ATTO CAMERA

RISOLUZIONE IN COMMISSIONE 7/00691

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 17
Seduta di annuncio: 432 del 21/05/2015
Firmatari
Primo firmatario: GAGNARLI CHIARA
Gruppo: MOVIMENTO 5 STELLE
Data firma: 21/05/2015
Elenco dei co-firmatari dell'atto
Nominativo co-firmatario Gruppo Data firma
PESCO DANIELE MOVIMENTO 5 STELLE 21/05/2015
BERNINI MASSIMILIANO MOVIMENTO 5 STELLE 21/05/2015
PARENTELA PAOLO MOVIMENTO 5 STELLE 21/05/2015
GALLINELLA FILIPPO MOVIMENTO 5 STELLE 21/05/2015
L'ABBATE GIUSEPPE MOVIMENTO 5 STELLE 21/05/2015
VILLAROSA ALESSIO MATTIA MOVIMENTO 5 STELLE 21/05/2015


Commissione assegnataria
Commissione: VI COMMISSIONE (FINANZE)
Commissione: XIII COMMISSIONE (AGRICOLTURA)
Stato iter:
IN CORSO
Atto Camera

Risoluzione in commissione 7-00691
presentato da
GAGNARLI Chiara
testo di
Giovedì 21 maggio 2015, seduta n. 432

