ATTO CAMERA

RISOLUZIONE IN COMMISSIONE 7/00581

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 17
Seduta di annuncio: 371 del 27/01/2015
Firmatari
Primo firmatario: PAGLIA GIOVANNI
Gruppo: SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA'
Data firma: 27/01/2015


Commissione assegnataria
Commissione: VI COMMISSIONE (FINANZE)
Stato iter:
IN CORSO
Atto Camera

Risoluzione in commissione 7-00581
presentato da
PAGLIA Giovanni
testo di
Martedì 27 gennaio 2015, seduta n. 371

   La VI Commissione,
   premesso che:
    al fine di rendere più coerente il sistema di tassazione e più semplice l'applicazione delle norme e la determinazione delle basi imponibili, riducendo i costi di adempimento per le oltre 900 mila partite Iva esercenti le loro attività sul territorio nazionale, anticipando in tal modo anche il riordino del regime dei minimi, previsto nella legge n. 23 del 2014 (cosiddetta delega fiscale), la legge di stabilità 2015 ha introdotto un regime forfetario di determinazione del reddito in funzione dei soli ricavi o compensi percepiti nel periodo d'imposta sul quale è applicato un coefficiente di redditività ATECO 2007, da assoggettare ad un'unica imposta sostitutiva pari al 15 per cento prevedendo, al contempo, un regime contributivo opzionale attraverso la soppressione del versamento dei contributi sul minimale di reddito;
    il suddetto nuovo regime, che ha alcuni punti in comune con il precedente regime dei minimi, è riservato ai contribuenti persone fisiche, senza limiti di età, esercenti attività d'impresa o arti e professioni, che nell'anno precedente hanno conseguito ricavi/compensi, ragguagliati all'anno, superiori a soglie massime che tengono conto della diversa redditività dei settori economici, e che possono variare dai 15.000 euro per le attività professionali ai 40.000 euro per il commercio, parametro a cui si affianca il tetto annuo di spese per lavoro dipendente pari a 5 mila euro lordi, e per beni strumentali (anche a titolo di locazione, noleggio leasing) pari a 20.000 mila euro. Lo stesso regime è applicabile anche a chi percepisce redditi di natura mista, purché i redditi conseguiti come professionista o con l'attività di impresa siano prevalenti su quelli dipendenti e assimilati;
    tale nuovo assetto, che di fatto ha determinato la soppressione di tutti i previgenti regimi di favore (regime fiscale di vantaggio, disciplina delle nuove iniziative produttive, regime contabile agevolato), prevede, inoltre, l'esclusione dell'applicazione degli studi di settore e, al ricorrere di requisiti molto simili a quelli dell'abrogato «Regime fiscale di vantaggio per l'imprenditoria e i lavoratori in mobilità» (la nuova attività non deve costituire la mera prosecuzione di altra attività svolta nei precedenti tre anni sotto forma di lavoro dipendente o autonomo), per il primo triennio d'attività, di una riduzione del reddito, soggetto all'imposta sostitutiva del 15 per cento, pari a un terzo;
    in determinate situazioni il suddetto regime è capace di generare un incremento della pressione fiscale rispetto al regime ordinario, annullandone, in molti casi, la convenienza. Ed infatti da un raffronto con il precedente regime, per le nuove attività l'imposta sostitutiva dell'Irpef, ad esempio, triplicherà passando dal 5 al 15 per cento; così come l'applicazione della stessa aliquota era comunque garantita per cinque anni a patto di essere minori di 35 anni. Per di più, se sotto il precedente regime molti potevano garantirsi l'accesso al regime agevolato con un fatturato fino a 30.000, con il nuovo regime dovranno avere ricavi non superiori a 15.000 euro, tetto, di contro, elevato, per i commercianti da 30.000 a 40.000 euro annui. Inoltre il regime risulta meno conveniente di quello ordinario in virtù delle detrazioni da lavoratore autonomo non contemplate in un regime di tipo forfettario;
    è paradossale che in una fase in cui il mondo professionale registra un drammatico calo dei ricavi, soprattutto a carico dei professionisti più giovani e meglio formati, si riducano alcune agevolazioni fiscali proprio per chi è in difficoltà, adottando una politica miope che si dimostra incapace di guardare al mercato del lavoro nella sua interezza;
    la soglia stabilita a 15.000 euro è bassa ed ingiustificata, poiché impedisce ab origine l'accesso al regime agevolato, aumentando il rischio di evasione, specie in considerazione delle conseguenze gravose di uscita dal regime. Inoltre, i diversi coefficienti di redditività finiscono con l'equiparare situazioni che non sono indice della medesima capacità contributiva, anche a parità di attività lavorativa: un professionista che durante il periodo di imposta sostiene spese importanti, determinerà l'imposta sulla base dello stesso reddito imponibile di chi invece spese non ne ha sostenuto. Applicare sulla base di presunzioni, l'accesso differenziato ad un regime fiscale agevolato in funzione, dell'attività svolta non è in linea con i principi costituzionalmente di eguaglianza (articolo 3 Costituzione) e di capacità contributiva (articolo 53 Costituzione);
