Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione
(Versione per stampa)
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Autore: | Servizio Studi - Dipartimento affari sociali | ||||||
Titolo: | Disposizioni per il contrasto della violenza sulle donne, l'assistenza delle vittime e la promozione della soggettività femminile - A.C. 951 - Elementi per l'istruttoria legislativa | ||||||
Riferimenti: |
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Serie: | Progetti di legge Numero: 62 | ||||||
Data: | 10/09/2013 | ||||||
Descrittori: |
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Organi della Camera: | XII-Affari sociali |
Disposizioni per il contrasto della violenza sulle donne, l'assistenza delle vittime e la promozione della soggettività femminile
10 settembre 2013
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Indice |
Contenuto|Relazioni allegate o richieste|Necessità dell'intervento con legge|Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite|Compatibilità comunitaria| |
Contenuto |
Quadro normativoFino agli anni a noi più vicini l'ordinamento italiano non ha configurato misure volte a contrastare specificamente ed esclusivamente condotte violente in danno delle donne, nè ha  previsto specifiche aggravanti quando alcuni delitti abbiano la donna come vittima. Per il nostro diritto penale, se si esclude il delitto di mutilazioni genitali femminili, il genere della persona offesa dal reato non assume uno specifico rilievo (e conseguentemente non è censito nelle statistiche giudiziarie). La mancanza di dati statistici ufficiali ed aggiornati sul numero di delitti commessi a danno di donne è stata più volte stigmatizzata (e in Parlamento sono state presentate apposite proposte di legge volte ad ovviare a questa grave mancanza di indicatori, v. infra). I pochi dati ufficiali, ma soprattutto i sempre più drammatici, frequenti ed efferati episodi di cronaca danno peraltro ampia percezione di quanto la violenza nei confronti delle donne sia un fenomeno in aumento.  L'ultima indagine dell'Istat (del 2007, relativa a «La violenza e i maltrattamenti contro le donne dentro e fuori la famiglia - Anno 2006») parla di 6 milioni e 743 mila donne dai 16 ai 70 anni rimaste vittime di molestie o violenze fisiche, psichiche o sessuali nel corso della vita (una donna su tre tra i 16 ed i 70 anni); circa 1 milione di donne ha subito stupri o tentati stupri (il 4,8 per cento della popolazione femminile globale); il 14,3 per cento delle donne ha subito almeno una violenza fisica o sessuale dal proprio partner; il 24,7 per cento delle donne ha subito violenze da un altro uomo, 2 milioni e 77 mila donne hanno subito comportamenti persecutori (stalking), dai partner al momento della separazione. Va, in ogni caso, considerato che moltissimi episodi di violenza (circa il 96% delle violenze da un non partner e il 93% per cento di quelle da partner) non vengono comunque denunciati.  Quanto ai dati ufficiali, gli unici dati oggi disponibili provengono dal Ministero dell'Interno e riguardano i delitti denunciati all'autorità giudiziaria da Polizia di Stato, Arma dei Carabinieri e Guardia di Finanza. Nell'ambito dei dati del 2010, rielaborati dall'ISTAT, è censito il genere della vittima del delitto denunciato dalle forze di polizia all'autorità giudiziaria (manca dunque ogni accertamento sull'effettiva sussistenza di un delitto).  Â
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Contenuto della proposta di leggeLa proposta di legge  A.C. 951 (Murer ed altri), composta da 10 articoli, intende promuovere interventi di sostegno e protezione per le donne vittime di violenza di genere attraverso l'istituzione di servizi dedicati, quali i centri antiviolenza e le case rifugio. Il progetto di legge in esame risponde alle raccomadazioni in materia, rivolte all'Italia dall'Unione europea e dall'ONU, prevedendo nello specifico:
 Al fine di assicurare la necessaria tutela e il recupero di una condizione di vita normale, lo Stato, in collaborazione con le regioni, gli enti locali, le istituzioni, le associazioni e le organizzazioni attive nella lotta e nella prevenzione della violenza sulle donne e sui minori, promuove e favorisce l'attivazione di centri antiviolenza, di case rifugio e di case di secondo livello per le donne vittime di violenza e per i loro figli minori (articolo 1).  La pdl in esame non fornisce maggiori indicazioni circa le case di secondo livello. A tal fine, può apparire utile far riferimento alla Legge Regione Veneto 23 aprile 2013, n. 5, che all'articolo 5 descrive la casa di secondo livello per donne vittime di violenza come una struttura di ospitalità temporanea per le donne vittime di violenza e per i loro figlie/figli minori che non si trovino in situazione di pericolo immediato a causa della violenza e che necessitino di un periodo limitato di tempo per compiere il percorso di uscita dalla violenza e raggiungere l'autonomia. L'accesso alle case di secondo livello per donne vittime di violenza avviene per il tramite delle case rifugio, in raccordo con la rete dei servizi sociali del territorio.
