ATTO CAMERA

INTERPELLANZA 2/01289

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 17
Seduta di annuncio: 577 del 25/02/2016
Firmatari
Primo firmatario: MAESTRI ANDREA
Gruppo: MISTO-ALTERNATIVA LIBERA-POSSIBILE
Data firma: 25/02/2016


Destinatari
Ministero destinatario:
  • PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
  • MINISTERO DELL'INTERNO
Ministero/i delegato/i a rispondere e data delega
Delegato a rispondere Data delega
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 25/02/2016
Attuale delegato a rispondere: MINISTERO DELL'INTERNO delegato in data 11/03/2016
Stato iter:
IN CORSO
Atto Camera

Interpellanza 2-01289
presentato da
MAESTRI Andrea
testo di
Giovedì 25 febbraio 2016, seduta n. 577

   Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, per sapere – premesso che:
   il 17 febbraio 2016, la commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato ha presentato il rapporto sui Centri di identificazione ed espulsione (Cie), per tracciare un bilancio dei primi cinque mesi dall'adozione del nuovo sistema hotspot, in seguito all'adozione dell'Agenda europea sulla migrazione da parte della Commissione europea nel maggio 2015, in materia di identificazione, trattenimento ed espulsione dei cittadini stranieri e di approvazione in Italia del decreto legislativo n. 142 del 2015, in attuazione della direttiva 2013/33/UE sulle norme relative all'accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, in vigore dal 30 settembre 2015;
   nel suddetto rapporto sono descritti alcuni fatti e circostanze che si indicano;
   nel corso del 2015, con riferimento al trattenimento di persone straniere nei centri di identificazione e di espulsione in Italia, oltre all'aumento del numero dei Cie è subentrata quindi, una nuova misura di identificazione, le strutture denominate hotspot, nelle quali la Polizia italiana è supportata da funzionari delle agenzie europee Europol, Eurojust, Frontex ed Easo;
   gli hotspot sono aree attrezzate (in pratica centri di «smistamento»), collocati in prossimità dei luoghi dello sbarco (in Italia a gennaio 2016 sono stati dichiarati attivi quelli di Lampedusa, Trapani e Pozzallo), dove vengono effettuate alle persone sbarcate le operazioni di screening sanitario, preidentificazione, registrazione e foto-segnalamento per ingresso illegale. In seguito sono intervistate da funzionari degli uffici immigrazione e devono indicare la proprio volontà o meno di richiedere la protezione internazionale. Spesso, per mancanza di sufficienti informazioni, i migranti vengono trasferiti nei Cie senza aver avuto la possibilità di essere informati o di aver compreso realmente le procedure per la richiesta di asilo;
   la Commissione ha visitato il primo degli hotspot aperti nel nostro Paese, quello di Lampedusa, rilevando che tra il 1o settembre 2015 e il 13 gennaio 2016 sono arrivati sull'isola 4.597 cittadini stranieri: di questi ne sono stati registrati e identificati 3.234 (870 provenienti dall'Eritrea, 848 dalla Somalia, 711 dalla Nigeria, 535 dal Marocco, 235 dal Sudan, 222 dal Gambia, 133 dal Mali, 130 dalla Guinea, 129 dalla Siria, e in numero minore da altri paesi). Ma al programma di ricollocamento hanno avuto accesso solo 563 persone (circa il 12 per cento del totale), nella maggior parte eritrei, oltre che siriani e iracheni, come previsto dal piano europeo. Di queste, 279 sono già state trasferite nei Paesi di destinazione, 198 sono in attesa di partire e 86 hanno avviato la procedura i primi giorni di gennaio;
   solo 502 persone hanno chiesto asilo nel nostro Paese (il 10 per cento), quelli invece che non hanno voluto chiedere asilo in Italia, sono stati considerati migranti irregolari; 74 sono stati trasferiti nei Cie in tutta Italia, mentre 775 hanno ricevuto un provvedimento di respingimento differito, con l'ordine di lasciare il territorio nazionale entro 7 giorni (sono complessivamente più del 18 per cento del totale degli stranieri arrivati a Lampedusa). Le persone che ricevono un provvedimento di respingimento differito non ricevono nessuna informazione su cosa fare e non hanno neanche il diritto ad essere ospitati nel circuito d'accoglienza, quindi rimangono irregolarmente nel territorio italiano vivendo e lavorando illegalmente in condizioni estremamente precarie;
   molte persone rifiutano di farsi identificare perché non possono scegliere il Paese di destinazione, europeo in base all'esistenza di una rete familiare o una rete di conoscenze o di rapporti culturali, mentre invece, così come previsto dalle clausole discrezionali dello stesso regolamento di Dublino, questa scelta andrebbe privilegiata e diventerebbe un fattore incentivante per la partecipazione al programma;
