XVII Legislatura

Commissione parlamentare per la semplificazione

Resoconto stenografico



Seduta pomeridiana n. 26 di Lunedì 3 marzo 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Tabacci Bruno , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA SEMPLIFICAZIONE LEGISLATIVA ED AMMINISTRATIVA

Audizione del professor Vincenzo Cerulli Irelli e del professor Filippo Satta.
Tabacci Bruno , Presidente ... 3 
Cerulli Irelli Vincenzo , già Professore ordinario di diritto amministrativo presso l'Università degli studi «La Sapienza» ... 3 
Tabacci Bruno , Presidente ... 7 
Satta Filippo , già Professore ordinario di diritto amministrativo presso l'Università degli studi «La Sapienza» ... 7 
Tabacci Bruno , Presidente ... 9 
Fucksia Serenella  ... 9 
Angioni Ignazio  ... 10 
Tabacci Bruno , Presidente ... 10 
Cerulli Irelli Vincenzo , già Professore ordinario di diritto amministrativo presso l'Università degli studi «La Sapienza» ... 10 
Satta Filippo , già Professore ordinario di diritto amministrativo presso l'Università degli studi «La Sapienza» ... 11 
Tabacci Bruno , Presidente ... 11 
Satta Filippo , già Professore ordinario di diritto amministrativo presso l'Università degli studi «La Sapienza» ... 11 
Cerulli Irelli Vincenzo , già Professore ordinario di diritto amministrativo presso l'Università degli studi «La Sapienza» ... 11 
Tabacci Bruno , Presidente ... 12

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE BRUNO TABACCI

  La seduta comincia alle 16.10.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione del professor Vincenzo Cerulli Irelli e del professor Filippo Satta.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla semplificazione legislativa ed amministrativa, l'audizione del professor Vincenzo Cerulli Irelli e del professor Filippo Satta.
  Con i professori Vincenzo Cerulli Irelli e Filippo Satta estendiamo il nostro ascolto al mondo accademico. Il professor Cerulli Irelli, come è noto, ha anche trascorsi politici ed è stato il primo presidente della progenitrice della Commissione attuale, istituita dalla legge n. 59 del 1997, la cosiddetta legge Bassanini. Si tratta, quindi, di un ritorno a casa.
  Il professor Filippo Satta è, tra le altre cose, co-direttore responsabile della rivista ApertaContrada, sulla quale ha pubblicato diversi contributi relativi alla semplificazione, che sono in distribuzione unitamente a una memoria del professor Cerulli Irelli.
  Do la parola al professor Vincenzo Cerulli Irelli per lo svolgimento della relazione.

