo 1, comma 979, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, sono state prorogate ai soggetti che compiono la maggiore età negli anni 2018 e 2019.
  Nella manovra sono infatti inclusi 290 milioni di euro annui che confermano la card da 500 euro per i giovani residenti in Italia che compiono 18 anni.
  Nel testo del disegno di legge manca una norma specifica, come avvenuto negli anni passati, ma le risorse sono state inserite nel bilancio di previsione di questo Ministero mediante rifinanziamento del relativo capitolo di spesa n. 1430 «Somma per l'assegnazione ai cittadini che compiono diciotto anni nel 2018 di una carta elettronica da utilizzare per rappresentazioni teatrali e cinematografiche, nonché per l'ingresso a musei, mostre, eventi culturali e spettacoli dal vivo».
  Aver favorito il consumo culturale dei giovani nelle sue diverse tipologie, aver attivato canali di comunicazione dedicati tra l'amministrazione e i giovani, aver dotato di SPID una ampia fascia di neo diciottenni, aver sollecitato l'innovazione tecnologica anche presso gli esercenti e, in particolare, negli istituti e luoghi della cultura, ha consentito, sulla base dei predetti risultati positivi, di proporre la proroga del bonus in questione.
  La legge di bilancio 2018, conferma, dunque, l'impegno del Governo a favore della cultura e dei giovani.

Il Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali e il turismo: Antimo Cesaro.


   VACCA, COLLETTI e DEL GROSSO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:

   in data 18 novembre 2009 è stato sottoscritto lo schema di convenzione unica tra Anas e la società Strada dei Parchi s.p.a. In seguito, in data 29 novembre 2010, è stato sottoscritto l'atto di recepimento della delibera del Cipe n. 20 del 13 maggio 2010 di approvazione della medesima convenzione che fissa la scadenza della concessione al 31 dicembre 2030. I tratti autostradali in concessione sono la Roma-L'Aquila-Teramo, pari a chilometri 159,3, la A24 diramazione grande raccordo anulare-tangenziale est di Roma, pari a chilometri 7,2, e la Torano-Avezzano-Pescara di chilometri 114,9;

   la formula tariffaria applicata al pedaggio autostradale è stabilita dalle delibere del Cipe n. 39/2007 e n. 319/1996. Al fine di determinare la variazione percentuale della tariffa si tiene conto:

    del valore del tasso d'inflazione programmato;

    di una quota che consenta il recupero degli investimenti realizzati dalla società autostradale concessionaria l'anno precedente a quello di applicazione dell'incremento;

   i costi di manutenzione ordinaria e straordinaria delle autostrade e gli oneri degli investimenti di nuove infrastrutture vengono recuperati dalla società Strada dei Parchi s.p.a. attraverso il pedaggio e i conseguenti incrementi. È evidente, quindi, che ogni investimento per nuove infrastrutture debba apportare un beneficio alla collettività che, di fatto, sostiene gran parte del costo;

   secondo notizie di stampa sono 107 i viadotti a rischio dopo gli ultimi terremoti: 64 relativi all'A24 (la Roma-L'Aquila-Teramo) e 43 all'A25 (la Torano-Pescara);

   secondo le notizie riportate dal quotidiano Il Centro, la società Strada dei Parchi s.p.a. ha presentato un ricorso al Tar del Lazio contro il provvedimento del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (protocollo 6767) del 14 aprile 2017 che, secondo la stessa società, sarebbe da annullare «Perché da una parte “ammette che l'approvazione del progetto è immediatamente esecutiva”, ma, dall'altra, risulta “priva di copertura finanziaria”». Infatti, nell'articolo di stampa viene evidenziato che «La mancata approvazione del Piano economico finanziario (Pef) impedisce al concessionario, la società Strada dei Parchi, di farsi finanziare dalle banche. Ma nelle banche risultano depositati circa duecento milioni che il concessionario ha versato a titolo di canone. Neppure questi soldi però possono essere utilizzati in quanto non si sa se spettano al ministero delle infrastrutture (che oggi vigila sulle concessioni autostradali) o all'Anas (che vigilava all'epoca del rilascio della concessione)»;

   secondo quanto contenuto dall'ordinanza n. 21/2017E di Strada dei Parchi, che vieta il sorpasso ai veicoli di massa a pieno carico superiore a 3,5 tonnellate, il progressivo deterioramento delle anzidette armature (di compressione) potrebbe portare ad improvvisi fenomeni di rottura degli elementi con conseguenti meccanismi di collasso come quelli verificatisi negli ultimi mesi in Italia su opere che apparentemente non destavano motivo di preoccupazione;

   secondo le premesse della stessa ordinanza, Strada dei Parchi spa ha presentato al Ministero concedente il progetto preliminare degli interventi di adeguamento sismico previsti dalla legge n. 228 del 2012 e sta svolgendo degli studi specifici per definire con maggior dettaglio le opere da eseguire –:

   se la società Strada dei Parchi s.p.a. abbia realizzato nel periodo precedente il sisma del 24 agosto 2016 la manutenzione ordinaria e straordinaria della A24 e A25 secondo quanto stabilito dalle convenzioni e dalle delibere di cui in premessa;

   quale sia il contenuto del provvedimento 6767 del 14 aprile 2017.
(4-16793)


   VACCA, COLLETTI e DEL GROSSO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   in questi giorni, in occasione del corso del Forum Europa «Per una Regione Completamente Europea» promosso dal Dipartimento per le politiche europee e svoltosi nella sede del quotidiano «Il Centro», l'amministratore delegato di Strada dei Parchi, Cesare Ramadori, rilancia, attraverso gli organi di informazione locali della regione Abruzzo, il progetto di accorciamento delle autostrade A24/A25 attraverso la creazione di gallerie e la dismissione di alcuni viadotti dal costo di circa 5,5 miliardi di euro;

   lo stesso Ramadori, per giustificare i nuovi progetti delle gallerie e della messa in sicurezza dei viadotti, afferma non solo che «le gallerie reggono meglio dei viadotti ai fenomeni sismici», bensì dichiara che «qualche mese fa, gli esperti del settore hanno parlato della possibilità di una nuova scossa, della stessa potenza di quella di Amatrice, che potrebbe verificarsi in Centro Italia entro la fine dell'anno», previsione poi smentita subito dopo, appellandola «un'elucubrazione»;

   da quanto reperibile sui mezzi di informazione non è possibile risalire a quali dichiarazioni di esperti – quelli che avrebbero ipotizzato un possibile terremoto entro la fine di dicembre 2016 – fa riferimento l'amministratore delegato di Strada dei Parchi;

   in un altro articolo, datato 9 novembre 2017, il vicepresidente della Strada dei Parchi, Mauro Fabris, ribadisce non solo la presunta utilità strategica per l'Abruzzo del progetto di accorciamento del tratto autostradale mediante le gallerie, ma aggiunge anche che ci sarebbe bisogno di intervenire sul porto di Ortona;

   il bacino imbrifero del Gran Sasso, il più grande d'Europa, dal quale scaturiscono le risorgive dei fiumi Pescara, San Callisto o Tirino, con una portata complessiva di 15mc/secondo, insiste nella zona in cui, secondo il progetto della Toto Holding; si vorrebbero realizzare le nuove gallerie;

   anche grazie a particolari disposizioni normative, la Toto s.p.a. ha finito per beneficiare spesso di risorse, anticipazioni di risorse già stabilite e programmate negli anni, posticipazioni del pagamento dei canoni di concessione autostradali o incrementi del periodo di concessione dell'autostrada;

   è necessario verificare se il ripristino e la messa necessaria in sicurezza dei viadotti facenti parte delle autostrade in concessione alla Toto siano la sola conseguenza degli eventi sismici degli ultimi anni o, invece, di una possibile deficit di manutenzione da parte di Strada dei Parchi SpA;

   ad avviso degli interroganti, l'allarmismo ingiustificato e amplificato dalla società Toto attraverso i mezzi di informazione circa il possibile terremoto di forte intensità entro la fine dell'anno rappresenta un modo strumentale per ottenere finanziamenti, vantaggi o «via libera» all'attuazione dei propri progetti –:

   se il Governo sia a conoscenza della possibilità che si verifichino eventi sismici o situazioni di pericolo, come dichiarato dall'amministratore delegato di Strada dei Parchi;

   se il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti abbia verificato o intenda verificare se i problemi di sicurezza dei viadotti siano legati ad un'insufficiente manutenzione, degli stessi o siano frutto degli eventi sismici;

   quale sia lo stato di avanzamento dei lavori di messa in sicurezza dei viadotti delle autostrade A24 e A25 e per quando sia prevista la conclusione dei lavori.
(4-18695)

  Risposta. — Con riferimento agli atti di sindacato ispettivo in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta sulla base delle informazioni pervenute dalla direzione generale per la vigilanza sulle concessioni autostradali, di questo Ministero.
  Le autostrade A24 e A25, a seguito dei recenti eventi sismici, sono state interessate da fenomeni di dissesto che non hanno, comunque, compromesso la transitabilità delle stesse in condizioni di sicurezza, a seguito di interventi da parte della società concessionaria Strada dei parchi sia di ordinaria che di straordinaria manutenzione.
  Con dispositivo n. 6767 del 14 aprile 2017 è stato approvato il progetto esecutivo per le opere di messa in sicurezza urgente lungo le autostrade A24 e A25, ai fini della prevenzione della scalinatura degli impalcati.
  Nelle more dell'adeguamento sismico definitivo, previsto dal nuovo PEF (in fase di esame), gli interventi in corso, suddivisi per tre tipologie di opere, consistono nella realizzazione di appoggi ausiliari realizzati con pacchetti di elastomero armato su strutture metalliche robuste, utili in occasione di eventi sismici a garantire il corretto posizionamento degli impalcati ed evitare lo scalinamento.
  L'importo del progetto approvato ammonta ad euro 169.456.289,05 di cui euro 144.972.417,03 per lavori.
  I lavori sono stati affidati all'impresa collegata Toto s.p.a. in affidamento diretto, e sono stati consegnati il 6 maggio 2017, il termine di ultimazione degli stessi è stato fissato al 7 novembre 2018.
  Infine, si fa presente che la predetta direzione generale per la vigilanza sulle concessioni autostradali ha provveduto ad emanare apposite circolari relative alle opere d'arte ubicate lungo le autostrade in concessione, acquisendo da parte di tutte le società concessionarie rassicurazioni in merito al costante monitoraggio delle condizioni strutturali delle stesse che garantiscono le normali condizioni di sicurezza agli utenti autostradali.

Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti: Riccardo Nencini.


   SIMONE VALENTE, BATTELLI e MANTERO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:

   con delibera n. 1482 dell'8 aprile 1925 del municipio di Genova veniva approvato il progetto di costruzione di un nuovo mercato di frutta e verdura da erigersi in corso Sardegna a Genova; poco dopo veniva quindi avviata la costruzione della struttura, distribuendosi su un perimetro rettangolare di 116 per 136 metri su un solo piano con sopraelevazioni nel fronte sull'attuale corso e generando delle palazzine con annessi servizi direttamente legati al mercato, quali: la sala riunioni dei commercianti, gli uffici postali e telegrafici e gli istituti di credito;

   a struttura attuale dell'immobile è il risultato di interventi succedutisi in anni differenti che vanno dagli anni venti agli anni quaranta;

   nel 2009 il trasferimento del mercato in altra sede comportò un lento abbandono e degrado della struttura, ma fonti giornalistiche riferiscono, nel mese di dicembre 2016, che due società operanti nel settore edile avrebbero presentato in comune una proposta di project financing; per un investimento pari a circa 25 milioni di euro, la società fiorentina Santa Fede e la genovese Cosmo Costruzioni Moderne punterebbero a recuperare l'area attraverso la realizzazione di negozi, uffici, palestra, studi professionali, spazi sociali, una media struttura di vendita e un parcheggio;

   in data 31 marzo 2010, la Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici della Liguria dichiara il bene di interesse storico artistico particolarmente importante ai sensi dell'articolo 10, comma 1, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, apponendo il vincolo architettonico solo per la parte antistante, ovvero «su due corpi ad “L” prospicienti corso Sardegna e sui due padiglioni interni in quanto rappresentativi delle caratteristiche costruttive e tipologiche del complesso»; nella relazione storico-artistica allegata alla dichiarazione di interesse culturale si legge testualmente che «il complesso rappresenta un pregevole esempio di architettura commerciale dell'epoca nonché un'importante testimonianza dello sviluppo urbano ed economico della città di Genova agli inizi del XX secolo; per queste motivazioni, pertanto, se ne ritiene più che motivato il formale riconoscimento dell'interesse culturale ai sensi del decreto legislativo n. 42 del 2004»;

   successivamente, in data 27 maggio 2015, associazioni quali Italia Nostra Sezione Genova, Legambiente e WWF Genova attive nel territorio, nel tentativo di preservare l'area, hanno chiesto alla Soprintendenza di estendere i vincoli all'intero immobile;

   le recenti osservazioni prodotte dalle associazioni sopra indicate al progetto urbanistico operativo (PUO) adottato con deliberazione della giunta comunale del 16 dicembre 2016 lamentano il mancato recupero reale dell'ex mercato; alcune delle strutture originarie dell'intero immobile vengono accorpate fra di loro al fine di creare spazi commerciali più ampi, paventandosi così il timore che possa venire stravolta la fisionomia e la tipologia storico-architettonica; nelle medesime osservazioni al progetto urbanistico operativo è stato inoltre rilevato come non sia presente un congruo spazio pubblico attrezzato a verde ma solamente delle singole alberature posizionate sui viali pedonali del mercato; sulla questione, nello specifico, l'assessore all'urbanistica respinge l'osservazione secondo la quale il quartiere in cui è localizzato l'ex mercato risulta penalizzato dall'eccessiva densità edilizia e dalla conseguente insufficienza di spazi aperti pubblici e di aree verdi fruibili –:

   considerato il vincolo parziale apposto sull'immobile nonché della dichiarazione di interesse storico, quale sia ad oggi la posizione ufficiale della direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici della Liguria in riferimento alla preservazione e alla tutela del bene e se si intenda apporre il vincolo all'intera struttura;

   se non si ritenga opportuno favorire, per quanto di competenza, soluzioni che portino all'ampliamento all'interno dell'immobile delle aree destinate al verde pubblico ed eventualmente in che modalità, fermo restando il rispetto delle disposizioni in materia di tutela dei beni culturali.
(4-17012)

  Risposta. — Si riscontra l'atto di sindacato ispettivo in esame, nel quale interrogante, con riferimento allo stato di abbandono e degrado dell'ex mercato ortofrutticolo sito in corso Sardegna a Genova, chiede di conoscere la posizione ufficiale della soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio per la città metropolitana di Genova in merito alla preservazione e alla tutela del bene, e, dunque, se intenda apporre il vincolo architettonico, per interesse storico-artistico, all'intera struttura, e se ritenga opportuno, in un più ampio progetto di riqualificazione del complesso, ampliare le aree interne destinate al verde pubblico, fermo restando il rispetto delle disposizioni in materia di tutela dei beni culturali.
  Si risponde anche sulla base degli elementi forniti dai competenti organi periferici della direzione generale archeologia belle arti e paesaggio.
  L'ex mercato ortofrutticolo di corso Sardegna si trova nel quartiere di San Fruttuoso a Genova, e occupa una porzione consistente del tessuto cittadino. Costruito tra il 1926 e il 1933, e dismesso poi nel 2009, rappresenta oggi un vuoto urbano di notevole interesse economico.
  I progetti di riqualificazione proposti nel tempo non hanno finora trovato realizzazione, soprattutto a causa degli eventi alluvionali del 2011 che hanno contribuito a far classificare la zona ad alto rischio idraulico. La prossima conclusione degli importanti lavori di messa in sicurezza del torrente Bisagno potrebbe, a breve, comportare una riclassificazione dell'area, con minori limitazioni alla possibilità di costruire. Per tali motivi, ad oggi, il manufatto si trova in uno stato di degrado avanzato, non essendo mai stato sottoposto a significativi interventi di manutenzione.
  In data 10 novembre 2016 un raggruppamento temporaneo di imprese (RTI), appositamente costituito, ha presentato al comune di Genova una proposta ai sensi dell'articolo 183, comma 15 del decreto legislativo n. 50 del 2016 (Codice degli appalti), per l'affidamento della concessione per la progettazione, costruzione e gestione delle opere volte al restauro dell'antico mercato.
  A tale proposta è stato allegato, inoltre, il piano urbanistico operativo (PUO), prescritto dalla vigente disciplina urbanistica, e strumento urbanistico necessario e propedeutico allo sviluppo edilizio degli spazi.
  In data 29 novembre 2016 poi, la direzione urbanistica, S.U.E. e Grandi progetti del comune di Genova ha avviato l'istruttoria del PUO, e al fine dalla valutazione delle diverse tematiche specifiche affrontate, il progetto è stato formalmente trasmesso dalla stessa direzione anche ai competenti uffici comunali che hanno formulato pareri favorevoli, fatte salve le condizioni e prescrizioni da rispettare nelle successive fasi di progettazione a scala edilizia. Il PUO, inoltre, è stato trasmesso, ai sensi dell'articolo 61 del regolamento per il decentramento e la partecipazione municipale, al competente Municipio III Bassa Val Bisagno, il quale ha comunicato di non avere nulla da osservare.
  In data 16 dicembre 2016, la giunta comunale, su proposta dell'assessore all'urbanistica e dell'assessore ai lavori pubblici, ha approvato la deliberazione n. 309, avente ad oggetto «Adozione del Progetto Urbanistico Operativo (PUO) relativo all'ex mercato comunale di corso Sardegna ai sensi dell'articolo 51 della legge urbanistica regionale 4 settembre 1997».
  L'approvazione del PUO ha permesso di promuovere un bando di recupero e
project financing, al fine di offrire ad un soggetto privato la gestione degli spazi in cambio dei lavori di riqualificazione e dell'offerta di spazi pubblici all'interno dell'area.
  Allo stato attuale, il progetto di riqualificazione in esame consta di un progetto di fattibilità presentato dal nuovo promotore dei
project financing da cui è derivato il PUO che risulta approvato dal comune di Genova con delibera della giunta comunale n. 40 del 2017 del 13 marzo 2017.
  Tale progetto differisce dai precedenti perché prevede il mantenimento di tutti i corpi esistenti ed il loro recupero anche in assenza di verifica positiva di interesse culturale. Si tratta, però, ancora una volta di un PUO, e quindi di uno strumento urbanistico e non di un progetto definitivo di intervento.
  Circa l'effettiva opportunità di ampliare il vincolo all'intero complesso, la soprintendenza ABAP, dopo una disamina della documentazione ai propri atti, ha svolto un processo di valutazione che ha portato alla dichiarazione di interesse culturale nel 2011 e alla sua ulteriore conferma nel 2015.
  Tuttavia, sulla base dei nuovi elementi documentali acquisiti da studi della scuola politecnica di architettura e ingegneria di Genova nell'anno 2016 risulta che sia nel 2011 che nel 2015 non si fosse a conoscenza dell'effettiva cronologia costruttiva e delle peculiarità tecnologiche dei vari padiglioni.
  Dalle motivazioni della dichiarazione di interesse si evince, infatti, che solo i due corpi ad L prospicienti corso Sardegna e i due padiglioni interni sono stati ritenuti rappresentativi delle caratteristiche costruttive e tipologiche del complesso. Tale affermazione appare corretta sotto il profilo meramente tipologico, ma dal punto di vista costruttivo le tettoie e gli edifici per i quali è prevista la demolizione, di aspetto diverso e meno curato, risultano comunque testimonianza del rapido sviluppo della nuova tecnologia del cemento armato, talmente repentina da adottare soluzioni costruttive diverse nel breve arco di tempo che va dal 1926 (inizio del cantiere) al 1933, epoca del suo completamento.
  Tutte le componenti del complesso commerciale in parola, e non solo quelle del fronte principale, appartengono, quindi, al medesimo e sostanzialmente unitario edificio completato in un arco di tempo relativamente breve - e secondo la soprintendenza, pertanto, potrebbe risultare degne di tutela.
  La suddetta soprintendenza, inoltre, evidenzia come il mercato nel suo complesso sia significativo per la storia dell'ampliamento della città verso le aree orientali e l'urbanizzazione della valle del Bisagno, a seguito dell'annessione alla Grande Genova dei comuni limitrofi nel 1925.
  Tutto ciò premesso, la soprintendenza ritiene che possa essere effettivamente considerata l'opportunità di una revisione e estensione del procedimento di verifica pregresso, attraverso le procedure delineate dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 171 del 2014.
  Questa Amministrazione, in conclusione, ribadisce il proprio sostegno ad un progetto urbanistico che intenda mantenere la memoria storica del mercato con la realizzazione di opere volte alla riqualificazione e al recupero degli edifici esistenti, con interventi conservativi che prevedano progetti e soluzioni architettoniche armonizzate con i volumi esistenti, per consentire la lettura dell'originale articolazione degli spazi del mercato.
  

