Camera dei deputati - XVII Legislatura - Dossier di documentazione (Versione per stampa)
Autore: Servizio Biblioteca - Ufficio Legislazione straniera
Titolo: A. C. 925 La diffamazione a mezzo stampa in Francia e Germania
Riferimenti:
AC N. 925/XVII     
Serie: Note informative sintetiche    Numero: 1    Progressivo: 1
Data: 03/06/2013
Descrittori:
DIFFAMAZIONE E INGIURIA   FRANCIA
GERMANIA   STAMPA

 

 

 

 

 

 

 

NOTE INFORMATIVE SINTETICHE

 

 

 

N. 1/I – 3 giugno 2013


 

A. C. 925

La diffamazione a mezzo stampa in Francia e Germania[1]

 

 

In Francia la diffamazione a mezzo stampa è definita e regolata dalla legge del 29 luglio 1881, più volte modificata, sulla libertà di stampa (Loi du 29 juillet 1881 sur la liberté de la presse). Il Codice penale, infatti, rimanda espressamente alle disposizioni particolari contenute nella legge che regolano la stampa scritta o audiovisiva, nella parte dedicata ai reati contro la personalità (art. 226-2 e art. 226-8 Codice penale). L’art. 29 della legge citata definisce la diffamazione come “ogni allegazione o imputazione di un fatto che sia lesiva dell’onore o della considerazione della persona o del corpo al quale è riferita”. L’elemento morale del reato consiste nella consapevolezza di recare danno all’onore o alla considerazione altrui, mentre l’intenzione di nuocere è presunta. Con la formula “lesione dell’onore e della considerazione della persona” si intende l’offesa recata alla sfera più intima dell’individuo, ossia alla dignità e al decoro dell’essere umano.

Si precisa che nel diritto francese la diffamazione è definita come una fattispecie di reato (délit), se è espressa in forma pubblica. Qualora sia espressa in forma privata, essa è qualificata come una “contravvenzione” (contravention) della 1a classe (art. R621-1 del Codice penale) e punibile con un’ammenda di 38 euro al massimo. In particolare, la pubblicità della diffamazione può essere orale, se la dichiarazione con cui sono attribuiti fatti disdicevoli ad una persona è pronunciata in un luogo o in una riunione pubblica, o scritta se essa è realizzata attraverso documenti di qualsiasi natura (stampa, disegni, immagini, emblemi, ecc.) messi in vendita o esposti in un luogo pubblico; la dichiarazione diffamatoria può essere commessa anche attraverso i mezzi di comunicazione elettronica (art. 23). I reclami per il risarcimento di danni causati dalla diffamazione, come da altri illeciti che si qualificano come abusi della libertà di espressione previsti dalla legge sulla libertà di stampa, sono azionabili in via principale in sede penale, salvo alcune eccezioni (art. 45).

Con riferimento alla prescrizione dell’azione penale per diffamazione, la legge sopra citata dispone che tale azione possa essere esercitata entro tre mesi che decorrono dal giorno in cui è stata commessa l’affermazione diffamatoria (art. 65). Se l’imputato in una causa di diffamazione riesce a provare la veridicità del fatto diffamatorio, ciò può giustificare in alcuni casi la sua azione (exceptio veritatis) e determinare una sentenza assolutoria. Il ricorso all’exceptio veritatis non è possibile in due casi: quando il fatto diffamatorio concerne un aspetto della vita privata della persona diffamata; quando oggetto della prova è un fatto costituente un illecito amnistiato o prescritto o che ha dato luogo ad una condanna cancellata tramite réhabilitation o révision. È anche stabilito che l’imputato, per esigenze di difesa, possa apportare elementi di prova, anche violando un segreto professionale, al fine di certificare la sua buona fede (art. 35).

