ATTO CAMERA

INTERROGAZIONE A RISPOSTA SCRITTA 4/09510

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 17
Seduta di annuncio: 445 del 18/06/2015
Firmatari
Primo firmatario: AMODDIO SOFIA
Gruppo: PARTITO DEMOCRATICO
Data firma: 18/06/2015


Destinatari
Ministero destinatario:
  • PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
  • MINISTERO DELLA SALUTE
Ministero/i delegato/i a rispondere e data delega
Delegato a rispondere Data delega
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 18/06/2015
Attuale delegato a rispondere: MINISTERO DELLA GIUSTIZIA delegato in data 26/06/2015
Stato iter:
IN CORSO
Atto Camera

Interrogazione a risposta scritta 4-09510
presentato da
AMODDIO Sofia
testo di
Giovedì 18 giugno 2015, seduta n. 445

   AMODDIO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute . — Per sapere – premesso che:
   per decenni la dottrina e la giurisprudenza hanno dibattuto sul tema della risarcibilità dell'interesse legittimo che ha trovato il primo riconoscimento nella storica affermazione della risarcibilità delle posizioni di interesse legittimo contenuta nella sentenza n. 500/1999 delle Sez. Unite della Corte di Cassazione;
   in tale pronuncia si affermava che condizioni necessarie per poter accedere alla tutela risarcitoria ex articolo 2043 del codice civile sono, oltre alla lesione dell'interesse legittimo per effetto di un'attività illegittima e colpevole della pubblica amministrazione, la lesione dell'interesse al bene della vita al quale l'interesse legittimo si correla e il fatto che quest'ultimo interesse sia meritevole di tutela alla luce dell'ordinamento positivo; nella predetta sentenza ciò che più rileva è il criterio che, a detta delle Sezioni Unite deve essere utilizzato dal giudice per decidere della meritevolezza o meno dell'interesse al bene della vita del ricorrente e che era ricondotto al giudizio prognostico sulla fondatezza dell'istanza del soggetto, da condurre facendo riferimento alla normativa di settore e idoneo a consentire al giudice del risarcimento di stabilire se il pretendente deve ritenersi titolare di una mera aspettativa (non tutelabile) o, piuttosto, di una situazione che, secondo la disciplina applicabile e sulla base di un criterio di normalità, era destinata ad un esito favorevole e risulta, pertanto, giuridicamente tutelata; il giudizio sulla «spettanza» del provvedimento richiesto dovrebbe essere essenziale per il riconoscimento del processo amministrativo; infatti, solo se il provvedimento richiesto «spetta», si può configurare una vera lesione dell'interesse al bene della vita e, dunque, il diritto al risarcimento del danno;
   è noto che il codice del processo amministrativo al comma 4 dell'articolo 7 prevede che «sono attribuite alla giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo le controversie relative ad atti, provvedimenti o omissioni delle pubbliche amministrazioni, comprese quelle relative al risarcimento del danno per lesione di interessi legittimi e agli altri diritti patrimoniali consequenziali, pure se introdotte in via autonoma».
   il legislatore ha quindi positivizzato il diritto al risarcimento del danno per lesione di interessi legittimi, ma non è intervenuto nell'individuare gli elementi costitutivi della responsabilità della pubblica amministrazione ed i presupposti per il riconoscimento del risarcimento dei danni derivanti da atti illegittimi in materia di interesse legittimo;
   quanto sopra esposto non ha una valenza esclusivamente teorica per i cultori del diritto, atteso che ha refluenze di non poco conto nell'azione della pubblica amministrazione e nei giudizi risarcitori che seguono in ragione dell'impugnazione di provvedimenti o comportamenti posti in essere dalla pubblica amministrazione;
   sempre più spesso si leggono sentenze in cui la colpa della pubblica amministrazione è «in re ipsa» ed e conseguente all'annullamento dell'atto e ciò a prescindere da una verifica sulla colpa della pubblica amministrazione e della spettanza del bene della vita che per la cassazione a sezione unite era condizione necessaria per il riconoscimento del risarcimento dei danni;
   la problematica sopra esposta trova conferma in un giudizio pendente innanzi al Consiglio di Giustizia Amministrativa della regione siciliana in sede giurisdizionale del quale si riportano gli elementi salienti per meglio far comprendere agli interrogati cosa accade nel nostro sistema giuridico;
   con istanza assunta al protocollo del comune nel mese di aprile 2009 una società edile con sede in Siracusa ha presentato un progetto in variante ad una concessione edilizia per la demolizione e ricostruzione dell'edificio già esistente al fine di realizzare un complesso commerciale che il comune negava con provvedimento del settembre 2009;
