Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento istituzioni
Titolo: Disposizioni urgenti in materia di sicurezza, contrasto della violenza in genere, protezione civile e commissariamento delle province - D.L. 93/2013 ' A.C. 1540 -Documentazione per l'esame in Assemblea
Riferimenti:
DL N. 93 DEL 16-AGO-13   AC N. 1540/XVII
Serie: Progetti di legge    Numero: 60    Progressivo: 1
Data: 02/10/2013
Descrittori:
COMMISSARIO STRAORDINARIO   DECRETO LEGGE 2013 0093
DONNE   LESIONI PERSONALI
PROTEZIONE CIVILE   PROVINCE
PUBBLICA SICUREZZA   REATI SESSUALI
VITTIME DI AZIONI CRIMINOSE     
Organi della Camera: I-Affari Costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni
II-Giustizia

 

Camera dei deputati

XVII LEGISLATURA

 

 

 

Documentazione per l’esame di
Progetti di legge

Disposizioni urgenti in materia di sicurezza, contrasto della violenza di genere, protezione civile e commissariamento delle province

D.L. 93/2013 – A.C. 1540-A

Documentazione per l’esame in Assemblea

 

 

 

 

 

 

n. 60/1

 

 

 

2 ottobre 2013

 


Servizio responsabile:

Servizio Studi

Dipartimento Affari costituzionali

( 066760-3144 / 066760-3855 – * st_istituzioni@camera.it

Dipartimento Giustizia

( 066760-9148 / 066760-9559 – * st_giustizia@camera.it

 

 

 

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File: D13093a.doc

 


INDICE

Schede di lettura del DDL

§      Articolo 1                                                                                                          3

§      Articolo 1-bis                                                                                                    4

Schede di lettura del DL

Capo I (Prevenzione e contrasto della violenza di genere)                      13

§      Articolo 1 (Norme in materia di maltrattamenti, violenza sessuale e atti persecutori)          14

§      Articolo 2 (Modifiche al codice di procedura penale e disposizioni concernenti i procedimenti penali per i delitti di cui all’articolo 572 del codice penale)                                       21

§      Articolo 3 (Misura di prevenzione per condotte di violenza domestica)       28

§      Articolo 4 (Tutela per gli stranieri vittime di violenza domestica)                  32

§      Articolo 5 (Piano d’azione contro la violenza sessuale e di genere)             36

§      Articolo 5-bis (Azioni per i centri antiviolenza e le case rifugio)                    40

Capo II (Norme in materia di sicurezza per lo sviluppo, di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica e per la prevezione e il contrasto di fenomeni di particolare allarme sociale)           42

§      Articolo 6 (Disposizioni finanziarie concernenti l’accelerazione degli interventi del POM Sicurezza nelle regioni del Mezzogiorno, il comparto sicurezza e difesa e la chiusura dell’emergenza nord Africa)                                                                                                            42

§      Articolo 6-bis (Accordi territoriali di sicurezza integrata per lo sviluppo)      48

§      Articolo 7 (Disposizioni in materia di arresto in flagranza in occasione di manifestazioni sportive e per il contrasto alle rapine, nonché in materia di concorso delle forze armate nel controllo del territorio) 52

§      Articolo 7-bis (Operazioni congiunte nell’ambito di accordi internazionali di polizia) 56

§      Articolo 8 (Contrasto al fenomeno dei furti in danno di infrastrutture energetiche e di comunicazione) 59

§      Articolo 9 (Frode informatica commessa con sostituzione d’identità digitale) 62

§      Articolo 9-bis (Adeguamento dei requisiti essenziali di sicurezza degli articoli pirotecnici in attuazione dell’articolo 47, paragrafo 2, della direttiva 2013/29/UE del 12 giugno 2013) 66

Capo III (Norme in tema di protezione civile)                                              68

§      Articolo 10 (Modifiche alla legge 24 febbraio 1992, n. 225)                          68

§      Articolo 11 (Disposizioni per il potenziamento del Corpo nazionale dei vigili del fuoco)       74

§      Articolo 11-bis (Interventi a favore della montagna)                                     77

Capo IV (Norme in tema di gestioni commissariali delle province)          79

§      Articolo 12 (Gestioni commissariali delle province)                                      79

§      Articolo 12-bis  (Disposizioni finanziarie per gli enti locali)                            80

§      Articolo 13 (Entrata in vigore)                                                                        82

 

 

 

 


Schede di lettura del DDL

 


 

Articolo 1

 

L’articolo 1 reca disposizioni per la conversione in legge del D.L. 93/2013.


Articolo 1-bis

 

L’articolo in esame reca disposizioni in materia di gestioni commissariali di province, introdotte nel disegno di legge di conversione nel corso dell’esame in sede referente.

Tale introduzione, alla quale corrisponde la scelta delle Commissioni di merito di sopprimere l’intero articolo 12 del decreto-legge, è strettamente connessa alla specificità dell’assetto dell’ordinamento provinciale conseguente, da un lato, ad una profonda riforma effettuata con i decreti-legge 201/2011 e 95/2012, dall’altro alla caducazione delle relative disposizioni che costituivano le basi portanti di quell’assetto effettuata dalla sentenza della Corte costituzionale 220/2012.

 

L'art. 23 del D.L. 201/2011 aveva circoscritto le funzioni delle province a quelle di indirizzo e di coordinamento delle attività dei Comuni nelle materie e nei limiti indicati con legge statale o regionale e aveva limitato gli organi di governo della Provincia al Consiglio provinciale e al Presidente della Provincia, prevedendone un’ elezione di secondo grado, secondo modalità da definire con legge dello Stato entro il 31 dicembre 2013. Le funzioni residue venivano trasferite ai comuni, salve esigenze di carattere unitario che ne rendessero necessaria l'acquisizione alle regioni. In particolare le seguenti disposizioni dell'art. 23, delle quali la sentenza 220/2012 ha dichiarato l'illegittimità, hanno previsto:

Va ricordato che il comma 20-bis del citato art. 23, escludendo le regioni ad autonomia speciale dall’applicazione diretta di quanto statuito, ha rinviato alla stessa autonomia, nei limiti costituzionalmente previsti, l’obbligo di adeguamento alle disposizioni illustrate che non si applicano alle province autonome di Trento e di Bolzano. Tuttavia, la citata sentenza 220/2013 ne ha dichiarato l’illegittimità consequenziale in quanto “pone un obbligo di adeguamento degli ordinamenti delle Regioni speciali a norme incompatibili con la Costituzione”.

Il decreto-legge n. 95/2012 (conv. da L. 135/2012) aveva disposto, con l'articolo 17, un generale riordino delle province all'esito di un procedimento da condividere con le comunità locali e una ridefinizione delle loro funzioni, con conferimento di ulteriori funzioni oltre a quelle di coordinamento stabilite dal D.L. 201/2011. Il riordino delle province era strettamente collegato all'istituzione delle città metropolitane, prevista dall'articolo 18 del medesimo provvedimento, che avrebbe dovuto comportare la contestuale soppressione delle province nel relativo territorio.

Nella scorsa legislatura era stato emanato anche un terzo decreto-legge n. 188/2012, decaduto per mancanza di conversione nel termine, che provvedeva al riordino delle province delle regioni a statuto ordinario sulla base della deliberazione del Consiglio dei Ministri del 20 luglio 2012 che ne aveva individuato i requisiti minimi: popolazione di almeno 350 mila abitanti e superficie territoriale non inferiore ai 2.500 chilometri quadrati. Il testo disponeva anche in materia di istituzione e di organi di città metropolitane.

 

La sentenza 3 luglio 2013, n. 220 ha dichiarato l'illegittimità dell’art. 23, commi 4, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20 e 20-bis del decreto-legge n. 201/2011 e degli artt. 17 e 18 del decreto-legge n. 95/2012.

 

La sentenza 220/2013 fonda la pronuncia di illegittimità sulla considerazione che lo strumento del decreto-legge, configurato dall'art. 77 della Costituzione come "atto destinato a fronteggiare casi straordinari di necessità e urgenza", non è "utilizzabile per realizzare una riforma organica e di sistema quale quella prevista dalle norme censurate".

Per la Corte, risulta evidente che le norme censurate incidono notevolmente sulle attribuzioni delle Province, sui modi di elezione degli amministratori, sulla composizione degli organi di governo e sui rapporti dei predetti enti con i Comuni e con le stesse Regioni. Si tratta di una riforma complessiva di una parte del sistema delle autonomie locali, destinata a ripercuotersi sull’intero assetto degli enti esponenziali delle comunità territoriali, riconosciuti e garantiti dalla Costituzione (punto 11.3 considerato in diritto).

L’art. 117, secondo comma, lettera p), Cost., nell’attribuire alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la disciplina in materia di legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane, conferisce “le componenti essenziali dell’intelaiatura dell’ordinamento degli enti locali” a “leggi destinate a durare nel tempo e rispondenti ad esigenze sociali ed istituzionali di lungo periodo, secondo le linee di svolgimento dei princìpi costituzionali nel processo attuativo delineato dal legislatore statale ed integrato da quelli regionali. È appena il caso di rilevare che si tratta di norme ordinamentali, che non possono essere interamente condizionate dalla contingenza, sino al punto da costringere il dibattito parlamentare sulle stesse nei ristretti limiti tracciati dal secondo e terzo comma dell’art. 77 Cost., concepiti dal legislatore costituente per interventi specifici e puntuali, resi necessari e improcrastinabili dall’insorgere di «casi straordinari di necessità e d’urgenza»”. Perciò, se può essere “adottata la decretazione di urgenza per incidere su singole funzioni degli enti locali, su singoli aspetti della legislazione elettorale o su specifici profili della struttura e composizione degli organi di governo, secondo valutazioni di opportunità politica del Governo sottoposte al vaglio successivo del Parlamento. Si ricava altresì, in senso contrario, che la trasformazione per decreto-legge dell’intera disciplina ordinamentale di un ente locale territoriale, previsto e garantito dalla Costituzione, è incompatibile, sul piano logico e giuridico, con il dettato costituzionale, trattandosi di una trasformazione radicale dell’intero sistema, su cui da tempo è aperto un ampio dibattito nelle sedi politiche e dottrinali, e che certo non nasce, nella sua interezza e complessità, da un «caso straordinario di necessità e d’urgenza” (punto 12.1 considerato in diritto).

Inoltre, poiché “la modificazione delle singole circoscrizioni provinciali richiede, a norma dell’art. 133, primo comma, Cost., l’iniziativa dei Comuni interessati – che deve necessariamente precedere l’iniziativa legislativa in senso stretto – ed il parere, non vincolante, della Regione”, la Corte ha ravvisato “una incompatibilità logica e giuridica (…) tra il decreto-legge, che presuppone che si verifichino casi straordinari di necessità e urgenza, e la necessaria iniziativa dei Comuni (punto 12.2 considerato in diritto).

 

Occorre aggiungere che l’art. 1, comma 115 della legge 228/2012, di stabilità per il 2013 aveva mantenuto, con un regime di sospensione di efficacia di alcune disposizioni e di proroga di altre, fino al 31 dicembre 2013, l'assetto dato all'ordinamento provinciale dai D.L. 201/2011 e D.L. 95/2012.

La disposizione citata ha previsto: la sospensione, fino al 31 dicembre 2013, del trasferimento ai Comuni delle funzioni conferite dalla normativa vigente alle Province, nonché del trasferimento delle risorse umane, finanziarie e strumentali all'esercizio delle funzioni stesse; la sospensione fino al 31 dicembre 2013 dell'applicazione delle disposizioni in materia di città metropolitane; la proroga al 31 dicembre 2013 del termine entro il quale sono stabilite, con legge dello Stato, le modalità di elezione dei componenti del Consiglio provinciale con previsione di gestioni commissariali fino alla stessa data; l'attribuzione di carattere transitorio all'assegnazione delle funzioni di area vasta alle province, effettuata in via definitiva dal comma 10 dell'art. 17 del D.L. 95/2012; Il differimento degli effetti delle modifiche ordinamentali predisposte era preordinato al fine di consentire la riforma organica della rappresentanza locale ed al fine di garantire il conseguimento dei risparmi previsti dal D.L. n. 95/2012, nonché quelli derivanti dal processo di riorganizzazione dell’Amministrazione periferica dello Stato.

 

Si fa presente che le amministrazioni provinciali che risultano sciolte alla data del 1° settembre 2013 sono: Belluno (13 dicembre 2011), Genova (9 maggio 2012), Vicenza (31 maggio 2012), La Spezia (1 giugno 2012), Ancona (2 giugno 2012), Como (2 giugno 2012), Asti (23 novembre 2012), Biella (23 novembre 2012), Brindisi (23 novembre 2012), Vibo Valentia (10 dicembre 2012), Roma (10 gennaio 2013), Avellino (12 febbraio 2013); Rieti (12 febbraio 2013); Frosinone (18 marzo 2013); Napoli (18 marzo 2013), Benevento (18 aprile 2013); Catanzaro (18 aprile 2013); Massa Carrara (18 aprile 2013); Varese (18 aprile 2013); Foggia (16 maggio 2013); Lodi (6 giugno 2013); Taranto (19 luglio 2013).

 

Lo stesso comma 115, richiamato nel considerato in diritto della citata sentenza 220/2013, ma non compreso nel dispositivo, ha previsto che, nei casi in cui in una data compresa tra il 5 novembre 2012 e il 31 dicembre 2013 si verifichino la scadenza naturale del mandato degli organi delle province, oppure la scadenza dell'incarico di Commissario straordinario delle province nominato ai sensi delle vigenti disposizioni di cui al testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali di cui al d.lgs.267/2000, o in altri casi di cessazione anticipata del mandato degli organi provinciali ai sensi della legislazione vigente, è nominato un commissario straordinario, ai sensi dell’art. 141 dello stesso TUEL per la provvisoria gestione dell'ente fino al 31 dicembre 2013.

 

Pertanto, l’art. 1-bis, comma 1:

§         1. mantiene fermo quanto previsto dal citato comma 115 dell’art. 1 della L.228/2012, con l’effetto di ribadire la già vigente proroga delle gestioni commissariali in essere al 31 dicembre 2013, nonché l’applicabilità dell’art. 141 TUEL (nomina di commissari) alle province per le quali tra il 5 novembre 2012 e il 31 dicembre 2013 si verifichino la scadenza naturale del mandato degli organi delle province, oppure la scadenza dell'incarico di Commissario straordinario delle province, o in altri casi di cessazione anticipata del mandato degli organi provinciali;

§         2. dispone, fino alla data di entrata in vigore della legge di conversione, la salvezza dei provvedimenti di scioglimento delle province, dei conseguenti atti di nomina dei commissari,nonché degli atti da questi posti in essere.

 

La sanatoria prevista sub 2. riproduce quanto già disposto dal soppresso art. 12 del decreto-legge con i commi 1 e 2.

Non è invece riprodotta la disposizione del comma 3 che stabilisce l'ulteriore efficacia delle gestioni commissariali in essere oltre il termine del 31 dicembre 2013 cioè fino al 30 giugno 2014 nonché la disposizione del comma 4 che prevede l’efficacia fino alla stessa data delle gestioni che dovranno essere disposte per le province che cesseranno per scadenza naturale o per cessazione anticipata. Tali disposizioni, adottate con lo strumento del decreto-legge, conferiscono una sostanziale continuità di effetti ad una riforma le cui disposizioni cardine sono state caducate dalla Corte costituzionale proprio in quanto adottate con tale strumento.

 

Il comma 2 dell’art. 1-bis, riproducendo quanto stabilito dal comma 5 dell’art. 12, sospende l’applicazione delle disposizioni contenute nell'articolo 2, comma 2, del D.L. 95/2012 (conv. da L. 135/2012) che prevedono la riduzione delle dotazioni organiche del Ministero dell’interno. Nel dettaglio, le riduzioni previste dalla norma richiamata si applicheranno dopo il 30 giugno 2014.

L’obiettivo della sospensione è quello di collegare i provvedimenti relativi alle dotazioni organiche dell’Amministrazione civile dell’interno a quelli di tipo ordinamentale di riordino delle province, come già stabilito ai sensi dell’art. 2, co. 2, del D.L. 95/2012 e dell’art. 1, co. 115, della legge di stabilità per il 2013.

 

L'articolo 2 del D.L. 95/2012 ha stabilito, nell’ambito di un processo di razionalizzazione della spesa già avviato da qualche anno, una riduzione degli uffici e delle dotazioni organiche delle pubbliche amministrazioni dello Stato in misura non inferiore al: 20 per cento di quelle esistenti, per il personale dirigenziale di livello generale e di livello non generale (lettera a); 10 per cento della spesa complessiva relativa al numero dei posti in organico, per il personale non dirigenziale. Il comma 2 di tale disposizione ha stabilito per il solo personale dell’Amministrazione civile dell’interno che le riduzioni si applicano all’esito della procedura di soppressione e razionalizzazione delle province prevista dal medesimo D.L., all’articolo 17, e, comunque, entro il 30 aprile 2013.

 

L’introduzione dell’art.1-bis realizza un intervento di natura parlamentare, inserito in fonte normativa ordinaria, finalizzato a sanare gli effetti di disposizioni caducate in sede di giudizio di legittimità costituzionale e a sospendere l’applicazione di disposizioni vigenti.

Per tale contenuto, esso si iscrive con coerenza nel regime delineato dall’art. 77 Cost., comma secondo, secondo periodo, che richiede la fonte della legge ordinaria per disporre la salvezza di effetti di rapporti giuridici in caso di mancata conversione di decreti-legge, ferme restando ovviamente le differenze delle fattispecie riconducibili a differenti vicende cui possono essere soggette le disposizioni di decreto-legge, cioè, da un lato, la declaratoria di incostituzionalità che produce effetti dalla data di pubblicazione della sentenza della Consulta (art. 136 Cost.) e, dall’altro, la decadenza per mancata conversione che ha effetto ex nunc (art. 77 Cost.).

Inoltre, la soppressione dei commi 3 e 4 dell’art. 12 evita di conferire, con lo strumento del decreto-legge, una sostanziale continuità di effetti ad una riforma le cui disposizioni cardine sono state caducate dalla Corte costituzionale proprio in quanto adottate con tale strumento.

 

 

 

 

 

 

 

 


Schede di lettura del DL

 


 

Capo I
(Prevenzione e contrasto della violenza di genere)

Il Capo I del decreto-legge, composto dagli articoli da 1 a 5, è dedicato al contrasto e alla prevenzione della violenza di genere.

Come specificato anche nella relazione illustrativa del disegno di legge, alcune disposizioni introdotte intendono dare attuazione nel nostro ordinamento alla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (c.d. Convenzione di Istanbul).

La Convenzione, fatta ad Istanbul l'11 maggio 2011, è il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante volto a creare un quadro normativo completo a tutela delle donne contro qualsiasi forma di violenza. La Convenzione interviene specificamente anche nell'ambito della violenza domestica, che non colpisce solo le donne, ma anche altri soggetti, ad esempio bambini ed anziani, ai quali altrettanto si applicano le medesime norme di tutela.

Per entrare in vigore, la Convenzione necessita della ratifica di almeno 10 Stati, tra i quali 8 membri del CdE; al momento, gli Stati firmatari sono 30, 5 dei quali hanno anche ratificato (Albania, Montenegro, Portogallo, Turchia e Italia).

Per l’analisi dettagliata dei contenuti della Convenzione si rinvia al dossier “La Convenzione di Istanbul - L'attuazione dell'ordinamento interno” (Documentazione e ricerche n. 50 – 7 agosto 2013).

 

Il Parlamento ha autorizzato la ratifica della Convenzione di Istanbul, approvando la legge 27 giugno 2013, n. 77.

Per una scelta del legislatore, la legge n. 77 non detta norme di adeguamento dell’ordinamento interno. Ciò in quanto è prevalsa l'esigenza di privilegiare la rapida ratifica della Convenzione, essenziale a consentirne l'entrata in vigore; rapida ratifica che sarebbe stata ostacolata da un contenuto normativo più complesso.

Concluso però questo adempimento, il Parlamento è chiamato oggi a valutare le misure che l'impegno internazionale assunto dallo Stato ci impongono.

 

 

 

 


Articolo 1
(Norme in materia di maltrattamenti, violenza sessuale
e atti persecutori)

 

 

L’articolo 1 del decreto-legge interviene sul codice penale per novellare la disciplina dei maltrattamenti in famiglia, della violenza sessuale e degli atti persecutori, con tre modalità: l’introduzione di nuove aggravanti; la previsione della irrevocabilità della querela presentata per stalking; il divieto di detenzione di armi in caso di ammonimento del questore per il medesimo reato.

Questa disposizione è stata significativamente modificata dalle Commissioni riunite Affari costituzionali e Giustizia nel corso dell’esame in sede referente, che hanno in particolare:

-              introdotto un’aggravante comune per la commissione di alcuni delitti in danno o in presenza di minori, eliminando la novella all’art. 572 c.p.;

-              ridotto le ipotesi di irrevocabilità della querela per atti persecutori, prevedendo però che l’eventuale remissione possa avvenire soltanto in sede processuale.

Di seguito si dà conto della normativa vigente, ovvero del testo del decreto-legge, e delle modifiche apportate dalle Commissioni.

 

Analiticamente, il comma 1 dell’art. 1 del  decreto-legge interviene sul delitto di maltrattamenti contro familiari e conviventi previsto dall’art. 572 del codice penale[1] estendendo l’aggravante prevista dal secondo comma, relativa alla commissione del fatto in danno di minore degli anni quattordici:

§         alla commissione del fatto in danno di minorenne, superando il limite dei 14 anni e prevedendo dunque l’aumento di pena fino a un terzo quando vittima dei maltrattamenti è un minore;

§         alla commissione del fatto in presenza di minorenne. La semplice presenza del minore alla commissione del delitto comporta l’applicazione dell’aggravante.

 

Le Commissioni hanno abrogato il secondo comma dell’art. 572 c.p. (comma 1-bis), spostando l’aggravante ivi prevista nell’art. 61 del codice penale, e dunque trasformando quella aggravante da speciale in aggravante comune. Il comma 1 inserisce nell’art. 61 c.p. il numero 11-quinquies, in base al quale i fatti commessi:

-          in presenza di un minorenne;

-          in danno di un minorenne;

-          in danno di una donna in stato di gravidanza,

aggravano i seguenti delitti non colposi:

§         delitti contro la vita e l’incolumità individuale (artt. 575 – 593 c.p.: si tratta delle ipotesi di omicidio, ma anche di percosse, lesioni, mutilazioni genitali femminili, rissa, omissione di soccorso);

§         delitti contro la libertà personale (artt. 605 – 609-undecies c.p.: si tratta delle ipotesi di sequestro di persona e di tutti i delitti di violenza sessuale);

§         delitto di maltrattamenti in famiglia (art. 572 c.p.).

 

Questa disposizione risulta connessa all’attuazione nel nostro ordinamento dell’articolo 46 della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (c.d. Convenzione di Istanbul). La disposizione internazionale, infatti, impegna gli Stati a ad adottare misure legislative volte a garantire che (lett. d) quando il reato è commesso «su un bambino o in presenza di un bambino», ciò sia considerato circostanza aggravante.

 

Le Commissioni hanno inserito poi il comma 1-ter con il quale si novella l’art. 609-ter del codice penale[2], che individua le ipotesi di violenza sessuale aggravata, estendendo l’aggravante attualmente prevista per colui che commette il fatto in danno di persona che non ha compiuto gli anni 16 della quale il colpevole sia l’ascendente, il genitore anche adottivo, il tutore (n. 5), a colui che commette il fatto in danno di un minorenne. Viene dunque innalzato, sempre in attuazione della Convenzione di Istanbul, il limite di età della vittima da 16 a 18 anni per poter applicare la fattispecie aggravata di violenza sessuale.

