ATTO CAMERA

RISOLUZIONE IN COMMISSIONE 7/01285

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 17
Seduta di annuncio: 812 del 13/06/2017
Firmatari
Primo firmatario: ZOGGIA DAVIDE
Gruppo: ARTICOLO 1-MOVIMENTO DEMOCRATICO E PROGRESSISTA
Data firma: 13/06/2017
Elenco dei co-firmatari dell'atto
Nominativo co-firmatario Gruppo Data firma
ZACCAGNINI ADRIANO ARTICOLO 1-MOVIMENTO DEMOCRATICO E PROGRESSISTA 13/06/2017
RICCIATTI LARA ARTICOLO 1-MOVIMENTO DEMOCRATICO E PROGRESSISTA 16/06/2017


Commissione assegnataria
Commissione: VI COMMISSIONE (FINANZE)
Stato iter:
IN CORSO
Fasi iter:

APPOSIZIONE NUOVE FIRME IL 16/06/2017

Atto Camera

Risoluzione in commissione 7-01285
presentato da
ZOGGIA Davide
testo presentato
Martedì 13 giugno 2017
modificato
Venerdì 16 giugno 2017, seduta n. 815

   La VI Commissione,
   premesso che:
    alla Conferenza di Parigi sui cambiamenti climatici COP 21 i 196 Stati partecipanti hanno sottoscritto un accordo per la riduzione delle emissioni come parte del metodo per la riduzione dei gas serra;
    nel documento di 12 pagine i membri hanno concordato di ridurre la loro produzione di ossido di carbonio «il più presto possibile» e di fare del loro meglio per mantenere il riscaldamento globale «ben al di sotto di 2 oC» in più rispetto ai livelli pre-industriali;
    gli impegni dell'accordo non sono giuridicamente vincolanti per i contraenti e non lo saranno fino a quando almeno 55 Paesi che producono oltre il 55 per cento dei gas serra non avranno ratificato l'accordo;
    l'Unione europea ha recepito gli obiettivi del protocollo di Kyoto e si appresta a dare seguito agli impegni di Parigi principalmente con il sistema Emission trading scheme (ETS) che fissa un tetto massimo alle emissioni, a livello di impianti produttivi localizzati nel territorio europeo, e consente ai partecipanti di acquistare e vendere quote di emissione secondo le loro necessità all'interno di tale limite;
    l'assenza di disposizioni vincolanti nell'accordo di Parigi ha prodotto squilibri nella concorrenza sul piano mondiale, poiché alcune aree del mondo non competono sul mercato mondiale con regole uniformi a quelle europee. Tale situazione rischia di aggravarsi ulteriormente a seguito della denuncia formale degli accordi sul clima da parte della amministrazione statunitense, annunciata il 3 giugno 2017 dal Presidente degli Stati Uniti Donald Trump;
    tra le varie asimmetrie competitive, una riguarda i diversi limiti alle emissioni e i diversi costi dei vettori energetici utilizzati nella produzione industriale;
    le emissioni di anidride carbonica sono divenute uno dei parametri della competitività produttiva, perché, se si usa energia altamente inquinante e a costo relativamente basso come il petrolio o il carbone, senza limiti derivanti da politiche ambientali, si ottiene un vantaggio competitivo rispetto a chi si approvvigiona con gas o con fonti rinnovabili. I bassi costi energetici producono costi di produzione più contenuti, maggiore competitività sul mercato e, di fatto, uno svantaggio per chi produce con un basso impatto di carbonio;
    la produzione industriale europea è gravemente penalizzata dal costo energetico e ambientale nei confronti dei competitori internazionali; a dimostrarlo sono le crescenti delocalizzazioni degli impianti e le percentuali dell'importazione di beni prodotti da nazioni ormai industrializzate, che sono, di fatto, anche dei «paradisi emissivi»;
    la bilancia commerciale europea, nel decennio 2002-2012, ha più che raddoppiato la propria negatività, importando 2,2 volte quello che importava all'inizio millennio; la Cina ha incrementato le proprie esportazioni del 459 per cento e la Russia del 253 per cento. La Cina, con quasi il doppio della popolazione congiunta di USA e Unione europea, rappresenta solo il 12 per cento delle importazioni mondiali;
    tendenzialmente, i Paesi industrializzati esportano nei Paesi in via di sviluppo percentuali significative di servizi, cioè attività con un basso impatto di inquinamento e beni prodotti con alti livelli di efficienza energetica e percentuali significative di fonti rinnovabili. Diversamente, importano soprattutto beni fabbricati da opifici non efficienti e che si approvvigionano con vettori energetici fossili: la Cina, ad esempio, produce oltre l'80 per cento della propria elettricità con il carbone;
    gli stessi produttori europei, pur continuando ad avere come sbocco il mercato continentale, scelgono di spostare i propri opifici in Paesi il cui costo dei lavoratori, i loro diritti, gli adempimenti amministrativi e di tassazione sono di molte volte inferiori a quelli europei, ma soprattutto dove la differenza di costi dell'energia crea un vantaggio competitivo sul costo finale del bene;
    l'Unione europea sta delocalizzando la produzione dei beni che le necessitano e i dati, apparentemente confortanti, in merito alla bassa intensità emissiva delle produzioni interne non compensano il suo declino produttivo;
    nel momento in cui si pongono limiti e obiettivi su un'area economica come l'Europa, è ovvio che vengano favoriti indirettamente comportamenti che basano la loro concorrenzialità sulla mancanza di tali limiti;
    la cosa meno evidente, e per taluni aspetti peggiore, è che, con questo trend economico, le attuali politiche europee sui vincoli ambientali premiano l'industria extra Unione europea e i consumatori europei di fatto incentivano l'aumento delle emissioni globali acquistando beni prodotti in aree ad alta intensità emissiva. Infatti, se per produrre un determinato bene si emette un chilogrammo di anidride carbonica, acquistando quel bene prodotto in un Paese al di fuori della Unione europea si emettono con buona approssimazione 2 chilogrammi di anidride carbonica;
    in altri termini, l'Europa sta adottando una politica basata sul sostegno delle economie emergenti anche attraverso l'acquisto di beni prodotti con l'utilizzo di vettori energetici inquinanti e a basso costo;
    occorre ripensare la competitività dell'industria europea alla luce di una perequazione dei costi energetici e ambientali: non attenuando i limiti ambientali, ma rifiutando di accogliere passivamente nel proprio mercato interno beni e materie che godono di un vantaggio competitivo basato su bassi costi energetici e bassi standard ambientali;
    tra i Paesi più virtuosi, quindi paradossalmente più colpiti, c’è proprio l'Italia che, con una leadership su efficienza energetica e produzione rinnovabile, vede i propri settori energivori, come acciaio, carta, cantieri navali, vetro e alluminio, perdere costantemente competitività sul mercato mondiale,