Le pene relative alla diffamazione pubblica, stabilite dalla legge sulla libertà di stampa, variano in base alla qualità della vittima del reato. Se la diffamazione è commessa verso tribunali, forze armate, “corps constitués” (ad esempio, consigli comunali, università, camere di commercio), amministrazioni pubbliche (art. 30), o se è rivolta verso i membri del governo, i parlamentari, o alcune altre categorie, tra cui “i cittadini incaricati di un servizio o mandato pubblico” (art. 31 ), la pena prevista è un’ammenda fino a 45.000 euro. Se, invece, l’individuo offeso è una persona fisica o giuridica non appartenente ad una delle categorie citate negli artt. 30 e 31, la pena consiste in un’ammenda fino a 12.000 euro (art. 32). Nel caso in cui la vittima subisca una diffamazione per motivi razziali o per la sua appartenenza ad una confessione religiosa, la pena è aggravata: è infatti prevista la possibilità di sanzionare il reo con una pena detentiva fino ad un anno e/o un’ammenda fino a 45.000 euro (art. 32). Le stesse sanzioni sono previste nel caso in cui la diffamazione riguardi il sesso, l’orientamento o l’identità sessuale o una condizione di handicap della vittima (art. 32).

Riguardo alla imputazione della responsabilità penale dell’illecito commesso a mezzo stampa, la legge stabilisce un sistema di responsabilità sussidiaria definita “a cascata”, nel senso di attribuire la responsabilità principale al direttore della pubblicazione o all’editore (art. 42). In questo caso l’autore materiale dello scritto diffamatorio (il giornalista) è perseguito solo come “complice” (art. 43). Tuttavia, qualora sia impossibile identificare l’editore o il direttore della pubblicazione, la legge stabilisce che il responsabile dell’illecito sia individuato nell’autore dello scritto diffamatorio (art. 42). Nel caso in cui sia difficile accertare persino l’identità di quest’ultimo (ad esempio, nei casi di articoli coperti da anonimato), la legge prescrive la perseguibilità dei tipografi. Nel caso estremo in cui sia impossibile individuare anche tali soggetti, è infine prevista la perseguibilità di “venditori o distributori” degli scritti diffamatori (art. 42).

 

In Germania le disposizioni che disciplinano il reato di diffamazione a mezzo stampa sono contenute nella quattordicesima sezione della parte speciale (Besonderer Teil) del Codice penale (Strafgesetzbuch – StGB), dedicata ai delitti contro l’onore. Pur essendo sancite a livello costituzionale (art. 5 della Legge Fondamentale), la libertà di stampa e la libertà di informazione radiotelevisiva incontrano però dei limiti nell’esigenza di garantire altri interessi meritevoli di tutela. La libertà di manifestare e diffondere il proprio pensiero con parole, scritti e immagini senza preclusioni da fonti accessibili a tutti non possono, infatti, ledere le disposizioni poste a tutela della gioventù e il diritto all’onore personale, come stabilisce lo stesso art. 5 LF, comma 2. A seguito della riforma federale del 2006, che ha abrogato la c.d. legislazione-quadro di cui all’art. 75 LF, tra le nuove competenze esclusive acquisite dai Länder figurano anche l’esecuzione in materia penale e la disciplina giuridica generale della stampa. Riguardo a quest’ultima, la Federazione non aveva comunque fatto uso della sua facoltà di legiferare, cosicché il diritto di stampa risulta da sempre regolato dalle singole leggi approvate dai Parlamenti regionali.

