XVII Legislatura

Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza

Resoconto stenografico



Seduta n. 22 di Martedì 11 aprile 2017

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Zampa Sandra , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA SALUTE PSICOFISICA DEI MINORI

Audizione di rappresentanti del Centro di riabilitazione «Vaclav Vojta» di Roma: dottoressa Stefania Cruciani, neurologa – Direttore sanitario, responsabile Unità riabilitativa adulti e dismorfismi dell'età evolutiva (URA), dottoressa Maria Pia de Bari, fisioterapista (URA) e dottor Vincenzo Cabala, fisioterapista – Unità riabilitativa età evolutiva (UREE).
Zampa Sandra , Presidente ... 3 
Cruciani Stefania , neurologa – Direttore sanitario, responsabile Unità riabilitativa adulti e dismorfismi dell'età evolutiva (URA) ... 3 
Cabala Vincenzo , fisioterapista – Unità riabilitativa età evolutiva (UREE) ... 6 
Zampa Sandra , Presidente ... 8 
de Bari Maria Pia , fisioterapista (URA) ... 8 
Zampa Sandra , Presidente ... 11 
Cruciani Stefania , neurologa – Direttore sanitario, responsabile Unità riabilitativa adulti e dismorfismi dell'età evolutiva (URA) ... 11 
D'Incecco Vittoria (PD)  ... 11 
Cruciani Stefania , neurologa – Direttore sanitario, responsabile Unità riabilitativa adulti e dismorfismi dell'età evolutiva (URA) ... 11 
Zampa Sandra , Presidente ... 12 
D'Incecco Vittoria (PD)  ... 12 
Lupo Loredana (M5S)  ... 12 
Romanini Giuseppe (PD)  ... 12 
Brambilla Michela Vittoria (FI-PdL)  ... 12 
Cruciani Stefania  ... 13 
Brambilla Michela Vittoria (FI-PdL)  ... 13 
Cruciani Stefania , neurologa – Direttore sanitario, responsabile Unità riabilitativa adulti e dismorfismi dell'età evolutiva (URA) ... 13 
Brambilla Michela Vittoria (FI-PdL)  ... 13 
Cruciani Stefania , neurologa – Direttore sanitario, responsabile Unità riabilitativa adulti e dismorfismi dell'età evolutiva (URA) ... 13 
Brambilla Michela Vittoria (FI-PdL)  ... 13 
Cruciani Stefania , neurologa – Direttore sanitario, responsabile Unità riabilitativa adulti e dismorfismi dell'età evolutiva (URA) ... 13 
Brambilla Michela Vittoria (FI-PdL)  ... 14 
Cruciani Stefania , neurologa – Direttore sanitario, responsabile Unità riabilitativa adulti e dismorfismi dell'età evolutiva (URA) ... 14 
Brambilla Michela Vittoria (FI-PdL)  ... 14 
Cruciani Stefania , neurologa – Direttore sanitario, responsabile Unità riabilitativa adulti e dismorfismi dell'età evolutiva (URA) ... 14 
Zampa Sandra , Presidente ... 14 

ALLEGATO 1: Documentazione presentata dalla dottoressa Stefania Cruciani ... 15 

ALLEGATO 2: Documentazione presentata dal dottor Vincenzo Cabala ... 31 

ALLEGATO 3: Documentazione presentata dalla dottoressa Maria Pia de Bari ... 45

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA VICEPRESIDENTE
SANDRA ZAMPA

  La seduta comincia alle 14.10.

  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.

  (Così rimane stabilito).

Audizione di rappresentanti del Centro di riabilitazione «Vaclav Vojta» di Roma: dottoressa Stefania Cruciani, neurologa – Direttore sanitario, responsabile Unità riabilitativa adulti e dismorfismi dell'età evolutiva (URA), dottoressa Maria Pia de Bari, fisioterapista (URA) e dottor Vincenzo Cabala, fisioterapista – Unità riabilitativa età evolutiva (UREE).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito di una ormai molto consistente indagine conoscitiva sulla tutela della salute psicofisica dei minori, l'audizione dei rappresentanti del Centro di riabilitazione «Vaclav Vojta» di Roma.
  Sono con noi la neurologa Stefania Cruciani, Direttore sanitario responsabile dell'Unità riabilitativa adulti e dismorfismi dell'età evolutiva, la fisioterapista Maria Pia de Bari e il dottor Vincenzo Cabala, fisioterapista dell'Unità riabilitativa età evolutiva.
  Molto cortesemente, i nostri auditi hanno fornito del materiale e ci presenteranno, da quello che ne deduco, l'esperienza, della messa in opera della terapia Vojta, con i risultati che permette di raggiungere nell'ambito della salute psicofisica dei minori.
  La nostra indagine conoscitiva, come vi dicevo e come avrete probabilmente visto sul nostro sito, è molto avanti. Abbiamo audito davvero un numero straordinario di realtà, quindi, con molto interesse, sentiremo anche voi.
  Cederei subito la parola, se siete d'accordo, alla dottoressa Cruciani, che immagino sarà la prima a intervenire. Vi pregherei di stare nei 20-25 minuti, in modo da dare tempo ai colleghi di porre domande e a voi di fare replicare.

