ATTO CAMERA

RISOLUZIONE IN COMMISSIONE 7/00226

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 17
Seduta di annuncio: 157 del 22/01/2014
Abbinamenti
Atto 7/00224 abbinato in data 23/01/2014
Atto 7/00227 abbinato in data 23/01/2014
Approvazione risoluzione conclusiva
Atto numero: 8/00034
Firmatari
Primo firmatario: ZACCAGNINI ADRIANO
Gruppo: MISTO-ALTRE COMPONENTI DEL GRUPPO
Data firma: 22/01/2014
Elenco dei co-firmatari dell'atto
Nominativo co-firmatario Gruppo Data firma
LABRIOLA VINCENZA MISTO-ALTRE COMPONENTI DEL GRUPPO 22/01/2014


Commissione assegnataria
Commissione: XIII COMMISSIONE (AGRICOLTURA)
Stato iter:
23/01/2014
Partecipanti allo svolgimento/discussione
INTERVENTO PARLAMENTARE 23/01/2014
ZANIN GIORGIO PARTITO DEMOCRATICO
BORDO FRANCO SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA'
CENNI SUSANNA PARTITO DEMOCRATICO
CAON ROBERTO LEGA NORD E AUTONOMIE
 
PARERE GOVERNO 23/01/2014
CASTIGLIONE GIUSEPPE SOTTOSEGRETARIO DI STATO - (POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI)
Fasi iter:

DISCUSSIONE CONGIUNTA IL 23/01/2014

DISCUSSIONE IL 23/01/2014

ACCOLTO IL 23/01/2014

PARERE GOVERNO IL 23/01/2014

APPROVATO (RISOLUZIONE CONCLUSIVA) IL 23/01/2014

CONCLUSO IL 23/01/2014

Atto Camera

Risoluzione in commissione 7-00226
presentato da
ZACCAGNINI Adriano
testo di
Mercoledì 22 gennaio 2014, seduta n. 157