 

Il comma 2 del decreto-legge, non modificato in sede referente, interviene ancora sull’art. 609-ter c.p. inserendovi due ulteriori ipotesi aggravate, che comportano l’applicazione della pena della reclusione da 6 a 12 anni. Si tratta:

§         della violenza sessuale nei confronti di donna in stato di gravidanza;

Si ricorda che l’aggravante relativa allo stato di gravidanza della persona offesa è già prevista dal nostro ordinamento per il delitto di atti persecutori (art. 612-bis, terzo comma, c.p.).

 

§         della violenza sessuale commessa dal coniuge (anche separato o divorziato) o da persona che sia o sia stata legata alla vittima da una relazione affettiva, anche priva del requisito della convivenza.

Sul punto il decreto-legge dà attuazione all’art. 46 della Convenzione di Istanbul, che alla lettera a) impegna gli Stati a considerare aggravante dei delitti di violenza il fatto commesso contro l'attuale o l'ex coniuge o partner, da un membro della famiglia, dal convivente della vittima, o da una persona che ha abusato della propria autorità.

 

Le Commissioni hanno inserito il comma 2-bis con il quale viene novellato l’art. 609-decies c.p.[3] in tema di comunicazione al tribunale per i minorenni. In particolare il provvedimento:

§         estende – nel primo comma dell’art. 609-decies - l’obbligatoria comunicazione anche ai delitti di maltrattamenti in famiglia (art. 572 c.p.) e atti persecutori (art. 612-bis) specificando che in questi casi la segnalazione è dovuta solo quando la persona offesa è il minore o l’altro genitore (lett. a);

§         stabilisce che nei suddetti casi, nonché in relazione alla violenza sessuale aggravata commessa in danno di minorenne o dell’altro genitore (in presenza di figli minori), la comunicazione effettuata dal PM al tribunale per i minorenni è valida anche ai fini dell’adozione dei provvedimenti di remissione della querela da parte del minore (art. 153  e ss. c.p.) e dei provvedimenti di decadenza dalla potestà genitoriale (art. 330 c.c.) e di condotta pregiudizievole ai figli (art. 333 c.c.), di competenza del tribunale per i minorenni (lett. b).

Si osserva che la novella introdotta dalla lettera a) al primo comma dell’art. 609-decies c.p. – diversamente da quella successiva introdotta dalla lettera b) – non specifica che, nei delitti commessi in danno dell’altro genitore, la comunicazione al tribunale dei minorenni è dovuta “in caso di figli minori”.

 

Il comma 2-ter, introdotto dalle Commissioni riunite nel corso dell’esame in sede referente, novella l’art. 612 c.p., relativo al delitto di minaccia, innalzando da 51 a 1.032 euro la multa prevista per chiunque minaccia ad altri un ingiusto danno.

 

Il comma 3 novella la disciplina del delitto di atti persecutori, introdotto nel codice penale all’art. 612-bis dal decreto-legge n. 11 del 2009[4], intervenendo su tre diversi aspetti del delitto.

In primo luogo (comma 3, lett. a)) modifica la disciplina delle aggravanti, novellando il secondo comma dell’art. 612-bis in modo da prevedere:

§         un aumento di pena quando gli atti persecutori sono commessi dal coniuge – anche separato o divorziato - o da altra persona legata alla vittima da una relazione affettiva (tanto nel presente quanto nel passato, in base a un emendamento approvato in sede referente); non sono più requisiti necessari per l’applicazione dell’aggravante, la separazione legale o il divorzio;

§         un aumento di pena quando gli atti persecutori sono commessi attraverso strumenti informatici o telematici. Si osserva che l’atto persecutorio consiste in minacce o molestie, perpetrate attraverso condotte reiterate, tali da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria, di un prossimo congiunto o di persona legata alla vittima da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita. Occorre quindi valutare se la minaccia o molestia arrecata via web presenti effettivamente maggiore gravità e cagioni maggiore ansia o paura rispetto alla minaccia o molestia arrecata direttamente.

 

In secondo luogo (comma 3, lett. b)), il decreto-legge ha modificato la disciplina della querela, intervenendo sul quarto comma dell’art. 612-bis c.p., per disporre che, una volta presentata, la querela è irrevocabile.

 

Per quanto riguarda la procedibilità dei delitti di violenza, si ricorda che la Convenzione di Istanbul, all’art. 55, impegna gli Stati a far sì che la repressione dei reati previsti dalla Convenzione non dipenda interamente da una segnalazione o da una denuncia da parte della vittima, richiedendo dunque una sorta di procedibilità d’ufficio. In particolare, la prima parte della disposizione richiede che le indagini ed i procedimenti penali per i reati di violenza fisica, violenza sessuale, matrimonio forzato, mutilazioni genitali femminili, aborto e sterilizzazione forzati possano essere avviati e svolti d'ufficio, non richiedendo espressamente una denuncia da parte della vittima. Il legislatore nazionale ha adottato una impostazione opposta[5] – pur con alcune eccezioni nei casi più gravi di violenza sessuale – e dunque la norma in commento, pur non rappresentando un’attuazione della Convenzione, può essere letta come un avvicinamento alle posizioni internazionali.

 

Sul punto sono intervenute le Commissioni riunite, che hanno modificato questa impostazione del decreto-legge stabilendo che la querela presentata per stalking sia irrevocabile, ma solo se attiene a fatti commessi mediante minacce reiterate dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che sia o sia stata legata da relazione affettiva alla persona offesa, ovvero se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici; in tutti gli altri casi la remissione della querela può essere soltanto processuale.

Si osserva che appare utile chiarire se il riferimento alla remissione della querela “processuale” coincida con la “remissione processuale” prevista dall’art. 152 c.p. (sarebbe quindi consentita anche davanti a un ufficiale di polizia giudiziaria, ai sensi dell’art. 340 c.p.p.).

 

In terzo luogo (comma 4), il provvedimento in commento interviene sull’art. 8 del decreto-legge n. 11 del 2009, in tema di ammonimento da parte del questore, per disporre che, in sede di ammonimento, l’autorità di pubblica sicurezza debba adottare anche i conseguenti provvedimenti in tema di armi e munizioni; si ricorda che per il testo previgente, invece, il questore aveva ampia discrezionalità potendo valutare l’esigenza di vietare il porto d’armi.

 

La disposizione pare ricollegarsi agli articoli 51-53 della Convenzione di Istanbul che richiedono l’adozione di una serie di misure volte a ridurre o gestire il rischio di reiterazione dei comportamenti violenti, anche con riguardo all’accesso alle armi da fuoco da parte dell’autore delle violenze. In particolare, l’art. 51 della Convenzione impegna le parti ad adottare le misure legislative o di altro tipo necessarie per garantire che le autorità competenti possano valutare il rischio di letalità, la gravità della situazione e il rischio di reiterazione dei comportamenti violenti, valutando anche il fatto che l'autore di atti di violenza che rientrano nel campo di applicazione della presente Convenzione possieda, o abbia accesso ad armi da fuoco.

 

Infine, le Commissioni hanno inserito nell’articolo 1 del decreto-legge un ulteriore comma 4-bis, che novella l’articolo 11 del decreto-legge n. 11 del 2009, in tema di misure a sostegno delle vittime.

In particolare, si tratta della disposizione in base alla quale le forze dell'ordine, i presidi sanitari e le istituzioni pubbliche che ricevono dalla vittima notizia del reato di atti persecutori hanno l'obbligo di fornire alla vittima stessa tutte le informazioni relative ai centri antiviolenza presenti sul territorio e, in particolare, nella zona di residenza della vittima. Le forze dell'ordine, i presidi sanitari e le istituzioni pubbliche provvedono a mettere in contatto la vittima con i centri antiviolenza, qualora ne faccia espressamente richiesta.

 

La disposizione, che corrisponde in parte a quanto previsto dall’art. 3, comma 5, del decreto-legge (v. infra) prevede che le misure a sostegno delle vittime di atti persecutori siano applicate anche alle vittime dei delitti di maltrattamenti in famiglia, tratta di persone, sfruttamento sessuale dei minori e violenza sessuale.

 


 

Articolo 2
(Modifiche al codice di procedura penale e disposizioni concernenti i procedimenti penali per i delitti di cui all’articolo 572 del
codice penale)

 

 

L’articolo 2 prevede una serie di interventi di adeguamento del codice di procedura penale alle esigenze di maggior protezione delle vittime di stalking, maltrattamenti in famiglia e, a seguito dell’esame in sede referente, di delitti commessi con violenza alla persona.

 

Il comma 1 detta una serie di modifiche volte ad ampliare la gamma delle misure coercitive adottabili a tutela della vittime di tali reati e ad introdurre obblighi di costante comunicazione a tutela della persona offesa.

In particolare:

 

La lettera 0a), introdotta nel corso dell’esame in sede referente, novella la disciplina delle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, di cui all’art. 266 c.p.p., consentendo anche nelle indagini per i delitti di atti persecutori l’impiego di questo mezzo di ricerca della prova.

 

La lettera a) modifica l’art. 282-bis c.p.p. consentendo – anche ove si proceda per lesioni personali (art. 582 c.p.) e minacce gravi o aggravate (art. 612, secondo comma, c.p.) in danno dei prossimi congiunti o del convivente - l’adozione del provvedimento di allontanamento dell’imputato dalla casa familiare, anche al di fuori dei limiti di pena previsti (reclusione superiore nel massimo a 3 anni).

La disposizione è stata modificata dalle Commissioni riunite che hanno:

-          circoscritto l’applicazione della norma nel caso di procedimento per lesioni personali, consentendo l’allontanamento solo nelle ipotesi procedibili d’ufficio o comunque aggravate;

-          stabilito la possibilità di ricorrere a procedure di controllo mediante mezzi elettronici (c.d. braccialetto elettronico). In particolare, è previsto che quando si procede per uno dei delitti indicati - violazione degli obblighi di assistenza familiare (art. 570 c.p.), abuso dei mezzi di correzione e di disciplina (art. 571 c.p.), lesioni personali aggravate o procedibili d’ufficio (art. 582 c.p.), tratta di persone (artt. 600, 601 e 602 c.p.), sfruttamento sessuale di minori (artt. da 600-bis a 600-septies c.p.), violenza sessuale semplice, aggravata o di gruppo (artt. 609-bis, 609-ter, 609-octies c.p.), atti sessuali con minorenne (art. 609-quater c.p.), corruzione di minorenne (art. 609-quinquies c.p.) nonché minaccia grave o aggravata (art. 612) - e l’atto è commesso in danno dei prossimi congiunti o del convivente, la misura di allontanamento possa essere disposta (oltre che al di fuori dei limiti di pena previsti) con le modalità previste dall’art. 275-bis c.p.p., ovverosia con procedure di controllo mediante mezzi elettronici (c.d. braccialetto elettronico).

Si osserva che tra le fattispecie ricondotte al possibile utilizzo dei mezzi elettronici non figura il delitto di atti persecutori; si sottolinea altresì che l’art. 275-bis c.p.p. configura il c.d. braccialetto elettronico come modalità da utilizzare in alternativa agli arresti domiciliari e rimessa al consenso dell’imputato. Nel caso di specie, non essendo previsto l’impiego dello strumento elettronico come alternativa a una forma più severa di limitazione della libertà personale, ma come strumento per verificare l’effettivo rispetto dell’obbligo di allontanamento, occorre considerare l’adeguatezza alla fattispecie della disposizione sul consenso.

 

La lettera a-bis), introdotta nel corso dell’esame in sede referente, novella l’articolo 101 del codice di procedura penale, relativo alla figura del difensore della persona offesa dal reato. La disposizione prevede che, al momento dell’acquisizione della notizia di reato, PM e polizia giudiziaria debbano informare la persona offesa della facoltà di nominare un difensore e della possibilità di eventualmente accedere al patrocinio a spese dello Stato.

 

La lettera a-ter), inserita dalle Commissioni riunite, novella l’art. 282-quater. Si tratta della disposizione che prevede, a fronte di provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare (ex art. 282-bis) o di divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa (art. 282-ter), la comunicazione all’autorità di pubblica sicurezza competente, ai fini dell'eventuale adozione dei provvedimenti in materia di armi e munizioni, nonché alla persona offesa e ai servizi socio-assistenziali del territorio. Le Commissioni hanno aggiunto che, se l’imputato si sottopone positivamente ad un programma di prevenzione della violenza organizzato dai servizi sociali territoriali, il responsabile del servizio ne dà comunicazione al PM e al giudice ai fini della valutazione circa la possibile sostituzione della misura cautelare applicata.

 

La lettera b), nel testo originario del decreto-legge, aggiunge all’art. 299 – in tema di revoca e sostituzione delle misure cautelari applicate - un comma 2-bis, che prevede che ogni modifica relativa alle misure coercitive dell’allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa debba essere immediatamente comunicata al difensore di quest’ultima (o, in mancanza, alla stessa persona offesa e ai servizi socio-assistenziali territoriali).

Le Commissioni riunite hanno emendato l’a novella dell’art. 299 c.p.p., ampliando l’elenco delle misure per le quali è fatto obbligo di comunicazione. E’ stabilito inoltre che ogni provvedimento di modifica delle misure coercitive debba essere comunicato, a cura della polizia giudiziaria, al difensore o direttamente alla persona offesa solo quando si procede per un delitto commesso con violenza alla persona. Le misure le cui modifiche devono essere comunicate sono le seguenti:

-          allontanamento dalla casa familiare e divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa (art. 282-bis e 282-ter);

-          divieto e obbligo di dimora (art. 283);

-          arresti domiciliari (art. 284);

-          custodia cautelare in carcere (art. 285) o in luogo di cura (art. 286).

Il decreto-legge prevede un’integrazione anche ai commi 3 e 4-bis dell’art. 299 c.p.p. prevedendo l’obbligo, per il richiedente, di notificare anche al difensore (o, in mancanza, alla parte offesa) la domanda all’autorità giudiziaria di revoca o sostituzione delle misure coercitive avanzata sia nel corso delle indagini preliminari (comma 3) che dopo la loro chiusura (comma 4-bis); la mancata notifica costituisce, in entrambi i casi, causa di inammissibilità della richiesta.

Anche su questi profili sono intervenute le Commissioni riunite, che hanno non solo integrato l’elenco delle misure coercitive considerate, ma anche precisato che:

-          la notifica al difensore o alla persona offesa non è dovuta se la richiesta di revoca o modifica della misura interviene nel corso dell’interrogatorio di garanzia;

-          la notifica deve essere effettuata alla persona offesa, eventualmente presso il suo difensore, e non direttamente al difensore stesso, come previsto dal decreto-legge;

-          la notifica alla persona offesa, quando la stessa non abbia indicato il difensore, non è dovuta se la stessa non ha neanche provveduto a dichiarare o eleggere domicilio;

-          il difensore e la persona offesa possono, nei due giorni successivi alla notifica, presentare memorie; decorso il termine, il giudice procede.

 

La lettera b-bis) è stata inserita dalle Commissioni nel corso dell’esame in sede referente ed è volta a novellare l’art. 351 del codice di procedura penale, in tema di sommarie informazioni assunte dalla polizia giudiziaria.

La novella inserisce i procedimenti per i delitti di maltrattamenti in famiglia, adescamento di minorenni e atti persecutori tra quelli per i quali la polizia giudiziaria deve avvalersi di un esperto in psicologia o psichiatria infantile, nominato dal PM, se deve assumere sommarie informazioni da minorenni.

 

La lettera c) modifica l’art. 380 c.p.p. per permettere - anche per i delitti di maltrattamenti in famiglia (art. 572 c.p.) e di stalking (art. 612-bis c.p.) - l’arresto obbligatorio in flagranza al di fuori dei limiti di pena previsti (reclusione non inferiore nel minimo a 5 e nel massimo a 20 anni).

 

La lettera d) introduce nel codice di rito il nuovo art. 384-bis, che prevede che la polizia giudiziaria possa provvedere, su autorizzazione del PM, all’allontanamento d’urgenza dalla casa familiare e al contestuale divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa.

Come precisato dalle Commissioni riunite, l’autorizzazione del pubblico ministero deve avere forma scritta ovvero, se orale, deve essere confermata per iscritto o per via telematica.

II nuovo istituto:

§         può essere applicato nei confronti di chi è colto in flagranza di uno dei reati previsti dall’art. 282-bis, comma 6[6]; tra questi, la minaccia grave, la lesione personale e lo stalking da parte del coniuge (ora, non solo separato o divorziato ma anche in costanza di matrimonio);

§         presuppone la sussistenza di fondati motivi di una possibile reiterazione del reato, che metta in pericolo grave ed attuale la vita o l’integrità fisica (o psichica, in base a un emendamento delle Commissioni) della persona offesa;

§         rinvia, in quanto applicabile, alla disciplina sull’arresto e il fermo di cui agli artt. 385 e seguenti c.p.p.[7]. Sul punto le Commissioni hanno precisato che, se si tratta di delitto perseguibile a querela, la misura può essere eseguita se la querela viene proposta, anche oralmente (richiamo dell’art. 381, comma 3, c.p.p.); in quel caso della querela si dà atto nel verbale delle operazioni di allontanamento.

Le Commissioni riunite hanno anche precisato che la polizia giudiziaria deve altresì provvedere, senza ritardo, a fornire alla vittima dei suddetti reati informazioni relative ai centri antiviolenza presenti sul territorio.

 

La lettera e) integra il comma 5-bis dell’art. 398, relativo a provvedimenti sulla richiesta di incidente probatorio; la nuova norma aggiunge i procedimenti per il reato di maltrattamenti in famiglia a quelli per cui, ove fra le persone interessate all'assunzione della prova vi siano minorenni, il giudice - con l'ordinanza di accoglimento della richiesta – se le esigenze di tutela delle persone lo rendono necessario od opportuno, dispone l’incidente probatorio attraverso modalità particolari.

 

La lettera f) integra il comma 2-ter dell’art. 406 stabilendo che, anche per le indagini preliminari per maltrattamenti in famiglia (cui le Commissioni riunite hanno aggiunto le indagini preliminari per atti persecutori), la proroga del termine di durata massima non può essere concessa più di una volta (il termine massimo è quindi di 2 anni: 18 mesi ordinari più una possibile proroga di 6 mesi); la novella intende così favorire una celere trattazione di tali procedimenti.

 

La lettera g) aggiunge all’art. 408 c.p.p., in tema di richiesta di archiviazione per infondatezza della notizia di reato, un comma 3-bis, per stabilire che in caso di procedimento per maltrattamenti in famiglia l’avviso della richiesta di archiviazione per infondatezza della notizia di reato debba essere in ogni caso notificato, a cura del PM, alla persona offesa. E’ inoltre raddoppiato (da 10 a 20 giorni) il termine entro il quale la persona offesa può visionare gli atti e presentare opposizione all’archiviazione, con richiesta motivata di prosecuzione delle indagini preliminari.

Le Commissioni riunite hanno modificato questa previsione, estendendola a tutti i procedimenti per delitti commessi con violenza alla persona (è dunque soppresso lo specifico richiamo ai maltrattamenti in famiglia).

 

La lettera h) modifica il comma 1 dell’art. 415-bis del codice, prevedendo – sempre nel caso in cui si proceda per il reato di maltrattamenti in famiglia (art. 572 c.p.) - a cura del PM, l’obbligo di notifica anche al difensore della persona offesa (o, in mancanza alla stessa persona offesa) dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari. Le Commissioni riunite hanno aggiunto anche in questa disposizione il richiamo ai procedimenti per atti persecutori, integrando dunque il richiamo all’art. 572 del codice penale con l’art. 612-bis.

 

Le Commissioni riunite hanno inserito all’articolo 2 del decreto-legge la lettera h-bis), che novella l’art. 449 del codice di rito, in tema di accesso al giudizio direttissimo. La disposizione disciplina la citazione per il giudizio direttissimo nell’ipotesi in cui sia stato disposto l’allontanamento d’urgenza dalla casa familiare ai sensi dell’art. 384-bis c.p.p. (v. sopra), prevedendo che la polizia giudiziaria, su indicazione del PM, possa provvedere alla citazione per il giudizio e la contestuale convalida, entro 48 ore, della misura. A ciò si provvederà laddove il giudizio direttissimo non pregiudichi gravemente le indagini.

 

La lettera i) estende anche al minore vittima di maltrattamenti in famiglia (ovvero alla vittima maggiorenne inferma di mente) le particolari modalità di assunzione della testimonianza previste dall’art. 4-ter dell’art. 498; l’esame testimoniale potrà quindi avvenire, su richiesta del minore o del suo difensore, mediante l'uso di un vetro specchio e di un impianto citofonico. Un comma aggiuntivo 4-quater prevede, inoltre, in relazione ai procedimenti per i reati di cui al comma 4-ter dello stesso art. 498 (che a seguito del D.L. comprende anche i maltrattamenti in famiglia) la possibilità che – su richiesta dell’interessato o del suo difensore – anche l’assunzione della testimonianza di vittime maggiorenni, se particolarmente vulnerabili, avvenga con modalità protette.

 

La lettera i-bis), introdotta nel corso dell’esame in sede referente, modifica l’art. 350 del codice, in tema di sommarie informazioni che la polizia giudiziaria assume dall’indagato, per specificare che gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria provvedono all’assunzione delle sommarie informazioni utili alle indagini dalla persona indagata che non si trovi – oltre che in stato di arresto ovvero di fermo – “nei casi di allontanamento d’urgenza dalla casa familiare”.

Appare utile verificare se la formulazione del testo aggiunga il caso dell’allontanamento dalla casa familiare a quelli in cui la polizia non è tenuta ad assumere sommarie informazioni.

 

Il comma 2 dell’articolo 2 del decreto-legge interviene sulle norme di attuazione del codice di procedura penale aggiungendo una lett. a-bis) al comma 1 dell’art. 132-bis, che assicura priorità assoluta nella formazione dei ruoli di udienza e nella trattazione dei processi anche ai reati di maltrattamenti in famiglia, stalking, violenza sessuale, atti sessuale con minorenne, corruzione di minorenne e violenza sessuale di gruppo.

 

Il comma 3 integra la formulazione del comma 4-ter dell’art. 76 del TU spese di giustizia (DPR 115 del 2002) prevedendo l’ammissione al gratuito patrocinio anche in deroga ai limiti di reddito delle vittime dei reati di stalking, maltrattamenti in famiglia e mutilazioni genitali femminili. La disposizione attua quanto previsto dalla Convenzione di Istanbul, la cui ratifica è stata recentemente autorizzata con legge 77/2013. Le Commissioni riunite hanno effettuato una modifica di mero drafting, per assicurare nella disposizione novellata il rispetto dell’ordine progressivo degli articoli richiamati.

L’onere finanziario dell’intervento (di cui è indicata la copertura nello stato di previsione del Ministero dell’Economia) è valutato in 1 milione di euro per l’anno in corso e in 2,7 milioni a decorrere dal 2014.

 

Il comma 4 reca una disposizione transitoria che precisa come la novella all’art. 380 c.p.p. sull’arresto obbligatorio in flagranza (per stalking e maltrattamenti in famiglia) in deroga ai limiti di pena (introdotta dal comma 1, lett. c) entra in vigore a partire dalla data di vigenza della legge di conversione del decreto-legge in esame.

 

Infine, le Commissioni riunite hanno inserito il comma 4-bis, che novella il decreto legislativo n. 274 del 2000, sulla competenza penale del giudice di pace. La novella circoscrive la competenza del giudice di pace rispetto al delitto di lesioni personali di cui all’art. 582 del codice penale, prevedendola solo nelle ipotesi lievi (secondo comma) perseguibili a querela di parte e purché non si tratti di fatti commessi in danno di convivente, coniuge, fratello, sorella, padre, madre, figlio o affine in linea retta.

 


 

Articolo 3
(Misura di prevenzione per condotte di violenza domestica)

 

 

L’articolo 3 introduce misure di prevenzione per condotte di violenza domestica.

