ATTO CAMERA

RISOLUZIONE IN COMMISSIONE 7/00869

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 17
Seduta di annuncio: 537 del 16/12/2015
Abbinamenti
Atto 7/00840 abbinato in data 16/12/2015
Approvazione risoluzione conclusiva
Atto numero: 8/00162
Firmatari
Primo firmatario: DA VILLA MARCO
Gruppo: MOVIMENTO 5 STELLE
Data firma: 16/12/2015
Elenco dei co-firmatari dell'atto
Nominativo co-firmatario Gruppo Data firma
VALLASCAS ANDREA MOVIMENTO 5 STELLE 16/12/2015
CRIPPA DAVIDE MOVIMENTO 5 STELLE 16/12/2015
CANCELLERI AZZURRA PIA MARIA MOVIMENTO 5 STELLE 16/12/2015
DELLA VALLE IVAN MOVIMENTO 5 STELLE 16/12/2015
FANTINATI MATTIA MOVIMENTO 5 STELLE 16/12/2015
ZOLEZZI ALBERTO MOVIMENTO 5 STELLE 16/12/2015


Commissione assegnataria
Commissione: X COMMISSIONE (ATTIVITA' PRODUTTIVE, COMMERCIO E TURISMO)
Stato iter:
16/12/2015
Partecipanti allo svolgimento/discussione
ILLUSTRAZIONE 16/12/2015
DA VILLA MARCO MOVIMENTO 5 STELLE
 
INTERVENTO PARLAMENTARE 16/12/2015
BRATTI ALESSANDRO PARTITO DEMOCRATICO
VICO LUDOVICO PARTITO DEMOCRATICO
 
DICHIARAZIONE VOTO 16/12/2015
TARANTO LUIGI PARTITO DEMOCRATICO
DA VILLA MARCO MOVIMENTO 5 STELLE
 
INTERVENTO PARLAMENTARE 16/12/2015
MARTELLA ANDREA PARTITO DEMOCRATICO
EPIFANI ETTORE GUGLIELMO PARTITO DEMOCRATICO
 
PARERE GOVERNO 16/12/2015
VICARI SIMONA SOTTOSEGRETARIO DI STATO - (SVILUPPO ECONOMICO)
Fasi iter:

DISCUSSIONE CONGIUNTA IL 16/12/2015

DISCUSSIONE IL 16/12/2015

ATTO MODIFICATO IN CORSO DI SEDUTA IL 16/12/2015

IN PARTE ACCOLTO E IN PARTE NON ACCOLTO IL 16/12/2015

PARERE GOVERNO IL 16/12/2015

VOTATO PER PARTI IL 16/12/2015

IN PARTE APPROVATO (RISOLUZIONE CONCLUSIVA) IL 16/12/2015

CONCLUSO IL 16/12/2015

Atto Camera

Risoluzione in commissione 7-00869
presentato da
DA VILLA Marco
testo di
Mercoledì 16 dicembre 2015, seduta n. 537

