XVII Legislatura

Commissione parlamentare per la semplificazione

Resoconto stenografico



Seduta n. 9 di Mercoledì 18 novembre 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Tabacci Bruno , Presidente ... 2 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLE SEMPLIFICAZIONI POSSIBILI NEL SUPERAMENTO DELLE EMERGENZE

Audizione del Capo del Dipartimento della protezione civile, Fabrizio Curcio.
Tabacci Bruno , Presidente ... 2 
Curcio Fabrizio , Capo del Dipartimento della protezione civile ... 2 
Tabacci Bruno , Presidente ... 17 
Mazzoli Alessandro (PD)  ... 17 
Prataviera Emanuele (Misto)  ... 18 
Tabacci Bruno , Presidente ... 18 
Curcio Fabrizio , Capo del Dipartimento della protezione civile ... 18 
Prataviera Emanuele (Misto)  ... 19 
Curcio Fabrizio , Capo del Dipartimento della protezione civile ... 19 
Tabacci Bruno , Presidente ... 20

Testo del resoconto stenografico
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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE BRUNO TABACCI

  La seduta comincia alle 8.20.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione del Capo del Dipartimento della protezione civile, Fabrizio Curcio.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle semplificazioni possibili nel superamento delle emergenze, l'audizione del Capo del Dipartimento della protezione civile, ingegner Fabrizio Curcio, accompagnato dalla dottoressa Paola Caporalini Aiello e dalla dottoressa Francesca Maffini.
  Nel corso delle audizioni fin qui svolte gli interventi di protezione civile immediatamente successivi alle calamità naturali hanno ricevuto generale apprezzamento.
  Tutti i nostri interlocutori hanno denunciato, invece, le difficoltà che si riscontrano nella fase del ritorno alla normalità.
  Quasi unanime è stata la richiesta di una normativa quadro che, magari classificando gli eventi in base alla loro gravità, possa disciplinare, in un'ottica di semplificazione, la fase del superamento delle emergenze, evitando che si verifichino disparità di trattamento tra situazioni similari, come invece è avvenuto nel recente passato.
  Il disegno di legge che delega il Governo al riordino della protezione civile, approvato dalla Camera e trasmesso al Senato (A.S. 2068), contiene spunti interessanti in questa chiave, in particolare laddove prevede – al comma 2, lettere e) e g) dell'articolo 1 – che la delega sia indirizzata:
   alla «individuazione dei livelli degli effetti determinati dagli eventi calamitosi, commisurati alla loro intensità ed estensione e alla capacità dei territori di farvi fronte, sulla base dei quali individuare criteri e metodologie omogenei per l'intero territorio nazionale, per il riconoscimento e l'erogazione di agevolazioni, contributi e forme di ristoro per i soggetti colpiti da eventi per i quali sia stato dichiarato lo stato di emergenza»;
   alla «introduzione di appositi strumenti di semplificazione volti alla riduzione degli adempimenti amministrativi durante la fase di emergenza e di superamento dell'emergenza, garantendo la continuità amministrativa e la piena trasparenza e tracciabilità dei flussi finanziari».

  Si tratta degli aspetti sui quali ci siamo maggiormente concentrati con questa indagine conoscitiva e di cui abbiamo avuto conferma dalle posizioni assunte dai soggetti auditi. Credo che su questi aspetti si potrà andare a definire il quadro generale che da più parti viene invocato.
  Do la parola all'ingegner Curcio, che ringrazio della presenza.

