Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento istituzioni
Titolo: Conversione in legge del decreto-legge 4 giugno 2013, n. 61, recante nuove disposizioni urgenti a tutela dell'ambiente, della salute e del lavoro nell'esercizio di imprese di interesse strategico nazionale -D.L. 61 / A.C. 1139
Riferimenti:
AC N. 1139/XVII   DL N. 61 DEL 04-GIU-13
Serie: Note per la I Commissione affari costituzionali    Numero: 8
Data: 01/07/2013
Descrittori:
AMBIENTE   DECRETO LEGGE 2013 0061
GRANDI IMPRESE   IGIENE DEL LAVORO
SICUREZZA NEL LAVORO     
Organi della Camera: I-Affari Costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni
X-Attività produttive, commercio e turismo


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Conversione in legge del decreto-legge 4 giugno 2013, n. 61, recante nuove disposizioni urgenti a tutela dell'ambiente, della salute e del lavoro nell'esercizio di imprese di interesse strategico nazionale

1 luglio 2013
Elementi per la valutazione degli aspetti di legittimità costituzionale



Indice

Contenuto|Relazioni allegate o richieste|Precedenti decreti-legge sulla stessa materia|Motivazioni della necessità ed urgenza|Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite|Rispetto degli altri princìpi costituzionali|



Contenuto

Il decreto-legge in titolo si compone di tre articoli volti a disciplinare – in via generale (articolo 1) e con specifico riguardo allo stabilimento ILVA di Taranto (articolo 2) – il commissariamento straordinario di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale la cui attività produttiva comporti pericoli gravi e rilevanti all'ambiente e alla salute a causa dell'inottemperanza alle disposizioni dell'autorizzazione integrata ambientale (A.I.A.). L'articolo 3 dispone l'entrata in vigore.

 

L'articolo 1 si compone di 13 commi.

Il comma 1 detta una norma di carattere generale, precisando le condizioni per la deliberazione del commissariamento straordinario dell'impresa da parte del Consiglio dei ministri, su proposta del Presidente del Consiglio.

La portata applicativa della disposizione sembrerebbe risultare circoscritta, in forza del richiamo a tutto l'articolo 1 del precedente decreto-legge n. 207/2012, alle sole società che gestiscono almeno uno stabilimento:

 

  •     per il quale sia intervenuta una dichiarazione di strategico interesse nazionale con apposito D.P.C.M.;

 

Può essere utile ricordare che la Corte Costituzionale, nella sentenza n. 85 del 2013, si è espressa anche sulla presunta genericità dei criteri di individuazione degli stabilimenti di interesse strategico nazionale che introdurrebbe , in contrasto con il principio di eguaglianza di cui  all'art. 3 della Costituzione una ingiustificata differenziazione di disciplina tra stabilimenti "strategici" e altri impianti, sulla base di un atto amministrativo – un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri – dotato di eccessiva discrezionalità.
Al riguardo la Corte osserva che l'interesse strategico nazionale ad una produzione, piuttosto che ad un'altra, "è elemento variabile, in quanto legato alle congiunture economiche e ad un'altra serie di fattori non predeterminabili (effetti della concorrenza, sviluppo tecnologico, andamento della filiera di un certo settore industriale etc.). Si giustifica pertanto l'ampiezza della discrezionalità che la norma censurata riconosce al Governo, e per esso al Presidente del Consiglio dei ministri, in quanto organi che concorrono a definire la politica industriale del Paese". La Corte aggiunge altresì che trattandosi di provvedimento amministrativo, il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri "può essere oggetto di impugnazione, al pari dell'A.I.A. riesaminata del Ministro dell'ambiente…".

 

 

  •     che occupi almeno 200 lavoratori subordinati, compresi quelli ammessi al trattamento di integrazione dei guadagni, da almeno un anno;
  1.     per il quale vi sia una assoluta necessità di salvaguardare l'occupazione e la produzione;

 

 

Inoltre occorre che l'intervento:

 

  •     segua un provvedimento autorizzatorio del Ministro dell'ambiente, che pone la condizione dell'adempimento delle prescrizioni dell'A.I.A. riesaminata, con il rispetto delle procedure e dei termini ivi indicati;
  •     sia esplicitamente finalizzato ad «assicurare la più adeguata tutela dell'ambiente e della salute secondo le migliori tecniche disponibili».

 

A tali condizioni previste dalla disposizione richiamata nel testo, si aggiunge l'ulteriore contingenza - prevista direttamente dal D.L. in esame - che l'attività produttiva dello stabilimento "abbia comportato e comporti pericoli gravi e rilevanti per l'integrità dell'ambiente e della salute a causa della inosservanza, rilevata dalle Autorità competenti, dell'autorizzazione integrata ambientale".