   la società istante ha quindi impugnato innanzi al TAR di Catania il predetto provvedimento di diniego chiedendo un risarcimento dei danni per oltre 40 milioni di euro;
   il dirigente che aveva sottoscritto il diniego veniva sostituito da altro dirigente che in data 30 novembre 2010 annullava in autotutela il precedente diniego ed assentiva l'intervento de quo;
   alla luce del provvedimento di autotutela, la ricorrente rinunciava alla domanda di annullamento dei provvedimenti impugnati e coltivava il giudizio innanzi al TAR di Catania, esclusivamente ai fini del riconoscimento del risarcimento del danno articolato in diverse voci (maggiori oneri derivanti dalla ritardata realizzazione del centro commerciale, danno all'immagine e danno da disturbo) derivante dalla mancata tempestiva realizzazione del centro commerciale per effetto del ritardo cagionato dal comune di Siracusa nel rilascio del provvedimento autorizzatorio;
   le questioni giuridiche e di fatto oggetto del giudizio promosso dalla società innanzi al TAR di Catania possono così sintetizzarsi la società ricorrente oltre a sostenere la conformità del progetto alla disciplina urbanistica del piano regolatore generale del comune, assumeva che si fosse formato il silenzio assenso e pertanto il diniego oltre ad essere illegittimo risultava tardivo; la società sosteneva che il comportamento dell'amministrazione (diniego prima — e rilascio del titolo concessorio dopo) avesse comportato un danno di oltre 40.000.000,00 di euro;
   il provvedimento del 30 novembre 2010 – che annullava in autotutela il precedente diniego ed assentiva l'intervento – veniva impugnato dall'associazione Legambiente;
   il giudizio di primo grado promosso dalla società si concludeva con la sentenza del TAR di Catania n. 2323/2011 che rigettava le domande della stessa e statuiva:
    a) che sulla istanza di concessione/variante non si era formato il silenzio assenso;
    b) che la normativa di piano evidenzia prescrizioni di riferimento estremamente complesse e di difficile interpretazione;
    c) che pertanto l'adozione del provvedimento di diniego non era ascrivibile a colpa dell'apparato comunale;
   la società impugnava la sentenza del TAR di Catania innanzi al Consiglio di giustizia amministrativa per la regione siciliana in sede giurisdizionale che con la sentenza n. 605/2013 riformando la sentenza accoglieva l'appello ed ordinava al comune di Siracusa di provvedere al risarcimento dei danni patiti dall'appellante società – pur motivando – senza lasciare spazio a margini interpretativi – che l'intervento non era legittimamente assentibile per le ragioni esposte in sentenza;
   la sentenza del Consiglio di giustizia amministrativa motivava inoltre, contrariamente alla pronuncia precedente del TAR che «sull'istanza originaria si era formato il silenzio assenso e l'illegittimità primaria posta in essere dal comune consiste nel non averlo riconosciuto, pur a fronte di documentate istanze prodotte in tal senso dalla società. Tale omissione, a giudizio del collegio, si presta sicuramente a fondare una responsabilità aquiliana dell'Amministrazione, colpevole appunto per non aver riconosciuto – senza che a tal fine fossero necessarie indagini giuridiche di particolare difficoltà per l'amministrazione del comune di Siracusa – quanto obiettivamente emergeva dagli atti circa lo snodo temporale del procedimento»;
   nel quantificare i danni il Consiglio di giustizia amministrativa individua il periodo termine «dal 10 ottobre 2009 al 30 novembre 2010 tuttavia dal periodo sopra delimitato (ottobre 2009/novembre 2010) va detratto il periodo in cui i lavori sono stati sospesi per adeguamento alle prescrizioni della Soprintendenza»;
   successivamente la società proponeva il ricorso per l'ottemperanza in esame, deducendo preliminarmente la nullità degli atti comunali;
   si riporta un capo della motivazione della sentenza n. 73/2015 emessa dal Consiglio di giustizia amministrativa che evidenzia un elemento critico della vicenda esposta;