  STEFANIA CRUCIANI, neurologa – Direttore sanitario, responsabile Unità riabilitativa adulti e dismorfismi dell'età evolutiva (URA). Buonasera. Grazie per l'invito. Siamo molto onorati e il ringraziamento è a nome di tutta la cooperativa e di tutta l’équipe riabilitativa che vi lavora.
  La cooperativa «Vaclav Vojta» nasce intorno alla figura del professor Vojta nel 1978, per volontà di Jarka, una fisioterapista cecoslovacca, che, insieme a un piccolo gruppo di fisioterapisti italiani, ha iniziato ad applicare i princìpi della metodica Vojta nella riabilitazione delle patologie neurologiche del bambino.
  La cooperativa, fin dall'inizio, ha avuto come mission quella di riabilitare il bambino, valorizzandone le potenzialità, e anche l'adulto, ai fini di un'integrazione scolastica e di un inserimento lavorativo successivo. Considerate che, alla fine degli anni Settanta, questo era un concetto di riabilitazione molto avanzato.
  La cooperativa è molto cresciuta da allora: non ci occupiamo più soltanto del metodo Vojta. Siamo attualmente una cooperativa sociale iscritta al registro delle Pag. 4Onlus ed eroghiamo progetti riabilitativi individuali, in regime sia semiresidenziale che ambulatoriale, in modalità estensiva e di mantenimento.
  A tutt'oggi, siamo centro di riferimento per il territorio nazionale della metodica Vojta e collaboriamo con l'Associazione internazionale Vojta sia ai fini di ricerca che di formazione.
  Nonostante riconosciamo le nostre radici nel metodo Vojta, crediamo fermamente in un'integrazione delle tecniche e delle metodiche riabilitative in relazione ai diversi bisogni del bambino, al fine di cucirgli addosso un vestito riabilitativo proprio.
  Il Centro «Vaclav Vojta» (il centro semiresidenziale più grande della regione Lazio), in tutte le unità riabilitative che lo compongono si occupa molto della riabilitazione dei minori – il 30 per cento della nostra utenza è rappresentato da minori – affetti da ritardo mentale, associato ad altri problemi, come disturbi dello spettro autistico o disturbo psicotico non altrimenti specificato (NAS), ma anche deficit motori ed epilessie farmacoresistenti.
  Tra le unità riabilitative e ambulatoriali, la più piccola è l'Unità riabilitativa vascolare, in cui i minori sono molto pochi, ma affetti da una patologia rara, che è il linfedema ereditario. Il trattamento delle malattie rare costituisce un punto di forza del nostro centro.
  La quota di minori presente nell'Unità riabilitativa adulti e dismorfismi dell'età evolutiva è rappresentata completamente da bambini affetti da osteogenesi imperfetta e sindrome di Ehlers Danlos, patologie del connettivo ereditario di cui vi parlerà successivamente la dottoressa de Bari.
  L'Unità riabilitativa dell'età evolutiva, invece, è completamente dedicata alla riabilitazione del minore e a tutte le sue patologie, sia neurologiche che psichiatriche. Ovviamente la metodica Vojta viene principalmente portata avanti in questa unità riabilitativa, perché è il reparto a cui giungono i neonati, quindi anche bambini di cinque giorni affetti da paralisi ostetrica o prematuri o con esiti di paralisi cerebrale infantile. Le patologie trattate sono anche i disturbi dello spettro autistico o del linguaggio o dell'apprendimento.
  Come da linee guida della riabilitazione emanate dal Ministero della salute, prima nel 1998 e poi nel 2011, il nostro lavoro si basa sull’équipe riabilitativa. Il medico responsabile del progetto riabilitativo, dopo aver valutato il bambino, compone l’équipe, scegliendo, fra le figure professionali presenti nelle unità riabilitative, quelle più adatte. Al centro dell’équipe è posto il bambino con i suoi bisogni, quindi si tratta di un sistema persona-centrato. Vi è un continuo interscambio delle persone operanti nell’équipe, che fa crescere enormemente le competenze interprofessionali e previene anche il burn-out.
  Noi ci auguriamo che comunque venga sempre sollecitato il lavoro d’équipe in tutti i centri di riabilitazione, determinante per una presa in carico riabilitativa globale.
  L’équipe definisce il progetto riabilitativo individuale, cioè gli obiettivi, dopo avere esaminato in maniera globale i bisogni del paziente, le abilità e la possibilità di recupero, e dopo avere esaminato l'ambiente del bambino, quindi la famiglia e la scuola, ma anche quali sono le risorse nonché i limiti della situazione in cui vive.
  Gli obiettivi devono essere realistici, individuabili e misurabili nel tempo, attraverso scale di valutazione, ma soprattutto condivisi da tutta l’équipe riabilitativa e dalla famiglia. Senza la condivisione della famiglia non si raggiunge nessun obiettivo, quindi l’équipe riabilitativa deve puntare all'alleanza terapeutica con la famiglia, che si fonda su un atteggiamento empatico, per creare fiducia e dare sicurezza sia al bambino che ai suoi genitori e parlare un linguaggio comune anche con i servizi territoriali.
  Non applichiamo solo il metodo Vojta, ma abbiamo anche un centro semiresidenziale nel quale afferiscono i pazienti con ritardo mentale, che è la prima patologia psichiatrica, come da Manuale diagnostico e statistico (DSM)-IV.
  Vi pongo un quesito, a cui cerco di rispondere: perché un bambino o un adolescente affetto da ritardo mentale può trarre grandi vantaggi da un progetto riabilitativo Pag. 5 in regime semiresidenziale, che a volte si sostituisce anche alla scuola, piuttosto che da un regime ambulatoriale? La presa in carico è di sei ore al giorno per sei giorni a settimana. Questo permette di poter lavorare molto bene sulle abilità e sulle autonomie del bambino, appunto perché è possibile avere un buon controllo sfinterico, quindi autonomia nel mangiare.
  Stiamo vedendo le immagini del nostro piccolo gruppo di minori, che hanno l'esenzione dall'obbligo scolastico perché sono affetti da ritardo mentale grave. Questi bambini hanno un'età mentale di circa due anni, per cui immaginate, se fossero inseriti in una prima elementare, la difficoltà che avrebbero, anche già solo nello stare seduti. Da noi trovano degli spazi idonei e la possibilità di continuare a effettuare terapie riabilitative appropriate e individuali, quindi fisioterapia, logopedia e terapia occupazionale. Inoltre, si possono fare dei laboratori, secondo le loro potenzialità, quindi senza richieste eccessive rispetto ai loro bisogni, e fare attività ricreative, ma anche attività sportive in ambiente appropriato e protetto.
  Collaboriamo con l'Associazione nazionale aikido, con la quale i nostri ragazzi adolescenti praticano questa disciplina due volte a settimana. Abbiamo, da quest'anno, iniziato anche un lavoro con la Federazione italiana bocce, che è venuta a proporsi, per cui il gruppo dei bambini minori con ritardo mentale grave fa questa attività di coordinazione motoria finalizzata al gioco delle bocce. Inoltre, i nostri bambini fanno danza e movimento-terapia. Insomma, c'è un ambiente protetto ludico, in cui possono sperimentarsi, anche nei rapporti affettivi fra di loro.
  Possiamo anche vedere situazioni diverse, in cui, per il minore, si può fare un progetto riabilitativo in semiresidenziale.
  Molto belli sono i progetti riabilitativi che preparano all'accesso alla scuola. Questo è molto difficile, a volte, da far accettare dal genitore, ma ci permette di creare un comportamento adeguato nel bambino, iniziando a fargli seguire delle regole sociali, che poi lo possono inserire in un gruppo classe. In questo caso, parliamo di un ritardo mentale medio.
  Dopo la fine del percorso scolastico, a 14-15 anni, quando il genitore non sa come occupare il tempo del proprio figlio, qui trova un ambiente, che, pur continuando il percorso riabilitativo, permette una socializzazione tra di loro, per cui si possono sperimentare anche aspetti diversi della sfera emotiva, come un innamoramento corrisposto.
  Abbiamo anche un progetto in collaborazione con la scuola. Ci siamo posti nella condizione di dire «facciamo venire la scuola da noi per educare alla diversità». Abbiamo delle scuole molto vicine sul territorio e questo è un progetto con la scuola Livio Tempesta dell'Istituto Pincherle. È stato costituito un gruppo di 15-20 nostri ragazzi e di una seconda classe elementare, fino al percorso della quinta. Quest'anno abbiamo preso in carico nuovamente una terza per seguirla fino alla quinta. Una volta a settimana, i bambini vengono presso il nostro centro e fanno con i nostri ragazzi lavori ricreativi, ma anche espressivi e teatrali.
  Oggi vi ho portato il DVD, in cui trovate il lavoro finale di tale percorso. I nostri bambini e i nostri ragazzi sono stati intervistati – mi farebbe molto piacere se poi trovate il tempo di vederli – e viene chiesto che cosa significa per loro essere abili o diversamente abili e quali sono le potenzialità dei diversamente abili, alla fine di un percorso di quattro anni di lavoro insieme.
  Vorrei porre la vostra attenzione sul cercare di far sì che i centri semiresidenziali siano più presenti su tutto il territorio nazionale. Abbiamo a cuore la possibilità di fare progetti in regime semiresidenziale, in contemporanea con la scuola. Fino a qualche anno fa, questa cosa era possibile, ma, adesso, i bambini o sono presi in carico dalla scuola o da noi. Capiamo che ci sono dei costi elevati perché il bambino usufruisce di due servizi in contemporanea, quindi magari si potrebbe immaginare qualcos'altro, anche con costi diversi. Si trattava di bellissimi progetti perché si permetteva al bambino, che non riusciva a stare tutto Pag. 6quel tempo a scuola, di potere usufruire di un ambiente riabilitativo a lui idoneo.
  Grazie. Adesso, il dottor Cabala vi parlerà del metodo Vojta.