Si ricorda al riguardo che il controllo del rispetto delle condizioni dell'A.I.A. è affidato (dall'art. 29-decies, comma 3, del D.Lgs. 152/2006) all'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), anche avvalendosi delle agenzie regionali e provinciali (ARPA-APPA), per gli impianti di competenza statale; alle ARPA-APPA negli altri casi.La generica fattispecie della "inosservanza, rilevata dalle Autorità competenti, dell'autorizzazione integrata ambientale", dalla quale conseguono gli effetti del commissariamento, potrebbe dunque essere letta in collegamento con la circoscritta portata applicativa della disposizione che deriva dal richiamo all'intero articolo 1 del D.L. 207/2012.

 

Se questo è l'intendimento del decreto, andrebbe valutata l'opportunità di sostituire il generico richiamo ora presente ("ai sensi dell'articolo 1 del decreto-legge 3 dicembre 2012, n. 207") con altro più circostanziato agli stabilimenti produttivi che si trovino nelle condizioni previste dall'articolo 1, commi 1, 2 e 4 del medesimo decreto-legge n. 207/2012.

 

 

Il comma 1 secondo periodo, definisce la procedura di nomina ed eventuale sostituzione o revoca del commissario, per la quale è previsto un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, da emanarsi entro sette giorni dalla delibera di commissariamento. Alla nomina del subcommissario provvede invece il Ministro dell'Ambiente.

Nulla è stabilito in merito ai criteri di scelta per la nomina a commissario straordinario (né per quella a subcommissario), in particolare per ciò che concerne i requisiti di professionalità, né per ciò che concerne eventuali incompatibilità.

 

Come affermato dalla Corte Costituzionale, nella più volte citata sentenza n. 85 del 2013, la particolare disciplina dell'attività degli stabilimenti di strategico interesse nazionale autorizzati a proseguire l'attività in ottemperanza alle prescrizioni A.I.A., in quanto mira a perpetuare l'esistenza di grandi aziende, la cui chiusura avrebbe gravi effetti sui livelli di occupazione presenta caratteristiche analoghe alla disciplina dell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza, di cui all'art. 2 del decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270 (Nuova disciplina dell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza, a norma dell'articolo 1 della legge 30 luglio 1998, n. 274).
Si ricorda che il D.Lgs. 8/7/1999, n. 270, all'art. 38, comma 1-bis, detta la disciplina delle incompatibilità per la nomina a commissario straordinario. In tale disposizione si stabilisce che non può essere nominato commissario straordinario e, se nominato, decade dal suo ufficio, l'interdetto, l'inabilitato, chi sia stato dichiarato fallito o chi sia stato condannato ad una pena che importa l'interdizione, anche temporanea, dai pubblici uffici. Non possono inoltre essere nominati commissari straordinari il coniuge, i parenti ed affini entro il quarto grado dell'imprenditore insolvente, ovvero chi, avendo intrattenuto con l'impresa, personalmente o quale socio, amministratore, o dipendente di altra organizzazione imprenditoriale o professionale, rapporti non occasionali di collaborazione o consulenza professionale, abbia preso parte o si sia comunque ingerito nella gestione che ha portato al dissesto dell'impresa.
Inoltre l'art. 39 stabilisce che i criteri per la scelta dei commissari e degli esperti sono definiti con regolamento ministeriale. In attuazione di tale previsione, con il D.M. 10/4/2013, n. 60 del Ministro dello sviluppo economico sono stati determinati i requisiti di professionalità ed onorabilità dei commissari giudiziali e straordinari delle procedure di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi.

 

Il comma 2 stabilisce la durata del commissariamento fissandola in 12 mesi, prorogabili fino ad un massimo di 36 mesi. E'inoltre specificato che la prosecuzione dell'attività produttiva dovrà essere funzionale alla conservazione della continuità aziendale ed alla destinazione prioritaria delle risorse aziendali alla copertura dei costi necessari per gli interventi volti all'ottemperanza alle prescrizioni dell'a.i.a.

 

Il comma 3 attribuisce al commissario i poteri ordinariamente di competenza degli organi di amministrazione dell'impresa, sospendendo i poteri di disposizione e gestione dei titolari nonché per l'intera durata del commissariamento, quelli dell'assemblea dell'impresa se costituita in società.

 E', infatti, previsto il trasferimento in capo al commissario di tutti i crediti e i debiti della società, compresi quelli relativi a società facenti parte del gruppo. Il comma precisa che il trasferimento dei citati rapporti avviene ai sensi degli artt. 1339 (inserzione automatica di clausole) e 2558 (successione nei contratti) del codice civile.

Sostanzialmente, il Commissario succede nei contratti stipulati dall'azienda al pari dell'acquirente della stessa. L'art. 2558 c.c., infatti, riguarda, in caso di cessione di azienda, il subentro dell'acquirente in tutti i contratti stipulati per l'esercizio dell'azienda stessa che non abbiano carattere personale.