   la sentenza di cognizione – dopo aver evidenziato che «i danni valutabili sono in linea generale quelli derivanti dal mancato riconoscimento comunale del possesso da parte di ...... del titolo tacito per il periodo che va dal 10 ottobre 2009 al 30 novembre 2010» – ha statuito che «dal periodo sopra delimitato va detratto il periodo in cui i lavori sono stati sospesi per adeguamento alle prescrizioni della Soprintendenza» impartite con la nota in data 26 febbraio 2010. Con tale nota – vale ricordarlo – la Soprintendenza aveva diffidato .... a proseguire nella realizzazione di opere... In concreto però – come dimostrato dalla documentazione allegata dalla ricorrente e in particolare dall'attestazione del Sovrintendente in data 30 novembre 2013 – alla diffida non ha mai fatto seguito un ordine di sospensione dei lavori i quali in sostanza non sono mai stati sospesi. Ciò comporta, in concreto, che l'interruzione del nesso di causalità materiale o di fatto (e cioè del collegamento tra condotta ed evento) ipotizzata nell'an dalla sentenza non si è in realtà mai verificata, di talché l'arco temporale del ritardo comunale nel rilascio/riconoscimento del titolo non è soggetto ad alcuna decurtazione nel quantum per questo motivo. La determina dirigenziale di diniego del risarcimento sopra citata è dunque da considerarsi nulla per violazione del giudicato, come dedotto dalla ricorrente. Resta per converso impregiudicato l'effetto che la attestata prosecuzione dei lavori anche nel periodo di carenza del titolo potrebbe spiegare sotto il diverso profilo della causalità giuridica (e cioè del nesso fra evento e danni) in sede appunto di delimitazione dell'area del danno risarcibile come conseguenza concreta e diretta dell'evento dannoso»;
   il Consiglio di giustizia amministrativa in sede di ottemperanza elimina dal periodo di riferimento per la quantificazione del risarcimento dei danni il periodo di sospensione dei lavori pér adeguamento alle prescrizioni impartite dalla soprintendenza il 26 febbraio 2010 in quanto i lavori non sono stati mai sospesi;
   quindi nella sentenza del Consiglio di giustizia amministrativa del 2015 è dato per fatto acquisito nel processo che i lavori non sarebbero stati sospesi;
   se i lavori non sono stati sospesi nonostante il diniego della concessione edilizia non si comprende quali danni abbia subito la società; peraltro la criticità sopra evidenziata è manifestata nella medesima sentenza: «Resta per converso impregiudicato l'effetto che la attestata prosecuzione dei lavori anche nel periodo di carenza del titolo potrebbe spiegare sotto il diverso profilo della causalità giuridica (e cioè del nesso tra evento e danni) in sede appunto di delimitazione dell'area del danno risarcibile come conseguenza concreta e diretta dell'evento dannoso.»;
   si riporta un altro passaggio della sentenza del Consiglio di giustizia amministrativa del 2015 che denota la mancanza della previsione legislativa enunciata, motivo determinante per la presente interrogazione: «Come è noto per quanto concerne il criterio di imputazione della condotta asseritamente lesiva, al privato danneggiato da un provvedimento amministrativo illegittimo non è richiesto un particolare impegno probatorio per dimostrare la colpa della pubblica amministrazione. Infatti, pur non essendo configurabile in mancanza di una espressa previsione normativa generalizzata una presunzione (relativa) di colpa della pubblica amministrazione per i danni conseguenti ad un atto o comportamento illegittimo, consolidata giurisprudenza valorizza al riguardo le regole di comune esperienza e la presunzione semplice di cui all'articolo 2727 Cod. civ. desunta dalla singola fattispecie, addossando in sostanza alla parte pubblica l'onere di comprovare trattarsi di un errore scusabile. Questa (sia pur attenuata) inversione dell'onere della prova in danno della pubblica amministrazione non opera però allorché si tratti di delimitare l'area del danno risarcibile.»;
   quindi per un verso il Consiglio di giustizia amministrativa ammette che manca una espressa previsione normativa di una generalizzata presunzione (relativa) di colpa della pubblica amministrazione per i danni conseguenti ad un atto o comportamento illegittimo, per altro verso ritiene che possa ricavarsi da regole di comune esperienza, addossando in sostanza alla parte pubblica l'onere di comprovare trattarsi di un errore scusabile;
   giova rilevare che nel giudizio promosso da Legambiente il TAR Catania rigettando il ricorso dell'associazione motivava sull'assentibilità della richiesta in senso opposto al Consiglio di giustizia amministrativa;
   pertanto sulla stessa fattispecie veniva a determinarsi un'altra pronuncia che contrariamente a quanto affermato dal Consiglio di giustizia amministrativa nella sentenza n. 605/2013 riteneva l'intervento ammissibile; sorge spontanea la considerazione per la quale se ben tre collegi amministrativi giudicano la stessa fattispecie in maniera diversa non si può ritenere il comportamento dell'amministrazione e quindi dei suoi dirigenti non scusabile e foriero di risarcimento di danni;
