ATTO CAMERA

INTERROGAZIONE A RISPOSTA SCRITTA 4/01518

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 17
Seduta di annuncio: 62 del 31/07/2013
Firmatari
Primo firmatario: BUSINAROLO FRANCESCA
Gruppo: MOVIMENTO 5 STELLE
Data firma: 31/07/2013
Elenco dei co-firmatari dell'atto
Nominativo co-firmatario Gruppo Data firma
GIORDANO SILVIA MOVIMENTO 5 STELLE 31/07/2013
TERZONI PATRIZIA MOVIMENTO 5 STELLE 31/07/2013
DA VILLA MARCO MOVIMENTO 5 STELLE 31/07/2013
AGOSTINELLI DONATELLA MOVIMENTO 5 STELLE 31/07/2013
CANCELLERI AZZURRA PIA MARIA MOVIMENTO 5 STELLE 31/07/2013
D'AMBROSIO GIUSEPPE MOVIMENTO 5 STELLE 31/07/2013
D'INCA' FEDERICO MOVIMENTO 5 STELLE 31/07/2013
DE ROSA MASSIMO FELICE MOVIMENTO 5 STELLE 31/07/2013
COZZOLINO EMANUELE MOVIMENTO 5 STELLE 31/07/2013
LOREFICE MARIALUCIA MOVIMENTO 5 STELLE 31/07/2013
BIANCHI NICOLA MOVIMENTO 5 STELLE 31/07/2013
CECCONI ANDREA MOVIMENTO 5 STELLE 31/07/2013
DE LORENZIS DIEGO MOVIMENTO 5 STELLE 31/07/2013
TURCO TANCREDI MOVIMENTO 5 STELLE 31/07/2013
BENEDETTI SILVIA MOVIMENTO 5 STELLE 31/07/2013
SPESSOTTO ARIANNA MOVIMENTO 5 STELLE 31/07/2013
BECHIS ELEONORA MOVIMENTO 5 STELLE 31/07/2013
ROSTELLATO GESSICA MOVIMENTO 5 STELLE 31/07/2013
BRUGNEROTTO MARCO MOVIMENTO 5 STELLE 31/07/2013


Destinatari
Ministero destinatario:
  • PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
  • MINISTERO DELL'AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE
  • MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO
  • MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI
Ministero/i delegato/i a rispondere e data delega
Delegato a rispondere Data delega
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 31/07/2013
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 31/07/2013
Attuale delegato a rispondere: MINISTERO DELL'AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE delegato in data 05/08/2013
Stato iter:
06/08/2014
Partecipanti allo svolgimento/discussione
RISPOSTA GOVERNO 06/08/2014
GALLETTI GIAN LUCA MINISTRO - (AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE)
Fasi iter:

SOLLECITO IL 06/11/2013

SOLLECITO IL 23/12/2013

RISPOSTA PUBBLICATA IL 06/08/2014

CONCLUSO IL 06/08/2014

Atto Camera

Interrogazione a risposta scritta 4-01518
presentato da
BUSINAROLO Francesca
testo di
Mercoledì 31 luglio 2013, seduta n. 62

