Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Studi - Dipartimento affari sociali
Titolo: Disposizioni per il contrasto della violenza sulle donne, l'assistenza delle vittime e la promozione della soggettività femminile - A.C. 951 - Elementi per l'istruttoria legislativa
Riferimenti:
AC N. 951/XVII     
Serie: Progetti di legge    Numero: 62
Data: 10/09/2013
Descrittori:
DONNE   LESIONI PERSONALI
OMICIDIO   PARITA' TRA SESSI
REATI SESSUALI     
Organi della Camera: XII-Affari sociali


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Disposizioni per il contrasto della violenza sulle donne, l'assistenza delle vittime e la promozione della soggettività femminile

10 settembre 2013
Elementi per l'istruttoria legislativa



Indice

Contenuto|Relazioni allegate o richieste|Necessità dell'intervento con legge|Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite|Compatibilità comunitaria|



Contenuto



Quadro normativo

Fino agli anni a noi più vicini l'ordinamento italiano non ha configurato misure volte a contrastare specificamente ed esclusivamente condotte violente in danno delle donne, nè ha   previsto specifiche aggravanti quando alcuni delitti abbiano la donna come vittima.

Per il nostro diritto penale, se si esclude il delitto di mutilazioni genitali femminili, il genere della persona offesa dal reato non assume uno specifico rilievo (e conseguentemente non è censito nelle statistiche giudiziarie).

La mancanza di dati statistici ufficiali ed aggiornati sul numero di delitti commessi a danno di donne è stata  più volte stigmatizzata (e in Parlamento sono state presentate apposite proposte di legge volte ad ovviare a questa grave mancanza di indicatori, v. infra).

I pochi dati ufficiali, ma soprattutto i sempre più drammatici, frequenti ed efferati episodi di cronaca danno peraltro ampia percezione di quanto la violenza nei confronti delle donne sia un fenomeno in aumento.

 

L'ultima indagine dell'Istat (del 2007, relativa a «La violenza e i maltrattamenti contro le donne dentro e fuori la famiglia - Anno 2006») parla di 6 milioni e 743 mila donne dai 16 ai 70 anni rimaste vittime di molestie o violenze fisiche, psichiche o sessuali nel corso della vita (una donna su tre tra i 16 ed i 70 anni); circa 1 milione di donne ha subito stupri o tentati stupri (il 4,8 per cento della popolazione femminile globale); il 14,3 per cento delle donne ha subito almeno una violenza fisica o sessuale dal proprio partner; il 24,7 per cento delle donne ha subito violenze da un altro uomo, 2 milioni e 77 mila donne hanno subito comportamenti persecutori (stalking), dai partner al momento della separazione. Va, in ogni caso, considerato che moltissimi episodi di violenza (circa il 96% delle violenze da un non partner e il 93% per cento di quelle da partner) non vengono comunque denunciati.

 

Quanto ai dati ufficiali, gli unici dati oggi disponibili provengono dal Ministero dell'Interno e riguardano i delitti denunciati all'autorità giudiziaria da Polizia di Stato, Arma dei Carabinieri e Guardia di Finanza. Nell'ambito dei dati del 2010, rielaborati dall'ISTAT, è censito il genere della vittima del delitto denunciato dalle forze di polizia all'autorità giudiziaria (manca dunque ogni accertamento sull'effettiva sussistenza di un delitto).

 

 

Anno 2010
Cittadinanza

italiana

straniera

totale

vittime donne

totale vittime

Tipo di delitto




 omicidi volontari consumati

122

31

153 524
omicidi volontari consumati omicidi volontari consumati a scopo di furto o rapina

11

4

15 36
omicidi volontari consumati di tipo mafioso

0

0

0 69
omicidi volontari consumati a scopo terroristico

0

0

0 0
tentati omicidi

178

90

268 1 349
omicidi preterintenzionali

7

2

9 36
 omicidi colposi

430

59

489 1 795
omicidi colposi omicidi colposi da incidente stradale

307

43

350 1 293
percosse

5 345

1 685

7 030 14 544
lesioni dolose

17 844

5 562

23 406 57 716
minacce

29 052

5 758

34 810 76 708
stalking

4 239

871

5 110 6 598
sequestri di persona

672

492

1 164 2 215
ingiurie

27 260

4 546

31 805 59 421
violenze sessuali

4 791

2 412

7 203 7 963
atti sessuali con minorenne

275

78

353 478
corruzione di minorenne

111

6

117 155
sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione

337

1 516

1 853 2 234
pornografia minorile e detenzione di materiale pedopornografico

73

11

84 157
 furti

432 138

47 521

479 659 1 174 969
furti furti con strappo

9 305

1 492

10 797 13 754
furti con destrezza

61 283

10 474

71 757 110 654
 rapine

6 335

1 608

7 943 26 620
rapine rapine in abitazione

663

196

859 1 907
rapine in banca

84

1

85 347
rapine in esercizi commerciali

1 343

133

1 476 4 036
rapine in pubblica via

2 988

1 065

4 053 15 249
estorsioni

1 336

494

1 830 5 638
truffe e frodi informatiche

25 402

1 719

27 121 77 781
delitti informatici

1 294

74

1 368 3 308
usura

53

2

55 245
danneggiamenti

110 773

6 791

117 564 355 180
incendi

1 510

104

1 614 5 645
danneggiamento seguito da incendio

2 243

155

2 398 8 068

 

Ratifica della Convenzione di Instabul

 

Per arginare questo fenomeno durante la scorsa legislatura l'Italia ha firmato la Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, ovvero la cosiddetta Convenzione di Istanbul, aperta alla firma l'11 maggio del 2011, ratificata dal nostro Paese con la legge n. 77 del 27 giugno 2013 (perché entri in vigore sono necessarie le ratifiche di almeno dieci Stati, tra i quali 8 membri del Consiglio d'Europa. Attualmente gli Stati firmatari sono 29. Hanno ratificato Albania, Montenegro, Portogallo,  Turchia e Italia).

 

La Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, è il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante volto a creare un quadro normativo completo a tutela delle donne contro qualsiasi forma di violenza. La Convenzione interviene specificamente anche nell'ambito della violenza domestica, che non colpisce solo le donne, ma anche altri soggetti, ad esempio bambini ed anziani, ai quali applica le medesime norme di tutela. La Convenzione riconosce la violenza sulle donne come violazione dei diritti umani e come forma di discriminazione. Stabilisce inoltre un chiaro legame tra l'obiettivo della parità tra i sessi e quello dell'eliminazione della violenza sulle donne. Criminalizza alcune tipologie specifiche di reati, quali lo stalking, il matrimonio forzato, le mutilazioni genitali femminili, l'aborto forzato e la sterilizzazione forzata. La Convenzione stabilisce inoltre l'obbligo per le Parti di adottare normative che permettano alle vittime di ottenere giustizia, nel campo civile, e risarcimenti, in primo luogo dall'offensore, ma anche dalle autorità statali se queste non hanno messo in atto tutte le misure preventive e di tutela volte ad impedire la violenza.
La Convenzione affronta anche la questione dell'approccio necessario per combattere con efficacia la violenza sulle donne e la violenza domestica, invitando tutti gli organismi, i servizi e le organizzazioni non governative (ONG) competenti e attive in questo campo a collaborare in modo coordinato. Stabilisce un meccanismo di controllo forte e indipendente (GREVIO) e assegna un ruolo specifico ai parlamentari per il monitoraggio della sua applicazione a livello nazionale. Si segnala, al riguardo, che l'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa ha predisposto nel 2012 un Manuale dei parlamentari per l'applicazione della Convenzione di Istanbul che contiene un'ampia illustrazione dei contenuti dell'Accordo, delinea il ruolo dei Parlamenti nazionali nella fase di firma, ratifica ed attuazione della Convenzione - in particolare, i parlamentari nazionali sono invitati a partecipare al monitoraggio del rispetto della Convenzione, e, in riconoscimento del ruolo importante da loro svolto nella sua applicazione, le Parti contraenti sono tenute a presentare ai Parlamenti nazionali i rapporti del gruppo (GREVIO) per consultazione. Il Manuale contiene anche interessanti cenni comparatistici sulle politiche e sulle soluzioni normative nazionali adottate al 2012 dagli Stati membri del Consiglio d'Europa per contrastare la violenza sulle donne e la violenza domestica.
Le Raccomandazioni dell'ONU all'Italia e l'indagine dell'UE sulla violenza sulle donne e sui servizi di sostegno alle vittime

La Convenzione per l'eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (CEDAW, 1979) indica moltissime misure per eliminare la discriminazione: dal diritto al lavoro ai diritti nel lavoro (art.11); dai diritti relativi alla salute e alla pianificazione familiare (art.12) all'eguaglianza di fronte alla legge (art. 15), nella famiglia e nel matrimonio (art.16), nell'educazione e nell'istruzione (artt. 5 e 10), nella partecipazione alla vita politica (artt. 7 e 8), nello sport, nell'accesso al credito (art.13), nella concessione o perdita della nazionalità (art. 9).

Gli Stati che ratificano la Convenzione CEDAW si impegnano non solo ad adeguare ad essa la loro legislazione, ma a eliminare ogni discriminazione praticata da "persone, enti e organizzazioni di ogni tipo", nonché a prendere ogni misura adeguata per modificare costumi e pratiche consuetudinarie discriminatorie.

