ATTO CAMERA

MOZIONE 1/01544

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 17
Seduta di annuncio: 761 del 16/03/2017
Firmatari
Primo firmatario: BUSTO MIRKO
Gruppo: MOVIMENTO 5 STELLE
Data firma: 16/03/2017
Elenco dei co-firmatari dell'atto
Nominativo co-firmatario Gruppo Data firma
TRIPIEDI DAVIDE MOVIMENTO 5 STELLE 16/03/2017
DE ROSA MASSIMO FELICE MOVIMENTO 5 STELLE 16/03/2017
GALLO LUIGI MOVIMENTO 5 STELLE 16/03/2017
DAGA FEDERICA MOVIMENTO 5 STELLE 16/03/2017
MICILLO SALVATORE MOVIMENTO 5 STELLE 16/03/2017
SPESSOTTO ARIANNA MOVIMENTO 5 STELLE 16/03/2017
LIUZZI MIRELLA MOVIMENTO 5 STELLE 16/03/2017
COMINARDI CLAUDIO MOVIMENTO 5 STELLE 16/03/2017
GAGNARLI CHIARA MOVIMENTO 5 STELLE 16/03/2017
PESCO DANIELE MOVIMENTO 5 STELLE 16/03/2017
CARINELLI PAOLA MOVIMENTO 5 STELLE 16/03/2017
CARIELLO FRANCESCO MOVIMENTO 5 STELLE 16/03/2017
VIGNAROLI STEFANO MOVIMENTO 5 STELLE 16/03/2017
BIANCHI NICOLA MOVIMENTO 5 STELLE 16/03/2017
BENEDETTI SILVIA MOVIMENTO 5 STELLE 16/03/2017
BARONI MASSIMO ENRICO MOVIMENTO 5 STELLE 16/03/2017
MANTERO MATTEO MOVIMENTO 5 STELLE 16/03/2017
ALBERTI FERDINANDO MOVIMENTO 5 STELLE 16/03/2017
BRESCIA GIUSEPPE MOVIMENTO 5 STELLE 16/03/2017
DI BENEDETTO CHIARA MOVIMENTO 5 STELLE 16/03/2017
PETRAROLI COSIMO MOVIMENTO 5 STELLE 16/03/2017
CHIMIENTI SILVIA MOVIMENTO 5 STELLE 16/03/2017
DADONE FABIANA MOVIMENTO 5 STELLE 16/03/2017
CASTELLI LAURA MOVIMENTO 5 STELLE 16/03/2017
SPADONI MARIA EDERA MOVIMENTO 5 STELLE 16/03/2017
DEL GROSSO DANIELE MOVIMENTO 5 STELLE 16/03/2017
CRIPPA DAVIDE MOVIMENTO 5 STELLE 16/03/2017
VALLASCAS ANDREA MOVIMENTO 5 STELLE 16/03/2017
COZZOLINO EMANUELE MOVIMENTO 5 STELLE 16/03/2017
PARENTELA PAOLO MOVIMENTO 5 STELLE 16/03/2017
SIBILIA CARLO MOVIMENTO 5 STELLE 16/03/2017
BERNINI PAOLO MOVIMENTO 5 STELLE 16/03/2017
VALENTE SIMONE MOVIMENTO 5 STELLE 16/03/2017


Stato iter:
IN CORSO
Fasi iter:

ATTO MODIFICATO IL 26/06/2017

Atto Camera

Mozione 1-01544
presentato da
BUSTO Mirko
testo presentato
Giovedì 16 marzo 2017
modificato
Lunedì 26 giugno 2017, seduta n. 820