  VINCENZO CERULLI IRELLI, già Professore ordinario di diritto amministrativo presso l'Università degli studi «La Sapienza». Grazie, Presidente. Grazie anche dell'invito così cortese. Io ho mandato qui in Commissione un testo, che è in distribuzione, in cui si rappresenta una serie di questioni che riguardano segnatamente la semplificazione amministrativa, sulla quale credo di essere chiamato a dire qualcosa.
  Ho visto, guardando le vostre cospicue precedenti audizioni, che è stato molto trattato anche il tema della semplificazione, del riordino e della razionalizzazione legislativa o normativa, che è altro problema, anche se strettamente connesso.
  In merito vorrei limitarmi a dire, visto che la Commissione adesso si è tanto impegnata, che su quel versante la situazione dell'ordinamento è veramente molto preoccupante. È molto più preoccupante che sul versante della semplificazione amministrativa, perché effettivamente tutti gli strumenti messi in campo – ho visto che sia il consigliere Patroni Griffi, sia il consigliere Deodato, sia il consigliere Pajno li hanno molto sottolineati nell'audizione, spiegandone tutte le criticità – dall'AIR (analisi di impatto della regolamentazione), alla VIR (verifica di impatto della regolamentazione), a tutti i problemi di drafting normativo sono quasi ignorati da una legislazione che va per conto suo e che non viene sottoposta, se non in maniera esclusivamente formale, ai procedimenti di valutazione di impatto e ancor meno a quelli di valutazione ex post e che, dal punto di vista del drafting, non rispettano alcuno dei princìpi di drafting affermati sia in sede europea, sia in sede OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), sia in sede nazionale.Pag. 4
  A questo scopo basta che la Commissione prenda in esame – sono documenti che conosce benissimo – le ultime leggi finanziarie o di stabilità per avere un esempio di come non si possa legiferare, ignorando ogni principio stabilito in materia.
  Credo che questo sia un problema di cui il nuovo legislatore e anche il nuovo Governo non possano non farsi carico. Il problema certamente ha carattere, natura e origini politiche – su quelle politiche abbiamo poco da fare – ma è anche dovuto alla mancanza di strumenti organizzativi a livello di Governo e di Parlamento che possano avere l'autorità per sopperire a queste gravissime carenze.
  Detto questo e venendo all'amministrazione, segnalo due questioni, sulle quali diciamo pure che l'ordinamento si è avviato – non ci troviamo di fronte a una pagina bianca – ma necessita adesso di una brusca accelerazione.
  La prima questione è quella di stabilire le attività private, di carattere imprenditoriale, ma non solo, anche di ambito sociale, dell'edilizia privata, del piccolo e grande commercio e via elencando, che necessitano, per poter essere esercitate, di un provvedimento amministrativo a carattere abilitativo, sia esso una concessione, una licenza, un nulla osta, un atto di consenso comunque denominato. Con riferimento ad attività sottoposte al regime amministrativo, come si dice in senso tecnico, occorre stabilire quali di queste necessitino effettivamente del regime amministrativo e per quali, invece, il regime amministrativo sia del tutto inutile, ragion per cui esse possono essere, quindi, tranquillamente liberalizzate.
  Ricordo su questo punto che la direttiva europea sui servizi, la cosiddetta «direttiva Bolkestein», in qualche modo ci obbliga a fare questa verifica. Anche il nostro decreto legislativo attuativo della direttiva ripete in sostanza lo stesso ritornello, stabilendo grandi princìpi di liberalizzazione, che, però, non sono stati ancora attuati.
  Questo significa che nei diversi settori di intervento – prendiamo edilizia e commercio, per assumerne due a campione – andrebbero viste punto per punto le attività che non necessitano più di qualsiasi tipo di provvedimento amministrativo. Perché il piccolo commercio non può essere liberalizzato ? Si apre dove si vuole. Perché le attività edilizie interne alle abitazioni non possono essere liberalizzate ? Si fa quello che si vuole, fermi restando i controlli di carattere statico, che però sono un'altra questione. Il titolo abilitativo, quello che rende legittimo l'esercizio di quell'attività in molteplici casi, in centinaia di casi, può essere tranquillamente soppresso senza alcuna conseguenza negativa per gli interessi pubblici. Questa è la prima questione.
  In questo stesso argomento problematico si pone il problema di stabilire, invece, quali attività, pur non potendo essere del tutto liberalizzate, possano essere assoggettate a un procedimento di controllo estremamente semplificato, la cosiddetta SCIA, cioè la Segnalazione certificata di inizio attività.
  Il nostro legislatore, quando ha attuato la «direttiva Bolkestein» e anche dopo, nel decreto-legge del Governo Monti noto come «Cresci Italia», ha stabilito un principio generale di favore per la SCIA. Piuttosto che liberalizzare senz'altro molteplici settori di attività, li ha sottoposti a SCIA, cioè a Segnalazione certificata di inizio attività, la vecchia DIA (Denuncia di inizio attività). Anche su questo fronte il problema rimane quello di stabilire effettivamente quali attività siano sottoposte a questo controllo preventivo, perché rimane molta incertezza nell'applicazione delle norme generali.
  Inoltre c’è un'altra questione, peraltro ampiamente segnalata, a suo tempo, sulla stampa: resta fuori da questa possibilità di liberalizzazione e semplificazione una serie di attività quando coinvolgano interessi considerati pubblici preminenti. Gli interessi elencati dalla norma sono, però, molteplici e investono quasi tutto: si va dall'ambiente al paesaggio, alla sicurezza, alla salute, alla tutela del territorio, a tutta la materia fiscale, di modo che quel che ne residua è molto poco. Con l'individuazione Pag. 5di tutti questi interessi pubblici preminenti, che fanno sì che l'attività non possa comunque essere esclusa dal regime autorizzatorio, questi provvedimenti, pur auspicati e spinti in sede europea, hanno un impatto ancora estremamente marginale.
  Si tratta di vedere se effettivamente tutti questi interessi siano sempre coinvolti in tutte queste attività. Vi sono molteplici casi in cui l'interesse di cui si parla è in una posizione del tutto marginale, ragion per cui si può sicuramente far luogo a un procedimento semplificato o addirittura alla liberalizzazione, ferma restando una serie di obblighi a carico di colui che agisce, di colui che opera, obblighi che poi naturalmente, se violati, sono repressi in altra sede, in sede penale, in sede di sanzioni amministrative, in una sede del tutto diversa dal procedimento autorizzatorio.
  L'altro gruppo di problemi riguarda una questione di carattere più generale, ossia il fatto che in larga parte l'azione amministrativa, almeno in tutti i settori più complessi e più importanti, coinvolge una pluralità molto ampia di interessi pubblici. Questo significa che per attuare un singolo oggetto, per porre in essere una singola attività, per realizzare un singolo intervento sul territorio, per aprire un'attività commerciale o industriale, gli interessi coinvolti sono molteplici, e vanno da quelli urbanistico-edilizi a quelli di tutela del paesaggio, a quelli di tutela dell'ambiente, a quelli di tutela della salute e via elencando.
  Che cosa succede ? Succede che su un singolo oggetto del procedimento, su una singola res, le procedure necessarie perché quell'oggetto possa concretizzarsi, perché quell'attività possa essere consentita e autorizzata comportano una serie di procedimenti e, quindi, è necessaria una serie di atti amministrativi. A volte occorrono decine di atti amministrativi, spesso di competenza di amministrazioni diverse, comunali, provinciali, regionali, nazionali.
