ATTO CAMERA

RISOLUZIONE IN COMMISSIONE 7/00677

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 17
Seduta di annuncio: 423 del 08/05/2015
Firmatari
Primo firmatario: SCAGLIUSI EMANUELE
Gruppo: MOVIMENTO 5 STELLE
Data firma: 07/05/2015
Elenco dei co-firmatari dell'atto
Nominativo co-firmatario Gruppo Data firma
DI STEFANO MANLIO MOVIMENTO 5 STELLE 07/05/2015
SPADONI MARIA EDERA MOVIMENTO 5 STELLE 07/05/2015
GRANDE MARTA MOVIMENTO 5 STELLE 07/05/2015
DEL GROSSO DANIELE MOVIMENTO 5 STELLE 07/05/2015
SIBILIA CARLO MOVIMENTO 5 STELLE 07/05/2015
DI BATTISTA ALESSANDRO MOVIMENTO 5 STELLE 07/05/2015


Commissione assegnataria
Commissione: III COMMISSIONE (AFFARI ESTERI E COMUNITARI)
Stato iter:
IN CORSO
Atto Camera

Risoluzione in commissione 7-00677
presentato da
SCAGLIUSI Emanuele
testo di
Venerdì 8 maggio 2015, seduta n. 423

   La III Commissione,
   premesso che:
    fino al 1990 l'attuale Yemen è stato diviso in due stati separati, lo Yemen del Nord, con capitale Sana'a, e lo Yemen del Sud, con capitale Aden. La riunificazione portò alla presidenza Ali Abd Allah Saleh, rimasto in carica fino al 2012;
    spesso presentato come una storia di successo tra le rivolte arabe, il processo di transizione sostenuto a livello internazionale in Yemen ha iniziato a mostrare tutta la sua fragilità a partire dallo scorso settembre quando gli Houthi, guidati da Abdul-Malik al-Houthi, sono entrati nella capitale Sana'a, capitalizzando le proteste e la rabbia diffusa dopo l'annuncio del governo di un forte aumento dei prezzi del carburante, accrescendo il loro sostegno anche in aree non sciite grazie all'aver fatto propri i temi che avevano animato le rivolte contro Saleh nel 2011 (lotta alla corruzione delle vecchie élite di regime e ad al-Qaeda) e costringendo il Primo Ministro Salem Basindwa alle dimissioni. Il rafforzamento degli Houthi nel nord del Paese e la rapida presa della capitale sono state possibili anche grazie all'allineamento tattico con tribù, comandanti militari e alcune unità d’élite della Guardia Repubblicana rimaste fedeli all'ex presidente Saleh e contro nemici comuni, come il partito islamista sunnita Islah, i salafiti e la potente famiglia tribale degli Al-Ahmar;
    gli Houthi sono sciiti, chiamati anche i «partigiani di Allah», dietro i quali sono in molti a sospettare ci sia l'Iran; dal settembre 2014 le loro milizie occupano gran parte della capitale yemenita e sono anche sostenuti dall'ex presidente Saleh, strumentalmente interessato ad appoggiare l'azione dei ribelli sciiti per potersi riprendere il potere;
    a fine marzo l'Arabia Saudita ha iniziato a bombardare lo Yemen (operazione Decisive Storm). Ai bombardamenti ha partecipato l'Egitto mentre il governo degli Emirati Arabi Uniti non ha escluso un intervento di terra; tra l'altro, per quel che se ne sa, gli Houthi da sempre hanno combattuto le forze di Al Qaeda ma adesso, grazie ai massicci attacchi aerei della coalizione saudita, questi terroristi stanno avanzando e guadagnando terreno;
    il 14 aprile 2015, con 14 voti a favore, tra i quali Venezuela e Cina, e l'unica astensione della Russia che comunque non si è avvalsa del diritto di veto, il Consiglio di Sicurezza dell'Onu ha approvato la risoluzione sulle sanzioni contro i ribelli Houthi in Yemen. La risoluzione 2216 è stata redatta dalla Giordania, Presidente di turno del Consiglio di sicurezza, d'intesa con l'Arabia Saudita e la coalizione di Paesi sunniti che il 26 marzo avevano lanciato la citata operazione Decisive Storm; la risoluzione decreta il totale embargo delle forniture di armi, assieme all'obbligo di ispezionare tutte le navi cargo a loro destinate, dichiarando un blocco navale de facto; inoltre, viene imposto agli houthi – e a tutte le altre fazioni yemenite – di porre termine alle violenze, ritirarsi dalle aree conquistate – inclusa la capitale Sana'a – e di riconsegnare tutte le armi sequestrate nei depositi militari;
    tra il caos assoluto in corso in Medio Oriente e in una parte dell'Africa, si è dunque assistito a bombardamenti sullo Yemen da parte dei Paesi del Golfo, con a capo l'Arabia Saudita, con l'appoggio militare di Israele e Stati Uniti e il silenzio assenso dei Paesi europei; tra l'altro, Human Rights Watch ha accusato l'Arabia Saudita di usare cluster bomb (bombe a grappolo) americane nei bombardamenti contro i ribelli sciiti Houthi in Yemen. Secondo la citata organizzazione per la tutela dei diritti umani, queste bombe sarebbero state usate almeno due volte nei bombardamenti condotti dalla coalizione guidata dai sauditi, circostanze comprovate da numerose prove video e fotografiche;
    il vicepresidente e Primo Ministro dello Yemen, Khaled Bahah, ha dichiarato: «Continuiamo a sperare che non vi sia una campagna militare di terra in parallelo ai raid aerei», affermazioni che giungono dopo l'annuncio di una serie di esercitazioni congiunte da parte dell'Arabia Saudita e altri paesi arabi, fra cui l'Egitto, che hanno dato spazio alle ipotesi per un possibile intervento da parte della coalizione militare a guida saudita; dal suo esilio a Riad, dove risiede insieme al resto del Governo yemenita, Bahah ha lanciato un appello alle forze armate per sostenere «il governo legittimo in esilio», sottolineando che un cessate il fuoco dovrà precedere qualsiasi iniziativa di dialogo;
