Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento giustizia
Titolo: Disposizioni in materia di scioglimento del matrimonio - A.C. 892, 1053, 831
Riferimenti:
AC N. 892/XVII   AC N. 1053/XVII
AC N. 831/XVII     
Serie: Progetti di legge    Numero: 38
Data: 26/06/2013
Descrittori:
CESSAZIONE DEL MATRIMONIO     
Organi della Camera: II-Giustizia


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Disposizioni in materia di scioglimento del matrimonio

26 giugno 2013
Elementi per l'istruttoria legislativa



Indice

Premessa|Quadro normativo|Contenuto delle proposte di legge|Relazioni allegate o richieste|Necessità dell'intervento con legge|Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite|Incidenza sull'ordinamento giuridico|



Premessa

Le abbinate proposte di legge in esame intervengono sulla disciplina dello scioglimento del matrimonio (L. 898/1970) e sul codice civile con i seguenti obiettivi:

 

  • ampliare i presupposti della domanda di divorzio;
  • ridurre il periodo necessario per ottenere il divorzio;
  • anticipare il momento della effettiva separazione dei beni dei coniugi separati.

 

In particolare, tutte  e tre le proposte di legge provvedimenti novellano l'art. 3 della legge 898 del 1970, relativo alla domanda di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio; le sole proposte AA.C. 831 e 892 integrano il contenuto dell'art. 191 del codice civile relativo alla scioglimento della comunione tra i coniugi. Di seguito, viene dato sinteticamente conto del quadro normativo vigente sullo scioglimento del matrimonio nonchè del contenuto  delle proposte di legge in esame.

 

In relazione alla riduzione del tempo necessario per ottenere il divorzio, si ricorda che  - dopo che nel 2003 la Camera dei deputati aveva affrontato il tema, ritenendo di non accogliere la proposta di legge (AC 2444, Montecchi ed altri) che portava il termine da tre anni ad un anno (la proposta fu rinviata dall'Assemblea in Commissione il 23 ottobre 2003) - nella scorsa legislatura è giunto all'esame dell'Assemblea un testo unificato (A.C. 749-1556-2325-3248-A) che prevedeva la riduzione da tre anni ad un anno dei tempi per la proposizione della domanda di divorzio nel caso in cui la coppia non avesse figli minori; in tale ultima eventualità il termine era invece di due anni.
Nonostante detto testo avesse trovato in Commissione Giustizia un consenso molto ampio, dopo la discussione sulle linee generali in Assemblea (21 maggio 2012), l'iter del provvedimento si è interrotto.


Quadro normativo

Il codice civile  prevede lo scioglimento del matrimonio (art. 149):

  •     a seguito della morte di uno dei coniugi 
  •     negli altri casi previsti dalla legge.

Attualmente, il solo caso previsto dall'ordinamento è il divorzio, disciplinato dalla legge 1° dicembre 1970, n. 898 "Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio".

Presupposto per la pronuncia da parte del giudice del divorzio - vale a dire dello scioglimento definitivo del matrimonio civile (o della cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario) - è, ai sensi degli artt. 1 e 2 della legge 898, l'accertamento del venir meno della possibilità di comunione materiale e spirituale dei coniugi.

L'articolo 3 della legge 898/1970 - in gran parte modificato dalla novella del 1987 (L:74/1987) – contiene un'indicazione tassativa delle cause in presenza delle quali può essere domandato lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio.

 

La norma distingue le cause di divorzio in due gruppi:

  •  il primo comprende specifiche ipotesi di carattere penale relative a delitti commessi dall'altro coniuge.
Si tratta dei seguenti casi:
- art. 3, comma 1, n. 1: quando, dopo la celebrazione del matrimonio, l'altro coniuge è stato condannato, con sentenza definitiva, anche per fatti commessi in precedenza: lett. a) all'ergastolo ovvero ad una pena superiore a 15 anni, anche con più sentenze, per uno o più delitti non colposi, esclusi i reati politici e quelli commessi per motivi di particolare valore morale e sociale; lett. b) a qualsiasi pena detentiva per il delitto di cui agli artt. 564 (incesto) e 609-bis (violenza sessuale) c.p. ovvero per induzione, costrizione, sfruttamento o favoreggiamento della prostituzione; lett. c) a qualsiasi pena per omicidio volontario di un figlio ovvero per tentato omicidio a danno del coniuge o di un figlio; lett. d) a qualsiasi pena detentiva, con due o più condanne, per lesione personale gravissima (art. 582 c.p. con l'aggravante di cui al secondo comma dell'art. 583), per i delitti di cui agli artt. 570 (violazione degli obblighi di assistenza familiare), 572 (maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli) e 643 (circonvenzione di incapaci) commessi in danno del coniuge o di un figlio.
Nelle ipotesi previste alla lettera d) il giudice competente a pronunciare lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio accerta, anche in considerazione del comportamento successivo del convenuto, la sua inidoneità a mantenere o ricostituire la convivenza familiare. Per tutte le ipotesi elencate nel n. 1) la domanda non è comunque proponibile dal coniuge che sia stato condannato per concorso nel reato ovvero quando la convivenza coniugale è ripresa;
- art. 3, comma 1, n. 2, nei casi in cui: lett. a) l'altro coniuge è stato assolto per vizio totale di mente da uno dei delitti previsti nelle lettere b) e c) del numero 1), ma il giudice competente a pronunciare lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio accerta l'inidoneità del convenuto a mantenere o ricostituire la convivenza familiare; lett. c) il procedimento penale promosso per i delitti previsti dalle lettere b) e c) del n. 1) si è concluso con sentenza di non doversi procedere per estinzione del reato, quando il giudice competente a pronunciare lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio ritiene che nei fatti commessi sussistano gli elementi costitutivi e le condizioni di punibilità dei delitti stessi; lett. d) il procedimento penale per incesto si è concluso con sentenza di proscioglimento o di assoluzione che dichiari non punibile il fatto per mancanza di pubblico scandalo

 

  •  il secondo include fatti oggettivamente preclusivi della comunione materiale e spirituale
Si tratta dei seguenti:
- comma 1, n. 2: lett. b) è stata pronunciata con sentenza passata in giudicato la separazione giudiziale fra i coniugi, ovvero è stata omologata la separazione consensuale ovvero è intervenuta separazione di fatto quando la separazione di fatto stessa è iniziata almeno due anni prima del 18 dicembre 1970; lett. e) l'altro coniuge, cittadino straniero, ha ottenuto all'estero l'annullamento o lo scioglimento del matrimonio ovvero si è nuovamente sposato all'estero; lett. f) il matrimonio non è stato consumato; lett. g) è passata in giudicato la sentenza di rettificazione di sesso di cui all'art. 4 della legge 164/1982.

 

Statisticamente, le pronunce di divorzio per delitto, per annullamento del matrimonio o divorzio ottenuto all'estero e per cambiamento di sesso rivestono scarso rilievo; tra quelle sopra enumerate, infatti, la causa di divorzio di gran lunga più frequente nel nostro Paese è quella della intervenuta separazione personale che, come accennato, può essere giudiziale o consensuale.  

La separazione giudiziale (art. 151 c.c.) si può chiedere quando si verificano, anche indipendentemente dalla volontà di uno o di entrambi i coniugi, fatti tali da rendere non più tollerabile la convivenza e pregiudicare gravemente l'educazione dei figli. La separazione può essere "con addebito" se il giudice, ove richiesto e in presenza di determinate circostanze, in sede in pronuncia della separazione dichiari a quale dei due coniugi vada addebitata la separazione in conseguenza della violazione dei doveri nascenti dal matrimonio.

La separazione consensuale (art. 158 c.c.), invece, presuppone l'accordo dei coniugi sull'interruzione della convivenza ed ha effetto solo a seguito dell'intervenuta omologa da parte del giudice. L'omologazione può essere rifiutata in presenza di disaccordo sulle modalità di affidamento e mantenimento dei figli della coppia, ritenute dal giudice contrastanti con l'interesse dei minori.