  Una volta la situazione era ancora peggiore, nel senso che alla necessità di acquisire tutti questi provvedimenti e, quindi, di attivare tutti questi procedimenti faceva fronte lo stesso richiedente. Dopo la legge n. 241 del 1990 si sono introdotti istituti di semplificazione, che sono fondamentalmente due.
  Da una parte c’è la Conferenza dei servizi. Ho visto che nelle precedenti audizioni se n’è parlato parecchio. Questo vuol dire sostituire la pluralità dei procedimenti e dei provvedimenti con un tavolo – la Conferenza dei servizi è un tavolo – cui vengono invitati i responsabili delle diverse amministrazioni e che dovrebbe concludersi, attraverso una contrapposizione, un confronto dialettico delle diverse posizioni, con un atto unico che prende il luogo di tutti quelli previsti dalla legge per quel determinato tipo di intervento.
  Il modello in sé funziona, può funzionare, ma i problemi sono due, e li ho già visti segnalati nelle audizioni. Uno è che la Conferenza dei servizi dovrebbe operare a maggioranza, come effettivamente era previsto, previsione che poi, però, fu soppressa. Infatti, il criterio della maggioranza è stato superato ed è stata introdotta una posizione di diniego forte in capo ad alcune amministrazioni, sempre le solite – ambiente, paesaggio, salute, beni culturali e sicurezza, se non ricordo male – il cui dissenso su un determinato intervento, su un determinato progetto è tale da bloccare la decisione della Conferenza dei servizi.
  Si tratta di un dissenso insuperabile, non mediabile, salvo rimessione al Consiglio dei ministri al livello nazionale o alla Giunta regionale a livello regionale, rimessione che, sul piano pratico, viene fatta pochissime volte. Oltretutto l'autorità politica, in molti casi, non ha alcuna voglia di caricarsi questioni per superare dinieghi in materia di tutela della salute o dell'ambiente che possono avere anche una rilevanza penale. Questa via di andare presso il Consiglio dei ministri è di poca utilità pratica.
  Qual è la soluzione, almeno su questo aspetto ? La soluzione è quella che gli interessi vengano mediati. Non ci sono interessi insuperabili. Tutto può essere mediato nell'interesse generale della collettività. Naturalmente, su questo, che è un Pag. 6tipico esempio di discrezionalità amministrativa, poi ci saranno i dovuti controlli in sede giurisdizionale, se quella via è aperta, o in sede di controlli amministrativi. Il fatto che un determinato procedimento possa essere senz'altro bloccato, senza possibilità di superamento, salvo il rinvio al Consiglio dei ministri, per esempio perché una provincia coinvolta è contraria a un determinato intervento in quanto ritiene che sia contrario a un interesse ambientale, è un problema. L'idea di introdurre nel procedimento posizioni insuperabili è una delle ragioni per cui moltissimi interventi e opere anche importantissime vengono bloccati sul piano amministrativo.
  A monte c’è un altro problema, di competenza legislativa, ossia quello di vedere quali interessi pubblici effettivamente debbano essere coinvolti e, quindi, di semplificare il procedimento. Ci sono interessi pubblici che effettivamente sono pertinenti e con i quali si deve mediare la decisione finale, ma ci sono anche interessi pubblici che sono del tutto ridondanti e che non servono per quella determinata operazione. Occorre ripulire i procedimenti dagli interessi pubblici eccessivi rispetto alle esigenze proprie di un determinato procedimento.
  L'altro strumento è rappresentato dal cosiddetto sportello unico, il quale vive insieme con la Conferenza dei servizi. Avere uno sportello unico significa che la pluralità dei procedimenti finisce con un provvedimento unico e nell'imbuto di un ufficio unico, di un front office unico con il quale il cittadino ha i rapporti.
  Lo sportello unico sta marciando, nel senso che è stato istituito in molte parti del territorio nazionale. Ci sono alcune province dove funziona benissimo, anche per merito delle camere di commercio, che funzionano abbastanza bene, a differenza dei comuni. Lo sportello unico può essere, infatti, costituito anche presso la camera di commercio.
  Il problema è che il funzionamento deve essere tale per cui il richiedente, per esempio per l'apertura di un'attività di impresa – ne parlo, visto che il presidente di Confindustria Squinzi su questo si è soffermato – si reca allo sportello unico, porta la documentazione strettamente necessaria (non le documentazioni di migliaia di pagine richieste attualmente, ma la documentazione strettamente necessaria, ossia quella di sua pertinenza) e poi lo sportello unico, attraverso strumenti telematici, si mette in contatto con le altre amministrazioni, se necessario, ma solo se strettamente necessario, indice una Conferenza dei servizi, acquisisce la documentazione necessaria e decide.
  Il cittadino non deve sapere quello che succede nel back office. È compito dello sportello unico avere rapporti con le amministrazioni, acquisire le documentazioni e anche gli assensi, ove strettamente necessari, e poi rispondere al richiedente, al cittadino, in tempi ragionevoli.
  Lo strumento esiste, è stato anche recentemente ribadito in sede legislativa e, lo ripeto, in molte parti del Paese funziona. Io spero che la Commissione possa individuare alcune precise modificazioni legislative e organizzative, prendendo per buone le prassi nei posti in cui funziona. Invito la Commissione a convocare qui alcuni responsabili degli sportelli unici che funzionano. Ce ne sono molti nel Nord Italia. Dopodiché, auspico che quelle buone prassi e quei buoni strumenti organizzativi siano applicati anche altrove.
  Finisco, Presidente. Come intervenire su questo tema ? Io credo che la strada, che era stata avviata con le leggi Bassanini, di autorizzare il Governo a ridisciplinare una serie cospicua di procedimenti, sia utile. Noi ci possiamo mettere a tavolino e fare l'elenco, per esempio, di quaranta procedimenti in materia di ambiente, di edilizia, di commercio e di industria. Il Governo ridisegna i procedimenti, tagliando tutto quello che deve essere tagliato, uffici, competenze, passaggi procedimentali. Dopodiché, si viene qui per il parere e si approva, si adotta.
  La disciplina procedimentale nuova di fonte regolamentare, motorizzata dalla legge, prende il luogo di tutta la normativa legislativa esistente. Questo metodo fu usato per una serie – pochi, per la verità; Pag. 7non ricordo quanti ne furono fatti – di procedimenti e ha funzionato abbastanza bene. Poi si è lasciato perdere. Non c’è dubbio che, per intervenire nei singoli procedimenti, occorra una nuova disciplina e che farla con legge in Parlamento sia impossibile. Si tratta di migliaia e migliaia di norme. Può essere tranquillamente autorizzato a farlo il Governo, con precisi princìpi da stabilire in sede legislativa. Questo per i procedimenti che si ritiene debbano essere mantenuti.
  Spetta invece al Parlamento, al legislatore individuare le attività da liberalizzare, cioè da escludere dal regime amministrativo o da sottoporre soltanto a SCIA; il Governo ha più difficoltà ad assolvere a questo compito, perché le singole amministrazioni fanno resistenza, soprattutto le amministrazioni locali.
  Queste attività possono essere, con un certo lavoro, individuate, se ne può fare un elenco e si possono sottrarre a ogni procedimento amministrativo. Questo non può che essere compito del legislatore. Anche su questo aspetto si potrebbe fare una delega al Governo, ma io lo vedrei meglio come frutto senz'altro della volontà politica.
  Presidente, io mi fermerei su questo punto, che naturalmente, è soltanto un settore di tutta la più complessa politica della semplificazione.