   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 32 della Costituzione sostiene che la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività;
    la prevenzione assolve un ruolo centrale nel mantenimento dello stato di salute, tramite l'educazione sul corretto stile di vita e sulle corrette scelte alimentari, esplicitate nelle linee guida alimentari nazionali;
    secondo l'Organizzazione mondiale della sanità (Oms), l'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC), nonché le ultime statistiche dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo (OECD) e dell'Eurostat, negli ultimi decenni, nella popolazione dell'Unione europea, l'incidenza dei tumori, diabete Alzheimer e le altre malattie neuro-degenerative, malattie cardiovascolari, autoimmuni eccetera è in vertiginoso aumento;
    le linee guida nazionali, stilate in diversi Paesi, concordano sulla necessità di riduzione del consumo di carne a favore di diete che prevedono, per contro, un ampio uso di prodotti vegetali. A tal riguardo, nel 2009, l’American Dietetic Association and Dietitians of Canada ha indicato nell'alimentazione vegetariana o vegan una possibile soluzione per chi ricerca un effetto protettivo contro le cardiopatie ischemiche, l'ipertensione, il diabete, il cancro, soprattutto del colon-retto e della prostata, le nefropatie, la demenza senile, la diverticolite e i calcoli della cistifellea;
    l’US Department of Agricolture, nelle Dietary Guidelines 2010 for Healthy Americans (USDA, 2010) propone tre Healthy Eating Patterns («Percorsi per un'alimentazione sana»): la dieta DASH (Dietary Approaches to Stop Hypertension, ovvero Approcci dietistici per fermare l'ipertensione) la dieta vegetariana e quella Mediterranea. Dello stesso avviso il Ministro della salute Lorenzin e il Comitato nazionale per la sicurezza alimentare, i quali hanno recentemente raccomandato di seguire costantemente un regime alimentare vario,  ispirato al modello mediterraneo;
    la dieta mediterranea, scoperta dallo scienziato americano Ancel Keys, osservando come l'infarto colpisse i cittadini americani e non quelli italiani (di Napoli in particolare) è patrimonio immateriale dell'umanità, come riconosciuto dalla stessa Unesco e da diversi studi scientifici tra cui spicca «How to Eat Well and Stay Well, the Mediterranean Way» di Ancel e Margaret Keys. Essa rappresenta un vero e proprio stile di vita, che dal punto di vista prettamente alimentare si conforma come una piramide alla cui base sono inseriti gli alimenti da consumare quotidianamente: verdure non amidacee, frutta, cereali integrali, legumi (e pesce nelle zone costiere), olio extravergine e semi oleaginose e salendo gli alimenti da consumare con moderazione se non in misura eccezionale: cereali raffinati, carni e salumi, latticini, patate, grassi diversi dall'olio extravergine, zucchero e dolciumi. Questi ultimi alimenti caratterizzano invece la dieta occidentale che, trascurando la tradizione, apportano al nostro organismo un eccessivo quantitativo di grassi saturi e saccarosi, tali da esporci a malattie croniche, cardiovascolari, diabete e cancro, malattie che affliggono la nostra società. Negli anni ‘50 in Italia venivano consumati, secondo dati ISTAT: 170 chilogrammi pro-capite di frutta e ortaggi, 20 chilogrammi pro-capite di carne e 5 chilogrammi di pesce e 200 chilogrammi di cereali. I dati attuali, sempre da fonti ISTAT, riportano invece un consumo di: 375 chilogrammi pro-capite annuo di frutta e ortaggi, un 140 chilogrammi pro-capite l'anno tra carne e pesce (con 65 chilogrammi di pesce e 78 di carne) e un consumo di cereali di 150 chilogrammi pro-capite annuo. Si riscontra, dunque, un aumento vertiginoso di derivati animali, che da molti studi scientifici viene imputato come fattore di rischio per l'insorgere di molteplici patologie. A tal proposito, il noto patologo Denis Parsons Burkitt aveva dichiarato già nel 1993: «L'unico modo che abbiamo per ridurre le malattie croniche è quello di tornare indietro alle diete e stili di vita dei nostri antenati.»;
    diverse raccomandazioni sanitarie si sono espresse nella direzione della riduzione del consumo di carne: il World Cancer Research Fund afferma che, per limitare l'incidenza del cancro al colon retto, non si dovrebbero superare i 42,9 grammi al giorno di carni rosse per un totale di 15,66 kg all'anno, evitando le carni processate e prediligendo l'assunzione di almeno cinque porzioni di frutta e verdura per un totale di almeno 400 grammi al giorno;
    le Dietary guidelines for Americans consigliano un apporto massimo consigliato di carni (rosse e bianche) di circa 34,31 kg all'anno, l'Harvard School of Medicine restringe il limite di consumo di carni rosse a porzioni non superiori a 80 grammi, al massimo due volte a settimana;