 

L'ultima rilevazione ISTAT (Separazioni e divorzi in Italia), relativa al 2011, riferisce che le separazioni sono state 88.797 e i divorzi 53.806, sostanzialmente stabili rispetto all'anno precedente (+0,7% per le separazioni e -0,7% per i divorzi).
In generale, i tassi di separazione e di divorzio sono complessivamente in continua crescita. Nel 1995 per ogni 1.000 matrimoni si contavano 158 separazioni e 80 divorzi, nel 2011 si arriva a 311 separazioni e 182 divorzi. La durata media del matrimonio al momento dell'iscrizione a ruolo del procedimento risulta pari a 15 anni per le separazioni e a 18 anni per i divorzi.

 

Il citato art. 3 della legge sul divorzio precisa che per potersi proporre domanda di divorzio (che venga fondata su sentenza di separazione giudiziale ovvero su omologazione di separazione consensuale e per il caso in cui vi sia stato in precedenza un altro procedimento di separazione, poi estintosi) la separazione tra i coniugi deve essersi protratta ininterrottamente da almeno 3 anni (l'originario termine di 5 anni è stato così ridotto dalla legge 74/1987), decorrenti dalla comparizione personale dei coniugi davanti al presidente del Tribunale nel procedimento di separazione personale, anche quando il giudizio da contenzioso si sia trasformato in consensuale.

 

 Tale comparizione personale è, infatti, giudicata "idonea a segnare il giorno iniziale per il computo del prescritto periodo di ininterrotta separazione tenuto conto che tale comparizione personale comporta la formale constatazione della volontà dei coniugi di cessare la convivenza" (Cass.,  sentenze nn. 88/1987, 2799/1990 e 15157/2005).

 

La separazione, inoltre, deve essersi protratta "ininterrottamente" per il triennio: l'unica circostanza che può interrompere la separazione è la riconciliazione fra i coniugi, che impedisce dunque il maturare del termine di tre anni per proporre la domanda di divorzio. L'eventuale interruzione deve essere però eccepita dalla parte convenuta.

Giurisprudenza concorde ha affermato che, affinché si possa ritenere intervenuta la riconciliazione, non basta un temporaneo ripristino della coabitazione o dei rapporti (anche sessuali) fra i coniugi, ma occorre una totale ripresa della convivenza e della comunione spirituale e materiale fra i coniugi. (v. Cass., Sez. I, sent. n. 6860/1983 e 3053/1987).

 

La procedura di divorzio varia a seconda che lo stesso sia consensuale e contenzioso.

Infatti, in presenza delle condizioni previste dalla legge, è possibile avanzare al tribunale richiesta di divorzio con ricorso individuale o, se c'è accordo con l‘altro coniuge, congiunto.

Il ricorso individuale contiene la domanda di scioglimento del matrimonio con l'esposizione dei fatti sui quali tale domanda si fonda. Come nel giudizio di separazione, a norma dell'art. 4 legge 898/1970, sono configurabili due successive fasi del procedimento di divorzio:

-  la fase preliminare davanti al presidente del tribunale, nell'ambito della quale i coniugi debbono comparire personalmente per il tentativo di conciliazione; ove esso fallisca, il presidente del tribunale, sentiti i coniugi, i loro difensori nonché i figli minori, qualora lo ritenga strettamente necessario anche in considerazione della loro età, assume con ordinanza i provvedimenti temporanei e urgenti che reputa opportuni nell'interesse dei coniugi e della prole, nomina il giudice istruttore e fissa l'udienza di comparizione e trattazione dinanzi a questo;

-  la fase davanti al giudice istruttore, ove la trattazione della causa è parzialmente analoga a quella del rito ordinario di cognizione (rinvio all'applicazione degli artt. 180 e 183, commi primo, secondo, quarto, quinto, sesto e settimo, c.p.c. e 184 c.p.c.) e che si conclude con il rinvio al collegio per la decisione finale.

Nel caso in cui il processo debba continuare per la sola fissazione dell'assegno, il tribunale emette sentenza non definitiva per il solo capo di domanda relativo al divorzio (art. 4, comma 12). L'appello nei confronti di tale decisione deve essere immediato (in caso contrario si forma il giudicato), cosicché è assicurata con celerità la pronuncia sugli effetti personali, mentre è differita nel tempo solo la pronuncia su quelli patrimoniali.

