XVII Legislatura

Commissione parlamentare per la semplificazione

Resoconto stenografico



Seduta n. 2 di Giovedì 15 ottobre 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Tabacci Bruno , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLE SEMPLIFICAZIONI POSSIBILI NEL SUPERAMENTO DELLE EMERGENZE

Audizione del Presidente della Federazione italiana agenti immobiliari professionali (FIAIP), Paolo Righi.
Tabacci Bruno , Presidente ... 3 
Righi Paolo , Presidente della Federazione italiana agenti immobiliari professionali (FIAIP) ... 3 
Tabacci Bruno , Presidente ... 6 
Sollo Pasquale  ... 6 
Taricco Mino (PD)  ... 7 
Montroni Daniele (PD)  ... 7 
Prataviera Emanuele (Misto)  ... 8 
Tabacci Bruno , Presidente ... 8 
Righi Paolo , Presidente della Federazione italiana agenti immobiliari professionali (FIAIP) ... 8 
Tabacci Bruno , Presidente ... 9 
Prataviera Emanuele (Misto)  ... 9 
Tabacci Bruno , Presidente ... 9

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
BRUNO TABACCI

  La seduta comincia alle 8.20.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione del Presidente della Federazione italiana agenti immobiliari professionali (FIAIP), Paolo Righi.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del presidente della Federazione italiana agenti immobiliari professionali (FIAIP), Paolo Righi.
  Rammento al nostro ospite che la Commissione, a fronte delle numerose calamità naturali che stanno colpendo il nostro Paese, ha considerato utile verificare le semplificazioni possibili nella gestione della fase successiva alle emergenze, che spesso risulta molto gravosa per cittadini e aziende.
  L'ordine che ci siamo dati per le audizioni dà priorità cronologica all'ascolto dei soggetti più da vicino coinvolti, le cui indicazioni ci saranno utili nel confrontarci poi con i vertici delle istituzioni direttamente interessate.
  Gli agenti immobiliari rappresentano una voce importante, in quanto l'emergenza abitativa è una delle principali da affrontare all'indomani di calamità naturali. Anche in questo campo, mi sembra di poter anticipare che le difficoltà burocratiche riguardanti il patrimonio edilizio e il suo recupero non sono poche.
  Do, quindi, la parola al presidente Righi, che ringrazio per la presenza.