    dagli ultimi bilanci riportati dall'Unicef che risalgono allo scorso 6 aprile l'aggressione allo Yemen avrebbe causato più di 330.000 sfollati interni, mentre sarebbero più di 250.000 gli yemeniti fuggiti all'estero (i quali tentano di raggiungere i Paesi del Corno d'Africa, anche se è bene ricordare che prima di questa aggressione succedeva esattamente il contrario: gli abitanti dei paesi del Corno d'Africa cercavano scampo approdando nello Yemen); i morti sarebbero al momento più di 700 e oltre 2000 i feriti; molti Paesi come la Cina, il Pakistan e l'India hanno già evacuato i loro concittadini mentre non è chiaro quanti italiani siano presenti in Yemen;
    appare evidente come questi numeri siano destinati a crescere se bombardamenti sauditi, proseguiranno, interventi, tra l'altro, compresi e condivisi anche dal Governo italiano: «L'Italia riconosce il diritto dell'Arabia Saudita a difendere la propria sicurezza» ha dichiarato recentemente il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale;
    il 21 aprile 2015 l'Arabia Saudita ha annunciato la fine dell'operazione Decisive Storm – sebbene sul campo proseguono gli scontri con le esigue forze fedeli a Hadi – ma a quanto pare vi subentreranno, in parte, gli Stati Uniti attraverso il dispiegamento della portaerei Theodore Roosevelt, più altre navi militari in appoggio, per contrastare le navi mercantili iraniane sospettate di trasportare armi verso lo Yemen e per «assicurare la libertà di navigazione e il libero flusso dei commerci»; tuttavia, non è da escludere che la seconda fase della nuova campagna non comporti un intervento di terra di parte saudita, dal momento che re Salman bin Abd al-Aziz Al Saud ha mobilitato la guardia nazionale, che già monitorava i confini;
    si apprende da notizie di agenzia stampa, che il governo di Ryad ha già annunciato l'avvio di un'altra operazione a guida saudita, la Renewal of Hope, le cui manovre saranno tese soprattutto a proteggere la popolazione e a evitare che gli Houti riprendano l'offensiva sulle forze del Presidente AbdRabbu Mansour Hadi ad Aden e in altre località del Paese;
    accedendo a dati ufficiali e pubblici (citati anche in un recente rapporto di Amnesty International che dipinge la preoccupante situazione di questo Paese arabo), è possibile scoprire tutte le recenti forniture di armi del nostro Paese verso lo Yemen. Già il rapporto di Amnesty cita circa 300mila dollari di revolver e pistole di natura militare, ma per essere più precisi ci si può riferire sia ai dati statistici nazionali (ISTAT) e internazionali (ONU-COMTRADE) sia a quanto riferito nella relazione della Presidenza del Consiglio al Parlamento sull’export bellico italiano;
    come si può facilmente apprendere dal sito disarmo.org: «Se prendiamo in considerazione quanto riportato da ISTAT e ONU COMTRADE ci troviamo di fronte ad armi non ad uso militare o da guerra, ma sempre ovviamente armi leggere quindi le più problematiche in certe zone del mondo. Sia i dati italiani che quelli internazionali devono corrispondere, perché riguardano la stessa filiera di controllo, ed entrambi ci raccontano di grosse forniture per il 2009: oltre 200.000 euro per 595 rivoltelle e pistole e 280.000 euro di munizioni e parti di armi. Il tutto, come detto, trattato come mero dato statistico, senza approfondire motivi di questa vendita e soprattutto senza esplicitare nelle mani di chi queste armi siano arrivate»;
    per quanto riguarda, invece, le armi ad uso militare, grazie all'incrocio di diverse tabelle della Relazione al Parlamento della Presidenza del Consiglio (ex legge 185 del 1990) si può essere più precisi, sempre secondo il lavoro di analisi effettuato dalla Rete Disarmo: «Per l'anno 2009 la fornitura effettuata dalla Fabbrica d'armi Pietro Beretta spa è di 35 fucili a ripetizione manuale calibro 7,62x51 mm NATO con calcio pieghevole (e 70.000 unità di relative munizioni) oltre a 35 fucili a ripetizione manuale calibro 8, 6x7Omm NATO con calcio pieghevole (sempre con i soliti 70.000 pezzi di munizionamento); per i fucili di entrambi i calibri è poi stata autorizzata la vendita di 595 parti di ricambio»;
    inoltre, mentre l'Arabia Saudita risulta essere il principale cliente della nostra industria militare, con quasi 300 milioni di euro di esportazioni autorizzate nel 2013, nel gennaio 2015 il Consiglio di sicurezza federale tedesco ha deciso di sospendere ogni fornitura militare verso l'Arabia Saudita (le esportazioni di armi made in Germany autorizzate nel 2013 ammontavano a 360 milioni di euro) perché «la situazione nella regione è troppo instabile»;
    la situazione umanitaria in Yemen, al momento, risulta catastrofica, come ha affermato il responsabile delle operazioni del Comitato Internazionale della Croce Rossa in Medio Oriente, Robert Mardini, in particolare nelle città di Sana'a, Aden, Taiz e Marib, dove i danni collaterali dei raid aerei della coalizione saudita inflitti alle vite e alle proprietà dei civili sono «assolutamente scioccanti»,