 

Andrebbe chiarita, invece, la portata del riferimento all'art. 1339 c.c. La disposizione prevede infatti l'inserzione automatica nel contratto di clausole imposte dalla legge, anche in sostituzione delle clausole difformi apposte dalle parti. Non risulta evidente quali siano le nuove clausole imposte dalla legge e quali siano le clausole difformi in questione.

 

 

Il comma 4 interviene in merito alle garanzie dell'impresa nei confronti della quale è disposto il commissariamento. Tale garanzia si sostanzia nell'obbligo di informazione sull'andamento della gestione dell'impresa stessa al rappresentante legale all'atto del commissariamento o ad altro soggetto appositamente designato dall'Assemblea dei soci.

Una ulteriore garanzia per la proprietà dell'impresa consiste nell'obbligo di comunicazione al rappresentante  dell'impresa da parte del commissario sia del piano di risanamento ambientale, sia del piano industriale (commi 6 e 7) preliminarmente alla rispettiva adozione. Su entrambi i piani  il rappresentante può proporre osservazioni

Per quanto riguarda gli organi di controllo, si prevede la possibilità che il Consiglio dei Ministri li sostituisca per la durata del commissariamento.

 

Il comma 5 prevede che, contestualmente alla nomina del commissario straordinario, il Ministro dell'ambiente nomini un comitato di tre esperti, scelti tra soggetti di comprovata esperienza e competenza in materia di tutela dell'ambiente e della salute. Tale comitato, sentito il commissario straordinario, predispone e propone al Ministro, entro 60 giorni dalla nomina, in conformità alle norme vigenti, il piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria dei lavoratori e della popolazione e di prevenzione del rischio di incidenti rilevanti.

Il piano deve altresì prevedere le azioni ed i tempi necessari per garantire il rispetto delle prescrizioni di legge e dell'A.I.A., la cui contestata violazione ha determinato il commissariamento.

 

Vengono dettate norme per garantire la necessaria pubblicità dello schema di piano e la partecipazione di tutti gli interessati alla sua elaborazione, nei tempi indicati (eventuali osservazioni devo essere presentate entro 10 giorni dalla pubblicazione e valutate dal Comitato entro 90 giorni dal commissariamento).

 

Si osserva che il comma 7 dispone che "l'approvazione da parte del Ministero dell'ambiente del citato piano equivale a modifica dell'A.I.A."; in proposito, non è chiaro se il piano si limiti a dettare ulteriori misure aggiuntive da rispettare per la sua attuazione o se possa sostituirsi all'A.I.A. medesima. Si configurerebbe, in quest'ultimo caso, una nuova procedura che, in deroga a quanto previsto dalla normativa vigente, per le fattispecie indicate dal decreto, disciplina un ulteriore provvedimento cui ottemperare per il rispetto delle prescrizioni di carattere ambientale e, più in generale, per il conseguimento dei livelli di protezione ambientale. Ciò appare rilevante anche ai fini della fissazione dei termini di rinnovo dell'AIA in quanto non è chiaro se debbano decorrere dall'approvazione del piano oppure dall'A.I.A. precedente che viene solo integrata. Si rammenta, al riguardo, che la normativa generale vigente in materia di A.I.A. fa riferimento al rinnovo o al riesame della medesima (art. 29-octies del D.Lgs. 152/2006) e che anche lo stesso art. 1 del D.L. 207/2012 parla di riesame.

 

Si segnala, inoltre, che l'articolo 3, comma 2, del decreto legge n. 207 del 2012 stabilisce che le prescrizioni volte a consentire la prosecuzione dell'attività produttiva dello stabilimento ILVA di Taranto sono quelle contenute nel provvedimento di riesame dell'A.I.A. del 26 ottobre 2012 (v. infra) e che la norma in commento consentirebbe al piano di modificare tale provvedimento.

 

Con riguardo alla prevenzione del rischio di incidenti rilevanti, non è chiaro il rapporto tra i contenuti del piano e i documenti prescritti dal D.Lgs. 334/1999 (cd. normativa Seveso) che, lo si ricorda, non rientrano tra le autorizzazioni sostituite dall'A.I.A. Si tratta del documento che definisce la politica di prevenzione degli incidenti rilevanti, a cui è allegato il programma adottato per l'attuazione del sistema di gestione della sicurezza, nonchè dell'eventuale rapporto di sicurezza previsti rispettivamente dagli artt. 7-8 di tale decreto.

 

Il comma 6 ha per oggetto la predisposizione del piano industriale da parte del commissario straordinario. Il piano, predisposto entro trenta giorni dal decreto di approvazione del piano ambientale (di cui al comma 5) deve contenere le misure per la conformazione delle attività industriali alle prescrizioni di tutela ambientale, di sicurezza e salute di cui al piano ambientale stesso.

 

Nel procedimento di adozione del piano è previsto l'obbligo di acquisizione e valutazione delle eventuali osservazioni del rappresentante di impresa cui il piano deve essere comunicato.