   BUSINAROLO, SILVIA GIORDANO, TERZONI, DA VILLA, AGOSTINELLI, CANCELLERI, D'AMBROSIO, D'INCÀ, DE ROSA, COZZOLINO, LOREFICE, NICOLA BIANCHI, CECCONI, DE LORENZIS, TURCO, BENEDETTI, SPESSOTTO, BECHIS, ROSTELLATO e BRUGNEROTTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   giovedì 16 maggio 2013 un'alluvione ha travolto l'est veronese, in particolare i comuni tra Monteforte d'Alpone e San Bonifacio, causando danni enormi alla popolazione, agli agricoltori ed alle piccole e medie imprese;
   inoltre, un uomo, Giuseppe Marchi, è stato travolto e ucciso da un muro di sostegno mentre cercava di arginare la furia delle acque;
   una donna è stata sepolta viva, di notte, incastrata sotto la propria macchina, tradita dalla strada che percorreva ogni giorno per tornare a casa;
   l'evento calamitoso ha ricordato quello che è avvenuto il giorno di Ognissanti che due anni e mezzo fa devastò le stesse zone e in particolare i comuni di Soave, Monteforte d'Alpone e San Bonifacio, oltre che la città di Vicenza e la sua provincia;
   da domenica 31 ottobre a martedì 2 novembre 2010 il Veneto fu interessato da piogge persistenti, a tratti anche a carattere di rovescio, in particolare sulle zone prealpine e pedemontane, dove si superarono diffusamente i 300 millimetri complessivi, con punte massime locali anche superiori ai 500 millimetri;
   rappresentò una delle più tragiche alluvioni degli ultimi due secoli, che vide coinvolte circa 500.000 persone, molte delle quali costrette ad abbandonare le proprie abitazioni anche con mezzi anfibi e gommoni, e ben 262 amministrazioni comunali;
   la profonda sofferenza idraulica e le situazioni di dissesto geologico provocarono ingenti danni al patrimonio pubblico e privato; un livello di criticità elevato in molti corsi d'acqua causò numerose rotte e sormonti arginali, la sofferenza delle strutture idrauliche provocò allagamenti diffusi in diversi bacini idrografici, su una superficie complessiva di circa 140 chilometri quadrati;
   con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 5 novembre 2010 fu dichiarato lo stato di emergenza per gli eccezionali eventi meteo del 31 ottobre 2010-2 novembre 2010, prorogato con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 2 novembre 2011, è scaduto il 30 novembre 2012;
   gli esperti dichiararono che le cause furono molte: un repentino cambiamento di temperatura ha comportato il veloce scioglimento della neve sui monti sovrastanti, l'eccezionale quantità d'acqua piovana caduta sulle Prealpi in un arco di tempo così breve, nonché la mancata realizzazione di opere per la tutela del territorio previste già in passato e non ancora realizzate. Si aggiunga il vento di scirocco che aumentò la spinta del mare impedendo il deflusso delle acque, la cementificazione degli argini, la canalizzazione dei torrenti e la mancata manutenzione dovuta ai tagli ai finanziamenti;
   dalla relazione del prefetto di Verona datata 28 febbraio 2013 si evince che i danni principali furono conseguenti alle numerose rotte e ai vari sormonti arginali verificatesi nelle Province di Vicenza, Padova e Verona. Gli eventi più gravi per la provincia di Verona furono:
    a) la rotta sul torrente Tramigna, nel centro storico del comune di Soave, la rotta sul torrente Alpone;
    b) in comune di Monteforte d'Alpone, località Ponte Rezzina, la rotta sul torrente Aldegà nel Comune di San Bonifacio;
    c) il sormonto arginale sul torrente Chiampo in Comune di San Bonifacio;
