ATTO CAMERA

INTERPELLANZA 2/00998

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 17
Seduta di annuncio: 436 del 05/06/2015
Firmatari
Primo firmatario: MUCCI MARA
Gruppo: MISTO-ALTERNATIVA LIBERA
Data firma: 05/06/2015
Elenco dei co-firmatari dell'atto
Nominativo co-firmatario Gruppo Data firma
ARTINI MASSIMO MISTO-ALTERNATIVA LIBERA 05/06/2015
BALDASSARRE MARCO MISTO-ALTERNATIVA LIBERA 05/06/2015
BARBANTI SEBASTIANO MISTO-ALTERNATIVA LIBERA 05/06/2015
BECHIS ELEONORA MISTO-ALTERNATIVA LIBERA 05/06/2015
PRODANI ARIS MISTO-ALTERNATIVA LIBERA 05/06/2015
RIZZETTO WALTER MISTO-ALTERNATIVA LIBERA 05/06/2015
SEGONI SAMUELE MISTO-ALTERNATIVA LIBERA 05/06/2015
TURCO TANCREDI MISTO-ALTERNATIVA LIBERA 05/06/2015


Destinatari
Ministero destinatario:
  • PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
  • MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE
  • MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI
  • MINISTERO PER LA SEMPLIFICAZIONE E LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
Ministero/i delegato/i a rispondere e data delega
Delegato a rispondere Data delega
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 05/06/2015
Attuale delegato a rispondere: PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI delegato in data 11/06/2015
Stato iter:
IN CORSO
Atto Camera

Interpellanza 2-00998
presentato da
MUCCI Mara
testo di
Venerdì 5 giugno 2015, seduta n. 436

