Legislatura: 17Seduta di annuncio: 598 del 30/03/2016
Primo firmatario: PELLEGRINO SERENA
Gruppo: SINISTRA ITALIANA - SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA'
Data firma: 30/03/2016
Elenco dei co-firmatari dell'atto Nominativo co-firmatario Gruppo Data firma ZARATTI FILIBERTO SINISTRA ITALIANA - SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 30/03/2016 RICCIATTI LARA SINISTRA ITALIANA - SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 30/03/2016 FERRARA FRANCESCO DETTO CICCIO SINISTRA ITALIANA - SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 30/03/2016 PALAZZOTTO ERASMO SINISTRA ITALIANA - SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 30/03/2016
Ministero destinatario:
- MINISTERO DELL'AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE
Attuale delegato a rispondere: MINISTERO DELL'AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE delegato in data 30/03/2016
Partecipanti allo svolgimento/discussione RISPOSTA GOVERNO 22/06/2016 GALLETTI GIAN LUCA MINISTRO - (AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE)
RISPOSTA PUBBLICATA IL 22/06/2016
CONCLUSO IL 22/06/2016
PELLEGRINO, ZARATTI, RICCIATTI, FERRARA e PALAZZOTTO. —
Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare
. — Per sapere – premesso che:
il 22 e 23 marzo 2016, alcune agenzie e siti web hanno riportato la notizia di un incidente, con conseguente fuoriuscita di petrolio, vicino alle coste dell'isola di Kerkennah in Tunisia;
la perdita sembrerebbe avere origine dalle condotte sottomarine appartenenti alle Thyna Petroleum Services (TPS), una società comune della tunisina National Oil Company, e della ETAP-Entreprise Tunisienne d'activités Pétrolières. Ma sotto accusa è soprattutto la Petrofac, una compagnia britannica specializzata nella fornitura di servizi all'industria petrolifera;
la società ha rilevato, domenica 13 marzo 2016, una perdita alla testa del pozzo «Cercina 7». Il pozzo di estrazione si trova a soli 7 chilometri dalla costa dell'isola;
secondo le autorità tunisine, la situazione sarebbe sotto controllo e il danno contenuto, ma per la società civile che risiede sull'isola, di cui sono stati ricoperti di greggio tre chilometri di spiaggia, è invece una vera e propria catastrofe ecologica e sociale. Le conseguenze dell'incidente sono, infatti, pesantissime per la popolazione delle isole;
come riportato dal sito Greenreport del 22 marzo 2016, la pesca è l'attività principale dell'arcipelago, e da quando hanno iniziato a trivellare nel Golfo di Gabes sono iniziati i problemi perché l'inquinamento collegato alle attività estrattive ha fatto diminuire drasticamente il numero delle spugne e anche il pescato ha subito un calo;
l'incidente in Tunisia dimostra come anche a fronte di un incidente seppur contenuto legato ad attività di estrazione di idrocarburi in mare, le conseguenze negative sull'ecosistema e sulle popolazioni rivierasche possono essere estremamente pesanti;
come sottolineato dalla presidente di Legambiente Rossella Muroni, episodi drammatici come quello suesposto, fanno purtroppo da ulteriore monito sulle possibili conseguenze delle attività delle piattaforme. Anche le attività di routine possono, peraltro, rilasciare sostanze chimiche inquinanti e pericolose nell'ambiente marino, come olii, greggio, metalli pesanti o altre sostanze contaminanti, con gravi conseguenze sull'ambiente circostante;
questi rischi sono maggiormente acuiti dal fatto che il Mediterraneo, e ancora di più il mare Adriatico, dove purtroppo si concentrano la gran parte delle attività di ricerca ed estrazione offshore, sono mari «chiusi», con un bassissimo o praticamente nullo — per quanto riguarda in particolare l'Adriatico — ricambio delle acque –:
quali iniziative siano state avviate al fine di verificare e monitorare l'impatto sull'ambiente marino e la reale portata dell'incidente petrolifero nel mare tunisino, e se quanto accaduto non confermi che un eventuale incidente nelle piattaforme offshore operanti in un mare chiuso quale il Mediterraneo e, ancor di più l'Adriatico, sarebbe fonte di danni incalcolabili e duraturi sull'ecosistema e sull'economia locale. (4-12680)
Risposta. — Con riferimento alla interrogazione in esame, relativa all'incidente, con conseguente fuoriuscita di petrolio, vicino le coste delle isole Kerkennah, in Tunisia, si rappresenta quanto segue.