La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismo: Ilaria Carla Anna Borletti dell'Acqua.


   VALERIA VALENTE, CARLONI, DI LELLO, MANFREDI, PARIS e SALVATORE PICCOLO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:

   come apparso sugli organi di stampa, la Intesa Sanpaolo Group Services S.c.p.a., del Gruppo Intesa Sanpaolo S.p.A., ha deciso di mettere in vendita palazzo Carafa a Napoli, già sede del Monte di Pietà, sito in via S. Biagio dei Librai, nel pieno centro storico cittadino, a sua volta già Patrimonio mondiale Unesco dal 1995, a pochi passi da altri monumenti di valore universale;

   l'edificio storico monumentale del Monte di Pietà fu realizzato quando alcuni nobili napoletani, acquistando il palazzo, ne affidarono il restauro all'architetto Gian Battista Cavagna, che nel 1598 vi realizzò anche la Cappella, ad oggi l'elemento di maggiore pregio architettonico e artistico dell'edificio;

   il Monte di Pietà di Napoli, oltre a possedere un patrimonio storico-artistico con opere realizzate da Bernini, Caracciolo, Santafede, Fanzago, mobili e arredi di assoluto valore, rappresenta anche un capitolo fondamentale della storia sociale e civile della città, essendo stato prima una istituzione operante nel sostegno di coloro che non erano in grado di provvedere neppure al minimo per la propria sussistenza, poi come primo e solido germe del Banco di Napoli;

   l'intero complesso, comprendente il Palazzo del Monte e la Cappella, costituisce un bene architettonico e culturale di indiscutibile interesse artistico;

   vista la sua posizione nel mezzo dell'area cittadina a più elevata capacità di attrazione turistica e vista la ricchezza del suo patrimonio monumentale e artistico, il Monte di Pietà possiederebbe pienamente il profilo adeguato per diventare una istituzione museale in grado di mantenersi in autogestione come altre ve ne sono nel centro storico di Napoli;

   in merito alla destinazione del citato complesso monumentale, il Gruppo Intesa San Paolo, ancora nel luglio 2016, in occasione di un incontro con le rappresentanze sindacali, aveva dichiarato che nell'edificio, di concerto con la Soprintendenza alle Belle Arti, erano in corso interventi di ristrutturazione che avrebbero dovuto portare al suo pieno recupero, alla messa in sicurezza e, dunque, ad una prossima riapertura, in modo da garantirne la fruibilità per i cittadini napoletani e per il pubblico;

   alla luce delle ultime notizie che concernono la messa in vendita dell'immobile, quello preannunciato dalla società proprietaria non sembra più essere il destino del Monte di Pietà; al contrario, appare concreta la possibilità che il palazzo possa, in futuro, venire riconvertito in struttura con finalità commerciali o ricettive, senza tra l'altro che, a quanto consta agli interroganti, le istituzioni interessate, a cominciare dal comune e dalla giunta cittadina, sino ad arrivare a quelle territoriali preposte alla tutela dei beni culturali, siano state fino ad oggi interpellate ed eventualmente coinvolte in un complessivo ragionamento di prospettiva che possa valorizzare in pieno questa risorsa culturale, civile e turistica che la città di Napoli possiede –:

   se il Ministro interrogato sia informato sulle condizioni attuali del plesso monumentale del Monte di Pietà e se intenda assumere iniziative, per quanto di competenza, per assicurare una sua tutela come bene culturale;

   sulla base delle intenzioni di vendita della società che ha in disponibilità l'immobile, se il Ministro interrogato intenda impegnarsi nel proporre e agevolare soluzioni alternative, in collaborazione con le istituzioni locali, allo scopo di evitare che il Monte di Pietà cambi totalmente utilizzo e profilo, disperdendo così il carico artistico, simbolico e culturale che necessariamente dovrebbe essere disponibile per la cittadinanza e il pubblico interessato.
(4-17085)

  Risposta. — Si riscontra l'atto di sindacato ispettivo in esame, nel quale l'interrogante chiede di sapere se il Ministro intenda, per quanto di competenza, assicurare la tutela come bene culturale del plesso monumentale del Monte di Pietà di Napoli e se intenda evitare che l'immobile, ad oggi nelle disponibilità di Intesa Sanpaolo Group Services S.c.p.a, cambi utilizzo e profilo.
  Sulla base degli elementi forniti dalla competente direzione generale archeologia, belle arti e paesaggio si rappresenta quanto segue.
  In merito a Palazzo Carafa, sede del Monte di Pietà, già patrimonio mondiale Unesco dal 1995 e sottoposto a tutte le disposizioni di tutela di cui al decreto legislativo n. 42 del 2004, parte seconda, alla soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio per il comune di Napoli (SABAP) non è pervenuta nessuna istanza in merito alla sua vendita, pur risultando che la Banca Intesa San Paolo ha emanato un avviso pubblico sui giornali nazionali e locali nel marzo-aprile 2017 manifestando la volontà di vendere.
  Il 15 luglio 2008 con nota della sovrintendenza per il patrimonio artistico, e il 12 settembre 2018, con nota della SABAP, è stata autorizzata, ai sensi dell'articolo 21 del decreto legislativo n. 42 del 2004, parte seconda, la realizzazione del progetto di consolidamento statico della facciata, la manutenzione conservativa degli affreschi e delle opere d'arte, e l'intervento architettonico ed impiantistico degli ambienti interni.
  In data 1° marzo 2013 l'istituto bancario Intesa San Paolo ha comunicato alla SABAP che tali interventi di restauro conservativo e di manutenzione del patrimonio artistico della facciata, benché inseriti anche nel programma UNESCO nell'ambito del grande progetto di valorizzazione del centro storico di Napoli, non sono stati eseguiti perché mai finanziati.
  La SABAP di Napoli, il 4 aprile 2013, ha autorizzato l'installazione di presidi provvisionali e l'esecuzione di analisi puntuali sullo stato di conservazione di elementi particolarmente degradati e a rischio di distacco, in particolare della facciata, degli interni della cappella del Sacro Cuore della Pietà e degli ambienti limitrofi ad essa collegati.
  In data 27 gennaio 2014 l'Intesa San Paolo Group Service, per conto dell'istituto bancario Intesa San Paolo, proprietario dell'immobile, ha comunicato l'avvenuto completamento delle opere provvisionali autorizzate a protezione della Cappella, nonché di ulteriori opere provvisionali integrative.
  Successivamente, il 5 ottobre 2014, la SABAP ha anche autorizzato i lavori di totale rifacimento dell'impermeabilizzazione delle coperture e dei cornicioni.
  Nel corso di un sopralluogo effettuato da funzionari della SABAP in data 21 aprile 2017, si è avuto modo di cogliere la maestosità della struttura, soprattutto del piano terra con i propri apparati decorativi e la settecentesca sacrestia, annessa alla tardo-cinquecentesca cappella. Oltre ad aver appurato la pressoché completa ricostruzione della porzione di edificio prospettante sulla strada, in seguito al disastroso incendio verificatosi nei primi decenni del XX secolo, i funzionari hanno anche preso atto dell'avvio della rimozione delle casseforti site al secondo piano dell'immobile, che avevano reso necessario l'adeguamento delle strutture ai carichi eccezionali.
  Alla luce di quanto sopra riportato, il Ministero evidenzia all'interrogante che qualsiasi uso o trasformazione dell'edificio in residenza alberghiera, anche in linea di mera ipotesi, non potrà essere realizzata se non previa autorizzazione rilasciata dalla SABAP di Napoli, ferma altresì la coerenza dell'ipotizzata destinazione d'uso con lo strumento urbanistico vigente. Si assicura, altresì, che i competenti uffici del Ministero continueranno a svolgere al riguardo le proprie funzioni di vigilanza e tutela.

La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismo: Ilaria Carla Anna Borletti dell'Acqua.


   VALLASCAS. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   l'11 aprile 2017, sono state illustrate le risultanze del lavoro di analisti e studio sullo stato dell'ambiente del territorio comunale di Portoscuso, commissionato dall'amministrazione comunale al Professor Dottor Nedo Biancani;

   l'elaborazione del dossier rientra nell'ambito della procedura avviata nel 2006 per «predisporre elementi tecnici e istruttori al fine di avviare un'azione di risarcimento del danno ambientale nei confronti delle società che operavano nell'agglomerato industriale di Portovesme che possono essere considerate responsabili della contaminazione» (Unione Sarda del 19 maggio 2016);

   gli organi si stampa, nel riportare la notizia, si sono soffermati su due elementi che risulterebbero di straordinaria gravità: da una parte, il rapporto confermerebbe la presenza di sostanze altamente inquinanti e nocive per le popolazioni del territorio; dall'altra, nel corso della raccolta della documentazione, il consulente avrebbe riscontrato la pressoché totale mancanza di collaborazione da parte delle amministrazioni interessate, tanto che si sarebbe anche dovuto rivolgere alla procura della Repubblica e al Noe;

   in particolare, il giornale online CagliariPad, il 12 aprile 2017 ha pubblicato un'intervista, nella quale il consulente afferma esplicitamente che «Tutti gli altri enti mi hanno praticamente mandato a benedire o non risposto, come l'Arpas, come la provincia di Carbonia Iglesias», mentre la regione Sardegna gli avrebbe consentito di accedere al sistema informativo regionale ambientale (Sira), nel quale, però, i dati risulterebbero disaggregati, quindi, inutilizzabili se non ordinati, con ulteriori ritardi e oneri da sostenere;

   nell'intervista il consulente ha sostenuto, tra le altre cose, che per ottenere i dati dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare avrebbe affrontato una procedura di accesso agli atti particolarmente lunga e complessa. In una prima fase, infatti, gli uffici gli avrebbero risposto che il numero dei documenti richiesti era eccessivo, in una seconda fase, gli sarebbe stato detto che su alcuni era stato posto il segreto industriale, circostanza quest'ultima che, secondo il consulente, striderebbe con le caratteristiche di trasparenza e pubblicità proprie di una conferenza di servizi che è pubblica;

   questo stato di cose, avrebbe determinato una ridotta disponibilità del materiale su cui costruire il rapporto – appena il 10 per cento di quello che starebbe stato prodotto negli anni in merito allo stato del territorio di Portoscuso – e nonostante ciò ne emergerebbe una situazione di estrema gravità sul piano ambientale e per la salute degli abitanti;

   nella citata intervista, il consulente ha ricordato che, nel corso degli anni, sono state emanate alcune ordinanze sindacali che vietano la coltivazione, produzione, raccolta e consumo di prodotti agricoli nonché di allevamento, oltre al divieto di pesca in alcuni tratti di mare;

   dalla documentazione risulterebbe la presenza di diossina nella filiera alimentare, di materiali pesanti, di piombo e cobalto che, secondo Biancani, meriterebbe un'analisi più approfondita perché il cobalto «solitamente si accompagna ad isotopi radioattivi» (Unione Sarda del 12 aprile 2017);

   nel corso dell'intervista online, il consulente sostiene che, per le conseguenze sull'ambiente e sulla salute, la situazione emersa dalla documentazione raccolta risulterebbe, allo stato attuale, la peggiore in Italia –:

   se quanto esposto in premessa corrisponda al vero;

   di quali informazioni dispongano i Ministri interrogati sullo stato di inquinamento ambientale del territorio del comune di Portoscuso e sulla pericolosità che ne deriverebbe per la salute delle persone;

   se non ritengano opportuno mettere a disposizione del comune di Portoscuso tutte le informazioni inerenti allo stato ambientale del territorio comunale;

   quali iniziative si intendano adottare, per quanto di competenza, per arginare gli eventuali pericoli che possano derivare all'ambiente e alle persone dalla situazione di inquinamento illustrata in premessa.
(4-16363)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e dalla regione Sardegna, si rappresenta quanto segue.
  Il territorio comunale di Portoscuso e l'area della zona industriale di Portovesme erano inclusi nell'area dichiarata «ad alto rischio di crisi ambientale» con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 30 novembre 1990 e il relativo piano di disinquinamento era stato approvato con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 23 aprile 1993. Erano interessate dal piano le aree di cinque comuni: Carbonia, Gonnesa, Portoscuso, San Giovanni Suergiu, Sant'Antioco. Con il decreto del Ministero dell'ambiente del 18 settembre 2001, n. 468, nell'adottare il programma nazionale di bonifica e ripristino ambientale dei siti inquinati di interesse nazionale, sono stati compresi tra gli interventi di interesse nazionale quelli relativi alla «Bonifica e ripristino ambientale delle aree minerarie dismesse del Sulcis-Iglesiente-Guspinese», includendo nel SIN l'intero territorio dei 34 comuni interessati, per un'area di 3457 chilometri quadrati e un'area marina di circa 280 chilometri quadrati, per un totale complessivo di 3737 chilometri quadrati.
  Nel sito d'interesse nazionale (SIN), così perimetrato, sono state incluse le aree del comune di Portoscuso con tutti gli insediamenti industriali di Portovesme.
  Con il decreto del Ministero dell'ambiente n. 304 del 28 ottobre 2016 è stata approvata la perimetrazione definitiva di dettaglio del SIN Sulcis-Iglesiente-Guspinese, ai sensi del comma 2 dell'articolo 1 del decreto ministeriale 12 marzo 2003, che ha confermato il territorio di Portoscuso nel SIN.
  L'area dell'agglomerato industriale di Portovesme nel comune di Portoscuso è stata completamente caratterizzata e le principali aziende operanti nel sito (Eurallumina, Alcoa, Enel, Portovesme, Ligestra), oltre alla caratterizzazione, stanno portando avanti da anni gli interventi di bonifica dei suoli e della falda, tutti approvati con decreto. Alcuni interventi di bonifica, come quello relativo alla società Ligestra e alla Syndial area Sa Piramide, sono stati approvati dal comune di Portoscuso prima dell'istituzione del sito d'interesse nazionale (SIN) del 2003.
  L'area esterna all'agglomerato industriale di Portovesme è stata invece caratterizzata dall'istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) tramite una convenzione stipulata con il comune di Portoscuso.
  Il verbale della conferenza di servizi del 30 settembre 2010, pubblicato sul sito istituzionale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, nel quale sono stati esaminati i risultati della caratterizzazione trasmessi da ISPRA su mandato del comune di Portoscuso nell'area esterna al polo industriale (3 chilometri quadrati), evidenzia che:

   - Nei terreni sono stati rilevati superamenti delle CSC (colonna A) soprattutto per Pb, Zn, Cd con particolare riferimento al top soil. Le conclusioni di ISPRA, condivise dal comune di Portoscuso, attribuiscono tale contaminazione del top soil alle emissioni in atmosfera da parte delle attività industriali insediate nel polo di Portovesme (camini e movimentazione materie prime e rifiuti), alle emissioni in atmosfera in corrispondenza delle maggiori vie di comunicazione legate ai veicoli ad uso civile/industriale, e alla polverosità diffusa da attività di scavo in aree di cava e/o di miniera.

   - Relativamente ai composti organici, la frequenza dei superamenti delle CSC (colonna A) è estremamente contenuta e la loro distribuzione rimane discontinua. Nel top soil i superamenti degli organici interessano in 13 casi gli idrocarburi pesanti (C>12) e 2 superamenti di PCB. Tre campioni mostrano eccedenza per Benzo(a)pirene. Un singolo campione (SI20) risulta sensibilmente contaminato in IPA.
   Non si registra nessun superamento per gli idrocarburi leggeri (C≤12), amianto, PCDD/PCDF.
   Nei terreni superficiali (0-1 m dal p.c.) e profondi (>1 m dal p.c.) i superamenti delle CSC (colonna A) riguardano unicamente gli idrocarburi pesanti rispettivamente per 5 e 2 campioni.

   - In relazione ai parametri inorganici, le acque di falda mostrano tre superamenti per nitriti, ed un superamento delle CSC rispettivamente per Fe, e F. Frequenti e diffusi sono i superamenti delle CSC per SO4 e Mn per i quali, in virtù delle considerazioni bibliografiche e dei dati di sondaggio si ritiene che tali superamenti possano attribuirsi a fondo naturale.

   - Riguardo ai composti organici, nelle acque di falda sono stati riscontrati sporadici superamenti di 1,2-Dicloropropano (2 superamenti entrambi registrati presso il piezometro PS 12), Triclorometano (8 superamenti registrati presso 3 piezometri Pz10, PS34, PS35) e Tetracloroetilene (1 superamento molto contenuto presso PzP21).

   - L'analisi per la determinazione del fondo ha consentito di riconoscere, per i suoli, dei valori considerati ascrivibili ad un fondo naturale (Sn 2,8 mg/kg, Zn 180 mg/kg, As 20 mg/kg pari alle CSC col. A). Coerentemente al decreto legislativo n. 152 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni, tali valori sono stati considerati sostitutivi delle CSC (colonna A). Analogamente si ritiene che per le acque di falda i valori di 450 mg/l e 1600 mg/l sono stati considerati rappresentativi del fondo naturale rispettivamente per Solfati e Mn e pertanto che essi siano, nell'ambito del territorio comunale, sostituibili alle CSC di Tabella 2.

