Legislatura: 17Seduta di annuncio: 578 del 26/02/2016
Primo firmatario: MURER DELIA
Gruppo: PARTITO DEMOCRATICO
Data firma: 26/02/2016
Elenco dei co-firmatari dell'atto Nominativo co-firmatario Gruppo Data firma AGOSTINI ROBERTA PARTITO DEMOCRATICO 26/02/2016 CENNI SUSANNA PARTITO DEMOCRATICO 26/02/2016 MAESTRI PATRIZIA PARTITO DEMOCRATICO 03/03/2016
Ministero destinatario:
- MINISTERO DELLA GIUSTIZIA
- MINISTERO DELLA SALUTE
Ministero/i delegato/i a rispondere e data delega Delegato a rispondere Data delega MINISTERO DELLA GIUSTIZIA 26/02/2016 Attuale delegato a rispondere: MINISTERO DELLA SALUTE delegato in data 23/08/2016
APPOSIZIONE NUOVE FIRME IL 03/03/2016
MODIFICATO PER MINISTRO DELEGATO IL 23/08/2016
MURER, ROBERTA AGOSTINI, CENNI, PATRIZIA MAESTRI. —
Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute
. — Per sapere – premesso che:
in Italia il 70 per cento dei medici e degli infermieri sono obiettori di coscienza, ma ci sono regioni dove l'obiezione è ancora più alta. I picchi sono al Centro sud, con percentuali di obiezione tra i ginecologi superiori all'80 per cento: in Molise (93,3 per cento), nella provincia autonoma di Bolzano (92,9 per cento), in Basilicata (90,2 per cento), in Sicilia (87,6 per cento), in Puglia (86,1 per cento); in Campania (81,8 per cento), nel Lazio e in Abruzzo (80,7 per cento). Per il personale non medico i valori impennano in Molise (89,9 per cento) e in Sicilia (85,2 per cento);
la relazione del Ministro della salute sulla attuazione della legge contenente norme per la tutela sociale della maternità e per l'interruzione volontaria di gravidanza (legge n. 194 del 1978), presentata in Parlamento il 26 ottobre 2015, afferma che per la prima volta in Italia il numero annuale di interruzioni volontarie di gravidanza è inferiore a 100.000. Nel 2014, si legge nel rapporto, sono state notificate dalle regioni 97.535 interruzioni volontarie di gravidanza, con un decremento del 5,1 per cento rispetto al dato definitivo del 2013 (102.760 casi), e un dimezzamento rispetto alle 234.801 del 1982, anno in cui si è riscontrato il valore più alto di interruzioni volontarie di gravidanza nel nostro Paese;
questi dati vanno tenuti insieme alla quantificazione degli aborti clandestini. L'Istituto superiore di sanità ne ha fatto una stima inclusa tra i 12.000 e i 15.000 casi per il 2012, riscontrando una sostanziale stabilizzazione del fenomeno negli ultimi anni. Si tratta di cifre comunque sempre molto alte se si considera che tra le cause potrebbe esserci proprio la difficoltà nell'accesso ai servizi;
le donne che ricorrono più spesso all'interruzione volontaria di gravidanza hanno un'età compresa tra i 20 e i 29 anni. Inoltre, negli ultimi dieci anni, è aumentato il peso delle cittadine straniere (il 34 per cento nel 2013, nel 1995 era il 7 per cento);
praticare l'interruzione di gravidanza è diventato per le donne in Italia un percorso ad ostacoli e contro il tempo, con l'eventualità di percorrere anche 800 chilometri per trovare una struttura pubblica dove abortire. Per questo motivo l'Italia è già stata condannata da tempo dalla Corte europea dei diritti umani per la mancata piena attuazione della legge n. 194;
nel marzo del 2015 il Parlamento europeo ha approvato la risoluzione dedicata alla parità tra donne e uomini all'interno dell'Unione europea e redatta dall'eurodeputato belga Marc Tarabella, del Gruppo dell'Alleanza progressista dei socialisti e dei democratici. In particolare, il testo insiste sul fatto che «le donne debbano avere il controllo dei loro diritti sessuali e riproduttivi, segnatamente attraverso un accesso agevole alla contraccezione e all'aborto; sostiene pertanto le misure e le azioni volte a migliorare l'accesso delle donne ai servizi di salute sessuale e riproduttiva e a meglio informarle sui loro diritti e sui servizi disponibili; invita gli Stati membri e la Commissione a porre in atto misure e azioni per sensibilizzare»;
la legge n. 194, all'articolo 19, stabilisce che chi pratica l'aborto clandestino, ovvero un'interruzione di gravidanza che non risponde alle modalità indicate negli articoli 5 e 8 della medesima legge, sia punito con la reclusione fino a tre anni, mentre per la donna che vi si sottopone prevede, sempre all'articolo 19, comma 2, una multa fino a 51 euro. Una multa simbolica, che consente alle donne sottoposte a pratiche clandestine, di recarsi in ospedale a chiedere aiuto prontamente, e magari anche denunciare chiunque avesse praticato l'aborto in clandestinità;
con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale n. 17 del 22 gennaio 2016 del decreto legislativo n. 8 approvato il 15 gennaio dal Consiglio dei ministri, in materia di depenalizzazioni, si prevede all'articolo 1, comma 1, che «Non costituiscono reato e sono soggette alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro tutte le violazioni per le quali è prevista la sola pena della multa o dell'ammenda». Tra queste fattispecie rientra l'aborto clandestino e, quindi, alla donna che si sottopone ad una interruzione di gravidanza che non rientra negli articoli 5 e 8 della legge n. 194, verrà ingiunta una sanzione dai 5.000 ai 10.000 euro, così come previsto dal comma 5 dell'articolo 1 del medesimo decreto legislativo –:
quali iniziative urgenti il Governo intenda adottare per modificare in tempi rapidi questa norma e consentire così alle donne di poter continuare a ricorrere alle cure ospedaliere in caso di complicanze e salvarsi la vita anche in seguito a un aborto clandestino;
quali iniziative il Governo intenda adottare per promuovere campagne di sensibilizzazione e, soprattutto, rendere più accessibile l'aborto farmacologico in regime di day hospital o consentirlo nei consultori familiari e nei poliambulatori, poiché la pillola RU486 viene utilizzata solo nel 10 per cento negli ospedali, in quanto i costi di tre giorni di ricovero, previsti solo nel nostro paese, sono altissimi. (4-12267)
EUROVOC (Classificazione automatica provvisoria, in attesa di revisione):aborto
aborto illegale
diritti umani