 

Il comma 7 specifica la procedura di adozione del piano ambientale e del piano industriale prevedendo l'adozione rispettivamente con decreto del Ministro dell'ambiente e del ministro dello sviluppo economico.

 

Il comma 8 reca una norma transitoria volta a disciplinare l'attività del commissario nelle more dell'approvazione del piano industriale di cui al comma 6, prevedendo che egli garantisca comunque la progressiva adozione delle misure previste dall'A.I.A. e dalle altre autorizzazioni e prescrizioni in materia ambientale e sanitaria, curando altresì la prosecuzione dell'attività di impresa.

 

Il comma 9 prevede, in forza del richiamo all'art. 6 del  D.Lgs. 231 del 2001 (Disciplina delle responsabilità amministrativa delle persone giuridiche), il possibile esonero della responsabilità del commissario e del subcommissario per i possibili illeciti commessi in relazione all'attuazione dell'A.I.A. e delle altre norme di tutela ambientale e sanitaria.Il comma 9 stabilisce, quindi, che la predisposizione dei piani e delle misure di tutela ambientale, sanitaria e di sicurezza, del piano industriale di conformazione della produzione nel rispetto delle suddette prescrizioni nonché – fino all'approvazione dello stesso piano industriale - la predisposizione delle misure previste dall'autorizzazione integrata ambientale, equivalgono all'adozione di idonei modelli di organizzazione dell'impresa.

 

Il comma 10 qualifica come attività di pubblica utilità l'attività di gestione dell'impresa eseguita dal commissario al fine di garantire l'adozione delle misure previste dall'A.I.A. e dalle altre autorizzazioni in corso di prosecuzione dell'attività d'impresa, fino all'approvazione del piano industriale (ai sensi del comma 8).

La norma limita inoltre la responsabilità del commissario in relazione ad eventuali diseconomie dei risultati ai soli casi di dolo o colpa grave.

 

L'attribuzione del rilievo pubblicistico all'attività del commissario in ragione del rapporto di servizio, esclude dunque che la stessa sia valutata con i criteri ordinari di cui all'articolo 2932 c.c. (responsabilità degli amministratori verso la società).

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 18231 del 12/09/2009 , ha affermato che l'addebito di responsabilità nel caso dell'Amministratore accusato di aver mal gestito l'impresa, non si fonda sulla violazione di specifiche norme di legge o di clausole statutarie, bensì, sull'osservanza del criterio generale di diligenza richiesta dalla natura dell'incarico. La decisione della Cassazione condanna gli ex amministratori di una società finanziaria a risarcire i danni provocati dalla negligente esecuzione dell'incarico ricevuto. La Suprema Corte ha ritenuto sussistente la responsabilità degli amministratori affermando che essa si fonda, non sulla violazione di specifiche norme di legge o clausole statutarie ma sull'osservanza del criterio generale di diligenza propria del mandatario. La Corte ha ritenuto che, nel caso di specie, l'imprenditore avesse tenuto una condotta che non rispettava il canone di diligenza richiesto dal soggetto che conduce l'impresa; tale condotta, nello specifico era consistita nell'imprudente omissione di richiesta di garanzie reali o personali, nei confronti delle società terze, che andava a finanziare esponendo l'impresa a perdite.

 

Il comma 11 prevede che il giudice competente provveda a svincolare le somme già oggetto di sequestro in sede penale nonché quelle oggetto di sequestro preventivo ai sensi del citato D.Lgs. 231 del 2001 (Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche) in danno dei soggetti obbligati dall'autorità amministrativa all'esecuzione delle prescrizioni dell'A.I.A. e delle misure di risanamento ambientale in relazione ai reati connessi all'attività imprenditoriale.

Le somme svincolate sono messe a disposizione del commissario e destinate esclusivamente alle misure connesse alle prescrizioni dell'autorizzazione integrata ambientale e al risanamento ambientale.

 

Secondo il comma 12, i proventi derivanti dall'attività dell'impresa commissariata restano nella disponibilità del commissario nella misura necessaria all'attuazione dell'A.I.A. ed alla gestione dell'impresa.

 

Il comma 13 regolamenta i compensi spettanti al commissario straordinario e al sub commissario.

 

Più specificamente, si stabilisce che la determinazione del compenso omnicomprensivo del commissario straordinario sia demandata ad un apposito D.P.C.M. nel rispetto dei limiti previsti dall'articolo 23-bis, comma 5-bis, del D.L. 201/2011, o, se dipendenti pubblici, dal successivo articolo 23-ter, comma 1, dello stesso D.L. 201/2011.

 

Si segnala, al riguardo, che il testo non prevede un termine per l'emanazione del decreto che stabilisce il compenso.