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'economia e delle finanze, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, per sapere – premesso che:
   la recente sentenza della Corte costituzionale ha generato numerosi commenti sulla sostenibilità delle finanze pubbliche e sul diritto a vedersi riconosciute interamente i cosiddetti diritti acquisiti;
   i dati sulla crescita incessante della spesa pubblica è certo ed in parte dipende dall'evoluzione dei prezzi;
   l'obiettivo da raggiungere, il dato fondamentale per garantire la sostenibilità delle finanze, è rappresentato dalla crescita del Pil perché tramite la diminuzione del rapporto esistente tra esso e il deficit abbiamo una misura che possa indicarci il quantum di spesa pubblica che il paese può permettersi di finanziare tramite le imposte;
   dal «Rapporto sulla programmazione del bilancio», appena pubblicato, si deduce che dal 2007 al 2014 le voci principali dei conti delle amministrazioni pubbliche (rappresentate dalla somma dei conti consolidati di amministrazioni centrali, amministrazioni locali e enti di previdenza ovvero tutta la spesa pubblica primaria, quella al netto degli interessi sul debito) in rapporto al Pil, che la pressione tributaria è cresciuta di circa 2 punti percentuali (nel 2011), dal 28,5 al 30,5 per cento, per poi rimanere stabile, mentre i contributi sociali si sono mantenuti più o meno costanti, pari al 13 per cento del Pil, per tutto il periodo considerato;
   la pressione fiscale (data dalla somma dei tributi più contributi) ha raggiunto il 43,5 per cento del Pil nel 2011, per poi mantenersi costante facendo logicamente dedurre che il riequilibrio della finanza pubblica si è realizzato soprattutto ricorrendo ad un ulteriore aumento dell'imposizione fiscale;
   la spesa in conto capitale, quella produttiva, necessaria per investimenti che facciano crescere il PIL e il numero degli occupati si è praticamente dimezzata, passando da quasi il 5 per cento del Pil a circa il 3 per cento;
   i tagli alla spesa hanno interessato la spesa necessaria, mantenendo quella superflua, inutile e a volte persino dannosa quando è fatto notorio che alla spesa in conto capitale è legato il mantenimento e l'ammodernamento delle infrastrutture, senza le quali il Paese fatica e non riesce a tornare a crescere;
   di contro la spesa corrente, quella per i dipendenti pubblici e l'acquisto di beni e servizi, dopo una lieve crescita nel momento più duro della crisi nel 2009 (quanto il reddito reale si è ridotto di oltre 6 punti in un anno) ha ripreso un trend decrescente e nel 2014 è sul Pil di poco superiore a quanto fosse nel 2007, cioè attorno al 18 per cento;
   risultato modesto poiché il Pil reale nel frattempo si è ridotto di oltre il 9 per cento e l'inflazione è cresciuta più o meno nella stessa misura, cosicché il Pil nominale del 2014 non è molto diverso da quello del 2007;
   naturalmente il blocco degli stipendi e del turnover per l'impiego pubblico insieme alle varie misure di riduzione della spesa per gli acquisti qualche effetto l'hanno avuto, riducendo questa componente della spesa in termini reali;
   al contrario, la spesa per le prestazioni sociali in denaro è cresciuta di circa 4 punti rispetto al Pil, passando da circa il 17 a circa il 21 per cento. Dentro questa voce ci sono le pensioni, che ne costituiscono oltre l'80 per cento, e vari interventi di protezione sociale, inclusi il pagamento del Tfr, la cassa integrazione, l'indennità per malattia e infortuni, gli assegni familiari e altro ancora. In questa voce sono contabilizzati anche gli 80 euro mensili elargiti dal Governo solo ad alcuni, non certo i più bisognosi;
   se l'elargizione fosse interpretabile come riduzione di imposte (tale è la versione che con insistenza il governo fornisce ai media, a nostro avviso falsificando la realtà fattuale) invece che come maggiore spesa, si potrebbe far apparire che la pressione fiscale nel 2014 sia diminuita. Anche se in modo quasi infinitesimale poiché si tratta solo di qualche decimo di punto;
   appare naturale il fatto che il fabbisogno necessario per garantire la cassa integrazione agli imprenditori che l'hanno ottenuta con un provvedimento amministrativo e discrezionale di competenza del Governo, sia notevolmente cresciuto durante la crisi (triplicando gli importi erogati in termini nominali), visto che si tratta di una componente legata al ciclo. Se, e quando, il paese uscirà dalla recessione, la cassa integrazione o qualunque altra forma di ammortizzatore sociale la sostituirà in futuro, l'importo erogato si ridurrà automaticamente;
   forti preoccupazioni provengono invece dalla stima della spesa la quale, nonostante la cosiddetta legge Fornero e i vari provvedimenti presi durante la crisi, compreso il blocco della rivalutazione recentemente sentenziato come incostituzionale dalla Corte costituzionale, ha continuato su un trend crescente anche durante la lunga recessione;
   la voce di spesa è legata sia al naturale invecchiamento della popolazione che ai diritti acquisiti come definiti dalla legislazione e dalla giurisprudenza costituzionale, compreso adeguamento automatico all'inflazione. È di evidenza solare il fatto che se non si interviene secondo un diverso criterio, fondato su una effettiva giustizia sociale, la spesa rimarrà incomprimibile, favorendo l'iniquità intergenerazionale. L'iniquità intergenerazionale garantirebbe lo status quo, i padri e i nonni privilegiati perché hanno goduto di maggiori diritti e pagato minori contributi rispetto ai figli e nipoti, in genere lavoratori con occupazioni precarie, grazie al fatto di aver votato per i partiti che hanno approvato scientemente leggi di spesa senza preoccuparsi di reperire in modo costituzionalmente legittimo i fondi necessari a fornire i diritti stessi. Le precedenti generazioni di contribuenti, a nostro avviso, si sono prestate ad un enorme voto di scambio poiché i partiti, sia della maggioranza che dell'opposizione, in cambio di voti certi garantiti da spese fatte a vantaggio della maggioranza degli elettori, hanno reiteratamente e scientemente, ad avviso degli interpellanti, violato il quarto comma dell'originario articolo 81 della Costituzione. La pena per quell'errore politico è oggi scontata da contribuenti innocenti, cittadini che subiscono ingiustamente l'onere delle scelte esecrabili fatte in precedenza, quando per oltre un cinquantennio si è ricorso, senza soluzione di continuità, ad una dissennata politica di deficit spending, malamente spacciata come politica keynesiana. Naturalmente, attualizzando i dati e comparandoli, le nuove generazioni di contribuenti risultano estremamente svantaggiate nonostante, o a causa, delle sentenze della Corte costituzionale;
   a riprova della bontà delle affermazioni, si considerino i tassi di crescita media annui delle principali voci di spesa pubblica, sempre ripresi dal «Rapporto» dell'Ufficio di bilancio ove si evince una crescita nominale per vari periodi delle diverse componenti di spesa pubblica, fino al 2019;
   il tasso di crescita di redditi da lavoro e degli acquisti di beni e servizi si è quasi azzerato nell'ultimo quinquennio, mentre era attorno al 5 per cento annuo nel periodo 2000-2009, quello della spesa per le prestazioni sociali in denaro, pur riducendosi, è rimasto attorno al 2 per cento l'anno. Il risultato di questi andamenti differenziati dipende dal fatto che la crescita della spesa pubblica primaria è stata di poco superiore all'1 per cento l'anno nell'ultimo quinquennio, contro oltre il 4 per cento nel decennio precedente, come detto favorendo la crisi economica;
   dalle dichiarazioni del Governo sappiamo che si intende mantenere lo stesso profilo di crescita per la spesa primaria nei prossimi cinque anni. Vi è però un problema poiché le stime disponibili, anche prima dell'intervento della Consulta, prevedevano una crescita della spesa pensionistica (oltre il 30 per cento della spesa pubblica corrente) attorno al 2,7 per cento all'anno per il prossimo quinquennio. Il che significa che le altre componenti di spesa, su cui si è già intervenuti pesantemente, dovrebbero aumentare meno o ridursi proporzionalmente per mantenere il tasso di crescita previsto;
   come il Governo riuscirà a realizzare tutte le contraddittorie e confliggenti previsioni non ci è dato sapere –:
   se i fatti narrati in premessa corrispondano al vero e, nell'eventualità positiva, quali iniziative urgenti intendano assumere durante la sessione parlamentare di bilancio per evitare un ulteriore aggravio della pressione fiscale, allocando diversamente le risorse scarse, in modo più efficiente, economico ed efficace al fine di garantire diritti universali e impedire il mantenimento di sacche di privilegio annidiate nell'ordinamento giuridico in vigore.
(2-00998) «Mucci, Artini, Baldassarre, Barbanti, Bechis, Prodani, Rizzetto, Segoni, Turco».

Classificazione EUROVOC:
EUROVOC (Classificazione automatica provvisoria, in attesa di revisione):

prodotto interno lordo

prestazione sociale

politica fiscale