Analogamente, l'art. 709-bis c.p.c. (Udienza di comparizione e trattazione davanti al giudice istruttore), in relazione al procedimento di separazione personale dei coniugi, prevede (comma 2) che "nel caso in cui il processo debba continuare per la richiesta di addebito, per l'affidamento dei figli o per le questioni economiche, il tribunale emette sentenza non definitiva relativa alla separazione. Avverso tale sentenza è ammesso soltanto appello immediato che è deciso in camera di consiglio". 

L'eventuale domanda congiunta di divorzio è proposta da entrambi i coniugi con ricorso, deciso dal tribunale in camera di consiglio con un rito più snello di quello ordinario. Ai sensi dell'art. 4, comma 16, della L. 898, il ricorso congiunto, deve indicare compiutamente le condizioni inerenti alla prole ed ai rapporti economici. Il tribunale deve comunque sempre verificare la rispondenza delle condizioni all'interesse dei figli e, in caso di valutazione negativa, anziché pronunciare la sentenza, dichiara applicabile la procedura ordinaria nominando un giudice istruttore, cui sono rimessi gli atti.

 

Il tribunale, in contraddittorio tra le parti e con l'intervento obbligatorio del pubblico ministero, accertata la sussistenza di uno dei casi previsti dall'art. 3 della legge 898/1970, pronuncia con sentenza lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio ed ordina all'ufficiale dello stato civile del luogo ove venne trascritto il matrimonio di procedere alla annotazione della sentenza. Quest'ultima è sempre appellabile da ciascuna parte, nonché dal P.M., limitatamente agli interessi patrimoniali dei figli minori o legalmente incapaci (art. 5, L. 898).



Contenuto delle proposte di legge

Le proposte di legge AC 831 e AC 892 intervengono - come la p.d.l. AC 1053 -  sulla disciplina dello scioglimento del matrimonio con l'obiettivo di anticipare il momento di possibile proposizione della domanda di divorzio. Con un ulteriore intervento sul codice civile, tuttavia, intendono anticipare anche il momento dell'effettivo scioglimento della comunione dei beni tra i coniugi. 

L'articolo 1  delle proposte di legge nn. 831 e 892 novella l'art. 3, comma 1, n. 2, della legge 898/1970  (norma su cui interviene anche l'art. 1, comma 1, della p.d.l. AC 1053, v. ultra). L'art. 3, comma 1, n. 2, alla lett. b),  nel prevedere quale causa di divorzio la pronuncia con sentenza passata in giudicato della separazione giudiziale fra i coniugi o l'omologazione della separazione consensuale, ai fini della proposizione della domanda di divorzio fissa in tre anni il periodo minimo di separazione ininterrotta, decorrente dalla comparsa dei coniugi davanti al presidente del tribunale nella procedura di separazione personale.

 

Mantenendo quale dies a quo il momento della comparsa dei coniugi davanti al presidente del tribunale nella procedura di separazione personale, l'art. 1 della p.d.l. 831 si limita a ridurre ad un anno la durata del periodo di separazione ininterrotta dei coniugi.

 

L'art. 1 della p.d.l. 892 differenzia, invece, detto periodo in ragione della presenza e dell'età dei figli, nonché del tipo di separazione, fissandolo in  un anno, se non vi sono figli minorenni, permanendo - in caso contrario - l'attuale limite dei tre anni (in entrambi i casi, decorrenti dal  citato dies a quo). Nell'attribuire particolare rilievo all'accordo dei coniugi, la proposta di legge 892 prevede l'applicazione del termine breve alle separazioni consensuali, nonché al caso in cui il giudizio contenzioso si sia trasformato in consensuale o siano state precisate dai coniugi conclusioni conformi.

 

L'articolo 2 delle proposte di legge 831 e 892, di identica formulazione,  novella invece l'art. 191 del codice civile, relativa allo scioglimento della comunione dei beni tra i coniugi.

 

 

L'art. 191 c.c. prevede lo scioglimento della comunione per la dichiarazione di assenza o di morte presunta di uno dei coniugi per l'annullamento, per lo scioglimento o per la cessazione degli effetti civili del matrimonio, per la separazione personale, per la separazione giudiziale dei beni, per mutamento convenzionale del regime patrimoniale, per il fallimento di uno dei coniugi. Nel caso di azienda gestite da entrambi i coniugi dopo il matrimonio, lo scioglimento della comunione può essere deciso, per accordo dei coniugi, osservata la forma prevista dall'articolo 162 (atto pubblico).