La Convenzione CEDAW prevede l'istituzione di un Comitato sull'eliminazione delle discriminazioni contro le donne, con il compito di verificare lo stato di applicazione delle norme contenute nella Convenzione. Il Comitato CEDAW è composto da esperte nel campo dei diritti delle donne, provenienti da 23 paesi ed elette a scrutinio segreto da una lista di candidature presentate dagli stati parte. Nelle elezioni si tiene conto dell'esigenza di garantire equità sia nella distribuzione geografica delle elette, sia nella presenza all'interno del Comitato di civiltà e ordinamenti giuridici diversi. Le 23 componenti del Comitato svolgono le loro funzioni a titolo personale, non in qualità di delegate o rappresentanti del proprio paese d'origine.
Ci sono due aspetti in cui il Comitato è diverso dagli altri organismi ONU che hanno il compito di verificare l'applicazione di trattati o convenzioni internazionali. In primo luogo, sin dalla sua costituzione nel 1982, tutte le sue componenti sono sempre state donne, tranne in un caso. In secondo luogo, mentre la maggior parte degli organismi ONU preposti alla supervisione dei trattati sono composti prevalentemente di giuristi, il Comitato CEDAW comprende esperte di svariate discipline: ne hanno fatto parte economiste, diplomatiche, sociologhe. Entrambi questi fattori hanno contribuito ad una interpretazione dinamica e creativa delle proprie funzioni da parte del Comitato.

Ogni Stato che ratifica la Convenzione o vi aderisce ha l'obbligo di presentare al Comitato CEDAW dei rapporti periodici, in cui vengano illustrate le azioni compiute dallo stato in questione per dare applicazione alle norme in essa contenute.

Nel 2009, in occasione del XXX anniversario della CEDAW, è stata creata la piattaforma "30 anni CEDAW: Lavori in corsa" con l'obiettivo di raggruppare associazioni e singole donne impegnate in attività di ricerca, formazione e promozione dei diritti delle donne e dell'uguaglianza di genere in Italia e nella cooperazione internazionale. Quando nel dicembre 2009, il Governo italiano ha presentato il suo VI Rapporto Periodico al Comitato ONU per l'eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna, alcune realtà aderenti alla Piattaforma hanno promosso l'elaborazione di un Rapporto Ombra per evidenziare gli aspetti critici del sistema di tutela contro le discriminazioni di genere in Italia.

Nell'agosto 2011 il Comitato CEDAW ha predisposto delle Osservazioni conclusive sullo stato di applicazione delle Convenzione nel nostro paese. Il Comitato si dice profondamente preoccupato per la rappresentazione della donna quale oggetto sessuale e per gli stereotipi circa i ruoli e le responsabilità dell'uomo e della donna nella famiglia e nella società, ribadendo il ruolo centrale che la scuola e i mezzi di comunicazione dovrebbero esercitare. A tal fine il Comitato auspica che venga rafforzata l'uguaglianza di genere ed eliminati gli stereotipi patriarcali nel sistema scolastico. Nelle Osservazioni, il Comitato raccomanda all'Italia di:

  • assicurare che il gender mainstreaming sia applicato in maniera coerente nella formulazione enell'attuazione di tutte le leggi, regolamenti e nei programmi di tutti i Ministeri e di tutte lestrutture governative locali;
  • assicuri risorse sufficienti e sostenibili dal bilancio statale per il lavoro del Dipartimentoper le Pari Opportunità, specificamente finalizzate al raggiungimento dell'uguaglianza di genere;
  • stabilisca consultazioni trasparenti e regolari, attraverso collegamenti formali ed informali con le ONG, in particolare con le associazioni femminili e le attiviste a difesa dei diritti delle donne, al fine di promuovere un dialogo costruttivo e partecipato nel raggiungimento dell'uguaglianza di genere.

 

Infine, il Relatore speciale delle Nazioni Unite sulla violenza contro le donne, Rashida Manjoo, a seguito della missione condotta in Italia nel gennaio 2012, ha presentato un Rapporto sull'Italia. Il documento evidenzia come la violenza domestica risulta essere la forma di violenza più pervasiva, non sempre percepita come reato. A conclusione dell'esame, il Relatore speciale dà atto dello sforzo compiuto dal Governo per affrontare il problema della violenza contro le donne - sia con l'adozione di strumenti legislativi sia con l'istituzione di organi governativi preposti alla promozione e alla protezione dei diritti delle donne - rilevando tuttavia come ciò non si sia tradotto in una diminuzione del tasso di femminicidi né nel miglioramento delle condizioni di vita di molte donne, in particolare Rom, Sinti e migranti; richiama l'attenzione sulla necessità che resti prioritario fronteggiare la violenza contro le donne, pur nell'attuale quadro di risorse limitate. Conseguentemente, vengono espresse alcune raccomandazioni, particolarmente nel campo delle riforme legislative e di policy, tra le quali:

  • istituire una struttura governativa unica responsabile esclusivamente della questione della uguaglianza di genere e della violenza sulle donne;
  • creare un'istituzione nazionale indipendente sui diritti umani, con una sezione dedicata ai diritti delle donne;
  • adottare una specifica legge sulla violenza contro le donne, per correggere l'attuale frammentazione che nella pratica si riscontra nell'interpretazione e nell'applicazione dei codici civile, penale e dei codici di procedura;
  • intervenire nella normativa sull'affido dei minori abbinandovi previsioni rilevanti riguardo alla protezione delle donne vittime di violenza domestica;
  • emendare il "pacchetto sicurezza" in generale e il reato di immigrazione clandestina in particolare, per consentire l'accesso alla giustizia alle donne migranti in situazione di irregolarità, senza paura di incorrere nella detenzione o nella deportazione.

 

Molto sintenticamente, sia il Comitato Cedaw che il Relatore speciale sottolineano che l'eliminazione della violenza sulle donne è basata sul rispetto degli standards internazionali nella previsione legale di misure di protezione, nell'adozione di politiche adeguate, e nella promozione di una cultura del rispetto e non discriminatoria.

 

Anche l'Unione Europea è intervenuta di recente sul tema della lotta alla violenza sulle donne e più specificamente sui servizi di sostegno a favore delle vittime di violenza domestica. Infatti, il Consiglio dell'UE il 6 dicembre 2012 nelle sue conclusioni ha rilevato che la violenza sulle donne deve essere condannata in quanto violazione dei diritti umani e non può essere giustificata da tradizioni o religione, e ha affermano inoltre che tale violenza "riguarda la società nel suo complesso e rappresenta un ostacolo alla partecipazione attiva delle donne nella società".

Tali conclusioni sono state predisposte sulla base di una ricerca pubblicata ai primi di dicembre 2012 dall'Istituto europeo per l'uguaglianza di genere (EIGE) dal titolo "La violenza sulle donne: il sostegno alle vittime" che rappresenta una review dell'attuazione della Piattaforma di Azione di Pechino da parte degli Stati Membri dell'Unione Europea. La ricerca fornisce una serie completa di dati comparabili e attendibili sui servizi di sostegno per le donne vittime di violenza. La Piattaforma di Azione di Pechino, adottata nel 1995 dalla Quarta Conferenza mondiale sulle donne e sottoscritta da tutti gli Stati membri dell'UE, richiede, tra l'altro, a tutti gli Stati firmatari di formulare e attuare, a tutti i livelli appropriati, Piani di azione volti all'eliminazione delle violenze contro le donne e a stanziare adeguate risorse nel bilancio dello Stato nonché a mobilitare le risorse delle comunità locali per le attività connesse all'eliminazione della violenza contro le donne, incluse le risorse per attuare i piani d'azione ai livelli appropriati. Si ricorda anche che nel 2010, 25 Stati membri (eccetto Malta e Austria) e la Croazia risultavano aver provveduto ad adottare i rispettivi piani nazionali d'azione per combattere la violenza domestica contro le donne. Una disamina di questi piani d'azione nazionali è contenuta nel citato documento pubblicato dall'EIGE nel 2012, come pure, una sintetica rassegna delle misure nazionali in materia penale, delle ordinanze di protezione delle vittime di violenza, dei programmi alternativi alle sanzioni previste per coloro che commettono violenza, della formazione dei professionisti che si occupano di violenza domestica.

 

Iniziativa parlamentare

 

Nel corso della XVII Legislatura sono state presentate in Parlamento proposte volte, con prospettive diverse, a contrastare la violenza di genere.

Deve in merito essere segnalato l'AC.725 (On. Marina Sereni PD) che detta "Disposizioni in materia di statistiche di genere", oltre all'AC.523 (On. Maria Antezza PD), che mira all"Istituzione del Fondo nazionale per il cofinanziamento delle case e dei centri delle donne". Al Senato si segnala l'AS.592 (Sen. Simona Vicari (PdL), recante "Delega al Governo in materia di interventi a favore di donne ed altri soggetti vittime di violenza o abuso" e l'AS. 724 (Sen.Puglisi) recante "Disposizioni per la promozione della soggettività femminile e per il contrasto al femminicidio", in corso di esame.

Contestualmente all'esame presso la Camera dei disegni di legge di ratifica della Convenzione di Istanbul, sono state presentate  sei mozioni che, pur diversificandosi tra loro per la diversa accentuazione della questione e talvolta anche nell'individuazione degli strumenti di contrasto, contenevano nel dispositivo l'impegno per la rapida ratifica della Convenzione di Istanbul, ritenuta un caposaldo nella lotta contro la violenza di genere. Le sei mozioni sono state poi ritirate e sostituite da una mozione unitaria, la mozione 1-00067, approvata all'unanimità in data 4 giugno 2013, che impegna il governo ad adottare, sostenere ed accelerare ogni iniziativa normativa volta a recepire nell'ordinamento interno il contenuto della Convenzione di Istanbul, tra l'altro tramite la creazione di un Osservatorio permanente nazionale (nel quale convergano flussi stabili di dati sulla violenza, provenienti dai vari Ministeri coinvolti, dall'Istat, dai centri antiviolenza e da istituzioni pubbliche e private) ed il ripristino e l'implementazione del fondo a sostegno del Piano nazionale di azione contro la violenza sulle donne.