  FABRIZIO CURCIO, Capo del Dipartimento della protezione civile. Buongiorno, Pag. 3signor presidente. Buongiorno a tutti gli onorevoli componenti di questa Commissione. Intanto consentitemi di ringraziare il presidente e i commissari per il lavoro istruttorio che è stato svolto da quest'autorevole Commissione in merito all'indagine avviata sulla semplificazione possibile nella gestione delle fasi successive alle emergenze, così come risulta dagli atti depositati dai diversi soggetti auditi.
  L'invito che mi è stato rivolto, e di cui ancora ringrazio, mi ha fornito l'opportunità di approfondire anche la tematica relativa alle attività affidate al Servizio nazionale di protezione civile proprio nella logica della puntualizzazione dei termini di semplificazione. Devo dire che le risultanze di questo lavoro si innestano in maniera molto puntuale e precisa proprio nel processo di approvazione di leggi che è stato testé richiamato, che prevede il riordino delle disposizioni legislative in materia di protezione civile, approvato, come detto, in prima lettura, anche con un ampio consenso, alla Camera dei deputati e attualmente all'esame del Senato.
  Tra le altre cose il citato progetto di legge, che è espressione di un lavoro molto certosino di coordinamento tra Governo e Parlamento avviato da tempo su questa materia, reca già alcuni aspetti e presupposti inerenti proprio alla parte di semplificazione normativa e amministrativa perché fa parte, in realtà, del percorso e del processo.
  Io ritengo che i tempi scelti per l'indagine conoscitiva che è stata proposta siano sincroni proprio con l’iter approvativo del provvedimento di delega, che ovviamente si inserisce anche in altre riforme importanti, tra cui la modifica del Titolo V, la quale probabilmente ricollocherà a livello centrale, se così andrà la norma, la funzione di coordinamento e di indirizzo del sistema di protezione civile.
  Se il presidente e i commissari sono d'accordo, io lascerò al termine di quest'audizione una relazione abbastanza puntuale, in modo da consentire anche delle riflessioni a tempo dovuto. Se sarà necessario, si potrà riapprofondire. Approfitterei dell'opportunità che mi è stata concessa stamattina per approfondire, invece, alcuni temi specifici.
  Vorrei evidenziare innanzitutto come funziona oggi il sistema di protezione civile, perché su questo c’è, da una parte, un retaggio del passato e, dall'altra, una forma di non perfetta conoscenza delle varie funzioni e delle varie modifiche. Per me questa sarebbe un'opportunità per chiarire tale aspetto.
  Vorrei poi puntualizzare due temi di particolare attenzione. Uno riguarda proprio la parte derogatoria della norma, la quale incide fortemente nella parte di semplificazione in una forma di contrappeso. Se c’è più semplificazione, l'aspetto derogatorio ha un ruolo importante.
  L'altro è un tema specifico, che però tiene conto anche di questa necessità di semplificare le azioni, e riguarda il sistema di allertamento meteo nazionale, uno dei temi caldi di interesse a livello nazionale per le responsabilità che sono ad esso sottese.
  Ovviamente, do per scontato che il sistema di protezione civile nella sua finalità generale sia ben conosciuto. Non mi soffermo sulle finalità generali delle attività messe in campo per tutelare l'integrità, i beni e la vita che derivano dalle calamità. Ribadirei, invece, il fatto che il sistema di protezione civile si basa su alcune azioni specifiche, che sono azioni di prevenzione, previsione, soccorso e assistenza alla popolazione e di superamento dell'emergenza. Anche questo fa parte di una modernità del nostro sistema che andrebbe anche un po’ esaltata rispetto a tante altre situazioni in cui il sistema di protezione civile si occupa solamente di un aspetto.
  Il sistema italiano, che è ben conosciuto anche all'estero, ha proprio la caratteristica di essere un sistema che omogeneizza le risorse migliori del Paese. Su questo fronte mi preme sottolineare il fatto che da noi – qui c’è stato forse un fraintendimento, ovviamente più mediatico che istituzionale – la protezione civile non è un compito assegnato a una singola amministrazione, ma è una funzione che Pag. 4viene attribuita a un sistema complesso di soggetti. A livello mediatico, ancora non c’è sempre la consapevolezza di questo e si pensa che la protezione civile sia qualcun altro, mentre la protezione civile è l'insieme di queste componenti, che sono state omogeneizzate con una legge – se me lo consentite – particolarmente brillante, moderna e democratica, la legge n. 225 del 1992.
  Si tratta di una norma che tuttora trova un suo fondamento, tant’è che anche le varie modifiche si basano su quella legge, che è frutto di un ampio dibattito parlamentare all'esito degli eventi del 1980, ossia del terremoto dell'Irpinia, quando fu evidenziato evidentemente un problema di coordinamento e di messa a sistema delle risorse.
  Il servizio opera fondamentalmente con componenti rappresentate dalle amministrazioni centrali dello Stato, dalle regioni, dalle province autonome e dagli enti locali e con delle strutture operative. L'articolo 11 della legge n. 225 del 1992 elenca le strutture operative della protezione civile: Corpo nazionale dei vigili del fuoco, forze armate, forze di polizia, Corpo forestale dello Stato, servizi tecnici nazionali, comunità scientifica – un elemento molto importante di questo sistema, anzi un elemento, se mi è consentito, qualificante del sistema di protezione civile da un punto di vista scientifico – Croce rossa, Servizio sanitario nazionale, organizzazioni di volontariato (altro patrimonio fondamentale del nostro sistema) e Soccorso alpino e speleologico. Queste sono le strutture operative del Servizio.
  Ovviamente, alla pianificazione e alla realizzazione delle diverse attività concorrono anche gli enti pubblici e tutte le Istituzioni e organizzazioni, anche private, che abbiano competenze connesse con le finalità di protezione civile.
  Inoltre, vorrei sottolineare un aspetto al quale non sempre viene attribuita importanza, ma che io ritengo importante, anche nella logica culturale di cui si parla in materia di protezione civile. L'articolo 6 della legge n. 225 del 1992 stabilisce che gli stessi cittadini sono parte attiva del sistema di protezione civile. Io credo che questo sia un elemento fondamentale da sottolineare.
  Il Servizio opera, ovviamente, a livello centrale, regionale e locale, ma nel rispetto di un principio che ritengo essere l'espressione più alta della democraticità, il principio della sussidiarietà. Contrariamente a quello che si immagina, il sistema di protezione civile lavora dal basso verso l'alto, se col «basso» intendiamo la parte amministrativa più prossima al cittadino. Pertanto, il Servizio di protezione civile è garantito fondamentalmente a livello locale dalla struttura del comune.
  La prima a dover intervenire è la struttura comunale, che è l'Istituzione più vicina al cittadino. È il comune che deve assicurare la prima risposta all'emergenza, qualunque sia la natura e l'estensione dell'evento. Non a caso, il sindaco è riconosciuto dalla nostra legislazione come la vera e unica autorità di protezione civile. Ovviamente, nel momento in cui l'evento è tale che non può essere gestito a livello comunale, intervengono, nel pieno rispetto della sussidiarietà, gli enti amministrativamente più organizzati – non parlerei di importanza, perché non ritengo che sia questo – che vanno dalla parte provinciale, o di area vasta, comunque vogliamo chiamarla, alla parte regionale e certamente allo Stato, nel momento in cui viene definita la dichiarazione dello stato di emergenza.
  Sulla dichiarazione dello stato di emergenza la legge n. 225 del 1992 stabilisce in maniera chiara le suddivisioni degli eventi con i quali ci si può trovare a operare e individuare all'articolo 2, comma 1, lettera a). L'articolo distingue gli eventi naturali o causati dall'uomo che possono essere affrontati con mezzi ordinari da una singola amministrazione, da un singolo ente, che sono i cosiddetti eventi di tipo A, e gli eventi di tipo B, eventi ordinari, che però, per essere affrontati, hanno la necessità di un coordinamento tra varie amministrazioni. Questo noi lo facciamo confluire in una scala provinciale/regionale.Pag. 5
  Poi ci sono gli eventi di tipo C, ossia le calamità naturali o connesse con l'attività dell'uomo che, in ragione della loro intensità ed estensione, devono essere fronteggiate con poteri straordinari. Questa è la famosa dichiarazione dello stato di emergenza di cui poi brevemente vorrei parlare.
  Le recenti modifiche normative hanno introdotto un aspetto importante su questo fronte, che è alla base dello spirito della norma: queste calamità naturali o connesse con l'attività dell'uomo devono essere affrontate con immediatezza di intervento. Questo aspetto lo sottolineerei perché poi lo riprendiamo nel momento in cui andiamo a vedere come le procedure per la dichiarazione dello stato di emergenza entrino talvolta in conflitto con il fatto che debbano essere immediate. Il senso è che, se c’è un evento emergenziale di livello nazionale, si devo essere rapidi a intervenire. Se, però, abbiamo procedure che questa rapidità non la consentono, evidentemente la stessa norma non viene pienamente attuata. Su questo punto vorrei ritornare successivamente.
  Il sistema complesso di competenze previsto dalla legge n. 225 del 1992 trova il suo punto di raccordo nelle funzioni di indirizzo e di coordinamento affidate per legge direttamente al Presidente del Consiglio o a un'autorità politica delegata, che si avvale comunque del Dipartimento di protezione civile. Il Dipartimento è parte di quel sistema. Dico questo, anche qui, a chiarire il fatto che talvolta il sistema viene confuso con il Dipartimento, mentre il Dipartimento è un soggetto, un'amministrazione che ha un ruolo all'interno di un sistema che è molto più complesso.
  Il Dipartimento di protezione civile, che è una struttura della Presidenza del Consiglio dei ministri – brevemente lo ricordo a tutti, ma è ben noto – nasce nel 1982 da un'idea dell'onorevole Giuseppe Zamberletti, che aveva come obiettivo proprio quello di dotare il Paese di un organismo che fosse capace di mobilitare e coordinare le risorse nazionali utili ad assicurare l'assistenza alla popolazione in caso di emergenza. Questo era dovuto al drammatico ritardo dei soccorsi e all'assenza di coordinamento che si erano avuti nel 1980, quando ci fu anche un cospicuo stanziamento di risorse, ma non ben coordinate, ragion per cui non c'era un punto di raccordo di tutte queste azioni.
  Il Dipartimento diventa questo punto di raccordo con la legge n. 225 del 1992, che ha compiti fondamentalmente di indirizzo, promozione e, come dicevo, coordinamento dell'intero sistema. Il Dipartimento opera certamente in stretto raccordo con le regioni e le province autonome e si occupa di tutte le attività volte alla previsione e alla prevenzione dei rischi – specificheremo come la varia normativa ha modificato questi aspetti – al soccorso e all'assistenza delle popolazioni colpite dalle calamità e, ovviamente, al contrasto e al superamento dell'emergenza in termini generali. Chiaramente esso mantiene rapporti costanti con tutte le componenti e le strutture di cui alla legge n. 225 del 1992.
  Il Dipartimento è dotato di uffici tecnici. Vorrei sottolineare anche il fatto che noi siamo costantemente in collegamento con le strutture di protezione civile delle regioni e delle province autonome, ma anche con il supporto di centri di competenza, strutture universitarie e istituti di ricerca che forniscono servizi, informazioni, dati, elaborazioni e studi, proprio a caratterizzare l'impronta scientifica del sistema, che garantisce anche il funzionamento del sistema di allertamento nazionale per il rischio idraulico e idrogeologico, cui brevemente vorrei poi fare cenno.
  Il Dipartimento ha un ruolo importante per l'indirizzo e il coordinamento delle attività di pianificazione in emergenza realizzate dalle Istituzioni territoriali. Anche qui vorrei sottolineare il fatto che il Dipartimento ha una funzione di indirizzo. La pianificazione non può che essere un elemento che nasce dal territorio. Diversamente si penserebbe che ci sia una struttura centrale che deve pianificare il livello territoriale, il che andrebbe in contrasto con lo spirito della norma. Anche su questo aspetto tornerei dopo.Pag. 6
  Approfitto dell'occasione anche per dire che presso il Dipartimento, oltre al Centro funzionale centrale, che si occupa del sistema di allertamento nazionale, è presente una Sala situazioni, un centro di coordinamento che si chiama Sistema, con una Sala situazione Italia, che monitora costantemente le situazioni di emergenza su tutto il territorio nazionale. Si tratta di una sala unica in Europa. Non mi spingo a dire nel mondo perché non ho una conoscenza approfondita di tutte le nazioni, ma in Europa posso dire che si tratta di una sala unica, perché sono presenti all'interno di questa sala – ventiquattr'ore al giorno per 365 giorni l'anno – tutte le strutture delle forze di polizia, ossia le sei forze di polizia, il Comando operativo di vertice interforze, che, come voi ben sapete, è la parte operativa delle forze armate e il ruolo operativo delle forze armate, la Capitaneria di porto – abbiamo un'estensione importante dal punto di vista marino-marittimo, ragion per cui un ruolo importante viene assegnato alla Capitaneria di porto – e la Croce rossa italiana. Abbiamo un nucleo presente operativamente H24.
  È, inoltre, compito del Dipartimento coordinare le attività di risposte a calamità naturali o catastrofi rientranti nella famosa lettera c) dell'articolo 2 della legge n. 225 del 1992, che richiedono mezzi e poteri straordinari. Con la dichiarazione dello stato di emergenza da parte del Consiglio dei ministri – su questo tornerò dopo – spetta chiaramente al capo del Dipartimento emanare le ordinanze (questa è stata una modifica normativa che poi puntualizzerò), che prima erano invece in capo al Presidente del Consiglio dei ministri.
  In ambito internazionale – vi faccio un breve richiamo – attraverso il Dipartimento partecipiamo al Meccanismo di protezione civile dell'Unione europea, che nasce per rispondere in modo efficace e tempestivo alle emergenze in ambito internazionale. Il più delle volte in ambito nazionale noi possiamo lavorare con una doppia veste. Ovviamente, possiamo andare a una forma bilaterale, cosa che facciamo certamente d'intesa con le indicazioni che provengono dal nostro Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, ma il più delle volte preferiamo fornire il nostro contributo tramite la parte europea, un po’ perché l'impegno internazionale viene anche in quota parte cofinanziato – ma non solo per questo – e un po’ per una funzione tecnico-politica che normalmente viene scelta, cioè quella di essere partecipi all'interno di un meccanismo europeo ben rodato su queste azioni.