   La Commissione XIII,
   premesso che:
    il dibattito sugli Organismi geneticamente modificati (OGM) riguardo il loro utilizzo nelle fasi della filiera agroalimentare, sta generando e stimolando la ricerca scientifica. Bisogna chiarire che per «organismo geneticamente modificato» si intende un organismo in cui il DNA, tramite operazioni di ingegneria genetica, è stato modificato. In esso sono stati innestati pezzi di DNA di un altro organismo, per creare esseri viventi non presenti in natura e non ottenibili tramite incroci. Poiché molte proteine e molti geni introdotti negli OGM a uso alimentare non sono mai stati consumati dagli animali o dall'uomo (esempio gene di scorpione nelle patate, batterio nel mais), non è prevedibile la risposta dell'organismo che li consuma. Ancora meno prevedibili sono le conseguenze genetiche in tutte le specie coinvolte nella catena alimentare di cui fa parte l'organismo geneticamente modificato;
    nel caso delle piante, come mais e soia, l'innesto di un gene di batterio può creare una specie resistente a un diserbante o all'attacco di un insetto o, ancora, al freddo. Più precisamente, e secondo la terminologia ufficiale, il termine OGM va applicato agli organismi nel cui DNA sono state provocate variazioni mediante processi diversi da incroci o ricombinazione genetica. Gli aspetti problematici connessi all'utilizzo degli OGM sono vari:
    a) scarsa precisione e affidabilità della tecnica di ingegneria genetica, il che può dar luogo anche a piante geneticamente modificate instabili nel tempo;
    b) rischio di selezionare popolazioni di patogeni resistenti ai pesticidi, a causa dell'eccesso nell'uso dello stesso agente antiparassitario (ad esempio il Bt);
    c) rischio di selezionare piante infestanti tolleranti agli erbicidi, a causa dell'eccesso nell'uso dello stesso agente chimico (ad esempio il glifosato);
    d) insorgenza di allergie non sempre prevedibili con gli attuali test; impoverimento dell'agrobiodiversità e della biodiversità (poche colture standardizzate);
    e) alterazione di regimi dietetici corretti (vedi la dieta mediterranea) con l'introduzione massiccia e inutile, se non dannosa, di prodotti agricoli nutrizionalmente fortificati;
    f) perdita di libertà da parte di molti agricoltori, trasformati in lavoratori dipendenti al servizio delle aziende proprietarie dei brevetti;
    g) minaccia per la sovranità alimentare delle nazioni;
    a tutto ciò si aggiunge il trasferimento genico orizzontale (TGO). L'ingegneria genetica comporta la progettazione di costruzioni artificiali di attraversare le barriere di specie e di invadere genomi. In altre parole, si migliora il trasferimento genico orizzontale – il trasferimento diretto di materiale genetico di specie non correlate. I costrutti artificiali o transgenico DNA tipicamente contengono materiale genetico di batteri, virus e altri parassiti genetici che causano malattie e geni di resistenza che rendono, appunto, le malattie infettive incurabili;
    in Italia, le fonti normative in materia di organismi geneticamente modificati vanno individuate nel decreto legislativo n. 212 del 2001, nel decreto legislativo n. 224 dell'8 luglio 2003, nel decreto ministeriale del 19 gennaio 2005, nella legge n. 5 del 2005 e nel decreto ministeriale del 18 marzo 2005;
    in particolare, il decreto legislativo n. 212 del 2001, attuativo delle direttive 98/95/CE e 98/96/CE sulla commercializzazione dei prodotti sementieri, prevede che l'iscrizione nel Registro nazionale delle vari età vegetali geneticamente modificati è soggetta a preventiva autorizzazione. La procedura prevista dal decreto legislativo n. 212 del 2001 stabilisce misure idonee a garantire che le colture derivanti da prodotti sementieri di varietà geneticamente modificati non entrino in contatto con le colture derivanti da prodotti sementieri tradizionali e non arrechino danno biologico all'ambiente circostante, tenuto conto delle peculiarità agroecologiche, ambientali e pedoclimatiche;
    il decreto legislativo n. 224 del 2003 ha invece dato attuazione alla direttiva 2001/18/CE, facendo propri i principi enunciati nella predetta e prevedendo procedure ed obblighi per chi intende operare emissioni deliberate di un organismo geneticamente modificato nell'ambiente;
    la Legge n. 5 del 28 gennaio 2005 ha introdotto nella disciplina nazionale il principio della coesistenza tramite la separazione delle filiere e quello della libertà di scelta del consumatore nella decisione del tipo di prodotto da usare: biologico, convenzionale o transgenico;
    per l'attuazione pratica della coesistenza la legge rimandava a delle norme quadro nazionali da emanarsi successivamente con decreto ministeriale d'intesa con le regioni e le province autonome. Alle stesse regioni e province autonome era demandato il compito di redigere dei piani di coesistenza in coerenza con le norme quadro;