   Le Commissioni VI e XIII,
   premesso che:
    i microbirrifici artigianali rappresentano oggi una realtà produttiva molto dinamica, ad alto livello qualitativo, che negli ultimi anni sta conseguendo una forte crescita economica (più del 20 per cento annuo). Il settore è attualmente rappresentato da oltre 800 microbirrifici, con un'età media dei titolari d'impresa tra i 30 e i 35 anni, una media di circa 3 dipendenti, un fatturato complessivo di 120 milioni di euro, con un volume di export superiore al 10 per cento (dati Confederazione Nazionale dell'artigianato e della piccola e media impresa), tanto che oggi il «made in Italy» brassicolo non è più un'esclusiva dei gruppi industriali; nei primi 100 birrifici al mondo per qualità è innovazione, infatti, se ne contano parecchi anche tra i micro birrifici artigianali italiani;
    negli ultimi anni questo settore sta anche sollecitando positivamente l'indotto e l'agricoltura in particolare: stanno aumentando esponenzialmente le semine di orzo per birra, alcune aziende agricole hanno investito acquistando micromaltifici per trasformare il proprio orzo, stanno nascendo i primi produttori di luppolo italiano, supportati da studi e ricerche per migliorarne la qualità e la resa;
    per quanto riguarda la coltivazione di orzo non ci sono particolari problemi legislativi, né tanto meno di produzione agricola; si tratta di una coltura ampiamente diffusa nel nostro Paese con circa 90 milioni di quintali di produzione distribuita per lo più uniformemente sul territorio nazionale (dati censimento agricoltura Istat 2010). Il fattore limitante, piuttosto, sta nella quasi totale mancanza di maltifici che possano lavorare questo, o altri cereali, per utilizzare nel processo produttivo della birra, fatti salvi i due grandi maltifici industriali, Saplo e AgroalimentareSud, che comunque non possono garantire il «conto lavorazione» a causa del loro grande dimensionamento;
    ad Ancona esiste anche un piccolo maltificio consortile sotto forma cooperativa, COBI (consorzio italiano di produttori di orzo e birra) che riunisce produttori di orzo contemporaneamente produttori di birra artigianale, ma proprio per le sue ridotte dimensioni ha dei costi doppi rispetto al prezzo di mercato del malto acquistabile all'estero o triplicati rispetto alle due malterie industriali italiane, anche se è in previsione un suo ingrandimento che porterebbe a 550/600 quintali a settimana la propria capacità produttiva;
    l'altro ingrediente determinante per la produzione di birra artigianale, nonostante sia quantitativamente inferiore, è il luppolo, appartenente alla famiglia delle cannabaceae, le cui infiorescenze hanno un impatto determinante sul profilo organolettico della birra. Questa pianta officinale, tuttavia, secondo dati dell'osservatorio economico Ismea del settore delle piante officinali del giugno 2013, viene totalmente importata dall'estero, principalmente dalla Germania (con 34.249 tonnellate detiene il 26,5 per cento della produzione mondiale) seguita dall'Etiopia 30.938 tonnellate detiene il 23,9 per cento della produzione mondiale) e dagli Stati Uniti (con 29.707 tonnellate detiene il 23,0 per cento della produzione mondiale). L'industria birraria italiana, quindi, importa completamente il proprio fabbisogno di luppolo, valutabile ad oltre 15 mila quintali l'anno (www.rivistediagraria.org);
    il mercato del luppolo, come quello della birra artigianale, tuttavia, da anni è in continua ascesa in Italia, come nel resto del mondo. Nonostante i 3 Paesi sopra menzionati ne detengano gran parte delle quote, oggi la coltivazione è sviluppata in tutto il mondo, compresi i Paesi del Mediterraneo a noi affini, come Francia, Spagna e Portogallo;
    in Italia, purtroppo, la filiera del luppolo è completamente assente: dai fornitori di materiali per la costruzione degli impianti di coltivazione, ai macchinari, ai consorzi per il conferimento della produzione. Peraltro, nel territorio italiano esistono innumerevoli ecotipi di luppolo che crescono spontaneamente e presentano un'ampia variabilità genetica, mai identificata, che potrebbe presentare caratteristiche uniche di pregio;
    nel 2011 è stato avviato un programma di ricerca sul luppolo autoctono italiano, in cui collaborano il comune di Marano sul Panaro, l'università di Parma e la neonata start up Italian hops company srl. L'obiettivo del programma è quello di realizzare un tipo di coltivazione di alta qualità, raccogliendo luppoli autoctoni nelle aree vocate, come Liguria, Piemonte, Lombardia, Veneto, Toscana, e altre. Al terzo anno di sperimentazione, i soggetti attuatori parlano di risultati promettenti e buone chance di successo;
    la coltivazione del luppolo, tuttavia, presenta diverse criticità, delle quali la più rilevante sembra essere indisponibilità di prodotti fitosanitari. Per l'appunto, ad oggi non esistono formulati commerciali per la difesa fitosanitaria che siano registrati per l'utilizzo sul luppolo, presumibilmente a causa del fatto che le ditte produttrici non trovano interesse ad investire denaro per ottenere l'estensione della registrazione di formulati già utilizzati su colture simili, come la vite;