  Vi chiedo scusa se ho fatto una ricostruzione generale del contesto. Intendevo solo introdurre e condividere l'impostazione iniziale. In questo contesto si inserisce la recente riforma della normativa del Servizio nazionale di protezione civile per una quota parte, non molto recente a dire il vero, ossia la parte di devoluzione al territorio. Poi c’è, invece, la parte degli ultimi tre anni, che ha visto una modifica della normativa per cinque volte.
  A partire dalla promulgazione della legge n. 225 del 1992 la materia della protezione civile, che prima era fortemente accentrata – tutto ciò che è stato fatto prima del 1998 prevedeva un sistema particolarmente accentrato – viene progressivamente e parzialmente trasferita ai Governi regionali e alle autonomie locali. Le tappe di questo processo sono, ovviamente, ben note e partono dal decreto legislativo n. 112 del 1998, ma soprattutto dalla modifica del Titolo V della Costituzione con la legge costituzionale n. 3 del 18 ottobre 2001.
  Questo per noi è un punto fondamentale, perché con questa legge la protezione civile diventa materia di legislazione concorrente. Salvo che per la determinazione dei princìpi fondamentali, il potere legislativo in materia di protezione civile spetta alle regioni. Questo ha portato certamente a un avvicinamento del sistema di protezione civile al territorio, ma anche a una diversificazione dalla prospettiva nazionale, perché ogni regione si è dotata di una sua organizzazione, impostando la Pag. 7questione come ha ritenuto e creando delle disomogeneità dal punto di vista nazionale.
  Ogni regione ha, quindi, sviluppato i princìpi della legge n. 225 del 1992 emanando proprie leggi e si è organizzata, laddove meglio, laddove con qualche difficoltà, con un proprio sistema di protezione civile, adottando chiaramente dei modelli differenziati. Ci sono state regioni che hanno scelto l'Agenzia di protezione civile, altre che hanno preso delle strutture di staff dei presidenti e altre che hanno preferito Dipartimenti in capo alle Direzioni che si occupano di ambiente e territorio, di lavori pubblici e addirittura talvolta anche di sicurezza intesa proprio come security, andando a sposare una linea un po’ diversa.
  Ovviamente, l'attuale processo di riforma del Titolo V impatterà su questa organizzazione, probabilmente – io direi che ce lo auguriamo – rafforzando il potere di indirizzo e di coordinamento dello Stato. In merito vorrei che non ci fossero fraintendimenti anche sul pensiero del Dipartimento. Noi crediamo fortemente che ci debba essere un potere di indirizzo e di coordinamento più forte da parte della parte centrale, proprio per omogeneizzare le differenze, tenendo fermo, però, che le competenze delle regioni e delle province autonome in materia di protezione civile devono permanere anch'esse, perché il sistema di protezione civile è un sistema territoriale. Non si può prescindere da un'organizzazione di protezione civile che venga intesa nella logica dell'utilizzo del suolo e della continuità e prossimità con il cittadino. Noi immaginiamo che questa modifica al Titolo V consenta alla parte centrale di avere un po’ più di voce in capitolo, se mi consentite questo termine un po’ atecnico, nella logica dell'omogeneizzazione, cosa che invece oggi abbiamo difficoltà a fare, ferme restando le competenze territoriali.
  In questo contesto di devoluzione, in realtà, da alcuni anni nel nostro Paese si è riaccesa la discussione intorno al tema della protezione civile e si è dato avvio – devo dire, in verità, in maniera non molto organica, dal nostro osservatorio, senza avere neanche all'apparenza un preciso disegno strategico – a un percorso di riforma che ha visto, come dicevo, in meno di tre anni l'emanazione di cinque provvedimenti normativi che hanno introdotto delle modifiche e delle novità alla legge, lasciando aperta una serie di questioni e introducendo alcuni aspetti, dei quali mi accingerò adesso a tratteggiare i contorni, che meritano una certa attenzione.
  In particolare, con il decreto-legge n. 59, che ha avuto la sua origine il 15 maggio 2012 ed è poi stato convertito nella famosa legge 12 luglio 2012, n. 100, si toccano alcuni temi chiave, che sono ancora attuali, con i quali oggi facciamo i conti.
  Mi riferisco alla classificazione degli eventi calamitosi. Ho già detto che la lettera c), introdotta dal decreto-legge n. 59 del 2012, evidenzia non solo l'immediatezza, ma anche il fatto che questi poteri straordinari devono essere impiegati durante limitati e predefiniti periodi di tempo. Tale norma stabilisce, quindi, che l'atto emergenziale sia un atto contingentato nel tempo, oltre che evidentemente, dato anche il periodo in cui è stata fatta la modifica, con risorse certe e predefinite. Questa era una grande novità in tema di protezione civile, laddove invece la dichiarazione dello stato di emergenza in passato era un po’ open, nel senso che si dichiarava lo stato di emergenza e poi si pensava alle risorse da mettere dentro. Non c'era un limite temporale.
  Noi a questo siamo favorevoli, nel senso che crediamo che il contingentamento soprattutto dalla parte delle risorse e del tempo eviti fraintendimenti sull'utilizzo dello strumento, proprio per evitare che lo strumento emergenziale poi diventi – chiamiamolo così – una scorciatoia per risolvere le questioni che ordinariamente non si riescono a portare a termine. Forse, però, ci siamo troppo concentrati su questo aspetto. Talvolta la determinazione di queste risorse va contro la tempestività dell'intervento. Su questo aspetto tornerei dopo.Pag. 8
  In particolare, quindi, la riforma del 2012 ridefinisce la prima fase dell'emergenza proprio ponendo l'accento sul fattore tempo. Viene specificato che i mezzi e i poteri straordinari per fronteggiare le calamità vanno utilizzati per interventi temporali, limitati e predefiniti. Anche qui forse un eccesso è stato il fatto che lo stato di emergenza venisse regolato proprio con la legge n. 100 del 2012 e che non potesse superare i 90 giorni, anche se poteva essere prorogato per altri 60. Poi questo termine è stato cambiato.
  È chiaro, quindi, che stringere lo stato di emergenza in tre mesi andava a caratterizzare in maniera molto forte la possibilità di operare. Anche se questo tempo è stato riaperto con le varie modifiche, noi siamo favorevoli a un contingentamento temporale dello stato di emergenza, ma probabilmente dovremmo essere un po’ più flessibili. Questo, però, ovviamente, dipende dallo strumento e da che cosa se ne vuole fare.
  Con la medesima legge si è posto poi il termine a tutta una serie di emergenze che duravano da decenni. Credo che questo sia stato un elemento positivo, perché si è andati a chiudere quella stagione in cui lo stato d'emergenza era un po’ un reiterare di azioni che venivano fatte veramente da anni.
  È positivo che lo stato di emergenza possa essere dichiarato nell'imminenza dell'evento. Questa è una possibilità importante, perché consente di utilizzare lo strumento straordinario non solo a evento accaduto, ma anche un po’ prima che l'evento accada.
  Un altro passaggio importante è stato l'individuazione dell'amministrazione competente che al termine dell'emergenza ha in carico la prosecuzione delle attività. Questa è una innovazione positiva, perché si evita che al termine dell'emergenza non ci sia il soggetto incaricato di proseguire le azioni intraprese. Il fatto che da subito si individui qual è l'amministrazione titolata a proseguire quella gestione credo sia un atto importante.
  Un elemento di particolare rilevanza è, come ho accennato prima, il fatto che le ordinanze di protezione civile che sono necessarie alla realizzazione degli interventi per contrastare e superare l'emergenza siano di norma emanate dal Capo del Dipartimento della protezione civile e non più dal Presidente del Consiglio dei ministri, perché questo facilita la procedura amministrativa.
  Occorre fare una valutazione. Si tratta di atti che prevedono norme derogate. Viene dato il potere a un ruolo tecnico-amministrativo, a un capo del Dipartimento, seppure su mandato del Consiglio dei ministri, sostanzialmente di derogare a delle norme. Questo è il motivo per cui questo prima era un atto politico, perché era a firma del Presidente del Consiglio. È stato portato, però, alla responsabilità del Capo del Dipartimento della protezione civile.
  Questo ci ha costretti – uso il termine «costretti» in senso positivo – a dotarci di procedure che fossero il più possibile omogenee, proprio per evitare che situazioni emergenziali diverse avessero impostazioni troppo differenti. È questo il motivo per cui le prime ordinanze del Capo del Dipartimento della protezione civile sono abbastanza simili, perché toccano quei tre o quattro temi che sono presenti in quasi tutte le emergenze.
  Le ordinanze emanate entro 30 giorni dalla dichiarazione dello stato di emergenza sono immediatamente efficaci e non hanno necessità del concerto del Ministero dell'economia e delle finanze – ci limitiamo a comunicarle al Ministero – mentre quelle emanate dopo 30 giorni devono avere il concerto del Ministero dell'economia e delle finanze. Questo è un punto che nei vari passaggi normativi è stato parecchio dibattuto, perché questo passaggio con il Ministero dell'economia e delle finanze, che da un certo punto di vista copre la parte economico-finanziaria, rallenta, però, ulteriormente, la tempestività. In questo senso si è scelta questa soluzione intermedia, che io credo sia di soddisfazione.
  La legge n. 100 del 2012 ha poi chiarito che lo stato di emergenza viene finanziato con un fondo specifico, il famoso Fondo Pag. 9nazionale di protezione civile, la cui dotazione è determinata annualmente dalla legge di stabilità. Questo ha consentito di essere molto rapidi, una volta dichiarato lo stato di emergenza o in procinto della dichiarazione dello stato di emergenza, perché non c’è bisogno del reperimento delle risorse economico-finanziarie da assegnare a quel tipo di emergenza, cosa che in passato ha creato ulteriori lungaggini. Una volta costituita la parte tecnica, mancava infatti la parte economico-finanziaria. In questo senso avere il fondo che già stabilisce che quello è il portafoglio da cui tirare fuori le risorse per una data gestione emergenziale limita la ricerca. Ultimamente questo fondo per le emergenze nazionali è stato incrementato poiché quest'anno abbiamo avuto spese superiori ai 220 milioni di euro. Su questo aspetto tornerei in seguito.
  Le attività di prevenzione vengono esplicitate. Questa è un'altra innovazione della legge n. 100 del 2012. Per la prima volta si parla chiaramente di allertamento, pianificazione d'emergenza, formazione, diffusione della conoscenza di protezione civile e informazione alla popolazione. Un lato positivo anche di questa legge n. 100 del 2012 è che finalmente si attribuisce dignità a un'attività di prevenzione non strutturale, andando a definire in maniera chiara qual è l'elemento che viene introdotto su questo tema.
  A questo è collegato un altro tema di particolare importanza, che riguarda i Piani comunali di emergenza di protezione civile, che devono essere approvati dai rispettivi Consigli comunali entro 90 giorni dall'entrata in vigore della legge.
  Su questo aspetto noi abbiamo un quadro, purtroppo, non troppo esaltante del nostro Paese. Sebbene ci sia una percentuale di Piani dichiarata intorno al 70 per cento, non siamo in grado a livello nazionale di avere un quadro esaustivo della qualità di questi Piani. Noi sappiamo che il 70 per cento dei comuni italiani ha il Piano, ma come questo Piano sia realizzato oggi non siamo in grado oggettivamente di dirlo e definirlo.
  La legge n. 100 del 2012 ribadisce il ruolo del sindaco come autorità comunale di protezione civile, precisandone i compiti e le attività di soccorso, cosa che era da sempre prevista, ma che la legge n. 100 ha ribadito.
  Chiudo questo percorso normativo per addentrarmi poi nella parte più specificamente procedurale, ricordando che, un anno dopo, la legge 15 ottobre 2013, n. 119, di conversione del decreto-legge n. 93, modifica nuovamente la normativa – è uno di quei cinque interventi normativi – intervenendo sulla durata dello stato di emergenza (quei 90 giorni sono oggi diventati 180 più 180 giorni; fondamentalmente, quindi, uno stato d'emergenza non può durare più di un anno nella sua complessiva durata) e, ancora, sugli ambiti di intervento delle ordinanze e specificando in maniera chiara quali sono gli ambiti in cui il capo del Dipartimento può emettere ordinanze di protezione civile.
  Tale legge istituisce in maniera definitiva il Fondo per le emergenze nazionali, il cosiddetto FEN, di cui ho brevemente parlato prima. Le risorse finanziarie da destinare agli interventi per l'emergenza devono essere definite nella delibera che dichiara lo stato di emergenza. Questo rientra un po’ anche nella procedura di cui si parlava prima, che oggi ci crea qualche ritardo tra l'evento e la definizione dello stato di emergenza, talvolta con un non sempre simpaticissimo rimpallo tra le istituzioni interessate. C’è una procedura, di cui parlerò brevemente dopo, che è figlia di questo fatto, ossia del fatto che nella delibera occorre già stanziare in maniera chiara la risorsa per questa prima fase, che quindi va quantificata. Se non si quantificasse, ci sarebbe la difficoltà di definirla in maniera chiara.
  Questo è il contesto nel quale si muove oggi il sistema. Praticamente, come entra in campo l'azione del livello nazionale al verificarsi di un evento, all'esito di queste richiamate modifiche, ma anche alla luce delle possibili azioni da intraprendere per semplificarne l’iter ? Noi ci muoviamo in questo contesto che ho brevemente ricostruito.Pag. 10
  Intanto partiamo dal differenziare alcuni eventi. Noi abbiamo per norma eventi emergenziali che possono essere definiti in due grandi categorie. Questo perché la definizione di queste categorie prevede iter operativi differenti. Ci sono eventi per i quali, per l'eccezionalità della situazione emergenziale, che ovviamente deve essere valutata in relazione al rischio della compromissione della vita umana, anche prima della dichiarazione dello stato di emergenza la norma prevede che con un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri il capo del Dipartimento abbia già la possibilità di attivare il Servizio nazionale di protezione civile e che, quindi, dispone il coinvolgimento delle strutture operative nazionali.
  Questa è una norma che nasce a valle della tragedia del 31 ottobre 2002, il famoso triste terremoto di San Giuliano, che ha visto la perdita di 30 persone, di cui 27 bambini e 3 adulti, per cui si aspettava la dichiarazione dello stato di emergenza per avere chiaro chi in quel momento avesse la responsabilità di condurre l'azione di tipo operativo. A valle di quell'esperienza ci fu un decreto-legge, poi convertito in legge.
  Oggi è chiaro che, nel momento in cui c’è una situazione di quel tipo, il decreto del Presidente del Consiglio, nelle more in cui venga dichiarato lo stato di emergenza dal Consiglio dei ministri, individua il capo del Dipartimento come punto di coordinamento, che quindi ha la responsabilità della gestione amministrativa e certamente operativa dell'evento emergenziale. Questo tipo di procedura si mette in piedi per gli eventi – chiamiamoli così – di assoluta rilevanza, senza voler sminuire gli altri, cioè i terremoti, laddove c’è un'azione talmente devastante sul territorio che presuppone un atto normativo così impegnativo. Senza deliberazione del Consiglio dei ministri il Presidente del Consiglio può indicare, quindi, chi ha il coordinamento generale.