Anche al Senato, sono state presentate due mozioni in occasione dell'esame dei disegni di legge di ratifica della Convenzione di Instanbul. Ricordiamo fra l'altro la mozione 1-00064, accolta dal Governo, che impegna l'Esecutivo a proseguire il programma diretto a contrastare il fenomeno della violenza sulle donne promuovendo il sostegno, anche attraverso appositi finanziamenti, della rete dei centri antiviolenza presenti sul territorio nazionale e a promuovere la stesura di un codice di autoregolamentazione per la tutela della donna nella pubblicità, riconoscendo il principio della necessità e convenienza del rispetto e dell'applicazione di alcune regole da parte dell'intera categoria, al fine di combattere il problema degli stereotipi di genere, denunciato sia dal Parlamento europeo che dalla Conferenza mondiale delle donne dell'Onu.

 

Iniziative del Governo

 

Per quanto riguarda le iniziative del Governo si ricorda che nel luglio 2013, è stata convocata la Task Force interministeriale contro la violenza verso le donne, a cui  hanno partecipato i rappresentanti dei vari ministeri coinvolti: istruzione, lavoro, giustizia, salute, economia, integrazione, esteri e difesa nonché il Consigliere per le politiche di contrasto della violenza di genere e del femminicidio del ministero dell'interno. La Task force sarà responsabile di un piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere, per porre in essere azioni positive volte ad informare e sensibilizzare in particolare uomini e ragazzi sul tema della violenza e ad educarli al rispetto tra i generi. Sarà infatti coinvolto il settore della scuola e dell'istruzione, campo privilegiato di intervento per l'educazione alla relazione. Si investirà inoltre sulla formazione professionale dei soggetti (delle forze dell'ordine, della sanità, dei servizi sociali, ecc.) che hanno il compito di accogliere le vittime della violenza.

Il Governo ha infine approvato il D.L. n.93 del 14 agosto 2013 (A.C. 1540, all'esame delle commissioni riunite I e II) recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, nonché in tema di protezione civile e di commissariamento delle province.

Sulla base delle indicazioni provenienti dalla Convenzione di Istanbul, il decreto mira a rendere più incisivi gli strumenti della repressione penale dei fenomeni di maltrattamenti in famiglia, violenza sessuale e di atti persecutori (stalking). Vengono quindi inasprite le pene quando:
  • il delitto è perpetrato in presenza di minore degli anni diciotto;
  • il delitto di violenza sessuale è consumato ai danni di donne in stato di gravidanza;
  • il fatto è consumato ai danni del coniuge, anche divorziato o separato, o dal partner.
Un secondo gruppo di interventi riguarda il delitto di stalking:
  • viene ampliato il raggio d'azione delle situazioni aggravanti che vengono estese anche ai fatti commessi dal coniuge pure in costanza del vincolo matrimoniale, nonché a quelli perpetrati da chiunque con strumenti informatici o telematici;
  • viene prevista - analogamente a quanto già accade per i delitti di violenza sessuale - l'irrevocabilità della querela per il delitto di atti persecutori, che viene, inoltre, incluso tra quelli ad arresto obbligatorio.
Sono previste poi una serie di norme riguardanti i maltrattamenti in famiglia:
  • viene assicurata una costante informazione alle parti offese in ordine allo svolgimento dei relativi procedimenti penali;
  • viene estesa la possibilità di acquisire testimonianze con modalità protette allorquando la vittima sia una persona minorenne o maggiorenne che versa in uno stato di particolare vulnerabilità;
  • viene esteso ai delitti di maltrattamenti contro familiari e conviventi il ventaglio delle ipotesi di arresto in flagranza;
  • si prevede che in presenza di gravi indizi di colpevolezza di violenza sulle persone o minaccia grave e di serio pericolo di reiterazione di tali condotte con gravi rischi per le persone, il Pubblico Ministero – su informazione della polizia giudiziaria - può richiedere al Giudice di irrogare un provvedimento inibitorio urgente, vietando all'indiziato la presenza nella casa familiare e di avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa.
Infine, è stabilito che i reati di maltrattamenti ai danni di familiari o conviventi e di stalking sono inseriti tra i delitti per i quali la vittima è ammessa al gratuito patrocinio anche in deroga ai limiti di reddito. Ciò al fine di dare, su questo punto, compiuta attuazione alla Convenzione di Istanbul, che impegna gli Stati firmatari a garantire alle vittime della violenza domestica il diritto all'assistenza legale gratuita.
Sempre in attuazione della Convenzione di Istanbul, si prevede il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi di protezione (Tutela vittime straniere di violenza domestica, concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari come già previsto dall'articolo 18 del TU per le vittime di tratta).
Infine, l'articolo 5 del D.L. 93/2013 prevede un Piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere. A tal fine, il Ministro delegato per le pari opportunità, anche avvalendosi del Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità, elabora, con il contributo delle amministrazioni interessate, e adotta, previa acquisizione del parere in sede di Conferenza Unificata, un  Piano che deve essere predisposto in sinergia con la nuova programmazione comunitaria per il periodo 2014-2020.  Il Piano persegue le seguenti finalità:
  1. prevenire il fenomeno della violenza contro le donne attraverso l'informazione e la sensibilizzazione della collettività, rafforzando la consapevolezza degli uomini e dei ragazzi nel processo di eliminazione della violenza contro le donne;
  2. promuovere l'educazione alla relazione e contro la violenza e la discriminazione di genere nell'ambito dei programmi scolastici delle scuole di ogni ordine e grado, al fine di sensibilizzare, informare, formare gli studenti e prevenire la violenza nei confronti delle donne e la discriminazione di genere, anche attraverso un'adeguata valorizzazione della tematica nei libri di testo;
  3. potenziare le forme di assistenza e sostegno alle donne vittime di violenza e ai loro figli attraverso il rafforzamento della rete dei servizi territoriali, dei centri antiviolenza e dei servizi di assistenza alle donne vittime di violenza;
  4. garantire la formazione di tutte le professionalità che entrano in contatto con la violenza di genere e lo stalking;
  5. accrescere la protezione delle vittime attraverso un rafforzamento della collaborazione tra tutte le istituzioni coinvolte;
  6. prevedere una raccolta strutturata dei dati del fenomeno, anche attraverso il coordinamento delle banche dati già esistenti;
  7. prevedere specifiche azioni positive che tengano anche conto delle competenze delle Amministrazioni impegnate nella prevenzione, nel contrasto e nel sostegno delle vittime di violenza di genere e di stalking;
  8. definire un sistema strutturato di governance tra tutti i livelli di governo, che si basi anche sulle diverse esperienze e sulle buone pratiche già realizzate nelle reti locali e sul territorio.
Si ricorda che l'Italia ha provveduto all'adozione del primo Piano nazionale contro la violenza di genere e lo stalking con il decreto del Ministro per le pari opportunità pro tempore l'11 novembre 2010. Il Piano, di durata triennale, pur delineando in maniera chiara i diversi ambiti di intervento, non fornisce indicazioni operative univoche sulla nascita di una rete territoriale di servizi integrati per il sostegno e la protezione delle donne vittime di violenza  e soprattutto non fornisce finanziamenti certi alle Regioni e agli enti locali. Il Piano deve essere rinnovato nel  2013.

Numero di pubblica utilità 1522 e Rete Nazionale Antiviolenza

 

In assenza di un forte coordinamento nazionale, il servizio telefonico 1522 rappresenta lo snodo operativo a livello centrale delle attività di contrasto alla violenza di genere e allo stalking.
I "nodi" della Rete Nazionale Antiviolenza sono gli Ambiti Territoriali di Rete. Si tratta di aree territoriali, Comuni, province o Regioni, con le quali il Dipartimento per le pari opportunità stipula un Protocollo d'intesa al fine di promuovere azioni di sensibilizzazione e contrasto alla violenza di genere, di promuovere la costituzione o il rafforzamento di reti locali atte a contrastare gli episodi di violenza di genere e stalking, di facilitare l'integrazione del servizio nazionale 1522 con le strutture socio-sanitarie presenti in ambito territoriale e, infine, di realizzare seminari tematici pubblici sul tema della violenza di genere. In tali territori è attivo un dispositivo di accesso diretto ai servizi locali veicolato dal servizio di accoglienza telefonica 1522 (si tratta di un trasferimento diretto di chiamata, dal call center al centro antiviolenza attivo negli orari prestabiliti di apertura al pubblico).

 

Nel 2006, dopo due anni di lavoro, 57 Associazioni, riferite a Centri antiviolenza e Case delle donne di fatto, hanno redatto la " Carta della Rete Nazionale dei Centri antiviolenza e delle Case delle donne".  Nel 2008 si è costituita l'Associazione Nazionale D.i.Re. "Donne in Rete contro la violenza"; la prima associazione italiana a carattere nazionale di centri antiviolenza non istituzionali gestiti da associazioni di donne  che affronta il tema della violenza maschile sulle donne secondo l'ottica della differenza di genere.Nel 2011 i Centri antiviolenza hanno accolto 13.137 donne e ne hanno ospitate 464 con 407 minori.