impegna il Governo

   ad assumere iniziative per individuare misure direttamente applicabili a livello nazionale che agiscano come leva di fiscalità ambientale tramite la modulazione delle aliquote Iva con l'obiettivo, non di aumentare il gettito fiscale, ma di incentivare le produzioni più pulite e disincentivare le altre, a prescindere da dove i beni vengano prodotti;
   ad adottare iniziative presso le competenti sedi europee al fine di superare l’Emission trading scheme e di introdurre un'imposta sull'intensità carbonica dei prodotti, da applicare in modo non discriminatorio sia ai prodotti dell'Unione europea che a quelli importati, sulla base del contenuto di anidride carbonica emesso per la produzione di tali beni, in modo da riconoscere i meriti ambientali delle produzioni manifatturiere dell'Unione europea senza discriminare quelle extra Unione europea che rispettano gli stessi standard ambientali, innescando così un meccanismo virtuoso di miglioramento della qualità ambientale dei prodotti e accelerando il raggiungimento degli obiettivi globali di decarbonizzazione.
(7-01285) «Zoggia, Zaccagnini, Ricciatti».

Classificazione EUROVOC:
EUROVOC (Classificazione automatica provvisoria, in attesa di revisione):

imposta ambientale

prezzo dell'energia

produzione comunitaria