  VINCENZO CABALA, fisioterapista – Unità riabilitativa età evolutiva (UREE). Entriamo ora nel tecnico, ma cercherò di essere semplice e comprensibile.
  Il metodo Vojta, a oggi, è un trattamento riabilitativo integrato: «integrato» è un concetto che mi porterò lungo tutta la presentazione, perché è significativo per questa metodica. Inizio a dire, già da subito, che la metodica è integrata nel contesto territoriale internazionale. Il metodo è presente in tutto il mondo e fa riferimento maggiormente all'Europa, nello specifico alla Germania, dove è presente l'Associazione internazionale, che in qualche modo dirige e gestisce gli eventi formativi e i corsi in tutto il resto del mondo.
  In questo contesto internazionale, l'Italia sin dai primi anni è stata presente. Già nel 1969, grazie alla fisioterapista Jarka e un gruppo di fisioterapisti di Roma, iniziò la collaborazione diretta con il professor Vojta. Dal 1969, si sono tenuti corsi di formazione per medici e per fisioterapisti, sia all'Ospedale pediatrico «Bambino Gesù» sia al Centro «Vaclav Vojta», con una formazione di oltre 2.000 figure professionali e di oltre 100 medici. Attualmente, non abbiamo un censimento reale di dove questi fisioterapisti lavorano e potrebbe essere un bell'obiettivo nei prossimi anni avere una mappa più concreta della realtà italiana.
  Come vi ha già specificato la dottoressa Cruciani, il Centro Vojta è il solo ad avere il riconoscimento da parte dell'Associazione internazionale ed è il solo che può organizzare eventi formativi e divulgativi in accordo con essa. Vi ho riportato uno stralcio del sito del Vojta internazionale, dove viene menzionato il nostro centro come riferimento.
  Vediamo chi era il dottor Vojta. Io non so se qualcuno di voi già ha avuto il piacere e la fortuna di conoscerlo. Di fatto, il dottor Vojta nasce nel 1917 nella Repubblica Ceca ed è figlio di una famiglia cattolica praticante. Studia medicina a Praga e si specializza in neurologia e neuropsichiatria infantile. Al tempo, e in Europa, la specializzazione di neuropsichiatria infantile non esisteva, ma esisteva quella di neurologia pediatrica, che era un altro tipo di indirizzo.
  Nei primi anni dopo la specializzazione, il professor Henner lo incarica di dirigere un centro, che si occupava principalmente di bambini con paralisi cerebrale infantile. In quegli anni, fresco di studi, il dottor Vojta inizia a elaborare le sue teorie. Nel 1969 si trasferisce, per sfuggire all'invasione russa, in Germania, dove inizia a riversare e a diffondere il bagaglio culturale che si era creato tra gli altri medici e gli altri fisioterapisti. Il dottor Vojta si ritira nel 1995, ma continua il suo lavoro di investigazione e di formazione. La sua morte risale al 12 settembre 2000.
  Quali sono i concetti base di questa metodica? Mi fa piacere sottolinearne due in particolar modo, di cui uno è di natura valutativa, ad appannaggio tendenzialmente della figura medica, quindi c'è tutta una prima fase sugli aspetti diagnostici, composta fondamentalmente da tre azioni principali: la valutazione tramite le sette prove posturali; la valutazione della riflessologia neonatale o riflessologia primitiva; le osservazioni e le capacità di verticalizzazione e di movimento nel bambino nel primo anno di vita, quindi dello sviluppo ontogenetico.
  Questa valutazione complessiva cercava di definire, sin dalla più tenera età, un quadro patologico, individuandolo anche in epoca neonatale, quindi fondamentalmente facendo una diagnosi prenatale.
  Questa valutazione viene sempre corredata da una valutazione fisioterapica, la quale, prendendo spunto dalle osservazioni di attività spontanee o in comparazione allo sviluppo ontogenetico, cerca di determinare i deficit quantitativi e qualitativi del movimento. Ovviamente, per ogni specifico aspetto patologico, la valutazione verrà corredata da scale valutative diverse. Per una paralisi cerebrale infantile la valutazione sarà diversa rispetto a quella per una paralisi ostetrica o per una sindrome di Down, quindi ogni patologia avrà una valutazione Pag. 7più specifica. A questo punto, il terapista determinerà il protocollo di trattamento.
  Che cosa introduce il dottor Vojta? Qual è l'innovazione? Si parla di «locomozione riflessa», che è considerata da lui come la possibilità di attivare, tramite stimoli terapeutici imposti dall'esterno, determinate risposte motorie, che sono, secondo lui, sempre definite e presenti nel paziente. Tramite l'applicazione terapeutica di questa «locomozione riflessa», possono essere raggiunti o resi nuovamente accessibili, anche se parzialmente, schemi motori elementari, nei pazienti con compromissione sia del sistema nervoso centrale che dell'apparato locomotore in generale, quindi anche in quadri di displasia dell'anca e in problematiche di natura ortopedica, di base, favorendo la capacità e la neuroplasticità del sistema nervoso.
  Nella terapia Vojta – ho semplificato e sintetizzato – si utilizzano prevalentemente, ma non solo, perché poi ci sono diverse varianti, tre posizioni con il paziente, ossia la posizione prona, la posizione supina e il decubito laterale, che lui chiamerà «rotolamento riflesso di prima fase e di seconda fase» e «strisciamento riflesso». Si tratta dei quattro locomotori.
  Per ogni specifico patologico, si dovrebbero definire degli obiettivi ben determinati, per cui ho cercato di indicare gli obiettivi generali della locomozione riflessa. Tutto questo lavoro potrà senz'altro potenziare le funzioni di equilibrio del corpo durante i movimenti, quindi il controllo posturale, e promuoverà la verticalizzazione del corpo, sia nella sua globalità, quindi nel bimbo in gravità, sia nelle sue piccole parti, come il braccio o il capo o il tronco, potenziando i movimenti ciclici e determinati di prensione e deambulazione delle estremità, che il dottor Vojta chiamava «motilità fasica».
