ATTO CAMERA

RISOLUZIONE IN COMMISSIONE 7/01381

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 17
Seduta di annuncio: 880 del 27/10/2017
Firmatari
Primo firmatario: CIPRINI TIZIANA
Gruppo: MOVIMENTO 5 STELLE
Data firma: 27/10/2017
Elenco dei co-firmatari dell'atto
Nominativo co-firmatario Gruppo Data firma
TRIPIEDI DAVIDE MOVIMENTO 5 STELLE 27/10/2017
COMINARDI CLAUDIO MOVIMENTO 5 STELLE 27/10/2017
CHIMIENTI SILVIA MOVIMENTO 5 STELLE 27/10/2017
LOMBARDI ROBERTA MOVIMENTO 5 STELLE 27/10/2017
DALL'OSSO MATTEO MOVIMENTO 5 STELLE 27/10/2017


Commissione assegnataria
Commissione: XI COMMISSIONE (LAVORO PUBBLICO E PRIVATO)
Stato iter:
IN CORSO
Atto Camera

Risoluzione in commissione 7-01381
presentato da
CIPRINI Tiziana
testo di
Venerdì 27 ottobre 2017, seduta n. 880

   La Commissione XI,

   premesso che:

    «Gig» è una parola utilizzata, soprattutto negli Stati Uniti, per descrivere un lavoro o un incarico occasionale o temporaneo;

    nell'interpello n. 12 del 27 marzo 2013, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, sottolineava che «con tale locuzione si intende individuare un nuovo modello di business aziendale in forza del quale un'impresa affida la progettazione, ovvero la realizzazione di un determinato bene immateriale ad un insieme indefinito di persone, tra le quali possono essere annoverati volontari, intenditori del settore efreelance, interessati ad offrire i propri servizi sul mercato globale (cd. Community di utenti iscritti ai siti a titolo gratuito)»;

    le piattaforme che offrono «lavoretti “gig”», tra cui Foodora, Deliveroo, Upwork, Elance, Fiverr e Freelancer.com, fino alle meno note Translatorscafe.com, Lionbridge, Zintro eActionscript.com., nonché le piattaforme italiane Tabbid, Gogojobo, Taskunters ed Ernesto, rappresentano un esempio eloquente di come questo tipo d'economia «on demand» sia una delle molte derivazioni della sharing economy, l'economia della «condivisione» che abbatte la barriera tra servizi e industria, di qualunque settore lavorativo, fenomeno con cui si è imparato a familiarizzare negli ultimi anni. Il minimo comun denominatore tra questi e analoghi soggetti è un modello organizzativo che fa capo a una piattaforma centrale, prevalentemente gestita da uno staff fisso, dalle dimensioni ridotte, di coordinatori pronti a smistare e a indirizzare le varie richieste a innumerevoli contractor esterni «ad alta rotazione»;

    uno studio elaborato da Price Waterhouse Coopers calcola che in Europa il giro d'affari legato alla sharing economy ammonterà a 570 miliardi di euro entro il 2025;

    in Italia, in base a una ricerca dell'Università di Pavia, commissionata da Phd Italia, il volume di un simile comparto, così come si presenta oggi, sarebbe destinato a salire a 8,8 miliardi di euro nel 2020, fino a un valore compreso tra i 14 e i 25 miliardi nel 2025. Si tratta di un turnover che potrebbe oscillare tra lo 0,7 per cento e l'1,3 per cento del prodotto interno lordo. Secondo altre stime, riportate dal blog di Corriere.it La Nuvola del Lavoro, si parlerebbe di una cifra più che raddoppiata: 53 miliardi di dollari (quasi 50 miliardi di euro) entro il prossimo decennio, il 2,5 per cento del prodotto interno lordo;

    tra i business «on call» e «on the go» che stanno conoscendo una notevole espansione nel nostro Paese, quello della consegna del cibo a domicilio, è in continua espansione, con una schiera di migliaia di fattorini pronti a fronteggiare il traffico cittadino in sella a una bici;

    basti pensare a Foodora, una realtà attorno cui ruotano oltre 1.300 ristoranti e 900 rider a Milano, Torino, Roma e Firenze, con un tasso di crescita del 25 per cento al mese;

    in parallelo al connubio cibo e high tech, altri assi portanti lungo i quali si muove il «gig business» sono i trasporti e gli affitti temporanei, due ambiti oggetto di un tentativo di regolamentazione in un oceanico vuoto normativo tutto da colmare;