  PAOLO RIGHI, Presidente della Federazione italiana agenti immobiliari professionali (FIAIP). Grazie, presidente, per questa audizione che ci permette di segnalare alcune criticità riscontrate in varie calamità. La nostra associazione è presente in tutta Italia, quindi riceviamo costantemente segnalazioni. Peraltro, gli agenti immobiliari, trattando e mediando anche ciò che concerne l'affitto nei momenti successivi a questi eventi traumatici, sono essenziali per cercare di allocare persone, laddove vi sia necessità.
  L'invito a segnalare le criticità conseguenti al proliferare di norme e provvedimenti trova particolare apprezzamento per l'opportunità di evidenziare quelle situazioni in cui l'ipertrofia legislativa finisce per generare disparità di trattamento tra persone e attività che abbiano subito i medesimi danni.
  Le situazioni di emergenza derivanti da eventi calamitosi, se, da un lato, accendono una doverosa sensibilità nel legislatore, dall'altra rischiano di dar luogo a una sovrapproduzione di norme, con la confusione che ne consegue. Per questo vogliamo concentrarci su tre aspetti che consideriamo di rilievo nell'ottica dell'auspicata semplificazione normativa relativa al superamento dell'emergenza.
  Il primo punto che intendiamo trattare è quello della disparità di trattamento, ossia della differente applicazione delle agevolazioni fiscali e i diversi casi di esenzione dall'IMU.
  Relativamente al primo aspetto, si riportano due esempi in cui, a fronte di Pag. 4situazioni di identica gravità e inagibilità, il legislatore è intervenuto tutelando alcune categorie commerciali e non altre oppure introducendo medesime misure e agevolazioni, ma con modalità differenti.
  È il caso, ad esempio, di quanto previsto dall'articolo 12 del decreto-legge n. 78 del 2015, con il quale si riconosce alle attività economiche operanti nelle cosiddette «zone franche», istituite dallo stesso articolo 12 nei comuni colpiti dal sisma del 20 e del 29 maggio 2012 e nell'intero territorio colpito dall'alluvione del 17 gennaio 2014, l'esenzione dalle imposte sui redditi dell'IRAP e delle imposte municipali per gli immobili destinati all'esercizio delle attività economiche relative alle annualità 2015 e 2016.
  In presenza di determinati requisiti, che sono quelli che identificano le microimprese, si è inteso, dunque, agevolare le piccole imprese la cui attività fosse strettamente dipendente dal contesto territoriale locale, prestando particolare attenzione alle estreme difficoltà incontrate ogni giorno da parte delle piccole aziende commerciali che hanno ricominciato la propria attività dopo il sisma del 2012 e si ritrovano in centri storici pressoché deserti, peraltro con il 70 per cento di immobili inagibili.
  La previsione, originariamente introdotta dal decreto-legge n. 78 del 2015, includeva, quindi, attività economiche caratterizzate dai medesimi requisiti territoriali, dimensionali e di fatturato. Non si comprende, dunque, il motivo per il quale, in sede di conversione del decreto-legge, siano state introdotte limitazioni a parità di requisiti in base all'ambito di attività.
  Per la concessione delle agevolazioni sopraindicate il Parlamento ha, infatti, introdotto un'ulteriore limitazione in base alla tipologia di attività economica svolta, individuando come beneficiarie delle agevolazioni le attività individuate dei codici ATECO 45, 47 e successivi, escludendo di conseguenza tutte le altre attività aventi i medesimi requisiti.
  La conseguenza è stata, nel caso del terremoto dell'Emilia, che nei nove comuni del cratere, nelle zone rosse, ci sono state attività che hanno ricevuto agevolazioni e attività che non le hanno ricevute. Ora, le attività che non le hanno ricevute sono, ad esempio, gli ausiliari del commercio o i piccoli professionisti che avevano lo studio in loco, che indubbiamente hanno subìto danni. Ci sono state quindi molte proteste da parte delle associazioni proprio per questa differenziazione.
  Al riguardo, si potrebbero, infatti, sollevare anche profili di incostituzionalità, atteso che, accanto ai criteri generali ed astratti inizialmente previsti, sono state introdotte limitazioni che appaiono ingiustificate. Occorre, dunque, riflettere sui criteri che si traducono in disparità di trattamento e, in ultima analisi, nel classificare terremoti di serie A e terremoti di serie B.