L'articolo 2 definisce i centri antiviolenza come strutture predisposte per l'accoglienza di donne vittime di violenza di genere intra ed extra familiare e dei loro figli minori, indipendentemente dalla loro nazionalità , etnia, religione,orientamento sessuale, stato civile, credo politico e condizione economica. I centri devono essere gestiti da organizzazioni, attive ed esperte nell'accoglienza, protezione e sostegno delle donne e devono garantire, alle donne vittime di violenza e ai loro figli minori, servizi e spazi dedicati, che non devono essere usati per altri scopi o per altri tipi di utenza. I centri antiviolenza devono essere presenti in modo uniforme su tutto il territorio nazionale in misura di almeno uno ogni 10.000 abitanti, ai sensi della raccomandazione dell'Unione europea approvata nel Meeting sulla violenza contro le donne, tenutosi in Finlandia dall'8 al 10 novembre 1999. Si ricorda che la legge quadro 328/2000 per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali fa rientrare nei livelli essenziali delle prestazioni sociali le misure di sostegno alle donne in difficoltà . Con la disposizione in esame, viene pertanto rispettata in maniera coerente la competenza dei vari livelli territoriali, con lo Stato che fissa i livelli essenziali dei diritti civili e sociali da garantire uniformemente e le regioni che disegnano il sistema integrato di interventi e servizi sociali includendovi i centri antiviolenza.    I centri antiviolenza possono essere promossi da:Â
    I centri antiviolenza offrono consulenza legale, psicologica, lavorativa e sociale alle donne vittime di violenza, orientandole nella scelta dei servizi socio-sanitari e assistenziali territoriali, ovvero delle case rifugio di cui eventualmente avvalersi, indirizzandone e favorendone il percorso di reinserimento sociale e lavorativo. Al fine di prevenire ogni forma di discriminazione e di violenza fondata sull'orientamento sessuale, sull'identità di genere o sulle relazioni tra autore e vittima del reato, i centri antiviolenza svolgono attività di informazione e sensibilizzazione sulle fenomenologie e sulle cause della violenza e delle discriminazioni, nonché attività formative e culturali per il contrasto di tali fenomeni; conducono attività di rilevazione e di monitoraggio degli atti di violenza e discriminazione commessi nell'ambito del territorio di riferimento e redigono rapporti periodici sull'attività espletata. Tramite protocolli d'intesa, i centri antiviolenza si costituiscono in rete con le strutture pubbliche cui competono l'assistenza, la prevenzione e la repressione dei reati; con i servizi socio-assistenziali e sanitari; con i servizi di assistenza legale e alloggiativa, per il lavoro e per la formazione; con le strutture educative e scolastiche operanti nel territorio e con l'associazionismo e le organizzazioni di volontariato.   In Italia i primi Centri antiviolenza sono stati attivi a partire dagli anni '80, a Bologna e Milano, e sono stati gestiti da gruppi di donne appartenenti al movimento femminista. Come risulta da una mappatura, a cura del Dipartimento Pari opportunità , i centri e le case rifugio in Italia sono diffusi su tutto il territorio nazionale, ma si collocano quasi interamente nel nord e nel centro del paese. I centri si sono strutturati, a partire da una sperimentazione che ha messo a frutto l'esperienza maturata negli altri paesi europei, sempre più come "servizi specializzati", elaborando un modello di intervento operante in rete con le altre agenzie territoriali. Alcuni Centri Antiviolenza sono in grado di offrire alloggio temporaneo per le donne che sono in grave pericolo di vita, esteso in caso di necessità ai figli/e.