    anche l'e-commerce, il valore degli acquisti online da parte dei consumatori del nostro Paese ha raggiunto nel 2017 i 23,6 miliardi di euro, con un incremento del 17 per cento rispetto al 2016. Ma il dato ancora più significativo è che quest'anno gli acquisti di prodotti (pari a 12,2 miliardi di euro) sono cresciuti del 28 per cento e hanno superato per la prima volta quelli di servizi (+7 per cento, 11,4 miliardi di euro). Il paniere degli acquisti online si sta quindi lentamente avvicinando a quello dei principali mercati più evoluti (dove i prodotti incidono per circa il 70 per cento della spesa complessiva);

    nel corso di quest'anno i web shopper italiani sono 22 milioni e sono cresciuti del 10 per cento rispetto al 2016. Tra questi, gli acquirenti abituali — almeno un acquisto al mese — sarebbero di 16,2 milioni e generano il 93 per cento della domanda totale (a valore), spendendo online in un anno, mediamente, 1.357 euro ciascuno. Inoltre, un terzo degli acquisti eCommerce, a valore, è concluso attraverso smart phone o tablet. L'incidenza di questi «device» è quintuplicata nel giro di cinque anni. In valore assoluto, gli acquisti eCommerce da smartphone superano, nel 2017, i 5,8 miliardi di euro, con una crescita del +65 per cento rispetto al 2016;

    tuttavia, secondo le osservazioni fornite dall'Osservatorio eCommerce B2c i suddetti dati non sono molto confortanti, poiché: «Nonostante il fermento imprenditoriale degli ultimi anni, il settore non è in grado di garantire una copertura territoriale diffusa e omogenea sul territorio italiano: solo il 15 per cento della popolazione infatti può effettuare online la spesa “da supermercato” con livello di servizio idoneo, mentre un altro 55 per cento della popolazione ha un accesso solo potenziale all'eCommerce, tramite iniziative sperimentali, isolate e con limitata capacità»;

    relativamente a questa fattispecie di lavoratori, assimilabile peraltro alla fattispecie di «lavoratori autonomi», da un'indagine effettuata in quest'ambito, risulta che i «gigworker» italiani sono principalmente uomini (84 per cento) e per la maggiore giovani (18-34 anni, 55 per cento), mentre nella fascia di età 35-54 anni si colloca il 28 per cento di coloro che sono disponibili ad offrire una prestazione lavorativa occasionale «a portata di click»;

    detti «gigworker» risiedono principalmente al Nord (50 per cento) e al Centro (33 per cento); il 31 per cento è in possesso di una laurea magistrale; il 19 per cento ha una laurea triennale o ha conseguito un master o corsi post-laurea; il 25 per cento dei prestatori d'opera in parola ha conseguito la licenza di scuola secondaria di primo grado. Solo il 6 per cento dichiara di aver frequentato la scuola primaria;

    questo tipo di economia on demand, in crescita inarrestabile, coinvolge quotidianamente uno stuolo di corrieri, driver, chef, addetti alle pulizie e alle riparazioni, esperti di fitness, babysitter, dogsitter e tante altre figure di liberi professionisti;

    secondo l'analisi contenuta nell'ultimo rapporto Coop a proposito della «gig economy», il gigworker guadagna spesso fino a un massimo di 50 euro mensili;

    il caso «Foodora», che ha portato sotto i 3 euro la retribuzione dei cosiddetti «rider» per ogni consegna, a fronte dei 9 euro percepiti da questi in Germania, è davvero emblematica;

    inoltre, la reazione dei vertici alle rimostranze dei rider («Foodora non è un lavoro per sbarcare il lunario, ma un'opportunità per chi ama andare in bici, guadagnando anche un piccolo stipendio»), non può procrastinare ulteriormente interventi legislativi massicci in questo ambito;

    tale fattispecie di lavoro non rappresenta di fatto «un riempitivo per chi cerca lavoro o deve ancora finire gli studi», visto che un «gigworker» su quattro (il 26 per cento) risulterebbe dipendente a tempo pieno, contro il 22 per cento degli studenti e il 14 per cento dei disoccupati. Non vi è inoltre libertà di scelta tra più portali, perché nel 46 per cento dei casi le entrate arrivano da un'unica collaborazione;

