ATTO CAMERA

INTERROGAZIONE A RISPOSTA SCRITTA 4/11349

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 17
Seduta di annuncio: 534 del 02/12/2015
Firmatari
Primo firmatario: BORGHESE MARIO
Gruppo: MISTO-ALLEANZA LIBERALPOPOLARE AUTONOMIE ALA-MAIE-MOVIMENTO ASSOCIATIVO ITALIANI ALL'ESTERO
Data firma: 02/12/2015
Elenco dei co-firmatari dell'atto
Nominativo co-firmatario Gruppo Data firma
MERLO RICARDO ANTONIO MISTO-ALLEANZA LIBERALPOPOLARE AUTONOMIE ALA-MAIE-MOVIMENTO ASSOCIATIVO ITALIANI ALL'ESTERO 02/12/2015


Destinatari
Ministero destinatario:
  • MINISTERO DELL'AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE
Attuale delegato a rispondere: MINISTERO DELL'AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE delegato in data 02/12/2015
Stato iter:
22/06/2016
Partecipanti allo svolgimento/discussione
RISPOSTA GOVERNO 22/06/2016
GALLETTI GIAN LUCA MINISTRO - (AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE)
Fasi iter:

RISPOSTA PUBBLICATA IL 22/06/2016

CONCLUSO IL 22/06/2016

Atto Camera

Interrogazione a risposta scritta 4-11349
presentato da
BORGHESE Mario
testo di
Mercoledì 2 dicembre 2015, seduta n. 534

   BORGHESE e MERLO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare . — Per sapere – premesso che:
   la XXI Conferenza delle parti (COP21) della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) che si sta tenendo in questi giorni a Parigi, dal 30 novembre fino all'11 dicembre 2015, sta mettendo in evidenza, con la presentazione della relazione di sintesi del Rapporto dell'Ipcc (Intergovernmental panel on climate change) sul clima del pianeta, l'urgenza di adottare misure che contengano le emissioni di gas serra a livello globale;
   questo appuntamento sul clima, sotto la presidenza del Ministro degli esteri francese Laurent Fabius, stanno prendendo parte i rappresentanti di 195 nazioni, e sono coinvolte circa 40 mila persone, di cui 25 mila delegati ufficiali, i quali lavorano tutti per il salvataggio del clima del pianeta;
   gli scienziati dell'Ipcc sono convinti che l'unico mezzo per limitare a 2o C l'aumento medio delle temperature è di ridurre a zero l'utilizzo delle risorse fossili entro il 2100, dimezzandolo entro il 2050;
   il rapporto stima la presenza di gas serra in atmosfera come la più alta degli ultimi 800.000 anni, con incremento della produzione e della velocità di produzione degli stessi negli ultimi 30 anni a livelli non più compatibili con la mitigazione e l'adattamento ai nuovi effetti;
   i comportamenti umani sono considerati la causa principale dei cambiamenti climatici, con un margine di certezza altissimo stimato al 95 per cento secondo i calcoli dell'IPCC; infatti se non vi saranno adeguati interventi con i livelli di produzione inquinante non modificati, si stima che la temperatura media globale si innalzerà ancora di almeno altri 5o C;
   l'informazione e la politica italiana hanno parlato in modo insufficiente del rapporto in questione, così che la questione, risulta non abbastanza visibile nell'opinione pubblica infatti, da sondaggi giornalistici effettuati in questi giorni pare che solo il 29 per cento, degli italiani dichiara di conoscere cosa sia la COP21;
   quali siano le iniziative che l'Italia intende adottare per abbandonare gradualmente ma in modo determinato e programmato, le fonti di energia fossili e promuovere investimenti per sostenere politiche innovative in favore dello sviluppo dei trasporti puliti a basse emissioni e a bassi consumi, incentivando l'uso di tecnologie innovative all'idrogeno e di biocarburanti di seconda e terza generazione e la diffusione di veicoli elettrici e ibridi.
(4-11349)

Atto Camera

Risposta scritta pubblicata Mercoledì 22 giugno 2016
nell'allegato B della seduta n. 640
4-11349
presentata da
BORGHESE Mario