  Come vi diceva la dottoressa Cruciani, questi obiettivi motori specifici ad appannaggio del fisioterapista sono sempre determinati all'interno – ci fa piacere sottolinearlo – di una visione più globale fatta da un’équipe formata da diverse figure, che compartecipano nella stesura degli obiettivi.
  Quali sono i vantaggi della terapia Vojta? Come indicazione, il dottor Vojta ci diceva che la terapia deve essere ripetuta almeno quattro volte al dì per 5-10 minuti, per potenziare l'attività motoria di base. Tramite appunto questa ripetizione, questi movimenti vengono memorizzati e il bimbo, nell'eventualità, può riproporli in maniera automatica durante la giornata, contrastando i compensi posturali e i pattern patologici.
  Un altro vantaggio importante è che l'applicazione del Vojta può essere effettuata sin dalla più tenera età. È molto complicato chiedere a un bimbo di due o tre mesi o di cinque giorni il movimento di un arto piuttosto che di una gamba in maniera volontaria, quindi si utilizzano questi complessi locomotori automatici. Ecco perché si tratta di una tecnica molto vantaggiosa da questo punto di vista.
  La terapia Vojta aiuta fortemente la competenza genitoriale, in quanto il terapista Vojta fa partecipare attivamente il genitore al programma terapeutico e lo coinvolge, insegnandogli determinati tipi di attivazione, quindi fa sì che la famiglia sia molto consapevole del quadro patologico e, di base, la tranquillizza moltissimo sulla possibilità di poter far qualcosa di attivo per il proprio figlio.
  La terapia ha un basso costo applicativo, perché fondamentalmente abbiamo bisogno solo di un lettino e delle capacità del fisioterapista nel poter eseguire la tecnica. Sottolineo anche un punto che potrebbe essere interessante conoscere: si tratta di una terapia economica poiché si riduce la presenza del paziente e della famiglia nei centri di fisioterapia. Solitamente i nostri progetti sono da due o al massimo quattro accessi settimanali perché insegniamo alla famiglia o ai caregiver a eseguire varie attività a casa, con un abbattimento sostanziale di spesa da parte di chi usufruisce e di chi eroga. Immaginiamo, se dovessero venire tutti i giorni le famiglie, quale sarebbe il costo in termini di spese di viaggio e quant'altro, e che i genitori non potrebbero andare al lavoro, quindi ci sembrava significativo porre l'attenzione anche su questo punto. Pag. 8
  Il metodo Vojta, come vi dicevo, è integrato ad altri metodi riabilitativi. Non c'è più un atteggiamento fideistico nella tecnica, come unico trattamento che si può proporre. Il metodo risponde a quattro caratteristiche fondamentali ed è un trattamento globale, perché si prende in esame il bambino nella sua globalità e nella sua complessità. Inoltre, tale metodo è specifico, perché, come vi dicevo, gli obiettivi rispondono a uno specifico patologico, ed è progressivo, perché nel tempo il metodo si modifica in funzione degli obiettivi raggiunti, ponendo ovviamente le basi per obiettivi successivi; ma soprattutto deve essere, come un vestito su misura, adattabile alle esigenze e alle necessità del bimbo.
  Ho menzionato alcuni trattamenti e tecniche neuromotorie di quelle che vengono proposte nella nostra struttura, accanto al metodo Vojta, come la mobilizzazione stretching, la ginnastica posturale, gli esercizi di carico propriocettivi e l'idrokinesiterapia. La dottoressa non ha menzionato che nel nostro centro abbiamo una bellissima piscina, che è accessibile ai disabili direttamente con la carrozzina. Possiamo, quindi, proporre un'ulteriore aggiunta e, infine, l'utilizzo di ausili.
  La terapia Vojta, oltre a potenziare i processi di natura motoria e a migliorare le funzioni motorie, ha capito che non si può porre come unico intervento, ma deve essere integrata anche ad altri approcci riabilitativi. Queste capacità motorie, secondo noi, devono essere poi spese in contesti emozionali ed esperienziali significativi per il bimbo, quindi saper tirare su un braccio o avere la forza di poterlo tirare su, senza dargli un significato successivamente, sembrava riduttivo. Ecco perché inseriamo sempre approcci riabilitativi, quali la psicomotricità o la terapia occupazionale, che, per il bimbo, anche da un punto di vista emozionale, rendono motivante il gesto che è riuscito a compiere.
  Sottolineo, in ultima istanza, l'importanza della presenza della famiglia. Nel nostro centro, le famiglie sono sempre presenti durante il trattamento riabilitativo, nella stanza con il terapista. Come vi dicevo, insegniamo direttamente la tecnica, per quello che è possibile rispetto alle proprie capacità, alla famiglia. Secondo quello che diceva una famosa psicologa, Terry Shelton, è importante riconoscere la centralità della famiglia nella vita del bimbo con problemi di salute e l'inclusione del contributo e del coinvolgimento della famiglia nel piano assistenziale e riabilitativo.
  Il concetto di fondo è che occorre prestare attenzione e cercare di soddisfare non solo i bisogni del bambino, ma quelli di tutta la famiglia impegnata accanto a lui nel processo di recupero della salute e dell'autonomia. Basti pensare che la famiglia è una costante nella vita del bimbo, mentre le strutture e le persone sanitarie eventualmente possono cambiare, quindi per noi è importante e centrale questo concetto.