  Infatti, come vedremo, tra il terremoto dell'Aquila e quello dell'Emilia vi sono state disparità di trattamento per quanto riguarda l'IRPEF.
  Allo stesso modo, risulta si proceda diversamente anche relativamente all'esenzione dall'IMU sugli immobili resi inagibili a seguito degli eventi calamitosi. Da una parte, per gli immobili dell'Aquila colpiti dal sisma del 2009 l'esenzione dall'IMU è prevista in modo permanente sino alla ricostruzione dell'edificio; dall'altra, per quello che riguarda il sisma emiliano bisogna fare una segnalazione ogni anno per ottenere l'esenzione dall'IMU. Ciò comporta che i cittadini, a volte, con tutti gli adempimenti che hanno, si scordano di richiedere l'esenzione dall'IMU.
  In questa parte della relazione ci concentriamo proprio sul terremoto dell'Emilia perché, non volendo considerare le moltissime circolari (ne abbiamo contate circa 1.500-1.600), nel 2012, all'avverarsi del sisma, sono state sospese tutte le tasse e tutti i pagamenti, ma il 16 dicembre di quell'anno è stato pagato quello che bisognava pagare a giugno. Insomma, c’è stato veramente un senso di abbandono di questi cittadini da parte dello Stato.
  A questo punto, sarebbe opportuno definire delle linee guida di carattere generale, con particolare riferimento all'introduzione di misure o agevolazioni fiscali Pag. 5da adottare con provvedimenti standard in tutti i casi in cui si verificano calamità naturali con conseguenze sugli immobili dichiarati inagibili o sulle attività economiche aventi determinate caratteristiche, al fine di evitare disparità di trattamento dovute a valutazioni non debitamente ponderate.
  A tale riguardo segnalo che, proprio su impulso di FIAIP, l'articolo 2 della legge delega n. 23 del 2014, contenente i criteri per la riforma del catasto, è stato modificato con l'introduzione del principio contenuto alla lettera q) del comma 3, in base al quale la riforma del catasto – se ci sarà – dovrà tenere nella dovuta considerazione le conseguenze che gli eventi calamitosi producono sugli immobili, riducendone in modo considerevole il valore e annullandone le potenzialità reddituali. Anche sul fronte della cedolare secca eravamo intervenuti chiedendo, nell'ambito dell'approvazione del cosiddetto «Piano casa», di estendere l'aliquota della cedolare secca relativa alla locazione a canone concordato nei comuni ad alta densità abitativa anche ai medesimi contratti stipulati nei comuni nei quali fosse stato dichiarato lo stato di calamità naturale, per garantire un valido sostegno ai territori colpiti.
  Sapete che la cedolare secca si applica solo nei comuni ad alta densità abitativa, ma se andiamo a vedere la lista dei comuni ad alta densità abitativa troviamo anche dei comuni molto piccoli. È, quindi, una lista particolare. Abbiamo, pertanto, richiesto di estenderla, oltre a questi comuni, anche a quelli che siano colpiti da eventi calamitosi, in modo da favorire l'affitto e l'accesso delle persone bisognose all'affitto.
  Evidenziamo un secondo problema che andrebbe normato o meglio rivisitato, ovvero quello dei criteri per la ricostruzione degli immobili, perché i finanziamenti concessi per la ricostruzione degli edifici distrutti a seguito degli eventi calamitosi vengono erogati con la finalità di ricostruire quanto demolito esattamente con le stesse dimensioni e caratteristiche che aveva l'edificio prima di essere colpito.
  Vi tralascio la lettura di tutti i particolari. Per essere breve e conciso, al di là degli immobili in centri storici, quindi sottoposti a vincoli che non ne consentono la modifica, ci sono costruzioni di grandi dimensioni degli anni Cinquanta e Sessanta. Infatti, a livello sociologico, anni fa le famiglie erano molto più numerose. Pertanto, ci troviamo in presenza della casa costruita dal nonno, con quattro unità immobiliari realizzate per ospitare i figli. Ebbene, oggi quando andiamo a ricostruire, il danneggiato chiede la ricostruzione, con la quale, però, non intende più ristrutturare tutti e quattro gli appartamenti, ma solo due, per avere meno cubatura. Questo, però, gli viene impedito perché le ricostruzioni devono essere fatte in modo tale che la costruzione abbia le stesse caratteristiche, la stessa cubatura e la metratura originale.