L'esperienze regionali in materia disegnano una realtà molto più vivace che a livello nazionale. Anche in assenza di finanziamenti nazionali dedicati, numerose regioni hanno compreso, nelle normative dedicate al sistema integrato di servizi sociali, Centri antiviolenza rivolti alle donne, prevedendo poi interventi specifici nei Piani regionali.
Ma, la realtà italiana, così come emerge dalla rilevazione condotta nel 2011 dall'Associazione nazionale dei centri antiviolenza (D.i.Re, donne in rete contro la violenza) su 56 dei 66 centri antiviolenza iscritti, è preoccupante: solo il 55,4 per cento dei centri dispone di strutture (protette e non) per ospitare le donne ed i loro figli/e, solo il 33,9 per cento ha un numero verde dedicato, solo il 53,6 per cento è in grado di assicurare una reperibilità h 24 e la durata della permanenza a volte non è sufficiente a coprire del tutto le necessità di protezione delle donne. I Centri antiviolenza da tempo denunciano l' insufficienza delle risorse messe a disposizione: dei 56 centri il 60,7 per cento (34) ha come fonte principale di finanziamento l'Ente pubblico (Regione, Comune, Provincia, UE, altri soggetti pubblici), ma nel 37,9 per cento tale finanziamento è irrisorio (< 10.000 euro). Il 12,5 per cento (7) ha l'ente pubblico come unica fonte di finanziamento. Gli altri centri o si autofinanziano o si sostengono con le rette od hanno un finanziamento di provenienza prevalentemente dal privato.
Con l'emanazione da parte di numerose regioni italiane di leggi di contrasto al fenomeno della violenza sulle donne, sono state poi finanziate diverse tipologie di servizio pubblico o privato (centri ascolto, sportelli antiviolenza, centri donna, linee telefoniche e altro ancora) che si aggiungono ai centri antiviolenza gestiti dalle associazioni di donne già esistenti sul territorio. Per quanto riguarda le leggi regionali in materia di violenza sulle donne, negli ultimi due anni, sono state approvate leggi contro la violenza sulle donne in Valle d'Aosta (L.R. n. 4/2013, Interventi di prevenzione e di contrasto alla violenza di genere e misure di sostegno alle donne vittime di violenza di genere), nella Regione Siciliana (L.R. n. 3/2012, Norme per il contrasto e la prevenzione della violenza di genere), in Lombardia (L.R. n. 11/2012, Interventi di prevenzione, contrasto a favore delle donne vittime di violenza) nonché la già mezionata legge della Regione Veneto n. 5/2013.  L'articolo 3 è dedicato alle Case rifugio e al lavoro di rete e formazione integrata degli operatori. Le case rifugio sono definite strutture in grado di offrire accoglienza e protezione alle donne vittime di violenza e ai loro figli minori, indipendentemente dal loro stato giuridico o dalla loro cittadinanza. A tal fine vengono proposti pogrammi personalizzati di recupero e di inclusione sociale, in grado di assicurare il sostegno necessario a ripristinare un'autonoma individualità , nel pieno rispetto della riservatezza e dell'anonimato. Come i Centri antiviolenza anche le case rifugio possono essere promosse da: enti locali, singoli o associati; singoli, associazioni o organizzazioni operanti nel settore del sostegno e dell'aiuto alle donne vittime di violenza con esperienze e competenze specifiche in materia di violenza contro le donne; da tutti i soggetti precedentemente enumerati, di concerto, d'intesa o in forma consorziata.     Anche qualora svolgano funzioni di servizi specialistici, i centri antiviolenza e le case rifugio operano in maniera integrata con la rete dei servizi socio-sanitari e assistenziali territoriali, tenendo conto delle necessità imprescindibili per la protezione delle persone che subiscono violenza.  L'articolo 4 istituisce il Comitato nazionale sulla violenza di genere presso la Presidenza del Consiglio dei ministri – Dipartimento per le pari opportunità , con la finalità di garantire un coordinamento delle attività di prevenzione e di contrasto delle violenze di genere nel territorio nazionale nonché di studiare e di monitorare il fenomeno.