   venne chiusa anche l'autostrada A4 in provincia di Verona per tre giorni, individuando percorsi alternativi sulle strade regionali circostanti, presidiate dalla polizia e dalla protezione civile;
   vennero finanziate 277 azioni di differenti tipologie, per un importo totale di 105 milioni di euro; in particolare le tipologie di azioni finanziate sono state le seguenti:
    a) lavori eseguiti in regime di somma urgenza (n. 212 interventi per un importo di circa 63 milioni di euro) mirati prevalentemente al ripristino di difese spondali danneggiate da frane, cedimenti, rotte, sifonamenti, sormonti arginali, nonché alla rimessa in efficienza di impianti idrovori che hanno subito guasti a seguito dell'alluvione;
    b) lavori urgenti e indifferibili (n. 58 interventi per un importo di circa 40 milioni di euro) mirati al ripristino delle difese spondali in muratura e risezionamenti diffusi per il ripristino dell'officiosità dei corsi d'acqua;
    c) studi e indagini (n. 7 interventi, per un importo totale di euro 680.000,00);
   dalla relazione del prefetto emerge che al 20 novembre 2012 risultavano ancora in corso alcuni lavori (circa il 10 per cento) ed altri invece erano da avviare: i cantieri ancora da avviare erano uno nella provincia di Belluno e due nella provincia di Vicenza, mentre i lavori in corso si concentravano per lo più nelle province di Verona e Vicenza, tra cui anche gli «interventi finalizzati alla messa in sicurezza del sistema Alpone-Chiampo-Aldegà e dalla disconnessione idraulica del torrente Tramigna» nonché il completamento di altri lavori definiti di somma urgenza nella zona di Soave e Monteforte;
   tali interventi dovevano essere ultimati entro settembre 2013, salvo eventuali imprevisti, caso in cui è gioco facile ipotizzare di ricadere dopo l'emergenza di maggio 2013;
   alcuni potrebbero pensare che la zona sia soggetta naturalmente a queste catastrofi, magari trovando analogie con alcune altre circostanze, come l'alluvione del Polesine nel 1951 o la rottura degli argini del Piave, avvenuta il 4 novembre 1966, quando il Piave in piena ruppe sia l'argine di sinistra sia l'argine di destra in due zone distinte e travolse campagne e paesi provocando morte e distruzione. Fu per l'Italia la più disastrosa alluvione del secolo, con Firenze e Venezia assurte a città simbolo del disastro e della tragedia;
   nel 2010, Beppe Grillo scriveva sul suo blog: «Tra l'alluvione del Polesine del 1951 e quella del 2010 ci sono alcune importanti differenze. Nel 1951 piovve per due settimane, nel 2010 ha piovuto per tre giorni. Nel 1951 avvenne in gran parte per cause naturali, nel 2010 è stata frutto dell'abbandono e della cementificazione del territorio»;
   considerando quindi l'alluvione del mese scorso, va ricordato come il torrente Aldegà abbia rotto l'argine destro attorno alle ore 15.00 di giovedì 16 maggio e si sia riversato sui campi; l'inondazione è arrivata improvvisamente, l'acqua era ovunque, saliva dai fiumi, dai torrenti, ha allagato campi e strade, ha allagato quartieri, ha reso gli insediamenti industriali inagibili, ha posto la popolazione nuovamente in ginocchio;
   nel comune di Monteforte d'Alpone, la rotta dell'argine destro dell'Aldegà attorno alle ore 15.00 del 16 maggio ha riversato, nei campi di Salmazza prima, e in via Santa Croce poi, un'enorme quantità d'acqua, allagando anche parecchi garage e cantine e coinvolgendo circa 100 residenti nella via, con danni stimati di circa 700.000 euro, per la cui procedura di erogazione la competenza è passata alla regione Veneto;