    diversi studi hanno evidenziato una correlazione tra alimentazione e tumori con la specifica che il 30-40 per cento dei tumori potrebbe essere evitato con una dieta più sana (Food, nutrition, physical activity and the prevention of cancer: a global prospective. WCRF 2007);
    nella letteratura scientifica viene riportato come una dieta ricca di grassi animali predisponga allo sviluppo di tumori al seno, al pancreas, alla prostata, nonché che i grassi saturi, colesterolo, proteine animali e sale rappresentino i più importanti fattori di rischio in ambito alimentare (WHO/FAO 2002; WCRF/IARC 1997; WCRF 2007);
    l’American Diabetes Association indica come un elevato consumo di carni rosse e specialmente di varie carni processate, possa incrementare il rischio di sviluppare diabete mellito di tipo 2 nelle donne (Song Yiqing, Manson JoAnn E., Buring Julie E., Liu Simin, A Prospective Study of Red Meat Consumption and Type 2 Diabetes in Middle-Aged and Elderly Women);
    l’American Institute for Cancer Research ha evidenziato come le cattive abitudini alimentari siano responsabili di circa tre umori su dieci. Lo stile di vita alimentare potrebbe essere coinvolto nell'insorgenza del 50 per cento di tutte le neoplasie femminili e nel 30 per cento di quelle maschili;
    ad ottobre 2015 è stato reso pubblico il report dell'Organizzazione mondiale della sanità sulla cancerogenicità della carne consumata. Lo studio condotto allo Iarc (International Agency for Research on Cancer) ha inserito la carne lavorata nel gruppo «1» delle sostanze che causano cancro, dove ci sono anche sigarette, alcol, arsenico e benzene e quella rossa non lavorata nel gruppo «2A»;
    tra i rischi per la salute va considerata anche la contaminazione biologica dei cibi di origine animale, dal momento che gli animali da reddito espellono una grande quantità di microrganismi, che trasmettono zoonosi, e di parassiti multicellulari che possono passare all'uomo o che sono portatori di virus o prioni che attraversano la barriera tra la specie, come ad esempio nel caso dell'encefalopatia spongiforme bovina o dell'influenza aviaria. In tale direzione, secondo un rapporto commissionato dal governo Cameron all'economista Lord O'Neil, siamo ormai a un passo dalla pandemia, ovvero a un'epidemia estesa a livello globale, che nel 2050 rischia di fare dieci milioni di vittime all'anno, più del cancro, legata all'uso degli antibiotici;
    secondo l'ultimo rapporto annuale, pubblicato mercoledì 22 febbraio 2017, dell'Autorità europea per la sicurezza alimentare e dal Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie, la resistenza ai farmaci rappresenta una grave minaccia per la salute delle persone e degli animali. La resistenza dei batteri agli antibiotici (Amr) rappresenta, infatti, un problema complesso, che già oggi riguarda vari tipi di microbi e di trasmissione (da uomo ad uomo, da animale ad uomo, ambientale, tramite alimenti, eccetera) e che è causa, ogni anno, di oltre 25 mila decessi solo nell'Unione europea. Tale resistenza si sviluppa, infatti, soprattutto in batteri che sono venuti a contatto con dosi massicce di antibiotici e che hanno conseguentemente attivato meccanismi di difesa. Ed è proprio negli allevamenti intensivi che vengono utilizzati il maggior numero di farmaci;
    nel nostro Paese, ad oggi, oltre il 70 per cento degli antibiotici venduti finisce negli allevamenti intensivi per fronteggiare malattie e infezioni che colpiscono gli animali. Secondo i dati aggregati in un report dalle agenzie europee Efsa, Ema e Ecdc (2015), l'Italia consuma annualmente 621,6 tonnellate: questo significa che 435,12 tonnellate sono destinate agli allevamenti. Una cifra che ci piazza di poco secondi a Germania e Spagna per utilizzo di antibiotici negli allevamenti, ma che ci consegna il triste primato negativo assoluto per quanto riguarda l'utilizzo in relazione alla produzione: 341 mg di antibiotici utilizzati per ogni chilo di carne prodotta, contro Francia e Germania ferme rispettivamente a 99 mg e 205 mg, e una media europea di 140 mg;
    dal 1961 ad oggi i consumi annui di carne sono quasi triplicati passando da 31 chilogrammi a 86,7 chilogrammi fino al 2013 e di 78 chilogrammi nel 2015;
    il consumo di carni e derivati in Italia, secondo dati Fao, è aumentato di oltre il 190 per cento negli ultimi 50 anni, passando da un consumo pro capite anno di 31 chilogrammi nel 1961 a 91 chilogrammi nel 2007 con una leggera diminuzione negli ultimi anni; ma è destinato, globalmente, a crescere parallelamente al crescere della popolazione e alla diffusione di un'alimentazione occidentale, con implicazioni sulla salute, sulla spesa sanitaria, sulla sicurezza alimentare e sull'ambiente. Sempre secondo i dati Fao, infatti, la popolazione mondiale nel 2050 arriverà oltre i 9 miliardi di persone, con il conseguente problema di dovere sfamare tutti, raddoppiando la produzione globale di cibo, mentre le risorse sostenibili del pianeta sono limitate;