Il Fondo per le pari opportunità

Con l'intento di promuovere le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità, l'articolo 19, comma 3, del D.L. n. 223/2006 ha istituito, presso la Presidenza del Consiglio, un Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità, dotandolo di 3 milioni di euro per l'anno 2006 e di 10 milioni di euro a decorrere dall'anno 2007.

Le risorse sono allocate – a bilancio statale - nel capitolo 2108 (Programma 17.4, Promozione dei diritti e delle pari opportunità) dello stato di previsione del Ministero dell'economia, rubricato "somme da corrispondere alla Presidenza del Consiglio dei Ministri per le politiche delle pari opportunità". Sul bilancio della Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Fondo è iscritto sul programma "coordinamento delle politiche relative ai diritti e le pari opportunità", Centro di responsabilità 8 "Diritti e pari opportunità", capitolo 493.

in milioni di euro

 

 

Cap. 2108/MEF

Cap. 493/PCM

 

Previsioni iniziali

Previsioni definitive

Previsioni iniziali

Previsioni definitive*

Economie*

2006

3,0

3,0

3,0

3,7

3,7

2007

50,0

50,0

50,0

53,7

45,7

2008

64,4

64,4

50,0

93,0

77,5

2009

29,9

32,8

24,9

105,3

91,3

2010

4,3

4,2

3,5

94,1

44,2

2011

18,1

15,2

2,3

53,5

32,6

2012

11,0

10,8

4,5

34,7

11,1

2013

11,4

n.d

4,0

n.d

n.d

 

La Tabella precedente illustra gli stanziamenti – iniziali e definitivi - del Fondo presenti sul capitolo 2108 dello stato di previsione del Ministero dell'economia e finanze del Bilancio di previsione dello Stato. Illustra altresì gli stanziamenti del medesimo Fondo iscritti sul capitolo 493 della Presidenza su cui le risorse del detto Fondo affluiscono.

Per ciò che concerne gli stanziamenti iniziali, iscritti sul bilancio di previsione della Presidenza del Consiglio, si osservi che essi attengono alle previsioni di legge e sono formulati a metà dicembre dell'anno precedente a quello cui si riferiscono, sulla base della legislazione vigente in quel momento, cioè prima della legge di approvazione del bilancio di previsione dello Stato per lo stesso esercizio previsionale. Dunque, di regola, gli stanziamenti non sono ‘tarati' su quelli che poi risulteranno a bilancio statale, ma vengono adeguati ad esso successivamente.

 

Negli stanziamenti definitivi del bilancio della Presidenza sono incluse – oltre che le variazioni da fattore legislativo – anche i c.d. riporti relativi alle economie dell'anno finanziario precedente (ai sensi dell'art. 11, comma 2, D.P.C.M. 9 dicembre 2002), nonché le riassegnazioni di residui passivi perenti nonché le variazioni in aumento derivanti dal Fondo di riserva e le cd. "eventuali e diverse" (flessibilità).

Si ricorda che la dotazione del Fondo è stata oggetto di una serie di interventi legislativi che si sono susseguiti nel corso degli anni.

In particolare, lo stanziamento originario è stato incrementato di 40 milioni di euro per ciascuno degli anni 2007, 2008 e 2009 dalla legge finanziaria 2007 (legge n. 296/2006) articolo 1, comma 1261. La disposizione ha inoltre stabilito che una quota parte dell'incremento sia destinata al Fondo nazionale contro la violenza sessuale e di genere, successivamente istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per i Diritti e le Pari Opportunità, a sua volta finalizzato in quota parte all'istituzione di un Osservatorio nazionale e in parte ad un Piano d'azione nazionale.

Le risorse sono state poi rideterminate annualmente nella Tabella C della legge finanziaria,ora legge di stabilità.

In particolare:

  • la legge finanziaria 2008 (legge n. 244/2007) ha rideterminato lo stanziamento per il Fondo in 44,4 milioni per il 2008, a 44,4milioni per il 2009 e a 4,9 milioni per il 2010.Inoltre, si ricorda che l'articolo 2, comma 463, della legge n. 244/2007 (legge finanziaria 2008) ha istituito, per il solo anno 2008, un fondo con una dotazione di 20 milioni di euro, destinato a un Piano contro la violenza alle donne, le cui risorse sono confluite nel citato cap. 2108 dello stato di previsione del Ministero dell'economia, ma tali risorse, nel bilancio della Presidenza del Consiglio, sono state poi allocate sul capitolo n. 496.Pertanto, la legge di bilancio 2008 (legge n. 245/2007) espone sul capitolo 2108 uno stanziamento pari a 64,4 milioni per il 2008;

 

  • la legge finanziaria 2009 (legge n. 203/2008), ha rideterminato lo stanziamento del Fondo nella misura di circa 29,9 milioni nel 2009, di 3,3 milioni nel 2010 e di 2,5 milioni nel 2011.Pertanto, la legge di bilancio 2009 (legge n. 204/2008) espone sul capitolo 2108 uno stanziamento pari a 30,0 milioni per il 2009.
Si ricorda inoltre che l'articolo 10, comma 5 del D.L. n. 39/2009 ha destinato 3 milioni di euro del Fondo pari opportunità per l'anno 2009 al sostegno alla ricostruzione di centri di accoglienza per le donne e le madri in situazioni di difficoltà nelle zone dell'aquilano colpite dal sisma dell'aprile 2009.
Inoltre, l'articolo 13, comma 3 del D.L. n. 11/200 (legge n. 38/2009), autorizza la spesa di 1 milione di euro a decorrere dal 2009 per l'istituzione presso la Presidenza del Consiglio - Dipartimento pari opportunità del numero verde per le vittime degli atti persecutori disponendo che si provveda mediante l'utilizzo del Fondo pari opportunità.
Infine, l'articolo 6, comma 2 del medesimo D.L. n. 11/2009 (legge n. 38/2009) ha disposto un rifinanziamento del Fondo di 3 milioni di euro per il 2009 al sostegno e alla diffusione sul territorio dei progetti di assistenza alle vittime di violenza sessuale e di genere (articolo 1, comma 1261, legge n. 296/2006).
  • la legge finanziaria 2010 (legge n. 191/2009), ha rideterminato lo stanziamento per il 2010 in 3,3 milioni per il 2010, per il 2011 in 2,4 milioni e per il 2012 in 2,4 milioni. La legge n. 192/2009 (legge di bilancio 2010) espone sul capitolo 2108 uno stanziamento pari a 4,3 milioni per il 2010.

 

  • la legge di stabilità 2011 (legge n. 220/2010), ha ridefinito le risorse del Fondo in circa 17,2 milioni per ciascuno degli anni 2011, 2012 e 2013.La legge n. 221/2010 (legge di bilancio 2011) espone sul capitolo 2108 uno stanziamento pari a 18,1 milioni per il 2011, per il 2012 e per il 2013.
Inoltre, si ricorda che, nel corso del 2011, l'articolo 7 della legge n. 112/2011, ha disposto, al comma 1, una riduzione del Fondo di 750 mila euro per il 2011 a parziale copertura dell'onere derivante dall'istituzione del l'Ufficio dell'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza, e, al comma 2, una riduzione del Fondo di 200 mila euro a decorrere dal 2011 a copertura dell'indennità di carica prevista per il titolare della predetta Autorità garante.
Inoltre, nel corso del 2012 è stata operata sul capitolo 2108 una riduzione di circa 1,9 milioni di euro per il 2011, determinata ai sensi del combinato disposto dell'articolo 1, comma 13 legge n. 220/2010 e dell'articolo 40, comma 1-bis del D.L. n. 98/2011 e dell'articolo 7, comma 1, lettera b) del D.L. n. 95/2012 (legge n. 135/2012).
  • la legge di stabilità 2012 (L. n. 183/2011) ha rideterminato le risorse del Fondo in circa 10,5 milioni per il 2012, in 11,6 milioni per il 2013 e in 12,8 milioni per il 2014. La legge di bilancio 2012 (legge n. 184/2012), le risorse stanziate sul capitolo 2108 sono pari a circa 11 milioni di euro nel 2012, a 12,2 milioni nel 2013 e a 13,5 milioni nel 2014.

 

  • infine, la legge di stabilità 2013 (legge n. 228/2012) ridetermina lo stanziamento del Fondo in 10,8 milioni per il 2013, in 11,6 milioni per il 2014 e in 11,7 milioni per il 2013.A legge di bilancio 2013 (legge n. 229/2012) le risorse del Fondo sono pari a 11,4 milioni per il 2013 a 12,3 milioni per il 2014 e a 12,4 milioni per il 2015.

 

Sugli stanziamenti a legislazione vigente del Fondo hanno altresì agito una serie di tagli lineari o generalizzati alle dotazioni di spesa rimodulabili del bilancio statale.