   tutte queste sono conseguenze del cedimento arginale accaduto dopo che il genio civile ne aveva praticato uno (ampio la metà) sulla sponda opposta, affinché l'Aldegà scaricasse nel bacino di San Vito;
   nel comune di San Bonifacio, l'Alpone è arrivato a sfiorare la spalletta superiore del viadotto in ferro del ponte della Motta, sfiorando la sommità degli argini, per poi scendere di livello nella serata di giovedì 16 maggio: intorno alle ore 14.00 toccava il suo massimo a 3,27 metri al ponte di piazza Martiri, tanto che anche a Belfiore, paese più a sud, si temeva che le acque fuoriuscite giungessero tra le abitazioni;
   a ciò si aggiungano i vari fontanazzi lungo gli argini che venivano tamponati di minuto in minuto dalla protezione civile con sacchi di sabbia;
   nella zona tra Monteforte e Soave sono stati aperti i bacini di San Vito e di San Lorenzo, lungo l'autostrada A4, e sono state chiuse le paratie mobili sul Tramigna realizzate solo dopo l'alluvione del 2010, grazie alle quali è stato parzialmente risparmiato il paese di Soave, eccetto alcune fuoriuscite dai tombini delle vie centrali del paese;
   la statale 11 che attraversa i due torrenti Tramigna e Alpone è rimasta comunque chiusa; l'acqua è stata riversata a sud della statale, con inondazione dei campi che vanno dalla statale 11 alla strada provinciale 38;
   anche l'esondazione del Fibbio nel comune di San Martino Buon Albergo in provincia di Verona può essere definita un vero e proprio disastro annunciato. Le abitazioni lungo il Fibbio sono infatti state recentemente ristrutturate nel rispetto dei vincoli definiti dalla soprintendenza ai beni culturali, per cui il livello originario del pavimento si trova tra i 60 e i 100 cm al di sotto del livello medio dell'acqua. Col passare degli anni il livello medio del fiume si è alzato, con conseguente aumento del rischio di fuoriuscita dell'acqua dagli argini;
   risultano quanto mai urgenti degli interventi, finora non realizzati, volti a dragare il fiume e abbassare di almeno un metro il livello di scorrimento, o in alternativa di alzare gli argini in misura sufficiente a far fronte a questi eventi sempre più frequenti nel nostro territorio;
   nella zona di Caldierino ed Illasi, inoltre, il perdurare delle condizioni meteo avverse non ha consentito di proseguire con i lavori di realizzazione del condotto che sottopassa l'Illasi. Se fosse stato concluso, avrebbe portato via l'acqua tracimata a Caldierino e l'avrebbe convogliata nel torrente Mezzane;
   le piogge abbondanti hanno messo a dura prova anche la situazione sul lago di Garda, dove l'azienda Gardesana Servizi e la comunità del Garda hanno richiesto ai tre prefetti di Verona, Mantova e Brescia di abbassare i parametri stabiliti dalla legge del 1965 per il livello delle acque del lago, almeno in via transitoria fino alla fine dell'emergenza, avendo cura di preservare da una parte il territorio e l'economia turistica e d'altra parte il settore agricolo dei consorzi mantovani. Alla data del 22 maggio 2013, ad esempio, il livello del lago era di 145,60 centimetri, ossia almeno dieci centimetri in più del valore previsto in media per il mese di maggio. In sostanza, circa 300 metri cubi di acqua entrano ogni secondo nel lago di Garda dal Sarca a nord, a dispetto dei circa 170 metri cubi al secondo che escono dal lago entrando in zona Salionze nel fiume Mincio. Fissare un nuovo livello massimo per le acque del lago permetterebbe anche di salvaguardare il sistema di collettamento e depurazione della acque, ed in particolare il lavoro svolto dal depuratore di Peschiera del Garda;