 

Secondo quanto si legge nella relazione illustrativa del disegno di legge di conversione, l’articolo si inquadra nell’ambito delle iniziative, preannunciate dal Governo, per garantire la completa attuazione della Convenzione di Istanbul e si propone – in attuazione dei principi sanciti negli articoli 5, 12, 27 e 50 della Convenzione – di rafforzare gli strumenti di prevenzione anche operativa delle vessazioni perpetrate nell’ambito del nucleo familiare o di relazioni affettive.

In particolare, l’articolo 5 della Convenzione di Istanbul (legge di autorizzazione alla ratifica 27 giugno 2013, n. 77) riguarda gli obblighi degli Stati e li impegna ad adottare le misure legislative e di altro tipo necessarie per esercitare la debita diligenza nel prevenire, indagare, punire i responsabili e risarcire le vittime di atti di violenza commessi da soggetti non statali che rientrano nel campo di applicazione della Convenzione.

L’articolo 12 della Convenzione disciplina gli obblighi generali per gli Stati, che sono tenuti ad adottare le misure necessarie per: promuovere i cambiamenti nei comportamenti socio-culturali delle donne e degli uomini, al fine di eliminare pregiudizi, costumi, tradizioni e qualsiasi altra pratica basata sull'idea dell'inferiorità della donna o su modelli stereotipati dei ruoli delle donne e degli uomini; impedire ogni forma di violenza rientrante nel campo di applicazione della Convenzione commessa da qualsiasi persona fisica o giuridica. Tutte le misure adottate devono prendere in considerazione e soddisfare i bisogni specifici delle persone in circostanze di particolare vulnerabilità, e concentrarsi sui diritti umani di tutte le vittime. Le Parti firmatarie della Convenzione adottano le misure necessarie per incoraggiare tutti i membri della società, e in particolar modo gli uomini e i ragazzi, a contribuire attivamente alla prevenzione di ogni forma di violenza. Le Parti vigilano affinché la cultura, gli usi e i costumi, la religione, la tradizione o il cosiddetto «onore» non possano essere in alcun modo utilizzati per giustificare nessuno degli atti di violenza. Inoltre debbono adottare le misure necessarie per promuovere programmi e attività destinati ad aumentare il livello di autonomia e di emancipazione delle donne.

L’articolo 27 della Convenzione impegna le Parti ad adottare le misure necessarie per incoraggiare qualsiasi persona che sia stata testimone di un qualsiasi atto di violenza che rientra nel campo di applicazione della Convenzione, o che abbia ragionevoli motivi per ritenere che tale atto potrebbe essere commesso, o che si possano temere nuovi atti di violenza, a segnalarlo alle organizzazioni o autorità competenti.

L’articolo 50, in fine, impegna le Parti ad adottare le misure legislative e di altro tipo necessarie per garantire che le autorità incaricate dell'applicazione della legge affrontino in modo tempestivo e appropriato tutte le forme di violenza, offrendo una protezione adeguata e immediata alle vittime. Le Parti debbono adottare le misure legislative e di altro tipo per garantire che le autorità incaricate dell'applicazione della legge operino in modo tempestivo e adeguato in materia di prevenzione e protezione contro ogni forma di violenza, ivi compreso utilizzando misure operative di prevenzione e la raccolta delle prove.

 

Il comma 1 introduce una misura di prevenzione per condotte di violenza domestica, ispirata allo schema già adottato dal legislatore con riguardo al reato di stalking (art. 8 del dl 11/2009, convertito, con modificazioni, dalla legge 38/2009).

 

L’art. 8 del dl 11/2009 stabilisce che, fino a quando non è proposta querela per il reato di atti persecutori, la persona offesa può esporre i fatti all'autorità di pubblica sicurezza avanzando richiesta al questore di ammonimento nei confronti dell'autore della condotta. La richiesta è trasmessa senza ritardo al questore (comma 1).

Il questore, assunte se necessario informazioni dagli organi investigativi e sentite le persone informate dei fatti, ove ritenga fondata l'istanza, ammonisce oralmente il soggetto nei cui confronti è stato richiesto il provvedimento, invitandolo a tenere una condotta conforme alla legge e redigendo processo verbale. Copia del processo verbale è rilasciata al richiedente l'ammonimento e al soggetto ammonito. Il questore è tenuto ad adottare i provvedimenti in materia di armi e munizioni (l’obbligo di adozione, in luogo della discrezionalità valutativa del questore originariamente prevista dal decreto-legge 11/2009, è stato introdotto dall’art. 1, comma 4, del decreto-legge 93) (comma 2).

La pena per il delitto di atti persecutori è aumentata se il fatto è commesso da soggetto già ammonito ai sensi del presente articolo (comma 3).

Si procede d'ufficio per il delitto di atti persecutori quando il fatto è commesso da soggetto ammonito ai sensi del presente articolo (comma 4).

L’istituto dell’ammonimento (altrimenti denominato dal legislatore “avviso orale”), quale misura di prevenzione personale, è inoltre previsto dal codice antimafia (art. 3 del d.lgs. 159/2011).

 

Si prevede, infatti, che nei casi in cui alle forze dell’ordine sia segnalato – in forma non anonima, come specificato dalle Commissioni riunite - un fatto che debba ritenersi riconducibile all'art. 582, secondo comma, c.p. (lesioni personali punibili a querela della persona offesa) – ovvero all’art. 581 (percosse, anch’esse punibili a querela), come aggiunto dalle Commissioni riunite - , consumato o tentato, nell'ambito di violenza domestica, il questore, anche in assenza di querela, possa procedere, assunte le informazioni necessarie da parte degli organi investigativi e sentite le persone informate dei fatti, all'ammonimento dell'autore del fatto.

Il decreto-legge precisa che, ai fini dell’applicazione della norma sull’ammonimento, per “violenza domestica” si intendono gli atti non episodici di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all’interno della famiglia o del nucleo familiare o tra attuali o precedenti coniugi o persone legate da relazione affettiva in corso o pregressa, indipendentemente dal fatto che l’autore di tali atti condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima. Rispetto a questa formulazione, sostanzialmente mutuata dalla Convenzione di Istanbul (art. 3), le Commissioni riunite hanno precisato che si ha violenza domestica nel caso di uno o più atti, gravi o non episodici. Le Commissioni hanno inoltre sostituito all’espressione «tra attuali o precedenti coniugi o persone legate da relazione affettiva in corso o pregressa», la più corretta formulazione «tra persone legate attualmente o in passato da vincolo di matrimonio o da una relazione affettiva».

 

L’articolo 3, comma 2, del decreto-legge prevede l’applicabilità, in quanto compatibili, delle disposizioni dell’articolo 8, commi 1 e 2, del dl 11/2009 (v. sopra).

La clausola di compatibilità richiede quindi all’interprete di individuare quali siano le disposizioni dell’articolo 8, commi 1 e 2, sull’ammonimento relativo allo stalking, che non contrastano con la nuova disciplina dell’ammonimento per condotte di violenza domestica.

Ad esempio, l’art. 8 riserva alla persona offesa l’esposizione dei fatti all’autorità di pubblica sicurezza e prevede che la richiesta sia rivolta al questore. Inoltre, la richiesta deve essere trasmessa senza ritardo al questore dalle autorità di pubblica sicurezza.

L’art. 3 del dl 93 – diversamente dal citato art. 8 - non precisa invece a chi spetti effettuare la segnalazione; fa riferimento alle “forze dell’ordine” (anziché alla autorità di p.s.) quali destinatarie di tale segnalazione; non stabilisce un’espressa alternativa tra il procedimento di ammonimento e la querela (il questore può procedere “anche” in assenza di querela). Inoltre, non prevede le modalità e i contenuti dell’ammonimento e l’adozione dei provvedimenti in materia di armi e munizioni.

 

Sempre il comma 2 dell’art. 3 del decreto-legge stabilisce che il questore possa richiedere al prefetto del luogo di residenza del destinatario dell'ammonimento l'applicazione della misura della sospensione della patente di guida per un periodo da uno a tre mesi. Il prefetto dispone la sospensione della patente di guida ai sensi del codice della strada (articolo 218, che disciplina il procedimento di sospensione). Il prefetto non dà luogo alla sospensione della patente di guida qualora, tenuto conto delle condizioni economiche del nucleo familiare, risulti che le esigenze lavorative dell'interessato non possono essere garantite con il rilascio del permesso previsto dall'articolo 218, secondo comma, del codice della strada.

Si tratta del permesso che il conducente cui è stata sospesa la patente, solo nel caso in cui dalla commessa violazione non sia derivato un incidente, può richiedere, per determinate fasce orarie, e comunque per non oltre tre ore al giorno, per ragioni di lavoro, qualora risulti impossibile o estremamente gravoso raggiungere il posto di lavoro con mezzi pubblici o comunque non propri, ovvero per il ricorrere di una situazione che avrebbe dato diritto alle agevolazioni previste per l’assistenza alle persone handicappate.

 

Il comma 3 prevede che il Ministero dell'interno - Dipartimento della pubblica sicurezza, anche attraverso i dati contenuti nel Centro elaborazione dati di cui all'articolo 8 della legge 1° aprile 1981, n. 121, elabora annualmente un'analisi criminologica della violenza di genere che costituisce un'autonoma sezione della relazione annuale al Parlamento del Ministro dell'interno sull'attività delle forze di polizia e sullo stato dell'ordine e della sicurezza pubblica nel territorio nazionale.

 

Il comma 4 prevede che in ogni atto del procedimento di ammonimento debbano essere omesse le generalità dell’eventuale segnalante. Sul punto sono intervenute le Commissioni riunite che hanno precisato che:

-          la segnalazione non può essere anonima (v. sopra, comma 1);

-          la segnalazione è utilizzabile solo ai fini dell’avvio del procedimento;

-          il beneficio dell’omissione della indicazione delle generalità del segnalante viene meno se la segnalazione risulta manifestamente infondata.

 

Il comma 5 prevede che le misure a sostegno delle vittime di atti persecutori siano applicate anche nei casi di maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli o di violenza sessuale, nonché – come aggiunto dalle Commissioni riunite – anche ai casi di percosse o lesioni personali nell’ambito di violenza domestica.

 

In particolare, l’art. 11 del dl 11/2009 prevede che le forze dell'ordine, i presidi sanitari e le istituzioni pubbliche che ricevono dalla vittima notizia del reato di atti persecutori hanno l'obbligo di fornire alla vittima stessa tutte le informazioni relative ai centri antiviolenza presenti sul territorio e, in particolare, nella zona di residenza della vittima. Le forze dell'ordine, i presidi sanitari e le istituzioni pubbliche provvedono a mettere in contatto la vittima con i centri antiviolenza, qualora ne faccia espressamente richiesta.

 

La disposizione precisa che tali misura troveranno applicazione anche nei casi in cui le forze dell’ordine, i presidi sanitari e le istituzioni pubbliche ricevano dalla vittima notizie dei suddetti reati.

Si osserva che una specifica novella all’art. 11 del decreto-legge 11/2009 è prevista dall’art. 1, comma 4-bis, decreto-legge in commento (v. sopra).

 

Il comma 5-bis, introdotto nel corso dell’esame in sede referente, stabilisce che quando il questore procede ad ammonimento deve altresì informare l’ammonito «circa i servizi disponibili sul territorio, come individuati in esecuzione del Piano di cui all’articolo 5, finalizzati ad intervenire nei confronti degli autori di violenza domestica o di genere» (v. ultra).


 

Articolo 4
(Tutela per gli stranieri vittime di violenza domestica)

 

L'articolo 4 novella il testo unico in materia di immigrazione (D.Lgs. n. 286 del 1998[8]), introducendovi l'articolo 18-bis, che prevede il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari alle vittime straniere di atti di violenza in ambito domestico. La finalità del permesso di soggiorno è consentire alla vittima straniera di sottrarsi alla violenza.

 

In particolare, la nuova disposizione - che ricalca il contenuto dell’articolo 18 del decreto legislativo, relativo al soggiorno per motivi di protezione sociale – prevede il rilascio di un permesso di soggiorno allo straniero in presenza dei seguenti presupposti (comma 1).

 

§         Devono essere riscontrate violenze domestiche o abusi nei confronti di uno straniero nel corso di operazioni di polizia, indagini o procedimenti penali per uno dei seguenti reati:

-          maltrattamenti contro familiari e conviventi (art. 572 c.p.);

-          lesioni personali, semplici e aggravate (artt. 582 e 583 c.p.);

-          mutilazioni genitali femminili (art. 583-bis c.p.);

-          sequestro di persona (art. 605 c.p.);

-          violenza sessuale (art. 609-bis c.p.);

-          atti persecutori (art. 612-bis c.p.)

-          nonché per uno qualsiasi dei delitti per i quali il codice di procedura penale prevede l’arresto obbligatorio in flagranza (art. 380 c.p.p.).

La violenza domestica, al fine dell’applicazione della disposizione, è definita analogamente a quanto fatto dall’articolo 3 del decreto-legge e dalla Convenzione di Istanbul (v. sopra).

In alternativa alle indagini penali, le violenze domestiche o gli abusi possono anche emergere nel corso di interventi assistenziali dei servizi sociali specializzati nell'assistenza delle vittime di violenza.

 

§         Da tali operazioni, indagini, procedimenti e interventi assistenziali deve emergere che il tentativo di sottrarsi alla violenza ovvero la collaborazione alle indagini preliminari o al procedimento penale espongono l’incolumità della persona offesa straniera ad un concreto ed attuale pericolo.

 

In presenza di questi due presupposti si apre un procedimento che contempla:

-          la proposta o il parere favorevole del procuratore della Repubblica al questore di rilascio del permesso di soggiorno. Nel corso dell’esame in sede referente il parere o la proposta del procuratore della Repubblica è stato sostituito con quello dell’autorità giudiziaria procedente. Nel caso in cui le violenze o gli abusi emergano nel corso di indagini penali, sarà il PM a comunicare al questore gli elementi da cui risulti la sussistenza dei presupposti per il rilascio del permesso di soggiorno, con particolare riferimento alla gravità e attualità del pericolo per l’incolumità personale (comma 2); se, invece, la segnalazione proviene dai servizi sociali (o anche – come precisato con una modifica accolta in sede referente – dai centri antiviolenza), la sussistenza dei presupposti sarà valutata dal questore sulla base della relazione redatta dagli stessi servizi. A seguito dell’approvazione di una proposta emendativa in Commissione è stato chiarito che anche in questo caso è obbligatorio il parere dell’autorità giudiziaria competente (comma 3);

-          il provvedimento del questore che rilascia il permesso di soggiorno.

 

L’articolo 18-bis, introdotto dalla disposizione in commento, contiene, al comma 1, un esplicito richiamo all’art. 5, comma 6, del TU immigrazione, che appunto disciplina l’ipotesi della sussistenza di esigenze di protezione umanitaria ai fini del rilascio di permesso di soggiorno (permesso di soggiorno c.d. per motivi umanitari).

 

In particolare, in base alla disposizione richiamata, “il rifiuto o la revoca del permesso di soggiorno possono essere altresì adottati sulla base di convenzioni o accordi internazionali, resi esecutivi in Italia, quando lo straniero non soddisfi le condizioni di soggiorno applicabili in uno degli Stati contraenti, salvo che ricorrano seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano”.

 

Tale richiamo potrebbe essere inteso al fine di riconoscere alla vittima di violenza domestica la condizione giuridica del titolare di permesso per motivi umanitari, specialmente per gli aspetti non esplicitamente disciplinati dalla disposizione in commento.

 

In particolare, si segnala che il permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui all’art. 5, co. 6, TU (pur in assenza di esplicita disposizione), generalmente, viene rilasciato per la durata di un anno. Può essere concesso direttamente dal Questore come previsto dal D.P.R. 394/99 (regolamento di attuazione del Testo unico immigrazione), che all'articolo 11, co. 1, lett. c-ter) prevede che il permesso per motivi umanitari possa essere rilasciato a seguito dell'acquisizione da parte dell'interessato di documentazione relativa a oggettive e gravi situazioni personali che non consentono l'allontanamento dal territorio nazionale.

Ai sensi dell’art. 14, co. 1, lett. c), del citato regolamento, tale permesso di soggiorno consente l'esercizio del lavoro subordinato e del lavoro autonomo e può essere convertito in permesso per lavoro.

 

Nella nuova fattispecie introdotta dall’art. 18-bis non è specificata in modo espresso, analogamente a quanto previsto dall’articolo 18 per le vittime di tratta, la durata del permesso di soggiorno né sono previste la possibilità e le modalità di rinnovo. Nel corso dell’esame in sede referente il presidente e relatore per la I Commissione, on. Sisto, ha precisato che, nell'ambito del procedimento per il rilascio del permesso di soggiorno, spetta all'autorità giudiziaria la decisione in merito alla durata, in base al fatto che sia cessata o meno la necessità che ha portato al rilascio del permesso stesso.

 

Il comma 4 dell’articolo 18-bis prevede, peraltro, che il permesso è revocato in caso di condotta dello straniero incompatibile con le finalità del rilascio, ovvero con l’esigenza di consentire alla vittima straniera di sottrarsi alla violenza.

 

Nel corso dell’esame in sede referente è stato introdotto il comma 4-bis che prevede la revoca del permesso di soggiorno e l’espulsione quale misura sanzionatoria (facoltativa) nei confronti dello straniero condannato, anche con sentenza non definitiva, compresa quella adottata a seguito di patteggiamento, per uno dei delitti di cui al comma 1.

 

La disposizione fa riferimento all’articolo 13 del testo unico che disciplina l’espulsione amministrativa. Più specificamente si deve intendere riferita al comma 2 dell’art. 13 (espulsione disposta dal prefetto) in quanto il comma 1 disciplina l’espulsione amministrativa disposta dal Ministro del’interno per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato.

La disposizione ha l’effetto di aggiungere una ulteriore causa di espulsione che si aggiunge alle tre previste dal art. 13, comma 2, del testo unico immigrazione.

 

Si valuti l’opportunità di richiamare la disposizione in commento anche nel citato art. 13, comma 2.

 

 

Il testo unico sull’immigrazione contempla diversi tipi di espulsione del cittadino straniero riconducibili sostanzialmente a due categorie giuridiche: l’espulsione quale sanzione amministrativa, comminata, appunto, dall’autorità amministrativa (ministro o prefetto) in caso di violazione delle regole relative all’ingresso e al soggiorno e l’espulsione applicata dal giudice nell’ambito di un procedimento penale (l’espulsione a titolo di misura di sicurezza e l’espulsione a titolo di sanzione sostitutiva o alternativa a sanzione penale). Esse rispondono a due distinte finalità: la prima punisce coloro che trasgrediscono le procedure fissate per l’ingresso e il soggiorno degli stranieri e costituiscono dunque una sanzione necessaria ai fini del loro rispetto. La seconda colpisce il comportamento delinquenziale dello straniero a prescindere dalla regolarità della sua posizione amministrativa. Tuttavia, alcune forme di espulsione “giudiziaria” possono essere eseguite solo nei confronti degli stranieri passibili di espulsione amministrativa.

L’art. 13 del testo unico disciplina l’espulsione amministrativa prevedendo due tipologie distinte di provvedimento:

§       l’espulsione disposta dal ministro dell’interno per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato (comma 1);

§       l’espulsione disposta, caso per caso, dal prefetto (comma 2) quando lo straniero:

-      è entrato nel territorio dello Stato sottraendosi ai controlli di frontiera (immigrato clandestino);

-      si è trattenuto nel territorio dello Stato senza aver chiesto il permesso di soggiorno nel termine prescritto, oppure quando il permesso di soggiorno è stato revocato, annullato, rifiutato o scaduto da più di sessanta giorni e non è stato chiesto il rinnovo ovvero nell’ipotesi di trattenimento dello straniero non comunitario oltre il periodo di 3 mesi (immigrato irregolare);

-      sia un delinquente abituale o sia indiziato di appartenere ad associazioni criminali di tipo mafioso.

L’espulsione amministrativa (sia di iniziativa del ministro dell’interno, sia quella prefettizia) è disposta con decreto motivato ed è eseguita dal questore (co. 3). Il decreto è immediatamente esecutivo anche se sottoposto a gravame o impugnativa da parte dell’interessato e l’espulsione viene di norma eseguita con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica (co. 4).

Qualora lo straniero sia sottoposto a procedimento penale, l’esecuzione del provvedimento di espulsione è eseguita previo nulla osta dell’autorità giudiziaria che può essere negato in presenza di inderogabili esigenze processuali.

 

Infine, il comma 5 precisa che le disposizioni sul permesso di soggiorno per le vittime di violenza domestica si applicano anche ai cittadini di Stati membri dell'Unione europea e ai loro familiari.

L’estensione dell’applicazione della disposizione ai cittadini comunitari è presumibilmente finalizzata a consentire a costoro, qualora siano vittime di violenza domestica, la permanenza nel territorio italiano anche in assenza dei requisiti previsti dall’art. 7 del decreto legislativo 30/2007. Tale disposizione infatti consente il soggiorno dei cittadini comunitari per un periodo superiore ai tre mesi solamente se svolgono una attività lavorativa o sono in stato di disoccupazione involontaria.

Per quanto riguarda i familiari, qualora siano cittadini di Paesi extra UE, ricadono tout court nella fattispecie introdotta dal nuovo art. 18-bis.

 


 

Articolo 5
(Piano d’azione contro la violenza sessuale e di genere)

 

 

In attuazione degli impegni presi con la recente ratifica della Convenzione di Istanbul (legge 77 del 2013) ed in sinergia con le politiche dell’Unione Europea, l’articolo 5 del decreto-legge prevede l’adozione da parte del Ministro delegato per le pari opportunità di un Piano di azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere.

 

Nelle conclusioni in materia di “Lotta alla violenza contro le donne e servizi di sostegno a favore delle vittime di violenza domestica”, adottate il 6 dicembre 2012 il Consiglio dell’Unione Europea ha invitato gli Stati membri e la Commissione europea, nell’ambito delle rispettive competenze, a definire, attuare e migliorare, se già esistenti, piani d'azione, programmi o strategie coordinati, di carattere globale, multidisciplinare e multi-agenzia, per combattere tutte le forme di violenza contro donne e ragazze tramite il coinvolgimento di tutte le parti interessate pertinenti e l'abbinamento di misure legislative e non legislative finalizzate alla prevenzione e all'eliminazione della violenza, alla fornitura di protezione e sostegno alle vittime, all'azione penale contro gli autori di violenze; e garantire finanziamenti adeguati e sostenibili per l'attuazione delle suddette politiche e per il funzionamento dei servizi.

In proposito si ricorda che l’Unione europea sostiene le iniziative degli Stati membri volte al contrasto alla violenza di genere attraverso il programma finanziario Daphne III, con una dotazione pari 116,85 milioni di euro per il periodo 2007-2013. Adottato con decisione 2007/779/CE, esso integra i programmi esistenti negli Stati membri e si basa sulle politiche e sugli obiettivi definiti nei due programmi precedenti (Daphne e Daphne II).

 

Il Piano straordinario persegue le finalità di prevenzione del fenomeno della violenza alle donne mediante una pluralità di azioni in diversi ambiti: campagne di pubblica informazione e sensibilizzazione, promozione in ambito scolastico delle corrette relazioni tra i sessi nonché di tematiche anti-violenza e antidiscriminazione negli stessi libri di testo; potenziamento dei centri antiviolenza e dei servizi di assistenza e protezione delle vittime di violenza di genere e di stalking, formazione specializzata degli operatori, collaborazione tra istituzioni, raccolta ed elaborazione dei dati, previsione di specifiche azioni positive, configurazione di un sistema di governance del fenomeno tra i diversi livelli di governo sul territorio.