    la legge introduceva inoltre norme relative alla responsabilità in caso di danno, alle sanzioni e al monitoraggio alla valutazione e informazione sul sistema di coesistenza adottato. Il 17 marzo 2006, a seguito di un ricorso da parte della regione Marche sulla legge n. 5 del 2005, la Corte costituzionale si è pronunciata con la sentenza n. 116 con cui ha sancito che la disciplina della coesistenza tra differenti tipi di agricoltura (convenzionale e biologica con quella che si avvale di OGM) è competenza esclusiva delle regioni e province autonome in quanto la coltivazione a fini produttivi riguarda chiaramente il «nocciolo duro» della materia agricoltura;
    pertanto spetta alle regioni l'esercizio del potere legislativo per disciplinare le modalità di applicazione del principio di coesistenza nei diversi territori regionali, notoriamente molto differenziati dal punto di vista morfologico e produttivo;
    la stessa sentenza ha però considerato legittimi i primi due articoli della legge n. 5 del 2005, lasciando inalterata la necessità di dare attuazione al principio di coesistenza al fine di non compromettere la biodiversità dell'ambiente naturale e di garantire la libertà di iniziativa economica, il diritto di scelta dei consumatori e la qualità e la tipicità della produzione agroalimentare nazionale;
    pertanto, per quanto sopra detto, considerato che non sono state iscritte varietà geneticamente modificati nell'apposito registro varietale geneticamente modificati, che non si è data attuazione alla procedura di legge per la messa in coltura, né sono state adottate disposizioni regionali in materia di coesistenza, in Italia non si dovrebbe ritenere coltivabile alcuna varietà geneticamente modificati;
    tuttavia, nella causa C-36/11, in data 6 dicembre 2012, la Corte di giustizia europea ha dichiarato che: «La messa in coltura di organismi geneticamente modificati quali le varietà del mais MON 810 non può essere assoggettata a una procedura nazionale di autorizzazione quando l'impiego e la commercializzazione di tali varietà sono autorizzati ai sensi dell'articolo 20 del regolamento (CE) n. 1829/2003 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 settembre 2003, relativo agli alimenti e ai mangimi geneticamente modificati, e le medesime varietà sono state iscritte nel catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole previsto dalla direttiva 2002/53/CE del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole, emendata con il regolamento n. 1829/2003;
    l'articolo 26-bis della direttiva 2001/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 marzo 2001, sull'emissione deliberata nell'ambiente di organismi geneticamente modificati e che abroga la direttiva 90/220/CEE del Consiglio, come modificata dalla direttiva 2008/27/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del marzo 2008, non consente a uno Stato membro di opporsi in via generale alla messa in coltura sul suo territorio di tali organismi geneticamente modificati nelle more dell'adozione di misure di coesistenza dirette a evitare la presenta accidentale di organismi geneticamente modificati in altre colture»;
    da quanto sopra, contrariamente a quanto previsto dalla disciplina nazionale, si evince che, al fine della messa in coltura del mais MON 810, non sarebbe necessaria la previa autorizzazione da parte degli Stati membri;
    in Italia, per come detto, nessuna regione ha adottato misure di coesistenza e, per come si legge nella sentenza, ciò non può essere d'impedimento, in via generale, alla messa in coltura di organismi geneticamente modificati, con la conseguenza che i divieti devono riguardare i singoli casi, previa valutazione degli specifici aspetti relativi alla possibilità/probabilità di contaminazione. Se, in forza della sentenza della Corte di giustizia, è venuta meno la necessità di autorizzazione, permangono tuttavia alcuni obblighi di legge specificatamente previsti dal decreto legislativo 8 luglio 2003 n. 224. In particolare, si richiama l'attenzione sull'articolo 35 comma 10 che prevede che «Chiunque, nell'ipotesi prevista dall'articolo 30, comma 2, non comunica alle regioni e alle provincie autonome competenti per territorio, entro quindici giorni dalla messa in coltura, la localizzazione delle coltivazioni OGM o non conserva per dieci anni le informazioni relative agli OGM coltivati ed alla localizzazioni delle coltivazioni, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 6000,00 a euro 12.000,00;
    per completezza si riporta anche l'articolo 36 «Sanzioni per danni provocati alla salute umana e all'ambiente, bonifica e ripristino ambientale e risarcimento del danno ambientale», che sebbene astrattamente applicabile, richiede la dimostrazione (molto complicata) che si siano verificati le situazioni di pericolo descritte o i danni di cui al comma 2;
    l'articolo prevede che «Fatte salve le disposizioni previste negli articoli 34 e 35 e sempre che il fatto non costituisca più grave reato, chi, nell'effettuazione di un'emissione deliberata nell'ambiente di un OGM ovvero nell'immissione sul mercato di un OGM, cagiona pericolo per la salute pubblica ovvero pericolo di degradazione rilevante e persistente delle risorse naturali biotiche o abiotiche è punito con l'arresto sino a tre anni o con l'ammenda sino ad euro 51.700;