   la Commissione ha rilevato irregolarità, soprattutto nella fase di pre-identificazione e di status, che si svolge con la semplice compilazione di un questionario formulato in maniera estremamente stringata e poco comprensibile, che non tiene conto di avere di fronte persone appena sbarcate, ancora sotto shock per i rischi corsi e soprattutto perché, nella maggior parte dei casi, si trova nell'impossibilità di comprendere anche solo una delle quattro lingue tradotte dai mediatori, dato che si tratta spesso di persone analfabete o poco alfabetizzate. Il poco tempo a disposizione, unitamente all'ingente mole di lavoro, portano a una cernita sommaria di chi può e chi non può fare ingresso in Europa e non permette di individuare subito lo « status» del migrante, poiché tutto il procedimento è basato su automatismi, più che su attente valutazioni che non tengono conto degli elementi soggettivi e della storia individuale della persona sbarcata;
   in questa fase, vengono distinte persone richiedenti asilo da altre richiedenti asilo con procedura di ricollocazione verso altri Paesi dell'Unione europea che si sono dichiarati disponibili ad accogliere richiedenti asilo sbarcati nel nostro territorio, e individuate persone da sottoporre ad interviste di approfondimento da parte di funzionari di Frontex ed Europol, al fine di acquisire informazioni utili per scopi investigativi e/o di intelligence;
   una volta trasferiti all'interno dei centri di identificazione ed espulsione, le persone trovano una situazione dove la tensione è altissima perché provocata dalla presenza all'interno di individui con storie, origine e provenienza che ne fanno ognuno un caso a sé stante. Questa composizione dipende, da una parte, dalla scarsa regolamentazione e progettualità propria dell'intero sistema dei centri e, dall'altra, dalla rigidità della normativa italiana in materia di immigrazione, per cui è sufficiente che uno straniero perda il lavoro o non gli venga rinnovato il permesso di soggiorno per più di 12 mesi per diventare irregolare ed essere «recluso» presso un Cie. Allo stato attuale sono sei i Cie funzionanti (Bari, Brindisi, Caltanissetta, Crotone, Roma, Torino) – uno in più rispetto all'anno scorso;
   nello specifico, nei centri di identificazione ed espulsione vengono trattenute tutte quelle persone sprovviste di un valido titolo di soggiorno in Italia: persone che non hanno mai avuto un documento regolare per la permanenza in Italia, persone che erano in possesso di un documento regolare e non sono riuscite a rinnovarlo, nati in Italia o giunti nel Paese minorenni, che a diciotto anni, non hanno potuto rinnovare il documento per la raggiunta maggiore età, apolidi, che non hanno fatto la richiesta perché gli sia riconosciuto quello status, richiedenti asilo che non hanno presentato la domanda al momento dell'arrivo in Italia, ex-detenuti;
   spesso si tratta di persone che, da molti anni, vivono insieme alle loro famiglie in Italia, Paese nel quale hanno sede i loro affetti e interessi, senza avere più alcun legame con i loro paesi di origine. La reclusione per queste persone si rivela inutile, poiché esiste una oggettiva difficoltà a identificare le stesse dopo tanti anni trascorsi lontano dal Paese d'origine, e diviene lesiva del diritto all'unità familiare dei migranti e dei loro congiunti;
   vi sono poi giovani di origini straniere nati e cresciuti in Italia: chi ha sempre avuto un permesso di soggiorno e al compimento dei diciotto anni non è riuscito a rinnovarlo, trovandosi così in una situazione di irregolarità e chi è nato in Italia ma non è mai stato regolare. Il passaggio alla maggiore età è un momento critico perché il permesso di soggiorno deve essere legato alla frequentazione di un corso di studi oppure alla firma di un contratto di lavoro. Non è raro il caso di chi, nonostante sia in Italia da molti anni e qui abbia portato avanti un percorso di formazione e di vita, per l'assenza di queste due condizioni, rischi di essere rimpatriato;
   la Commissione si sofferma sui casi di persone trattenute nei Cie che vivono in Italia da anni e che qui hanno avuto dei figli, a volte con partner italiani. Queste, situazioni possono essere sanate e definite in maniera più veloce, rispetto alle normali procedure attualmente previste, con un intervento del giudice di pace che non convalidi il trattenimento, in virtù della presenza di un figlio minore, dato che, sulle esigenze di sicurezza prevale il principio dell'unità familiare. Si eviterebbero così settimane o mesi di privazione della libertà e di attesa dovute attualmente ad una procedura lenta e farraginosa, che prevede l'inoltro di una domanda apposita al tribunale per i minorenni;
   ulteriori casi da considerare come anomalia del sistema sono quelli relativi alle persone di fatto inespellibili, ripetutamente recluse, ai fini dell'identificazione, e più volte ritenute inespellibili, come nel caso delle persone rom che non possono sanare la loro posizione giuridica. Una soluzione potrebbe essere quella del riconoscimento dell'apolidia – qualora vi fossero le condizioni per attuare la procedura. La richiesta di status di apolide, anche quando accessibile, non viene quasi mai attivata per mancanza di informazioni sulla procedura e accade così che ci siano persone che vengono trattenute anche sei, sette volte, mentre in altri rari casi vengono avviati procedimenti di regolarizzazione. In Italia manca infatti una normativa organica in materia che consenta alle persone apolidi di essere riconosciute e godere pertanto dei diritti, e di adempiere ai doveri, previsti a livello internazionale;