 

In base all'articolo 191 c.c., il  momento effettivo di scioglimento della comunione dei beni tra marito e moglie si verifica "ex nunc", solo con il passaggio in giudicato  della sentenza di separazione personale (ex pluris, Cassazione, sentenze n. 9325 del 1998, e n. 2844 del 27-02-2001).

 

Nella relazione di entrambe le proposte di legge si evidenzia come tale previsione non risulti in linea con la realtà quotidiana in cui gli effetti patrimoniali della comunione legale continuano a prodursi per i coniugi separati anche dopo l'interruzione della convivenza.

 

Infatti, la cessazione della convivenza, ancorché autorizzata con i provvedimenti provvisori adottati a norma dell'art. 708, terzo comma, c.p.c., non osta a che i beni successivamente acquistati dai coniugi medesimi ricadano nella comunione legale, ai sensi dell'art. 177, primo comma, lett. a), c.c., dato che l'operatività di tale disposizione, in base alle regole evincibili dall'art. 191 cod. civ. in tema di scioglimento della comunione, viene meno "ex nunc" con l'instaurarsi del regime di separazione, a seguito del provvedimento giudiziale che la pronunci in via definitiva, ovvero che omologhi l'accordo al riguardo intervenuto (Cass. Sez. I, sentt. n. 12523 del 17-12-1993 e  n. 2652 del 07/03/1995)

 

 

 

L'articolo 2  delle due p.d.l. anticipa lo scioglimento della comunione al momento in cui il presidente del tribunale, in sede di udienza presidenziale, autorizza i coniugi a vivere separati.

 

Tale autorizzazione è solitamente disposta con l'ordinanza con cui, ai sensi dell'art. 708 c.p.c., il presidente del tribunale - ove la conciliazione dei coniugi fallisca - emette i provvedimenti temporanei e urgenti nell'interesse dei coniugi e della prole.

 

L'autorizzazione ai coniugi a vivere separati è prevista espressamente dal solo art. 232 c.c., che, al secondo comma, stabilisce che la presunzione di concepimento del figlio durante il matrimonio non opera decorsi trecento giorni dalla pronuncia di separazione giudiziale o dalla omologazione di separazione consensuale ovvero dalla data della comparizione dei coniugi avanti al giudice quando gli stessi sono stati autorizzati a vivere separatamente nelle more del giudizio di separazione o di divorzio. Si segnala, inoltre, che l'art. 146, secondo comma, del codice civile, di fatto anticipa tale possibilità prevedendo che "la proposizione della domanda di separazione, o di annullamento, o di scioglimento, o di cessazione degli effetti civili del matrimonio costituisce giusta causa di allontanamento dalla residenza familiare".

 

 

Il comma 1 dell'articolo unico dell'AC 1053 sostituisce la lett. b) del n. 2 del comma 1 dell'art. 3 della legge 898 integrando le fattispecie che giustificano la domanda di divorzio.

La citata lett. b) considera ad oggi tra i presupposti che giustificano la domanda di divorzio il passaggio in giudicato della pronuncia di separazione giudiziale fra i coniugi, ovvero il fatto che sia stata omologata la separazione consensuale ovvero è intervenuta separazione di fatto quando la separazione di fatto stessa è iniziata almeno due anni prima del 18 dicembre 1970.

Dopo aver distinto in due autonome lettere (lett. b e lett. b-quater) l'attuale contenuto della lett. b), il comma 1  dell'art. 1 della p.d.l. aggiunge due nuove lettere (b-bis e b-ter) al n. 2 del comma 1 dell'art. 3 della legge 898, che, codificando quanto già affermato da tempo in sede giurisprudenziale, costituiscono due ulteriori presupposti della domanda di divorzio:

 

  • il primo presupposto (lett. b-bis) riguarda la formata acquiescenza, ex art. 329, secondo comma, c.p.c., sulla decisione di separazione personale dei coniugi in quanto la sentenza è impugnata per motivi circoscritti all'addebito (art. 151, secondo comma, c.c,) e comunque diversi da quelli inerenti la separazione stessa (questioni patrimoniali, questioni inerenti i figli).