    i numeri rispecchiano quelli registrati su scala internazionale, dove i timori per le retribuzioni troppo basse dei lavoratori della categoria hanno generato in molti Paesi europei la richiesta dei suddetti interventi legislativi. Nel Regno Unito il governo è chiamato insistentemente ad effettuare un «intervento d'emergenza», visto che l'asticella media dei pagamenti è arrivata a minimi di 2,5 sterline l'ora. E negli Stati Uniti, culla del fenomeno, un report del portale Earnest ha stimato che l'85 per cento dei lavoratori ricava meno di 500 dollari mensili da prestazioni che vanno dal trasporto privato (Uber) alle commissioni accumulate su siti per freelance come Fiverr;

    i sistemi utilizzati dalle piattaforme per monitorare la qualità della prestazione, attraverso la valutazione effettuata dai consumatori, possono rappresentare una fonte d'insicurezza per il lavoratore;

    la valutazione che i consumatori attribuiscono ai lavoratori potrebbe influenzare le opportunità di lavoro futuro e il loro accesso a un lavoro dignitoso e maggiormente qualificante, esponendo i lavoratori a forme di discriminazione per le quali non è attualmente prevista l'estensione delle forme di tutela contemplate dalla legislazione del lavoro che solitamente si applicano al rapporto di lavoro subordinato;

    i lavoratori della «gig economy» sono spesso considerati come lavoratori autonomi e, pertanto, le piattaforme per le quali lavorano non sono assoggettate agli obblighi di contribuzione previdenziale;

    in molti Paesi, tra cui l'Italia i lavoratori autonomi hanno difficoltà ad aderire a organizzazioni sindacali e quindi ad ottenere dei compensi più alti e condizioni di lavoro dignitose attraverso la contrattazione collettiva;

    inoltre, come sottolineato da qualche osservatore della «gig economy», in alcuni Paesi, non solo europei, l'attività sindacale dei lavoratori autonomi potrebbe essere equiparata alla formazione di un «cartello» restrittivo della concorrenza che, a sua volta, potrebbe configurarsi come una violazione della normativa antitrust;

    la proposta di risoluzione del Parlamento europeo per un pilastro europeo dei diritti sociali ha invitato le parti sociali e la Commissione ad assumere iniziative normative finalizzate a garantire a tutti i lavoratori dipendenti e a tutti i lavoratori in forme di occupazione atipiche, un nucleo di diritti azionabili, indipendentemente dal tipo di contratto o rapporto di lavoro, tra cui la parità di trattamento, la tutela della salute e della sicurezza, la protezione durante il congedo di maternità, disposizioni in materia di orario di lavoro e periodi di riposo, l'equilibrio tra attività professionale e vita privata, l'accesso alla formazione, il sostegno sul luogo di lavoro per le persone con disabilità, adeguati diritti in materia di informazione, consultazione e partecipazione, la libertà di associazione e di rappresentanza, la contrattazione collettiva e le azioni collettive;

    con riferimento alle condizioni di lavoro, essa ha sollecitato: «per quanto concerne le forme di lavoro che si svolgono su piattaforme digitali e altre tipologie di lavoro autonomo dipendente, una chiara distinzione, ai fini del diritto dell'Unione e fatte salve le disposizioni del diritto nazionale, tra questi lavoratori realmente autonomi e quelli inquadrati in un rapporto di lavoro, tenendo conto della raccomandazione n. 198 dell'OIL, secondo cui il rispetto di vari indicatori è sufficiente per stabilire un rapporto di lavoro; lo status e le responsabilità di base della piattaforma, il richiedente e la persona che effettua il lavoro andrebbero pertanto chiariti; dovrebbero essere introdotte anche norme minime per le regole di collaborazione con informazioni complete ed esaurienti al prestatore di servizi sui loro diritti e obblighi, sulle prestazioni, sul corrispondente livello di protezione sociale e sull'identità del datore di lavoro; i lavoratori dipendenti e gli autentici lavoratori autonomi che operano attraverso piattaforme online dovrebbero avere analoghi diritti come nel resto dell'economia ed essere protetti mediante la partecipazione a regimi di assicurazione sanitaria e di sicurezza sociale; gli Stati membri dovrebbero garantire un controllo adeguato di tutti i termini e condizioni del rapporto di lavoro o del contratto di servizi, prevenendo gli abusi di posizione dominante da parte delle piattaforme»;

    non può essere sottaciuta la sentenza del tribunale di Londra che ha sancito il riconoscimento dei tassisti di Uber, da considerare «a tutti gli effetti dipendenti»;