 

Si ricorda che già con la legge finanziaria 2008 (legge n. 244 del 2007) fu istituito un Fondo, presso la Presidenza del Consiglio, per la realizzazione di un Piano contro la violenza alle donne (cap. 496) stanziando a tal fine 20 milioni di euro per il 2008.

Nel 2009 all'obiettivo di prevenzione della violenza si è affiancato quello di prevenzione e contrasto agli atti persecutori, con la conversione del decreto-legge 11/2009 che non solo ha introdotto lo stalking nel codice penale (art. 612-bis) ma ha anche posto a carico delle forze dell'ordine, dei presidi sanitari e delle istituzioni pubbliche che ricevono dalla vittima notizia di reato di atti persecutori l'obbligo di fornire alla medesima tutte le informazioni relative ai Centri Antiviolenza presenti sul territorio ed eventualmente di metterla in contatto con tali strutture. Il provvedimento ha istituito, infine, presso il Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio un numero verde nazionale a favore delle vittime degli atti persecutori, con compiti di assistenza psicologica e giuridica, nonché di comunicare gli atti persecutori segnalati alle forze dell'ordine, nei casi d'urgenza e su richiesta della persona offesa.

Le somme destinate al Piano nazionale non sono state mai impegnate nel corso degli anni, fino al 2011 quando la Corte dei Conti ha dato il via libera al primo Piano nazionale contro la violenza di genere e lo stalking.

Nel novembre 2011, quando il Piano contro la violenza alle donne diventa operativo, il capitolo 496 del bilancio della Presidenza del Consiglio dei Ministri recava uno stanziamento di 18.659.049 euro.

Lo stanziamento ha consentito di pubblicare in Gazzetta Ufficiale due avvisi relativi ad interventi per la Rete nazionale antiviolenza per un finanziamento complessivo di 11,7 milioni di euro:

Per quanto riguarda il 2012, il bilancio di previsione della Presidenza del Consiglio dei Ministri recava uno stanziamento per il Piano contro la violenza alle donne di soli 1,5 milioni di euro; nel corso dell'esercizio tali somme sono aumentate e il conto finanziario 2012 della Presidenza del consiglio (D.P.C.M. 29 marzo 2013) indica per lo scorso anno una disponibilità di 5,1 milioni di euro. Di tale somma sono stati impegnati 2,5 mln (con, quindi, 2,6 mln di economie). Per il 2013 il bilancio di previsione della Presidenza del Consiglio dei Ministri prevede 1,9 milioni di euro per l'implementazione del Piano nazionale contro la violenza alle donne. Tale stanziamento di 1,9 milioni di euro per il 2013 è stato integrato con il riporto dell'avanzo 2012; attualmente dunque sul capitolo 496 figurano 4,5 milioni di euro.

 

L’articolo 5 precisa che le per l’elaborazione e l’adozione del Piano straordinario possono essere anche utilizzate le risorse del Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità (istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri dall’art. 19, comma 3, del D.L. 223/2006[9]).

Non sono previsti stanziamenti aggiuntivi per la concreta attuazione del Piano straordinario che - ai sensi del comma 3 dell’art. 7 – deve avvenire “senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”.

 

Le Commissioni riunite hanno sostituito l’art. 5 e introdotto un nuovo art. 5-bis.

 

Il nuovo articolo 5 modifica l’articolo originario in una serie di punti:

·            il Piano d’azione non ha più carattere straordinario;

·            il Piano è elaborato anche con il contributo delle associazioni di donne impegnate nella lotta contro la violenza e dei centri antiviolenza;

·            il Piano è adottato previa intesa (in luogo di parere) in Conferenza Unificata;

·            il Piano deve avere l’obiettivo di garantire azioni omogenee sul territorio nazionale;

·            sono integrate le finalità del Piano: con riguardo all’obiettivo di rafforzare nella collettività la consapevolezza di uomini e ragazzi nella soluzione dei conflitti nei rapporti interpersonali (lett. a); con riferimento alla sensibilizzazione degli operatori dei media per una comunicazione e informazione, anche commerciale, rispettosa della rappresentazione di genere e della figura femminile (nuova lett. a-bis); con la precisazione delle finalità educative che debbono essere promosse dal Piano in ambito scolastico, con l’indicazione dei diversi strumenti programmatori del ciclo scolastico in cui deve essere prevista l’educazione alla parità di genere e contro la violenza, con la previsione della possibilità per le scuole di stipulare convenzioni con istituzioni, enti o associazioni e della formazione del personale scolastico (lett. b); con l’indicazione di “modalità omogenee” di rafforzamento delle rete dei servizi territoriali (lett. c); con il richiamo alla promozione dello sviluppo e dell’attivazione su tutto il territorio nazionale di azioni di recupero dei responsabili di atti di violenza nelle relazioni affettive, basate su metodologie consolidate e coerenti con linee guida appositamente predisposte (nuova lett. e-bis); con il riferimento all’aggiornamento periodico, con cadenza almeno annuale, dei dati del fenomeno, ivi compresa la mappatura dei centri antiviolenza (lett. f); con la previsione che le specifiche azioni positive previste tengano conto anche delle esperienze delle associazioni che svolgono assistenza nel settore (lett. g);

·            il Ministro per le pari opportunità deve inviare annualmente al Parlamento una relazione sull’attuazione del Piano;

·            per il finanziamento del Piano è autorizzata la spesa di 10 milioni di euro per il 2013, con corrispondente riduzione dell’autorizzazione di spesa prevista per assunzioni in deroga del personale delle forze dell’ordine.

Le relative risorse sono iscritte nel capitolo 3079 dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze. Si rammenta in proposito che, a fronte dei chiarimenti richiesti sull’utilizzo di tale capitolo nel corso dell’esame in sede consultiva del rendiconto generale dello Stato per il 2012 (A.C. 1572) presso la Commissione Affari costituzionali, il rappresentante del Governo ha precisato, nella seduta del 25 settembre 2013, che le relative assunzioni sono state effettuate dal Ministro dell’interno e sono già incluse nel bilancio vigente tra le spese di personale del Ministero dell’interno e che di fatto il capitolo 3079 iscritto nello stato di previsione del Ministero dell’economia costituisce una duplicazione di risorse.

 

Con riguardo alla nuova formulazione del comma 2, lettera e-bis), si osserva che non sono indicate le modalità di predisposizione delle linee guida ivi richiamate. Inoltre occorre coordinare al proprio interno il richiamo ad “azioni di recupero” dei soggetti responsabili di atti di violenza, finalizzate a “favorirne il recupero”.

 


Articolo 5-bis
(Azioni per i centri antiviolenza e le case rifugio)

 

 

Il nuovo art. 5-bis, introdotto nel corso dell’esame in sede referente, prevede in primo luogo che per il potenziamento delle forme di assistenza e sostegno alle donne vittime di violenza e ai loro figli, il Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità è incrementato di 10 milioni di euro per il 2013, di 7 milioni di euro per il 2014 e di 10 milioni di euro dal 2015, con riduzione: per 10 milioni di euro nel 2013 dell’autorizzazione di spesa prevista per assunzioni in deroga del personale delle forze dell’ordine; per 7 milioni di euro nel 2014 e 10 milioni di euro dal 2015 del Fondo per interventi strutturali di politica economica (comma 1).

Il Ministro per le pari opportunità, d’intesa con la Conferenza Stato-Regioni, ripartisce ogni anno le risorse tenendo conto di una serie di parametri indicati (programmazione regionale e interventi già operativi; centri antiviolenza pubblici e privati esistenti; case rifugio pubbliche e private già presenti; necessità di riequilibrare la presenza dei centri e delle case in ogni regione, con riserva di un terzo dei fondi alla creazione di nuovi centri e di nuove case per raggiungere l’obiettivo della raccomandazione UE-Expert meeting sulla violenza contro le donne-Finlandia 8-10 novembre 1999) (comma 2).

Si osserva che sarebbe utile l’indicazione della fonte e delle forme di pubblicazione della raccomandazione, in modo da dare certezza sull’obiettivo da raggiungere. In alternativa, potrebbero essere espressamente individuati dal legislatore i parametri da soddisfare.

 

Sono individuati i soggetti che debbono promuovere i centri antiviolenza e le case rifugio, alle quali è garantito l’anonimato: enti locali, singoli o associati; associazioni e organizzazioni a sostegno delle donne vittime di violenza, con esperienze e competenze specifiche, che utilizzino una metodologia di accoglienza basata sulla relazione tra donne, con personale specificamente formato. I soggetti predetti possono operare di concerto, d’intesa o in forma consorziata (comma 3).

I Centri antiviolenza e le case rifugio operano in maniera integrata con la rete dei servizi socio-sanitari e assistenziali territoriali (comma 4).

Sono individuate le finalità che deve promuovere la formazione delle figure professionali dei centri antiviolenza e delle case rifugio (comma 5).

Le Regioni destinatarie delle risorse debbono presentare al Ministro per le pari opportunità, entro il 30 marzo di ogni anno, una relazione sulle iniziative adottate nell’anno precedente utilizzando tali risorse (comma 6).

Il Ministro per le pari opportunità presenta entro il 30 giugno di ogni anno una relazione sullo stato di utilizzo delle risorse stanziate (comma 7).

 


Capo II
(Norme in materia di sicurezza per lo sviluppo, di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica e per la prevezione e il contrasto di fenomeni di particolare allarme sociale)

Articolo 6
(Disposizioni finanziarie concernenti l’accelerazione degli interventi del POM Sicurezza nelle regioni del Mezzogiorno, il comparto sicurezza e difesa e la chiusura dell’emergenza nord Africa)

 

Il comma 1 autorizza l’anticipazione a valere sulle risorse del Fondo di rotazione per l’attuazione delle politiche comunitarie, istituito ai sensi dell’articolo 5 della legge n. 183 del 1987, nei limiti delle risorse disponibili, su richiesta del Ministero dell'interno, delle quote di contributi comunitari (nel testo ridefiniti “europei”) e statali previste per il periodo 2007-2013, al fine di assicurare l'integrale utilizzo delle risorse comunitarie relative al Programma operativo nazionale «Sicurezza per lo Sviluppo – Obiettivo Convergenza 2007-2013».

 

La disposizione mira a garantire continuità nel flusso di pagamenti del predetto Programma operativo nazionale (PON), assicurando che i soggetti attuatori dei progetti ricevano tempestivamente le somme loro spettanti sulla base dello stato di attuazione, come disposto dall'autorità di gestione del Programma.

 

L'avanzamento finanziario di tale Programma incontra, infatti, serie difficoltà, stante la carenza della liquidità necessaria per far fronte alle spese maturate nell'ambito dei singoli progetti approvati, in attesa dei rimborsi dei contributi europei e del cofinanziamento nazionale.

Tali rimborsi sono erogati dall'Unione europea soltanto a seguito della presentazione delle rendicontazioni di spesa da parte dell'amministrazione titolare del Programma, con una tempistica che non consente l'immediata disponibilità delle risorse necessarie a dare continuità al flusso dei pagamenti, rischiando di provocare ritardi nell'attuazione del Programma in una fase in cui è, al contrario, necessario accelerare il processo di spesa al fine di garantire il completo utilizzo delle risorse entro la prevista scadenza del 31 dicembre 2015.

 

Al fine di evitare, quindi, rallentamenti nella realizzazione del Programma, con conseguenti perdite dei contributi europei, il comma 1 ne autorizza l’anticipazione, a valere sul il Fondo di rotazione, delle quote dei contributi europei e statali già pianificati con la decisione di approvazione del predetto Programma.

 

Alla data del 30 aprile 2013, su un contributo complessivo pari a 978 milioni di euro per il PON Sicurezza per lo sviluppo, risultano impegnate risorse per 618 milioni e pagamenti per 454 milioni, pari rispettivamente al 63,2 per cento e al 46,4 per cento delle disponibilità (Fonte: Ragioneria generale dello Stato – IGRUE).

Si ricorda che il mancato conseguimento degli obiettivi nelle diverse fasi temporali comporta, secondo i Regolamenti comunitari[10], una riduzione delle risorse per il Fondo e per il Programma operativo interessato.

Infatti, in base alla c.d. "regola dell'n+2", per ogni annualità contabile delle risorse impegnate – per ciascun fondo (FSE, FESR) e programma operativo (PO) sul bilancio comunitario - la parte che non risulta effettivamente spesa e certificata alla Commissione entro il 31 dicembre del secondo anno successivo a quello dell’impegno di bilancio viene disimpegnata automaticamente.

Il disimpegno delle risorse comunitarie comporta anche la parallela riduzione di disponibilità delle relative risorse di cofinanziamento nazionale.

In sostanza, trattandosi delle risorse relative al ciclo di programmazione comunitaria 2007-2013, le risorse devono essere impegnate entro il 31 dicembre 2013 e i pagamenti effettuati entro il 31 dicembre 2015.

 

Il comma 1 dispone inoltre in merito al reintegro delle somme anticipate dal Fondo di rotazione, prevedendo che, per la quota comunitaria (europea), si provvede con imputazione agli accrediti disposti dall'Unione europea a titolo di rimborso delle spese effettivamente sostenute e, per la quota statale, con imputazione agli stanziamenti autorizzati in favore del medesimo programma nell'ambito delle procedure previste dalla stessa legge 16 aprile 1987, n. 183.

 

Il PON Sicurezza per lo sviluppo interessa le regioni Calabria, Campania, Puglia e Sicilia. Il PON è articolato in tre Assi: Sicurezza per la libertà economica e d'impresa, Diffusione della legalità; Assistenza tecnica.

 

L’Asse 1 è orientato in particolare a contribuire alla creazione di un contesto più favorevole alla vita economica rimuovendo gli ostacoli che la criminalità organizzata crea alla libera concorrenza tra le imprese. In particolare l’Asse prevede la realizzazione di azioni di sicurezza per il miglioramento del contesto in cui operano i soggetti economici, sia attraverso il contrasto alle aggressioni della criminalità, alle strutture produttive (aree urbane ed extraurbane, aree industriali) e alle infrastrutture di comunicazione (grandi assi viari, porti, aeroporti), sia arginando i fenomeni distorsivi della libera concorrenza tra imprese (contraffazione di marchi o prodotti) al fine di promuovere, accanto allo sviluppo armonioso, equilibrato e sostenibile delle attività economiche, un alto grado di competitività e un generale miglioramento del tenore e della qualità della vita. Nell’Asse sono inoltre comprese iniziative dedicate alla formazione per potenziare, nell'ambito degli Obiettivi previsti nell'Asse, le conoscenze degli operatori di sicurezza.

 

L’Asse 2 è orientato a “diffondere migliori condizioni di legalità e giustizia a cittadini ed alle imprese anche mediante il miglioramento della gestione dell’impatto migratorio”.

Particolare attenzione è posta alle iniziative in materia di impatto migratorio promuovendo procedure di inclusione sociale degli immigrati e rafforzando le azioni di prevenzione e contrasto al favoreggiamento della manodopera immigrata, in particolar modo quella clandestina. Altro importante obiettivo dell’Asse 2 è quello legato al miglioramento della gestione dei beni confiscati alla criminalità organizzata al fine del loro reinserimento nel circuito produttivo per la realizzazione di iniziative a beneficio di categorie deboli. Tra le linee d’intervento dell’Asse 2 sono previste anche la tutela del lavoro regolare, il contrasto al racket delle estorsioni e dell’usura, una maggiore trasparenza negli appalti pubblici.

 

L’Asse 3 è orientato a migliorare l’efficienza e l’efficacia del Programma mediante azioni di supporto tecnico-scientifico e uno studio costante degli effetti prodotti dal Programma.

 

Il comma 2 introduce una deroga in materia di trattamento economico in favore delle Forze armate e delle Forze di polizia relativamente all’anno 2013. In particolare, per tale anno non si applica la riduzione, già prevista dall’art. 9, co. 2-bis, del D.L. 98/2010 (conv. L. 122/2010), delle risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del personale.

 

L’art. 9, co. 2-bis, D.L. 98/2010 prevede dal 1° gennaio 2011 e sino al 31 dicembre 2013 la riduzione delle risorse per il trattamento accessorio del personale anche dirigenziale delle amministrazioni di cui all’ articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165. Tali risorse non possono superare il corrispondente importo dell’anno 2010 e d. in ogni caso, subiscono una riduzione automatica in misura proporzionale alla riduzione del personale in servizio.

 

La relazione illustrativa motiva tale deroga con la stretta necessità di far fronte alle esigenze di funzionalità dei comparti interessati, i quali impiegano maggiormente il personale in specifiche attività operative per le quali è prevista la corresponsione di indennità ed emolumenti accessori. Tale maggiore impiego è correlato alle cessazioni dal servizio di personale non pienamente reintegrato in applicazione del parziale blocco del turn over.

 

Per quanto concerne i Corpi di polizia e il Corpo nazionale dei vigili del fuoco, l’articolo 66, comma 9-bis, del D.L. 112/2008 ha previsto un regime speciale in materia di turn over in base al quale tali amministrazioni potevano procedere, secondo le procedure di cui all’articolo 35, comma 4, del D.Lgs. 165/2001, all’assunzione di personale a tempo indeterminato, nel limite di un contingente di personale complessivamente corrispondente a una spesa pari a quella relativa al personale cessato dal servizio nel corso dell’anno precedente e per un numero di unità non superiore a quelle cessate dal servizio nel corso dell’anno precedente. Tale regime speciale aveva carattere provvisorio, in quanto previsto per il triennio 2010, 2011 e 2012. L'articolo 9, comma 6, del D.L. 78/2010 aveva reso permanente, a decorrere dall'anno 2010, il regime speciale per le assunzioni nei suddetti Corpi. Con un’ulteriore modifica normativa, introdotta dall’articolo 14, co. 2, del D.L. 95/2012 (conv. L. 135/2012), il regime di cui sopra si applica ai soli anni 2010 e 2011 e, contestualmente, si prevede che il ricambio del turn-over sia limitato al 20 per cento nel 2012-2014, al 50 per cento nel 2015 e al 100 per cento dal 2016, analogamente a quanto disposto per le altre amministrazioni dello Stato.

 

La disposizione in commento richiama la cogenza per le stesse Forze delle disposizioni di contenimento delle spese per il pubblico impiego previste dall’articolo 16, co. 1, del D.L. 98/2011 (conv. L. 111/2011). Il riferimento riguarda in particolare quanto previsto dalla lettera b) della disposizione citata che proroga al 31 dicembre 2014 le disposizioni che limitano la crescita dei trattamenti economici, anche accessori, del personale delle pubbliche amministrazioni, tra le quali si annovera il citato art. 9, co. 2-bis, del D.L. 98/2010.

 

Il comma 3 prevede la necessaria copertura finanziaria dell’onere derivante dalla disposizione di cui al comma 2, pari ad euro 6.299.662,00 per l'anno 2013. L’onere è stato quantificato - secondo la relazione tecnica - sulla base di dati forniti dai competenti Ministeri, che fanno registrare una riduzione del personale del comparto sicurezza-difesa pari a circa 7000 unità. Alla copertura di tale onere si provvede, quanto a 4 milioni, mediante corrispondente utilizzo delle somme disponibili in conto residui dell'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 3, comma 155, secondo periodo, della legge n. 350 del 2003 (legge finanziaria 2004) e, per la parte rimanente, mediante riduzione per il 2013 della medesima autorizzazione.

Lo stesso comma autorizza il Ministro dell'economia e delle finanze a disporre, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

 

Il richiamato comma 155 dell'articolo 3 della legge finanziaria per il 2004, reca autorizzazioni di spesa finalizzate a due distinti interventi: il riallineamento di alcune posizioni di carriera del personale delle Forze Armate ed il riordino dei ruoli e delle carriere di parte del personale delle Forze Armate e delle Forze di polizia. In particolare, il secondo periodo, autorizzava la spesa di 73 milioni di euro per l'anno 2004, 118 milioni di euro per l'anno 2005 e 122 milioni di euro a decorrere dall'anno 2006 da destinare a provvedimenti normativi in materia di riordino dei ruoli e delle carriere del personale non direttivo e non dirigente delle Forze armate e delle Forze di polizia. Il comma 30 dell’articolo 9 del decreto legge n. 78 del 2010 ha successivamente stabilito che gli effetti dei provvedimenti normativi di cui al secondo periodo decorrano dal 1° gennaio 2011.

 

Il comma 4 interviene in materia di indennità per il personale della polizia stradale impiegato nei servizi autostradali, sostituendo l’attuale limite massimo giornaliero fissato per legge con la piena libertà di contrattazione delle parti in sede convenzionale.

Si ricorda che la Polizia di Stato assicura nel comparto di specializzazione della polizia stradale, la sicurezza stradale, con valenza peraltro, esclusiva per gli interventi in ambito autostradale (cfr. Ministero dell’interno, Decreto 28 aprile 2006, Riassetto dei comparti di specialità delle Forze di polizia).

 

Attualmente, infatti, sulla base delle convenzioni intervenute tra il Ministero dell'interno e le società concessionarie di autostrade per l'effettuazione del servizio di polizia sulle autostrade, le stesse società concessionarie s’impegnano a corrispondere alcune somme a titolo di indennità, in favore del personale della polizia stradale impiegato nei servizi autostradali.

L’articolo 18, co. 3, della legge 7 agosto 1990, n. 232 ha stabilito la misura massima di tali somme, che non possono in ogni caso superare il limite di lire 10.000 (corrispondenti a euro 5,16) giornalieri.

Con una duplice novella a tale disposizione, in primo luogo, viene abrogato il limite massimo e la misura dell’indennità è integralmente rimessa alle convenzioni tra Ministero e società autostradali, fermo il divieto di stabilire misure inferiori a quanto previsto dalle vigenti convenzioni.

 

La relazione tecnica valuta gli effetti di tale “liberalizzazione” in termini positivi per l’erario nel suo complesso, nel presupposto che l’eliminazione del limite legislativo consentirà all’Amministrazione di ottenere dalle società concessionarie, in sede di stipula delle convenzioni, indennità più ravvicinate al valore delle prestazioni garantite e, pertanto, più elevate di quelle finora stabilite. Ciò potrà determinare a sua volta un incremento delle entrate al bilancio dello Stato, derivanti dalle ritenute operate per legge dal Ministero dell’economia e delle finanze sulle somme versate al Ministero dell’interno.

 

In secondo luogo, per la definizione dei criteri e delle modalità per la ripartizione e la corresponsione al personale delle somme incassate dall’erario, si rinvia ad un decreto del Ministro dell'interno, adottato di concerto non solo con il Ministro dell'economia e delle finanze, ma anche con il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, sentite le organizzazioni sindacali della polizia di Stato maggiormente rappresentative sul piano nazionale.

 

Il comma 5 è volto a consentire l’assegnazione nella disponibilità del Ministero dell’interno e al Fondo nazionale di protezione civile delle risorse già stanziate dal D.L. 95/2012 (conv. L. 135/2012) per assicurare la prosecuzione degli interventi connessi al superamento dell'emergenza umanitaria nel territorio nazionale in relazione all'eccezionale afflusso di cittadini appartenenti ai Paesi del Nord Africa ed ormai dichiarata conclusa.

 

Tale emergenza è stata dichiarata con D.P.C.M. 12 febbraio 2011 (G.U. 21 febbraio 2011, n. 42), recante Dichiarazione dello stato di emergenza umanitaria nel territorio nazionale in relazione all’eccezionale afflusso di cittadini appartenenti ai paesi del Nord Africa. A seguito di tale provvedimento sono state emesse 10 ordinanze dalla Presidenza del Consiglio, a partire dal 18 febbraio 2011, per fronteggiare tale eccezionale stato di emergenza. Successivamente, il D.P.C.M. 6 ottobre 2011 (G.U. 8 ottobre 2011, n. 235) ha provveduto ha prorogare, fino al 31 dicembre 2012, lo stato di emergenza.