  PRESIDENTE. Grazie. Do la parola alla dottoressa de Bari.

  MARIA PIA de BARI, fisioterapista (URA). Cercherò di non ripetere assolutamente ciò che hanno detto i miei colleghi. Rinnovo il ringraziamento per essere qui e per darci la possibilità di raccontarvi quello che facciamo come riabilitatori.
  Io vi parlerò di due malattie rare in particolare, ossia dell'osteogenesi imperfetta e della sindrome di Ehlers-Danlos, che sono fra le prevalenti nell'ambito europeo fra tutte le malattie rare. Non mi dilungo su una serie di numeri perché potete trovare tutti i riferimenti nel Piano nazionale delle malattie rare 2013-2016 sul sito del Ministero della salute.
  Naturalmente, è importante ricordare che le malattie rare costituiscono un problema di sanità pubblica, per l'impatto numerico sulla popolazione, oltre che naturalmente per le difficoltà diagnostiche e terapeutico-assistenziali e per gli esiti invalidanti, quindi per l'onerosità del trattamento.
  Dal 1990 è iniziato un primo interesse per le malattie rare, ma è nel 1999 che il Consiglio dell'Unione europea ha preso la decisione, verso gli Stati membri, di elaborare e attuare piani o strategie appropriate per le malattie rare, al fine di garantire alle Pag. 9persone affette l'accesso all'assistenza qualitativamente elevata, sia da un punto di vista diagnostico sia da un punto di vista terapeutico.
  In realtà, nella timeline della normativa delle malattie rare, incontriamo spesso anche il termine assistenziale, fino ad arrivare al 2011-2012, all'individuazione di centri di expertise, con la nascita anche dei percorsi diagnostico-terapeutici assistenziali regionali. Quelli di expertise sono dei centri che, a livello di un'area geografica definita generalmente a livello nazionale, entrano a far parte dell’European Reference Network, cioè nel gruppo delle strutture specializzate da un punto di vista tecnico, ma anche per l'esperienza derivante dal numero di malattie rare trattate, che hanno contribuito e contribuiscono alla formazione scientifica e alla collaborazione con le associazioni sul territorio, quindi all'assistenza sanitaria pubblica. Nasce poi il Piano nazionale per le malattie rare 2013-2016 da parte del nostro Ministero della salute.
  In questo contesto sanitario-politico, in realtà il Centro Vojta si introduce quasi inconsapevolmente nel 2005, con la prima presa in carico di quattro bambini affetti da osteogenesi imperfetta. Da subito, il Centro inizia una collaborazione, che si consolida nel tempo, con associazioni, come l'Associazione italiana osteogenesi imperfetta (ASITOI) per l'osteogenesi imperfetta e successivamente la Clinici Ehlers-Danlos Italia (CEDI) per la sindrome di Ehlers-Danlos. Poi, il Centro inizia a collaborare con il Policlinico Umberto I e con l'Azienda ospedaliera San Camillo. Quello Vojta viene indicato da queste due strutture sanitarie strutture ospedaliere come centro di riferimento per la riabilitazione della osteogenesi imperfetta e della displasia fibrosa, che rientra nella osteogenesi imperfetta, essendo una osteodistrofia congenita, e per la sindrome di Ehlers-Danlos.
  L'incidenza della osteogenesi imperfetta in Italia è di un 1 caso su 10.000, anche se è molto controversa tale stima, in quanto potrebbe questa essere maggiore sia per i casi lievi non diagnosticati sia per quelli letali in epoca perinatale, ma anche per i casi confusi con sindrome da maltrattamento.
  La sindrome di Ehlers-Danlos ha un'incidenza un po’ più elevata. Tuttavia, considerando che comprende un gruppo eterogeneo di condizioni ereditarie, la definizione di malattia rara è da ritenere ancora valida.
  Al centro Vojta, a partire dal 2005 per la osteogenesi imperfetta e a partire dal 2013 per la sindrome di Ehlers-Danlos, abbiamo questa prevalenza di casi: 128 pazienti con osteogenesi imperfetta, 66 con sindrome di Ehlers-Danlos e altri venti casi fra sindrome di Marfan, sindrome di De Barsy e altre sindromi molto più rare.
  Che cosa significa essere affetti da osteogenesi imperfetta? L'osteogenesi imperfetta è una patologia ereditaria che colpisce il tessuto connettivo e determina un difetto qualitativo e/o quantitativo della sintesi del collagene, che è il principale costituente delle ossa.
  Cosa comporta questo? C'è una fragilità ossea importante e ci sono delle fratture per traumi minimi. Osteogenesi imperfetta grave significa che una persona di trent'anni, nella vita, ha avuto più di 200 fratture per tutto il corpo e significa deformità della colonna vertebrale, delle ossa lunghe degli arti e della gabbia toracica. In una prognosi, tutto ciò determina non solo scarsa mobilità, quindi l'utilizzo di carrozzine e ausili vari, ma anche compromissione delle funzioni viscerali e soprattutto respiratorie – in età giovanile, questa è la principale causa di morte – e, in casi molto gravi, problematiche neurologiche.
  La sindrome di Ehlers-Danlos è sempre una patologia del tessuto connettivo, però ha la sua massima estrinsecazione nei tessuti molli, quindi nei legamenti e nella cute. Questo provoca lussazioni molto frequenti, anche per movimenti minimi, ma anche fragilità di vasi e organi e iperelasticità cutanea.
  La prognosi della sindrome di Ehlers-Danlos si riassume in tre fasi. C'è quella dell'ipermobilità iniziale, difficilmente diagnosticabile anche in età infantile, essendo la lassità legamentosa una condizione di base nel bambino. Questa diventa instabilità Pag. 10 articolare con dolore, inizialmente acuto per il trauma e successivamente cronico, che non risponde ai farmaci, neanche agli inibitori della serotonina, che sono degli antidepressivi, fino ad arrivare, nell'età adulta, a cronicizzazione del dolore e rigidità.
  Sono di facile intuizione le problematiche riabilitative, che incontriamo per questi pazienti e che vedete in una slide. Magari è un po’ retorico dire «perdita della funzionalità, scarsa qualità di salute e, di conseguenza, aumento della richiesta assistenziale» perché la verità è che questi bambini difficilmente trovano, nelle strutture riabilitative, l'assistenza che per loro è molto importante. Ci sono delle problematiche innanzitutto di formazione, nel senso che il personale non è formato. Sono stati molti i casi che ci hanno riportato di fratture e traumi durante la fisioterapia. Inoltre, il centro stesso incontra problematiche di natura medico-legale e, purtroppo, le strutture territoriali fanno un po’ fatica a impiegare risorse economiche e umane per due o tre pazienti.
  Le caratteristiche della presa in carico riabilitativa globale sono naturalmente quelle che hanno già detto i miei colleghi, ma vorrei sottolineare anche l'altissima competenza del personale nelle sindromi. Per individuare le complicanze a lungo termine, quindi un quadro clinico del momento che può comportare delle problematiche future, il personale deve essere competente sia nell'ambito pediatrico sia nella sfera adulta.
  Inoltre, essendo centro di riferimento, abbiamo anche dei pazienti fuori regione. Ci sono dei progetti riabilitativi intensivi di quattro settimane, con otto terapie a settimana, in cui insegniamo ai genitori anche la metodica Vojta. Insegniamo la manipolazione di questi bambini, perché la paura la fa da padrona sia nei bambini per muoversi sia nei genitori, comportando anche una difficoltà nella relazione psicoaffettiva dei genitori con i bambini. Facciamo delle relazioni di presa in carico e di missioni da inviare alle équipe riabilitative territoriali. A questo proposito, facciamo formazione per avere uno scambio con le strutture che poi si trovano ad affrontare questi pazienti.
  In una slide potete vedere gli effetti che ha la presa in carico riabilitativa. Come ultimo macro-obiettivo della riabilitazione, tutto questo è possibile grazie alla prevenzione. Saper prevenire, soprattutto nella malattia rara, significa sapersi proiettare nel futuro, per rendere oggi il bambino quello che potrà essere l'adulto di domani.
  Spesso si parla di ricerca in ambito genetico, soprattutto per le malattie rare, e si pensa alla prevenzione, soprattutto in ambito riabilitativo, come a un qualcosa di secondario, quando, se si fa veramente prevenzione con questa specificità e con determinate competenze, si riescono a ottenere a un anno risultati importanti, che sono spendibili dal bambino e dalla famiglia. Nei bambini, secondo noi, la prevenzione è un'arma vincente.