    chiunque, con il proprio comportamento omissivo o commissivo, in violazione delle disposizioni del presente decreto, provoca un danno alle acque, al suolo, al sottosuolo od alle altre risorse ambientali, ovvero determina un pericolo concreto ed attuale di inquinamento ambientale, è tenuto a procedere a proprie spese agli interventi di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale delle aree inquinate: e degli impianti dai quali è derivato il danno ovvero deriva il pericolo di inquinamento, ai sensi e secondo il procedimento di mi all'articolo 17 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22;
    ai sensi dell'articolo 18 della legge 8 luglio 1986, n. 349, è fatto salvo il diritto ad ottenere il risarcimento del danno non eliminabile con la bonifica ed il ripristino ambientale di cui al comma 2;
    nel caso in cui non sia possibile una precisa quantificazione del danno di cui al comma 3, lo stesso si presume, salvo prova contraria, di ammontare non inferiore alla somma corrispondente alla sanzione pecuniaria amministrativa ovvero alla sanzione penale, in concreto applicata. Nel caso in cui sia stata irrogata una pena detentiva, solo al fine della quantificazione del danno di cui al presente comma, il ragguaglio fra la stessa e la pena pecuniaria ha luogo calcolando duecentosei euro per un giorno di pena detentiva;
    in caso di condanna penale o di emanazione del provvedimento di cui all'articolo 444 del codice di procedura penale, la cancelleria del giudice che ha emanato il provvedimento trasmette copia dello stesso al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio. Gli enti di cui al comma 1 dell'articolo 56 del decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 152, come modificato dall'articolo 22 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 258, danno prontamente notizia dell'avvenuta erogazione delle sanzioni amministrative al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, al fine del recupero del danno ambientale;
    chiunque non ottempera alle prescrizioni di cui al comma 2 è punito con l'arresto da sei mesi ad un anno e con l'ammenda da euro 2.600 ad euro 25.900;
   occorre precisare che lo Stato italiano ha inoltrato richiesta alla Commissione europea affinché quest'ultima effettui una nuova valutazione completa del Mon810 alla luce delle ultime linee guida, definisca adeguate misure di gestione che dovrebbero essere rese obbligatorie per tutti gli utilizzatori di tali Ogm e nel frattempo sospenda urgentemente l'autorizzazione alla messa in coltura di sementi di Mais Mon810 nel nostro Paese e nell'Unione europea;
   in attesa e fino alla decisione della Commissione europea in merito alla possibilità di coltivare in Italia il mais Mon 810, qualora si riscontrassero casi di piantagioni geneticamente modificati, andrà comunque verificato il rispetto delle prescrizioni di cui al decreto legislativo n. 224 del 2003, così come sopra riportate. Tutto quanto sopra esposto è stato recentemente confermato da ulteriore decisione della Corte di giustizia europea, intervenuta proprio sul caso Fidenato, soggetto che in passato aveva piantato mais MON 810 e che ha ripetuto la semina in data 14 giugno 2013. La decisione, adottata in data 8 maggio 2013, proprio con riferimento alla legittimità dell'autorizzazione prevista dall'articolo 1 comma 2 del decreto legislativo n. 212 del 2001 ribadisce quanto segue. In considerazione di quanto precede, si deve rispondere alle questioni sollevate dichiarando che il diritto dell'Unione dev'essere interpretato nel senso che la messa in coltura di OGM quali le varietà del mais MON 810 non può essere assoggettata a una procedura nazionale di autorizzazione quando l'impiego e la commercializzazione di tali varietà sono autorizzati ai sensi dell'articolo 20 del regolamento n. 1829/2003 e le medesime varietà sono state iscritte nel catalogo comune previsto dalla direttiva 2002/53. L'articolo 26-bis della direttiva 2001/18 dev'essere interpretato nel senso che non consente a uno Stato membro di opporsi alla messa in coltura sul suo territorio di tali OGM per il fatto che l'ottenimento di un'autorizzazione nazionale costituirebbe una misura di coesistenza volta a evitare la presenza involontaria di OGM in altre colture;
   quanto espresso nel comunicato stampa del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali del 15 giugno 2013 (che richiama ancora la procedura autorizzatoria prevista dall'articolo 1 decreto legislativo n. 212 del 2001), sembra pertanto in contrasto con il principio individuato dalla Corte di giustizia. Si dubita infine che tale principio possa essere superato dall'articolo 4 della legge regionale n. 136-43 Friuli Venezia Giulia approvata in data 29 marzo 2011 che prevede:
  1. È vietata sul territorio regionale la coltivazione di OGM in agricoltura.