   La X Commissione,
   premesso che:
    la chimica italiana ha una lunga storia, fatta di numerosi insediamenti industriali sparsi in tutta la penisola oltre che di attività di ricerca e sviluppo ai massimi livelli, basti pensare al premio Nobel Natta che inventò nel 1963 il polipropilene isotattico ed il polietilene ad alta densità;
    a livello mondiale questo comparto rappresenta ancora una realtà industriale alquanto dinamica, con un volume d'affari di oltre 3.000 miliardi di dollari;
    malgrado la forte tradizione del nostro Paese in questo settore, l'industria chimica italiana ha subito una significativa contrazione dovuta ad una serie di fattori, tra cui possiamo citare: a) le distorsioni dagli anni ’70 (dalla scalata di quella che fu, secondo i firmatari del presente atto di indirizzo, l'ambigua figura di Cefis, alla prima avventura parallela dello stesso con Montedison, allo scandalo dei petroli su fino all’affaire Enimont, passando per le mille influenze negative della politica); b) il consistente ritardo nell'innovazione impiantistica e nella riconversione industriale che si sarebbero dovute realizzare negli anni ’80; c) la colpevole disattenzione dei vertici industriali e politici nei confronti di una degradazione irreversibile degli ambienti circostanti e dell'impatto sulla salute di cittadini e lavoratori; d) un programma di dismissioni incontrollate di impianti nei confronti di gestori non interessati a garantire la sicurezza dal rischio chimico e la protezione dall'inquinamento (si veda oltre), poiché attenti solamente al profitto immediato e non a qualificare la produzione; infine, e) la sempre più agguerrita concorrenza estera. A causa di quest'incuria e del sistematico (e a parere di molti, tra cui i firmatari del presente atto di indirizzo, voluto) scadimento che ne è derivato, l'industria chimica ha ormai da tempo un'immagine connotata come più obsoleta, non conveniente, fortemente impattante ed inquinante; si tratta di uno dei più grandi sprechi che ha subito il nostro Paese, ben descritto nel volume «Il declino dell'Italia industriale» di Luciano Gallino;
   nello stesso rapporto di Federchimica del luglio 2015 su «Situazione e prospettive per l'industria chimica», viene evidenziato come «l'intensità della ripresa rimarrà modesta e le conseguenze della crisi continueranno a farsi sentire soprattutto per le piccole e medie imprese chimiche più dipendenti dal mercato interno i cui livelli di attività risultano, nella maggior parte dei casi, ancora decisamente inferiori al pre-crisi»;
    è opportuno ricordare che proprio la petrolchimica ha comportato ingenti danni ambientali e per la salute di lavoratori e abitanti in diverse località italiane, come Porto Marghera, Porto Torres, Gela e Priolo. I territori delle città sopra menzionate hanno fatto registrare una media di mortalità della popolazione per malattie tumorali ben al di sopra di quella nazionale;
    questi siti industriali, molti dei quali dismessi o in dismissione, potrebbero tuttavia essere proficuamente riutilizzati impiegandoli nella green economy, e in particolare nella green chemistry;
    il concetto di chimica sostenibile è supportato a oggi da tutta la chimica italiana, che lo ha concretizzato nell'iniziativa volontaria «Responsible Care», i cui fondamenti sono basati sull'impegno delle industrie chimiche:
     a migliorare continuamente prodotti, processi e comportamenti nelle aree della sicurezza, salute e ambiente, in modo da contribuire in maniera significativa allo sviluppo sostenibile dell'industria, delle comunità locali e della società;
     a potenziare la sicurezza e migliorare la salute dei dipendenti e della popolazione che vive nei pressi dei siti industriali (investimenti in sicurezza e in minor impatto ambientale);
     a incrementare la protezione dell'ambiente limitando il più possibile le emissioni nell'aria (meno gas-serra e sostanze volatili), nell'acqua e nel suolo, per ridurre l'impatto ambientale delle attività industriali sul cambiamento climatico e sulle comunità adiacenti;
    per quanto riguarda la chimica verde, il nostro Paese vanta attualmente eccellenze di valore mondiale che stanno consentendo, ad esempio, di trasformare il vecchio ed inquinante petrolchimico di Porto Torres in una bioraffineria; una specializzazione in tal senso potrebbe contribuire significativamente alla ripresa dell'economia italiana, se il settore potesse avvalersi di una normativa nazionale che razionalizzasse con un piano la realizzazione di nuove bioraffinerie, tenendo conto delle loro esternalità ambientali e sociali, e diffondesse presso l'opinione pubblica la conoscenza delle positive innovazioni connesse;