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa agli esiti del negoziato per la definizione di un accordo internazionale sui cambiamenti climatici avvenuto nel corso della conferenza di Parigi sul clima e sulle iniziative conseguenti che l'Italia intende adottare, si rappresenta quanto segue.
  Dal 30 novembre al 12 dicembre 2015 si è svolta a Parigi la 21o Conferenza delle Parti (COP21) della convenzione quadro per la lotta contro i cambiamenti climatici (UNFCCC), che ha visto anche l'ultima sessione dell'ADP (ad hoc working group on the durban platform for enhanced action) ovvero il gruppo negoziale a cui è stato affidato in questi anni il compito di preparare l'accordo di Parigi.
  In linea con gli obiettivi italiani, la conferenza di Parigi ha segnato un momento storico che è culminato con l'adozione di un accordo internazionale, sottoscritto da tutti i Paesi, finalizzato a regolare le emissioni di gas ad effetto serra, individuate ormai con certezza dalla scienza come maggiori responsabili dell'aumento della temperatura del pianeta. Per la prima volta nella storia infatti quasi duecento Paesi si sono impegnati ad agire e, fatto ancora più importante, a rispondere delle loro azioni per affrontare i cambiamenti climatici. Tali azioni, che hanno preso forma di contributi nazionali volontari (INDC) presentati dai governi nell'arco del 2015, consentiranno nei prossimi anni una deviazione sostanziale del trend delle emissioni rispetto alla situazione attuale (business as usual), contribuendo concretamente a trasformare Parigi in una tappa chiave nella lotta ai cambiamenti del clima.
  Naturalmente l'evoluzione del clima, così come gli assetti socio-economici dei vari Paesi, il loro sviluppo, le loro politiche energetiche e l'incidenza degli impegni nazionali di riduzione delle emissioni, non sono elementi fissati al dicembre 2015 e immutabili.
  Per tale motivo l'Accordo svolge un ruolo determinante, in quanto fornisce un'architettura duratura e solida per rivedere periodicamente e accrescere gli sforzi di tutti i Paesi verso i comuni obiettivi di lungo periodo. A Parigi infatti i Governi si sono impegnati a riconsiderare periodicamente i piani e programmi in ambito climatico per limitare l'incremento della temperatura al di sotto dei 2 gradi centigradi. A riprova della ferma determinazione collettiva di raccogliere la sfida e avviare un processo di reale decarbonizzazione dell'economia, l'accordo racchiude un obiettivo di lungo termine che stabilisce la necessità di effettuare rapide riduzioni onde pervenire ad un equilibrio tra emissioni e assorbimenti nella seconda parte del secolo.
  In questo contesto, l'Unione europea e l'Italia, forti dei risultati ottenuti a livello domestico e degli impegni ambiziosi assunti per il 2030 (il taglio di almeno il 40 per cento delle emissioni rispetto al 1990, la crescita fino al 27 per cento della produzione di energia da fonti rinnovabili e l'incremento del 27 per cento dell'efficienza energetica) hanno svolto un ruolo di primo piano, esprimendosi con un'unica voce e lavorando costantemente con tutti i partner negoziali per la realizzazione di questo successo.
  Non è un caso che tale successo sia pienamente in linea non solo con il mandato negoziale dell'Unione europea per la conferenza di Parigi, costruito con il contributo degli esperti del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in tutti i gruppi tecnici negoziali europei, ma sia in linea anche con gli obiettivi dell'Italia, che ha spinto l'Unione europea a costruire le proprie posizioni negoziali per un accordo che consenta la più ampia partecipazione possibile, superando le limitazioni del protocollo di Kyoto.
  L'accordo comprende diversi elementi e affronta la questione dei cambiamenti climatici a più livelli.
  Uno di questi è l'obiettivo di lungo termine – già concordato a Cancùn nel 2010 – di limitare l'incremento della temperatura entro i 2 gradi centigradi al 2100 rispetto ai livelli preindustriali. L'Italia è riuscita a confermare l'obiettivo comune di mantenere la temperatura media globale entro i 2 gradi centigradi, sostenendo con forza e con successo anche l'esigenza di mettere in campo tutti gli sforzi necessari per giungere a meno 1,5 gradi centigradi. L'Italia e l'Unione europea si sono impegnati con successo a far emergere il senso di urgenza che la natura del problema impone e a includere coerentemente nel testo dell'accordo una visione collettiva di lungo periodo, che miri ad avviare un percorso verso la neutralità carbonica entro la seconda metà del secolo.