(Proiezione di un breve filmato)

  Nel video, stiamo vedendo Francesco, un bambino con un'osteogenesi imperfetta di tipo grave, che aveva solo dodici mesi quando è arrivato da noi. Francesco è un bambino che ha paura del movimento ed è una paura ancestrale. Nell'osteogenesi imperfetta di tipo grave, le fratture incorrono anche in utero, per cui anche il parto è un momento molto pericoloso e difficile per il bambino.
  Durante la terapia, noi cerchiamo di portarlo a lavorare sulla capacità propriocettiva, sul contatto e sul carico del corpo e delle ossa, in questo caso, sul lettino. Questo migliora anche l'aspetto relazionale e affettivo: insegnandolo alla mamma, naturalmente, questo significa molto, oltre che da un punto di vista strettamente tecnico, anche da un punto di vista relazionale.
  Anche in questo caso, chiaramente integriamo altre metodiche. Quelli che vedete sono esercizi specifici per il controllo del tronco. In un'altra immagine, il bambino era po’ cresciuto. Ci sono stati tre interventi. Loro sono calabresi, e il bambino è venuto tre volte da noi. Dopo di che, come potete vedere, dal bambino che piangeva, Pag. 11aveva paura di essere manipolato e non voleva appoggiare le braccia sul lettino, si passa all'acquisizione dello scooting (forma di locomozione che il bambino adotta, da seduto, in sostituzione del gattonamento). Nell'osteogenesi imperfetta è molto rara l'acquisizione del gattonamento, per cui i bambini lo sostituiscono con abilità residue, ma perfettamente funzionali. In queste immagini, mandate due giorni fa dalla mamma, vedete una naturalissima integrazione sociale del bambino, che vi porta anche i suoi saluti.

  PRESIDENTE. Molte grazie. Quanto ascoltato è stato di grande interesse.
  Io avrei due domande da farvi. In primo luogo, vorrei sapere se c'è una misurazione del tasso di successo e, in particolare, su quali delle diverse patologie voi avete più riuscita. In secondo luogo, vorrei capire come mai questo, se ho capito bene, è l'unico centro in Italia.

  STEFANIA CRUCIANI, neurologa – Direttore sanitario, responsabile Unità riabilitativa adulti e dismorfismi dell'età evolutiva (URA). Questo è l'unico centro perché è nato come cooperativa a Roma. In realtà, durante la vita del professor Vojta e anche successivamente, come ha detto Vincenzo Cabala, sono stati formati più di 2.000 fisioterapisti e anche 100 medici. Si tratta, però, di realtà locali, in cui ognuno lavora nel suo centro e in cui vengono utilizzate anche altre metodiche riabilitative.
  Fra le patologie in cui la metodica Vojta ha più successo e per le quali sono stati fatti degli studi, prima di tutto c'è la paralisi ostetrica. Tant'è che questa viene usata come metodica principe per il trattamento del bambino che ne è affetto.
  Non abbiamo portato immagini in materia, ma posso dirvi che, tra i nostri bambini affetti da paralisi ostetrica, anche nelle forme di lesioni più gravi, non vi è mai – vi sarà capitato di vedere persone adulte con un arto più piccolo dell'altro – questa deformità. Anche il movimento è molto recuperato.
  Con questo trattamento seguiamo anche bambini fino ai 12 –13 anni, quindi immaginate l'impegno per una famiglia di un bimbo, che – lo ripeto – arriva da noi, mandato dagli ospedali, a cinque giorni di vita, e prosegua così a lungo.
  I successi ci sono anche nei casi di paralisi cerebrale infantile e nei disturbi di coordinazione motoria centrale. Nella paralisi cerebrale infantile, vi è la necessità, secondo noi e secondo il nostro modo di lavorare, dell'integrazione con altre metodiche, perché, come ha detto il dottor Cabala, c'è per il bambino la necessità di dare significato al movimento. Questo è stato dimostrato anche da studi di neuroplasticità. Per dare significato al movimento, abbiamo bisogno dell'interazione con l'ambiente, quindi il gesto verrà maggiormente acquisito nel nostro cervello perché vi è stata questa interazione.

  VITTORIA D'INCECCO. Si parlava di contatto, giusto?