  PRESIDENTE. Do la parola al professor Filippo Satta.

  FILIPPO SATTA, già Professore ordinario di diritto amministrativo presso l'Università degli studi «La Sapienza». Grazie, Presidente. Sono colpito dalla sintonia di ragionamenti e di pensieri che c’è stata tra il collega Cerulli Irelli e me senza che ci siamo scambiati una parola. Evidentemente la vita ci ha portato, in maniera quasi naturale, su un terreno comune di valutazione di ciò che è buono e ciò che è cattivo.
  Io vorrei fare un passo più avanti di quello fatto dal collega Cerulli Irelli, ed è questo: vorrei chiedere a me stesso e a tutti da che cosa nasce la complessità, il perché noi non siamo capaci di essere naturalmente e fisiologicamente semplici.
  Io ho studiato, cercato e ragionato a lungo su questo tema e ho visto, per esempio, come il testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia (decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001) preveda competenze concorrenti, non tanto del comune e di un'altra autorità amministrativa, ma del comune e del giudice penale, del pubblico ministero. Se uno ha la pessima idea di fare un abuso edilizio, non viene semplicemente perseguito dall'amministrazione comunale per l'abuso che sta commettendo. Entra in gioco il giudice penale, il pubblico ministero, il quale paralizza l'amministrazione, perché pesa di più.
  Io mi sono domandato numerose volte da che cosa nasca tutto ciò, perché ci sia stato bisogno di tirare in ballo il giudice penale in materie che sono intrinsecamente amministrative. Capisco i casi in cui effettivamente c’è un grosso reato, ma non le situazioni che oggettivamente non sono reati, ma abusi. Se uno si costruisce qualche cosa e fa una lottizzazione abusiva, commette un abuso. Non è in sé e per sé un reato come strangolare qualcuno, tanto per fare l'esempio più macroscopico.
  La risposta che mi sono dato è la seguente, specialmente visto quanto il mondo è cambiato in questi ultimi anni, con l'emergere di una serie di valori tutelati dal legislatore e dalla legge che prima erano molto più in sordina, quali ambiente, paesaggio, beni culturali e via discorrendo: io penso che noi, con l'andare degli anni, abbiamo perso la capacità di individuare e tutelare gli interessi attivi della popolazione, gli interessi attivi dei cittadini, iniziative di ogni genere e specie, per affiancarli con misure frenanti, con misure di tutela di altri interessi. Tali interessi non sono creativi, ma puramente conservativi, o, per meglio dire, sono interessi che si ritiene possano essere tutelati solo attraverso queste misure conservative e paralizzanti le attività che si vogliono svolgere.
  Pensate a una città come Roma. Noi siamo in una grande città, che ha cose Pag. 8meravigliose, ma, se c’è un comune responsabile dell'edilizia, per quale motivo ci deve essere anche una soprintendenza che si occupi dei singoli appartamenti, come ha detto bene prima il collega Cerulli Irelli ? Che vogliamo fare ? Vogliamo avere autorizzazioni per lavori interni a un edificio ? Dove siamo, che senso ha ? Se c’è addirittura una soprintendenza del comune, che bisogno c’è che la soprintendenza statale autorizzi un lavoro di un tipo o di un altro ? Che si preoccupi di conservare beni di grande rilievo, di grande valore, non di ordinaria amministrazione.
  In questo modo per lo stesso oggetto si sviluppano più procedimenti. Se uno osserva le carte – noi viviamo circondati dalle carte – se osserva i procedimenti, vede che non ci sono soltanto questi grandi interessi, che comunque, anche se applicati a circostanze di poco peso, sono grandi interessi che si vorrebbero tutelare. Ci sono gli interessi più disparati. Ci sono interessi che prendono un nome ampolloso, ma che poi tali non sono.
  Se un negoziante, adesso che il commercio è liberalizzato, vuole aprire una bottega, voi credete che possa prendere in affitto un locale, alzare la persiana e vendere ? Deve mettersi a posto con il lavoro, con la sicurezza, con gli incendi, con una serie di questioni sterminate. Non gli bastano quattro o cinque mesi per cominciare ciò che ufficialmente non richiede autorizzazione alcuna.
  Voi capite che qui c’è qualche cosa che non funziona in senso molto serio, ed è l'incapacità maturata nel corso dei decenni di separare ciò che deve essere tutelato e vigilato perché ha peso e importanza sociale e ciò che, viceversa, è un valore che può essere tranquillamente individuato e rappresentato all'Autorità competente per l'autorizzazione principale senza bisogno di aprire decine di subprocedimenti.
  Il primo punto che io mi permetto di sottoporre all'attenzione della Commissione è questo: nessuna semplificazione si può realmente fare se non si comincia a chiarire quali sono gli interessi preminenti, come debbano essere gestiti gli interessi preminenti e fino a quale punto si possa arrivare con un intervento diretto delle amministrazioni deputate a questi interessi, che io chiamo preminenti e che sono, in realtà, gli interessi passivi, gli interessi frenanti nello scenario del quale stiamo parlando. Si vedrà poi dove la tutela di questi interessi debba essere affidata a un'amministrazione, e a una soltanto.