La disciplina codicistica distingue tre fattispecie di reato: la diffamazione, la menzogna diffamatoria e la diffamazione e menzogna diffamatoria contro persone impegnate nella vita politica. Per quanto riguarda la diffamazione in generale (Üble Nachrede), il § 187 del Codice penale stabilisce che chiunque, riferendosi ad un’altra persona, affermi o divulghi un fatto idoneo a denigrarla o a svalutarla di fronte all’opinione pubblica, è punito - se il fatto non è provabile e vero - con la reclusione fino a un anno o con una sanzione pecuniaria. Se l’azione è commessa pubblicamente o mediante la diffusione di scritti, è prevista la detenzione fino a due anni o una pena pecuniaria. La prova liberatoria della verità del fatto affermato determina un’esclusione della punibilità, nella misura in cui non sia rinvenibile la fattispecie di cui al § 192, cioè la c.d. “ingiuria nonostante prova liberatoria” (Beleidigung trotz Wahrheitsbeweiss). Ciò che rileva non è la sussistenza della verità in senso assoluto del fatto affermato, quanto la possibilità di provarne la fondatezza e la realtà: sull’autore del reato grava quindi un onere probatorio da intendersi in senso materiale. Qualora non sia possibile giungere alla prova liberatoria perché permangono dubbi sulla verità o meno delle dichiarazioni rese, in parziale contrasto con il principio “in dubio pro reo”, il giudice sarà tenuto a condannare l’imputato non potendo escludere con certezza l’antigiuridicità e la colpevolezza insite nella sua condotta. Sono tuttavia previste anche ipotesi in cui l’autore resta comunque impunito, come ad esempio nel caso in cui avesse agito in difesa di diritti o per la tutela di interessi giuridicamente protetti ai sensi del § 193 (Wahrnehmung berechtigter Interessen) o quando la dichiarazione resa si fondi su di una notizia proveniente da un organo ufficiale. Nel riferirsi alla prova liberatoria tramite sentenza penale (Wahrheitsbeweis durch Strafurteil), il § 190 dispone che se il fatto affermato o divulgato è un reato, la prova liberatoria si considera fornita quando la persona offesa è stata condannata per questo fatto con giudizio definitivo. La prova liberatoria è invece esclusa quando la parte lesa è stata definitivamente assolta prima dell’affermazione o della divulgazione del fatto.

La conoscenza o meno, da parte dell’autore, della falsità delle proprie affermazioni, distingue la diffamazione dalla menzogna diffamatoria (Verleumdung) di cui al § 187, in base al quale chiunque, riferendosi ad un’altra persona, affermi o divulghi in mala fede un fatto non vero, idoneo a denigrarla o a svalutarla di fronte all’opinione pubblica o a mettere in pericolo la sua reputazione, è punito con la detenzione fino a due anni o con la pena pecuniaria. In caso di circostanze aggravanti, cioè se l’azione è commessa pubblicamente, in una riunione o tramite la diffusione di scritti, la durata della pena detentiva può arrivare fino a cinque anni. Rispetto al § 186 è qui prevista, come ulteriore aggravante, l’ipotesi che l’azione denigratoria possa essere commessa anche nell’ambito di una riunione.

Nel successivo § 188 la diffamazione e la menzogna diffamatoria sono riferite entrambe alle persone impegnate nella vita politica (Üble Nachrede und Verleumdung gegen Personen des politischen Lebens). La norma prevede, infatti, che se pubblicamente, in una riunione o tramite la diffusione di scritti viene diffamata una persona impegnata nella vita politica, per motivi connessi alla sua posizione nella vita pubblica, e l’azione è idonea a pregiudicarne in maniera rilevante l’attività pubblica, la pena consiste nella detenzione da tre mesi a cinque anni. Per la menzogna diffamatoria è, invece, prevista una pena detentiva da sei mesi a cinque anni, quando sussistono gli stessi presupposti. Risulta evidente, in questo caso, che l’interesse tutelato trascende la prospettiva prettamente individuale e si proietta verso una funzione di pubblica utilità: la ragione della diffamazione deve cioè trovare fondamento proprio nella posizione ricoperta dall’offeso e deve essere tale da pregiudicarne l’agire pubblico in maniera rilevante.

Per quanto concerne gli aspetti più strettamente processuali, il § 194 prevede la procedibilità a querela (Strafantrag) con alcune eccezioni poste a tutela di persone perseguitate perché appartenenti ad un gruppo soggetto alla tirannia o al dispotismo nazionalsocialista o di altri (comma 1).

Infine, l’ultima disposizione della sezione, il § 200, nel chiudere la disciplina dei delitti contro l’onore, prevede la pubblicazione della sentenza di condanna (Bekanntgabe der Verurteilung). Il tipo di pubblicità deve essere stabilito nella sentenza. In particolare, se l’ingiuria è stata commessa tramite pubblicazione in un quotidiano o in un periodico, anche la pubblicazione deve essere disposta in un quotidiano o in un periodico e, se possibile, precisamente nello stesso in cui era contenuta l’ingiuria. Le stesse regole si applicano anche quando l’ingiuria è stata commessa per mezzo di una trasmissione radiofonica.

 

 

 

 

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[1] La presente Nota aggiorna la NIS n. 37/I del 10 ottobre 2012.

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