   in Italia esistono eccellenze industriali nel settore della green chemistry, in particolare nel settore delle bioplastiche e in quello dei biocarburanti di seconda e terza generazione, che andrebbero opportunamente sfruttate. In particolare, ci sono imprese che hanno realizzato investimenti importanti su questo comparto, tra le quali Mossi&Ghisolfi, Novamont ed Eni;
    l'Eni, per bocca dell'attuale amministratore delegato De Scalzi, ha illustrato, nell'audizione del 5 novembre 2014 presso la Commissione attività produttive della Camera dei deputati, il valore strategico della chimica verde, che rappresenta per Versalis una opportunità di business con elevate prospettive di crescita e complementare alla chimica tradizionale, confermando ciò che aveva dichiarato sempre in audizione il suo predecessore Scaroni: «Vogliamo fare della Versalis il leader mondiale del settore della chimica verde». Ad oggi, purtuttavia, il futuro aziendale di Versalis è bloccato, in quanto, all'ultimo tavolo istituzionale del 17 novembre 2015, convocato per discutere sulla situazione aziendale di Mantova dopo le voci di possibili cessioni di quote a un fondo di investimento americano, non hanno partecipato il presidente e l'amministratore delegato di Eni Versalis Spa;
    Versalis ha forti relazioni commerciali con clienti che operano a livello globale, come Pirelli, Bridgestone e Continental e questo le consente di espandere il suo business (e l'importanza della chimica innovativa italiana) a livello mondiale, grazie anche a un eccellente struttura di ricerca e sviluppo: basti pensare che Versalis ha un portafoglio di circa 400 brevetti;
    secondo quanto affermato dai rappresentanti dei lavoratori dell'azienda, l'Eni sarebbe invece intenzionata ad abbandonare progressivamente il settore della chimica, con una retromarcia preoccupante e poco comprensibile rispetto a quello che i suoi massimi responsabili hanno dichiarato fino a oggi. Come evidenziato da ultimo dall'inchiesta giornalistica trasmessa il 13 dicembre 2015 nella trasmissione Report (da cui sono emersi anche taluni aspetti preoccupanti dal punto di vista del reale interesse pubblico e della legalità), appare evidente, secondo i firmatari del presente atto di indirizzo, che l'unica strategia di Eni sembrerebbe quella di dismettere rapidamente tutta una serie di partecipazioni, compresa la chimica, contraddicendo indirizzi precedentemente dichiarati e senza, di fatto, avere elaborato ed esposto una precisa strategia industriale;
    è inoltre opportuno ricordare quanto siano state inconcludenti, per i firmatari del presente atto di indirizzo, le dismissioni incontrollate della chimica avviate negli anni ’90, e come tali passaggi spesso abbiano lasciato scaturire non solo gravissimi rischi per la sicurezza (basta l'esempio dell'incidente Dow Chemical del 2002 a Porto Marghera), accompagnati da un deplorevole susseguirsi di scarichi di responsabilità nella gestione dei danni lasciati negli anni (è il caso della chimica del cloro, che ha lasciato terreni fortemente inquinati a carico del sistema pubblico), ma anche la continua riduzione dei costi di manutenzione, con gravi rischi conseguenti per gli impianti e quindi per i cittadini. E spiace osservare come oggi si stia purtroppo riproponendo, a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo, un modello similare, nel quale si profilano cessioni nei confronti di un piccolo fondo americano che da una parte non appare in grado di onorare pienamente gli impegni finanziari, dall'altra non sembra poter offrire garanzie circa il mantenimento in sicurezza degli impianti nei confronti del rischio chimico per lavoratori e popolazioni circostanti;
    quanto alla ricerca, come esposto in audizione un rappresentante del Cnr nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla green economy presso le Commissioni ambiente ed attività produttive alla Camera, in tutto il mondo si manifesta una crescita esponenziale delle pubblicazioni scientifiche sulla chimica verde o, più correttamente, sulle biotecnologie bianche, e cioè quella branca delle biotecnologie che ha portato negli ultimi anni fortissimi sviluppi nella degradazione enzimatica della biomassa, passaggio cruciale per l'applicazione all'interno dei processi produttivi: a sostituzione delle materie prime per l'industria petrolchimica, con una materia prima rinnovabile, naturale, che porta quasi a zero il bilancio di CO2; dalla chimica verde, infatti, si ottengono quelli che vengono definiti «bio-based products», cioè prodotti ottenuti in tutto o in parte da materiali di origine biologica, con esclusione delle fonti fossili e minerarie, cioè dei materiali non rinnovabili;