    Ai sensi dei commi 3, 4 e 5, il Comitato è composto da dodici membri, che durano in carica tre anni e non hanno diritto a percepire alcun compenso o indennità . Ai membri che hanno la sede di servizio fuori del comune sede della riunione del Comitato, o del gruppo di lavoro cui eventualmente partecipano, spetta il rimborso delle spese di viaggio, purché debitamente documentate. È inoltre riconosciuto il rimborso delle spese di viaggio, vitto e alloggio per eventuali missioni deliberate dal Comitato. Nello specifico il Comitato è composto da:Â
Ai sensi del comma 6 sono considerati maggiormente rappresentativi sul piano nazionale le associazioni e i movimenti che presentano almeno tre dei seguenti requisiti elencati in ordine di priorità :a) competenza in materia di attività contro la violenza di genere e per la promozione delle politiche femminili; la competenza è determinata in base alla previsione statutaria, ove esistente, e all'attività svolta in un arco temporale di riferimento triennale; b) presenza ramificata nel territorio; c) numero degli iscritti; d) rapporti di collaborazione con altre associazioni o con altri movimenti aventi i medesimi obiettivi statutari; e) ruolo assunto nell'ambito di organismi, commissioni o comitati promossi dalle istituzioni per problemi riguardanti la condizione femminile e per problemi con essi connessi; f) ruolo assunto nell'ambito di organismi internazionali deputati alla lotta contro la violenza di genere o, comunque, alla promozione delle pari opportunità tra uomo e donna; g) progetti di attività presentati per il contrasto della violenza di genere e per garantire pari opportunità tra uomo e donna; h) consolidata presenza nel settore; i) finanziamenti dell'Unione europea o di istituzioni nazionali per la realizzazione di azioni e di progetti nell'ultimo triennio. Ai sensi del comma 7, la nomina dei membri è effettuata dal Ministro delegato per le pari opportunità in base alle domande inviate dai soggetti designati dalle associazioni e dai movimenti a seguito di avviso pubblico emanato dallo stesso Ministro.
     I membri del Comitato durano in carica tre anni.     L'articolo 5 prevede, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame, l'emanazione di un decreto da parte del Ministro delegato per le pari opportunità , lo sport e le politiche giovanili, d'intesa con la Conferenza Stato-regioni, per l'adozione di misure volte a istituire o a sostenere programmi nazionali di intervento di carattere preventivo e di trattamento destinati agli autori di atti di violenza contro le donne al fine di prevenire nuove violenze.  L'articolo 6 prevede la predisposizione, da parte del Ministro della salute, previa intesa in sede di Conferenza Stato-regioni, di linee guida per le strutture sanitarie volte a:
 L'articolo 7 è dedicato alla presenza, in ciascuna questura, di personale dedicato, in possesso di una formazione specifica in materia di violenza di genere, competente a ricevere le denunce o le querele da parte delle vittime di tali delitti. La presenza del personale dedicato deve essere assicurata dalle questure entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame. Un decreto del Ministro dell'interno, da emanare entro tre mesi dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame, dovrà stabilire:
 L'articolo 8 istituisce campagne di informazione rivolte ai cittadini allo scopo di pubblicizzare le strutture e i servizi dedicati al sostegno e alla protezione delle vittime della violenza di genere, nonché agli interventi adottati, anche al fine di incoraggiare le vittime della violenza di genere a denunciare i soprusi subiti in modo da garantire loro un'adeguata protezione da parte dallo Stato. Il Ministro delegato per le pari opportunità , di concerto con il Ministro della giustizia e d'intesa con il Ministro della salute, sentito il Comitato, promuove e coordina le attività a tal fine necessarie.  L'articolo 9 istituisce il Fondo per il contrasto della violenza nei confronti delle donne presso la Presidenza del Consiglio dei ministri. Il Fondo è finanziato annualmente dalla legge di stabilità .