  Questa procedura è all'attenzione di tutte le delegazioni straniere che vengono a studiare il nostro sistema perché effettivamente si tratta di un'azione di collegamento politica-tecnica, politica-parte amministrativa molto rapida ed efficiente, che consente nell'immediatezza di esercitare i poteri straordinari, perché quel decreto è il presupposto chiaro di una dichiarazione di stato di emergenza. Su questo tema c’è grande interesse anche di nazioni particolarmente evolute che hanno questo gap tra la politica e la parte amministrativa, non sempre colmato, come era per noi prima del 2002.
  Devo dire, sinceramente, che questa disposizione non dà luogo a lungaggini o a duplicazioni di attività. Noi riteniamo che, in effetti, non necessiti di particolari migliorie e semplificazioni, perché è effettivamente molto performante dal punto di vista amministrativo.
  A parte questa situazione, invece, noi abbiamo tutta un'altra serie di situazioni che sono, in realtà, quelle più frequenti. Le famose alluvioni con le quali noi ci troviamo a che fare non quotidianamente, ma direi mensilmente, se non settimanalmente, non rientrano in quella fattispecie, ma in quella procedura che è stata sancita dal percorso normativo che ho tentato di illustrare. Per quegli eventi che, se anche hanno una drammaticità perché comportano un impatto sui territori e il più delle volte anche perdite di vite umane, ma che hanno anche un impatto importante sui privati, sulle attività produttive e sui beni pubblici, non ricadendo in questa fattispecie, la dichiarazione dello stato di emergenza tiene conto proprio della modifica di cui parlavamo prima.
  Andando a esaminare in particolare l'articolo 5 della legge n. 225 del 1992, così come modificato dalla legge n. 100 del 2012, la delibera dello stato di emergenza deve individuare, come dicevo prima, le risorse finanziarie destinate ai primi interventi di emergenza, nelle more della ricognizione in ordine agli effettivi e indispensabili fabbisogni da parte del Commissario delegato. In sostanza, la norma introduce due concetti importanti, che sono oggetto di un'analisi in termini di semplificazione.
  Da una parte dice che l'evento emergenziale si distingue in due momenti. Uno Pag. 11è quello che chiamiamo la prima fase, che riguarda i primissimi fabbisogni dell'evento emergenziale. In questa fase la delibera dello stato di emergenza non cuba tutto il fabbisogno che viene richiesto, ma solamente quello che attiene alla primissima fase. Io chiamerei questa fase 1, perché nei nostri ragionamenti è più facile distinguerla.
  Poi c’è, invece, una fase 2 che avviene all'esito di una ricognizione più puntuale fatta dal commissario nominato dal capo del Dipartimento, il quale stabilisce rispetto ai danni quanto cuba quella gestione emergenziale nel complesso.
  Questo sistema tende, come dicevo, a essere un po’ disallineato rispetto al famoso articolo 2 della legge n. 225 del 1992, il quale dispone lo stato di emergenza e, quindi, che la calamità naturale che deve essere fronteggiata con mezzi e poteri straordinari debba essere affrontata con immediatezza di intervento. Se per arrivare alla dichiarazione di stato di emergenza io ho bisogno di un'istruttoria tecnica che mi vada a definire anche questa prima fase, si crea questo disallineamento tra la tempestività di azione che dovrebbe essere alla base dell'azione centrale statale e la norma, che, invece, prevede questa prima quantificazione.
  Solo per dare un esempio, questo è il motivo per cui gli eventi della Campania – io ho preso solamente quelli più recenti – del 14-20 ottobre hanno scontato la delibera al 6 novembre. Vi assicuro che su questo fronte è stata fatta una procedura veramente molto rapida, perché queste determinazioni e queste procedure per andare a definire la dichiarazione dello stato di emergenza sono state, a loro volta, individuate e definite con una direttiva, la direttiva del 26 ottobre 2012, che recita «Indirizzi per lo svolgimento delle attività propedeutiche alle deliberazioni del Consiglio dei ministri in merito alla dichiarazione di stato di emergenza nazionale e per la predisposizione delle successive ordinanze del capo del Dipartimento».
  Quando si verifica un evento, bisogna fare la ricognizione di questa prima fase, che attiene al soccorso alla popolazione, il ripristino della parte infrastrutturale e la definizione del rischio residuo. Questa istruttoria, compiuta a livello territoriale della regione, viene poi presentata al Dipartimento di protezione civile, il quale ne valuta l'omogeneità rispetto alla norma, ne fa una valutazione tecnica e poi la porta, con una quantificazione economica, al Consiglio dei ministri per la dichiarazione di stato di emergenza, che riporta quella quantificazione.
  Con riferimento agli eventi in Campania del 14-20 ottobre, sono trascorsi, fino alla delibera del 6 novembre 2015, quindici giorni in cui il territorio, il sindaco, il prefetto, il presidente della regione, ma anche il capo del Dipartimento non sanno se si sta lavorando in un contesto che sfocerà poi in una dichiarazione di stato di emergenza o no. Si tratta di una zona grigia abbastanza complessa, non solo per la parte economico-finanziaria, ma anche per la parte derogatoria.
  Si può immaginare che un'attività derogatoria, per esempio, su alcune norme faccia la differenza tra l'essere in linea con la legge e il non essere in linea. La deroga viene utilizzata per poter porre rimedio rapidamente a determinate situazioni. Chi sta operando in quel momento, non sapendo se ci sarà una dichiarazione di stato di emergenza, di fatto non sa se sta operando in linea con la norma o no. Credo che questo sia un altro aspetto di assoluto rilievo.
  L'ordinanza relativa alla Campania l'ho firmata ieri sera. L'ho firmata ieri sera perché prima c’è la dichiarazione dello stato di emergenza e poi c’è l'istruttoria che prevede che il Dipartimento comunichi alla regione l'impianto dell'ordinanza di protezione civile, perché tale ordinanza deve essere elaborata d'intesa con la regione. L'ordinanza che predispongo la mando alla regione, che ne valuta l'intesa e mi propone il nome di un commissario delegato che, a differenza del passato, non è un commissario del Governo, ma è un commissario del capo del Dipartimento. Quel commissario risponde al capo del Dipartimento, che poi risponde, ovviamente, in sede governativa.Pag. 12
  Questo porta a far sì che per gli eventi del 14-20 ottobre di fatto l'ordinanza io l'abbia firmata ieri, a un mese di distanza, ripeto, con una procedura che è stata rapidissima, perché comunque – l'ho dovuto spiegare anche a qualche testata giornalistica – il giorno 14 c’è stato l'evento e il giorno 15 io ho mandato subito i tecnici non tanto per la gestione operativa, quanto per la ricognizione dei danni ai fini della dichiarazione dello stato di emergenza.
  Anche questo non sarebbe perfettamente in linea, perché io dovrei fare la valutazione dopo che la regione me lo richiede, ma, per accorciare i tempi ed essere più tempestivi e vicini al territorio, mentre c’è una gestione operativa, se vedo che ce ne sono i presupposti, mando subito a verificare per avere un'idea se quella situazione poi sfocerà in stato di emergenza. Se non altro, anche se non ho un indirizzo amministrativo chiaro, ho idea di come comportarmi. L'evento del beneventano era chiaro che sarebbe diventato uno stato di emergenza, ma per altri casi il quadro non è così chiaro.
  Anche per gli eventi della Liguria del 14-15 settembre ho firmato ieri sera l'ordinanza. Per gli eventi in Toscana del 24-25 agosto la delibera dello stato di emergenza è del 6 novembre. Da fine agosto si è arrivati al 6 novembre. Qui entriamo in contrasto con la tempestività d'azione. Su questo devo dire che non c’è una responsabilità per cui qualcuno non ha tempestivamente agito. No, il fatto è che, quando si fa una valutazione tecnica, occorre fare un approfondimento. Non sempre è del tutto immediata la valutazione tecnica. Non sto sottolineando l'inadempienza di qualcuno, ma sto delineando la difficoltà talvolta di intervenire.
  La Calabria credo che sia stata ben conosciuta soprattutto per la parte infrastrutturale. Ancora non abbiamo la delibera del Consiglio dei ministri per la regione Calabria. Ripeto, anche qui non c’è da sottolineare un ritardo, ma una difficoltà tecnica di produrre la documentazione così come prevista dalla direttiva dell'ottobre. Ancora non abbiamo la delibera e, quindi, certamente non possiamo avere l'ordinanza di protezione civile.
  Tornando nel ragionamento, come dicevo, da una parte c’è questo disallineamento sui tempi per questo tipo di emergenza – ricordiamoci che stiamo parlando della parte non terremoti, per essere forse un po’ troppo tranchant, ma spero chiari – e dall'altra parte c’è, come detto, il fatto che per ogni stato di emergenza si finanzia solo una prima tranche, la parte assolutamente emergenziale.
  Anche qui nasce quell'equivoco, spesso mediaticamente riportato e talvolta, se me lo consentite, anche politicamente evidenziato, sul fatto che per uno stato di emergenza che cuba 100 milioni lo Stato ne mette 3. Ovviamente, quei 3 milioni non riguardano l'intero iter, ma c’è una valutazione per cui su quei 100 milioni 3 servono a fare le primissime cose.
  Se c’è un'emergenza che ha avuto grande impatto, per esempio, sulla popolazione e, quindi, sull'assistenza alla popolazione, quel valore sarà un po’ più ampio. Se, invece, si tratta di un intervento che ha avuto poca assistenza alla popolazione ma più danno, quel valore sarà minore, perché quella sarà una valutazione che deve fare il Commissario dopo. Nel momento in cui c’è una richiesta di un presidente di una regione di 100 milioni e lo Stato ne mette 2, può nascere, se non è chiaro tutto il percorso, il fraintendimento, che ovviamente può essere riportato in termini non corretti.
  Qual è il quadro nel quale ci muoviamo oggi su questi stati di emergenza ? Dal 2013 – parlo del 2013 perché di fatto la norma è del 2012, ma ha richiesto del tempo per mettersi a regime – noi abbiamo 45 stati di emergenza che sono stati aperti su 17 regioni. Praticamente tutta l'Italia è stata interessata da questi eventi. Solo Friuli Venezia Giulia, Trento e Bolzano non sono stati interessati. Da ultimo, si è inserita anche la Campania, che era rimasta un po’ fuori.
  Su questi stati di emergenza la copertura delle delibere del Consiglio dei ministri ha cubato 565 milioni di euro. Dal 2013 a oggi lo Stato si è impegnato per 565 Pag. 13milioni di euro. Quando si dice che sull'emergenza si spende o si dà poco, io porto il dato. Su questi 45 stati di emergenza in due anni e mezzo, di fatto, come costo effettivo – questi sono stati fondi principalmente trasferiti poi ai commissari – sono stati spesi o si stanno spendendo 565 milioni.
  Qual è lo stato di ricognizione, invece, dei commissari, che è un altro valore fondamentale ? Con riferimento a quei 100 milioni, questi 565 milioni rappresentano i famosi 2 che abbiamo dato, ma qual è la somma dei 100 ? La somma è di 6,3 miliardi di euro. Questa è la ricognizione che allo stato attuale ci risulta sui 45 stati di emergenza.
  Io direi che questi 6,3 miliardi di euro non sono neanche complessivi, perché alcuni commissari non hanno fatto la ricognizione come prevista per evitare aspettative territoriali. Alcune regioni hanno immaginato, andando dal cittadino e chiedendogli banalmente di compilare la scheda del danno, non sapendo se avevano la copertura, di trovarsi in difficoltà. Il cittadino avrebbe potuto infatti obiettare: «Tu mi sei venuto a fare iniziare una procedura. Io ti ho attestato il mio danno. Quand’è che mi dai un riconoscimento economico ?» Pertanto, alcuni commissari, in alcune regioni, non hanno completato questa fase di ricognizione. Io direi, quindi, che questi 6,3 miliardi sono sottostimati in questo senso.
  Solo per dare un'idea, in percentuale la cifra complessiva come si suddivide tra il danno al pubblico e il danno al privato ? Il 70 per cento di questi soldi sono per danno al pubblico, mentre il restante 30 per cento è la somma dei danni ai privati e alle attività produttive. In questa partita il danno al privato è il danno che cuba di meno. In assoluto su questi 45 stati di emergenza noi contiamo che siamo circa sui 750.000 euro. Non è un valore così importante rispetto al volume complessivo.
  Segnalo su questo tema che l'articolo 26 del disegno di legge di stabilità attualmente all'esame del Senato consentirà di dare attuazione in modo omogeneo ed efficace proprio agli interventi a sostegno dei privati. Avendo visto che questa fetta è, tutto sommato, una fetta gestibile e – credo – anche di grande impatto, perché significa venire incontro alla parte del cittadino, l'articolo 26 consentirà di dare attuazione, se andrà in porto, come speriamo, a questo sostegno ai privati e alle attività produttive danneggiate da tutte le recenti emergenze.
  Non ci sarà un campione sui 45 stati di emergenza, ma questo avverrà su tutti i 45 stati di emergenza. Ricadrà, quindi, su tutte le 17 regioni che sono state colpite in questi due anni e mezzo, per le quali fino adesso si è intervenuto solamente nella misura della prima fase.
  Su questo percorso mi sono permesso di sottolineare questi aspetti perché sono quelli che forse più impattano sulla parte di semplificazione. Ritengo, però, a dire il vero, che ci siano delle situazioni molto specifiche, dovute anche alla varietà dei rischi connessi agli eventi calamitosi cui il territorio nazionale è sottoposto. In alcuni casi ci sono eventi difficilmente prevedibili e particolarmente estemporanei, sui quali lo stato di emergenza impatta in maniera non prevedibile. Ci sono alcuni casi in cui non c’è un elemento di certezza e di consequenzialità. Pertanto, c’è il rischio che per alcune emergenze si debba per forza ricorrere a una serie di norme che tendano un po’ a correggersi.
  Questo vale soprattutto per le maxiemergenze. Queste emergenze hanno delle caratteristiche abbastanza chiare, ma, quando noi andiamo a toccare maxiemergenze che, per dimensione e peculiarità, presentano e richiedono degli interventi ad hoc – l'esempio tipico che è stato segnalato nelle azioni dell'attività di indagine della Commissione è quello dell'Abruzzo o quello dell'Emilia-Romagna – nel momento in cui si vanno a toccare non tanto gli ambiti di intervento, quanto le procedure, in quel caso necessariamente le procedure vanno affinate.
  Basta pensare alle procedure per l'accesso ai contributi. Si immagina che ci sia una determinata procedura e che quella procedura possa funzionare per quel tipo di emergenza, ma poi nella parte pratica Pag. 14ci si rende conto che la procedura che viene messa in piedi non è sempre rispondente. Si corre, quindi, il rischio – questo è un rischio che effettivamente esiste – di avere quelle serie di ordinanze che si correggono nella speranza di trovare la procedura che meglio calzi.