    il fenomeno della «gig economy», come sottolineato da alcuni studiosi, ha in effetti generato opposti schieramenti, tra entusiasti e catastrofisti. I primi vedono nella «gig economy» «un'opportunità per l'erosione della disoccupazione giovanile e per la ricollocazione lavorativa di molti “over 50”, oltre alla possibilità di estendere, in futuro, un modello di start up oggi ancora agli albori a realtà più grandi e strutturate in cerca di una trasformazione 4.0». I secondi «si concentrano su spinose questioni quali il sommerso attualmente generato da varie imprese alle condizioni di scarsa sicurezza in cui operano numerosi lavoratori, fino alla necessità di imporre un obbligo di licenza per determinate prestazioni»;

    il liberismo digitale necessita dell'intervento statale che regoli in maniera equa il rapporto col mercato, ponendo al centro la dignità del lavoro;

    la «gig economy» pone di fronte ad un cambiamento di paradigma i cui contorni sono un po’ oscuri. Il passaggio dal regime di proprietà, fondato sull'idea di distribuzione capillare della titolarità dei beni, al regime dell'accesso, basato sul «principio che la rete rende disponibili beni, lavoro e servizi» cambia radicalmente la nozione di capitalismo;

    lo studio dell'Ilo evidenza che le attuali norme del diritto del lavoro non sono necessariamente inadatte a regolare le prestazioni nella «gig economy». In tal senso, il predetto studio prospetta alcune soluzioni per il lavoro «on-demand» tra le quali si annoverano l'estensione in chiave universale dei principi e diritti fondamentali sul lavoro, a prescindere dal tipo di contratto;

    appare dunque sempre più forte l'esigenza di avviare anche una revisione normativa finalizzata a regolamentare anche i mercati ove operano le piattaforme digitali al fine di impedire comportamenti opportunistici dei nuovi giganti digitali ovvero forme di concorrenza sleale basate sull'offerta o sulla condivisione di beni o servizi low cost con l'utilizzo di forme di lavoro che non assicurano sicurezze sociali, garanzie e adeguati standard retributivi ai lavoratori delle suddette piattaforme digitali,

impegna il Governo:

   ad adottare iniziative normative volte a regolamentare le modalità operative dei nuovi datori di lavoro-piattaforme digitali, facendosi promotore di idonee misure che impediscano comportamenti opportunistici dei giganti digitali che servendosi di forme di lavoro atipico ovvero pseudo-autonomo – che non garantiscono sicurezze sociali, tutele e adeguati standard retributivi ai lavoratori dipendenti dalle suddette piattaforme digitali – attuano pratiche di dumping sociale ai danni dei suddetti lavoratori assicurando loro un lavoro dignitoso ai sensi dell'articolo 36 della Costituzione;

   ad adottare iniziative normative finalizzate ad individuare criteri di determinazione della sede legale delle piattaforme digitali, ai fini dell'identità del datore di lavoro, nonché a fini fiscali;

   a promuovere iniziative volte a definire un quadro normativo unitario da applicare ai dipendenti dalle piattaforme digitali o ai lavoratori della gig-economy, nell'ambito del quale considerare, in particolare, le seguenti esigenze: prevedere adeguati standard uniformi di protezione sociale e delle condizioni di lavoro, anche con riferimento a informazioni complete ed esaurienti sui diritti e sugli obblighi, sulle prestazioni, sul corrispondente livello di protezione sociale e sull'identità del datore di lavoro;

   a favorire la costituzione di tavolo di confronto con i soggetti interessati al fine di monitorare le modalità di lavoro nelle piattaforme digitali e individuare specifiche tutele a seconda delle esigenze e delle modalità di esplicazione del lavoro nelle suddette piattaforme;

   ad adoperarsi in maniera più attiva per un maggior coinvolgimento delle parti sociali nella definizione delle regole relative al lavoro svolto nell'ambito della «gig economy», attraverso le piattaforme digitali, al fine di evitare che siano solo queste ultime a stabilire tali regole, incluse la fissazione di corrispettivi e la mediazione delle controversie;

   nelle more della definizione di politiche e normative che garantiscano un lavoro dignitoso ai lavoratori delle piattaforme digitali, ad adottare tutte le iniziative utili ad estendere in chiave universale i principi e i diritti fondamentali sul lavoro, a prescindere dal tipo di contratto;

   a valutare l'opportunità di assumere iniziative per adeguare le politiche del lavoro alle attività delle aziende che operano attraverso le piattaforme digitali, per garantirne la concorrenza.
(7-01381) «Ciprini, Tripiedi, Cominardi, Chimienti, Lombardi, Dall'Osso».

Classificazione EUROVOC:
EUROVOC (Classificazione automatica provvisoria, in attesa di revisione):

sicurezza sociale

diritto del lavoro

lavoro autonomo