  Al fine di meglio determinare la possibile origine dei tenori di Mn e Solfati eccedenti i valori di fondo sopra indicati, il comune di Portoscuso aveva dichiarato l'intenzione di procedere con indagini di approfondimento. Ad oggi non risultano comunicati gli esiti di tali approfondimenti.
  Sulla base della documentazione trasmessa da ISPRA emergono, accanto ad una contaminazione diffusa di alcune specie metalliche, soprattutto negli strati superficiali (
top soil e suolo superficiale 0-1 m), superamenti di altri parametri sia nei suoli (idrocarburi C>12, PCB, IPA) che nelle acque di falda (composti clorurati), che si configurano come potenziale contaminazione puntuale.
  In merito alla presenza di cobalto, si segnala che dai piani di caratterizzazione delle aziende presenti nell'area industriale di Portovesme non risultano superamenti delle CSC di cobalto nei suoli. Nell'area esterna al polo industriale che è stata caratterizzata da ISPRA tramite una convenzione con il comune di Portoscuso non risultano superamenti delle CSC di cobalto nei suoli (nel verbale della conferenza di servizi del 30 settembre 2010 pubblicato sul sito istituzionale del Ministero dell'ambiente è possibile visionare l'elenco delle sostanze che hanno mostrato superamenti delle CSC nel
top soil).
  Dal mese di settembre 2010, le società interessate hanno dato la loro disponibilità per tutte le attività di sperimentazione della barriera idraulica interaziendale compartecipando ai lavori programmati e concordati. Successivamente, è stato presentato un progetto esecutivo con barrieramento di monte e barrieramento di valle, comprensiva di un'indagine geofisica di tipo sismico al fine di definire i parametri fondamentali di profondità degli strati geologici, spaziatura e ipotesi di regime di emungimento.
  Le società, nel mese di novembre 2014, hanno avviato la prima fase pilota di realizzazione dei pozzi ed emungimento.
  Ad oggi il progetto non è ancora in fase esecutiva in quanto le aziende, solo nella seconda metà del 2017, sono riuscite a stabilire dei criteri condivisi per la gestione delle attività, ed il Ministero dell'ambiente nella conferenza di servizi del 7 dicembre 2017, sentite tutte le aziende e tutti i soggetti pubblici interessati, ha approvato i contaminanti indice al fine di definire l'algoritmo di calcolo per la suddivisione dei costi.
  Sul sito istituzionale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare sono pubblicati i dati ambientali a cui possono accedere tutti i cittadini interessati.
  Il comune di Portoscuso, inoltre, dispone di tutte le informazioni inerenti lo stato ambientale del territorio comunale, sia in quanto ha provveduto tramite la convenzione stipulata con ISPRA a caratterizzare l'area esterna al polo industriale (circa 30 chilometri quadrati), sia perché è stato soggetto attivo nell'approvazione dei progetti di bonifica prima dell'istituzione del SIN, sia, infine, perché partecipa con i propri rappresentati alle conferenze di servizi e ai tavoli tecnici convocati per il SIN. Nell'ultima Conferenza di servizi del 7 dicembre 2017, nella quale si è discusso dello stato ambientale dell'area dell'agglomerato industriale, il comune di Portoscuso è stato rappresentato dal vice sindaco.
  A ciò si aggiunga che, secondo quanto riferito dalla regione Sardegna, il sistema informativo regionale ambientale della Sardegna (SIRA)
è stato progettato e realizzato con l'obiettivo di mettere a disposizione della pubblica amministrazione regionale un efficace strumento di supporto alle decisioni, attraverso l'unificazione di tutti i distinti patrimoni informativi ambientali, precedentemente gestiti in maniera autonoma da diversi enti, in una comune base di conoscenza ambientale integrata, con cui gestire e diffondere un'informazione ambientale unica e validata.
  Quanto contenuto in formato digitale sul sistema informativo regionale ambientale della Sardegna (SIRA) rappresenta la documentazione che è stata complessivamente prodotta dalla pubblica amministrazione (regione, provincia, ARPAS ed altri eventuali enti pubblici preposti) in relazione a ciascuna area tematica ambientale di riferimento, ivi inclusa quella riguardante i siti contaminati.
  La profondità temporale parte dal 1998 sino alla data odierna e, per alcune tematiche, raccoglie i dati e i documenti dal 1989.
  In merito alla documentazione contenuta nel SIRA Sardegna, quest'ultimo ne consente la gestione e l'analisi grazie al modello documentale nello stesso predisposto e che permette una agevole attività di ricerca in funzione di un numero molto elevato di fattori, che vanno dal soggetto responsabile del sito contaminato, all'ambito territoriale (provinciale e comunale), alla tipologia di atto, disposizione amministrativa, procedimento, dello stato operativo ad esso associato, eccetera.
  Il SIRA Sardegna, inoltre, non rappresenta un mero strumento di gestione documentale, ma permette la gestione delle diverse informazioni ambientali contenute nei diversi documenti (ad esempio i dati analitici derivanti dalle attività di controllo eseguite da province ed ARPA Sardegna), opportunamente raccolte e gestibili all'interno dei propri catasti. Questo avviene grazie alla presenza di funzionalità avanzate che permettono l'interrogazione del dato e dei parametri ambientali e la loro gestione in funzione del risultato che si vuole ottenere (semplice
report o elaborazioni di diverso grado di complessità). Grazie a queste funzionalità i dati possono essere aggregati su base territoriale, temporale, sulla tipologia di sito contaminato, ecc., permettendo anche l'estrazione ed il salvataggio delle elaborazioni, al fine di poter, eventualmente, procedere ad ulteriori elaborazioni esterne al sistema quali quelle per l'applicazione di algoritmi di calcolo o per l'utilizzo in software di simulazione.
  Ad ogni modo, nel ricordare che in materia di igiene e sanità pubblica spetta al sindaco l'emanazione delle ordinanze di carattere contingibile ed urgente con efficacia estesa al territorio comunale, si evidenzia che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per quanto di competenza, e con il supporto della regione, sta procedendo alla realizzazione delle attività previste dal decreto legislativo n. 152 del 2006, articoli 242 e 252. Inoltre, come previsto dal Testo unico ambientale, la provincia, con il supporto tecnico dell'agenzia regionale per la protezione dell'ambiente (ARPA) della Sardegna, sta provvedendo all'individuazione del responsabile della caratterizzazione.
  Quanto riferito testimonia che le problematiche rappresentate sono tenute in debita considerazione da parte di questo Ministero, il quale ha provveduto, e provvederà per il futuro, alle attività e valutazioni di competenza in materia con il massimo grado di attenzione, e a svolgere un'attività di monitoraggio e sollecito, tenendosi informato anche attraverso gli altri Enti istituzionali competenti.
  

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   VALLASCAS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   secondo quanto riportano alcuni organi di stampa locali, il Coordinamento territoriale per la Sardegna dell'Anas avrebbe approntato un nuovo piano operativo — non ancora approvato dal Coordinamento nazionale — che sarebbe stato illustrato nelle scorse settimane alle organizzazioni sindacali;

   in particolare, secondo quanto emergerebbe da un articolo pubblicato sull'edizione del 7 novembre 2017 dell’Unione Sarda, tra le altre cose, il citato piano prevederebbe un declassamento di numerose arterie viarie della Sardegna al fine di produrre anche un declassamento di protocolli e standard minimi di manutenzione; si passerebbe dagli attuali interventi di manutenzione a interventi di sorveglianza, con una conseguente riduzione degli organici necessari alla gestione;

   nel dettaglio, l'articolista riferisce che «Le manutenzioni su 1500 chilometri di strade a due corsie verranno riorganizzate e ridotte a una semplice sorveglianza e le opere saranno affidate a imprese esterne»;

   in tale modo, secondo quanto sosterrebbero i rappresentanti sindacali, l'Anas risolverebbe il problema dell'insufficienza degli organici, infatti, «senza il declassamento sarebbero necessari circa 220 addetti, contro gli attuali 156. E presto il numero si ridurrà a circa 100 addetti, per i pensionamenti previsti tra il 2017 e il 2018»;

   con il nuovo piano passerebbero dalla classificazione «B» al rango «C» «la Statale 387 che collega Cagliari a Muravera, l'Orientale sarda, la vecchia Sassari-Alghero, la Trasversale Orosei-Macomer e tante altre. Circa la metà della rete sarda a due corsie sarebbe interessata dalle nuove disposizioni»;

   è il caso di richiamare l'attenzione sul grave stato della rete viaria della Sardegna caratterizzata, soprattutto per quanto concerne la rete di secondo livello, da infrastrutture di vecchia concezione, ormai inadatte e insufficienti, e da una pressoché totale assenza di interventi di manutenzione in misura tale che si potrebbe parlare addirittura di vera e propria incuria, se non di stato di abbandono, per una molteplicità di strade della Sardegna;

   giova inoltre ricordare che questa situazione ricade in un contesto in cui, non solo la mobilità nell'isola si svilupperebbe esclusivamente su gomma, ma si registrerebbe anche un progressivo e repentino spostamento dei servizi dalle zone interne ai centri principali con un conseguente incremento del traffico veicolare;

   a questo proposito è il caso di riferire che il riordino della rete ospedaliera proposto dalla regione Sardegna prevederebbe una radicale riduzione dei presidi sanitari nelle zone interne, circostanza che necessiterebbe di una moderna e funzionale rete stradale;

   è il caso di segnalare che l'inadeguatezza della rete di alcune ampie porzioni del territorio sardo, come la regione storica del «Goceano», non permetterebbe di applicare e rispettare i protocolli del 118 per gli interventi extraurbani;

   un declassamento di buona parte delle strade della Sardegna, al fine di ridurre considerevolmente gli interventi di cura e manutenzione, desta legittime preoccupazioni per le particolarità del contesto in cui il provvedimento avrebbe effetti, dove, come precedentemente illustrato, sarebbero aumentate le esigenze di mobilità e, nel contempo, si sarebbe registrata una preoccupante riduzione della qualità e delle condizioni della rete viaria regionale –:

   se quanto esposto in premessa corrisponda al vero;

   quali iniziative intenda adottare, per quanto di competenza, per evitare che, attraverso un piano di declassamento delle strade, l'Anas riduca ulteriormente la già insufficiente attività di manutenzione della rete viaria della Sardegna;

   se non intenda farsi promotore, per quanto di competenza, di iniziative, anche di natura normativa e finanziaria, per rafforzare gli interventi sia di riqualificazione sia di manutenzione della rete viaria della Sardegna, con particolare riguardo alla rete di secondo livello.
(4-18475)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta sulla base delle informazioni pervenute dalla società ANAS, interessata al riguardo e dalla direzione generale per le strade e le autostrade e per la vigilanza e la sicurezza nelle infrastrutture stradali di questo Ministero.
  Il piano industriale della società ANAS prevede la definizione di un nuovo modello organizzativo con l'internalizzazione delle attività di manutenzione, l'ottimizzazione dell'impiego del personale di esercizio e il potenziamento delle attività di vigilanza.
  Al fine di consentire una manutenzione ancora più efficace e puntuale, il suddetto modello prevede l'individuazione delle tratte su cui verrà eseguita la manutenzione ad opera di squadre composte da personale interno, distinte da quelle in cui la manutenzione verrà eseguita da imprese esterne, in considerazione delle caratteristiche relative ai principali assi viari della rete stradale di competenza.
  Detto modello organizzativo, già sottoscritto con le organizzazioni sindacali, entrerà in vigore entro l'anno in corso.
  ANAS segnala, altresì, che la rete stradale di competenza non subirà alcun declassamento e verranno mantenuti in capo ad ANAS le attività di sorveglianza svolte nell'arco dell'intera settimana.

Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti: Riccardo Nencini.


   VARGIU. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:

   la città di Cagliari vive una profonda crisi economica e sociale, con un progressivo spopolamento ed invecchiamento della popolazione residente, legato anche alla difficoltà di trovare una forte caratterizzazione identitaria che possa generare le indispensabili, nuove opportunità economiche;

   la «messa a reddito» degli asset cittadini diventa dunque condizione necessaria per arrestare il declino di Cagliari, per mettere le sue risorse al servizio dell'intera Sardegna e per restituire prospettive di lavoro e di esistenza ai tanti giovani che oggi abbandonano la città e l'isola;

   tra i compendi ambientali cittadini che maggiormente possono rappresentare una risorsa in prospettiva di sviluppo, va sicuramente annoverato quello rappresentato unitariamente dalle cubature del vecchio Ospedale Marino, dell'ex Grand Hotel Golfo degli Angeli (ora nuovo ospedale Marino) e dall'ippodromo;

   tale contesto unitario, nel tempo è stato sempre trattato dalle amministrazioni e percepito dai cagliaritani come diviso in tre differenti comparti, con tre diverse vocazioni:

    1) l'ex ospedale marino, abbandonato dal 1983, ad oggi ancora all'anno zero per quanto attiene alle prospettive di riutilizzo;

    2) l'ex Grand Hotel Golfo degli Angeli, riadattato grossolanamente ad ospedale nei primi anni ’80, oggi destinato alla chiusura nel Piano della nuova rete ospedaliera, senza che sia ipotizzata in nessun modo la sua nuova destinazione;

    3) i ventidue ettari dell'ippodromo, oggi regno dell'incuria e dell'abbandono, la cui gestione è affidata alla Società ippica s.r.l., partecipata comunale assolutamente inadeguata a garantirne il futuro;

   su tali aree ed edifici, che vanno indispensabilmente trattate come un unicuum per individuarne la vocazione coerente con gli interessi di sviluppo della città, gravano numerosi vincoli da parte del demanio, da parte della Sovraintendenza, delle normative urbanistiche e paesaggistiche regionali e nazionale, ma anche obblighi legati alla contiguità con le aree umide tutelate dalla convenzione di Ramsar;

   tale intricato regime di tutela comporta la difficoltà – emersa in tutta la sua evidenza all'atto della aggiudicazione alla SA&GO del bando per l'ex ospedale Marino, ma anche nelle procedure di dismissione della Società Ippica srl da parte del comune di Cagliari – del coinvolgimento di imprenditoria privata, sia per quanto riguarda la progettazione, che l'eventuale gestione dei singoli beni del compendio;

   la contemporanea presenza di attori pubblici con finalità molto differenti tra loro nel novero delle istituzioni interessate alla proprietà e alla gestione dei beni (demanio statale, regione autonoma della Sardegna, comune di Cagliari, società Ippica s.r.l. camera di commercio, azienda regionale per la tutela della salute, ente parco di Molentargius) rende assai difficile la condivisione degli obiettivi e la azione coordinata per la loro valorizzazione e, conseguentemente, ogni collaborazione con i privati, il cui coinvolgimento appare invece indispensabile –:

   quali vincoli paesaggistici, discendenti da normative statali o da attività di istituzioni ministeriali, siano attualmente presenti sulle aree dell'ippodromo di Cagliari e sugli stabili dell'ex ospedale marino e dell'ex Grand Hotel Golfo degli Angeli;

   se i Ministri interrogati non ritengano opportuno assumere iniziative, per quanto di competenza, per farsi promotori di un'azione di coordinamento nei confronti di tutti gli enti e le istituzioni interessate per una progettazione complessiva del futuro sviluppo del compendio ippodromo-ex ospedale, Marino-ex Grand Hotel Golfo degli Angeli, in modo tale che l'area possa finalmente andare a rappresentare una straordinaria opportunità per la crescita della nuova identità della città di Cagliari e per il suo sviluppo economico.
(4-16239)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa allo sviluppo di vecchi stabili di Cagliari, sulla base degli elementi acquisiti dalle competenti direzioni generali del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, nonché dalla regione Sardegna, si rappresenta quanto segue.
  Per ciò che concerne le materie di competenza del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si segnala che le aree e gli edifici in questione sono parzialmente interessati dai vincoli introdotti con il piano per l'assetto idrogeologico.
  In particolare, il solo
ex ospedale marino, che si trova sulla spiaggia del lungo mare Poetto, ricade in area con pericolosità idraulica molto elevata (Hi4), nell'ambito degli indirizzi per la pianificazione urbanistica e per l'uso di aree di costa, di cui all'articolo 8, comma 2 delle norme di attuazione del P.A.I. Le aree dell'ippodromo e dell'ex Grand Hotel degli Angeli non risultano perimetrate.
  Si ricorda, a tal proposito, che la citata perimetrazione discende dal piano per l'assetto idrogeologico dell'autorità di bacino regionale della Sardegna, approvato con decreto del Presidente della regione Sardegna n. 67 del 10 luglio 2006 con tutti i suoi elaborati descrittivi e cartografici.
  Inoltre, il Piano di gestione del rischio di alluvioni (PGRA) della Sardegna è stato predisposto, revisionato e aggiornato dall'Autorità di bacino della regione Sardegna, istituita con la legge regionale n. 19 del 6 dicembre 2006, attraverso le delibere del comitato istituzionale. L'approvazione conclusiva si è avuta con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 27 ottobre 2016. Le mappe della pericolosità, danno potenziale e rischio di alluvione del PGRA confermano la precedente perimetrazione del P.A.I. con riferimento alla spiaggia del lungo mare Poetto (Pericolosità P3).
  Per quanto concerne l'eventuale azione di coordinamento per una progettazione complessiva del futuro sviluppo del compendio in esame, essa rientra, in prima istanza, nelle competenze delle autorità regionali delegate all'applicazione delle specifiche normative in materia di turismo e della pianificazione territoriale.
  Per completezza di informazione si evidenzia comunque che le strutture menzionate risultano limitrofe ai perimetri della zona Ramsar «Stagno di Molentargius», del parco naturale regionale Molentargius - Saline, nonché dei siti Natura 2000, SIC «Stagno di Molentargius e territori limitrofi» e ZPS «Saline di Molentargius», designati in adempimento alle Direttive 92/43/CEE «Habitat» e 79/409/CEE «Uccelli».
  Si evidenzia, pertanto, che ogni iniziativa di fruizione turistica dell'area, di sviluppo economico e di recupero architettonico delle strutture, dovrà essere oggetto di opportuna valutazione di incidenza da parte delle competenti commissioni, ai sensi dell'articolo 6 della Direttiva 92/43/CEE «Habitat», e formulata nel rispetto del piano di gestione del sito Natura 2000, di cui al decreto regionale n. 71 del 30 luglio 2008, nonché degli strumenti di pianificazione dell'area protetta e dell'area umida di importanza internazionale ivi presente. Considerando che le strutture risultano anche assoggettate alle disposizioni del decreto legislativo 42 del 2004, cosiddetto «Codice Urbani», si fa presente, inoltre, quanto segue.
  Per quanto concerne l'ex ospedale Marino di Cagliari, già noto come Colonia Dux, tutelato
ope legis ai sensi dell'articolo 10, commi 1 e 5, del decreto legislativo n. 42 del 2004, l'immobile è stato sottoposto al procedimento di verifica dell'interesse culturale ai sensi dell'articolo 12 del decreto legislativo n. 42 del 2004, ad esito della quale è stata confermata la sua sottoposizione alle prescrizioni tutela con decreto direzione regionale beni culturali e paesaggistici della Sardegna n. 85 del 19 settembre 2007.
  Con riferimento alla tutela paesaggistica, valgono, al momento, le seguenti di protezione:

   Fascia di rispetto dei 300 metri dalla linea di battigia del mare, articolo 142, comma 1, lettera a) del decreto legislativo n. 42 del 2004;

   Articoli 136-157 del decreto legislativo n. 42 del 2004 in ragione del decreto ministeriale del 24 marzo 1977, dichiarazione di notevole interesse pubblico di una zona in comune di Cagliari, pubblicata sulla gazzetta ufficiale n. 345 del 20 dicembre 1977;

   articolo 17, comma 3, lettera a) (Fascia Costiera) delle NTA del PPR;

   piano paesaggistico regionale — ambito di paesaggio n. 1, scheda d'ambito: «L'ambito è caratterizzato da un complesso sistema paesistico territoriale unitario in cui si riconoscono almeno tre grandi componenti tra loro strettamente interconnesse: il sistema costiero dello Stagno di Cagliari-laguna di Santa Gilla, la dorsale geologico-strutturale dei colli della città di Cagliari e il compendio umido dello stagno di Molentargius, delle saline e del cordone sabbioso del Poetto»;

  Sono, inoltre, prescritti i seguenti indirizzi:

   la riqualificazione e il recupero del valore paesaggistico del Poetto quale elemento strutturale e funzionale del sistema ambientale unitario, comprendente il compendio umido di Molentargius, il complesso sabbioso-litoraneo ed il promontorio di Torre Sant'Elia;

   l'organizzazione, la regolamentazione e la gestione dei servizi di spiaggia, retrospiaggia, servizi all'accessibilità, aree sosta, con l'eliminazione delle superfetazioni;

   la ricostruzione del sistema sabbioso del Poetto, attraverso il recupero e la riqualificazione degli spazi di retrospiaggia e di transizione con la zona umida, mediante interventi coerenti con l'assetto vegetazionale e fisico-ambientale del cordone litoraneo e del sistema peristagnale di Molentargius, nonché nel rispetto dei loro processi di funzionamento, di evoluzione e di relazione reciproca;

   il restauro del patrimonio architettonico e la promozione e gestione di un concorso internazionale finalizzato al recupero del vecchio ospedale marino.