   i superiori fatti ed atti sopra menzionati stanno provocando un disorientamento, anche in coloro che rappresentano l'amministrazione comunale, ovvero i consiglieri comunali;
   infatti, risulta difficilmente accettabile come possa accadere che un'intera collettività sia chiamata a corrispondere di un danno a fronte: a) di una fattispecie che a detta del Consiglio di giustizia amministrativa manca di una espressa previsione normativa; b) di una disciplina urbanistica che, per espressa ammissione dei giudici, è particolarmente complessa; c) di una diversa interpretazione della formazione del silenzio assenso che i giudici di primo grado ritengono non formato, mentre i giudici del Consiglio di giustizia amministrativa ritengono formato, e quindi evidentemente non era e non è così agevole da ricavare; d) di una sentenza nella quale è affermato che la richiesta di concessione edilizia non era assentibile;
   il Consiglio di giustizia amministrativa con la sentenza n. 73/2015 ha nominato il CTU, affinché fornisca risposta ai quesiti posti dal collegio e relativi al risarcimento dei danni;
   quest'ultimo ha depositato la relazione della CTU ed ha quantificato i danni in euro 20.000.400,00;
   sulla relazione del CTU l'avvocato difensore del comune ha comunicato con nota del 13 aprile 2015, che nella vicenda in esame «emergono una serie di profili che non è agevole valori dare in seno al processo amministrativo, in quanto il Giudice amministrativo non è “attrezzato” per rilevare appieno alcune incongruente come, ad esempio, il deposito in giudizio di documenti pretesamente di data certa, ovvero i comportamenti apparentemente equilibrati ed irrispettosi del principio del contraddittorio tenuto dal C.T.U.»
   a fronte di un investimento di 11 milioni di euro come riportato nella sentenza e 12 mesi di ritardo durante i quali comunque i lavori sarebbero proseguiti, il danno sarebbe quasi il doppio dell'investimento;
   il consiglio comunale con deliberazione n. 89 dell'11 giugno 2015 ha dato mandato al sindaco ed alla giunta di porre all'attenzione degli organi giurisdizionali idonei i fatti riportati in una mozione approvata;
   al di là della fattispecie sopra esposta, l'interrogante reputa giusto che i Ministri interrogati debbano occuparsi di individuare gli elementi costitutivi della responsabilità, della pubblica amministrazione ed i presupposti per il riconoscimento del risarcimento dei danni derivanti da atti illegittimi in materia di interessi legittimi e ciò perché non debba più riprodursi quanto accaduto nella fattispecie concreta sopra esposta che peraltro sta comportando un notevole contenzioso di ogni genere innanzi alle autorità giudiziarie, un'ipotesi di danno per una collettività che in termini quantitativi provocherebbe effetti gravi per le finanze del comune e legittimi interrogativi di coloro che rappresentano gli interessi della collettività, ovvero i consiglieri comunali;
   è necessario chiarire quando e come risponde la pubblica amministrazione per i comportamenti e gli atti illegittimi dai quali derivano lesioni di interessi legittimi;
   all'interrogante non appare accettabile che innanzi a fattispecie sulle quali gli organi giurisdizionali hanno assunto decisioni contrastanti e quindi «in re ipsa» non di agevole soluzione possa configurarsi una responsabilità «tout court» della pubblica amministrazione e per un bene della vita che secondo il giudice di merito di secondo grado non spetterebbe –:
   se il Presidente del Consiglio dei ministri ed il Ministro di giustizia siano a conoscenza di quanto sopra esposto;
   se, in seguito a quanto esposto e delle motivazioni contenute nella sentenza del Consiglio di giustizia amministrativa (ovvero «Ne consegue che, come rappresentato nel provvedimento di diniego, l'intervento non era legittimamente assentibile,... non essendo configurabile in mancanza di una espressa previsione normativa una generalizzata presunzione (relativa) di colpa della pubblica amministrazione per i danni conseguenti ad un atto o comportamento illegittimo») il Presidente del Consiglio dei ministri ed il Ministro intendano adottare un'iniziativa normativa urgente che tipizzi espressamente in quali casi e con quali modalità si configuri la colpa della pubblica amministrazione derivante da un atto o comportamento illegittimo e se è dovuto il risarcimento dei danni quando l'oggetto della richiesta del ricorrente istanza non spetta. (4-09510)

Classificazione EUROVOC:
EUROVOC (Classificazione automatica provvisoria, in attesa di revisione):

danno

riconoscimento dei diplomi

pubblica amministrazione