  Noi saremmo molto favorevoli a trovare una procedura standard che possa essere valida per qualunque tipo di emergenza, ma ci rendiamo conto che è fondamentale anche il rapporto tra il territorio e l'Istituzione. Una procedura che può andar bene per una regione potrebbe non andare bene per un'altra. Perché ? Perché il rapporto tra il cittadino e il sindaco è di un dato tipo, perché la macchina amministrativa di un dato territorio funziona in una determinata maniera rispetto ad un'altra e perché anche la conoscenza del territorio non è sempre uniforme. Se noi partissimo, per queste emergenze così importanti, col dare una standardizzazione, probabilmente ci troveremmo territori pronti a recepire quel processo e quella procedura e territori che non sono pronti.
  Questo lo possiamo dire anche perché, tornando un passo indietro rispetto alla dichiarazione dello stato di emergenza, ci sono dei territori che sono prontissimi a fare questa ricognizione che porta alla dichiarazione di stato di emergenza e territori che, invece, questa ricognizione non sono in grado ancora di farla. Malgrado noi mandiamo i nostri tecnici, li supportiamo e cerchiamo di operare, il territorio non è organizzato perché – non lo dico io, lo dicono le testate giornalistiche – magari c’è bisogno dell'intervento del presidente della regione X che invogli i sindaci a essere più pronti nella ricognizione, perché magari il sindaco pensa di trovare la soluzione, non comprendendo che c’è, invece, una procedura molto specifica.
  Ci sono territori e sindaci diversi. Non faccio un discorso di Nord-Sud, per essere chiaro. Noi lavoriamo veramente a macchia di leopardo. L'Italia in questo senso è a macchia di leopardo. Abbiamo eccellenze e limiti sparsi in tutto il nostro Paese. Io credo che una procedura standardizzata sulle maxiemergenze, se in astratto potrebbe essere condivisa, nello specifico non ci porterebbe grandi vantaggi e che saremmo comunque costretti a immaginare delle modifiche successive.
  Questo inquadramento generale, che ha posto in evidenza questi due o tre temi dell'attuale procedura, può essere approfondito a vostro gradimento, come il presidente riterrà e come i commissari vorranno. Io sono disponibile a specificarlo anche meglio in forma scritta, o come lo riterrete opportuno. A fianco di questo tratterei due temi, come avevo preannunciato prima, molto rapidamente.
  Un tema molto importante è l'aspetto, come dicevo, delle deroghe, un tema molto dibattuto. Io credo – la mia opinione è, devo dire, condivisa anche dalla maggioranza degli operatori del Servizio nazionale di protezione civile – che l'istituto della deroga in materia di protezione civile debba comunque essere preservato, ma che debba essere preservato non come ordinarietà, bensì come clausola di flessibilità per fronteggiare quelle situazioni che non riusciamo ad analizzare prima.
  L'impostazione sulla quale ci stiamo fortemente impegnando è che a questo strumento derogatorio debba affiancarsi anche un percorso di disciplina speciale. L'azione amministrativa in emergenza deve essere preventivamente codificata in maniera chiara e predefinita.
  Noi vorremmo che il ricorso alla deroga fosse un'eccezione, non la norma. Occorre spingere il sistema a dotarsi di quegli emergency procurement che esistono in tante discipline, proprio nella logica del definire norme di diritto positivo da applicarsi in occasione di emergenza. Occorre, quindi, avere un corpus normativo che ci consenta di capire quali sono le regole che noi dobbiamo utilizzare in emergenza, perché le regole ordinarie non sono regole che possiamo utilizzare in emergenza per una questione di tempi. Facciamo delle norme che ci dicono quali sono le regole in emergenza e manteniamoci comunque la possibilità derogatoria per definire e gestire quel margine che Pag. 15magari non siamo riusciti a captare con tutte le norme procedimentali di diritto positivo che immaginiamo.
  Io credo che questo porterebbe grande beneficio al sistema di protezione civile, che, vi assicuro, non è molto propenso all'utilizzo delle deroghe. Quando io elaboro le ordinanze di protezione civile, parlo ai miei commissari e ribadisco di ricorrere alle deroghe solamente in casi strettamente necessari, perché la deroga è comunque un'azione che viene fatta rispetto a delle norme ordinarie e, quindi, deve essere fortemente motivata.
  Peraltro, già nel termine «deroga» c’è una concezione strumentalizzabile, che in qualche modo è sinonimo di scorciatoia e che non piace né a chi la esercita, né, tanto meno, a chi la subisce o la recepisce.
  Anche la legge delega prevede che si individuino a regime delle specifiche modalità di intervento del Servizio nazionale di protezione civile proprio per consentire l'effettività delle misure che si devono porre in essere, limitandone l'efficacia alla situazione di emergenza. Noi abbiamo previsto nella legge delega procedure di acquisizione di servizi, forniture e lavori, che sono quelle che normalmente noi ci troviamo ad affrontare nella gestione emergenziale. Ci sono poi altre norme sulle singole fattispecie connesse a particolari esigenze, per esempio alla gestione dei rifiuti o delle materie, come i materiali vegetali.
  Queste sono cose con le quali noi costantemente ci confrontiamo. Su ogni alluvione noi abbiamo il problema dello scavo dei corsi d'acqua. È inutile che ogni volta ci inventiamo una deroga al codice ambientale. Facciamo una normativa che in termini di diritto positivo ci dica immediatamente come affrontare il problema del materiale presente nei corsi d'acqua a seguito di un'alluvione, oppure che viene recuperato. Oggi siamo costretti a derogare. Saremmo molto più contenti, invece, se avessimo una norma specifica alla quale fare riferimento.
  Soprattutto si pone il tema delle modalità di reperimento delle forniture e dei beni di prima necessità e dei servizi dei materiali essenziali. Ci sono all'interno della gestione emergenziale delle azioni che noi conosciamo perfettamente e che fanno parte di quel corpus normativo che dentro le ordinanze noi deroghiamo per default. Quelle non ce le dobbiamo inventare ogni volta. Sono quelle norme cui noi deroghiamo. Preferiremmo metterle in senso di diritto positivo e poi mantenere la possibilità di derogare a qualche cosa di specifico. In tal modo l'ordinanza, invece di prevedere cinque commi di deroghe, diventerà di una deroga o due su norme specifiche, magari tipiche di quell'emergenza, di quel territorio, o di quella normativa particolare.
  Io credo che in questi tre settori strategici il contributo che anche da questa Commissione verrà per la semplificazione delle normative ordinarie potrà senza dubbio innescare delle ricadute positive anche sulle gestioni emergenziali. L'ultimo ambito di innovazione che in questo momento è di grande attenzione, come avevo preannunciato prima, è la parte riguardante il sistema di allerta meteo e di pianificazione e gestione dell'emergenza. Questo è un tema fortemente dibattuto, sul quale sto avendo tutta una serie di confronti anche importanti.
  Questo sistema di allertamento meteo, che risiede nel suo coordinamento e nella sua omogeneizzazione generale nel Dipartimento di protezione civile come Centro funzionale centrale, in realtà ha le sue attività di responsabilità sui territori. È parte piena di quel sistema di devoluzione di cui abbiamo parlato prima.
  Il sistema di allertamento è territoriale e viene fatto dai Centri funzionali regionali dal 2004, anno in cui è stata emanata la direttiva che recepiva proprio quell'indirizzo della devoluzione al territorio e prevedeva le attività di previsione. Non solo di previsione, in realtà, perché il nostro sistema non fa solo previsioni meteorologiche, ma vede come le previsioni meteorologiche impattano sul territorio.
  Questa è un'altra questione che bisognerebbe chiarire, altrimenti si utilizzano queste azioni per andare al mare, mentre queste azioni servono per avere attività di Pag. 16protezione civile. Per noi, quando un territorio è verde, non significa che c’è il sole, ma che non sono previste azioni di protezione civile che impattano sul territorio. Per andare al mare magari ci vorrebbe il sole pieno.
  Chiedo scusa per questa digressione, ma è chiaro che il sistema si utilizza e si basa sull'impatto che viene fatto in materia di protezione civile. Il livello centrale cosa fa ? Omogeneizza le previsioni di impatto che vengono fatte sul territorio. Noi abbiamo impiegato undici anni per rendere questo sistema operativo, a partire dal 2004. Solo dal 1o gennaio 2015 tutte le regioni si sono costituite i Centri regionali e hanno consentito al Dipartimento di fare quella reale omogeneizzazione che era nelle nostre attività.
  Come dicevamo prima, questo sistema sconta il fatto che le regioni abbiano organizzato queste attività in maniera difforme e che ci siamo trovati, nel pieno rispetto della devoluzione normativa, ad avere situazioni molto differenziate. L'esempio che facciamo spesso è quello del cittadino che da Palermo si muove a Bolzano. Se immaginassimo che questo cittadino, muovendosi da Palermo a Bolzano, fosse soggetto alla stessa forzante meteorologica e alla stessa tipologia di impatto sul territorio – ovviamente, questa è un'ipotesi di studio – egli si troverebbe un sistema di allertamento diverso, da una parte i colori, da una parte i livelli, da una parte i livelli 0-1-2 e dall'altra parte i livelli 0-1-2-3 o 1-2-3-4. Chiaramente la norma che ha previsto l'autonomia in termini del sistema di allertamento crea una disomogeneità a livello nazionale.
  Andare a toccare questi meccanismi non risulta sempre semplice, in quanto essi giustamente impattano con le norme che prevedono che i Centri funzionali regionali si dotino autonomamente, secondo leggi regionali, delle proprie procedure. Noi abbiamo condotto, però, non senza difficoltà, ormai da tre anni, sotto il coordinamento del Dipartimento e d'intesa con le regioni e le province autonome, la predisposizione di una proposta standard. Abbiamo proposto, al di là di quello che prevede oggi la norma, ossia che ogni regione possa essere autonoma, di omogeneizzare le nostre procedure e fare sì che spontaneamente ogni regione adotti questo nuovo sistema.
  Questa procedura, che è stata discussa in sede di Commissione speciale di protezione civile alla Conferenza dei presidenti delle regioni e delle province autonome, è stata anche recentemente portata all'attenzione dell'ANCI, perché ha un impatto molto importante anche sui sindaci, in quanto i comuni sono i primi destinatari della messaggistica di allertamento. Pertanto, all'esito di questi confronti tecnici che sono stati avviati, abbiamo già provveduto alla stesura di un atto articolato fondamentalmente in due sezioni: una parte è dedicata all'omogeneizzazione delle procedure di allertamento, l'altra riguarda come il sistema si deve muovere. Abbiamo cercato di fare questa omogeneizzazione.
  Non vado nei dettagli, che comunque sono presenti nella relazione, ma sostanzialmente associamo tre livelli di criticità, ordinaria, moderata ed elevata, a codici colori, che saranno giallo, arancione e rosso, in modo tale che il cittadino, in qualunque parte d'Italia, sul sistema di allertamento farà riferimento ai colori giallo, arancione e rosso. In funzione di tali colori le amministrazioni centrali, regionali e comunali dovranno poi provvedere a effettuare delle azioni da comunicare al cittadino. Questo, in estrema sintesi, è il percorso, che ovviamente è un percorso complicato e che sono pronto a sviscerare, qualora ce ne fosse la necessità.
  Abbiamo previsto, dunque, l'associazione di questi livelli di criticità ai codici colore e l'uniformità della denominazione delle fasi operative, perché anche le fasi operative venivano chiamate in maniera diversa da regione a regione. Abbiamo concordato che le fasi operative sono tre, di attenzione, preallarme e allarme. Queste sono terminologie molto consolidate in protezione civile.
  Poi prevediamo anche la definizione di una procedura standard. All'esito della valutazione della criticità il sistema di Pag. 17protezione civile regionale dirama un messaggio di allertamento. Abbiamo standardizzato questo procedimento.
  Questi sono i tre punti che io pensavo di rappresentare alla Commissione. Ritengo che il disegno di legge delega di cui abbiamo parlato anche all'inizio e al quale ha fatto cenno anche il presidente raccolga queste iniziative di aggiornamento. Esse prendono spunto dalla consapevolezza che c’è la necessità di diffondere il sistema di protezione civile a tutti i livelli dagli attori del servizio nazionale fino a una maggiore consapevolezza del cittadino.
  Per concludere, vorrei solamente richiamare l'attenzione dei commissari e del presidente sul fatto che gli elementi fondanti dell'impianto del disegno di legge si basano su tre obiettivi che sono assolutamente in linea con le esigenze di procedere a una semplificazione normativa. Si tratta di garantire ai territori colpiti da un'emergenza risposte omogenee. Io credo che un punto fondamentale sia avere un'omogeneità di risposta sui territori grazie a un corpus normativo che sia organico e che ridefinisca le funzioni delle componenti e le strutture in tutte le varie fasi, dalla previsione alla gestione emergenza, al post-emergenza.
  Inoltre, occorre promuovere una diffusione di cultura di protezione civile, perché, se noi non lavoriamo sul sistema culturale, non potremo vincere questa battaglia. Noi dobbiamo far crescere il sistema ribadendo anche quello che è previsto dall'articolo 6, ossia che il cittadino è parte fondante di questo sistema. Dobbiamo lavorare a partire dal cittadino, perché il cittadino stimoli poi i propri amministratori. Io credo che questo sia un compito del Dipartimento nazionale, ma anche del sistema più in generale. Su questo punto noi ci stiamo impegnando con molte iniziative a livello nazionale, ma non senza fatiche.
  Infine, occorre assicurare le risorse necessarie al funzionamento del Servizio nazionale. Con «risorse» non intendo solo le risorse economico-finanziarie, ma anche gli strumenti che consentano di essere il più possibile efficaci, in modo tale da perseguire con la maggiore efficacia e concretezza l'assicurazione di un'equità di trattamento alla popolazione.
  L'obiettivo finale considera che i cittadini sono cittadini del nostro territorio e che, quindi, devono avere un'equità di trattamento indipendentemente dal fatto che l'emergenza abbia colpito una zona piuttosto che un'altra. Si tratta di offrire anche agli operatori di protezione civile centrali e territoriali degli strumenti il più possibile efficaci, lineari, semplificati e, ove possibile, preventivamente standardizzati per fornire una risposta che sia degna del nome del Servizio nazionale di protezione civile, che ha non solo grande esperienza a livello nazionale, ma anche grande credibilità a livello internazionale.
  Ringrazio il signor presidente e i commissari dell'attenzione e sono disponibilissimo per qualunque approfondimento.