Per consentire la prosecuzione degli interventi, l’art. 23, comma 11, D.L. 95/2012 (conv. L. 135/2012) ha autorizzato la spesa massima di 495 milioni di euro per l’anno 2012. La suddetta autorizzazione di spesa è iscritta su di un apposito fondo dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze. L’individuazione delle risorse da assegnare per gli interventi di rispettiva competenza alla Protezione civile ovvero direttamente al Ministero dell'interno e alle altre Amministrazioni interessate è demandata ad ordinanze del Capo del Dipartimento della protezione civile, adottate, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, ai sensi dell'articolo 5, comma 2, della legge 24 febbraio 1992, n. 225. La disposizione ha stabilito che le somme non utilizzate nell'esercizio possono esserlo in quello successivo.

Infine, il comma 12 ha previsto la chiusura dello stato di emergenza ed il rientro nella gestione ordinaria degli interventi concernenti l’afflusso di immigrati sul territorio nazionale.

 

La disposizione in esame prevede, a valere sulle disponibilità del suddetto fondo, l’assegnazione per il 2013 di:

§      231.822.000 euro ai pertinenti capitoli dello stato di previsione del Ministero dell'interno;

§      16.964.138 euro al Fondo nazionale di protezione civile.

La relazione illustrativa motiva il ricorso allo strumento legislativo per disporre tale ripartizione di risorse per la impossibilità di utilizzare le ordinanze di protezione civile, come previsto dalle disposizioni del D.L. 95/2012, in conseguenza della cessazione dello stato emergenziale.

 

Si può notare che la disposizione prevede un’assegnazione di risorse stanziate per fronteggiare un’emergenza con interventi straordinari (art. 2, lett. c L. 225/1992), fattispecie che rientra tra quelle per le quali l’art. 10 del provvedimento in esame dispone l’istituzione di un Fondo per le emergenze nazionali (si v., infra).

 

 

 


 

Articolo 6-bis
(Accordi territoriali di sicurezza integrata per lo sviluppo)

L’art. 6 bis è stato introdotto nel corso dell’esame in sede referente.

 

Il comma 1 stabilisce che gli accordi tra il Ministero dell’interno e regioni ed enti locali, previsti dall’articolo 1, comma 439, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, possono avere la contribuzione anche di altri soggetti pubblici, sia pur non economici, e di soggetti privati, finalizzata al sostegno strumentale, finanziario e logistico delle attività di promozione della sicurezza dei cittadini, del controllo del territorio e del soccorso pubblico.

L’articolo 1, comma 439, della citata legge 27 dicembre 2006, n. 296, già attribuisce la facoltà al Ministro dell'interno e, per sua delega, ai prefetti, di stipulare convenzioni con le regioni e gli enti locali che prevedano la contribuzione logistica, strumentale o finanziaria delle stesse regioni e degli enti locali per la realizzazione di programmi straordinari di incremento dei servizi di polizia, di soccorso tecnico urgente e per la sicurezza dei cittadini. Per tale attività sono esclusi i limiti alle riassegnazioni di importi degli anni precedenti stabilite dall’art. 1, comma 466 della legge finanziaria per il 2006.

Tale contribuzione può essere prevista per le aree interessate da insediamenti produttivi o infrastrutture logistiche ovvero da progetti di riqualificazione e riconversione di siti industriali o commerciali dismessi o da progetti di valorizzazione dei beni di proprietà pubblica o da altre iniziative di sviluppo territoriale.

 

Il comma 2 dispone che gli accordi territoriali di cui al comma 1, possono prevedere, ai fini del contenimento della spesa, forme di ottimizzazione delle modalità di impiego dei mezzi strumentali delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, per le quali è consentito in deroga alle disposizioni vigenti in materia contabile e comunque nel rispetto della disciplina sul controllo, l'esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento, di cui alla legge n. 185/1990, il ricorso alla permuta di materiali o prestazioni. In tal caso, l’accordo è soggetto ad una specifica autorizzazione del Ministero dell’interno, rilasciata d’intesa con il Ministero dell’economia e finanze.

In quanto compatibili si applicano gli articoli da 569 a 574 del Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare (D.P.R. n. 90/2010), che disciplina le permute da parte dell’amministrazione della difesa.

Le richiamate disposizioni, contenute nel Capo II (Permute), Titolo IV (Attività negoziale dell’Amministrazione della difesa ), Libro terzo (amministrazione e contabilità) del Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare, recano la disciplina relativa ai contratti di permuta di materiali o prestazioni da stipulare tra il Ministero della difesa e soggetti pubblici e privati, con particolare riferimento alle modalità per la stipula degli atti e l’esecuzione delle prestazioni, al valore delle prestazioni a carico dei contraenti, al prezzo in luogo di prestazione in natura, all’ Autorità competenti in ordine all’individuazione dei materiali e delle prestazioni da permutare.

In particolare, ai sensi della richiamata normativa (articolo 569, comma 1, lettera b) nella permuta di materiali ovvero di prestazioni, è garantita la sicurezza e la segretezza delle informazioni. Al tal fine, le parti contraenti garantiscono che i documenti, i materiali e le tecnologie oggetto di permuta siano utilizzati esclusivamente per i fini e nei limiti concordati.

Inoltre, In alternativa all’esecuzione della prestazione specifica posta a carico dell’Amministrazione della difesa, se sopravvenute esigenze istituzionali lo richiedono, l’Amministrazione stessa ha facoltà di adempiere al contratto mediante pagamento della prestazione posta a carico della controparte, secondo l’importo dichiarato nella convenzione o nel contratto (art. 572).

 

Si ricorda inoltre che la legge 9 luglio 1990, n. 185 reca “Nuove norme sul controllo dell'esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento”, ponendo specifici vincoli e regole all'esportazione, l'importazione, il transito, il trasferimento intracomunitario e l'intermediazione dei materiali di armamento, nonché alla cessione delle relative licenze di produzione e la delocalizzazione produttiva, che sono soggetti a autorizzazioni e controlli dello Stato.

Per ciò che concerne le disposizioni contabili vigenti, si richiama il Regio Decreto n. 827/1924[11], ed in particolare l’articolo 225, secondo il quale le entrate dello Stato si riscuotono, di regola, in contanti. La permuta pertanto si configura come una forma “alternativa” di entrata per l’amministrazione statale. Tale istituto ha comunque già ricevuto, in deroga alla normativa contabile vigenti testé citate, per taluni ambiti, disciplina dal legislatore[12].

Si ricorda infatti che già la legge finanziaria 2006  legge 23 dicembre 2005, n. 266) aveva già previsto, al comma 568 dell’articolo 1, la possibilità per l’Amministrazione della difesa di stipulare convenzioni o contratti, con soggetti pubblici o aziende private, finalizzati alla permuta di materiali o allo scambio di prestazioni, che consentano di contenere le spese nei settori della ricerca, del potenziamento e ammodernamento e in quello della manutenzione e del supporto.

Il successivo comma 569 aveva legato l’effettiva operatività della norma all’emanazione di un decreto interministeriale, Difesa-Finanze, volto a definire concretamente le modalità e le condizioni per la stipula degli atti negoziali di permuta, assicurando nel contempo il rispetto dei principi di trasparenza e di economicità che informano l’intero ordinamento amministrativo. In attuazione delle norme sopra citate è stato adottato il Decreto 29 dicembre 2006[13].

Le norme contenute nella legge finanziaria 2006 sono state successivamente abrogate dal Codice dell’ordinamento militare (D.Lgs. n. 66/2010) e le convenzioni o contratti di permuta da parte dell’amministrazione della difesa trovano ora la loro disciplina primaria all’interno del sopra citato Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di ordinamento militare (D.P.R. n. 90/2010), che agli articoli da 569 a 574 disciplina le permute.

In particolare, l’articolo 569 disciplina le condizioni per procedere a tali permute[14], l’articolo 570 disciplina le modalità per la stipula degli atti di permuta e l’esecuzione delle prestazioni, all’articolo 571 e 572 le modalità di determinazione del valore delle prestazioni e del prezzo, l’articolo 573 disciplina le autorità competenti in ordine all’individuazione dei materiali e delle prestazioni da permutare e l’articolo 574 rinvia, per quanto compatibili alle disposizioni vigenti dettate per gli appalti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture.

 

Il comma 2 dispone inoltre che in caso di accordi tra soggetti pubblici, anche non economici la permuta può prevedere anche la cessione diretta di beni di proprietà pubblica in cambio di prestazioni o finanziamenti volti alla ristrutturazione di altri beni di proprietà pubblica destinati ai presidi di polizia.

 

La norma mantiene fermi i controlli di regolarità amministrativo contabile previsti dalle norme vigenti.

Si richiama, in proposito, il D. Lgs. 30 giugno 2011, n. 123, recante la nuova disciplina dei controlli interni di regolarità amministrativa e contabile e potenziamento dell'attività di analisi e valutazione della spesa, a norma dell'articolo 49 della legge 31 dicembre 2009, n. 196. Tale decreto assoggetta al controllo preventivo di regolarità amministrativa e contabile tutti gli atti dai quali derivino effetti finanziari per il bilancio dello Stato, ad eccezione di quelli posti in essere dalle amministrazioni, dagli organismi e dagli organi dello Stato dotati di autonomia finanziaria e contabile.

 

Infine, il comma 2 demanda ad un decreto di natura regolamentare del Ministro dell’Interno, adottato di concerto con il Ministero dell’economia e finanze, la definizione di ulteriori modalità attuative del comma in esame, nonché l’individuazione di eccezionali esigenze per cui può essere consentito il ricorso alla predetta permuta.

 

Il comma 3 prevede che, per le aree di cui al comma 1, il prefetto può assumere iniziative volte alla semplificazione e all’accelerazione della conclusione dei procedimenti amministrativi di competenza dei soggetti pubblici interessati, anche indirettamente, alla realizzazione dei progetti di sviluppo territoriale. Ove riguardino beni di proprietà pubblica, gli accordi sono conclusi d’intesa con il Ministero dell’economia e delle finanze.

 


Articolo 7
(Disposizioni in materia di arresto in flagranza in occasione di manifestazioni sportive e per il contrasto alle rapine, nonché in materia di concorso delle forze armate nel controllo del territorio)

 

L’articolo 7 reca una serie di disposizioni in materia di sicurezza dei cittadini.

 

Anzitutto, il comma 1, intervenendo sul comma 1-quinquies dell’art. 8 della legge 401 del 1989, proroga l’efficacia della disciplina sull’arresto in flagranza differita e sull’applicazione delle misure coercitive nei confronti degli imputati di reati commessi in occasione di manifestazioni sportive. Tale disciplina aveva cessato di avere efficacia il 30 giugno 2013.

 

L’articolo 8 della legge 401/1989 prevede infatti che nei casi di arresto in flagranza o di arresto differito per reato commesso durante o in occasione di manifestazioni sportive, i provvedimenti di remissione in libertà conseguenti a convalida di fermo e arresto o di concessione della sospensione condizionale della pena a seguito di giudizio direttissimo possono contenere prescrizioni in ordine al divieto di accedere ai luoghi ove si svolgono manifestazioni sportive (comma 1).

Oltre che nel caso di reati commessi con violenza alle persone o alle cose in occasione o a causa di manifestazioni sportive, per i quali è obbligatorio o facoltativo l'arresto ai sensi degli articoli 380 e 381 del codice di procedura penale, l'arresto è altresì consentito nel caso di reati di lancio di materiale pericoloso, scavalcamento ed invasione di campo in occasione di manifestazioni sportive, possesso di artifizi pirotecnici in occasione di manifestazioni sportive, violazione del divieto di accesso ai luoghi dove si svolgono manifestazioni sportive (anche nel caso di divieto non accompagnato dalla prescrizione del questore di presentarsi presso l’ufficio di polizia nelle giornate di svolgimento delle manifestazioni sportive) (comma 1-bis).

Nei casi di cui al comma 1-bis, quando non è possibile procedere immediatamente all'arresto per ragioni di sicurezza o incolumità pubblica, si considera comunque in stato di flagranza ai sensi dell'articolo 382 del codice di procedura penale colui il quale, sulla base di documentazione video fotografica dalla quale emerge inequivocabilmente il fatto, ne risulta autore, sempre che l'arresto sia compiuto non oltre il tempo necessario alla sua identificazione e, comunque, entro quarantotto ore dal fatto (comma 1-ter).

Quando l'arresto è stato eseguito per uno dei reati indicati dal comma 1-bis, e nel caso di violazione del divieto di accedere ai luoghi dove si svolgono manifestazioni sportive, l'applicazione delle misure coercitive è disposta anche al di fuori dei limiti di pena previsti dagli articoli 274, comma 1, lettera c), e 280 del codice di procedura penale (comma 1-quater).

In base al testo previgente al decreto-legge 93, le disposizioni di cui ai commi 1-ter e 1-quater hanno efficacia a decorrere dal 13 novembre 2010 fino al 30 giugno 2013.

Si rammenta che In base all’articolo 274, primo comma, lettera c), c.p.p., le misure cautelari sono disposte quando, per specifiche modalità e circostanze del fatto e per la personalità della persona sottoposta alle indagini o dell'imputato, desunta da comportamenti o atti concreti o dai suoi precedenti penali, sussiste il concreto pericolo che questi commetta gravi delitti con uso di armi o di altri mezzi di violenza personale o diretti contro l'ordine costituzionale ovvero delitti di criminalità organizzata o della stessa specie di quello per cui si procede. Se il pericolo riguarda la commissione di delitti della stessa specie di quello per cui si procede, le misure di custodia cautelare sono disposte soltanto se trattasi di delitti per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni ovvero, in caso di custodia cautelare in carcere, di delitti per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni.

In base all’art. 280 c.p.p. le misure cautelari coercitive possono essere applicate solo quando si procede per delitti per i quali la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a tre anni. La custodia cautelare in carcere può essere disposta solo per delitti, consumati o tentati, per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni e per il delitto di finanziamento illecito dei partiti di cui all'articolo 7 della legge 2 maggio 1974, n. 195, e successive modificazioni.

 

La disciplina sull’arresto in flagranza differita e sull’applicazione delle misure cautelari per reati commessi in occasione di manifestazioni sportive non è mai stata inserita a regime nell’ordinamento e, ai sensi dell’art. 1 del D.L. 187/2010, era efficace fino al 13 giugno 2013. Per effetto della norma in esame l’efficacia della disciplina sull’arresto differito e sull’applicazione delle misure coercitive è prorogata al 30 giugno 2016.

 

Il comma 2 dell’art. 7 interviene sull’art. 628, terzo comma, del codice penale introducendo nuove aggravanti speciali del delitto di rapina nei casi di cd. minorata difesa.

Ferma restando l’attuale sanzione edittale per il reato-base (punito con la reclusione da 3 a 10 anni e con la multa da 516 a 2.065 euro) costituisce rapina aggravata punita con la reclusione da 4 anni e 6 mesi a 20 anni e con la multa da 1.032 a 3.098 euro anche:

§         il reato commesso in luoghi tali da ostacolare la pubblica e privata difesa;

§         il reato commesso in danno di persona maggiore di 65 anni.

 

Va rilevato che entrambe le ipotesi sono attualmente riconducibili ad aggravanti comuni previste dall’art. 61 c.p. (n. 5). Il citato n. 5 prevede come aggravante comune del reato l’avere profittato di circostanze di tempo, di luogo o di persona, anche in riferimento all’età, tali da ostacolare la pubblica o privata difesa. Lo scopo dell’intervento in esame, come osserva la relazione al provvedimento, è quello di tipizzare tali aggravanti, la cui specialità ne rende obbligatoria l’applicazione nelle rapine commesse in danno dei soggetti più vulnerabili.

 

La Commissioni riunite hanno invece espunto dal decreto-legge l’aggravante prevista per l’aver commesso il fatto in presenza di un minore. Tale eliminazione è stata ritenuta consequenziale all’introduzione (art. 1) dell’aggravante comune all’art. 61 del codice penale.

So osserva che la rapina non sembra rientrare tra le tipologie di delitti ai quali è riferibile la nuova aggravante comune introdotta all’art. 61 c.p. (art. 1, comma 1, del dl in commento, v. sopra), per i fatti commessi in presenza di un minore di anni diciotto.

 

Il comma 3 novella il comma 74 dell’art. 24 del D.L. 78/2009[15] (Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini) permettendo così di destinare le forze armate impegnate nel controllo del territorio (1.250 unità) anche a compiti diversi da quello di perlustrazione e pattuglia.

L’art. 7-bis della legge 125/2008 (di conversione del D.L. sicurezza n. 92/2008)[16] ha previsto, per specifiche ed eccezionali esigenze di prevenzione della criminalità, uno specifico Piano di impiego del personale delle Forze armate da utilizzare per il controllo del territorio.

 

Il comma 3-bis, introdotto nel corso dell’esame in sede referente, novella l’articolo 260 del codice penale.

Si ricorda che l’art. 260 c.p., rubricato Introduzione clandestina in luoghi militari e possesso ingiustificato di mezzi di spionaggio punisce con reclusione da uno a cinque anni chiunque:

1. si introduce clandestinamente o con inganno in luoghi o zone di terra, di acqua o di aria, in cui è vietato l'accesso nell'interesse militare dello Stato;

2. è colto, in tali luoghi o zone, o in loro prossimità, in possesso ingiustificato di mezzi idonei a commettere alcuno dei delitti di spionaggio previsti dagli articoli 256, 257 e 258;

3. è colto in possesso ingiustificato di documenti o di qualsiasi altra cosa atta a fornire notizie concernenti la sicurezza dello Stato.

In base al secondo comma, se i suddetti fatti sono commessi in tempo di guerra, la pena è della reclusione da 3 a 10 anni.

 

Le Commissioni hanno inserito un ulteriore comma per specificare che la fattispecie si applica anche quando le condotte riguardano «immobili adibiti a sedi di ufficio, di reparto o a deposito di materiali dell’Amministrazione della pubblica sicurezza, il cui accesso è vietato per ragioni di sicurezza pubblica». La disposizione intende completare il quadro di tutela di tali immobili, sul quale era già intervenuto il decreto-legge, con il seguente comma 4.

Il comma 4 dell’art. 7 aggiunge, infatti, un comma all’art. 682 c.p., relativo al reato di ingresso arbitrario in luoghi ove l'accesso è vietato nell'interesse militare dello Stato.

 

L’art. 682, se il fatto non costituisce un più grave reato, punisce tale fattispecie contravvenzionale con l'arresto da 3 mesi a 1 anno o con l'ammenda da 51 a 309 euro.

 

Il nuovo secondo comma dell’art. 682 prevede analoga sanzione per l’accesso abusivo in immobili adibiti a sedi di ufficio, di reparto o a deposito di materiali dell'Amministrazione della pubblica sicurezza, il cui accesso è vietato per ragioni di sicurezza pubblica.

L’intervento, come esplicita la relazione illustrativa del Governo al disegno di legge di conversione del decreto-legge, intende colmare “un vuoto di tutela della riservatezza dei luoghi dell’amministrazione della pubblica sicurezza, in primis, della Polizia di Stato, che ha suscitato problemi di carattere interpretativo” coordinando, peraltro, il quadro normativo attuale con la riforma del segreto di stato (L. 124/2007) e le disposizioni attuative di cui al DPCM n. 7/2009; tale ultimo decreto definisce, altresì luoghi di interesse per la sicurezza della Repubblica le strutture delle amministrazioni che esercitano competenze istituzionali in materia di difesa e sicurezza dello Stato e di polizia (art. 6, comma 2).

 


Articolo 7-bis
(Operazioni congiunte nell’ambito di accordi internazionali di polizia)

 

L’articolo 7-bis è stato introdotto nel decreto-legge nel corso dell’esame del disegno di legge di conversione da parte delle Commissioni riunite Affari costituzionali e Giustizia. La disposizione intende disciplinare lo status, l’uso delle armi e la responsabilità civile e penale degli appartenenti ad organi di polizia, anche di paesi dell’Unione europea, che si trovino ad operare sul territorio italiano, in base ad accordi internazionali.

La disposizione, pur senza affermarlo esplicitamente, pare voler fornire una prima parziale attuazione alla decisione quadro n. 2002/465/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, sull’istituzione delle squadre investigative comuni sopranazionali.

 

Si ricorda che anche nella scorsa legislatura, dopo aver tentato di operare in tal senso anche in XV° e XIV° legislatura, la Camera ha avviato l’esame dell’A.C. 4262, già approvato dal Senato, che prevedeva l’istituzione di squadre investigative comuni sovranazionali, in attuazione della decisione quadro n. 2002/465/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002. Il provvedimento disciplinava la costituzione delle squadre investigative comuni, sia nel caso in cui questa avvenga su richiesta del procuratore della Repubblica italiano, che nel caso in cui la richiesta provenga dall’autorità di uno Stato estero, individuando i presupposti e le modalità di richiesta. Il provvedimento non ha mai concluso l’iter.

Si ricorda altresì che dal 1990 gli agenti di un Paese dell’area Schengen possono essere autorizzati a continuare a tenere sotto osservazione nel territorio di altro Stato le persone che si presume abbiano partecipato alla commissione di taluni delitti, così come possono proseguire nel territorio dello Stato straniero l’inseguimento di persona colta nella flagranza di determinati delitti. Un conto è però permettere occasionali sconfinamenti da parte delle forze di polizia del Paese limitrofo, altro conto è creare i presupposti affinché alcune investigazioni siano svolte in modo congiunto da organi di polizia di diversi Stati.

Per questo, la necessità di dar vita a squadre investigative comuni sopranazionali che consentano – soprattutto nel contrasto alla criminalità organizzata, al terrorismo internazionale e ai cosiddetti cross-border crimes (es. traffico di stupefacenti, tratta di esseri umani) – di superare i tradizionali limiti della cooperazione interstatuale, investigativa e giudiziaria, è stata messa in evidenza prima nel Trattato di Amsterdam del 1997 e poi dal Consiglio Europeo di Tampere dell’ottobre 1999[17].

Limitatamente ai rapporti tra gli Stati membri dell’Unione europea, detta collaborazione può coinvolgere non soltanto autorità giudiziarie e di polizia, ma anche autorità non statali, come gli ufficiali in servizio presso l’ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF), presso l’Ufficio europeo di polizia (Europol) o presso l’Unità europea di cooperazione giudiziaria (Eurojust).

L’Unione Europea ha disciplinato tali squadre prima con la Convenzione di Bruxelles del 29 maggio 2000 (art. 13), relativa all'assistenza giudiziaria in materia penale, e quindi con la decisione quadro n. 2002/465/GAI del Consiglio del 13 giugno 2002 (il cui termine di attuazione è scaduto il 1° gennaio 2003). Infine, con la raccomandazione del Consiglio dell’8 maggio 2003 è stato adottato anche il modello formale di accordo per la costituzione della squadra di indagine comune, che integra e completa le disposizioni contenute sia nell’articolo 13 della Convenzione, sia nella decisione quadro del Consiglio.

Per soddisfare la stessa esigenza di collaborazione le squadre investigative comuni sono state previste anche:

-          dall’Accordo di cooperazione giudiziaria in materia penale tra Italia e Svizzera (art. XXI), ratificato con la legge 5 ottobre 2001, n. 367 (cd. legge sulle rogatorie);

-          dalla Convenzione delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato transnazionale (art. 19) adottata dall’assemblea generale il 15 novembre 2000 ratificata dalla legge 16 marzo 2006 n. 146;

-          dall’accordo sulla mutua assistenza giudiziaria tra gli Stati Uniti d'America e l'Unione europea firmato il 25 giugno 2003 (art. 5), ratificato dalla legge 16 marzo 2009, n. 25;

-          dalla Convenzione Onu contro la corruzione (art. 49) adottata dall’Assemblea Generale il 31 ottobre 2003;

dall’art. 24 del Trattato di Prum, ratificato dalla legge 30 giugno 2009, n. 85, che prevede che le Parti contraenti, al fine del mantenimento dell’ordine e della sicurezza pubblica e per prevenire i reati, possano istituire pattuglie comuni o altre (non specificate) forme di intervento comuni, nell’ambito delle quali funzionari o altri agenti di autorità pubblica partecipano ad interventi sul territorio di un’altra Parte.