 

 

Si ricorda che i commi 5-bis e 5-ter dell'articolo 23-bis del D.L. 201/2011, introdotti dall'articolo 2, commi 20-quater del D.L. 95/2012, hanno previsto che i compensi degli amministratori investiti di particolari cariche delle società non quotate direttamente e indirettamente controllate dalle pubbliche amministrazioni, nonché i trattamenti economici annui onnicomprensivi dei dipendenti di tali società, non possono essere superiori al trattamento economico del Primo presidente della Corte di Cassazione.
Il successivo articolo 23-ter ha previsto che, con D.P.C.M. sia definito il trattamento economico di chiunque riceva emolumenti o retribuzioni dalle pubbliche amministrazioni(di cui all'articolo 1, comma 2 del D.Lgs. 165/2001nonché il personale in regime di diritto pubblico di cui all'articolo 3 del medesimo decreto), nel rispetto di un parametro massimo, nell'ambito di rapporti di lavoro dipendente o autonomo con pubbliche amministrazioni statali, compreso il c.d. personale non contrattualizzato.
Lo stesso articolo ha inoltre stabilito che il D.P.C.M., da adottarsi con parere delle commissioni parlamentari entro il termine di 90 giorni dall'entrata in vigore della legge di conversione del D.L. 201/2011, definisca il trattamento economico erogabile utilizzando come parametro di riferimento il trattamento economico del Primo presidente della Corte di Cassazione. Per i dipendenti delle amministrazioni chiamati a svolgere funzioni direttive dirigenziali o equiparate presso Ministeri o enti pubblici nazionali e le autorità amministrative indipendenti, la disposizione ha previsto la conservazione del trattamento economico riconosciuto dall'amministrazione di appartenenza e la possibilità di ricevere a titolo di retribuzione, indennità, o anche solo per il rimborso spese, più del 25% dell'ammontare complessivo del trattamento economico già percepito. Tale disciplina consente di prevedere, in sede di attuazione, sia deroghe motivate al tetto delle retribuzioni per coloro che siano chiamati a ricoprire posizioni apicali nell'amministrazione, che un tetto massimo a titolo di rimborso spese.
In esecuzione di quanto sopra previsto, è stato adottato il D.P.C.M. 23 marzo 2012, che ha fissato il limite massimo retributivo di quanti ricevano annualmente retribuzioni o emolumenti a carico delle pubbliche finanze (comprese le indennità e le voci accessorie nonché le eventuali remunerazioni per incarichi ulteriori o consulenze conferiti da amministrazioni pubbliche diverse da quella di appartenenza) nel trattamento economico annuale complessivo spettante per la carica al Primo Presidente della Corte di cassazione, pari nell'anno 2011 a euro 293.658,95.
Lo stesso trattamento economico annuale complessivo spettante per il 2011 per la carica al Primo Presidente della Corte di cassazione, viene considerato dal provvedimento, pur in mancanza di espressa previsione nel citato art. 23-ter, per la retribuzione massima del Presidente e dei componenti delle Autorità amministrative indipendenti (Autorità Garante della concorrenza e del mercato, Commissione nazionale per le società e la borsa, Autorità per l'energia elettrica e il gas e Autorità per le garanzie nelle comunicazioni), che, in base alla normativa vigente, è determinato in un importo  di misura inferiore del 10% del trattamento economico annuale complessivo dei rispettivi Presidenti.
Il limite retributivo riportato dal citato D.P.C.M. sconta gli effetti riduttivi derivanti dall'art. 9 del D.L. 78/2010 che ha previsto un taglio del 5% e del 10% per i dipendenti pubblici con stipendi, rispettivamente, sopra i 90mila o 150mila euro annui.
L'applicazione delle disposizioni sul tetto retributivo è oggetto di circolare del Ministro per la funzione pubblica, n. 2/2012 indirizzata non solo alle amministrazioni pubbliche di cui all'art. 1, comma 2, del D.Lgs. 165/2001, alle quali si applica il tetto per espressa previsione dell'art. 23 ter del D.L. 201/2011, ma anche alle Autorità indipendenti.
In seguito alla pronuncia di incostituzionalità della disposizione, contenuta nella sentenza 223/2012 della Corte costituzionale, il trattamento economico annuale complessivo spettante per il 2012 per la carica al Primo Presidente della Corte di cassazione ha subito un'espansione. Pertanto, il relativo importo, comunicato dal ministero della Giustizia ammonta a 302.937,12 euro.

 

 

Il compenso del sub commissario è invece determinato nella misura del 50% di quella fissata per il commissario.

Se dipendenti pubblici, il commissario e il sub commissario sono collocati in aspettativa senza assegni.

 

Si ricorda che l'articolo 23-bis del D.Lgs. 165/2001, in deroga a quanto disposto dall'articolo 60 del D.P.R. 3/1957 in materia di incompatibilità dei pubblici dipendenti, ha disposto per specifici soggetti (dirigenti delle pubbliche amministrazioni, appartenenti alla carriera diplomatica e prefettizia e, - limitatamente agli incarichi pubblici - magistrati ordinari, amministrativi e contabili e avvocati e procuratori dello Stato) il collocamento in aspettativa senza assegni, salvo motivato diniego dell'amministrazione di appartenenza in ordine alle proprie preminenti esigenze organizzative, per lo svolgimento di attività presso soggetti e organismi, pubblici o privati, anche operanti in sede internazionale, i quali provvedono al relativo trattamento previdenziale. Il periodo di aspettativa comporta il mantenimento della qualifica posseduta.