  C’è, quindi, uno spreco di danaro e le case rimangono vuote, a fronte di un carico urbanistico che non cambia se si hanno quattro unità immobiliari invece di due. Potremmo, quindi, non obbligare le persone a pagare tasse su immobili che rimarrebbero vuoti. Dobbiamo, infatti, ricordare che, soprattutto nella provincia italiana, molte case sono bifamiliari, trifamiliari o quadrifamiliari proprio per ospitare tutta la famiglia.
  A nostro parere, per quanto riguarda l'abitativo, questo aspetto andrebbe normato in maniera migliore. La stessa questione si pone anche per le abitazioni ubicate nelle campagne. Ci sono casolari, che non sono le vecchie corti sottoposte a vincoli, o case all'interno di strutture che avevano il fienile e altri locali che davano agio di svolgere la vita contadina, che sono rimaste danneggiate, ma che oggi non servono più.
  Allora, anche qui ci siamo ritrovati con la necessità di chiedere i finanziamenti per ricostruirne solo una parte, cioè con meno cubatura, invece ci si obbliga a ricostruire esattamente lo stato originale. Con queste modalità, se andiamo a ricostruire, i costi per lo Stato sono veramente molto alti.
  Peraltro, anche per le opere pubbliche accade la stessa cosa. Due settimane fa Pag. 6nell'alluvione di Olbia si è dovuto demolire un ponte che, dopo la precedente alluvione, era stato ricostruito rispettando l'obbligo di ricostruirlo nello stesso modo e nello stesso posto, ma per evitare un'altra tracimazione del fiume i comuni sono stati obbligati ad abbattere il ponte prima della seconda alluvione.
  Ora, visto che si parla sempre di rigenerazione urbana, c’è da fare attenzione a questo aspetto, permettendo ai cittadini di poter costruire anche cubature inferiori.
  Il terzo punto è quello dei consorzi di bonifica. Qui parliamo di alluvioni che non sono solo quelle di Genova che colpiscono centri urbani, ma che colpiscono anche le campagne, come quella in Veneto, quelle verificatesi a Piacenza ultimamente o a Modena l'anno scorso.
  Ebbene, i consorzi di bonifica, che avevano una funzione ottimale negli anni in cui sono nati, in cui gestivano veramente le bonifiche, come quelle dell'Agro pontino o nel ferrarese, oggi, quando ci sono le alluvioni, non svolgono più il loro ruolo primario, che è, appunto, quello di gestire il territorio, ma soprattutto di partecipare a opere pubbliche e tutelare il patrimonio ambientale e agricolo.
  Oggi, con l'abbandono delle campagne, non ci sono più quei contadini che una volta, gratuitamente, falciavano il corso dei fiumi e tenevano puliti gli argini, quindi facevano una manutenzione a costo zero. I consorzi di bonifica dovrebbero, dunque, gestire il territorio.
  In ogni provincia c’è un consorzio di bonifica, con un consiglio di amministrazione, e questo ha costi altissimi, dal momento che i consorzi pesano sulle tasse dei cittadini per circa 600 milioni di euro. Allora, come nell'evento calamitoso di Modena, in cui hanno ceduto alcuni argini, ci chiediamo se era il consorzio di bonifica a doverli tenere puliti oppure se, come è stato detto con dichiarazioni alla stampa proprio dal presidente del consorzio di bonifica, è colpa delle nutrie se è avvenuta l'alluvione. Ora, posto che le nutrie sono in natura, se c’è un consorzio di bonifica, questo dovrebbe gestire gli argini in modo da mantenere la sicurezza dei cittadini di quel territorio.
  La proposta che facciamo su questo tema è di creare un centro nazionale che gestisca i consorzi di bonifica, anche se, per quanto riguarda l'Emilia-Romagna e la Lombardia, andrebbe in conflitto con l'Alto magistrato del Po perché non si sa di chi è la competenza. Tutte le volte che c’è un evento non si capisce bene di chi sia la colpa.
  Oppure, in alternativa, si potrebbero abolire i consorzi, risparmiando 104 consigli di amministrazione e attribuire le importantissime funzioni che, se fossero svolte, sarebbero utilissime per la tutela del nostro territorio, ad altro ente o istituzione dello Stato, anche nell'ottica della spending review.
  Avrei terminato qui. Vi ho risparmiato la lettura pedissequa di tutto il documento. Resto a disposizione, se avete domande.