 L'articolo 10 reca la copertura finanziaria, prevedendo la dotazione del Fondo per il contrasto della violenza nei confronti delle donne. Per ciascuno degli anni 2013, 2014 e 2015, la dotazione prevista è pari a 80 milioni di euro. Al relativo onere si provvede a valere sui maggiori risparmi di spesa di cui all'articolo 1, comma 01, del decreto-legge n. 138/2011, conseguiti dalle amministrazioni centrali attraverso una progressiva riduzione della spesa corrente primaria in rapporto al prodotto interno lordo. In tal senso, le spese di funzionamento, relative alle missioni di ciascun Ministero, sono ridotte, in via permanente, per un importo aggiuntivo pari a 80 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2013.  L'articolo 1, commi 01 e 02, del decreto-legge 138/2011 reca disposizioni finalizzate a consentire alle Amministrazioni centrali – in coerenza con il programma di riorganizzazione della spesa pubblica di cui al precedente articolo 01 – di pervenire ad un progressivo contenimento della spesa corrente primaria in rapporto al PIL - attraverso la riduzione delle spesa di funzionamento, interventi, oneri comuni, relative alle missioni di spesa di ciascun Ministero per gli anni 2012 e 2013 – nonché di conseguire gli obiettivi di risparmio anche attraverso il riconoscimento di una maggiore flessibilità nella variazione delle dotazioni di bilancio. Più in dettaglio, il comma 01 prevede che nel corso degli anni 2012 e 2013, nella misura delle risorse finanziarie che si rendessero disponibili a seguito dell'attuazione del programma di revisione integrale della spesa pubblica previsto dall'articolo 01:
Nei medesimi limiti finanziari previsti dal periodo precedente – ossia le risorse disponibili a seguito della revisione della spesa - per gli stessi anni 2012 e 2013 le dotazioni finanziarie per le missioni di spesa per ciascun Ministero previste dalla legge di bilancio, relative agli oneri comuni di parte corrente e di conto capitale, potranno invece essere ridotte fino allo 0,5 per cento per ciascuno dei due anni. |
Relazioni allegate o richiesteSi tratta di una proposta di legge di iniziativa parlamentare, corredata, pertanto, della sola relazione illustrativa. |
Necessità dell'intervento con leggeSi tratta di un provvedimento diretto a stabilire uno standard uniforme sul territorio nazionale relativo alla presenza di strutture e di strumenti a tutela delle donne vittime violenza. A tal fine esso dispone anche l'istituzione di nuovi organismi presso l'amministrazione centrale, di un Fondo per il contrasto della violenza nei confronti delle donne e pervede l'emanazione di linee guida ministeriali per le strutture sanitarie previa intesa in sede di Conferenza Stato-regioni. Si giustifica, pertanto, l'utilizzazione dello strumento legislativo. |
Rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definiteIl provvedimento è diretto a definire interventi di sostegno nei confronti delle donne vittime di violenza volti a consentire di riristinare la propria inviolabilità e di riconquistare la propria libertà nel pieno rispetto della riservatezza e dell'anonimato, sia mediante l'istituzione di Centri antiviolenza e di case rifugio, che mediante l'istituzione di uno specifico Comitato presso la Presidenza del consiglio dei ministri, di un Fondo per il contrasto alla violenza alle donne presso la Presidenza medesima, e la previsone di personale con caratteristiche specifiche presso ciascuna questura. Esso appare pertanto riconducibile sia alla competenza legislativa esclusiva dello Stato,sotto molteplici profili, di cui all'articolo 117, comma 2, lettera g (ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali), h (ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale) ed m (determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il terriotrio nazionale), sia alla competenza legislativa esclusiva delle regioni. In ossequio al principio di "leale collaborazione" (cfr., tra le altre, sentenza Corte Cost. n. 407/2002), in alcune disposizioni (cfr. artt. 5, 6 e 9) è contemplata la previa intesa in sede di Conferenza Stato-regioni. |
Compatibilità comunitaria |