In via preliminare, si evidenzia che, ad oggi, al Ministero dell'ambiente non sono pervenute notizie dettagliate sul suddetto incidente, né tantomeno richieste ufficiali di cooperazione da parte delle autorità tunisine.
Inoltre, sulla base degli elementi forniti dal Ministero dello sviluppo economico, si riferisce quanto segue.
Sulla stampa italiana sono apparse notizie, anche contrastanti tra loro, di una chiazza di petrolio allargata, presente a 120 chilometri da Lampedusa. La chiazza sembrerebbe riconducibile ad un incidente avvenuto il 13 marzo 2016 in una piattaforma offshore situata a 7 chilometri al largo delle isole Kerkennah, nella regione tunisina di Sfax. In particolare, tra le notizie si riporta che una squadra dell'agenzia nazionale tunisina per la protezione dell'ambiente, è stata inviata sul posto e la Thyna petroleum services ha confermato una leggera perdita di petrolio alla testa del pozzo Cercina – 7, perdita che si suppone sia derivante da una rottura della provetta di controllo, un tubo dal diametro di 10 millimetri.
Sempre il Ministero dello sviluppo economico segnala di aver ottenuto attraverso gli accordi per la sicurezza, alcuni riscontri dei risultati dell'analisi effettuata dal centro nazionale di ricerca dipartimento istituto per il rilevamento elettromagnetico dell'ambiente, a seguito di una sollecitazione da parte del servizio previsione dispersione idrocarburi dell'istituto per l'ambiente marino costiero (IAMC) del Cnr, a proposito dei possibili eventi di dispersione di idrocarburi dalla piattaforma 07- Cercina (Tunisia). I risultati mettono in evidenza che dall'avvenimento del presunto incidente ad oggi, la possibile traccia di oil slick non si è mai spostata. Questo dato, a più giorni dall'evento, conferma in modo evidente che il presunto oil slick sia imputabile alla traccia della conformazione morfologica e fisiografica dell'isola. In sintesi, l'effetto prodotto dalle immagini SAR «è conseguente al fondale basso della zona che, probabilmente in presenta di effetti di marea (bassa), rende la zona una specie di laguna con acque che retro-diffondono in modo sostanzialmente speculare il segnale radar, da cui l'effetto simile a quello di un oil slick».
Inoltre, per quanto concerne gli aspetti relativi all'attività di monitoraggio, si rappresenta che il Ministero dell'ambiente ha attivato a livello nazionale, da oltre un ventennio, in conformità alle normative vigenti in materia, un sistema finalizzato alla prevenzione e lotta agli inquinamenti marini lungo tutti i circa 7.500 chilometri di costa italiana, mediante l'impiego di unità navali specializzate.
Attualmente, a seguito del contratto stipulato il 23 giugno 2015 ed operativo dal 1o agosto 2015 con la Castalia consorzio stabile S.c.p.a. in esito a una gara comunitaria, la struttura antinquinamento si compone di 36 unità navali, di cui 9 di altura e 27 costiere, dislocate lungo il perimetro costiero nazionale con pronto impiego h/24, quindi pronte a intervenire nel caso in cui fenomeni inquinanti dovessero minacciare le nostre coste.
Inoltre, le coste adriatiche e quelle a sud della Sicilia, dove sono ubicate le piattaforme petrolifere in acque italiane, sono giornalmente monitorate da un sistema di controllo integrato satellitare, aereo e navale di avvistamento di eventuali macchie inquinanti.
Ad ogni modo, per quanto di competenza, il Ministero continuerà a tenersi informato, nonché a svolgere un'attività di monitoraggio.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: Gian Luca Galletti.
EUROVOC (Classificazione automatica provvisoria, in attesa di revisione):ambiente marino
impatto ambientale
societa' di servizi