  Vi sono poi gli aspetti della mitigazione, per cui l'Unione europea si è molto spesa nel tempo. Si è deciso infatti di realizzare politiche, misure e strategie nazionali e di presentarne di nuove e più ambiziose ogni 5 anni, a partire dal 2020. È stato costruito un sistema duraturo e dinamico che consentirà di adeguare progressivamente gli sforzi agli obiettivi di lungo termine, evitando di rinegoziare e concordare ogni 5 o 10 anni azioni specifiche.
  È inoltre prevista la differenziazione degli obblighi contratti, intesa come la possibilità che gli obblighi dei Paesi che aderiranno al nuovo regime siano formulati tenendo conto delle diverse realtà ambientali ed economiche e dell'evolversi delle circostanze nazionali. Il compromesso raggiunto a Parigi, pur confermando il ruolo guida dei Paesi industrializzati, amplia a tutti i Paesi che ratificheranno l'accordo l'obbligo delle azioni di mitigazione e l'opportunità di usufruire di un sistema di finanza per il clima. Questo cambio di passo, che rappresenta uno dei principali risultati raggiunti durante la conferenza, pone le basi per un approccio equo, dinamico ed efficace, in grado di tracciare un percorso impegnativo ma realizzabile per raggiungere l'obiettivo di lungo termine di rimanere al di sotto dei 2 gradi centigradi.
  I Paesi industrializzati hanno rinnovato i propri impegni a favore dei Paesi in via di sviluppo fino al 2025, quando tali impegni saranno nuovamente rivisti e aggiornati alla luce dei cambiamenti nel frattempo intercorsi.
  Vi è poi il tema delle regole e della governance per un sistema di rendicontazione degli sforzi intrapresi e dei risultati raggiunti dai singoli Paesi. Si è concordato di stabilire un unico sistema che assicuri la trasparenza del nuovo regime e richieda a ciascun Paese di riportare i propri progressi nella realizzazione dei piani di mitigazione, valutandone con cadenza quinquennale la portata collettiva alla luce dell'obiettivo di rimanere al di sotto dei 2 gradi centigradi e di adattare rapidamente tali obiettivi alle mutate situazioni socio-economiche.
  L'Unione europea ha fornito la maggior parte delle risorse finanziarie per aiutare i Paesi in via di sviluppo nella lotta ai cambiamenti climatici. È stato portato avanti un continuo e paziente lavoro di tessitura di alleanze e relazioni con i più importanti attori del processo negoziale – come gli Stati Uniti, il Brasile e il Sud Africa – quale passo essenziale per costruire il consenso indispensabile alla chiusura dell'accordo. È stato sostenuto con continuità e con pieno successo il tentativo della presidenza francese di coinvolgere attivamente tutti coloro che, al di fuori dei governi (le città, le regioni e gli altri enti subnazionali, le organizzazioni internazionali, le imprese, i popoli indigeni, le donne, i giovani, le istituzioni accademiche) realizzano iniziative efficaci nella lotta ai cambiamenti climatici.
  È inoltre giusto ricordare che l'Italia è stata tra coloro che hanno sostenuto la necessità di un chiaro sistema di governance per dare certezza agli impegni assunti e creare le premesse per uno sforzo collettivo. A tal fine, l'Italia si era fatta promotrice di una proposta specifica sulla costruzione, nei Paesi in via di sviluppo, di un robusto sistema di rendicontazione e verifica, che è parte integrante dell'accordo di Parigi.
  Il Governo italiano, rappresentato al tavolo negoziale dal Ministero dell'ambiente, ha svolto un ruolo attivo, sostenendo l'azione europea e facendo valere la sua influenza e le sue relazioni.
  Se l'accordo definisce l'architettura e il mandato per un'azione collettiva e concertata, la sfida vera è quella di attuare la transizione verso un futuro a basse emissioni e resiliente al clima, a tutti i livelli.
  In primo luogo, i contributi nazionali comunicati dalle parti devono essere attuati. Per molti Paesi in via di sviluppo questo richiede un sostegno costante per migliorare le limitate capacità nazionali. L'Italia ha dimostrato chiaramente di aver compreso prima di altri il ruolo chiave di questo aspetto per il futuro dell'accordo. L'Italia ha nei Paesi in via di sviluppo ed in particolare negli Stati delle piccole isole caraibiche e del Pacifico partner commerciali importanti con i quali sviluppare il settore dell'economia verde e la mozione approvata il 2 dicembre 2015 in Senato ha costituito un utile strumento di indirizzo nell'ambito dei negoziati per la delegazione italiana nel contesto dei negoziati di Parigi.