  Posto che l'ex ospedale Marino, così come l'ippodromo e l'attuale ospedale ex Esit, sono inseriti in un contesto paesaggistico di riconosciuta rilevanza ambientale e scientifica, gli articoli 135 (pianificazione paesaggistica) e 143 (piano paesaggistico) del decreto legislativo n. 42 del 2004 hanno assegnato al piano paesaggistico regionale il compito di indicare le regole d'uso del territorio vincolato, che, per quanto relativo all'area in esame, tutelata ai sensi degli articoli 136 e 142 del decreto legislativo n. 42 del 2004, dovranno essere concordate con il Ministero dei beni e delle attività culturali ai sensi dell'articolo 143, comma 1, lettera b) e c) del medesimo decreto.
  La disciplina indicata di utilizzazione del territorio dovrà essere inoltre acquisita al piano urbanistico comunale, adottato in adeguamento al piano paesaggistico regionale, ai sensi dell'articolo 145 del decreto legislativo n. 42 del 2004 nel procedimento di adeguamento del PUC di Cagliari al PPR dovrà inoltre essere garantita la partecipazione degli organi ministeriali ai sensi del comma 5 del medesimo articolo 145.
  Sempre a proposito della valorizzazione dell'ex Ospedale Marino di Cagliari, il Ministero dei beni culturali ha, peraltro, evidenziato che la soprintendenza competente per territorio, nel procedimento di autorizzazione paesaggistica e storico-architettonica relativo ad un'istanza dell'anno 2006, ha assentito il progetto di recupero dell'immobile nel pieno rispetto dei tempi prescritti dalla legge.

  Il predetto Ministero ha fatto altresì presente che la soprintendenza competente per territorio procederà urgentemente a concordare con la regione iniziative volte alla conservazione del bene, rendendosi disponibile a valutare ed autorizzare con procedura d'urgenza ogni iniziativa di recupero e valorizzazione coerente con la disciplina del piano paesaggistico regionale, con le notevoli qualità del paesaggio tutelato e con i valori culturali che hanno condotto al riconoscimento del pubblico interesse dell'immobile.
  Per quanto concerne il nuovo ospedale Marino o
ex hotel Golfo degli Angeli, non sussistono vincoli di carattere architettonico. Per quanto riguarda la tutela paesaggistica del compendio, viceversa si rilevano:

   Fascia di rispetto di 300 metri dalla linea di battigia del mare, articolo 142, comma 1, lettera a) del decreto legislativo n. 42 del 2004;

   decreto ministeriale 24 marzo 1977, Dichiarazione di notevole interesse pubblico di una zona in comune di Cagliari, pubblicata sulla gazzetta ufficiale n. 345 del 20 dicembre 1977, articoli 136-157 del decreto legislativo n. 42 del 2004;

   articolo 17, comma 3, lettera a) (Fascia Costiera) della NTA del PPR;

   PPR Sardegna-Ambito di paesaggio n.1, scheda d'ambito.

  In relazione al suddetto compendio, viste le plurime misure di tutela paesaggistica vigenti, la disciplina d'uso del territorio dovrebbe quindi derivare dalle regole di pianificazione paesaggistica condivise tra regione e Ministero dei beni e delle attività culturali sopra descritte in riferimento all'ex ospedale Marino; tale disciplina dovrà come detto, essere recepita dal PUC di Cagliari in fase di adeguamento al PPR.
  Considerate le poderose dimensioni del suddetto fabbricato, visibile anche da decine di chilometri di distanza, la Soprintendenza competente per territorio ha comunicato la disponibilità ad esaminare ed autorizzare progetti di interventi senza aumenti volumetrici e non lesivi dei valori paesaggistici tutelati.
  Per quanto riguarda 1'ippodromo di Cagliari, il Ministero dei beni culturali ha rappresentato che il territorio attualmente destinato ad ippodromo non può essere classificato sotto il profilo ambientale paesaggistico come bene compromesso; esso non necessita pertanto di azioni di risanamento se non un semplice intervento di rinaturalizzazione. Il medesimo territorio, inoltre, considerata la sua collocazione in un'area ricchissima di valori paesaggistico-ambientali, non pare avere alcuna vocazione edificatoria, considerati anche i cospicui manufatti, immediatamente contigui, già lesivi dei valori paesaggistici che avevano condotto all'adozione della dichiarazione di notevole interesse paesaggistico del 24 marzo 1977, rappresentati appunto dall'ex ospedale Marino e dal nuovo ospedale già albergo Esit.
  Con riferimento al regime vincolistico di tale area, non si riscontrano edifici di interesse storico-architettonico, tutelati ai sensi della parte seconda del codice. Viceversa, sotto il profilo paesaggistico le misure di tutela attualmente efficaci sono le seguenti:

   Fascia di rispetto dei 300 metri dalla linea di battigia del mare, articolo 142, comma 1, lettera a), del decreto legislativo n. 42 del 2004;

   articolo 136-157 del decreto legislativo n. 42 del 2004 in ragione del decreto ministeriale 24 marzo 1977, Dichiarazione di notevole interesse pubblico di una zona in comune di Cagliari, pubblicata sulla gazzetta ufficiale n. 345 del 20 dicembre 1977;

   articolo 17, comma 3 lettera a) (Fascia Costiera) delle NTA del PPR;

   PPR Sardegna-Ambito di Paesaggio n. 1, scheda d'ambito.

  Considerate le richiamate misure di tutela paesaggistica, anche per l'area dell'ippodromo di Cagliari si conferma il regime vincolistico già descritto per l'ex ospedale Marino e per l'ex Albergo Esit, attuale ospedale Marino di Cagliari.
  La disciplina d'uso del suddetto territorio dovrebbe pertanto essere ricondotta alle norme di attuazione del Piano Paesaggistico regionale, secondo quanto previsto dagli articoli 135, 143 del decreto legislativo n. 42 del 2004 di cui sopra; le medesime regole d'uso del territorio vincolato dovranno poi essere recepite dal PUC di Cagliari adottato in adeguamento allo stesso piano paesaggistico regionale.
  Considerato quanto sopra e vista l'attuale destinazione d'uso a parco pubblico sportivo dello stesso compendio, la soprintendenza competente per territorio ha comunicato la piena disponibilità a valutare ed autorizzare progetti di recupero e valorizzazione dell'ippodromo di Cagliari che, senza creazione di ulteriori volumetrie, possa mantenere inalterata la medesima destinazione urbanistica.
  A ciò si aggiunga che, secondo quanto riferito dal presidente della regione Sardegna, con deliberazione n. 12/10 del 28 marzo 2006, la Giunta regionale ha dettato le direttive per la valorizzazione dell'immobile denominato ex Ospedale Marino, ubicato in Cagliari nella località Poetto, stabilendo di esperire apposita gara al fine dell'affidamento del bene in concessione d'uso per un periodo di 50 anni.
  In attuazione di tale delibera, il Servizio centrale demanio e patrimonio della direzione generale enti locali e finanze, con determinazione 21 luglio 2006, n. 1206/D, ha indetto un'apposita gara. Successivamente all'aggiudicazione si è aperto un contenzioso giudiziario, tuttora in corso. Attualmente, si è, quindi, in attesa del deposito della sentenza per conoscere le decisioni della competente autorità giudiziaria.
  Per quanto riguarda l'Ospedale Marino (ex Grand Hotel Golfo degli Angeli), ubicato in Cagliari in località Poetto, la Giunta regionale, con deliberazione n. 6/15 del 2 febbraio 2016, ha approvato la «proposta di ridefinizione della rete ospedaliera della Regione Autonoma della Sardegna», prevedendo che lo stesso sia utilizzato come «stabilimento riabilitativo». La deliberazione è attualmente all'esame del Consiglio regionale, che dovrà provvedere alla sua approvazione, ai sensi dell'art. 12 della legge regionale n. 10 del 2016 (Tutela della salute e riordino del servizio sanitario della Sardegna. Abrogazione della legge regionale 26 gennaio 1995, n. 5).
  Alla luce delle informazioni esposte, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare continuerà comunque, per quanto di competenza, a tenersi informato ed a svolgere la propria attività di monitoraggio senza ridurre il livello di attenzione sulla questione.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   VARGIU e MATARRESE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   il porto di Arbatax rappresenta un nodo di collegamento essenziale per l'Ogliastra e va a servire un territorio con scarsa infrastrutturazione viaria, ma con grandi potenzialità di sviluppo turistico;

   il porto di Arbatax rappresenta, inoltre, una grande opportunità di sviluppo economico per l'area geografica di riferimento, mentre l'efficienza dei collegamenti marittimi garantiti verso il continente ha una importanza vitale anche per le attività manifatturiere e di import-export del territorio;

   la qualità dei servizi del orto di Arbatax rappresenta dunque un'asset fondamentale per tutta l'Ogliastra e per l'intera isola;

   qualsiasi disservizio che colpisca il porto di Arbatax appare doppiamente dannoso, non soltanto perché genera disagi tra gli utenti, ma anche perché determina una percezione di cattiva qualità complessiva dell'offerta, che finisce per scoraggiare l'utilizzo del porto, orientando la stessa utenza locale a preferire opportunità più complesse e costose, ma di qualità più sicura;

   in questo contesto, appare intollerabile l'ennesimo disservizio verificatosi in data 31 ottobre 2017 quando la motonave della Tirrenia «Bithia», proveniente da Cagliari e diretta a Civitavecchia, ha saltato l'attracco ad Arbatax previsto per le 23,20, a causa di un black-out nell'illuminazione che rendeva insicuro l'ormeggio;

   il black-out elettrico avrebbe determinato lo spegnimento delle torri faro che illuminano il dente d'attracco è il molo di levante dello scalo di Arbatax;

   le cronache giornalistiche riferiscono che non ci fosse alcun problema degli impianti elettrici portuali, ma esclusivamente un'interruzione dei servizi di erogazione dell'energia elettrica da parte dell'Enel;

   tale disservizio ha lasciato a terra ben 103 passeggeri, con 32 automobili al seguito, costretti a partire il giorno dopo, alle 23, da Olbia;

   simili problemi nei trasporti, che forse potrebbero essere gestiti con maggior facilità in qualsiasi altro porto italiano, che potesse beneficiare di collegamenti alternativi ferroviari o su gommato, diventano drammatici per la Sardegna, che sconta l'handicap allo sviluppo rappresentato dalla condizioni di insularità –:

   di quali elementi disponga circa il motivo per cui — nella nottata del 31 ottobre 2017 – l'Enel non abbia potuto con immediatezza ripristinare l'erogazione interrotta della corrente elettrica nel porto di Arbatax, impedendo l'attracco della motonave della Tirrenia Bithia;

   quali siano gli interventi strategici che si intendano attuare per dotare il porto di Arbatax di un'adeguata infrastrutturazione tecnologica che impedisca il ripetersi di simili disagi.
(4-18410)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, sulla base delle informazione pervenute dalla direzione generale per la vigilanza sulle autorità portuali, le infrastrutture portuali ed il trasporto marittimo e per vie d'acqua interne, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  L'ufficio circondariale marittimo di Arbatax, riferisce che il mancato approdo della nave della compagnia CIN-Tirrenia s.p.a. nella serata del 31 ottobre 2017 presso il porto regionale di Arbatax, è stato causato da un
black-out occorso all'impianto di illuminazione del Molo di Levante, probabilmente originato da delle infiltrazioni d'acqua venutesi a creare all'interno delle linee elettriche che alimentano le torri faro del predetto molo.
  Attesa l'inattuabilità di una risoluzione immediata della suddetta avaria, la società cooperativa gruppo ormeggiatori Arbatax ha quindi segnalato alla competente autorità marittima di Arbatax l'impossibilità di effettuare in sicurezza le operazioni di ormeggio della nave.
  Premesso quanto sopra, da circa due anni l'impianto elettrico del porto di Arbatax risultava essere soggetto a frequenti
black-out, in particolare nelle giornate caratterizzate da piogge e/o da forte umidità.
  Tale problematica, segnalata più volte dall'ufficio circondariale marittimo di Arbatax, è stata affrontata in data 29 agosto 2017 da personale del comune di Tortolì che ha effettuato un intervento tecnico alle lampade delle torri faro site all'interno del porto di Arbatax senza, tuttavia, risolvere definitivamente la problematica in questione.
  Recentemente, l'ufficio circondariale marittimo di Arbatax ha informato che una ditta specializzata (CIEM s.r.l.) ha provveduto al temporaneo ripristino dell'impianto di illuminazione del Molo di Levante – nuovo dente d'attracco del porto di Arbatax, intervento che sinora ha garantito le condizioni di operatività dello scalo.
  Dette operazioni, considerato il carattere di urgenza che la problematica rivestiva, sono state commissionate a proprie spese dal comune di Tortolì, che si rivarrà sulla regione autonoma della Sardegna, ente competente sul porto di Arbatax, come da accordi intrapresi tra le amministrazioni.
  Si fa presente, infine, che il comune di Tortolì sta redigendo la relazione tecnica sui lavori in parola e sugli interventi necessari per il ripristino della completa funzionalità dell'impianto di illuminazione.

Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti: Riccardo Nencini.


   VENTRICELLI, BERRETTA, CULOTTA e RIBAUDO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:

   il percorso di riforme in materia di giustizia avviato in questa legislatura ha avuto il merito di porre attenzione particolare al tema delle risorse umane; l'assenza di una politica di reclutamento e il blocco del turn over generalizzato degli anni passati aveva prodotto una forte riduzione di personale amministrativo tale da mettere in crisi l'intero sistema giudiziario;

   va pertanto evidenziata l'azione del Governo e del Ministro Andrea Orlando che attraverso varie procedure ha portato dal 2014 ad oggi 2650 unità di personale negli uffici giudiziari, dopo 20 anni in cui non erano state fatte assunzioni;

   il concorso per assistente giudiziario bandito dal Ministero della giustizia è un unicum, non solo per il tempo trascorso dall'ultimo concorso per il personale, ma per le modalità radicalmente innovative e l'assoluta trasparenza con cui è stato svolto;

   si sono registrate la presentazione di più di 300 mila domande e una partecipazione effettiva di circa 80.000 candidati. Una selezione molto rigida, realizzata in tempi record per una pubblica amministrazione, che ha prodotto una graduatoria di 4915 idonei, a meno di un anno dal bando;

   si tratta di giovani, altamente qualificati, con oltre il 75 per cento in possesso di una laurea;

   il Ministero della giustizia ha pubblicato nelle scorse settimane l'elenco di 1400 sedi che verranno scelte dagli 800 vincitori del concorso, a cui seguirà un primo scorrimento della graduatoria per 600 unità, secondo il calendario diramato l'11 gennaio 2018;

   sempre in queste settimane il Ministero sta concludendo le procedure per l'assegnazione delle sedi e l'assunzione di 200 funzionari;

   da ultimo, la legge di bilancio approvata a fine anno ha previsto ulteriori risorse per l'assunzione di 1400 unità –:

   come intenda il Ministro interrogato proseguire in questa strategia di reclutamento; se siano previste, oltre le prime 1400 assunzioni, ulteriori scorrimenti di graduatoria per il concorso di assistenti giudiziari; se ritenga di valorizzare l'intera graduatoria di idonei, attraverso una programmazione pluriennale di assunzioni da quel concorso.
(4-19015)