 

Secondo l'art. 329, secondo comma, c.p.c., l'impugnazione parziale importa acquiescenza alle parti della sentenza non impugnate.

 

L'acquiescenza alla separazione risulterebbe, quindi, da atti incompatibili con la volontà di avvalersi delle impugnazioni ammesse dalla legge; nel caso in oggetto, ove la sentenza di separazione giudiziale disponga sia sulla separazione che sull'addebito, il fatto di impugnare per il solo addebito costituisce acquiescenza alla restante parte della sentenza ovvero in ordine alla separazione tra i coniugi.

 

  • il secondo presupposto (lett. b-ter) è costituito dal passaggio in giudicato della sentenza parziale di separazione. 

Viene così introdotta nell'ordinamento la sentenza parziale di separazione, i cui effetti – come ricordato dalla relazione illustrativa della p.d.l. in esame - sono da tempo riconosciuti dalla giurisprudenza di legittimità ove il provvedimento di separazione dei coniugi debba proseguire in relazione alla sola pronuncia di addebito. Viene, quindi, riconosciuto che sul capo della sentenza relativo allo status di coniuge separato si sia formato un giudicato interno, avendo l'impugnazione ad oggetto solo le statuizioni aggiuntive.

 

A seguito di contrasto di giudicati tra diverse sezioni della Suprema Corte in relazione all'inscindibilità o meno del giudizio di separazione personale, Cassazione civile, Sezioni Unite, sentenza n. 15279 del 2001 ha da tempo osservato come "l'inscindibilità della dichiarazione d'addebito dalla decisione sulla separazione avrebbe o potrebbe anche avere il deviante effetto di consentire ad uno dei coniugi di avvalersi dell'istanza di addebito al solo o prevalente scopo di dilazionare la modificazione giudiziale del rapporto personale, pure quando ne siano evidenti o pacifici i presupposti". La Suprema Corte ha ritenuto che "nel giudizio di separazione personale dei coniugi, la richiesta di addebito, pur essendo proponibile solo nell'ambito del giudizio di separazione, ha natura di domanda autonoma……pertanto, in carenza di ragioni sistematiche contrarie e di norme derogative dell'art. 329, secondo comma cod. proc. civ., l'impugnazione proposta con esclusivo riferimento all'addebito contro la sentenza che abbia pronunciato la separazione ed al contempo ne abbia dichiarato l'addebitabilità, implica il passaggio in giudicato del capo sulla separazione, rendendo esperibile l'azione di divorzio pur in pendenza di detta impugnazione".
In senso analogo – anche in relazione, oltre che all'addebito, alle sole impugnazioni delle decisioni sull'affidamento dei figli, sulla determinazione dell'assegno, dell'assegnazione della casa coniugale - v. Cass., sentenze n. 24442 del 2011, e, in precedenza, n. 15157 del 2005 e 16985 del 2007. Da ultimo, va segnalata Cassazione, sentenza 3 gennaio 2013, n. 40, che ha affermato che, nell'attesa che venga definita la questione dell'affidamento dei figli e dell'assegnazione della casa coniugale discusse in sede di appello, è possibile chiedere e ottenere il divorzio.

 

Una sentenza parziale di divorzio è prevista dall'art. 4, comma 12,  della legge 898/1970 (v. ante, quadro normativo) che stabilisce infatti che, nel caso in cui il processo debba continuare per la determinazione dell'assegno, il tribunale emette sentenza non definitiva di divorzio, avverso la quale è ammesso solo appello immediato. Appena formatosi il giudicato, la sentenza deve essere trasmessa all'ufficiale di stato civile per le relative incombenze.