  PRESIDENTE. Ringrazio il presidente Righi ed invito i colleghi che lo desiderino a intervenire.

  PASQUALE SOLLO. Ringrazio il presidente Righi, che ha proposto tre spunti estremamente interessanti. Il primo riguarda la disparità di trattamento riguardo all'esenzione dall'IMU, che non ha proprio senso di esistere. Giustamente, come lei diceva, non si capisce perché in Abruzzo è permanente, mentre nel caso del terremoto in Emilia bisogna sottostare ogni anno a certe formalità. Questo è, quindi, un primo spunto interessante.
  Vorrei, però, concentrarmi sul secondo, ovvero sul ripristino dello stato dei luoghi. Sono d'accordo con lei. Tuttavia, lei ha fatto l'ipotesi che, in alcuni casi di abbattimento, si possa ricostruire con una volumetria inferiore, prendendo a spunto case coloniche, casali e così via, quindi, ovviamente, sempre fabbricati non sottoposti a vincoli storici, archeologici e quant'altro, che pongono un altro problema, che pure stiamo affrontando.
  Secondo me, dovrebbe, però, essere prevista anche l'ipotesi inversa, in pieno Pag. 7stile «Piano casa», che ha previsto aumenti di cubatura fino a un limite del 20 per cento. Infatti, non dobbiamo occuparci soltanto delle case in campagna. Ci sono tante case singole in città – non parliamo di palazzoni –, ma case piccolissime dove ci potrebbe essere il problema opposto a quello che diceva lei della casa colonica, con 4 famiglie. Insomma, eventualmente, dove è possibile si potrebbe prevedere anche un aumento di volumetria limitato a quello che prevede il «Piano casa», ossia a quella percentuale prevista dal Piano stesso, per i comuni che lo hanno adottato.
  Per esempio, il mio comune è il primo in tutta Europa come densità abitativa. Su 1,6 chilometri quadrati insistono 20.000 persone. Nonostante ciò, sono stato forse il primo in Italia, quando ero sindaco, ad adottare il «Piano casa» perché c'erano aziende e industrie dismesse, ma non c'era più interesse in quelle zone a farle rimanere tali, quindi ho dato la possibilità di convertirle in civili abitazioni, con una convenzione a favore del comune per parchi, palestre e quant'altro. Quindi, le chiedo se è d'accordo di prevedere anche l'ipotesi inversa a quella che ha proposto.
  Sono d'accordo sui consorzi di bonifica. Non parliamo, poi, dei consorzi ATO, che sono completamente inutili. Da noi esiste da 20 anni un consorzio ATO per la problematica del ciclo integrato delle acque, ma sono 20 anni che prendono l'indennità per poi far gestire le acque singolarmente dai comuni. Non le faccio il conto di quanti milioni di euro sono stati spesi inutilmente.
  La ringrazio, dunque, per i tre spunti estremamente interessanti.