 

Analiticamente, il comma 1 stabilisce che la disposizione si applica agli appartenenti ad organi di polizia di Paesi UE o di altri Paesi che si trovino in Italia per partecipare ad operazioni congiunte disposte in base ad accordi internazionali.

A tali soggetti è riconosciuto lo status di ufficiale o agente di pubblica sicurezza o di polizia giudiziaria in base a quanto stabilito dagli accordi stessi.

 

Il comma 2 aggiunge che l’uso delle armi di servizio da parte di tali soggetti oltre a dover essere stato preventivamente autorizzato, è consentito soltanto per legittima difesa[18].

Quanto all’uso di veicoli dotati di dispositivi sonori e luminosi, è prevista l’applicazione delle norme nazionali in materia di circolazione stradale e espletamento dei servizi di polizia.

 

Infine, il comma 3 rinvia agli accordi di cooperazione per la disciplina della responsabilità civile e penale degli appartenenti agli organi di polizia stranieri.

 

Si ricorda che la Convenzione di Bruxelles del 29 maggio 2000 relativa all'assistenza giudiziaria in materia penale tra gli Stati membri dell'Unione europea dispone (articoli 15 e 16) prevede che quanto agli eventuali reati commessi o subiti dagli agenti distaccati durante le operazioni, questi ultimi sono assimilati ai funzionari dello Stato membro in cui interviene la squadra (articolo 15). Più articolate le previsioni in materia di responsabilità civile: quando i funzionari di uno Stato membro operano in un altro Stato membro, il primo Stato membro è responsabile dei danni da essi causati nell'adempimento della missione, conformemente al diritto dello Stato membro nel cui territorio essi operano. Lo Stato nel cui territorio sono causati i danni provvede al risarcimento di tali danni alle condizioni applicabili ai danni causati dai propri funzionari. In caso, invece, di danni a terzi provocati da funzionari di uno Stato membro in missione in altro Stato membro, il primo rimborsa integralmente a quest'ultimo le somme versate alle vittime o ai loro aventi diritto. Fatto salvo quanto sopra precisato, nonché l'esercizio dei propri diritti nei confronti di terzi, ciascuno Stato membro rinuncia a chiedere ad un altro Stato membro il risarcimento dei danni subiti da agenti stranieri nel corso di operazioni comuni (articolo 16).

 


Articolo 8
(Contrasto al fenomeno dei furti in danno di infrastrutture energetiche e di comunicazione)

 

L’articolo 8 interviene sul codice penale e sul codice di procedura penale per inasprire la repressione del reato di furto di materiali da impianti e infrastrutture destinate all’erogazione di servizi pubblici. A tal fine, il comma 1 novella le fattispecie penali di furto e di ricettazione, prevedendo specifiche aggravanti, mentre il comma 2 interviene sul codice di procedura penale per prevedere, nelle medesime ipotesi, l’arresto obbligatorio in flagranza di reato.

 

Analiticamente, la lettera a) del comma 1 modifica l’art. 625 c.p., relativo alle circostanze che aggravano il delitto di furto, prevedendo la pena della reclusione da uno a sei anni e della multa da euro 103 a euro 1.032 se il furto è commesso «su componenti metalliche o altro materiale sottratto ad infrastrutture destinate all'erogazione di energia, di servizi di trasporto, di telecomunicazioni o di altri servizi pubblici e gestite da soggetti pubblici o da privati in regime di concessione pubblica». Quando dunque il furto attenga a beni infrastrutturali di questo tipo non si applica più la pena base dell’art. 624 c.p. - reclusione da sei mesi a tre anni e multa da euro 154 a euro 516 – bensì la pena aggravata.

La lettera b) del comma 1 modifica l’art. 648 c.p., relativo al delitto di ricettazione.

 

Si ricorda che il codice penale punisce con la reclusione da 2 ad 8 anni e con la multa da 516 a 10.329 648 euro chiunque, fuori dei casi di concorso nel reato, al fine di procurare a sé o ad altri un profitto, acquista, riceve od occulta denaro o cose provenienti da un qualsiasi delitto, o comunque si intromette nel farle acquistare, ricevere od occultare (primo comma).

La pena è della reclusione sino a 6 anni e della multa sino a 516 euro se il fatto è di particolare tenuità (secondo comma).

 

Il decreto-legge – inserendo un periodo in coda al primo comma – prevede ipotesi aggravate del delitto di ricettazione se il fatto riguarda denaro o cose provenienti da:

§         fattispecie aggravate del delitto di rapina (art. 628, terzo comma, c.p.);

§         fattispecie aggravate del delitto di estorsione (art. 629, secondo comma, c.p.);

§         fattispecie aggravata del delitto di furto, per l’aver sottratto componenti metalliche o altro materiale ad infrastrutture destinate all'erogazione di servizi pubblici e gestite da soggetti pubblici o da privati in regime di concessione pubblica (art. 625, primo comma, n. 7-bis).

In tutti questi casi il giudice potrà applicare un aumento di pena fino ad un terzo della pena base.

 

Il comma 2 dell’articolo 8 novella l’art. 380 del codice di procedura penale, relativo all’arresto obbligatorio in flagranza, per coordinarne le previsioni con le modifiche apportata al codice penale dal comma 1. Conseguentemente, tanto per l’ipotesi di furto aggravato di materiali provenienti da infrastrutture destinate all'erogazione di servizi pubblici (art. 625, primo comma, lett. 7-bis), quanto per le ipotesi di ricettazione aggravata di cui all’art. 648, primo comma, ultimo periodo, gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria potranno procedere all’arresto di chiunque sia colto in flagranza di delitto.

 

Le Commissioni riunite, nel corso dell’esame in sede referente, hanno aggiunto i commi 2-bis, 2-ter, 2-quater e 2-quinquies, sulle modalità di indennizzo per le imprese danneggiate a seguito di delitti non colposi subiti nella realizzazione di grandi opere.

 

In particolare, il comma 2-bis, al di fuori dei casi in cui si fa luogo alle provvidenze relative al Fondo di solidarietà per le vittime delle richieste estorsive e dell'usura, interessa le imprese che abbiano subito il danneggiamento di materiali, attrezzature e beni strumentali in conseguenza di delitti non colposi commessi al fine di impedire, turbare ovvero rallentare la realizzazione di opere comprese nel programma delle infrastrutture e degli insediamenti strategici, in base alla c.d. “legge obiettivo” (legge 443/2001).

 

Il Programma delle Infrastrutture Strategiche (PIS), avviato con l’art. 1 della L. 443/2001 (c.d. legge obiettivo), individua, ai sensi della medesima legge, “le infrastrutture pubbliche e private e gli insediamenti produttivi strategici e di preminente interesse nazionale da realizzare per la modernizzazione e lo sviluppo del Paese”.

Le opere del PIS rappresentano un insieme vasto ed eterogeneo, al cui interno sono comprese opere stradali e autostradali (come ad es. l’autostrada Salerno-Reggio Calabria), ferroviarie (come ad es. l ’alta velocità Torino-Lione e il nuovo valico del Brennero), portuali e interportuali, sui sistemi metropolitani (come ad es. la metro C di Roma e il Programma 6.000 campanili), sugli schemi idrici, ecc.

Secondo l’ultimo aggiornamento del Programma (contenuto nell’allegato infrastrutturale alla Nota di aggiornamento del DEF, Doc. LVII, n. 1-bis, Allegato III), il volume complessivo delle opere è quantificato, in termini di costo delle stesse, in circa 232 miliardi di euro (di cui 61,5 miliardi relativi ad opere in fase di realizzazione deliberate dal CIPE), anche con un coinvolgimento di capitali privati.

 

Tali imprese possono richiedere un indennizzo per il ristoro del danno subito a carico del Fondo di solidarietà civile.

Si tratta del fondo istituito, presso il Ministero dell’interno, a favore delle vittime di reati commessi in occasione o a causa di manifestazioni sportive ovvero di manifestazioni di diversa natura.

Il Fondo è alimentato:

a) da una quota del Fondo unico giustizia;

b) dall’ammontare delle somme riscosse per le sanzioni amministrative pecuniarie, previste dal decreto-legge istitutivo;

c) da contribuzioni volontarie, da donazioni e da lasciti da chiunque effettuati.

Spetterebbe poi a un decreto del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro della giustizia e con il Ministro dell’economia e delle finanze adottare le norme regolamentari necessarie per l’attuazione, comprese quelle relative ai limiti e ai criteri per la destinazione delle risorse annualmente disponibili del Fondo e per l’individuazione degli aventi diritto, nonché per la procedura e la modalità di surrogazione del Fondo nei diritti della parte civile o dell’attore verso il soggetto condannato al risarcimento del danno e per l’eventuale rinuncia dell’amministrazione, in tutto o in parte, al diritto di rivalsa nei confronti del medesimo soggetto (art. 2-bis, comma 5, del decreto-legge 187/2010).

 

Il comma 2-ter prevede che, per l'erogazione degli indennizzi, le somme stanziate sul Fondo siano utilizzate nel limite massimo annuo di cinque milioni di euro. Le richieste di indennizzo per il ristoro del danno che non possono essere soddisfatte a causa del limite di spesa, sono prioritariamente soddisfatte nell'anno successivo. L'indennizzo è concesso per la sola parte eccedente la somma liquidata o che può essere liquidata sulla base del contratto di assicurazione stipulato dall'impresa interessata.

 

In base al comma 2-quater, nelle more dell'adozione del regolamento attuativo (ex art. 2-bis, comma 5, del decreto legge 187/2010), i criteri e le modalità per l'erogazione dei benefici di cui al presente articolo sono definiti, in prima attuazione e in via d'urgenza, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, adottato, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge in commento.

 

Il comma 2-quinquies, infine, prevede per coordinamento che il regolamento di attuazione dell’art. 2-bis del decreto-legge 187/2010, sia adottato anche con il concerto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti.

 

 


Articolo 9
(Frode informatica commessa con sostituzione d’identità digitale)

 

L’articolo 9 detta una serie di disposizioni volte a contrastare il c.d. furto di identità.

 

Per una definizione del furto di identità nel nostro ordinamento occorre fare riferimento all’art. 30-bis del decreto legislativo n. 141 del 2010[19], in base al quale con questa espressione s’intende:

a) l'impersonificazione totale: occultamento totale della propria identità mediante l'utilizzo indebito di dati relativi all'identità e al reddito di un altro soggetto. L'impersonificazione può riguardare l'utilizzo indebito di dati riferibili sia ad un soggetto in vita sia ad un soggetto deceduto;

b) l'impersonificazione parziale: occultamento parziale della propria identità mediante l'impiego, in forma combinata, di dati relativi alla propria persona e l'utilizzo indebito di dati relativi ad un altro soggetto, nell'ambito di quelli di cui alla lettera a).

 

In particolare, il comma 1 novella la fattispecie di frode informatica, prevista dall’art. 640-ter c.p., introducendovi una aggravante per il fatto commesso con sostituzione dell’identità digitale in danno di uno o più soggetti. Le Commissioni riunite introdotto la locuzione “furto o indebito utilizzo dell’identità digitale” in luogo della locuzione “sostituzione dell’identità digitale”, impiegata dal decreto-legge.

 

L’art. 640-ter c.p. punisce con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da 51 a 1.032 euro chiunque, «alterando in qualsiasi modo il funzionamento di un sistema informatico o telematico o intervenendo senza diritto con qualsiasi modalità su dati, informazioni o programmi contenuti in un sistema informatico o telematico o ad esso pertinenti, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno» (comma 1).

La pena è aggravata (reclusione da uno a cinque anni e multa da 309 a 1.549 euro) se il fatto è commesso a danno dello Stato o di un altro ente pubblico, ovvero se il fatto è commesso con abuso della qualità di operatore del sistema (secondo comma).

Se ricorrono circostanze aggravanti il delitto è punibile d’ufficio mentre per la fattispecie base è richiesta la querela della persona offesa (ultimo comma).

 

In particolare, la lettera a) introduce un nuovo comma nell’articolo 640 in modo da prevedere la pena della reclusione da 2 a 6 anni e della multa da 600 a 3.000 euro se il fatto è commesso con furto dell’identità digitale in danno di uno o più soggetti. La lettera b) interviene con finalità di coordinamento sull’ultimo comma della norma penale, disponendo che anche per questa ipotesi di aggravante il reato divenga perseguibile d’ufficio.

Il decreto-legge non istituisce dunque un’autonoma fattispecie penale relativa al c.d. furto dell’identità digitale, ma prevede che la sostituzione di tale identità possa rappresentare un’aggravante del delitto di frode informatica.

 

Il comma 2soppresso nel corso dell’esame in sede referente - novella il decreto legislativo n. 231 del 2001, in tema di responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato.

 

Al riguardo, si ricorda che il D.Lgs. n. 231/2001 prevede che, per una serie di reati espressamente individuati (artt. 24 e ss) , possano essere applicate alla persona giuridica - mediante accertamento giudiziale - sanzioni pecuniarie, sanzioni interdittive, confisca, pubblicazione della sentenza (art. 9).

Il presupposto per l’irrogazione della sanzione è ovviamente la responsabilità dell’ente che, ai sensi dell’art. 5, sussiste in riferimento ai reati commessi nell’interesse dell’ente stesso o a suo vantaggio, da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione, di direzione dell'ente o da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso.

 

In particolare, il decreto-legge interviene sull’art. 24-bis del decreto legislativo, relativo a Delitti informatici e trattamento illecito di dati, per aggiungere al catalogo dei delitti ivi previsti tre ulteriori tipologie di reati, che determinano l’applicazione all'ente della sanzione pecuniaria da 100 a 500 quote.

Si tratta:

-             della frode informatica aggravata dalla sostituzione dell’identità digitale (art. 640-ter, terzo comma, c.p.);

-             dell’indebita utilizzazione di carte di credito (art. 55, comma 9, del d.lgs n. 231/2007[20], sulla prevenzione dell'utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio);

-             dei delitti previsti dal Codice della privacy (artt. 167-172 del d.lgs n. 196 del 2003).

Inoltre, in base all’art. 24-bis del decreto legislativo del 2001, se in seguito alla commissione dei suddetti delitti l'ente ha conseguito un profitto di rilevante entità o è derivato un danno di particolare gravità; si applica la sanzione pecuniaria da 200 a 600 quote.

 

 

Il comma 3 novella infine il decreto legislativo n. 141 del 2010 per gli aspetti concernenti il sistema di prevenzione delle frodi nel settore del credito al consumo, con specifico riferimento al furto d'identità.

 

Si ricorda che il D.Lgs. n. 64 del 2011 ha inserito nel D.Lgs. n. 141/2010 il Titolo V-bis dedicato all’istituzione di un sistema pubblico di prevenzione, sul piano amministrativo, delle frodi nel settore del credito al consumo, con specifico riferimento al furto d'identità, ovvero la frode che si sostanzia ogniqualvolta qualcuno utilizzi senza autorizzazione i dati personali di un soggetto (anagrafica, codice fiscale, dati previdenziali, ecc.) per ottenere un finanziamento a suo nome. L’obiettivo della normativa è di prevenire il fenomeno delle frodi, fornendo strumenti adatti ad accertare identità e capacità reddituale dei richiedenti il credito, configurare forme di deterrenza per i frodatori e ridurre il contenzioso giudiziario. A tale scopo, il sistema prevenzione configurato si prefigge di fornire contributi sul processo di “identificazione”, inteso come verifica della validità dei dati dichiarati dal soggetto e, successivamente, sul piano della “autenticazione”, ovvero la verifica con elevato livello di affidabilità dell'identità del soggetto.

Il sistema di prevenzione configurato dal D.Lgs. n. 64 del 2011 si basa su un archivio centrale informatizzato e su un gruppo di lavoro (articolo 30-ter, comma 2). La titolarità del predetto archivio, così come del trattamento dei dati, è affidata al MEF che, ai sensi delle norme del codice della privacy, (articolo 29 del codice del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196), designa la Consap S.p.A. quale ente gestore dell’archivio. Il gruppo di lavoro opera con funzioni di indirizzo, impulso e coordinamento, per migliorare l’azione preventiva. Ha inoltre funzioni di elaborazione e studio dei dati statistici, in forma anonima, relativi al comparto delle frodi.

In particolare l’articolo 30-ter ha istituito presso il Ministero dell’economia e delle finanze un sistema di prevenzione delle frodi, sul piano amministrativo (ferme restando, dunque, le prescrizioni civili e penali in materia), nel settore del credito al consumo e dei pagamenti dilazionati o differiti, con specifico riferimento al furto d'identità. Per quanto concerne l’utilizzo dell’archivio da parte dei soggetti aderenti al sistema di prevenzione delle frodi, il comma 7 consente ai soggetti aderenti di inviare al gestore richieste di verifica dell'autenticità dei dati contenuti nella documentazione fornita dalle persone fisiche o giuridiche che richiedono una dilazione o un differimento di pagamento, un finanziamento o altra analoga facilitazione finanziaria, un servizio a pagamento differito. Tale verifica non può essere richiesta al di fuori dei casi e delle finalità previste per la prevenzione del furto di identità.

 

In particolare, il decreto-legge (art. 9, comma 3, lettera a)) novella l’art. 30-ter, che istituisce il sistema di prevenzione, inserendo il comma 7-bis in base al quale coloro che partecipano al sistema di prevenzione (ad esempio banche o intermediari finanziari) possono richiedere al gestore del sistema di prevenzione la verifica dell’autenticità dei dati contenuti nella documentazione fornita da persone fisiche, laddove ritengano utile accertarne l’identità.

 

L’articolo 30-ter istituisce, presso il Ministero dell’economia e delle finanze, un sistema di prevenzione delle frodi, sul piano amministrativo (ferme restando, dunque, le prescrizioni civili e penali in materia), nel settore del credito al consumo e dei pagamenti dilazionati o differiti, con specifico riferimento al furto d'identità.

Il sistema si basa su un archivio centrale informatizzato e su un gruppo di lavoro. La titolarità del predetto archivio, così come del trattamento dei dati, è affidata al MEF che designa la Consap S.p.A. quale ente gestore dell’archivio.

Le norme elencano poi i soggetti che possono partecipare al sistema di prevenzione delle frodi:

§         le banche e gli intermediari finanziari iscritti negli appositi elenchi previsti dalla legislazione bancaria;

§         i fornitori di servizi di comunicazione elettronica;

§         i fornitori di servizi interattivi associati o di servizi di accesso condizionato;

§         le imprese di assicurazione;

§         i gestori di sistemi di informazioni creditizie e le imprese che offrono ai predetti soggetti servizi assimilabili alla prevenzione, sul piano amministrativo, delle frodi, in base ad apposita convenzione con il MEF.

La disposizione (comma 6) demanda a un apposito decreto del MEF l’individuazione di altri soggetti aderenti al sistema.

Per quanto concerne l’utilizzo dell’archivio da parte dei soggetti aderenti al sistema di prevenzione delle frodi, il comma 7 consente ai soggetti aderenti di inviare al gestore richieste di verifica dell'autenticità dei dati contenuti nella documentazione fornita dalle persone fisiche o giuridiche che richiedono una dilazione o un differimento di pagamento, un finanziamento o altra analoga facilitazione finanziaria, un servizio a pagamento differito. Tale verifica non può essere richiesta al di fuori dei casi e delle finalità previste per la prevenzione del furto di identità.

Inoltre, gli aderenti trasmettono al titolare dell’archivio (MEF) le informazioni relative ai casi che configurano un rischio di frode.

Il comma 8 istituisce nell'ambito del sistema di prevenzione un servizio gratuito, telefonico e telematico, che consente di ricevere le segnalazioni da parte di soggetti che hanno subìto o temono di aver subìto frodi configuranti ipotesi di furto di identità.

 

La lettera b) del comma 3 – soppressa nel corso dell’esame in sede referente - interviene invece sull’art. 30-sexies del decreto legislativo n. 141 del 2010, per consentire – attraverso un decreto del Ministro dell’economia – la rideterminazione della misura delle componenti del contributo dovuto dall’aderente al sistema di prevenzione al gestore dell’archivio, in relazione ad ogni interrogazione della banca dati.

 

L’articolo 30-sexies si occupa della procedure di riscontro dell’autenticità dei dati. La Consap (ente gestore dell’archivio) autorizza, di volta in volta, la procedura di collegamento dell'archivio alle banche dati degli organismi pubblici e privati. Ciascuna richiesta di verifica comporta, da parte dell'aderente, il pagamento di un contributo fisso tale da garantire la copertura del costo pieno del servizio svolto dal gestore (comma 2). La Consap è obbligata a fornire al MEF apposita rendicontazione sulle somme introitate e i costi sostenuti in rapporto al servizio.

La quota delle somme introitate dalla Consap non destinata a garantire le spese di progettazione e di realizzazione dell'archivio, nonché il costo pieno del servizio svolto dalla stessa, viene versata annualmente, dal medesimo ente, all'entrata del bilancio dello Stato, per essere riassegnata ad apposito programma dello stato di previsione del MEF, da destinare alla prevenzione dei reati finanziari (nuovo comma 1-bis dell’articolo 30-septies, inserito dal D.Lgs. n. 169/2012).


 

Articolo 9-bis
(Adeguamento dei requisiti essenziali di sicurezza degli articoli pirotecnici in attuazione dell’articolo 47, paragrafo 2, della direttiva 2013/29/UE del 12 giugno 2013)

 

 

L'articolo 9-bis modifica i requisiti essenziali di sicurezza che gli articoli pirotecnici devono possedere per poter essere immessi sul mercato, recependo così una disposizione della direttiva 2013/29/UE del 12 giugno 2013 concernente l’armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alla messa a disposizione sul mercato di articoli pirotecnici

Si tratta di una direttiva di “rifusione” che sostituisce la disciplina precedente recata dalla direttiva 2007/23/CE del 23 maggio 2007, successivamente più volte modificata, da ultimo dalla medesima direttiva del 2013.

La nuova direttiva, che per la sua recente approvazione non ha trovato posto tra quelle indicate nella legge di delegazione europea 2013, deve essere recepita entro il 1° luglio 2015, ad eccezione di una disposizione relativa appunto ai requisiti di sicurezza di cui gli Stati membri devono dare attuazione entro il 3 ottobre 2013 (art. 47, § 2).

In particolare, la disposizione in oggetto è quella recata dall’allegato I, punto 4) della direttiva dove si prevede che gli articoli pirotecnici non devono contenere esplosivi detonanti diversi da polvere nera o miscele ad effetto di lampo, ad eccezione dei seguenti manufatti:

§      articoli pirotecnici di categoria P1 (articoli pirotecnici, diversi dai fuochi d’artificio e dagli articoli pirotecnici teatrali, che presentano un rischio potenziale ridotto);

§      articoli pirotecnici di categoria P2 (articoli pirotecnici, diversi dai fuochi d’artificio e dagli articoli pirotecnici teatrali, che sono destinati alla manipolazione o all’uso esclusivamente da parte di persone con conoscenze specialistiche);

§      articoli pirotecnici di categoria T2 (articoli pirotecnici per uso scenico che sono destinati esclusivamente all’uso da parte di persone con conoscenze specialistiche);

§      fuochi d’artificio di categoria F4 (fuochi d’artificio che presentano un rischio potenziale elevato e che sono destinati ad essere usati esclusivamente da persone con conoscenze specialistiche, comunemente noti quali «fuochi d’artificio professionali», e il cui livello di rumorosità non è nocivo per la salute umana).