  2. In deroga al divieto di cui al comma 1, nel territorio regionale possono essere effettuate emissioni di OGM a fini sperimentali, purché autorizzate ai sensi del decreto legislativo 8 luglio 2003, n. 224 (Attuazione della direttiva 2001/18/CE concernente l'emissione deliberata nell'ambiente di organismi geneticamente modificati), al fine di impedire il rilascio e la diffusione di materiale genetico modificato e la conseguente commistione delle colture convenzionali e biologiche»;
   nello specifico, visto il quadro legislativo, così come riportato, è doveroso sottolineare che alimenti geneticamente modificati (GM) possono essere autorizzati nell'Unione europea soltanto dopo aver superato una rigorosa procedura di valutazione della loro sicurezza. In questa procedura un ruolo fondamentale è affidato all'EFSA: un'agenzia europea indipendente, finanziata dal bilancio dell'Unione europea operante in modo autonomo dalla Commissione europea, dal Parlamento europeo e dagli Stati membri dell'Unione europea. L'Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) è stata istituita ufficialmente nel gennaio 2002, a seguito di una serie di allarmi alimentari verificatisi alla fine degli anni Novanta, come fonte indipendente di consulenza scientifica e di comunicazione sui rischi associati alla catena alimentare. L'Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) è la chiave di volta dell'Unione europea per la valutazione dei rischi relativi alla sicurezza di alimenti e mangimi. L'EFSA, in stretta collaborazione con le autorità nazionali e in aperta consultazione con le parti interessate, fornisce consulenza scientifica indipendente e comunica in maniera chiara su rischi esistenti ed emergenti. Il ruolo dell'EFSA relativamente agli OGM è definito dal regolamento (CE) n. 1829/2003 e dalla direttiva 2001/18/CE. Il compito principale dell'EFSA è di valutare in maniera indipendente ogni possibile rischio derivante dagli OGM per la salute umana e animale e per l'ambiente. L'EFSA non autorizza gli OGM, in quanto questo compete alla Commissione europea e agli Stati membri in qualità di gestori dei rischi, ma ha un ruolo chiave in quanto produce consulenza specialistica per consentire alla Commissione europea, al Parlamento europeo e agli Stati membri dell'Unione europea di prendere decisioni puntuali ed efficaci in termini di gestione del rischio, grazie alle quali viene assicurata la protezione alla salute dei consumatori europei e la sicurezza del cibo e della catena alimentare. L'EFSA valuta la sicurezza di nuovi prodotti prima che si decida di autorizzarne l'immissione in commercio, così le valutazioni degli OGM da parte dell'EFSA sono effettuate sulla base dei fascicoli scientifici presentati dai richiedenti e su qualsiasi altra informazione scientifica di pertinenza;
   in data 13 dicembre 2013 il tribunale dell'Unione europea ha emesso una sentenza sul caso specifico della patata geneticamente modificata Amflora, annullando la decisone della Commissione: «La Commissione ha violato le norme procedurali per l'autorizzazione degli OGM nell'Unione» si legge nella sentenza – «Sul territorio dell'Unione europea, gli organismi geneticamente modificati (OGM) possono essere emessi nell'ambiente o immessi in commercio soltanto quando siano autorizzati, a precise condizioni e per usi determinati, previa valutazione scientifica dei rischi. Il regime di autorizzazione prevede due diverse procedure, applicabili a seconda dell'uso che si prevede di fare degli OGM. La prima (disciplinata dalla direttiva 2001/18/CE), riguarda l'autorizzazione degli OGM ai fini della loro emissione deliberata nell'ambiente: il rilascio dell'autorizzazione spetta in linea di principio allo Stato membro cui un'impresa ha notificato la richiesta. Gli altri Stati membri e la Commissione possono sollevare obiezioni in merito alla decisione di autorizzazione che si prevede di adottare;