    in relazione al recentissimo accordo di Parigi COP21, è evidente che, per soddisfare le esigenze di una significativa riduzione di CO2 nei processi industriali, saranno necessarie le tecnologie più avanzate; solo un'industria chimica reindirizzata verso obiettivi di vera sostenibilità e in grado di affiancarsi agli altri comparti industriali per conseguire i necessari adattamenti, potrà consentire al nostro Paese di mettere a frutto le proprie competenze tecniche e acquisire un ruolo-guida nei confronti degli ambiziosi obiettivi di riduzione dei consumi e dell'impatto ambientale. A ciò si aggiunge l'esigenza di sostenere in tempi brevi la prevista transizione ai nuovi modelli di sviluppo a basso impatto, in grado di ridurre – anche con nuove tecnologie – le grandi quantità di inquinanti locali presenti nelle aree urbane e in alcune aree del Paese, come la pianura padana;
    la trasformazione delle biomasse di origine agricola, industriale o naturale in sostanze chimiche, sia per impiego energetico, sia per impiego industriale, è un processo chimico; da queste trasformazioni si ottengono sostanze che possono essere utilizzate sia per produrre direttamente energia (biocombustibili), sia per produrre composti chimici intermedi che a loro volta vengono trasformati in ulteriori prodotti, al pari di quanto già succede con le fonti fossili; d'altro canto le biomasse furono la prima fonte di materie prime per la chimica fino agli anni ’20 del secolo scorso, quando la grande disponibilità di petrolio ha spostato l'approvvigionamento sulle fonti fossili;
    nel 2013, quattro soci fondatori, tra i quali Federchimica, hanno dato vita al Cluster tecnologico nazionale «Chimica Verde», su impulso del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e in linea con gli indirizzi della Commissione europea in tema di bioeconomia. Obiettivo del Cluster è quello di incoraggiare lo sviluppo delle bioindustrie in Italia attraverso un approccio interdisciplinare e globale all'innovazione;
    nel 2014, gli aderenti al Cluster hanno poi fondato l'Associazione «SPRING – Sustainable Processes and Resources for Innovation and National Growth». Con lo scopo di gestire le attività inerenti al Cluster, gli oltre 100 soggetti aderenti a SPRING vedono nella costruzione di bioraffinerie avanzate, integrate nel territorio e rivolte principalmente a produzioni innovative ad alto valore aggiunto, un'opportunità per affermare un nuovo modello socio-economico e culturale, prima ancora che industriale, dando una corretta priorità all'uso delle biomasse, nel rispetto della biodiversità locale e delle colture alimentari, e con la creazione di nuovi posti di lavoro. Già ora ci sono potenzialità per più di un miliardo di euro di investimenti privati e per oltre 1.600 addetti;
    il Cnr stesso rileva come in Italia ci siano investimenti importanti, citando l'esempio del lancio di un bando interno presso il medesimo centro di ricerche per partecipare a un progetto premiale per il quale ha ricevuto, con sorpresa degli stessi organizzatori, più di 400 risposte dai ricercatori, i quali hanno chiesto di poter mettere a disposizione le proprie competenze, ritenendo che fossero congrue e ben inquadrate all'interno della chimica verde;
    a marzo del 2015 è stato inoltre firmato l'Accordo di programma tra Consiglio nazionale delle ricerche e Federchimica, grazie al quale sono previste alcune attività per le imprese che possono favorire i contatti con l'istituto di ricerca; l'accordo fissa alcuni passi operativi che permetteranno al Consiglio nazionale delle ricerche di mettersi a disposizione delle imprese chimiche, soprattutto medio-piccole, con oltre 800 i Ricercatori specializzati nelle scienze chimiche. In breve, l'accordo, intende:
     far conoscere alle imprese il potenziale di ricerca che il Consiglio nazionale delle ricerche può mettere a disposizione;
     fornire informazioni sulle competente scientifiche e sulle esperienze di collaborazione industriale dei vari Dipartimenti del Consiglio nazionale delle ricerche che si interessano di chimica;
     elaborare eventuali modelli contrattuali semplificati per favorire la collaborazione tra i ricercatori del Consiglio nazionale delle ricerche e le imprese, anche con nuove formule d'inserimento di risorse umane qualificate;
     avviare alcuni «Progetti Bandiera», come la «Chimica delle Formulazioni»;
    alcune associazioni di settore di Federchimica si sono attivate per i «Progetti Bandiera»: AISPEC (Associazione Nazionale imprese chimica fine e settori specialistici) ha già individuato una dozzina di imprese con le quali il Consiglio nazionale delle ricerche, metterà in atto possibili collaborazioni. AISPEC, inoltre, sta focalizzando i principali trend tecnologici delle imprese sulla «Chimica delle Formulazioni», che intende condividere con il Consiglio nazionale delle ricerche, al fine di indirizzare meglio la sua futura attività di ricerca;