  MINO TARICCO. Ringrazio gli auditi perché sono stati molto puntuali e concreti, cosa che aiuta molto nel ragionamento che vogliamo fare. Vorrei chiedere, se è possibile, un approfondimento sulla questione delle linee guida.
  Avendo vissuto in Piemonte la vicenda dell'alluvione del 1994, con decine di ordinanze che continuavano a perfezionare l'intervento, sono assolutamente convinto che se si riuscisse ad avere un riferimento standard da applicare in tutti i casi di eventi calamitosi, questo metterebbe in condizione anche chi deve operare nell'emergenza di sapere più o meno dove andare a parare. Invece, si rimane in attesa di capire quali saranno i provvedimenti e via discorrendo.
  Ora, dal vostro punto di vista, per l'esperienza che avete maturato, è pensabile di ricondurre all'interno di uno schema generale la varietà degli eventi calamitosi possibili, dall'alluvione al terremoto ? In linea di principio sembra uno splendido ragionamento, ma da un punto di vista pratico, per l'esperienza che avete, pensate che il quadro generale delle situazioni di emergenza in cui ci si potrebbe venire a trovare a seguito di eventi calamitosi sia riconducibile dentro uno schema unico ?

  DANIELE MONTRONI. Vorrei fare anch'io una brevissima considerazione. Credo che sia molto utile lo spunto che ci date rispetto a queste tre questioni. Sulla prima, a settembre il Parlamento ha approvato la legge delega sul riordino della Protezione civile, con l'intento di cogliere molte delle questioni che avete posto. C’è, infatti, un problema che riguarda la fase emergenziale e la necessità di standardizzare perché non si può ripetere in continuo ogni volta la stessa cosa, rifacendosi a circolari e decreti che sono stati emanati, ma occorre, appunto, standardizzare il più possibile le procedure.
  Dopodiché, c’è il tema della post ricostruzione che, in parte, coinvolge la Protezione civile e, in parte, gli enti locali che sono stati interessati. Quindi, da questo punto di vista, credo che potrete fornirci degli spunti, una volta che il Senato avrà approvato – si spera il prima possibile – la legge delega, nel momento in cui il Governo dovrà emanare i decreti attuativi.
  Invece, sulla normativa urbanistica, credo che il ragionamento che fate sia molto corretto. Peraltro, veniamo da una fase in cui la richiesta era spesso opposta, ovvero di trasformare in più unità abitative gli edifici che venivano colpiti da calamità naturali. Pertanto, colgo con particolare Pag. 8interesse questo tipo di richiesta, ovvero quella che, pur mantenendo l'insediamento, vi sia la possibilità di ridurre sostanzialmente le cubature. Credo che sia utile, anche in questo caso, la vostra osservazione perché occorre aprire un ragionamento sia con le soprintendenze, sia con i comuni perché molti di questi immobili, come voi sapete, o hanno un vincolo paesaggistico o architettonico o sono stati censiti dai comuni come beni d'interesse storico.
  Da questo punto di vista, occorre avere particolare attenzione, altrimenti non ci si riesce a muovere. Comunque, è una sollecitazione molto interessante e corretta.

  EMANUELE PRATAVIERA. Grazie, presidente. Mi scuso per il ritardo, dovuto anche al fatto che ogni settimana la Commissione cambia sede. Il ritardo era comunque fisiologico, per cui mi scuso per essermi perso le vostre considerazioni. Tuttavia, leggendo la relazione che ci avete fornito mi ha colpito una riflessione, su cui vorrei sapere se avete anche una proposta fattiva.
  Mi riferisco al punto in cui si parla di ricostruzione di edifici danneggiati o distrutti e di andare incontro alle esigenze reali del cittadino, che aveva un bene abitabile, che, se ricostruito con le stesse caratteristiche, non è più l'ottimo. Ecco, mi metto dalla parte dell'amministratore comunale che vorrebbe perseguire questa logica, ma dovrebbe rivedere i vecchi piani regolatori che oggi, in base alle diverse realtà regionali, hanno nomi diversi, che poi si devono confrontare e coordinare con i piani provinciali, che, a loro volta, devono avere l'avallo, là dove previsto, della regione per il parere urbanistico. Insomma, abbiamo burocrazia su burocrazia.
  Allora, in materia urbanistica, visto che è un tema connesso sempre alla semplificazione, prevedere un rafforzamento dei poteri dell'amministrazione comunale in una fase post emergenziale, anche rispetto alla ridefinizione delle zone urbanistiche, potrebbe essere uno spunto che dovremmo perseguire ? Lo chiedo per capire se il vostro suggerimento è questo oppure se proponete un altro piano.

  PRESIDENTE. Invito il presidente Righi a svolgere un intervento di replica.