  Risposta. — In relazione all'atto di sindacato ispettivo in esame intendo anzitutto ringraziare gli interroganti per l'apprezzamento espresso sull'azione del Governo e del mio Ministero nelle politiche del personale amministrativo della giustizia, completamente fermo da oltre venti anni, tanto da portare gli uffici sull'orlo del collasso.
  Il percorso riformatore snodatosi negli ultimi quattro anni ha preso le mosse dall'analisi, senza infingimenti, delle condizioni reali dell'amministrazione della giustizia ed è stato sorretto dalla convinzione che nessun programma riformatore può avanzare se privo delle risorse per la sua realizzazione.
  Siamo partiti nel primo semestre del 2014 da un piano di assunzioni tramite scorrimento da graduatorie per circa 150 unità, con un investimento economico di 6 milioni di euro. Siamo giunti oggi a risorse destinate per circa 5400 unità, di cui 1400 previste dalla legge di bilancio 2018, per un ammontare di 300 milioni di euro.
  Le rinnovate strategie di reclutamento, avviate seguendo diverse linee di azione (mobilità volontaria, mobilità obbligatoria, mobilità di area vasta, scorrimento di graduatorie di altre amministrazioni), e che hanno consentito di definire 1850 assunzioni, sono culminate nel 2017 con il concorso per 800 posti di assistente giudiziario, poi aumentati a 1400, concorso che, come riconosciuto dagli Onorevoli interroganti, ha rappresentato un
unicum nel panorama delle procedure assunzionali pubbliche degli ultimi anni, anche per le modalità di gestione delle prove, rapide, informatizzate e trasparenti.
  Nel mese di gennaio hanno preso servizio presso gli uffici giudiziari gli 800 vincitori del concorso, ai quali si aggiungeranno in questo stesso mese ulteriori 600 unità di idonei.
  Mi preme rilevare come la scelta delle sedi alle quali assegnare i nuovi assistenti giudiziari sia stata ponderata con la massima attenzione, avuto riguardo alle necessità segnalate e alle urgenze indifferibili.
  I prossimi due mesi, vedranno poi l'ingresso di ulteriori unità, segnatamente 200 funzionari giudiziari, destinati agli uffici delle Corti d'appello e della Corte di Cassazione, assunti con scorrimento delle graduatorie di altre amministrazioni ai sensi del decreto di questo Ministro del 21 aprile 2017, adottato di concerto con il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione.
  Provvedimento che ricordo prevede l'assunzione, con le medesime modalità, di ulteriori 200 unità, 80 delle quali di profilo informatico e contabile e 120 di assistente giudiziario.
  Le recenti misure, che si inseriscono coerentemente nell'ambito del complessivo piano di azione straordinario degli ultimi quattro anni, restituiscono un quadro assolutamente positivo per l'amministrazione della giustizia e per certi versi tracciano un percorso oramai irreversibile.
  Posso dunque affermare con convinzione che l'impegno del Ministero è quello di proseguire con decisione nella strada intrapresa, nella consapevolezza che l'efficienza del sistema giudiziario passi necessariamente attraverso investimenti mirati nelle politiche di reclutamento del personale amministrativo.
  In coerenza con tale impegno, e proprio nella direzione auspicata dagli Onorevoli interroganti, il 31 gennaio 2017 ho firmato, con il Ministro Madia, il decreto che, adeguando i precedenti provvedimenti in materia di criteri e priorità nelle procedure di reclutamento, prevede l'assunzione delle 1400 unità di personale autorizzata dalla legge di bilancio 2018.
  Di questo contingente, 1300 unità saranno inquadrate nella qualifica di assistenti giudiziari, attingendo alla graduatoria del concorso pubblico per 800 posti; le restanti 100 unità riguardano funzionari giudiziari di Area funzionale III, la cui assunzione, che può avvenire mediante scorrimento delle graduatorie in corso di validità, potrà consentire di dare ulteriore impulso alle procedure di riqualificazione interna del personale.
  Va ulteriormente sottolineato che, con il medesimo decreto, attualmente presso la Corte dei conti per la registrazione, viene previsto lo scorrimento della medesima graduatoria degli idonei, formata nel concorso a 800 posti, per i 120 assistenti giudiziari, che avrebbero dovuto essere assunti mediante scorrimento di graduatorie di altre amministrazioni.
  L'intervento in parola consentirà dunque di assumere nell'immediato ulteriori 1420 assistenti giudiziari, attingendo alla graduatoria del concorso per 800 posti, da aggiungere ai 1400 che hanno già preso servizio o lo prenderanno nel mese in corso, con evidenti positive ricadute anche sul piano sociale.
  In sostanza nel giro di poco più di un anno si arriva all'assunzione di 2820 assistenti giudiziari; la graduatoria di idonei non vincitori comprende ancora quindi 2095 idonei, che potranno essere interamente assunti nell'arco di massimo tre anni se, nella prossima legislatura, si manterrà il livello di stanziamenti per nuove assunzioni che abbiamo assicurato in questo mandato e tenuto altresì conto della revisione delle piante organiche e delle vacanze che si determineranno per i pensionamenti.
  Nell'ambito di tale straordinario piano di azione, si inseriscono poi le misure realizzate con lo scopo di valorizzare il personale già in servizio, nei confronti del quale non era stata avviata alcuna procedura di riqualificazione, con conseguenti effetti sperequativi rispetto ad altri ruoli per i quali si era proceduto alla opportuna valorizzazione.
  Il 26 luglio 2017, con l'approvazione della graduatoria, si sono concluse le procedure per la riqualificazione per le figure che da più tempo attendevano tale intervento, cancellieri e funzionari UNEP, rendendo così disponibili oltre 1700 posti.
  Nella medesima direzione, ed a conferma della serietà dell'impegno e della irreversibilità del percorso intrapreso, con la legge di bilancio 2018 sono state appostate le risorse per la riqualificazione anche dei profili tecnici: contabili, assistenti informatici e assistenti linguistici.
  Sempre con l'attenzione rivolta al personale già in servizio, con gli accordi sindacali siglati il 13 settembre e il 21 dicembre 2017, sono state avviate le procedure per le progressioni economiche. Per l'anno 2017, le risorse stanziate per la progressione di 10.454 unità di personale, ammontano ad oltre 19 milioni di euro; per l'anno in corso, con il medesimo obiettivo, sono stati appostati oltre 7 milioni di euro.
  Il percorso riformatore di questi anni, confermato anche dalle più recenti iniziative, rappresenta il frutto dello straordinario e sempre coerente impegno che il Ministero della giustizia ha dedicato al tema delle politiche del personale, dopo un'epoca di assoluta stagnazione, aprendo finalmente nuove prospettive per un effettivo recupero di efficienza in capo agli uffici giudiziari.
  Resto infatti convinto che la trasformazione dei modelli organizzativi, i nuovi investimenti, la digitalizzazione della giustizia, anch'essi il portato delle politiche riformatrici degli ultimi anni, siano fattori fondamentali, ma per poter esplicare appieno la loro funzione devono essere supportati da risorse umane, oggi finalmente adeguate per consistenza e professionalità.
  

Il Ministro della giustizia: Andrea Orlando.


   VERRECCHIA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:

   in data 1° gennaio 2018 sono stati resi noti gli aumenti autostradali che in alcuni tratti hanno raggiunto un aumento fino al 50 per cento;

   in Abruzzo sulle tratte autostradali A24 e A25 l'aumento è stato di circa il 13 per cento;

   tale aumento pregiudica l'economia familiare dei pendolari, studenti e dello sviluppo economico dell'Abruzzo;

   nel 2017 si è intervenuti con ben 3 specifiche norme sulle autostrade A24 e A25, in funzione della messa in sicurezza delle medesime:

    1) l'articolo 52-quinquies del decreto-legge n. 50 ha sospeso per due anni l'obbligo di versare le rate del corrispettivo della concessione previa presentazione di un piano per interventi urgenti;

    2) l'articolo 16-bis del decreto-legge n. 91 ha autorizzato un contributo di 50 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2021 al 2025 e nella relazione tecnica presentata dal Governo, si sottolinea che la norma in esame «prevedendo l'erogazione di un contributo in conto capitale che esclude il recupero delle somme mediante tariffa, non produce effetti sull'utenza»;

    3) il comma 725 dell'articolo 1 della legge di bilancio per il 2018 (n. 205 del 2017) ha anticipato al 2018 58 milioni di euro previsti per il 2021 e 2022;

   l'aumento consentito dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti deve ritenersi eccessivo ove si consideri che sotto la gestione del Ministro pro tempore Lupi tali aumenti non avevano superato il 2 per cento;

   da anni si richiede un miglioramento del servizio su tale tratta dove si aspetta ancora la costruzione di una stazione di servizio tra Avezzano e Chieti, considerato che per circa 100 chilometri non c'è alcuna struttura per il rifornimento di carburante e per i servizi di necessità –:

   quali motivazioni abbiano indotto il Ministro interrogato a consentire un aumento tariffario così elevato per la maggior parte delle autostrade italiane ed, in particolare, per il tratto A24 ed A25 della regione Abruzzo;

   quali iniziative intenda adottare per ridurre l'impatto economico di tale decisione sull'economia abruzzese.
(4-18982)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, sulla base delle informazioni pervenute dalla direzione generale per la vigilanza sulle concessionarie autostradali di questo Ministero, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  L'aumento tariffario accordato alla società Strada dei parchi per l'anno 2018, pari complessivamente al 12,89 per cento risulta perlopiù relativo a recuperi di incrementi tariffari maturati negli anni passati (anni 2015-2017) e precedentemente non riconosciuti a seguito dell'adozione di misure di contenimento tariffario finalizzate ad incentivare la ripresa economica.
  Il riconoscimento dei suindicati incrementi pregressi in sede di adeguamento tariffario per l'anno 2018 si è reso necessario anche al fine di recepire le pronunce giudiziarie passate in giudicato in merito ai ricorsi presentati dalla società concessionaria avverso gli aggiornamenti tariffari degli anni precedenti. Le autorità giudiziarie in questione, accogliendo le istanze della società, hanno infatti stabilito al contempo la nomina di un commissario
ad acta da parte del ragioniere generale dello Stato qualora non si fosse ottemperato al riconoscimento alla concessionaria delle suddette, differenze tariffarie.
  Il mancato riconoscimento delle tariffe maturate avrebbe determinato oltretutto effetti cumulativi che, nel tempo, sarebbero potuti risultare sconvenienti per l'utenza. I crediti derivanti dai minori riconoscimenti annuali sono infatti soggetti a remunerazione, secondo le pattuizioni convenzionali, al tasso di congrua remunerazione del capitale (wacc), determinando conseguentemente ulteriori costi regolatori che si riflettono nelle variazioni tariffarie degli esercizi successivi.
  L'incremento tariffario accordato alla società Strada dei parchi è stato, ad ogni modo, determinato sulla base di quanto stabilito nella convenzione di concessione vigente fra concessionaria e concedente applicando i criteri individuati dalle delibere CIPE di riferimento n. 319 del 1996 e n. 39 del 2007.
  Il mancato riconoscimento degli incrementi tariffari così come risultanti dall'applicazione delle metodologie e dei criteri previsti dal contratto di concessione avrebbe pertanto comportato per l'amministrazione una responsabilità patrimoniale.
  Allo stato attuale, le regioni Lazio e Abruzzo, stanno comunque procedendo, all'individuazione di misure agevolative per l'utenza, facendosi direttamente carico dei relativi costi.
  Contestualmente, è in corso l'aggiornamento del piano economico — finanziario della società concessionaria nell'ambito del quale saranno specificamente regolati tutti gli interventi di messa in sicurezza dell'infrastruttura previsti a termini di legge. Tali interventi prevedono anche la compartecipazione dello Stato mediante l'erogazione di contributi pubblici, finalizzata anch'essa alla minimizzazione dei costi a carico dell'utenza. Nello stesso Piano economico — finanziario saranno, inoltre, individuate ulteriori misure sempre con l'obiettivo di ottimizzare i livelli tariffari a beneficio degli utenti.

Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasporti: Riccardo Nencini.


   VEZZALI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:

   da notizie di stampa si apprende che il termine per l'iscrizione al «bonus» cultura di 500 euro destinato ai diciottenni, inizialmente fissato per il 30 gennaio è stato prorogato fino al 30 giugno di quest'anno;

   al 30 gennaio, infatti, gli iscritti erano riusciti a spendere solo il 6,3 per cento del credito loro destinato;

   secondo i dati Istat, nel 2016 in Italia c'erano 572.437 diciassettenni. Di questi potenziali maggiorenni hanno richiesto l'identità digitale solo 286.095 ragazzi, cioè poco meno della metà degli aventi diritto;

   lo scarso successo registrato dalla misura varata dal Governo è da attribuire – a quanto si legge – almeno in parte, al complicato meccanismo con il quale si deve richiedere l'identità digitale (spid) senza la quale è impossibile iscriversi sul portale «18APP»;

   alla metà di gennaio (a quindici giorni dalla scadenza del termine utile per la registrazione) gli iscritti al portale del Governo erano solo 230 mila, il 40 per cento del totale di coloro che avevano richiesto il codice «Spid»;

   secondo i dati della Presidenza del Consiglio al 17 gennaio 2017 erano stati staccati 200 mila coupon nei negozi iscritti all'iniziativa e 350 mila nei rivenditori on line per una spesa complessiva di 6 e 12,5 milioni di euro. Alla data del 24 gennaio si erano accreditati solo 4.270 negozi, concentrati soprattutto nelle città;

   l'iniziativa denominata « bonus» cultura prevede uno stanziamento di 290 milioni di euro per l'anno 2017;

   i ragazzi lamentano difficoltà nell'individuazione dei rivenditori presso i quali spendere il «bonus»;

   da un'analisi più approfondita dei numeri resi pubblici pare che in 7 comuni su 8 in Italia sia impossibile fare acquisti con il bonus perché sprovvisti di un esercizio aderente, visto che mancano di librerie, cinema, teatri, musei, negozi musicali e rivenditori di biglietti –:

   se non ritengano di individuare iniziative volte a semplificare le registrazioni on line e a fare in modo che sia estesa la rete dei rivenditori, affinché sia possibile anche a chi non ama servirsi del computer per fare acquisti, trovare più facilmente un esercizio presso il quale spendere il « bonus» cultura al quale, anche a fronte di una buona pubblicità, non è seguito finora un entusiastico ritorno.
(4-15662)

  Risposta. — Si riscontra l'atto di sindacato ispettivo in esame, con il quale l'interrogante chiede al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo quali iniziative intende assumere per incrementare il livello di consumo di prodotti culturali da parte dei giovani e rendere efficiente il funzionamento del bonus di cui alla legge n. 28 dicembre 2015, n. 208, comma 979, ai sensi del quale: «ai cittadini residenti nel territorio nazionale, in possesso, ove previsto, di permesso di soggiorno in corso di validità, i quali compiono diciotto anni di età nell'anno 2016, è assegnata, nel rispetto del limite di spesa di cui al comma 980, una Carta elettronica. La Carta, dell'importo nominale massimo di euro 500 per l'anno 2016, può essere utilizzata per assistere a rappresentazioni teatrali e cinematografiche, per l'acquisto di libri nonché per l'ingresso a musei, mostre ed eventi culturali, monumenti, gallerie, aree archeologiche, parchi naturali e spettacoli dal vivo.».
  Con riferimento agli specifici quesiti contenuti nell'interrogazione in oggetto, si risponde in base ai dati forniti dai competenti uffici del Ministero.
  Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 15 settembre 2016 n. 187, pubblicato nella
Gazzetta Ufficiale — serie generale n. 242 del 17 ottobre 2016 si è data attuazione all'articolo 1, comma 979, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 che ha introdotto il «bonus cultura» per i diciottenni ovvero ha riconosciuto la possibilità di erogare euro 500 in favore di quei giovani che hanno compiuto la maggiore età nel 2016 affinché possano assistere a rappresentazioni teatrali e cinematografiche, acquistare libri (categoria comprendente ebook e audiolibri), nonché i titoli di ingresso a musei, mostre ed eventi culturali, monumenti, gallerie, aree archeologiche, parchi naturali e spettacoli dal vivo.
  Il relativo all'articolo 3, comma 2, ha stabilito che i dati anagrafici sono accertati attraverso il sistema pubblico per la gestione dell'identità digitale di cittadini e imprese (SPID), dando così attuazione all'articolo 64 del decreto legislativo n. 82 del 2005 (codice dell'amministrazione digitale), il quale prevede che per favorire la diffusione di servizi di rete e agevolare l'accesso agli stessi da parte di cittadini e imprese, anche in mobilità, è istituito, a cura dell'Agenzia per l'Italia digitale (AgID), il sistema pubblico per la gestione dell'identità digitale di cittadini e imprese.
  Le modalità per l'attribuzione dell'identità digitale sono contenute nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 24 ottobre 2014, che ha trovato piena applicazione nell'iniziativa in oggetto.
  Ai quattro
provider già autorizzati dall'AgID a rilasciare l'identità digitale, cioè Poste italiane, Tim, Infocert e Sielte recentemente si sono aggiunti Aruba, Namirial e SpidItalia. È inoltre possibile richiedere lo SPID anche utilizzando, qualora se ne sia già in possesso, una carta d'identità elettronica, una carta nazionale dei servizi (CNS) o la firma digitale. In questi ultimi casi si può completare la registrazione totalmente on-line tramite un lettore di smart card da collegare al computer.
  Tutte le informazioni sono rinvenibili sul sito
www.18app.italia.it, che rinvia laddove occorre e per la specifica competenza al sito www.spid.gov.it, oltre a contenere in appositi link ubicati nel footer della homepage indicazioni e spiegazioni, distinte per argomento.
  Ai sensi dell'articolo 7 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 187 del 2016 gli esercenti presso i quali è possibile utilizzare la carta, sia con acquisti fisici — cioè recandosi direttamente presso l'esercizio commerciale – che online, sono inseriti in un apposito elenco, al quale si possono registrare utilizzando le credenziali fornite dall'Agenzia delle entrate, quindi con la semplice indicazione della partita IVA, del codice ATECO dell'attività prevalentemente svolta, della denominazione e dei luoghi dove viene svolta l'attività, della tipologia dei beni e dei servizi che l'esercente offre tra quelli oggetto dell'iniziativa, ovvero, come previsto dall'articolo 5, comma 2, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 187 del 2016, già sopra elencati.
  L'adesione è quindi su base volontaria, eccezion fatta per le strutture museali e i luoghi della cultura del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, che sono stati inseriti di default nell'elenco.
  Consapevole del numero degli esercenti che potenzialmente svolgono attività molto affini allo spirito dell'iniziativa di promozione della cultura e dell'avvicinamento ad essa dei giovani diciottenni, ma il cui codice ATECO dell'attività prevalentemente svolta non è direttamente riconducibile ad essa (si pensi ad esempio ai tanti ipermercati specializzati ormai anche nella vendita dei libri), il MiBACT ha attivato una casella di posta elettronica certificata
18app@mailcert.beniculturali.it, alla quale i suddetti esercenti possono richiedere comunque l'iscrizione all'elenco ex articolo 7 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, previa breve descrizione dell'attività normalmente svolta, nella quale si devono evidenziare le affinità con gli ambiti previsti dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri e, soprattutto, il codice ATECO secondario che le identificano. Questa procedura ha consentito finora a 1.200 esercenti di potersi iscrivere all'iniziativa.
  I diciottenni iscrittisi alla 18app entro il 30 giugno 2017, termine previsto dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 187 del 2016, sono stati 351.522 su una popolazione di residenti stimata in 576.953, come da relazione tecnica allegata al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri sopra citato, a cui corrisponde un plafond impegnato di euro 175.761.000 rispetto ai 290 milioni stanziati per l'iniziativa. Sono stati generati 4.760.768 buoni di spesa, di cui 2.121.752 per acquisti «fisici» e 2.639.016 da spendere mediante operazioni e-commerce. I coupon validati dagli esercenti, cioè presentati all'incasso sono:

   1.678.584 per gli acquisti fisici, a cui corrisponde una spesa pari ad euro 52.755.055,70;

   1.749.149 per gli acquisti online, per una spesa pari ad euro 65.664.992,98.

  Al 30 giugno 2017 gli esercenti iscritti (intendendo con ciò i punti vendita presso cui è possibile effettuare gli acquisti, sia fisici che online) erano 5.684.
  La legge 11 dicembre 2016, n. 232, all'articolo 1 comma 626, ha esteso l'iniziativa anche ai ragazzi nati nel 1999, che compiono dunque la maggiore età nel 2017, ampliando il ventaglio dei beni acquistabili col bonus aggiungendo la musica registrata (intendendo con ciò CD, DVD musicali e musica online), corsi di musica, di teatro e di lingua straniera.
  Con
Gazzetta Ufficiale n. 218 del 18 settembre è stato pubblicato il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 136 del 4 agosto 2017, attuativo della norma sopra richiamata e modificativo del precedente decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 187 del 18 settembre 2016. Dal 19 settembre 2017 è consentito dunque ai neo diciottenni l'iscrizione alla 18app.
  Si rappresenta, infine, che la legge 27 dicembre 2017, n. 205, che ha approvato il bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2018 e il bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020, le disposizioni di cui all'articolo 1, comma 979, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, sono state prorogate ai soggetti che compiono la maggiore età negli anni 2018 e 2019.
  Nella manovra sono infatti inclusi 290 milioni di euro annui che confermano la card da 500 euro per i giovani residenti in Italia che compiono 18 anni.
  Nel testo del disegno di legge manca una norma specifica, come avvenuto negli anni passati, ma le risorse sono state inserite nel bilancio di previsione di questo Ministero mediante rifinanziamento del relativo capitolo di spesa n. 1430 «Somma per l'assegnazione ai cittadini che compiono diciotto anni nel 2018 di una carta elettronica da utilizzare per rappresentazioni teatrali e cinematografiche, nonché per l'ingresso a musei, mostre, eventi culturali e spettacoli dal vivo».
  Aver favorito il consumo culturale dei giovani nelle sue diverse tipologie, aver attivato canali di comunicazione dedicati tra l'amministrazione e i giovani, aver dotato di SPID una ampia fascia di neo diciottenni, aver sollecitato l'innovazione tecnologica anche presso gli esercenti e, in particolare, negli istituti e luoghi della cultura, ha consentito, sulla base dei predetti risultati positivi, di proporre la proroga del bonus in questione.
  La legge di bilancio 2018, conferma, dunque, l'impegno del Governo a favore della cultura e dei giovani.

Il Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali e il turismo: Antimo Cesaro.