 

Cassazione civile, sentenza n. 9614 del 2010 ha precisato che anche la previsione contenuta all'art. 4, comma 12, è stata introdotta dal legislatore per fornire uno strumento di accelerazione dello svolgimento del processo, perché prevedendo contro questa sentenza solo l'appello immediato, favorisce la formazione in tempi brevi del giudicato sulla pronuncia di divorzio (e di separazione). La Corte individua la finalità della norma nella volontà del legislatore di "frustrare gli intenti dilatori che pongono ostacoli ad un rapido intervento della decisione sullo status matrimoniale tale da eliminare l'incidenza negativa della durata della controversia attinente ai rapporti diversi da quello personale tra i coniugi". La norma speciale contenuta nella legge sul divorzio è in realtà –secondo la Cassazione - un'applicazione del principio generale di cui all'art. 277 c.p.c. secondo comma, che autorizza il giudice a limitare la pronuncia ad una od alcune domande, qualora, sulla base delle circostanze della singola vicenda, riconosca che per esse soltanto non sia necessaria un'ulteriore istruzione e che la loro sollecita definizione risponda ad un apprezzabile interesse della parte istante. Spiega la Suprema Corte che rispetto a tale principio, l'art. 4, comma 12, della legge 898 si differenzia per il fatto che la norma generale richiede il presupposto dell'istanza di parte e l'esistenza di un apprezzabile interesse alla veloce definizione della domanda, mentre la norma speciale richiede solo "una valutazione generale ed astratta della rispondenza della pronuncia non definitiva ad un interesse siffatto". E ancora, la norma "è stata estesa dalla giurisprudenza di questa Corte, condivisa dalla maggioranza della dottrina, ad ogni caso in cui restino ancora da definire, non soltanto i rapporti patrimoniali dei coniugi, ovvero la spettanza o la quantificazione dell'assegno di divorzio o l'assegnazione della casa familiare o il diritto alle quote delle indennità di fine lavoro, ma altresì quelli, patrimoniali e non, nei riguardi dei figli, o anche altre questioni pendenti tra le parti che richiedano un'ulteriore istruttoria". La norma speciale, chiosa la Cassazione, viene intesa dalla prevalente dottrina "nel senso che il tribunale, qualora la causa sia matura per la decisione sul divorzio, ma non per quella sull'assegno, anche d'ufficio, (non può, ma) deve, senza alcun potere discrezionale in merito, pronunciare sentenza non definitiva sul divorzio medesimo".

 

Il comma 2 dell'articolo unico della p.d.l. 1053 aggiunge un comma allo stesso art. 3, della legge sul divorzio che mira ad accorciare il periodo necessario per poter proporre domanda di divorzio.

Come accennato (v. quadro normativo), l'art. 3 - in presenza dei presupposti - fissa in 3 anni il periodo minimo di separazione ininterrotta.  Il termine decorre dalla comparsa dei coniugi davanti al presidente del tribunale nella procedura di separazione personale, per la proposizione della domanda di divorzio. Come chiarito dalla giurisprudenza, l'attuale termine triennale costituisce in realtà un termine minimo, poiché al fine di iniziare il giudizio del divorzio è comunque necessario il previo passaggio in giudicato della sentenza di separazione, anche se sul solo addebito (Cass. 2725/1995; Cass. 3718/1998).

 

Il comma 2 in esame:

- riduce da 3 anni ad 1 anno il necessario periodo minimo di separazione ininterrotta che permette la proposizione della domanda di divorzio;

- anticipa il momento da cui decorre tale termine annuale al giorno del deposito della domanda di separazione personale presso il tribunale. 

 

Le proposte di legge AC 831 (Amici ed altri) e AC 892 (Centemero ed altri)
La proposta di legge 1053 (Moretti)


Relazioni allegate o richieste

Le tre proposte di legge, d'iniziativa parlamentare, sono corredate della sola relazione illustrativa.



Necessità dell'intervento con legge

La proposta di legge interviene sulla legge 898/1970 e sul codice civile, disposizioni di rango primario. Si giustifica, pertanto, l'intervento con legge.



Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite

Le proposte di legge riguardano la materia dello scioglimento del matrimonio, rientrante nella competenza legislativa esclusiva dello Stato ai sensi dell'art.117, secondo comma, lettera l) (giurisdizione e norme processuali, ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa) della Costituzione.



Incidenza sull'ordinamento giuridico

Le proposte in esame intervengono sulla vigente legislazione codicistica con la tecnica della novellazione.



Impatto sui destinatari delle norme

In relazione  alla riduzione  del periodo necessario  per proporre domanda di divorzio nonchè per conseguire lo scioglimento della comunione tra i coniugi occorre valutare la necessità di introdurre una disciplina transitoria relativa ai procedimenti di separazione personale e di divorzio pendenti.