 

 Infine, il compenso dei componenti del comitato è determinato nella misura del 15% di quella fissata per il commissario. Tutti i trattamenti economici sono per intero a carico dell'impresa.

 

 

L'articolo 2, comma 1, individua direttamente la sussistenza dei presupposti del commissariamento straordinario di cui all'articolo 1, comma 1, del decreto legge in esame per l'ILVA S.p.A., avente sede a Milano.

Si tratta di disposizione di legge in luogo di provvedimento, in quanto sostituisce il proprio dettato al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri previsto dalla norma generale.

 

Il comma 2 sostituisce l'articolo 3, comma 1, del D.L. 207/2012, al fine di qualificare come "stabilimenti di interesse strategico nazionale" tutti gli impianti siderurgici della società ILVA S.p.A., e non solo quello di Taranto..

 Dal sito internet dell'azienda si evince che il gruppo Ilva S.p.A. possiede 15 siti produttivi, di cui 6 in Italia. Taranto è lo stabilimento maggiore, ma altre unità produttive sono presenti a Genova, Novi Ligure, Racconigi, Patrica e Marghera (attualmente chiusa).

 

 

Il comma 3 reca alcune novelle al comma 3 dell'art. 1 del D.L. 207/2012.

 

Una prima novella specifica in maniera più dettagliata il criterio di determinazione della sanzione amministrativa pecuniaria prevista dal medesimo comma per l'inosservanza delle prescrizioni contenute nel provvedimento di riesame dell'A.I.A. Rispetto al testo previgente, che prevedeva unicamente un ammontare massimo (pari al 10% del fatturato della società risultante dall'ultimo bilancio approvato), viene previsto che, esclusa l'oblazione, l'importo minimo della sanzione sia di 50.000 euro.

 

Si osserva che l'uso del termine oblazione è in questa sede improprio in quanto nell'ordinamento nazionale l'oblazione è un istituto che consente l'estinzione di un reato a fronte del pagamento di una somma di denaro (artt. 162 e 162-bis del codice penale). In considerazione del fatto che la disposizione specifica i criteri della sanzione amministrativa, è presumibile che il legislatore intenda escludere il pagamento in misura ridotta (istituto disciplinato dall'art. 16 della legge n. 689 del 1981), talvolta definito anche "oblazione amministrativa".

 

Dopo l'ultimo periodo del citato comma 3, che prevede che la sanzione sia irrogata dal prefetto competente per territorio, viene aggiunta una disposizione secondo cui le attività di accertamento, contestazione e notificazione delle violazioni sono svolte dall'ISPRA.

Si ricorda, in proposito, che l'ISPRA è il soggetto cui compete, ai sensi dell'art. 29-decies del D.Lgs. 152/2006, l'effettuazione dell'attività di vigilanza sul rispetto delle condizioni dell'A.I.A.

 

Viene altresì previsto che i proventi delle sanzioni irrogate siano assegnati al pertinente capitolo dello stato di previsione del Ministero dell'ambiente e finalizzati al finanziamento degli interventi di messa in sicurezza, bonifica e risanamento ambientale del territorio interessato. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.



Relazioni allegate o richieste

Il decreto legge è corredato della relazione illustrativa e della relazione tecnica. Manca invece l'analisi di impatto della regolamentazione (AIR) in quanto è allegata la richiesta di autorizzazione all'esenzione dalla stesura dell'analisi di impatto della regolamentazione (AIR), formulata dal Ministero dell'ambiente a norma dell'articolo 9, comma 3, del regolamento di cui al decreto del presidente del Consiglio dei ministri 11 settembre 2008, n. 170.



Precedenti decreti-legge sulla stessa materia

Il decreto-legge in titolo è il terzo provvedimento d'urgenza adottato nel corso degli ultimi dieci mesi per fronteggiare l'emergenza ambientale ed occupazionale dello stabilimento ILVA di Taranto. Come già rilevato precedentemente, infatti, il decreto-legge 207/2012, sul quale incide l'articolo 2 del provvedimento in titolo, ha disciplinato - in via generale - l'operatività degli stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale in crisi consentendo, alle condizioni ivi indicate, la prosecuzione dell'attività produttiva di tali stabilimenti. Il decreto ha, inoltre, dettato specifiche disposizioni destinate all'impianto siderurgico dell'ILVA di Taranto, che - ai sensi del medesimo decreto - costituisce stabilimento di interesse strategico nazionale.