   in conclusione, si ricorda che con decreto del n. 68 del presidente della giunta regionale Luca Zaia ha dichiarato lo stato di crisi in tutta la regione, avviando l’iter per le segnalazioni di danno al patrimonio pubblico e privato, dichiarazioni da presentare entro il 22 giugno 2013, e che saranno verificate a responsabilità dei singoli comuni;
   ad oggi sono stati quantificati in 200 milioni di euro da Luca Zaia, presidente della Regione Veneto, i danni complessivi riscontrati a seguito dell'evento eccezionale, di entità tale da chiedere la dichiarazione dello stato di emergenza;
   va precisato inoltre che le ingenti precipitazioni protrattesi nei mesi scorsi hanno causato enormi danni all'agricoltura, come risulta anche dall'appello formulato da tutti i sindaci della Bassa Veronese in data 27 giugno 2013 diretto tra gli altri anche a tutti i parlamentari veronesi, dove vengono denunciano danni consistenti superiori al 30/40 per cento dei bilanci delle stesse aziende agricole che ad oggi non hanno ancora ricevuto i contributi per la domanda di siccità per l'anno 2012 –:
   se, tra le cause che hanno prodotto il disastro, vi siano state anche l'abbandono, la mancanza di interventi strutturali e di rifacimento degli argini, quali la creazione di bacini di laminazione e casse di grande espansione per lo sfogo delle acque;
   quali siano le ragioni per cui non sia stata realizzata l'esondazione controllata in appositi vasi di espansione e tracimazione per tagliare le punte di piena nei punti strategici a monte del rischio;
   quali iniziative intenda assumere il Governo affinché i veronesi vengano rimborsati dei danni prodotti dall'incuria del territorio e dalla cementificazione;
   quali misure urgenti intenda intraprendere per evitare fatti e calamità naturali del tutto prevedibili, posto che nel programma di Governo presentato in Parlamento vi è un debole, quanto inconsistente, segnale sull'intenzione di assumere un «impegno alla prevenzione con piani straordinari di manutenzione contro il dissesto idrogeologico», ma che, al momento, non si è tradotto in adeguati finanziamenti per avviare gli interventi e le opere necessari per prevenire i ricorrenti disastri in territori devastati dalla cementificazione e dall'abbandono delle campagne da parte dell'uomo;
   se ritenga possibile escludere dal patto di stabilità gli interventi di messa in sicurezza del territorio per sanare i danni provocati da inondazioni e disastri, sfruttando così le risorse economiche che il comune aveva comunque accantonato per la difesa del territorio, ipotizzando anche un risparmio anche per lo Stato nella prospettiva di evitare di stanziare ex post fondi straordinari;
   quando sia prevista la conclusione dei lavori in corso alla data della stesura della relazione del Prefetto di Verona relativa all'alluvione del 2010, per l'effettiva messa in sicurezza del territorio;
   se non ritenga utile intervenire incisivamente e costantemente, di concerto con i consorzi di bonifica, per una mirata programmazione degli interventi di riduzione del rischio idrogeologico, ed una corretta pianificazione territoriale;
   se non ritenga opportuno potenziare il patrimonio agricolo e la disponibilità di terra fertile con un adeguato riconoscimento dell'attività agricola, evitando l'eccessiva cementificazione;
   se il Governo intenda fornire alla regione Veneto i fondi necessari per risarcire i danni provocati dall'alluvione di maggio 2013, nonché per erogare i contributi per le domande di siccità presentate dalle aziende agricole per l'anno 2012. (4-01518)