   la seconda procedura di autorizzazione (istituita dal regolamento n. 1829/2003), per gli alimenti e i mangimi geneticamente modificati, viene svolta a livello dell'Unione. Qualora, nell'ambito della prima procedura venga sollevata un'obiezione oppure, nell'ambito della seconda procedura, venga presentata una richiesta di autorizzazione, la decisione definitiva sull'autorizzazione è adottata dalla Commissione o dal Consiglio, sulla base dei pareri scientifici dell'Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA).In questi casi, la Commissione è assistita da due comitati, composti dai rappresentanti degli Stati membri, che esprimono il rispettivo parere tenendo conto del parere dell'EFSA. Se il parere del comitato competente è favorevole all'autorizzazione dell'OGM, la Commissione rilascia l'autorizzazione. In caso contrario, oppure in caso di mancata manifestazione del parere, la Commissione sottopone una proposta di autorizzazione al Consiglio, il quale può esprimere il proprio assenso o opporsi. Se il Consiglio non adotta alcuna decisione, la Commissione rilascia l'autorizzazione. La società BASF Plant Science GmbH ha, da un lato, per mezzo di una sua controllata, chiesto alle autorità svedesi di autorizzare l'immissione in commercio della patata geneticamente modificata Amflora, per la coltivazione e l'utilizzo a fini industriali. Poiché vari Stati membri avevano trasmesso osservazioni in merito a tale domanda, l'adozione della decisione definitiva è stata rimessa alle autorità dell'Unione. Dall'altro lato, la BASF ha essa stessa avviato dinanzi alle autorità dell'Unione una richiesta di autorizzazione relativa alla produzione di mangimi a base di tale patata, che ricomprendeva anche l'ipotesi della presenza accidentale di tracce di OGM negli alimenti destinati al consumo umano o a quello animale.[...] Nell'odierna sentenza, il Tribunale rileva innanzitutto che la Commissione, prima di adottare le decisioni impugnate, non ha sottoposto ai comitati competenti i progetti modificati di tali decisioni unitamente al parere consolidato dell'EFSA del 2009 e ai pareri minoritari. Orbene, mentre i dispositivi delle decisioni impugnate sono identici a quelli dei progetti di decisione inizialmente sottoposti ai comitati competenti e al Consiglio, lo stesso non può dirsi del fondamento scientifico sulla cui base la Commissione ha adottato tali decisioni. Pertanto, il Tribunale osserva che la Commissione, avendo deciso di chiedere all'EFSA un parere consolidato e avendo fondato le decisioni impugnate in particolare su tale parere, senza consentire ai comitati competenti di prendere posizione né sul parere né sui progetti di decisione modificati, ha violato le norme delle procedure di autorizzazione. Il Tribunale afferma inoltre che, se la Commissione avesse rispettato tali norme, gli esiti della procedura o il contenuto delle decisioni impugnate avrebbero potuto essere sostanzialmente diversi. Infatti, posto che i voti sui progetti anteriori espressi in seno ai comitati erano stati molto divisi, e che le conclusioni del parere consolidato dell'EFSA del 2009, accompagnate da pareri minoritari, avevano espresso maggiori incertezze rispetto ai precedenti pareri dell'EFSA, non si poteva escludere che i membri dei comitati potessero rivedere la loro posizione e decidere pro o contro le autorizzazioni richieste. Per di più, in presenza di un parere negativo o in assenza di parere da parte dei comitati, la Commissione sarebbe stata tenuta a sottoporre le proposte di autorizzazione al Consiglio, il quale avrebbe potuto decidere pro o contro le autorizzazioni. Solo dopo aver portato a termine detta procedura, ed in assenza di decisioni da parte del Consiglio, la Commissione avrebbe potuto adottare le sue decisioni. Il Tribunale rileva che il fatto di avere aggiunto, nei progetti delle decisioni impugnate, una motivazione riferita a un nuovo parere dell'EFSA quale fondamento scientifico, rappresenta una modifica sostanziale di tali progetti rispetto alle loro precedenti versioni. Di conseguenza, le decisioni non possono essere considerate identiche ai progetti e alle proposte anteriori. Peraltro, il parere consolidato del 2009, che presenta notevoli differenze rispetto ai pareri anteriori dell'EFSA, deve essere considerato come una nuova valutazione nel merito, e non come una mera conferma, prettamente formale, delle valutazioni dei rischi contenute nei pareri anteriori;
   un altro caso in tema di OGM è quello del mais Gml507 (Zea maysL., Linea 1507) è notizia del 16 gennaio 2014 che il Parlamento europeo con 201 voti contrari, abbia bocciato la messa in commercio invitando fra l'altro la Commissione competente, in via generale, a non rinnovare ulteriori autorizzazioni di nuove varietà di Ogm;