    con la decisione 2013/678/Ue del Consiglio dell'Unione europea, in deroga all'articolo 285 della direttiva 2006/112/CE, l'Italia era già autorizzata ad esentare dall'Iva i soggetti passivi il cui volume d'affari non superi i 65.000 euro annui, e la precedente decisione n. 2010/688/UE del 15 ottobre 2010 del Consiglio dell'Unione europea autorizzava l'Italia ad applicare il regime dei minimi, mantenendo quale soglia massima, per l'applicazione del regime, i precedenti 30.000 euro di fatturato annuale;
    analogamente a quanto contenuto nella precedente decisione (n. 2008/737/Ce del 15 settembre 2008), lo stesso Consiglio autorizzava l'Italia a conservare la citata soglia di 30.000 euro al fine di mantenere il valore dell'esenzione in termini reali;
    molte piccole e medie imprese per requisiti reddituali o di spesa per beni strumentali, si posizionano per poco al di sopra del limite minimo reddituale imposto dalla legislazione ai fini dell'esonero dell'applicazione alle stesse degli studi di settore, nonostante il persistere degli attuali ed avversi fattori economici di contesto (crisi del mercato produttivo, creditcrunch, calo delle commesse, etc.) che rendono sempre più difficile la sopravvivenza sul mercato. Pertanto le stesse, nonostante rappresentino, con una diffusione territoriale che garantisce uno sviluppo geografico equilibrato, la spina dorsale del tessuto produttivo italiano, vengono penalizzate da una politica di accertamento fiscale che le sottomette a parametri di congruenza superati o poco rappresentativi della loro realtà imprenditoriale;
    di contro, l'articolo 1, comma 744, della legge 27 dicembre 2013, n. 147 (legge di stabilità 2014), ha modificato le aliquote contributive per la gestione separata già previste per il 2014 sulla scorta del combinato disposto dell'articolo 2, comma 57, della legge Fornero, legge n. 92 del 2012 e dell'articolo 46-bis, comma 1, lettera g) del decreto-legge n. 83 del 2012, prevedendo, per i lavoratori autonomi, titolari di posizione fiscale ai fini dell'imposta sul valore aggiunto, ed iscritti in via esclusiva alla gestione separata, la sospensione dell'aumento contributivo previsto per lo stesso anno dall'articolo 1, comma 79, della legge 24 dicembre 2007, n. 247, dal 27 per cento al 28 per cento;
    non avendo la stessa legge di stabilità per il 2015 disposto nulla in merito, a partire dal 1o gennaio 2015 l'aliquota contributiva ha ripreso la normale progressione prevista dalla suddetta «riforma Fornero», pari al 27 per cento per l'anno 2012 e per l'anno 2013, al 28 per cento per l'anno 2014, al 30 per cento per l'anno 2015, al 31 per cento per l'anno 2016, al 32 per cento per l'anno 2017 ed al 33 per cento a decorrere dall'anno 2018;
    il momentaneo congelamento della progressione era giustificato da una parte dalla volontà di voler far preferire alle aziende, quantomeno per il minor costo dei contributi, rapporti di lavoro con contratti flessibili, e dall'altra dalla considerazione che quella dei titolari di partita IVA individuale è la categoria più penalizzata dal progressivo aumento contributivo. Non si deve infatti dimenticare che, mentre per i parasubordinati, i contributi previdenziali risultano essere a carico per i due terzi del committente e solo per un terzo a carico del collaboratore, nel caso dei titolari individuali di partita IVA tutti i contributi sono a carico degli stessi, ed in un periodo di crisi economica come quello attuale, un aumento di tale portata inciderebbe in misura forte sui redditi netti percepiti dagli stessi mettendo seriamente a rischio la loro attività lavorativa;
    le condizioni economiche di questo segmento di lavoratori non sono affatto solide, il reddito medio annuo dei titolari di partita IVA individuale è pari a 15.837 euro, importo che scende a 13.972 euro per coloro che hanno meno di 39 anni. Qualora l'aliquota contributiva rimanesse congelata tali contribuenti continuerebbero, comunque, a versare presso la gestione separata dell'INPS circa 4276 euro di contributi. Dal 1o gennaio 2015, a legislazione invariata, l'aliquota contributiva si è pertanto elevata di 3 punti percentuali facendo lievitare, a parità di reddito annuo, il suddetto importo, di ben 475 euro, ai quali aggiungere la quota IRPEF;
    a fronte di tali versamenti l'ente gestore INPS eroga prestazioni molto esigue, senza garantire dignitose forme di tutela, come la maternità o l'indennità di malattia, o di sostegno al reddito in caso di assenza provata di commesse, come del resto avviene per tutte le casse ordinistiche;
    la perdurante crisi economica che condiziona tutte le attività di mercato, non consentono a questi lavoratori, al fine di ammortizzare l'ulteriore spesa per la contribuzione, di innalzare i loro compensi che spesso non riescono a definire autonomamente dovendo accettare senza margine di trattativa la proposta del committente,