  PAOLO RIGHI, Presidente della Federazione italiana agenti immobiliari professionali (FIAIP). Partendo dal caso della ricostruzione che ha colpito tutti, vorrei dire che non intendiamo stravolgere le città. Tutto quello che è vincolato va mantenuto, ma ci sono anche vincoli che non trovano più riscontro nella realtà, perché, per esempio, riguardano il posizionamento di case agricole che una volta erano vicino alla strada e che oggi, eventualmente, dovremmo spostare all'interno per renderle più vivibili perché a fianco passa la ferrovia e così via.
  Sul problema dei vincoli, l'Italia è tutta vincolata, per cui bisognerebbe che si ampliasse il discorso. Noi non abbiamo voluto inserire l'applicazione del «Piano casa» anche per l'aumento delle cubature in quanto sarebbe un'attività onerosa e che potrebbe, comunque, ben rientrare in un'ottica che perseguiamo da tempo e che ormai sta diventando un bene comune. Dobbiamo smetterla, infatti, di consumare territorio, ma bisogna ricostruire quello che c’è, attraverso l'abbattimento e la ricostruzione.
  Quindi, dovremmo operare sul modello usato negli Stati Uniti, dove si demoliscono e si ricostruiscono gli stessi quartieri. Le città italiane si sono estese negli anni in larghezza, sottraendo terreno all'agricoltura, ma oggi abbiamo un problema di abbandono dei centri storici e delle prime periferie. Insomma, le città nuove nascono sempre dopo.
  Allora, a nostro parere, in Italia ci sono tante case. È strano che lo dicano gli agenti immobiliari, ma proprio noi che tutti i giorni le trattiamo, sappiamo che le case sono sufficienti, anche perché nascono meno figli. Il problema, allora, è riqualificare, quindi andare verso le classi energetiche A e B. Tuttavia, se cominciamo, cogliendo anche il momento di negatività per tramutarla in una positività, Pag. 9i momenti della ricostruzione sono proprio quelli che ci dovrebbero portare a rivedere, più in generale, la questione della ricostruzione di una casa.
  Se una casa degli anni Sessanta si deve ricostruire esattamente così come è, è uno spreco di intelletto, di cultura, ma è anche un gravame che diamo alle famiglie già terremotate, che avendo tre o quattro unità abitative dovranno pagare la tassa sulla prima, la seconda e la terza casa, anche se ormai i figli sono andati a studiare in America o da altre parti.
  Non sto dicendo di lasciare quello che è caduto. Il centro storico de L'Aquila va ricostruito così com’è perché la cultura italiana non si tocca. Abbiamo, invece, molti orrori, anche all'interno dei centri storici, come quei palazzoni giganti degli anni Sessanta, che, se crollano, potrebbero essere tranquillamente ricostruiti in un altro modo.
  È chiaro che si pone il tema dei piani regolatori, che, in relazione al rinnovamento del patrimonio immobiliare italiano, vanno pensati in un altro modo. Sto, però, uscendo dal tema, anche se la questione è sempre quella del territorio, rispetto al quale ci sarebbe la necessità di obbligare le amministrazioni a non consumare più di una certa quantità di territorio, magari dando loro la possibilità di crescere solo in altezza, con dei premi per i costruttori che acquistano il vecchio edificio e lo devono ricostruire, che si possono tradurre anche nel fatto di poter realizzare una maggior cubatura. Insomma, se c’è un'attrattiva economica, forse qualcosa si può muovere.
  Tornando al nostro problema, penso che sia necessario che lo Stato definisca una normativa da seguire anche perché quando si verifica un evento calamitoso non solo i cittadini sono in stato di calamità, ma anche l'amministrazione. Se la regione o il comune non hanno mai affrontato queste problematiche, anche per loro è tutto nuovo, quindi, anche se la Protezione civile segue delle linee, se manca una task force per spiegare come si fanno determinate cose o come l'amministrazione deve eseguire i propri impegni, si pone un problema.
  Sono di Carpi, quindi questa esperienza mi tocca da vicino. Quando presento la richiesta di un mutuo per la ricostruzione – ovvero un documento con cui chiedo di accedere ai finanziamenti – mi ritrovo che l'amministrazione comunale può protocollare in due settimane, in un mese, in quattro o cinque mesi. Il cittadino soggiace, dunque, all'efficienza o all'inefficienza del comune. Invece, sarebbero necessarie delle linee-guida stringenti in cui siano fissati anche i tempi in cui devono essere fatte le cose.
  Anche nei comuni del modenese, che sono pur sempre solerti, possono verificarsi dei ritardi. Ci sono, infatti, un sacco di lamentele. Pensiamo quindi a un libretto di istruzioni che sarebbe importante anche per quelle amministrazioni che hanno subito il disagio.
  Non chiediamo un interessamento maggiore dei comuni o delle regioni, ma ci deve essere un'uniformità. Il problema vero che riscontriamo è che ci sono tanti organi deliberanti, ma il cittadino è sempre in difficoltà perché non sa più come gestirsi e a chi rivolgersi. Nascono, di conseguenza, tanti comitati di cittadini, che penso audirete, proprio per cercare di ottemperare a tutte queste attività che si devono svolgere.

  PRESIDENTE. Penso che gli elementi raccolti siano sufficienti, quindi ringrazio il presidente Righi per la collaborazione che ha prestato. Il quadro che emerge è molto differenziato da realtà a realtà.
  La citazione continua della vicenda dell'Emilia-Romagna ci dice che è diversa da quello che può essere capitato nella valle del Brenta...