Si tratta, in particolare:



Contenuto della proposta di legge

La proposta di legge  A.C. 951 (Murer ed altri), composta da 10 articoli, intende promuovere interventi di sostegno e protezione per le donne vittime di violenza di genere attraverso l'istituzione di servizi dedicati, quali i centri antiviolenza e le case rifugio. Il progetto di legge in esame risponde alle raccomadazioni in materia, rivolte all'Italia dall'Unione europea e dall'ONU, prevedendo nello specifico:

  • un criterio uniforme su tutto i territorio nazionale per l'istituzione dei Centri antiviolenza, la cui presenza dovrà corripondere ad un Centro  per ogni 10.000 abitanti;
  • una interoperatività delle strutture dedicate al sostegno e alla protezione delle donne vittime di violenza con la rete dei servizi socio-sanitari e assistenziali territoriali;
  • una formazione adeguata degli operatori veicolata dal riconoscimento della specificità della violenza riconducibile alle diseguaglianze di genere;
  • l'istituzione del Comitato nazionale sulla violenza di genere presso la Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento per le pari opportunità, quale organo di coordinamento delle attività di prevenzione e di contrasto delle violenze di genere nel territorio nazionale nonché di studio e di monitoraggio del fenomeno;
  • predisposizione di linee guida per le strutture sanitarie e istituzione, presso i pronto soccorso ospedalieri, di un nuovo codice gratuito, denominato codice rosa, che consenta una presa in carico delle vittime con tempi di attesa ridotta, con modalità specifiche che salvaguardano e proteggono la vittima di violenza, nonché assicurano la presenza di operatori specializzati in stretto collegamento con la rete territoriale dei centri antiviolenza e con i medici di medicina generale operanti nel territorio;
  • la presenza, in ciascuna questura, di personale dedicato, in possesso di una formazione specifica in materia di violenza di genere, competente a ricevere le denunce o le querele da parte delle vittime di tali delitti;
  • istituzione di un Fondo per il contrasto della violenza nei confronti delle donne presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, finanziato annualmente dalla legge di stabilità, con una dotazione finanziaria di 80 milioni di euro per ciascuno degli anni 2013, 2014 e 2015.

 

Al fine di assicurare la necessaria tutela e il recupero di una condizione di vita normale, lo Stato, in collaborazione con le regioni, gli enti locali, le istituzioni, le associazioni e le organizzazioni attive nella lotta e nella prevenzione della violenza sulle donne e sui minori, promuove e favorisce l'attivazione di centri antiviolenza, di case rifugio e di case di secondo livello per le donne vittime di violenza e per i loro figli minori (articolo 1).

 

La pdl in esame non fornisce maggiori indicazioni circa le case di secondo livello. A tal fine, può apparire utile far riferimento alla Legge Regione Veneto 23 aprile 2013, n. 5, che all'articolo 5 descrive la casa di secondo livello per donne vittime di violenza come una struttura di ospitalità temporanea per le donne vittime di violenza e per i loro figlie/figli minori che non si trovino in situazione di pericolo immediato a causa della violenza e che necessitino di un periodo limitato di tempo per compiere il percorso di uscita dalla violenza e raggiungere l'autonomia. L'accesso alle case di secondo livello per donne vittime di violenza avviene per il tramite delle case rifugio, in raccordo con la rete dei servizi sociali del territorio.

L'articolo 2 definisce i centri antiviolenza come strutture predisposte per l'accoglienza di donne vittime di violenza di genere intra ed extra familiare e dei loro figli minori, indipendentemente dalla loro nazionalità, etnia, religione,orientamento sessuale, stato civile, credo politico e condizione economica. I centri devono essere gestiti da organizzazioni, attive ed esperte nell'accoglienza, protezione e sostegno delle donne e devono garantire, alle donne vittime di violenza e ai loro figli minori, servizi e spazi dedicati, che non devono essere usati per altri scopi o per altri tipi di utenza. I centri antiviolenza devono essere presenti in modo uniforme su tutto il territorio nazionale in misura di almeno uno ogni 10.000 abitanti, ai sensi della raccomandazione dell'Unione europea approvata nel Meeting sulla violenza contro le donne, tenutosi in Finlandia dall'8 al 10 novembre 1999.

Si ricorda che la legge quadro 328/2000 per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali fa rientrare nei  livelli essenziali delle prestazioni sociali le misure di sostegno alle donne in difficoltà. Con la disposizione in esame, viene pertanto rispettata in maniera coerente la competenza dei vari livelli territoriali, con lo Stato che fissa i livelli essenziali dei diritti civili e sociali da garantire uniformemente e le regioni che disegnano il sistema integrato di interventi e servizi sociali includendovi i centri antiviolenza.

    I centri antiviolenza possono essere promossi da: 

  • enti locali, in forma singola o associata;
  • singoli, associazioni o organizzazioni operanti nel settore del sostegno e dell'aiuto alle donne vittime di violenza, che hanno maturato esperienze e competenze specifiche in materia di violenza contro le donne e che utilizzano una metodologia di accoglienza basata sulla relazione tra donne, con personale specificamente formato;
  • enti locali e singoli/associazioni e organizzazioni di concerto, d'intesa o in forma consorziata.

     I centri antiviolenza offrono consulenza legale, psicologica, lavorativa e sociale alle donne vittime di violenza, orientandole nella scelta dei servizi socio-sanitari e assistenziali territoriali, ovvero delle case rifugio di cui eventualmente avvalersi, indirizzandone e favorendone il percorso di reinserimento sociale e lavorativo. Al fine di prevenire ogni forma di discriminazione e di violenza fondata sull'orientamento sessuale, sull'identità di genere o sulle relazioni tra autore e vittima del reato, i centri antiviolenza svolgono attività di informazione e sensibilizzazione sulle fenomenologie e sulle cause della violenza e delle discriminazioni, nonché attività formative e culturali per il contrasto di tali fenomeni; conducono attività di rilevazione e di monitoraggio degli atti di violenza e discriminazione commessi nell'ambito del territorio di riferimento e redigono rapporti periodici sull'attività espletata. Tramite protocolli d'intesa, i centri antiviolenza si costituiscono in rete con le strutture pubbliche cui competono l'assistenza, la prevenzione e la repressione dei reati; con i servizi socio-assistenziali e sanitari; con i servizi di assistenza legale e alloggiativa, per il lavoro e per la formazione; con le strutture educative e scolastiche operanti nel territorio e con l'associazionismo e le organizzazioni di volontariato.

 

 In Italia i primi Centri antiviolenza sono stati attivi a partire dagli anni '80, a Bologna e Milano, e sono stati gestiti da gruppi di donne appartenenti al movimento femminista. Come risulta da una mappatura, a cura del Dipartimento Pari opportunità, i centri e le case rifugio in Italia sono diffusi su tutto il territorio nazionale, ma si collocano quasi interamente nel nord e nel centro del paese. I centri si sono strutturati, a partire da una sperimentazione che ha messo a frutto l'esperienza maturata negli altri paesi europei, sempre più come "servizi specializzati", elaborando un modello di intervento operante in rete con le altre agenzie territoriali. Alcuni Centri Antiviolenza sono in grado di offrire alloggio temporaneo per le donne che sono in grave pericolo di vita, esteso in caso di necessità ai figli/e.
L'esperienze regionali in materia disegnano una realtà molto più vivace che a livello nazionale. Anche in assenza di finanziamenti nazionali dedicati, numerose regioni hanno compreso, nelle normative dedicate al sistema integrato di servizi sociali, Centri antiviolenza rivolti alle donne, prevedendo poi interventi specifici nei Piani regionali.
Ma, la realtà italiana, così come emerge dalla rilevazione condotta nel 2011 dall'Associazione nazionale dei centri antiviolenza (D.i.Re, donne in rete contro la violenza) su 56 dei 66 centri antiviolenza iscritti, è preoccupante: solo il 55,4 per cento dei centri dispone di strutture (protette e non) per ospitare le donne ed i loro figli/e, solo il 33,9 per cento ha un numero verde dedicato, solo il 53,6 per cento è in grado di assicurare una reperibilità h 24 e la durata della permanenza a volte non è sufficiente a coprire del tutto le necessità di protezione delle donne. I Centri antiviolenza da tempo denunciano l' insufficienza delle risorse messe a disposizione: dei 56 centri il 60,7 per cento (34) ha come fonte principale di finanziamento l'Ente pubblico (Regione, Comune, Provincia, UE, altri soggetti pubblici), ma nel 37,9 per cento tale finanziamento è irrisorio (< 10.000 euro). Il 12,5 per cento (7) ha l'ente pubblico come unica fonte di finanziamento. Gli altri centri o si autofinanziano o si sostengono con le rette od hanno un finanziamento di provenienza prevalentemente dal privato.
Con l'emanazione da parte di numerose regioni italiane di leggi di contrasto al fenomeno della violenza sulle donne, sono state poi finanziate diverse tipologie di servizio pubblico o privato (centri ascolto, sportelli antiviolenza, centri donna, linee telefoniche e altro ancora) che si aggiungono ai centri antiviolenza gestiti dalle associazioni di donne già esistenti sul territorio.  Per quanto riguarda le leggi regionali in materia di violenza sulle donne, negli ultimi due anni, sono state approvate leggi contro la violenza sulle donne in Valle d'Aosta (L.R.  n. 4/2013, Interventi di prevenzione e di contrasto alla violenza di genere e misure di sostegno alle donne vittime di violenza di genere), nella Regione Siciliana (L.R. n. 3/2012, Norme per il contrasto e la prevenzione della violenza di genere), in Lombardia (L.R. n. 11/2012, Interventi di prevenzione, contrasto a favore delle donne vittime di violenza) nonché la già mezionata legge della Regione Veneto n. 5/2013.

 

L'articolo 3 è dedicato alle Case rifugio e al lavoro di rete e formazione integrata degli operatori. Le case rifugio sono definite  strutture in grado di offrire accoglienza e protezione alle donne vittime di violenza e ai loro figli minori, indipendentemente dal loro stato giuridico o dalla loro cittadinanza. A tal fine vengono proposti pogrammi personalizzati di recupero e di inclusione sociale, in grado di assicurare il sostegno necessario a ripristinare un'autonoma individualità, nel pieno rispetto della riservatezza e dell'anonimato.
     Alle case rifugio deve essere garantita la segretezza dell'ubicazione necessaria per la sicurezza delle vittime di violenza. Tali strutture assicurano l'anonimato, salvo diversa decisione della persona stessa; offrono i loro servizi anche a chi non risiede nel comune in cui è ubicata la struttura nonché alle vittime straniere e applicano la metodologia di accoglienza dei centri antiviolenza.