    lo spostamento da modelli alimentari tradizionali verso modelli occidentali, caratterizzati dal maggiore impiego di alimenti raffinati, industriali e da un maggior consumo di alimenti di origine animale, ha un effetto negativo sulla salute, sull'ambiente, nonché aumenta il prelievo e il consumo delle limitate risorse planetarie;
    l'obesità infantile è un problema di notevole rilevanza sociale: in Italia un bambino su 4 è sovrappeso e uno su 10 è obeso. Un dato che pone l'Italia, secondo l'Istituto superiore della sanità, al primo posto in Europa per numero di bambini sovrappeso o obesi e secondo il recente rapporto dell'osservatorio del dipartimento di sociologia e ricerca sociale dell'Università Milano Bicocca, con un tasso di crescita/annua dello 0,5-1 per cento, pari a quella degli Stati Uniti;
    secondo diversi ed autorevoli esponenti del mondo scientifico, come il professor Franco Berrino, è l'eccesso di proteine ad essere uno dei principali fattori di esposizione al rischio di obesità, insieme al consumo di dolciumi, cibo spazzatura e bevande zuccherate. L'indagine «La salute digestiva pediatrica in Europa» elaborato dalla United European Gastroenterology ha rilevato nei bambini europei un alto consumo di grassi saturi e trans, di zucchero e sale e un basso consumo di frutta, verdura e cereali integrali. Secondo i ricercatori dello United European Gastroenterology, l'obesità è un fattore di rischio per patologie epatiche, sempre più comuni nei bambini. La steatoepatite non alcolica è una di queste e colpisce, stando alle stime, il 10 per cento dei bambini europei, diventando la causa di malattia epatica cronica più comune nei bambini e negli adolescenti. Patologie infantili in continuo aumento, che potrebbero essere prevenute attraverso il consumo di alimenti di origine naturale a base prevalentemente vegetale ed una corretta educazione alimentare;
    una dieta a base vegetale, quando opportunamente pianificata risulta, da diversi studi scientifici tra cui, tra tutti, quello dell'American Academy of Pediatrics, adatta per ogni fase della crescita del bambino, nonché preventiva per alcune patologie infantili quali l'obesità. A tale proposito l'Academy of Nutrition and Dietetics afferma come le diete vegetariane e vegane siano salutari, nutrizionalmente adeguate, preventive e adatte in ogni fase di crescita dal concepimento all'adolescenza. Gli altri pareri a favore di una dieta a base vegetale per i bambini sono quelli della British Paediatric Association, dell'American Dietetic Association and Dietitians of Canada, del Food and Nutrition Service dell'USDA, della National Guideline Clearinghouse, della Physicians Committee for Responsible Medicine, del Servizio sanitario inglese (NHS) e altre ancora fra cui anche la Società Italiana di Nutrizione Umana;
    secondo uno studio tedesco condotto dalla Fondazione Heinrich Boll e di Friends of the Earth, ogni anno, nel mondo, si macellano 58 miliardi di polli, 2,8 miliardi di anatre, quasi 1,4 miliardi di suini, 654 milioni di tacchini, 517 milioni di pecore, 430 milioni di capre, 296 milioni di bovini. E questi numeri continueranno ad aumentare;
    occorrono più di 16 chili di foraggi per produrre un chilo di carne e, in media, secondo i dati Fao occorrono da 1.000 a 2.000 litri d'acqua per produrre un chilo di grano e da 13.000 a 15.000 litri per ottenere la stessa quantità di carne da bovini alimentati con cereali (http://waterfootprint.org/). L'acqua impiegata nella produzione di foraggi, farine e per abbeverare gli animali rappresenta fino all'87 per cento del consumo mondiale e la produzione di mangimi per animali assorbe il 70 per cento dei consumi di combustibili (fonte: Factory farming and the Environment, a cura della organizzazione Compassion in world farming trust). E così, mentre l'industria della carne garantisce ogni giorno al bestiame allevato la giusta quantità d'acqua, oltre 650 milioni di persone rimangono senza accesso all'acqua potabile;
    la produzione animale risulta essere all'origine della perdita dei suoli, consumo di acqua, inquinamento dei nutrienti e diminuzione di predatori ed erbivori selvatici, aggravando la pressione sugli ecosistemi e sulla stessa biodiversità. Il suolo rappresenta un'altra risorsa a rischio, per lo sfruttamento dovuto alla produzione di mangimi e per il cambiamento di destinazione d'uso, le cui conseguenze incidono sulla perdita della biodiversità e della fertilità. Sono milioni gli ettari di terra coltivati per sfamare gli animali da reddito, e consumano il 40 per cento circa dei cereali prodotti nel mondo. A conferma di ciò, i dati Fao – Food Balance Sheet – indicano che i 2 terzi delle terre fertili del pianeta sono usati per il pascolo o per coltivare cereali e legumi per gli animali e che il 77 per cento dei cereali in Europa è destinato non al consumo umano, ma ai mangimi, dando così al bestiame tre volte il cibo che esso ci restituisce sotto forma di carne, latte e uova. D'altro canto, anche la deforestazione, per ricavare terreno da pascolo, è legata principalmente all'enorme consumo europeo di alimenti di origine animale, a causa del quale, tra il 1990 e il 2008, sono state abbattute almeno 9 milioni di ettari di foreste in varie parti del mondo, secondo il rapporto 2013 dell'Unione europea «The impact of EU consumption on deforestation»;