  Che cosa si deve fare, se questo è il pensiero corretto, se questo è un percorso che può essere seguito ? A me pare che si debbano fare alcune cose. La prima è certamente non pensare di poter risolvere tutto in una volta. Bisogna avere, per un verso, il coraggio e, per l'altro, l'umiltà di scegliere un settore, quale esso sia, e vedere in quel settore che cosa entra in gioco in maniera propria e in maniera impropria, che cosa viene correttamente vigilato, controllato, disciplinato e che cosa, invece, è lasciato oggetto di valutazioni discrezionali di altre Autorità senza alcuna necessità.
  Posso fare un esempio elementare relativo agli ascensori che ci sono nei palazzi – nei bei palazzi romani – dei quali c’è bisogno, e dei condizionatori d'aria. È possibile che questo problema debba essere risolto dalle soprintendenze ? Le soprintendenze poi lo risolvono sempre in un modo elementare, con un «no». È una cosa che non ha senso comune. Che disturbo può dare a un palazzo, quale che esso sia, mettere un condizionatore ? Rende vivibile il palazzo.
  Queste amministrazioni – le soprintendenze come tante altre naturalmente, cito le soprintendenze perché sono il fenomeno più vistoso in questa città, ma anche i tutori dell'ambiente e del paesaggio – hanno un effetto paralizzante fine a se stesso, non per colpa loro, ma per colpa del legislatore, il quale non è stato capace di indicare quali sono i limiti entro cui ci vuole un intervento diretto dell'autorità specialistica e quando, viceversa, è sufficiente che ci siano norme che devono essere fatte rispettare dalle autorità ordinarie competenti per materia.Pag. 9
  Io penso che si potrebbe cominciare a studiare il testo unico dell'edilizia e vedere quante autorità, quanti soggetti sono chiamati a intervenire direttamente e quanti altri non sono richiamati ma intervengono lo stesso, in modo da poter poi definire un quadro di interessi pubblici fondamentali, principali, ed uno, viceversa, di interessi secondari che possono essere lasciati a una gestione ordinaria da parte dell'autorità responsabile dell'interesse principale.
  Detto questo, in un linguaggio che pare sia più tecnico, si potrebbe dire che bisogna preoccuparsi della filiera della costruzione e, quindi, andare a vedere che cosa si possa e si debba fare per semplificare la filiera, per individuare che cosa è superfluo, che cosa costituisce un freno inutile e che cosa, invece, deve essere mantenuto.
  Noi abbiamo fatto questo lavoro. Stiamo facendo questo lavoro con l'architetto professor Carrer, che voi certamente conoscerete, uomo notissimo, per la filiera dei materiali da costruzione, perché anche la filiera delle costruzioni è già troppo ampia. Quello che emerge in termini di norme che devono essere osservate, che vengono dalle fonti più diverse e che, quindi, hanno semplicemente un effetto paralizzante sull'innovazione, sull'evoluzione tecnologica e sull'apertura dei mercati, è semplicemente impressionante.
  Credo che questo sia il primo compito che dovrebbe essere affrontato per fare una semplificazione reale nella pubblica amministrazione: ragionare sugli interessi, riordinare gli interessi e, una volta definito quest'ordine, procedere a una disciplina legislativa degli interventi.
  A questo punto se ne deve aggiungere un altro. Il collega Cerulli Irelli ha ricordato due questioni importanti. La prima è la straordinaria folla di procedimenti amministrativi. L'altra è il tentativo di razionalizzarli attraverso la Conferenza dei servizi e lo sportello unico.
  Io osservo che nel nostro Paese non c’è un'idea precisa di procedimento. Noi concepiamo il procedimento come una successione di atti dall'amministrazione A all'amministrazione B, all'amministrazione C, fino a XYZ e poi ricominciamo daccapo.
  Il significato vero della parola «procedimento», che deriva da «processo», nata in Austria ai primi del Novecento probabilmente, o forse anche un po’ prima, è che le decisioni amministrative si devono prendere nella forma del processo, cioè nel contraddittorio tra gli aspiranti, tra i portatori di interesse di un tipo e dell'altro. Se questo si fa, si devono mettere di fronte a ragionare il portatore dell'interesse di chi vuole costruire e quello degli interessi del comune che vuole le costruzioni ordinate. Si sviluppa un dialogo tra il costruttore, i vicini del costruttore, i concorrenti del costruttore e l'amministrazione, che consente di definire e ordinare queste situazioni in fase di pre-adozione del provvedimento, in fase di un'istruttoria che in questa cornice è un'istruttoria in contraddittorio e perciò destinata fisiologicamente a essere fruttifera, perché gli interessi si incontrano, si scontrano e a un certo punto si plasmano in un risultato che ottiene il consenso di tutti.
  Questo è l'altro passaggio fondamentale che era stato tentato nella legge n. 241 del 1990, ma che non era stato colto nel suo spirito, perché è stato fatto troppo in fretta e senza sufficiente contraddittorio con l’audience dei professori universitari, dei magistrati, degli utenti. Si è perso perché si è perso lo spirito del contraddittorio e si è concentrata l'attenzione sull'accesso e sugli altri fatti procedimentali, come il silenzio-assenso, la Conferenza dei servizi e via discorrendo.
  Credo che questo sia ciò che si può dire in breve tempo.