Tali categorie sono escluse purché soddisfino alcuni condizioni tassativamente indicate:

§      l’esplosivo detonante non può essere facilmente estratto dall’articolo pirotecnico;

§      per la categoria P1, l’articolo pirotecnico non può avere una funzione di detonante oppure non può, così come è progettato e fabbricato, innescare esplosivi secondari;

§      per le categorie F4, T2 e P2, l’articolo pirotecnico è progettato in modo da non funzionare come detonante oppure, se è progettato per la detonazione non può, così come è progettato e fabbricato, innescare esplosivi secondari.

 

Tale disposizione è recepita integralmente dall’articolo in esame che modifica in tal senso il punto 4 dell’allegato I del decreto legislativo 58/2010, di recepimento della citata direttiva 2007/23/CE. Attualmente il punto 4 prevede che gli articoli pirotecnici non devono contenere:

§      esplosivi commerciali, ad eccezione di polvere nera o miscele ad effetto di lampo;

§      esplosivi militari.

 

Il comma 2 dell’articolo in esame ha l’effetto di rendere valide le autorizzazioni rilasciate entro il 4 luglio 2013 (e non più entro il 4 luglio 2010) per l'esercizio dell'attività di utilizzo, a qualsiasi titolo, degli articoli pirotecnici diversi dalle categorie 1, 2 e 3 e degli altri articoli pirotecnici, per i fuochi d'artificio della categoria 4 e per gli articoli pirotecnici teatrali.

 


Capo III
(Norme in tema di protezione civile)

Articolo 10
(Modifiche alla legge 24 febbraio 1992, n. 225)

 

L'articolo 10, comma 1, novella l'art. 5 della legge n. 225 del 1992 in materia di protezione civile, recentemente modificato con il decreto-legge n. 59 del 2012, del quale si evidenziano di seguito le disposizioni di riforma più salienti.

 

La legge 24 febbraio 1992 n. 225 (Istituzione del Servizio nazionale della protezione civile) come da ultimo modificata dal D.L. n. 59/2012 (Disposizioni urgenti per il riordino della protezione civile), all’articolo 5 reca norme concernenti lo stato di emergenza e il potere di ordinanza ad esso connesso.

L’art. 1, comma 1, lett. c), del D.L. 59 ha modificato l’articolo 5 in più parti prevedendo alcune rilevanti novità in relazione alla dichiarazione e alla durata dello stato di emergenza, demandando la deliberazione dello stato di emergenza al Consiglio dei ministri, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri o, se delegati, da un Ministro con portafoglio o dal Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri.

In particolare l’art. 5, comma 1, della legge n. 225/1992, così come novellato dal D.L. 59, prevede che la delibera con cui viene dichiarato lo stato di emergenza:

§       può essere emanata non solo al verificarsi degli eventi calamitosi, ma anche nella loro imminenza;

§       dispone in ordine all’esercizio del potere di ordinanza, conferendo al Consiglio dei Ministri una competenza attributiva di tale potere; la norma non effettua una previa individuazione del novero dei potenziali destinatari, fatta salva l’indicazione contenuta nel successivo comma 2, che conferisce potere di ordinanza al Capo del Dipartimento per la protezione civile salvo che sia diversamente stabilito con la deliberazione dello stato di emergenza; l’ordinanza deve essere oggetto di intesa con le regioni territorialmente interessate;

§       deve indicare l’amministrazione pubblica competente in via ordinaria per il coordinamento degli interventi successivi alla scadenza dello stato di emergenza.

Si ricorda, altresì, che il D.L. 59/2012 ha introdotto anche un nuovo comma 1-bis dell’articolo 5, apportando un’ulteriore novità al sistema di protezione civile introducendo una durata massima dello stato di emergenza, pari a novanta giorni, prorogabile o rinnovabile di regola una sola volta - previa ulteriore deliberazione del Consiglio dei Ministri - di ulteriori sessanta giorni.

 

Con particolare riferimento a quanto previsto dalla norma in esame, il comma 2 dell'articolo 5 della legge n. 225/1992, come modificato dal D.L. 59/2012, reca una significativa innovazione alla disciplina previgente attraverso l’attribuzione del potere di ordinanza al Capo del Dipartimento della protezione civile, salvo che non sia diversamente stabilito con la delibera dello stato di emergenza (in tal caso viene comunque ribadito che il Capo del Dipartimento della protezione civile è il soggetto deputato a curarne in ogni caso l’attuazione). Val la pena sottolineare che il potere di ordinanza, in deroga alla normativa vigente[21] e nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico, deve comunque essere esercitato nei limiti e secondo i criteri indicati nel decreto di dichiarazione dello stato di emergenza.

 

Il D.L. 59/2012 era intervenuto anche in merito al contenuto delle ordinanze, prevedendo che esse potessero disporre in ordine:

§       all’organizzazione e all’effettuazione degli interventi di soccorso e di assistenza ai soggetti colpiti dall’evento;

§       alla messa in sicurezza degli edifici pubblici e privati e dei beni culturali gravemente danneggiati;

§       al ripristino delle infrastrutture e delle reti indispensabili per la continuità delle attività economiche e produttive e per la ripresa delle normali condizioni di vita.

Ai sensi dello stesso comma 2, per l’emanazione delle ordinanze da parte del Capo del Dipartimento della protezione civile è necessario acquisire l’intesa delle regioni territorialmente interessate.

Lo stesso D.L. 59/2012, introducendo il comma 2-bis nell’articolo 5 della L. 225/1992, ha previsto, in tema di emanazione ed efficacia delle ordinanze:

§         la trasmissione, per informazione, al Ministro con portafoglio delegato ovvero al Presidente del Consiglio dei Ministri;

§         che le ordinanze emanate entro i primi trenta giorni dall’evento sono trasmesse anche al Ministero dell’economia e delle finanze (MEF), che dovrà comunicare gli esiti della verifica[22] al Presidente del Consiglio dei Ministri e sono immediatamente efficaci;

§       che, successivamente al trentesimo giorno dalla dichiarazione dello stato di emergenza, l’emanazione delle ordinanze necessita del previo concerto del MEF limitatamente ai profili finanziari.

Si ricorda che il concerto con il MEF per l’emanazione delle ordinanze, relativamente agli aspetti di carattere finanziario, è stato introdotto dall’art. 2, comma 2-quinquies del D.L. 225/2010[23]. A differenza della disciplina previgente, le nuove disposizioni richiedono il concerto con il MEF solo nel caso di ordinanze emanate dopo i primi venti giorni dall’evento e di ordinanze destinate a regolare il rientro nell’ordinarietà (comma 4-ter dell’art. 5 della legge n. 225/1992). Il concerto con il MEF è previsto in ogni caso per le ordinanze che ripartiscono risorse derivanti dall’attuazione dei meccanismi di finanziamento di cui al comma 5-quinquies dell’articolo 5 della legge n. 225/1992.

 

Il citato D.L. 59/2012 è intervenuto anche sull’art. 2 della L.225/1992, che distingue gli eventi da fronteggiare e gli ambiti di competenze ai fini dell'attività di protezione civile, come segue:

a) eventi naturali o connessi con l'attività dell'uomo che possono essere fronteggiati mediante interventi attuabili dai singoli enti e amministrazioni competenti in via ordinaria;

b) eventi naturali o connessi con l'attività dell'uomo che per loro natura ed estensione comportano l'intervento coordinato di più enti o amministrazioni competenti in via ordinaria;

c) calamità naturali o connesse con l'attività dell'uomo che in ragione della loro intensità ed estensione debbono, con immediatezza d'intervento, essere fronteggiate con mezzi e poteri straordinari da impiegare durante limitati e predefiniti periodi di tempo.

 

In merito agli interventi effettuati dall’art. 10, comma 1, sulla recente riforma disposta dal D.L. 59/2012, si evidenziano i seguenti:

§         la delibera che dichiara lo stato di emergenza per le fattispecie da fronteggiare con immediatezza e mezzi straordinari (art. 2, co. 1, lett. c), L. 225/1992) provvede anche ad una prima individuazione delle risorse finanziarie necessarie agli interventi da effettuare, autorizzando la relativa spesa, individuando, nell’ambito dello stanziamento complessivo, quelle risorse finalizzate agli interventi di cui alla nuova lettera a) del comma 2), ossia gli interventi concernenti l’organizzazione e l’effettuazione dei servizi di soccorso e di assistenza alla popolazione interessata dall’evento. Se tali risorse si rivelano insufficienti in corso di intervento, possono essere integrate mediante ulteriori deliberazioni adottate sulla base di apposita relazione motivata presentata dal Capo del Dipartimento della Protezione civile al Presidente del Consiglio dei ministri (lett. a);

§         è allungata la durata massima dello stato di emergenza, fissata a 90 giorni dal D.L. 59/2012, fino a 180 giorni, prorogabili di ulteriori 180 giorni, anziché i 60 giorni previsti dal testo previgente (lett. b);

§         è introdotta una differente tipizzazione delle misure che possono essere previste dalle ordinanze di protezione civile in deroga, adottate nelle situazioni di emergenza da fronteggiare con immediatezza e mezzi straordinari (lett. c);

La formulazione della tipologia delle misure adottabili con le ordinanze viene modificata, rispetto a quella prevista dal D.L. 59/2012, anche e soprattutto introducendo in modo espresso il limite delle risorse finanziarie disponibili per ogni intervento previsto dalle ordinanze ed estendendo lo strumento dell’ordinanza alla ricognizione dei fabbisogni.

La seguente tavola illustra le differenze tra il testo previgente e la novella apportata dall'articolo in esame:

Testo previgente

Nuovo testo

all'organizzazione e all'effettuazione dei servizi di soccorso e di assistenza alla popolazione interessata dall'evento,

a) all'organizzazione ed all'effettuazione dei servizi di soccorso e di assistenza alla popolazione interessata dall'evento;

al ripristino delle infrastrutture e delle reti indispensabili per la continuità delle attività economiche e produttive e per la ripresa delle normali condizioni di vita,

b) al ripristino della funzionalità dei servizi pubblici e delle infrastrutture di reti strategiche, entro i limiti delle risorse finanziarie disponibili;

 

alla messa in sicurezza degli edifici pubblici e privati e dei beni culturali gravemente danneggiati o che costituiscono minaccia per la pubblica e privata incolumità,

e comunque agli interventi volti ad evitare situazioni di pericolo o maggiori danni a persone o a cose.

c) alla realizzazione di interventi, anche strutturali, per la riduzione del rischio residuo strettamente connesso all'evento, entro i limiti delle risorse finanziarie disponibili e comunque finalizzate prioritariamente alla tutela della pubblica e privata incolumità;

 

 

d) alla ricognizione dei fabbisogni per il ripristino delle strutture e delle infrastrutture, pubbliche e private, danneggiate, nonché dei danni subiti dalle attività economiche e produttive, dai beni culturali e dal patrimonio edilizio, da porre in essere sulla base di procedure definite con la medesima o altra ordinanza;

e) all'avvio dell'attuazione delle prime misure per far fronte alle esigenze urgenti di cui alla lettera d), entro i limiti delle risorse finanziarie disponibili e secondo le direttive dettate con delibera del Consiglio dei ministri, sentita la Regione interessata.

§         è istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento della Protezione civile il Fondo per le emergenze nazionali, per la copertura degli oneri derivanti dall'attuazione di interventi necessari nelle situazioni di emergenza da fronteggiare con immediatezza e mezzi straordinari (cioè art. 2, co. 1, lett. c), L. 225/1992).

Vengono altresì dettate disposizioni specifiche sul finanziamento del Fondo, per il quale viene autorizzata una spesa di 5 milioni di euro per l'anno 2013 (coperta con una corrispondente riduzione delle risorse del Fondo nazionale di protezione civile) e previsto che, a decorrere dal 2014, la dotazione del Fondo sia determinata annualmente dalla legge di stabilità (ai sensi dell'art. 11, comma 3, lett. d), della L. 196/2009). Viene inoltre prescritto che sul conto finanziario della Presidenza del Consiglio dei Ministri, al termine di ciascun anno, dovranno essere evidenziati, in apposito allegato, gli utilizzi delle risorse finanziarie del Fondo per le emergenze nazionali.

Si fa notare che la finalità della norma sembra quella di creare un fondo destinato in modo specifico al finanziamento degli interventi necessari nelle situazioni di emergenza da fronteggiare con immediatezza e mezzi straordinari; mentre fino ad oggi tali risorse venivano prelevate dal Fondo di protezione civile che non ha una destinazione specifica, ma rappresenta piuttosto un fondo residuale destinato a finanziare quanto non coperto da specifici fondi o autorizzazioni di spesa, come si desume dalla scheda “Fondo nazionale per la Protezione Civile” pubblicata sul sito del Dipartimento della Protezione civile.

 

Nel corso dell’esame in sede referente sono state apportate le seguenti modificazioni:

§         al fine di coordinare le diverse novelle introdotte nel testo dell’art. 5 della L. 225/1992, è stata modificata la lettera a) nella parte in cui prevedeva che l’autorizzazione di spesa (necessaria a garantire le risorse individuate dalla delibera di dichiarazione dello stato di emergenza) operasse nell'ambito dell'apposito stanziamento sul Fondo di protezione civile. Il nuovo testo, alla luce dell’istituzione del Fondo per le emergenze nazionali, prevede che l’autorizzazione venga imputata alle risorse del nuovo “Fondo per le emergenze nazionali”. Nel contempo, è stato soppresso il riferimento, nell’ambito dello stanziamento complessivo del Fondo di protezione civile (cui il testo vigente fa ancora riferimento) all’individuazione delle risorse finalizzate alle attività previste dalla lettera a) del comma 2;

§         un’ulteriore modifica alla lettera a) è volta a ripristinare una prerogativa della delibera dello stato di emergenza (vale a dire quella di disporre in ordine all’esercizio del potere di ordinanza) che compariva nel testo dell’art. 5, comma 1, della L. 225/1992 e che è stata soppressa dal decreto in esame.

Si fa notare che, comunque, anche in assenza della citata novella, il fatto che la deliberazione dello stato di emergenza potesse disporre in ordine all’esercizio del potere di ordinanza era deducibile dal comma 2 dello stesso art. 5 della L. 225/1992, che prevede che le ordinanze sono emanate “dal Capo del Dipartimento della protezione civile, salvo che sia diversamente stabilito con la deliberazione dello stato di emergenza di cui al comma 1”.

§         un’ulteriore modifica, anch’essa volta a dare coerenza all’impianto normativo, è quella recata dalla nuova lettera c-bis), che aggiunge, al comma 4-quinquies dell’art. 5 della L. 225/1992, il riferimento al nuovo Fondo per le emergenze nazionali, così che anche per esso valga l’obbligo di relazione al Parlamento sulle modalità del suo utilizzo.

Si ricorda che il citato comma 4-quinquies prevede, nel testo vigente, che il Governo riferisca annualmente al Parlamento sulle attività di protezione civile riguardanti le attività di previsione, di prevenzione, di mitigazione del rischio e di pianificazione dell'emergenza, nonché sull'utilizzo del Fondo per la protezione civile.

 

Il comma 2, alla luce delle disposizioni di carattere finanziario recate dal precedente comma, autorizza il Ministro dell'economia e delle finanze ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

 

Il comma 3 dell'articolo in esame novella l'art. 42 del D.Lgs. 14 marzo 2013, n. 33, emanato in materia di trasparenza nelle pubbliche amministrazioni in base alla delega contenuta nella L. 190/2012 (c.d. anticorruzione). Con tale novella sono attribuite ai commissari delegati per la protezione civile le funzioni di:

§         responsabili per la prevenzione della corruzione di cui all'art. 1, comma 7, della L. 190/2012;

§         responsabili per la trasparenza di cui all'art. 43 del D.Lgs. 33/2013.

L’art. 1, comma 7, della L. 190/2012, recante disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione, prevede che, ai fini dei piani anticorruzione, l'organo di indirizzo politico individua, di norma tra i dirigenti amministrativi di ruolo di prima fascia in servizio, il responsabile della prevenzione della corruzione. Negli enti locali, il responsabile della prevenzione della corruzione è individuato, di norma, nel segretario, salva diversa e motivata determinazione.

Inoltre, l’art. 43 del D.Lgs. 33/2013, emanato in base a delega contenuta nella L.190/2012, prevede che in ogni amministrazione il responsabile per la prevenzione della corruzione svolga, di norma, le funzioni di responsabile per la trasparenza.

 

In particolare la novella prevede che i commissari delegati svolgano le funzioni indicate “direttamente”; la disposizione presuppone l’affidamento di uno specifico ambito di attività commissariale, come richiesto dall’art. 5, comma 4, della L. 225/1992, che stabilisce che “il relativo provvedimento di delega deve specificare il contenuto dell'incarico, i tempi e le modalità del suo esercizio” e postula che venga attivato il subentro dell'amministrazione pubblica competente in via ordinaria almeno dieci giorni prima della scadenza del termine dello stato di emergenza ai sensi e nei limiti previsti dal medesimo art. 5, comma 4-quater.

 

Il comma 4, infine, abroga la disposizione contenuta nell’art. 1, comma 8, del D.L. 245/2005 (c.d. emergenza rifiuti in Campania) che aveva istituito un nucleo interforze a disposizione del Dipartimento della protezione civile.

Tale abrogazione – come si legge nella relazione illustrativa – è ritenuta necessaria in considerazione delle competenze affidate al predetto Dipartimento dalla riforma operata dal D.L. 59/2012.

 


Articolo 11
(Disposizioni per il potenziamento del Corpo nazionale
dei vigili del fuoco)

 

L'articolo 11 reca disposizioni che riguardano il Corpo nazionale dei vigili del fuoco, per diversi profili: risorse finanziarie per garantire la funzionalità del Corpo al verificarsi di emergenze di protezione civile (co. 1-4) e interventi in materia di sicurezza sul lavoro (co. 5). Nel corso dell’esame parlamentare sono state aggiunte ulteriori disposizioni relative alla destinazione in favore del Corpo di beni confiscati alla mafia e al rapporto di lavoro del personale volontario.

 

Il comma 1 istituisce nello stato di previsione del Ministero dell'interno (missione «Soccorso civile» – programma «Prevenzione dal rischio e soccorso pubblico») uno specifico fondo emergenze, per le anticipazioni delle immediate e indifferibili esigenze delle spese derivanti dalle attività di soccorso pubblico prestate dal Corpo nazionale dei vigili del fuoco nelle situazioni oggetto di dichiarazioni di stato di emergenza ex L. 225/1992. In particolare, è previsto l’utilizzo del Fondo per il pagamento delle somme necessarie per il trattamento economico accessorio spettante al personale del Corpo stesso impegnato nelle menzionate emergenze di protezione civile.

La dotazione del Fondo per l'anno 2013 è pari a 15 milioni di euro e, a decorrere dall'anno 2014, sarà determinata annualmente con la legge di bilancio. Lo stanziamento sul 2013 è garantito a valere su una parte delle risorse del Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso, delle richieste estorsive e dell’usura di cui all’art. 2, co. 6-sexies, D.L. 225/2010 (conv. da L. 10/2011). Per ripristinare le risorse anticipate, si prevede che le risorse rimborsate a qualsiasi titolo al Corpo nazionale dei vigili del fuoco per le spese sostenute per emergenze restano acquisite all'erario in misura corrispondente (comma 3).

Alla ripartizione delle risorse del Fondo di provvede mediante decreti del Ministro dell'interno, da comunicare al Ministero dell'economia e delle finanze, tramite l'Ufficio centrale del bilancio (comma 4).

 

A seguito dell’approvazione di un emendamento in Commissione è stato aggiunto il comma 4-bis che modifica il codice antimafia  nella parte relativa alla destinazione dei beni sequestrati (D.Lgs. 159/2011, art. 40 e 48). Viene precisato che i beni mobili sequestrati, anche iscritti in pubblici registri, possono essere affidati dal tribunale in custodia giudiziale anche al Corpo nazionale dei vigili del fuoco per finalità di soccorso pubblico (oltre che – come previsto dalla normativa vigente - agli organi di polizia per l'impiego nelle attività istituzionali o per esigenze di polizia giudiziaria, e all'Agenzia, ad altri organi dello Stato, ad enti pubblici non economici e enti territoriali per finalità di giustizia, di protezione civile o di tutela ambientale). Inoltre, viene stabilito che qualora il sequestro riguardi mezzi speciali (autocarri,macchine operatrici ecc.) adatti agli usi propri del soccorso pubblico, questi siano destinati in via prioritaria ai vigili del fuoco (comma 4-ter).

 

Nel corso dell’esame in Commissione, inoltre, è stata introdotta una norma volta a sopprimere l’articolo 10, comma 1, lettera c-bis), del D.Lgs. n.368/2001, il quale esclude dall’ambito applicativo di tale provvedimento il personale volontario del Corpo nazionale dei vigili del fuoco.

 

Il decreto legislativo 368/2001 detta (in attuazione delle Direttiva 1999/70/CE[24]) la disciplina generale sui contratti a tempo determinato, prevedendo, in particolare, che il termine del contratto a tempo determinato possa essere, con il consenso del lavoratore, prorogato solo quando la durata iniziale del contratto sia inferiore a 3 anni (articolo 4). In questi casi la proroga è ammessa una sola volta e a condizione che sia richiesta da ragioni oggettive e si riferisca alla stessa attività lavorativa per la quale il contratto è stato stipulato a tempo determinato. Con esclusivo riferimento a tale ipotesi la durata complessiva del rapporto a termine non potrà essere superiore ai 3 anni. Inoltre, l’articolo 5 dispone che (comma 1) se il rapporto di lavoro continua dopo la scadenza del termine inizialmente fissato o successivamente prorogato ai sensi dell’articolo 4, il datore di lavoro è tenuto a corrispondere al lavoratore una maggiorazione della retribuzione per ogni giorno di continuazione del rapporto pari al 20% fino al decimo giorno successivo, al 40% per ciascun giorno ulteriore. Inoltre, se il rapporto di lavoro continua (comma 2) oltre il trentesimo giorno in caso di contratto di durata inferiore a 6 mesi, ovvero oltre il cinquantesimo giorno negli altri casi, il contratto si considera a tempo indeterminato dalla scadenza dei predetti termini. Per quanto concerne l’ipotesi della stipula di successivi contratti a termine con il medesimo lavoratore (comma 3), nel caso in cui tale lavoratore venga riassunto a termine, entro un periodo di 10 giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata fino a 6 mesi, ovvero 20 giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata superiore ai 6 mesi, il secondo contratto si considera a tempo indeterminato.

 

Al riguardo si evidenzia che dalla soppressione della lettera c-bis non sembra discendere, in ogni caso, l’applicabilità del decreto legislativo n.368/2001 al personale volontario dei vigili del fuoco, in quanto l’articolo 6, comma 1, del decreto legislativo n. 139/2006 (tuttora vigente) dispone che tale personale “non è legato da un rapporto d'impiego all'Amministrazione ed è iscritto in appositi elenchi istituiti presso i comandi provinciali dei vigili del fuoco” (per l’applicazione del decreto legislativo n.368/2001 sembrerebbe pertanto mancare il presupposto dell’esistenza di un formale rapporto di lavoro).

Si ricorda, tuttavia, che in passato il personale volontario dei vigili del fuoco è stato oggetto di stabilizzazione per via legislativa: la legge n.296 del 2006 (articolo 1, commi 519 e 526) ha previsto (entro un tetto di spesa definito) la stabilizzazione per il personale, iscritto negli appositi elenchi da almeno tre anni, che avesse effettuato non meno di centoventi giorni di servizio.