  PRESIDENTE. Grazie, ingegnere.
  Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ALESSANDRO MAZZOLI. Grazie, presidente. Grazie, dottor Curcio. La sua relazione è stata molto utile e sarà altrettanto utile avere il testo scritto come elemento di ulteriore valutazione. Oltretutto, per me questo appuntamento è stato di particolare interesse perché, facendo parte della Commissione ambiente e lavori pubblici della Camera, ho seguito l’iter della legge delega in materia di protezione civile.
  Fermi restando – sto alle sue parole – l'importanza e il valore straordinari del sistema della protezione civile, che costituisce una specificità tutta italiana, dal mio punto di vista era indispensabile una legge che consentisse di superare un eccesso di frammentazione normativa che si era stratificata nel corso del tempo e che determinava essa stessa quegli elementi di disparità di trattamento territoriale e di complicazione nell'azione della protezione civile.
  Il problema, in primo luogo, è che il Senato possa fare in fretta per completare Pag. 18l’iter della legge delega. Questa rappresenterebbe una semplificazione normativa. Il secondo punto è che il Governo aiuti a tradurre nei decreti legislativi questa semplificazione normativa in una semplificazione che diventi operativa e concreta, perché è questo che serve.
  Sostanzialmente la legge delega, tra le varie cose che cerca di fare, tenta anche di ridefinire e restituire alla protezione civile la sua funzione. Nella definizione o ridefinizione di che cos’è l'emergenza e, quindi, nell'indicare che non rientrano nelle azioni di protezione civile gli interventi per eventi programmati o programmabili in tempo utile, la legge sta anche dicendo che non è più pensabile – una volta è stato anche pensato – che la protezione civile possa essere lo strumento per derogare sistematicamente alle norme. Anche quella poteva essere un'idea di semplificazione, ma una cosa è la semplificazione attraverso la deroga delle norme, un'altra è la semplificazione in applicazione delle norme. Mi pare che questo salto di qualità debba essere sottolineato e, in base alle cose che lei ha detto, mi sembra che ci sia un'assoluta condivisione.
  Sul tema delle fasi successive all'emergenza, cioè della ricostruzione e del ripristino dei luoghi, oltre, come lei ricordava, all'elemento di individuazione di soggetti competenti che possano lungo tutto il percorso essere titolari delle misure e degli interventi, io richiamo un recente decreto che noi abbiamo approvato, quello relativo a misure urgenti di carattere economico e sociale, perché in relazione agli ultimi eventi calamitosi accaduti nel territorio di Piacenza e poi nel beneventano si sono introdotte o comunque rafforzate un paio di misure che, a mio giudizio, possono essere rese permanenti.
  Sottolineo, da un lato, la possibilità di superare il Patto di stabilità dei comuni in modo da liberare risorse destinate alla ricostruzione dei luoghi e, dall'altro, il rinvio o l'abbattimento dell'imposizione fiscale che riguarda famiglie e imprese anche in relazione alle cose che lei diceva per quanto riguarda le attività private.
  L'ultima cosa che voglio dire riguarda il tema della prevenzione. Esiste la questione dell'emergenza e del post, ma una parte dei problemi è sempre possibile prevenirla. Su questo fronte c’è il ritardo maggiore, a mio modo di vedere. Qualche anno fa potevamo forse dire che l'alluvione costituisse un evento eccezionale. Oggi non possiamo più dirlo. Quei fenomeni atmosferici, purtroppo, costituiscono la normalità.
  Dunque, la predisposizione delle risorse e il modo in cui si attrezza il territorio per fronteggiare e per prevenire il più possibile disastri ambientali, sociali e territoriali sono questioni cruciali e centrali. Io sono stato amministratore locale, ma non credo che questo sia il problema di un solo territorio. La programmazione delle risorse in capo alle amministrazioni locali è datata almeno a trent'anni fa. C’è un finanziamento base, ma tutto il resto gli enti locali lo devono richiedere. Si tratta di ridefinire che cosa è la base. Io penso che questa sia una questione in termini non solo di risorse, ma anche di strumenti normativi che consentano un lavoro reale di prevenzione.