   VILLAROSA, DALL'OSSO, BRUGNEROTTO, D'INCÀ, SILVIA GIORDANO, CASO, MARZANA, CANCELLERI, LUIGI GALLO, BRESCIA, L'ABBATE, GALLINELLA, PARENTELA, DELL'ORCO, CARINELLI, MICILLO, DAGA, DE ROSA, GAGNARLI, SPESSOTTO, DE LORENZIS, LIUZZI, PAOLO NICOLÒ ROMANO, NICOLA BIANCHI e AGOSTINELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:

   il comune di Mazzarrà S. Andrea è stato sciolto per infiltrazioni mafiose della cosiddetta cosca dei «Mazzaroti» e si è insediata una commissione straordinaria prefettizia nell'ottobre 2015;

   la società Tirreno Ambiente spa, al centro di diverse inchieste giudiziarie in particolare le operazioni «Riciclo», «Vivaio» e «Gotha», è stata messa in liquidazione come si evince da un articolo della Gazzetta del Sud del 27 febbraio 2017;

   come già evidenziato nell'interpellanza urgente n. 2-01794 pare che ancora non sia stato attivato il progetto di chiusura della discarica e la società, in crisi finanziaria, non può permettersi una corretta gestione della discarica medesima, in particolare delle attività di raccolta e di smaltimento del percolato che già ad aprile 2017, per 14 giorni (articolo della Gazzetta del Sud del 23 aprile 2017 «Da oggi via libera allo smaltimento del percolato»), è fuoriuscito dalle vasche inquinando l'ecosistema circostante;

   con delibere 167/2017 e 330/2017 la regione siciliana ha stanziato 500.000 euro per il superamento temporaneo dell'emergenza legata al percolato;

   il 22 agosto 2017 all'interno del corpo della discarica si è verificato un incendio che, solo grazie al rapido ed efficace intervento del corpo dei vigili del fuoco ed allo stanziamento in emergenza da parte del comune in dissesto di circa 18.000 euro, non ha creato grossi e gravi danni ambientali (https://www.amnotizie.it);

   oltre alle numerose emergenze ambientali già avvenute si segnala inoltre che i nove lavoratori della TirrenoAmbiente, come si evince da un articolo della Gazzetta del sud del 7 settembre 2017, sono senza stipendio da più di otto mesi ed hanno costituito un presidio di protesta dal 28 agosto 2017;

   l'Ispra nella sua «Relazione preliminare di Valutazione di danno Ambientale» redatta a dicembre 2016 sulla discarica di Mazzarrà S.Andrea accerta grosse problematiche come:

    «fortissime possibilità che la geomembrana in HDPE, utilizzata per l'impermeabilizzazione del fondo di discarica, possa essere interessata da rotture multiple a causa di movimenti orizzontali del corpo di rifiuti e, nei periodi invernali, il fondo della discarica risulta immerso nella falda. Tale elemento è di estrema gravità, e conduce a ritenere certa l'esistenza di una contaminazione in atto che indica nella discarica la sorgente attiva»;

    «Gli esiti delle analisi inducono a ritenere anche al pericolo che tali acque risultino contaminate dal percolato (...) La conclusione prodotta dal Perito sull'ipotesi di uno scenario di contaminazione in un prossimo futuro è particolarmente grave»;

    inoltre, nella relazione si rileva la possibilità che all'interno del corpo della discarica possano trovarli anche rifiuti non autorizzati in quanto «le modalità di realizzazione e gestione della discarica hanno evidenziato, in più episodi, difformità tra quanto previsto nei documenti degli atti formali dovuti e quanto appurato effettivamente nell'attività di rilevamento in campo durante le indagini peritali»;

    «Lo stesso perito il dott. Nicola Dell'Acqua in data 5 novembre 2015, rilevava uno scenario preoccupante, segnatamente in merito alla necessità di interventi urgenti e indifferibili volti ad evitare un incipiente collasso strutturale del corpo dei rifiuti della discarica. Tale gravosa minaccia prelude a disastrose conseguenze non solo in termini ambientali, ma anche per le ricadute economico sociali, considerando che il cedimento strutturale dei rifiuti, riversandosi nel letto del Torrente Mazzarrà, potrebbe innestare, con effetto domino, una serie di disastrosi effetti, trovando impreparati gli Enti locali a uno siffatto scenario catastrofico»;

   l'Ispra nella sua relazione quantifica il costo complessivo per tutti gli interventi di bonifica e chiusura in circa 116.560.000,00 euro, rileva che essendo in presenza di danno ambientale previsto dall'articolo 304 del decreto legislativo n. 152 del 2006 il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare avrebbe dovuto irrogare una sanzione amministrativa complessiva di 2.538.000 euro (al 20 dicembre 2016) –:

   quali concrete ed importanti iniziative di competenza si intendano assumere, con urgenza, per risolvere definitivamente questa situazione di pericolo scaturente da molteplici fattori legati alla discarica di Mazzarrà che mettono in serio pericolo l'incolumità di tutti gli abitanti e dell'ecosistema dell’hinterland;

   se intendano, per quanto di competenza, attivarsi per chiarire in che modo verranno tutelati i lavoratori che, nonostante gli stipendi arretrati, continuano ancora oggi a svolgere il loro lavoro in discarica evitando ulteriori emergenze;

   se il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare intenda chiarire se e a quale soggetto abbia già irrogato le sanzioni previste ed in che modo il Ministero intenda intervenire, per quanto di competenza, per reperire i 116.560.000 euro necessari per gli interventi di prevenzione e di riparazione.
(4-17817)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  Occorre, in primo luogo, evidenziare che questo Ministero ha curato la costituzione di parte civile nel procedimento penale, in corso, n. 3355/14 R.G.N.R. presso il tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, a carico di rappresentanti legali e amministratori delegati della Tirrenoambiente s.p.a., per il risarcimento del danno ambientale derivante dalla illecita gestione della discarica di Mazzarrà Sant'Andrea.
  Al fine di supportare l'azione risarcitoria in sede penale, l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) ha prodotto la relazione preliminare di valutazione del danno ambientale del dicembre 2016.
  Per quanto riguarda le sanzioni amministrative irrogabili ai sensi dell'articolo 304 comma 2 del decreto legislativo n. 152 del 2006, si rappresenta che le stesse afferiscono a condotte assorbite in quelle contestate nel sopraindicato processo penale, nel quale questo Ministero si è costituito parte civile per il ristoro del danno ambientale.
  Per quanto concerne l'individuazione in concreto delle misure di prevenzione del danno all'ambiente, ISPRA, su richiesta del Ministero dell'ambiente, ha messo a disposizione, a giugno 2017, un gruppo di tecnici per procedere, in collaborazione con l'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente (ARPA) della Sicilia e le amministrazioni locali, all'individuazione delle misure di prevenzione specifiche, ai sensi dell'articolo 304, comma 3, del decreto legislativo n. 152 del 2016, necessarie per la messa in sicurezza della discarica.
  In merito alla richiesta di intervento statale ai sensi dell'articolo 309 del decreto legislativo n. 152 del 2006 presentata dalla regione Siciliana con nota prot. n. 33140 del 27 luglio 2017 per il tramite della prefettura di Messina, si evidenzia che la stessa si sostanzia in una richiesta di risorse finanziarie per provvedere alla chiusura, messa in sicurezza e gestione post-operativa della discarica di Mazzarrà Sant'Andrea e, nell'imminenza, finalizzata alla raccolta e smaltimento del percolato.
  A ciò si aggiunga che, il Consiglio dei ministri dell'8 febbraio 2018, su proposta del Presidente del Consiglio, ha deliberato la dichiarazione dello stato di emergenza in relazione alla situazione di criticità in atto nel territorio della regione Siciliana nel settore dei rifiuti urbani. Le funzioni di commissario delegato sono state affidate al presidente della regione Sicilia, che sarà coadiuvato, per tale emergenza, da un prefetto in qualità di coordinatore.
  Ad ogni modo, si segnala che dell'attività istruttoria in corso sono interessati diversi livelli di amministrazione, pertanto, non appena perverranno ulteriori elementi informativi, si provvederà a fornire un aggiornamento.
  Quanto riferito testimonia che le problematiche rappresentate dall'interrogante sono tenute in debita considerazione da parte di questo Ministero, il quale ha provveduto, e provvederà per il futuro, alle attività e valutazioni di competenza in materia con il massimo grado di attenzione, e a svolgere un'attività di monitoraggio e sollecito, tenendosi informato anche attraverso gli altri enti istituzionali competenti.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   VILLAROSA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:

   in una nota del 16 ottobre 2017, relativa alla discarica di Mazzarrà S. Andrea, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare chiede agli uffici della regione Siciliana «di chiarire se siano state avviate le attività necessarie alla chiusura e messa in sicurezza definitiva della discarica come previste dal decreto legislativo n. 36 del 2003 e quali siano le iniziative che la Regione intende porre in essere per garantire l'effettivo pagamento della tariffa per il conferimento, da parte dei Comuni siciliani, agli impianti di smaltimento dei rifiuti al fine di non incorrere più in siffatte situazioni. Si rappresenta che la richiesta di individuare tutte le forme di contrasto all'evasione al pagamento della TARI nella disponibilità della competenza regionale, rientrava tra le prescrizioni, dettate per il rilascio dell'intesa contenute nella nota prot. n. 8495 del 31 maggio 2016, relative all'ordinanza n.5/RIF/2016 del Presidente della Regione Siciliana. Inoltre si chiede alla Regione di continuare a tenere aggiornati questi uffici in merito azione adottate per pervenire alla risoluzione definitiva delle criticità legate alla gestione della discarica anche tenendo conto della possibilità di inserire eventuali interventi che si rendessero necessari all'interno dei progetti finanziati nel “Patto per il Sud”, anche al fine di prevenire che il sito venga inserito all'interno della procedura di infrazione comunitarie relativa proprio alla gestione delle discariche»;

   in un articolo di mercoledì 1° novembre 2017 il dirigente del dipartimento regionale Acque e rifiuti, Gaetano Valastro, conferma a MeridioNews che la situazione è ancora in alto mare. In particolare, nella nota riportata nell'articolo, il dirigente precisa che «In relazione al progetto di chiusura presentato nel dicembre 2014 dalla ditta Tirreno Ambiente spa, oggi in liquidazione, si osserva che tale progetto avente un costo di oltre 20 milioni di euro non fu approvato da questa amministrazione regionale in quanto la Tirrenoambiente non ha fornito tutti gli elementi richiesti per definire l'istruttoria e, pertanto, la ditta rimane inadempiente alle disposizioni di legge non consentendo la chiusura della discarica e il passaggio alla fase post operativa». Valastro sottolinea che il dipartimento «ha sollecitato più volte la Tirrenoambiente a fornire tutti i dati necessari alla quantificazione dei costi per gli interventi senza avere un compiuto riscontro alle suddette richieste». Dell’iter se n'è parlato anche in una riunione di metà settembre nel comune di Mazzarrà alla presenza del commissario liquidatore della ditta che «ha chiesto di fare specifiche riunioni per definire ogni singola richiesta da parte del dipartimento» anche se, sottolinea Valastro, «allo stato attuale è stata trasmessa la sola documentazione tecnica e un progetto per mitigare la produzione di percolato»;

   l'Ispra ha inoltre attestato una minaccia imminente di danno ambientale, rappresentata dalla presenza di un incipiente crollo strutturale e dalla presenza di acque di falda contaminate dal percolato, che sussiste quantomeno dalla data indicata di accertamento dei reati indicata nel decreto 13 di citazione diretta a giudizio del 27 agosto 2014;

   nella nota del Ministero su citata si rimanda alla competenza della direzione generale del dicastero dell'Ambiente per l'attivazione delle procedure relative all'articolo 309 del decreto legislativo n. 152 del 2006 come già richiesto dalla prefettura di Messina in rappresentanza della minaccia imminente di danno ambientale relativa solo allo versamento di percolato nel corpo idrico limitrofo –:

   se il Governo, alla luce dei fatti descritti in premessa, sia intenzionato ad assumere iniziative di competenza per rimediare al danno ambientale sopra descritto, attivando i poteri sostitutivi di cui all'articolo 309 del decreto legislativo n. 152 del 2006 come anche già richiesto dalla prefettura di Messina, dato che l'imminente minaccia ambientale perdura dal 27 agosto 2014.
(4-18421)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  Occorre, in primo luogo, evidenziare che questo Ministero ha curato la costituzione di parte civile nel procedimento penale, in corso, n. 3355/14 R.G.N.R. presso il tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, a carico di rappresentanti legali e amministratori delegati della Tirrenoambiente s.p.a., per il risarcimento del danno ambientale derivante dalla illecita gestione della discarica di Mazzarrà Sant'Andrea.
  Al fine di supportare l'azione risarcitoria in sede penale, l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) ha prodotto la relazione preliminare di valutazione del danno ambientale del dicembre 2016.
  Per quanto riguarda le sanzioni amministrative irrogabili ai sensi dell'articolo 304 comma 2 del decreto legislativo n. 152 del 2006, si rappresenta che le stesse afferiscono a condotte assorbite in quelle contestate nel sopraindicato processo penale, nel quale questo Ministero si è costituito parte civile per il ristoro del danno ambientale.
  Per quanto concerne l'individuazione in concreto delle misure di prevenzione del danno all'ambiente, ISPRA, su richiesta del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, ha messo a disposizione, a giugno 2017, un gruppo di tecnici per procedere, in collaborazione con l'agenzia regionale per la protezione dell'ambiente (ARPA) della Sicilia e le amministrazioni locali, all'individuazione delle misure di prevenzione specifiche, ai sensi dell'articolo 304, comma 3, del decreto legislativo n. 152 del 2016, necessarie per la messa in sicurezza della discarica.
  In merito alla richiesta di intervento statale ai sensi dell'articolo 309 del decreto legislativo n. 152 del 2006 presentata dalla regione Siciliana con nota prot. n. 33140 del 27 luglio 2017 per il tramite della prefettura di Messina, si evidenzia che la stessa si sostanzia in una richiesta di risorse finanziarie per provvedere alla chiusura, messa in sicurezza e gestione post-operativa della discarica di Mazzarrà Sant'Andrea e, nell'imminenza, finalizzata alla raccolta e smaltimento del percolato.
  A ciò si aggiunga che, il Consiglio dei ministri dell'8 febbraio 2018, su proposta del Presidente del Consiglio, ha deliberato la dichiarazione dello stato di emergenza in relazione alla situazione di criticità in atto nel territorio della regione Siciliana nel settore dei rifiuti urbani. Le funzioni di commissario delegato sono state affidate al presidente della regione Sicilia, che sarà coadiuvato, per tale emergenza, da un prefetto in qualità di coordinatore.
  Ad ogni modo, si segnala che dell'attività istruttoria in corso sono interessati diversi livelli di amministrazione, pertanto, non appena perverranno ulteriori elementi informativi, si provvederà a fornire un aggiornamento.
  Quanto riferito testimonia che le problematiche rappresentate dall'interrogante sono tenute in debita considerazione da parte di questo Ministero, il quale ha provveduto, e provvederà per il futuro, alle attività e valutazioni di competenza in materia con il massimo grado di attenzione, e a svolgere un'attività di monitoraggio e sollecito, tenendosi informato anche attraverso gli altri enti istituzionali competenti.
  

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   ZOLEZZI, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, MICILLO, TERZONI e VIGNAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   l'articolo 15 del decreto legislativo 13 gennaio 2003, n. 36, dispone che «il prezzo corrispettivo per lo smaltimento in discarica deve coprire i costi di realizzazione e di esercizio dell'impianto, i costi sostenuti per la prestazione della garanzia finanziaria ed i costi stimati di chiusura, nonché i costi di gestione successiva alla chiusura per un periodo pari a quello indicato all'articolo 10, comma 1, lettera i)»;

   l'articolo 13 del medesimo decreto legislativo stabilisce che «nella gestione e dopo la chiusura della discarica (...) deve, inoltre, essere assicurata la manutenzione ordinaria e straordinaria di tutte le opere funzionali ed impiantistiche della discarica», che «la manutenzione, la sorveglianza e i controlli della discarica devono essere assicurati anche nella fase della gestione successiva alla chiusura, fino a che l'ente territoriale competente accerti che la discarica non comporta rischi per la salute e l'ambiente» e che «il gestore della discarica è responsabile della corretta attuazione delle disposizioni di cui ai commi 1, 2 e 3».;

   la società Belvedere SpA è titolare dell'autorizzazione per la gestione di una discarica per rifiuti non pericolosi situata nel comune di Péccioli (PI). Alla data del primo gennaio 2016 il suo capitale sociale è così suddiviso: 63,796 per cento comune di Péccioli e 36,204 per cento piccolo azionariato privato. Con delibera n. 10 del 9 aprile 2014 il consiglio comunale di Péccioli stabilisce di accantonare i fondi per la gestione post mortem e bonifica della discarica sostenendo le veci del gestore, del quale è azionista;

   risulta all'interrogante che è già stato più volte oggetto di atti di sindacato ispettivo il caso della Bracciano Ambiente: dai verbali di audizione del comandante provinciale della Guardia di finanza di Viterbo, Giosuè Colella, in Commissione bicamerale d'inchiesta sugli illeciti riguardanti il ciclo dei rifiuti, al momento di dover utilizzare i fondi per la gestione post mortem, il comune non ne aveva la disponibilità, difatti «Gli accertamenti esperiti hanno consentito di evidenziare che, all'atto della chiusura della discarica, (...) la disponibilità finanziaria del fondo post mortem era la seguente: totale accantonamenti per il periodo 2005-2013, 14,5 milioni circa; disponibilità al 5 marzo 2014, 1.797.000 euro circa, quindi con una differenza in negativo di circa 12 milioni 795.000 euro»;

   la sentenza della corte di appello di Venezia n. 2236/2015 ha ribadito la persistenza dell'obbligo in capo al concessionario della gestione della discarica, con l'assunzione di tutti i relativi oneri e costi, ivi compresi quelli relativi alla gestione post mortem;

   la Corte di cassazione, sez. VI penale, con sentenza 25 marzo 2015, n. 12656, ha sancito che «il prezzo per lo smaltimento del rifiuto in discarica, comprende sia i costi di gestione attiva del servizio sia gli oneri di gestione post mortem dell'invaso che perde la caratteristica dell'altruità ed il gestore è tenuto soltanto ad un tacere, cioè alla prestazione di un'attività che si realizza nell'obbligo di fornire un determinato servizio a fronte di un corrispettivo predeterminato. Non può ritenersi pertanto sussistente in capo al gestore un obbligo di accantonare le somme che riceve in via anticipata, dovendo egli solo garantire l'adempimento dell'obbligo contrattuale di gestione post operativa» –:

   se il Ministro interrogato non intenda avviare un monitoraggio sul territorio nazionale per accertare l'avvenuto accantonamento dei fondi per la gestione post operativa da parte dei soggetti deputati a farlo;