Come i Centri antiviolenza anche le case rifugio possono essere promosse da:  enti locali, singoli o associati; singoli, associazioni o organizzazioni operanti nel settore del sostegno e dell'aiuto alle donne vittime di violenza con esperienze e competenze specifiche in materia di violenza contro le donne; da tutti i soggetti precedentemente enumerati, di concerto, d'intesa o in forma consorziata.

     Anche qualora svolgano funzioni di servizi specialistici, i centri antiviolenza e le case rifugio operano in maniera integrata con la rete dei servizi socio-sanitari e assistenziali territoriali, tenendo conto delle necessità imprescindibili per la protezione delle persone che subiscono violenza.
     Per quanto riguarda gli operatori, indipendentemente dalle metodologie di intervento adottate e dai loro specifici profili professionali, la formazione delle diverse figure professionali dei centri antiviolenza e delle case rifugio promuove un approccio integrato alle fenomenologie della violenza, al fine di garantire il riconoscimento delle diverse dimensioni della violenza subita dalle persone, a livello relazionale, fisico, psicologico, sociale, culturale o economico. Fa altresì parte della formazione degli operatori dei centri antiviolenza e delle case rifugio il riconoscimento delle dimensioni della violenza riconducibili alle diseguaglianze di genere.

 

L'articolo 4 istituisce il Comitato nazionale sulla violenza di genere presso la Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento per le pari opportunità, con la finalità di garantire un coordinamento delle attività di prevenzione e di contrasto delle violenze di genere nel territorio nazionale nonché di studiare e di monitorare il fenomeno.
      Il Comitato, che elegge al suo interno un vicepresidente e un segretario e si dota di un regolamento per il suo funzionamento, svolge, nello specifico, i seguenti compiti (commi 2 e 4):

  • raccoglie i dati sugli atti di violenza perpetrati nel territorio nazionale al fine di costituire una banca dati nazionale alimentata dai soggetti pubblici e privati;
  • redige annualmente una relazione per le Camere sull'evoluzione delle fenomenologie criminali attinenti ai reati di violenza di genere, presenta la banca dati e propone nuovi strumenti legislativi e amministrativi di tutela delle vittime; 
  • verifica lo stato di attuazione delle politiche contro la violenza di genere nei diversi settori della vita politica, economica e sociale e segnala le opportune iniziative;
  • predispone e coordina campagne di educazione e di comunicazione sui reati di violenza di genere dedicando particolare attenzione a specifiche campagne di sensibilizzazione;
  • favorisce il coordinamento dei servizi antiviolenza nel territorio nazionale e dei progetti di prevenzione e di intervento, nonché del rapporto con le associazioni e con gli organismi impegnati nella prevenzione e nella lotta contro la violenza di genere;
  • fornisce, su richiesta dei Ministri competenti, pareri, informazioni e studi.

     Ai sensi dei commi 3, 4 e 5, il Comitato è composto da dodici membri, che durano in carica tre anni e non hanno diritto a percepire alcun compenso o indennità. Ai membri che hanno la sede di servizio fuori del comune sede della riunione del Comitato, o del gruppo di lavoro cui eventualmente partecipano, spetta il rimborso delle spese di viaggio, purché debitamente documentate. È inoltre riconosciuto il rimborso delle spese di viaggio, vitto e alloggio per eventuali missioni deliberate dal Comitato. Nello specifico il Comitato è composto da: 

  • il Ministro delegato per le pari opportunità, che lo presiede;
  • cinque componenti designati nell'ambito delle associazioni e dei movimenti che operano in materia di violenza di genere maggiormente rappresentativi sul piano nazionale; 
Ai sensi del comma 6 sono considerati maggiormente rappresentativi sul piano nazionale le associazioni e i movimenti che presentano almeno tre dei seguenti requisiti elencati in ordine di priorità:a) competenza in materia di attività contro la violenza di genere e per la promozione delle politiche femminili; la competenza è determinata in base alla previsione statutaria, ove esistente, e all'attività svolta in un arco temporale di riferimento triennale; b) presenza ramificata nel territorio; c) numero degli iscritti; d) rapporti di collaborazione con altre associazioni o con altri movimenti aventi i medesimi obiettivi statutari; e) ruolo assunto nell'ambito di organismi, commissioni o comitati promossi dalle istituzioni per problemi riguardanti la condizione femminile e per problemi con essi connessi; f) ruolo assunto nell'ambito di organismi internazionali deputati alla lotta contro la violenza di genere o, comunque, alla promozione delle pari opportunità tra uomo e donna; g) progetti di attività presentati per il contrasto della violenza di genere e per garantire pari opportunità tra uomo e donna; h) consolidata presenza nel settore; i) finanziamenti dell'Unione europea o di istituzioni nazionali per la realizzazione di azioni e di progetti nell'ultimo triennio. Ai sensi del comma 7, la nomina dei membri è effettuata dal Ministro delegato per le pari opportunità in base alle domande inviate dai soggetti designati dalle associazioni e dai movimenti a seguito di avviso pubblico emanato dallo stesso Ministro.
  • tre rappresentanti regionali designati dalla Conferenza Stato-regioni;
  • tre rappresentanti degli enti locali che hanno attivato servizi di cui alla presente legge designati dall'Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI).

      I membri del Comitato durano in carica tre anni.    

 

L'articolo 5 prevede, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame, l'emanazione di un decreto da parte del Ministro delegato per le pari opportunità, lo sport e le politiche giovanili, d'intesa con la Conferenza Stato-regioni, per l'adozione di misure volte a istituire o a sostenere programmi nazionali di intervento di carattere preventivo e di trattamento destinati agli autori di atti di violenza contro le donne al fine di prevenire nuove violenze.

 

L'articolo 6 prevede la predisposizione, da parte del Ministro della salute, previa intesa in sede di Conferenza Stato-regioni, di linee guida per le strutture sanitarie volte a:

  • definire un piano formativo uniforme in tutto il territorio nazionale, avvalendosi anche di formatori provenienti dalle realtà istituzionali già operanti e dai centri antiviolenza, dall'associazionismo femminile e dal privato sociale, con l'obiettivo di sensibilizzare gli operatori sanitari ospedalieri e territoriali per il riconoscimento e per un'adeguata accoglienza delle vittime di violenza di genere e domestica;
  • rendere omogeneo lo sviluppo di servizi idonei all'assistenza alle vittime di violenza di genere e domestica presso i pronto soccorso ospedalieri definendo modalità di assegnazione del codice colore di gravità, inserendo un nuovo codice gratuito, denominato codice rosa, che consenta una presa in carico delle vittime con tempi di attesa ridotta, con modalità specifiche che salvaguardano e proteggono la vittima di violenza, nonché assicurano la presenza di operatori specializzati in stretto collegamento con la rete territoriale dei centri antiviolenza e con i medici di medicina generale operanti nel territorio.

 

L'articolo 7 è dedicato alla presenza, in ciascuna questura, di personale dedicato, in possesso di una formazione specifica in materia di violenza di genere, competente a ricevere le denunce o le querele da parte delle vittime di tali delitti. La presenza del personale dedicato deve essere assicurata dalle questure entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame. Un decreto del Ministro dell'interno, da emanare entro tre mesi dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame, dovrà stabilire:

  • la quota del personale competente a ricevere le denunce delle vittime della violenza di genere;
  • le caratteristiche e le modalità di organizzazione dei corsi di formazione professionale in materia di tutela delle vittime dei delitti. La partecipazione a tali corsi è condizione necessaria per lo svolgimento delle funzioni del personale competente a ricevere le denunce delle vittime della violenza di genere;
  • le modalità di raccordo tra i presìdi territoriali delle Forze dell'ordine e i centri antiviolenza operanti nel territorio.

 

L'articolo 8 istituisce campagne di informazione rivolte ai cittadini allo scopo di pubblicizzare le strutture e i servizi dedicati al sostegno e alla protezione delle vittime della violenza di genere, nonché agli interventi adottati, anche al fine di incoraggiare le vittime della violenza di genere a denunciare i soprusi subiti in modo da garantire loro un'adeguata protezione da parte dallo Stato. Il Ministro delegato per le pari opportunità, di concerto con il Ministro della giustizia e d'intesa con il Ministro della salute, sentito il Comitato, promuove e coordina le attività a tal fine necessarie.

 

L'articolo 9 istituisce il Fondo per il contrasto della violenza nei confronti delle donne presso la Presidenza del Consiglio dei ministri. Il Fondo è finanziato annualmente dalla legge di stabilità.
   Le risorse del Fondo sono ripartite annualemnte con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, sentiti il Ministro delegato per le pari opportunità, e il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, previa intesa in sede di Conferenza Stato-regioni, tenendo conto:

  • della programmazione regionale e degli interventi già operativi per contrastare la violenza nei confronti delle donne;
  • dei centri antiviolenza privati operanti in ogni regione;
  • dei centri antiviolenza comunali operanti in ogni regione;
  • della necessità di riequilibrare la presenza dei centri antiviolenza in ogni regione riservando un terzo dei fondi disponibili all'istituzione di nuovi centri antiviolenza al fine di garantirne la presenza  in misura di almeno uno ogni 10.000 abitanti (ai sensi del comma 2 dell'articolo 2).