   in più in questi giorni, gli eurodeputati hanno chiesto alla Commissione di vietare il mais geneticamente modificato Pioneer 1507 nel mercato europeo, reputando questo prodotto resistente agli insetti ed in quanto tale potrebbe essere pericoloso per le farfalle e le falene;
   per il momento una sola varietà di mais, MON 810 di Monsanto, è autorizzata per fini commerciali nell'Unione europea. Gli eurodeputati specificano di aver deciso di opporsi all'autorizzazione del Pioneer 1507 in quanto rimasti molto sorpresi dall'atteggiamento positivo della Commissione nonostante 12 Stati membri si fossero opposti alla sua commercializzazione (solo 6 Stati membri erano a favore dell'autorizzazione). La valutazione da parte dell'Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) ha messo in evidenza come le farfalle e le falene possono essere a rischio se esposte al polline del mais 1507. Per il momento Pioneer ha rifiutato di presentare i documenti riguardanti la mitigazione del rischio per queste specie in pericolo. Infine, la Commissione ha preso questa decisione di autorizzazione, sostenendo che era stata obbligata ad agire in tal senso dalla decisione delle Corte di giustizia europea dello scorso settembre. Tuttavia, la Corte ha semplicemente stabilito che la Commissione non aveva preso una decisione nei tempi prestabiliti. In materia di Ogm la proposta di regolamento (CQM(2010)375) è volta a modificare la direttiva 2001/18/CE per quanto concerne la possibilità per gli Stati membri di limitare o vietare la coltivazione di OGM sul loro territorio. Finora alcuni Stati membri hanno vietato la coltivazione di OGM invocando la clausola di salvaguardia (articolo 23 della direttiva 2001/18/CE) o le misure di emergenza (articolo 34 del regolamento (CE) n. 1829/2003) sebbene le finalità delle modeste disposizioni sia evitare eventuali nuovi rischi successivi alla concessione di autorizzazione;
   il nuovo articolo 26-ter che la proposta (quella richiamata all'inizio del paragrafo (COM(2010)375) intende inserire nella direttiva 2001/18/CE, prevede che gli Stati membri possono adottare misure nazionali volte a limitare o vietare la coltivazione di tutti o di taluni OGM in tutto il loro territorio o in parte di esso senza utilizzare la clausola di salvaguardia, dunque per motivi diversi da quelli già previsti dalle norme dell'Unione europea. La modifica si applicherebbe agli OGM autorizzati per la coltivazione a norma della direttiva 2001/18/CE o del regolamento (CE) n. 1829/2003, che disciplina anche le procedure per domande relative alla coltivazione di OGM destinati ad essere usati quali materiali di base per la successiva produzione di alimenti e mangimi. Essa si applicherebbe altresì alla coltivazione di tutte le varietà di sementi e materiali di moltiplicazione delle piante immesse in commercio a norma della legislazione dell'Unione europea pertinente;
   in questo quadro è giusto ricordare che nell'ambito internazionale vi sono due recenti decisioni da parte di giudici che bocciano l'operato della Monsanto: la prima in Argentina, dove l'8 gennaio del 2014 arriva la sentenza che dichiara «incostituzionale la costruzione degli impianti della Monsanto» e ne blocca i lavori in corso. La Monsanto ha dichiarato che farà ricorso, tuttavia nel frattempo, numerose organizzazioni ambientaliste statunitensi, in Usa, la Associated Press – la più importante agenzia di stampa del mondo – ha pubblicato a ottobre del 2013 un esaustivo rapporto nel quale si «dimostra al di là di ogni ragionevole dubbio il legame tra l'uso dei pesticidi prodotti dalla Monsanto e l'immediato peggioramento delle condizioni di salute della popolazione stanziata sul territorio dove questi prodotti sono stati usati in Argentina»;
   la seconda è quella del Nepal dell'8 gennaio la Corte Suprema del Nepal ha ingiunto al Governo di proibire le importazioni di semi geneticamente modificati, inclusi quelli prodotti da Monsanto, nota multinazionale di biotecnologia per l'agricoltura. Il divieto rimarrà in vigore sino al 16 gennaio, quando la Corte deciderà se renderlo permanente, dopo aver ascoltato le argomentazioni delle parti interessate. Nel procedimento in questione, gli imputati sono l'ufficio del Primo ministro, il Ministero dell'agricoltura e il Consiglio nazionale per la ricerca agricola,