Il decreto legge 129/2012, invece, era stato emanato al fine di fronteggiare la grave situazione di criticità ambientale e sanitaria nel sito di bonifica di interesse nazionale (SIN) di Taranto e faceva seguito al protocollo d'intesa stipulato il 26 luglio 2012, che prevede interventi urgenti di bonifica, ambientalizzazione e riqualificazione di Taranto per un ammontare di 336,7 milioni di euro.



Motivazioni della necessità ed urgenza

Le premesse del decreto fanno riferimento alla straordinaria necessità e urgenza di emanare disposizioni che assicurino, mediante la nomina di un'apposita struttura commissariale straordinaria, la continuità produttiva e occupazionale nel rispetto delle norme ambientali e sanitarie, in presenza di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale, ai sensi dell'articolo 1 del decreto-legge 3 dicembre 2012, n. 207, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 dicembre 2012, n. 231, la cui attività produttiva abbia comportato e comporti pericoli gravi e rilevanti per l'integrità dell'ambiente e della salute a causa della inosservanza, contestata dalle Autorità competenti, dell'autorizzazione integrata ambientale o di altre disposizioni a tutela dell'ambiente e della salute.

Con specifico riferimento all'ILVA, il preambolo del decreto fa riferimento alle risultanze delle verifiche di carattere amministrativo sullo stabilimento dell'ILVA s.p.a., che hanno evidenziato la permanente, grave sussistenza di pericoli ambientali e per la salute derivanti anche dalla mancata attuazione dell'autorizzazione integrata ambientale, adeguatamente contestata. Si tratta ovviamente degli esiti dell'attività del garante, cui si è fatto cenno in precedenza, oltre che degli altri organi competenti all'attività di controllo sullo stabilimento.



Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite

Il provvedimento appare riconducibile nel suo complesso alla materia della tutela dell'ambiente che, ai sensi dell'articolo 117, primo comma, lettera s), della Costituzione è riservata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato.

Rileva altresì la materia "giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa" anch'essa riservata, ai sensi dell'articolo 117, comma 2, lettera l), della Costituzione, alla competenza legislativa esclusiva dello Stato.



Rispetto degli altri princìpi costituzionali

L'articolo 1 del decreto legge in esame prevede il commissariamento delle imprese la cui attività produttiva abbia comportato o comporti pericolo grave e rilevante per l'ambiente e la salute in seguito ad inosservanza dell'A.I.A. sempre che ricorrano le condizioni di cui all'art. 1 del D.L. 207/2012.

Il commissariamento comporta la sospensione dell'esercizio dei poteri di disposizione e gestione dei titolari dell'impresa, nonché dei diritti connessi alla titolarità o al possesso delle quote o delle azioni. Nel caso di impresa costituita in forma societaria, i poteri dell'assemblea sono sospesi per l'intera durata del commissariamento.

Gli interessi coinvolti dalle disposizioni in esame sono molteplici, tutti di rilevanza costituzionale. Rilevano infatti la salvaguardia del diritto all'ambiente e alla salute, contemplati negli articoli 9 e 32 della Costituzione.

Altro interesse coinvolto è quello relativo all'iniziativa economica privata (contemplato dall'articolo 41 della Costituzione), iniziativa che è definita «libera», ma che non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà ed alla dignità umana.

Secondo la giurisprudenza costituzionale nessuna censura può essere mossa a norme di rango primario che tendano alla protezione di valori primari attinenti alla persona, «il cui rispetto è il limite insuperabile di ogni attività economica (sentenza n. 548 del 1990). Per quanto attiene all'articolo 41 Cost.la Corte ha costantemente negato che sia «configurabile una lesione della libertà d'iniziativa economica allorché l'apposizione di limiti di ordine generale al suo esercizio corrisponda all'utilità sociale», purché, per un verso, l'individuazione di quest'ultima «non appaia arbitraria e che, per altro verso, gli interventi del legislatore non la perseguano mediante misure palesemente incongrue».La Corte ha più volte ribadito che la libertà d'iniziativa economica «consente l'apposizione di limiti al suo esercizio a condizione che essi corrispondano all'utilità sociale, nel cui ambito sicuramente rientrano gli interessi alla tutela della salute e dell'ambiente» (sentenza 196/98, ma anche sentenza n. 167 del 2009).

In particolare la Corte Costituzionale nella pronuncia n. 388/1992 ricomprende nel concetto di utilità sociale gli interessi che "trovano fondamento nell'art. 9 della Costituzione che impegnano la Repubblica ad assicurare, tra l'altro, la tutela del patrimonio culturale nazionale e dell'ambiente, ad assecondare la formazione culturale dei cittadini e ad arricchire quella esistente, a realizzare il progresso spirituale e ad acuire la sensibilità dei cittadini come persone".

 

In relazione al comma 11, che impone al giudice lo svincolo delle somme sequestrate in sede penale per metterle a disposizione del commissario, andrebbe valutato il rapporto con la riserva di giurisdizione e il principio costituzionale di separazione tra i poteri dello Stato.