    il regolamento dell'Unione europea, n. 1850/2006, stabilisce le modalità di certificazione del luppolo e dei prodotti derivati dal luppolo, ai fini della commercializzazione. Ai sensi dell'articolo 21 del citato regolamento europeo, gli Stati membri designano l'autorità di certificazione competente e garantiscono l'esistenza e l'operatività dei controlli e dei manuali delle procedure, necessari a garantire una qualità minima e la tracciabilità del luppolo e dei prodotti derivati. Ad oggi, nessun laboratorio italiano risulta abilitato per rilasciare la novellata certificazione;
    a complicare il quadro per i potenziali imprenditori agricoli che volessero cimentarsi con la coltivazione del luppolo, si aggiunge la questione delle cosiddette «quote di produzione», per le quali i produttori chiedono chiarezza in merito alla loro applicazione;
    dal punto di vista fiscale, il settore brassicolo artigianale accusa maggiormente il peso dell'accisa, tra le più alte d'Europa, rispetto al brassicolo industriale, a causa della specificità del ciclo di produzione che comporta inevitabilmente costi più elevati. In questo senso, la stessa Unione europea, con le Direttive UE 93/83 e 93/84, aveva individuato i parametri sulla base dei quali calcolare l'accisa, l'aliquota minima applicabile e la possibilità di ridurre l'aliquota ordinaria in funzione della dimensione d'impresa. Le direttive sono state recepite da 20 Paesi su 28, che hanno stabilito aliquote ridotte da applicare ai piccoli birrifici indipendenti con produzione annuale inferiore a 200.000 ettolitri/anno, mentre in Italia, non sono state previste riduzioni, anzi, da gennaio 2015 si applica l'ennesimo aumento che attualmente grava sulla birra per un ammontare pari a 3,04 euro/ettolitro;
    in data 30 novembre 2015 il Governo aveva anche accolto un ordine del giorno alla legge di stabilità 2015, a firma Chiara Gagnarli, in cui si impegnava ad evitare questo ultimo aumento dell'accisa, che tuttavia è scattato dal primo gennaio 2015;
    il sistema di accertamento dell'accisa per i microbirrifici, previsto dall'articolo 35, comma 3-bis del decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504, è basato su apparecchiature elettroniche inserite nel ciclo di produzione della birra. Tale sistema, è stato concepito per rispondere all'esigenza di riconoscere la specificità e semplificare il processo di accertamento delle accise dovute sulla produzione per i micro birrifici;
    in base all'interpretazione data dall'Agenzia delle dogane nella circolare n. 5/D del 6 maggio 2014, i misuratori elettronici vengono collocati nella fase di produzione del mosto, che è addirittura precedente alla fermentazione dalla quale origina la birra, e non «a monte del condizionamento» (ossia del confezionamento della birra) come prevede il TU. Questa interpretazione determina una tassazione più alta rispetto al sistema di accertamento previsto per i grandi birrifici, perché non prende in considerazione gli inevitabili cali di produzione ed, inoltre, obbliga le imprese ad anticipare la tassazione di molti giorni rispetto al momento del condizionamento nel quale, secondo le disposizioni originarie, sorge l'esigibilità del tributo sulla produzione;
    altro fattore di confusione fiscale è legato all'aliquota Iva. La tabella A, parte III allegata al decreto del Presidente della Repubblica 633/1972, al n. 82) inserisce la birra tra i beni con aliquota al 10 per cento. Tuttavia, al riguardo trova applicazione quanto disposto dall'articolo 5, comma 3, del decreto-legge 261/1990 che prevede testualmente: 3. Per le cessioni e le importazioni di acque minerali e di birra l'aliquota dell'imposta sul valore aggiunto è stabilita nella misura del 19 per cento. L'aliquota prevista dalla citata disposizione è quella ordinaria vigente alla data di entrata in vigore del decreto (ora al 22 per cento). In pratica, il decreto ha sancito l'applicazione dell'aliquota ordinaria alle cessioni di birra, in deroga a quanto stabilito dalla tabella A, parte III n. 82. Tale disposizione, tuttora vigente, non è però riportata nelle note di tutte le banche dati giuridiche, ma solo in alcune, ingenerando dubbi di interpretazione. Diversa è la situazione per le somministrazioni di bevande e alimenti (decreto del Presidente della Repubblica 633/1972 tabella A parte III n. 121). In tal caso, infatti, prevale la prestazione del servizio, non la cessione del bene, che prevede l'aliquota al 10 per cento;
    tale situazione fa sì che molte aziende, soprattutto agricole, continuino ad applicare l'aliquota al 10 per cento, senza considerare le modifiche legislative successive;
    con l'attuale quadro normativo, infine, un'azienda agricola può produrre birra agricola, usufruendo del regime di tassazione agevolato, esternalizzando tutti i processi di trasformazione. Si può verificare, infatti, che un imprenditore prenda in affitto un terreno, lo faccia coltivare ad orzo, faccia maltare l'orzo in conto terzi e produca birra sempre in conto terzi, immettendo in commercio una «birra agricola» che tuttavia non ha sviluppato alcuna attività agricola in proprio, usufruendo anche dell'agevolazione di tassazione sul reddito dominicale,