    il Consiglio nazionale delle ricerche ritiene inoltre che una vasta opera di formazione sarebbe importante perché la chimica verde e la green economy in generale, non prevede occupazione solo ai più alti livelli di specializzazione. Bisognerebbe riuscire a ricreare una versione rinnovata di quei poli chimici che ebbero a lungo un ruolo di primo piano in Italia, riconvertendoli in direzione «verde», per inquinare meno e produrre materiali innovativi, tornando così concorrenziali sul mercato in un settore ad alto valore aggiunto;
    nelle bioplastiche, ad esempio, l'Italia è già molto competitiva. Il fatto che una delle nostre aziende abbia vinto la gara per fornire il catering alle Olimpiadi di Londra, con servizio in plastiche biodegradabili, significa che esistono le basi di una presenza competitiva italiana, e che, anche dal punto di vista occupazionale, potremmo sviluppare opportunità vantaggiose. Anche se il saldo occupazionale nelle qualifiche meno elevate non dovesse migliorare significativamente, con uno sviluppo in tal senso si tutelerebbero per lo meno gli impieghi delle maestranze attualmente ancora occupate nella chimica, che invece sarebbero fortemente a rischio se il settore non si rinnovasse, rimanendo attaccato a produzioni non sostenibili che lo condannerebbero a un inesorabile declino;
    il Consiglio nazionale delle ricerche sta spingendo una parte importante della ricerca verso questo approccio green: sicuramente per quanto riguarda la chimica, parte della fisica e gran parte dell'ingegneria, che ovviamente ha un ruolo decisivo anche per i suoi riflessi sul settore dell'edilizia, sull'occupazione e sul governo del territorio;
    quanto all'integrazione territoriale, questa è favorita anche da dimensioni degli impianti tali da consentire un loro inserimento nel contesto locale in sintonia con il territorio, ben accetto dalle comunità limitrofe, grazie anche all'oggettivo valore economico, occupazionale e di sostenibilità ambientale, nonché di innovazione pervasiva su tutta la catena del valore a monte e a valle;
    al di là del valore importante del radicamento e dell'integrazione, le imprese di questo ambito giocano un ruolo estremamente importante nella produzione di materiali con un grado di specializzazione spesso elevato, vitali per settori industriali diversi: l'industria della carta, quella tessile, farmaceutica, della gomma, cosmetica, alimentare, delle materie plastiche, degli adesivi, dei biofertilizzanti e molte altre ancora dipendono già ora da forniture derivate da biomasse, dalle quali traggono a loro volta molteplici prodotti destinati a usi tecnici, e spesso a usi quotidiani. Questo tessuto di imprese, con le loro competenze e il loro radicamento, costituisce la base dell'attuale sistema industriale della bioeconomia e il presupposto per il suo sviluppo ulteriore in termini di innovazione e sostenibilità. Il settore conosce infatti in questo momento profondo processo di rinnovamento che riguarda i tre livelli che lo caratterizzano: tecnologie, bioraffinerie, bioprodotti;
    occorre definire e attuare una strategia nazionale in grado di affrontare tutti questi complessi nodi e che permetta alla green economy di svolgere un ruolo essenziale, partendo dall'individuazione di alcuni obiettivi concreti, attuabili e in grado di delineare la rotta che si vuole perseguire; obiettivi che, se conseguiti, possono contribuire ad un rilancio dell'intero comparto produttivo del settore;
    lo sviluppo sostenibile, chiave di volta del progresso tecnologico nel nuovo secolo, impone infatti alle scienze chimiche di giocare un ruolo primario nella riconversione di vecchie tecnologie in nuovi processi puliti, e nella progettazione di nuovi prodotti e nuovi processi eco-compatibili;
    anche le imprese di assofertilizzanti, ad esempio, hanno da sempre condiviso la necessità di una attenzione sempre maggiore al consumatore, all'ambiente, al prodotto e anche al processo, in quanto convinte che solo con la qualità, nella sua accezione più ampia, si potrà far fronte alla competizione globale, facendo emergere, anche in questo settore, l'eccellenza del made in Italy;
    se la reindustrializzazione dei poli chimici dovesse quindi realizzarsi, tramite investimenti di medio e lungo periodo in direzione di una chimica da fonti rinnovabili, o chimica verde, accompagnandosi a politiche di bonifica del territorio e piani per il riciclaggio di materie prime seconde, ciò potrebbe rappresentare una soluzione alla crisi del settore che non susciterebbe apprensione o diffidenza da parte dei segmenti di opinione pubblica più attenti all'impatto ambientale degli insediamenti industriali e più sensibili alle loro conseguenze sulla salute dei cittadini, anche perché l'obiettivo della chimica verde è ridurre le emissioni di anidride carbonica in atmosfera, grazie all'affrancamento dalle fonti fossili, nonché valorizzare le risorse del territorio, riducendo al contempo il peso dell'importazione di materie prime come il greggio;