   dopo il contestato caso delle donne nigeriane rimpatriate dal Cie di Ponte Galeria, dalle parti di Roma, è necessario prestare la massima attenzione e rafforzare la capacità di accoglienza per le vittime di tratta di esseri umani, affinché venga loro assicurata un'immediata protezione e un allontanamento, già dal momento dello sbarco, dai loro sfruttatori che sono spesso a bordo degli stessi barconi. Nel corso del 2015, secondo le stime dell'Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), si è verificato un incremento esponenziale di arrivi via mare di donne africane, provenienti in modo particolare dalla Nigeria, e alcune di loro sono state poi trattenute nei Cie italiani, senza poter avere accesso al circuito di protezione per le donne vittime di tratta;
   il Capo della polizia nel corso di un'audizione alla Camera il 20 gennaio 2016, ha informato che nel 2015 su un totale di 34.107 stranieri sottoposti a un provvedimento di espulsione dal territorio italiano, 15.979 sono stati effettivamente allontanati dal territorio italiano (circa il 46 per cento), mentre 18.128 non hanno mai lasciato il Paese e rimarranno in Italia senza alcun titolo di soggiorno, con scarse possibilità di regolarizzazione con il passare del tempo, e molte invece di essere di nuovo trattenuti. Per questo motivo, in Italia, sarebbe necessaria una procedura di regolarizzazione alternativa a quella della protezione internazionale, accessibile a chi è già presente sul territorio e permetterebbe ai lavoratori stranieri irregolari di inquadrare la loro posizione, senza ricorrere al tentativo di richiesta di protezione internazionale per ottenere un permesso di soggiorno;
   i motivi che ostacolano i rimpatri sono complessi e riguardano innanzitutto i costi altissimi, ma anche la necessità del «riconoscimento» dell'autorità consolare del Paese di provenienza e i limiti ben precisi per l'uso coercitivo delle misure fissati dalla direttiva 2008/115/CE. Attualmente, quindi, sono possibili solo verso quei Paesi con cui esiste un accordo di riammissione, l'Egitto, la Tunisia e la Nigeria. Sono state, poi, avviate forme di cooperazione operativa con i Paesi dai quali hanno origine i principali flussi di immigrazione irregolare: in particolare, con Gambia, Costa d'Avorio, Ghana, Senegal, Bangladesh e Pakistan. Anche il supporto di Frontex, nel 2015 ha portato al rimpatrio di solo 290 persone: di queste, 153 con voli organizzati in via bilaterale verso l'Egitto e la Tunisia, 137 verso la Nigeria, attraverso voli congiunti con gli altri Stati membri;
   la commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani, con riferimento al rimpatrio coatto, identifica in alternativa il rimpatrio volontario assistito e la possibilità per il migrante di ricevere aiuto per ritornare in modo volontario e consapevole nel proprio Paese di origine, stabilendo un termine per lasciare volontariamente l'Italia (periodo che varia tra i 7 e i 30 giorni) e, per incentivare il ricorso alla procedura, introdurre la revoca del divieto di reingresso (attualmente dai 3 ai 5 anni) per gli stranieri irregolari che collaborino alla loro identificazione e al rimpatrio –:
   se i fatti narrati in premessa corrispondano al vero e, nell'eventualità positiva, se il Governo non ritenga opportuno adottare delle iniziative normative volte ad introdurre procedure di regolarizzazione per i lavoratori stranieri irregolari già presenti sul territorio e se, in alternativa al rimpatrio coatto, non ritenga necessario introdurre disposizioni con riferimento al migrante irregolare per favorire il rimpatrio volontario assistito e l'incentivo alla revoca del divieto di reingresso, come anche indicato dalla commissione di cui in premessa;
   in seguito all'approvazione della legge di ratifica dell'adesione alla Convenzione sulla riduzione dell'apolidia del 1961, se il Governo non intenda in tempi brevi assumere iniziative normative che rendano le procedure di riconoscimento dello status di apolidia più efficaci ed accessibili;
   alla luce dell'inefficacia e della sommarietà del sistema degli hotspot e delle direttrici principali del piano europeo, e della compatibilità con il programma di ricollocamento e l'attuazione dei rimpatri, se e quali iniziative intenda assumere per individuare forme di cooperazione con gli altri Paesi membri dell'Unione europea più rispettose dei diritti umani e coinvolgerli nella gestione e nell'assistenza dei migranti.
(2-01289) «Andrea Maestri».

Classificazione EUROVOC:
EUROVOC (Classificazione automatica provvisoria, in attesa di revisione):

asilo politico

migrazione illegale

diritti umani