 

L'articolo 10 reca la copertura finanziaria, prevedendo la dotazione del Fondo per il contrasto della violenza nei confronti delle donne.  Per ciascuno degli anni 2013, 2014 e 2015, la dotazione prevista è pari a 80 milioni di euro. Al relativo onere si provvede a valere sui maggiori risparmi di spesa di cui all'articolo 1, comma 01, del decreto-legge n. 138/2011, conseguiti dalle amministrazioni centrali attraverso una progressiva riduzione della spesa corrente primaria in rapporto al prodotto interno lordo. In tal senso, le spese di funzionamento, relative alle missioni di ciascun Ministero, sono ridotte, in via permanente, per un importo aggiuntivo pari a 80 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2013.

 

L'articolo 1, commi 01 e 02, del decreto-legge 138/2011 reca disposizioni finalizzate a consentire alle Amministrazioni centrali – in coerenza con il programma di riorganizzazione della spesa pubblica di cui al precedente articolo 01 – di pervenire ad un progressivo contenimento della spesa corrente primaria in rapporto al PIL - attraverso la riduzione delle spesa di funzionamento, interventi, oneri comuni, relative alle missioni di spesa di ciascun Ministero per gli anni 2012 e 2013 – nonché di conseguire gli obiettivi di risparmio anche attraverso il riconoscimento di una maggiore flessibilità nella variazione delle dotazioni di bilancio. Più in dettaglio, il comma 01 prevede che nel corso degli anni 2012 e 2013, nella misura delle risorse finanziarie che si rendessero disponibili a seguito dell'attuazione del programma di revisione integrale della spesa pubblica previsto dall'articolo 01:
  1.  le spese di funzionamento relative alle missioni di spesa di ciascun Ministero potranno essere ridotte fino all'1 per cento per ciascun anno rispetto alle spese risultanti dal bilancio consuntivo relativo all'anno 2010;
  2.  le dotazioni finanziarie delle missioni di spesa di ciascun Ministero, previste dalla legge di bilancio e relative agli interventi, potranno essere ridotte fino all'1,5 per cento.
Nei medesimi limiti finanziari previsti dal periodo precedente – ossia le risorse disponibili a seguito della revisione della spesa - per gli stessi anni 2012 e 2013 le dotazioni finanziarie per le missioni di spesa per ciascun Ministero previste dalla legge di bilancio, relative agli oneri comuni di parte corrente e di conto capitale, potranno invece essere ridotte fino allo 0,5 per cento per ciascuno dei due anni.


Relazioni allegate o richieste

Si tratta di una proposta di legge di iniziativa parlamentare, corredata, pertanto, della sola relazione illustrativa.



Necessità dell'intervento con legge

Si tratta di un provvedimento diretto a stabilire uno standard uniforme sul territorio nazionale relativo alla presenza di strutture e di strumenti a tutela delle donne vittime violenza. A tal fine esso dispone anche l'istituzione di nuovi organismi presso l'amministrazione centrale, di un Fondo per il contrasto della violenza nei confronti delle donne e pervede l'emanazione di linee guida ministeriali per le strutture sanitarie previa intesa in sede di Conferenza Stato-regioni. Si giustifica, pertanto, l'utilizzazione dello strumento legislativo.



Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite

Il provvedimento è diretto a definire interventi di sostegno nei confronti delle donne vittime di violenza volti a consentire di riristinare la propria inviolabilità e di riconquistare la propria libertà nel pieno rispetto della riservatezza e dell'anonimato, sia mediante l'istituzione di Centri antiviolenza e di case rifugio, che mediante l'istituzione di uno specifico Comitato presso la Presidenza del consiglio dei ministri, di un Fondo per il contrasto alla violenza alle donne presso la Presidenza medesima, e la previsone di personale con caratteristiche specifiche presso ciascuna questura.

Esso appare pertanto riconducibile sia alla competenza legislativa esclusiva dello Stato,sotto molteplici profili, di cui all'articolo 117, comma 2, lettera g (ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali), h (ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale) ed m (determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il terriotrio nazionale), sia alla competenza legislativa esclusiva delle regioni. In ossequio al principio di "leale collaborazione" (cfr., tra le altre, sentenza Corte Cost. n. 407/2002), in alcune disposizioni (cfr. artt. 5, 6 e 9) è contemplata la previa intesa in sede di Conferenza Stato-regioni.



Compatibilità comunitaria



Documenti all'esame delle istituzioni dell'Unione europea

Il Trattato di Lisbona ha riaffermato il principio di uguaglianza tra donne e uomini (già enunciato agli articoli 2, 3 e 13 del previgente Trattato istitutivo della Comunità europea - TCE), inserendolo tra i valori (art. 2 Trattato sull'Unione europea - TUE) e tra gli obiettivi dell'Unione (art. 3, par. 3 TUE). La dichiarazione n. 19 annessa ai Trattati afferma che l'Unione mirerà a lottare contro tutte le forme di violenza domestica. La stessa dichiarazione impegna gli Stati membri ad adottare tutte le misure necessarie per prevenire e punire tali atti criminali e per sostenere e proteggere le vittime. L'eradicazione di tutte le forme di violenza fondate sul genere costituisce una priorità della Strategia 2010-2015 per la promozione della parità fra uomini e donne nell'Unione europea, nonché del Programma di Stoccolma per lo Spazio di libertà sicurezza e giustizia, 2010- 2014.

In questo quadro, tra i recenti interventi legislativi volti a dotare l'Unione europea di strumenti condivisi nella tutela delle vittime di reato, con particolare riguardo alla protezione delle donne vittime di violenza domestica in tutto il territorio dell'UE, si segnala l'adozione della direttiva 2011/99/UE che istituisce l'"Ordine di protezione europeo", inteso quale strumento basato sul principio del reciproco riconoscimento nell'ambito della cooperazione giudiziaria in materia penale. Emesso su richiesta della persona interessata qualora essa stia per lasciare o abbia lasciato il territorio dello Stato membro che aveva originariamente emesso una misura di protezione in suo favore, l'Ordine di protezione europeo (OPE) sarà riconosciuto nello Stato membro di destinazione che ne darà esecuzione in base alla sua legislazione nazionale.

In particolare, la direttiva stabilisce che l'ordine di protezione europeo potrà essere emesso solo se nello Stato di emissione sia stata precedentemente adottata una misura di protezione che imponga alla persona che determina il pericolo uno o più dei seguenti divieti o delle seguenti restrizioni:

  1. divieto di frequentare determinate località, determinati luoghi o determinate zone definite in cui la persona protetta risiede o che frequenta;
  2. divieto o regolamentazione dei contatti, in qualsiasi forma, con la persona protetta, anche per telefono, posta elettronica o ordinaria, fax o altro; o
  3. divieto o regolamentazione dell'avvicinamento alla persona protetta entro un perimetro definito.

La direttiva dovrà essere recepita dagli Stati membri entro l'11 gennaio 2015. Per quanto riguarda l'Italia, essa figura nell'allegato B della Legge di delegazione europea 2013 (Legge 6 agosto 2013, n 96).

La disciplina citata è stata recentemente completata, per i profili attinenti alla cooperazione giudiziaria in materia civile, con l'adozione del regolamento (UE) n. 606/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 giugno 2013. Parallelamente al citato Ordine di protezione europeo in materia penale, in forza del nuovo regolamento le vittime di stalking, di molestie, o di violenza di genere, e le vittime di violenza domestica in generale (nella maggior parte dei casi, donne o bambini) che abbiano ottenuto dal proprio Stato membro misure di protezione nell'ambito di procedimenti in materia civile potranno spostarsi in altro Stato dell'UE senza che ciò determini la perdita di tale protezione.

Si tratta di un'applicazione specifica a tale settore del principio di riconoscimento e del non exequatur (abolizione della dichiarazione di esecutività di un provvedimento ai fini della sua efficacia in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata adottato). In particolare, secondo il regolamento la misura di protezione disposta in uno Stato membro nell'ambito di un procedimento in materia civile è immediatamente riconosciuta in un altro Stato membro senza che sia necessario il ricorso ad alcuna procedura particolare ed è esecutiva senza che sia richiesta una dichiarazione di esecutività.

Un aggiornamento del quadro normativo generale è stato realizzato con l'adozione della direttiva 2012/29/UE che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato.

La direttiva, che sostituisce la decisione quadro 2001/220/GAI sulla stessa materia, dovrà essere recepita dagli Stati membri entro il 16 novembre 2015. Anche in questo caso, per quanto riguarda l'Italia, la direttiva figura nell'allegato B della Legge di delegazione europea 2013 (Legge 6 agosto 2013, n. 96)

La direttiva contiene un particolare riferimento alla necessità di protezione specifica per le donne vittime di violenza di genere e di violenza domestica e per i loro figli, a motivo dell'elevato rischio di vittimizzazione secondaria e ripetuta, di intimidazione e di ritorsioni, connesso a tale violenza. La direttiva dedica inoltre una particolare attenzione alle vittime di varie forme di pratiche dannose, quali i matrimoni forzati, i cd. "reati d'onore" e la mutilazione genitale femminile. La direttiva sancisce diritti minimi ovunque esse si trovino nell'UE, al fine di garantire, in particolare, che le vittime di reato siano informate dei loro diritti e delle cause che li riguardano in un modo a loro comprensibile,  siano protette durante la fase delle indagini e quella del procedimento penale; possano prendere parte al procedimento se lo desiderano e siano aiutate ad assistere al processo. La direttiva reca inoltre disposizioni affinché le vittime vulnerabili, come minori, vittime di stupro o persone disabili, siano identificate e siano adeguatamente tutelate e prevede l'introduzione di percorsi di formazione specifica per le autorità di contrasto e per gli operatori nel settore.  