  I Governi nazionali dovranno rivedere periodicamente le loro azioni e, laddove possibile, dimostrare maggiore coraggio e ambizione negli sforzi da intraprendere. In questo contesto, un primo passo sarà determinato dalla rapidità con cui l'accordo entrerà in vigore e dal grado di partecipazione. Il segnale politico che scaturirà da questo processo contribuirà ad aumentare la probabilità che gli attori nazionali, soprattutto in settori chiave, siano disposti a perseguire riduzioni più ambiziose di gas serra. È necessario costruire nel tempo una politica industriale che tragga ispirazione dagli obiettivi ambientali di Parigi. L'accordo di Parigi rappresenta l'avvio di un percorso irreversibile che trova nella grande sfida dell'economia circolare un ulteriore elemento di forza.
  Innalzare l'ambizione dell'accordo, per i Paesi in via di sviluppo, sarà legato, in buona misura, anche alla messa a disposizione per questi Paesi dei cosiddetti «mezzi di implementazioni», ovvero risorse finanziarie, capacity building, tecnologie. È altresì importante il sistema di monitoraggio, rendicontazione e verifica, che rappresenta un elemento essenziale per assicurare la dinamicità dell'Accordo e si applica non solo agli obiettivi di riduzione delle emissioni, ma anche a quelli finanziari.
  L'Italia ha già raggiunto l'obiettivo previsto dal Protocollo di Kyoto – impegno nazionale di riduzione del 6,5 per cento nel periodo 2008-2012 – e le misure già adottate consentono di cogliere l'obiettivo europeo di riduzione delle emissioni del 20 per cento.
  Oggi ci si trova in una nuova fase di definizione delle politiche e delle misure a livello europeo, come risultato dell'adozione dei nuovi obiettivi al 2030 da parte del Consiglio europeo di ottobre 2014.
  II 15 luglio del 2015, la Commissione ha presentato una proposta per la modifica del sistema di scambio di emissioni (emission trading fase IV) che è attualmente in una fase preliminare di discussione. Si attende invece per la seconda metà del primo semestre 2016 la proposta di decisione che riguarderà tutti i settori cosiddetti non ETS (agricoltura, trasporti, civile, residenziale, rifiuti eccetera) e che determinerà la distribuzione dello sforzo del 30 per cento di riduzione a livello di Stato membro.
  Le conclusioni del Consiglio europeo di ottobre 2014 e la comunicazione dell'Unione per l'energia hanno chiarito che ulteriori azioni sono necessarie per ridurre le emissioni dei gas serra nel settore dei trasporti. A questo proposito, la Commissione intende pubblicare nella prima metà del 2016 una comunicazione sulla decarbonizzazione dei trasporti.
  In questo ambito si fa presente l'importanza del Protocollo d'intesa sottoscritto il 30 dicembre 2015 tra il Ministero dell'ambiente, la conferenza delle regioni e province autonome e l'Associazione nazionale dei comuni italiani per definire ed attuare misure omogenee su scala di bacino per il miglioramento e la tutela della qualità dell'aria e la riduzione di emissioni di gas climalteranti, con interventi prioritari nelle città metropolitane. In tale documento è stata indicata una serie di iniziative virtuose da porre in essere in caso di superamento persistente delle soglie di inquinamento dell'aria. Naturalmente il contenuto del protocollo non è prescrittivo ma mira a fornire ai diversi livelli di Governo indicazioni operative che non potrebbero essere dettate dalla legge poiché tale materia è di competenza delle regioni.
  A tale riguardo si sottolinea infine che le problematiche ambientali non attengono soltanto al reperimento delle risorse necessarie, poiché richiedono anche progetti validi da attuare. In tal senso il Ministero dell'ambiente, supportato dall'indirizzo del Parlamento grazie all'approvazione della legge n. 221 del 28 dicembre 2015, ha in cantiere progetti per circa 1,5 miliardi di euro. Vi sono poi 900 milioni di euro per le iniziative connesse al cosiddetto conto termico, 50 milioni del cosiddetto fondo Kyoto per la realizzazione delle colonnine elettriche, 252 milioni di euro per il miglioramento dell'efficienza energetica nelle scuole, 250 milioni di euro per il rinnovo dei mezzi di trasporto pubblico locale e 12 milioni di euro per il rimborso ai comuni dello sconto sull'acquisto di mezzi pubblici.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.

Classificazione EUROVOC:
EUROVOC (Classificazione automatica provvisoria, in attesa di revisione):

politica comunitaria dell'ambiente

politica dei trasporti

produzione