    oltre al consumo di risorse, gli allevamenti producono il 14,5 per cento delle emissioni globali di gas serra, più dell'intero settore dei trasporti e di quelle emesse dall'intera Europa, pari al 10 per cento, incidendo significativamente sul cambiamento climatico. Nel 2009, il Worldwatch Institute ha ricalcolato le emissioni globali della produzione di carne, latte e derivati e uova, considerando l'intera filiera produttiva e modificando alcune assunzioni. Ad esempio, è stato modificato l'orizzonte temporale usato per calcolare il potenziale di riscaldamento (gwp) dei gas serra da 100 a 20 anni, facendo così aumentare da 34 a 86 il GWP del metano, uno dei gas serra più significativi emesso dagli allevamenti animali. Modificando questa ed altre assunzioni, il Worldwatch Institute ha concluso che le emissioni globali dell'allevamento contribuiscono per il 51 per cento del totale;
    secondo l’Intergovernmental Panel on Climate Change – IPCC – solo diminuendo il consumo di cibo di origine animale a una media di 90 grammi al giorno, come raccomandato dalle linee guida mediche inglesi, si potrebbe raggiungere, dal 2030, una riduzione di 2,15 Gt di CO2/anno. Inoltre, bisogna considerare il bilancio della CO2 che, globalmente, resta da emettere per avere il 50 per cento di possibilità di rimanere al di sotto di un innalzamento della temperatura media globale di 2 oC. Secondo alcune evidenze di letteratura scientifica, la sola crescita delle emissioni del settore alimentare e forestale, trainata principalmente dall'aumento dei consumi di alimenti di origine animale, sarebbe sufficiente a consumare l'intero budget entro il 2050;
    i gas serra associati all'allevamento sono legati anche ai processi agricoli necessari alla produzione di mangimi che, un recente studio – Lesschen, Van den Berg, Westhoek, Witzke & Oenema, 2011 – ha individuato essere la fermentazione enterica dei bovini (36 per cento) le emissioni dirette ed indirette di No dai suoli (28 per cento), la gestione e lo spandimento del letame (13 per cento), la mobilitazione del carbonio organico dei suoli (7 per cento), i combustibili fossili (3,2 per cento) e la produzione dei fertilizzanti (11 per cento). In considerazione di tutto ciò, i dati Fao 2013 portano a ritenere che, anche rendendo più efficiente l'allevamento globale, la riduzione di emissioni climalteranti sarebbe pari solo al 32 per cento, quindi non abbastanza per contrastare l'aumento delle emissioni dovuto alla prevista crescita dei consumi;
    il cambiamento climatico, per cui il comparto zootecnico rappresenta un fattore di incidenza sostanziale, ha effetti diretti ed indiretti sul fronte ambientale, sociale e sanitario. Per quanto riguarda gli effetti diretti, si tratta delle conseguenze biologiche delle ondate di calore, degli eventi climatici estremi e degli inquinanti atmosferici. Da un punto di vista indiretto, il cambiamento climatico potrà comportare fenomeni di desertificazione, con conseguente diminuzione delle aree fertili e quindi della capacità produttiva agricola nonché delle fonti di sussistenza per le popolazioni. Si riscontrano, inoltre, la possibile maggiore diffusione di malattie causate da vettori connessi con l'aumento delle temperature, così come effetti connessi al deterioramento di vari determinanti sociali di salute in relazione alla diminuzione delle risorse disponibili (conflitti e tensioni, povertà, migrazioni, aumento delle malattie mentali) a conferma dell'interconnessione tra clima, salute ed ambiente e della necessità di tutela di un equilibrio in fase di compromissione;
    sul fronte etico si ricorda che l'82 per cento dei bambini che muoiono di fame vivono in Paesi dove il cibo viene dato agli animali d'allevamento: 60.000 metri quadrati di terreno possono produrre quasi 17 tonnellate di alimenti di derivazione vegetale, mentre lo stesso terreno può produrre 170 chilogrammi di carne. Sempre in tale direzione vale la pena notare come, a fronte di 778.356.995 persone denutrite nel mondo, ve ne siano 1.620.952.332 sovrappeso e 540.317.435 addirittura obese (http://www.worldometers.info/it);
    la scelta di una dieta a base prevalentemente vegetale risulta essere un fenomeno in costante aumento e da tenere necessariamente in considerazione: in Italia, i vegetariani e vegani rappresentano l'8 per cento della popolazione secondo il rapporto Eurispes del 2016. I motivi sono diversi: per salute e benessere: il 46,7 per cento, per sensibilità nei confronti degli animali 30 per cento, per tutela ambientale 12 per cento,