  EMANUELE PRATAVIERA. Grazie per l'esaustiva relazione. Io vorrei farle solo una domanda. Vengo dal Veneto, dove si sono verificati recentemente i fatti del tornado in Riviera del Brenta. Uno dei problemi che i cittadini hanno riscontrato è l'aver sbagliato a compilare i moduli per la richiesta. Non è possibile pensare a una semplificazione vera e propria, a un modello unico che valga sempre, in cui basti solo cambiare l'intestazione e che poi i cittadini non debbano ricompilare ? Questo fatto comporta veramente uno stress aggiuntivo che io credo lo Stato, per non dire la pubblica amministrazione, debba risolvere. Ovviamente, questo è un caso specifico, ma immagino che i casi siano tantissimi.

  PRESIDENTE. Do la parola al nostro ospite per la replica.

  FABRIZIO CURCIO, Capo del Dipartimento della protezione civile. Ringrazio Pag. 19entrambi gli intervenuti per le considerazioni svolte. Ovviamente, la deroga al Patto o alle imposte non trova risposta nelle ordinanze, perché, andando a incidere sulla parte finanziaria, ha necessità di una legge. Anche noi siamo fermamente convinti del fatto che queste questioni debbano e possano essere sistematizzate. Si tratta di richieste costanti che vengono dal territorio.
  Non c’è dubbio che i fenomeni atmosferici ai quali stiamo assistendo siano fenomeni oggettivamente straordinari e ordinari. Nel momento in cui una volta al mese accadono eventi con tempi di ritorno plurisecolari, vuol dire che qualche cosa sta cambiando. Su questo noi siamo assolutamente concordi, anzi crediamo che possa e debba essere fatta anche quest'azione di omogeneizzazione.
  Per la parte della Riviera del Brenta, in realtà, lì è successa una cosa un po’ particolare, stante il fatto che oggi, secondo il processo e le procedure che abbiamo visto, la fase 2, ossia la fase strutturale, è una fase che fino alla legge di stabilità non era quasi neanche prevista. Dal 2013 non c'era neanche una procedura per cui si arrivasse alla fase 2.
  Alcune regioni, tra cui il Veneto, ma anche la Lombardia e, mi sembra, in quota parte anche la Toscana, si sono attrezzate, indipendentemente dallo Stato, per fare un censimento rispetto alle risorse che potevano dare in mano ai cittadini e si sono create autonomamente una modulistica, che non era finalizzata al recepimento a livello statale. Quando il livello statale ha indicato che c'era da fare un'analisi specifica per la fase 2, tali regioni si sono trovate ad aver già distribuito quel modulo a carattere regionale, che non combaciava con quello nazionale.
  Effettivamente il disagio c’è stato. Si tratta di un disagio, tra le altre cose, particolarmente antipatico, perché il cittadino, che già è stato danneggiato, si sente anche un po’ preso in giro. Come dicevo, può obiettare: «Io compilo il modulo, ma i soldi, alla fine, me li dai o non me li dai ?» Se gli si chiede, nel frattempo, di compilare un altro modulo, il cittadino si sente preso in giro.
  Noi in questo senso abbiamo una modulistica nazionale e stiamo cercando di riportare anche quelle procedure che autonomamente – e, io dico, anche legittimamente, proprio nella logica della sussidiarietà – le regioni avevano iniziato a proporre di unire. Anche questo è molto semplice a parole, ma magari dietro c’è un sistema informativo ad hoc, è stata messa la modellistica online, ci sono tante questioni che non rendono la cosa semplicissima. Siamo d'accordissimo che il processo non possa che prevedere una scheda unica che serva per tutte le azioni, perché altrimenti, al di là della semplificazione, c’è proprio un rapporto con il cittadino non sostenibile.