impegna il Governo:

   a impedire, con tutti gli strumenti di cui dispone, il transito di armi e materiale bellico verso lo Yemen in porti, aeroporti, stazioni ferroviarie, acque territoriali e spazio aereo italiani, da qualsiasi parte essi provengano;
   a fornire dati necessari per sapere quante e quali armi usate in questo momento dall'Arabia nei suoi feroci bombardamenti sullo Yemen (Paese sovrano) siano di provenienza italiana;
   ad adoperarsi, di concerto con la comunità internazionale, anche con la convocazione di una Conferenza internazionale di pace, per giungere a una soluzione politica inclusiva nello Yemen affinché si possa riprendere al più presto la via della democratizzazione e per prevenire un'ulteriore diffusione del terrorismo;
   a riconsiderare l'opportunità di vendere armi a un Paese come l'Arabia Saudita (in prima linea con i massicci bombardamenti sopra evidenziati) in violazione della legislazione italiana (legge 185 del 1990) che vieta di esportare armamenti verso regimi che non rispettano i diritti umani, ovvero di sospendere, come ha già fatto la Germania, ogni fornitura militare proprio in considerazione della estrema fragilità e complessità della situazione in quella regione.
(7-00677) «Scagliusi, Manlio Di Stefano, Spadoni, Grande, Del Grosso, Sibilia, Di Battista».

Classificazione EUROVOC:
EUROVOC (Classificazione automatica provvisoria, in attesa di revisione):

risoluzione

diritti umani

approvvigionamento di armi