  PRESIDENTE. Grazie, professor Satta.
  Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  SERENELLA FUCKSIA. Pensate che sia possibile, in caso di procedimenti soggetti a SCIA o DIA, demandare al professionista che si fa carico del progetto il compito di porsi come referente per adempiere a tutta la normativa ?

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  IGNAZIO ANGIONI. Cercherò di essere il più breve possibile, anche se le sollecitazioni sono state numerose. Devo dire che dall'audizione di stasera abbiamo la dimostrazione del fatto che non sono di certo i cultori del diritto amministrativo i principali responsabili o gli ispiratori principali dell'eccessiva burocratizzazione del nostro Paese.
  Condivido quasi tutte, se non tutte, le osservazioni che sono state fatte e penso che anche per la nostra Commissione, per il seguito dei nostri lavori, sia utile l'impostazione suggerita, che appare come un'impostazione tecnica e scientifica, ma che in realtà acquista un'enorme valenza complessiva per le ricadute anche economiche che potrebbe avere nel nostro sistema. Mi riferisco a una distinzione preventiva di quali attività necessitino del regime amministrativo e di quali invece, debbano essere liberalizzate a monte. Io penso che questa definizione che i due professori stasera ci forniscono sia la reale chiave perché il Parlamento e il Governo si muovano nei prossimi mesi.
  Condivido anche profondamente il fatto che alcune norme abbiano perso la stessa capacità di tutelare interessi. Gli interessi che quelle norme dovrebbero tutelare in realtà non traspaiono immediatamente dalle norme stesse. Da questo punto di vista io innanzitutto vi chiedo, con una domanda-battuta, se esistono in Italia le lobby della burocrazia. Non parlo di un solo sistema, ma di diversi sistemi che abbiano un interesse principale a mantenere questo stato di cose.
  Inoltre, anche se il professor Cerulli Irelli in parte ha già anticipato la risposta, vorrei sapere da entrambi i nostri ospiti se pensano che la normativa di semplificazione, in particolare quella degli anni Novanta, abbia difettato nell'applicazione o se debba essere rivista anche in parte consistente perché non in sé capace di raggiungere l'obiettivo che si proponeva.
  Da ultimo – ovviamente, aspetto una risposta-battuta, visti i tempi – esiste nel nostro Paese un problema di processo amministrativo, in particolare per le competenze delle nostre strutture amministrative ?