Documenti all'esame delle istituzioni dell'Unione europeaIl Trattato di Lisbona ha riaffermato il principio di uguaglianza tra donne e uomini (già enunciato agli articoli 2, 3 e 13 del previgente Trattato istitutivo della Comunità europea - TCE), inserendolo tra i valori (art. 2 Trattato sull'Unione europea - TUE) e tra gli obiettivi dell'Unione (art. 3, par. 3 TUE). La dichiarazione n. 19 annessa ai Trattati afferma che l'Unione mirerà a lottare contro tutte le forme di violenza domestica. La stessa dichiarazione impegna gli Stati membri ad adottare tutte le misure necessarie per prevenire e punire tali atti criminali e per sostenere e proteggere le vittime. L'eradicazione di tutte le forme di violenza fondate sul genere costituisce una priorità della Strategia 2010-2015 per la promozione della parità fra uomini e donne nell'Unione europea, nonché del Programma di Stoccolma per lo Spazio di libertà sicurezza e giustizia, 2010- 2014. In questo quadro, tra i recenti interventi legislativi volti a dotare l'Unione europea di strumenti condivisi nella tutela delle vittime di reato, con particolare riguardo alla protezione delle donne vittime di violenza domestica in tutto il territorio dell'UE, si segnala l'adozione della direttiva 2011/99/UE che istituisce l'"Ordine di protezione europeo", inteso quale strumento basato sul principio del reciproco riconoscimento nell'ambito della cooperazione giudiziaria in materia penale. Emesso su richiesta della persona interessata qualora essa stia per lasciare o abbia lasciato il territorio dello Stato membro che aveva originariamente emesso una misura di protezione in suo favore, l'Ordine di protezione europeo (OPE) sarà riconosciuto nello Stato membro di destinazione che ne darà esecuzione in base alla sua legislazione nazionale. In particolare, la direttiva stabilisce che l'ordine di protezione europeo potrà essere emesso solo se nello Stato di emissione sia stata precedentemente adottata una misura di protezione che imponga alla persona che determina il pericolo uno o più dei seguenti divieti o delle seguenti restrizioni:
La direttiva dovrà essere recepita dagli Stati membri entro l'11 gennaio 2015. Per quanto riguarda l'Italia, essa figura nell'allegato B della Legge di delegazione europea 2013 (Legge 6 agosto 2013, n 96). La disciplina citata è stata recentemente completata, per i profili attinenti alla cooperazione giudiziaria in materia civile, con l'adozione del regolamento (UE) n. 606/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 giugno 2013. Parallelamente al citato Ordine di protezione europeo in materia penale, in forza del nuovo regolamento le vittime di stalking, di molestie, o di violenza di genere, e le vittime di violenza domestica in generale (nella maggior parte dei casi, donne o bambini) che abbiano ottenuto dal proprio Stato membro misure di protezione nell'ambito di procedimenti in materia civile potranno spostarsi in altro Stato dell'UE senza che ciò determini la perdita di tale protezione. Si tratta di un'applicazione specifica a tale settore del principio di riconoscimento e del non exequatur (abolizione della dichiarazione di esecutività di un provvedimento ai fini della sua efficacia in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata adottato). In particolare, secondo il regolamento la misura di protezione disposta in uno Stato membro nell'ambito di un procedimento in materia civile è immediatamente riconosciuta in un altro Stato membro senza che sia necessario il ricorso ad alcuna procedura particolare ed è esecutiva senza che sia richiesta una dichiarazione di esecutività . Un aggiornamento del quadro normativo generale è stato realizzato con l'adozione della direttiva 2012/29/UE che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato. La direttiva, che sostituisce la decisione quadro 2001/220/GAI sulla stessa materia, dovrà essere recepita dagli Stati membri entro il 16 novembre 2015. Anche in questo caso, per quanto riguarda l'Italia, la direttiva figura nell'allegato B della Legge di delegazione europea 2013 (Legge 6 agosto 2013, n. 96) La direttiva contiene un particolare riferimento alla necessità di protezione specifica per le donne vittime di violenza di genere e di violenza domestica e per i loro figli, a motivo dell'elevato rischio di vittimizzazione