 

Con riguardo alla materia della sicurezza sui luoghi di lavoro, di cui al decreto legislativo n. 81 del 2008, l’articolo in commento introduce (comma 5) alcune novelle nello stesso decreto legislativo volte a:

§         includere anche il Corpo nazionale dei vigili del fuoco nella specifica disciplina oggetto di decreto interministeriale  riservata alle Forze di polizia e alle Forze armate in materia di regole tecniche per la realizzazione, il funzionamento e il trattamento dei dati, del Sistema informativo per la prevenzione nei luoghi di lavoro (SINP), nonché le modalità di partecipazione al SINP per le attività operative e di addestramento (lett.a));

§         consentire al Corpo l'effettuazione in proprio sia delle verifiche periodiche delle attrezzature di lavoro, di cui all'allegato VII del decreto legislativo 81/2008, di cui il Corpo nazionale dispone a titolo di proprietà o di comodato d'uso (lett. b)), sia delle attività di formazione e di abilitazione del proprio personale all'utilizzo delle attrezzature di lavoro, che comprendono quelle per il soccorso pubblico (lett. c)).

 


 

Articolo 11-bis
(Interventi a favore della montagna)

 

 

L’articolo 11-bis, introdotto nel corso dell’esame in sede referente, stabilisce che le risorse stanziate per il 2013 (1 milione di euro) dall’articolo 1, comma 319, della legge di stabilità 2013 (legge n. 228 del 2012) sono destinate ad attività di progettazione preliminare di interventi pilota per realizzazione di interventi per la valorizzazione e salvaguardia dell’ambiente e la promozione dell’uso delle energie alternative.

A tale scopo le risorse sono assegnate con decreto del Ministro per gli Affari regionali e delle autonomie locali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentiti l'ANCI e l'UNCEM che indicano i comuni con maggiore rischio idrogeologico e maggiore esperienza in attività di riqualificazione del territorio.

 

Dalla formulazione del testo sembrerebbe che il ruolo dell’ANCI e dell’UNCEM sia preliminare alla formulazione del decreto del Ministro degli affari regionali, in quanto tali enti provvedono ad indicare i comuni per i quali risulta maggiore il rischio idrogeologico e maggiore l’esperienza in attività di riqualificazione del territorio (e quindi a definire la lista dei beneficiari), in luogo di un semplice parere su uno schema di decreto ministeriale.

 

Si ricorda che la legge di stabilità 2012, all’articolo 1, commi da 319 a 321, ha disciplinato il Fondo nazionale integrativo per i comuni montani.

In particolare il comma 319 istituisce, a decorrere dall’anno 2013, il Fondo nazionale integrativo per i comuni montani, che siano classificati interamente montani ai sensi dell’elenco dei comuni italiani predisposto dall’ISTAT, con una dotazione pari a 1 milione di euro per il 2013 e a 6 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2014 da destinare al finanziamento dei progetti di cui al successivo comma 320.

Le risorse sono state allocate inizialmente sul capitolo 1370 dello stato di previsione del Ministero dell’interno, e in sede di assestamento trasferite al cap. 2126 dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze.

Il comma 320 dispone che all'individuazione dei progetti si provvede, entro il 30 marzo di ciascun anno, con decreto del Ministro per i rapporti con le regioni e per la coesione territoriale, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e il Ministro dell'interno, previa intesa in sede di Conferenza unificata. Lo schema del decreto è altresì trasmesso alle Camere per l'acquisizione dei pareri delle Commissioni parlamentari competenti per i profili finanziari.

Il successivo comma 321 indica le tipologie di progetti che potranno essere finanziati, che, tuttavia, dovranno avere carattere straordinario e che non possono riferirsi alle attività svolte in via ordinaria dagli enti interessati. Tra le numerose tipologie finanziabili sono indicate gli incentivi per l’utilizzo dei territori incolti di montagna e per l’accesso dei giovani alle attività agricole, nonché per l’agricoltura di montagna; lo sviluppo del sistema agrituristico, del turismo montano e degli sport di montagna; gli incentivi per le attività e i progetti del Club alpino italiano (CAI), del Corpo nazionale del soccorso alpino e speleologico (CNSAS), del Collegio nazionale delle guide alpine e del Collegio nazionale dei maestri di sci.

 

 

 

 


 

Capo IV
(Norme in tema di gestioni commissariali delle province)

Articolo 12
(Gestioni commissariali delle province)

 

 

L’art. 12 è stato soppresso nel corso dell’esame in sede referente e, in via consequenziale, è stato introdotto un articolo aggiuntivo nel disegno di legge di conversione alla cui scheda illustrativa si rinvia.

 

 


 

Articolo 12-bis
(Disposizioni finanziarie per gli enti locali)

 

 

Il comma 1 dell’articolo 12-bis integra le disposizioni di cui al comma 381 dell’articolo 1 della legge di stabilità 2013 (legge n. 228/2012), come modificato dall’articolo 10, comma 4-quater, lett. b), n. 2), del D.L. n. 35/2013[25], relativo alla fissazione del termine per l'adozione della delibera consiliare sugli equilibri generali di bilancio, prevista all'articolo 193, comma 2, del decreto legislativo n. 267 del 2000 (Testo unico dell’ordinamento degli enti locali).

 

L’articolo 193, comma 2, del TUEL prevede che, almeno una volta all’anno, entro il 30 settembre di ciascun anno, il Consiglio dell’ente locale provveda, con propria deliberazione, ad effettuare la ricognizione sullo stato di attuazione dei programmi, dando atto del permanere degli equilibri generali di bilancio, ovvero - in caso di accertamento negativo - provvedendo ad adottare contestualmente i provvedimenti necessari per il ripiano degli eventuali debiti fuori bilancio, per il ripiano dell'eventuale disavanzo di amministrazione risultante dal rendiconto approvato e, qualora i dati della gestione finanziaria facciano prevedere un disavanzo (di amministrazione o di gestione), adottare le misure necessarie a ripristinare il pareggio.

Tale deliberazione – che costituisce verifica sul mantenimento, anche in corso di gestione, degli equilibri stabiliti nel bilancio previsionale, come deliberato entro il 31 dicembre dell’anno precedente - è allegata al rendiconto del relativo esercizio finanziario.

 

Il comma 1 in esame interviene, con riferimento all’esercizio finanziario 2013, spostando il termine per l’adozione della suddetta deliberazione sugli equilibri di bilancio dal 30 settembre al 30 novembre 2013 per gli enti locali che hanno approvato il bilancio di previsione entro il 31 agosto 2013.

 

Per gli enti locali che hanno deliberato il bilancio di previsione per l’anno 2013 successivamente alla data del 1° settembre 2013, resta ferma la disposizione di cui al medesimo comma 381 dell’articolo 1 della legge di stabilità 2013, come introdotta dal citato D.L. n. 35/2013, il quale - contestualmente al differimento del termine per la deliberazione del bilancio di previsione degli enti locali per l’anno 2013 dal 30 giugno al 30 settembre 2013 – ha reso facoltativa, anziché obbligatoria, l’adozione della suddetta deliberazione sugli equilibri di bilancio, in tutti i casi in cui il bilancio di previsione venga deliberato dall’ente locale successivamente alla data del 1° settembre 2013.

 

Si segnala qui, con riferimento ai termini per la deliberazione del bilancio di previsione degli enti locali per l’anno 2013, che tale termine è stato ulteriormente differito dal 30 settembre al 30 novembre 2013, dall’articolo 8, comma 1, del D.L. n. 102/2013 (Disposizioni urgenti in materia di IMU).

 

Il comma 2 interviene in materia di anticipazioni di tesoreria agli enti locali, ampliando fino al 31 dicembre 2013 – in luogo del 30 settembre 2013, come attualmente fissato dall’articolo 1, comma 9, del D.L. n. 35/2013 (recante disposizioni per il pagamento dei debiti scaduti della pubblica amministrazione) – il periodo entro il quale i limiti massimi di tali anticipazioni sono fissati in cinque dodicesimi (anziché tre dodicesimi) delle entrate correnti accertate nel penultimo anno precedente.

 

Si ricorda che il comma 9 dell’articolo 1 del D.L. n. 35/2012 ha introdotto una norma di deroga alle disposizioni recate dall’articolo 222 del Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali (TUEL), di cui al D.Lgs. n. 267/2000, il quale prevede la concessione di anticipazioni agli enti locali da parte del tesoriere entro il limite massimo dei tre dodicesimi delle entrate correnti accertate nel penultimo anno precedente, corrispondenti per i comuni, le province, le città metropolitane e le unioni di comuni ai primi tre titoli dell'entrata del bilancio e per le comunità montane ai primi due titoli. Gli enti locali sono tenuti al pagamenti degli interessi sulle anticipazioni di tesoreria, che decorrono dall'effettivo utilizzo delle somme.

L’articolo 222 è stato successivamente integrato dall’articolo 3, comma 1, lett. i-bis) del D.L. n. 174/2012[26], che ha autorizzato l'innalzamento del limite massimo di ricorso alle anticipazioni di tesoreria da tre a cinque dodicesimi delle entrate correnti per gli enti locali in stato di dissesto economico-finanziario, per i quali sia stata certificata una condizione di grave indisponibilità di cassa, per la durata di sei mesi a decorrere dalla data in cui è stata certificata tale grave indisponibilità di cassa.

Per l’incremento temporaneo del limite massimo delle anticipazioni di tesoreria per l’anno 2013, si ricorda, oltre all’articolo 1, comma 9, del D.L. n. 35/2013 (Pagamento dei debiti scaduti della pubblica amministrazione), anche l’articolo 1, comma 2, del D.L. n. 54/2013 (Interventi urgenti in materia di IMU e CIG), il quale ha disposto un temporaneo innalzamento dei limiti massimi previsti dall'articolo 222 del TUEL per i comuni sino alla data del 30 settembre 2013, al fine di garantire a tali enti la liquidità necessaria a compensare i minori introiti conseguenti alla sospensione del versamento della prima rata dell'IMU, che avrebbe dovuto essere effettuato a giugno. In dettaglio, il limite viene ampliato di un importo corrispondente, per ciascun comune, al 50% del gettito complessivo dell'IMU relativo all'anno 2012, come indicato nell'apposito Allegato A al decreto-legge n. 54.

 

 

 

Articolo 13
(Entrata in vigore)

 

L’articolo 13 dispone l’entrata in vigore del provvedimento il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

 

 

 

 

 



[1]     Si ricorda che l’art. 572 c.p. (recentemente novellato alla legge n. 172 del 2012, di ratifica della Convenzione di Lanzarote) punisce con la reclusione da 2 a 7 anni chiunque «maltratta una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l'esercizio di una professione o di un'arte» (primo comma). Il secondo comma, prima dell’entrata in vigore del decreto-legge, prevedeva un aggravio di pena (fino a un terzo) se il fatto è commesso in danno di persona minore degli anni quattordici. Infine, il terzo comma prevede aggravanti speciali per l’ipotesi in cui dal fatto derivino lesioni personali: reclusione da 4 a 9 anni in caso di lesione grave; reclusione da 7 a 15 in caso di lesione gravissima; reclusione da 12 a 24 anni in caso di morte.

[2]     L’art. 609-ter del codice penale, nel testo vigente prima della pubblicazione del decreto-legge, prevede la reclusione da 6 a 12 anni se la violenza sessuale (ovvero la costrizione a compiere o subire atti sessuali con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità) è commessa (primo comma):

1) nei confronti di persona che non ha compiuto gli anni quattordici;

2) con l'uso di armi o di sostanze alcoliche, narcotiche o stupefacenti o di altri strumenti o sostanze gravemente lesivi della salute della persona offesa;

3) da persona travisata o che simuli la qualità di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio;

4) su persona comunque sottoposta a limitazioni della libertà personale;

5) nei confronti di persona che non ha compiuto gli anni sedici della quale il colpevole sia l'ascendente, il genitore anche adottivo, il tutore;

5-bis) all’interno o nelle immediate vicinanze di istituto d’istruzione o di formazione frequentato dalla persona offesa.

Il secondo comma individua nella reclusione da 7 a 14 anni la pena per il fatto commesso nei confronti di persona che non ha compiuto 10 anni.

[3]     La disposizione prevede che quando si procede per un delitto di tratta ovvero di sfruttamento sessuale  di minore o di violenza sessuale in danno di minorenni, il PM ne debba dare notizia al tribunale per i minorenni (primo comma). In tal caso al minore dovrà essere assicurata assistenza affettiva e psicologica, in ogni stato e grado del procedimento, attraverso i genitori o altre persone idonee indicate, ovvero gruppi, fondazioni, associazioni od organizzazioni con esperienza nel settore dell'assistenza e del supporto alle vittime, ammessi dall'autorità giudiziaria che procede (secondo comma). La stessa persona offesa minorenne dovrà essere assistita anche dai servizi minorili dell'Amministrazione della giustizia e dai servizi sociali degli enti locali (terzo comma), dei quali potrà avvalersi anche l’autorità giudiziaria (quarto comma).

[4]     La nuova fattispecie penale è inserita nell’ambito dei delitti contro la libertà morale. Per la sussistenza del delitto (procedibile a querela della persona offesa, salvo talune ipotesi specificamente indicate) si richiede la ripetitività della condotta, nonché l’idoneità dei comportamento a provocare nella vittima un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero a ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona alla medesima legata da relazione affettiva ovvero a costringere la stessa ad alterare le proprie abitudini di vita. La pena è della reclusione da 6 mesi a 4 anni (primo comma).

I commi secondo e terzo del nuovo art. 612-bis c.p. – nel testo in vigore prima dell’emanazione del decreto-legge in commento - prevedono alcune aggravanti:

§la pena è aumentata fino a un terzo se il fatto è commesso dal coniuge legalmente separato o divorziato ovvero da persona che sia stata legata da relazione affettiva con la persona offesa;

§la pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso: in danno di un minore; in danno di una donna in stato di gravidanza; con armi o da persona travisata; in danno di una persona disabile.

La pena è peraltro aumentata anche se il fatto è commesso da soggetto già ammonito dal questore.

Fermo il principio della procedibilità del delitto a querela della persona offesa (comma quarto), da presentarsi entro sei mesi dal fatto, l’art. 612-bis prevede la procedibilità d’ufficio:

-          se il reato viene commesso contro un minore o persona diversamente abile;

-          nei casi in cui il fatto è connesso con altro delitto per il quale è prevista la procedibilità d’ufficio;

-          nel caso di fatto commesso da soggetto ammonito dal questore.

Infatti, in considerazione della durata del procedimento penale, che potrebbe non essere compatibile con le finalità di tutela delle vittime degli atti persecutori, il decreto-legge del 2009 (artt. 8 e 9) ha previsto strumenti di tutela che, da un lato, possono intervenire anticipatamente rispetto alla pronuncia di una sentenza e, dall'altro, potrebbero anche dissuadere lo stalker dal condurre a ulteriori conseguenze il proprio comportamento persecutorio. In particolare, l’articolo 8 ha introdotto una misura di prevenzione personale consistente nell’ammonimento del questore. Al fine di apprestare una tutela nel periodo che intercorre tra il comportamento persecutorio e la presentazione della querela, infatti, la disposizione introduce la possibilità per la persona offesa di esporre i fatti all’autorità di pubblica sicurezza, avanzando al questore richiesta di ammonimento nei confronti dell’autore della condotta. La richiesta dovrà essere trasmessa al questore senza ritardo.

Il questore dovrà assumere, se necessario, informazioni dagli organi investigativi e dovrà sentire le persone informate dei fatti. Ove ritenga fondata l'istanza, ammonirà oralmente il soggetto nei cui confronti è stato richiesto il provvedimento, invitandolo a tenere una condotta conforme alla legge. Verrà redatto processo verbale, copia del quale sarà rilasciata al soggetto che ha richiesto l'ammonimento e al soggetto ammonito.

Il questore dovrà anche valutare l'eventuale adozione di provvedimenti in materia di armi e munizioni.

[5]     In merito si osserva che nel nostro ordinamento penale il principio della procedibilità d'ufficio dei delitti si applica come regola generale, ovvero quando il legislatore non prescriva una diversa condizione di procedibilità. In particolare, la scelta del nostro legislatore è sempre stata quella della procedibilità a querela della persona offesa per i delitti di violenza sessuale (art. 609-septies c.p.), con la specificazione dell'irrevocabilità della querela proposta. Si procede d'ufficio solo se:

     la vittima della violenza sessuale è un minore;

     il fatto è commesso dall'ascendente, dal genitore, anche adottivo, o dal di lui convivente, dal tutore ovvero da altra persona cui il minore è affidato per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia o che abbia con esso una relazione di convivenza;

     il fatto è commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio nell'esercizio delle proprie funzioni;

     il fatto è connesso con un altro delitto per il quale si deve procedere d'ufficio;

     il reato di atti sessuali con minorenne è stato commesso nei confronti di un minore di 10 anni.

[6]     Si tratta dei seguenti reati previsti dal codice penale: violazione degli obblighi di assistenza familiare (art. 570); abuso dei mezzi di correzione o di disciplina (art. 571); lesione personale (art. 582); riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù (art. 600); prostituzione minorile (art. 600-bis); pornografia minorile (art. 600-ter); detenzione di materiale pornografico (art. 600-quater); tratta di persone (art. 601); acquisto e alienazione di schiavi (art. 602); violenza sessuale semplice e aggravata (artt  609-bis e-ter); atti sessuali con minorenne (art. 609-quater); corruzione di minorenne (art. 609-quinquies); violenza sessuale di gruppo (art. 609-octies); minaccia grave (art. 612, secondo comma).

[7]     Si tratta degli artt. 385 (divieto di arresto e di fermo in determinate circostanze), 386 (doveri della polizia giudiziaria in casi di arresto o di fermo), 387 (avviso dell’arresto o del fermo ai familiari), 388 (interrogatorio dell’arrestato o del fermato), 389 (casi di immediata liberazione dell’arrestato o del fermato), 390 (richiesta di convalida dell’arresto o del fermo), 391 (udienza di convalida).

[8]     D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero.

[9] Convertito, con modificazioni, dalla L. 248/2006.

[10]    Regolamento (CE) n. 1083/2006 del Consiglio dell’11 luglio 2006, recante le disposizioni generali sui Fondi strutturali.

[11]    Regolamento per l'amministrazione del patrimonio e per la contabilità generale dello Stato.

[12]    Si ricorda che il D.P.R. 13 febbraio 2001, n. 189, disciplina il procedimento per l'alienazione dei beni mobili delle amministrazioni dello Stato non più utilizzabili o utilmente conservabili o dei quali le amministrazioni non autorizzino altrimenti la cessione alla Croce Rossa Italiana per le finalità consentite.

Nell’ambito di tale regolamento, l’articolo 6 detta norme per la permuta da parte delle amministrazioni dello Stato di beni mobili a titolo di parziale pagamento di beni da acquisire. L’articolo 6 stabilisce che tale permuta è consentita nell'ambito dei rapporti contrattuali tra pubbliche amministrazioni e imprese fornitrici o anche per facilitare agli appaltatori l'acquisto di beni fuori uso. Il valore dei beni permutati è computato in detrazione del prezzo finale concordato con l'impresa fornitrice ovvero, qualora essi siano alienati ad impresa diversa, è contabilizzato come entrata eventuale.

[13]    recante la Disciplina delle condizioni e delle modalita' per i contratti di permuta di materiali o prestazioni da stipulare tra il Ministero della difesa e soggetti pubblici e privati, in attuazione dell'articolo 1, commi 568 e 569, della legge 23 dicembre 2005, n. 266.

[14]    Si ammette la permuta tra materiali ovvero prestazioni, anche non rientranti in settori tra loro omogenei, secondo il criterio dell’equivalenza economica complessiva delle prestazioni reciproche. Se le prestazioni non sono economicamente equivalenti, è fatto obbligo al contraente che effettua la prestazione di minor valore, di pagare un prezzo alla controparte a titolo di conguaglio per compensare la disuguaglianza economica tra le prestazioni. Gli importi a titolo di conguaglio dovuti al Ministero della difesa sono pagati quali entrate erariali, con versamento in tesoreria;

Si prevede inoltre che nella permuta di materiali ovvero di prestazioni, è garantita la sicurezza e la segretezza delle informazioni. Al tal fine, le parti contraenti garantiscono che i documenti, i materiali e le tecnologie oggetto di permuta siano utilizzati esclusivamente per i fini e nei limiti concordati.

[15] Convertito, con modificazioni, dalla legge 102/2009.

[16] Convertito, con modificazioni, dalla legge 102/2009.

[17]    L’art. K2, par. 2, del Trattato di Amsterdam richiede che Europol sia messa «in condizione di agevolare e sostenere la preparazione, nonché di promuovere il coordinamento e l’effettuazione di specifiche operazioni investigative da parte delle autorità competenti degli Stati membri, compre se azioni operative di unità miste cui partecipano rappresentanti di Eurogol con funzioni di supporto». Le Conclusioni della Presidenza del Consiglio europeo di Tampere contengono infatti, per la prima volta, un’esplicita richiesta di «istituire senza indugio le squadre investigative comuni previste nel trattato, inizialmente per combattere il traffico di droga, la tratta di esseri umani e il terrorismo» (cfr. concl. N. 43).

[18]    Il progetto di legge approvato dal Senato nella scorsa legislatura (AC. 4260) prevedeva invece per l’uso delle armi l’applicazione dell’esimente dell’art. 53 del codice penale, ovvero la non punibilità del pubblico ufficiale che, «al fine di adempiere un dovere del proprio ufficio, fa uso ovvero ordina di far uso delle armi o di un altro mezzo di coazione fisica, quando vi è costretto dalla necessità di respingere una violenza o di vincere una resistenza all'autorità e comunque di impedire la consumazione dei delitti di strage, di naufragi o, sommersione, disastro aviatorio, disastro ferroviario, omicidio volontario, rapina a mano armata e sequestro di persona».

[19]    D.Lgs. 13 agosto 2010, n. 141, Attuazione della direttiva 2008/48/CE relativa ai contratti di credito ai consumatori, nonché modifiche del titolo VI del testo unico bancario (decreto legislativo n. 385 del 1993) in merito alla disciplina dei soggetti operanti nel settore finanziario, degli agenti in attività finanziaria e dei mediatori creditizi.

[20]    D.Lgs. 21 novembre 2007, n. 231, Attuazione della direttiva 2005/60/CE concernente la prevenzione dell'utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo nonché della direttiva 2006/70/CE che ne reca misure di esecuzione.

[21]    Si fa presente che, ai sensi dei commi 5 e 6 dell’art. 5 della legge n. 225/1992, le ordinanze emanate in deroga alle leggi vigenti devono essere motivate, contenere l’indicazione delle principali norme a cui si intende derogare, pubblicate nella G.U. e trasmesse ai sindaci interessati per l’ulteriore pubblicazione locale.

[22]    Il testo originario conteneva il termine “verificazione” che è stato sostituito con il termine “verifica” durante l’esame in sede referente.

[23]    Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie, convertito dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10.

[24]    La direttiva 1999/70/CE recepisce l’Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dalle parti sociali a livello europeo (UNICE, CEEP e CES), il quale, per quanto riguarda la prevenzione degli abusi derivanti dall'utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato (clausola 5), si limita a prevedere che gli Stati membri (previa consultazione delle parti sociali a norma delle leggi, dei contratti collettivi e della prassi nazionali, e/o le parti sociali stesse) debbano introdurre, in assenza di norme equivalenti per la prevenzione degli abusi e in un modo che tenga conto delle esigenze di settori e/o categorie specifici di lavoratori, una o più misure relative alle “ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo dei suddetti contratti o rapporti” e alla “durata massima totale dei contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi”.

[25]    Disposizioni urgenti per il pagamento dei debiti scaduti della pubblica amministrazione, per il riequilibrio finanziario degli enti territoriali, nonché in materia di versamento di tributi degli enti locali.

[26]    Disposizioni urgenti in materia di finanza e funzionamento degli enti territoriali, nonché ulteriori disposizioni in favore delle zone terremotate nel maggio 2012.