  PRESIDENTE. Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

  VINCENZO CERULLI IRELLI, già Professore ordinario di diritto amministrativo presso l'Università degli studi «La Sapienza». Presidente, le lobby cui faceva riferimento il senatore Angioni, o meglio le pressioni burocratiche sono forse la principale questione che dobbiamo affrontare. Tutta quella parte di azione amministrativa inutile cui faceva riferimento segnatamente il professor Satta sta in piedi perché si vuole che stia in piedi. Non è che lo vuole la politica. La politica c'entra poco. Lo vogliono le strutture burocratiche.
  Il professor Satta citava, e ha fatto benissimo a citarlo, il fatto che un qualsiasi intervento su un tetto, nella città di Roma – nel centro storico di Roma, che è immenso e comprende tutta la zona all'interno delle Mura Aureliane – per esempio rifare una tettoia perché cade l'acqua, necessiti dell'autorizzazione anche della soprintendenza ai monumenti. Io, che sono un piccolo proprietario, un piccolo professionista – i professionisti costano – devo fare una lunga fila alla soprintendenza per essere ricevuto e avere un qualche assenso e poi un'altra lunga fila al comune.
  Questo non è possibile. Questi poteri vanno tagliati senza pietà, laddove non sono necessari. Per questo io prima dicevo che ci vuole l'autorità politica, un'autorità politica forte, perché le resistenze burocratiche sono fortissime.
  Senatore Angioni, se cade una competenza, un ufficio, un'organizzazione, cade un potere, anche di ricatto. Possiamo parlare apertamente di ricatto e di corruzione. La complicazione amministrativa è uno dei fattori fondamentali della corruzione in questo Paese. Io spero che la Commissione dica questo a chiare lettere con la sua autorità. Il problema della semplificazione amministrativa sta anche Pag. 11dentro la lotta alla corruzione. La complicazione rende difficile ai cittadini operare quando tutto consentirebbe di farlo, salvo che, per operare, devono passare per determinati passaggi, che possono essere costosi e che possono essere soggetti al ricatto sui tempi e sulle modalità. Questo è un problema fondamentale – l'ha detto bene il presidente Squinzi proprio qui in Commissione, come ho letto – per la competitività e per la modernizzazione del Paese.
  Ci sarebbero tante cose da dire, Presidente, ma per ora mi fermo qui.