Atto Camera

Risposta scritta pubblicata Mercoledì 6 agosto 2014
nell'allegato B della seduta n. 280
4-01518
presentata da
BUSINAROLO Francesca

  Risposta. — Nel periodo compreso tra il 16 e il 24 maggio 2013, il Veneto è stato interessato da eventi meteorologici particolarmente intensi, tali da comportare ingenti danni al territorio e alle attività produttive ivi insistenti, nonché alcune vittime tra la popolazione residente.
  Tempestivamente era stato dato avvio alle operazioni di soccorso alla popolazione, agli interventi più urgenti volti a rimuovere lo stato di pericolo, al fine di favorire il più sollecito ritorno delle normali condizioni di vita sociale, e garantire la ripresa delle attività economiche, nonché veniva avviata una prima ricognizione dei danni e una rilevazione dei territori comunali coinvolti dall'evento.
  Il 29 maggio 2013 il Presidente della Regione Veneto procedeva a dichiarare «stato di crisi», indicando, sulla base delle segnalazioni pervenute, un primo elenco di 93 comuni interessati.
  Nelle more della dichiarazione dello stato di emergenza, la struttura regionale della protezione civile già dai primi giorni del mese di giugno 2013 aveva avviato una puntuale ricognizione per conoscere i danni subiti da privati e imprese, l'entità degli interagenti urgenti posti in essere e di quelli necessari per rimuovere le situazioni di pericolo e assicurare la indispensabile assistenza alle popolazioni colpite dai predetti eventi alluvionali.
  A seguito di conforme richiesta della Regione Veneto, con delibera del Consiglio dei ministri del 26 luglio 2013 veniva proclamato lo «stato di emergenza», la cui scadenza era fissata al 24 ottobre 2013.
  Con il medesimo provvedimento, per l'attuazione degli interventi da effettuare nella vigenza dello stato di emergenza, il capo del Dipartimento della protezione civile era stato autorizzato a provvedere con apposite ordinanze anche in deroga ad ogni disposizione vigente e nel rispetto dei principi generali. Le risorse finanziarie messe a disposizione erano pari a 10 milioni di euro.
  Lo stesso capo del Dipartimento della protezione civile, acquisita l'intesa con la Regione Veneto, con propria ordinanza n. 112 del 22 agosto 2013 procedeva a nominare il commissario delegato per gestire i primi interventi di protezione civile più urgenti e prioritari.
  Nel mese di febbraio 2014, in attuazione della successiva ordinanza n. 131 del 22 novembre 2013, è stato elaborato il documento dal titolo «Ricognizione dei fabbisogni per il ripristino delle infrastrutture e del patrimonio pubblico, del patrimonio privato nonché dei danni subiti dalle attività economiche e produttive a seguito delle eccezionali avversità atmosferiche verificatesi nei giorni dal 16 al 24 maggio 2013 nel territorio della Regione Veneto ai sensi dell'articolo 5, comma 2, lettera
b), della legge 24 febbraio 1992, n. 225 e s.m.i».
  Il totale complessivo dei fabbisogni risultava essere particolarmente impegnativo, essendo determinato in quasi 84 milioni di euro, di cui più di 70 milioni di euro da destinare al ripristino del patrimonio pubblico, quasi 5 milioni di euro per il ripristino del patrimonio privato e quasi 7,5 milioni di euro per il ripristino del patrimonio relativo ad attività economiche e produttive.
  In merito alle cause che hanno prodotto gli allagamenti occorsi nel territorio veneto, nonché le diffuse situazioni di sofferenza idraulica, non si può non sottolineare che esse sono la conseguenza di vari fattori, i principali dei quali sono:
   la diffusa impermeabilizzazione occorsa negli ultimi decenni, non sempre attenta agli impatti sul regime idraulico, con rilevante aumento dei coefficienti di deflusso e la riduzione dei tempi di corrivazione;
   l'estremizzazione degli eventi di pioggia.