Sul punto va ricordata, sempre sul caso Ilva, la citata sentenza n. 85/2013 della Corte costituzionale che ha, tra l'altro, con dovizia di argomentazioni, ritenuto infondata la questione di legittimità dell'art. 1 del D.L. 207/2012 che ha autorizzato l'attività d'impresa nonostante il sequestro giudiziario degli impianti disposto dal GIP di Taranto. La Consulta ha infatti ritenuto che, sulla base della mutata situazione normativa, fosse comunque possibile al giudice esercitare i propri poteri cautelari, ove ne ricorressero ancora i presupposti.

Nel caso in esame la disciplina del comma 11 travolge ipso iure gli effetti del provvedimento cautelare i cui effetti vanno perciò considerati alla luce dei principi costituzionali richiamati.

 

L'articolo 2, comma 1, individua direttamente la sussistenza dei presupposti del commissariamento straordinario di cui all'articolo 1, comma 1, del decreto legge in esame per l'ILVA S.p.A., avente sede a Milano.

Si tratta di disposizione di legge in luogo di provvedimento, in quanto sostituisce il proprio dettato al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri previsto dalla norma generale.

 

La Corte individua come leggi-provvedimento le norme che incidono su un numero determinato e limitato di destinatari, presentando un contenuto particolare e concreto. Le leggi-provvedimento sono considerate di per sé ammissibili, poiché non è vietata l'attrazione alla legge della disciplina di oggetti o materie normalmente affidati all'autorità amministrativa (sentenza 270/2010, sentenza n. 137 del 2009, e n. 267 del 2007), purché siano osservati i principi di ragionevolezza e non arbitrarietà e dell'intangibilità del giudicato e non sia vulnerata la funzione giurisdizionale in ordine alla decisione delle cause in corso (sentenza n. 94/2009; nello stesso senso, ex multis, sentenze n. 288 e n. 241 del 2008, n. 267 e n. 11 del 2007, n. 282 del 2005).

Quanto al rapporto tra leggi-provvedimento e principio di uguaglianza, la Corte costituzionale ha rilevato che legittimità delle leggi-provvedimento deve essere valutata in relazione al loro specifico contenuto; esse, proprio in relazione al pericolo di ingiustificate disparità di trattamento che è insito nella adozione di disposizioni legislative di tipo particolare, sono soggette ad un controllo stretto di costituzionalità, essenzialmente sotto i profili della non arbitrarietà e della ragionevolezza, in tal modo garantendo i soggetti interessati dagli effetti dell'atto, il cui scrutinio sarà tanto più stringente quanto più marcati sono i profili provvedimentali caratteristici della legge soggetta al controllo (sentenza n. 289/2010, nello stesso senso, ex multis, sentenze n. 241 del 2008 e n. 267 del 2007).

Secondo la sentenza n. 270/2010, che ripercorre la precedente giurisprudenza, la legittimità di questo tipo di leggi va, in particolare, «valutata in relazione al loro specifico contenuto» (sentenze n. 137 del 2009, n. 267 del 2007 e n. 492 del 1995) e devono risultare i criteri che ispirano le scelte con esse realizzate, nonché le relative modalità di attuazione (sentenza n. 137 del 2009). Peraltro, poiché la motivazione non inerisce agli atti legislativi (sentenza n. 12 del 2006), è sufficiente che detti criteri, gli interessi oggetto di tutela e la ratio della norma siano desumibili dalla norma stessa, anche in via interpretativa, in base agli ordinari strumenti ermeneutici, fermo restando che il sindacato di questa Corte sulla eventuale irragionevolezza della scelta compiuta dal legislatore «non può spingersi fino a considerare la consistenza degli elementi di fatto posti a base della scelta medesima» (sentenze n. 347 del 1995 e n. 66 del 1992)».

 

Con particolare riferimento al D.L. 279/2012 e all'individuazione diretta dell'impianto siderurgico della società Ilva di Taranto come «stabilimento di interesse strategico nazionale»,  la Corte osserva, nella sentenza n. 85 del 2013 che «a Taranto si è verificata una situazione grave ed eccezionale, che ha indotto il legislatore ad omettere, per ragioni di urgenza, il passaggio attraverso un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri...». La Corte sottolinea come sia la normativa generale che quella particolare si muovano quindi nell'ambito «di una situazione di emergenza ambientale, dato il pregiudizio recato all'ambiente e alla salute degli abitanti del territorio circostante, e di emergenza occupazionale, considerato che l'eventuale chiusura dell'Ilva potrebbe determinare la perdita del posto di lavoro per molte migliaia di persone».

Inoltre la Corte afferma che la temporaneità delle misure adottate risponde ad una delle condizioni poste dalla giurisprudenza della Corte stessa «perché una legislazione speciale fondata sull'emergenza possa ritenersi costituzionalmente compatibile (sentenza n. 418 del 1992)».