impegna il Governo:

   a promuovere e a sostenere il processo di revisione della direttiva 2001/18/CE, del Parlamento europeo e del Consiglio sull'emissione deliberata nell'ambiente di organismi geneticamente modificati, con l'obiettivo di ampliare l'autonomia decisionale degli Stati membri in merito alle coltivazioni di organismi geneticamente modificati, in ragione dell'importanza della tutela del patrimonio genico tradizionale, della biodiversità agraria, della salute dei cittadini e di interessi pubblici nazionali che non sono stati tenuti in considerazione dall'Unione europea, nella definizione delle regole di coesistenza, consentendo in materia di Ogm il principio di sussidiarietà e zone effettivamente OGM free;
   a sostenere la richiesta di una riduzione della soglia di tolleranza o meglio di portarla al criterio di presenza/assenza (0,01 per cento soglia di rilevazione) – per la presenza accidentale o tecnicamente inevitabile (quindi soglia di rilevazione) di OGM – nella produzione biologica, anche con riferimento all'impatto economico sul settore, e per tutelare la libertà dei cittadini, anche in coerenza con gli indirizzi europei sull'agricoltura biologica europea annunciati da Dacian Cioloş, in vista della ridefinizione della coesistenza;
   a tutela della libertà dei consumatori europei, con l'obiettivo di favorire ordine e chiarezza comune in tutto il territorio comunitario, a promuovere, presso le competenti istituzioni europee, la creazione di un sistema obbligatorio di etichettatura «OGM-free» per tutti gli, alimenti con tracce di OGM che non superino lo 0,01 per cento e «OGM<h0,9 per cento» che indichi la presenza in tracce di Ogm entro la soglia di tolleranza dello 09 per cento – o della soglia che eventualmente sarà ridefinita in sede europea – complementare alla norma che stabilisce l'obbligo di indicare la presenza di OGM negli alimenti;  
   a sostenere e a promuovere in sede europea nonché ad avviare un progetto di ricerca scientifica pubblica in materia agricola, biologica ed agroalimentare secondo le migliori prassi scientifiche nazionali ed internazionali, innanzitutto prevenendo di destinare una quota da 40.000 ai 90.000 euro di fondi da parte dei tre Ministeri competenti in materia di Ogm e/o eventualmente facendo in modo che sia sostenuto con fondi comunitari, per il primo studio scientifico pubblico europeo sul Tgo (trasferimento genico orizzontale, studio già effettuato nello Stato dell'Argentina) da commissionare ad un ente di rilievo nazionale (preferibilmente l'istituto zooprofilattico di Perugia, il quale si è occupato delle analisi del «caso friulano»), in collaborazione eventuale con alcune università pubbliche specializzate in materia di biodiversità agraria, mediante la sperimentazione su organismi geneticamente modificati effettuata in ambiente confinato e controllato da parte del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e del Corpo forestale Italiano.
(7-00226) «Zaccagnini, Labriola».

Classificazione EUROVOC:
SIGLA O DENOMINAZIONE:

CORPO FORESTALE DELLO STATO ( CFS )

EUROVOC :

organismo geneticamente modificato