   se il Ministro interrogato, per quanto di propria competenza, non intenda verificare il regime sanzionatorio per i soggetti inadempienti all'obbligo di accantonamento, al fine di assicurare la disponibilità dei fondi per le bonifiche e scoraggiare comportamenti illegali.
(4-15866)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  L'articolo 15 del decreto legislativo 13 gennaio 2003, n. 36 prevede che il prezzo corrispettivo per lo smaltimento in discarica dei rifiuti copra tutti i costi attinenti all'impianto, dalla realizzazione alla gestione, ivi compresa la gestione post chiusura e gli oneri sostenuti per la prestazione della garanzia finanziaria di cui all'articolo 14 del medesimo decreto legislativo.
  Al fine di garantire che i suddetti oneri trovino un'effettiva copertura, l'articolo 14 del decreto legislativo n. 36 del 2003 impone l'obbligo di prestare garanzie finanziarie, commisurate alla capacità autorizzata della discarica e alla tipologia della stessa, che assicurino la copertura degli oneri di attivazione, gestione, chiusura e gestione successiva alla chiusura della discarica, il cui costo deve essere indicato nel piano finanziario, di cui all'articolo 8, comma 1, lettera
m), del decreto legislativo n. 36 del 2003. In particolare, l'articolo 14 del predetto decreto legislativo n. 36 del 2003 prevede una garanzia finanziaria per la gestione operativa della discarica che deve essere trattenuta per almeno due anni, e una garanzia per la gestione successiva alla chiusura della discarica che deve essere trattenuta per almeno trenta anni, alla cui accettazione, da parte della Regione, è subordinato il rilascio dell'autorizzazione (articolo 10, comma 3).
  Ai sensi dell'articolo 8, comma 1, lettera
m), del decreto legislativo n. 36 del 2003, la domanda di autorizzazione per la realizzazione e l'esercizio delle discariche deve contenere un piano finanziario per la stima di tutti i costi attinenti all'impianto, come dettagliati all'allegato 2 del medesimo decreto legislativo. Il piano finanziario e i restanti piani di carattere tecnico (piano di gestione operativa, di ripristino ambientale, di gestione post-operativa, di sorveglianza e controllo) devono essere approvati dall'autorità territorialmente competente al rilascio dell'autorizzazione, ovvero dalla regione.
  Il legislatore ha dunque già inteso tutelare la collettività nel caso di inadempienza da parte del gestore della discarica stabilendo l'obbligo di prestare adeguate garanzie finanziarie a copertura degli oneri di gestione dell'impianto.
  Relativamente al regime sanzionatorio, si rappresenta che le sanzioni previste dall'articolo 16 del decreto legislativo n. 36 del 2003 riguardano esclusivamente la violazione di norme di carattere tecnico relativo al conferimento dei rifiuti. Tuttavia, considerato che il regime autorizzatorio per le discariche è quello previsto dall'articolo 208 del decreto legislativo 3 aprile 2006 n. 152, si rimanda al sistema sanzionatario ivi previsto in caso di violazione delle restanti norme.
  Ad ogni modo, questo Ministero monitora costantemente l'impatto regolatorio delle normative di settore, anche al fine di superare le criticità operative che dovessero emergere e valutare possibili revisioni della disciplina, valutando il raggiungimento delle finalità degli atti normativi, nonché gli effetti prodotti su cittadini, imprese e pubbliche amministrazioni.
  L'analisi richiede il ricorso alla consultazione dei diversi portatori di interessi, in modo da raccogliere dati e opinioni da coloro sui quali la normativa in esame ha prodotto i principali effetti.
  Lo scopo è quello di ottenere, a distanza di un certo periodo di tempo dall'introduzione di una norma, informazioni sulla sua efficacia, nonché sull'impatto concretamente prodotto sui destinatari, anche al fine di superare le criticità operative che dovessero emergere e valutare possibili revisioni della disciplina in vigore.
  Alla luce delle informazioni esposte, per quanto di competenza, si rassicura comunque che questo Ministero manterrà alto il livello di attenzione sul tema in questione.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   ZOLEZZI, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, MICILLO, TERZONI e VIGNAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   L'articolo 4 del decreto legislativo 13 gennaio 2003, n. 36, ha istituito l'obbligo per i gestori di discariche di prestare adeguate garanzie finanziarie finalizzate all'attivazione e gestione post operativa; pur tuttavia si pone in modo sempre più urgente il problema di come finanziare la bonifica delle discariche nelle quali la gestione operativa è terminata prima dell'entrata in vigore della legge attualmente vigente;

   da fonti di stampa si apprende dell'esistenza del Progetto preliminare finalizzato alla riapertura della discarica di Poiatica (RE) intitolato «Ipotesi di chiusura finale dell'impianto in funzione dello stato attuale dei luoghi», nel quale si ipotizza di autorizzare 1 milione di metri cubi di rifiuti speciali «oltre a 300 mila metri cubi di argilla per completare l'impianto». Il documento di Iren Ambiente indica una lista di codici CER, nella quale rientrano pressoché tutte le tipologie di rifiuti speciali;

   nel Rapporto istruttorio relativo al procedimento di approvazione del progetto di chiusura e messa in sicurezza della discarica «La Grillaia» di Chianni (PI), si richiede di riaprire la discarica per reperire le risorse necessarie alla bonifica, accettando fanghi di perforazione, ceneri leggere e pesanti, terre da scavo. Nel rapporto è evidenziato come la mancanza delle risorse economiche non consenta di effettuare la bonifica del sito;

   da un articolo del 10 settembre 2015 si apprende dell'ipotesi di riapertura della discarica Molinetto a Cogoleto. L'intenzione di accettare in discarica rifiuti speciali non pericolosi, nella fattispecie rifiuti da costruzione e demolizione, è confermata anche in quest'altro articolo;

   da fonti di stampa si apprende dell'ipotesi di riapertura della discarica Ca’ Filissine (VR), sotto sequestro dal 2006 per inquinamento della falda acquifera, giustificando tale ipotesi, a quanto consta agli interroganti, con la mancanza di fondi necessari alla bonifica. Si prevede il conferimento di 1,7 milioni di metri cubi di rifiuti speciali per affrontare i costi di bonifica e messa in sicurezza;

   la discarica Ca’ Barbiero, operativa dal 1987 al 1991, è stata acquisita dal comune di Noale nel 2004; dal 2009 ne sostiene i costi tramite la TIA. Tale discarica è presidiata malgrado l'assenza di vincoli giuridici anche per la presenza di frazioni organiche e di sostanze tossiche in concentrazioni superiori ai limiti;

   per bonificare la discarica di Tegolaia, nel comune di Cavriglia (AR), secondo la regione Toscana, sarebbero necessari 10 milioni di euro che ad oggi non si riuscirebbero a reperire;

   nella discarica di Torretta in Legnago si prevede di accettare in discarica rifiuti speciali per compensare il calo dei rifiuti prodotti dai cittadini, che ha significato per il gestore minori entrate da investire nella bonifica. Bonifica che in realtà è legata al progetto di ampliamento dell'impianto che dovrebbe concludersi nel 2020 –:

   se il Ministro interrogato non intenda adottare adeguate iniziative, anche normative, atte a garantire la carretta gestione post operativa delle discariche per rifiuti chiuse prima dell'entrata in vigore del decreto legislativo n. 36 del 2003, onde evitare l'ulteriore conferimento di rifiuti e prevenire un aggravio delle condizioni ambientali dei luoghi ove dette discariche insistono;

   se il Ministro interrogato non intenda assumere iniziative normative per prevedere lo stanziamento di risorse per la bonifica delle discariche precedenti l'obbligo di accantonamento dei fondi per la gestione post operativa.
(4-15886)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  I requisiti operativi e tecnici per la gestione delle discariche sono disciplinati dal decreto legislativo 13 gennaio 2003, n. 36. La normativa, oltre a definire gli aspetti di carattere tecnico, impone anche obblighi di carattere finanziario: l'articolo 15 del decreto legislativo n. 36 del 2003, infatti, prevede che il prezzo corrispettivo per lo smaltimento in discarica dei rifiuti copra tutti i costi attinenti all'impianto (realizzazione, gestione operativa, gestione post chiusura e oneri per la prestazione della garanzia finanziaria). Al fine di garantire che i suddetti oneri trovino un'effettiva copertura, anche nella fase successiva alla chiusura della discarica, l'articolo 14 del decreto legislativo n. 36 del 2003 impone l'obbligo di prestare garanzie finanziarie, commisurate alla capacità autorizzata della discarica e alla relativa tipologia, in modo da assicurare la copertura degli oneri di attivazione, gestione, chiusura e gestione successiva alla chiusura della discarica. Il rilascio dell'autorizzazione all'esercizio della discarica è subordinato all'accettazione, da parte della regione, delle garanzie finanziarie di cui al sopracitato articolo 14.
  Per le discariche già autorizzate alla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 36 del 2013, l'articolo 17 del medesimo decreto assegnava un termine di sei mesi dalla data di entrata in vigore, per la presentazione, da parte del titolare dell'autorizzazione o del gestore della discarica, di un piano di adeguamento della stessa alle nuove previsioni normative, incluse le garanzie finanziarie (comma 3). Il piano di adeguamento, che doveva essere approvato dall'autorità territorialmente competente al rilascio dell'autorizzazione, prevedeva l'indicazione dei lavori di adeguamento e il termine per il relativo completamento; in caso di mancata approvazione del piano di adeguamento, l'autorità competente avrebbe dovuto prescrivere modalità e tempi di chiusura della discarica, conformemente alle nuove disposizioni.
  Stante quanto sopra richiamato, dunque, la previsione legislativa relativa all'adozione del piano di adeguamento delle discariche risponde già alle eventuali criticità connesse alla chiusura delle discariche già autorizzate all'entrata in vigore del decreto.
  Per quanto attiene, invece, alla problematica relativa alla bonifica delle discariche precedenti l'obbligo di accantonamento dei fondi per la gestione post operativa, si ricorda quanto previsto dall'articolo 250 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, che disciplina la bonifica da parte dell'amministrazione pubblica.
  Ad ogni modo, questo Ministero monitora costantemente l'impatto regolatorio delle normative di settore, anche al fine di superare le criticità operative che dovessero emergere e valutare possibili revisioni della disciplina, valutando il raggiungimento delle finalità degli atti normativi, nonché gli effetti prodotti su cittadini, imprese e pubbliche amministrazioni.
  L'analisi richiede il ricorso alla consultazione dei diversi portatori di interessi, in modo da raccogliere dati e opinioni da coloro sui quali la normativa in esame ha prodotto i principali effetti.
  Lo scopo è quello di ottenere, a distanza di un certo periodo di tempo dall'introduzione di una norma, informazioni sulla sua efficacia, nonché sull'impatto concretamente prodotto sui suoi destinatari.
  Alla luce delle informazioni esposte, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà, comunque, a svolgere un'attività di monitoraggio, nonché a tenersi informato anche attraverso gli altri enti istituzionali competenti.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   ZOLEZZI, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, TERZONI e VIGNAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   l'articolo 195 comma 2, lettera e), del decreto legislativo n. 152 del 2006 stabilisce che è compito dello Stato «la determinazione dei criteri qualitativi e quali quantitativi per l'assimilazione, ai fini della raccolta e dello smaltimento, dei rifiuti speciali e dei rifiuti urbani»;

   da fonti di stampa si apprende che, con sentenza n. 4611 pubblicata il 13 aprile 2017, la sezione 2-bis del Tar Lazio ha intimato al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (di concerto con il Ministero dello sviluppo economico) di emanare entro 120 giorni il decreto volto alla definizione dei criteri suddetti;

   l'assenza di criteri per l'assimilazione dei rifiuti oggettivi e uniformi su tutto il territorio nazionale ha comportato e sta tuttora comportando una serie di storture nella contabilità dei rifiuti, fra cui una percentuale non veritiera di raccolta differenziata ed una produzione abnorme di rifiuti urbani a scapito dei rifiuti speciali, il cui dato risulterebbe di conseguenza sottostimato nelle regioni a più alto grado di assimilazione: a titolo esemplificativo, si cita il caso dell'Emilia Romagna, dove il calcolo dei dati di produzione dei rifiuti, raccolta, avvio a riciclaggio, smaltimento è interamente delegato ai gestori dei rifiuti, senza che da parte dei comuni vi sia un'adeguata forma di verifica dei dati o di controllo sull'operato del gestore;

   l'Anci ha chiesto un incontro al Governo paventando una riduzione del gettito della Tari nel caso in cui per l'emanazione del decreto in questione «siano considerati elementi esclusivamente quantitativi» e afferma di aver sventato il rischio «di un aumento delle tariffe sui rifiuti a causa dell'adozione di indicatori errati da parte dei gestori degli impianti di smaltimento». Inoltre, l'Anci rileva il rischio di redistribuzione del mancato gettito della Tari sulle utenze residuali rispetto al processo di eventuale deassimilazione, ipotizzando aumenti «dal 20 per cento al 30 per cento se i mancati introiti venissero ribaltati su tutte le utenze (domestiche e non domestiche rimanenti) e dal 40 per cento al 60 per cento se invece venissero ribaltati sulle sole utenze domestiche» –:

   quali criteri il Ministro interrogato intenda prendere in considerazione nella definizione del decreto sull'assimilazione dei rifiuti;

   se trovi conferma quanto dichiarato dall'Anci.
(4-16852)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in oggetto, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, fin dal mese di giugno 2016 ha avviato l’
iter istruttorio concernente la definizione del decreto relativo alla definizione di criteri qualitativi e quali-quantitativi per l'assimilazione, ai fini della raccolta e dello smaltimento, dei rifiuti speciali ai rifiuti urbani, ai sensi dell'articolo 195, comma 2, lettera e), del decreto legislativo n. 152 del 2006.
  L'istruttoria si è svolta mediante lo studio di un campione rappresentativo dei regolamenti comunali che disciplinano la materia e dal quale è emersa l'assoluta disomogeneità degli stessi, di qui la necessità di individuare criteri applicabili nell'ambito dell'intero territorio nazionale.
  Alla luce dei rilevanti interessi coinvolti, sono state condotte consultazioni con le varie associazioni del settore finalizzate a redigere una prima bozza di decreto.
  Lo schema già stilato ed in fase di elaborazione pressoché definitiva ne rappresenta il punto di equilibrio in vista del perseguimento del superiore interesse pubblico generale.
  In particolare, detto schema prevede criteri quantitativi e qualitativi omogenei e verificabili su tutto il territorio nazionale. Il decreto individua sia l'elenco delle attività che possono essere assimilate sia l'elenco dei codici dei rifiuti che possono essere assimilati ai rifiuti urbani. Lo stesso prevede, inoltre, criteri diversi in funzione della presenza o meno di un sistema di misurazione puntuale dei rifiuti. In caso di presenza di un sistema di misurazione puntuale, i limiti individuati sono espressi in quantità annue di rifiuti prodotti, misurabili ed effettive. In caso di assenza di un tale sistema di misurazione, i limiti individuati utilizzano la superficie quale discriminante per le attività, non essendo misurabile l'effettiva produzione dei rifiuti da parte delle utenze.
  Per quanto concerne il gettito della tari, si fa presente che il Ministero dell'economia e delle finanze ha, recentemente, emanato una circolare con la quale sono stati forniti chiarimenti in merito al calcolo della parte variabile della tari relativa all’«utenza domestica».
  Alla luce delle informazioni esposte, si rassicura, comunque, che il Ministero dell'ambiente continuerà a svolgere le proprie attività mantenendo alto il livello di attenzione sulla questione.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   ZOLEZZI, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, TERZONI e VIGNAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   il decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, obbliga le amministrazioni pubbliche alla pubblicazione sui loro siti istituzionali delle informazioni ambientali delle quali sono in possesso. Chiunque può, senza obbligo di motivazione, chiedere alla pubblica amministrazione dati e atti che non siano stati pubblicati;

   il catasto rifiuti è stato istituito con la legge 9 novembre 1988, n. 475, ed è articolato in una sezione nazionale gestita dall'Ispra e in sezioni regionali localizzate presso le agenzie regionali per la protezione dell'ambiente (Arpa);

   in diverse regioni i dati vengono raccolti via web mediante l'applicativo O.R.So. (Osservatorio rifiuti sovraregionale) che è predisposto per la raccolta dei dati di produzione e gestione dei rifiuti urbani e della raccolta differenziata, la cui compilazione spetta ai comuni, nonché per i quantitativi dei rifiuti ritirati e gestiti dagli impianti di trattamento ubicati in regione Lombardia, ai gestori degli impianti stessi;

   O.R.So., nella sua attuale versione, è stato realizzato da Arpa Lombardia e Arpa Veneto e attualmente viene utilizzato anche in Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Marche, Umbria, Valle D'Aosta è Toscana. Ai sensi dell'articolo 18 della legge regionale della Lombardia 12 dicembre 2003, n. 26, l'Osservatorio regionale rifiuti elabora i dati relativi alla gestione dei rifiuti in regione Lombardia, anche ai fini della valutazione del raggiungimento degli obiettivi di raccolta e recupero, di cui all'articolo 23 della stessa legge. I dati raccolti tramite l'applicativo sono, sinteticamente, i seguenti:

   a) scheda comuni – per ogni rifiuto raccolto: modalità e frequenza di raccolta, quantitativi totali, soggetto/i trasportatore/i e impianto/i di trattamento; costi; presenza di infrastrutture per la raccolta differenziata (centri di raccolta); diffusione del compostaggio domestico; pratiche di acquisti verdi e altro;

   b) scheda impianti – per ogni rifiuto (Cer) gestito: quantitativo in ingresso, quantitativo trattato e relative operazioni di trattamento e quantitativo in uscita; a seconda della tipologia dell'impianto, riepilogo annuale con quantitativi di materie prime secondarie (MPS) o «End of Waste» (EoW) prodotti, compost prodotto, energia elettrica o termica recuperata nei termovalorizzatori, biogas captato in discarica o prodotto dalla digestione anaerobica e relativa produzione di energia elettrica, tariffe di conferimento, e altro;

   attualmente in Emilia Romagna le informazioni raccolte tramite l'applicativo O.R.So risulterebbero disponibili solo in parte e non sarebbe possibile, da parte del pubblico, accedere alle schede di tutti i comuni, ma solo del comune di residenza, in palese contrasto con la direttiva sull'accesso alle informazioni ambientali e con la convenzione di Aarhus;

   a quanto risulta agli interroganti, molti comuni distribuiti in tutte le regioni che fanno uso dell'applicativo O.R.So ometterebbero di compilarne alcune parti;

   se, ed eventualmente come, il Ministro intenda promuovere, per quanto di competenza, una maggiore disponibilità al pubblico e completezza dei dati ambientali comunicati tramite l'applicativo O.R.So.
(4-16862)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  Il catasto rifiuti, istituito con la legge 9 novembre 1988, n. 475, è articolato, ai sensi dell'articolo 189 del decreto legislativo n. 152 del 2006, in una sezione nazionale gestita dall'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) e in sezioni regionali localizzate presso le agenzie regionali per la protezione dell'ambiente (ARPA).
  L'ISPRA ha organizzato il catasto dei rifiuti per via informatica attraverso la costituzione del catasto telematico. Per quanto riguarda la produzione e la raccolta differenziata comunale dei rifiuti urbani, la base informativa del catasto è costituita dalle informazioni fornite dalle agenzie regionali e provinciali, dalle regioni e dalle province o laddove tali dati non risultano disponibili o necessitano di integrazione dalle banche dati del modello unico di dichiarazione ambientale (MUD), di cui alla legge n. 70 del 1994. Ai sensi dell'articolo 189, comma 5 del decreto legislativo n. 152 del 2006, le dichiarazioni MUD rappresentano in ogni caso l'unico strumento ufficiale di trasmissione delle informazioni da parte dei soggetti istituzionali responsabili del servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani e assimilati.
  In base alla normativa vigente, la dichiarazione MUD deve, infatti, essere presentata dai suddetti soggetti istituzionali (comuni, consorzi o comunità montane, eccetera), alla Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura competente per territorio, nonché da tutti i soggetti che effettuano a titolo professionale attività di raccolta e trasporto di rifiuti, dai commercianti e dagli intermediari di rifiuti senza detenzione, dalle imprese e dagli enti che effettuano operazioni di recupero e di smaltimento.
  In particolare i comuni sono tenuti a dichiarare annualmente le seguenti informazioni:

   a) quantità di rifiuti urbani raccolti nel proprio territorio (per codice dell'elenco europeo);

   b) quantità dei rifiuti speciali raccolti nel proprio territorio a seguito di apposita convenzione con soggetti pubblici o privati (per codice dell'elenco europeo);

   c) i soggetti che hanno provveduto alla gestione dei rifiuti, specificando le operazioni svolte, le tipologie e la quantità dei rifiuti gestiti da ciascun soggetto (per codice dell'elenco europeo);

   d) i costi di gestione e di ammortamento tecnico e finanziario degli investimenti per le attività di gestione dei rifiuti, nonché i proventi della tariffa di cui all'articolo 238.