secondaria e ripetuta, di intimidazione e di ritorsioni, connesso a tale violenza. La direttiva dedica inoltre una particolare attenzione alle vittime di varie forme di pratiche dannose, quali i matrimoni forzati, i cd. "reati d'onore" e la mutilazione genitale femminile. La direttiva sancisce diritti minimi ovunque esse si trovino nell'UE, al fine di garantire, in particolare, che le vittime di reato siano informate dei loro diritti e delle cause che li riguardano in un modo a loro comprensibile, siano protette durante la fase delle indagini e quella del procedimento penale; possano prendere parte al procedimento se lo desiderano e siano aiutate ad assistere al processo. La direttiva reca inoltre disposizioni affinché le vittime vulnerabili, come minori, vittime di stupro o persone disabili, siano identificate e siano adeguatamente tutelate e prevede l'introduzione di percorsi di formazione specifica per le autorità di contrasto e per gli operatori nel settore.  L'appello ad una sollecita attuazione dei citati atti normativi nelle legislazioni nazionali al fine di garantire la protezione delle vittime, è contenuto nelle conclusioni adottate dal Consiglio Affari sociali il 6 dicembre 2012 dal titolo "Lotta alla violenza contro le donne e servizi di sostegno a favore delle vittime di violenza domestica". Il documento impegna peraltro gli Stati membri a:
Merita da ultimo segnalare l'insieme di raccomandazioni formulate dal Parlamento europeo nella risoluzione del 5 aprile 2011 sulle priorità e sulla definizione di un nuovo quadro politico dell'UE in materia di lotta alla violenza contro le donne. La risoluzione propone che si adotti un nuovo approccio politico globale contro la violenza di genere che comprenda, tra i suoi principali elementi:
 Si ricorda infine che l'Agenzia per i diritti fondamentali dell'Unione europea sta svolgendo una ricerca sull'entità dei fenomeni di violenza di genere nei 28 Stati membri UE, i cui risultati definitivi dovrebbero essere presentati nel corso del primo trimestre 2014. Il sostegno finanziario UE Nelle citate conclusioni in materia di "Lotta alla violenza contro le donne e servizi di sostegno a favore delle vittime di violenza domestica", adottate il 6 dicembre 2012, il Consiglio Affari sociali ha invitato gli Stati membri e la Commissione europea, nell'ambito delle rispettive competenze, a definire, attuare e migliorare, se già esistenti, piani d'azione, programmi o strategie coordinati, di carattere globale, multidisciplinare e multi-agenzia, per combattere tutte le forme di violenza contro donne e ragazze tramite il coinvolgimento di tutte le parti interessate pertinenti e l'abbinamento di misure legislative e non legislative finalizzate alla prevenzione e all'eliminazione della violenza, alla fornitura di protezione e sostegno alle vittime, all'azione penale contro gli autori di violenze; e garantire finanziamenti adeguati e sostenibili per l'attuazione delle suddette politiche e per il funzionamento dei servizi. In proposito si ricorda che l'Unione europea sostiene le iniziative degli Stati membri volte al contrasto alla violenza di genere attraverso il programma finanziario Daphne III, con una dotazione pari 116,85 milioni di euro per il periodo 2007-2013. Adottato con decisione 2007/779/UE, esso integra i programmi esistenti negli Stati membri e si basa sulle politiche e sugli obiettivi definiti nei due programmi precedenti (Daphne e Daphne II). Il programma mira, in particolare, a:
Per quanto riguarda il nuovo quadro finanziario 2014-2020, è attualmente all'esame delle istituzioni UE, la proposta di regolamento che istituisce il programma Diritti e cittadinanza per il periodo 2014-2020 (COM(2011)758). Il nuovo programma si pone, in un'ottica di semplificazione e razionalizzazione, come successore di tre programmi esistenti: Diritti fondamentali e cittadinanza, Daphne III, le sezioni "diversità e lotta contro la discriminazione" e "parità fra uomini e donne" del programma per l'occupazione e la solidarietà sociale (PROGRESS). In base all'accordo interistituzionale raggiunto nel giugno 2013, la dotazione complessiva del nuovo programma per il periodo 2014-2020 risulta essere pari a 382,2 milioni di euro. |