  FILIPPO SATTA, già Professore ordinario di diritto amministrativo presso l'Università degli studi «La Sapienza». Io comincerei dalla fine, ossia dall'ultima domanda che il Senatore Angioni ha posto: ci sono problemi di processo amministrativo ?
  Certo, ci sono problemi di processo amministrativo. Hanno troppo lavoro, sono tanti, c’è un problema di processo, di rapporti e di contenziosi con l'amministrazione che è inquietante. Secondo me, il problema deve essere affrontato dalla base.
  È sbagliatissimo dire che il giudice amministrativo non serve, che non è competente, che fa cose che non dovrebbe fare. Non lo condivido affatto. Ci possono essere eccessi, ma non sono mai tali da dover buttare il bambino con l'acqua sporca. Il problema vero è che non c’è dialogo tra cittadini e amministrazione e, quindi, non c’è confronto tra i cittadini interessati e controinteressati di fronte all'amministrazione, il quale dialogo è il solo che possa condurre a un risultato ragionevole e condiviso.
  Il problema è la carenza di procedimento. Questo è il problema grave del nostro Paese, ed è una delle questioni che dovranno essere affrontate quanto prima, se si vuole dare veramente uno sveltimento alla macchina burocratica.
  L'altra domanda era se la normativa di semplificazione abbia difettato nell'applicazione o se non sia in sé sufficiente. Io ritengo che sia in sé non sufficiente. È vero che il professor Bassanini e i suoi colleghi hanno fatto una grande opera di sfoltimento, non c’è dubbio, ma innanzitutto lo sfoltimento nei fatti è stato relativamente limitato. È stato fatto un po’ di ordine, ma nessuno ha toccato le radici del problema, che sono due.
  La prima è il procedimento contraddittorio. All'inizio, nel primo testo della cosiddetta legge Bassanini (legge n. 59 del 1997), sembrava che ci fosse in pectore un'apertura al procedimento contraddittorio, ma non se ne è fatto nulla. La seconda è che si è fatto soltanto un rimescolamento di carte, una riduzione di oneri, una qualche semplificazione, un accorpamento, ma questa non era la semplificazione. Era un modesto intervento di ripulitura.
  La distinzione tra attività che necessitano e che non necessitano di provvedimento è il problema dei problemi. Noi dobbiamo decidere quali sono gli interessi primari, i quali necessariamente devono essere gestiti e curati da una pubblica amministrazione, cioè da un soggetto terzo al gioco degli interessi, e quali sono gli interessi che possono essere disciplinati, ma il cui rispetto deve essere lasciato fiduciariamente al cittadino, al professionista, senza bisogno che su una canna fumaria intervenga il comune o chi per esso. Non ha senso.

  PRESIDENTE. Salvo successiva repressione.

  FILIPPO SATTA, già Professore ordinario di diritto amministrativo presso l'Università degli studi «La Sapienza». Casuale. Questo è fondamentale. Noi dobbiamo stimolare la fiducia della gente. Se si introduce il concetto che tutto deve essere sempre rivisto, si apre di nuovo la porta alla corruzione. Se invece si procede a controlli a campione, reprimendo severamente gli abusi, si danno segnali importanti, anche in termini di fiducia reciproca tra cittadini e pubbliche amministrazioni.

  VINCENZO CERULLI IRELLI, già Professore ordinario di diritto amministrativo Pag. 12presso l'Università degli studi «La Sapienza». Posso aggiungere una parola sul processo, Presidente ? Il processo amministrativo tutto sommato funziona abbastanza bene, ma è caricato da un peso eccessivo. Una delle ragioni di questo eccessivo contenzioso è rappresentata proprio dal formalismo delle leggi. Sono due problemi interconnessi. Più ci sono passaggi formali nelle leggi, passaggi che devono essere superati a pena di illegittimità, più il contenzioso aumenta.
  Nella materia degli appalti – il professor Satta è molto più esperto di me – abbiamo un contenzioso gigantesco sulle cose minute. Il codice degli appalti e i bandi che ne sono attuazione prevedono, a pena di nullità o di esclusione dei concorrenti, una serie di adempimenti di carattere del tutto formale e del tutto inutili, che potrebbero essere tranquillamente svolti dalla stessa pubblica amministrazione con i dati che essa possiede o con richieste di documentazione successiva. Ci sono numerosi adempimenti formali richiesti, a pena di esclusione o di nullità, che danno luogo a un vastissimo contenzioso.
  Abbassare il formalismo delle leggi e semplificarle e, quindi, semplificare i procedimenti produce sicuramente un effetto virtuoso anche in termini di diminuzione del contenzioso, il quale deve essere un contenzioso sostanziale, non fondato sui formalismi delle leggi.

  PRESIDENTE. Ringraziando il professor Cerulli Irelli e il professor Satta, dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 17.05.