  EMANUELE PRATAVIERA. I Piani comunali, invece, sono soggetti a revisione periodica ? Devono essere revisionati ?
  Inoltre, volevo capire bene la sua considerazione sul fatto che non c’è un giudice, un valutatore della bontà o della qualità dei Piani. Per questo non è possibile lavorare d'intesa con le regioni ? Mi interessa molto capire come è strutturata questa fase, perché alla fine si riconduce alle criticità del nostro territorio e del cambiamento climatico che sono state richiamate.

  FABRIZIO CURCIO, Capo del Dipartimento della protezione civile. In effetti, la parte dei Piani comunali attiene alla responsabilità dell'autorità di protezione civile che è il sindaco. Non c’è una norma che stabilisca la periodicità con la quale il Piano deve essere rivisto. Ogni buon Piano dovrebbe prevedere al termine le modalità di revisione del Piano stesso.
  La domanda, molto pertinente, rispetto alla valutazione del Piano trova, purtroppo, una risposta parziale nell'organizzazione di cui si diceva prima. Il Dipartimento nazionale svolge un'azione di coordinamento molto generale, perché i Piani dovrebbero essere fatti su indicazioni che sono regionali e poi provinciali. Pag. 20Questo prevede la norma. Le regioni dovrebbero fornire gli indirizzi a livello di area vasta e le province dovrebbero fornire indicazioni ai comuni.
  Questa catena si è perfezionata in pochissimi casi, ragion per cui è molto più frequente che il sindaco, o per sua conoscenza, o per sua responsabilità, o perché ci è già passato, faccia un Piano comunale che non trova, però, una collocazione in una filiera che dovrebbe essere molto più logica: il livello nazionale fornisce le indicazioni nazionali e il livello regionale fornisce le indicazioni anche in relazione alle proprie leggi regionali, perché, dal momento che ogni regione ha fatto una legge, ha attribuito anche una forma di responsabilità ai vari soggetti. C’è chi la responsabilità in materia di protezione civile l'ha mantenuta a livello accentrato, a livello regionale, e c’è chi l'ha delegata a livello provinciale. Questo implica molto in termini di Piani.
  Noi stiamo cercando di lavorare con le regioni e con l'ANCI per trovare dei sistemi valutativi del Piano, che non possono che essere, però, sistemi valutativi in senso di qualità. Il Piano lo può valutare solamente il sindaco con il proprio cittadino. Noi possiamo dire che, se un Piano non ha previsto – dico una banalità – le aree di raccolta della popolazione, certamente non è un buon Piano. Se non si sa dove le persone devono andare o che atteggiamento devono assumere, non è un buon Piano.
  Se un Piano non ha previsto l'istituzione di un Centro operativo comunale, questo potrebbe, in taluni casi, essere un grave deficit, ma magari è previsto un Centro intercomunale, perché il comune si è messo d'accordo con quello a fianco. Abbiamo un po’ di difficoltà anche nel capire la bontà di questi Piani. Noi crediamo che questa sia un'attività che deve essere condotta soprattutto dal territorio.

  PRESIDENTE. Ringraziamo l'ingegner Curcio. Io credo che il materiale che si è raccolto oggi sia piuttosto importante. Noi dovremmo insistere molto sul passaggio successivo alla fase emergenziale, in cui abbiamo riscontrato le maggiori difficoltà. Ritengo che alcuni elementi di conforto siano venuti dalla sua audizione. La Commissione dovrà completare adesso questo giro con altri interlocutori al fine di arrivare a mettere a fuoco le questioni centrali che vengono vissute da coloro che, toccati da eventi calamitosi, si trovano poi a rimettere in moto la macchina e soprattutto a ricostruire le basi di una convivenza civile, sociale ed economica. Grazie anche per il documento che ci farà avere.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 9.45.