  Vale la pena ricordare che ai sensi dell'articolo 258, comma 5-ter, del decreto legislativo n. 152 del 2006, il sindaco del comune che non effettua la comunicazione MUD, ovvero la effettui in modo incompleto o inesatto, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 2.600,00 (duemilaseicento/00) a euro 15.500,00 (quindicinquemilacinquecento/00); se la comunicazione è effettuata entro il sessantesimo giorno dalla scadenza del termine stabilito ai sensi della legge 25 gennaio 1994, n. 70, si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da 26,00 euro a 160,00 euro.
  L'applicativo O.R.So rappresenta uno strumento gestionale realizzato da ARPA Lombardia, che ne detiene la proprietà, e che viene utilizzato anche da altre agenzie regionali/provinciali per acquisire le informazioni da parte dei comuni e che può consentire ai comuni stessi di predisporre la dichiarazione MUD. Tale strumento, negli ambiti territoriali nei quali è utilizzato, può dunque consentire ai soggetti istituzionali competenti per territorio di monitorare l'andamento dei dati sulla produzione e gestione dei rifiuti urbani con periodicità fissata a livello delle singole regioni. Esso, tuttavia, pur rappresentando una delle fonti di informazione, non costituisce un elemento strutturale del catasto rifiuti.
  La base informativa del catasto è, infatti, costituita da un insieme di dati più ampio sia rispetto a quello fornito dall'applicativo O.R.So, che di quello desunto dalle dichiarazioni MUD, in quanto l'ISPRA raccoglie, elabora e pubblica, con cadenza annuale, i dati acquisiti grazie al contributo di più soggetti, tra cui le sezioni regionali del catasto, le regioni, le province e i vari soggetti pubblici e privati detentori di informazioni sul ciclo di gestione dei rifiuti sia urbani che speciali.
  I dati sulla produzione e raccolta differenziata su scala comunale, nonché sul sistema impiantistico di gestione dei rifiuti urbani sono liberamente consultabili sul sito
web del catasto www.catasto-rifiuti.isprambiente.it.
  Più in dettaglio la serie storica sulla produzione e raccolta differenziata è disponibile per il periodo 2010-2015 mentre i dati sul sistema impiantistico di gestione sono, attualmente, disponibili per l'anno 2015.
  In ogni caso, nell'ambito delle proprie competenze, questo Ministero monitora costantemente l'impatto regolatorio delle normative di settore, valutando il raggiungimento delle finalità degli atti normativi, nonché gli effetti prodotti su cittadini, imprese e pubbliche amministrazioni. L'analisi richiede il ricorso alla consultazione dei diversi portatori di interessi, in modo da raccogliere dati e opinioni da coloro sui quali la normativa in esame ha prodotto i principali effetti.
  Lo scopo è quello di ottenere, a distanza di un certo periodo di tempo dall'introduzione di una norma, informazioni sulla sua efficacia, nonché sull'impatto concretamente prodotto sui destinatari, anche al fine di superare le criticità operative che dovessero emergere e valutare possibili revisioni della disciplina in vigore.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   ZOLEZZI, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, TERZONI e VIGNAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   l'articolo 14 della direttiva europea 2008/98/CE stabilisce il principio «chi inquina, paga», volto a distribuire in modo equo i costi di gestione dei rifiuti tenendo conto, implicitamente, del fatto che chi produce più rifiuti debba ovviamente pagare di più;

   il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 4756/2013, ha ulteriormente affermato che il principio «chi inquina paga», previsto anche dall'articolo 191 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea trova immediata e diretta applicazione nella legislazione nazionale, e deve ritenersi costituzionalizzato, in forza del nuovo articolo 117, comma 1, della Costituzione. Tale principio, venendo incontro alla necessità che siano gli operatori economici a sopportare i costi dell'inquinamento prodotto, mira a ripartire equamente i costi legati all'inquinamento ambientale, in applicazione del principio di proporzionalità;

   l'autorità d'Ambito Ato Toscana Sud ha approvato le tariffe di conferimento da parte dei comuni agli impianti di gestione dei rifiuti urbani delle province di Arezzo, Siena e Grosseto per l'anno 2017, fissando, a quanto consta agli interroganti, tre scaglioni di costo a tonnellata inversamente proporzionale alla quantità di rifiuti conferiti: in pratica, i comuni che producono più rifiuti pagano una tariffa inferiore rispetto a quelli che ne producono di meno, dal momento che nell'elaborazione del corrispettivo non si è tenuto conto del principio di proporzionalità, ma si è unicamente suddiviso il totale dei costi di gestione di ciascun impianto per delle quantità ipotetiche di rifiuti, configurando dunque a giudizio degli interroganti una misura che si pone in contrasto con la suddetta direttiva europea;

   da fonti di stampa si apprende che la delibera di giunta della regione Calabria n. 344/2017 ha fissato tariffe di conferimento in discarica crescenti all'aumentare della percentuale di raccolta differenziata, rispondendo alla stessa logica di ammortamento dei costi di gestione dell'impianto citata in precedenza anziché al principio di proporzionalità sancito dalla suddetta direttiva europea e ribadito dal Consiglio di Stato –:

   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda promuovere in relazione al rispetto del principio «Chi inquina, paga», di cui alla direttiva europea 2008/98/CE anche al fine di scongiurare l'ennesima procedura d'infrazione europea riguardante la gestione dei rifiuti in Italia.
(4-17966)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare, occorre evidenziare che la determinazione delle tariffe di conferimento agli impianti di gestione dei rifiuti urbani rappresenta una delle componenti della più generale tariffa d'igiene urbana, disciplinata attualmente dalla legge 27 dicembre 2013, n. 147, istitutiva della TARI (comma 639) e della tariffa corrispettiva (commi 667 e 668). Ai sensi della sopra citata legge il comune, nella commisurazione della tariffa, tiene conto dei criteri determinati con il regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1999, n. 158 oppure, in alternativa e nel rispetto del principio del «chi inquina paga», può commisurare la tariffa in relazione alle quantità dei rifiuti conferiti.

  Sempre in materia di determinazione della tariffa del servizio di gestione dei rifiuti, l'articolo 3-bis del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 convertito con modificazione dalla legge 14 settembre 2011, n. 148 stabilisce che la determinazione delle tariffe all'utenza è esercitata, per quanto di competenza, dagli enti di Governo degli ambiti o bacini territoriali ottimali, istituiti ai sensi del comma 1 del medesimo articolo.
  Da quanto sopra riportato, si evince che la determinazione delle tariffe alle utenze rientra tra le prerogative degli enti territoriali di riferimento, comune o ente di governo per quanto di competenza.
  Ad ogni modo, al fine di promuove iniziative finalizzate al rispetto del principio del «chi inquina paga» il Ministero dell'ambiente ha di recente adottato il decreto ministeriale 20 aprile 2017 in attuazione dell'articolo 1, comma 667 della sopra citata legge 27 dicembre 2013, n. 147. Le disposizioni contenute nel decreto definiscono i criteri con i quali il comune realizza la misurazione puntuale dei rifiuti conferiti al servizio pubblico affinché sia attuato un effettivo modello per la determinazione della tariffa rifiuti commisurata all'effettivo servizio reso alle utenze.
  Si evidenza, altresì, che è intenzione del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare procedere in tempi brevi alla elaborazione del decreto per la definizione dei criteri generali sulla base dei quali verranno definite le componenti dei costi e la tariffa per la gestione dei rifiuti urbani, ai sensi dell'articolo 238, comma 6, del decreto legislativo n. 152 del 2006.
  Alla luce delle informazioni esposte, questo Ministero continuerà a svolgere la propria attività, senza ridurre in alcun modo il livello di attenzione sulla questione.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   ZOLEZZI, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, TERZONI e VIGNAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:

   con la sentenza n. 4611 del 13 aprile 2017 la II sezione civile del Tar del Lazio ha dichiarato l'illegittimità del silenzio-inadempimento serbato dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, nonostante la diffida inviata il 12 maggio 2016, rispetto all'obbligo su di esso gravante di concludere il procedimento volto alla definizione dei criteri per l'assimilabilità dei rifiuti speciali a quelli urbani, mediante l'adozione di apposito decreto ex articolo 195, comma 2, lettera e) del decreto legislativo n. 152 del 2006 e condannando l'amministrazione all'adozione dei conseguenti provvedimenti;

   la predetta sentenza ha dichiarato altresì l'obbligo del predetto Ministero di concludere il procedimento menzionato nella diffida adottando, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, il decreto che fissi i criteri per l'assimilabilità dei rifiuti speciali ai rifiuti urbani nel termine di giorni 120 dalla comunicazione, in via amministrativa, o dalla notifica, ad istanza di parte, della presente sentenza;

   i 120 giorni risultano abbondantemente trascorsi senza che da parte dei Ministeri vi sia stata la pubblicazione di alcun decreto atto ad ottemperare a quanto stabilito dal Tar. Esiste una bozza di testo la quale, allo stato attuale, non fissa alcun criterio uniforme ed oggettivo su tutto il territorio nazionale e non stabilisce un limite quantitativo omogeneo ai rifiuti assimilabili –:

   se i Ministri interrogati intendano dare seguito alla sentenza del Tar Lazio ed eventualmente in quali tempi;

   se i Ministri interrogati intendano prevedere nel decreto di cui in premessa la fissazione di limiti quantitativi oggettivi ed uniformi su tutto il territorio nazionale per quanto concerne l'assimilabilità dei rifiuti speciali agli urbani.
(4-18049)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  In ordine all'emanazione del decreto ministeriale
ex articolo 195, comma 2, lettera e), del decreto legislativo n. 132 del 2006 di determinazione dei criteri per l'assimilabilità dei rifiuti speciali non pericolosi ai rifiuti urbani, si evidenzia che sin dal giugno 2016, e quindi ben prima della sentenza del TAR Lazio n. 4611 del 2017, questo Ministero ha avviato un'istruttoria mediante lo studio di un campione rappresentativo di regolamenti comunali che disciplinano la materia.
  Dallo svolgimento dell'istruttoria è emersa l'assoluta disomogeneità dei predetti regolamenti, e da qui la necessità di individuare criteri applicabili sull'intero territorio nazionale.
  Alla luce dei rilevanti interessi coinvolti, sono state inoltre condotte consultazioni con tutte le associazioni rappresentative degli stessi, preliminari alla redazione di un prima bozza di decreto e delle successive, talché lo schema ad oggi esistente, ed in fase di elaborazione pressoché definitiva, rappresenta l'equilibrato contemperamento delle diverse istanze in vista del perseguimento del superiore interesse pubblico generale.
  A tale riguardo, si segnala che questo Ministero monitora costantemente l'impatto regolatorio delle normative di settore, anche al fine di superare le criticità operative che dovessero emergere e valutare possibili revisioni della disciplina, valutando il raggiungimento delle finalità degli atti normativi, nonché gli effetti prodotti su cittadini, imprese e pubbliche amministrazioni.
  L'analisi richiede il ricorso alla consultazione dei diversi portatori di interessi, in modo da raccogliere dati e opinioni da coloro sui quali la normativa in esame ha prodotto i principali effetti.
  Lo scopo è quello di ottenere, a distanza di un certo periodo di tempo dall'introduzione di una norma, informazioni sulla sua efficacia, nonché sull'impatto concretamente prodotto sui destinatari, anche al fine di superare le criticità operative che dovessero emergere e valutare possibili revisioni della disciplina in vigore.
  Della questione sono comunque interessate anche altre amministrazioni, pertanto, qualora dovessero pervenire ulteriori elementi informativi, si provvederà a fornire un aggiornamento.
  Quanto riferito testimonia che le problematiche rappresentate dagli interroganti sono tenute in debita considerazione da parte di questo Ministero, il quale ha provveduto, e provvederà per il futuro, alle attività e valutazioni di competenza in materia con il massimo grado di attenzione, e a svolgere un'attività di monitoraggio e sollecito, tenendosi informato anche attraverso gli altri enti istituzionali competenti.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.


   ZOLEZZI, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, TERZONI e VIGNAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:

   l'ultimo rapporto dell'Ispra sui rifiuti urbani 2017 (pagina 78) ha stimato la composizione merceologica media dei rifiuti nel periodo 2008-2016, evidenziando come il 3,7 per cento sia costituito da pannolini e altri materiali assorbenti. Considerando la produzione annua di rifiuti urbani in circa 30 milioni di tonnellate, si può quantificare in oltre 1 milione e 100.000 tonnellate l'ammontare della categoria di rifiuti predetta;

   l'impatto ambientale dei pannolini monouso è noto da anni;

   secondo due studi internazionali, una ricerca inglese, realizzata nel 2005 (e aggiornata nel 2008) dall'Agenzia per l'ambiente del Regno Unito (Aumônier et alii, 2008), ed una ricerca australiana dell'Università del Queensland (O'Brien et alii, 2009), i pannolini usa e getta per neonati e infanti assommano a circa 6.000 in numero e al peso di 1 tonnellata in 2,5-3 anni di vita, si possono ipotizzare in Italia 2,2 miliardi di pannolini all'anno oltre 150 mila tonnellate di rifiuti prodotti ogni anno dai soli pannolini «usa e getta». Nel confronto del ciclo di vita fra pannolini lavabili e «usa e getta» gli studi certificano un vantaggio per i lavabili in termini di rifiuti prodotti e costo pluriennale, 600 euro (compresi lavaggi) contro circa 1.600 euro, senza tener conto del costo per lo smaltimento degli «usa e getta» (circa 150 euro), dei consumi energetici (830-1.550 MJ MJ contro 2.000-6.300 riducibili con attenzione alle temperature di lavaggio), e del consumo di suolo per produrre le materie prime (13-40 m2 contro 407-809 m2 per anno). Il consumo di acqua è sovrapponibile;

   in termini di salute i pannolini lavabili rispetto agli «usa e getta» comporterebbero una riduzione di eritemi e dermatiti da coloranti o agenti chimici, di patologie, nonché una migliore motilità delle anche, una normalizzazione della temperatura interna (importante per la fertilità) e una precoce autonomia dai pannolini stessi (con riduzione dell'utilizzo totale);

   il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ribadisce che le regioni in sede di rilascio delle autorizzazioni per la gestione dei rifiuti possono determinare i criteri «end of waste». Con una circolare pubblicata in data 1° luglio 2016, prot. 0010045, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è intervenuto a dirimere una situazione di stallo che da tempo si protraeva in merito all'attribuzione della competenza sulla determinazione dei criteri per la cessazione della qualifica di rifiuto;

   da fonti di stampa si apprende che in data 25 ottobre 2017 è stato inaugurato a Spresiano (Treviso) il primo impianto industriale per il riciclo dei pannolini costruito dall'azienda Fater (di proprietà del gruppo Angelini e della multinazionale Procter&Gamble) e dal consorzio di gestione dei rifiuti Contarina. Questo impianto, a quanto risulta agli interroganti, dovrà rimanere fermo per limiti normativi. I materiali in uscita riciclabili (circa il 30 per cento) quali cellulosa (50 per cento), plastiche miste (25 per cento) e polimero (25 per cento) risultano rifiuti e non sottoprodotti ed è difficile recuperarli come carta, piccoli oggetti in plastica o barriere protettive;

   si attende o una modifica dell'autorizzazione regionale o il decreto ministeriale «end of waste» in questo settore. La regione Veneto ha chiesto formalmente a gennaio all'istituto superiore di sanità di esprimere un parere sulla sicurezza sanitaria del prodotto che deriva dal recupero dei pannolini. Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare avrebbe in previsione la convocazione di un apposito tavolo tecnico in vista di un decreto ministeriale per dichiarare il prodotto come non rifiuto e solo in quel contesto l'istituto superiore di sanità esprimerà il proprio parere –:

   se il Ministro interrogato intenda avviare programmi informativi in merito ai benefici ambientali, economici e sanitari dei pannolini lavabili e prevedere misure di incentivo al loro utilizzo;

   se intenda convocare il tavolo tecnico in vista del decreto ministeriale «end of waste» relativo a materiali cellulosici, plastiche miste e altri polimeri.
(4-18396)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa alla determinazione dei criteri end of waste dei prodotti assorbenti per la persona (PAP) post consumo, sulla base degli elementi acquisti, si rappresenta quanto segue.
  Nel merito si precisa che, a valle di un tavolo tecnico costituito da Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, ISPRA, ISS e FATER s.p.a., è stata predisposta una bozza di regolamento per la determinazione dei criteri
end of waste relativi a tale tipologia di rifiuti, dal cui trattamento post-consumo, si ricavano cellulosa, miscela di plastiche e polimero superassorbente da utilizzare al posto del materiale vergine per tutta una serie di utilizzi.
  La bozza è stata predisposta sulla base dei pareri forniti da ISPRA e da ISS e presenta criteri molto vincolanti e stringenti affinché i materiali ottenuti cessino la qualifica di rifiuto.
  Infatti, sotto il profilo della prevenzione di rischi per l'ambiente e la salute umana, ed in considerazione della peculiare specificità del materiale in esame, ovvero la notevole variabilità di potenziali contaminanti biologici e chimici, inclusi metaboliti di farmaci citotossici, e la possibile persistenza di alcuni anche dopo il trattamento, l'approccio è stato di tipo precauzionale e basato su tre criteri fondamentali:

   il rigore nella destinazione d'uso del materiale prodotto che escluda rischi per la salute;

   la necessità di effettuare controlli analitici per ciascun lotto di produzione;

   l'utilizzo di analisi con frequenze temporali finalizzate ad individuare una potenziale variabilità stagionale del contenuto di farmaci all'interno dei materiali in oggetto, in considerazione della relativa variabilità stagionale di utilizzo.

  Per tale motivo, i rifiuti da PAP post-consumo, prima di essere trattati, dovranno essere sottoposti ad un ciclo di sterilizzazione analogo a quello utilizzato per la sterilizzazione degli strumenti chirurgici a garanzia della completa sanificazione dei materiali, su cui, post-trattamento, andranno condotte analisi chimico-fisiche e microbiologiche.
  Relativamente agli utilizzi, non è consentito l'utilizzo dei materiali
end of waste provenienti da PAP nel settore alimentare e/o packaging per il settore alimentare, nel settore medico nonché nel settore manifatturiero per la produzione di giocattoli e di prodotti per la puericultura.
  In relazione, invece, all'avvio di programmi informativi in merito ai benefici ambientali, economici e sanitari dei pannolini lavabili e all'adozione di misure di incentivo al loro utilizzo, si precisa che tali misure rientrano fra le azioni contemplate dal programma nazionale di prevenzione dei rifiuti che anche le regioni sono invitate ad implementare nei loro piani di gestione integrata dei rifiuti stessi.
  Della questione sono interessate anche altre amministrazioni pertanto, qualora dovessero pervenire ulteriori elementi informativi, si provvederà a fornire un aggiornamento.
  Ad ogni modo, si rassicura che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare continuerà a svolgere le proprie attività, senza ridurre in alcun modo il livello di attenzione sulla questione.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.