impegnano il Governo:

   a prevedere l'opportunità di introdurre agevolazioni finanziarie o fiscali per favorire la nascita di maltifici artigianali, sull'esempio del maltificio COBI (Consorzio italiano di produttori di orzo e birra), in modo da supportare il made in Italy brassicolo artigianale slegandolo gradualmente dalla dipendenza dall'estero e contribuendo a strutturare la filiera artigianale e a renderla più concorrenziale;
   a sostenere i programmi sperimentali intrapresi dalle università o dagli enti di ricerca indirizzati allo sviluppo e alla reintroduzione della coltivazione del luppolo in Italia, per il quale, a oggi, non risulta siano mai stati individuati e classificati gli innumerevoli ecotipi spontanei che potrebbero avere interessanti caratteristiche di pregio;
   a istituire un tavolo di concertazione, per tutelare i produttori delle colture minori di cui all'articolo 51 del Reg. UE 1107/2009, tra cui anche il luppolo, innanzi tutto al fine di classificarle, per poi proporre soluzioni che permettano agli stessi produttori di usufruire di una difesa fitosanitaria adeguata;
   ad avviare, o qualora già avviato ad accelerare, l’iter per l'abilitazione al rilascio del certificato per la commercializzazione del luppolo di almeno un laboratorio situato entro i confini nazionali, come previsto dal regolamento dell'Unione europea n. 1850/2006;
   a rendere nota, anche per il tramite delle associazioni di categoria, la situazione delle eventuali quote di produzione del luppolo da rispettare e degli eventuali aiuti comunitari alla produzione, alla luce della vigente OCM luppolo e delle disposizione dell'attuale PAC;
   a recepire le direttive 92/83/EEC e 93/84/EEC, introducendo la possibilità di ridurre l'aliquota ordinaria per i piccoli birrifici indipendenti con produzione annuale inferiore a 200.000 ettolitri/anno, come già fatto da 20 Paesi membri dell'Unione europea su 28;
   ad assicurare, in riferimento all'accertamento dell'accisa di cui in premessa, le opportune forme di coordinamento con l'Agenzia delle dogane al fine di modificare l'interpretazione assunta, nella circolare n. 5/D del 6 maggio 2014, perché non aderente al dettato normativo e conseguentemente accertarsi della corretta applicazione su tutto il territorio nazionale, in alternativa, a valutare l'opportunità di operare, attraverso appositi provvedimenti, una diversa interpretazione dell'articolo 35, comma 3-bis del decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504, nel senso di effettuare l'accertamento dell'accisa al momento del condizionamento;
   ad aggiornare la tabella delle aliquote Iva di cui alla tabella A del decreto del Presidente della Repubblica 633 del 1972, introducendo l'aliquota Iva ordinaria, ora al 22 per cento per il prodotto birra, salvo si tratti di somministrazione diretta al pubblico, posto che tale disposizione, tuttora vigente, non è però riportata nelle note di tutte le banche dati giuridiche, ma solo in alcune, ingenerando dubbi di interpretazione;
   a valutare l'opportunità, ai fini di godere della fiscalità agricola, di inserire l'obbligo per un'azienda di poter esternalizzare solamente una trasformazione: orzo in malto oppure malto in birra, quindi obbligare l'azienda ad avere un maltificio e produrre birra conto terzi, oppure a maltare conto terzi ma produrre la birra in azienda con un birrificio di proprietà, al fine di evitare di elargire agevolazioni fiscali agricole anche a chi non svolge alcun processo agricolo.
(7-00691) «Gagnarli, Pesco, Massimiliano Bernini, Parentela, Gallinella, L'Abbate, Villarosa».

Classificazione EUROVOC:
EUROVOC (Classificazione automatica provvisoria, in attesa di revisione):

cerealicoltura

produzione artigianale

coltivatore