impegna il Governo:

1) a sostenere e promuovere, per quanto di propria competenza, la riduzione del consumo di alimenti di origine animale come azione imprescindibile per migliorare la salute dei cittadini, l'impatto ambientale e combattere il cambiamento climatico, indirizzando le scelte alimentari della comunità verso modelli culturali, economici e sociali più sostenibili e responsabili;
2) a farsi promotori di attività di informazione e sensibilizzazione sul territorio, anche attraverso l'organizzazione di visite mediche gratuite finalizzate a prevenire le malattie legate all'alimentazione;
3) ad incentivare – anche costituendo titolo obbligatorio nei bandi di gara per gli appalti pubblici di servizi e forniture di prodotti destinati alla ristorazione collettiva – l'utilizzo dei prodotti agroalimentari e agroalimentari ecologici, provenienti da filiera corta a chilometro utile, agricoltura e allevamento non intensivi, nei luoghi di ristorazione pubblica;
4) ad investire su programmi di educazione alimentare, in linea con la necessità di una maggiore attenzione alla prevenzione, per assicurare la salute del cittadino, così come garantito dall'articolo 32 della Costituzione;
5) a promuovere con le modalità stabilite all'articolo 11 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 8 marzo 1999, n. 275, e prevedendo appositi finanziamenti disponibili negli ordinari stanziamenti di bilancio, progetti in ambito nazionale, regionale e locale, volti a diffondere un'educazione alimentare che privilegi un ridotto impatto sulle risorse ambientali e sulla salute dell'individuo rispetto alle diete alimentari caratterizzate dal consumo di prodotti di origine animale.
(1-01544) «Busto, Tripiedi, De Rosa, Luigi Gallo, Daga, Micillo, Spessotto, Liuzzi, Cominardi, Gagnarli, Pesco, Carinelli, Cariello, Vignaroli, Nicola Bianchi, Benedetti, Baroni, Mantero, Alberti, Brescia, Di Benedetto, Petraroli, Chimienti, Dadone, Castelli, Spadoni, Del Grosso, Crippa, Vallascas, Cozzolino, Parentela, Sibilia, Paolo Bernini, Simone Valente».

Classificazione EUROVOC:
EUROVOC (Classificazione automatica provvisoria, in attesa di revisione):

malattia

consumo alimentare

alimentazione umana