  A fronte delle radicali trasformazioni climatiche e dell'uso del suolo, infatti, non ha corrisposto l'adeguamento delle opere idrauliche e la realizzazione degli interagenti strutturali già previsti in tutti i piani successivi all'alluvione del 1966.
  Per quanto attiene alla definizione degli intendenti necessari per garantire un adeguato grado di sicurezza idraulica al territorio veneto, si evidenzia che già a seguito dell'alluvione del 2010, l'allora nominato «Commissario per il superamento dell'emergenza alluvione» (ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3906 del 2010) aveva provveduto a predisporre un piano strategico per la pianificazione di azioni e di interventi di mitigazione del rischio idraulico e geologico, al fine di ridurre definitivamente gli effetti dei fenomeni alluvionali, in coerenza con gli altri progetti di regolazione delle acque predisposti per la tutela e la salvaguardia del territorio.
  Il predetto commissario si era avvalso di un soggetto attuatore per la pianificazione degli interventi, individuato nel segretario generale delle autorità di bacino dell'Adige e dei fiumi Isonzo, Tagliamento, Livenza, Piave, Brenta-Bacchiglione e di un comitato tecnico-scientifico sul rischio idraulico e geologico composto da docenti universitari.
  Con delibera n. 1643 dell'11 ottobre 2011, acquisite le necessarie osservazioni da parte degli enti territorialmente e istituzionalmente competenti, la giunta regionale del Veneto aveva preso atto del realizzato strumento di pianificazione denominato «Piano delle azioni e degli interventi di mitigazione del rischio idraulico e geologico» recante la data del 30 marzo 2011.
  Il piano in questione risultava, peraltro, particolarmente impegnativo in quanto prevedeva interagenti sul territorio per un del valore complessivo di circa 2,7 miliardi di euro.
  Nel corso del 2012 la Regione Veneto, con un significativo sforzo che inevitabilmente penalizzava altri interventi, aveva attivato un fondo denominato «piano straordinario degli interventi a seguito dell'emergenza alluvionale 2010», relativo al triennio 2012-2014, esaurendo ogni risorsa ordinaria a propria disposizione.
  In merito alle ragioni per cui non sia stata realizzata l'esondazione controllata in appositi vasi di espansione e tracimazione per tagliare le punte di piena nei punti strategici a monte del rischio, è stato osservato che la gestione e l'allagamento dei bacini di laminazione esistenti, nonché la manovra degli organi di regolazione, risulta sia stata attuata anche per la piena del maggio 2013 al fine di minimizzare gli impatti.
  Va tenuto conto che nel territorio veronese, ad oggi, l'unico bacino di laminazione significativo al fine della laminazione delle piene del torrente Chiampo-Aldegà è il bacino di San Vito che risulta insufficiente a garantire condizioni accettabili di sicurezza idraulica.
  Inoltre, i bacini di laminazione finanziati e in fase di realizzazione nel territorio veronese sono due, denominati «Montecchia-Colobaretta», avente un volume d'invaso di circa 900.000 metri cubi, e «San Lorenzo», in comune di Soave, avente un volume d'invaso pari a circa 850.000 metri cubi. La fine dei lavori per il primo di essi è prevista per il mese di giugno 2016, mentre per il secondo l'ultimazione dei lavori è prevista per il mese di settembre 2015.
  È in fase di progettazione definitiva l'ampliamento dell'esistente bacino di «Montebello», tale da incrementare il volume d'invaso dagli esistenti 6,8 milioni ai previsti 9,7 milioni di metri cubi.
  È stato precisato, peraltro, che solo ove vi siano opere idrauliche di controllo e di conterminazione delle aree sondabili – e cioè siano realizzati i bacini di laminazione – è possibile, in sicurezza, ridurre le portate di piena di un corso d'acqua.
  Per quanto attiene ai tempi previsti per la conclusione dei lavori in corso alla data della stesura della relazione del prefetto di Verona relativa all'alluvione del 2010 per l'effettiva messa in sicurezza del territorio, si rappresenta che lavori per il ripristino delle opere idrauliche danneggiate dalla piena del 2010 (ex ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3906 del 2010, già citata) risultano terminati, fatti salvi gli interventi concernenti i bacini di laminazione che, data la loro complessità progettuale e realizzativa, non risultano conclusi, e di cui si è già riferito.
  Allo stesso modo, si rappresenta che in merito alle attività di prevenzione del rischio idrogeologico, attuazione di quanto disposto dal Governo con la legge finanziaria per il 2010 con riferimento alla realizzazione di piani straordinari diretti a rimuovere le situazioni a più elevato rischio idrogeologico in tutto il territorio nazionale, questo Ministero già dai primi mesi del 2010 aveva avviato le procedure per dare attuazione alle pertinenti disposizioni normative, avviando una serie di consultazioni con tutte le regioni interessate – e quindi anche con la Regione Veneto – coinvolgendo le competenti autorità di bacino nonché il Dipartimento della protezione civile.