impegna il Governo:

   ad assumere le opportune iniziative normative al fine di innalzare, coerentemente a quanto già autorizzato dal Consiglio dell'Unione europea, a 30.000 euro di fatturato annuale il limite di reddito per l'accesso al regime dei minimi, al fine di mantenere il valore dell'esenzione in termini reali e più aderenti alla realtà economica;
   ad assumere iniziative per ampliare la fascia di esclusione dagli studi di settore nei primi 3 anni di attività rispetto a quella attualmente prevista dal regime dei minimi, intervenendo in particolar, modo sui parametri relativi ad investimenti e spese per il personale e ad introdurre per le PMI forme di tassazione diversificata delle loro attività e di componenti rappresentative delle varie fasi del ciclo produttivo;
   ad assumere iniziative per prorogare a tutto il 2015 la sospensione del progressivo aumento dell'aliquota contributiva per titolari di partita IVA individuale che versano alla gestione separata INPS, già previsto dall'articolo 1, comma 79, della legge 24 dicembre 2007, n. 247, mantenendo la stessa al 27 per cento;
   ad assumere iniziative per emanare un'organica normativa di sostegno sociale e fiscale in favore di una categoria di lavoratori, quella dei titolari di partita Iva individuale, altamente professionalizzata e che contribuisce in maniera significativa a mantenere in equilibrio il bilancio dell'INPS.
(7-00581) «Paglia».

Classificazione EUROVOC:
EUROVOC (Classificazione automatica provvisoria, in attesa di revisione):

politica fiscale

IVA

recessione economica