    in base a quanto prospettato da Assocostieri, nei prossimi quindici anni la differenza tra i consumi di benzina (inclusi i biocarburanti) e quelli di gasolio (sempre inclusi i biocarburanti) dovrebbe aumentare dagli oltre 15 milioni di tonnellate (10 a 25,3) del 2010, agli oltre 17 previsti per il 2020 e il 2025 (rispettivamente, 8,1 contro 25,5 e 7,9 contro 25,1 milioni di tonnellate);
    in un simile contesto, la previsione della domanda di biocarburanti dovrebbe essere pari a 600 mila tonnellate di bioetanolo e bio-ETBE nel 2020 e leggermente meno nel 2025, a causa della riduzione dei consumi totali di benzina. Per il biodiesel la domanda si prevede pari a circa 2 milioni di tonnellate nel 2020 e 1,9 milioni di tonnellate nel 2025; tuttavia, i dati dei consumi petroliferi registrati nel corso del 2012 impongono una profonda riflessione su tali previsioni;
    con la legge n. 134 del 2012 è stata introdotta una procedura autorizzativa per le importazioni di biocarburanti;
    la chimica verde potrà inoltre inserirsi in maniera importante nelle tecnologie di produzione di materia da vegetali, come l'utilizzo della canapa; potrà altresì consentire il recupero di materia da frazione organica dei rifiuti solidi urbani (FORSU), limitando in particolare il ricorso a fertilizzanti di sintesi;
    in questo contesto di grande fermento innovativo del settore appare strategica la scelta di incentivare la nascita di filiere a ciclo chiuso, indicatori e propulsori di forte competitività in un ambito come quello della chimica verde, nella sua più ampia accezione,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per salvaguardare i brevetti del settore industriale chimico italiano affinché rimangano patrimonio intellettuale dell'Italia (troppo generico);
   ad istituire un tavolo di confronto con le regioni interessate per individuare soluzioni alternative nel caso dovessero venire meno, sul rispettivo territorio, le attività sulla chimica verde già programmate, promesse o comunque prefigurate, e per non perdere né le conoscenze né le competenze finora acquisite nel settore chimico;
   ad assumere iniziative volte a sostenere la «chimica verde» in coerenza con la strategia della biochimica sostenuta dalla Commissione europea, attivando presso il Ministero dello sviluppo economico un tavolo di alto livello tra stakeholders chiave ed enti di ricerca sul tema della chimica verde, per assistere il Governo nell'elaborazione di una strategia nazionale sulla bioeconomia che:
    a) individui gli interventi più efficaci, in particolare per lo sviluppo di tecnologie semplici a ciclo chiuso e di maggior rendimento;
    b) selezioni in modo mirato precisi ambiti di «green chemistry» e definiti obiettivi di miglioramento dei processi industriali in chiave di sostenibilità;
    c) predisponga progetti organici, fondati su complessive analisi ambientali, tecnico-scientifiche e di prospettiva industriale, volti al superamento della chimica tradizionale altamente inquinante, che puntino anzitutto alla riconversione degli impianti, ove possibile, e che procedano, per il resto, a dismissioni oculate e non casuali di produzioni impattanti o superate, valutando semmai a tal fine la possibilità di stringere accordi di collaborazione e di scambio con altri Paesi europei potenzialmente interessati;
    d) inserisca in una pianificazione sistematica il disegno delle opere di conversione già avviate o programmate, e predisponga un metodo di analisi e gestione delle emergenze in atto che eventualmente non si prestino a nessuna delle soluzioni auspicate;
   a sviluppare una politica di forte sostegno all'innovazione, che ponga la ricerca a proprio cardine fondamentale, anche attraverso la destinazione di fondi e di incentivi ad hoc;
   a favorire piani di utilizzo di vegetali a scopo produttivo, quali la canapa e a stimolare la produzione e l'utilizzo di brevetti nazionali che possano in particolare consentire il recupero di materia dalla FORSU allo scopo di limitare l'utilizzo di fertilizzanti da chimica tradizionale;
   a intraprendere ogni iniziativa per accelerare i processi di bonifica dei siti chimici di interesse nazionale e concludere in tempi certi quelli già avviati, concordando i percorsi con gli enti locali e le regioni;
   a porre in atto, in qualità di azionista di controllo di Eni, ogni azione utile, di competenza, nei confronti del management affinché siano mantenuti gli impegni di investimento in Versalis, con particolare orientamento a una dismissione programmata della chimica tradizionale inquinante a favore del potenziamento della green chemistry sostenibile e alla necessaria salvaguardia dei livelli occupazionali.
(7-00869) «Da Villa, Vallascas, Crippa, Cancelleri, Della Valle, Fantinati, Zolezzi».

Classificazione EUROVOC:
EUROVOC (Classificazione automatica provvisoria, in attesa di revisione):

protezione dell'ambiente

industria chimica

sicurezza del lavoro