L'appello ad una sollecita attuazione dei citati atti normativi nelle legislazioni nazionali al fine di garantire la protezione delle vittime, è contenuto nelle conclusioni adottate dal Consiglio Affari sociali il 6 dicembre 2012 dal titolo "Lotta alla violenza contro le donne e servizi di sostegno a favore delle vittime di violenza domestica". Il documento impegna peraltro gli Stati membri a:

  • migliorare la raccolta e la diffusione di dati amministrativi e statistici comparabili, affidabili e regolarmente aggiornati, disaggregati per genere, età e relazione vittima-autore della violenza, riguardanti le vittime e gli autori di tutte le forme di violenza contro le donne, collaborando con gli istituti di statistica nazionali ed europei e avvalendosi pienamente, laddove opportuno, dell'operato dell'Istituto europeo per l'uguaglianza di genere, e sostenere la ricerca e lo scambio di buone pratiche in questo settore;
  • migliorare la registrazione e il trattamento delle denunce, ricevute a livello di Stati membri, da parte delle autorità di polizia, giudiziarie, sanitarie e sociali e delle altre autorità, agenzie, istituzioni e ONG competenti;
  • fornire adeguata formazione per il personale specializzato del settore che si occupa delle vittime e degli autori di tutti gli atti di violenza contro le donne e, se del caso, e conformemente alla normativa e alle prassi nazionali, rafforzare le unità speciali e/o le unità di polizia e le task force speciali che si occupano delle donne vittime di tali atti;
  • rafforzare il servizio sanitario nazionale e le infrastrutture sociali per promuovere la parità di accesso delle donne vittime della violenza all'assistenza sanitaria pubblica e affrontare le conseguenze sulla salute di tutte le forme di violenza contro donne e ragazze;
  • vagliare la possibilita di creare una helpline europea riservata alle donne vittime di violenze e di designare il 2015 Anno europeo della tolleranza zero nei confronti della violenza contro le donne.

Merita da ultimo segnalare l'insieme di raccomandazioni formulate dal Parlamento europeo nella risoluzione del 5 aprile 2011 sulle priorità e sulla definizione di un nuovo quadro politico dell'UE in materia di lotta alla violenza contro le donne. La risoluzione propone che si adotti un nuovo approccio politico globale contro la violenza di genere che comprenda, tra i suoi principali elementi:

  • uno strumento di diritto penale sotto forma di una direttiva contro la violenza di genere;
  • misure per trattare le sei «P» del quadro sulla violenza contro le donne (politica, prevenzione, protezione, procedimento giudiziario, provvedimenti e partenariato);
  • richieste agli Stati membri affinché garantiscano che i colpevoli siano puniti in funzione della gravità del crimine perpetrato;
  • richieste agli Stati membri di garantire la formazione dei funzionari che possono trovarsi a trattare casi di violenza contro le donne, compreso il personale incaricato dell'applicazione della legge, dell'assistenza sociale, dell'assistenza ai minori, della sanità e dei centri di emergenza, onde individuare, identificare e gestire adeguatamente tali casi, incentrandosi particolarmente sulle necessità e sui diritti delle vittime;
  • piani di sviluppo di procedure d'indagine specifiche per le forze di polizia e i professionisti del settore sanitario ai fini dell'acquisizione delle prove della violenza di genere;
  • proposte politiche per aiutare le vittime a rifarsi una vita, che tengano conto delle necessità specifiche delle varie categorie di vittime tra cui le donne appartenenti a minoranze, oltre a garantire la loro sicurezza e il recupero della salute psicofisica, e misure che favoriscano lo scambio di informazioni e migliori prassi sul trattamento delle vittime sopravvissute alla violenza contro le donne;
  • l'introduzione di meccanismi specifici di identificazione e diagnosi nei servizi di pronto soccorso degli ospedali e nella rete di assistenza primaria, al fine di consolidare un sistema di accesso e di monitoraggio più efficiente per le vittime;
  • richieste agli Stati membri affinché forniscano una dimora sicura alle vittime della violenza di genere in cooperazione con le ONG pertinenti,
  • requisiti minimi sul numero delle strutture di assistenza ogni 10 000 abitanti per le vittime della violenza di genere, sotto forma di centri specializzati nell'aiuto alle vittime;
  • l'elaborazione di una Carta europea di servizi minimi di assistenza per le vittime della violenza contro le donne che includa il diritto all'assistenza legale gratuita, la creazione di centri dimora che coprano le necessità di protezione e alloggio temporaneo delle vittime, servizi di assistenza psicologica gratuiti, specializzati, decentralizzati e accessibili e un regime di assistenza economica che promuova l'autonomia delle vittime e faciliti il ritorno a una vita normale e al mondo del lavoro;
  • requisiti minimi per garantire che le vittime ricevano il sostegno necessario da parte di professionisti, quale la consulenza di un legale a prescindere dal loro ruolo nei procedimenti penali;
  • meccanismi atti a facilitare l'accesso all'assistenza giuridica che permettano alle vittime di far valere i propri diritti in tutta l'Unione;
  • piani per la messa a punto di linee guida sul metodo e la realizzazione di nuove campagne per la raccolta di dati, al fine di ottenere dati statistici raffrontabili sulla violenza di genere, inclusi la mutilazione genitale femminile, al fine di identificare l'estensione del problema e fornire una base per modificare l'azione nei confronti del problema;
  • l'introduzione di misure nei contratti collettivi e la promozione del coordinamento tra datori di lavoro, sindacati e imprese, nonché tra i rispettivi organi di gestione, allo scopo di fornire alle vittime le informazioni pertinenti sui loro diritti lavorativi;
  • un aumento del numero dei tribunali specificamente preposti a trattare i casi di violenza di genere; un incremento delle risorse e dei contenuti nella formazione dei giudici, dei procuratori e degli avvocati in materia di violenza di genere e un miglioramento delle unità specializzate degli organi preposti all'applicazione della legge, attraverso l'aumento degli effettivi e il miglioramento della formazione e delle risorse materiali.

 

Si ricorda infine che l'Agenzia per i diritti fondamentali dell'Unione europea sta svolgendo una ricerca sull'entità dei fenomeni di violenza di genere nei 28 Stati membri UE, i cui risultati definitivi dovrebbero essere presentati nel corso del primo trimestre 2014.

Il sostegno finanziario UE

Nelle citate conclusioni in materia di "Lotta alla violenza contro le donne e servizi di sostegno a favore delle vittime di violenza domestica", adottate il 6 dicembre 2012, il Consiglio Affari sociali ha invitato gli Stati membri e la Commissione europea, nell'ambito delle rispettive competenze, a definire, attuare e migliorare, se già esistenti, piani d'azione, programmi o strategie coordinati, di carattere globale, multidisciplinare e multi-agenzia, per combattere tutte le forme di violenza contro donne e ragazze tramite il coinvolgimento di tutte le parti interessate pertinenti e l'abbinamento di misure legislative e non legislative finalizzate alla prevenzione e all'eliminazione della violenza, alla fornitura di protezione e sostegno alle vittime, all'azione penale contro gli autori di violenze; e garantire finanziamenti adeguati e sostenibili per l'attuazione delle suddette politiche e per il funzionamento dei servizi.

In proposito si ricorda che l'Unione europea sostiene le iniziative degli Stati membri volte al contrasto alla violenza di genere attraverso il programma finanziario Daphne III, con una dotazione pari 116,85 milioni di euro per il periodo 2007-2013. Adottato con decisione 2007/779/UE, esso integra i programmi esistenti negli Stati membri e si basa sulle politiche e sugli obiettivi definiti nei due programmi precedenti (Daphne e Daphne II).

Il programma mira, in particolare, a:

  • assistere e incoraggiare le organizzazioni non governative (ONG) e le altre organizzazioni impegnate contro la violenza;
  • costituire reti multidisciplinari, al fine di rafforzare la cooperazione tra le ONG;
  • sviluppare e attuare azioni di sensibilizzazione destinate a pubblici specifici;
  • diffondere i risultati ottenuti nell'ambito dei due programmi Daphne precedenti;
  • assicurare lo scambio di informazioni e di buone pratiche, per esempio tramite visite studio e scambi di personale;
  • studiare i fenomeni collegati alla violenza e il relativo impatto sia sulle vittime che sulla società (costi sociali, economici e relativi all'assistenza sanitaria);
  • sviluppare programmi di sostegno per le vittime e le persone a rischio e programmi d'intervento per gli autori delle violenze.

Per quanto riguarda il nuovo quadro finanziario 2014-2020, è attualmente all'esame delle istituzioni UE, la proposta di regolamento che istituisce il programma Diritti e cittadinanza per il periodo 2014-2020 (COM(2011)758). Il nuovo programma si pone, in un'ottica di semplificazione e razionalizzazione, come successore di tre programmi esistenti: Diritti fondamentali e cittadinanza, Daphne III, le sezioni "diversità e lotta contro la discriminazione" e "parità fra uomini e donne" del programma per l'occupazione e la solidarietà sociale (PROGRESS).

In base all'accordo interistituzionale raggiunto nel giugno 2013, la dotazione complessiva del nuovo programma per il periodo 2014-2020 risulta essere pari a 382,2 milioni di euro.