  STEFANIA CRUCIANI, neurologa – Direttore sanitario, responsabile Unità riabilitativa adulti e dismorfismi dell'età evolutiva (URA). Si parlava di contatto perché nei bambini con osteogenesi imperfetta – ma lo facciamo con tutti i bambini – c'è una difficoltà del genitore, che arriva, non volendo, a deprivare il bambino anche di manovre affettive di normalità, come prenderlo in braccio o coccolarlo, appunto per paura che il bambino si rompa. Immaginate che questi bimbi si fratturano anche solo stendendo un braccio.
  C'è un esempio che possiamo fare: nel giocare alla Play Station, per un normale gesto di esultanza, un bambino si è fratturato il braccio.
  Immaginate anche il vissuto di tutta la famiglia e di questi bambini altamente ospedalizzati.
  Siamo un centro di riferimento per questo tipo di patologie e mettiamo molta passione nel nostro lavoro, ma troviamo alcune difficoltà nel caso dei bambini fuori regione, per le diverse patologie, perché spesso ci chiamano genitori di bambini affetti da paralisi cerebrale infantile, che hanno sentito che la metodica Vojta è efficace, o di bambini affetti da paralisi ostetriche, su cui ci sono risultati Pag. 12 molto importanti. Spesso, troviamo difficoltà nel farli accedere al nostro Centro. A livello nazionale, le risposte delle ASL per l'autorizzazione dei progetti sono le più disparate, anche all'interno della stessa regione. C'è un'enorme burocrazia e, ogni volta che ci troviamo a trattare con una ASL diversa o con distretti diversi, abbiamo nuove procedure burocratiche da apprendere.
  Ripeto: lo facciamo perché per noi è importante, però c'è una frammentazione dei servizi. Anche quella dell’équipe riabilitativa, di cui parlavo prima, purtroppo è una proposta che spesso rimane formale e non viene applicata per mancanza anche di risorse.

  PRESIDENTE. Sono iscritti a parlare: la collega D'Incecco, la collega Lupo e il collega Romanini. Direi di fare prima il giro completo delle domande e poi di darvi la parola per la replica.

  VITTORIA D'INCECCO. Il vostro, se ho capito bene, è un centro convenzionato dalla ASL. I servizi sono tutti coperti o ci sono alcuni servizi che sono convenzionati e altri che non lo sono? Per quanto riguarda la patologia, come, per esempio, quella della paralisi ostetrica, sappiamo bene che intervenire sui nervi richiede tanta pazienza, anche perché c'è un recupero molto lento. Quando non si interviene in tempo, qual è l'età in cui comunque si può provare ad intervenire? Vorrei anche chiedere se esiste da voi una scuola di formazione per fisioterapisti e medici e quali sono appunto le possibilità di accesso.

  LOREDANA LUPO. Grazie intanto per la vostra presentazione.
  Questo tipo di tecnica presenta, come immagino, dei protocolli, che voi applicate all'interno del Centro. L'utilizzo di questi stessi protocolli all'interno degli ospedali, per condividere questo tipo di tecnica all'interno dell'ospedale, attraverso quale strumento si potrebbe realizzare?
  Un'altra domanda riguarda la prevenzione, che rappresenta l'arma più importante in questo caso, poiché prima agiamo e più – mi sembra di comprendere – si può ottenere un risultato per questi bambini. Esistono delle tecniche di individuazione? A livello nazionale, i pediatri possiedono linee guida per poter individuare le patologie nei pazienti?
  Lo chiedo perché il primo approccio con un infante, almeno per quello che mi è successo, è quello con il pediatra. Dopo otto giorni, direttamente lo si porta a fare la prima visita pediatrica, che, secondo me, è una delle più importanti per il bambino, dopo la parte di neonatologia all'ospedale. I pediatri sono dotati di linee guida, ben precise da questo punto di vista, per poter intervenire in tempo?
  Per quanto riguarda le famiglie, a cui, come dite, insegnate questa tecnica, viene anche fornito un supporto psicologico?

  GIUSEPPE ROMANINI. Ringrazio anch'io gli auditi per la presentazione fatta.
  Dopo l'intervento dei colleghi D'Incecco e Lupo, potrei anche rinunciare a fare le mie domande, che, in qualche modo, ricalcano quei temi. In particolare, non avevo capito, dall'esposizione, quale fosse il rapporto con il Servizio sanitario nazionale, se non per le malattie rare, come l'osteogenesi imperfetta, per la quale è stato detto esplicitamente che siete il centro di riferimento per la regione Lazio, ma, forse, anche su tutto il territorio nazionale.
  Immagino che le malattie rare siano una parte non preponderante delle patologie trattate, per cui avrei voluto chiedere qual è il rapporto, ma, come in parte è già stato detto, sappiamo essere convenzionato.
  Lasciatemi fare un'ultima domanda che riguarda la paralisi cerebrale infantile, per chiedervi da che cosa ha origine. Mi riferisco agli infanti presi in cura, che sono affetti da paralisi cerebrale infantile, normalmente a causa di nascite premature e terapie intensive neonatali particolarmente efficaci, che ve li consegnano?

  MICHELA VITTORIA BRAMBILLA. Grazie e benvenuti anche da parte mia.
  Anch'io riduco la mia domanda solo a una piccola considerazione, perché i colleghi hanno già chiesto quello che avrei voluto chiedere. Solo un punto non mi è Pag. 13chiaro sulle indicazioni per il vostro metodo.
  In questa sede, abbiamo affrontato diversi tipi di disabilità, che avevano riflessi sul motorio e sul cognitivo dei bambini. Non tutte erano derivanti da paralisi cerebrale, perché alcune, per esempio erano a seguito di eventi specifici del bambino, come ischemie, anossie, incidenti e quant'altro.
  Quello che non mi è chiaro è se il vostro metodo può portare beneficio e viene utilizzato solo nei casi di paralisi ostetriche e cerebrali – tra l'altro, sarebbe bene specificare anche la differenza tra le due cose – o se può portare giovamento anche a disabilità specifiche motorie, intervenute a seguito ad esempio di un parto normale con incidenti, e a quali tipi di disabilità. Lo chiedo per capire se il raggio di azione e di applicazione del vostro metodo può avere una sfera più ampia; questo è il senso della mia domanda.