  Le consultazioni avviate con le regioni si conclusero con la sottoscrizione di specifici «accordi di programma» che individuavano e finanziavano gli interventi urgenti diretti a rimuovere le situazioni a più elevato rischio idrogeologico, proposti dalle regioni. Interventi, questi, volti prioritariamente alla salvaguardia della vita umana attraverso la riduzione del rischio idraulico, di frana e di difesa della costa, prevalentemente mediante la realizzazione di nuove opere nonché con azioni di manutenzione ordinaria e straordinaria.
  In particolare, tra questo Ministero e la Regione Veneto il relativo «accordo» venne firmato in data 23 dicembre 2010, e modificato con un successivo «atto aggiuntivo» il 10 novembre 2011. L'importo complessivo considerato era pari a 44,877 milioni di euro, di cui 35,993 milioni di euro di provenienza «ministeriale», e 8,884 milioni di euro venivano messi a disposizione dalla regione.
  Com’è noto, tuttavia, il principale impedimento che costituisce una costante quando si affrontano le tematiche del dissesto idrogeologico è rappresentato sicuramente dalla scarsità delle risorse disponibili, sia in termini relativi che assoluti. Situazione oggettiva, questa, aggravata dalla circostanza che le risorse destinate al finanziamento di interventi per la mitigazione del rischio idrogeologico spesso sono state distolte di tali finalità «programmatiche» per far fronte alle spese impreviste conseguenti ai danni causati da eventi alluvionali nel frattempo occorsi. Ciò è accaduto, infatti, anche rispetto agli «accordi» di cui sopra, dove i fondi inizialmente stanziati sono stati in parte utilizzati in via di urgenza per far fronte agli eventi calamitosi verificatisi in alcune regioni italiane. Ad oggi, il valore complessivo degli stessi «accordi» sottoscritti con le regioni, considerate le risorse Fondo aree sottoutilizzate (Fas) statali destinate dalla legge finanziaria per il 2010, quelle di bilancio messe a disposizione da questo Ministero e le risorse proprie delle regioni, è pari a circa 2.075 milioni di euro per oltre 1.500 interventi individuati e finanziati.
  Non si può ignorare, in ultimo, il parallelo tema del corretto uso del suolo, altra problematica affrontata dagli interroganti con l'atto di sindacato ispettivo che si riscontra.
  È da qualche mese all'attenzione della competente Commissione della Camera dei deputati, infatti, il disegno di legge «governativo» AC 2039 recante «Contenimento del consumo del suolo e riuso del suolo edificato».
  Il predetto disegno di legge in particolare, persegue la finalità di contenere il consumo del suolo, di promuovere l'attività agricola che sullo stesso si svolge o potrebbe svolgersi, nonché gli obiettivi del prioritario riuso del suolo edificato e della rigenerazione urbana rispetto all'ulteriore consumo del suolo edificato, al fine complessivo di impedire che lo stesso venga eccessivamente «eroso» e «consumato» dall'urbanizzazione.
  La salvaguardia della destinazione agricola dei suoli e la conservazione della relativa vocazione naturalistica rappresentano, infatti, un obiettivo di primaria importanza, soprattutto alla luce dei dati statistici acquisiti, dai quali risulta la progressiva «cementificazione» della superficie agricola nazionale. Fenomeno, questo, che compromette il suolo – che per l'Italia, stante l'elevata densità abitativa e la morfologia del territorio, rappresenta un bene di cui v’è carenza e rappresenta, quindi, una risorsa fondamentale non solo dal punto di vista agricolo-alimentare, ma anche sotto il profilo paesaggistico-ambientale. La perdita di superficie agricola, infatti, comporta inevitabilmente una riduzione della produzione agricola, rendendola insufficiente a soddisfare il fabbisogno alimentare nazionale e facendo crescere la dipendenza del nostro Paese dall'estero. Preservare la vocazione agricola del suolo ed evitare di snaturarne e stravolgerne le connotazioni naturalistiche attraverso l'eccessiva urbanizzazione, significa, inoltre, anche tutelare il paesaggio contro il rischio di deturpamento delle bellezze naturali, sia l'ambiente contro il rischio – appunto – di disastri idrogeologici anche conseguenti al cattivo uso del suolo e del territorio.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.

Classificazione EUROVOC:
EUROVOC :

inondazione

Veneto

indennizzo

disastro naturale

rete stradale

risorsa economica

settore agricolo