  EMANUELE PRATAVIERA. (fuori microfono). Nella Riviera del Brenta.

  PRESIDENTE. Sì, nella riviera del Brenta. Ciò nonostante, la questione riguarda il ruolo dei comuni. Per esempio, i piani regolatori degli anni Settanta sono Pag. 10stati costruiti anche in Val Padana sul meccanismo di un incremento demografico che, in realtà, non si è determinato; anzi, si è realizzato l'opposto.
  Ricordo, per aver fatto l'amministratore in uno dei comuni, Quistello, che allora il piano regolatore prevedeva un incremento fino a 10.000 abitanti. Allora ne aveva 7.000, oggi ne ha 5.200. Dico questo per dare la dimensione del problema. Avendo fatto un giro perché ho ancora la casa dove sono nato, ho visto che ci sono molte abitazioni del tutto disabitate. Mi riferisco alle strutture coloniche.
  Può capitare, invece, che alcune siano rimaste in attività perché sono stati accorpati dei fondi, si sono riqualificate delle attività produttive o si sono specializzate (in quella zona, per esempio, in questo momento c’è il boom delle zucche). Ora, siccome è un'area terremotata, per le abitazioni civili, quello che lei dice è vero. Visto che ci sono meno persone, si tratterebbe di consentire un recupero mirato per riduzione dello spazio utilizzato. Invece, per le strutture di pertinenza che sono in funzione del ruolo degli attrezzi agricoli o quant'altro ci sarebbe la necessità di adeguarle perché, per esempio, sono stati costruiti dei garage con delle porte dove le macchine di oggi non potrebbero entrare, e in questi casi l'obbligo di ricostruirli così come erano creerebbe un grave problema.
  La difficoltà nasce dal fatto che c’è un terremoto. Probabilmente, però, questi agricoltori avevano già pensato di fare qualcosa. L'occasione in sé dovrebbe, pertanto, consentire una certa flessibilità, il che comporta che il potere del comune sia assolutamente prevalente e che venga riconosciuta una possibilità di deroga. Non vedo quale altro potere si possa utilizzare, se non quello comunale. Naturalmente, la Riviera ha i problemi delle ville storiche, che sono del tutto diversi. Comunque, reputo utili gli spunti che ha portato.
  Sulla storia delle bonifiche, non so se si tratta di centralizzare. Forse, non è questa la strada migliore, ma certamente occorre semplificare, magari obbligando i consorzi a fondersi tra di loro, andando verso autorità di bacino più semplici.
  Sotto questo aspetto, il tema del Po è centrale. Personalmente, lo avevo affrontato da presidente della regione negli anni Ottanta. Avevo visto la necessità di rafforzare il ruolo dell'autorità di bacino, riducendo il peso delle regioni, le quali avrebbero dovuto rinunciare a una parte del loro potere perché sull'asta del Po incidevano più regioni, ma c'era bisogno di un coordinamento complessivo dell'attività amministrativa legata, appunto, all'asta del Po e dei suoi affluenti, che erano un tutto unico, non segmentabili tra di loro. Invece, siamo andati proprio nella direzione opposta, segmentando, il che non è stato utile perché il Po è un ecosistema molto complesso e delicato, forse l'unico di quelle proporzioni in Italia.
  Tuttavia, il problema del bilanciamento dei poteri rispetto alla realtà della situazione che dobbiamo affrontare è fondamentale. Quando ci sono calamità che esplodono, la gestione amministrativa, con la disarticolazione delle competenze, diventa molto più complicata e fatica a portare dei risultati, causando conseguenze che toccano i cittadini e le imprese, che, malgrado tutto, continuano ad operare.
  Nel ringraziare nuovamente il presidente Righi, dichiaro chiusa l'audizione. Ricordo che lunedì prossimo, a partire dalle ore 15, avremo le audizioni di rappresentanti dell'Unione piccoli proprietari immobiliari e dei comitati civici.

  La seduta termina alle 9.05.