  STEFANIA CRUCIANI, neurologa – Direttore sanitario, responsabile Unità riabilitativa adulti e dismorfismi dell'età evolutiva (URA). Prima di tutto, noi siamo completamente convenzionati. I nostri progetti riabilitativi prevedono una presa in carico globale. C'è un medico, che è fisiatra o neuropsichiatra infantile o neurologo, a seconda di quale reparto prende in carico il paziente, e questi costruisce l’équipe riabilitativa, in cui – lo dico anche per rispondere all'onorevole – c'è la presenza dello psicologo, del pedagogista o dell'assistente sociale. Le figure vengono scelte in base ai bisogni del bambino.
  La paralisi ostetrica, come per qualsiasi patologia neurologica e non solo, prima si tratta e maggiori saranno i risultati. Questo non significa che a qualsiasi età il paziente, se trattato, non ha dei miglioramenti e vale, soprattutto, nel caso di un paziente che non ha mai fatto una terapia riabilitativa o una terapia riabilitativa specifica.
  Per rispondere alla domanda sul pediatra e su come ci possiamo inserire negli ospedali, posso dire che le interazioni sono molto difficili. Noi abbiamo parlato di collaborazioni con il San Camillo, ma anche con il Policlinico Umberto I. A volte, si vengono a creare collaborazioni in modo molto spontaneo, in cui ci si conosce e si iniziano a mandare i primi pazienti, ma non c'è un'organizzazione sul territorio capillare che lo rende facile.
  In passato, come mi raccontano gli anziani del Centro, i fisioterapisti Vojta e la fisioterapista Jarka facevano le valutazioni presso le neonatologie. L'intervento diventa molto difficile, perché c'è un aspetto anche di medicina legale e di interazione, per cui la cosa migliore sarebbe che un fisioterapista fosse in carico nella neonatologia. Nell'Unità di neonatologia, ci sono tante figure, ma il fisioterapista non è presente. In terapia intensiva, fare una riabilitazione Vojta ha un significato per quello che sarà il successivo sviluppo del bambino.

  MICHELA VITTORIA BRAMBILLA. Questo può succedere in ogni neonatologia?

  STEFANIA CRUCIANI, neurologa – Direttore sanitario, responsabile Unità riabilitativa adulti e dismorfismi dell'età evolutiva (URA). Potenzialmente, sì.

  MICHELA VITTORIA BRAMBILLA. Non c'è bisogno di una struttura particolare o di macchine specifiche, per esempio?

  STEFANIA CRUCIANI, neurologa – Direttore sanitario, responsabile Unità riabilitativa adulti e dismorfismi dell'età evolutiva (URA). Ci serve il fisioterapista esperto nella metodica Vojta, che abbia fatto dei corsi.

  MICHELA VITTORIA BRAMBILLA. Quindi un fisioterapista formato può essere utilizzato.

  STEFANIA CRUCIANI, neurologa – Direttore sanitario, responsabile Unità riabilitativa adulti e dismorfismi dell'età evolutiva (URA). Per evidenziare i deficit in un'età precoce del neonato, in realtà bastano le prove posturali e sui riflessi, che vengono fatte sul bambino già dal pediatra, che, se vede delle alterazioni, dovrebbe inviarlo al neuropsichiatra infantile. Certo, si tratta di una preparazione di base ed è ovvio che un occhio più esperto potrebbe vedere anche le piccolezze. Per vedere aspetti più importanti, Pag. 14 il pediatra di base ha una formazione sull'aspetto neurologico, per cui è pienamente in grado di poter fare una diagnosi di disturbo di coordinazione centrale.
  Il professor Vojta aveva aggiunto delle prove posturali, ma vi ripeto, da neurologo, che queste non sono strettamente necessarie per poter individuare il problema, ma possono essere una lente di ingrandimento di più, perché il pediatra deve essere in grado di evidenziare problematiche neurologiche già nei primi giorni di vita del bambino. Che poi questo non sempre avvenga è un altro discorso.

  MICHELA VITTORIA BRAMBILLA. Vorrei capire se ne avete un riscontro.

  STEFANIA CRUCIANI, neurologa – Direttore sanitario, responsabile Unità riabilitativa adulti e dismorfismi dell'età evolutiva (URA). A volte ci capita anche perché siamo un centro specializzato in questo, come, anche se molto meno, capita pure al pediatra o al neuropsichiatra infantile, non solo per l'aspetto motorio, ma anche per altri aspetti. Ripeto: non stiamo parlando di un sistema, ma della singola preparazione delle persone.
  Per quello che riguarda la differenza fra paralisi ostetrica e paralisi cerebrale infantile, la paralisi ostetrica riguarda una lesione del sistema nervoso periferico, dovuta a uno stiramento del braccio durante il parto. Tale lesione procurata durante il parto può essere temporanea, ma possono esserci anche gravi lesioni, a seconda di quanto il plesso brachiale è stato coinvolto, fino alla lesione completa. A volte, vengono fatti interventi di reinnesto del nervo nei casi più gravi. Ci sono diversi fattori: la paralisi non è sempre dovuta a un'operazione sbagliata dell'ostetrica, ma anche al bambino molto grande o alla posizione.
  Per paralisi cerebrale infantili, su cui il dottor Cabala mi può aiutare nella risposta, s'intendono patologie dovute a diversi eventi intorno al momento del parto, quindi sicuramente le nascite pretermine fanno aumentare questo tipo di problematiche, ma anche l'accanimento terapeutico nelle unità intensive. Certo, anche se questo è difficile, bisognerebbe stabilire, almeno per quello che io penso da neurologo, una linea etica di confine, che in qualche modo ci dia una regola. È difficile per il neonatologo, al di là dell'aspetto medico legale, trovarsi in tale situazione e dire «basta», per cui ci devono essere dei parametri basati sull'esperienza scientifica. Non sta a me né è mia competenza dirlo, per cui, se interrogate i neonatologi, sapranno rispondervi meglio di me al riguardo.
  La metodica Vojta è efficace anche per danni successivi presenti nel bambino, quali possono essere ischemie o emorragie. Immaginate che, alla fine, l'esito della disabilità è uguale, per la lesione che si venga a creare durante il parto o durante la gravidanza, perché si crea un danno sul sistema nervoso centrale. Agire presto su un bambino significa agire sulla neuroplasticità, quindi prima è fatto l'intervento e migliori saranno le risposte.

  MICHELA VITTORIA BRAMBILLA. E se il bambino non è più in fase acuta, cioè se un bambino viene da voi dopo un evento di cui sono passati X anni, perché non sa che esistete e la famiglia lo apprende dopo?

  STEFANIA CRUCIANI, neurologa – Direttore sanitario, responsabile Unità riabilitativa adulti e dismorfismi dell'età evolutiva (URA). La risposta comunque ci può essere, ma ovviamente non sarà quella di un intervento precoce. Chiunque, quindi anche un adulto su cui non è mai fatto un trattamento riabilitativo specifico, può avere un minimo di risultato.
  Spero che siamo stati esaurienti. Grazie mille.

  PRESIDENTE. Ringrazio i nostri ospiti e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.10.

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ALLEGATO 2

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ALLEGATO 3

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